Fanfiction ospitata per gentile concessione del Bloodylove in attesa di riuscire a rintracciare l'autrice.

 

 

L'ANGELO BIANCO

Di Elisa86

 

 

E’ un post-chosen.

La storia riparte da dove era finita la settima serie, senza nessuna variante

E' ovviamente spuffy anche se all'inizio lo è poco(scusatemi), ma poi si riprende pienamente.

Disclamer: è ovviamente tutto di Jossaccio e co.

Rating: penso NC 17, ma si vedrà lungo la storia

 

Capitolo I

 

Era passata una settimana dalla sconfitta del Primo.

Tutta la gang si era trasferita a Los Angeles da Angel, ma, poco a poco, ognuno si era cercato una nuova sistemazione.

Le potenziali tornaro tutte nelle loro città natali; al preside Wood venne assegnato un nuovo incarico in una città più tranquilla; Willow sarebbe andata dai nonni fra un paio di settimane, mentre Xander si era già trasferito dagli zii.

Buffy e Dawn non avevano più nessuno, ed Angel si era offerto gentilmente di ospitarle, senza limiti di tempo: in fondo a lui non dispiaceva affatto avere Buffy vicino.

Lei era sempre così solare, ed, ogni volta che la incontrava, nella sua non-vita compariva un raggio di sole ed una speranza per un eventuale vita futura, forse un giorno, chi lo sa, normale.

Ma adesso lei non aveva più quella vitalità; si era rabbuiata, i suoi occhi verdi avevano smesso di brillare ed erano quasi diventati grigi, e , cosa peggiore di tutte, da quando anche l'ultimo brandello di Sunnydale era andato distrutto, non aveva più parlato.

Aveva nominato ancora una volta il nome di Spike e poi non aveva più parlato.

Sembrava che, insieme alla città, fosse sprofundata anche la sua vita.

Angel la vedeva trascorrere le giornate guardando, immobile, per ore ed ore, fuori da una finestra.

e guardava, e guardava, fissava la strada come se si aspettasse che da un momento all'altro spuntasse... qualcuno.

Sperava che arrivasse una persona, ma Angel non aveva ancora capito chi.

Incominciò a pensare che lei si fosse rattristata così perchè ormai aveva perso tutti i legami che aveva con sua madre.

Non aveva più nessun ricordo di lei; non le era rimasto più niente.

Angel parlò con Willow, preoccupato per la situazione della ragazza, ma mentre stavano discutando, all'improvviso, sentirono un tonfo provenire dal salotto.

Corsero subito nell'altra stanza e videro Buffy svenuta sul pavimento.

 

 

 

Angel corse subito da lei, la prese in braccio e la portò nella sua camera da letto per farla distendere.

Willow prese dell'acqua e con delicatezza cercò di svegliare l'amica, senza prò riuscirci.

Il vampiro, dopo qualche ora, preoccupato perchè la sua Buffy non si era ancora ripresa, chiese alla strega di fare un incantesimo per vedere che cosa avesse la cacciatrice.

Willow incominciò così, grazie ad una magia a scandagliare la mente dell'amica e scoprì una cosa che non le fece affatto piacere.

 

Continuava a guardare quello che c'era nella mente dell'amica: la settimana appena trascorsa, da quando lei lo aveva visto sotto quella doccia di luce, lei che gli diceva di amarlo e lui che non le credeva, lui che la faceva andare via, lei che guardava la città distrutta e i successivi sette giorni di pioggia incessante, come se il cielo volesse piangere qualcosa e lei che viveva come morta.

Un ciclo infinito, la scena ricominciava da capo.

E ogni volta c'era sempre più dolore in quelle scene e ogni volta lei faceva qualcosa di diverso senza mai riuscire a farsi credere o a salvarlo.

E ogni volta, nella scena della visione della città distrutta, lei si vedeva chiaramente spezzata letteralmente dal dolore, cadeva a terra e gradava disperata, e poi la scena si riavvolgeva e ricominciava da capo.

Willow si sentiva spezzata anche lei dal dolore lancinante che doveva provare l'amica.

Era un dolore assurdo, incomprensibile.

Nemmeno lei, che era praticamente impazzita, aveva sofferto così tanto per la morte di Tara.

Si, aveva rischiato di distruggere il mondo, ma questo era un dolore più profondo, potevi distruggerti solo guardandola soffrire.

E l'ennesima volta che rivedeva la scena di lei di fronte la finestra, qualcosa di diverso accadde.

 

Guardava l'incessante pioggia cadere ed ad un certo punto la sentì dire con un filo di voce: "Spike", e dopo qualche secondo, come un alito di vento ordinò "Portami via con te".

Sfiorò in modo quasi impercettibile il vetro di fronte a lei e di colpo cadde a terra.

 

La visione che Willow aveva avuto fino a quel momento svanì, e, distrutta, aprì gli occhi e fissò in modo decisamente preoccupato Angel.

"Le è successo qualcosa, vero?", disse il vampiro.

Willow abbassò il capo e sospirò senza rispondere.

"Lo so che non è malata ma è qualcosa di più. Forse qualche demone o qualche mostro sopravvissuto alla distruzione del Primo"

Willow continuò a non rispondere, poi rivolgendogli uno sguardo infinitamente triste disse "Te lo dirò, ma prima promettimi che non farai una pazzia".

"Ok. Va bene. Adesso dimmi cos'ha"

"Spike"

"Cosa le ha fatto. Lo sapevo che le avrebbe procurato solo guai", disse il vampiro sempre più agitato.

"Smettila. E' morto. Ed è morto per lei. Ha fatto cose per lei che tu non potresti neanche immaginare", incominciava ad irritarsi anche lei.

"Si certo, come violentarla?"

"Tu non ci sei mai stato. Dov'eri quando un dio voleva uccidere Dawn e distruggere il mondo? Lui era li, e, se non fosse stato per puro caso, già quella volta avrebbe dato la vita al suo posto. Dov'eri quando è tornata dall'aldilà e non aveva nessuna voglia di vivere? Solo lui ha capito cosa le era successo e ha cercato di aiutarla. Dov'eri quando il Primo si è presentato? Tu ti sei fatto vivo, non per aiutarla, ma per marchiare il territorio e conoscevi perfettamente quali rischi si correvano indossando quel medaglione, sapevi che lei non ti avrebbe voluto li, e lei hai detto di non metterlo lei, a chi volevi che lo desse. ad Andrew?"

