Fanfiction ospitata per gentile concessione del Bloodylove in attesa di riuscire a rintracciare l'autrice.

 

 

FUGA DAL PASSATO

Di Rosy

 

 

Soffici nuvole bianche passeggiavano nel cielo azzurro, il sole risplendeva ed il torpore autunnale, accompagnato da una dolce brezza, accarezzava i capelli biondi, lunghi e lisci, di Buffy Summers mentre teneva il suo discorso, il giorno del diploma.

 

Poche, ma incisive parole rivolte ai suoi colleghi d’università e poi i cappelli lanciati tutti in aria. Finalmente era un medico. Aveva fatto il tirocinio nell’ospedale di Sunnydale ed ora, visti i suoi voti alti e la completa dedizione verso i pazienti, le era stato offerto un buon posto a New York, l’inizio dell’incarico era fissato per dicembre. Aveva deciso di partire subito nonostante avesse voluto viaggiare per distendersi un po’, dopo le fatiche degli esami. Aveva venticinque anni.

 

Il giorno seguente saliva sull’aereo, con le sue poche cose messe in valigia e nessun buon ricordo della sua città natale. Aveva avuto un’infanzia difficile dopo che i suoi genitori si erano separati, una serie di storie d’amore sbagliate e nessun vero amico con cui sfogarsi. Mentre guardava fuori del finestrino la sua città che diventava, pian piano, un piccolo punto indefinito smarrito nel più vasto territorio, sorrise pensando alla nuova vita che la stava aspettando. Finalmente il destino avverso era mutato, la dea bendata della fortuna aveva scelto lei, offrendole una nuova occasione. Sì, lì sarebbe stata felice, se lo meritava dopo tutta la fatica che aveva fatto per studiare. Ricordava le nottate al fast-food dove lavorava per potersi pagare le rette, troppo alte per farle pagare interamente alla sua famiglia, studiando tra un turno ed una pausa. Studiava la mattina presto, prima di recarsi all’università, studiava durante la pausa pranzo, in ogni attimo di tempo. Il motivo per il quale, probabilmente, non aveva stretto nessuna amicizia importante, era stato quello.

 

Persa tra i suoi pensieri non se ne accorse, ma scivolò nel sonno, un sonno tranquillo accompagnato dal rumore sommesso dell’aereo. Poche ore dopo stava atterrando a New York, le avevano assicurato che ci sarebbe stata una macchina ad attenderla all’aeroporto e che l’avrebbe accompagnata al suo nuovo appartamento. Avrebbe iniziato i turni già il giorno successivo, turno di notte naturalmente, data la sua fortuna. Trovò il tizio che le era stato indicato dall’ospedale di Sunnydale e, sistemati i pochi bagagli nel baule della macchina, partì verso il suo appartamento. Gettando un’occhiata alle strade in parte deserte, data l’ora tarda, notò quanti barboni e quante persone disadattate ci fossero. Alcune persone si erano accoccolate lungo i marciapiedi coprendosi con cartoni e giornali, mentre altre, forse più fortunate, si erano avvolte in vecchie e malandate coperte o sacchi a pelo. Era la fine di novembre e la notte a New York era sicuramente molto gelida. Chiuse gli occhi, poggiando la testa al finestrino, si sentiva spossata ed agitata. Non poteva più tornare indietro, chissà che cosa le avrebbe offerto quella città, se avrebbe trovato quello che cercava. Troppo presto per dirlo… scivolò nuovamente nel sonno.

 

Venne svegliata, poco dopo, dall’autista. Erano, finalmente, giunti alla sua nuova casa. Il tizio scaricò i bagagli, le consegnò le chiavi, una busta e le spiegò dove si trovava il suo appartamento, data l’immensità del grattacielo non l’avrebbe mai trovato senza indicazioni.

