Fanfiction
ospitata per gentile concessione del Bloodylove in attesa di
riuscire a rintracciare l'autrice.
DOPO
Autore:Alex
Genere:Action, Drama, Team-Fic, WIP
Fandom:BTVS/ATS
Rating:R
Personaggi:
Buffy,
Salve a tutti è la prima volta che
posto una fanfiction. Questa storia si svolge subito dopo gli eventi narrati nell'ultimo
episodio della settima stagione (Chosen), ragion per cui, contiene Spoilers
rilevanti, per chi segue gli episodi trasmessi in italia senza anticipazioni.
Qualche spoiler anche per la serie Angel. -
PROLOGO: sogno
È possibile, in un inferno di fiamme,
trovare la redenzione? È possibile, in mezzo a questo dolore, trovare una via
di fuga? È possibile che dietro questa luce, che brucia e consuma la vita, si
nasconda la pienezza del senso di ciò che siamo, del nostro scopo, della nostra
vittoria?
Ancora una volta… qui, costretta a
riviverla.
Ma ora sento tutto: il calore delle
fiamme, la polvere delle macerie, la terra tremare. Tutto quello che, quel
giorno, ho percepito come addormentato, ora lo avverto con più consapevolezza,
nel sogno… sempre lo stesso da quando il mio mondo è crollato.
Eppure non riesco ancora a lasciare le
sue mani e l’intensità del fuoco è così forte, vorrei tanto poter piangere per
spegnere quelle fiamme, ma non ci riesco… persa nel suo dolore. Avrei voluto
chiudere gli occhi e appellarmi a qualche potere per portare tutto indietro.
Voglio farlo ora, far finta che questo
sogno sia la mia chance per rimediare a questa perdita. Ma lo sento parlare. È
il calore che parla, è la sua anima. Mi dice di non mollare, quando io desidero
così tanto esplorare di nuovo quella pace, ma insieme a lui…
Tutto trema e io inizio a scappare,
mentre lui grida nella mia mente, è mostruoso, è pauroso. Quel grido lacera i
miei sensi e io mi faccio strada tra le macerie alla ricerca di uno spiraglio in
mezzo a quella polvere. Continua a gridare, e il suo grido diventa il mio
grido.
Non credo sia andata così, non
immediamente intendo. Mi trovo nel deserto e continuo a correre, gli occhi mi
bruciano, e il mio pianto, soffocato in gola, mi impedisce di respirare. Sento
la sabbia divorarmi i piedi e la corsa farsi sempre più stancante, mentre la
terra pian piano mi inghiotte e, nel desiderio realizzato, torno a morire.
Che succederà ora? Dovrei saperlo,
ricordarlo… sono poche le persone che hanno la fortuna di morire sapendo cosa
gli aspetta. Dovrei essere tra le poche fortunate? E allora perché niente di
tutto questo mi sembra familiare? Perché c’è così nero laddove vivevo di eterna
luce?
Cosa fare ora? Sono immobile,
imprigionata dentro al buio, e non riesco ad urlare. Forse me lo merito, è la
mia punizione per aver richiamato la volontà di sottrarmi al peso del mondo,
ancora una volta. Ma è stato un attimo, un terribile attimo umano e privo di
senso nell’immagine del suo viso, nei suoi occhi. Non era questo che mi
chiedeva e, per lui, sarebbe stata la cosa più sbagliata. E allora voglio
emergere… voglio riprendere il controllo, smuovere il mio corpo, accettare
tutto, ricominciare tutto. Ma non ci riesco… e ho la terribile sensazione che
qualcosa mi stia trattenendo.
Ma non è il mio corpo immobile… no,
questo non è il mio corpo immobile, questo non è…
il mio corpo!!!
Il risveglio.
Buffy aprì gli occhi, sgusciando fuori
dal sonno. Sopra di lei vide la tela illuminata dalle torce che stavano
all’esterno. I bagliori le conferivano un aspetto pallido, biancastro e Buffy
respirava a fatica. Sobbalzò alla ricerca di uno spazio attorno a sé. Poi tornò
distesa a riprendere il respiro scoprendo di avere abbastanza spazio per
muovere il suo corpo.
A volte, svegliandosi, aveva la
sensazione che il suo senso della prospettiva si fosse ridotto e, in quei casi,
riaffiorava l’incubo del suo ritorno in vita, schiacciata dalle pareti di una
bara.
Chiuse gli occhi nel tumulto del suo
cuore, respirò profondamente solo per capire che non sarebbe stata in grado di
riaddormentarsi. Si alzò di nuovo, raccogliendo le forze per sgusciare fuori
dalla tenda.
Di lì a pochi passi, Xander poggiava
la testa su un sacco di sabbia, con addosso una coperta. Era il suo turno di
guardia, ma il sonno aveva preso il sopravvento sul suo compito. Il falò di
fronte al ragazzo, stava spegnendosi tra poche ceneri roventi.
Ceneri.
Buffy fece emergere un sorriso e andò
oltre, per scrollarsi di dosso quel senso di immobilità che ancora la
possedeva. Il cielo era abbagliato da microscopici diamanti, ma in lontananza
erano ancora ben visibili le nubi che raccoglievano i fumi di Sunnydale.
Buffy si sedette su un piccolo ammasso
roccioso, non voleva allontanarsi troppo; aveva promesso a se stessa che non lo
avrebbe più fatto. Lo schoolbus macchiava l’oscurità del paesaggio deserto,
reso incandescente dalla luce lunare.
La notte.
Buffy non riusciva a seguire il filo
dei suoi pensieri, mentre tornava a guardare le cinque tende sistemate una
accanto all’altra. E in quelle cinque tende… la sua vita.
La vita.
Spike.
Non erano gli echi del sogno, ma i
ricordi di tre giorni fa a rendere tutto così strano. Quell’aria che respirava,
era diversa. L’odore e i rumori del deserto erano diversi. Eppure era la sua vita.
Diversa, da quando Spike era annegato in quella luce.
Nel silenzio di quella notte si chiese
quando sarebbe passato, quanto tempo ci sarebbe voluto per capire dove andare,
verso quale direzione e con quale scopo.
E soprattutto i sogni, quando sarebbero
cessati? Ogni notte, costretta a riascoltare quel lamento. All’inizio sempre lo
stesso. Vedeva Spike travolto dal potere dell’amuleto, in attesa di comprendere
la radice di quel dolore. Riascoltava i suoni della lotta nella Bocca
dell’Inferno e il senso di colpa per aver affidato a Spike il pesante fardello,
inconsapevole delle conseguenze. Lo sentiva amarla con le ultime forze residue,
mentre la luce della sua anima ne consumava le spoglie immortali e spazzava via
il male. Riviveva tutto questo, prima di immaginare il crollo che lo avrebbe
travolto, spegnendo la luce del sacrificio, e inghiottendo la città e sette
anni delle loro vite.
Le restava il ricordo, così pesante da
annientare la facoltà di pensare, riflettere… decidere.
Buffy giaceva nella sua stessa mente,
ripercorsa continuamente da immagini e sogni.
Aspettava, seduta su quella roccia.
C’era qualcosa nell’aria e non era solo la paura di ricominciare da capo, no.
Qualcosa la stava chiamando, e lei non
si sarebbe allontanata da quel deserto prima di aver scoperto cosa fosse.
CAPITOLO 1
Rupert Giles salutò il nuovo giorno
dai vetri sporchi di un pulmino scolastico. Andrew dormiva ancora,
rannicchiato, in fondo al bus, sull’ultima fila di poltroncine in legno. Giles
sbirciò ancora dal finestrino, verso l’accampamento, ma non scorse nessuno. Il
cielo era ancora pallido e, uscendo dal bus, l'aria che lo investì non era
ancora stata riscaldata dal sole. Il paesaggio del deserto appariva ancora più
irreale, quel giorno. Non appena poggiò i piedi per terra fece un gesto quasi
istintivo: raccolse nella sua mano un po’ di quella sabbia portandola fino al
naso per annusarla. Non riuscì a spiegare il motivo di quell’azione, ma, forse,
cercava solo di collegare un’origine materiale alla sensazione che riempiva la
sua anima.
Osservò le tende, chiedendosi dentro
di se, quando sarebbe giunto il momento di riprendere il viaggio. Si sentiva un
fuggitivo, quando invece avrebbe dovuto ritenersi un sopravvisuto. Lo sapeva.
Buffy credeva che quello fosse il
luogo per rimettere ogni cosa al suo posto e una parte di Giles era con lei in
quella decisione. Avevano affrontato la fine… e l’avevano superata, come
sempre. Ma stavolta non era così semplice.
«Buona giornata, Osservatore» disse
una voce da dietro. Giles si voltò. Buffy era lì e veniva verso di lui, con i
capelli agitati dal vento dell’alba.
«Ben svegliata, Cacciatrice» rispose
con un sorriso.
Giles lesse un velo di tristezza
attraversarle il volto. Gli occhi della ragazza non mentivano, non tradivano i
suoi pensieri né la sua stanchezza. Buffy ricacciò con la mano una ciocca di
capelli scivolatale sulla fronte.
«Cacciatrice si, ma non più
Prescelta.»
«Hai dormito poco?» domandò lui.
«Poco… e male.»
«Brutti sogni?»
«Come sempre. Quando gli incubi
quotidiani cessano… i demoni ti tormentano nei sogni. Che vuoi farci? Non mi
sono ancora abituata alla… normalità.»
«Questa non è la normalità» suggerì
Giles. Buffy strinse le sue labbra e annuì distogliendo lo sguardo. Giles piegò
la testa per osservarla meglio, nonostante gli evidenti segni di spossatezza,
sembrava illuminata da una luce che non aveva mai visto prima. Improvvisamente
le appariva più bella e luminosa di quanto fosse mai stata.
«Xander si era addormentato, gli ho
ceduto il posto» disse lei distrattamente.
Giles lanciò un’occhiata alla coperta
di fronte ai resti di un falò, nel posto in cui Xander avrebbe dovuto restare.
«Ci sono tante cose da fare, Buffy.»
«E presto sarà il momento di farle.»
«Presto? Quanto presto?» domandò lui.
«Non lo so… non lo so ancora. Cerca di
dirmi qualcosa, ma… non so ancora di che si tratta.»
Giles accigliò il voltò. «Di chi
parli?» le chiese.
Buffy scosse il capo incapace di
trovare una risposta. Giles prese a guardare all’orizzonte, improvvisamente colto
dal desiderio di tornare nella civiltà.
«Lo senti anche tu, vero? Questo
strano odore» chiese lui.
«È tutto intorno a me, e dentro di me.
Mi sovrasta, mi sommerge, mi indica una strada, ma non riesco a vederlo» disse
lei.
Giles annuì.
«Cos’è cambiato?» gli domandò «Voglio
dire, crede davvero che sia cambiato qualcosa? Crede davvero che la nostra vita
sia stata cambiata per sempre?»
Giles incontrò di nuovo lo sguardo
della sua Cacciatrice. Occhi ansiosi di conoscere, proprio com’era stato
all’inizio, una ragazza costantemente alla ricerca di un punto fermo, di una
guida, alla ricerca di risposte, nell’incertezza del futuro. Sorrise dinanzi a
quell’evocazione.
«Niente è per sempre, Buffy.» Dovresti
saperlo avrebbe voluto aggiungere, ma preferì chinare il capo e lasciarla sola.
Presto gli altri si sarebbero svegliati, e sarebbe arrivato il momento di
reagire, di decidere, tutti insieme.
***
Willow se ne stava distesa, con la
testa poggiata su un palmo della mano, ad osservare Kennedy. La ragazza dormiva
ancora, avvolta per metà nel suo sacco a pelo, ma Willow sapeva che di lì a
poco si sarebbe svegliata.
E la ragazza emerse dal sonno. Non
appena aprì gli occhi, Kennedy, venne accolta dal sorriso di Willow «Sapevo che
eri sul punto di svegliarti» disse quest’ultima, stringendo gli occhi mentre
andava, con una mano, ad accarezzarle il viso.
«Uhm, non dirmi… stavo rantolando e
bofonchiando come faccio sempre?»
Willow si fece più vicina a lei,
cingendola con un braccio «E invece no, non ti ho mai vista dormire così
tranquilla.»
«Ha a che fare col tuo essere strega?»
«Forse, può darsi» rispose la rossa «è
strano, è… difficile da spiegare. Ma lo sento. Sento ogni cosa… sento il tuo
respiro… anche mentre sto dormendo.»
«Oh mio Dio… non avrò iniziato a
russare, vero?»
Willow iniziò a ridere. «È un modo
gentile per dirmi che russo terribilmente?» proseguì Kennedy. Era un piacere
vederla ridere. Quando la connobbe Willow era profondamente concentrata su
stessa, sulle sue paure, sul suo senso di insicurezza…Ogni passo che compieva
verso di lei aggravava il senso di colpa che covava dentro di sé. Poi
subentrava la lotta per sconfiggerlo, solo per compiere un altro passo avanti e
prepararsi ad un nuovo conflitto con se stessa. D’altronde il mondo stava
finendo e loro dovevano salvarlo dalla distruzione, non c'era tempo per
riflessioni o rimpianti.
Kennedy, in quel momento, desiderò che
quella risata proseguisse in eterno, ma la zittì con un bacio.
«Allora? Di cosa si tratta?» domandò.
«Qualcosa di grande» disse Willow «Una
forza, enorme… potente. È una connessione con tutte le Cacciatrici che la mia
magia ha attivato… e con te, con te è più forte.»
«Ti spaventa?»
«No» rispose la strega sorridendo «per
la prima volta sento la forza dirompente di tutta questa energia… e riesco a
controllarla.»
Kennedy le diede un altro bacio poi si
portò verso la tenda, sollevandone
un lembo per sbirciare fuori. «Credi
che gli altri siano già in piedi?» domandò.
Willow si mise a sedere «Rona e Vi
sono con Buffy, poco distanti da qui, è un posto dove il terreno è meno
roccioso.»
Kennedy le rivolse uno sguardo
stupita, aggrottando le sopracciglia «è questo che intendevi con
“connessione”?»
«Si, più o meno. Credo dovresti
raggiungerle.»
Kennedy osservò la sua compagna compiaciuta
«lo farò» rispose.
***
Andrew e Xander erano di ritorno da
una visita di rifornimento presso il più vicino centro abitato. Spostarsi con
un bus scolastico rendeva tutto più difficoltoso, soprattutto agli occhi della
gente, ma dopo un po’ si smette di farci caso, soprattutto quando un’intera
città viene risucchiata da un’immensa voragine, e solo dopo esser stata,
misteriosamente, abbandonata da tutti i suoi abitanti.
Kennedy e Willow stavano uscendo dalla
loro tenda. Andrew diede loro il buongiorno mentre l’altro si limitò ad un
cenno della mano. Esausto, Xander, lasciò cadere a terra un enorme busta di
cartone per la spesa «latte, cerali, biscotti… e poi una decina di bisteccone,
ho una fame» esclamò.
«E questa…» disse Andrew mettendo una
mano nella scatola che, a sua volta, portava in braccio «è la sorpresa!»
Il ragazzo estrasse fuori una piccola
radio portatile elargendo un sorriso che non incontrò parecchia condiscendenza
tra le ragazze.
«Ha insistito tanto…» si giustificò
Xander, stringendosi tra le spalle.
«Bhè…» disse Andrew «giusto per… avere
notizie dal mondo. Sapete… prima che… prima che Buffy decida di riprendere in
mano la sua vita, e le nostre. Perché lei è il capo, giusto? Uhm?»
Kennedy poggiò una mano sul fianco di
Willow e le sussurrò: «Raggiungo le altre» Willow piegò il capo guardandola
allontanarsi verso un pendìo, poi si rivolse ad Andrew, sforzandosi di
sorridere: «Bhè… è una fantastica idea… quella… quella della radio.»
Andrew si sedette per terra iniziando
ad armeggiare con il suo nuovo giocattolo. Inserì le batterie e premette il
pulsante per l’accensione.
Nel silenzio del deserto si diffuse
imponente… un fruscio.
Andrew provò a cambiare la frequenza,
mordendosi le labbra tra i denti, e scrutando da vicino l’aggeggio per controllare
di aver azionato i tasti giusti. Niente.
Anche Xander sembrò deluso «Lo sapevo!
Ricezione ZERO!!!» gridò.
Andrew sbuffò deluso, alzando gli
occhi al cielo.
«Ehi… vi arrendete così facilmente?»
chiese Willow. Xander le lanciò uno sguardo interrogativo. Willow si poggiò per
terra con le ginocchia, di fronte ad Andrew e pose le mani sull’oggetto che il
ragazzo aveva in mano.
«Willow?» chiese Xander «che stai
facendo?»
«Devo solo amplificare il segnale.
Potenziare le onde elettromagnetiche che lo trasmettono per agganciarlo al
ricevitore» rispose lei chiudendo gli occhi.
Il fruscio del trasmettitore sembrò
farsi più debole.
«Woah, sei in grado di farlo?» chiese
Andrew «Voglio dire… hai plasmato le regole e le forze della linea delle
Cacciatrici a tuo piacere, è ovvio che sei in grado di far arrivare…»
La radio prese a parlare: «E ci
colleghiamo con la città di Sunnydale dove ci aspetta il nostro…»
«Il Segnale!» esclamò Andrew
soddisfatto.
***
Kennedy le osservò dall’alto. Buffy dettava
le istruzioni e Vi e Rona eseguivano… ma qualcosa rendeva questo allenamento
diverso da tutti gli altri. Qui c’era la magia, il potere.
Tre roccie erano state sistemate in
cerchio. Buffy poggiava la mano destra su una di esse, reggendo sul palmo il
resto del suo corpo, perfettamente in verticale e in equilibrio; su una sola
mano. Vi e Rona, a loro volta, erano concentrate nel tentativo di imitare la
posizione della Cacciatrice.
Dopo un po’ Buffy spostò il peso del
corpo su una gamba, andando ad assumere la posizione di partenza, con i piedi
piantati per terra e le braccia protese in avanti.
«Non aprite gli occhi, non guardate
me» diceva «ma guardate al vostro istinto. Sarà l’istinto a guidarvi, suggerirà
al vostro corpo… le vostre azioni. È in me, così com’è in voi… ed è lo stesso.
Lo stesso impulso, la stessa forza.» Le ragazze avevano gli occhi chiusi,
respirarono a fondo alla ricerca della spinta. Le loro membra vennero percorse
da una forza straordinaria e fu quella scossa a muoverle.
In pochi movimenti assunsero tutte e
due la posa di Buffy.
Kennedy sorrise, quasi commossa.
«Stamattina Buffy mi ha chiesto se è
cambiato qualcosa» disse Giles arrivando dietro la ragazza «non credo che se ne
renda conto.»
I due rimasero a fissare le tre
Cacciatrici avvolte nella sabbia sollevata dal vento, muoversi all’unisono nel
celebrare l’unione delle loro menti.
«L’amarezza, la solitudine, la
diversità, la paura, la rabbia. Tutte sensazioni che ogni Cacciatrice, a questo
mondo, ha sempre dovuto affrontare» continuò lui.
Buffy saltò sulla roccia e poggiò il
piede destro con forza per ricevere la spinta che l’avrebbe sollevata in alto.
Kennedy chiuse gli occhi in attesa di
essere trascinata in quel vortice. Lo sentì nascere, all’interno del suo corpo
e poi espandersi, travolgendola.
Si lanciò in aria… verso di loro. Nel
loro salto le Cacciatrici portarono le ginocchia al petto, roteando in aria,
lasciando che la forza le cullasse in quella danza.
«Ma ora è diverso. Perché non è più
sola.»
***
Benvenuti a Sunnydale, o ciò che ne
rimane.
Gruppi di sismologi, geologi, esperti
di tutto il mondo giunsero sul luogo della devastazione poche ore dopo il
crollo; il fato della piccola cittadina Californiana, attirò subito
l’attenzione del mondo.
Una delle prime ipotesi emerse
attribuì la responsabilità del crollo ad una scossa sismica di altissima
intensità, capace di provocare l’apertura di grosse e numerose voragini nel
terreno.
