UN’ESTATE IN PARADISO

 

Author: Anyanka72

Genere: Romance/Drama/Angst

Pairing: Spike/Buffy Anya/Xander Willow/Tara, Dawn, Giles, D’Hoffryn

Rating: R

Timeline: fine 5 stagione BTVS poi AU.

Summary: Dopo quell’estate nulla sarebbe stato come prima….

 

 

Forse era stato perché gli mancava Dawn. Doveva essere così. Era andata a Los Angeles da suo padre. Quanto diavolo mancava ancora a rivederla? Sarebbe tornata tra pochi giorni ma gli mancava, gli mancava terribilmente. Era l’unica in grado di farlo sentire ancora parte di qualcosa. E l’unica a cui importasse qualcosa di lui.

E senza di lei, senza uno scopo, c’erano solo rabbia, disperazione, e l’alcol. Nessun sentimento simile alla dolcezza, alla preoccupazione per il bene di qualcuno, all’amore, senza Dawn che gli ricordava di esserne capace, che gli faceva venire voglia di sforzarsi, almeno, che lo calmava, e che lo divertiva, e che lo inteneriva…

Le prime notti, senza vederla, si era costretto a non uscire, sapeva, nello stato confusionale in cui si trovava, che si sarebbe solo messo nei guai. Doveva proteggersi da se stesso. Non voleva lasciarla sola. Non sapeva neppure bene per chi dei due lo volesse, in realtà.

Ma non si sopportava, da solo, era troppo dura, stare solo con se stesso.

 

E stasera, niente era servito, neppure la musica. E non aveva niente da bere… Nessun’apocalisse in vista… l’attività demoniaca sembrava persino diminuita da quando Dawn era partita. Questo pensiero cercava di scacciarlo dalla mente. Non voleva credere neanche per un secondo, che la piccoletta fosse ancora collegata a demoni, dei, o altre creature di chissà quale inferno parallelo, perché questo significava che avrebbe potuto morire, e significava anche che Buffy era morta per niente. E significava che avrebbe potuto assistere di nuovo a una sconfitta, e non ne aveva la minima intenzione.

 

Sì, doveva essere stato per questo. Ecco, perché, si era scoperto a vagare senza una meta precisa e con la mente leggermente annebbiata, troppa tequila… E per questo, aveva provato un piacere sinistro, nel vedere ancora accesa una luce, all’interno del Magic Shop… Non si era quasi neanche accorto di essersi spinto, o trascinato- fin lì.

 

********

 

...Il sole era tramontato, da un pezzo. Nel magic shop anche l’ultimo cliente era uscito. Anya si stava affrettando, ma la conta dell’incasso serale - assolutamente non necessaria, dato che annotava ogni minima variazione nel totale della cassa… sapeva ‘sempre’ quanto conteneva fino all’ultimo cent- l’aveva trattenuta.

 

Il suono del campanello all’ingresso aveva richiamato la sua attenzione, accidenti, si dimenticava sempre di chiudere la porta, e poi era davvero stanca, doveva assolutamente congedare il ritardatario, rimandarlo a domani.

 

“Spiacente signore, siamo chiu-Spike! C-che…ci fai qui, ti serve qualcosa?”

La guardava con un lieve sorriso, e si avvicinava, senza risponderle.

 

“Spike… stai bene? Non…”

“Ciao, Anya.” La sua voce era quasi inespressiva. Anya si era scoperta improvvisamente terribilmente a disagio. Un inspiegabile brivido di paura, e del tutto immotivato, dato che Spike…

 

Ma, Spike da solo… Lei, era a suo agio tra la gente, tra le persone, ‘tante’, persone. Quando era un demone si sentiva spesso così sola... I demoni conducono una vita lunga, e per gran parte di essa solitaria, a parte i vampiri… con l’eccezione di Spike.

 

Poi le era venuto in mente che il suo tempo era prezioso. Il tempo è denaro. E Spike non era un cliente pagante. Aveva riguadagnato una parvenza di controllo.

 

“Spiacente, Spike, il negozio è chiuso. E poi, dubito che comprerai mai qualcosa percui…”

 

Non sembrava l’avesse neanche sentita.

Faceva scorrere le dita sugli scaffali, le statuette, i libri con le rilegature dorate, chiedendosi chissà quante magie fossero racchiuse là dentro, quante favole, quante profezie che si avveravano, in quel posto maledetto… mentre si avvicinava, e lei lo osservava senza muoversi.

 

“Chissà…”

“Cosa, chissà? Spike che…”

“Chissà se troverò mai in questo posto…qualcosa di magico, che mi restituisca la felicità, Anya? Tu, cosa mi consigli?”

 

Adesso le era a un passo. E aveva gli occhi fissi su di lei.

“I-io credo di no, Spike... vattene.”

 

Si era messo a ridere.

 

“Lo sai tesoro? Una volta…”

 

Aveva preso a indietreggiare, e Spike la seguiva, lentamente.

 

“U-una volta cosa?”

“…ho ucciso la proprietaria, di questo posto…” La stava spaventando davvero, adesso. Lo sapeva, gliel’avevano raccontato. Era ‘diverso’, però, sentirselo dire da Spike, stasera.

 

Sembrava essergli successo qualcosa… aveva bevuto. Forse con l’alcol il chip era meno efficace, pensava Anya. Forse nemmeno si ricorda che farebbe solo del male a se stesso, pensava. Ma non aveva intenzione di lasciarglielo scoprire.

 

“Te… lo ripeto, Spike, vattene…”

“Oh, andiamo… Giles non ti aveva insegnato come essere gentile con il tuo prossimo, Anya? Che cosa direbbe adesso?”

“Giles, sarebbe ‘contento’ se mi vedesse adesso e… e-e inoltre t-tu n-non puoi farmi del male e…”

 

Senza che se ne accorgesse, l’aveva fatta indietreggiare fino quasi a toccare la parete dietro di lei, chiudendole una via di fuga. Non poteva muoversi. Abile, era stato abile. E lei, molto stupida, dato che conosceva quel posto come le sue tasche.

Spike aveva considerato la frase, aggrottando le sopracciglia, quasi offeso, dalle sue parole.

“Ma io non voglio farti del male…” E la osservava, compiaciuto.

Poi l’aveva spinta con le spalle al muro, sollevato il viso, poco gentilmente, verso di sé, e l’aveva baciata. Pensandoci, non aveva dovuto neppure bloccarle le mani… Nessun dolore. Chissà, se dipendeva dal fatto che fosse il chip a non funzionare, che davvero non avesse intenzione di farle male, o che invece a lei piacesse, essere trattata con un pizzico di durezza?

 

Di certo il chip gli aveva insegnato a pensare ‘prima’, alle cose che faceva. E pensare costituiva una mediazione inutile, assolutamente non necessaria e il più delle volte dannosa, tra l’istinto e l’azione. Quando era ubriaco, funzionava meno, ragionare… E per troppo tempo, era rimasto senza agire. Forse, aveva semplicemente sviluppato una resistenza maggiore al chip, col tempo. E poi al diavolo, a un demone piace anche il dolore. E Anya doveva ricordarsene… Iniziava a capire vagamente perché si era ritrovato al Magic Shop stasera. Perché era ubriaco, ma non solo. In realtà l’aveva fatto per almeno altre tre, validissime motivazioni.

Anya era bella. Stava con Xander ed era uno spreco, terzo lui era da solo, troppo solo, e lei… lo divertiva. Aveva pazzia sufficiente per mantenere vivo il suo interesse, doveva solo farglielo capire… Beh non sembrava così difficile. Divertente.

 

Aveva lasciato le sue labbra, con un ghigno soddisfatto. Anya si sentiva imbarazzata, furiosa, impotente. E questo, lo divertiva ancora di più. Le aveva accarezzato le labbra con la punta delle dita.

“Buonanotte tesoro… chiudi la porta la prossima volta, non si sa mai chi potrebbe entrare…”

“I-io…”

“…Non troverò una simpatica barriera all’ingresso domani, vero Anya? Non sarebbe carino, da parte tua… E come spiegheresti la tua richiesta alla streghetta? Vorrei sentirla…”

“Potrei dire la verità!”

“Cioè: Spike è entrato, mi ha baciata, mi ha dato la buonanotte e mi è sembrato terribile?”

Era davvero deliziosa, con quella rabbia negli occhi.

“Potrei dire che mi hai minacciato.”

“Senza offesa, piccola Anya… cosa ti fa credere che a Willow interessi davvero la tua incolumità? O a qualcun altro del gruppetto, per essere sinceri… forse a Xander?”

Anya non poteva, dire che avesse del tutto torto, ma Xander…

“Io…”

“Non voglio farti del male, Anya… e tu lo sai.”

Si era fatta baciare, di nuovo. Non c’erano neppure scuse, adesso. Si era allontanata, agitata. Lo pregava con gli occhi di andare via.

 

“Spike… io devo sposarmi. S-sono fidanzata. O… beh… ‘quasi’, fidanzata, credo…”

Questa non se l’aspettava davvero. ‘Fidanzata’? Con quell’insulso ragazzino? Non aveva saputo trattenere un risolino di sincero stupore.

“Ti prego… di rispettare questo…”

“Rispetto. No, non credo di esserne capace, Anya… Alla prossima volta.”

 

Poi era uscito. Le rimbombava nella testa il suono del campanello sulla porta. Tremava. L’aveva davvero spaventata. Spaventata a morte.

 

 

CAPITOLO 2

 

“…Ciao,bellezza.”

Si era girata, e l’aveva visto davanti a sé, sorridente.

 

“Spike!”

“…Lo vuoi, un passaggio a casa?”

 

Non aveva resistito dal saltargli quasi in braccio.

“Ehy, ehy. Piano. Ho ancora una reputazione da difendere.”

Dawn rideva, felice di rivederlo, finalmente.

“Se, se. E allora che ci facevi qui, ad aspettarmi?”

Le aveva preso la valigia dalle mani.

 

“...‘Qualcuno’, mi ha detto che ‘qualcun altro’, è stato così poco prudente, da prendere l’ ‘ultimo’ autobus che partiva per Sunnydale stasera… Dì un po’ lo sai che ore sono?”

 

Era serio. Si era davvero preoccupato. Ma lei era troppo contenta di essere di nuovo lì e con lui, per preoccuparsene. Anche se sapeva, che l’avrebbe rimproverata.

“Beh… so che è buio, Spike.”

Lo guardava con un sorrisetto.

 

…Finalmente era tornata. Finalmente aveva uno scopo… Quando Willow gli aveva detto che sarebbe rientrata quella sera si era sentito sollevare un peso di dosso.

Poi aveva pensato, naturalmente, che aveva scelto di tornare a quell’ora perché lui potesse vederla. E d’estate il sole in California tramonta così dannatamente tardi…

 

Incosciente.

 

Tornare a Sunnydale alle dieci di sera, e da sola. L’avrebbe sentito.

 

…Invece quando l’aveva vista scendere dall’autobus aveva dovuto controllarsi dall’abbracciarla.

…Tanto, l’aveva fatto lei. Adorabile briciola.

 

“…Non poteva accompagnarti tuo padre? E se Willow non me l’avesse detto? E se per qualche motivo non avessi potuto venire?”

 

Gli altri erano stati contenti che ci fosse Spike che poteva andare a prendere Dawn. Willow sembrava ‘molto’ sollevata, nel chiedergli il favore.

Con una sfumatura, che lui aveva colto, che faceva quasi passare il 'molto' in 'troppo'. Stasera, era all’ordine del giorno una delle loro riunioni ‘private’…

 

E a lui l’unica cosa che importava era portare a casa Dawn sana e salva.

 

“…Beh sei qui adesso, no? Quindi, se mi accompagni a casa TU, non mi succederà niente, giusto?”

“Qualcosa mi dice che qualcuno deve aver fatto apposta…”

“Chi? Dove hai la macchina?”

 

Con un cenno del capo gliel’aveva indicata, e la osservava correre davanti a lui verso la macchina. Era tornata… finalmente.

 

“Dimmi, Spike, qualcosa di rilevante da raccontarmi, che è successo in questi giorni? Bocche dell’inferno? Demoni? Vampiri?”

“Vuoi dire ‘qualcosa di nuovo’, Dawnie, o quello che mi hai appena chiesto?”

“…Capito. … Oh, non vedo l’ora che ricominci la scuola…”

“TU, vuoi tornare a scuola? Ehy, ma chi diavolo sei tu? Cos’hai fatto a Dawn? La vera Dawn dev’essere rimasta a Los Angeles.”

“Stupido. In realtà è… mi mancano i miei amici…”

“Amici? Plurale? Femminile o masch…”

“Messaggio ricevuto, Spike.”

Era diventata routine, canzonarla per i suoi primi batticuori. Era irresistibile vederle arricciare il naso per l’imbarazzo, e lei nemmeno si accorgeva di farlo.

“Com’è che si chiamava, aspetta… Kenton?”

“Kevin, Spike. E non fare lo stupido, te ne ho parlato così tanto che non puoi essertene dimenticato.”

“…Kevin, giusto. Beh, novità?”

“…Mi ha… telefonato, quando ero a Los Angeles.”

“Senti senti. E com’è andata?”

Era arrossita e aveva abbassato gli occhi.

“…Un disastro, Spike. Praticamente, non sono riuscita a proferire parola. Beh… neanche lui, ha detto molto, a dire il vero… una telefonata abbastanza particolare. Credi che… credi che non mi telefonerà più?”

 

Kevin gli stava diventando simpatico. Non l’aveva mai visto ma sembrava un tipo sveglio. E guai a lui, se avesse fatto soffrire briciola.

 

“…Sono un vero disastro… vero Spike?”

“…E’ cotto.”

“E come fai a dirlo?”

“Beh tesoro, ti ha telefonato, ‘ricordandosi’ il tuo numero di Los Angeles, e sei stata via solo una settimana…”

“Ma non mi ha detto praticamente niente!”

“Molte volte le parole sono superflue, Dawnie.”

“Sì, parli facile, tu. Tu non hai mai, il terrore di dire o fare la cosa sbagliata…”

“...No, Dawn. Io ‘dico’, e spesso, la cosa sbagliata. E ‘faccio’ sempre… quasi sempre, la cosa sbagliata.”

 

Dawn si era morsa la lingua. Non intendeva dire questo…

 

“Una volta, Spike. Ora sei diverso.”

 

Per un attimo il sorriso l’aveva abbandonato. E aveva visto, davanti a sé, gli occhi spaventati di Anya.

 

Poi la voce di Dawn lo aveva riportato alla realtà.

 

“…E comunque non hai nessuna prova, per dire che Kevin è cotto, mister vampiro che sa tutto.”

 

Si erano fermati a un semaforo. L’aveva guardata, sorridendole dolcemente.

 

“Briciola, se c’è qualcuno che SA, cosa vuol dire spasimare per amore tra noi due beh… quello sono io.”

“Uh… già…”

 

Cambiare argomento. Meglio.

 

“…E con tuo padre come… è andata?”

“Non lo so. Non parliamo molto di… lo sai.”

“…già…”

“Spike… non…”

“Dawn… puoi parlarne, con me… Non… mi parli quasi mai di lei. Ce la faccio. Possiamo affrontare l’argomento.”

“Te l’ho detto Spike io… non vedo l’ora che l’estate sia finita. E’ come se… come se, quando l’estate finirà, anche quest’incubo terribile sarà finito... ha il minimo senso per te quello che sto dicendo?”

 

Erano arrivati a casa. Casa di Buffy. L’aveva osservata un istante, il portico, la sua finestra. Con la luce sempre maledettamente spenta. Poi si era scosso.

 

“Io non… lo so, Dawn, …forse, sarà meno doloroso…”

“Lo spero, Spike. Ma non ci credo.”

“Ora vai, devi riposarti. Ci vediamo domani sera, piccolina. Film? Poker?”

“Playstation?”

“Andata.”

“Buonanotte, Spike.”

“Sono contento che tu sia tornata.”

Gli aveva sorriso, poi era entrata in casa. Ed era rimasto ancora un istante là, con un groppo alla gola.

 

Aveva aspettato di vedere accendersi le luci in camera di Dawn. Ora, era libero. Doveva decidere cosa fare di se stesso, per il resto della notte.

 

Beh, c’era comunque un posto, dove sarebbe potuto andare. Dove aveva terribilmente voglia di essere, adesso.

 

 

CAPITOLO 3

 

“...Xander, è il momento giusto! Io proprio non capisco che dobbiamo aspettare, ancora!” Stavano tornando a casa. Xander era sfinito, mentalmente e fisicamente. L'immancabile perlustrazione notturna e poi il consueto ‘rapporto’ al magic shop, stavano diventando insostenibili. E senza Buffy, per lui, tutto aveva solo un sapore di temporaneo e di inutile. Presto, avrebbero dovuto ammetterlo, e avrebbero dovuto arrendersi…

Inoltre, tutti avevano rilevato un ‘aumento’ nella popolazione demoniaca, quella sera. E sapevano, che Dawn era rientrata quella sera… Quindi poteva voler dire che… Ma non avevano ancora le prove definitive.

 

L’unica cosa che desiderava Xander adesso era il silenzio, e il riposo. Ma non era possibile, naturalmente, non con Anya.

 

La sensazione di sentirsi in trappola era ogni giorno più insopportabile. E tener a freno la rabbia più difficile.

 

Sperava l’avrebbe convinta a desistere dall’argomento, per un po’… almeno per quella sera…

 

“…Non è il momento giusto, Anya, noi… non è il momento, ecco.”

“E perchè no? ...E’ per... Buffy! Ecco perché!”

Non la sopportava quasi più. Come faceva a non rendersi conto di… di cosa, in fondo?

 

…In fondo, non era certo colpa sua, se Buffy era morta. Ma era più comodo sfogarsi con lei, perché lei, era vicina. Era... a tiro, e lo stava ad ascoltare.

 

Quando non parlava di matrimonio, certo. E del Magic shop, e di soldi…

 

E ora si sentiva così solo, senza Buffy. In fondo il matrimonio era la cosa giusta da fare, lei aveva ragione…

 

Ma era davvero pronto a legarsi per la vita a… chi? …Cosa? Chi era, Anya?

 

“Ne abbiamo già parlato, eravamo d’accordo…”

“...Giusto.'Eravamo', Xander. Eravamo… tante cose. Io stessa, sono stata molto… diversa!”

 

“Che cosa stai cercando di dirmi? E abbassa la voce!”

 

“No! E, se vuoi saperlo Xander, sono stanca. Stanca di

aspettare, stanca dei tuoi musi lunghi, stanca di non essere capita…”

 

“Tu sei ‘sempre’, stanca. Il mondo non funziona così, non gira secondo i tuoi desideri, Anya. NON PIU’.”

 

Lo guardava quasi con odio. Con lacrime di frustrazione e di rabbia negli occhi. Non voleva che il mondo girasse in nessuno strano modo, voleva solo ‘sposarsi’, magari avere dei bambini anche, perché no? Lo aveva visto succedere… lo aveva creduto possibile… Magari non sarebbero arrivati all’età adulta i suoi figli, certo, non a Sunnydale.

Ma... era lì, era viva, e non aveva intenzione di passare l’esistenza in un’attesa eterna.

 

“Ascolta, Anya…”

 

Per un attimo, Xander si era davvero pentito del tono aspro che stava usando con lei. Uno di quei brevi istanti che vengono immediatamente spazzati via dalla rabbia. Quei brevi istanti che poi un giorno diventano rimorsi. Aveva cercato di posarle le mani sulle spalle, per calmarla, sapeva sempre, come calmarla…

 

Non adesso, però. C’era l’urna. Che sarebbe arrivata presto. Di cui lei, era incaricata dell’acquisto. Sarebbe anche costata parecchio. Ma lo aveva detto? Lo aveva fatto notare? No. Stava imparando, come ‘funzionava il mondo’. E la cosa che aveva imparato davvero bene, era che ‘doveva funzionare’ per tutti, ma non per lei.

 

“...Se... la cosa andrà per il verso giusto, allora poi potremo…”

 

...Ed era anche per questo, che l’aveva fatto, Anya. Recuperare l’urna di Osiride, senza che Giles li scoprisse, perchè li avrebbe fermati. Servendosi delle sue conoscenze nel mondo demoniaco. Cosa rischiosa, ma anche a questo proposito Anya aveva taciuto, perchè lui non si preoccupasse. Perché se Buffy fosse tornata… Xander l’avrebbe sposata.

E inoltre... avrebbe tanto voluto parlargli della 'visita' di Spike di qualche giorno prima. Ma non l'aveva fatto... Non sapeva forse, se Xander avrebbe avuto la reazione che sperava... E aveva dovuto confessarsi, di non avere voglia di scoprirlo.

 

“...Cosa, Xander? ‘Potremo? Cosa? Ti degnerai di mantenere una promessa? Beh sai che ti dico? Non me ne importa niente se risogerà! Non lascerò che la mia felicità dipenda da una persona che in vita mi ha sempre trattato…Non mi ha neanche, ‘trattato’! Non… valeva la pena, dev’essere…"

"Anya..." Aveva un tono di avvertimento, la voce di Xander.

L'aveva ignorato.

"Lo sai qual è la differenza tra di noi Xander? Che La MIA, vita, 'non è' cambiata da quando lei è morta...”

“La mia sì.” La rabbia era tornata.

Anya sorrideva tristemente.

“...Ed è questo, il problema... la mia vita è cambiata ‘perché’, lei è esistita. E’ solo colpa sua se sono qui… Accidenti a lei.”

“…Ti avverto Anya… Non una sola altra parola su Buffy.”

Si era fermata, mettendosi davanti a lui.

 

“Oh. TU, ‘mi avverti’. E perché se no, che cosa mi fai? Io ne parlo, invece. Parlo di chi mi pare, vivo o morto! ...E se è morto meglio! Non ci dovrò litigare mai più!”

 

Senza riflettere le aveva tirato uno schiaffo. Le aveva fatto quasi perdere l’equilibrio. E forse, ‘questa’, frase, un giorno… non l’avrebbe ripetuta, tornando indietro. Forse.

“Tu… tu sei… sei… un mostro.”

 

Aveva uno sguardo sconvolto, Xander, come se si fosse reso conto solo in quel momento della gravità di quello che le aveva detto.

O la verità, di quello che le aveva detto.

 

Lei lo guardava, tenendosi una mano sulla guancia dove l’aveva colpita, con gli occhi pieni di lacrime.

 

“…E lo sarei sempre stata anche se Buffy non fosse mai morta, vero Xander?… Rispondimi…”

 

Poi, per un tempo che le era sembrato non finisse mai, aveva aspettato, inutilmente, una risposta. Che non era arrivata. E in quei casi… Si fugge, si scappa. Si corre via, l’aveva visto fare in un milione di film romantici.

Solo che non era un film, e lui non l’avrebbe rincorsa. E soprattutto, nei film… la ragazza corre verso la spiaggia. Corre per le strade, corre in un prato.

Correvano sempre ovunque, quelle ragazze romantiche, nei film. Ma non riusciva a ricordarsene nessuno, dove la fanciulla finisse a correre in un cimitero. Di notte. Non lo sentiva più chiamarla. Forse, non l'aveva neanche chiamata.

 

 

Aveva corso senza fermarsi, fino a che era arrivata alla sua tomba. E si era inginocchiata, ansimante, piangendo, sull’erba vicino alla lapide.

 

“Non sei stata altro che un’eterna fonte di guai, una maledizione, tu, sei stata la mia maledizione…”

 

...Ma le mancava, Buffy. Come agli altri. Nemmeno un po’ meno che agli altri. Qualcuno si era mai degnato di chiederle qualcosa? Nessuno. Avrebbe persino voluto stare vicino a Dawn, che però, per qualche motivo, aveva sempre tenuto le distanze. Willow non l’aveva mai potuta sopportare, forse Tara… ma era legata a filo doppio con la sua strega. Restava Xander… che a quanto sembrava, non l’aveva mai considerata davvero diversa, dai demoni che odiava così tanto. Buffy almeno era stata sempre più sincera degli altri. Scortese, anche rude a volte. Ma in qualche modo le piaceva.

…E le cose andavano meglio, quando c’era. Ecco, anche, perché aveva aiutato nella ricerca dell’urna per l’incantesimo. Voleva che tornasse, che tutto tornasse come prima. Che almeno fosse tutto meno senza senso di adesso. Dire che prima era ‘meglio’ non sarebbe stato dire la verità. E voleva che Xander tornasse a essere felice. Lo… voleva più di ogni altra cosa.

Guardava l’incisione sul marmo.

 

'Chissà in quanti', pensava, 'leggendo questa frase avranno pensato a uno scherzo, o anche a una cosa di pessimo gusto…'

 

Ma in quanti, venivano al cimitero? Lei stessa ci veniva solo di notte. Le sembrava eternamente vuoto. O popolato di demoni. Quello che era sempre stata… 1120 anni di cimiteri. E le sembrava strano che quelle tombe potessero essere visitate anche da ‘esseri umani’. ‘Persone normali’, oltre a quella banda di pazzi di cui faceva parte – se ne faceva davvero, parte-.

 

Poi si era accorta che era terribilmente tardi, faceva freddo… ed era sola. Improvvisamente era arrivata la paura. Aveva sentito un rumore, dietro di lei, e si era girata di scatto. Un vampiro. Urlando per il terrore, aveva cercato di rialzarsi e scappare ma le si era avventato addosso, puntando alla gola. E appena un attimo prima di sentirne i denti sul collo, lo aveva sentito urlare a sua volta e staccarsi da lei, sollevato da qualcosa, o qualcuno. Lo aveva visto cadere poco lontano. Aiutandosi con le mani aveva indietreggiato, momentaneamente incapace di rialzarsi per il terrore, ed era rimasta impietrita ad osservare la breve lotta.

Erano in due, ora. Pochi istanti dopo, il suo soccorritore era riuscito a colpirlo a morte. L’aveva riconosciuto in quel momento.

Si era girato verso di lei, scrollandosi la cenere di dosso, iniziando ad avvicinarsi.

“S-Spike… g-grazie…”

 

 

  

 

CAPITOLO 4

 

La guardava torvo. Se c’era una cosa che davvero non aveva voglia di tollerare, era che scene del genere avvenissero sulla tomba di Buffy. ‘Dovevano’ lasciarla in pace, almeno da morta. Per un istante appena si era girato aveva considerato l’idea di uccidere anche lei. Non avrebbe fatto alcuna differenza, lei o il vampiro. Si era controllato per abitudine. Il chip.

 

Poi aveva visto la sua espressione terrorizzata, gli occhi gonfi per le lacrime. E calmarsi era stato più facile. In ogni caso: che diavolo ci faceva, lì, di notte, e da sola.

 

“…Chi si vede. Devi trovare la tua vita molto noiosa, dolcezza.”

“I-io…”

 

La guardava con un’espressione interrogativa.

 

“Hai pianto.”

 

Le sue parole l’avevano riportata alla realtà. La paura era diminuita... e ora ricordava le parole di Xander.

 

Ed era scoppiata a piangere tra le sue braccia, senza riuscire a fermarsi. Spike era rimasto immobile. Per un istante, colto di sorpresa.

“…Donne”, aveva detto tra i denti.

L’aveva allontanata.

 

“Ehy, ehy. Calmati…”

Anya rimaneva in silenzio, imbarazzata, e impaurita. Stava tremando.

 

Inoltre… dov’era, Xander? Pensare che… non l’aveva seguita… Aveva ripreso a piangere.