 

Salì, con l’ascensore, fino all’ottavo piano. Non le dispiaceva affatto stare in alto, adorava poter osservare tutta la città da una posizione elevata. Girò la chiave nella serratura ed entrò nel suo nuovo appartamento. Questo non si presentò molto grande, tuttavia aveva una sala molto spaziosa con una grande finestra che dava su tutto il quartiere. Guardandovi attraverso notava, tuttavia, l’ammanco degli spazi verdi che si limitavano a dei minuscoli giardini che contornavano piccoli palazzi plurifamiliari. Fece un giro per l’appartamento, arredato in modo freddo e sobrio, facendosi un appunto mentale, ‘cambiare i mobili appena possibile’. La cucina, nascosta dietro un bancone, era piccola, ma accogliente, completa di tutti i comfort che la società odierna offriva. Nella sala, poco prima visitata, c’erano un grande divano di color chiaro, la TV, una cristalliera, piena di bicchieri e piatti, ed un lungo tavolo di vetro sul quale era appoggiato un bel vaso di fiori, troppo colorati, per non stonare con i colori grigi dell’appartamento. Il bagno era molto carino, vi erano un lavandino, una toilette ed una bella vasca da bagno con idromassaggio. In rotta con il resto dell’appartamento, le piastrelle erano di color blu chiaro e rivestivano, per gran parte, le pareti ed il pavimento. Sopra il lavandino era posizionato uno specchio con un disegno di onde blu sui lati.

La camera da letto era abbastanza spaziosa, un bel letto matrimoniale era posizionato nel centro, contro il muro. Su un lato della stanza c’era un ampio armadio ed una scrivania con il modem già posizionato per il suo portatile. Vicino alle due estremità del letto c’erano i comodini sui quali erano appoggiate due lampade da notte, molto carine.

 

Facendo ritorno nella sala, Buffy vide il lampadario con gocce di cristallo che, poco prima, non aveva notato. Quell’appartamento non le dispiaceva, a parte per l’atmosfera impersonale che aleggiava nell’aria, ma che avrebbe risolto poco a poco.

 

Si preparò con calma per la notte, facendosi un bagno caldo per rilassarsi e mettendosi a letto. Si addormentò quasi subito, fu un sonno tranquillo e senza sogni.

 

L’indomani si svegliò verso le dieci del mattino, la presentazione al suo staff sarebbe iniziata solo alle cinque, in concomitanza con l’inizio del suo turno. Era contenta, avrebbe avuto un po’ di tempo per uscire a darsi un’occhiata in giro e fare la spesa. Si preparò con cura indossando un paio di jeans neri attillati ed un golfino pesante, bianco. Si diede un’ultima occhiata allo specchio e, soddisfatta, s’infilò il mantello ed uscì. Camminando per le vie affollate della città vide, non molto lontano dal suo appartamento, un grande supermercato. Decise che si sarebbe fermata al suo ritorno, ora voleva godersi la nuova città e le nuove cose da scoprire. I colori di New York erano molto diversi da quelli di Sunnydale, tanto grigi e cupi i primi, tanto vivaci e accesi i secondi, pensò che, a quello, non si sarebbe mai potuta abituare. Camminare tra la folla era esasperante, ricevette diverse gomitate e spintoni. Stancatasi di tutto questo, entrò in un negozio di vestiti, scorto all’angolo della strada. Per distendersi adorava fare shopping. Comprò qualche nuovo abito e, dato che si era avvicinata l’ora di pranzo, decise di fermarsi in un locale per mangiare qualcosa. Trovò una tavola calda, naturalmente nello stile newyorchese e vi si installò ordinando il menù del giorno, pollo fritto e patatine accompagnati da un enorme bicchiere di limonata. ‘Certo che le abitudini alimentari della città non sono proprio le migliori’, pensò prima di addentare una coscia del suo pollo. Finito di pranzare gironzolò ancora per qualche ora in città, poi, resasi conto che l’orario di lavoro si stava avvicinando, decise di rientrare a casa. Indossò qualcosa di più comodo e si diresse all’ospedale utilizzando la cartina trovata nella busta che l’era stata consegnata la sera prima, nella quale si trovava pure il suo tesserino d’identificazione.

 

Attraversò le grandi porte scorrevoli del Presbyterian Hospital e si annunciò alla reception dove le fu indicata l’ubicazione degli uffici amministrativi. Il direttore l’attendeva, l’avrebbe accompagnata al Pronto Soccorso e presentata allo staff. Arrivata davanti alla porta con la scritta “DIREZIONE – Dr. Rupert Giles” bussò e, una volta ottenuta la risposta dall’altra parte, entrò. Si ritrovò in un piccolo ufficio, dove un signore di mezza età era intendo a firmare dei documenti che la sua segretaria gli stava porgendo. Senza alzare lo sguardo l’uomo disse a Buffy di accomodarsi, indicando le sedie davanti alla sua scrivania. Ringraziò la segretaria, che uscì, mentre Buffy faceva alcuni passi e prendeva posto sulla sedia, accanto alla grande vetrata. Solo allora si accorse che l’ospedale aveva, davanti a se, un bellissimo parco, ma non ebbe il tempo di pensare ad altro che si sentì chiamare.