"Chi è Andrew"

"Non importa", era sempre più arrabbiata, "Si, ha commesso degli errori, ma chi non li fa. E poi parli proprio tu che hai cercato di ucciderla per un intero anno e ti sei salvato la vita quasi dissanguandola"

"Anche io ho dato la vita per lei", disse il vampiro offeso.

"No. Tu non hai dato la vita per lei. Buffy ti ha dovuto uccidere perchè avevi innescato la fine del mondo. E sai una cosa? Lei è riuscita a fermarti solo grazie ad una persona. Indovina un po' chi è?"

"Spike", disse in modo rassegnato e abbassando la testa.

Willow si era calmata un po' "Non te ne sei mai accorto ma lui c'è sempre stato, anche quando pensavamo che fosse il peggiore dei nemici. E lei se ne è accorta. Forse troppo tardi, ma se ne è resa conto"

"Drusilla me lo aveva detto. Appena è uscito dalla tomba lei mi ha detto «Diventerà il re delle tenebre e rapirà il sole». All'inizio avevo capito solo la prima parte. Sapevo che sarebbe diventato un vampiro molto forte", sospirò, "ma ora capisco anche la seconda parte. Il sole è Buffy e qualunque cosa succeda, la porterà sempre con se".

Angel abbassò la testa ed uscì dalla stanza.

Willow pensò che fosse per non farsi vedere piangere.

Comunque doveva fare qualcosa ed incominciò le ricerche.

 

 

 

Capitolo II

 

Era buio tutto intorno a lei.

Sentiva gli occhi pesanti tanto che le era impossibile aprirli.

Non riusciva a respirare, si sentiva come un macigno sul petto.

Le facevano male tutte le ossa.

Non c'era una parte del suo corpo che non le dolesse.

Non riusciva neanche a muovere un dito, ma ne era sicura, era su qualcosa di morbido, probabilmente un letto.

Sentì un profumo che l'avvolgeva.

Cercò di ricordare a cosa si abbinasse ma sembrava che la sua mente fosse bloccata.

provò a ricordare il suo nome , ma non ci riuscì.

Non sapeva dov'era e, cosa peggiore, non sapeva neanche più chi era.

Le scoppiava la testa; si sentiva male.

E così perse conoscenza.

 

Ad un certo punto sentì un mano fresca posarsi sulla sua fronte e scendere dolcemente su una guancia e le passò un pollice delicatamente sugli occhi.

Improvvisamente sentì le palpebre leggere e lentamente aprì gli occhi.

C’era una luce abbagliante tutto attorno a lei.

Lentamente osservò il soffitto e poi inclinò la testa di lato e vide un ragazzo seduto sul letto.

Probabilmente era lui che l’aveva svegliata.

Era bello, decisamente bello, forse troppo.

Un umano non poteva essere così bello.

Aveva i capelli castano chiari con piccoli dolci ricci che scendevano ad incorniciargli la fronte, un viso scavato ma armonioso e due occhi azzurri come l’infinito.

Ci si perse non seppe per quanto tempo.

Si accorse che, mentre guardava quel mare in tempesta, i lancinanti dolori che provava ovunque si erano affievoliti.

Chi era quel giovane che non faceva altro che tenerle una mano sulla fronte e guardarla così intensamente.

Sembrava quasi che la guardasse con occhi innamorati.

Dove si trovava? Chi era lei? Chi era quel misterioso ragazzo? E nella mente le ronzava altre mille domande.

Aprì leggermente la bocca cercando di dire qualcosa, ma nessun suono uscì.

Lui le passò un dito sulle labbra e le sorrise dolcemente.

Rimase stupita di quanto fosse dolce con lei e non ne capiva il motivo.

Lui poi delicatamente le ripassò un pollice sugli occhi e improvvisamente il sonno si impossessò di lei.

 

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Si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò con la schiena al muro del corridoio.

La testa reclinata indietro, gli occhi chiusi e una lacrima che gli solcava il viso.

“Lo sai quello che hai fatto?” disse una voce femminile.

Rispose con una risata sommessa sempre tenendo gli occhi chiusi.

 

 

“Non si ricorderà di te e tu vivrai per sempre con quel segreto e sarai in eterno infelice”

 

“Petra, per favore. Ho fatto la cosa che credevo più giusta. Io mi sono ritrovato in questa dimensione pseudo paradisiaca dopo tutto ciò che ho fatto. E lei? Lei ha sempre avuto una vita solitaria e piena di sofferenze, di cui l’ultima gliel’ho inflitta io. E si stava lasciando morire per colpa mia”

“Lo so, lo abbiamo visto tutti. Ho capito perché l’hai fatto. Non credo che avrebbe retto ancora a lungo. Avrebbe tentato il suicidio e tu l’avresti persa definitivamente, mentre così è salva”

“Già. Ma così non si ricorderà neanche tutto ciò che è successo, e, forse, così potrà vivere come ha sempre desiderato”

“E tu, William?”

“Mi farò vede da lei il meno possibile. Non voglio correre il rischio che si ricordi”

“Di la verità. La vedrai il meno possibile per soffrire meno, e non vuoi che ricordi perché hai paura che voglia tornare sulla terra e ti dica che la confessione che ti ha fatto quando stavi per morire fosse solo pietà”

William sorrise tristemente, si staccò dal muro e dandole le spalle disse: “Prenditi cura di lei. È molto fragile. La transizione le ha fatto molto male”

Fece qualche passo poi si fermò.

“Per alleviarle il dolore mettile del ghiaccio dietro la testa”

Fece ancora un paio di passi e poi voltò leggermente la testa indietro.

“Se ti chiede qualcosa sul suo passato non le dire niente tranne il suo nome, ma non farle capire che lo conoscevi già”

Si girò e cominciò a camminare.

Petra rispose “Tranquillo, mi prenderò cura di lei”, fece una piccola pausa, “Quando si potrà alzare la porterò in giardino, così la potrai vedere senza farti notare”

Lui si fermò, si voltò con un dolce sorriso di ringraziamento e poi se ne andò.

 

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Aveva appena ripreso conoscenza, ma non riusciva ancora ad aprire gli occhi.

Sentì un porta aprirsi e poi chiudersi e qualcuno avvicinarsi.