 

Ed era di nuovo da sola con Spike. Solo che era in un cimitero, di notte, ancora più spaventata dell'ultima volta. Non si era mai sentita così sola, da quando D'Hoffryn aveva rifiutato di riprenderla con sè.

 

“M-mi... potresti… Potresti accompagnarmi a casa... Spike?”

 

Ridicolo... Ma, un diversivo. Aveva sospirato.

 

“…Ma certo, perché no. Non è ancora ora di dormire, per me.”

Gli aveva rivolto un timido sorriso.

 

***

Xander l’aveva cercata, in effetti, ma non pensava fosse stata così pazza da entrare in un cimitero a quell’ora. Infine aveva deciso di trascorrere quella notte dai suoi. L’avrebbe chiamata l’indomani.

 

*****

 

Avevano percorso il tragitto fino a casa di Anya in silenzio. In un certo senso Spike non l'aveva forzata a parlare, per permetterle di calmarsi.

 

“…Bene, dolcezza... eccoci qui. ...Sogni d’oro e pensaci due volte, la prossima volta, prima di rifarlo. Potresti essere meno fortunata.”

“Grazie… Non… eri obbligato a farlo ma… grazie.”

“Beh tesoro… in fondo, la morte di una bella ragazza è sempre un peccato.”

E non sarebbe tornata a casa viva, quella sera, Spike lo sapeva. Aveva avvertito la presenza di più di un vampiro, lungo la strada. Stavano aumentando...

 

Era arrossita. Sembrava non ricordasse neanche, di quanto fosse stato sgradevole solo qualche notte prima. Curioso, pensava Spike. Era quasi come sentirsi accettato.

 

Si stava voltando per andare via, e lei si era sentita improvvisamente sola, e non voleva essere lasciata sola…

 

“Aspetta, vuoi… ti va… perché non entri un… momento?”

 

Si era avvicinato, sorridendole.

 

“Attenzione, dolcezza… questo, era un invito…”

 

“E-e... questo dovrebbe… preoccuparmi?”

 

Le aveva spostato una ciocca di capelli dal viso, poi si era chinato a baciarle lievemente le labbra. Si era fatta baciare... di nuovo.

 

“...In ogni caso, ormai è troppo tardi.”

 

Lo aveva mormorato allontanandosi da lei, non smettendo di sorriderle. Se avesse dovuto ricambiare il sorriso, o esserne spaventata, Anya in quel momento non avrebbe saputo dirlo.

 

 

Subito dopo era andato via.

...Non era là, che voleva essere. Gli mancava Buffy. E gli mancavano quei momenti solo con lei, sulla sua tomba.

Sperava che finalmente le interruzioni fossero finite, per quella notte.

 

 

    CAPITOLO 5

 

 

Le sembrava di aver vissuto gli ultimi giorni come sospesa nell’aria. Erano troppo, per lei, tutte queste emozioni umane. Era tornata da troppo poco tempo. Credeva di aver raggiunto un equilibrio, finalmente… Xander… Xander era la sua cartina di tornasole, per continuare a dirsi che stava vivendo una vita ‘normale’. Quella che voleva… no? Strano… era certa di averlo sentito dire anche da Buffy, una volta o due.

 

L’aveva evitato, nei giorni successivi. E la feriva, il fatto che lui sembrasse… non avere bisogno di lei. Non capiva perché non dovesse. Non capiva perché non potevano semplicemente dimenticare l’incidente… Non capiva perché non l’amava.

 

E non capiva perché ogni maledetto giorno dovesse ruotare intorno a una stupida battaglia tra il bene e il male, e detestava il fatto che alcune persone, anche se morte… erano più vive di lei. Presenti, costantemente. Non era così, che doveva andare la vita, si diceva. E ne aveva anche abbastanza di rischiare di morire ogni notte. E se fosse morta adesso, allora c’era una cosa che avrebbe voluto fare prima.

 

*****

 

Al magic shop il silenzio era diventato opprimente, dopo l’ultima affermazione di Giles.

“Q-quindi, questo vuol dire che…”

“…Che Dawn è ancora in pericolo, Willow.”

Giles aveva continuato per lei, sospirando.

“Bene. Ottimo. Grandioso!”

“Xander, ti prego…”

Willow cercava di calmarlo, inutilmente.

“…Buffy è morta per niente, quindi!”

“Xander… capisco quello che provi ma… urlare non serve a niente.”

“E che cosa, serve, Giles? Cosa? …Tanto… senza Buffy, qui, è solo questione di tempo-“

“Xander.”

Willow si era alzata, pregandolo con gli occhi di non aggiungere altro. Per il momento, Xander aveva ceduto. Il piano pazzesco che le aveva proposto, per far tornare in vita Buffy, e che voleva tenere segreto a Giles, l’aveva dissuaso dal continuare una discussione comunque inutile.

Anya non parlava, sembrava stranamente assorta in altri pensieri. Da quella notte. Non che la cosa lo infastidisse, in fondo. Erano arrivati a un ‘accordo’, per il momento… prendere tempo. Non aveva la pazienza di sopportarla, nell’ultimo periodo. In effetti l’aveva sorpreso, vederle accettare vagamente le sue scuse, il giorno dopo. Credeva di… conoscerla. L’Anya che credeva di conoscere, avrebbe reagito diversamente… Beh, in fondo, meglio così. Aveva reso le cose più facili. E non amava l’idea di aver dovuto dipendere da lei per recuperare l’urna. Ma ormai era fatta. Era solo questione di attendere. E le disposizioni erano che sarebbe stata consegnata a Willow… ma quando, non l’avevano detto. E chissà come l’aveva trovata, Anya? Al riguardo, era stata evasiva. Sapeva che ne restava solo una, e vagamente sospettava che le sue conoscenze del… passato, avessero contribuito al ritrovamento dell’oggetto, ma aveva preferito fingere di non sapere. E pregava che almeno questo non avrebbe avuto conseguenze.

 

*******

 

D’Hoffryn osservava la scena, da uno schermo che gli rimandava la visione del gruppo riunito al tavolo del Magic Shop a parlare. Guardava ogni partecipante alla riunione con molto interesse.

 

“Così… voi volete il mio aiuto, giusto?”

“Andiamo, D’Hoffryn… sai che non puoi opporti neppure tu. Noi non siamo nella posizione di prendere decisioni.”

D’Hoffryn sorrideva.

 

“Quella è la streghetta che ha rifiutato il potere che le offrivo, Whistler, lo sai? Chissà adesso, cosa mi risponderebbe…”

Osservava Willow che parlava con Xander al Magic Shop.

 

“...Sì, non era il momento giusto… chissà cosa mi risponderebbe adesso... e chissà dove, la sua ambizione la porterà, adesso…”

 

“Er… D’Hoffryn… tutto ciò è molto interessante ma… torniamo un istante in argomento, vuoi?”

 

Si era voltato a guardarlo.

 

“Oh. certo. Mi parlavi del fatto che non posso oppormi.”

 

Whistler aveva sentito un brivido, vedendolo sorridere. Ma doveva restare calmo.

 

“E’… è così, purtoppo, che tu lo voglia o no.”

 

D’Hoffryn annuiva.

 

“...Possiamo prendere degli accordi, però.”

 

“Ormai sanno che l’urna verrà consegnata. L’aspettano.”

 

A questo D’Hoffryn si era alzato dal suo scranno. Non sorrideva più. Whistler lo guardava, sempre più intimorito. In fondo, non giocava sul suo territorio. L’abituale umorismo non era consigliabile in sua presenza. Dannato lavoro, pensava.

 

“Loro ‘sanno’ che verrà consegnata perché ‘tu’ glielo hai fatto sapere, Whistler. IO, non mi sono impegnato.”

 

“Ehy, ehy... Non c’è bisogno di metterla sul personale. E poi io ho solo… anticipato la notizia…”

“Tu, ridicolo… segnapunti, ti sei intromesso in questioni che NON ti riguardano.”

 

L’aveva afferrato per il bavero della giacca, quasi sollevandolo da terra, senza però fargli ‘ancora’ alcun male. Sapeva incutere davvero timore D’Hoffryn, se voleva. Anche se teoricamente Whistler non avrebbe dovuto avere paura di lui, o temere per la sua vita. Whistler era un ambasciatore, non era mai stato altro. Sul piano gerarchico poi, erano pari. Lavoravano in campi paralleli, per così dire. Entrambi chiamati a mantenere un equilibrio, restituire un ordine. In un mondo che raramente era equilibrato o ordinato. E ora non lo era.

Aveva la voce un po’ soffocata, Whistler, mentre gli rispondeva.

“…Purtroppo amico, sai anche tu che queste ‘cose’ non riguardano me, come non riguardano te. Non siamo noi il punto. E io sono solo quì per chiederti di collaborare.”

L’aveva lasciato andare. Aveva ragione, ma…

 

“…L’urna mi appartiene. Di diritto. Dev’essere mia la decisione di consegnarla. E chi ti manda, lo sa. O, non saresti qui.”

 

E infatti Whistler aveva avuto l’autorizzazione a negoziare. D’Hoffryn era un demone rispettato. E gli era concesso chiedere.

 

“E… che cosa chiedi in cambio, quindi?”

Aveva distolto lo sguardo da lui. Osservava di nuovo il gruppo al magic shop, seguendo con gli occhi tutti i partecipanti. Si era fermato sull’unica che non parlava.

"...Anyanka. Che mi sia data nuovamente la possibilità di renderla quello che era.”

 

…Avrebbe voluto, riaccoglierla con sé, quando lei l’aveva supplicato di farlo. Ma non gli era concesso, le... 'regole', non lo permettevano. Aveva fallito e quella era la sua punizione. Ma... gli mancava. E ora, aveva la possibilità di infrangerne una.

 

“…A-Anyanka? Ma… sai anche tu che…”

D’Hoffryn aveva sbuffato. Questo momento lo aspettava da troppo tempo.

 

“Whistler, noi, siamo chiamati a mantenere un bilancio. Non continui a ripeterlo anche tu fino alla nausea? Ebbene. Anyanka ha servito anche voi per undici secoli. E… la rivoglio con me.”

 

Si era risieduto, lentamente, e ora lo guardava, aspettando una risposta.

 

…In fondo, era una richiesta più che ragionevole. Whistler meditava la risposta.

 

“Dopotutto” aveva proseguito D’Hoffryn, “voglio la stessa cosa che volete voi. …Voi volete indietro la vostra cacciatrice. Io, dal canto mio, chiedo mi sia restituita la mia allieva. E… sono nella posizione di pretenderlo. O l’urna non arriverà mai nelle mani dei vostri …amici. Potrai sempre dire loro che... il pacco è stato smarrito.”

 

“...E che cosa… cosa mi dici, a proposito della sua reazione? Voglio dire lei… sembra soddisfatta, della sua vita da… mortale, adesso.”

“Non lo sarà più. E’ solo questione di tempo, Whistler.”

 

“Se posso permettermi di insistere… cosa te lo fa credere con tanta sicurezza?”

Il sorriso era tornato.

 

“Vedi Whistler io… osservo. Non hai idea, di quante cose passino su questo schermo, nel corso del tempo. E giorni fa… Ho assistito a una scena che ha totalmente catturato la mia attenzione.”

 

Con un gesto, gli mostrava ora l’immagine di qualche giorno prima, Spike che entrava al Magic Shop.

 

Whistler non capiva.

 

“E questo che significa? Quel vampiro…”

 

“Quel vampiro” l’aveva interrotto “farà il lavoro al posto mio, Whistler. Lui, convincerà Anyanka. Perché lei dica di sì… ha bisogno di provare nuovamente quell’odio e quella sete di vendetta che bruciavano nei suoi occhi più di mille anni fa. Quando… avrà finito il suo ‘lavoro’, voi avrete l’urna. Mi aspetto molto, da lui.”

 

Whistler non aveva saputo trattenere un risolino.

 

L’espressione di D’Hoffryn si era indurita.

 

“…Lo trovi divertente, Whistler?”

“Lo trovo irrealizzabile, D’Hoffryn. Una volta, forse, ma ora… Dubito che abbia ancora la stoffa per scatenare l’ira di un demone della vendetta. E’ persino più… capace di amore di... Angel, a mio umile modo di vedere. Quel vampiro trabocca di… umanità, più di tutti gli altri vampiri che ho mai conosciuto.”

D’Hoffryn aveva strizzato gli occhi, in una smorfia simile a un sorriso.

 

“…Ed è questo, che lo rende peggiore di tutti gli altri.”

 

 

 

  

 

CAPITOLO 6 

 

“Ma…hai barato!”

Osservava compiaciuto la sua espressione imbronciata.

“No, tesoro… ho seguito le mie regole… tecnicamente, non ho barato affatto.”

Dawn guardava le carte. Full d’assi contro colore. Quanto non lo sopportava quando faceva così…

 

“No, vampiro disonesto, non te la caverai così facilmente!”

“Andiamo Dawn, devi imparare, a perdere!”

“Non mi piace perdere.”

 

Già… era la sorella di Buffy, no? Aveva scacciato dalla testa l’inutile pensiero.

 

“Beh dolcezza hai perso. Quindi SAI, cosa ti succede adesso, vero?”

“No! Nonononono smettila! Lasciami! Stammi lontano! Lo sai che lo odio!”

Cercava di divincolarsi, mentre Spike le faceva il solletico. Aveva le lacrime agli occhi per le risate.

“Lasciami ti ho detto!”

“Sì, okay… Pensavo fossi più resistente, però! Sei una delusione.”

“Ah, IO, sarei una delusione. Caro Batman, lo SO che è la tortura che sopporti meno!”

E aveva preso a fargli il solletico a sua volta.

“E come lo sai? Nonono basta! Mi arrendo! Pietà!”

Erano caduti dal divano, ridendo. Infine, Dawn si era rialzata, respirando affannosamente.

“Okay… siamo pari.”

Si era rialzato anche lui, lievemente imbarazzato.

“Uhm. Spero che questo resti uno dei nostri segreti, Dawn.”

“Che cosa, che il grande vampiro eccetera non resiste a due minuti di solletico? Non barerai la prossima volta a poker?”

“Io NON ho…”

“Spike…”

“Okay, okay, la prossima volta non barerò. Piccola ricattatrice.”

Dawn aveva sorriso, poi si era fatta pensierosa.

 

“Che c’è, briciola?”

“Niente…”

“Coraggio…sai che puoi parlare, con Batman.”

“E’ solo che… io non capisco come mai tu sia così solo, Spike.”

 

Aveva smesso di sorridere anche lui.

 

“Che domanda difficile, a quest’ora, Dawn.”

“Sei… insomma. Voglio dire, sei la persona più divertente che io conosca.”

 

“Non mi definirei esattamente una persona ma… ehy, era un complimento questo?”

“Io vorrei solo… Vorrei che tu fossi felice.”

“Io sono felice, Dawnie.”

“Non è vero.”

“Si che è vero.”

“No che non è vero.”

“Si, che lo è.”

E aveva ripreso a farle il solletico.

“Smettila ti ho detto!!! Okay okay lo sei! Sei il vampiro più felice che io abbia mai conosciuto SMETTILA!”

 

Infine l’aveva lasciata andare, dopotutto aveva bisogno di respirare…

Le aveva fatto riprendere fiato, poi aveva ripreso la sua giacca, preparandosi ad andarsene.

 

“E quindi sentiamo… Domani Kevin ti ha chiesto di uscire, uhm?”

 

“Più o meno… Sai, una festa, eccetera… Non saremo esattamente da soli…”

“Oh, e questo che vorrebbe dire? Tanto, lo sai che ti seguirò lo stesso…”

Le sorrideva, sapendo che si sarebbe arrabbiata.

“Non ti azzardare!”

 

“Ma sarò discreto… Non ti accorgerai neanche della mia presenza…”

 

Aveva sfoderato uno sguardo di finta innocenza.

 

“No, ho detto! Non sono più una bambina!”

 

Si era di nuovo imbronciata.

 

“Okay signorina… FORSE me ne starò buono buono nella mia cripta... Beh tesoro, è ora di dormire adesso. Io vado.”

“Okay… buonanotte.”

Era sulla porta, e Dawn l’aveva richiamato.

“Spike? Grazie per essere passato.”

“Di niente, briciola… Ah, un’ultima cosa…”

“Sì?”

“…Non farti fare il solletico, al primo appuntamento.”

 

Poi aveva chiuso la porta dietro di sé, evitando il cuscino che Dawn gli aveva tirato addosso.

 

 

CAPITOLO 7

 

 

'All of a sudden she disappears

Just yesterday she was here…'

 

 

Appena uscito da casa di Dawn

*di Dawn, Spike, ‘non’ di Buffy… non… più…*

il sorriso era scomparso. Era esausto. Le aveva detto di essere felice...

 

…E lo era. In un certo senso. Aveva… qualcosa. Aveva lei. E aveva il ricordo di Buffy. In altri periodi della sua esistenza aveva avuto molto meno.

*E forse… era meglio allora...*

 

Avrebbe anche potuto continuare così in… eterno. Sebbene, sapesse che Dawn non ci sarebbe stata per sempre. L’avrebbe ricordata, però. Così come stava facendo con Buffy. Ogni giorno dell’eternità.

 

…Che diavolo gli era successo, in solo meno di due anni? Anni indietro se gli avessero detto che sarebbe stato capace di simili ragionamenti…

 

Erano ragionamenti dettati dalla paura. La paura era una debolezza umana. E lui non era un essere umano. Non voleva essere un uomo. Però, l’aveva desiderato… in un certo senso. Per impressionare una piccola ragazza bionda che l’aveva sempre evitato e insultato. E che un giorno aveva dato la vita per ‘salvare l’umanità’.

Ora, non desiderava più essere un uomo. Nemmeno essere ‘trattato’, come un uomo. ‘Non voleva’ desiderarlo.

 

…Ma... invece ogni giorno lottava contro se stesso e quello che era. Per impressionare una tomba. E con essa la memoria di quella ragazza bionda sepolta per sempre là sotto. …E che lo irrideva, anche dalla tomba.

 

Non voleva amare Dawn, sentiva di non avere la forza di sopportarne la perdita. Guardarla negli occhi gli faceva sembrare Buffy un po’ meno… scomparsa. Non avrebbe sopportato di perderla di nuovo…

 

*Troppo tardi, Spike…*

 

Doveva staccarsi da lei. Gli si stava affezionando troppo e ciò era un male. Non doveva più passare così tanto tempo con lei.

Permetterle di vivere la sua vita.

Inoltre ne usciva sempre peggio. Si sforzava di farla ridere, di farla parlare, di farle dimenticare.

Farle… recuperare la voglia di vivere. Ma che speranze di successo aveva? Come poteva trasmetterle lui, la voglia di vivere?

 

*Sei troppo sobrio, Spike. Da troppo tempo.*

 

Stordirsi. L’unica… esigenza che era ormai in grado di soddisfare. L’unica in cui avesse parte attiva.

 

 

'Somebody tell me if I am sleeping

Someone should be with me here…'

 

 

Il pomeriggio seguente si era svegliato in preda a un mal di testa feroce. Sorpreso di aver avuto la forza di ritornare al sicuro nel suo letto… Non ricordava cos’avesse fatto la sera prima.

 

Gli sembrava che ‘qualcosa’… stonasse, però. Sangue. Aveva in bocca il gusto del sangue. Non era l’alcol… E non era neppure sangue di maiale. Era umano. E non liberamente ‘donato’, a volte beveva anche quello. Willie, in fondo era un buon diavolo… E lungimirante. Meglio tenersi buono Spike…

 

Strano, strano… Che cosa era successo? Era… un brivido di …paura, quello che sentiva corrergli lungo la schiena? Ridicolo…

Si era alzato a fatica. Tornare in sè. E il desiderio di non provare quel gusto... dolcissimo, sulle labbra.

Stava sforzandosi di ricordare, ma era stato interrotto. Un rumore alla porta, che aveva dimenticato aperta. E l’aveva vista.

 

 

'…Cause I don’t wanna be alone…'

 

Continuava a ripetersi il ritornello di quella canzone. Il dolore alle tempie si era solo un po' affievolito...

 

 

“…Bene bene bene. Se questa non è una sorpresa.”

Lo aveva detto sorridendole ironicamente, voltandosi verso di lei. Apprezzando con lo sguardo la scelta dell’…abito.

 

“Ciao Spike…”

“Ciao Anya”, le aveva risposto, la voce ancora leggermente alterata. E poi il pensiero di cosa ‘forse’ aveva fatto. Che diavolo aveva fatto… Era immensamente lieto, lei non poteva immaginare quanto, che qualcosa, qualcuno, fosse venuto a... distrarlo.

 

Non adesso, si diceva, non può, non deve, ricominciare tutto adesso… Non … ‘voglio’ che ricominci tutto adesso…

 

“Lasciami indovinare… passavi da queste parti?”

“Ecco, io…”

 

La osservava. Obiettivamente, era una bella visione. Una bella donna. Da quanto tempo non sentiva il calore di una donna.

L’aveva messa in imbarazzo. Era divertente, vederla combattere con emozioni che non conosceva ancora bene. O che si era dimenticata.

 

“…E che… vestitino... demoniaco, Anya…”

 

Mentre le parlava si era avvicinato, prendendole una mano, e invitandola a fare un passo dentro. Poi, aveva chiuso lentamente la porta dietro di lei.

 

Anya rimaneva in silenzio. Non aveva la minima idea di cosa dire, in effetti. Non c’era… niente, da dire. Lo seguiva con gli occhi.

 

“…Avevi qualcosa da... dirmi?”

La mano era risalita dal braccio fino alle sue spalle, la sentiva tremare leggermente, e aveva sorriso.

 

Un regalo inaspettato… Inaspettato?

 

“E-ecco io... volevo…”

Ora lo guardava negli occhi. Spaventata dalle possibili conseguenze della sua ‘visita’.

“Non importa…”

E l’aveva baciata. E lei aveva risposto al bacio. Come se la sua salvezza dipendesse da quel contatto, che qualcuno la ‘volesse’, la desiderasse.

Non è questo, pensava Anya, che ci tiene legati alla vita? Sentire di… far parte dell'esistenza di qualcun altro? Illudersi, almeno? Questo era quello che credeva lei. Questo era quello che aveva sempre saputo. In mille anni i soli sentimenti umani che aveva conosciuto erano le passioni. Non i ragionamenti, nessuna filosofia, nessuno schema. Nessuna sovrastruttura. Solo l'amore, l'odio, la paura della morte, e il desiderio di sopravvivere. E di essere felici.

 

 

…Più o meno, quello che voleva Spike. Più o meno quello che vogliono tutti, pensava lui.

L’aveva sollevata, adagiata sul letto. Non c’era bisogno di molte parole, dopotutto.

 

*Se solo fossi tu, l’oggetto dei miei sogni, Anya…*

 

 

E, sì. Questo, era ciò che voleva fare. Prima di morire. Era semplicemente uscita dal magic shop… e si era ritrovata davanti alla sua cripta. Nessuna motivazione romantica… solo il desiderio di sentirsi viva. Ma non solo, naturalmente. C’era anche un altro ‘perché’… c’è sempre, un altro perché.

 

 

Lo guardava ancora spaventata e leggermente a disagio. In fondo non era neppure nuova a comportamenti simili. Aveva fatto lo stesso con Xander, la prima volta. Solo che allora… allora era spinta dall’amore. Adesso…

“Io mi… mi sento così…”

Le aveva passato le dita sulle labbra, delicatamente, sorridendole. Non aveva bisogno che lei gli spiegasse, che si giustificasse.

“Lo so, come ti senti, Anya.”

 

Sarebbe stato tutto così semplice.

 

Era cominciata così. Per Spike, Nessun coinvolgimento sentimentale, solo un reciproco usarsi. Sesso senza nessun altro significato. Come con Harmony. Come con tutte le altre donne e vampire che c’erano state, prima, e dopo Harmony. Perché, ce n’erano state, prima ...Fino a quel sogno.

Fino a quella notte...

...Fino a quel momento.

 

 

  

 

CAPITOLO 8

 

Da quel giorno si era impedito di bere. Doveva-voleva- rimanere lucido. Non voleva risvegliarsi col dubbio...cosa, esattamente non voleva?

 

Si... assicurava di non ‘saltare mai’ la … cena.

 

 

Da quel giorno poi aveva… qualcos’altro da fare. Nei momenti in cui la disperazione era troppa.

 

E adesso... Adesso, stava peggiorando. Non poteva resistere per sempre. Aveva cercato di ignorare la cosa. Come cercare di ignorare se stesso... impossibile.

 

Quella sera era stata terribile.

 

Era con Dawn, erano usciti per una ‘passeggiata’, solo loro due, da soli… Ed erano stati aggrediti. Comuni malviventi… Nulla di preoccupante. Non erano pericolosi. Solo... che non se n'era reso conto.

 

Come non si era neppure reso conto che stava per ucciderne uno, mentre l’altro aveva perso conoscenza. L'uomo sanguinava, e la vista del sangue aveva avuto la meglio su di lui. E improvvisamente aveva sentito Dawn urlare, piangendo…

 

“Spike lascialo andare! Lascialo…”

 

Si era fermato appena un attimo prima di ucciderlo. E aveva anche realizzato che si era del tutto dimenticato di lei in quel momento. In quel momento, avrebbe potuto succederle qualunque cosa. Per un istante c'era stata solo la rabbia cieca. 'Voleva' ucciderlo. Gli sembrava... giusto. Per un istante, aveva contato solo questo.

 

Dawn era scappata via in lacrime. E l’aveva rincorsa lasciando i due uomini a terra, entrambi privi di conoscenza.

 

“Dawn, fermati!”

 

“…E se no cosa succede, ucciderai anche me?” gli aveva risposto gridando tra le lacrime, continuando a correre.

L’aveva raggiunta, e l’aveva bloccata.

 

Non sapeva cosa dire. La guardava senza… sapere cosa dirle. Non avrebbe mai potuto ucciderla… O almeno… Non avrebbe mai voluto. Non era, precisamente, la stessa cosa. In un momento di rabbia…

 

Le si era inginocchiato davanti, asciugandole le lacrime. Si lasciava… toccare… per un attimo temeva di averla persa davvero. E il pensiero l'aveva terrorizzato, per quanto incredibile.

Infine l’aveva abbracciata.

“Mi dispiace briciola…”

 

*che cosa mi dispiace, di non poter impedirmi di essere quello che sono? DI CHE COSA, mi dispiace?*

 

“Mi... hai spaventato, Spike.” Tirava su col naso. Le aveva offerto un fazzoletto.

“Non... volevo spaventarti, piccolina.”

 

La sua espressione... ferita, l’aveva commossa. E non credeva neppure, le cose che gli aveva detto. Il pensiero che lui potesse mai farle del male non era semplicemente concepibile, per lei. Lo amava.

 

“E’-è… morto?”

“No”, le aveva risposto scuotendo la testa. Ma non voleva mentirle. Dawn meritava una risposta sincera.

 

“...Ma lo sarebbe stato, se tu non mi avessi fermato.”

“Quindi il chip...”

“...Esatto. Non credo ci sia più niente che mi… fermi, Dawn.”

 

L’aveva sentita tremare. Non avrebbe voluto mai farle questa domanda ma… doveva saperlo.

 

“...Dawn hai... paura di me?”

Il suo sguardo le aveva fatto dimenticare la paura. Non aveva mai paura, con Spike. Gli aveva sorriso.