Gruppi di scienziati e studiosi erano
ancora tutti al lavoro per determinare la composizione e la stabilità del
terreno, prima che le squadre di soccorso iniziassero la loro missione
impossibile sotto lo strato di macerie.
Ma un uomo vagava in mezzo a tutto
quel caos, alla ricerca di qualcosa che ponesse fine al senso di disperazione
che lo invadeva. Qualsiasi cosa, purchè si distinguesse dai resti di una
cittadina abbandonata. Una voce, un odore… una percezione.
Quell’uomo se ne fregava di tutte le
storie imbastite ai telegiornali, delle ipotesi dei migliori ricercatori del
mondo. Sunnydale era una maledetta città posta sulla Bocca dell’Inferno, questo
poteva bastare.
Il fumo copriva il sole abbastanza da
permettergli di girare allo scoperto, senza bruciare, nonostante avesse tanto
voluto farlo. Sunnydale lo aveva accolto per così tanto tempo, perfetto rifugio
per un vampiro come lui, prima di incontrare
Qualsiasi uomo, in mezzo a quel caos,
non sarebbe stato in grado di distinguere nulla. Ma il vampiro si trascinò nel
punto esatto in cui doveva trovarsi l’apertura originaria della Bocca
dell’Inferno. Furono i suoi sensi a condurlo lì… e iniziò a scavare,
disperatamente; affondava le sue mani tra le macerie, una dietro l’altra,
continuando a scavare per far fronte alla sua furia. Gridava il suo nome, il
nome della Cacciatrice… Buffy.
Il terreno ancora instabile cedette ai
suoi movimenti, sentì le sue gambe scivolare su blocchi di cemento e terra
mentre perdeva l’equilibrio e arrancava con le mani insanguinate alla ricerca
di un appiglio. Il terreno franò sopra di lui, e la radici, alle quali le sue
dita si erano avvinghiate nel tentativo di risalire, piovvero in profondità con
il suo corpo. La terra gli riempì presto la bocca e penetrò nelle narici.
Fortuna che non devo respirare, pensò.
Gli parve che una porzione solida di
terreno fosse abbastanza stabile per tentare di riaffiorare in superficie. Ma,
quando vi si poggiò, cedette anch’essa, e lui continuò a precipitare, sempre più
in fondo.
Sepolto, sotto metri e metri di
terreno, raccolse tutta la sua concentrazione nella speranza di ricevere un
segno della presenza di lei. Ma riuscì solo a percepire l’odore del suo sangue,
e il puzzo della terra bruciata.
Angel non poteva neanche chiudere gli
occhi, il terreno gli schiacciava le pupille. Decise di restare lì, avrebbe
riposato, finchè non fosse giunta la notte a restituirgli le forze. Poi sarebbe
risalito, per continuare quella folle ricerca.
CAPITOLO 2
Erano in viaggio già da cinque ore,
con una vecchia auto noleggiata il giorno prima vicino Oxnard. Xander era stato
gentile ad accompagnarli lì, ma forse, aveva solo voglia di evadere un po’ dal
gruppo. Faith glielo aveva letto negli occhi, li aveva quasi invidiati a loro
due, a lei e Wood, ed era certa che si sarebbe unito alla missione e senza
esitazione se solo glielo avessero proposto.
D’altronde, anche Wood sembrava
ansioso di mettersi in viaggio. Faith si domandava se quella decisione non
rientrasse in una subdola ottica maschile per passare un po’ di tempo con lei.
Subdola? Perchè?
In effetti era chiaro: quell’uomo non
vedeva l’ora di restare solo con lei. Quell’evidenza supponeva la normalità?
Era un comportamento normale?
La ragazza si sforzò di capirlo, ma
concluse che l’unica cosa che avrebbe potuto fare... era avere fiducia.
Fiducia, una parola un po’ grossa,
incompatibile con un passato come il suo. Un passato che le aveva solo
insegnato a mettere avanti le braccia e ad erigere barriere nei confronti del
mondo.
Adesso era ora di smetterla. O almeno,
provare a smettere.
Il punto è che non aveva mai permesso
a nessuno di invadere il suo spazio e, di riflesso, non aveva mai permesso a se
stessa di entrare nello spazio di un’altra persona per conoscerla, anziché
invaderla.
È per questo che non riusciva a
decifrare oggettivamente il comportamento di Robin Wood.
Decise, pertanto, di non pensarci e
mettere in pausa, per un po’, la sua personalità.
Nonostante tutto, in un momento come
quello, non le sarebbe dispiaciuto rimanere nel gruppo. Avrebbe affrontato ogni
cosa con calma, avendo il tempo per metabolizzare il cambiamento. Anche lei lo
avvertiva. Sentiva che il suo processo di rinascita era appena iniziato.
Era successo mentre erano ancora nella
Bocca dell’Inferno, prima che Spike esplodesse. Stava combattendo contro quei
Super-Vampiri… e ogni colpo che sferrava… in ogni demone che si dissolveva
dinanzi a lei… rivedeva se stessa. Non
Era passato un po’ di tempo
dall’ultima volta che era entrata negli occhi della sua parte più oscura,
comprendendo come la sofferenza, a volte, può generare l’orrore e la
solitudine, l’incomprensione, in un processo senza limiti, né durata,
alimentato dalla rabbia e dalla paura. Tre anni fa, in quella chiesa, nel corpo
di Buffy, aveva capito come questi sentimenti, se non coltivati, possono
diventare la cellula del male, e diffondersi, propagarsi… invadendo,
cancellando, distruggendo la razionalità, e trasformando l’anima, plasmata
nelle sue parti più buie.
Ora non sentiva neanche il bisogno di
spiegarlo, sentiva che l’energia diffusa da Willow aveva invaso tutto lo spazio
attorno e dentro di sé. Forse, per la prima volta, aveva davvero compreso
qualcosa… sull’essere una Cacciatrice.
È per questo che aveva accettato di
mettersi in viaggio; non era solo la compagnia di quell’adorabile nero, Faith
aveva avvertito il peso e la responsabilità della missione.
«Quanto manca?» chiese a Wood con lo
sguardo rivolto al finestrino.
«Ancora un’oretta» rispose lui al
volante «mi auguro solo che non sia un buco nell’acqua.»
«Non lo sarà.»
«Vorrei solo che Willow ci avesse
fornito maggiori dettagli.»
Faith restò in silenzio.
Il giorno dopo la distruzione della
città, Willow aveva avvertito una forte turbolenza nella linea delle
Cacciatrici.
Dopo aver utilizzato la falce per
distribuire il potere delle Cacciatrici in tutte le Potenziali sparse per il
mondo, era stata invasa da una marea di nuove sensazioni, nuove percezioni.
Diventava difficile distinguerle. Ma questo era come un grido, come una
sensazione di dolore, difficile da sopportare.
Giles le aveva consigliato di
utilizzare, ancora una volta, la falce per mettersi in contatto con l’energia
mistica che costituiva la radice originale di quel potere. E così aveva fatto.
In un piano alterato di coscienza Willow era entrata in connessione con quella
sorgente ed era riuscita, non senza un enorme sforzo, ad isolare quella voce da
tutte le altre. Si trattava di una delle Nuove, un’inconscia richiesta d’aiuto.
Solitudine, rabbia, paura… Faith conosceva
queste emozioni, Fuga. Willow aveva tentato di resistere fino all’ultimo, alla
ricerca di un’informazione che potesse fare da guida. Prima di crollare,
inerme, per esser raccolta da Kennedy e Giles, disse qualcosa: “Hayward”.
Hayward è una cittadina a circa
Se n’era discusso, tutti insieme, in
gruppo e alla fine Faith e Wood avevano deciso di andare per primi. Buffy
voleva restare lì un altro po’. Aveva detto che voleva ritrovare se stessa
prima di rimettersi in viaggio. Aveva anche detto che c’era una forza che la
tratteneva lì e che credeva giusto prestarle ascolto. C’erano tante sensazioni
lì… Faith pensò che Buffy fosse tormentata dal senso di colpa o provata dalla
rabbia e dalla solitudine per il destino di Spike.
«Che faremo?» chiese ancora Wood «Una
volta arrivati ad Hayward?»
Faith si passò una mano tra i capelli
«Credo che lo sentiremo. Forse, una volta arrivati lì, sarò io a suggerirtelo»
«Bhè… Lo spero» rispose lui, mentre
alzava gli occhi per guardare, attraverso il vetro, il cartello direzionale
posto in alto, al centro della strada.
A Faith sembrò agitato, non le era
apparso così nervoso neanche il giorno dell’attacco. Ciò la fece sorridere.
Può darsi che fosse qualcos’altro ad
innervosirlo… ma Faith si tratteneva dall’elaborare pensieri in merito.
Fu una lotta con se stessa ma alla
fine riuscì ad obbligare la sua mano a spostarsi sulla sua, già poggiata sul
cambio.
Quel gesto riuscì a farlo sorridere, e
lei, negli angoli remoti della sua mente, pensò a quella Faith che aveva
creduto che fare il male fosse l’unico modo per suscitare reazioni.
Quella Faith non aveva capito niente.
Quel sorriso, Dio, e quella stretta…
erano in grado di ripagare ogni sofferenza.
***
«Prima ti ho vista, insieme alle
altre» le disse Giles.
Buffy si mise la mani in tasca e chinò
il capo. Aveva appena finito di allenare le ragazze. Stava tornando
all’accampamento, dai suoi amici, quando Giles l’aveva raggiunta.
«Si» rispose, guardando per terra
mentre continuava a camminare; Giles le si affiancò nel passo.
«Sono state loro a chiamarmi» proseguì
lei «È stato… bello, il loro primo allenamento da Cacciatrici.»
«Lo ricorderanno per il resto della
loro vita» disse lui, fermandosi, incrociando le braccia nel tentativo di
capirla fino in fondo.
«Oppure finiranno per dimenticarselo»
ribattè lei mentre tornava a guardarlo «chissà… per me è stato così, senza
offesa.»
Giles sorrise: «Non ero ancora il tuo
Osservatore» precisò.
«No è vero» ribattè lei, allungò gli
angoli della bocca in una smorfia, più che in un sorriso «però non lo ricordo
comunque». Poi alzò le mani e corrugò la fronte «Sono fatta così, memoria
breve» disse picchiandosi in testa con una mano.
«Cosa pensavi, mentre eri lì, con
loro?» le chiese lui, riassumendo un espressione di estrema serietà.
«Non lo so. È stato… diverso da tutte
le altre volte. Voglio dire… per essere una Cacciatrice, ho avuto la fortuna di
incontrare altre come me. Prima Kendra e poi… Faith. Ma con loro…»
«...è diverso» continuò lui.
«Già» rispose, poi dopo un po’ «Lei
crede che c’entri Willow? Ë stato il suo incantesimo?»
«Non è stato solo un incantesimo
Buffy. Ho visto quello che hai fatto con Rona, Vi e Kennedy, non era un
semplice allenamento.»
«No, non lo era» confessò lei.
Giles aspettò che proseguisse ma Buffy
camminò verso una parete rocciosa, l’accarezzò con una mano prima di sedersi per
terra. Lui fece altrettando, sistemandosi accanto a lei.
L’insieme di ciò che avevano
realizzato li aveva riavvicinati, tutti. Ma negli ultimi tempi qualcosa stava
cambiando. Giles avrebbe desiderato abbracciarla e stringerla, come se fosse la
cosa più naturale in un momento come quello. Non era di questo che Buffy aveva
bisogno, e sepolti sotto la sabbia sentiva il fardello dei vecchi rancori. Si
dibattevano come rimorsi dentro di lui, e ancora lo trattenevano.
Buffy posò le mani sulle ginocchia e
disse: «Siamo già stati qui, è stato lei a portarmici, ricorda?»
Giles fece di si col capo «speravamo
di rintracciare uno Spirito Guida, che ci avrebbe aiutato contro Glory.»
«Oh, quella Guida mi indicò la strada.
La morte. » Buffy sorrise per l’ironia della situazione «Crede che lo avrebbe
fatto se sapesse che mi sarei ritrovata qui?»
Giles riflettè, mentre socchiudeva gli
occhi e allungava un dito per spingersi gli occhiali sopra naso. «La nostra
comprensione è limitata, non possiamo neanche presumere di arrivare a capire
determinate forze. È per questo che… credo che lo avrebbe fatto comunque. Ti
avrebbe indicato la stessa strada, si.»
Buffy annuì e tornò a guardare il
cielo.
«Siamo qui per lo stesso motivo?»
domandò lui «Speri che ti suggerisca qualcosa?»
«Non è così semplice.»
«Non ho mai detto che lo fosse.»
«Non sto aspettando un segnale. C’è
qualcosa nell’aria, la sento.»
«La sento anch’io, questo posto è
pieno di energia Buffy… scorre tutt’intorno ed è palpabile. Credo che anche noi
ne siamo carichi, ed è per questo, forse, che ne veniamo attratti.»
Buffy scosse la testa: «No. Non si
tratta solo della forza… è nei miei sogni. Qualcosa mi sta chiamando Giles.»
«Credi sia
Ancora una volta, scosse il capo: «Non
lo so.»
Un fremito corse lungo la schiena di
Giles. Quella parole, quel suo sguardo. Avrebbe tanto voluto non conoscerla
così bene, per scacciare quel sospetto. Quelle tre parole potevano
distruggerla, Giles lo sapeva. Era stato così quando era stata costretta ad
uccidere Angel.
«Forse servirebbe un incantesimo»
propose lei «qualche ingrediente magico… non so, due saltelli di qua e di là… è
così che funzionava, vero? Potrebbe farlo lei, oppure Willow…»
«…Potresti farlo tu.»
Buffy si morse il labbro inferiore e
sgranò gli occhi: «Io?»
«Tu. Se c’è qualcosa che ti sta
chiamando, entrane in contatto. Puoi farlo, Buffy.»
«Si sbaglia, non ne sono in grado. Non
sono mai stata molto brava con queste cose.»
«Ora ne sei in grado. Sei in grado di
andare lì da sola, chiudere gli occhi e trovare tutte le risposte che ti
servono. Pensa a poco fa, insieme alle ragazze.»
Lo sguardo di Buffy appariva
corrucciato. Comprendeva quello che il suo Osservatore le stava dicendo ma allo
stesso tempo lo respingeva, nel timore di raggiungere il confronto che avrebbe
dissolto i suoi dubbi, e le false speranze a cui si stava aggrappando… per
tentare di sopravvivere.
«Willow non ha solo cambiato le regole
del potere che scorre dentro di te… ma lo ha rafforzato. L’energia racchiusa in
quella falce è l’energia conosciuta da ogni Cacciatrice, di generazione in
generazione. Diffondendola ne ha accresciuto l’intensità. È il potere delle
origini, Buffy, delle vostre origini. Per questo il Primo la temeva così tanto.
Come credi che siamo riusciti a fermare tutti quei Super-Vampiri?»
«Crede che dovrei farlo?»
«Credo che solo così sarai in grado di
uscirne.»
Buffy chiuse gli occhi e riversò la
testa indietro, contro la roccia. Tentò di ricacciare le lacrime. Non ora.
È il tuo mondo quello lassù…
Cosa sarebbe successo? Se quella voce fosse
scomparsa, come avrebbe fatto?
«Torna lì… dove hai allenato le
ragazze. Il potere a volte lascia delle traccie, lì ti verrà più facile
concentrarti.»
Inspirò profondamente poi, rivolta a
Giles, chiese: «Non crede che debba prima mangiare qualcosa?»
Giles distese le labbra in un sorriso,
un po’ malinconico stavolta. Lo divertì quella sua domanda. Era
quell’ingenuità, che a tratti riaffiorava, a renderla speciale; il ritorno
della ragazzina nella donna che, giorno per giorno, emergeva.
«Ti accorgerai che non ce ne sarà
bisogno» rispose «e poi Xander ha preso un sacco di schifezze, se ci tieni alla
linea ti consiglio vivamente di stare alla larga dal pranzo, oggi.»
Stavolta la vide ridere, senza
forzature, era sincera e lo era anche lui. Lei lo osservò ricomporsi per poi
fissarla attentamente e comunicarle, con un cenno del capo, che era ora di
alzarsi… e andare.
Ora, VAI
Buffy si passò una mano tra i capelli.
D’improvviso la ferita, sul lato sinistro della fronte, prese a pulsare, e
faceva male…
Scaccia il ricordo…
Cancella l’illusione
Si alzò da lì. Preferì non incrociare,
di nuovo, lo sguardo di Giles, o lui avrebbe notato i suoi occhi, lucidi… uno
specchio livido nel quale riviveva l’inferno. Si allontanò.
Quando tornò in mezzo alle tre roccie…
comprese quanto aveva ragione. C’era del potere lì, era come se fosse rimasto
intrappolato, in attesa. E ora che lei era tornata ne era diventata il magnete.
Lo sentiva vibrare tutto intorno, allungando una mano sarebbe stata capace di
accarezzarlo… era in movimento.
Si sedette, al centro… poteva farcela…
il momento era arrivato.
Andiamo, cos’è che vuoi dirmi?
Ma la domanda era un’altra…
Chi sei?
E ancora un’altra… ma preferiva
allontanarla, mentre l’eco si propagava tra gli infiniti corridoi della sua
mente…
Sei tu?
Sei tu?
Fu in quel momento che la sentì
arrivare… e in quel momento chiuse gli occhi.
***
Si erano già riuniti intorno al fuoco.
Il richiamo della fame. Xander aveva protestato quando gli era stato affidato
l’incarico di raccogliere legna e ramoscelli da ardere. Aveva tirato Andrew per
la maglietta trascinandolo, insieme a lui, alla ricerca di arbusti secchi. Ora,
gli altri attendevano che fosse abbastanza abile da avvolgere la carne a mo di
spiedino, per cuocerla sul fuoco.
Dawn si era svegliata tardi quella
mattina, la stanchezza aveva prevalso sulla luce del sole che, alle prime ore
del mattino, aveva iniziato a filtrare nella sua tenda. Ora era insieme agli
altri, in silenzio... aspettando l'arrivo di sua sorella.
Quando vide il signor Giles avvicinarsi
a loro, solo, gli chiese di Buffy.
«Non credo che si unirà a noi» rispose
quello «Buffy deve… meditare.»
Gli altri non parlarono, Xander portò
la sua attenzione alla carne da cuocere mentre le Nuove Cacciatrici si
scambiarono uno sguardo d’intesa, ma senza proferire parola.
«Fantastico!» esclamò Andrew rompendo
il silenzio. Cercò approvazione negli altri, guardandosi attorno con il pelo
dell’occhio.
«F…forse, deciderà di riprendere il
viaggio» aggiunse «Non… credete che sia il caso?»
«Buffy» disse Giles, schiarendosi la
voce prima di continuare «Buffy… sta cercando di comunicare con uno Spirito
Guida. Credo sia opportuno che ne entri in contatto, prima di lasciare questo
posto.»
Rona prese la parola: «Siamo qui da
tre giorni, vorremmo solo capire il perché. Continuiamo a pensare a quello che
abbiamo fatto, ma ci piacerebbe pensare a cosa faremo.»
«Ognuno di voi è libero di scegliere.
Buffy ha scelto di restare qui per un po’. Finchè non avrà trovato delle
risposte.»
«E noi tutti ci auguriamo che le trovi
il più presto possibile» commentò Andrew.
Giles lo guardò spazientito e il
ragazzo tentò di giustificarsi: «Parlo per il gruppo… Sono la voce del gruppo.»
«Giles ha ragione» disse Willow
«Abbiamo scelto noi di restare con lei. Penso che sia giusto. Occorre capire
qual è il nostro ruolo, ora, e accettarlo. Io ho bisogno di capirlo. Il mio
potere non è mai stato capace di tanto. Neanche quando sono diventata
Giles approvò con un cenno.
«Cosa faranno Wood e Faith quando
avranno trovato quella Cacciatrice?» chiese Kennedy.
«Quello che faremo noi quando ci
metteremo alla ricerca delle altre» suggerì Xander.
«Cosa?» ribattè Vi
Willow chinò il capo, Xander deglutì
prima di costruire una risposta, una risposta che non trovò: «Credo… credo che
sia argomento su cui riflettere, e discuterne, ovviamente.»