E se fosse stato il ragazzo di prima?

Con grande fatica aprì gli occhi e si trovò di fronte una ragazza dai capelli biondi corti, con occhi verdi come lo smeraldo ed i suoi vestiti erano bianchi come quelli del giovane che aveva visto poco prima.

Chissà quanto tempo era passato e magari lo aveva anche sognato.

La ragazza le posò una benda bagnata sulla fronte.

Aprì lentamente la bocca e disse “Chi sei?”

“Mi chiamo Petra. Mi prenderò cura di te”

“Chi sono?”, disse sempre con grande fatica.

“Non lo so. Ma sai una cosa? Hai la faccia da Elisabeth” e le sorrise dolcemente.

“Mi piace”, e fece anche lei un grande, ma stanco, sorriso.

“Ora riposati, vedrai che tra un paio di giorni starai meglio. E poi ti farò vedere dove siamo e conoscerai tutti”

Elisabeth chiuse gli occhi e si addormentò.

 

 

Un paio di giorni dopo

 

Aprì lentamente gli occhi.

Si sentiva piuttosto bene e non le facevano più tanto male le ossa.

Decise di provare ad alzarsi.

Si mise seduta e piano si alzò in piedi, constatando, con gioia, che le gambe la reggevano.

Si accorse di avere addosso un leggero vestitino bianco, probabilmente era il colore predominante in quel luogo.

Non sapeva ancora dov’era e voleva scoprirlo al più presto.

Scalza si incamminò verso la porta, la aprì lentamente e si trovò in un lungo corridoio e da un lato di questo proveniva una forte luce.

Si incamminò in quella direzione fino a quando arrivò ad uno scalone che portava al piano sottostante.

Di sicuri si trovava in un immenso palazzo, tutto bianco e apparentemente disabitato, anche se sapeva che non era così perché, dopo tutto, aveva già visto due persone.

Scesa arrivò in un magnifico salone con enormi finestre che davano sul giardino.

Era attratta da tutto quel verde curato in modo minuzioso.

Uscì dalla casa e si incamminò nel prato, tutto con una lentezza quasi esasperante.

Attraversò un cortile con aiuole di fiori di ogni specie e di ogni colore che emanavano un profumo indefinibile.

Una fragranza che ne conteneva mille, senza, però, essere pungente.

Poi vide un boschetto e vi si inoltrò e camminò fino a quando non giunse sulle rive di un laghetto.

Qui si inginocchiò e, mantenendo lo sguardo fisso sull’acqua, incominciò a piangere senza neanche accorgersene.

 

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Aveva deciso che rimanere chiuso nella sua stanza per giorni non gli aveva fatto bene, e ora doveva uscire un po’, tanto più che non poteva fare nulla per lei, soprattutto visto che stava ancora dormendo.

Aveva scelto di andare al lago.

Era il suo posto preferito, soprattutto di giorno.

Viveva ancora prevalentemente di notte, ma alcune volte gli piaceva andare a leggere li.

“Maledetti scherzi del destino. Io non mi sono meritato niente e mi ritrovo in questo posto magnifico, solo cono i pregi del vampiro, mentre lei sta lottando tra la vita e la morte”, pensò.

Stava camminando lentamente, quando la vide da lontano.

Si chiese se stava avendo una visione.

Invece era proprio lei, in carne, ossa e un vestitino succinto e quasi trasparente.

Questo era troppo per lui, doveva andarsene prima che lei si accorgesse della sua presenza.

Poi la sentì singhiozzare.

Stava piangendo.

Perché?

Non resisteva.

Non poteva vederla piangere.

Camminò facendo un po’ più di rumore in modo tale che lei capisse che non era sola.

Lei appena si accorse che c’era qualcuno si passò una mano sugli occhi.

Era sempre la stessa, non si sarebbe mai fatta vedere dagli altri distrutta o in difficoltà.

“Ciao”

Lei si voltò di scatto e lo guardò con occhi impauriti e ancora pieni di lacrime.

«Non ha mai avuto paura di me. Neanche quando stavo per ucciderla mi ha mai guardato così», pensò William

“Tranquilla. Non devi avere paura di me. Non voglio farti niente”

Piano le si avvicinò e le si sedette accanto.

Lei però si era allontanata leggermente da lui ed aveva portato le ginocchia al petto e con le braccia se le stringeva così fortemente che avrebbe potuto spaccarsi le gambe, dopo tutto aveva ancora la forza della cacciatrice, anche se lei non lo sapeva.

Gli pareva una bambina e non la forte e cocciuta ragazza che conosceva.

Sembrava più fragile e persino più giovane, l’aspetto gli sembrava della sedicenne che aveva incontrato anni fa per la prima volta al Bronze.

Teneva gli occhi bassi e le lacrime continuavano a solcarle le guance.

Lui allungò un braccio e le accarezzò una guancia.

Lei si allontanò ancora e, con un gesto brusco, andò a sbattere la schiena contro il tronco di un albero.

Fece una smorfia di dolore sempre con le lacrime agli occhi.

Era ancora provata e il suo fisico non era ancora pronto a sopportare altre ferite.

«Ma perché ha paura di me?non mi sono mica trasformato. Cosa la spaventa così tanto da scappare?»

Cercò di avvicinarsi ancora a lei, ma la ragazza lo sorprese alzandosi e incominciò ad indietreggiare senza accorgersi che poco dietro di lei c’era l’acqua e quel lago era subito profondo in quel punto.

Fece ancora un passo e cadde in acqua.

“Buffy”, urlò William.

E in un attimo si era tuffato anche lui.

Nuotò fino a quando la raggiunse.

“Maledetto lago. E chi immaginava che fosse così profondo”

Quando la raggiunse, l’afferrò e tenendola per la vita la portò in superficie.

Teneva gli occhi chiusi e tremava

Probabilmente stava ancora piangendo, solo che le lacrime si confondevano con le goccioline d’acqua.

Non lo aveva ancora guardato negli occhi.

Dolcemente la prese in braccio e la portò a riva.

Si sedette al sole per farla scaldare, tenendola sempre contro di se.

Voleva capire cosa c’era che non andava.

Sapeva che la transizione poteva essere rischiosa, ma non capiva cosa aveva.

 

 

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Si era messa a piangere senza rendersene conto.