“Io…ho paura solo quando tu non ci sei…”

 

Era rimasto un istante in silenzio, fissando i suoi occhi, nei quali aveva sempre letto una fiducia che sapeva di non meritare. E anche adesso c’era la stessa incondizionata fiducia. Si era alzato.

“...Andiamo a casa. Ti... accompagno, Dawn.”

 

Erano rimasti in silenzio, lungo la strada di casa. Ma Dawn gli aveva passato un braccio intorno alla vita, mentre camminavano. Come... a volerlo sentire più vicino, perchè sentiva che si stava allontanando.

Infine erano arrivati. Spike non sembrava volesse accompagnarla fino alla porta, come faceva sempre. Si era fermato all'inizio del prato davanti alla casa.

 

“Io... non lo dirò a nessuno.”

 

“Ma io non te l’ho chiesto, briciola. Non è, una cosa che voglio nascondere.”

 

“Potrebbero cercare di farti del male…"

 

"Posso sopportarlo, Dawn." L'aveva detto con un sorriso di rassegnazione.

 

"...Non mi permetterebbero di continuare a vederti.”

 

Aveva aspettato, pensando un istante a cosa, o come, risponderle.

 

“…Forse… sarebbe la cosa migliore, Dawnie…”

E lei si era sentita assalire dal panico.

“No! Non... dirlo neanche, ti prego... tu... tu non vuoi più vedermi?”

 

“Dawn. Potrei… tu lo sai. Sei... una ragazzina intelligente…”

 

“NON sono una ragazzina.”

 

Le aveva sorriso.

“Okay. Non lo sei. ...Quindi non hai bisogno di me per proteggerti, giusto?”

“Ma io NON voglio che tu mi protegga! Non ho paura, io! Non ho 'paura' di te! Io ho ‘bisogno’ di te! E inoltre tu... tu sei... tu sei l’unico che conosceva e amava Buffy quanto l'amavo io e con te riesco a sopportare il fatto che…”

 

Si era rimessa a piangere.

 

“Ehy, ehy. ...Solo le ragazzine piangono…”

 

“Stupido.”

“Questa, è la Dawn che voglio sentire.”

Si erano sorrisi, di nuovo. Un sorriso di circostanza, però.

 

“Spike… promettimi una cosa…”

“Sì, Briciola?”

“Se… se deciderai di… andartene voglio che tu me lo dica. E che tu venga a salutarmi.”

“Non ho ancora detto che me ne andrò, Dawn.”

“Per questo te lo sto chiedendo. So che potresti farlo e voglio che tu me lo dica… Prometto che non cercherò di fermarti. Io… io voglio solo saperlo. Da te. Prometti?”

“Non sono bravo a mantenere le promesse Dawn…”

“...Non è vero. Hai sempre mantenuto le tue promesse.”

“…Okay… se la smetti di piangere prometto, ragazzina.”

“…Sei insopportabile.”

“...Lo so, Dawn. Non...”

"Io... ti voglio bene, Spike. E so che non mi farai mai del male."

"...Anch'io ti voglio bene Dawn."

Cercava di non piangere un'altra volta. Un'altra cosa, sapeva, Dawn. Spike non le avrebbe mai mentito. E infatti... non le aveva detto che non le avrebbe fatto mai del male. Quindi si era sforzata di sorridergli un'ultima volta.

"Buonanotte allora. Ricordati, hai promesso!"

"Dawn..."

Si era voltata ed era corsa in casa. Non voleva più ascoltarlo. Sapeva cosa stava per dirle. E non voleva sentirglielo dire. Era corsa su per le scale, infine era scoppiata a piangere in camera sua, affondando la testa nel cuscino.

 

"Era solo un chip, uno stupido chip... Tu sei più forte di uno stupido chip Spike... Lo so che lo sei..."

 

 

  

 

CAPITOLO 9

 

 

‘Well I got a bad liver and a broken heart,

Yeah, I drunk me a river since you tore me apart

And I don't have a drinking problem, 'cept when I can't get a drink

And I wish you'd a-known her, we were quite a pair,

She was sharp as a razor and soft as a prayer

So welcome to the continuing saga…

She was my better half, and I was just a dog

And so here am I slumped, I've been chipped and I've been chumped on my stool…’

 

 

…Quel Tom Waits era uno che ci capiva, pensava Spike. Ascoltava il pezzo, aggirandosi pigramente per la cripta. Era ancora giorno. …Questa, era la sua canzone. Quando era ubriaco poi riusciva a imitarne anche la voce… Il pensiero lo aveva fatto sorridere. Erano passati mesi, e…

 

E, era riuscito a controllarsi. Per tutta l’estate. Incredibile.

 

L’estate era finita, ormai… ed era riuscito a proteggere Dawn, per tutti quei mesi. Fino adesso, almeno, ce l’aveva fatta.

 

Aveva anche aiutato il gruppetto nelle perlustrazioni notturne. Ogni notte. Più di uno di loro e più di una volta dovevano a lui se erano ancora vivi.

 

…Sembrava la volessero, a tutti i costi. Demoni che Spike non aveva mai visto… Nemmeno l’osservatore ne era venuto a capo. Sconosciuti, come, provenienti da un altro mondo o un’altra dimensione.

 

Forse i portali non si erano chiusi del tutto, quella notte, quando Buffy era saltata dalla torre… Forse, in realtà non era lei la chiave, e il suo sacrificio era stato davvero, inutile…

 

Ma doveva concentrarsi sul presente. Era l’unica possibilità di rimanere lucido ed esserle d’aiuto. E poi, che Dawn fosse ancora la chiave o meno, non era il punto.

 

Non che la cosa gli interessasse più di tanto, cioè. Chiunque o qualunque cosa fosse. Volevano farle del male, e questo era tutto quello che a lui serviva sapere per ucciderli.

 

Non era stato facile, ma ora, sembrava essere tutto meno… difficile. Forse aveva ragione Dawn. Forse, come gli aveva detto lei, ‘quando l’estate finirà, anche quest’incubo terribile sarà finito’…

 

 

…Sapeva che spesso si addormentava piangendo... Dopo quella notte in cui stava per uccidere quei due uomini davanti ai suoi occhi aveva cercato, di non incontrarla più. Di tenerla d’occhio solo da lontano… Ma gli mancava. E così si arrampicava ogni notte fino alla sua finestra e la osservava.

 

Poi una sera lei l’aveva visto, e il suo sguardo felice, sollevato, gli aveva fatto abbandonare l’idea di evitarla. E poi odiava sentirla piangere e non poter far niente per consolarla.

 

E… sorprendentemente, non c’erano più stati incidenti, dopo di allora. Sembrava quasi che… A parte la notte, certo, quando puntuale si scatenava l’inferno, sembrava quasi… che la vita stesse, lentamente… ricominciando.

 

 

*…Spike, Spike. Se potessi guardarti allo specchio, di sicuro non ti riconosceresti.*

 

Aveva sentito bussare alla porta. Sorridendo per il pensiero curioso, era andato ad aprire. Aspettava Anya. Non così presto però…

…Infatti. Aveva scosso la testa e le aveva sorriso, aprendo la porta per farla entrare.

 

“Oh, ma non mi libererò mai, di te!”

“…Esatto,” gli aveva risposto Dawn entrando.

 

“Lo sai che non devi venire qui da sola, vero Dawn? Non è prudente, anche se è ancora giorno.”

“…Non sono venuta da sola, mi ha accompagnato Tara. E a casa mi annoiavo… Willow è in giro a fare ricerche per non so quale esperimento, è domenica, e i miei amici sono tutti via con i loro genitori…”

 

“… E quindi, hai pensato: perché non andare a infastidire un po’ il vecchio Spike?”

 

Gli sorrideva maliziosa.

 

“…Esatto un’altra volta. Soprattutto la parte del ‘vecchio’. Oh, ma ho portato i marshmallows!" ...Sapeva, che li adorava. E Tara non se la cavava male, coi marsmallows. Anche se, non erano come quelli di Joyce...

 

“E’ un colpo basso, solo per farti perdonare l’intrusione.”

 

“Ah-ha. Precisamente.”

 

Dawn osservava i suoi riccioli spettinati, l’espressione ancora assonnata…

 

Si sentiva squadrato e giudicato da lei. Non sapeva se positivamente. Le era venuta un’espressione enigmatica, ultimamente, stava crescendo, era evidente…

 

‘…Perché i vampiri non si vedono allo specchio? Ma chi le ha scritte le regole? Di certo non un vampiro, e di certo se dovessi riscriverle io… ’, si diceva.

 

“Uhm… okay, forse è meglio se mi aspetti qui… vado a cambiarmi.”

“Okay… Ehy, lo sai che sei carino appena alzato?”

 

“…Stai flirtando con me, ragazzina?”

 

“…Nah, sei troppo vecchio e saggio per me. A me piacciono i tipi pericolosi, lo sai…”

 

“…Inizierò davvero a invecchiare, con te, me lo sento…” e si era diretto al piano inferiore.

 

La sua risata gli aveva fatto dimenticare il resto. Avrebbe passato il resto della giornata volentieri con lei sprofondato in poltrona a mangiare mashmallows, pensava, mentre risaliva di sopra. Poi aveva sentito il rumore alla porta. Anya.

 

‘Okay… restiamo calmi’, pensava. Conosceva le intemperanze di Anya, e Dawn non sapeva niente di quella strana relazione… si era chiesto spesso come l’avrebbe presa. Non che gli dispiacesse in generale mentire, per così dire. Ma con Dawn…

 

“Aspettavi qualcuno?”

“…Tanto è lo stesso, no?” le aveva detto sorridendo allusivo.

“Okay… Beh che aspetti? Vediamo chi è che…”

 

Era andato alla porta.

 

“Er… ciao, Anya, …accomodati.”

 

Anya era rimasta interdetta, sulla soglia. ‘Accomodati’? Non era precisamente questo, il benvenuto. In realtà non c’era mai un vero e proprio benvenuto, Non c’erano mai nemmeno molte parole, a dire il vero, e ciò non era un male. Le parole per lei erano inutili e fuorvianti. Spike le parlava poco, pochissimo, ed era perfetto, per lei.

 

“Spike, stai bene?”

 

Poi alle sue spalle aveva intravisto Dawn, che la guardava con la testa un po’ inclinata, curiosa di sapere perché era là.

“Oh… ciao, Dawn…”

“Ciao…”

 

Vederla così agitata però l’aveva fatta preoccupare. E se qualcuno stesse male, fosse stato in pericolo?

 

“Anya stai bene? E’… è successo qualcosa-che è successo?”

“Oh, no, Dawn, scusa, non volevo spaventarti, è che… ecco… non…”

 

Spike non poteva farci niente. La scena era troppo carina. E poi, c’erano i marshmallows.

 

“…e… e allora, che ci fai tu qui?”

 

Il silenzio adesso stava diventando imbarazzante. Proprio quando Spike si era deciso a dire qualcosa, erano stati distratti di nuovo dal rumore alla porta.

 

***

 

Xander l’aveva seguita. Erano settimane che lo faceva…

 

Ed erano mesi, che ‘lo sapeva’.

 

Però, non avrebbe saputo dire con esattezza che cosa, lo facesse soffrire di più. L’idea che Anya stesse con Spike, SPIKE, tra tutti i possibili altri uomini… beh, ‘uomini’…

O che fosse colpa sua. Forse era solo orgoglio ferito. L’idea che stesse soffrendo perché gli mancava Anya, non sembrava neppure toccarlo, o in caso contrario, non voleva ammetterlo con se stesso. All’inferno, era stata ‘lei’, ad averlo lasciato… ‘lei’, gli aveva preferito qualcun altro. Aveva tutto il diritto, di essere irritato.

 

Finalmente, oggi era arrivato il momento, quanto, lo aveva atteso. E con esso...il momento di togliersi finalmente il proverbiale sassolino dalla scarpa. E voleva vederli entrambi, voleva che fossero insieme, per quel momento.

 

“…Te lo dico io Dawn, se vuoi, che cosa ci fa Anya qui.”

“Xander!”

 

Il disprezzo nello sguardo di Xander era… eccessivo, troppo esagerato, perché fosse vero.

 

Sospirando, Spike aveva alzato gli occhi al cielo.

 

“…Harris, ma chi si vede. ...Non ti avevo invitato al 'party', ma che bello, che tu sia riuscito a venire lo stesso. Marshmallows?”

 

Xander l’aveva ignorato e si stava dirigendo verso Anya, e Spike gli aveva bloccato la strada.

Anya aveva indietreggiato, rimanendo in silenzio, cercando di mascherare il nervosismo, e Dawn osservava tutta la scena, pregando silenziosamente che Xander non facesse una delle sue solite piazzate… Non con Spike, non ‘a casa’ di Spike.

 

“Voglio solo parlarle, ” gli aveva sibilato.

“Tempo scaduto, amico. Dovevi pensarci prima.”

 

 

“…Spike, per favore posso sapere cosa sta succedendo?”

 

“…Niente, Dawn, è tutto okay. Xander adesso se ne va. Vero, Xander?”

 

“Non me ne vado finchè non ho parlato con Anya.”

 

“Io non voglio parlare con te!”

 

Voleva, invece. Avrebbe voluto parlargli. Voleva disperatamente ricominciare di nuovo tutto da capo, Anya.

 

Per lei, non era cambiato niente. Lo amava sempre. Nonostante l’avesse ignorata per tutto quel tempo, nonostante l’avesse sbattuta fuori dalla sua vita, nonostante ormai avesse capito che lui non l’amava, nonostante… tutto. Ma se le avesse parlato in quel momento sarebbe stato solo per rinfacciarle la sua relazione con Spike. E probabilmente per insultarla. Parole inutili.

 

…E poi, come li aveva scoperti? Stranamente sembrava che nessuno si fosse accorto di 'loro', in apparenza. Ma forse qualcuno li aveva visti e glielo aveva detto. Forse Willow, probabilmente, maledetta strega.

 

“Ah, non vuoi parlare con me. Certo, ora hai di meglio da fare, vedo. …E tu, “ guardava Spike con disgusto, “fai partecipare ai tuoi... spettacoli, poco edificanti anche le minorenni?”

 

“Per il tuo bene, Xander… tieni a freno la lingua…”

 

Dawn osservava Spike. Stava quasi per perdere il controllo. Lo conosceva troppo bene. Abbassava lievemente la voce, quando era a un passo dal cedere all’istinto di attaccare. Era solo un attimo, naturalmente… Non se ne accorgeva nessuno. Gliel’aveva raccontato Buffy, una volta, e aveva ragione lei.

Forse nemmeno Spike lo sapeva.

E non voleva che aggredisse Xander, perché ora avrebbe potuto fargli davvero del male.

 

E per quanto lui le volesse bene, non si illudeva certo che avrebbe potuto fermarlo per sempre.

Non se Spike non avesse voluto fermarsi. Non era così stupida.

 

E poi, se gli altri avessero saputo del chip…

 

Si era messa tra i due, non senza un certo timore. Trovarsi tra un vampiro irritato e un ragazzo irritante era in ogni caso pericoloso.

 

“Xander smettila, adesso. …A parte che, se per te mangiare dolci la domenica pomeriggio è poco edificante beh allora… anche tutta la tua intera esistenza lo è.”

 

Spike si era messo a ridere.

 

*Bel colpo, ragazzina. Sapevo che non mi sbagliavo, su di te. Ancora un po’ di tempo in mia compagnia…*

 

E per Xander questo era stato troppo. Aveva scostato Dawn e gli aveva tirato un pugno in pieno volto di sorpresa, facendolo cadere a terra. Spike si era alzato ringhiando e Dawn gli si era praticamente lanciata tra le braccia.

 

“Spike NO! Ti prego…”

 

Lo implorava con gli occhi… Non era difficile, capire perché. Comunque fosse finita avrebbero cercato di impedirgli di vederla ancora. Potevano incontrarsi di nascosto, ma questo voleva dire di meno. E l’avrebbe fatta soffrire più del necessario. In fondo quel ridicolo ragazzo di fronte a lui non valeva così tanto. Si era sforzato di calmarsi, ancora una volta.

 

 

“Oooh, ti nascondi dietro le sottane delle ragazzine, adesso, ma che bravo…”

 

“...Il giorno che vorrò farti realmente del male Xander, tu non te ne accorgerai neanche.”

 

“…E comunque nessuno mi ha smentito, dico giusto? E vedo, dall’espressione colpevole di Anya che i miei sospetti sono fondati, è così, tesoro? Mio dio, come sei caduta in basso.”

 

Gli occhi di Anya si erano riempiti di lacrime. Non riusciva a ribattere niente, non riusciva a parlare.

 

“…In fondo, forse ti avevo sopravvalutata. Beh, come si dice, meglio averlo capito in tempo.”

 

“…Posso, Dawn? Ti prego posso?”

 

Non aveva aspettato la risposta. L’aveva preso e sollevato per il bavero della camicia.

 

“Vedi Xander tu non immagini neanche quanto io in questi mesi abbia imparato l’arte della tolleranza ma”, e stringeva la presa, avvicinando il viso al suo

“…non mi sei mai piaciuto, e se anche dovessi soffrire per ore di certo tu saresti tra le mie prime scelte quindi” e l’aveva lasciato andare facendolo cadere a terra, "...ora sarai così gentile da chiudere quella bocca. E a uscire di qui con le tue gambe. ...Perchè uscirai in ogni modo, da quì, e in questo momento puoi ancora decidere come.”

 

Xander si era rimesso in piedi, rassettandosi la camicia.

 

“…Ma che paura. E comunque non sono venuto per te. Ho solo un’ultima cosa da dire, e poi sarò felice di andarmene. …Ed è,” e si era rivolto ad Anya, con un ghigno, “ ‘Preparati Anya’, perché stasera, ‘è’ la sera. E tu, lo sai, a che cosa mi riferisco, vero?”

 

“Ti prego, Xander, non…”

 

“Oh, no, non rovinerò l’effetto sorpresa. Volevo solo dirti di ‘goderti’ questi ultimi momenti… Perché sai anche, come ‘qualcuno’ reagirà a tutto questo, vero tesoro?”

 

“Basta! Smettila!”

 

E poi era corsa di sotto singhiozzando. Dawn era riuscita a prendere una mano di Spike, fermandolo dall’aggredire Xander un’altra volta. Si era stupita del suo autocontrollo. Stava tremando di rabbia… e Xander ‘meritava’, una lezione, persino secondo lei.

 

“Xander accompagnami a casa, vuoi?”

 

“…Ma certo Dawn. Ti… aspetto fuori.” E dopo un’ultima occhiata a Spike era uscito.

 

 

“Ti… ha fatto molto male?” osservava lo zigomo colpito.

 

“Chi, quell’idiota? Nah. Tra nemmeno due ore non ci sarà neanche il segno.”

 

“…Grazie, per non aver reagito…”

 

“Uhm, sì, beh… diciamo che è il mio ringraziamento per i marshmallows.”

 

“…E Anya… come... credi che stia?"

 

“…Non… bene, Dawn. Non sta affatto bene, direi.”

“Io… mi… dispiace, per lei… Dille che mi dispiace…”

“Perché… non glielo dici tu, Dawnie?”

“…E’ che… insomma lo sai… non è che abbiamo mai parlato molto, e a volte è così… particolare…”

 

Le aveva sorriso, annuendo.

“Sì, è vero. Lo è… Ma credo le farebbe piacere... pensaci. A volte, anche lei si sente sola. ”

 

“Già credo... di capire come dev’essere. Beh… allora si è rivolta di certo alla... persona più giusta."

 

“…Okay briciola, vai adesso. ...Solo perché è ancora giorno, perché non mi piace l’idea di te e Xander in giro insieme.”

“Non mi succederà niente. E… cercherò di non maltrattarlo troppo.”

“Oh, io questo non te l’ho chiesto.”

Gli aveva sorriso.

“Ciao allora, ci vediamo dopo, okay?”

“Okay.”

 

Dopo averla vista uscire, era sceso a controllare come stava Anya. Bastardo di un’idiota, pensava di Xander.

 

Certa gente vive rubando l’aria al prossimo, si diceva. Privi di qualunque funzione sociale.

Xander non era mai stato altro, lo pensava da quando lo conosceva. ...E aveva avuto ragione.

 

 

…E poi che diavolo sarebbe mai dovuto succedere, quella sera?

 

 

La sentiva singhiozzare, sdraiata sul letto, le braccia intorno alle ginocchia. Le si era avvicinato, con dolcezza mettendola a sedere, e poi l’aveva abbracciata.

 

“Ehy, ehy, guarda che occhi rossi…” Le sorrideva, e questo l’aveva solo fatta scoppiare in un nuovo pianto.

 

“Shhh, se n’è andato…”

 

“L-lui p-pensa c-che i-io s-ia solo…”

 

“Xander non pensa, Anya. Questo, è il punto da considerare.”

 

“N-non è vero, lui s-sapeva benissimo quello che stava dicendo e…”

 

“Ora calmati, fai un... bel respiro, e pensa che c’è una cosa positiva in tutto questo…”

 

“C-cosa?”

 

“…Lo ha fatto. Non era questa una delle tue più grandi paure, tesoro? Ha ‘saputo’. E ha detto quello che doveva dire. Non può farti, più male di così. Domani andrà meglio…”

 

"No! Domani sarà un disastro, invece! Domani sarà molto peggio di oggi.”

“E tu come fai, a esserne così sicura?" Le parlava con indulgenza, come a una bambina. Si stava calmando un po'

 

“Domani… domani tu non sarai qui a consolarmi, Spike.”

 

“Che cosa significa non ci sarò? Perché non dovrei esserci?”

 

*Perchè non vorrai esserci... 'perchè'... vorrai essere con qualcun'altro...*

 

Si era divincolata, rimessa in piedi, e asciugato le lacrime. Voleva andarsene il prima possibile. Tanto, l’avrebbe perso comunque. E Xander si sbagliava, lei non voleva ‘godersi’ gli ultimi momenti con Spike, perché da quando quella storia era iniziata ogni giorno, poteva essere l’ultimo. All'inizio non capiva come mai l’urna ci avesse messo così tanto ad arrivare... Poi, l'aveva capito.

 

Forse si sarebbe affezionata di meno a lui e perderlo sarebbe stato meno difficile. E qualcuno aveva deciso diversamente.

 

...Era già sola... un’altra volta.

 

“I-io… voglio andarmene.”

“…Resta ancora un po’, almeno fino al tramonto… Se vuoi posso accompagnarti io più tardi…”

“No, ho... detto no. Ci vediamo, Spike. Ed era corsa di sopra.

 

Sulla porta l’aveva fermata.

 

“Anya, aspetta. Spiegami perché hai detto che domani non ci sarò.”

“...Non sei tu, che non ci sarai, sarò io, a non essere con te.”

“E perché no? Non sto andando da nessuna parte, e nessuno ti ha mai impedito di vedermi.”

“…Fino a stasera.”

 

Aveva sospirato.

 

“Qualunque dannata cosa succederà stasera, Anya, non cambia niente.”

“..Vorrei tanto poterlo credere, non sai quanto…”

“Vieni qui.”

Si era lasciata abbracciare, poi l’aveva baciata.

 

“...Anya, cosa succede stasera?”, le aveva mormorato.

“Mi... prometti una cosa?"

"Prometto."

"Ti ricorderai di quest’estate?”

“...Quest’estate sarà per molte cose indimenticabile, tesoro.”

 

Si era sforzata di sorridergli.

 

“…Bene, allora. Ci… vedremo più… tardi… probabilmente…”

“Anya…”

Voleva fermarla, ma aveva aperto la porta ed era uscita correndo.

 

L’aveva osservata allontanarsi.

Poi era tornato dentro, sbattuto con violenza la porta e ci si era appoggiato, con un frustrante senso di impotenza.

 

“…Maledetto sole, tramonta.”

 

 

  

 

CAPITOLO 10

Sospirando, D’Hoffryn si era alzato dallo scranno preparandosi a congedare il suo ospite.

 

“Quindi, è arrivato il momento, Whistler. Spero che vi porti il risultato sperato.”

“Lo porterà.”

“Così… un semplice rito che coinvolge le due sorelle Summers, la chiave uscirà da loro, nient’altro?”

 

Whistler alzò le spalle.

 

“Non c’è altro modo. Parte della chiave è nella cacciatrice. Devono essere entrambe nella stessa dimensione per il rituale. Le porte si chiuderanno… Non più strani demoni sconosciuti… E il mondo tornerà ordinato. …Per un po’.”

 

 

Era felice che quella convivenza forzata terminasse. Per mesi, aveva condiviso con l’altro gli avvenimenti di Sunnydale. Seguito la storia tra Anya e il vampiro. Convenuto con D’Hoffryn che Spike poteva suscitare, amore. ...Buffo.

 

E non esisteva forse, si diceva Whistler, una sottilissima linea di confine, tra l’amore e l’odio? Non… ne erano pieni i romanzi, scritti da quegli stessi uomini, di questo concetto, tanto che, infine, era diventato un luogo comune, una frase fatta… E non si dava più importanza a quella linea?

 

…Forse gli uomini, non le davano più importanza.

In fondo, le differenze sottili non facevano, per le piatte emozioni umane.

Ma quanto profondamente poteva amare - e arrivare a odiare - un demone millenario? O un vampiro senz’anima?

 

In ogni caso, era finita, e ne era lieto. Un sentimento ricambiato da D’Hoffryn.

 

 

“Whistler, Whistler.…Per un istante, avevo addirittura creduto che qualcuno avesse avuto pietà, di quella cacciatrice. Che qualcuno volesse solo darle… un’altra possibilità.”

 

“Oh no, amico, quella, è la tua, di specialità.” E gli aveva sorriso.

“…E comunque non siamo ‘noi’, che la stiamo riportando indietro” e aveva indicato il gruppo sullo schermo.

“…Lo avrebbero fatto comunque… Prima o poi avrebbero trovato un altro modo, se non avessero ottenuto l’urna. Solo che ci avrebbero messo molto più tempo. E noi non potevamo aspettare troppo. …Qualche mese, come ci hai chiesto, era ragionevole.”

 

D’Hoffryn lo sapeva. Non poteva chiedere di più. Aveva chiesto il massimo che sapeva sarebbero stati disposti a concedergli. Era solo un gioco, un bilanciamento di poteri. Governavano le esistenze di altri. A volte, vi ponevano fine. Si credevano quasi onnipotenti…

 

Ma neppure loro, lo erano. La vera domanda era ‘chi’, ‘cosa’, ...e 'perchè'... veniva a rompere l’equilibrio?

 

Ci pensava, mentre lasciava Whistler proseguire.

 

“Stiamo… solo approfittando delle circostanze, diciamo. …Inoltre se vuoi la mia opinione non le stanno facendo nessun favore ‘resuscitandola’, ma ehy, nessun piano è perfetto, giusto?”

 

Gli aveva fatto cenno di andarsene, senza rispondergli. Aveva tollerato il suo eterno e immotivato ghigno per troppo tempo. E finalmente non c’era più nessun motivo di farlo.

 

Ma, aveva considerato la frase. No, ‘quasi’ nessun piano… è perfetto, pensava, seguendo con gli occhi Whistler che si allontanava.

 

***********************

 

 

…Alla fine, era tornata.

 

…Perché diavolo era tornata… All’inizio non l’aveva capito.