«Potremo aprire una scuola per…
Giovani Cacciatrici! Che ve ne pare?» a quella battuta Andrew sentì gli sguardi
di tutti sopra di lui, intimidito prese a giocare con i ramoscelli che
sarebbero stati utilizzati per la carne.
Willow sembrava rammaricata, con un
filo di voce, e gli occhi persi nel fuoco disse: «So solo che dobbiamo
trovarle.»
Fu in quel momento che Dawn si
allontanò dal gruppo.
Si spostò verso il rilievo, da lì
poteva osservare la sorella. Provò ad inviarle i suoi pensieri…
Buffy era altrove.
Dawn riusciva a capire come poteva
sentirsi, il motivo del suo isolamento. All’interno covava una spiacevole
sensazione, la paura che Buffy potesse svanire. Era già successo, l’aveva vista
spegnersi, giorno dopo giorno, dissolversi… e poi sparire. Quando aveva ucciso
Angel era scappata dalla sua vita… solo per sfuggire il ricordo, finendo,
invece, per esserne tormentata. Quando Glory aveva rapito Dawn… era sprofondata
nel vuoto di sé stessa… in un groviglio di infinite ripetizioni architettate da
una memoria continuamente ripercorsa dall’insicurezza, di chi sprofonda nel
baratro e chiude gli occhi per non vedere l’uscita. Ora che cos’avrebbe fatto?
Quando si trattava di combattere mostri e vampiri Buffy era sempre stata pronta
a mettersi in prima fila. Nel momento in cui doveva lottare con se stessa
retrocedeva intimorita, ogni volta.
E ora? L’avrebbe lasciata di nuovo?
Probabilmente le paure di Dawn erano
infondate… e Buffy non stava chiudendo le porte al mondo, ma stava aprendo il
suo cuore, dinanzi alle possibilità che la vita, in quel momento, era capace di
offrirle. Dopo la scelta.
Non sarà lì per te
Buffy non ti sceglierà, sarà contro di
te.
Non sarà facile, pensò Dawn tentando
di riprendere il controllo dei suoi pensieri. Niente sarà semplice.
***
«Senti qualcosa?»
«Sento… un gran tumulto… so che è qui
vicino. Ho iniziato ad avvertirlo prima che entrassimo in città» rispose Faith.
Wood sbirciò fuori dal finestrino:
«Nessuna idea su... dove iniziare a cercare?»
Faith scosse il capo: «No, nessuna.»
Wood lanciò, ancora una volta, uno
sguardo attraverso il vetro, poi tirò il freno a mano e si slacciò la cintura
di sicurezza «Bhè, io ne ho una» disse mentre apriva lo sportello dell’auto.
Faith lo guardò uscire dal veicolo e
dirigersi verso un uomo, all'altro lato della strada, chiedendogli qualcosa.
L'uomo indicò verso il fondo della strada e lì, Wood, si diresse.
Faith non ebbe voglia di seguirlo.
Restò in auto, chiudendo gli occhi, cercando di concentrarsi su quella nuova
sensazione. Sentiva il suo battito accelerato, ma non si trattava del suo
cuore… era qualcosa o qualcuno lì vicino.
Dopo dieci minuti Wood tornò in auto e
lanciò il quotidiano locale tra le braccia di Faith: «Apocalisse a Sunnydale»
disse riferendosi al titolo che, a caratteri cubitali, spiccava in prima
pagina.
«Se non parlassero di onde sismiche
direi che ci hanno quasi azzeccato» commentò Faith, osservando l’inquietante
foto di quel paesaggio spettrale.
«E se dai uno sguardo alla cronaca
locale, scoprirai che il padre di Jackie Millian, una ragazzina di 18 anni, è
stato ricoverato in gravi condizioni all’Hayward Hospital. La ragazzina ha
cercato di ucciderlo… e la polizia la sta cercando. Fine della storia.»
«Oh mio Dio» disse Faith «È per questo
che mi sento così... sta scappando.»
***
La donna spinse i suoi capelli dietro
le spalle, poi, con una mano, andò a sollevare la ciocca scura che le scendeva
sulla fronte, bloccandola dietro l’orecchio. Restò a fissare la sua aria stanca
nel riflesso di un specchio ancora appannato dai vapori della doccia, con le
mani poggiate sui bordi del lavandino. Sorrise a se stessa prima di spostarsi
nell’altra stanza. Sul divano giaceva ancora il fascicolo che le era stato
consegnato in mattinata: riassumeva i rilevamenti e le indagini condotte, in
quei giorni, sul territorio di Sunnydale.
Non aveva voglia di leggerne il
resoconto. Aspettava qualcosa di più importante. Passò ad un altro specchio,
posto sulla parete sopra il tavolino dove era ancora poggiata la sua valigia da
viaggio. Prese il foulard, adagiato sullo schienale imbottito della sedia in
legno, e se lo sistemò attorno al collo.
Qualcuno bussò alla porta di quella
stanza d’hotel. Lei sospirò e, con passo elegante, andò ad aprire.
Dall’altra parte stava un uomo sulla
trentina, ben vestito e con i capelli ben pettinati sulla fronte.
«Lilah Morgan?» domandò.
«Chi altri potrei essere?» chiese lei
languidamente e con tono sarcastico.
L’altro, sorpreso da quella risposta
le porse un’antica scatola in legno, perfettamente lucida e con i bordi del
coperchio intarsiati «Questa è per lei.»
Lilah abbozzò un sorriso e prese in
mano l’oggetto, ringraziando l’uomo prima di mandarlo via.
Quando la porta fu chiusa, portò la
scatola sul ripiano della scrivania in noce. Aspettava questo momento da quando
i telegiornali avevano dato notizie del disastro. Era necessario trovarlo prima
che lo facesse qualcun altro. Nella sua vita aveva imparato a non programmare
ma a preventivare ogni possibilità. E in base a questo calcolo che era sempre
riuscita ad andare avanti, nonostante tutto.
Lilah esaminò quell’involucro… poi ne
schiaccio gli angoli con i pollici delle dita. Sentì lo scatto di qualche
meccanismo.
La scatola si aprì. Lentamente.
Lilah Morgan sembrava abbagliata da
ciò che vi era contenuto. Infilò una mano e lo estrasse.
Tenendolo fermo tra le sue dita lasciò
che la luce del lampadario, illuminandolo, propagasse il riflesso all’interno
della stanza. Gli occhi della donna erano estasiati. Allora i suoi uomini
c’erano riusciti davvero, lo avevano recuperato.
Splendeva… l’amuleto splendeva!
***
Vago. Ho gli occhi chiusi ed è come se
mi stessi spostando, riesco anche a muovere le mani. Eppure non dovrebbe essere
così… dovrei esser seduta su quella fredda roccia, impegnata a contare.
A contare…
quattro, cinque, sei…
I numeri vanno avanti, dovrei sentire
freddo se è così buio… eppure non sento niente. Le mie dita fluttano e sembrano
incollate l’una all’altra… formano un blocco, e si muovono. Provo a registrare
i miei pensieri, è così che si fa quando si medita…? Una volta Giles mi suggerì
di immaginare i miei pensieri imprigionati in una nuvola nera… diceva che il
mio respiro sarebbe stato il vento che li avrebbe allontanati, svuotando la
mente.
Non c’è ne sarà bisogno.
I miei piedi muovono la sabbia, la
sensazione è quella…sto camminando, e la roccia è dietro di me. Un altro sogno?
Se così non fosse significa che è trascorso il resto della giornata ed è già
buio.
Non sembra sabbia quella che si agita
sotto di me, non è neanche il vento… no. Sono minuscono stelle. Questo deserto
improvvisamente ha il volto del mio mondo.
La sento, è qui. Non so se sia
l’energia, o solo la voglia di parlare con qualcuno. Mi sembra di rivivere lo
stesso sogno, ma c’era la luce allora. E l’aria parlava alla mia coscienza del
vuoto che, in me, si stava creando. Dello spazio…
La luna ha i colori del sole, ed è
sommersa in quella caverna, in fondo… sulle pareti vedo il calore del fuoco, i suoi
riflessi si sovrappongono al movimento del mio corpo, i miei amici sono lì…
riuniti attorno.
Ma è già notte?
- credi che abbia importanza? Dopo
sette anni non hai ancora capito che le regole che reggono questo posto sono
diverse da quelle che tengono insieme il mondo?
La vedo…
Ti riconosco, sei
L’ultima vittima del Primo.
- Quanto pensi che sia importante?
Non lo so, lo è? Se sei davvero lei,
intendo.
I suoi movimenti lasciano una scia…
Viene verso di me e quando mi volto è sopra la caverna e mi parla…
- Sono ovunque, Cacciatrice. Questo è
il mio posto… qui ho lasciato che il mio spirito venisse travolto, per
risvegliarmi nell’irrazionalità, e per risorgere nell’orrore della forza che ha
contaminato la mia carne e chiuse le porte dello spirito.
- Lo accettai… nessuna scelta… solo
istinto di sopravvivenza.
Tu mi stavi chiamando?
Rispondi, mentre ti avvicini… mentre
percepisco l’odore delle bende che hai avvolte intorno al corpo… mentre prendi
la tua forma originaria.
- Sei stata tu… ad entrare nel mio
mondo.
Qualcosa mi sta chiamando… se non sei
tu… allora? Chi?
- Hai paura di saperlo?
No, io voglio saperlo.
- È ora di rimettersi in viaggio…
Dopo aver scoperto chi è che sta
chiedendo il mio aiuto.
Ti osservo mentre cerchi di andar via,
ma è la mia volontà a trattenerti… i miei pensieri possono renderti evanescente
e farti tornare fisica e reale. Sono io che scelgo la tua forma. Sono io a
muovere la tua mano, mentre punti il dito verso quella caverna.
È lì che devo andare?
- Se lo cerchi... lì lo troverai, è in
quel fuoco.
Ancora il fuoco.
- Sei già te stessa, Cacciatrice, hai
già ritrovato la tua anima. Non lasciare che l’illusione te la strappi di
nuovo. A volte è necessario arrendersi al mondo…
Non riesco a sentirti. Continuo a
pregare che non sia un altro sogno. Perché inizio a percepirlo.
Sto entrando…
CAPITOLO 3
Notte. Buio. Umido. La forza.
L’ascesa non fu difficile. Il ritorno
dal sonno profondo lo trascinò in superficie in preda ad uno dei più
primordiali istinti. La terra bagnata dalla pioggia gli rese più facile il
tragitto. Era come nuotare nella melma, mentre i detriti e i blocchi di cemento
scivolano attorno a lui, scansati dalle sue mani.
Una delle prime cose che i vampiri
avvertono al momento del risveglio è la fame. Divora il cervello finchè non
viene saziata. Divorava anche l’anima, nel caso di Angel.
Ma mentre si scopriva completamente
avvolto dal fango un pensiero sorpassò il richiamo del suo essere.
La ricerca.
Buffy.
Lasciò che la pioggia lo bagnasse, lo
rupulisse, chiudendo gli occhi a quegli spilli che il cielo mandava giù, come
una maledizione. Nel sonno aveva abbandonato lo sconforto e, ora, la
distruzione intorno a lui lo faceva ripiombare nella più cupa disperazione.
L’anima.
In quel momento sembrò solo una
parola. A che serve avere un’anima se non si è capaci di proteggere la persona
più importante per te al mondo?
«Buffy.»
Un sussurro, prima, poi un grido di
disperazione. E iniziò ad invocarla, una volta e ancora un'altra… immaginando
di perdersi in quell’urlo, rendendolo così forte da riportarlo indietro,
strappandolo dall’incubo.
Ma non udì neanche l’eco della sua
voce. La pioggia rispose con prepotenza al suo lamento e l’ordine delle cose
rimase inalterato.
Con un balzo raggiunse un tratto più
saldo. Da lì continuò a vagare, come l'ombra di un fantasma abbandonato nella
notte. Non riusciva neanche ad assaggiare la consistenza delle sue lacrime, né
a percepirne il sapore.
Da quel momento ogni passo costituì
una resa.
Si arrendeva, alzava le braccia… e la
notte aveva smesso di parlare con lui. Adesso faceva solo male, l'aria che lo
circondava.
E così, con il capo chinato ad
osservare le sue orme allontanarsi con passi deboli e incerti, Angel andò
via... sconfitto.
***
Continui a parlare, non eri rimasta fuori?
Forse sei ancora nella mia mente e continui a parlare.
Avanzo nell’oscurità, dovrei
immaginare una luce, vedere me stessa impugnare una fiamma che mi faccia da
guida.
Mi dici che è la disperazione ad
offuscare la mia capacità di vedere. Dovrei mettere a fuoco i miei sensi.
Rifletti Buffy, rifletti.
Il fuoco che percepivo all’esterno sta
crescendo in questo buio. Una fiamma è ciò di cui avevo bisogno. Chi l’ha
eretta, Dio mio…
Ha l'impronta di una spazio enorme e
in espansione. I disegni sulle pareti sembrano venir cancellati da questa luce
che si sta plasmando.
Ora è come un’enorme colonna, assume
quasi una forma umana. È…
…è proprio lui.
Spike
Ma soffre. C’è sofferenza nei suoi
occhi. Ora la vedo. Non era così acuta quando ha afferrato sulle sue spalle il
destino del mondo. Non vidi sofferenza in quel momento. È un’altra immagine
questa, un altro momento. È ora?
- È il passato, quando il processo si
è messo in moto.
Non ti vedo Cacciatrice. Sei rimasta
fuori la caverna ma la tua voce è qui.
- Non hai bisogno di vedermi, sai che
ci sono, non sono solo le mie parole, sono le mie immagini. Non è un tuo
ricordo. È il passato.
Che cosa sto vedendo, allora?
-Un involucro esterno, ciò che conta è
il profondo… anche in me. Siamo tutti involucri esterni, corpi finiti, umani o
immortali, fisici o astrali. Ricordalo, devi entrare dentro… e osservare dal
profondo… dal profondo…
Dal profondo, divora.
- Ci arriverai più tardi.
Allungo una mano verso di lui… temo di
essere annientata dalla sensazione della sua fisicità. Ma è solo per sentire,
solo per capire. Chiamo il suo nome, non credo possa ascoltarmi.
È il passato, ma dentro di lui ci sono
io.
Poggio una mano sul suo petto, provo a
sentire il cuore... altrimenti cos'è che batte così forte? Attribuirei la parola
amore a questo battito... ma come esserne sicura quando la consistenza fisica
cede al mio tocco e le dita tagliano la carne spazzando via l’aria?
C’è il vuoto... prima di sentire
l’onda e vedere i suoi occhi infiammarsi. Il dolore mi sommerge, troppo forte,
riduce ogni mia sensibilità e mi sprofonda nell’abisso della sua…
Riesco ad allontanare la mano e torno
ad osservare l’immagine vuota e silenziosa della sua disperazione…
- non è disperazione.
È il momento in cui ha ottenuto
indietro la sua anima.
- non è disperazione, è amore.
Credevo di non essere in grado di
concentrarmi sulle tue parole, ma adesso è ovvio che le percepisco come parte a
sé stante del mio essere. Non sei solo la mia coscienza e questo non è solo un
lungo sogno. Sarebbe meraviglioso, forse. Ma riprendo la percezione di quello
che mi circonda e lo distinguo dal mio senso di colpa.
Mi rivolgo verso la tua indistinta
forma che è riuscita a penetrare nella caverna, solo perché io ti ho aperto le
porte. Perché temevi che venendo qui avrei perso me stessa? Che cosa c’è in
questo posto? Questo non è lui ma un’immagine del passato.
- Una volta temevi di essere sul punto
di perdere la tua capacità di amare.
Che importanza ha ora?
- Soltanto se lo respingi. L’amore è dolore
e
Ancora. Le stesse parole. Perché?
- Perché è stato il vostro errore…
respingerlo, annientarlo. Permettere che il Primo entrasse nel vostro vuoto.
Ma lo abbiamo sconfitto… e non sarebbe
stato possibile se no…
- Se non aveste tentato di
ricostruirvi sulle ceneri dei vostri errori.
Tutti commettiamo errori, è l’essere
umano che sbaglia.
- Umanità, che splendido concetto,
Cacciatrice.
La luce continua a bruciare dentro di
lui.
Tu ti mostri vicino alla sua immagine
mentre tendi la mano verso il suo cuore
– umanità, errore, amore. Ciò che vi
ha guidati fin qui, fino a questo punto. Non hai percepito solo il suo dolore,
quando hai portato la tua mano nel profondo. Hai capito che quella corrente è
stata in grado di scorrere in questo corpo… anche quando era animato dalle
regole dell’oscurità.
«C'è solo una cosa di cui sono sempre
stato sicuro. Te.»
Non voglio sentirlo.
- È questo che ha portato avanti le
cose…
Sulle pareti della grotta restano
impresse le emozioni, i sacrifici, sono linee sottili che comunicano con il mio
intelletto. Non riesco a sopportarlo. Adesso è con me che sta giocando, non
prova ad alleviare le mie debolezze, prova a renderle schiaccianti! Cosa c’è di
giusto in tutto questo? Mi sento l’unico errore in un mondo pefetto, senza che
io fossi in grado di accorgermene. Dov’era il suo conforto quando l’anima la ha
posseduto con una tale forza?
- In te.
Allora perché non riesco ad eliminare
il dolore?
- È la tua forza, te l’ho già detto.
Per fare cosa?
- Per entrare dentro.
La luce è ancora nei suoi occhi, il
suo sguardo è il prezzo per quel dono. Amare, dare, perdonare. Se mi avvicino
alla sua luce sento il calore. È il calore di quella notte. Vorrei che questa
forma astrale fosse in grado di piangere. Dare.
Perdonare.
Non voglio aggrapparmi a
quell’immagine, ora capisco cosa dicevi a proposito dell’illusione… ma sono
entrata in questa caverna.
Perché assistere a tutto questo? Cosa
vedrò dentro di lui?
- Era il mio compito condurti qui,
dopo averti offerto la possibilità di scegliere. Ma il rischio fa parte della
nostra natura, per questo so che ti spingerai… nel profondo.
Non eri tu a chiamarmi, vero? Era lui
a chiedere il mio aiuto… nei miei sogni, lo sentivo… lo sento tutt’ora, mentre
osservo le sue labbra, chinandomi per dargli un bacio…
- Non sei più in grado di sentire la
mia voce, mentre accetti quella sfida. Vedo il ricordo di due mani avvolte nel
fuoco. È la creazione del legame. È la vita che celebra se stessa nel più
grande sacrificio.
- Torna presto, Buffy
***
«Non è ancora tornata» disse Willow.
Fissava Buffy, mentre teneva ferma con le mani un grande foglio di plastica sotto
il quale aveva trovato rifugio dalla pioggia. Il rumore delle goccie che,
incessanti, battevano sopra di lei, rendeva insopportabile quell’attesa.
Giles asciugò gli occhiali con un
lembo della sua maglietta inzuppata. Un tentativo piuttosto inutile, come
constatò lui stesso.
«Non credi sia un imprudenza?» domandò
alla giovane ragazza.
«Lasciarla lì? In quello stato? Bhè
credo di si. Potrebbe essere… catatonica, è già successo. Lo sa? Pensandoci
meglio non sono affatto d’accordo sulla sua decisione di mandarla lì, a
riflettere.»
Giles si concesse un risolino: «Credo
sia imprudente restare qui sotto la pioggia ad aspettare. Buffy emergerà quando
sarà il momento.»
«Oh. Io mi preoccupo per le ferite
psicologiche della mia amica, senza contare le influenze negative che possono
intercorrere sul piano di una realtà mistica, e lei si spaventa per un semplice
e comune raffreddore?» commentò Willow con aria cupa «chi è fra noi due ad
avere una contorta visione delle cose?»
«Se domattina sarà ancora lì… vuol
dire che tenteremo di raggiungerla.»
Willow annuì. Si rialzò da terra e
fece accomodare Giles sotto il suo lenzuolo impermeabile. L’uomo le cinse il
fianco e insieme si incamminarono verso l’accampamento.
«Tanto lei resta sempre il capo
bibliotecario, ed io la ragazzina che chiede prima di prendere un libro in
prestito.»
«L’anno scorso hai tentato di
distruggere il mondo.»