 

- Dottoressa Summers, che piacere incontrarla! So che siete stata una delle migliori allieve della sua università – l’uomo le porse la mano, che lei strinse, sorridendo.

 

- Sono il Dr. Rupert Giles, primario e direttore di questa struttura, sono felice di poterla accogliere nel nostro staff, so già che sarà all’altezza del posto assegnatole –

 

- La ringrazio per la fiducia accordatami, farò del mio meglio per assolvere tutti i miei doveri – il medico sorrise a Buffy e le fece segno di seguirlo.

 

- Venga, le faccio fare il giro della struttura, anche se sarà assegnata al Pronto Soccorso è sempre utile visitare l’intero ospedale, per avere un’idea dell’ubicazione dei vari reparti –

 

Il Dr. Giles era un uomo molto gentile, sebbene incutesse un certo timore, data la sua posizione. Buffy non se ne curava molto, era sicura delle nozioni apprese e studiate a fondo, quindi si sentiva tranquilla e rilassata anche accanto a lui. Dopo la fine del giro dell’enorme ospedale, Buffy fu accompagnata al Pronto Soccorso. Lì trovò un nutrito staff di medici ed infermieri, il Pronto Soccorso era immenso e v’erano molti letti disponibili, anche se molti di questi, erano già occupati. Il Dr. Giles fece le presentazioni.

 

- Questa è la Dr.ssa Buffy Summers, farà parte del vostro team, per i primi tempi avrà bisogno di un cicerone, vediamo… Dr.ssa Rosenberg, l’affido a lei per ogni spiegazione che dovesse necessitarle – si rivolse a Buffy con un sorriso – Buon lavoro signorina, e buon lavoro a tutti – detto questo il medico s’allontanò e fece ritorno nel suo ufficio. Buffy fu condotta, dalla Dr.ssa Rosenberg che, dopo essersi presentata apprese che si chiamava Willow, in una stanza con una serie di armadietti. Era lo spogliatoio del personale, Willow le mostrò il suo armadietto nel quale era già appeso il suo camice bianco con tutto il necessario che le sarebbe servito per esercitare al meglio la professione. Buffy si rallegrò della serietà dell’ospedale e dell’organizzazione, amava la precisione, dopo essersi sistemata, cominciò a lavorare. Quella notte il lavoro fu abbondante, quasi tutti i letti del pronto soccorso erano occupati, v’era stato un grave incidente e alcune persone erano abbastanza gravi ed erano state smistate nei vari reparti.

 

Finalmente arrivò l’ora della pausa, così si diresse verso la caffetteria dell’ospedale per mangiare qualcosa. Era sfinita, ma contenta, salvare vite ed alleviare il dolore delle persone la faceva sentire speciale. In quel momento il suo cercapersone suonò, era il codice d’emergenza, si alzò di scatto e corse al piano di sotto. Arrivata davanti alle porte della sala vide l’ambulanza ferma e i soccorritori che stavano scaricando la barella, l’uomo che v’era steso era coperto di sangue, era già intubato ed aveva attaccata la macchina dell’elettrocardiogramma. Gli infermieri entrarono prepotentemente dalla porta fissandola, in attesa di ordini. Buffy prese in mano la situazione.

 

- Presto, portatelo nella sala 3, ditemi che cosa è successo! –

 

- È un barbone, è stato ferito con un’arma da fuoco in una colluttazione, il proiettile si sospetta che sia ancora nel polmone, la pressione è scesa ed il battito cardiaco è debole, la respirazione si era arrestata ed abbiamo dovuto intubarlo – Buffy, esaminò rapidamente il caso e cominciò a dare ordini.

 

- Presto, fate presto, infermiere, preparate una trasfusione, due sacche di sangue tipo 0, non abbiamo tempo di fargli l’esame – la barella sfrecciò verso la sala indicata da Buffy, la quale si accinse a seguirla, quando fu trattenuta e, con forza, costretta a voltarsi. Blu… profondo, tempestoso, si era tuffata negli occhi più belli che avesse mai visto, il ragazzo davanti a lei urlava disperato, con le lacrime agli occhi.