 

All’inizio, lei aveva cercato solo di… mantenersi in piedi. Li vedeva, vedeva tutti loro. Ma non era precisamente così. Vedeva le loro ombre. Corpi vocianti che le dicevano ‘sii felice, Buffy, sei tornata!’…

 

E aveva cercato di farlo.

Perché, ‘essere felice’, era un’opzione come un’altra.

 

Inoltre non aveva idea di cosa fare altrimenti. Il suo solo istinto all’inizio era stato quello di piangere.

 

E i loro sorrisi, la loro… felicità. Le loro emozioni erano insopportabili. Tranne quelle di Dawn.

 

…E quelle di Spike. Che, non aveva fatto quasi niente quando l’aveva vista.

Pensava che apparizioni come la sua, di solito scatenano manifestazioni rumorose di gioia, o almeno stupore, e abbracci, e confusione, lui invece… aveva solo inclinato la testa leggermente di lato, come a volerla vedere da un’altra angolazione, e poi si era preso cura delle sue mani. Le sembrava quasi volesse scusarsi con gli occhi, quando ‘osava’ guardarla, di essere così felice di rivederla quando era chiaro che lei non lo era affatto.

 

 

 

…L’aveva vista… in…cima a quelle scale. Non poteva essere lei, naturalmente. Sarebbe stato bello, sarebbe stato troppo, bello. Ecco perché non poteva essere lei.

 

Ma invece era tornata. Come era tornata? Ecco, cosa doveva succedere quella sera. Era lei, era…lei. Non poteva essere…

 

Poi aveva visto le sue mani sanguinanti, e lei le aveva nascoste, come vergognandosene, era così… indifesa. La sua cacciatrice…

 

E Buffy si era chiesta, mentre le medicava le ferite, chi, si fosse occupato delle sue, quando anche lui…

 

Ma poi erano arrivati gli altri. E Buffy aveva avuto la confusione, gli abbracci, le manifestazioni di gioia. E invece lei voleva il suo silenzio.

 

 

Al loro arrivo se n’era andato. Aveva incrociato per un istante gli occhi di Anya mentre usciva. E aveva capito che lei lo sapeva.

Da quanto lo sapeva? E non gli aveva detto niente. Tutto quel tempo.

 

“Ecco, cosa succedeva stasera… vero tesoro?” Le aveva detto uscendo.

“Spike, io…”

“Non adesso, Anya. Non. Adesso.”

 

Era uscito, ed era rimasto là fuori. E poi, di andare da qualunque parte… dove poteva andare? Alla fine Xander e Anya erano usciti di casa. Basta giochetti. Xander gli si era avvicinato. Gli stava dicendo qualcosa, qualcosa di fastidioso, sicuramente. Non aveva tempo di ascoltare le sue idiozie.

 

**********

 

Anya non si aspettava che fosse ancora là fuori. Come avrebbe reagito adesso? Non l’aveva neanche guardata, Spike, aveva preso Xander e l’aveva spinto contro un albero. Gli diceva qualcosa a proposito di quanto fosse folle quella situazione. E, ‘gli stava’, facendo male, stavolta senza dubbio. Ma Xander si sarebbe fatto uccidere, piuttosto che arrendersi con Spike. Davanti a lei. ...Quanto erano stupidi gli uomini, pensava Anya.

 

“Andiamo, Spike, stai facendo solo la scena. Guardami negli occhi, e dimmi, che il momento in cui l’hai rivista, non è stato il più bello di tutta la tua intera esistenza!”

 

Questa frase Xander l’aveva detta perché Anya ascoltasse la risposta di Spike. Sogghignava, accorgendosi della difficoltà in cui l’aveva messo. Dunque ci teneva davvero, ad Anya? Meglio. Non aveva ancora finito, con lui.

 

“Spike, lascialo andare…”

“Non ti immischiare Anya.”

“Oh, e perché no? Lei c’è dentro più di tutti noi, Spike.”

“Xander, ti prego…”

 

Si era messo a ridere. Spike si era girato verso di lei e Xander ne aveva approfittato per liberarsi dalla sua presa.

 

“Lo vedi? Ora mi prega… Chiedile perché mi prega, Spike?”

 

Anya voleva andarsene. Spike però l’aveva fermata.

 

“Allora?”

 

“Io…”

 

Sbuffando Xander aveva continuato per lei.

 

“Senza di lei, niente urna. Senza urna, niente Buffy. Senza Buffy, niente... 'gioia'.” E si era messo a ridere. “...Chi l’avrebbe detto? Anya, è la fonte della tua gioia!”

 

Non lo stava più ascoltando. Tutta la sua concentrazione era verso la donna che tremava di fronte a lui. Che cercava di liberare il polso che le stava stringendo.

 

Xander guardava la scena, con un misto di dolore e rabbia. Che era riuscito, ancora una volta, a tenere per sé.

 

“…Bene ragazzi, io vi lascio. Vedo, che avete un sacco di cose, da dirvi…”

 

E se n’era andato davvero. Pensando che era davvero, una pazzia, stavolta. Spike aveva ragione. Chi avrebbe pagato, il prezzo per quello che avevano fatto?

 

 

Alla fine le aveva lasciato il polso.

 

“Dimmi come stanno le cose, Anya. E’ il minimo che puoi fare.”

 

Si era dimenticata di quello sguardo. La guardava così solo all’inizio, di quel loro strano rapporto, poi, era cambiato, era diventato più dolce, quasi… Ma no, ora era di nuovo lo Spike estraneo. Che la guardava come se tra loro non ci fosse mai stato niente. Era tutto così ingiusto e penoso. Che colpe aveva lei in fondo? Che colpe aveva più degli altri?

…E com’era cambiato solo da quel pomeriggio. Ed era bastato aver rivisto Buffy qualche istante. Dannata Buffy.

 

“E’… è la verità.”

 

Cosa le avrebbe detto adesso? Cosa sarebbe successo? Si sarebbe arrabbiato con lei?

 

“…Bene.” Nient’altro. Si era voltato per andarsene. La stava lasciando là, le dava le spalle.

“Come… bene? Spike aspetta…”

“Cosa, Anya? Cos’altro mi devo aspettare?”

Lo aveva raggiunto, mettendosi davanti a lui. Che cercava di evitare di guardarla. Sembrava infastidito dalla sua insistenza. E questo le faceva male.

“Sei… arrabbiato con me?”

Era scoppiato a ridere.

“Arrabbiato con te, tesoro? Una domanda interessante.”

 

“Spike…”

 

“Davvero, non capisco il senso delle tue lacrime di

oggi pomeriggio. Perché piangere per qualcosa che hai causato tu? E’ profondamente stupido… Assolutamente inutile. Oh, tesoro, non dirmi che stai per rimetterti a piangere, ora, vero?”

 

“Perché… te la prendi con me, io… ho solo fatto…”

Sogghignando le si stava riavvicinando.

 

“…Che cosa, hai ‘solo fatto’? ...Cosa? E soprattutto perché, l’hai fatto?”

“…Non c’è un vero perché, io volevo solo…”

“Risposta sbagliata, tesoro. Ci deve essere, un perché. Lo hai fatto per Xander? Per renderlo felice?”

 

“Io…”

“Rispondi.”

“…Sì.”

 

“Sbagliato un’altra volta, tesoro”

“Cosa stai dicendo, che vuoi dire?”

 

“Voglio dire” si era fermato per accendersi una sigaretta. Distrarsi, occupare le mani. Avrebbe potuto ucciderla e lei nemmeno lo sapeva. Là, sul prato della cacciatrice. E sarebbe stata solo la prima. Ma no, non era ancora il momento. Poteva controllarsi. Dawn poteva vederlo. E per quanto tentato non le avrebbe mostrato un simile spettacolo.

 

“…che hai dimenticato una cosa, tesoro. Una cosa fondamentale. Un sano egoismo. E ti sei trasformata in un’ipocrita.”

 

“N-non ti capisco… ti prego, guardami.”

 

“Preghi Xander, preghi me. Non pensavo che fossi il tipo di ragazza che prega. Oh, già… dimenticavo.” E le aveva rivolto uno sguardo malizioso. “…Sì, che lo sei.”

 

Gli aveva tirato uno schiaffo, con gli occhi pieni di lacrime.

 

E Spike le aveva sorriso di nuovo. Non aspettava altro che vederla piangere.

 

“Sei solo un bastardo. Xander aveva ragione. Te la prendi con me, perché sei frustrato, la tua amata è tornata e tu sei sconvolto, ‘oh, povero Spike!’ E non vedi l’ora, di tornare a essere il suo cagnolino. E adesso stai solo cercando una scusa per liberarti di me, e invece dovresti solo ringraziarmi.”

 

...Peccato. Le si era sinceramente affezionato, in tutto quel tempo. Trovava il suo entusiasmo... commovente. Vederla piangere non lo lasciava indifferente ma avevano giocato con la vita e la morte di Buffy. E questo era un suo limite. Chi era la ragazza che aveva visto là dentro? Che cosa era tornato indietro? ...Cosa le avevano fatto, maledizione?

 

 

“...Ma io non ho bisogno di scuse, per liberarmi di te. Dimmi tesoro, quando ti ho fatto credere che ci fosse un legame tra di noi? ...E inoltre sì,ti ringrazio. Grazie del tuo tempo. Grazie delle notti che hai passato con me.”

 

Ora non cercava più di trattenere le lacrime.

“…Perchè mi dici tutto questo? Io... in fondo io non ho fatto... niente di male, e tu dovresti essere felice del suo ritorno…”

 

“…Così, tu avresti fatto tutto questo anche per me... giusto?”

 

“…Io non lo so! So che mi avevano chiesto l’urna e… mi era sembrata la cosa più giusta!”

 

“Per chi? Uhm? Per chi, Anya? Per chi era, la cosa più giusta?”

 

“Per… Dawn! Per Xander, per Giles! E per te, sì, anche per te!”

 

Le si era avvicinato, senza intenzione di aggredirla, ora. Il suo sguardo si era persino fatto più dolce. Lo guardava intimorita, lasciando che le prendesse le mani e se le portasse alle labbra.

 

“Ti ringrazio del regalo, allora. …Capisci, quando dicevo del sano egoismo? ..Addio, Anya.”

 

E l’aveva lasciata sul prato, da sola, con le lacrime che scendevano sulle guance, e le parole di D’Hoffryn che le ritornavano alla mente.

 

“…In fondo, che cosa perderesti, Anyanka? …A che cosa ti sto chiedendo di rinunciare?”

 

 

  

 

CAPITOLO 11

 

…E si era ritrovato sulla sua tomba. “Buffy Anne Summers”. “Ha salvato il mondo. Un sacco di volte.” E si era messo a ridere. …Prima di sradicarla dalla terra, quella ridicola lapide. E di lanciarla contro un’altra tomba, distruggendo il marmo. E poi aveva scavato, fino a raggiungere la bara. E l’aveva trovata vuota. …Vuota. Ma lei era rimasta là sotto per mesi. Accarezzava le pareti all’interno ricoperte di raso. E sentiva l’odore della morte. Lei era qui, era stata qui…

 

Ed era rimasto là a piangere. Non credeva sarebbe stato capace di piangere così tanto.

 

…C’era un lato positivo, nel fatto che fosse morta. Poteva immaginarla come voleva. Ed era… sua, in un certo senso. Era… là, era stata sepolta nello stesso cimitero dove c’era la sua cripta. Con tutti i cimiteri di Sunnydale, questo non era poi così scontato. Quando chiudeva gli occhi per addormentarsi, pensava ‘curioso… non siamo mai stati, così vicini, prima.’ E immaginava che il cimitero fosse solo loro, non ci fosse nessun altro, a parte le loro tombe. Per sempre. Gli avevano tolto persino questo. Chissà com’era, la Buffy che aveva visto. Chissà cos’era. Sembrava Buffy. Sì, sembrava lei. Ma se non lo fosse stata, sarebbe stato solo un altro brutto sogno. Un altro scherzo crudele.

 

 

 

...Com'era strano, vederlo piangere. Avrebbe quasi voluto andare a... consolarlo. ...Se fosse stata certa di ricordarsi di come si... faceva.

 

 

**************

 

Divertente. Appena la sera dopo il suo arrivo, c’era stato il rituale. Il… ‘bentornato’, in stile bocca dell’inferno. Xander li aveva raggiunti a casa sua. C’erano degli strani personaggi, che confabulavano con una Willow al settimo cielo in soggiorno. E c’era Whistler.

 

Quanto non le era mancato.

 

Sembrava stessero aspettando – no, preparando – quella… cosa, da molto tempo.

 

Ma tanto… che importanza aveva?

 

Del gruppo, mancava qualcuno. Mancava Giles. Era in Inghilterra, le avevano detto, ma sarebbe tornato presto. Mancava Anya. Xander non si mostrava ‘troppo’ triste, anche se, aveva spostato nervosamente la conversazione su un altro argomento quando Tara gli aveva chiesto qualcosa al proposito. E mancava Spike.

 

…Perché non c’era? E a chi avrebbe potuto chiederlo? Quella stanza era piena di persone, e lei si sentiva sola. Spike sapeva del rituale. Gliel’aveva detto Dawn. Anche Dawn, lo aspettava.

 

Sembravano essere impazienti di cominciare, giravano attorno a lei e a Dawn con frenesia - così almeno le sembrava – come se fossero tutti al corrente di ‘qualcosa’ che però non le sembrava volessero rivelarle completamente, e mentre continuavano a guardarla con adorazione e a dirle quanto fossero contenti del suo ritorno, le avevano spiegato che ‘questo’, avrebbe sistemato finalmente le cose, a Sunnydale, e non solo…

 

…Come sempre.

 

‘Ma ehy’, avevano detto, ‘è per il tuo bene, e anche per quello di Dawn…”

 

Buffy non aveva realmente, ‘partecipato’ al rituale. Aveva solo subito passiva quello che succedeva.

La nenia incomprensibile, i giochi di luce, gli strani fruscii…

 

Guardava gli occhi eccitati di tutti, che osservavano la scena affascinati. Non riusciva davvero a capire. Come brillavano di… una luce strana, gli occhi di Willow.

 

Per questo, dunque, era tornata… Per fare da cavia da laboratorio a Willow. Era… l’oggetto macabro del suo esperimento più azzardato. Per cosa l’aveva riportata indietro, in realtà? E cosa aveva realmente spinto, Xander? E Tara, e Anya, invece? …Forse, avevano fatto questo per… l’amore che provavano verso il loro… compagno?

 

E nonostante questo… non riusciva a provare rabbia, per nessuno di loro.

 

…Perché, l’unica emozione che riusciva a provare in quel momento Buffy, era solo un doloroso e costante senso di perdita.

 

La sensazione di sentire il suo corpo violato. Continuamente.

 

 

Whistler si era accertato che tutto procedesse regolarmente. E poi finalmente, l’incantesimo era terminato. Le luci scomparse, le cantilene in lingue sconosciute cessate. Gli strani personaggi, dissolti. Chissà se li aveva visti veramente.

 

In fondo… le era sembrato semplice, e veloce.

Avevano chiuso i portali… Non più nessun demone di altre dimensioni… Solo ‘quelli di questo mondo’, di questo pianeta. Di questo inferno…

 

Ma almeno, pensava, Dawn era finalmente libera dall’incubo. Forse, lei adesso sarebbe finalmente riuscita ad essere quello che aveva sempre desiderato, una ragazza normale. Quello che anche Buffy aveva sempre desiderato. Una volta, almeno.

 

Ma lei, naturalmente, restava sempre la cacciatrice.

 

‘Ma certo…’

 

Inoltre… Le mancava Giles… Almeno, lui era estraneo a tutto questo.

 

Whistler le si era avvicinato sogghignando.

 

“Bene bene bene, cacciatrice… a quanto pare abbiamo la pelle dura...”

Lo guardava con freddezza.

 

“…A quanto pare.”

“…E vedo che non hai neppure perso la tua dolcezza, ‘dolcezza’… Bene, sembra proprio che io debba andarmene. Non ho più niente da fare, qui, per il momento. Addio, allora.”

“…Io… aspetta.”

“Sì, cacciatrice?”

“C’era… ecco non… era… Era l’unico… modo, questo?”

 

“…Oh... no, naturalmente, tesoro. Era solo quello più conveniente date le circostanze. Avremmo potuto farlo mesi fa, prima che ti lanciassi nel vortice dalla torre, ma siamo arrivati tardi. …Capita. …E anche adesso, potevamo agire in mille altri modi diversi.

Ma così… noi abbiamo la chiave, questo triste mondo ha di nuovo la ‘sua’ cacciatrice, e tutti sono contenti… non è così?

...Anche se ci sono voluti mesi, e credimi, sorbirmi la ‘vita a Sunnydale’ minuto per minuto è stato quasi più duro che sopportare i musi lunghi di Angelus. Beh almeno, questa volta il vampiro in questione era più divertente. E decisamente più intraprendente.”

 

Buffy si stava irritando.

 

“Di che diavolo stai parlando? E di che 'vampiro' stai parlando?”

 

Whistler trovava che tutta la situazione fosse grottesca. Non per questo meno divertente. E lui adorava, divertirsi.

 

“Sveglia, tesoro, quale vampiro? Biondo? Umorismo discutibile? Incline all’autodistruzione? Con un’insana passione per… Passions? Mio dio, praticamente ormai l’ho vista tutta anch’io… Dimenticavo… ottimo gusto per le belle donne? Oh, sì davvero… Sì, decisamente più tollerabile di Angel. Non hai idea, delle cose a cui ho...“

 

Le sogghignava allusivo. Piccolo,viscido demone manipolatore... ma voleva farlo parlare, doveva sapere.

 

“Che…che vuoi dire, ‘mesi’? Perché… non potevate farlo prima?”

Ora le parlava scimmiottando un’espressione ispirata.

“…Perché ognuno vuole il suo tornaconto, tesoro. In questo, e credimi, in ogni altro mondo che io conosca. …Prendi te stessa. …Tu, non hai avuto forse il tuo… paradiso? Perché… non lasciare che anche gli altri… si ‘divertissero’, nel frattempo?”

 

Il ghigno si era trasformato in un risolino. Non riusciva più a sopportarlo, le dava la nausea.

 

“…Vattene via.”, La voce le era uscita soffocata… Come risuonava aspro, anche il suono della sua voce. “Io non… voglio incontrarti mai più in vita mia. E… neppure dopo.”

 

E Whistler non era più riuscito a trattenersi dallo scoppiare in una risata.

 

“…Coraggio, cacciatrice… sorridi! …Sei viva! …Non è meraviglioso?”

 

Poi era scomparso. Gli altri parlavano tra loro, si informavano delle condizioni di Dawn… Il solo pensiero di avvicinarsi a loro, unirsi a loro… le era semplicemente intollerabile.

 

Cosa diceva Whistler di Spike? E dov’era adesso? Doveva chiedergli… delle cose. Doveva…

 

Aveva vagamente registrato nella mente che era il primo vero bisogno che provava da quando era tornata.

 

E così era uscita. Se l’avevano notata, nessuno aveva provato a fermarla.

 

E com’era strana Sunnydale… la notte prima era tutto così confuso ma adesso ne notava anche i colori… non se la ricordava così colorata. In fondo, il rituale, l’energia, la luce… le sembrava tutto più reale di quello che vedeva intorno a sé adesso.

 

Il cimitero non le era mai sembrato così bello. Ecco perché anche la notte prima ci era venuta. Vedere la sua cripta da lontano le aveva mai dato quel senso di sollievo.

Forse era perché, sembrava, di avvicinarsi di nuovo alla morte. Ed era entrata, sentendosi a… casa. Al buio, nel silenzio. Il suo silenzio.

 

 

*******

 

Sapeva del rituale, Spike. E aveva visto i suoi effetti. Stasera Sunnydale era di nuovo popolata ‘soltanto’ dei soliti vampiri di sempre, e della variegata clientela del bar di Willie.

Sedeva al bancone, e giocava coi bicchierini di rum, vuoti, che aveva bevuto, nelle ultime due ore. Willie lo osservava, preoccupato.

“Tremate, tremaaaateeeee… la cacciatrice… è tornataaa…”

“Uh… Che… stai dicendo, Spike?” gli aveva chiesto sporgendosi verso di lui furtivo oltre il bancone.

Spike aveva scosso la testa sogghignando, non alzando gli occhi su di lui.

Poi improvvisamente lo aveva afferrato alla gola e l’aveva sollevato da terra. Lo stava quasi soffocando.

“Sp-Spike t-ti prego…”

“Willie, Willie, vecchio mio… stai perdendo il tuo smalto? Non… dirmi che devo passarti io le notizie fresche, adesso? Che COSA sapevi tu di questa storia?”

“N-niente io n-non ne so niente te lo giuro Spike! Ti prego…”

L’aveva scaraventato a terra. Tutti gli avventori si erano girati verso di loro, allarmati dal rumore di bottiglie frantumate. Alcuni clienti erano accorsi in difesa di Willie, mettendosi tra i due.

“Dannazione, Spike, te lo giuro! Io… non ne so niente! E… invece… ma certo, come no. Credo che sia solo una delle tue pazzie, amico. Non ci stai più con la testa, maledizione. Stai… vaneggiando, hai solo bevuto troppo. Di nuovo.” Si sentiva al sicuro, protetto dagli altri avventori.

 

Spike aveva riso amaramente, lanciandogli il denaro sul banco, voltandosi per andarsene.

 

“Lo sai Willie? Non credevo che l’avrei mai detto però… vorrei davvero, che fossero solo i deliri di un ubriaco… Lo…vorrei più di ogni altra cosa.”

Willie aveva aggrottato le sopracciglia non capendo. Lo aveva visto uscire. La cacciatrice …era tornata?

 

Poi aveva vagato per le strade. Deserte. Nessuna potenziale vittima, nessun demone di un altro mondo. Nessuna tomba da visitare. Non più Dawn da andare a trovare -non voleva avvicinarsi a quella casa- non dopo la sera prima. Non più …sostitute. Nè, Anya era una sostituta. Buffy non era sostituibile, almeno per lui. Anya era stata solo una delle mille idiozie di cui la sua esistenza era piena. Meglio tornare semplicemente al riparo prima che sorgesse il sole. Perché, poi, si chiedeva…

 

...Abitudine, era la risposta.

 

E quando era tornato alla cripta aveva soffocato una risata.

 

“…Appunto. Le cattive abitudini sono dure a morire…”

 

Non si era svegliata. L’aveva trovata addormentata sul suo letto, e sembrava così… serena, ora che stava dormendo, molto più, della sera prima…

 

Il primo impulso era stato quello di svegliarla, sbatterla fuori e urlarle di non entrare mai più nella sua vita. Invece, le aveva preso una coperta.

 

*Tanto, questo è solo un sogno oppure ho realmente bevuto troppo stasera. In ogni caso domani non sarai più quì, quindi…*

 

Lui avrebbe dormito al piano di sotto.

 

E nel metterle sulle spalle la coperta, attento a non svegliarla, le aveva sorriso, sussurrandole piano,

 

‘...In ogni caso... lieto che tu abbia deciso di cambiare tomba, cacciatrice.’

 

 

 

CAPITOLO 12

 

'I hold your hand in mine

I hold your hand and you're so lonely

Oh so lonely

Your eyes have lost their light

Your eyes have lost their light and you're empty

Oh my God you're so empty

(I'm in love with you)'

 

*******

 

Spike osservava il soffitto, sdraiato sul letto, ascoltando il cd. Amava quell’album. Gli ricordava Drusilla, ogni canzone. E adesso gli ricordava anche Buffy.

Quel pomeriggio, prima del rituale, fuori dal magic shop, quando gli aveva detto… di dove era stata. Di come fosse felice, là. Di come non sapesse come tornare a vivere, ora. Che questo, era l’inferno. Aveva negli occhi lo stesso vuoto, che vedeva sempre in quelli di Dru. La stessa mancanza di voglia di vivere. E gli aveva detto che lui non poteva aiutarla. E allora che diavolo ci faceva a casa sua quella stessa notte nel suo letto? Ma certo… 'Spike mi ama, Spike mi capisce. Spike non mi manderà via.'

 

 

La musica che veniva dal piano di sotto l’aveva svegliata. Quasi inconsciamente, si era alzata ed era andata al frigorifero. E ci aveva trovato latte, yogurth… Dawn doveva passare spesso da queste parti, aveva pensato, con un lieve sorriso. E la cosa stupefacente era che aveva fame.

…Poi aveva seguito il suono della musica.

 

 

E si era ritrovata davanti a lui.

 

Per un lungo momento Spike l’aveva solo guardata. Sembrava… stare meglio, adesso. Sembrava come se la ricordava.

 

Era lì, era di nuovo lì.

 

Perfetta, come se quel tempo non fosse passato.

 

Come se fosse passata come faceva una volta, con un motivo qualsiasi. A chiedergli informazioni. A chiedergli aiuto. A ricoprirlo di insulti. Gli erano mancati anche quelli. Ma perchè era qui?

 

 

Le sembrava quasi spaventato. E aveva uno sguardo ‘quasi’ ostile. L’ultima volta che l’aveva

guardata prima di morire, in cima a quelle stesse scale da cui l’aveva vista scendere due notti prima,

cinque mesi dopo, riemersa dal nulla…

Non era lo stesso sguardo. Pieno di un amore disperato, certo, che non sarebbe mai stato ricambiato.

 

…E l’aveva sentito imprecare sotto voce per la mancanza di vestiti addosso.

Questo l’aveva fatta sorridere…

E le aveva scaldato il cuore. Ma non sembrava averlo notato, Spike.

 

Si era alzato, vestito, acceso una sigaretta. Voleva trattarla come se non ci fosse.

 

…Tanto, essere in una stanza con Buffy era come essere comunque da soli, no?

 

Questo, pensava una volta di lei, quando tornava nella sua cripta solitaria, pieno di rabbia, frustrazione, odio… solitudine. Dopo averla vista e seguita tutta la notte, dopo aver ascoltato i suoi rifiuti, dopo averle sentito dire una volta di più quanto, lo trovasse rivoltante.

 

 

E ora, era di nuovo in preda al panico, solo perché lei era lì, con lui. No, essere in una stanza con Buffy non era, come essere da soli.

 

”Siediti… dove vuoi-vuoi restare? …Perché se vuoi andartene…”

Si era seduta su una poltrona di fronte a lui. Non voleva andarsene.

Bene. Bene…

 

Quando l’aveva sentita parlare era quasi sobbalzato.

 

“Non c’eri… ieri sera. Ti sei perso lo spettacolo.”

 

‘Perché mi sta guardando in quel modo, è impazzita? Sì, dev’essere così. E’ risorta e non si ricorda che mi odia. Ecco, perché è venuta a cercarmi, sicuro, non c’è altra spiegazione…’

 

“Oh, l’ho visto, uno spettacolo, in quella casa. ...L’altra notte. Credo che niente,

potrà mai più reggere il confronto.”

 

 

Stranamente… non aveva voglia di piangere. Non dopo ieri sera. Era libera da qualcosa che non le apparteneva, dopotutto. Dawn stava bene. Era felice che lei fosse tornata. E Spike era ancora qui. No… non c’era nessun motivo, per piangere, non adesso. Non davanti alla sua buffa espressione stupita. Alla sua espressione indifesa. Davvero l’aveva trattato così male, prima di morire? E lui era comunque rimasto.

 

“…Perché sei venuta qui, Buffy?” L’aveva mormorato. La sua dannata voce traditrice.