«Prima che lei mi… multasse per
eccesso di libertà.»
***
Xander stava accuratamente sistemando
la plastica stesa sul terreno, all’interno della sua tenda, chiudendo bene i
lembi della stessa, in modo da non permettere all’acqua di entrare. Soddisfatto
dal suo operato fissò Andrew con il solo occhio che gli restava.
«L’umidità ci distruggerà» commentò
quest’ultimo.
«Dio mio, non ci è riuscito il Male
più assoluto. Non credi di essere eccessivo?» disse Xander mentre andava a
stendersi sul suo sacco a pelo.
Andrew rimase rannicchiato su stesso,
seduto e con le ginocchia raccolte al petto, stringendo una torcia elettrica
nella mano destra «A volte sono le piccole cose ad annientarti.»
Xander riflettè su quella frase,
osservando l’ombra delle goccie dipanarsi in misteriose trame sopra di loro:
«Credo che rientri tra le tue pillole di saggezza. Non che ce ne siano tante.»
Andrew chiuse gli occhi e respirò a
fondo, provando a fingersi offeso.
«Inoltre…» continuò Xander «stai
parlando con uno che ha passato i migliori natali della sua vita, avvolto in un
sacco a pelo con… lo sguardo perso tra le stelle. Una volta ha persino
nevicato!»
Andrew non sembrò convinto.
«Non credo che tutti siano… bizzarri
come me» disse ancora Xander «È per questo che un nutrito gruppo di persone sta
occupando quel pulmino là fuori. Potevi unirti a loro!»
Andrew mollò la torcia provando a
distendersi.
«A volte mi guardano come un alieno»
commentò secco «ehi, è come se fossi su un materasso ad acqua» disse a
proposito della sensazione del terreno molliccio sotto di loro.
«Già, è qualcosa di simile» rispose
Xander puntando il dito verso di lui in segno di approvazione. Andrew sorrise e
incrociò le mani sotto la sua testa.
«E tornando al discorso di prima»
disse Xander «credo sia… normale. In fondo… hai provato a distruggere Buffy…
hai… ucciso il tuo migliore amico…»
«Anche Faith ha ucciso delle persone,
cosa dire di Spike? E… Willow… o… o…»
«Vuoi un aiuto?» chiese Xander «Anya?»
Andrew abbassò il capo «Non volevo
dire questo.»
«Ma è la verità. Anya ha ucciso delle
persone e ha pagato con la sua vita il tentativo di salvare te.»
«Scusa…»
«Quello che voglio dirti… è che per
certe cose ci vuole del tempo. Ho passato i migliori anni della mia vita
tentando di strapparmi di dosso i miei fallimenti e le mie paure… e ogni volta
che combattevo per farlo, mi sommergevano di nuovo. E inizio a capire qualcosa
del mio percorso solo quando mi ritrovo come un ciclope senza la sua caverna.»
«Rimpiangi di non averlo fatto prima?»
«No, e sai perché? Perché penso a
quello che abbiamo fatto. D’improvviso, tutto il resto mi sembra… vano.»
«Anche lei?» chiese Andrew
sollevandosi su un gomito per guardarlo in faccia. Dopo qualche secondo, dopo
aver letto l’espressione addolorata nella quale Xander aveva racchiuso il suo
volto, si pentì di avergli posto quella domanda.
«Non ne parli mai» osservò, più
pacatamente.
«Credi che non ci pensi?» chiese lui
«credi che trascorra le mie giornate tirando su il morale, preparando da
mangiare, sistemando la mia tenda, senza sentire il vuoto che ha lasciato?
Avrei dovuto sposarla…Ma è un vuoto che cerco di riempire, ogni giorno. E sai
cos’è che mi da questa forza?»
Andrew disse di no scuotendo,
lentamente, il capo. Il dolore di Xander si trasformò in malinconia, in un
sorriso tiepido, uno sguardo immerso nell’oltre, perso al centro dei suoi
pensieri.
«Il fatto che lei abbia compreso la
sua umanità, correndo il rischio per accettarla fino in fondo.»
Andrew lasciò che le lacrime gli
rigassero il volto. Poi prese respiro e aggiunse «Lei amava l’umanità. È per
questo che era pronta. Me lo ha confessato qualche giorno prima di morire.
Abbiamo fatto la lotta sulle sedie a rotelle, e ha vinto lei. Era una donna
fantastica.»
«Proprio così, amico» disse Xander
girandosi su un fianco e chiudendo gli occhi «Lei ha vinto.»
Andrew restò a fissare il riflesso
della pioggia con un’espressione turbata. Accigliò lo sguardo mentre con una
mano si ripuliva il volto bagnato. Poi piegò la testa per guardare l’altro.
«Ehi, Xander» lo chiamò.
Il ragazzo rispose a malapena, con un
grugnito: «Che c’è?»
«Hai detto amico, mi hai chiamato
amico. Perché?»
«Andiamo amico.. è un… modo di dire.»
***
Faith e Wood noleggiarono una stanza
al Super Eight Motel, vicino
Wood aveva lasciato la sua carta di
credito al proprietario, un grasso omone di nome Billy Bang. Non esattamente un
tipo con una faccia affidabile, d’altronde con un nome del genere… Faith
continuava a chiedersi se non fossero stati gli altri ad avergli affibbiato
quell'appellativo.
In ogni caso, dopo aver preso la
stanza, si erano subito rimessi in macchina, diretti a casa Millian. Avevano trovato
l’indirizzo su un elenco telefonico, un po’ malridotto, che Billy Bang aveva
messo a loro disposizione. Se volevano conoscere qualcosa in più sulla Nuova
Cacciatrice non c’era posto migliore da cui iniziare le ricerche.
I viali alberati, le villette e gli
steccati ricordavano quella che una volta era Sunnydale. Non che Faith ci
avesse trascorso molto tempo: aveva passato gli ultimi tre anni in un carcere
femminile di massima sicurezza e, prima ancora, si era concessa un sonnellino
durato quasi un altro annetto.
Ma, nonostante tutto, osservare il
riflesso della notte sulle strade che stavano percorrendo lasciava in bocca un
sapore amaro e, nella mente, la strana evocazione di una città che era stata
inghiottita in un grande buco nero.
La casa dei Millian, tuttavia, stonava
con l’allegra armonia del viale in cui era situata. Dalle mura esterne si erano
staccate notevoli porzioni di intonaco e la vegetazione era in alcuni tratti
bruciata, in altri cresceva selvaggia e rigogliosa.
Faith e Wood parcheggiarono l’auto
accanto al marciapiede, si lanciarono uno sguardo di imbarazzo, controllando
che l’indirizzo annotato su un foglietto orrispondesse a quello della casa in
rovina che avevano davanti.
Quando furono fuori si diressero verso
l’ingresso, Faith fece un cenno con la mano indicano all’uomo di precederla,
mentre raccoglieva le braccia al petto nel tentativo di reprimere un brivido.
Wood spinse il dito sul campanello, un
fastidioso ronzio si diffuse all’interno della casa. Faith alzò gli occhi al
cielo, solo per notare la lampadina fulminata, sopra di lei. Robin bussò ancora
una volta, con più insistenza.
Dopo qualche secondo, una debole luce
si accese all’interno.
Aprì la porta una donna di certo più
giovane dell'età che dimostrava: aveva i capelli biondi scompigliati, dei
cerchi neri sotto gli occhi e un aria un po’ assonnata. Indossava un lurido
grembiule da cucina e l’odore di alcool che si propagò nell’aria nel momento in
cui aprì la bocca non fu molto incoraggiante.
«E voi chi siete?» domandò.
Faith sembrò infastidita e turbata
dall’aspetto della donna. Wood si voltò dietro di lei in cerca di un
suggerimento e notò la stranezza del suo sguardo.
«Lei è la signora Millian?» chiese
lui.
«Le ripeto la domanda» protestò lei.
«Siamo qui p…per… Jackie.»
«L’avete trovata?»
«No… a dire il vero… speravamo che lei
fosse in grado di… aiutarci. Ne è in grado? Voglio dire… può dirci qualcosa?»
La signora Millian proruppe in una
risata piuttosto sguaiata, al termine della quale disse: «Non crede che ve lo
avrei già detto? Vorrei tanto che voi trovaste quella stronza così da farle
pagare quello che ha fatto a mio marito.»
«Robin…» mormorò Faith «qui non
troveremo niente… andiamocene.»
«No, aspetta un attimo» le rispose
Wood. Poi, rivolgendosi alla donna: «Signora, sappiamo che suo marito versa in
gravi condizioni ma… ci sarebbe d'aiuto se lei ci dicesse che cosa ha spinto
Jackie a colpirlo»
Faith lesse l’odio in quegli occhi
consumati e ne fu terrorizzata. Il potere nato in Jackie era così forte che
Faith riusciva a sentirlo. Ma non si trattava solo dell'essere una Cacciatrice.
Era quella fuga... erano le ferite, il dolore... a trasmettersi come aghi nei
suoi ricordi.
«Ragazzina viziata» rispose la signora
«e senza cervello. Non conosce il rispetto. Ora come ora credo che mio marito
non l’abbia punita mai abbastanza.»
Wood mosse il capo, anche lui scosso
da quelle parole. Quando si voltò per comunicare con Faith… lei non c’era.
Maledizione, pensò.
La signora Millian puntò il dito verso
il fondo del viale. Wood non disse una parola e prese a correre in quella
direzione.
Non fu difficile trovare la sua
compagna. Faith se ne stava seduta su un muro di cemento e mattoni. Con le sue
abilità da Cacciatrice doveva esserci salita con un balzo. Robin Wood dovette
arrampicarsi e incespicare un po’ prima di raggiungerla.
Quando lui le fu accanto, non si voltò
ad osservarla, ma prese a mirare la vista, come stava facendo Faith.
«È stata qui» disse lei.
«Dopo l’aggressione? Non credi che
sarebbe stata troppo… in vista?»
Faith scosse la testa: «Le piaceva
venire qui, passava ore e ore a guardare il paesaggio. Qui la vista è
splendida, non trovi?»
Wood guardò i tetti delle case e il
grande parco illuminato: «Coinvolgente» commentò.
«Ore e ore…» proseguì Faith «…lontana
dalle aggressioni del padre.»
«Ascolta… le parole di quella donna mi
hanno… inorridito, ma penso che…»
«Che cosa abbiamo fatto?» chiese lei
guardandolo negli occhi «Che cosa abbiamo fatto, Robin?»
«Non lo so… è per questo che siamo
qui.»
«Non è incoraggiante» rispose lei con
una punta di ironia.
«Lo so, ma non c’è altro modo di
scoprirlo.»
«Quante ce ne sono al mondo? Confuse,
spaventate… quante?»
Wood non rispose, lei continuò: «Mi
sembra di ripercorrere la mia storia. All’improvviso temo che abbiamo commesso un
grave errore. Credendo di fare del bene, forse abbiamo posato sul mondo un
fardello troppo pesante. Quante possibilità abbiamo di controllarlo?»
«È nostro compito riuscire a farlo.»
«Ma se non fosse possibile?
Cos’accadrebbe allora? Se non ci riuscissimo? Forse abbiamo sconfitto il Primo
Male. Ma cosa ci salverà dalla nostra autodistruzione?»
***
«Morti. Tutti quanti.»
«Cosa, ne sei sicuro?». La voce di
Wesley appariva distante. Forse le comunicazioni si erano indebolite, forse era
il rumore della pioggia all’esterno della cabina telefonica, forse era la
disperazione che si era impadronita di Angel a render confusa ogni percezione.
«Faith…?»
«Tutti, Wes… non è rimasto nessuno.»
«Oh mio Dio… ne sei sicuro?»
«Li avrei sentiti… e invece non
percepisco niente. Nessuna traccia. Non può che significare una cosa.»
«Dove ti trovi?»
«Vicino Carson. Sto tornando a Los
Angeles. Sarò lì prima dell’alba.»
«Angel, forse qui riusciremo a sapere.
Lilah non è ancora rientrata… e sta succedendo qualcosa… nel mondo, qualcosa di
molto strano. Ne parleremo quando sarai arrivato.»
Il vampiro riagganciò il telefono.
Poggiò la schiena al vetro della cabina, passandosi una mano tra i capelli
bagnati, scompigliandoli.
Il neon posto in alto riusciva a
provocargli fastidio. Forse era ancora invaso dall’oscurità di Sunnydale.
Ma era il mondo a disorientarlo, i
fari delle macchine che vibravano ad alta velocità, le scosse dei loro motori,
le luci delle case. Tutto questo per lei? Perché? Quando Buffy era davvero
morta… Angel era riuscito a superarlo. Cos’era, ora, a rendere tutto così
difficile? Forse l’incapacità di cogliere qualsiasi tipo di sensazione: un
odore, un grido, un richiamo…
Non si sentiva così da quando la sua
anima lo aveva costretto a nascondersi dalla civiltà, a rifugiarsi
nell’incapacità di abbandonare quell’inferno che non riusciva a comprendere. Il
mondo. Prima che lei apparisse come la possibilità di uscire dal tunnel e
risalire verso la ragione, o la vita.
Ma ora tutto ciò non aveva senso.
Sta succedendo qualcosa… nel mondo
Buffy…
Se dovessi perdere… e questa cosa si
espandesse al di là di Sunnydale, sarà questione di giorni, forse ore, prima
che il resto del mondo venga distrutto. Ho bisogno di un secondo fronte e tu
dovrai guidarlo.
Le voci vibravano come luci
martellanti nella sua testa.
Aveva vinto… Il Primo li aveva
sconfitti. Ma come si poteva essere più sciocchi e pensare di poter annientare
il male? Il male che è ovunque, che Angel stesso aveva incontrato… il male che
lo aveva riportato indietro da una dimensione infernale solo nel tentativo di
strappargli, ancora una volta, l’anima… per farne un soldatino del suo esercito
dannato.
Il male che… divora!
Adesso doveva solo tornare a Los
Angeles, tentare di mettere da parte il dolore per raccogliere le forze e
reagire. Lo invadeva il senso della sconfitta e il terrore di non essere in
grado di portare avanti la battaglia che Buffy aveva iniziato, e nella quale
era caduta.
Chissà, forse, con un po' di fortuna,
sarebbero riusciti… a resistere.
Ma fino a quando?
***
Quando Buffy riemerse aveva già smesso
di piovere. L’aria del deserto era ancora più opprimente.
Il vento caldo sembrava soffocarla e
l’odore della sabbia bagnata era nauseante. Probabilmente erano solo i sintomi
derivanti da quello strano viaggio.
Si domandò quanto tempo fosse passato
da quando era entrata in quella specie di… sogno.
Ma si trattava di un sogno? Perché,
ripensandoci, ogni cosa le sembrava dolorosamente reale. I suoi sentimenti si
agitavano confusi e non riusciva a distogliere la sua attenzione da quella
visione;
quando era entrata nel suo mondo, nei
suoi occhi. Si alzò dalla roccia sulla quale era rimasta seduta per tutta la
durata dell’esperienza. Le gambe le facevano male, tutto il suo corpo era
dolorante. Dalle punte bagnate dei capelli scendevano goccie che le
solleticavano il viso.
Diede un’occhiata in giro, per
riacquistare il senso dell’orientamento. La notte rendeva così oscuri e
indefiniti i contorni delle cose… Buffy guardò le nuvole abbandonare il paesaggio,
come visitatori di un altro luogo. Ma ogni cosa che le appariva dinanzi…
acquistava, ai suoi occhi, un senso di precarietà, di debolezza; per quello che
aveva visto. Bisognava agire.
Si arrampicò per il pendìo, ora
riusciva a scorgere lo scuolabus.
Avanzò verso di loro, come trascinata
da quel vento tedioso. La pioggia li aveva costretti a rifugiarsi nel pulmino,
c’era solo una tenda dal cui interno provenivano i bagliori di una torcia.
Odiava se stessa e quel momento… ma il
suo odio sarebbe stato più grande e penetrante se non avesse dato retta al
consiglio di Giles e non avesse seguito la voce della Prima Cacciatrice.
Sbirciò all’interno dello scuolabus:
dormivano tutti, ma non poteva aspettare il domani, bisognava iniziarne a
discutere, prima che fosse troppo tardi. Buffy avanzò verso la portiera e diede
due colpi con una mano. Nessuno accennò a svegliarsi, ragion per cui decise di
far ricorso alla sua forza bruta: infilò le mani tra gli sportelli ed aprì
senza il minimo sforzo; il rumore stridente del portello che si spalancava
svegliò il resto del gruppo
Giles aprì gli occhi dal sedile
anteriore sul quale si era addormentato: dovette mettersi gli occhiali per
riuscire a dare un senso a quella visione sfocata.
«Buffy» disse Willow mentre avanzava,
lungo il corridoio, verso di lei «Come ti senti?»
«Un po’ scombussolata. Ma Ok.»
«Cos’è successo?» domandò Giles.
Buffy salì e si portò al centro del
corridoio, raccolse le mani l’una nell’altra e osservò tutti, ben conscia del
fatto che non sarebbe riuscita a catturare la loro completa attenzione a
quell’ora della notte.
«Ho visto delle cose» incominciò «c’è
qualcosa… da fare»
«Di che si tratta?» chiese Giles.
Buffy incontrò il suo sguardo ed emise
un respiro profondo, poi rispose: «Si tratta di Spike.»
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CAPITOLO 4
Era lì, e con lei gli altri...
Per il momento, la luna riempiva
l'ambiente di una luminosità sufficiente.
«Verrò subito al dunque» cominciò
Buffy «Sappiamo ciò che abbiamo fatto. Sappiamo quello che è successo a
Sunnydale… ma… c’è una cosa che…»
«…Non abbiamo vinto?» domandò Rona
nella più pessimistica delle ipotesi «È così?»
Buffy la fulminò con lo sguardo. Giles
si voltò ad osservare
«Spike indossava un amuleto. Sapevamo
che sarebbe stato molto importante nella battaglia ma nessuno di noi era a
conoscenza dei rischi che avrebbe comportato… sulla persona che lo avrebbe
indossato. Un Campione, a detta di Angel, più forte di un essere umano, ma con
un’anima.»
Willow notò quella strana… e pacata
tristezza iniziare a prender possesso dei lineamenti di Buffy, mentre le sue
pupille percorrevano il loro spazio per tener lontane le lacrime… e lei scuoteva
il capo sperando che l’aria asciugasse la limpidezza affiorata al centro dei
suoi occhi.
Quanto aveva sofferto? Fino a che
punto, loro, lo avevano compreso? Willow si chiese se quella tristezza non
mascherasse un dolore accumulato nel tempo, se il rimpianto si fosse fatto
talmente acuto da divenire insopportabile.
***
«Credi che siano ancora lì?» domandò
Faith, con la schiena poggiata alla base del letto. La luce della strada faceva
il suo ingresso attraverso i vetri macchiati della finestra. Wood, disteso sul
suo letto, aveva incrociato le mani sotto la testa e aveva preso a guardare il
soffitto incapace di addormentarsi. «Di chi parli?»
«Buffy… e gli altri. Secondo te sono
ancora nel deserto?»
«Se si fossero spostati ce lo
avrebbero detto, non credi?»
Faith piegò il capo, pensierosa.
«Credo di sapere perché Buffy ha deciso di restare lì.»
«Ah si? Perché?»
«Anche lei lo sente. Non si tratta
solo del cambiamento. Ma della forza.»
***
«Ma l’amuleto ha funzionato» chiese
Willow «Non è vero?»
Buffy si morse il labbro inferiore e
annuì: «Si, ha funzionato.»
«Ma?» chiese Rupert Giles.
«L’ho visto chiaramente» rispose lei
«Sono entrata in un posto, non so esattamente dove fosse. Ma… ho visto ciò che
è accaduto, nel momento in cui… un… un attimo prima che Spike… morisse.»
È il dolore di ammetterlo… una fitta
al costato… ma ora lo sai, Buffy… sai perché fa così male.
Kennedy intervenne: «Che cosa è
successo?»
***
La forza.
Era di questo che parlava. Nel suo
sguardo si leggeva la strana vita che l’animava, che la rendeva speciale…
«L’abbiamo fatto per tutti, Faith. Per
il mondo. Non c’è nulla di negativo nella magia che abbiamo diffuso.»