Sentiva dentro al cuore un vuoto insopportabile, come se avesse perso la cosa più importante al mondo.

Poi un immagine le passò davanti agli occhi come un flashback.

Vedeva la terra muoversi, una gran luce e una fiamma, ma non una fiamma qualsiasi, era fuoco che le bruciava dentro al cuore.

Poi sentì un rumore e si voltò di scatto ancora disorientata.

Non capiva dov’era, non si ricordava neanche quello che aveva fatto poco prima.

Vide una figura davanti a lei.

Un’altra immagine le si presentò davanti agli occhi: una giornata di sole, un uomo, col volto sfigurato, denti lunghi e occhi gialli che l’aveva scaraventata a terra e la derideva.

Si sentì toccare e cercò di evitare quel contatto, ma andò a sbattere contro qualcosa e sentì una fitta lancinante alla schiena.

Lo sentì ancora avvicinarsi ma lo precedette alzandosi.

Incominciò ad indietreggiare, ma, ad un certo punto, sentì mancarle la terra sotto i piedi e cadde.

Non sentì dolore, doveva essere caduta in acqua.

Sapeva che doveva muoversi ma non ci riusciva, poi all’improvviso si sentì afferrare per la vita e finalmente l’aria arrivar nuovamente ai polmoni.

L’aveva presa in braccio, si era seduto ed ora la teneva stretta a se, probabilmente, pensò, per non farla scappare.

Alzò gli occhi ed incontrò quelli della persona che la stringeva.

Erano blu, penetranti e sembravano volerle leggere dentro.

Li aveva già visti, ne era sicura.

Ma dove?

Le venne in mente una stanza bianca, un giovane con degli occhi come quelli e una pace diffusa.

Scrutò di nuovo gli occhi dello sconosciuto e vi lesse amore.

Non capiva.

Era sicura di conoscerlo già, di aver già visto quel volto d’angelo e quello sguardo profondo come una notte illuminata solo dalle stelle.

Aveva già assaporato il suo odore che neanche l’acqua aveva lavato via.

Lentamente alzò una mano e gli accarezzò il volto tracciando lo zigomo pronunciato della guancia sinistra fino a salire al suo sopraciglio.

Si fermò ad osservarlo con attenzione.

Sentiva dentro di lei che qualcosa non quadrava.

Era intatto, perfetto.

Le sembrava strano.

“Non deve essere così”, disse in modo curioso, con un filo di voce come se stesse pensando tra se e se.

Lui la guardò stupito.

Poi lei continuò, con la sua piccola mano, il tragitto che aveva incominciato e gli arrivò ai capelli, di un castano chiaro, che gli ricadevano in piccoli ricci ribelli ad incorniciargli il volto.

Non le tornava, c’era qualcosa di sbagliato.

“Cos’è successo ai capelli?”, domandò.

Il ragazzo era stupito, “Cosa?”

Lei lo guardò un secondo negli occhi, poi scrollò la testa e lo guardò in modo dubbioso.

“Sei venuto di nuovo a svegliarmi?”, gli chiese con un timido sorriso.

 

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La teneva stretta a se.

Si stava calmando, lo sentiva.

Ad un certo punto lei alzò una mano e gli accarezzò il volto fino a giungere al sopraciglio sinistro.

“Non deve essere così”, la sentì dire.

«Cosa significa “Non deve essere così”? Non posso credere che si stia ricordando. Non dovrebbe succedere. Be’, bisogna dire che le stranezze sono al ostro ordine del giorno, ma è sveglia solo da poche ore, non può già ricordarsi tutto.», pensò William mentre la ragazza continuava a studiargli il volto.

“Cos’è successo ai capelli?”, la sentì domandare.

Era stupito.

Non sapeva a cosa pensare.

Le chiese distrattamente: “Cosa?”

Poi lei puntò i suoi magnifici occhi, verdi come un prato di montagna illuminato dai primi raggi di sole di una giornata di fine estate.

La vide scrollare leggermente il capo e poi, come se non si ricordasse nulla di tutto ciò che era appena accaduto, dire: “Sei venuto di nuovo a svegliarmi?”

 

 

Le faceva tenerezza.

Ma cosa stava pensando?

In lui aveva sempre suscitato forza, amore, possessione, dolore, ma mai… tenerezza?.

«Mi sto proprio rammollendo, e la mia nuova / vecchia identità non mi aiuta di certo. Ci manca solo che le dedichi una poesia e poi sono a posto», pensò tra se.

“Qual è il tuo nome?”, sentì risuonare nelle orecchie la sua voce argentea.

«Cosa le devo rispondere? Se le dico il mio vecchio nome potrebbe ricordarsi tutto, ma anche se le dico l’altro nome potrebbe lo stesso rimembrare il passato. Ma come parlo? Parlo come mio nonno. In effetti lui ha vissuto quasi duecento anni fa, forse poteva anche dire ‘rimembrare’. Sto impazzendo!»

“Forse non puoi rispondere.”, lei fece una piccola pausa, “Forse gli angeli non possono parlare con noi, solo aiutarci nei momenti difficili e salvarci nei casi disperati”

«Ecco. Si. Esatto. Non posso rispondere. Non che sia un angelo, tutt’altro, però glielo posso far credere così non devo rispondere…… »

aveva abbassato gli occhi mentre pensava.

« Non diciamo fesserie. Lei non è stupida. Capirà che le ho mentito, e, quando riavrà la memoria, mi prenderà a calci nel sedere per non averle risposto. E adesso come esco da questa situazione?»

“Non so che aspetto abbiano gli angeli, ma sono sicura che degli occhi come i tuoi possano appartenere solo ad uno di loro”.

«Sono fregato. Se continua a guardarmi in questo modo, con gli occhi che brillano e che ripongono una totale fiducia in me, e continua a stringersi a me vestita con solo quel pezzetto di stoffa, per giunta bagnato, non rispondo delle mie azioni. Fra poco le salto addosso.», lui continuava a guardare ovunque meno che nei suoi occhi.

«Stai calmo. Hai promesso che non ti saresti più intromesso nella sua vita, quindi, non la puoi toccare. Adesso la lasci qui e te ne vai. Fai una bella uscita ad effetto»

“Forse hai qualcosa di più importante da fare che restare qui con me. Se devi andare non importa. Io troverò il modo di tornare…”

Il suo sguardo era diventato interrogativo.