 

- Lo salvi, lo salvi, è mio amico… non lo lasci morire - Buffy, che non aveva tempo da perdere, fissò l’uomo e con tono deciso cercò di rassicurarlo.

 

- Lo salverò, è il mio lavoro, lei resti qui, le darò al più presto delle notizie, ma ora mi lasci andare se vuole che il suo amico viva – il ragazzo abbandonò la presa e lei sparì dietro la tenda azzurra. L’uomo, ancora sconvolto, si accasciò su una delle sedie della sala d’aspetto e pianse.

 

Le ore passarono lente, l’attesa era diventata talmente lunga che l’uomo si era addormentato sulla sedia, con il mento poggiato sul petto e le braccia incrociate, nessuno gli prestava attenzione, ma ormai era abituato ad essere invisibile. Non riuscì a capire quanto tempo era passato, ma si svegliò al suono di una voce delicata che lo stava invitando ad aprire gli occhi.

 

- Signore… signore… si svegli… - Buffy non voleva essere troppo brusca, spaventandolo. Guardandolo meglio capì che, anche lui, doveva vivere sulla strada, indossava un vecchio spolverino di pelle nera ed aveva i jeans tutti sdruciti, per non parlare delle scarpe, la suola era tenuta insieme alla scarpa con del nastro isolante. Di nuovo Buffy si tuffò nel blu profondo e tempestoso degli occhi dell’uomo, che si era destato. Gli sorrise, contemplandolo mentre si alzava in piedi imbarazzato.

 

- Il suo amico è stabile, abbiamo estratto la pallottola e salvato circa la metà del polmone, se la caverà. Domattina lo potrà venire a trovare, se lo desidera – gli sorrise.

 

Il ragazzo si commosse ed, asciugandosi le lacrime con la manica della giacca, ringraziò Buffy tra un singhiozzo e l’altro. Provando tenerezza per quell’uomo, decise di invitarlo a mangiare qualcosa.

 

- Le andrebbe di venire con me? Stavo per andare a mangiare qualcosa ed odio consumare i pasti da sola – l’uomo, dinnanzi a lei, la incuriosiva molto. Il ragazzo, però, si ricompose ed assunse un’aria molto seria, l’espressione del volto si era indurita.

 

- Grazie dell’offerta, ma non posso, non ho soldi con me e non ho bisogno della pietà di nessuno – Buffy rimase molto male all’affermazione, ma ne capì la ragione, sicuramente non era abituato ad essere invitato dalle persone per consumare un semplice panino, ma lei odiava veramente mangiare da sola, così tornò alla carica.

 

- Allora mi faccia solo compagnia, mentre io mangio, le va? – Sul volto dell’uomo apparve, per un attimo, un timido sorriso, ma subito l’espressione ridivenne seria.

 

- No, io… io non posso, devo andare, mi scusi – detto questo il ragazzo scappò via dal Pronto Soccorso, lasciando Buffy senza parole e con molte domande. Il suo turno finalmente finì e, prima di andare a cambiarsi, passò a visitare il ragazzo che era stato operato. In seguito si preparò per tornare a casa e decise, sebbene fosse ancora buio, di andare a piedi.

 

Camminando per le vie buie della città, dove i primi raggi del sole erano ancora celati dagli enormi grattacieli, si ritrovò a pensare all'incontro con il ragazzo dagli occhi blu, il blu più intenso che avesse mai visto, ma vergognandosene scacciò via quel pensiero. Arrivata a casa fece una doccia veloce, mangiò qualcosa e si mise subito a letto. Anche questa volta i sogni furono quieti.

 

