Fanfiction
ospitata per gentile concessione del Bloodylove in attesa di
riuscire a rintracciare l'autrice.
L'ANGELO
BIANCO
Di Elisa86
E’ un post-chosen.
La storia riparte da dove era finita
la settima serie, senza nessuna variante
E' ovviamente spuffy anche se
all'inizio lo è poco(scusatemi), ma poi si riprende pienamente.
Disclamer: è ovviamente tutto di
Jossaccio e co.
Rating: penso NC 17, ma si vedrà lungo
la storia
Capitolo I
Era passata una settimana dalla
sconfitta del Primo.
Tutta la gang si era trasferita a Los
Angeles da Angel, ma, poco a poco, ognuno si era cercato una nuova
sistemazione.
Le potenziali tornaro tutte nelle loro
città natali; al preside Wood venne assegnato un nuovo incarico in una città
più tranquilla; Willow sarebbe andata dai nonni fra un paio di settimane,
mentre Xander si era già trasferito dagli zii.
Buffy e Dawn non avevano più nessuno,
ed Angel si era offerto gentilmente di ospitarle, senza limiti di tempo: in
fondo a lui non dispiaceva affatto avere Buffy vicino.
Lei era sempre così solare, ed, ogni
volta che la incontrava, nella sua non-vita compariva un raggio di sole ed una
speranza per un eventuale vita futura, forse un giorno, chi lo sa, normale.
Ma adesso lei non aveva più quella
vitalità; si era rabbuiata, i suoi occhi verdi avevano smesso di brillare ed
erano quasi diventati grigi, e , cosa peggiore di tutte, da quando anche
l'ultimo brandello di Sunnydale era andato distrutto, non aveva più parlato.
Aveva nominato ancora una volta il
nome di Spike e poi non aveva più parlato.
Sembrava che, insieme alla città,
fosse sprofundata anche la sua vita.
Angel la vedeva trascorrere le
giornate guardando, immobile, per ore ed ore, fuori da una finestra.
e guardava, e guardava, fissava la
strada come se si aspettasse che da un momento all'altro spuntasse... qualcuno.
Sperava che arrivasse una persona, ma
Angel non aveva ancora capito chi.
Incominciò a pensare che lei si fosse
rattristata così perchè ormai aveva perso tutti i legami che aveva con sua
madre.
Non aveva più nessun ricordo di lei;
non le era rimasto più niente.
Angel parlò con Willow, preoccupato
per la situazione della ragazza, ma mentre stavano discutando, all'improvviso,
sentirono un tonfo provenire dal salotto.
Corsero subito nell'altra stanza e
videro Buffy svenuta sul pavimento.
Angel corse subito da lei, la prese in
braccio e la portò nella sua camera da letto per farla distendere.
Willow prese dell'acqua e con
delicatezza cercò di svegliare l'amica, senza prò riuscirci.
Il vampiro, dopo qualche ora,
preoccupato perchè la sua Buffy non si era ancora ripresa, chiese alla strega
di fare un incantesimo per vedere che cosa avesse la cacciatrice.
Willow incominciò così, grazie ad una
magia a scandagliare la mente dell'amica e scoprì una cosa che non le fece
affatto piacere.
Continuava a guardare quello che c'era
nella mente dell'amica: la settimana appena trascorsa, da quando lei lo aveva
visto sotto quella doccia di luce, lei che gli diceva di amarlo e lui che non
le credeva, lui che la faceva andare via, lei che guardava la città distrutta e
i successivi sette giorni di pioggia incessante, come se il cielo volesse
piangere qualcosa e lei che viveva come morta.
Un ciclo infinito, la scena
ricominciava da capo.
E ogni volta c'era sempre più dolore
in quelle scene e ogni volta lei faceva qualcosa di diverso senza mai riuscire
a farsi credere o a salvarlo.
E ogni volta, nella scena della
visione della città distrutta, lei si vedeva chiaramente spezzata letteralmente
dal dolore, cadeva a terra e gradava disperata, e poi la scena si riavvolgeva e
ricominciava da capo.
Willow si sentiva spezzata anche lei
dal dolore lancinante che doveva provare l'amica.
Era un dolore assurdo,
incomprensibile.
Nemmeno lei, che era praticamente
impazzita, aveva sofferto così tanto per la morte di Tara.
Si, aveva rischiato di distruggere il
mondo, ma questo era un dolore più profondo, potevi distruggerti solo
guardandola soffrire.
E l'ennesima volta che rivedeva la
scena di lei di fronte la finestra, qualcosa di diverso accadde.
Guardava l'incessante pioggia cadere
ed ad un certo punto la sentì dire con un filo di voce: "Spike", e
dopo qualche secondo, come un alito di vento ordinò "Portami via con
te".
Sfiorò in modo quasi impercettibile il
vetro di fronte a lei e di colpo cadde a terra.
La visione che Willow aveva avuto fino
a quel momento svanì, e, distrutta, aprì gli occhi e fissò in modo decisamente
preoccupato Angel.
"Le è successo qualcosa,
vero?", disse il vampiro.
Willow abbassò il capo e sospirò senza
rispondere.
"Lo so che non è malata ma è
qualcosa di più. Forse qualche demone o qualche mostro sopravvissuto alla
distruzione del Primo"
Willow continuò a non rispondere, poi
rivolgendogli uno sguardo infinitamente triste disse "Te lo dirò, ma prima
promettimi che non farai una pazzia".
"Ok. Va bene. Adesso dimmi
cos'ha"
"Spike"
"Cosa le ha fatto. Lo sapevo che
le avrebbe procurato solo guai", disse il vampiro sempre più agitato.
"Smettila. E' morto. Ed è morto per
lei. Ha fatto cose per lei che tu non potresti neanche immaginare",
incominciava ad irritarsi anche lei.
"Si certo, come
violentarla?"
"Tu non ci sei mai stato. Dov'eri
quando un dio voleva uccidere Dawn e distruggere il mondo? Lui era li, e, se
non fosse stato per puro caso, già quella volta avrebbe dato la vita al suo
posto. Dov'eri quando è tornata dall'aldilà e non aveva nessuna voglia di
vivere? Solo lui ha capito cosa le era successo e ha cercato di aiutarla.
Dov'eri quando il Primo si è presentato? Tu ti sei fatto vivo, non per
aiutarla, ma per marchiare il territorio e conoscevi perfettamente quali rischi
si correvano indossando quel medaglione, sapevi che lei non ti avrebbe voluto
li, e lei hai detto di non metterlo lei, a chi volevi che lo desse. ad
Andrew?"