“E’ che… quella casa è così… piena di… persone…”

“…Ti capisco. Anche a me non piacciono.”

Evidentemente, non poteva farci niente, pensava Buffy. Si nascondeva dietro a un… umorismo discutibile, come diceva Whistler, anche quando era imbarazzato. Se le ricordava tutte, le sue battute. Soprattutto quelle a sproposito. ‘Quando dici che ci ami tutti…’ come poteva scherzare, in un momento simile? O quell’altra volta, quando si era fatto costruire un robot a sua immagine e somiglianza? ‘L’altra Buffy… quella meno compiacente…’ e credeva di parlare a un robot! Pazzo di un vampiro.

 

 

“…Lo sai, Spike? Non… sei cambiato per niente.”

Non poteva resistere, era troppo bello… doveva dirglielo…

“…Lo sai, cacciatrice? Me lo ricordavo, il tuo sorriso.”

 

E le lacrime erano arrivate in quel momento. Non, lacrime di disperazione, ma… l’aveva chiamata cacciatrice… è sembrava quasi una cosa… bella, detta da lui.

 

“…N-non che io l’abbia… visto molto, in effetti…ehy…okay credo che… credo che per oggi ci siamo divertiti abbastanza… Tu… forse hai voglia di andare a… casa o… ”

 

“Spike?”

“Sì, Buffy…”

“…Raccontami qualcosa di quando non c’ero…”

 

Per la prima volta, aveva distolto volontariamente lo sguardo da lei.

 

“…Che cosa vuoi sapere?”

“…Ogni cosa, credo… Tutto… quello che è… successo.”

 

‘Certo’, pensava Spike. ‘Tutto quello che è successo. Oh, ti piacerebbe, cacciatrice. Saresti fiera, di me. Ti racconterò di quell’uomo che hanno trovato una notte poco distante da qui, morto per cause ignote. Ma con certi segni sul collo. Ti racconterò di tutto quello che è successo con Anya. E ti… racconterò di quello che facevo, quando non stavo né con Dawn e né con Anya.’

 

 

…E quindi si era messo a parlarle. Dei vari avvenimenti di quell’estate, ma non solo. Di ogni cosa gli passasse per la testa in quel momento. Le aveva

detto che forse era meglio che se ne andasse… ma avrebbe fatto qualunque cosa, per trattenerla là.

 

E saltava da un argomento all’altro, senza accorgersene, temendo che se avesse smesso di parlarle

lei sarebbe andata via con una scusa qualsiasi… Non poteva farci niente.

 

Se ne andava sempre via prima del tempo, se ne andava sempre via troppo presto.

…E se ne andava sempre via per troppo tempo.

 

Non sapeva neppure se lo stesse realmente ascoltando. Ma non aveva poi davvero importanza.

 

Almeno è qui, pensava. …Forse, le… piace ascoltarmi? …E’ ancora qui.

E’ di nuovo quì…

 

Piano, in sottofondo, era rimasta la musica.

 

Buffy lo guardava, mentre le parlava. Non capiva molto bene il… senso di tutto quello che diceva, non riusciva a seguire tutti i passaggi. Forse non

c’erano passaggi. Ma... non era poi così importante. Il suono della sua voce era… così piacevole. Non lo aveva mai sentito parlare tanto. I loro discorsi erano sempre brevi, secchi, praticamente solo uno sterile scambio di battute acide.

E prima che lui le dichiarasse i suoi… sentimenti, erano solo reciproche minacce di morte.

Quante parole sprecate.

E adesso mentre lo ascoltava pensava che forse parlava così tanto perché finalmente sembrava ci fosse qualcuno che lo ascoltasse…

O qualcuno a cui lui volesse davvero parlare?

Forse nessuno lo aveva mai veramente ascoltato.

Forse ne aveva sofferto. Chissà quante cose avrebbe potuto raccontarle in passato se gliene avesse dato l’opportunità. Ed era anche… divertente. …Lo era sempre stato. Lo aveva sempre pensato. Era riemersa dai pensieri. Che cosa stava dicendo?

 

…Sì, ecco… stava raccontando qualcosa a proposito di un concerto che aveva visto

con Dawn.

 

Poi era passato alla storia della promessa che lei gli aveva strappato ‘vinto a poker, cacciatrice, NON gioco a poker per soldi con la tua sorellina’ di insegnarle a suonare la chitarra… ‘cosa che vale più di quello che può sembrare, tesoro’, le diceva, ‘perché sono

geloso della mia chitarra e finora nessuno a parte me l’ha toccata, da quando l’ho…ecco… rilevata… uhm… dall’allora legittimo proprietario - oh, non ti ho detto come l’ho avuta?…Oh, tesoro, devo

raccontartela, è una delle mie storie preferite, eravamo in Inghilterra, e…’

 

…Si era alzata, era andata verso di lui, che continuava il suo racconto. Sorrideva, ricordando l’aneddoto. …Anche lei se lo ricordava, il suo sorriso. E anche lei, l’aveva visto... così poco. Però se lo ricordava.

‘…e ci trovavamo in questo locale, Londra negli anni settanta era… il paradiso, per chi si intendesse di musica, - aveva usato la parola di proposito? Irritante…-ci sarei rimasto per sempre…ma Dru voleva andare a Praga… io glielo dicevo, che dovevamo rimanere a Londra… guarda che è successo dopo…quando morirò, vorrei che succedesse a Londra…’

 

Gli aveva toccato una mano, appena sfiorato, timidamente.

 

E lui si era allontanato, come se l’avesse scottato.

 

 

...Come se si fosse reso conto solo in quel momento che lei era ritornata. ‘Davvero’.

 

E con questo la realtà, ‘tutta’, la realtà, era bruscamente tornata. E la pena, e il dolore, e le lacrime, e i ricordi…

E lei, la causa di tutto questo.

 

Era come essersi svegliato da un sogno. Che diavolo voleva da lui? ...Come osava venire di nuovo là, come se niente fosse?

 

Era... morta, maledizione. Morta. Lui stava cercando di andare avanti. Ricostruirsi un equilibrio, ricostruirsi delle difese.

 

Oh no, lei non avrebbe distrutto tutto come aveva fatto una volta, no, non l’avrebbe fatto. Non voleva avere più niente da perdere. Con lei morta, e a parte briciola... non aveva quasi più niente per cui essere felice e quindi non aveva ‘quasi’ più niente da perdere.

 

“Vattene.”

“C-cosa…”

“Vattene da qui. Vattene via.”

“Spike…”

Si era alzato dal letto. Le dava le spalle. Si era passato una mano tra i capelli nervosamente.

 

Perché la stava mandando via? …E dove avrebbe potuto andare? Era giorno. E non sapeva cosa farsene della luce, ora, Buffy. Là sotto, sembrava in eterno notte… Cosa aveva fatto di sbagliato?

“…Vuoi… davvero vuoi che vada via, Spike?”

 

Si era messo a ridere. E si era voltato.

 

Perché faceva così adesso? Perché la trattava così male?

 

“Perché me lo chiedi? E’ quello che ho detto, no? La strada la conosci.”

‘Da non credere. Adesso gioca anche il ruolo della ragazza sperduta. Ed è sempre stata la più forte, e lo è anche adesso. Le piace, vedermi ridotto in questo stato si… diverte…’

 

“D’accordo se… vuoi che me ne vada e che non torni più…”

 

‘D’accordo’, gli aveva detto! Come se avesse mai fatto una cosa, per andare ‘d’accordo’ con lui!

 

Erano tornate la rabbia e l’esasperazione.

Come aveva fatto a dimenticarsi di quanto la… detestasse? Perché riusciva sempre a ridurlo in quello stato miserabile?

E che non osasse guardarlo con quegli occhi lucidi… Non osasse versare una sola altra lacrima! …Ne aveva abbastanza di donne che piangevano. NON era colpa sua se non erano in grado di sopportare una frase sincera sbattuta in faccia. E che lui fosse dannato se adesso le avesse risparmiato, la dose di sincerità che Buffy si meritava. Le si stava avvicinando, di nuovo.

 

“Oh, ma io voglio molto di più. Non… ricomincerai a venire qui ‘come’ facevi una volta. O per i motivi, che ti spingevano una volta.”

“Spike io non sono venuta per…”

“Stai zitta. Io… io lo so perché sei tornata…”

 

Aveva uno sguardo strano, adesso. Anche la sua voce era strana. Stava… bisbigliando. Non si era mossa. Si era seduto accanto a lei sul letto, le si era avvicinato, e l’aveva lasciato fare, concentrata solo sul suono della sua voce. Voleva che non smettesse di parlarle, che si calmasse, che continuasse a raccontarle qualunque cosa, come aveva fatto fino a un attimo prima… Ma non era quello che voleva lui.

 

“…Tu… sei tornata per tormentarmi… sei tornata per ossessionarmi… Sei qui ‘perché quella casa è piena di persone’, sei qui perché non hai nessun altro posto dove andare… sei venuta da me per i motivi sbagliati…” si era sporto in avanti verso di lei. Aveva allungato una mano a sfiorarle la guancia e lei istintivamente aveva appoggiato la guancia sulla sua mano, per prolungare il contatto.

“No, io non sono qui solo per questo, io…”

Ma si era ritratto bruscamente.

 

“Cosa vuoi davvero, Buffy? Cosa vuoi ‘da me’? Comprensione? O vuoi che io ti… ‘consoli’?”

Si era messo a ridere.

 

“…Non mi interessa sapere dove sei stata. Ma tu me ne parli…Non mi interessa sapere perché sei tornata. E tu me lo racconti… Non mi interessa sapere se sei ‘felice’, di essere tornata! O se sei disperata! E… lo sai quello che voglio da te, tesoro…”

“…E’-è solo questo, che vuoi da me, solo questo? Non ti interessa nient’altro?”

La rabbia aveva raggiunto anche lei. Come poteva parlarle così… Perché neppure lui la capiva…

Si era alzata dal letto, sfuggendo al suo tentativo di immobilizzarla.

“Bene, Spike, lieta di vedere che niente è cambiato. Lo sai? Ero… venuta a… lasciamo perdere.”

Stava salendo le scale, e lui l’aveva raggiunta.

“Eri venuta per cosa, Buffy?”

La voce si era addolcita. Troppo tardi, Spike, pensava. Anche lei, aveva le sue ‘rimostranze’, dopotutto.

“Lasciami andare! Non mi ‘vuoi’, fuori di qui? Non hai detto che non te ne importa niente, di quello che ho da raccontarti? Bene. Scusa, se dopo essere stata morta cinque mesi, i miei attuali argomenti si riducano a questo! Lasciami uscire."

 

Il pensiero che stesse andando via per colpa sua però, era insopportabile.

“Non… andartene, non… dicevo sul serio…”

 

‘Certo Spike, come no’, pensava.

 

“…Io, sì. Lo sai? Non l’ho chiesto io, di tornare. Non è colpa ‘mia’, tanto per cambiare. Ma sono qui. Contro la mia volontà. Contro ogni… stramaledetta legge di natura! E,”

Respirava a fatica per la rabbia, e aveva una luce, negli occhi… che però Spike aveva accolto con gioia. Provava rabbia. Provava qualcosa.

 

“…ero venuta qui… perché non ho più una casa! Perché… è piena di gente che... e-e...NON è più… casa mia! E allora… ho-ho pensato di... andare alla mia tomba... Divertente, vero? Ma,” e gli aveva fatto un sorriso sarcastico, “…pare che non ci sia… più, nemmeno quella, vero, Spike?”

“Buffy…”

Non gli aveva più risposto. Si era liberata dalla sua presa strattonandolo ed era salita di sopra. Non l’aveva seguita. Tanto… in fondo… l’avrebbe rivista. Sì, l’avrebbe rivista… E sarebbe stato meglio…

Poi un pensiero gli aveva tolto anche quell’ombra di speranza. Una cosa che avrebbe voluto dirle, se solo lei avesse mai potuto capire.

 

…Era tornata… solo per morire di nuovo davanti ai suoi occhi senza che lui avesse potuto, di certo, fare niente un’altra volta per salvarla. Niente. …Come sempre.

 

 

 

  

 

CAPITOLO 13 

 

Stava ripensando ai mesi, che erano passati, leggeri… volati via. Da quel pomeriggio, almeno.

Fino a due giorni prima nella sua cripta. …Una delle poche volte in cui avevano anche parlato.

 

In realtà non era neppure una relazione. Anche se Anya ogni tanto si sorprendesse a pensarlo. Ma poi scuoteva la testa dicendosi ‘lo so, non è mai stato niente altro che… e mi va benissimo così’.

 

“…Donne”, si diceva.

“Deve essere congenito: pensano sempre al futuro. Nessuna meraviglia che non vadano d’accordo con gli uomini. Nella maggior parte dei casi ‘loro’, pensano solo al passato.”

 

 

Ma lentamente, con il passare delle settimane e dei mesi, qualcosa era successo. Credeva di amare ancora Xander.

Eppure… Spike.

 

Anche se non era mai stato dolce, o gentile, con lei. Raramente le dimostrava interesse. Raramente facevano qualunque… cosa, che non fosse dimenticare tutto il resto… per attimi, brevi istanti.

I suoi occhi… Quel breve momento in cui la guardava, e… ‘sapeva’, che Spike vedeva solo lei, in quel momento. Momento che per lei, durava tutto il tempo tra un incontro e l’altro.

 

‘…Donne.’

 

…Poi, era stato ‘eccitante’, il pensiero di… ‘avere’ Spike.

 

…In un certo senso, oh, naturalmente. Certo, a lei non era concesso di più.

 

Chissà, se a Buffy avrebbe dato fastidio. Ne era certa. Ne rideva, pensandoci.

 

…Buffy, “convinta dell’esistenza dell’amore eterno!” Buffy che quando era in vita, sembrava costantemente portare un lutto all’impossibilità di avere Angel, l’unico uomo, l’unico vampiro… comunque l’unico ‘degno’ di lei… secondo Buffy, naturalmente.

 

E invece anche Spike, quest’altro vampiro che tanto diceva di amarla, che le aveva proclamato la sua passione, che si sarebbe fatto uccidere per lei… aveva passato gli ultimi mesi con un’altra donna, e a volte Anya avrebbe giurato che… Spike avrebbe persino potuto dimenticarla, Buffy, un giorno.

 

 

…A volte.

 

 

Era tutto una ridicola farsa, invece, e nessuno si salvava, Spike compreso. Lui, che guardava la cacciatrice con adorazione. Che aveva rinunciato a essere libero, alla dignità, a essere semplicemente se stesso, pur di stare con lei. Senza riuscirci neanche. Ridicolo.

 

 

E che aveva persino rinunciato a tornare a uccidere quando avrebbe potuto ricominciare a farlo, soltanto, per onorare la sua memoria. Questo sì, Anya lo trovava perverso.

 

Ridicoli scrupoli, costruiti da altri e adottati da lui senza nemmeno più chiedersi perché.

 

Che idiozia.

 

Ma…

 

 

…Xander questo non l’avrebbe mai fatto, per lei.

…Spike l’avrebbe fatto per lei? Qualcuno mai l’avrebbe fatto? Qualcuno… chiunque…

 

 

E poi… che stupida.

 

Spike ‘non stava’ con lei, non era mai stato, con lei. Quante volte l’aveva sentito svegliarsi col nome di Buffy sulle labbra.

 

Motivi, motivi. Ragioni per agire. Quanti l’avevano spinta a questo punto. ‘In’ quanti, anche. D’Hoffryn, Buffy, Spike, Xander, se stessa e quello che voleva.

 

 

O, che non voleva più.

 

 

Ogni tanto, in quell’estate interminabile, aveva addirittura pensato che fosse ancora possibile salvare il rapporto con Xander. Credeva le sarebbe bastato che lui si scusasse con lei.

 

… Davvero, sarebbe bastato, adesso?

 

Forse non valeva neppure la pena, soffrire così tanto, e D’Hoffryn aveva solo ragione. Doveva solo… decidere, convincersi definitivamente, perdere l’ultima speranza.

 

E credeva fosse successo, il giorno prima, quando lo aveva visto in pieno giorno, fuori dal magic shop a… parlare con Buffy. Quell’espressione con lei non l’aveva mai avuta. Non l’avrebbe mai fatto, per lei, né, l’avrebbe mai guardata così.

 

Sì, stava ripensando a quei mesi… e ormai aveva visto la cripta. E ne aveva visto Buffy uscire. E aveva capito che si era mentita, fino a quel momento, che non era andata da lui per minacciare Buffy, Dawn, tutto quel gruppo di persone che si definivano ‘umane’, anche se lei avrebbe avuto qualcosa da dire al riguardo, lei… non voleva fare del male a nessuno. ‘Fare del male è… doloroso…’, si diceva, ‘sì, è doloroso, e io sono così stanca…’

 

Ma non era successo il giorno prima al magic shop. La speranza, l’aveva persa adesso.

 

 

CAPITOLO 14

 

Don’t run away

‘cause I can’t live without you

Please stay

And I’ll learn to love you right

‘Cause I was waiting for you,

waiting for all my life

And I’ve been crying for you, dying for you all this time…

And I’m not going to lose you tonight

 

*********

Aveva lo sguardo di un pazzo. E si era alzata dal divano, in fretta, …qualcosa non andava.

Doveva essere lì da un po’, da quanto? Era entrato senza che se ne accorgesse, troppo impegnata a commiserarsi, a osservare il fuoco nel camino che aveva acceso… Faceva freddo, prima.

Ma era come se la ricordava, l’abitazione di Angel. Anche la statua di Acathla era ancora là, immobile, in eterno.

 

E… il primo pensiero quando l’aveva visto era stato… strano. Era stato ‘l’ultima volta che siamo stati insieme in questa stanza era tutto così diverso, noi, eravamo così diversi...’

 

… Poi si era scossa.

 

Lui l’aveva cacciata via.

 

E adesso invece era di nuovo lì davanti a lei.

Con uno guardo… conosceva quello sguardo.

 

“Spike…”

L’aveva sentita? La guardava, ma la ‘vedeva’?

 

“Non… eri a-a…casa tua ti… ho cercata là…”, aveva detto avvicinandosi. Gli tremava la voce.

 

‘Certo che non ci sono, sono qui’ voleva dirgli. E anche chiedergli di andarsene, come aveva fatto lui prima con lei. Ma… le si era stretto il cuore guardandolo.

 

“Che…che hai… che ti succede - stai bene?”

 

E si era messo a ridere.

 

… ‘perché’, gli aveva attraversato la mente il pensiero che… che lei poteva essere andata in quella casa ‘ancora’ per piangere il suo amore perduto per sempre, Angel, Angel, stramaledetto Angel.

 

“Che… c’è di così divertente?” ‘Niente, non c’è niente di divertente’, pensava, ‘smettila di torturarmi lasciami in pace…’

 

“No Buffy, non me la ricordo più l’ultima volta che sono stato bene.”

 

Si avvicinava. Aveva davvero un aspetto preoccupante. Più pallido del solito e quella luce negli occhi. Quella che vedeva in un vampiro dopo un pasto. Ma non poteva essere, no?

 

Deglutì nervosamente cercando di cancellare dalla mente l’immagine di Spike uccidere qualcuno. Ma non poteva cancellare o negare quello sguardo. Era così.

 

“Spike. Che cosa hai fatto. Dimmelo…”

“…Cosa ho fatto, cosa mi succede, se sto bene… quante domande… tu, piuttosto… cosa ci fai qui, ricordavi i… vecchi tempi? Il… tuo amore che non tornerà mai?” Continuava a ridere di lei, ma…

 

Accennò ad andarsene e l’aveva bloccata. La teneva per le braccia, ma non con troppa violenza. Non voleva che se ne andasse. L’avrebbe implorata, se fosse servito.

 

 

Forse, non era necessario attaccarlo… Non voleva combattere contro di lui… Poteva essersi sbagliata, era tornata da così poco tempo, a malapena si ricordava chi era, come poteva essere certa di ricordarsi uno sguardo…

 

“…Lasciami andare. Per favore. Voglio… andare via.”

“Oh, e perché, tesoro… E’ così bello, qui… il fuoco del camino… hai anche acceso il fuoco… è così romantico… un peccato restare da soli… fammi compagnia.”

 

Aveva la voce ancora aspra, ma un’espressione disperata sul viso. E la rabbia che voleva usare per rispondergli guardandolo era scomparsa.

 

Gli si era rivolta quasi… dolcemente. Quasi come quel pomeriggio, qualche ora prima. Solo qualche ora prima.

E voleva… rassicurarlo. Sul perchè era in quella casa.

 

“Tu… lo sai perché sono venuta qui. Non avevo un altro posto dove andare.”

“E Dawn?”

Si era improvvisamente preoccupato per Dawn. L’aveva fatta vergognare di aver mai dubitato della sua capacità di provare sentimenti. Certo non l’amava meno di lei.

“Dawn… dormiva a casa di un’amica stasera. E’… l’unica che abbia capito che…ho bisogno di…”

e si era interrotta.

“Di cosa hai bisogno, Buffy?”, le aveva chiesto, “dimmelo...”

“Non lo so, Spike, ti prego…”

 

L'aveva fatta indietreggiare nuovamente fino al divano, senza che lei opponesse in realtà molta resistenza. Continuava a guardarlo senza capire. Cosa poteva essergli successo. Era sconvolto, stava tremando, e come la guardava.

“Dimmi… che cos’hai…”

“Niente domande difficili stasera, vuoi? Resta… resta solo qui con me per un po’…”

“Io…”

“Ti…prego, non dirmi di no stasera. …Non stasera.”

 

 

Avrebbe detto di no. Aveva mille motivi per dirgli di no. Ma le sembrava che un ‘no’ detto in quel momento avrebbe potuto davvero distruggerlo.

E… non le piaceva l’idea.

 

“…D’accordo ma…”

“Shhh... siediti... un po’ qui con me. Hai detto d’accordo.”

 

 

 

…'D’accordo', aveva detto.

Forse… forse aveva sottovalutato l’effetto che vederla aveva avuto su di lui forse… era in questo stato per come l’aveva trattata prima forse… Ecco, perché si era seduta come le aveva chiesto, e gli aveva permesso di sedersi così... vicino.

 

Non le parlava. Voleva stare ‘solo’ là, con lei, per un po’, e... questo lei poteva farlo. Glielo... doveva. Aveva sentito la sua mano cercare la sua e stringerla. Poi aveva poggiato la testa sul suo petto. E lei quasi inconsciamente si era messa a giocare con i suoi riccioli, mentre osservava il fuoco nel camino. Si stava calmando… Lo sentiva rilassarsi. E avvicinarsi, ed era… piacevole. Era irreale, un momento di pace tra loro, era così poco probabile, che l’aveva commossa.

 

*********

 

On my heart I’ll bear the shame

No prayer can ease the pain

No one will love you,

No one will love you the way I do

No one will love you…

Love you like I do

 

**********

 

 

“Spike io… oggi ero.. venuta per…ringraziarti per… tutto quello che hai fatto per Dawn e per me e…”

“Dopo, Buffy, dopo… non adesso” le aveva mormorato. Le aveva passato una mano sotto la maglietta e lo aveva lasciato fare. Scivolava con le dita sulla sua pelle, e prima di continuare, l’aveva guardata. Aspettava. E lei aveva annuito.

“Sei così bella…E-e… sei… davvero… sei così… reale…”

 

**********

 

And there’s no escape

Just countless mistakes

No one will love you

No one will love you the way I do

*****

 

Il resto era stato una conseguenza continua dell’azione precedente. Lui aveva alzato il viso su di lei, si era avvicinato. L’aveva guardata negli occhi e poi aveva sfiorato con le labbra la sua bocca aspettando che lei dicesse… sì.

 

L’avrebbe detto. Sapeva, che l’avrebbe detto. L’avrebbe detto anche quel pomeriggio, se solo non l’avesse mandata via.

E… se solo non l’avesse mandata via quel pomeriggio… E si era rimesso a tremare.

 

“…Spike?”

“Sto…bene, Buffy, non preoccuparti… Sto… bene…”

“Stai tremando…”

“Mi sei mancata così tanto…”

“Mi… dispiace… ehy…”

Aveva visto le lacrime nei suoi occhi. E gli aveva sorriso, per tranquillizzarlo.

“Sono... tornata, ora…”

Aveva poggiato nuovamente la testa sul suo petto. Buffy non osava muoversi.

E poi era successa una cosa che non si sarebbe mai aspettata. Stava piangendo… sul suo seno, e tremava ancora più violentemente di prima.

“Mi dispiace Buffy... mi dispiace così tanto…”

 

Cosa poteva fare? Come poteva farlo sentire meglio? Le comunicava …troppo. Troppo amore, troppo dolore. Ma doveva, dirgli qualcosa.

 

“Andrà …meglio. Non… so esattamente come, ma… andrà bene, andrà tutto bene…”

 

************

It will never be the same

Witness trust fade away

No one will love you…

 

***********

 

*No, che non andrà tutto bene, niente andrà bene, niente come sempre… è tutto inutile, qualunque cosa io faccia è sempre inutile…*

 

Il modo in cui l’aveva guardata in quel momento le aveva fatto dimenticare che avrebbe dovuto chiedergli una cosa, una cosa che aveva a che fare con i suoi occhi, quando era arrivato.

 

 

“Non puoi saperlo...”

“Beh sono... cambiate un... sacco di cose. Ti ricordi, l'ultima volta che siamo stati insieme... in questa casa?”

Sì, lo ricordava. 'Alleati', contro Angelus...

“No, tesoro. E'... sempre la stessa vecchia storia… Qui, è dove non ti ho salvato la vita un’altra volta.”

 

L’aveva detto con un leggero sorriso, ma era serio.

 

“Cosa vuoi dire?”

“Che me ne sono andato. Che potevo difenderti, o almeno provarci, e non l’ho fatto. Ed è stata la cosa più idiota che potessi fare perché se tu fossi morta allora, saremmo morti tutti... Ecco, perché dico che non è cambiato… niente”

“Non mi amavi, allora…”

“Sì, forse non ti amavo”, le mormorò, “…forse. Ma…”

“...Cosa?”

“…Quando hai iniziato a credere che ti amassi davvero, allora?”

“Ha... importanza?”

“…No, tesoro… non ce l’ha.”

"Forse un giorno le... cose saranno davvero, diverse, Spike..."

“…In attesa che... questo succeda… resta con me accanto al fuoco ancora un po’… La notte non è ancora finita…”

“Okay”, gli aveva risposto. Non si erano detti più niente. Per ora, non c’era bisogno di dire altro, pensava Buffy.

“Andrà tutto bene…” ci credeva, in un certo senso, davvero. Esisteva la… possibilità. Le era scesa una lacrima, la tensione che si scioglieva, finalmente.

Spike osservava il fuoco, aspettando che lei si addormentasse. E pensava ad Anya.

*********

No one will love you...

 

 

CAPITOLO 15 

 

‘And the price of a memory, is the memory of the sorrow it brings…’

 

Ricordava l’ultima volta che l’aveva vista felice. Così… innocentemente felice, sembrava, come una bambina.

 

E a che cosa sarebbe servito piangere adesso, poi. Le lacrime di un vampiro sono così inutili.

 

Anche i ricordi e il dolore. E di quelli non riusciva a liberarsi.

 

Era come sentirla, ancora, come se fosse stata ancora là, accanto a lui.

 

“…Uhm, questa cripta così com’è non va bene…”

“…A me va benissimo.”