L’indomani si svegliò tardi, era quasi mezzogiorno. Decise di fare una veloce colazione e di farsi di nuovo un giro per la città. Stabilì, inoltre, di recarsi al lavoro prima dell'orario di inizio, al fine di visitare il parco intravisto il giorno prima. Arrivò, come al solito, a piedi e si lasciò abbagliare dai raggi del sole che giocavano tra le fronde degli alberi. Si sedette su una panchina e si mise ad osservare i pazienti dell’ospedale che passeggiavano tranquilli, alcuni accompagnati dalle infermiere, assaporando la brezza della sera che si stava avvicinando. Ad un tratto, dall’altra parte del viale, scorse una figura familiare dai capelli biondi, che camminava lentamente verso l’ospedale. Aguzzando la vista vide lo spolverino, che il ragazzo aveva indosso la sera precedente e, senza riuscire a spiegarsene il motivo, si alzò e gli corse appresso. Attraversando il viale di corsa, gli arrivò dietro la schiena e lo afferrò per una spalla, obbligandolo a voltarsi. Con disappunto notò che non si trattava della stessa persona, l’individuo sconosciuto la fissava con sguardo interrogativo, in attesa che gli dicesse qualcosa. Buffy, rimasta male per l’errore, non riuscì a proferire parola, lasciando lo sconosciuto ulteriormente confuso. Questo dopo qualche attimo sbuffò, fece spallucce e si incamminò nuovamente verso l’ospedale lasciando Buffy ancora in piedi, pensierosa. ‘Che cosa stavo facendo? Perché gli sono corsa dietro? Ma, certo, solo per dargli notizie del suo amico… non c’è altra spiegazione!’ pensò, mentre si dirigeva al Pronto Soccorso. Appena ne varcò le porte, s’imbatté nel Dr. Giles che, con sguardo fermo, la pregò di seguirlo nel suo ufficio. La invitò a sedersi e si posizionò dinnanzi a lei. Con tono severo e, sottilmente furioso, cominciò il suo discorso.

 

- Dr.ssa Summers, ho saputo dell’intervento che ha eseguito ieri sera su un certo sig. Angel… evidentemente non avevamo nessun documento d’identificazione in quanto la cartella non è stata compilata adeguatamente, ma non è questo il problema principale… - Buffy stava iniziando a preoccuparsi seriamente, non riusciva a capire dove volesse arrivare, ma l’uomo non tardò a soddisfare la sua curiosità che, in seguito, desiderò di non aver provato.

 

- Il paziente in questione, Dr.ssa Summers, pare non abbia nessun’assicurazione medica in quanto, un barbone, un uomo di strada, un reietto della società come lui di certo non può richiedere, ma questo a lei, Dr.ssa Summers, pare non sia interessato ieri sera, quando l’ha operato a spese dell’ospedale… Dr.ssa Summers, vorrei che si rendesse conto della gravità del suo operato e della sua negligenza. Vorrei che si soffermasse a pensare a cosa succederebbe se tutti i pazienti di questa lodevole struttura, smettessero di pagare i nostri stipendi e le nostre attrezzature, sempre all’avanguardia per offrire loro una cura adeguata. Allora, Dr.ssa Summers, mi dica, cosa ne pensa di tutta questa situazione? Cosa dovrei fare secondo lei? – il Dr. Giles la fissava con freddezza e l’espressione scura. Buffy aveva le mani sudate e nessuna spiegazione logica per il suo operato della sera precedente, all’improvviso le vennero in mente gli occhi blu del ragazzo che la imploravano di far vivere Angel… dal quel momento non aveva pensato più a nulla se non a salvare l’uomo. Proprio in quell’istante le parole, per rispondere al direttore, le vennero in mente. Si alzò dalla sedia e batté le mani sulla scrivania del Dr. Giles che, non aspettandosi una reazione tanto violenta, rimase attonito.

 

- Cosa ne penso? Penso che lei abbia perso il senso dell’etica professionale. Noi siamo medici e il nostro compito è di curare le persone che ne hanno bisogno, siano queste ricche o povere. A noi, detentori della conoscenza medica, non dovrebbe importare della loro condizione economica, non trova Dr. Giles? – il primario, finalmente, dopo qualche minuto di silenzio, le rispose sospirando, il tono, questa volta, era più pacato.

 