“… Sinceramente non so bene dove, ma riuscirò, comunque a trovare da dove sono venuta”

Si era intristita mentre parlava.

Aveva abbassato gli occhi e era quasi sicuro di avervi visto crescere una lacrima.

«No. Non piangere, ti prego. Se lo fai non riesco più ad andarmene. Uffa, e va bene. Dopo tutto ora le cose sono differenti»

“William”, le disse, “Mi chiamo William”

Lei alzò lo sguardo, e puntò i suoi smeraldi negli zaffiri di lui.

Sorrise, “Un nome da angelo”

«Oh, No. Quel sorriso, quella bocca, quelle labbra più dolci del miele… Pensa ad altro, non so… Angel, ecco, adesso penso ad Angel e riuscirò a mantenere il controllo. No. Meglio che pensi a qualcos’altro. Così mi innervosisco solo e rischi di risponderle male e non mi sembra il caso»

“Grazie, ma devo deluderti. Non sono un angelo”, era riuscito a racimolare un po’ di autocontrollo.

“Per me lo sei. Mi hai salvata”, disse la ragazza mentre appoggiava la testa al suo petto.

“Vieni, ti riporto a casa”

Si alzò sempre tenendola in braccio e si incamminò verso il palazzo.

 

 

 

Capitolo III

 

L’aveva riportata nella sua stanza e l’aveva coricata dolcemente sul letto.

Si era assopita durante il tragitto e si era sentito così bene quando l’aveva vista addormentata tra le sue braccia.

Ora stava percorrendo un lungo corridoio che portava alla biblioteca.

Entrò nell’immensa sala interamente rivestita di legno contenente più di centomila volumi e sormontata la una cupola in vetro che permetteva di vedere le nuvole corre nel cielo.

Sapeva che li avrebbe trovato la sua nuova amica Petra e aveva un immediato bisogno di parlare con lei.

Era come pensava.

Era seduta su una comoda poltrona rivestita di una magnifica stoffa cangiante azzurra ed era immersa nella lettura.

Le si avvicinò piano per non disturbarla e notò che il titolo del libro era scritto in cirillico.

Probabilmente era russa.

“Vieni pure, non mi disturbi” gli disse sorridendogli.

Lui ricambiò il sorriso, “Ciao. Io volevo…”

“Parlare di lei?”, concluse la fra per lui.

“Si”, disse, abbassando gli occhi e sedendosi di fronte a lei.

“Sta ricordando. Può succedere, e poi lei non è come tutti gli altri. È particolare. È la prescelta. È normale per lei essere un caso che sta al di fuori delle regole”

“Non è più la prescelta. Io…” disse in modo quasi rabbioso mentre si alzava di scatto.

“Tu sei morto per darle la libertà. Hai creduto che ciò sarebbe accaduto, tenendo anche conto che non era più l’unica cacciatrice, ma non potevi esserne sicuro. Lei è ancora LA Cacciatrice. Le altre sono solo servite a sconfiggere il Primo”

Lui continuava a camminare nervosamente, e più la sentiva parlare, più l’ira cresceva dentro di lui.

“E così, io sarei morto inutilmente!”, ormai stava quasi gridando

“Lei è sempre la responsabile per la salvezza del mondo. Lei lo sarà sempre, anche quando non vivrà più. Non è lei, la persona in sé ad essere la cacciatrice, ma la sua essenza, la sua anima”, fece una piccola pausa.

“Quando è nata è stata creata appositamente con uno scopo: salvare il vero amore”

Si era calmato improvvisamente.

Cosa significava ciò che gli aveva appena detto Petra?

“So cosa stai pensando. Questo lo capirai a suo tempo”

“D’accordo. È un’altra di quelle cose come profezie ed affini. Non mi ci abituerò mai”, disse scrollando leggermente la testa.

Dopo poco riprese: “C’è un’altra cosa di cu vorrei parlarti”

“La sua età vero?”

Lui annuì.

“Non ha la stessa età che ha sulla terra. Qui ognuno è proiezione della sua stessa mente. Lei ti appare come lei in realtà si sente e non la ventenne cacciatrice”

 

 

Lui sembrava non capire.

“Tu ad esempio. Qui non hai i capelli ossigenati e neanche la cicatrice sul sopraciglio sinistro.”, disse lei accennando un sorriso, “Ti stai immaginando come il poeta William e non come Spike. Lo dimostra anche il fatto che ti fai chiamare con il tuo vecchio nome”.

“Si, ma io dimostro sempre la stessa età”, osservò.

“È vero. Ma tu hai mantenuto per così tanto tempo la stessa età che non puoi vederti in modo differente”

“Capisco. Ti lascio alle tue letture. Grazie per aver parlato con me.”

Si voltò ed andò verso l’uscita.

“Ci si vede”, le disse varcando la soglia della stanza e alzando la mano destra facendo un cenno di saluto.

 

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Willow era seduta sul tappeto del salotto nella posizione del loto.

Le gambe incrociate, i polsi delicatamente appoggiati alle ginocchia, i palmi delle mani rivolti verso l’alto, il pollice e l’indice uniti, gli occhi chiusi.

Era in collegamento con la terra e stava chiedendo alle ninfe un aiuto per l’amica.

“O ninfe protettrici dei pianeti. O ninfe che proteggete la terra e le creature che la abitano. O ninfe che guidate le anime degli uomini, rispondete al richiamo d’aiuto di una vostra figlia”

Dopo qualche minuto, di fronte al volto della ragazza, comparve una luce argentea che volteggiava nell’aria.

Willow aprì gli occhi e con un sorriso accolse la creaturina invocata che si fermò a fluttuare davanti a lei.

“Cos’è che ti turba giovane donna”, chiese la ninfa con voce melodiosa, tipica di un essere superiore.

“Volevo sapere cosa è successo allo spirito della mia amica”, chiese timidamente ma senza abbassare gli occhi.

“Non ti è concesso saperlo. Posso solo dirti che il suo destino si sta compiendo”

“Ma in teoria, dopo l’ultima battaglia, non dovrebbe essere libera dal suo compito di cacciatrice?”

“Non è mai stato scritto che il suo compito venisse annullato”

“Quindi, nonostante tutto, è sempre l’unica?”

“Esatto”, rispose in modo fermo la ninfa.