Non sopportava le interruzioni…Anya doveva essere un diversivo, e... lo era. Molto… piacevole… ‘non’, era… un’arredatrice. Non era per questo che desiderava incontrarla, non era questo che voleva da lei. Non… voleva niente, da lei.

 

“…Ma guardati intorno! No, no, dobbiamo fare qualcosa.”

“Anya…”

“Almeno, non è umida, e questa è un’ottima cosa… E hai già la corrente elettrica, e ciò va benissimo… Non amo particolarmente il buio…”

“A me, piace la luce delle candele” le sorrideva allusivo."Mi piacciono le candele e... tutto quello che ci si può fare..."

 

Ma Anya era determinata.

 

“E questo marmo… bello. Si può salvare. Sì, credevo sarebbe stato più difficile…” continuava ad aggirarsi per la stanza, Spike avrebbe giurato che stesse mentalmente prendendo le misure. Poi era corsa al piano di sotto.

 

“Anya! Dove stai andando?”

“…Sto andando di sotto, mi sembra chiaro. Non che… non abbia paura, quindi… se ti va di accompagnarmi…” Il sorriso che le vedeva sul viso lo divertiva. Lo faceva sempre.

 

Non aveva saputo resistere al suo sguardo. Era davvero qualcuno, quella ragazza.

 

Già. E forse, se non avesse incontrato lui…

 

Ma perché no. Perché non prendere ciò che gli veniva offerto, così volentieri. Era così facile. E tanto più facile passare le giornate.

 

 

…Ricordi. E il prezzo di un ricordo è il ricordo del dolore che porta.

 

Quel pomeriggio. Quel maledetto pomeriggio. Se fosse tornato indietro… Ma avrebbe fatto la stessa cosa.

 

Era entrata, e gli aveva detto che D’Hoffryn le aveva riofferto i suoi… poteri. E che lei aveva accettato.

 

“Stai bluffando.”

“E perché dovrei?”

“Perché non me l’avresti detto, sapendo che avrei cercato di fermarti. Semplice.”

“Ma tu non puoi fermarmi, Spike…”

 

Vero, non a quell’ora. Se fosse uscita dalla maledetta porta non avrebbe potuto fermarla. Ecco perché l’aveva aggredita e l’aveva spinta a terra. E lei si era difesa, l’aveva graffiato, l’aveva colpito. Non aveva reagito, non voleva farle del male…

 

“Sei come tutti gli altri, sei solo come tutti gli altri! Falsi, opportunisti, mi fate schifo! Non vi sopporto più, non sopporto questo squallore che voi chiamate vita…”

“Anya ti prego. Dimmi che non è vero…”

 

La guardava… E aveva capito che non gli stava mentendo. E se era vero, quindi… perché mai, avrebbe dovuto rifiutare?

 

Ricordava il giorno che il chip aveva smesso di funzionare. La sensazione di… esaltazione, che l’aveva pervaso. La sensazione di poter “di nuovo”, fare quello che aveva sempre voluto. Quanto gli era mancata…

 

...E sapeva che questo era niente, paragonato a quello che era stato offerto a lei. Per secoli. Per più di un millennio. Poteva davvero cambiare l’esistenza delle persone, Anya, una volta. Cambiarla, o mettervi fine. Non che ci fosse molto in questa vita che valesse così tanto, al confronto... Non, sapendo com'era stato prima.

 

“Tu… non sei così… non sei più, così…”

“E’ quello che credi… Quello che vorresti credere anche di te stesso, Spike. Ma io ‘sono’, così. Io ‘voglio’, essere così.”

“E per cosa? Per vendicarti di chi?” Stava urlando... la paura. La paura che dovesse dipendere da lui e 'non' voleva... “Io…non ti ho mai mentito, Anya.”

Le bloccava la testa. Doveva guardarla, cercare di farle... capire...

 

“Non importa… Non importa più. Non mi importa più… niente.” Vedeva le lacrime nei suoi occhi. E la determinazione. “Sono così stanca. Non voglio più assistere a un altro pietoso spettacolo ipocrita. L’ho vista, Buffy, uscire da qui… Ti tiene ancora sulla corda, eh Spike?”

“Lasciala fuori. Buffy non c’entra con questa storia.”

“E perché? Forse è per questo, che ho preso la mia decisione… Forse, chissà? Forse sarà la prima…”

La teneva a terra, pregando di uscire in qualche modo da quella situazione. Non voleva credere che stesse parlando sul serio. Non…Buffy, non di nuovo, non… adesso che l'aveva rivista e toccata di nuovo, non così presto...

 

“Ti prego non voglio farti del male…”

“E allora dimmi che rimarrai con me."

"Cosa..."

"E’ così... terribile, stare con me, Spike?”

Gli stava chiedendo di essere.. generoso?

“Non… posso farlo, tesoro. Non lo vorresti neanche tu.”

“Ma a me basterebbe, Spike… E tu lo sai, che a me basterebbe…”

Lo sapeva. Per un istante, aveva rivisto l’Anya che conosceva, aveva rivisto la speranza nei suoi occhi. ...Solo che lui 'non era', generoso.

“Io… mi dispiace.”

E ora, il suo sorriso rassegnato. E nessuna lacrima adesso.

“E allora, Spike, scegli su quale tomba vorrai portare dei fiori nei prossimi mesi. La mia… o quella… di Buffy. …O quella di Dawn.” Aveva stretto la presa sulle sue braccia.

“Tu non lo farai”, le aveva sibilato.

“E tu impediscimelo, allora.”

Dalla borsa, che aveva accanto a sè, era riuscita a estrarre un crocifisso. E l'aveva premuto sulla sua mano, costringendolo a lasciarla andare, urlando per il dolore. Ed era sulla porta… Solo un altro passo…

 

Aveva chiuso gli occhi davanti a quell’immagine. Deglutendo a fatica, cercando di scacciare la sensazione di nausea che si accompagnava a quel ricordo.

 

“Non volevo farlo, Anya, non… volevo farlo…”

 

*************

 

 

Era… stato così… bello. Una notte... di pace. Sentirlo così vicino. Rassicurarlo, con la sua presenza. Sarebbe stato così... bello.

 

Se solo al risveglio l’avesse trovato accanto a lei. Se solo non fosse mai tornata a casa, quella mattina. Se, non avesse dovuto… partecipare a un riconoscimento, quel giorno. Se solo...

 

 

Per cosa piangeva Spike quella notte? Era stato lui? Quando era arrivata finalmente a casa dopo essere stata alla polizia non era riuscita a entrare, si era accasciata in giardino, e il suo stomaco aveva ceduto. Se solo avesse potuto liberarsi di quella sensazione di morte, così come stava facendo con i pochi alimenti di cui si era nutrita fino a quel momento. Ma quella sensazione non se ne sarebbe andata. Anya. Morta. Uccisa. Da un vampiro. Rideva, adesso, delle sue stesse parole…

 

“Andrà meglio, Spike… non so come ma andrà meglio…”

“Non puoi saperlo. Non è cambiato niente", le aveva risposto.

 

Vero. Spike aveva sempre, maledettamente, ragione.

 

 

 

  

 

CAPITOLO 16

 

Aveva ricostruito la scena, come dovevano essere andate le cose… come le avevano detto alla polizia.

 

Tralasciando che nei suoi pensieri, non era mai stato lui.

 

Dove era stata trovata. Ci era andata. Doveva averla…vegliata - chissà perchè, di questo era convinta -'ma non vuol dire che sia stato Spike...- ...fino a che, non erano andati a prendere il cadavere. Certo, doveva essere andata così... Ecco, perchè era così sconvolto... Chissà in tutto quel tempo a cosa aveva pensato. E poi…

 

Poi, era andato a cercarla, ed era rimasto con lei, e... l’aveva abbracciata, l'aveva stretta, vicino al fuoco.

 

Avrebbe dovuto capire. E forse aveva solo fatto finta di niente.

 

Perché voleva, anche adesso, continuare a credere che non fosse stato lui. Che in fondo trovare un corpo dissanguato in un cimitero a Sunnydale non è poi tanto straordinario.

 

…No, poteva essere stato chiunque. Certo. A Sunnydale è così facile, morire. Basta ritrovarsi da soli per strada al momento ‘sbagliato’.

…O giusto, se ti vuoi suicidare.

 

…Giusto. E forse, Anya…

 

******************

 

Ma erano solo le frasi che in quella settimana si era ripetuta, negando ogni logica. Erano le frasi che aveva detto a Xander quel giorno, tornando dalla polizia. Quando lui aveva detto che lo avrebbe ucciso. Quando aveva cercato per l’ennesima volta di restare calma.

 

“Io sto solo dicendo che dobbiamo esserne sicuri, Xander.”

“Beh Buffy se non lo fai tu, farò fuori quel bastardo con le mie mani una volta per tutte.”

 

La parola “bastardo” l’aveva fatta sussultare. Come se non accettasse più, tale genere di definizione, per Spike, come se fosse… “fuori luogo”.

 

 

“Xander… potresti sbagliarti. Noi non… possiamo sapere con certezza che sia stato… Spike.”

 

“Ma svegliati, Buffy. E’ stato lui.”

 

...Doveva sforzarsi, di ignorare le sue provocazioni…

Ricordava fin troppo bene quanto Xander potesse essere sgradevole se voleva, e questa aveva tutta l’aria di essere una di quelle volte. Se avesse difeso Spike lui l’avrebbe attaccata e lei allora avrebbe dovuto dire… cosa?

 

E poi, Anya era... morta.

 

Era… tutto incredibile, doloroso, insostenibile, era tutto troppo penoso. Voleva solo credere, convincersi, che in tutto quell’orrore ci fosse almeno qualcosa da salvare, e quel qualcosa era che non fosse stato Spike. E aveva bisogno che nessun grillo parlante le togliesse, così presto, quest’unica, ultima illusione.

 

“Noi non… l’abbiamo visto farlo.”

 

“E che cosa vuoi, un disegno? Uh, Buffy? E dov’è allora, dimmelo? Se non è stato lui perché è scomparso?”

 

Vero… alla cripta non c’era più… e le tracce di… c’erano, invece… Ma non vuol dire, poteva essere di chiunque, quel sangue… se ne nutre… Ma certo, Buffy…

 

“E questo è sufficiente? Che… non sia alla sua cripta stamattina? Magari… magari è-era altrove e… non è rientrato per la notte o…”

 

…la vecchia residenza di Angel. Ma non c’era, al suo risveglio.

 

“Magari se n’è… andato…”

 

Ma sperava di sbagliarsi.

 

“…Ma certo, se n’è solo andato. Magari è andato a Los Angeles, chissà? Ehy, non sembra anche a voi un deja-vu?”

 

Basta, non riusciva più a sopportarlo... L’ironia di Xander, la ‘rabbia’ di Xander, Xander… aveva perso ogni diritto, di essere arrabbiato, riguardo ad Anya poi…

 

“Se… SE, è stato Spike, me ne occuperò io. E’-è un problema mio.”

“Ooohh… e sentiamo, ‘come’ te ne occuperai, Buffy? Infilandoti di nuovo nel suo letto?”

Willow, che aveva seguito la scena in silenzio, era sobbalzata al rumore della sedia che Buffy aveva fatto cadere alzandosi in piedi. Guardava i due preoccupata. A casa c’erano solo loro, grazie al cielo Dawn aveva la scuola e Tara l’aveva accompagnata, per il momento riuscendo a tenerla all’oscuro. Come avrebbe reagito Dawn, era un’altra delle cose che terrorizzavano Buffy. Che… cosa avrebbe potuto dirle? Non riusciva ancora a realizzare bene lei stessa.

 

“Stai…molto attento a come parli, Xander.”

“Buffy… Xander ha… ragione.” Willow li aveva interrotti, cercando di riportarli alla calma. Buffy si era voltata verso di lei, che aveva proseguito.

“Non… può essere stato nessun altro e-e… ed è pericoloso… Spike va eliminato.”

 

Buffy guardava ora l’una ora l’altro. Come… se li vedesse per la prima volta… Che le dicevano ‘cosa’, si sarebbe dovuto fare. Decidevano, loro. Volevano, una volta ancora, decidere per lei. E Buffy continuava mentalmente a ripetersi una domanda… Di ‘chi’, era, la colpa, …veramente.

 

“…Ma guardatevi. E chi sareste voi due, Dio, forse? …Date la… vita, e date la morte? Ma chi... diavolo credete di essere…”

 

Stava per perdere il controllo. Xander la guardava con derisione. Si era alzato e si era fermato di fronte a lei, sorridendole.

 

“Tesoro, qualunque cosa tu pensi di lui adesso… o dovrei dire ‘provi per lui’, adesso?…Beh, non durerà… E ti do un consiglio, Buffy. Cerca di scoprirlo in tempo e stai alla larga da lui, quando questo succederà. Perché vedi, si stancherà anche di te… Forse prima… di cinque mesi… Sarebbe persino… divertente, vedere, se si stancherà ‘prima’, di te…”

 

E l’aveva colpito. Non ci aveva neanche pensato, aveva realizzato solo vedendolo cadere sul pavimento, che voleva farlo da tanto tempo. Da quando era tornata. Lo guardava, piena di disgusto.

 

Xander era rimasto a terra tenendosi una mano sulla guancia colpita.

 

“Lo sai Xander? Non ti ho visto versare una sola lacrima per Anya… Neanche una. E…”

 

…Cosa? Davvero stava per dirgli che… Spike, invece, aveva pianto per lei? Per cosa, altrimenti?

 

“Tu non… sai più quello che stai dicendo, Buffy. Come quando è morta la Calendar, e tu, eri solo tutta presa dal voler salvare il tuo ragazzo. …Camminando sui cadaveri dei tuoi amici.”

 

“E chi ce l’ha spinta, in quel cimitero, Xander? Tutti i giorni e tutte le notti? …Davvero, è stato Spike, a ucciderla? Davvero la colpa è solo sua?”, gli aveva gridato.

 

Xander non aveva risposto niente, non la guardava neanche più. Era il suo turno di sentirsi rivolgere domande che non voleva ascoltare. Perché non sapeva cosa rispondere o perché se l’era chiesto anche lui e rifiutava di farlo perché era una verità scomoda. Forse.

 

“Buffy, ti prego, calmati… vedrai, riusciremo a risolvere anche questo problema…

 

Si era voltata a guardare Willow. Non voleva credere a quello che aveva appena sentito.

La morte di Anya ‘non’ era, un problema, maledizione, pensava. …Era una colpa. Era una tragedia. Era qualcosa che ‘non’ si risolveva. …Ma chi accidenti erano queste due persone in casa sua?

 

“…Fuori. Fuori, di qui, tutti e due. Willow… ti do questa giornata. Ma ti voglio fuori da questa casa entro stasera.”

“Ma… Buffy…”

 

“Ho… detto… fuori.”

 

Poi, li aveva lasciati, era uscita di casa. Ed era andata alla sua cripta, vuota. Forse se n’era andato davvero. Forse avevano ragione Willow e Xander, forse un sacco di altre cose. Era così stanca di supposizioni, mezze verità, ipotesi. Dubbi. Dov’era prima non c’erano dubbi.

 

Ora, una settimana dopo, solo una settimana dopo...

 

Si era lasciata cadere a terra, prendendosi la testa tra le mani, non aveva voglia di farsi vedere piangere dai suoi ‘amici’… Non avrebbero potuto consolarla.

 

“Dove sei, Spike? Dove… sei andato?”

 

E aveva 'realizzato' che Anya non c’era più. Che non sarebbe più tornata, che non avrebbe più sentito le sue buffe e incomprensibili battute…

 

Aveva accolto quasi con sollievo, le lacrime, che finalmente erano arrivate, per la sua morte.

 

 

  

 

CAPITOLO 17 

 

“…E poi improvvisamente sono… tornata. Tornata, così, semplicemente… Forse, non avrei dovuto saltare, quella notte… Ma il fatto è che credevo, io…credevo veramente, di avere il …diritto di scegliere tra la mia morte e quella di mia sorella, o del mondo come lo conoscevo e amavo… Amavo…non lo so neanche più…”

 

Giles la osservava muoversi nervosamente sulla sedia. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, mentre gli parlava. Come se non sapesse quello che stava dicendo. Voleva interromperla, dirle qualcosa, ‘riportarla alla realtà’ -strana metafora in quel frangente, pensava- ma sapeva che aveva bisogno di sfogarsi, di razionalizzare quanto era successo. Si meravigliava che non fosse impazzita. …Almeno, non ancora.

Poi dopo un sospiro Buffy aveva ripreso a parlargli.

 

“Ora…ora non lo so se lo pensavo davvero in quel momento, io… Sono solo saltata. Credendo, che avrei risolto il problema del momento, signor Giles, ma non era così…"

*******************

Giles era tornato. ...Per un po'. Per rivederla, finalmente e per… il funerale. Ironico. Quando se n’era andato la prima volta, l’aveva fatto perché credeva che nulla, sarebbe stato più penoso che vivere a Sunnydale senza Buffy. Aveva mentito a se stesso. Buffy era tornata, ma… per lui, era troppo. Persino per lui.

 

E quindi l’aveva lasciata un’altra volta, ad affrontare il suo inferno sulla terra, accampando misere scuse di cui si vergognava lui per primo. Ma era andato via ugualmente. E… stavolta negli occhi di Buffy aveva letto la consapevolezza. Era tornata, ma era diversa.

 

Era stata “educata”, in qualche modo, ‘prima’, ad accettare… Ora, non accettava più. Non capiva, come non capiva prima. E aveva deciso di non accettare, questa volta. Non che gli avesse chiesto di restare. Non l’aveva fatto. Ma quando l’aveva salutato all’aeroporto, quel sorriso… strano, che gli aveva rivolto, aveva capito che era “lei”, stavolta, a dirgli addio per sempre.

 

Ma Buffy in realtà non pensava neppure, a tutto questo… pensava al suo ritorno, a chi era il responsabile, al perché… Pensava che avevano tutti… giocato con le loro vite, in una guerra di poteri che si era sempre svolta sopra le loro teste.

 

 

“...Noi siamo solo la fanteria, ci hanno dato questo mondo, e… ce lo hanno anche fatto amare, dev’essere, perché non trovo un’altra ragione al nostro (al mio...) sacrificarci, tutti i giorni della nostra vita, per mantenerlo in piedi. Noi siamo il sollazzo di qualcuno, o qualcosa, noi… siamo il loro show quotidiano. Cosa mi hanno detto? Giusto…io, servivo perché ‘parte dei poteri di Dawn erano in me, e senza entrambe non potevano davvero ‘chiudere le porte’ dell’inferno, gli inferni, le realtà alternative”…

 

Non se lo ricordava neanche più. Giles, Whistler, qualcuno, doveva anche averglielo spiegato, ma lei… non se lo ricordava più. O forse era solo distratta, forse in quel momento pensava ad altro.

 

…A… dov’era lui, per esempio, in quel momento. A cosa faceva lui. Quando ‘non c’era’, lo sapeva sempre. Lo vedeva sempre. Vedeva i guai che combinava. Vedeva come si autodistruggeva. Lo vedeva rischiare la vita per salvarla agli altri. Lo vedeva passare il suo tempo con Dawn. Lo vedeva passare il… suo tempo con Anya.

 

Non era che lo ‘vedesse’ propriamente ma… lo sapeva…

 

…Ecco, perché quella sera era andata da lui… Perché, voleva dimostrare a se stessa qualcosa.

Voleva… ricordargli com’era, perché forse lui se ne era dimenticato. E Spike... non se ne era dimenticato.

 

“L’ho …spinto io, a… ad andarsene”, pensava.

“E se lo ha… ‘fatto’, lo ha fatto per me. Faceva sempre tutto per me…”

 

…E il cimitero era davvero desolato, adesso.

 

*******************************

Controlling my feelings for too long...

Controlling my feelings for too long...

Forcing our darkest souls to unfold,

And forcing our darkest souls to unfold...

************************

 

C’era nebbia, al cimitero, quella sera. Si aggirava tra le tombe come un fantasma. ‘Io sono, un fantasma…’

Si chiedeva perché uscisse ancora la notte. Aveva sentito un rumore. Un… vampiro. Delle grida, poi… più niente. Silenzio. E dei passi, allontanarsi. Aveva guardato nella direzione del rumore, avrebbe potuto farcela. Sì… avrebbe potuto raggiungerlo. E aveva proseguito da un’altra parte. E se quell'uomo... No, si era detta. Non posso più fare niente per salvarlo...

 

E l’aveva visto. Di spalle, inginocchiato sulla tomba di Anya.

 

Ed era trasalita. Ma... istintivamente, gli si era avvicinata...

 

 

 

  

 

CAPITOLO 18

 

“…Guarda chi c’è, la cacciatrice. Proprio vero, chi non muore…”

 

Anche se non si era neanche voltato, era come se l’avesse visto sogghignare.

 

Sì, aveva pensato di tutto, in quei due mesi. Negato la realtà più semplice, negato le risposte più ovvie. Negato l’evidenza. Aveva quasi, addirittura, iniziato a crederci davvero.

 

Però che strano, avrebbe immaginato che l'avrebbe rivisto, prima o poi, in una situazione simile. E immaginava che sarebbe stato di nuovo come quella sera, disperato, a chiedere perdono. Per cosa? Invece era là, calmo, sembrava. Il vecchio Spike.

 

*************

Trying to please you for too long,

Trying to please you for too long...

*************

 

Veniva, di quando in quando, alla tomba di Anya. Da sola, in silenzio. A volte ci restava per ore. Come a… chiederle risposte. O… ad aspettare qualcuno. Che non era mai arrivato...

 

 

“Che… cosa significa, questo, Spike? Che cosa… ci fai qui?”

Si era alzato, lentamente. Le dava ancora le spalle ‘che cosa vedrò quando si volterà? Rivedrò ancora quello sguardo-cosa mi aspetto di vedere?’

 

“Forse… dovresti andare a casa, Buffy.”

“Forse lo decido io, quando andare a casa, Spike.”

E si era girato verso di lei. Le sorrideva.

 

“Testarda come sempre, eh cacciatrice?”

“Io sono… sono… mi chiedevo dove fossi andato.”

“Oh, ti sono mancato, tesoro?”

“Ci… sì, ci… sei mancato, Spike…”

 

Era la pura verità. Quei pochi minuti erano stati... i più belli degli ultimi due mesi. Ma che diavolo gli stava dicendo… La squadrava, sempre sorridendole, si stava… divertendo?

 

“Ti trovo… uhm. Dovresti mangiare di più, Buffy. Sei pelle e ossa.”

Aveva inclinato un po’ la testa di lato. Sembrava tutto irreale.

 

“NON preoccuparti per me. Sto bene. Tu piuttosto dimmi che ci fai qui”

 

Spike guardava il paletto che teneva in mano. …Un lavoro pulito, quello delle cacciatrici. Niente sangue. Curioso, come un vampiro colpito a morte non lasciasse traccia su quel paletto. Non avrebbe dovuto? Che strano…

 

“Rispondimi, accidenti…”

 

Stava perdendo la calma. Non… doveva, essere lì… non doveva neanche essersene andato… E se ora, fosse scomparso un’altra volta? E, era stato lui? E perché?

 

“…Oh, non essere gelosa, cacciatrice… I fiori li portavo anche sulla tua tomba. Tutte le notti.”

“Smettila! Rispondimi! Che cosa è successo? Che diavolo è successo?” Stava urlando… Era troppo tempo che voleva sapere.

 

Spike si stava avvicinando, lentamente.

“Mi fai sempre le domande sbagliate, tesoro… Ricordi? “Fa domande precise”…non te lo avevo detto?”

 

“Io non voglio… credere che…”

“Cosa, Buffy? Tu lo sai, non hai bisogno di ‘crederlo’, tu lo sai…”

"Quindi vuoi dire che..."

Aveva annuito.

“Anya. Sono stato io. ”

“Che cosa...?” Non era neanche riuscita a finire la frase, la voce soffocata.

“L’ho uccisa io, Buffy. L’ho corteggiata, l’ho sedotta, l’ho illusa, e infine l’ho uccisa.”

“Non è vero!”

 

Si era limitato a guardarla, sorridendo tristemente. Avrebbe potuto ucciderlo…

 

“Non…può essere vero tu… quella notte…”

“…Prima,” sospirò. Quasi raccontasse una storia che aveva già detto e ripetuto mille volte.

 

“E’ stato “prima”. E tu lo sai…” si stava avvicinando di nuovo, dopo aver gettato la sigaretta “tu LO SAI, che sono stato io. Lo hai saputo dal primo momento. …E allora, cacciatrice, dimmela tu, una cosa…”

 

Buffy indietreggiava, per mantenere una distanza. Non voleva essere aggredita e non voleva combattere contro di lui. Non voleva tante cose. Non voleva sentirgli raccontare questa storia, e non voleva credere a quello che le stava raccontando.

 

“…perché, non ci stiamo massacrando, come ai bei vecchi tempi, perché, te ne stai lì, imbambolata, a dirmi che… ti sono mancato?”

“I-io…”

“Scusa, tesoro. Era tanto, che volevo farlo…” E con un colpo le aveva strappato dal collo la catenina col crocifisso d’argento, lanciandola lontano. Ne aveva abbastanza, di parole. Ne aveva abbastanza, dei suoi ricordi.

La rabbia le aveva riempito gli occhi di lacrime. Per quanto tempo aveva negato la verità più ovvia. Negato l’evidenza. Lo aveva persino difeso, davanti ai suoi… “amici”. E gli si era scagliata addosso, colpendolo. Si era difeso, stavolta. Da quanti anni non combatteva contro di lui. Ce l’aveva, un paletto… Era molto più forte di lui, avrebbe potuto ucciderlo da un pezzo. Invece si limitava a colpirlo. E lui per lo più a incassare i suoi colpi. E la derideva. Con un colpo, lo aveva mandato a sbattere contro la lapide.

 

"Oh, mio dio..."

Guardava la scena con autentico orrore. Non era possibile, non stava succedendo a lei. Stava di certo… vivendo la vita (l’orribile, dolorosa e sporca vita), di qualcun altro. Non era possibile che fosse la sua…

 

Si era distratta troppo. Permettendogli di rialzarsi, colpirla e farla cadere. E l’aveva bloccata a terra. E le era mancato così tanto… una parte di lei si ostinava follemente a non voler credere che... La parte che desiderava ricordarselo com’era quando era morta.

 

“So di essere un mostro ma mi tratti come un uomo…”

 

‘…Perché, c’è differenza?’, gli avrebbe risposto adesso. Domande… difficili. Quelle che non voleva più farsi perché non c’erano risposte. Aveva perso, le certezze. Se mai ne aveva avute di proprie. Le interessava solo il bene di Dawn e… sentire il suo amore circondarla, come faceva una volta. Quella sera davanti al fuoco le era sembrato un primo timido passo verso la vita, un’altra volta. Quella sera, in cui lui le aveva chiesto di non fargli ‘domande difficili’. A volte, la notte, riviveva la sensazione fisica, di averlo sentito tremare, con la testa appoggiata al suo seno. E l’aveva baciata come se fosse l’ultima volta.

 

“Te l’ho detto cacciatrice… devi mangiare di più… sei debole…”

Aveva allentato la presa. E aveva sorriso maliziosamente, quando Buffy non aveva fatto niente per allontanarsi da lui. Lo… aveva immaginato… E adesso che era così vicina… Come era riuscito a starle lontano tanto tempo?