- Dr.ssa Summers, sta perdendo il senso di quello che le ho detto… non la rimprovero per aver curato il paziente, ma per infranto le regole di questo ospedale. Le regole sono fatte, Dr.ssa Summers, per essere rispettate e lei non l’ha fatto, benché abbia firmato un contratto nel quale le ha accettate incondizionatamente. Ora, dottoressa, sappia che il suo paziente dovrà lasciare la struttura entro domani mattina. Se i dirigenti del nostro ospedale venissero a sapere che teniamo ricoverato un paziente insolvibile, ci licenzierebbero entrambi. Le lascio il compito di trasferirlo in una delle altre strutture sociali più adatte a lui. Se l’episodio della scorsa notte dovesse ripetersi, sarò costretto a sollevarla dalla sua posizione. Ora può andare… ah, dimenticavo, il suo nuovo turno è fissato dalle 19.00 alle 04.00, buon lavoro! – Buffy, ancora in piedi, girò i tacchi e se ne andò, sentendosi sconfitta ed amareggiata. Aveva scelto di fare il medico per salvare delle vite e non per riempire il suo conto in banca. Si avviò, avvilita e con sguardo perso nel vuoto, verso la stanza di Angel. Arrivata davanti alla porta di mogano, la fissò, senza avere il coraggio di entrare. Cercò, prima di varcare la soglia, le parole giuste per comunicare al ragazzo la brutta notizia. Sospirò e, finalmente, si decise ad entrare. Dopo aver salutato l’uomo con un sorriso tirato, si mise di fianco al suo letto, pronta a dare la brutta notizia. Angel, immaginando quale fosse il problema, apparì tuttavia tranquillo e rassicurante, facilitando un poco l’ingrato compito a Buffy. Erano entrambi consapevoli del problema creato dalla sua presenza ed Angel le era grato per aver corso quel rischio per salvargli la vita.

 

- Angel… mi dispiace molto, ma domattina sarà dimesso da questo ospedale in quanto non ha un’assicurazione medica che copra i costi della sua degenza e, a dir la verità, nemmeno dell’operazione che ha subito ieri – la voce di Buffy tremava sensibilmente.

 

- Lo sapevo già che sarebbe capitato, ma non ho parole per ringraziarla per quello che ha fatto per me, salvandomi la vita… l’unica cosa che mi chiedo è che senso abbia avuto l’intervento, se poi dovrò morire per strada, dato che non riceverò le cure necessarie al mio caso – disse l’uomo con una punta di ironia.

 

- Se vuole le posso consigliare una struttura gestita da dei volontari, non lontana da qui, lì si potrà riprendere e, spero, guarire bene – odiava dover fare quello che stava facendo.

 

Appena finì la frase sentì il rumore di un vetro che si frantumava, provenire da dietro la sua schiena. Si voltò di scatto e, di nuovo, la tempesta blu dei suoi occhi la investì come il vento impetuoso infranto sullo specchio del mare calmo. Il ragazzo aveva lasciato cadere un bicchiere, pieno d’acqua ed era uscito dal bagno, collocato nella stanza, dopo aver ascoltato la conversazione tra Buffy ed Angel.

 

- Spike… - il ragazzo spostò lo sguardo sull’amico, ma non gli diede il tempo di dire nient’altro perché cominciò ad inveire su Buffy.

 

- Lo sapevo! Lo sapevo che anche tu eri come loro… avida di soldi e di fama! Voi medici siete tutti uguali… non v’importa di salvare vite… v’importa solo che quelli che salvate abbiano i soldi per saziare la vostra fame di ricchezza! Quando ti ho vista, preoccupata per la salute di Angel, ho pensato che, forse, esisteva qualcuno ancora disposto a svolgere il suo lavoro senza tornaconto, ora so che mi sbagliavo… - dopo aver pronunciato quelle frasi il ragazzo, furente, abbandonò la stanza ed uscì dall’ospedale, vagando senza meta per le strade della città.

 

Angel e Buffy, rimasti soli, si fissarono. La ragazza abbassò lo sguardo, sentendosi responsabile per l’accaduto, ma Angel la confortò.

 

- Non presti attenzione alle parole di Spike, lui è fatto così, ma non è cattivo, glielo assicuro… non ce l’ha con lei, ma solo con la società che ci tratta come degli appestati. Io le sono veramente grato per quello che ha fatto per me e sono certo che anche Spike lo è a modo suo. Credo che nell’altra struttura mi troverò bene – Angel le sorrise, cercando di rassicurarla un poco. Buffy lo guardò e colse l’infinita tristezza che aveva negli occhi. Lo aiutò a sistemarsi al meglio per la notte e, ringraziandolo per le sue parole, lo baciò sulla fronte ed uscì dalla stanza. Appena fuori si appoggiò con la schiena contro la porta chiusa, chiuse gli occhi e, senza rendersene conto, sussurrò.

 

- Perdonami… - poi si scosse e si diresse, nuovamente, al Pronto Soccorso dove un’altra notte di lavoro l’attendeva.