Willow non voleva irritare la dea, ma doveva sapere cosa stava succedendo a Buffy.

“Posso sapere dov’è?”

“Non posso dirti esattamente dov’è, ma posso dirti che si trova in un’altra dimensione”

“Perché?”, chiese sempre più ansiosa.

“Sappi solo che tutto sta per concludersi. Il suo vero destino sta per compiersi e voi non dovrete e non potrete intervenire. Il destino dell’umanità dipende unicamente dalla sua scelta”, concluse cominciando a volteggiare nuovamente come per dire che il tempo delle spiegazioni era finito.

“Grazie per il tuo aiuto”, la congedò con tono sconfitto la strega.

La piccola luce, come era venuta, dopo un ultimo guizzo di luce, sparì.

“Tutto sta per compiersi”, ripeté la ragazza.

“Cosa sta per compiersi? Il Primo male è stato sconfitto. Chi o cosa potrebbe voler ancora distruggere l’umanità?”

Camminò fino alla camera dell’amica e si avvicinò al letto dove l’avevano coricata.

Aveva passato parecchio tempo al capezzale della ragazza da quando questa si era ‘addormentata’

Aveva notato che si agitava come nel sonno.

Le espressioni sul suo volto cambiavano.

C’erano stati momenti in cui le era sembrata spaesata, in altri sorridente, in altri ancora impaurita.

“Cosa ti sta succedendo?”, le disse la rossa mentre si sedeva sul letto e le prendeva una mano tra le sue.

“Aiutami a capire”, continuò quasi implorante.

Stava ancora stringendo la mano dell’amica quando, all’improvviso, sentì come una scarica elettrica.

Captò una forza oscura.

La mano di Buffy aveva fatto da canale mediatico tra le due dimensioni.

Stava succedendo davvero qualcosa di grave.

 

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Uno spazio buio, apparentemente senza confini, lo circondava.

Una forza vibrante volteggiava tutta intorno a lui.

Una figura nera risaltava anche nell’oscurità del luogo.

Un uomo.

Alto e slanciato.

Indossava un paio di pantaloni di pelle che mettevano in risalto le gambe muscolose, e una camicia nera di seta dalla quale, dal modo in cui gli aderiva al corpo, si intravedeva l’atletica schiena.

I lunghi capelli, anch’essi neri, gli ricadevano morbidamente sulle forti spalle.

Camminava lentamente con una grazia innata e pareva quasi che si muovesse senza toccare il terreno.

Scivolava su un sottilissimo e invisibile strato d’aria.

Gli occhi, di un azzurro chiarissimo, con uno sguardo di ghiaccio, parevano osservare qualcosa in modo quasi divertito.

Teneva in mano una sfera di energia, e continuava a fissarla curiosamente, ma senza mai far trasparire nel suo volto una qualsiasi emozione.

“Finalmente. Ci siamo”, disse in modo pacato con una voce profonda, dolce ma allo stesso tempo crudele.

“A tutto c’è una fine”continuò alzando lo sguardo dalla sfera e fissando l’infinito di fronte a lui.

Poi con un gesto della mano destra, chiuse elegantemente le dita in un pugno e la sfera sparì.

“Ma non è detto che non ci sia un nuovo inizio”.

Sorrise, ma il suo sorriso era più un ghigno pieno di anticipazioni.

Si voltò e, continuando a camminare elegantemente, si allontanò fino a sparire nell’oscurità.

 

 

 

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Era in piedi ed aveva gli occhi chiusi.

Non riusciva a muoversi.

Era come se qualcosa la stesse trattenendo.

Sentì una presenza aleggiarle vicino.

Aprì gli occhi.

Un ambiente buio, apparentemente senza confini, la circondava in ogni direzione.

Indossava un lungo abito di seta turchese che le ricadeva sui piedi nudi e ornato in vita da una cintura in raso con una fibbia molto elaborata, al centro della quale spiccava un diamante blu.

I lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle nude.

Le braccia, sollevate, erano legate sopra la testa.

Sentì nuovamente una presenta vicino a lei.

Si sentì toccare una spalla.

Un brivido di paura le percorse la schiena.

Non sapeva cosa fare.

Strattonò con forza i lacci che la trattenevano.

Si sentì sfiorare nuovamente sull’altra spalla.

La paura, che già provava, crebbe.

Il cuore incominciò a batterle sempre più forte, tanto da rimbombarle nelle orecchie.

Strattonò nuovamente i lacci, questa volta con più forza, e questi si ruppero.

Si sentì improvvisamente libera.

Incominciò a correre, correre sempre più velocemente.

Quel luogo sembrava non avere vie d’uscita.

Era imprigionata in un luogo senza confini.

Il vestito le intralciava i passi.

Il fiato era ormai corto ma non voleva fermarsi.

Qualcosa la stava seguendo ed era sempre più vicina, lo sentiva.

Continuando la sua fuga si voltò indietro per vedere quanto vantaggio aveva sul suo avversario, ma non vide nulla, solo buio.

Si fermò di colpo.

Ruotò il capo di nuovo di fronte a lei e si trovò un uomo davanti.

Era vestito di nero ed aveva un ghigno che rendeva il suo volto, apparentemente bellissimo, diabolico.

Lei sobbalzò spaventata e poi si voltò per continuare la sua fuga, ma dopo pochi passi si sentì afferrare per la vita.

Il corpo dell’uomo aderì alla sua schiena.

Le sue mani la accarezzarono languidamente sul suo ventre piatto e sui fianchi, ma senza mai allentare la sua morsa.

Accostò il volto al suo orecchio e con una voce profonda le disse “Povero, piccolo cucciolo indifeso”.

Una mano si alzò dal fianco e lentamente le accarezzò il collo mantenendo sempre la meno sinistra stretta attorno alla sua vita.

Il respiro della ragazza si fece sempre più affannoso.

“Sei stata la mai fine e sarai il mio inizio”

L’uomo fece pausa e spostò il volto vicino l’altro orecchio della sua preda.

“Ricordati. Sarai mia. In un modo o nell’altro”

Una risata, che aveva poco dell’umano, riecheggiò nel buio.

 

Aprì gli occhi di scatto e sollevò il busto.

Era affannata e col fiato corto.

Si guardò attorno e si accorse che era nella sua stanza, nel suo letto.

Il bianco la circondava.