"Chi è Andrew"
"Non importa", era sempre
più arrabbiata, "Si, ha commesso degli errori, ma chi non li fa. E poi
parli proprio tu che hai cercato di ucciderla per un intero anno e ti sei
salvato la vita quasi dissanguandola"
"Anche io ho dato la vita per
lei", disse il vampiro offeso.
"No. Tu non hai dato la vita per
lei. Buffy ti ha dovuto uccidere perchè avevi innescato la fine del mondo. E
sai una cosa? Lei è riuscita a fermarti solo grazie ad una persona. Indovina un
po' chi è?"
"Spike", disse in modo
rassegnato e abbassando la testa.
Willow si era calmata un po' "Non
te ne sei mai accorto ma lui c'è sempre stato, anche quando pensavamo che fosse
il peggiore dei nemici. E lei se ne è accorta. Forse troppo tardi, ma se ne è
resa conto"
"Drusilla me lo aveva detto.
Appena è uscito dalla tomba lei mi ha detto «Diventerà il re delle tenebre e
rapirà il sole». All'inizio avevo capito solo la prima parte. Sapevo che
sarebbe diventato un vampiro molto forte", sospirò, "ma ora capisco
anche la seconda parte. Il sole è Buffy e qualunque cosa succeda, la porterà
sempre con se".
Angel abbassò la testa ed uscì dalla
stanza.
Willow pensò che fosse per non farsi
vedere piangere.
Comunque doveva fare qualcosa ed
incominciò le ricerche.
Capitolo II
Era buio tutto intorno a lei.
Sentiva gli occhi pesanti tanto che le
era impossibile aprirli.
Non riusciva a respirare, si sentiva
come un macigno sul petto.
Le facevano male tutte le ossa.
Non c'era una parte del suo corpo che
non le dolesse.
Non riusciva neanche a muovere un
dito, ma ne era sicura, era su qualcosa di morbido, probabilmente un letto.
Sentì un profumo che l'avvolgeva.
Cercò di ricordare a cosa si abbinasse
ma sembrava che la sua mente fosse bloccata.
provò a ricordare il suo nome , ma non
ci riuscì.
Non sapeva dov'era e, cosa peggiore,
non sapeva neanche più chi era.
Le scoppiava la testa; si sentiva
male.
E così perse conoscenza.
Ad un certo punto sentì un mano fresca
posarsi sulla sua fronte e scendere dolcemente su una guancia e le passò un
pollice delicatamente sugli occhi.
Improvvisamente sentì le palpebre
leggere e lentamente aprì gli occhi.
C’era una luce abbagliante tutto
attorno a lei.
Lentamente osservò il soffitto e poi
inclinò la testa di lato e vide un ragazzo seduto sul letto.
Probabilmente era lui che l’aveva
svegliata.
Era bello, decisamente bello, forse
troppo.
Un umano non poteva essere così bello.
Aveva i capelli castano chiari con
piccoli dolci ricci che scendevano ad incorniciargli la fronte, un viso scavato
ma armonioso e due occhi azzurri come l’infinito.
Ci si perse non seppe per quanto
tempo.
Si accorse che, mentre guardava quel
mare in tempesta, i lancinanti dolori che provava ovunque si erano affievoliti.
Chi era quel giovane che non faceva
altro che tenerle una mano sulla fronte e guardarla così intensamente.
Sembrava quasi che la guardasse con
occhi innamorati.
Dove si trovava? Chi era lei? Chi era
quel misterioso ragazzo? E nella mente le ronzava altre mille domande.
Aprì leggermente la bocca cercando di
dire qualcosa, ma nessun suono uscì.
Lui le passò un dito sulle labbra e le
sorrise dolcemente.
Rimase stupita di quanto fosse dolce
con lei e non ne capiva il motivo.
Lui poi delicatamente le ripassò un
pollice sugli occhi e improvvisamente il sonno si impossessò di lei.
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Si chiuse la porta alle spalle e si
appoggiò con la schiena al muro del corridoio.
La testa reclinata indietro, gli occhi
chiusi e una lacrima che gli solcava il viso.
“Lo sai quello che hai fatto?” disse una
voce femminile.
Rispose con una risata sommessa sempre
tenendo gli occhi chiusi.
“Non si ricorderà di te e tu vivrai
per sempre con quel segreto e sarai in eterno infelice”
“Petra, per favore. Ho fatto la cosa
che credevo più giusta. Io mi sono ritrovato in questa dimensione pseudo
paradisiaca dopo tutto ciò che ho fatto. E lei? Lei ha sempre avuto una vita
solitaria e piena di sofferenze, di cui l’ultima gliel’ho inflitta io. E si
stava lasciando morire per colpa mia”
“Lo so, lo abbiamo visto tutti. Ho
capito perché l’hai fatto. Non credo che avrebbe retto ancora a lungo. Avrebbe
tentato il suicidio e tu l’avresti persa definitivamente, mentre così è salva”
“Già. Ma così non si ricorderà neanche
tutto ciò che è successo, e, forse, così potrà vivere come ha sempre
desiderato”
“E tu, William?”
“Mi farò vede da lei il meno
possibile. Non voglio correre il rischio che si ricordi”
“Di la verità. La vedrai il meno
possibile per soffrire meno, e non vuoi che ricordi perché hai paura che voglia
tornare sulla terra e ti dica che la confessione che ti ha fatto quando stavi
per morire fosse solo pietà”
William sorrise tristemente, si staccò
dal muro e dandole le spalle disse: “Prenditi cura di lei. È molto fragile. La
transizione le ha fatto molto male”
Fece qualche passo poi si fermò.
“Per alleviarle il dolore mettile del
ghiaccio dietro la testa”
Fece ancora un paio di passi e poi
voltò leggermente la testa indietro.
“Se ti chiede qualcosa sul suo passato
non le dire niente tranne il suo nome, ma non farle capire che lo conoscevi
già”
Si girò e cominciò a camminare.
Petra rispose “Tranquillo, mi prenderò
cura di lei”, fece una piccola pausa, “Quando si potrà alzare la porterò in
giardino, così la potrai vedere senza farti notare”
Lui si fermò, si voltò con un dolce
sorriso di ringraziamento e poi se ne andò.
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Aveva appena ripreso conoscenza, ma
non riusciva ancora ad aprire gli occhi.