 

Passarono otto giorni dalla dimissione di Angel. La mattina del trasferimento era salita con lui sull’ambulanza, del nuovo ospedale, che era andata a prenderlo. Gli aveva fatto volentieri compagnia per tutto il pomeriggio, anche se segretamente sperava che Spike si facesse vedere. Non voleva, infatti, che il ragazzo si fosse fatto un’idea sbagliata di lei, voleva spiegargli l’accaduto, ma purtroppo non si presentò. E nemmeno nei giorni seguenti. Non ebbe mai il coraggio di chiedere nulla di Spike ad Angel, non voleva sembrare interessata al ragazzo. Di tanto in tanto ripensava ai suoi occhi freddi che la fissavano ed alle sue labbra che pronunciavano quelle terribili parole che le avevano ferito il cuore. Fu strappata via dai suoi pensieri dal suono dell’ambulanza che entrava al Pronto Soccorso. Anche quella notte il lavoro l’assorbì pienamente. Si accinse a tornare a casa, come ogni mattina, a piedi. Anche se buia, la città semi-deserta le piaceva. C’era una tranquillità inusuale per New York, quella mattina. Stava per albeggiare, erano le quattro del mattino e Buffy, infreddolita, si raggomitolò nel suo cappotto bianco. Aveva la sciarpa ben raccolta attorno al collo, un grazioso berretto di lana in testa ed i guanti. Dopo qualche istante sentì, dietro di lei, dei passi. Dal rumore avrebbe giurato fossero due persone, accelerò il passo ed anche gli altri due lo fecero. La paura le salì in corpo, come l’adrenalina e cominciò a correre disperatamente, il berretto le cadde, lasciando liberi i lunghi capelli. Sentì che gli individui si avvicinavano sempre di più… sempre di più. Svoltò in una stradina, sperando di riuscire a seminarli ma, per sua sfortuna, si ritrovò in un vicolo cieco. Sentì le risate degli uomini che l’avevano seguita, il loro pesante respiro affannoso. Si voltò con il viso rigato di lacrime ed il corpo scosso da singhiozzi, non aveva nessuna via di fuga. I tizi avevano delle facce poco raccomandabili, probabilmente vivevano sulla strada anche loro, ma erano profondamente diversi da Angel e Spike. La guardavano con lussuria ed, in un attimo, Buffy capì quello che le sarebbe capitato. I due individui, sporchi e maleodoranti, si avvicinarono, sempre sogghignando e scambiandosi sguardi d’intesa. Probabilmente non era la prima volta che lo facevano, Buffy era inchiodata al muro, troppo terrorizzata per muoversi. La raggiunsero ed uno dei due la bloccò prendendola per le braccia, cercò di urlare, ma l’altro, dopo averle dato un forte schiaffo con il dorso della mano, gliela mise sulla bocca, bloccandole quasi il respiro che, nel frattempo, era diventato irregolare ed affannato. Essendo medico, capì che di lì a poco, sarebbe svenuta certamente, lasciando campo libero ai due tizi. Quello che le copriva la bocca, le prese una mano e, con i denti le tolse il guanto, lo gettò a terra e prese a succhiarle le dita, lascivo. L’altro, che la teneva bloccata al muro, prese ad accarezzarla per tutto il corpo, ridevano mentre le loro carezze si facevano sempre più intime. Buffy cercò di lottare fino all’ultimo ma, quando il suo cappotto raggiunse l’asfalto umido, smise di farlo, si arrese, pronta a subire la violenza. Chiuse gli occhi e continuò a piangere. Le fu sfilato il golfino e, uno dei due, prese ad accarezzarle e succhiarle il seno, dopo averle strappato il reggiseno. Il corpo di Buffy era scosso violentemente dai singhiozzi, desiderava che quel momento finisse in fretta. L’altro tizio aveva preso a sbottonarle i pantaloni e la stava accarezzando tra le cosce, che lei teneva strette per impedirgli l’accesso, senza molto successo. Le forze la stavano abbandonando.