«La stessa magia che mi ha resa quello
che sono» aggiunse lei «E guarda cosa ho fatto. E se fosse tutto sbagliato? E
se fosse già stato calcolato? Se rientrasse tutto in Piano?»
***
«Il Primo. In qualche modo… è riuscito
ad aggrapparsi all’anima di Spike nel tentativo di sopravvivere. Prima che la
luce dell’amuleto bruciasse il suo corpo.»
«Oh Santo Cielo» mormorò Giles.
«Cos’hai visto esattamente?» chiese
Andrew «Voglio dire… era un luogo fisico o una… bizzarra realtà da… Piano
Astrale?»
«Un po’ entrambe le cose» disse lei,
tornando, poi, a rivolgersi agli altri.
«Perché si è aggrappato alla sua
anima?» chiese Giles «Insomma… Spike è morto… è un… cumulo di polvere.»
Xander gli diede una gomitata
distratta, lui si voltò verso il ragazzo e, con un filo di voce, si giustificò:
«Non ho trovato un’espressione migliore.»
«Questa parte non mi è chiara»
proseguì Buffy «Ma ci sono… delle regole, in base alle quali il Primo sarebbe
in grado di ricostituire il corpo di Spike… e, dopo averlo fatto… tornare a
vivere, nella carne.»
«È quello che voleva» disse Giles.
«Il corpo di Spike sarebbe un vascello
perfetto per il Primo. Caleb era umano e il Primo non è mai stato in grado di possederlo.
In un corpo immortale sarebbe infinitamente superiore…»
«Perché non farlo prima?» ipotizzò
Xander «Se voleva un corpo immortale… perché non farlo prima?»
«Perché gli mancava la chiave.»
Dawn si guardò intorno intimorita. «
Andrew riflettè ad alta voce: «Quindi…
il Primo aveva bisogno della Falce per prendere possesso di un corpo, ma come?»
«Credo sia una questione di Potere. Il
Primo disse che quando il suo esercito sarebbe stato superiore al numero degli
umani… allora, lui si sarebbe fatto carne.»
Giles cominciò a capire: «È necessario
che… in qualche scala mistica del potere, il male predomini sulla… quantità di
bene. Solo allora il Primo avrà ciò che vuole.»
***
Wood avrebbe voluto consolarla,
prenderla tra le braccia e darle il sostegno necessario per liberare la sua
coscienza, cancellando il rimorso. Avrebbe anche voluto che la dolcezza della
ragazza riuscisse a venire fuori in modo da azzerrare la sua mente, per non
permettere al passato di entrare e devastarla con i soliti spettri. Solo allora
sarebbe stata abbastanza libera da avere la forza necessaria per affrontare le
sue paure, in uno spazio vuoto, privo di influenze.
«Che cosa avverti in questa ragazza?»
chiese lui.
«Ciò che provavo io. Conosco bene
queste sensazioni, per questo mi terrorizzano.»
Faith si alzò e camminò verso il
centro della stanza: «Vorrei tanto scappare anch’io. Iniziare una vita normale,
senza dover fare i conti con la mia fottutissima storia… ogni volta. E il
peggio è che tutto ad un tratto mi sento responsabile. È per questo che non
riesco a muovermi.»
Wood si spinse sulle braccia, andando
a poggiare la schiena alla spalliera del letto: «Potrebbe essere un fattore
positivo.»
«Ma questo non mi consola. È più forte
la paura.»
«Cos’è che ti fa paura, Faith?»
***
Paura
Non solo un pensiero, perchè vivida si
rifletteva in quegli sguardi. Tutti lì, intorno a lei, improvvisamente
giacevano come giocatori sconfitti… cercando di capire perché la tempesta ti
abbatte ogni qual volta cerchi di rialzarti. Dopo sette anni Buffy non era
riuscita a comprendere chi avesse posto quella sadica regola dell’esistenza.
«E il ruolo della Falce?» domandò
Xander.
«
«Ma è ancora così?»
«Non ne sono sicura» Buffy avanzò al
centro di quel cerchio che i suoi compagni avevano creato attorno a lei. Si
passò una mano sulla fronte cercando di riflettere: «Spike… è… molto forte… lui
sta opponendo resistenza.»
«Non Spike» obiettò Giles «La sua
anima».
Buffy si confrontò, ancora una volta,
con lo sguardo dell’Osservatore. Quell’espressione sembava colpevolizzarla,
ogni volta… e riusciva a stento a sopportarla. Forse, Giles temeva per lei,
temeva che si lasciasse coinvolgere troppo e…
Paura
Era ancora lei a manovrare i suoi
pensieri? A trasformare gli sguardi dei suoi compagni in maschere di vendetta…
in occhi che l’avrebbero divorata con un solo sguardo, se solo avessero potuto?
Aveva paura di coinvolgerli, perché temeva che si sarebbero rivoltati contro di
lei, di nuovo.
«Già» rispose «La sua anima. Forse ha
assorbito il potere di quell’amuleto… e per questo ancora resiste.»
«Ma il Primo non possiede più un
esercito» constatò Vi «E in più c’è l’incantesimo che ha fatto Willow. Come può
sperare di ricostituirsi… nella carne?»
«Non lo so… ma ciò non esclude che… se
dovesse riuscirci, tutto ciò che abbiamo fatto sarebbe completamente inutile.»
«Buffy…» intervenne Giles «Come credi
che possiamo fermarlo?»
«Se è l’equilibrio che dobbiamo
ribaltare…» rispose lei «Ci servirà la nostra forza… e quella della Falce.»
«Fantastico!» Improvvisamente, Andrew
si alzò in piedi. Gli altri puntarono i suoi sguardi verso di lui: «Così… gli
daremo quello che vuole… il potere della Falce e l’opportunità di condannare il
mondo intero.»
«Andrew ha ragione Buffy.» Giles disse
quelle parole con un filo di voce.
«Non è un battaglia fisica quella di
cui parli. E non conosciamo quel mondo abbastanza da sapere che non si tratta
di un inganno.»
«Sono sicura di quello che ho visto»
rispose lei.
«Non sto insinuando che tu non lo
sia.»
«Ho visto il Male, Giles… ho visto la
sua forza… ho sentito il dolore… sono entrata dentro, nel profondo. E ho
capito.»
***
La ragazza si fece più vicina a lui.
Wood conosceva quello sguardo, i tratti contratti in un’espressione neanche
sicura di sé, la forza apparente… i gesti morbidi che volevano ostentare
durezza, gelo.
«Che cosa mi fa paura? Il fatto che il
mondo non sarà mai un posto migliore, e che il male riesce sempre a venir
fuori… in un modo o nell’altro.»
Più vicina…
Sono qui…
«Ma c’è una cosa che deve farci andare
avanti, Faith.»
Lei abbassò gli occhi… verso le
lenzuola, e mentre scosse il capo i suoi capelli solletticarono il braccio di
Wood, che con una mano andò ad accarezzarle il viso, stendendo il pollice ad un
angolo delle sue labbra per strapparle di forza un sorriso.
«La consapevolezza che noi ci saremo
sempre, per confrontarci con lui… e per riuscire a vincerlo. Proprio come
abbiamo fatto.»
Faith si lasciò accogliere dal calore
di quella mano: «Il Primo Male credeva che questa fosse la nostra debolezza»
«Forse è per questo che non ce l’ha
fatta.»
«Non credo che si possa vincere per
davvero. È stato in me… Robin… e tenterà di portare quella ragazzina
nell’oscurità, con lui.»
***
«Sto solo dicendo che dev’esserci un
modo più semplice» disse Giles.
«In realtà c’è. Distruggere l’amuleto.
Se lo distruggiamo… il Primo non ha nessuna possibilità di tornare in un corpo
umano.»
«Allora facciamolo…» esclamò Willow
«Potrei fare un incantesimo e… riportarlo qui… credo che ne sarei in grado.»
Buffy scosse il capo: «No. L’amuleto
non esiste più nel mondo fisico.
***
Lilah Morgan tornava a Los Angeles.
C’era molto lavoro da fare.
Quella notte sembrò durare
un’eternità. I suoi pensieri le facevano compagnia durante il viaggio, mentre
le sue mani stringevano quel contenitore mistico, come un trofeo. Sorrise,
mentre la città scorreva intorno a lei.
***
«Willow potrebbe ugualmente tentare»
propose Giles.
«Naturalmente» aggiunse Buffy «Ma
entrare nel posto dove sono stata… è l’unica speranza che abbiamo.»
«È un rischio che possiamo correre?»
chiese Dawn. Buffy guardò sua sorella e poi tutte le altre, le Nuove
Cacciatrici, la responsabilità più grande.
«È lo stesso rischio che correremo se
decideremo di non intervenire.»
Resisti, Buffy…
Ascoltalo
Le mani!
«Un giorno» disse lei «Domani
tenteremo di elaborare un piano. Ci lavoreremo sopra. Giles e Willow
istruiranno le Nuove Cacciatrici sul controllo mentale e la meditazione… Siamo
arrivati fin qui… abbiamo iniziato noi questa guerra. È tempo di portarla a
termine, una volta per tutte.»
***
«Jackie ce la farà» sussurrò Wood
«Perchè ci siamo noi. È per lei che siamo qui. Non sono più sole Faith… è
questo che sto cercando di farti…» un bacio fermò quelle parole.
Stavolta fu Faith a poggiare una mano
sul suo volto. Gli occhi stupiti di Wood incontrarono quegli spaventati di
Faith… le lacrime non potevano essere sepolte in eterno… e la tenerezza
accompagnò il sorgere di due specchi sul suo viso.
In silenzio.
Ancora un altro bacio. Robin Wood
l’accolse. Sentendola vicino a lui… le sue spalle vennero bagnate dalla purezza
del suo pianto, mentre la stringeva a sé. Non fu come la prima volta… la forza
dirompente poneva una labile maschera alla fragilità del suo essere.
Forse in quell’abbraccio, o nella
fusione delle loro essenze… riuscì a capire come il Male avesse potuto farvi
una breccia, lasciarvi uscire la luce per immergere il suo cuore nel buio.
Essere una Cacciatrice…In quella
fragilità… che cosa importava?
Faith scoppiò in lacrime, dopo aver
fatto l’amore. Per la prima volta nella sua vita lasciò che la sua umanità
strappasse il velo alla sua scorza. Si sciolse in quel pianto… al sicuro,
mentre si rannicchiava presso di lui.
Wood avvolse delicatamente le mani sul
capo di lei, china sul suo petto come se fosse concentrata a percepire la
frequenza del cuore che vi era racchiuso. E lui non disse niente, lasciò che il
silenzio avvolgesse quella verità, racchiudendola in un involucro che il tempo
non sarebbe stato in grado di dissolvere, né le circostanze. La intrappolò in
quella camera di motel, mentre il mondo attorno a loro si scuoteva
irrefrenabile, mentre nuove forze mettevano in moto meccanismi sconosciuti.
Lui le accarezzò i capelli…
Ci sono…
***
Wesley Wyndam-Pryce, alla fine, aveva
ceduto.
Chino, su un lungo tavolo
esclusivamente occupato da vecchi volumi, giornali locali ed elenchi
telefonici, aveva allontanato, con un gesto distratto, i suoi occhiali dal
volto, per poi poggiare il capo su un braccio e lasciarsi dominare dal sonno.
Dopo qualche secondo, nella lussuosa
biblioteca della Wolfram & Hart, le luci si erano spente.
Il problema, quando le cose accadono,
è che accadono troppo velocemente. Il tempo sembra coinvolto in una congiura… e
non si è in grado di metabolizzare il cambiamento. L’edificio della Wolfram
& Hart metteva a loro disposizione una quantità infinita di risorse.
Eppure, nessuno sembrava in grado di capire cosa si era, all’improvviso,
scatenato. Era iniziato dopo il crollo di Sunnydale. I vampiri e la popolazione
notturna erano spaventati da qualcosa che stava arrivando… Lilah aveva detto
che i Collaboratori Anziani* temevano una grossa battaglia che si stava
combattendo per la conquista del potere… e Gunn prima di ritirarsi in quello
strano stato di permanente transcendenza, aveva parlato della nascita di nuove
forze in tutto il mondo.
Wesley si era messo alla ricerca di
informazioni sul Primo Male. Buffy aveva suggerito di costituire un secondo
fronte per un’eventuale battaglia da combattere, e sembrava proprio che quella
lotta si stesse preparando, nell’ombra. Se le intuizioni di Angel erano esatte,
se Buffy e gli altri avevano perso nello scontro con il Primo e Sunnydale era
stata solo la prima delle tappe verso la distruzione totale, allora bisognava
essere pronti. Wesley aveva passato metà della notte e l’intero giorno
precedente a studiare le informazioni a disposizione e provando a mettersi in
contatto con qualche vecchio amico del Consiglio. Un tentativo fallito, forse
non ne era rimasto davvero nessuno. Per un attimo era stato sul punto di
richiamare Fred e Lorne, a loro volta coinvolti in una ricerca nel tentativo di
scoprire cosa fosse accaduto al loro amico, Charles Gunn, ma era meglio esser
sicuri di quello che si stava preparando.
Le luci, si accesero automaticamente,
non appena Angel fece irruzione nella stanza: «Hai studiato tutta la notte?»
domandò quest’ultimo.
Wesley si destò con un balzo…
prendendo isintivamente gli occhiali che si era cacciato: «Angel!»
Il vampiro entrò nella stanza, Wesley
s’intristì nel percepire la disperazione sul suo volto: «Hai fatto presto.»
«Poco prima del sorgere dell’alba, ho
corso un po’ nell’ultimo tratto.»
«Richard sembrava esserci rimasto
male. Avrebbe preferito accompagnarti.»
«A volte i miei metodi sono più
efficaci, e veloci. Inoltre, in una notte come questa, non avrei tollerato
l’insopportabile noia di un viaggio in limousine.»
Wesley sorrise a quel commento, ma
quella smorfia si preparava ad un espressione più dura, amara, quanto la sua
domanda: «Allora? Hanno perso?»
Angel annuì in segno di risposta. Poi
superata, per un momento, la tristezza del ricordo, aggiunse: «Credo siano
morti. Non so se siano riusciti a debellare il Primo ma… dobbiamo scoprirlo al
più presto.»
Wesley portò la sua attenzione ai
libri che stava consultando: «Potrei risponderti di no. Potrei dirti che sono
sicuro che il Primo stia facendo le sue prime mosse verso di noi. Ma la verità
è che non so nulla.»
«Lilah dovrà pur sapere qualcosa»
commentò Angel «è stata lei a darmi quel fascicolo… e quell’amuleto… e…»
Wesley spostò una serie di libri per
tirar fuori una cartellina rossa, sepolta sotto due grossi volumi. La scritta
SUNNYDALE vi era impressa su di un lato. Wesley la gettò tra le mani di Angel:
«Questa è una copia di quel dossier. Quanto all’Amuleto… Lilah se ne sta
occupando.»
Angel sfogliò ancora quelle pagine per
poi mostrare un’espressione irritata e gettare la cartellina sul tavolo: «Ci
stanno nascondendo qualcosa.»
«Chi? Lilah?»
«Lilah… i… Collaboratori Anziani, o
chiunque risponda a questa azienda. Forse anche Gunn.»
«Sei stato tu ad accettare di farne parte»
gli rinfacciò Wesley.
«Perché credevo fosse… la cosa
migliore, per noi. Credevo fossimo in grado di… controllarli.»
«Bhè… questo non cambia la situazione,
Angel!» Wesley lo fissò duramente «Il rimpianto non sarà utile.»
Angel era troppo sconvolto per reggere
quello sguardo. Abbassò il volto e si mise a sedere, barcollante, sulla sedia
dell’ex-Osservatore, senza dire una parola. Wesley si pose vicino a lui: «Mi
dispiace per Buffy… per… Faith… Dio, la mia Cacciatrice. Abbiamo perso persone…
fantastiche. Willow era… meravigliosa, e così gli altri e…»
Angel sembrava distante… incapace di
ascoltare una sola parola proveniente dalla bocca dell’amico. Wesley continuò:
«…Ma ciò che dobbiamo fare ora è… lasciarli vivere in noi, Angel. E se avessero
ancora un po’ di forze… le spenderebbero combattendo. Non c’è tempo per il
rimpianto.»
Angel mosse la sua testa, tentando di
reagire. «Da dove cominciamo?» chiese.
«Credo sia arrivato il momento di
rivolgerci al nostro amico, lì sopra» propose Wes alzando gli occhi verso
l’alto.
Angel si alzò, interrogandolo con lo
sguardo: «Chi? Gunn?» Wesley annuì.
«Credi sia possibile?» chiese il
vampiro.
Wesley mise una mano al centro di un
libro aperto, posto sul tavolo. Dopo qualche secondo, le scritte vennero come
assorbite dalle pagine, scomparendo. Angel restò sorpreso da quella
trasformazione. Poi l'altro richiuse il volume ormai vuoto: «È tempo di
scoprirlo» propose.
Insieme si diressero verso l’uscita
della biblioteca.
***
Fissava il cielo, rischiararsi nel
pallore del mattino. Un altro sole. Sterili linee di luce si affacciavano ad un
visibile orizzonte, dopo la vittoria contro le tenebre. E mentre il giorno si
ricreava nell’armonia delle cose, Buffy restava a guardare i meccanismi
impercettibili che legavano i fili del mondo. Sentendosi avvolta e immersa in
quel motore.
Anche il dolore che avvertiva, e la
sua origine, appartenevano a quella dimensione sconosciuta. Quanto era cambiato
della sua prospettiva, dopo ciò che aveva visto lì dentro?
Avrebbe voluto piangere solo per
rimproverare se stessa di aver sbagliato tutto, di non essere stata in grado di
accettare… di aver avuto paura a scegliere.
Ora i sentimenti le si avvolgevano
attorno, in un groviglio che andava sempre più ad assumere la forma di un
bozzolo… dal quale avrebbe tanto desiderato uscirne. Non sarebbe stato
possibile… non prima che il dolore fosse cessato, non prima che quella
connessione fosse stata interrotta.
Eppure, osservando il mondo, ora…
desiderava far crescere quel dolore dentro di sé… come se fosse il prezzo da
pagare per aver voluto chiudere gli occhi.
La sofferenza…
Tutto… si era nascosto in quelle mani,
in quelle fiamme, l’immensità di una vita che le sensazioni umane non riescono
a toccare. Ma lei ci era riuscita. Troppo tardi, forse.
Ora lo sentiva, dentro di lei. E
quanto più si accorgeva della profondità di quel legame, tanto più comprendeva
il rischio che avrebbero corso. Ma bisognava farlo.
Coinvolgerli fino in fondo… spezzare
quella corda… il prezzo da pagare.
Lo avrebbe lasciato nuotare fino
all’eternità… e poi non lo avrebbe più sentito. La memoria si sarebbe fatta
scrigno, conservando il ricordo dei suoi occhi, in quegli ultimi momenti,
quando accettava il suo destino e la liberava da quelle fiamme… per lasciarla
andare, per lasciarla vivere.
La sua mano sul suo cuore. Si
stringeva alla sua umanità.
Willow andò verso di lei e le si
sedette accanto, dolcemente. Mentre si dibatteva alla ricerca di una parola che
potesse avere un senso... trascinò un dito nella sabbia, formando una linea,
mentre un lieve vento sfiorava le sue riflessioni… e i capelli rossi
«Gli altri sono tornati a dormire.» Fu
tutto ciò che riuscì a dire.
Buffy si voltò ad osservarla «Hanno
bisogno di riposare.»
Willow guardò in direzione dello
sguardo dell’amica. I colori si incrociavano in linee perfette… in calde
sfumature, un po’ raggelate dall’atmosfera mattutina.
«È bello qui. L’alba, intendo.»
«Già. Un’altra alba.»
«Non devi preoccuparti» disse Willow
«Ce la faremo, anche stavolta.»
«Giles… ed Andrew… hanno ragione.»
«Bhè… anche tu hai ragione. Non ci
sono altre soluzioni, vero? Lo hai visto lì dentro.»
No. Non c’erano altre soluzioni.
Scosse il capo.
«Allora correremo il rischio» aggiunse
la rossa, poggiando una mano su quella della Cacciatrice.