Sentì un porta aprirsi e poi chiudersi
e qualcuno avvicinarsi.
E se fosse stato il ragazzo di prima?
Con grande fatica aprì gli occhi e si
trovò di fronte una ragazza dai capelli biondi corti, con occhi verdi come lo
smeraldo ed i suoi vestiti erano bianchi come quelli del giovane che aveva
visto poco prima.
Chissà quanto tempo era passato e
magari lo aveva anche sognato.
La ragazza le posò una benda bagnata
sulla fronte.
Aprì lentamente la bocca e disse “Chi
sei?”
“Mi chiamo Petra. Mi prenderò cura di
te”
“Chi sono?”, disse sempre con grande
fatica.
“Non lo so. Ma sai una cosa? Hai la
faccia da Elisabeth” e le sorrise dolcemente.
“Mi piace”, e fece anche lei un
grande, ma stanco, sorriso.
“Ora riposati, vedrai che tra un paio
di giorni starai meglio. E poi ti farò vedere dove siamo e conoscerai tutti”
Elisabeth chiuse gli occhi e si
addormentò.
Un paio di giorni dopo
Aprì lentamente gli occhi.
Si sentiva piuttosto bene e non le
facevano più tanto male le ossa.
Decise di provare ad alzarsi.
Si mise seduta e piano si alzò in
piedi, constatando, con gioia, che le gambe la reggevano.
Si accorse di avere addosso un leggero
vestitino bianco, probabilmente era il colore predominante in quel luogo.
Non sapeva ancora dov’era e voleva
scoprirlo al più presto.
Scalza si incamminò verso la porta, la
aprì lentamente e si trovò in un lungo corridoio e da un lato di questo
proveniva una forte luce.
Si incamminò in quella direzione fino
a quando arrivò ad uno scalone che portava al piano sottostante.
Di sicuri si trovava in un immenso
palazzo, tutto bianco e apparentemente disabitato, anche se sapeva che non era
così perché, dopo tutto, aveva già visto due persone.
Scesa arrivò in un magnifico salone
con enormi finestre che davano sul giardino.
Era attratta da tutto quel verde
curato in modo minuzioso.
Uscì dalla casa e si incamminò nel
prato, tutto con una lentezza quasi esasperante.
Attraversò un cortile con aiuole di
fiori di ogni specie e di ogni colore che emanavano un profumo indefinibile.
Una fragranza che ne conteneva mille,
senza, però, essere pungente.
Poi vide un boschetto e vi si inoltrò
e camminò fino a quando non giunse sulle rive di un laghetto.
Qui si inginocchiò e, mantenendo lo
sguardo fisso sull’acqua, incominciò a piangere senza neanche accorgersene.
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Aveva deciso che rimanere chiuso nella
sua stanza per giorni non gli aveva fatto bene, e ora doveva uscire un po’,
tanto più che non poteva fare nulla per lei, soprattutto visto che stava ancora
dormendo.
Aveva scelto di andare al lago.
Era il suo posto preferito,
soprattutto di giorno.
Viveva ancora prevalentemente di
notte, ma alcune volte gli piaceva andare a leggere li.
“Maledetti scherzi del destino. Io non
mi sono meritato niente e mi ritrovo in questo posto magnifico, solo cono i
pregi del vampiro, mentre lei sta lottando tra la vita e la morte”, pensò.
Stava camminando lentamente, quando la
vide da lontano.
Si chiese se stava avendo una visione.
Invece era proprio lei, in carne, ossa
e un vestitino succinto e quasi trasparente.
Questo era troppo per lui, doveva
andarsene prima che lei si accorgesse della sua presenza.
Poi la sentì singhiozzare.
Stava piangendo.
Perché?
Non resisteva.
Non poteva vederla piangere.
Camminò facendo un po’ più di rumore
in modo tale che lei capisse che non era sola.
Lei appena si accorse che c’era
qualcuno si passò una mano sugli occhi.
Era sempre la stessa, non si sarebbe
mai fatta vedere dagli altri distrutta o in difficoltà.
“Ciao”
Lei si voltò di scatto e lo guardò con
occhi impauriti e ancora pieni di lacrime.
«Non ha mai avuto paura di me. Neanche
quando stavo per ucciderla mi ha mai guardato così», pensò William
“Tranquilla. Non devi avere paura di
me. Non voglio farti niente”
Piano le si avvicinò e le si sedette
accanto.
Lei però si era allontanata
leggermente da lui ed aveva portato le ginocchia al petto e con le braccia se
le stringeva così fortemente che avrebbe potuto spaccarsi le gambe, dopo tutto
aveva ancora la forza della cacciatrice, anche se lei non lo sapeva.
Gli pareva una bambina e non la forte
e cocciuta ragazza che conosceva.
Sembrava più fragile e persino più
giovane, l’aspetto gli sembrava della sedicenne che aveva incontrato anni fa
per la prima volta al Bronze.
Teneva gli occhi bassi e le lacrime
continuavano a solcarle le guance.
Lui allungò un braccio e le accarezzò
una guancia.
Lei si allontanò ancora e, con un
gesto brusco, andò a sbattere la schiena contro il tronco di un albero.
Fece una smorfia di dolore sempre con
le lacrime agli occhi.
Era ancora provata e il suo fisico non
era ancora pronto a sopportare altre ferite.
«Ma perché ha paura di me?non mi sono
mica trasformato. Cosa la spaventa così tanto da scappare?»
Cercò di avvicinarsi ancora a lei, ma
la ragazza lo sorprese alzandosi e incominciò ad indietreggiare senza accorgersi
che poco dietro di lei c’era l’acqua e quel lago era subito profondo in quel
punto.
Fece ancora un passo e cadde in acqua.
“Buffy”, urlò William.
E in un attimo si era tuffato anche
lui.
Nuotò fino a quando la raggiunse.
“Maledetto lago. E chi immaginava che
fosse così profondo”
Quando la raggiunse, l’afferrò e
tenendola per la vita la portò in superficie.
Teneva gli occhi chiusi e tremava
Probabilmente stava ancora piangendo,
solo che le lacrime si confondevano con le goccioline d’acqua.
Non lo aveva ancora guardato negli
occhi.
Dolcemente la prese in braccio e la
portò a riva.
Si sedette al sole per farla scaldare,
tenendola sempre contro di se.
Voleva capire cosa c’era che non
andava.
Sapeva che la transizione poteva
essere rischiosa, ma non capiva cosa aveva.
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Si era messa a piangere senza
rendersene conto.