 

“Tesoro, ti sei già arresa?”, le mormorava all’orecchio.

“…Forse dopotutto non ci tenevi così tanto alla tua amica…Forse… sei contenta che non ci sia più? Dimmi, cacciatrice…”

E rideva, cercando di costringerla a guardarlo in faccia,

“…Forse eri gelosa?”

“Smettila… smettila smettila smettila…”

 

 

 

 

  

 

CAPITOLO 19

 

 

**************************************

“Mi…dispiace…”

“Che cosa ti dispiace, Buffy?” La voce le arrivava lontana, come... in un sogno.

“I-io… non… lo so. Tutto, credo, mi... mi… dispiace tutto. Non aver fatto tante cose...non… aver visto Londra negli anni settanta...O non averla vista mai, a dire la verità. O… il pensiero che non la vedrò, mai, perché di certo non sopravviverò ancora a lungo… ‘di nuovo’ e…”

stava tremando...

 

“…Verresti a Londra con me, cacciatrice?”

Un sorriso, come a scusarsi, per la domanda inutile. Ogni domanda di cui si conosce la risposta, è una domanda inutile.

“…Dicevi...dicevi sul serio, che ti piacerebbe... morire a Londra?”

“…Sì, dicevo sul serio. Ma prima te la farei visitare. Devi vedere Londra di sera, Buffy… ti piacerebbe.”

“Ma tu... non puoi volare…”

“Ehy. Puoi anche dirmi solo no…”

“Sì, Spike.”

“Sì, cosa?”

“…Chiedimi una cosa, una cosa qualsiasi.”

Le aveva sorriso.

“Vuoi giocare con me, cacciatrice?”

Sì, voleva giocare con lui. Voleva passare del tempo con lui. Voleva sentire la sua voce chiederle qualcosa.

“…Perché no? E’ divertente… giocare con te… Così… dice Dawn… Ti stai tirando indietro?”

 

“…Cioè, io chiedo e tu dirai sempre sì?”

Sentiva la tensione allentarsi, un po’. Ecco, perché andava a cercarlo… Spike la… calmava. E la faceva sorridere. Lo aveva sempre fatto… era solo questione di ammetterlo.

“Sì.”

“Dimmi se sei felice di rivedermi.”

“Sì.”

“Dimmi se ti sono mancato.”

“…Sì.”

Ora la guardava con attenzione, e si era fatto serio.

“Dimmi se ami ancora Angel.”

“…Io...sì, Spike, ma…”

“Ah-ha-ha. Niente ma. Risposte chiuse.” Era rimasto apparentemente freddo. Apparentemente.

“Ma io…”

“Sì?”

Gli aveva sorriso.

“…Non ero io, a dover dire "sì"? …E volevo dire… messa così la domanda non vale. Richiedimelo.”

“…D’accordo, cacciatrice. Stavo solo controllando che fossi tornata indietro così com’eri. Sei ...proprio tu.”

“…La domanda, Spike…”

“Okay, questa è la domanda: un giorno potresti amare… qualcun altro, come ami Angel adesso?”

“…Sì.”

“Posso baciarti, cacciatrice?”

“Posso pensarci?”

“No.”

“…Sì.”

“…Bene.”

Aveva lasciato la sua mano, e si era sdraiato sul letto, sulla schiena, un lieve sorriso sulle labbra. Bastava, non aveva bisogno di baciarla. ‘Poteva’ farlo… poteva farlo quando avesse voluto. …bene.

 

“…Spike?”

 

...E poi si era svegliata, e lui non c'era... e il fuoco del camino si era spento.

 

**************************************************

 

La bloccava a terra, e sembrava non accorgersi delle sue lacrime. Aveva avvicinato le labbra all'orecchio, mormorando,

"Vuoi davvero, che smetta? Fammi smettere."

 

 

 

 

  

 

CAPITOLO 20

 

**************************

Oh, I am growing tired

Of allowing you to steal

Everything I have, you're making me feel

Like I, was born to service you…

But I am growing, by the, hour…

**************************

 

Era sopra di lei, la bloccava a terra. …E per una frazione di secondo, la sua mente doveva essersi fermata. Essere tornata a mesi prima. Ma non era così, lei lo sapeva. Era solo l’ultima disperata difesa della sua mente, cancellare. Non era vero niente. Cancellare tutto per evitare di impazzire perché ogni cosa era inaccettabile. Negare. Ogni cosa.

 

************************

…Like I, was born, to destroy you…

************************

 

...E per un momento, ‘solo’ per un momento…

 

 

Doveva farlo smettere. Poteva, farlo smettere. Era il suo dovere.

 

…E poi, cosa?

 

“Ti prego dimmi che non è vero…”, gli aveva sussurrato, non riusciva quasi a parlare.

 

“Vuoi che te lo dica?” le mormorava all’orecchio.“…non è la verità, ma se vuoi, te lo dico…”

 

“…Io non voglio ucciderti Spike…”

 

 

Ma voleva molto più, che solo questo. Voleva credere che nessuno fosse morto e che non ci fosse nessuno da vendicare. E più nessun innocente da salvare. Voleva smettere. Qualunque cosa stesse facendo voleva smettere. Voleva smettere di piangere.

 

 

“…e allora non farlo, Buffy…”

 

 

…Anche questo: smettere, di essere Buffy.

 

 

Solo… per un istante… Un momento, che male può fare?, si diceva.

… Smettere di sacrificarsi per gli altri. Smettere di morire, risorgere, essere felice… pochi attimi, solo pochi attimi. Sempre troppo brevi. Che finivano sempre troppo presto e lasciavano solo vuoto, lacrime, prezzi da pagare. E ricordi.

 

Quindi non si era scostata quando le si era avvicinato. Quando l’aveva baciata. Aveva…solo chiuso gli occhi e l’aveva lasciato fare, voleva… voleva solo una conferma che almeno questo non fosse cambiato. Certo, solo questo. Non aveva il diritto di ritrovare quello che aveva lasciato? …’Almeno’, questo?

Illudersi di poter avere indietro lo Spike che ricordava. Quello che amava Dawn, che non avrebbe mai più potuto uccidere nessuno, che… amava lei. E nessun’altra.

Era tutto così ironico. Cosa avrebbe dato adesso per tornare a un anno prima. Anche solo a pochi mesi, prima. Era colpa sua… sicuro, era stata lei, e la sua morte, a farlo... cambiare, doveva essere così. Se lei non fosse morta...Anya sarebbe stata ancora viva, perché lei sarebbe stata in grado di difenderla. Spike non si sarebbe neanche avvicinato ad Anya. Non avrebbe mai… neanche ‘pensato’, ad Anya…

 

Le stava accarezzando i fianchi…

 

Non poteva durare, lui lo sapeva. In qualche modo sarebbe finita e non sarebbe finita bene.

 

…Ma per un momento…

 

Non importava, importava solo che c’era lei, lei e non il suo ricordo, là, con lui, e…

 

Per questo, le era stato lontano.

 

Vederla era perdere ogni controllo. E adesso anche dopo mesi era la stessa sensazione. E doveva anche preoccuparsi della sua incolumità. Avrebbe potuto ucciderlo. E non sapeva se si sarebbe difeso. Forse non le avrebbe permesso di ucciderlo tanto facilmente. E allora cosa, l’avrebbe uccisa lui? tutto come prima. E non riusciva a pensare a una sola cosa alla volta, eccetto che voleva abbracciarla, piangere, baciarla e stringerla e non gliel’avrebbe permesso e allora e allora… E adesso era di nuovo ‘quasi’ tra le sue braccia. Ed era talmente sconvolta e lo sapeva, che sarebbe stata solo… questione di minuti. Poi sarebbe stata di nuovo la solita Buffy di sempre.

 

…Quasi inconsciamente si era stretta a lui. Per un secondo.

 

…Poi, aveva realizzato.

 

“Lasciami… lasciami, noi non… non possiamo stare… qui.”

 

“Tempo scaduto…”, pensava Spike, “tempo di ritornare sulla terra…”

 

Le labbra sulla sua gola. Lo sentiva ridere, sulla sua gola.

 

“Cacciatrice, cacciatrice… Insieme a te, sono risorti anche i tuoi vecchi, inutili, umani moralismi… “

Deglutiva nervosamente, sperando di convincerlo a parole.

“Spike…”

Sollevò la testa a guardarla, sorridendole, con una luce di derisione negli occhi. Passandole le dita sulle labbra, provocandola.

“Come vuoi tu tesoro ma… quella è solo una tomba.”

E questo aveva riscatenato la sua rabbia. Come aveva potuto permettergli di arrivare a tanto. Era furiosa con se stessa. Lo aveva colpito, allontanandolo con violenza, riuscendo a rialzarsi. La guardava sogghignando, ancora a terra.

“Ha tutta l’aria di voler diventare una lunga notte, vero tesoro?”

“Quella… non è… solo ‘una tomba’, Spike…” aveva detto, disperatamente. Si era fatta baciare – e lo aveva voluto- proprio…

Lo seguiva con gli occhi. Lentamente, si era rialzato e si stava avvicinando, di nuovo.

“…Quindi è solo il posto, il problema?”

“Non dire una sola altra parola…sei…”

 

Non l’aveva lasciata finire. Basta, maledizione basta. Tanto sapeva perfettamente cosa avrebbe detto dopo. L’aveva presa per un braccio e trascinata con violenza via dalla tomba.

 

“…Cosa? Volgare? Blasfemo? Oh, non starai per chiedermi se c’è ancora qualcosa di sacro, per me, vero Buffy?”

 

*No… evidentemente no…*

 

E Buffy si era liberata dalla presa, colpendolo allo stomaco.

 

…Per un attimo c’era stata solo rabbia, volontà di farle del male. Fisicamente.

Quindi l’aveva colpita di nuovo, facendola cadere a terra. E senza darle tempo di rialzarsi l’aveva sollevata e scaraventata con le spalle contro un albero.

 

“…Lontani abbastanza, tesoro?” Le aveva detto, sfiorandole la guancia con le labbra e tenendole i polsi fermi con le mani. E le sussurrava all’orecchio,

 

“O vuoi… allontanarti ancora un po’? Potremmo… mettere un chilometro tra noi e questo posto…forse… forse Anya sarebbe un po’ meno… morta? Se… saremo in una camera anonima, di un albergo qualunque, cercando di dimenticarci anche il nostro nome, Buffy?” ”

 

E le tornavano alla mente le parole di Xander, “si stancherà anche di te, resta solo da capire se durerà più di cinque mesi… sarebbe persino divertente scoprirlo…”

 

Alzò lo sguardo a incrociare i suoi occhi. Aveva smesso di cercare di liberarsi.

 

“Non… sarebbe mai lontano abbastanza. E non andrei in nessun posto con te. Mai. Sei solo un bastardo assassino. Hai ragione Spike, non è cambiato niente.”

 

E aveva ancora il paletto… E aveva capito adesso. Non glielo aveva tolto. Avrebbe potuto farlo mille volte prima, e, le aveva lasciato il paletto. Non voleva ucciderla… L’avrebbe baciata, insultata, picchiata, avrebbe fatto l’amore con lei su una tomba. Se lei gliel’avesse permesso. E se lei invece non avesse voluto… c’era sempre il paletto.

 

 

L’aveva lasciata andare. Cercando di rimanere impassibile. Altro motivo per cui non aveva voluto incontrarla. Se non l’avesse sentita ripeterlo, ancora una volta… Ma l’aveva fatto. Sembrava così simile a quel primo sogno, quel momento... quando tutto era cominciato.

 

Ma, era disposto a morire per lei? Che senso aveva? Era arrivato a un tale punto di pazzia?

La sua voce lo aveva riportato alla realtà.

 

“…Perché lo hai fatto, Spike? Dimmi… almeno questo…”

 

La guardava, la rabbia e la confusione negli occhi, ancora rossi per le lacrime, Buffy, senza più neppure una scusa per non ucciderlo… Ed era scoppiato a ridere. Una risata che l’aveva fatta raggelare.

 

“Perché l’ho fatto… Io… io non lo so, cacciatrice…”

“Ora basta, basta!” Gli si era lanciata addosso facendolo cadere di nuovo. Sembrava… divertirsi, Spike. Lo bloccava con la schiena a terra, il paletto sul cuore.

“Perché l’hai uccisa!” gli aveva gridato.

“Perché sono un vampiro. Un assassino. E’ quello che faccio… Perché magari mi è piaciuto, farlo…”

 

“Tu sei pazzo.”

Che sguardo triste aveva, adesso.

“…Si, cacciatrice. E’… vero. Sono pazzo. Ho ucciso una donna che rideva alle mie battute. Che… ballava con me. Le piaceva, ballare con me… le piaceva stare, con me… per salvarne una che per me prova solo disgusto, vero Buffy? Hai ragione tesoro, sono un pazzo…”

 

“…salvare? Che… vuol dire per salvarne…Tu mi avresti… salvato?”

Non doveva, dirglielo. Non voleva, dirglielo.

“Ho detto così? Oh, non è triste quanto si possa arrivare a mentire per salvarsi la vita?”

 

E approfittando dell’attimo di sorpresa, le aveva tolto il paletto dalle mani e l’aveva rovesciata lui sulla schiena.

 

“Di nuovo al punto di partenza cacciatrice… Ti stai distraendo…”

 

Forse… forse, se fosse stato vero…

 

“…Che cosa volevi dire prima?”

“Niente. Non volevo dire niente.”

“...Perché Anya è morta Spike? Dimmelo...”

"...Perchè, sei morta tu, Buffy ?”, l’aveva interrotta. “'Perché' te ne sei andata tu?” le aveva sibilato. “E “perché” diavolo sei tornata?”

“Cosa… c’entra io… non…”

“…Volevi, giusto? Stavi BENE dove stavi! Non è quello che mi hai detto? 'Ero in paradiso!' …Non… ci sono perché a cui rispondere, tesoro, non in questo mondo. E dobbiamo sopravvivere.”

 

“Sulla pelle degli altri? Lasciando che gli altri… paghino per i nostri errori?” Tremava.

“…è’ la storia della tua vita questa, no?” Aveva abbassato la voce. “Non lo dici sempre anche tu? Non lo pensi, sempre anche tu? Tu, paghi per gli errori degli altri… Dici che sei tornata, per un errore degli altri…”

 

"Ma perchè? In nome del…”

“…Cielo? Di cosa? In nome di ‘cosa’, tesoro? Chi credi che ci stia ascoltando?”

“Oh, ci ascoltano, Spike. Ci ‘vedono’. E ci giudicano... Dimmi perchè, ti prego…”

 

“…cambierebbe qualcosa, se fosse per quello che ti ho detto, tesoro?”

“Io credo… sì… forse… sì.”

 

*Sicuramente, sì…*

 

“...E allora, Buffy, l’ho uccisa per niente.”

“Io non…”

“Oh, sì, tesoro, che ‘capisci’…”

 

Voleva andarsene… che senso aveva continuare quella… ‘conversazione’? L’aveva lasciata andare per rialzarsi, congedarla, salutarla. Magari per sempre.

 

Persino lui, finalmente, era arrivato a credere davvero che avrebbe potuto non amarlo mai. E se anche avesse potuto, come avrebbe invece potuto superare... la morte di Anya? No, non avrebbe potuto succedere mai.

 

Ma era viva. L’aveva rivista ancora, toccata ancora, baciata ancora. Era viva, e questo bastava.

Stava piangendo, ma un giorno avrebbe smesso di piangere. Ne era sicuro. Un giorno avrebbe anche potuto essere felice...

 

Sembrava stesse per salutarla... Le restava una domanda.

 

"E chi ... ti ha chiesto di farlo?" Chi ti ha chiesto di ‘salvarmi la vita’? Credi che a me importi così tanto, di morire?”

 

Questo non poteva sopportarlo. Poteva sopportare finalmente i suoi rifiuti, accettarlo, non sarebbe mai stata ‘sua’. Ma non poteva sopportare questo.

 

“Oh, sì, che ti importa. Più di quanto tu voglia ammettere. Sei ancora qui tesoro, e sono ‘mesi’, che sei tornata… Potevi ucciderti in mille modi diversi e non l’hai ancora fatto…”

“Non ancora, Spike. Non ancora.” lo aveva detto con un tono di sfida. Quasi a dirgli, che qualunque cosa avesse fatto lui...

 

L’aveva afferrata per le spalle, scuotendola con forza.

 

“Cazzate, Buffy. Tu, sei ancora qui… Dici che non ti importa niente vivere ma sei ancora qui… Forse non allora, forse non quando sei tornata, tutta presa dal tuo ‘Paradiso’, forse allora non ti saresti difesa… E allora l’ho fatto io, perché tu, non l’avresti fatto. Ma adesso, sei ancora qui…”

 

“Sono ancora qui perché ho un… dovere da svolgere. E ho… delle responsabilità… Dawn ha bisogno di me…”

 

Le aveva sorriso quasi con compatimento.

 

“No, tesoro… tu sei ancora qui, perché… la vita non è mai ‘abbastanza’. Tu,…lo dici, continui a ripeterlo, ‘stavo bene dov’ero prima, ‘dovunque’ questo posto fosse, ma sei ancora qui…”

 

“Spike…” Continuava a stringere le sue braccia. Non l’ascoltava.

 

“…Non è MAI, abbastanza, Buffy. Io… io sono al mondo da più di cent’anni e anche per me… non è… ancora abbastanza…”

“Io…”

L’aveva lasciata andare. Posandole delicatamente un dito sulle labbra, a chiederle di non aggiungere altro.

 

“…Addio, cacciatrice. Io ora me ne vado. Volterò… le spalle, e me ne andrò. Decidi tu, cosa fare. Non ho più nessuna intenzione di difendermi, stanotte. Sono stanco… terribilmente stanco.”

“…addio?”

“…Dì a briciola che le voglio bene. E che mi manca da morire.”

 

E le aveva dato le spalle. Una mossa che un tempo non avrebbe fatto mai, che voleva dire… suicidio. Le aveva dato… il permesso di ucciderlo. Buffy era rimasta immobile, osservandolo allontanarsi. Se n’era andato lentamente, senza voltarsi, sparendo poco dopo, nella nebbia del cimitero.

 

Non riusciva neppure più a piangere.

 

 

CAPITOLO 21

 

 

“Come... dicevo, amico… nessun piano è perfetto”. Mormorò quasi a se stesso, scuotendo la testa. Davanti a loro scorrevano, inesorabili, le… solite immagini.

 

“In un certo senso, Whistler. In un certo… senso.”

 

C’era tristezza nella voce di D’Hoffryn. E una composta rassegnazione.

 

“Ehy, lo sai… questo è uno di quei casi dove vorrei aver potuto dire, 'lieto di essermi sbagliato, amico'.” Fece un tentativo di sorriso, che D’Hoffryn non ricambiò. Si alzò, sospirando.

 

“In fondo non poteva andare che così, e io sono stato un folle a voler tentare il destino.”

 

D'Hoffryn si avvicinò allo schermo. Dava le spalle a Whistler ora, che lo osservava in silenzio. Si era meravigliato che avesse acconsentito a riceverlo così… cordialmente. Non si erano salutati esattamente nel migliore dei modi e certo le circostanze ora erano persino peggiorate quindi…

D’Hoffryn gli piaceva, aveva deciso. E, forse, la cosa era reciproca. E forse, questo rendeva la sua visita obbligata appena un po’ meno penosa. O pericolosa. Sì, decise che era il momento giusto per rischiare la domanda. Del resto doveva fargliela. Verificare che D’Hoffryn non meditasse ulteriori vendette. La cacciatrice serviva, Spike per ora non era desiderato...morto. A Whistler dovevano bastare queste informazioni.

 

D’Hoffryn era calmo, freddo e rispettoso dell’ordine costituito. Sembrava.

 

...Il delatore dell’aldilà, ecco cos’era diventato. La gola profonda degli dei. Si versò un goccio di scotch.

 

“Mi… dispiace, vecchio mio. Ma… ecco… se posso permettermi…”

 

“...Te lo permetto. Avanti, fa la tua domanda.” Sorrise, non guardandolo. Osservava una scena sullo schermo che sembrava trovare… divertente.

 

“Ecco, io… dicevo se… se posso permettermi la curiosità… Voglio dire tu… Sei in un certo senso il ‘capo’ dei demoni della vendetta e…”

“Perché non ho ucciso quel vampiro?”

“…Sì.” Whistler tirò un sospiro di sollievo. Era pronto a scattare, darsi incerimoniosamente alla fuga. Chissà, i suoi ‘superiori’ avrebbero potuto decidere che lui era sacrificabile. Forse l’avevano già deciso e per questo l’avevano mandato dal demone.

 

 

“…Cioè, voglio dire tu… lui… Ha ucciso la tua a-allieva e…”

“Lui non ha affatto ucciso una mia allieva.”

 

Si voltò verso di lui. Whistler deglutì nervosamente.

 

“Come sarebbe ‘non era una tua…’’”

“Non era la mia allieva. Era una ragazza. Una... ragazza come tante.”

 

Piano amico, vacci piano. Stiamo parlando della sua pupilla e chi può dire il vecchio, qui, cosa realmente sta pensando. Potrebbe anche decidere che è tutta colpa tua, e…

 

 

“Non riesco a capire, ma in fondo non è il mio compito i-io… cioè, non devi spiegarmi, va bene così, davvero non mi riguardano queste…”

“…Aveva rifiutato.”

Whistler posò il suo bicchiere.

“Rifiutato?”

“Sì. Vedi lei… aveva detto no. Così, quella che il vostro vampiro ha ucciso era… una… giovane vita umana come tante. La mia allieva, io l’avevo già persa.”

 

Così, la sua missione era finita? D’Hoffryn aveva registrato la sconfitta e nient’altro? Poteva andarsene, allora. Solo un’ultima verifica.

 

“…Non è quello che ha detto a lui, però.”

 

Whistler non poteva dimenticare la scena della morte della ragazza. Soprattutto per la paura che aveva provato per se stesso. D’Hoffryn in quel momento era ‘davvero’ l’ultimo… essere cui desiderava trovarsi vicino. Era stato indescrivibile e indimenticabile quel momento. Subito dopo, per rispetto, aveva abbandonato la dimora del demone. E per prudenza. Ma la morte della ragazza aveva toccato anche lui. Diavolo, davvero non se l’aspettava.

 

“No, non è quello che ha detto a lui. Ma Anya era una vera professionista della vendetta. E se ne è andata così come aveva vissuto.”

C’era quasi dell’orgoglio in quest’ultimo commento.

 

“Non ti capisco. Se è come dici tu, la ragazza si è suicidata.”

“In un certo senso. In un altro, io dico che si è vendicata.”

 

D’accordo, adesso era confuso.

 

“E di chi si sarebbe vendicata, dei due infelici amanti? Oh amico spero che non fosse quella la sua intenzione. Perché se così fosse…”

 

Voleva aggiungere che non c’era alcun bisogno di vendicarsi di loro, che i Romeo e Giulietta di quella ridicola tragedia erano capacissimi di soffrire e anche in eterno, nel caso, o peggio, che magari addirittura un giorno i fatti le avrebbero dato torto, perché loro erano vivi e lei no, e lui, Whistler, aveva vissuto a lungo, e cose del genere succedevano in ogni momento, epoca e realtà parallela lui avesse conosciuto e…

 

“No, lei si è vendicata di me.”

“Di… te?”

“Proprio così, ‘amico’, eccoti una ‘storia’, che un giorno potrai ‘cantare’. La favola della bella demonessa triste. Delusa dagli esseri umani, dall’amore e soprattutto dalla vita eterna.”

“Io continuo a non capire.”

“Io non le avevo promesso solo l’immortalità, quando la incontrai, undici secoli fa, vedi io… le avevo promesso una cosa che non potevo darle perché non ce l’avevo. E così le ho trasmesso il gusto per le cose terrene che tra tutte sono il miglior sostituto che conosco per raggiungere quello che non potevo offrirle.”

“E cioè cosa? La… felicità?”

“La completezza. Perché vedi sembrano, essere la stessa cosa ma non lo sono, Whistler. Neanche tu, la conosci. Neppure io. Forse le avremo con la morte. Forse. Chi può saperlo, non è così che si dice?”

“Già…”

“E non è finita. Anya non si è vendicata soltanto di me.”

Indicò lo schermo. Ora raffigurava un giovane dai capelli scuri, da solo, in piedi davanti a una tomba. Aveva dei fiori in una mano.

 

Whistler lo riconobbe e si trattenne dal fare commenti. Perché alla vista del ragazzo gli venivano in mente solo battute idiote sull’abilità e la diavoleria femminile.

 

“…Vedi cantastorie, è questo che trae in inganno gli esseri umani. Li incanta, e alla fine li… intrappola.” Sorrideva osservando un ignaro Xander.

 

“…E’ questo. …Che, per quanto egoisti possano nascere, per quanto senza scrupoli decidano di comportarsi, per quanto insensibili riescano infine a diventare… resta sempre, una piccola, perniciosa parte di loro che non riescono a uccidere, e che se vuoi possiamo definire coscienza, o come amano chiamarla loro, anima… E che, in momenti di particolare debolezza si rafforza. E quel ragazzo non è mai stato così debole.”

“Ma non è morto”, obiettò, quasi contro la sua volontà, Whistler.

“…Può ancora…stare ‘meglio’. Ha la possibilità di… andare avanti, come dicono loro. Lei non potrà, e lui invece sì. E alla fine sarà come se lei avesse perso…”

“Tu non capisci, caro Whistler. Io lo sento, il suo dolore. Arriva a me come un... canto. Brucia, dal desiderio di vendicarsi. E io, credimi, posso dirtelo. Il fatto è che sa, che al momento può prendersela solo con se stesso. ...O almeno, questo è quello che crede lui.”

“Quello che crede lui?”

“…Perché non fa niente? Te lo sei chiesto anche tu... Perché non ha neanche provato, a vendicarsi di quel vampiro?”

“Beh amico, per paura. Forse semplicemente ha paura di morire. E sa che potrebbe morire, in uno scontro con Spike.”

“Può morire ogni notte in scontri con avversari peggiori. Potrebbe sorprenderlo nel sonno. Potrebbe almeno studiare un... piano. No, vedi non è questo. E’ la… ‘coscienza’ di cui parlavamo prima. Non se ne è neanche accorto, ed è tornato improvvisamente alle classificazioni di ‘giusto’ e ‘sbagliato’, vorrebbe uccidere l’assassino di Anya ma in ultimo sa che non cambierebbe niente per lui, e quindi non fa nulla. Potrebbe. Potrebbe fare tante cose. Potrebbe anche sposarsi, un giorno, e avere dei figli. Potrebbe persino… riuscire a convincersi di amare un’altra volta. Ma una volta che sei stato in paradiso…”

 

Whistler osservò Xander sullo schermo.

 

“E che… che mi dici della cacciatrice e di Spike, lui dopotutto resta il principale responsabile di quanto…”

“La cacciatrice..." Scosse la testa. "Quella ragazza non ha bisogno di me, cantastorie... Mi chiedo se... Beh, non dovrò chiedermelo a lungo. Tutto, passa prima o poi su questo schermo. Quanto a Spike …ricordi che dicevi a proposito del tuo vampiro, Whistler?”

D’Hoffryn gli sorrideva, e Whistler capì che la visita era terminata.

Si alzò, per congedarsi.

“Che… trabocca di umanità?”