«Willow io so quello che ho visto.»
«E ti credo. Noi… ti crediamo.»
Buffy non aggiunse altro, nonostante
quel piccolo incoraggiamento non fosse abbastanza. Non di fronte al dolore che
lui stava provando. Tornò a guardare il cielo: raggi più chiari si facevano
pian piano strada, bucando sottili nubi accavallate a causa del vento.
Willow sentì delle voci in quel
silenzio.
Era Buffy ad inviarle… voci. E quello
sguardo rivolto in alto… come se cercasse di contattare qualcosa di più…
profondo.
«Non ci hai detto tutto, vero?»
domandò la rossa.
Ancora una volta, Buffy scosse il
capo. Willow, tornò a fissare tristemente le linee che le sue dita avevano
formato sulla sabbia: si dipanavano in forme ondeggianti, partendo da uno
stesso punto, una stessa radice. Minuscoli granelli di sabbia venivano
trascinati dal vento verso i solchi che andava scavando… compattandosi con
l’armonia del disegno, trovando un loro posto, mentre altri si spostavano,
dirigendosi verso il centro. Un altro alito pennellò i contorni delle linee,
rendendoli confusi e indefiniti. C'era della verità in quel disegno. Willow
stese la sua mano e spazzò via ogni forma, cancellandola.
Buffy sorrise per quel gesto. «No, non
vi ho detto tutto» aggiunse.
«Non devi dirmelo per forza» l'umidità
aveva lasciato un velo appiccicaticcio sulle sue mani e dovette sfregarsele ai
pantoloni per scrollarsi di dosso la sabbia che vi si era attaccata.
«Non devi se non vuoi. Ma se credi che
io non possa capirti… allora forse sbagli. Perché credo di essere in grado di
comprenderti, ormai… e… sento che c’è qualcosa che non va Buffy. E la mia non è
solo un’irrefrenabile curiosità.»
«È una cosa che riguarda… Spike»
rivelò lei «…e me.»
«Ne ero convinta.»
«Willow… per… riuscire a vedere ciò di
cui vi ho parlato, poco fa. Sono dovuta entrare in lui. Nella sua anima… nel
suo… essere.»
Quella rivelazione la soprese… quale
straordinaria esperienza doveva nascondersi dietro quelle parole? Lo sguardo di
Buffy suggeriva il profondo smarrimento nel quale non era ancora riuscita a
districarsi.
«Hai trovato qualcosa?» chiese Willow.
«Si» rispose Buffy «Me.»
Willow stese le sue labbra, osservando
la sua amica con leggera malinconia, correggendo la sua espressione sul tono di
quelle parole... «E… come è stato?» domandò
«Immenso…» il suo sguardo sembrò
inabissato nell’oltre, come se avesse davanti la profondità di cui stava
parlando «Willow… lo avverto ancora, dentro di me.»
L’altra annuì, lentamente,
connettendosi con quelle sensazioni. Buffy respirò profondamente, stringendo le
labbra mentre socchiudeva gli occhi «Prima che lo lasciassi… lì… nella scuola.
Io… l’ho sentito… quando… mi ha stretto la mano.»
«La mano?»
Oh Dio… non basta? Non basta questa
forza per liberarti? Per andare via… allontanarti verso.. verso…
La pace…
Il fuoco…
«È allora che… ha iniziato a bruciare.
Quando ha preso la mia forza… E io… gliel’ho ceduta, rivelandomi. Ed era così…
così… deciso e… sereno, mentre lo accettava.»
Ora l’ho capito, Buffy… lo vedi anche
tu…
«Buffy, di cosa stai parlando?»
Perché ogni cosa ha il suo valore ora…
inizia ad avere un senso… questa luce…
… la tua
«Si è creato un legame…» rispose
«Buffy… tutto questo è… è…»
«…È terribile. Mi sono sentita inerme
di fronte… a quella grandezza. Era la forza che ha spazzato via il male dalla
Bocca dell’Inferno. E l’ho vista consumarsi, spegnersi pian piano… per me, per
tutti noi. Senza che potessi fare nulla, se non attendere… che qualche miracolo
spegnesse quel fuoco, o che le fiamme mi consumassero in fretta, insieme ai
miei desideri, per fondermi in quella… stretta.»
«Buffy, Spike… ha compreso qual’era la
sua missione… l’ha sentito come parte di sé… del suo sacrificio. Era pronto ad
accettarlo. E lo ha fatto.»
«Sono stata in grado di dirgli che lo
amavo, solo quando lo stavo perdendo davanti ai miei occhi. E lui non ci ha
creduto.»
«E tu? Tu gli hai creduto, Buffy?»
Non è così, ma grazie per avermelo
detto.
Buffy sorrise, in un singhiozzo,
incapace di fermare quel tiepido flusso che le scorreva sul viso. Gli occhi le
bruciavano. Willow si fece più vicina a lei, il dolore scorreva nel sangue
della Cacciatrice, e la strega cercò di contenerlo, mentre l’abbracciava.
«Dopo quello che hai sentito…»
continuò Willow «Dopo aver toccato la sua anima… hai ancora bisogno che una
voce confermi quelle sensazioni?» strinse il capo di Buffy tra le sue mani,
lasciando scorrere il pianto. «Buffy, entrando nella sua anima hai incontrato
la verità nella sua forma più pura, e non solo l’espressione dei suoi pensieri,
ma l’essenza dei suoi sentimenti.»
«Avrei solo voluto tornare indietro
per permettere a me stessa di comprenderlo prima che fosse troppo tardi.»
«Non sarebbe stato giusto» disse
Willow accarezzandole i capelli «È tutto ciò che sono riuscita a comprendere di
questa vita. E mi basta. Se ora nel mondo ci sono centinaia di Nuove
Cacciatrici… questo significherà qualcosa, non credi?»
«Ma come si fa a distinguere ciò che è
giusto da ciò che è sbagliato?»
«Forse cercando di correggere i nostri
errori. È così che siamo andati avanti.»
Errori
Buffy riprese il controllo su sé
stessa, tornò a guardare l’amica negli occhi: «Willow, in quest’ultima
battaglia non possiamo permetterci errori.»
La ragazza sorrise, annuendo, in un
estremo tentativo di mostrare il suo ottimismo: «Non lo faremo.»
«No» disse Buffy «Ho visto il Primo nella
sua forza. Stava divorando quella... luce.»
«Ho capito.»
«Willow… non so cosa succederà. Ma se
il Primo riuscisse a percepire questo… forte legame che ha unito la mia anima a
quella di Spike… temo che possa usarlo come un collegamento.»
Willow fu avvolta in un brivido, non
capiva se era il vento… o le parole di Buffy ad imprimergli, improvvisamente,
quella strana e inaspettata sensazione di terrore. Non gliene importava. Forse
perchè per un attimo era entrata in lei, nella sua esperienza, e aveva capito.
Ecco cosa mi fa paura…
ciò che Buffy sta per dirmi…
«Che vuoi dire?»
«Che potrebbe ottenere ciò che vuole…
sfruttando il legame per lasciare andare Spike… e ancorarsi a me. E se
accadesse… non so se avrò la forza necessaria per respingerlo.»
***
Non fu difficile entrare in quella
specie di stanza.
Angel ricordò come una volta fosse
necessario sfruttare la tastierina numerica dell’ascensore per comporre una
serie di numeri, un codice… Solo allora il magico pulsante sarebbe apparso…
Si supponeva che tutto fosse diverso,
ora; nel nuovo edificio della Wolfram & Hart qualcosa era cambiato, non
solo i vecchi membri della Angel Investigations ne avevano assunto la guida, ma
anche alcuni accessi sembravano più semplici.
Quando il pulsante si era materializzato
in cima al pannello di controllo, Wesley non aveva fatto altro che premerlo: la
luce li aveva subito investiti.
Forse investiti non è il termine
esatto, pensò Angel… ogni volta è come essere avvolti. Lo spazio intorno inizia
a cambiare senza che tu possa accorgertene e poi fa freddo. Probabilmente erano
quelle pareti bianche a trasmettere quella sinistra sensazione, quei gelidi
pali di sostegno…
In fondo, nessuno di loro era sicuro
dell’esatta ubicazione della Stanza Bianca. L’ascensore, per un po’, sembra
continuare a salire, prima che si venga scagliati in qualche sorta di spazio
inter-dimensionale.
Wesley convinse se stesso che si
trattò di fortuna. Più probabilmente qualche strana forza superiore aveva
deciso che per loro era tempo di entrarvi… se così fosse, che genere di
risposte avrebbero trovato?
Non si fidava di quel posto, perché
avrebbe dovuto? Aveva cambiato Gunn.
Negli ultimi giorni, il loro amico,
era riuscito ad entrare e ad uscire dalla Stanza Bianca senza nessuna
difficoltà… finchè non aveva deciso di restarci. E il fatto che quel luogo non
sembrava avere una precisa collocazione materiale all’interno della struttura
che ospitava la sede legale… non era di conforto. Poteva trattarsi di una
perfetta e ingegnosa trappola vivente. Non c’era da fidarsi, questo era sicuro.
Uno dei casi in cui Wes ringraziava
che il gruppo non fosse unito. Se a loro fosse accaduto qualcosa, Fred e Lorne,
prima o poi, sarebbero giunti in loro soccorso. Il poi non è mai un’ipotesi
ottimista… ma in una situazione come quella…
Mentre osservava le sue scarpe
poggiarsi sul liscio pavimento, Wesley pensò che fosse stata una stupidaggine
entrare insieme, lui ed Angel. D’altronde, il vampiro iniziava a pentirsi della
decisione di aver assunto la guida di un’azienda che per quattro anni, a
servizio del male, non aveva fatto altro che ostacolarli. Era bastata la
tragedia di Sunnydale a renderlo vulnerabile… insicuro.
Non che Wes non fosse terrorizzato
dall’idea che il Male avesse iniziato a diffondersi come un morbo… devastando
un’intera cittadina e facendo fuori Buffy e Faith. Per non parlare della storia
del Consiglio degli Osservatori e di quello che Willow aveva raccontato a
proposito delle Potenziali Cacciatrici che gli araldi del Primo stavano
uccidendo in tutto il globo.
Alla luce delle ultime considerazioni,
Wesley guardò, sempre più, a quelle pareti bianche come a delle sbarre, una
minaccia incombente. Lo sguardo segnato di Angel non poteva essere di sollievo,
né il reciproco imbarazzo mentre si guardavano attorno nella speranza di
scorgere qualcosa, restando solo intontiti dall’eco dei loro passi che
rimbombava nella vuota stanza rettangolare.
«È da un pò che non ci si vede.» La
voce del loro amico pose fine a quel disorientamento, ma la sua apparizione non
fece altro che agitare, in loro, maggior sfiducia e timore.
Angel si fece avanti: «È trascorso
solo qualche giorno.»
«Qui il tempo gira un po’
diversamente.»
Le loro impressioni non erano
sbagliate: Gunn sembrava non solo più alto… erano le sue fattezze fisiche ad
essere cambiate, come se fossero state ingigantite. Anche il tono della sua
voce era diverso. Wesley si chiese se fosse per la diversa acustica di una
dimensione inter-spaziale… o se rientrasse nel cambiamento della persona che
stava parlando con loro. Di certo non supponeva che avrebbero intrattenuto
un’allegra conversazione quel giorno. I vecchi tempi sembravano… smarriti,
inghiottiti dal cambiamento, se mai fosse possibile. Inoltre… erano sempre
stati dell’idea che la bambina che aveva occupato quella Stanza, prima che
«Speravamo potessi dirci qualcosa a
proposito di Buffy… della Cacciatrice» disse Angel. Anche lui dell'idea che non
fosse il momento per altre domande, del tipo “Oh, Gunn, amico, come stai?”,
“Come ci si sente ad essere connessi a un grande potere?”.
«Non appartiene più a questo mondo»
rispose quello. Le pareti emisero una specie di ronzio, come se tanti sciami
d’api stessero per abbatterle. Ma fu solo un momento, il tempo che Wesley ebbe
di girarsi… poi cessò.
Nel frattempo quell’ultima frase aveva
abbattuto il muro della disperazione che Angel aveva eretto… e i mattoni gli
erano crollati addosso seppellendo ogni speranza.
«Gunn, che cosa sta succedendo? Io e
Wesley crediamo che il Primo Male sia sempre più vicino. Ma non sappiamo come
combatterlo.»
Angel si stupì delle sue parole. La
strana situazione avrebbe imposto maggiore riflessione; in un altro momento
sarebbero stati più cauti… più obbiettivi nel valutare le loro mosse. Ora si
aggrappavano alla flebile speranza che Gunn, il loro amico, fosse presente,
insieme a loro, in quella Stanza.
«Sta per generarsi un grave
conflitto...»
Quelle parole, il distacco con cui
vennero scagliate, stesero un velo di cupezza sulle loro menti. Wesley iniziò a
pensare che fosse la sua ansia a far vibrare, nelle sue orecchie, quello strano
ronzio che a tratti affiorava. Angel non sembrò accorgersene… eppure, fino a
prova contraria i vampiri avevano i sensi più sviluppati degli umani… doveva
trattarsi, di ansia, quindi. E Gunn… sembrava una statua vivente.
«Sei in contatto con i Collaboratori
Anziani? Se è così… dovrebbero sapere qualcosa a proposito di queste… nuove
forze…» azzardò Wes.
«Ci sono dei poteri che non riescono a
conoscere… forze protette da segreti che loro non possono penetrare.»
«È tutto qui?» C’era rabbia nella voce
di Angel, la sua disperazione iniziava a trasformarsi, il che era un dato
positivo, Wesley non avrebbe sopportato la visione del suo amico che gettava la
spugna.
«Gunn… sei… sempre stato al nostro
fianco. Abbandonarci ora? Perché?»
«Tutto ciò che posso fare… è mettervi
sulla strada di queste forze»
Wesley annuì. Il tentativo di Angel di
sottrarre Gunn da quella specie di catalessi non aveva funzionato… ma avrebbe
finito col rimproverare se stesso se avessero lasciato
«D’accordo…» disse Wesley, dopo aver
scambiato, con Angel, uno sguardo di approvazione «Mettici sulla loro strada.»
Gunn allungò una mano, poi l’ambiente
venne trasformato.
Di nuovo quella luce. Per un attimo
ebbero l’impressione che Gunn avesse sorriso. Forse si era solo trattato di una
distorsione visiva.
Nell’istante in cui tutt’intorno era
luce, la paura tornò in Wesley come una silenziosa bestia divoratrice…
perlomeno… stavano uscendo da quella gabbia.
CAPITOLO 5
La luce si dipanò nello stesso istante
in cui comparve. Ma le cose non erano affatto uguali a come Angel e Wesley le
avevano lasciate. L’ambiente intorno a loro era completamente differente, non
Posso mettervi sulla strada di quelle
forze aveva detto Gunn. Ora dovevano solo capire dove erano stati inviati.
Un lungo corridoio si propagava
dinanzi a loro, illuminato da fasci di neon sul soffitto che nell’ultimo tratto
sembravano a malapena funzionare a intermittenza. Quell’effetto luce-ombra,
laggiù in fondo, rendeva il tutto più spettrale e quanto mai paragonabile ad
uno di quei tunnel spaziali che chiunque abbia visto un film di serie B di
fantascienza riuscirebbe a riconoscere. In ogni caso, quel ronzio continuò a
stuzzicare l’ansia di Wesley. Doveva essere una delle sue ultime fissazioni
momentanee… se non altro, ora, alzando gli occhi al cielo poteva accertarne la
provenienza - oltre a notare gli insetti stecchiti nel vetro che conteneva il
tubo fluorescente del neon - .
Angel aveva trattenuto un respiro nel
momento in cui Gunn aveva alzato la mano… ora poteva rilasciarlo, nello
scoprire che, lì, il sole non doveva essere un visitatore abituale; non vi
erano finestre né aperture sull’esterno.
Abbandonata l'ipotesi di finire come
un tacchino incenerito e cercando di confidare nella buona fede dell’amico che
li aveva prontamente teletrasportati lì, Angel iniziò a chiedersi quanto facile
sarebbe stato trovare quelle forze.
Si mossero entrambi in direzione della
zona tetra. «Qualche idea?» domandò Wesley.
«Nessuna. E tu?»
«Non sono io il Vampiro.»
Angel si fermò, come se quella frase
gli avesse suggerito qualcosa. Chiuse gli occhi per una frazione di secondo
tanto breve che Wesley neanche se ne accorse.
«Niente luce del sole… e mi sento
abbastanza al sicuro.»
«Al sicuro? Che intendi?»
«Ci troviamo sottoterra… o quasi. C’è
gente che cammina sopra di noi.»
«Siamo in un edificio, allora.»
«Si, credo di si.»
Wesley annuì, fingendo che quella
rivelazione contasse qualcosa. In realtà era del tutto indifferente.
Arrivarono all’incrocio. A destra si
diramava un altro braccio del cunicolo, un tratto un po’ più breve di quello
appena trascorso e con tutti i neon fulminati. Dall’altra parte si trovava la
porta che conduceva alle scale d’emergenza.
Angel indicò a Wes quest'ultima
direzione: «Vai tu.»
«Io? Cosa? Che significa?» protestò
quello.
«Significa che siamo in pieno giorno,
che ci sono altre persone e che non potrò muovermi liberamente lassù.»
Wesley si passò una mano sulla testa,
in un gesto folle di disperazione, emettendo un mugolio che era più un lamento
che un segno di approvazione.
«Darò un’occhiata qua intorno»
continuò Angel «Se non sarai di ritorno prima del tramonto, ti raggiungerò io.»
«D’accordo.»
Wesley raggiunse la porta, posò una
mano sulla maniglia e fu quasi sorpreso quando scoprì che non era necessaria
alcuna forzatura. Angel gli voltò le spalle procedendo in direzione del
corridoio… Wesley notò la rampa di scale che portava ai piani superiori e, dopo
essersi chiuso la porta dietro le spalle, si trovò avvolto dall’ansia di chi
teme di trovarsi in pericolo insieme alla voglia di scoprire dove diavolo erano
stati spediti.
***
Quell’allenamento fu più stancante di
tutti gli altri .Forse l’ulteriore esasperazione derivante dall’attuale
situazione metteva a dura prova il loro fisico quanto il loro morale.
Giles avrebbe voluto dire loro che non
poteva esistere il riposo, nella vita di una Cacciatrice… non poteva esistere
la resa: Buffy aveva pagato con la morte le più dure lezioni dell’essere una
Prescelta.
Si trattenne dal pronunciare i suoi
pensieri. In un momento diverso l’avrebbe fatto, ma lo scontro che stavano
preparando generava in lui un’ansia che nessuna di quelle ragazze avrebbe
compreso. Giles era bravo a nascondere, e, d’altronde, il mondo aveva imposto
quella sola scelta. Quelle ragazze sarebbero entrate nel territorio del Primo,
in quel campo dove, dall’alba della vita, sono riposte e mascherate le regole
del male; dove il Primo ha vissuto nell’ombra per tutte le eternità…
prolungando i suoi tentacoli sulla realtà fisica, al punto da riuscire a
controllarla.
A cosa sarebbe servito
quell’allenamento? E a cosa sarebbero servite le solite storie sul potere che
erano state costrette ad ascoltare da quando erano giunte a Sunnydale? Il Primo
si sarebbe facilmente approfittato di quella debolezza… e loro avrebbero fatto
il suo gioco.
Neanche Willow riuscì ad
incoraggiarlo. Aveva parlato a Kennedy, Rona e Vi degli insegnamenti appresi
alla Congrega, in Inghilterra, quasi un anno fa. Quelle streghe le avevano
imparato ad interrogare se stessa… non con la semplice meditazione, ma
attraverso il ripiegamento interiore… le avevano insegnato ad entrare in sé, a
mettersi in contatto con gli infiniti centri dell’essere. Era una realtà
diversa… vasta. Willow aveva trovato zone contaminate dai residui della magia
oscura che l’aveva posseduta, ed era stata costretta ad eliminarla. Spiegò loro
che non si trattò di prendere una scopa e spazzar via un po’ di polvere.