Sentiva dentro al cuore un vuoto
insopportabile, come se avesse perso la cosa più importante al mondo.
Poi un immagine le passò davanti agli
occhi come un flashback.
Vedeva la terra muoversi, una gran
luce e una fiamma, ma non una fiamma qualsiasi, era fuoco che le bruciava
dentro al cuore.
Poi sentì un rumore e si voltò di
scatto ancora disorientata.
Non capiva dov’era, non si ricordava neanche
quello che aveva fatto poco prima.
Vide una figura davanti a lei.
Un’altra immagine le si presentò
davanti agli occhi: una giornata di sole, un uomo, col volto sfigurato, denti
lunghi e occhi gialli che l’aveva scaraventata a terra e la derideva.
Si sentì toccare e cercò di evitare
quel contatto, ma andò a sbattere contro qualcosa e sentì una fitta lancinante
alla schiena.
Lo sentì ancora avvicinarsi ma lo
precedette alzandosi.
Incominciò ad indietreggiare, ma, ad
un certo punto, sentì mancarle la terra sotto i piedi e cadde.
Non sentì dolore, doveva essere caduta
in acqua.
Sapeva che doveva muoversi ma non ci
riusciva, poi all’improvviso si sentì afferrare per la vita e finalmente l’aria
arrivar nuovamente ai polmoni.
L’aveva presa in braccio, si era
seduto ed ora la teneva stretta a se, probabilmente, pensò, per non farla
scappare.
Alzò gli occhi ed incontrò quelli
della persona che la stringeva.
Erano blu, penetranti e sembravano
volerle leggere dentro.
Li aveva già visti, ne era sicura.
Ma dove?
Le venne in mente una stanza bianca,
un giovane con degli occhi come quelli e una pace diffusa.
Scrutò di nuovo gli occhi dello
sconosciuto e vi lesse amore.
Non capiva.
Era sicura di conoscerlo già, di aver
già visto quel volto d’angelo e quello sguardo profondo come una notte
illuminata solo dalle stelle.
Aveva già assaporato il suo odore che
neanche l’acqua aveva lavato via.
Lentamente alzò una mano e gli
accarezzò il volto tracciando lo zigomo pronunciato della guancia sinistra fino
a salire al suo sopraciglio.
Si fermò ad osservarlo con attenzione.
Sentiva dentro di lei che qualcosa non
quadrava.
Era intatto, perfetto.
Le sembrava strano.
“Non deve essere così”, disse in modo
curioso, con un filo di voce come se stesse pensando tra se e se.
Lui la guardò stupito.
Poi lei continuò, con la sua piccola
mano, il tragitto che aveva incominciato e gli arrivò ai capelli, di un castano
chiaro, che gli ricadevano in piccoli ricci ribelli ad incorniciargli il volto.
Non le tornava, c’era qualcosa di
sbagliato.
“Cos’è successo ai capelli?”, domandò.
Il ragazzo era stupito, “Cosa?”
Lei lo guardò un secondo negli occhi,
poi scrollò la testa e lo guardò in modo dubbioso.
“Sei venuto di nuovo a svegliarmi?”,
gli chiese con un timido sorriso.
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La teneva stretta a se.
Si stava calmando, lo sentiva.
Ad un certo punto lei alzò una mano e
gli accarezzò il volto fino a giungere al sopraciglio sinistro.
“Non deve essere così”, la sentì dire.
«Cosa significa “Non deve essere
così”? Non posso credere che si stia ricordando. Non dovrebbe succedere. Be’,
bisogna dire che le stranezze sono al ostro ordine del giorno, ma è sveglia
solo da poche ore, non può già ricordarsi tutto.», pensò William mentre la
ragazza continuava a studiargli il volto.
“Cos’è successo ai capelli?”, la sentì
domandare.
Era stupito.
Non sapeva a cosa pensare.
Le chiese distrattamente: “Cosa?”
Poi lei puntò i suoi magnifici occhi,
verdi come un prato di montagna illuminato dai primi raggi di sole di una
giornata di fine estate.
La vide scrollare leggermente il capo
e poi, come se non si ricordasse nulla di tutto ciò che era appena accaduto,
dire: “Sei venuto di nuovo a svegliarmi?”
Le faceva tenerezza.
Ma cosa stava pensando?
In lui aveva sempre suscitato forza,
amore, possessione, dolore, ma mai… tenerezza?.
«Mi sto proprio rammollendo, e la mia
nuova / vecchia identità non mi aiuta di certo. Ci manca solo che le dedichi
una poesia e poi sono a posto», pensò tra se.
“Qual è il tuo nome?”, sentì risuonare
nelle orecchie la sua voce argentea.
«Cosa le devo rispondere? Se le dico
il mio vecchio nome potrebbe ricordarsi tutto, ma anche se le dico l’altro nome
potrebbe lo stesso rimembrare il passato. Ma come parlo? Parlo come mio nonno.
In effetti lui ha vissuto quasi duecento anni fa, forse poteva anche dire
‘rimembrare’. Sto impazzendo!»
“Forse non puoi rispondere.”, lei fece
una piccola pausa, “Forse gli angeli non possono parlare con noi, solo aiutarci
nei momenti difficili e salvarci nei casi disperati”
«Ecco. Si. Esatto. Non posso
rispondere. Non che sia un angelo, tutt’altro, però glielo posso far credere
così non devo rispondere…… »
aveva abbassato gli occhi mentre
pensava.
« Non diciamo fesserie. Lei non è stupida.
Capirà che le ho mentito, e, quando riavrà la memoria, mi prenderà a calci nel
sedere per non averle risposto. E adesso come esco da questa situazione?»
“Non so che aspetto abbiano gli
angeli, ma sono sicura che degli occhi come i tuoi possano appartenere solo ad
uno di loro”.
«Sono fregato. Se continua a guardarmi
in questo modo, con gli occhi che brillano e che ripongono una totale fiducia
in me, e continua a stringersi a me vestita con solo quel pezzetto di stoffa,
per giunta bagnato, non rispondo delle mie azioni. Fra poco le salto addosso.»,
lui continuava a guardare ovunque meno che nei suoi occhi.
«Stai calmo. Hai promesso che non ti
saresti più intromesso nella sua vita, quindi, non la puoi toccare. Adesso la
lasci qui e te ne vai. Fai una bella uscita ad effetto»
“Forse hai qualcosa di più importante
da fare che restare qui con me. Se devi andare non importa. Io troverò il modo
di tornare…”
Il suo sguardo era diventato
interrogativo.