Il respiro le si calmò.

“È stato solo un incubo”

 

 

 

Capitolo IV

 

Quanto tempo era passato?

Non lo avrebbe saputo dire.

Sapeva, nel suo subconscio, che il luogo in cui si trovava e tutto ciò che la circondava non era ciò che doveva essere.

Aveva avuto ancora occasione di parlare con Petra e aveva provato a chiedere dove si trovavano o se sapevano qualcosa sul suo passato, ma lei aveva risposto evasivamente dicendo che non l’aveva mai vista prima e poi si era scusata e se ne era andata lasciandola sola.

Adesso stava vagando per l’immenso palazzo che sembrava apparentemente disabitato.

Non voleva ammetterlo, ma, in realtà, stava cercando lui.

Sperava di incontrarlo, magari ‘casualmente’.

Camminò per il lungo corridoio, luminoso grazie alle grandi finestre che occupavano tutta una parete.

C’erano molte porte, ma non le venne la tentazione di aprirle fino a quando giunse all’ultima di queste.

Quando trovò davanti a questa sentì come un formicolio pervaderle il corpo.

Una tentazione irrefrenabile la prese.

Doveva assolutamente vedere cosa si trovava aldilà di quella sottile barriera.

Appoggiò decisa la mano sulla maniglia della porta, ma si fermò improvvisamente indecisa sul da farsi.

Poteva esserci qualcuno dall’altra parte che magari non desiderava essere disturbato.

Magari era la stanza di qualcuno che stava riposando.

Che diritto aveva lei per aprire le porte di quella casa a suo piacimento.

In effetti nessuno lei aveva dato l’autorizzazione di gironzolare dappertutto come più le piaceva, ma anche se avesse voluto chiedere il permesso a qualcuno, non aveva più visto nessuno, e nessuno era andato a trovarla, neanche lui.

Perché non era più andato da lei?

Forse la riteneva una ragazzina piagnona.

L’aveva vista piangere, l’aveva vista forse nello stato peggiore in cui fosse mai stata.

Non si ricordava neanche chi era.

A chi poteva piacere una che non sapeva neanche il proprio nome.

Gli occhi le si velarono di lacrime.

In quel momento un dolore lancinante alla testa la fece piegare in due.

 

“Sei unica Buffy”

“Non voglio essere unica”

 

Quelle parole le rimbombarono nella mente.

Si accasciò a terra e si portò le mani alla fronte.

Un'altra fitta le trafisse la testa.

 

“La morte è il tuo dono”

Un deserto le comparve davanti agli occhi.

Una donna, di aspetto primitivo, si muoveva dietro a un fuoco.

“La morte è il tuo dono”, ripeté.

 

La visione sparì lasciando il posto al buio.

Il dolore scomparve improvvisamente.

Aprì gli occhi e lentamente si rialzò.

Il capo le girava ancora un po’ e, senza pensarci troppo, aprì la porta vicino a lei.

Oltre la soglia trovò un magnifico salotto con tanto di camino che aveva davanti due poltrone.

Un divanetto si trovava vicino alla grande finestra che illuminava la stanza.

Fino a qual momento non si era accorta che c’era anche qualcun altro.

Si voltò e lo vide davanti a lei.

Aveva un libro in mano e teneva gli occhi bassi.

“Ciao”, le disse.

Aveva alzato per un secondo lo sguardo verso di lei e in quei magnifici pozzi blu le era sembrato di vedere, solo per un momento, un velo di stupore, poi, in un’altra frazione di secondo, erano diventati come freddi.

Sentì una fitta al cuore.

Forse non gli importava più di tanto che lei fosse li.

In effetti le due volte precedenti che l’aveva visto l’aveva aiutata perchè era li.

Magari non l’avrebbe mai soccorsa se non si fosse trovato li per una pura coincidenza.

Cos’era quello che stava provando?

Era forse amore?

Non poteva essere.

Lo aveva visto così poche volte che non poteva essersi innamorata di lui così in fretta.

E poi lei non aveva mai provato cosa fosse il vero amore e, anche se lo avesse mai provato, non se lo ricordava.

Eppure c’era qualcosa di lui che la attirava.

Una forza misteriosa le pervase il corpo.

Era come se la sua vita dipendesse da lui.

Lo vide incamminarsi verso il divano, sedersi e aprire il libro.

“Scusa. Forse ti sto disturbando. È meglio che vada”

Aveva abbassato gli occhi e si diresse verso la porta.

“No.”, la fermò lui con voce decisa, poi, con un tono più tranquillo, continuò, “Se vuoi rimanere fallo pure. Non mi dai fastidio”

Il suo cuore per un colpo.

Lui non la voleva cacciare.

“Grazie”, gli rispose con un sorriso radioso ma allo stesso tempo timido.

Si diresse anche lei verso il divano e vi si sedette dalla parte lasciata libera.

Poi rivolse la testa verso la finestra e finse di guardare il paesaggio che si stagliava davanti a lei, ma, in realtà lanciava delle occhiate furtive al ragazzo davanti a lei.

Era così bello.

Il suo sguardo assorto nella lettura era così profondo.

I suoi occhi sembravano brillare e a tratti parevano anche attraversati da filamenti argentei che li rendevano ancora più penetranti.

Era sicura, qualcosa li legava, ma forse lui non provava la stessa cosa.

E se fosse stato così, sapeva che il suo cuore non avrebbe retto.

 

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Non l’aveva più vista, in realtà non l’aveva neanche più cercata.

Per il suo cuore era meglio così.

Sapeva che se l’avesse rivista, il suo cuore avrebbe smesso di battere.

In realtà non batteva già da più di un secolo, ma questi erano dettagli.

Ma, come ogni volta che la rivedeva sentiva il suo cuore ricominciare a battere, ogni volta capiva che il suo era un amore impossibile, e il suo cuore, irrimediabilmente, iniziava a sanguinare.

Da quando aveva riavuto l’anima aveva compreso che lei non avrebbe mai potuto amarlo veramente per quello che era, e aveva deciso, già da quella prima volta che l’aveva rivista negli scantinati della scuola, che non le avrebbe più fatto pressioni e, soprattutto, non le avrebbe più confessato il suo amore in modo così aperto come aveva fatto qualche tempo prima con risultati, peraltro, poco soddisfacenti.