Significò mettersi in contatto con il dolore che aveva causato il sopravvento
di quel potere… e appellarsi ad ogni energia per riuscire a sradicarlo. Come
spazzare via un po’ di polvere mentre centinaia di grossi aghi ti sono
conficcati nel cervello e ogni piccolo sforzo è energia che ti consuma.
Forse le parole, non dette, di Giles
sarebbero state più incoraggianti. Willow puntualizzò, appena in tempo, che
l’esperienza che avrebbero affrontato sarebbe stata completamente diversa… e
corresse l’analogia degli spilloni. Kennedy sorrise; lei e Willow avevano
parlato interminate volte di quel dolore. Willow l’aveva superato, ma era
troppo prudente per ammetterlo. In più Kennedy aveva assistito alla
trasformazione; non riusciva ad immaginare come la purezza di quella magia
potesse estendersi fino a tali livelli distruttivi e incontrollabili. Willow le
aveva spiegato che si era trattato di un diverso tipo di magia…
In quel momento Kennedy pensò al
Primo: quell’associazione le mise i brividi addosso. La verità è che, anche
dopo lo scontro e l’ipotetica vittoria, non erano stati in grado di comprendere
niente di più di quanto già non sapessero a proposito di quella forza. Sarebbe
stato del tutto inutile ogni tentativo di razionalizzarla… e quella conclusione
andò a sommarsi alla situazione di svantaggio in cui tutti credevano di
trovarsi.
Willow aveva preso in mano
Rona aveva chiuso gli occhi, cercando
di allontanare, nel silenzio della mente, quella parte di lei che sfogava di
continuo le sue paure e le sue frustrazioni, cercando invece di approfondire il
legame con quella scossa che batteva incessante, come un cuore amplificato,
all’interno di quell’arma. Giles disse di indirizzare il potere e Rona pensò
che neanche lui conosceva il significato di quelle parole. Passò l’ascia a
Kennedy che tentò di fare lo stesso.
Fu più facile, per lei… quel semplice
tocco la costrinse a chiudere gli occhi. Avvertiva la presenza di Willow, una
calda stretta all’interno, come un impronta digitale psichica. La riconosceva.
Quello strano legame che si era instaurato tra Willow e il potere delle
Cacciatrici aveva resto ancora più particolare il loro rapporto. La sentiva in
lei, ogni istante, era come se ognuna riuscisse a leggere il respiro
dell’altra, mentre ogni alito di fiato trasportava ininterrottamente ogni
pensiero. Qualcuno avrebbe potuto vederla come una violazione della propria
psiche… ma non si trattava esattamente di telepatia. Era un legame che
permetteva a Kennedy di avvertire la presenza di Willow anche quando lei era
distante. E negli ultimi giorni era stata un po’ lontana… a parte qualche
intenso e notturno momento di intimità. Ma era giusto così… era necessario
trovare la strada prima di rimettersi in viaggio.
Toccando
Ci fu una scossa, appena l’arma passò
in mano a quest’ultima.
«Ci siete riuscite» sentenziò Giles
«Chi più chi meno, forse anche inconsciamente, ma l’avete caricata.»
«Quella cosa… mi ha morsa» gridò Vi
puntando ferocemente il dito verso
Willow scosse il capo: «No… era piena
di Potere… Kennedy e Rona l’hanno caricata… e tu non sei stata in grado di
trattenerla.»
«Questo è un buon segno?» domandò
Rona.
«Certo. Non è riuscita a tenerla
perché ha avuto paura.»
«Paura? È stato come toccare dei fili
dell’alta tensione…»
«Era piena di Potere… Se fossi stata
in grado di trattenerla per qualche istante te ne saresti accorta anche tu… e
le avresti conferito un’altra… spinta.»
«Questo cosa significa esattamente?»
chiese Kennedy.
Giles si alzò da terra, passandosi le
mani dietro il sedere per scrollare via la sabbia dal pantalone. «È tutto qui»
disse posando il dito indice sulla parte alta della sua fronte «Non ci sono
state arti marziali o mosse di tai-chi. Eppure avete espresso il vostro potere…
iniziando da qui.»
Kennedy e Vi annuirono, quest’ultima
ancora un po’ a disagio per la sua esperienza. «Questo è ciò che dovrete fare…
una volta lì dentro…» Giles sentì di dover aggiungere qualcosa, avrebbe voluto
spiegare alle ragazze dove sarebbero finite… avrebbe potuto dire loro che
sarebbe stato come quella volta che le portò proprio lì nel deserto, per aiutarle
a capire qualcosa del potere della Cacciatrice, quando Sunnydale era ancora un
città dove la gente respirava… un po’ a fatica, forse.
Si allontanò senza dire altro. Willow
restò qualche secondo a compiacersi con le altre, strizzando un occhio alla sua
ragazza. Poi lo seguì.
Mentre Willow e Giles si dirigevano
verso gli altri, Rona osservandoli con la coda dell’occhio, commentò «Ho
imparato abbastanza del potere di una Cacciatrice da capire che è la forza che
sento nelle braccia a dirigere il potere»
«Cosa?» chiese Kennedy.
«Dico solo… chi vogliamo prendere in
giro? Giles non ha idea di quello che succederà e tantomeno Buffy.»
«Preferisci correre il rischio?»
«Quella ragazza ha fatto solo un sogno
troppo lungo! Abbiamo altro da fare… ce ne sono altre come noi, là fuori… »
«Forse è anche per loro che lo
facciamo» disse Vi.
«Questa cosa non ha senso. C’eravate
anche voi nella Bocca dell’Inferno…abbiamo ucciso quei mostri.»
«E senza il Potere non ne saremo mai
state in grado» ribattè Kennedy «hai sentito cos’ha detto Giles? Hai avvertito
anche tu l’energia della Falce.»
«Io non ho avvertito nulla.»
Vi alzò la mano abbozzando un sorriso
«Io si.»
«Sono stata la prima ad aver avuto il
coraggio di sfidare le decisioni di Buffy» disse Kennedy «Ma questo non c’entra.
Parli di forza fisica, parli di potere… non credo che una Cacciatrice sia solo
questo. E non puoi presumere di sapere che cosa significhi. A differenza di te,
di noi tutte, invece, Buffy lo sa.»
«Cerca di ragionare, Kennedy… Buffy non
riesce ad accettare il fatto che Spike non ci sia più. La sua mente è
offuscata. E forse anche la tua… per via… della strega.»
«Willow non c’entra.»
Rona chinò il capo, sorridendo con
fare ironico. Abbandonò le braccia lasciandole penzolare al corpo come se si
fosse già arresa all’eventualità della sconfitta: «Non sono mai stata brava a
meditare.. e spesso non riesco a controllarmi» ammise. Né Kennedy né Vi
riuscirono a capire se quel tono e quelle parole mascherassero l’intenzione di
giustificarsi per quello che aveva appena detto.
«Rona… così facendo… preparerai la
strada al Primo. Sul Piano fisico non poteva agire direttamente… ma lì dove
andremo…»
«Mi spiace ma non credo che faccia per
me. E sono stanca di sentir parlare di possessioni» Rona si allontanò, Kennedy
face un passo in avanti, protendendosi per trattenerla, ma Vi la bloccò
poggiandole una mano sulla spalla «Lasciala andare… meglio che resti sola.»
Kennedy non era sicura che sarebbe
stato meglio. Per un po’ anche lei aveva pensato le stesse cose. La verità è
che tutto la terrorizzava. Ma sapeva che la minima probabilità che le visioni
di Buffy fossero fondate, giustificava i suoi tentativi di mantenere la calma,
e respingere il terrore che altrimenti l’avrebbe consumata, così come stava facendo
con Rona.
***
Wesley ebbe la sensazione che i guai
lo stessero aspettando, alla fine di quei gradini. Quel sentore si fece sempre
più forte quando, alla sesta rampa di scale, si trovò ad osservare il minuscolo
riflesso di se stesso, nell’occhio circolare di una piccola telecamera di un
circuito di sicurezza. Si arrestò, immobilizzato dal puntino rosso che indicava
il funzionamento della telecamera. Pensò che, in quel preciso momento, qualcuno
sapeva che stava arrivando. Il che era buffo, dal momento che lui non aveva
idea di dove stesse andando.
Tentennò ancora, guardandosi dietro le
spalle. Scese qualche gradino per assicurarsi che non vi erano altre telecamere
al pianerottolo inferiore, dal quale era già passato. E infatti non ce n’erano.
Tornò a guardare quel piccolo occhio che continuava ad osservarlo. Poi si
ricompose e riprese a salire gli ultimi gradini.
Alla destra della telecamera bianca
c’era una porta. Wesley la notò in quel momento, coperta dalle arcate della
struttura, era visibile solo da quella posizione.
Avanzò in quella direzione, posando le
mani sulla maniglia antipanico e cercando di valutare razionalmente le sue
mosse. Le scale proseguivano, sopra di lui, forse avrebbe dovuto seguirle. Si
chiese quale giustificazione avrebbe inventato nel caso in cui qualcuno lo
avesse trovato lì. Un dilemma privo di senso, finchè non avrebbe scoperto
qualcosa di più a parte l’ansia che lo stava dilaniando.
La sua indecisione non durò molto. La
telecamera lo fece sobbalzare quando si spostò con un flebile brusio nella sua
direzione e, dai piani superiori, il rumore di una porta aperta lasciò correre
per le scale il suono di passi molto affrettati. Wesley si lanciò verso la
porta che gli stava dinanzi, le maniglie si abbassarono sotto il suo peso rivelando
un corridoio simile a quelli inferiori, se non fosse per una serie di porte
poste ad un lato, e grandi finestre, che si affacciavano sulla città,
dall’altro. Il corridoio si snodava in un’altra direzione e Wesley decise di
seguirla, iniziando a correre. Qualcuno lo stava seguendo...
Lo avevano visto… e lui stava
scappando, si supponeva che non avrebbe retto nessuna giustificazione. C’era
un'altra uscita, in fondo…
La porta, che prima si era chiusa
dietro di lui, sbattè contro il muro e Wesley ne sentì il rumore mentre si
accingeva a raggiungere l’altra estremità…
C’erano anche delle voci, o delle
urla… dovevano essere in tanti, una decina forse. Wesley avrebbe fatto in tempo
a raggiungere quel passaggio, doveva avere un po’ di vantaggio… ma… la paura
continuava a bloccarlo, come in quei sogni in cui il nemico ti insegue e non
riesci a muoverti, e finisci per venire assalito, inevitabilmente. Eppure
sentiva i muscoli correre verso quell’uscita, il fiato gli si bloccava in gola,
Dio… quel corridoio non gli era sembrato così lungo. Forse erano già dietro di
lui, in effetti li sentiva più vicini, sempre più. Come in quei sogni… ma erano
i suoi pensieri a rallentarlo? E se la porta non si fosse aperta? Fino ad ora
aveva avuto fortuna… forse sarebbe stata una buona idea coprire la telecamera
per mascherare i suoi spostamenti; in quella folle corsa ne aveva notate altre
due, fisse su due diversi angoli della struttura. E invece la porta si aprì e
Wes entrò. Per una frazione di secondo pensò di bloccarla con qualcosa. Poi
scoprì di essere in trappola.
C’erano due cose, incatenate…
Nell’oscurità della stanza si intravedevano a malapena i lineamenti deformi, ma
Wesley intuì che si trattava di due demoni, orribili, emanavano un odore
nauseante. Ringhiavano contro di lui, ormai incapace di distinguere i passi
degli uomini, dietro, dai battiti del suo cuore. Trovò difficile anche
discernere il suo respiro affannoso, dai rantoli profondi di quei mostri che lo
osservavano con occhi simili a quelli di un pesce.
Le forze.
La porta, dietro di lui, si spalancò
violentemente e la spinta lo scagliò a terra, a stretto contatto con le unghie
annerite e affilate di quei demoni. Quelle cose avrebbero potuto sfigurarlo; di
riflesso si allontanò dai piedi di quei mostri prima che accadesse qualche
incidente spiacevole. La luce proveniente dal corridoio gli permise di notare i
tratti di quelle creature: delle arcate ossee si prolungavano al di sopra della
fronte rugosa, e quel color vermiglio sembrava dipinto sulla loro pelle squamosa.
In conclusione, la sua corsa si era
dimostrata del tutto vana. Chiuse gli occhi quando vide le canne dei mitra
puntate verso di lui. Erano in cinque, eppure, avrebbe giurato che ce ne
fossero di più. Forse gli altri erano rimasti fuori. Indossavano l'uniforme
dell'esercito, eppure non sembravano sorpresi dalla presenza dei due demoni
all’interno della stanza. Wesley pensò che l’esercito degli Stati Uniti non
dovrebbe avere a che fare con robe di questo genere, almeno non l’esercito
regolare.
«D’accordo» disse uno di loro, in
prima fila rispetto agli altri quattro «Vediamo di scoprire cosa diavolo sta
succedendo.»
***
Angel avvertì dei rumori indistinti
provenienti dai piani superiori. Forse Wes non sarebbe tornato prima del tramonto.
Continuò a vagare per i sotterranei. In quella struttura labirintica, senza i
suoi sensi da vampiro, avrebbe facilmente perso l’orientamento. I corridoi si
diramavano in centinaia di intricate direzioni, finendo per confondersi in uno
strano groviglio. E non c’era nessuna indicazione che potesse suggerire la
natura della struttura dove Gunn li aveva scagliati.
Ma Angel stava seguendo un odore. In
quella zona percorsa solo dall’ombra e dal puzzo della plastica bruciata, era
ancora più forte. La sua mente ripercorse i secoli passati, era da un po’ che
non lo sentiva e gli ricordò Spike: si servì di quelle cose per trovare una
Cacciatrice, quella volta, in Cina.
C’era della polvere attorno, e,
nonostante i neon non funzionassero, Angel sentì il fiato di quel demone sul
collo.
Si scagliò contro la sua pelle
squamosa, sbattendolo contro il muro, avvertendo una patina scivolosa fra le
sue mani e le spalle di quella creatura.
«Mi sentivo in vena di conversazione,
in effetti» gridò Angel.
Il demone non oppose nessuna
resistenza: «D’accordo, d’accordo… ma non stringere così forte» gracchiò con
una voce un po’ stridula ma che sembrava provenire dalle profondità del suo
stomaco.
«Non prima che tu mi dica cosa diavolo
sta succedendo!»
«Divertente. Perché mi faccio la
stessa domanda.»
Il demone ruggì e con un rapido
strattone scaraventò Angel all’altro lato della stanza.
«Ok…» disse Angel mentre si
risollevava «Chi inizia per primo? Inizio io. Ho due domande: Cosa ci fai qui
e… cos’è questo posto?»
«Lavoro al servizio di alcune forze…
non faccio domande, eseguo solo ordini. Non so dove ci troviamo.»
Angel annuì… forze
«Tocca a te.»
«Non mi hai risposto.»
«Te l’ho detto, non so niente,
vampiro…!» disse in tono quasi sprezzante. Angel gli si avvicinò di nuovo, trasformando
il volto al comando della sua vera natura. «Se è così che mi preferisci…» disse
al demone sperando di spaventarlo «Ecco il Vampiro… prima ero troppo umano per
te…?». Gli afferrò la testa ossuta tra le braccia, stringendo con tutta la sua
forza da sentire i rantoli affaticati del demone, in un gesto tanto fulmineo
che il mostro neanche se ne accorse.
«Tu non capisci amico» disse
quest’ultimo tentando di respirare «Siamo tutti troppo umani.»
Angel lo lasciò andare, una creatura
come quella non avrebbe mai detto quelle parole se non fosse stata motivata.
Angel aveva un po’ di esperienza e un po’ di anni sulle spalle per constatare
quanto e come finge un demone se vuole trarti in inganno.
«Che cosa vuoi dire?» gli domandò.
Il demone rossastro tossì rumorosamente,
stringendosi le mani artigliate intorno al collo per assicurarsi di essere in
grado di respirare «Quello che ho detto. Siamo tutti troppo umani. Quando
quella squadriglia ci ha catturati con l’intenzione di farci loro schiavi… ho
cercato più volte di oppormi, di evadere… ma ora, con tutto quello che è
successo, non credo che altri demoni vantino una posizione vantaggiosa come la
mia.»
«Dimmi cosa sta succedendo, che cosa
sai?»
«Forse è la fine. In molti stanno
scappando, da Sunnydale sono arrivati a Los Angeles… e… si stanno disperdendo,
continuano la loro fuga… alcuni hanno già lasciato la California, altri
vogliono abbandonare l’America… almeno da quello che ho sentito. Credono che
questo li salverà!»
«Da cosa?»
«Dal Male… e quando arriverà ci
distruggerà tutti.»
«Il Primo» disse Angel «Perché mai
dovrebbe volervi morti?»
«Perché è puro» rispose il demone «…e
noi no. Siamo malvagi, certo… superiori a quelle masse di uomini senza
cervello. Ma nonostante tutto… la nostra radice… è umana. Tu sei un vampiro,
eppure, una volta… eri un uomo, proprio come loro. E ormai tutti i demoni che
camminano su questa terra sono derivati degli umani, proprio come me. Ho visto
l’esercito di creature bestiali che sta armando… non gli importa di noi. Ci
scaccerà insieme al resto del mondo… e ha iniziato con Sunnydale.»
«Ma… deve pur esserci una soluzione.»
Il demone si voltò di spalle. Angel
fissò gli spuntoni che salivano, curvandosi, per le scapole.
Quell’atteggiamento lo infastidì.
«E infatti c’è…».
Il demone allargò le braccia e da
quelle sporgenze argentee spruzzò un liquido che, in un attimo piombò verso
Angel.
Non ebbe il tempo di reagire che si
ritrovò sommerso da una sostanza vischiosa e appiccicosa che si stendeva
rapidamente sul suo corpo, imprigionandolo in una specie di rete spumosa e
maleodorante.
«Che cosa mi hai fatto?» domandò
mentre si scopriva incapace di muoversi.
Il demone mostrò il suo orribile
sorriso della vittoria: «Non ti permetterò di far loro del male.» Il suo alito
sapeva di candeggina.
«Del male? A chi? Di chi parli?»
«Sai benissimo di chi parlo. Mi hanno
detto che sarebbero venuti a cercarle… per ucciderle.»
«Ti stai sbagliando… sto dalla tua
parte… sono un amico… della… della Cacciatrice». Sospirò, sentendo le forze
venirgli meno. Socchiuse gli occhi. Il liquido stava solidificandosi sul suo
corpo. La sostanza che emanava agiva pian piano, cancellandogli i riflessi,
immobilizzando i sensi… mentre andava a spegnere l’interruttore della sua
mente. La vista si stava annebbiando. Nell’abbaglio della sua incoscienza gli
sembrò che la forma del demone fosse diventata un’allegra nuvola rossastra.
Ma la voce rauca di quella creatura,
quasi impercettibile e lontana, diventò assordante per la verità che espresse:
«Certo… tanto amico da lasciarla morire.»
Angel chiuse gli occhi, fu come se il
suo cuore avesse preso a battere… e gli sembrò sprofondare nuovamente nel
terreno di Sunnydale. Si stava addormentando, dopodiché lo avrebbero trascinato
fuori e lasciato bruciare. Ecco la fine…
Tanto amico da lasciarla morire…
Ed era tanto confuso da non riuscire a
ricostruire il suo viso, in quegli ultimi istanti.
L’ultima cosa che udì fu l’eco
impercettibile del demone che diceva «Ne ho preso un altro…»
***
Scendeva fresca… l’aria della sera.
Acuta nel suo dramma, intessuta nell’odore della corteccia sulla quale si era
adagiata. E osservava…
Una voce la stava chiamando. Aveva
iniziato a sentirla quando aveva scagliato suo padre contro la parete della
cucina. C’era stato un rumore di piatti frantumati, il rimbombo del pianto che
si spezzava in lei, quando una lamina aveva preso il posto del suo cuore… e la
voce aveva iniziato a gridare insieme al sangue, bollente nelle sue vene. Forse
era la sua coscienza. Sua madre era rimasta a fissare la scena inorridita, con
gli occhi carichi di odio. Se fossero stati in grado di emettere bagliori
l’avrebbero fulminata in un’istante, e forse la carica avrebbe buttato giù
l’abitazione che già a malapena si teneva in piedi. Jackie ricordò
l’indifferenza farsi strada nei suoi pensieri, rispecchiarsi nella pallida scia
del sangue che aveva intaccato la parete, mentre suo padre crollava a terra con
il bianco negli occhi e sua madre raccoglieva la forza per gridare la sua
rabbia con tutta se stessa. C’era insoddisfazione nel suo grido, per la vita, e
aveva continuato a sentirla anche dopo essersi lanciata dalla finestra,
iniziando a correre. Le era sembrato di essere più grande, in quella corsa, più
forte.