“… Sinceramente non so bene dove, ma
riuscirò, comunque a trovare da dove sono venuta”
Si era intristita mentre parlava.
Aveva abbassato gli occhi e era quasi
sicuro di avervi visto crescere una lacrima.
«No. Non piangere, ti prego. Se lo fai
non riesco più ad andarmene. Uffa, e va bene. Dopo tutto ora le cose sono
differenti»
“William”, le disse, “Mi chiamo
William”
Lei alzò lo sguardo, e puntò i suoi
smeraldi negli zaffiri di lui.
Sorrise, “Un nome da angelo”
«Oh, No. Quel sorriso, quella bocca,
quelle labbra più dolci del miele… Pensa ad altro, non so… Angel, ecco, adesso
penso ad Angel e riuscirò a mantenere il controllo. No. Meglio che pensi a
qualcos’altro. Così mi innervosisco solo e rischi di risponderle male e non mi
sembra il caso»
“Grazie, ma devo deluderti. Non sono
un angelo”, era riuscito a racimolare un po’ di autocontrollo.
“Per me lo sei. Mi hai salvata”, disse
la ragazza mentre appoggiava la testa al suo petto.
“Vieni, ti riporto a casa”
Si alzò sempre tenendola in braccio e
si incamminò verso il palazzo.
Capitolo III
L’aveva riportata nella sua stanza e
l’aveva coricata dolcemente sul letto.
Si era assopita durante il tragitto e
si era sentito così bene quando l’aveva vista addormentata tra le sue braccia.
Ora stava percorrendo un lungo
corridoio che portava alla biblioteca.
Entrò nell’immensa sala interamente
rivestita di legno contenente più di centomila volumi e sormontata la una
cupola in vetro che permetteva di vedere le nuvole corre nel cielo.
Sapeva che li avrebbe trovato la sua nuova
amica Petra e aveva un immediato bisogno di parlare con lei.
Era come pensava.
Era seduta su una comoda poltrona
rivestita di una magnifica stoffa cangiante azzurra ed era immersa nella
lettura.
Le si avvicinò piano per non
disturbarla e notò che il titolo del libro era scritto in cirillico.
Probabilmente era russa.
“Vieni pure, non mi disturbi” gli
disse sorridendogli.
Lui ricambiò il sorriso, “Ciao. Io
volevo…”
“Parlare di lei?”, concluse la fra per
lui.
“Si”, disse, abbassando gli occhi e
sedendosi di fronte a lei.
“Sta ricordando. Può succedere, e poi
lei non è come tutti gli altri. È particolare. È la prescelta. È normale per
lei essere un caso che sta al di fuori delle regole”
“Non è più la prescelta. Io…” disse in
modo quasi rabbioso mentre si alzava di scatto.
“Tu sei morto per darle la libertà.
Hai creduto che ciò sarebbe accaduto, tenendo anche conto che non era più
l’unica cacciatrice, ma non potevi esserne sicuro. Lei è ancora
Lui continuava a camminare
nervosamente, e più la sentiva parlare, più l’ira cresceva dentro di lui.
“E così, io sarei morto inutilmente!”,
ormai stava quasi gridando
“Lei è sempre la responsabile per la
salvezza del mondo. Lei lo sarà sempre, anche quando non vivrà più. Non è lei,
la persona in sé ad essere la cacciatrice, ma la sua essenza, la sua anima”,
fece una piccola pausa.
“Quando è nata è stata creata
appositamente con uno scopo: salvare il vero amore”
Si era calmato improvvisamente.
Cosa significava ciò che gli aveva
appena detto Petra?
“So cosa stai pensando. Questo lo
capirai a suo tempo”
“D’accordo. È un’altra di quelle cose
come profezie ed affini. Non mi ci abituerò mai”, disse scrollando leggermente
la testa.
Dopo poco riprese: “C’è un’altra cosa
di cu vorrei parlarti”
“La sua età vero?”
Lui annuì.
“Non ha la stessa età che ha sulla
terra. Qui ognuno è proiezione della sua stessa mente. Lei ti appare come lei
in realtà si sente e non la ventenne cacciatrice”
Lui sembrava non capire.
“Tu ad esempio. Qui non hai i capelli
ossigenati e neanche la cicatrice sul sopraciglio sinistro.”, disse lei
accennando un sorriso, “Ti stai immaginando come il poeta William e non come
Spike. Lo dimostra anche il fatto che ti fai chiamare con il tuo vecchio nome”.
“Si, ma io dimostro sempre la stessa
età”, osservò.
“È vero. Ma tu hai mantenuto per così
tanto tempo la stessa età che non puoi vederti in modo differente”
“Capisco. Ti lascio alle tue letture.
Grazie per aver parlato con me.”
Si voltò ed andò verso l’uscita.
“Ci si vede”, le disse varcando la
soglia della stanza e alzando la mano destra facendo un cenno di saluto.
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Willow era seduta sul tappeto del
salotto nella posizione del loto.
Le gambe incrociate, i polsi
delicatamente appoggiati alle ginocchia, i palmi delle mani rivolti verso
l’alto, il pollice e l’indice uniti, gli occhi chiusi.
Era in collegamento con la terra e
stava chiedendo alle ninfe un aiuto per l’amica.
“O ninfe protettrici dei pianeti. O
ninfe che proteggete la terra e le creature che la abitano. O ninfe che guidate
le anime degli uomini, rispondete al richiamo d’aiuto di una vostra figlia”
Dopo qualche minuto, di fronte al
volto della ragazza, comparve una luce argentea che volteggiava nell’aria.
Willow aprì gli occhi e con un sorriso
accolse la creaturina invocata che si fermò a fluttuare davanti a lei.
“Cos’è che ti turba giovane donna”,
chiese la ninfa con voce melodiosa, tipica di un essere superiore.
“Volevo sapere cosa è successo allo
spirito della mia amica”, chiese timidamente ma senza abbassare gli occhi.
“Non ti è concesso saperlo. Posso solo
dirti che il suo destino si sta compiendo”
“Ma in teoria, dopo l’ultima
battaglia, non dovrebbe essere libera dal suo compito di cacciatrice?”
“Non è mai stato scritto che il suo
compito venisse annullato”
“Quindi, nonostante tutto, è sempre
l’unica?”
“Esatto”, rispose in modo fermo la
ninfa.
Willow non voleva irritare la dea, ma
doveva sapere cosa stava succedendo a Buffy.