“…Esatto. Ora dimmi, ho speranze, vendicandomi, di farlo soffrire di più?”

Whistler gli sorrise, poi si portò una mano al cappello in segno di saluto.

 

“…Abbi cura di te, vecchio mio.”

 

 

    CAPITOLO23

  

  

 

...'So I look in your direction, but you pay me no attention, do you?'

 

Osservava la casa da lontano. C’era stata una… specie di festa, un party, di saluto. Poi Buffy, Willow, Tara e Xander erano usciti sul portico. E si erano intrattenuti brevemente là. Sembrava stessero ‘recitando’ quello che doveva essere un commiato.

Non erano dei grandi attori, però.

Persino da quella distanza, poteva accorgersi che stavano solo fingendo.

 

Poi aveva intravisto la piccola passare dietro la finestra, all’interno. Stava salendo le scale. Calcolò mentalmente il tempo che ci sarebbe voluto perché Buffy fosse lasciata sola, rientrasse a rigovernare, salisse al piano di sopra. Non era molto, ma doveva bastargli. Gettò la sigaretta e si diresse verso la casa.

 

Si arrampicò sul solito, vecchio, caro albero… saltò sul tetto senza fare rumore, senza il minimo sforzo, avrebbe potuto farlo a occhi chiusi, e da là alla finestra di Dawn. Era insopportabile. Sembrava così… semplice, raggiungere quello che voleva.

 

Sentì i suoi passi salire le scale, e decise di rimanere fuori. Se si fosse spaventata, avrebbe potuto sempre dirle qualche parola da là, e poi saltare via. Non ci sarebbe voluto molto, dopotutto. Detestava gli addii.

 

E sperava di non spaventarla troppo. Quando infine Dawn entrò nella stanza, accese la luce e si accorse di lui, Spike fece appena in tempo a vedere il suo viso illuminato – un misto di sorpresa, gioia, paura…

 

E poi spense la luce. E Spike sentì il rumore della porta che veniva chiusa a chiave.

E poi la vide girarsi di nuovo, lentamente, verso di lui. Non… doveva avere troppa paura in fondo, se gli aveva dato le spalle.

Anche al buio, poteva vedere il suo volto confuso.

 

“Ciao, briciola,” disse, dolcemente.

“S-Spike. E’… è… tanto… tempo.”

Le tremava un po’ la voce.

“Lo so, piccolina. Ehy…”

Vide una lacrima scorrerle lungo una guancia.

 

“Oh, non è niente…” Tirò su le spalle. “E’ solo emotività infantile, sai, io sono ‘piccola’. Ma dicono che col tempo si guarisce.”

Ora la sua voce era più ferma.

“Certo…”

 

Si asciugò la guancia col dorso della mano, tirò su col naso. Cercò nervosamente un fazzoletto, lo trovò e guardò di nuovo verso la finestra.

 

“…Quindi… sei venuto a salutarmi, immagino. Sai che parto, vero?”

 

Non si chiese come facesse a saperlo. Lui sapeva sempre tutto. Probabilmente, spiando, ascoltando, osservando non visto. Ecco, come l'aveva saputo.

 

“…Sì, Dawn. Te lo avevo promesso.”

“…Promesso. Infatti.” Spike notò la punta di sarcasmo. “…Di proteggermi e di salutarmi. Hai mantenuto la tua promessa. Non avevi detto che non ci saremmo visti per mesi, però. Tu sei… sparito.”

“Io non… potevo venire, Dawn, e tu lo sai.”

“Già. Tutti decidono al posto mio, e io non posso far altro che accettare le vostre decisioni.”

“Io… ho… fatto… più, che prendere una decisione, tesoro…”

 

Le si riempirono di nuovo gli occhi di lacrime. La... morte di Anya, il dolore di Xander, la disperazione di Buffy. E non poter fare niente, assolutamente nient’altro che sperare che una notte…

 

“E’… meglio che io me ne vada.”

“No! No tu sei… venuto a salutarmi e-e… lo decido io, quando te ne vai.”

 

…Logico… Suo malgrado sorrise dentro di sé.

 

Poi le tese una mano, senza dire niente, e lei annuì. Si fece condurre fuori, sul tetto. Era bello, stare sul tetto con Spike. Avevano passato ore, anche intere nottate, sul tetto di quella casa l’estate prima. Ora ci andava da sola, ma non era mai, la stessa cosa. Appoggiò la testa sulla sua spalla, e continuò a piangere, in silenzio. La lasciò fare. Sapeva come consolarla, lo aveva fatto per mesi. Non la consolava, semplicemente. Si limitava ad esserci. E ad accarezzarle i capelli, mentre lei si sfogava, la testa affondata nel suo petto, e urlava la sua disperazione al mondo fino a quando non aveva più lacrime. Come stava facendo adesso.

 

Infine, Dawn si calmò, e guardò il cielo stellato sopra di loro. Doveva pur dire qualcosa no? Qualcosa anche priva di senso.

 

“Spike perché… Non abbiamo mai parlato di che bella vista si gode da quassù?…E’… bella… no?”

“Oh, non saprei Dawnie”, disse, senza pensarci. “Tutte le volte che sono venuto qui… sono sempre stato più interessato a quello che c’era da vedere… ‘dentro’ questa casa, e non fuori.”

“Già.” Gli sorrise, per la prima volta.

 

Si accese una sigaretta. E Dawn gli porse un portacenere, che lui riconobbe e sorrise.

“E’ ancora qui…”

“Sì io… l’ho tenuto giusto… in caso tu avessi voluto, sai… fare una visita.”

 

“Dawn…”

 

“Lo so. Non ‘potevi venire’. Ma... magari un giorno avresti… avresti potuto cambiare idea e… e-e poi magari c’era una spiegazione… accettabile per quello che è successo e io non…”

 

Le sorrise, scuotendo la testa.

 

…Una spiegazione ‘accettabile’. Non… c’era, una spiegazione ‘accettabile’. L’aveva fatto e basta. Non c’era niente da giustificare, da capire, da perdonare. Non voleva essere perdonato. Era una parola che non aveva molto senso, semplicemente, per lui.

Oh, l’aveva fatto in un attimo di terrore, certo, per difendere lei e Buffy, non l’avrebbe fatto in nessun altro caso, che il resto del mondo andasse all’inferno e Anya contribuisse, a lui non interessava.

Ma non avrebbe potuto dirglielo. Anche perché considerava l’ipotesi che Anya gli avesse mentito. Anche ‘mentre’, anche un attimo prima di ucciderla, lo aveva ‘considerato’. Aveva ‘deciso’, di ucciderla, non aveva perso il controllo. L’aveva uccisa per paura, e probabilmente era stato solo la vittima di questo. Della sua paura, del suo egoismo, e di uno scherzo crudele di Anya, che cercava solo un esecutore materiale della sua morte. Non era davvero così stupido da non aver pensato alla possibilità.

E aveva rischiato, perché per lui la vita umana aveva ‘davvero’un valore relativo. Alcune vite umane per lui, cioè, valevano… di più. Eccola, la differenza tra lui e tutti gli altri. Forse era solo onestà messa in pratica, chissà, pensava. Ma era una differenza che metteva anni luce, tra lui e la possibilità di essere mai accettato.

 

“Ora… ora è… finita, tesoro… Io… so, qual è il mio posto adesso. Ora… va tutto bene. Tu devi… pensare a partire, ed essere… felice.”

“Mi sei mancato così tanto, Spike…”

 

“Grazie”, fu l’unica cosa che riuscì a dire. Questa ragazzina. Questa ragazzina troppo... perfetta (per i suoi canoni, ovvio), per essere vera. E che ora se ne sarebbe andata. Sarebbe stata felice?

 

“Sai io non… credevo che sarei stata io, ad andarmene. Anche se solo per qualche mese…”

“Come… vanno le cose con tuo padre, briciola?”

Rialzò la testa, e fece un profondo respiro, cercando di calmarsi.

“…Oh… Come al solito. Solo che adesso lui… si è fatto prendere da questo sentimento, che non so come… interpretare, un… amore improvviso per la famiglia, sarà la paura della solitudine, il rimorso, chissà forse la paura della morte, starà invecchiando… In realtà… Non so esattamente se è un bene andare a fare questo lungo viaggio da sola con lui.”

 

“…Perché credi che lui voglia fare tutto questo solo per appagare un vuoto personale e non perché tu e tua sorella gli manchiate veramente.”

L'aveva detto con un'espressione alla...Giles, avrebbe detto Dawn.

“Esatto, ‘mister vampiro che sa tutto’”

“Te lo ricordi ancora.”

“Io mi ricordo...tutto, Spike.”

“Ma… allora perché parti? Voglio dire se le cose stanno così…”

 

“Vedi è che… c’è differenza, tra amare una persona, e perdonarla.”

Restò un istante... interdetto.

“Oh, non guardarmi così”, gli disse sorridendo. “Lo… diceva sempre la mamma, soprattutto quando parlava di papà.”

“Oh.”

“Solo che… Non ho mai capito ‘davvero’ se con questo intendesse dire che lo amava ancora o che lo perdonava… E’… è curioso, no?”

“…Tua… madre era una donna davvero speciale, Dawnie.”

“Oh sì, lo era davvero…”

Abbassò gli occhi improvvisamente.

“Che c’è, Dawn?”

“E’ che io non lo so, vedi. Ci ha chiesto di passare del tempo insieme, e Buffy… ha detto no. E io invece… Io, non me la sono sentita di rinunciare a dargli un’altra possibilità. E… e poi magari un giorno forse capirò, cosa voleva davvero dire la mamma…ha…senso, quello che sto dicendo?”

 

Spike annuì, sorridendole.

 

…Un’altra possibilità. Buffy non avrebbe dato un’altra possibilità neppure a suo padre. Lo capì, tutto sommato. Esistono dei limiti, e tutti, avevano oltrepassato i limiti di Buffy. E ora, che ne sarebbe stato di lei?

 

“Così, lei resterà qui…”

“…E tu?”

“Oh, io. Io… non lo so davvero.”

“Non te ne sei andato fino adesso, però.”

“Vero.”

“Ti troverò, quando tornerò?”

Le sorrise.

“E di nuovo, Dawn, io non lo so.”

“…Certo…”

“E’… meglio che tu rientri, ora. Sta diventando freddo.”

Annuì, tornarono verso la camera, l’aiutò a rientrare. E le porse il portacenere.

“Tienilo. Me lo ridarai al mio ritorno.”

“Dawnie…”

“…Lo so, Spike. Potresti non essere più qui. Ma potresti esserci. E… ricordati…”

“…Ricordarmi cosa, piccola testarda?”

“Buffy.”

Il sorriso scomparve dal suo viso.

“Io non me la dimentico mai, briciola.”

“…Bene. Tienila d’occhio.”

“Oh io non credo che abbia bisogno di me, o che qualcuno la protegga, è in grado di cavarsela da sola.”

“Intendevo dire stai attento tu. Non farti uccidere.”

Era assolutamente seria.

“Oh. Ci… proverò, tesoro. Ora però devi... dormire.”

“…Resti finchè non mi sarò addormentata?”

 

Gli venne un involontario groppo alla gola. Chissà, davvero, se l’avrebbe più rivista.

 

Le sorrise, accomodandosi sul davanzale. Indicò il posacenere e mise accanto ad esso il pacchetto di sigarette e l’accendino.

 

“Sicuro, tesoro.”

“…ti voglio bene, Spike.”

 

******************************

 

 

...But on and on, from the moment I wake,to the moment I sleep...

 

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Rimase ad aspettare che si addormentasse, come le aveva detto.

 

E anche di più, fino a che l’alba si avvicinava. Poi si decise ad entrare, baciarle lievemente la fronte e infine uscì, saltò giù dal tetto, e si allontanò da casa Summers.

 

...Sotto gli occhi di Buffy.

 

...Sapeva che era là, dalla notte prima. Solo che... stanotte, non era venuto per lei.

 

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...I'll be there by your side,

just you try and stop me...

 

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Quindi, le era sembrato semplicemente giusto, non fare niente. ...No?

Chiuse le tende. Poteva dormire ancora un po', il sole non era ancora sorto.

 

*****************************

 

...I'll be waiting in line

just to see if you care,

if you care...

 

 

 

CAPITOLO 24

 

E adesso, era rimasta solo lei.

 

Partita Willow, insieme a Tara. Lontane, anche se solo per qualche mese, da quel posto troppo triste. ...Ognuno ha diritto alla sua estate.

Partita la piccola, col padre in Europa.

 

E la sera dopo la partenza di Dawn Spike aveva visto andare via Xander.

 

Lo osservò da lontano. Più che una partenza, gli sembrava una silenziosa fuga. "Oh, sì, ragazzo mio, scappa. Troppo dolorosa Sunnydale, troppo presto, per restare da soli a Sunnydale...'

 

 

***************************

 

Non si accorse di essere stato osservato. Non c'era nessuno a salutarlo. Non c'era Buffy. Chissà se un giorno qualcosa, del loro rapporto che era stato tanto più bello di così, che non meritava di finire così, avrebbe potuto essere recuperato. Il suo ultimo pensiero lasciando Sunnydale era stato per lei.

 

Rompeva ogni cosa da piccolo, Xander. E non aveva mai capito perché sua madre lo picchiasse, per questo… Oh, lo faceva anche per tanti altri motivi. E anche senza nessun vero motivo. Ma quando accadeva perché aveva rotto qualche stupido inutile oggetto davvero non capiva. E non, perché non l’avesse fatto con intenzione (era solo talmente vivace)… No, lui sentiva che, se avesse voluto, se gliene avessero dato la possibilità, avrebbe potuto riparare tutto... quindi qual era il problema? Ma era troppo difficile da spiegare. Difficile per un bambino. Meglio subire la vendetta di un genitore frustrato per le sue stupide chincaglierie disintegrate, e all’inferno. Una volta, per vendetta e odio verso i suoi genitori, aveva distrutto intenzionalmente un vaso cui sua madre teneva moltissimo. Quanto lo amava, quello stupido pezzo di porcellana. Come si era sentito malvagio, in quella circostanza! E che senso di esaltazione! Forse aveva nove anni, a quell’epoca. Sorrise al ricordo del se stesso bambino preda della perfidia, per la prima volta…

Poi l’aveva vista piangere, mentre raccoglieva i cocci a terra. E forse insieme alla perfidia quel vaso gli aveva insegnato anche la colpa. Andò malvolentieri, sulle prime, ad aiutarla, ma quando vide i suoi occhi lucidi fu quasi sul punto di confessare il crimine per farla sentire meglio, forse se si fosse sfogata su di lui…

Ironicamente fu l’unica volta che non venne punito. E per consolarla le disse che lo avrebbe riparato, che ogni cosa può essere aggiustata, basta volerlo… E ci credeva davvero. E sua madre gli rispose che sì, avrebbe potuto tornare ad avere la forma di un vaso. Ma non sarebbe stato mai più lo stesso vaso.

 

Era un ricordo stupido. Non le aveva neanche dato credito, allora. Non le aveva, consciamente, dato ragione neppure in futuro. Non era una donna molto intelligente, sua madre. Di questo continuava ad essere convinto. Anche adesso. Solo che invece, era la pura, semplice e cruda verità.

 

La differenza fondamentale tra lui e sua madre ora si riduceva nel fatto che adesso, lui, non era più interessato neppure ai cocci.

Non sarebbe stato mai più lo stesso vaso.

 

************************************

 

 

...E così, ora, restava davvero solo lei.

 

 

 

 

  

 

CAPITOLO 25

 

“…Non può, non può essere vero,”pensò.

“Fa che non sia vero…”

 

Lesse un’ennesima volta il biglietto che aveva tra le mani da non sapeva più quanto.

 

“Stasera alle otto. 518 Farringdon Road, Motel Northern Star Camera 214” . E poi c’era la firma:

 

“…Lontano abbastanza?”

 

Riusciva persino a leggere il suo sorriso sprezzante in quel biglietto.

 

Uno scherzo di pessimo gusto? Un gioco? Un modo per… Non poteva, non poteva essere. Non sarebbe stato da lei.

 

E poi, come aveva fatto. Come era arrivato lì quel pezzo di carta senza che lui se ne accorgesse. Seccante. E pericoloso.

Poteva averlo fatto scivolare sotto la porta all’alba, l’unico momento in cui doveva essere stato troppo stanco per accorgersene.

 

O forse doveva infine ammettere che se voleva, Buffy poteva seguire ogni sua mossa senza farsi notare. Esattamente come faceva lui. Da mesi, o da sempre.

 

Quindi non era fortuna. Sentì un brivido all’idea. Credeva di essere sempre ‘così’ prudente.

 

 

…Era successo in un paio di occasioni, vederla apparire –e scomparire, veloce come era comparsa –

e…non era riuscito a reagire, a fare niente, si era solo limitato a guardarla come istupidito, solo per rendersi conto un attimo dopo che avrebbe anche potuto aver solo sognato.

Ed era anche confortante in uno strano modo. Poteva essere là ad osservarlo in ogni momento.

Anche in quel momento.

 

…Quasi. Buffy non avrebbe permesso proprio tutto, quello che aveva fatto in quei due mesi.

 

Certo, si sincerava di mettere una considerevole distanza tra se stesso e le ‘prove’, e se la incontrava era sempre a notte fonda. Sempre dopo. Tuttavia…

 

 

Tornò al pezzo di carta e gli vennero in mente altri mille pensieri sconnessi. E una rabbia sorda che cresceva man mano che realizzava che forse, persino quando non c’era… Persino quando c’era Anya, lei…

 

E poi tornava al presente. E ai ‘finalmente’.

Finalmente avrebbe potuto vederla. Seriamente. E finalmente guardarla in faccia, e finalmente toccarla di nuovo. E parlarle, questo lo spaventava ancora di più. Cosa le avrebbe detto? Beh, restava l’altra possibilità. Poteva non andare.

…Certo.

 

…Che ora era?

 

Poteva ignorare il biglietto. Non c’era bisogno di sottoporsi a un’altra commedia. Solo che…

 

Fremeva al solo pensiero di sentire la sua voce pronunciare il suo nome.

Suonava in modo così particolare. Faceva “schioccare” la “P”, ignorando quasi la “S”, non era curioso? Chissà come faceva? Lui non ci riusciva. Aveva provato a imitarla mille volte, come un perfetto idiota, e spesso tra le lacrime e le risate isteriche, la notte, e il giorno, da solo e al sicuro nella sua cripta. Nessun altro lo chiamava come lei. In quel modo dispregiativo. Buffy era capace di offenderlo anche solo chiamandolo per nome. E quante volte gli era risuonato in testa quel nome.

 

Decise che sarebbe andato. Era come se stesse aspettando quel biglietto da tutta la vita.

 

E si ricordò di tutto quello che era successo in quei due mesi in cui Sunnydale era stata solo loro. E gli altri comparse involontarie messe là per intrattenerli. Due mesi da quando erano partiti tutti. Due mesi da quando, non avendo più la scusa (solo una scusa, una misera scusa, Spike) della piccoletta, aveva cancellato mentalmente il suo indirizzo, non riusciva neppure più a pensare di avvicinarsi a casa sua.

Due mesi nei quali si erano incontrati e mai parlati. Più o meno. Una volta lei gli aveva persino salvato la vita, per ridicolo e patetico che fosse. Sarebbe morto se non fosse arrivata lei, chissà che diavolo era quella creatura contro cui si era imbattuto. Un mostro senza un piano, comunque, solitario. Ma grosso, accidenti, e feroce, e velenoso. E lei lo aveva salvato. Lui non aveva trovato niente di meglio da fare alla fine del combattimento che voltarsi e andarsene. Tanto, lei era sana e salva…

 

…Quanto aveva desiderato che lo fermasse, gli dicesse qualcosa. Sarebbe tornato sui suoi passi in un momento.

 

…Però era meglio così, sicuro, era stato meglio così. Questo si era detto a denti stretti quando capì che non lo avrebbe chiamato. Non aveva più niente da dirle. Certo.

…Assolutamente. “Le parole sono inutili, si dimenticano. Soprattutto provocano altre parole, e io ho già sentito anche troppo. Non c’è niente di nuovo da sapere”.

 

Ma il silenzio assorda… Dove l’aveva letta, questa?

 

E la giornata passava, in un’agonizzante attesa. Continuava a guardare a intervalli sempre più brevi l’orologio appeso a un muro della cripta. Tempo, tempo, maledetto tempo.

 

Pensò a quella volta che le aveva restituito il favore. Quella volta che era uscita dal Bronze talmente ubriaca che il tizio con cui stava non avrebbe dovuto fare molta fatica, per…

Un insulso nessuno, e non lui. Beh, peccato per il tizio. Si era scelto la ragazza più dannatamente sbagliata… Quella era stata l’unica parte divertente di una scena altrimenti davvero patetica. E lei non si accorse di niente! Divertente, proprio sotto il suo naso… Quella volta riuscì a toccarla. E a riaccompagnarla a casa, e a metterla a letto. Chissà se di questo si era accorta.

 

Alle cinque del pomeriggio staccò l’orologio dal muro e lo disintegrò, non senza soddisfazione.

 

“Tanto lo so, quando arriva la sera.”

 

Camminava per la cripta senza riuscire a fermarsi e a non parlare da solo.

“Vuoi vedermi? E io ci sarò, tesoro.”

 

Però quel posto, quel posto…

Non era da lei, non poteva averlo scelto per quello che immaginava. Non poteva essere.

 

E poi, in fondo, perché no… Poteva essere finalmente l’occasione che aspettava di fare qualcosa di utile per entrambi.

Basta con l’osservarla da lontano in rari momenti, basta vedere scorrere quelle inutili lacrime senza fine, basta assistere allo spettacolo del suo dolore senza soluzione. Sarebbe stato quasi un atto di pietà nei suoi confronti. Si era messo a giocare alle possibilità. Avrebbe potuto andare all’appuntamento. E ucciderla. Come, l’avrebbe lasciato al caso. Poi avrebbe potuto decidere di andarsene. E non tornare mai più. O di restare, perché no. O di morire insieme a lei. Certo, questo era perfetto. Magari aspettando la luce del sole accando al suo corpo senza vita, non era lirico?

 

Solo che gli provocava nausea l’idea.

 

“Dio Spike”, si diceva, “riesci a essere schifosamente poetico persino quando pensi alla tua morte, e dacci un taglio. Come se importasse a qualcuno, falla finita.”

 

…A lei forse importava, però.

 

Ma quel biglietto stonava. Per un sacco di motivi, uno tra i quali, poneva fine a qualcosa. Poneva fine a mesi di angoscia, e anche a quella si era abituato. Voleva togliergli persino la sofferenza di vederla da lontano e non poterla avere. Se poteva essere crudele, questa donna.

 

 

***********************************************

 

Arrivò al motel alle otto. Se a Sunnydale esisteva un posto più squallido, lui non l’aveva mai visto. Quanto doveva a quell’edificio fatiscente e alle sue camere, però. Tante stanze ‘214’.

Quando tornare alla cripta era difficile e a casa di Anya non voleva mettere piede, e…

Esitò un istante prima di entrare.

 

Non ci tornava da mesi, cancellato come aveva cancellato la casa di Robello Drive.

Era sempre più nervoso. Via via che si avvicinava aveva iniziato a sperare che fosse uno scherzo. …Quindi non era di certo uno scherzo.

Conosceva il luogo come se fosse casa sua. Si diresse all’ ‘accettazione’, così d’altra parte recitava il cartello appeso sopra un banco sul quale un uomo stava sonnecchiando, e fece squillare rumorosamente il campanello accanto al tizio semi addormentato, che sobbalzò.

 

“Oh! …Accidenti, che il diavolo ti porti, Spike!”

Spike gli rivolse un sorriso tirato.

“Ciao, Lenny. …Stanza 214.”

Lenny non si mostrò troppo sorpreso. Gli fece un sorrisetto d’intesa che Spike non ricambiò.

“Firma qui. E ti prego, ‘non’ mostrarmi un documento.” Sghignazzò porgendogli il registro, incurante della sua freddezza. Non era certo il suo cliente più terribile, tra l’altro… ed era un po’ che non si vedeva. Ma qualcosa lo fece desistere dal fare commenti sulla compagna di camera.

 

Spike si irrigidì alla vista del nome accanto al numero della stanza.

‘Emerson, A’, c’era scritto, con la stessa grafia del biglietto. Quindi, era già arrivata. E lui aveva indovinato. Solo non aveva ancora la misura di quanto.

Non disse niente. Firmò, rese il blocco all’uomo, si avviò verso le scale.

 

“Ehy, prego, non c’è di che! Fa’ come se fossi a casa tua, amico! …Tanto, la strada la conosci!”

Soppresse il desiderio di scendere i pochi gradini e spezzargli il collo. Porco schifoso. Non avrebbe mai, per nessun motivo al mondo, voluto tornare in quel posto. Buffy doveva saperlo. Aveva quasi le lacrime agli occhi per la rabbia, quando spalancò la porta della camera.

 

 

 

 

  

 

CAPITOLO 26

 

‘E’ tutta una questione di bilancio… Mai di chi ha subito i torti peggiori.

…Eccoli a darsi convegno in una stanza, a fare la conta delle proprie perdite. Chi vincerà?’

 

D’Hoffryn stava aspettando, silenzioso come sempre davanti al suo schermo.

Aspettava da millenni.

 

Non era realmente interessato alla conclusione della vicenda, non esattamente.

 

Erano i ‘perché’ ad avere catturato il suo interesse. E speranze, certo. Scommesse, sfide silenziose.

 

E la parte migliore, era che lui non ne poteva più essere responsabile. Questo gli provocava una punta di vivo piacere.

Lui, aveva già registrato le proprie perdite…

E non c’era ancora bilancio.

 

Chissà se dopotutto quei due piccoli esseri sotto di lui avrebbero fatto una differenza.

Potevano anche solo semplicemente uccidersi e questo avrebbe messo la parola fine alla storia.

 

Ma chissà invece se lo avrebbero stupito. Se avrebbero avuto il coraggio di beffare un destino che sembrava così banalmente già scritto.

 

Potevano. Potevano tutti. Ma non se ne accorgevano mai, e alla fine tutti cadevano.

 

L’eternità è lunga e un diversivo è piacevole, certo... ma quando potrebbe portare con sé il sapore del trionfo diventa necessario.

 

‘…E chissà perché le forze superiori a volte dimenticano i dettagli’.

Scosse la testa.

 

‘E’ una questione di geometria elementare… E loro guardano la figura sbagliata. La vendetta non è un processo unilaterale, non è una linea spezzata, la vendetta è un cerchio. Un cerchio che deve chiudersi.’

 

E che non si era ancora chiuso.

 

Strizzò gli occhi allo schermo riflettendo sulla sua vendetta.

 

…Nei confronti di forze che avevano giocato lui come giocavano tutti, sempre e da sempre.

Che fingevano di dare opzioni illusorie e in realtà erano solo altri anelli di una catena già preventivamente forgiata. Chissà, chissà, se prima o poi qualcuno avrebbe trovato l’anello difettoso, e chissà, se questo fosse successo, se…

 

E se c’era qualcuno che aveva ricevuto in dono finora i pezzi più perfetti erano proprio i due in quella stanza. Dal loro destino dipendeva in un certo senso anche il suo… O forse no. Ma ne dipendeva una maledetta soddisfazione, e all’inferno, si prendeva quanto si poteva.

 

‘…E’ solo una questione di bilancio…’

 

 

    FINE.