Le vene avevano preso a pulsare come
un tamburo. In pochi attimi le urla di sua madre si erano spente nella furia
della notte e il ricordo di suo padre si era fatto sempre più labile.
Vide nella sua mente la scia rossastra
del sangue venire assorbita dal bianco della parete. Sentendo sul suo corpo le
mani pesanti di quell’uomo incidere ferite che avevano distrutto la sua
giovinezza. La vendetta.
Eppure stava lì, in equilibrio su
quell’albero, mentre le sirene delle autoambulanze gettavano nell’aria bagliori
azzurri, e pattuglie della polizia sorvegliavano gli ingressi dell’ospedale. E
lei era proprio sotto il loro naso. Aveva compreso abbastanza del suo
cambiamento da esser sicura di riuscire a scappare anche se l’avessero trovata
lì.
La polizia temeva che si sarebbe fatta
viva per completare la sua vendetta, finire il lavoro che aveva iniziato. Forse
avrebbe dovuto farlo e solo allora avrebbe placato l’ansia che sentiva farsi
strada insieme al suo potere.
Sua madre aveva fatto il suo ingresso
circa cinque minuti fa, scortata da tre giovanotti della polizia. Jackie
riusciva quasi a sentire la puzza di alcool… dalla distanza in cui si trovava.
E a lei piaceva essere compatita… o si, quanto le piaceva. Faceva finta di
essere addolorata per quel maiale solo perché adorava interpretare la parte
della vittima. Era sicura che mentre si lasciava scortare da quei tre buffoni
in divisa, negli angoli malati della sua mente sognava bizzarre avventure
erotiche in compagnia di quegli uomini. Jackie lo sapeva, l’aveva vista
ubriacarsi per offrirsi a giovani ragazzi quando suo padre era fuori città. E
ogni qual volta la sua bocca aveva detto qualche parola di troppo… suo padre le
aveva rotto qualcosa.
Ma ora era cambiato. Jackie lo aveva
capito. La sua vita poteva prendere un’altra direzione… e lei avrebbe scelto
quale.
Bisognava solo sistemare quei vecchi
rancori.
«Va tutto bene lassù?» la voce di
Faith arrivò con un sussulto. Jackie spiccò un balzo, immaginandosi un felino
che salta da un albero all’altro. Faith la raggiunse in tempo, sbarrandole la
strada. «Non c’è bisogno di scappare, Jackie, la tua corsa è finita.»
La ragazza afferrò un ramo e lo
scagliò contro il viso di Faith. Lei non fece in tempo ad evitarlo e precipitò
a terra. Le fronde, sopra di lei, scalpicciarono e Jackie riprese a fuggire.
Un agente di polizia notò il fracasso
e puntò, sul volto della Cacciatrice, un fascio di luce minaccioso: «Ehi, che
succede lì?»
Faith si asciugò con il polso un
rivoletto di sangue che le era sceso sul mento.
Dannazione…
Riuscì ad alzarsi mentre l’uomo camminava
verso di lei, con la torcia in mano e, dopo essersi guardata attorno, prese a
correre verso la direzione opposta.
L’uomo comunicò, agli altri agenti, la
sua posizione… fra un po’ altre pattuglie sarebbero giunte lì. Faith ne sapeva
qualcosa a proposito di fughe rocambolesche come quella.
Saltò su un muretto in cemento che
delimitava il parco dalla strada. La loro auto era lì, accanto al marciapiede…
e Wood giaceva per terra, con la schiena poggiata alla portiera posteriore. Si
teneva con una mano il naso sanguinante.
«Stai bene?» chiese Faith
avvicinandosi.
«Ho cercato di fermarla… ma quella
ragazza ha un bel sinistro… ed è molto veloce.»
Faith guardò verso il fondo della
strada. Non riusciva a vederla… ma sentiva che era lì… magari nascosta da qualche
parte, si stava allontanando.
«Dobbiamo fermarla» disse Robin con la
voce strozzata.
La polizia stava arrivando… Faith
aiutò l’uomo ad alzarsi e lo caricò sull’auto. Poi si mise al posto di guida,
e, messo in moto, fece in tempo ad allontanarsi prima che le pattuglie della
polizia bloccassero l’uscita del vialone.
***
Il sole sembrava al massimo del suo
calore, il suo rosso incandescente era sul punto di esplodere. La luce riempiva
il turbinare dei piccoli granelli di sabbia sull’ultima duna dell’orizzonte,
dove andava, lentamente, a nascondersi. Prima di assaggiare un’altra morte.
Willow distolse lo sguardo dalla fine
di quel ciclo. Kennedy stava lì… ritta, sulle orme dei suoi compagni che
andavano a prendere i loro posti nel cerchio che Willow aveva creato, recitando
incantesimi e bruciando erbe per tutto il giorno. Adesso, in quel sorriso, in
quell’annuire pacato… baluginava la certezza della loro missione, la
rassegnazione dinanzi le strade delle loro scelte. Willow raccolse quella
visione come qualcosa di irreale, il sorriso della sua ragazza era circondato
da un aria simile a sogno… come se fossero già entrati nella realtà di cui
Buffy aveva parlato. Ma erano ancora lì… con i piedi ancorati sul terreno, su
una sabbia instabile che li avrebbe risucchiati in un vortice, reclamando la
morte a cui erano scampati.
Le sembrò tutto così precario… la
sterilità del deserto abbatteva ogni forma di vita, il sole era morto al
traguardo del suo giorno, e il cielo stava per piangere nella serenità della notte.
E Kennedy era lì, cercando un sorriso che potesse offrirle il coraggio di cui
aveva bisogno, prima di raggiungere gli altri. Ma il loro legame non poteva
nascondere le preoccupazioni che entrambe avvertivano. E in quella verità,
Willow abbassò lo sguardo.
Kennedy proseguì sulle orme dei suoi
compagni, che presto sarebbero state cancellate dal vento.
Buffy era ancora nella sua tenda.
Quando Willow ne alzò un lembo, per sbirciare all’interno, la trovò con gli
occhi chiusi e con i palmi delle mani che reggevano la Falce.
«Non posso tenerla» disse non appena
accortasi della presenza dell’amica.
«Cosa? Perché?» chiese Willow
entrando.
«Dovrai essere tu a farlo.»
«Buffy… io… non credo di esserne in
grado. Non sono una Cacciatrice…»
«No» rispose l’altra «Hai ragione. Sei
molto di più.»
Willow deglutì a quell’affermazione.
«Hai utilizzato quest’arma per
distribuire il potere…»
«…Ma è stata creata per essere usata
dalla Cacciatrice.»
«È tutto diverso ora. Non c’è più una sola
prescelta. E tu sei l’anello di congiunzione» Buffy guardò l’amica negli occhi
e, in un gesto molto lento, sentì la vibrante energia trasferirsi, dal suo
corpo, all’arma che Willow si preparava ad accogliere tra le sue braccia. La
rossa la strinse tra le mani. «Ti appartiene, Willow.»
«Non sappiamo cosa succederà quando
saremo lì.»
«So che la terrai ancorata a te. Ne
sono convinta.»
Willow annuì, muovendo il capo in
triste compiacimento.
«Temi che il Primo possa
approfittarne?» domandò a Buffy.
«Non è un rischio che vorrei correre.»
«E io? Non corro lo stesso rischio?»
Buffy non trovò risposta.
«Ma hai ragione. È un peso che ho
deciso di portare avanti quando mi hai chiesto di cambiare il mondo. L’ho fatto
allora… e ci riuscirò anche stavolta.»
La Cacciatrice sorrise dinanzi la
ritrovata fiducia. Faceva parte di un rito propiziatorio prima della guerra.
Per loro era sempre stato così. Ma, adesso, i segni della crescita rendevano
fiacche le linee della speranza che si accendevano sui loro volti. E dinanzi a
quella rassegnazione, c’era solo la voglia di andare avanti. Non per la lotta,
ma per il silenzio.
«Ti stanno aspettando» disse ancora
Willow «Sono tutti pronti.»
Buffy annuì «Anch’io sono pronta.»
Era ora di andare… il tempo era
scaduto.
***
Lo trascinarono con la forza in
un’enorme stanza piena di monitor alle pareti che controllavano le vie
d’accesso all’edificio. I polsi gli dolevano, i militari gli avevano stretto un
paio di manette elettroniche: avevano detto che erano collegate con un congegno
molto sofisticato che sarebbe servito da inibitore per i suoi poteri.
I suoi poteri… se non altro, Wesley,
poteva ancora trovare dell’ironia in una situazione come quella.
Lo fecero accomodare su una scomoda
sedia in metallo, con le gambe sottili e un rigido schienale basso. Le canne
dei mitra si agitavano come occhi che non lo perdevano mai di vista.
«Ok…» disse Wesley «Siamo nella sala
controllo. Posso sapere che sta succedendo? Che ci faccio con questo aggeggio…
non ho nessun potere… io…»
Un giovane ragazzo lo colpì con un
pugno che gli slogò quasi la mascella. Nonostante il dolore, Wesley, non aveva
le mani libere per controllare. Mosse il mento in avanti trattenendo una
smorfia.
«Abbastanza pesante… ragazzo» disse
ricomponendosi «Ma gradirei parlare con chi da gli ordini, qui, prima di
ricevere un altro cazzotto in faccia.»
Quello indietreggiò con una sottile
punta di imbarazzato, evitando alcuni sguardi di disapprovazione da parte dei
suoi colleghi. Wesley si sentì vittorioso per esser riuscito nel tentativo di
mortificare quell’arrogante.
Una soddisfazione soffocata dalla
terribile sensazione che tutto, dal naso in giù, stesse per crollare a pezzi.
I soldati indirizzarono i loro sguardi
verso l’ingresso della sala, immediatamente alle spalle di Wesley. Lui sentì
dei passi pesanti farsi sempre più vicini e una chiara voce di donna dire:
«Sono io che dirigo l’operazione.»
La donna si portò di fronte al
prigioniero: di bell’aspetto, indossava la stessa divisa degli altri, e Wesley
notò che impugnava la sua arma con più decisione dei suoi subordinati.
L’accompagnava una signora anziana,
molto arzilla, a dispetto della sua età, che invece emergeva nel suo passo
lento e nei suoi occhi stanchi.
«Grazie a Dio…» disse Wes «Ascolti… c’è
stato un errore… credo che…»
«Wesley Windam-Pryce» sentenziò
l’anziana donna.
L’altra le rivolse uno sguardo
interrogativo: «Lo conosce?» e anche sull’ex-Osservatore giaceva, con stupore,
la stessa espressione: «Già… sa chi sono?»
«Forse non ricordi. L’uomo che ti ha
fatto da maestro non era propenso alle pratiche occulte nell’esercizio del suo
lavoro. Ma ricordo molto bene il ragazzo con gli occhiali continuamente preso
in giro dai suoi compagni.»
Wesley arricciò il naso: «Bhè… non è
stato sempre così.»
La donna dai capelli bianchi fece un
cenno con la mano al caposquadra. Quest’ultima portò un dito all’altezza del
suo cinturone e premette un pulsante invisibile – o ben mimetizzato – che con
un segnale acustico slacciò le manette dai polsi di Wesley. Questi agitò le
mani, lasciando che assaporassero la libertà, poi le portò al viso per
assicurarsi che non ci fosse nulla di rotto.
«Ho seguito i tuoi spostamenti in
questi ultimi anni. Noi lo facciamo sempre.»
Wesley formulò quella domanda
cercando, in tutti modi, di non risultare sgarbato: «Voi chi?»
«Il suo nome e Althenea» disse la
donna più giovane «E io sono l’agente Finn.»
Wesley aggrottò le sopracciglia,
tornando a rivolgersi alla vecchia: «Non mi ricordo di lei, signora… ma… sono
certo di aver sentito il suo nome durante il mio apprendistato al Concilio. Fa
parte della Congrega.»
«L’unica forza rimasta... in grado di
contrastare il male. Insieme a loro.»
Wesley guardò gli uomini in divisa e
domandò: «Loro? L’esercito?»
«Una divisione segreta dell’esercito»
rispose l’agente Finn «In pochi sanno della nostra esistenza. Chiedo scusa per
il suo trattamento. Credevamo intendesse far loro del male.»
«Di chi parla?» chiese Wesley.
«Crediamo nelle sue buone intenzioni,
signor Pryce» disse Althenea «Non sappiamo di preciso com’è arrivato qui… ma…
c’è una storia che dovremo raccontarle.»
***
«Andrew… Dawn, Xander… Giles…» Buffy
sentì il cuore rannicchiarsi in una morsa «…voi resterete qui.»
Dawn protestò. Giles respirò via la
preoccupazione. Andrew si sentì, in un certo senso, sollevato. Xander fu il
solo a chiedere perché.
«È semplice. Perché non avete nessun
potere. Siete… umani… e il Primo potrebbe utilizzarvi come facili bersagli. Non
posso permetterlo… e non avete forze per resistere. Inoltre, se qualcosa dovesse
andare storto… è necessario che qualcuno agisca dall’esterno. Giles sarà in
grado di farlo, ma avrà bisogno del vostro aiuto.»
«Come raggiungeremo quel posto?»
chiese Rona. Vi sorrise all’amica, e Rona chinò lo sguardo intimidita. Non era
ancora pronta a dirsi dispiaciuta per le sue parole… ma i suoi occhi dicevano
di aver pianto e a Kennedy e Vi quella tristezza bastò come pentimento per il
suo errore.
«Una volta… Willow fece un incantesimo
che richiamò indietro lo spirito della Prima Cacciatrice» rispose Buffy «Quella
volta le coscienze e la forza di tutti si trasferirono in un solo corpo, in me.
Oggi, una magia simile, ci porterà molto al di là. Ai limiti dello spazio
fisico, e oltre.»
***
«Subito dopo il crollo di Sunnydale…
alcune veggenti della Congrega hanno avvertito un forte scompenso nell’energia»
disse Althenea «Forze molto potenti… legate alla linea delle Cacciatrici. Le
notti di alcune di noi sono state tormentate dagli incubi… da flussi
interminabili di pensieri che non sempre è facile controllare. Richieste
d’aiuto… smarrimento. Sensazioni che hanno iniziato a costituire lo spettro del
mondo… da allora.»
«Di che si tratta?» chiese Wesley.
«Del Potere. I sogni, le visioni… gli incantesimi…
la stampa locale… tutto questo ci ha fatti venire a capo di una verità… tanto
sconvolgente da diventare pericolosa.»
«Quale?»
«C’era una Prescelta per ogni
generazione… adesso, invece, ce ne saranno a migliaia.»
«Mio Dio…»
«Sappiamo che è successo, ma non
sappiamo il perché. Una Male molto potente e antico bramava di assumere il
controllo della Linea delle Cacciatrici… forse ci è riuscito.»
«Il Primo Male» confermò Wesley «ma il
suo intento era distruggere la Linea, non impadronirsene.»
«I mezzi servono lo scopo, signor
Pryce.»
«Lei crede che rientri nei suoi
piani?»
«Alcune di loro sono già impazzite.
Così facendo diventeranno dei potenziali distruttivi… e noi non possiamo
permetterlo. Una di loro avrebbe partecipato ad un programma televisivo se non
glielo avessimo impedito. Ma, prima o poi… qualcuna si mostrerà al mondo e la
gente ne sarà sconvolta… impaurita. E chissà dove condurranno i meccanismi che
si innescheranno…»
L’agente Finn prese la parola:
«Abbiamo già radunato alcune di loro. Sono al sicuro in questa struttura.»
«Con quei bestioni legati laggiù non
si direbbe» commentò Wesley.
«Sono demoni Njult. Completamente al
nostro servizio. Riescono a condurci verso le Cacciatrici: dei perfetti
segugi.»
La giovane donna avanzò verso i
monitor: «Nelle ultime ventiquattr’ore abbiamo registrato tre tentativi di
attacco.»
«Perché attaccarle? Insomma… mettiamo
il caso che quelle ragazze, inconsapevolmente, siano pedine del Cattivo!»
«Le creature della notte sono confuse
quanto noi, Signor Pryce» riprese Althenea «Avvertono il cambiamento. E
combattono per il potere. Alcuni credono che uccidere un branco di cacciatrici
inesperte sia il miglior modo per assicurarsi un posto tra le fila del Primo:
in genere si tratta di quelli più stupidi. I demoni con un po’ di cervello si
rendono conto di essere microscopiche particelle di un gigantesco puzzle… e si
allontanano in un luogo più sicuro, aspettando la fine.»
«Ma dev’esserci un modo per scoprire
cosa sta succedendo.»
«C’è un modo. Alcune veggenti della congrega
hanno tentato… entrando nella dimensione che regge ogni cosa. Oltre la realtà
fisica.»
«E allora?»
«Allora… se ne sono andate. In molti
sostengono che versano in uno stato irreversibile. Le loro funzioni cerebrali
sono pari a zero. Sono morte.»
***
Nel cerchio rimasero solo quelli con
il potere. All’esterno, Xander, Giles, Andrew e Dawn si presero per mano,
mentre Willow faceva scorrere le carte con la fluidità del pensiero, e ogni
sillaba da lei pronunciata sfogliava la sabbia del deserto; la notte si apriva
a quelle parole, e le stelle cominciarono ad inviare luce all’interno del mondo
che si stava aprendo al centro…
Poi le parole di una diventarono le
parole di tutti, i loro occhi si chiusero e i capelli si sollevarono nel
turbine.
L’intensità crebbe pian piano da
divenire insopportabile agli occhi dei presenti. Si pararono dalla sabbia che
sfrecciava come saette intorno a loro. Poi il lamento cessò. Al centro del
cerchio levitava una sfera di luce che veniva assorbita dalla superficie del terreno,
ora simile a uno specchio acquoso: una luna incandescente che si cala nelle
profondità di un lago. Dawn contemplò quell’energia… pensò alla sua natura, la
Chiave… doveva essere qualcosa di simile prima che un gruppo di monaci la
rendesse viva e umana. Ora sua sorella era in quella luce… insieme a tutti gli
altri.
Affogava, quella luna scendeva,
inesorabilmente, in profondità… lasciandosi seppellire, con lentezza. Quando il
più sottile strato di sabbia coprì quel globo, strette linee simili a radici si
estesero verso ciascuno di loro.
Poi… il vento cessò del tutto, la luce
si indebolì… e svanì.
«Sono… andati…?» chiese Dawn.
«Andati» rispose Giles «Dio solo sa
dove.»
Persino Andrew non disse nulla, ancora
stupito dalla spettacolarità dell’incantesimo. Xander, trattenne il suo sguardo
verso gli amici assenti, verso quel cerchio umano, reso immobile dalla forza
del mondo.
La Falce, posata, con calma irreale,
tra le mani di Willow… sembrava aver trascinato tutti nella morsa di immobilità
del suo essere inanimato. Quando Buffy si era allontanata, due giorni di fa,
era stato diverso. C’era qualcosa di spaventoso nell'attuale visione. Giles
aveva poggiato una mano sulla spalla di Dawn e lei aveva avvertito il tremore
tradire la fermezza del suo sguardo. Si chiesero quanto avrebbero dovuto
aspettare… cosa fare se qualcosa sarebbe andato storto o se il giorno li
avrebbe destati dal loro sonno. Dietro ogni domanda si nascondeva, cupo, il
silenzio…
Buffy, Willow, Kennedy, Rona e Vi
restavano lì… sedute intorno a quei massi, mano nella mano… un alito di vento
avrebbe potuto abbatterle come ombre irreali. L’oscurità del deserto rese
intollerante quella visione… rispecchiandosi sui loro volti, vuote pietre senza
vita.
TBC………..