“Posso sapere dov’è?”
“Non posso dirti esattamente dov’è, ma
posso dirti che si trova in un’altra dimensione”
“Perché?”, chiese sempre più ansiosa.
“Sappi solo che tutto sta per
concludersi. Il suo vero destino sta per compiersi e voi non dovrete e non
potrete intervenire. Il destino dell’umanità dipende unicamente dalla sua
scelta”, concluse cominciando a volteggiare nuovamente come per dire che il
tempo delle spiegazioni era finito.
“Grazie per il tuo aiuto”, la congedò
con tono sconfitto la strega.
La piccola luce, come era venuta, dopo
un ultimo guizzo di luce, sparì.
“Tutto sta per compiersi”, ripeté la
ragazza.
“Cosa sta per compiersi? Il Primo male
è stato sconfitto. Chi o cosa potrebbe voler ancora distruggere l’umanità?”
Camminò fino alla camera dell’amica e
si avvicinò al letto dove l’avevano coricata.
Aveva passato parecchio tempo al
capezzale della ragazza da quando questa si era ‘addormentata’
Aveva notato che si agitava come nel
sonno.
Le espressioni sul suo volto cambiavano.
C’erano stati momenti in cui le era
sembrata spaesata, in altri sorridente, in altri ancora impaurita.
“Cosa ti sta succedendo?”, le disse la
rossa mentre si sedeva sul letto e le prendeva una mano tra le sue.
“Aiutami a capire”, continuò quasi implorante.
Stava ancora stringendo la mano
dell’amica quando, all’improvviso, sentì come una scarica elettrica.
Captò una forza oscura.
La mano di Buffy aveva fatto da canale
mediatico tra le due dimensioni.
Stava succedendo davvero qualcosa di
grave.
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Uno spazio buio, apparentemente senza
confini, lo circondava.
Una forza vibrante volteggiava tutta
intorno a lui.
Una figura nera risaltava anche
nell’oscurità del luogo.
Un uomo.
Alto e slanciato.
Indossava un paio di pantaloni di
pelle che mettevano in risalto le gambe muscolose, e una camicia nera di seta
dalla quale, dal modo in cui gli aderiva al corpo, si intravedeva l’atletica
schiena.
I lunghi capelli, anch’essi neri, gli
ricadevano morbidamente sulle forti spalle.
Camminava lentamente con una grazia
innata e pareva quasi che si muovesse senza toccare il terreno.
Scivolava su un sottilissimo e
invisibile strato d’aria.
Gli occhi, di un azzurro chiarissimo,
con uno sguardo di ghiaccio, parevano osservare qualcosa in modo quasi
divertito.
Teneva in mano una sfera di energia, e
continuava a fissarla curiosamente, ma senza mai far trasparire nel suo volto
una qualsiasi emozione.
“Finalmente. Ci siamo”, disse in modo
pacato con una voce profonda, dolce ma allo stesso tempo crudele.
“A tutto c’è una fine”continuò alzando
lo sguardo dalla sfera e fissando l’infinito di fronte a lui.
Poi con un gesto della mano destra,
chiuse elegantemente le dita in un pugno e la sfera sparì.
“Ma non è detto che non ci sia un
nuovo inizio”.
Sorrise, ma il suo sorriso era più un
ghigno pieno di anticipazioni.
Si voltò e, continuando a camminare
elegantemente, si allontanò fino a sparire nell’oscurità.
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Era in piedi ed aveva gli occhi
chiusi.
Non riusciva a muoversi.
Era come se qualcosa la stesse
trattenendo.
Sentì una presenza aleggiarle vicino.
Aprì gli occhi.
Un ambiente buio, apparentemente senza
confini, la circondava in ogni direzione.
Indossava un lungo abito di seta
turchese che le ricadeva sui piedi nudi e ornato in vita da una cintura in raso
con una fibbia molto elaborata, al centro della quale spiccava un diamante blu.
I lunghi capelli biondi le ricadevano
sulle spalle nude.
Le braccia, sollevate, erano legate
sopra la testa.
Sentì nuovamente una presenta vicino a
lei.
Si sentì toccare una spalla.
Un brivido di paura le percorse la
schiena.
Non sapeva cosa fare.
Strattonò con forza i lacci che la
trattenevano.
Si sentì sfiorare nuovamente
sull’altra spalla.
La paura, che già provava, crebbe.
Il cuore incominciò a batterle sempre
più forte, tanto da rimbombarle nelle orecchie.
Strattonò nuovamente i lacci, questa
volta con più forza, e questi si ruppero.
Si sentì improvvisamente libera.
Incominciò a correre, correre sempre
più velocemente.
Quel luogo sembrava non avere vie
d’uscita.
Era imprigionata in un luogo senza
confini.
Il vestito le intralciava i passi.
Il fiato era ormai corto ma non voleva
fermarsi.
Qualcosa la stava seguendo ed era
sempre più vicina, lo sentiva.
Continuando la sua fuga si voltò
indietro per vedere quanto vantaggio aveva sul suo avversario, ma non vide
nulla, solo buio.
Si fermò di colpo.
Ruotò il capo di nuovo di fronte a lei
e si trovò un uomo davanti.
Era vestito di nero ed aveva un ghigno
che rendeva il suo volto, apparentemente bellissimo, diabolico.
Lei sobbalzò spaventata e poi si voltò
per continuare la sua fuga, ma dopo pochi passi si sentì afferrare per la vita.
Il corpo dell’uomo aderì alla sua
schiena.
Le sue mani la accarezzarono
languidamente sul suo ventre piatto e sui fianchi, ma senza mai allentare la
sua morsa.
Accostò il volto al suo orecchio e con
una voce profonda le disse “Povero, piccolo cucciolo indifeso”.
Una mano si alzò dal fianco e
lentamente le accarezzò il collo mantenendo sempre la meno sinistra stretta
attorno alla sua vita.
Il respiro della ragazza si fece
sempre più affannoso.
“Sei stata la mai fine e sarai il mio
inizio”
L’uomo fece pausa e spostò il volto
vicino l’altro orecchio della sua preda.
“Ricordati. Sarai mia. In un modo o
nell’altro”
Una risata, che aveva poco dell’umano,
riecheggiò nel buio.
Aprì gli occhi di scatto e sollevò il
busto.
Era affannata e col fiato corto.
Si guardò attorno e si accorse che era
nella sua stanza, nel suo letto.
Il bianco la circondava.