Ormai aveva deciso: l’avrebbe lasciata libera

E per riuscirci doveva distrarsi e leggere era un buon modo farlo.

Quello era un ottimo luogo per rimanere un po’ da soli, solitamente li non andava mai nessuno.

Stava scegliendo un libro dallo scaffale quando sentì come un brivido percorrergli la schiena.

Era una sensazione che provava solo quando lei gli si avvicinava.

Che lo avesse trovato in quel labirinto che era la casa dove vivevano?

Passarono i minuti ma nessuno entrò.

Forse si era sbagliato.

Magari stava anche avendo delle allucinazioni.

La sua anima, a suo tempo, gli aveva fatto dei brutti scherzi, e adesso poteva succedere lo stesso.

Si convinse di essersi sbagliato e continuò a fare ciò che stava facendo, ma quando riportò lo sguardo verso i libri sentì la porta aprirsi e la vide entrare.

Sembrava spaesata, forse si era persa.

Poi lei si voltò e lo scrutò con i suoi immensi occhi verdi.

“Ciao”, le disse, poi abbassò subito lo sguardo e prese un libro a caso tra quelli che aveva davanti.

Lei non rispose, magari non si aspettava di vederlo.

Forse non lo voleva vedere.

Era possibile visto che l’ultima volta l’aveva riportata nella sua stanza e lei gli aveva fatto promettere che sarebbe andato di nuovo a trovarla e invece si era reso introvabile.

Probabilmente si era offesa e adesso si sarebbe infuriata e gli avrebbe tirato un bel pugno dritto sul naso.

Magari il pugno non glielo avrebbe tirato, ma una bella ramanzina non gliela toglieva nessuno.

Lei continuò a non far niente, forse stava preparando in quella sua piccola testolina un bel discorsetto da fargli, oppure si stava caricando per urlargli contro con più forza.

Invece lei non fece niente, così si diresse verso il divano vicino la finestra e vi si sedette.

La osservò di nascosto da dietro il libro.

Sembrava indecisa, combattuta per qualcosa che le ronzava per la testa.

“Scusa. Forse ti sto disturbando. È meglio che vada”, la sentì dire e poi la vide che si incamminava verso la porta.

Ecco, se l’era presa con lui.

L’aveva offesa, di questo era certo, ma sembra anche che stesse pensando a qualcosa d’altro.

“No”, le disse, forse con un po’ troppa foga.

La sua bocca aveva parlato da sola.

Forse da sola no, ma il cuore aveva prevalso sulla mente, come al solito, e ora cosa poteva fare.

“Se vuoi rimanere fallo pure. Non mi dai fastidio”

In questo modo rimediò in parte alla situazione, ma così si veniva a trovare proprio nella situazione in cui non voleva essere fino neanche cinque minuti prima, e cioè da solo con lei.

La vide sorridere radiosa e il amore per lei crebbe ancora.

Le lesse in volto anche una punta di timidezza.

Le si erano arrossate le gote ed aveva abbassato gli occhi.

Buffy timida; questo non gli era mai capitato di vederlo.

Possibile che fosse così prima di diventare una cacciatrice?

Non poteva crederci.

Poi la vide avvicinarsi ed andarsi a sedere dall’altra parte del divano dove si trovava lui.

La osservava di nascosto facendo finta di leggere in modo molto interessato il suo libro di… ‘Gli amori di Jane’?

«Oh No. Sono proprio un imbecille. Sono andato a prendere l’unico libro da donna che c’era in tutta la libreria. Adesso penserà che sono gay. Pensandoci bene, così risolverei parte dei miei problemi. Anzi, No. Non mi sembra proprio il caso. Le dirò chiaramente che lei non mi interessa e che non ci potrà mai essere nulla tra noi. Ecco. Si, così va bene».

Alzò gli occhi verso di lei.

Era così bella con i raggi del sole che si riflettevano su i suoi capelli dorati, gli occhi verdi che risplendevano come due smeraldi, la bocca leggermente schiusa.

Non l’aveva mai vista così.

Si gli era capitato di vederla di giorno, ma mai da così vicino e in piena luce.

Era inebriante poter stare al sole e sentire i suoi raggi che gli sfioravano la pelle, ma ancora più inebriante era stare al sole con lei accanto.

Riuscì a sentire persino il suo profumo di pesca.

“Ti piace leggere, vero?”, gli chiese mentre lui stava ancora fantasticando sulla donna dei suoi sogni.

Si riscosse dai suoi pensieri e velocemente chiuse il libro e coprì il titolo in modo che lei non lo potesse vedere.

“Anche l’altra volta avevi un libro con te, solo che per colpa mia non lo hai potuto leggere”

La vide abbassare gli occhi; sembrava dispiaciuta.

“Non ti preoccupare, lo aveva già letto”, le rispose accennando un sorriso.

Un silenzio imbarazzante cadde tra i due.

Nessuno sapeva cosa dire.

Lui era indeciso, non sapeva cosa fare: se se ne fosse andato, lei si sarebbe offesa, mentre, se fosse rimasto non era sicuro di saper controllare le proprie azioni.

Decise che era meglio uscire da quella stanza prima che potesse succede qualcosa di irreparabile.

“Scusa, devo andare”, le disse mentre si alzava.

«Se ne vuole andare. Allora non vuole proprio stare con me. O forse sta aspettando una mia mossa? Non capisco. Anzi, adesso sai cosa faccio? Io mi butto. Tanto, male che vada, mi manda a quel paese», pensò Buffy.

Si alzò anche lei dal divano e gli corse dietro fino ad afferrargli un braccio costringendolo a girarsi.

“Aspetta”, gli disse trattenendo il respiro.

Prendendolo alla sprovvista si alzò sulle punte dei piedi, chiuse gli occhi e accostò dolcemente le sue labbra alle sue.

Lui sbarrò gli occhi per la sorpresa e rimase immobile non sapendo cosa fare.

Lei, dopo qualche istante si staccò e, vista la reazione che aveva avuto e lo sguardo che aveva in quel momento, si scostò da lui e quasi correndo uscì da quella stanza.

Non poteva rimanere li un attimo di più.

Lui non la voleva e lo aveva dimostrato fin troppo bene.

Ormai stava correndo per il corridoio che l’aveva portata fino li, mentre una lacrima le solcava la candida guancia.

 

 

 

[WIP]