Il respiro le si calmò.
“È stato solo un incubo”
Capitolo IV
Quanto tempo era passato?
Non lo avrebbe saputo dire.
Sapeva, nel suo subconscio, che il
luogo in cui si trovava e tutto ciò che la circondava non era ciò che doveva
essere.
Aveva avuto ancora occasione di
parlare con Petra e aveva provato a chiedere dove si trovavano o se sapevano
qualcosa sul suo passato, ma lei aveva risposto evasivamente dicendo che non
l’aveva mai vista prima e poi si era scusata e se ne era andata lasciandola
sola.
Adesso stava vagando per l’immenso
palazzo che sembrava apparentemente disabitato.
Non voleva ammetterlo, ma, in realtà,
stava cercando lui.
Sperava di incontrarlo, magari
‘casualmente’.
Camminò per il lungo corridoio,
luminoso grazie alle grandi finestre che occupavano tutta una parete.
C’erano molte porte, ma non le venne
la tentazione di aprirle fino a quando giunse all’ultima di queste.
Quando trovò davanti a questa sentì
come un formicolio pervaderle il corpo.
Una tentazione irrefrenabile la prese.
Doveva assolutamente vedere cosa si
trovava aldilà di quella sottile barriera.
Appoggiò decisa la mano sulla maniglia
della porta, ma si fermò improvvisamente indecisa sul da farsi.
Poteva esserci qualcuno dall’altra
parte che magari non desiderava essere disturbato.
Magari era la stanza di qualcuno che
stava riposando.
Che diritto aveva lei per aprire le
porte di quella casa a suo piacimento.
In effetti nessuno lei aveva dato
l’autorizzazione di gironzolare dappertutto come più le piaceva, ma anche se
avesse voluto chiedere il permesso a qualcuno, non aveva più visto nessuno, e
nessuno era andato a trovarla, neanche lui.
Perché non era più andato da lei?
Forse la riteneva una ragazzina
piagnona.
L’aveva vista piangere, l’aveva vista
forse nello stato peggiore in cui fosse mai stata.
Non si ricordava neanche chi era.
A chi poteva piacere una che non
sapeva neanche il proprio nome.
Gli occhi le si velarono di lacrime.
In quel momento un dolore lancinante
alla testa la fece piegare in due.
“Sei unica Buffy”
“Non voglio essere unica”
Quelle parole le rimbombarono nella
mente.
Si accasciò a terra e si portò le mani
alla fronte.
Un'altra fitta le trafisse la testa.
“La morte è il tuo dono”
Un deserto le comparve davanti agli
occhi.
Una donna, di aspetto primitivo, si
muoveva dietro a un fuoco.
“La morte è il tuo dono”, ripeté.
La visione sparì lasciando il posto al
buio.
Il dolore scomparve improvvisamente.
Aprì gli occhi e lentamente si rialzò.
Il capo le girava ancora un po’ e,
senza pensarci troppo, aprì la porta vicino a lei.
Oltre la soglia trovò un magnifico
salotto con tanto di camino che aveva davanti due poltrone.
Un divanetto si trovava vicino alla
grande finestra che illuminava la stanza.
Fino a qual momento non si era accorta
che c’era anche qualcun altro.
Si voltò e lo vide davanti a lei.
Aveva un libro in mano e teneva gli
occhi bassi.
“Ciao”, le disse.
Aveva alzato per un secondo lo sguardo
verso di lei e in quei magnifici pozzi blu le era sembrato di vedere, solo per
un momento, un velo di stupore, poi, in un’altra frazione di secondo, erano
diventati come freddi.
Sentì una fitta al cuore.
Forse non gli importava più di tanto
che lei fosse li.
In effetti le due volte precedenti che
l’aveva visto l’aveva aiutata perchè era li.
Magari non l’avrebbe mai soccorsa se
non si fosse trovato li per una pura coincidenza.
Cos’era quello che stava provando?
Era forse amore?
Non poteva essere.
Lo aveva visto così poche volte che
non poteva essersi innamorata di lui così in fretta.
E poi lei non aveva mai provato cosa
fosse il vero amore e, anche se lo avesse mai provato, non se lo ricordava.
Eppure c’era qualcosa di lui che la
attirava.
Una forza misteriosa le pervase il
corpo.
Era come se la sua vita dipendesse da
lui.
Lo vide incamminarsi verso il divano,
sedersi e aprire il libro.
“Scusa. Forse ti sto disturbando. È
meglio che vada”
Aveva abbassato gli occhi e si diresse
verso la porta.
“No.”, la fermò lui con voce decisa,
poi, con un tono più tranquillo, continuò, “Se vuoi rimanere fallo pure. Non mi
dai fastidio”
Il suo cuore per un colpo.
Lui non la voleva cacciare.
“Grazie”, gli rispose con un sorriso
radioso ma allo stesso tempo timido.
Si diresse anche lei verso il divano e
vi si sedette dalla parte lasciata libera.
Poi rivolse la testa verso la finestra
e finse di guardare il paesaggio che si stagliava davanti a lei, ma, in realtà
lanciava delle occhiate furtive al ragazzo davanti a lei.
Era così bello.
Il suo sguardo assorto nella lettura
era così profondo.
I suoi occhi sembravano brillare e a
tratti parevano anche attraversati da filamenti argentei che li rendevano
ancora più penetranti.
Era sicura, qualcosa li legava, ma
forse lui non provava la stessa cosa.
E se fosse stato così, sapeva che il
suo cuore non avrebbe retto.
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Non l’aveva più vista, in realtà non
l’aveva neanche più cercata.
Per il suo cuore era meglio così.
Sapeva che se l’avesse rivista, il suo
cuore avrebbe smesso di battere.
In realtà non batteva già da più di un
secolo, ma questi erano dettagli.
Ma, come ogni volta che la rivedeva
sentiva il suo cuore ricominciare a battere, ogni volta capiva che il suo era
un amore impossibile, e il suo cuore, irrimediabilmente, iniziava a sanguinare.
Da quando aveva riavuto l’anima aveva
compreso che lei non avrebbe mai potuto amarlo veramente per quello che era, e
aveva deciso, già da quella prima volta che l’aveva rivista negli scantinati
della scuola, che non le avrebbe più fatto pressioni e, soprattutto, non le
avrebbe più confessato il suo amore in modo così aperto come aveva fatto
qualche tempo prima con risultati, peraltro, poco soddisfacenti.
Ormai aveva deciso: l’avrebbe lasciata
libera
E per riuscirci doveva distrarsi e
leggere era un buon modo farlo.
Quello era un ottimo luogo per
rimanere un po’ da soli, solitamente li non andava mai nessuno.
Stava scegliendo un libro dallo
scaffale quando sentì come un brivido percorrergli la schiena.
Era una sensazione che provava solo
quando lei gli si avvicinava.
Che lo avesse trovato in quel
labirinto che era la casa dove vivevano?
Passarono i minuti ma nessuno entrò.
Forse si era sbagliato.
Magari stava anche avendo delle
allucinazioni.
La sua anima, a suo tempo, gli aveva
fatto dei brutti scherzi, e adesso poteva succedere lo stesso.
Si convinse di essersi sbagliato e
continuò a fare ciò che stava facendo, ma quando riportò lo sguardo verso i
libri sentì la porta aprirsi e la vide entrare.
Sembrava spaesata, forse si era persa.
Poi lei si voltò e lo scrutò con i
suoi immensi occhi verdi.
“Ciao”, le disse, poi abbassò subito
lo sguardo e prese un libro a caso tra quelli che aveva davanti.
Lei non rispose, magari non si
aspettava di vederlo.
Forse non lo voleva vedere.
Era possibile visto che l’ultima volta
l’aveva riportata nella sua stanza e lei gli aveva fatto promettere che sarebbe
andato di nuovo a trovarla e invece si era reso introvabile.
Probabilmente si era offesa e adesso
si sarebbe infuriata e gli avrebbe tirato un bel pugno dritto sul naso.
Magari il pugno non glielo avrebbe
tirato, ma una bella ramanzina non gliela toglieva nessuno.
Lei continuò a non far niente, forse
stava preparando in quella sua piccola testolina un bel discorsetto da fargli,
oppure si stava caricando per urlargli contro con più forza.
Invece lei non fece niente, così si
diresse verso il divano vicino la finestra e vi si sedette.
La osservò di nascosto da dietro il
libro.
Sembrava indecisa, combattuta per
qualcosa che le ronzava per la testa.
“Scusa. Forse ti sto disturbando. È
meglio che vada”, la sentì dire e poi la vide che si incamminava verso la
porta.
Ecco, se l’era presa con lui.
L’aveva offesa, di questo era certo,
ma sembra anche che stesse pensando a qualcosa d’altro.
“No”, le disse, forse con un po’
troppa foga.
La sua bocca aveva parlato da sola.
Forse da sola no, ma il cuore aveva
prevalso sulla mente, come al solito, e ora cosa poteva fare.
“Se vuoi rimanere fallo pure. Non mi
dai fastidio”
In questo modo rimediò in parte alla
situazione, ma così si veniva a trovare proprio nella situazione in cui non
voleva essere fino neanche cinque minuti prima, e cioè da solo con lei.
La vide sorridere radiosa e il amore
per lei crebbe ancora.
Le lesse in volto anche una punta di
timidezza.
Le si erano arrossate le gote ed aveva
abbassato gli occhi.
Buffy timida; questo non gli era mai
capitato di vederlo.
Possibile che fosse così prima di
diventare una cacciatrice?
Non poteva crederci.
Poi la vide avvicinarsi ed andarsi a
sedere dall’altra parte del divano dove si trovava lui.
La osservava di nascosto facendo finta
di leggere in modo molto interessato il suo libro di… ‘Gli amori di Jane’?
«Oh No. Sono proprio un imbecille.
Sono andato a prendere l’unico libro da donna che c’era in tutta la libreria.
Adesso penserà che sono gay. Pensandoci bene, così risolverei parte dei miei
problemi. Anzi, No. Non mi sembra proprio il caso. Le dirò chiaramente che lei
non mi interessa e che non ci potrà mai essere nulla tra noi. Ecco. Si, così va
bene».
Alzò gli occhi verso di lei.
Era così bella con i raggi del sole
che si riflettevano su i suoi capelli dorati, gli occhi verdi che risplendevano
come due smeraldi, la bocca leggermente schiusa.
Non l’aveva mai vista così.
Si gli era capitato di vederla di
giorno, ma mai da così vicino e in piena luce.
Era inebriante poter stare al sole e
sentire i suoi raggi che gli sfioravano la pelle, ma ancora più inebriante era
stare al sole con lei accanto.
Riuscì a sentire persino il suo
profumo di pesca.
“Ti piace leggere, vero?”, gli chiese
mentre lui stava ancora fantasticando sulla donna dei suoi sogni.
Si riscosse dai suoi pensieri e
velocemente chiuse il libro e coprì il titolo in modo che lei non lo potesse
vedere.
“Anche l’altra volta avevi un libro
con te, solo che per colpa mia non lo hai potuto leggere”
La vide abbassare gli occhi; sembrava
dispiaciuta.
“Non ti preoccupare, lo aveva già
letto”, le rispose accennando un sorriso.
Un silenzio imbarazzante cadde tra i
due.
Nessuno sapeva cosa dire.
Lui era indeciso, non sapeva cosa fare:
se se ne fosse andato, lei si sarebbe offesa, mentre, se fosse rimasto non era
sicuro di saper controllare le proprie azioni.
Decise che era meglio uscire da quella
stanza prima che potesse succede qualcosa di irreparabile.
“Scusa, devo andare”, le disse mentre
si alzava.
«Se ne vuole andare. Allora non vuole
proprio stare con me. O forse sta aspettando una mia mossa? Non capisco. Anzi,
adesso sai cosa faccio? Io mi butto. Tanto, male che vada, mi manda a quel
paese», pensò Buffy.
Si alzò anche lei dal divano e gli
corse dietro fino ad afferrargli un braccio costringendolo a girarsi.
“Aspetta”, gli disse trattenendo il
respiro.
Prendendolo alla sprovvista si alzò
sulle punte dei piedi, chiuse gli occhi e accostò dolcemente le sue labbra alle
sue.
Lui sbarrò gli occhi per la sorpresa e
rimase immobile non sapendo cosa fare.
Lei, dopo qualche istante si staccò e,
vista la reazione che aveva avuto e lo sguardo che aveva in quel momento, si
scostò da lui e quasi correndo uscì da quella stanza.
Non poteva rimanere li un attimo di
più.
Lui non la voleva e lo aveva
dimostrato fin troppo bene.
Ormai stava correndo per il corridoio
che l’aveva portata fino li, mentre una lacrima le solcava la candida guancia.
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