 

- HEY! Che cosa state facendo? – la voce maschile echeggiò tra le pareti buie del vicolo. Sentì le mani degli uomini fermarsi, lei aprì un poco gli occhi. Una figura scura si stagliava davanti a lei ed ai due uomini. Era esile ed alta, tuttavia pensò che la sua percezione dovesse essersi alterata di molto per la paura, la sua vista era annebbiata dal pianto. Vide l’ombra dell’uomo appena arrivato scattare in direzione degli individui davanti a lei, prenderne uno, strattonarlo lontano da lei, ed iniziare a prenderlo a pugni. Questo rimase immobile e, mentre l’altro gli si era avvicinato, l’ombra, con un guizzo, gli si mise dietro, facendo scivolare un braccio attorno al collo di quest’ultimo e bloccandogliene uno dietro la schiena. Pochi istanti dopo anche quello si accasciò a terra, svenuto. Buffy lo seguì, vacillò ed il buio l’avvolse. ‘Che strano… non sono caduta sul cemento…’ fu l’ultimo pensiero, incoerente, che le attraversò la mente. Quando si svegliò era ancora nel vicolo, un torpore lieve le riscaldava la schiena. La strada ora era illuminata dalle prime luci del sole e sgombra, gli individui erano spariti. Alcune macchie di sangue, dove prima si trovavano i corpi, tingevano l’asfalto di una strana tonalità bordeaux. Sentì un respiro caldo sfiorarle il collo e scattò in piedi, spaventata. Spike la stava fissando con serietà. Buffy lo scrutò stupita, la mente ancora confusa, dunque era lui che aveva steso quegli uomini? Istintivamente, al ricordo della sua nudità, si portò le braccia sul petto, ma scoprì di indossare una giacca, la sua sciarpa ed i suoi guanti. Guardandosi attorno vide ancora il suo golfino ed il suo cappotto a terra, guardò meglio e vide che, quello che indossava, era lo spolverino di pelle nera di Spike. Lui si alzò da terra e fece qualche passo nella sua direzione, ma lei si allontanò.

 

- NO! – urlò. Era ancora sconvolta. Spike sospirò e si allontanò un poco, cedendole il passo. Raccolse in modo ansioso il cappotto e scappò via. Spike, tranquillamente, la seguì, a qualche metro di distanza, per accertarsi che giungesse a casa illesa. Quando la vide entrare nel portone, si allontanò sparendo tra la folla.

 

Arrivata a casa si chiuse la porta dietro la schiena e si accasciò a terra, dando sfogo ad un pianto dirotto. Restò in quella posizione per un tempo che parve infinito, il suo corpo calmatosi dai singhiozzi, era ormai spossato. Si alzò piano e si diresse in bagno dove, dopo essersi liberata degli unici abiti che ancora indossava, fece una doccia fredda, sfregandosi la pelle talmente tanto da farla arrossare. Le lacrime, che le rigavano il viso, si confondevano con il getto d’acqua gelata che glielo colpiva. Voleva lavare via l'umiliazione che quei due uomini le avevano fatto provare, trattandola come un oggetto e sentendosi liberi di farle qualsiasi cosa senza pensare ai suoi sentimenti. Si sentiva sporca. Pensò a Spike che l'aveva soccorsa e l'aveva cullata in quelle ore fino all'alba, tenendola al caldo e coprendola con il suo spolverino. Dopo essere uscita dal bagno si mise sul divano e, sfinita, si addormentò, questa volta il sonno fu popolato da incubi. Rivide gli uomini che l'aggredivano, ma nel suo sogno riuscivano a portare a termine l'opera. Si risvegliò madida di sudore e spaventata, erano le cinque del pomeriggio. Il suo turno sarebbe iniziato alle sette, aveva ancora due ore per decidere se recarsi in ospedale o rimanere a casa, a ripensare all’accaduto. Chiuse gli occhi e rivide il viso di Spike, che la guardava con dolcezza, che l’aveva tenuta contro di se, senza mai sfiorarla, senza farla sentire sporca, consolandola con il suo solo calore e la sua vicinanza. Sentì il bisogno di vederlo, di ringraziarlo per quello che aveva fatto. Decise di recarsi da Angel per chiedergli notizie di Spike, questa volta, per spostarsi, chiamò un taxi. Non notò l’ombra all’altro lato della strada.

 

Quando entrò nella stanza di Angel, lo trovò allegro che faceva il filo ad una delle volontarie della struttura ospedaliera, una tale Faith… Buffy gli sorrise e gli si avvicinò piano, mentre la ragazza usciva dalla stanza, strizzandogli l’occhio.

 

- Ciao Angel… ti trovo bene oggi… - riuscì a sussurrare, fissando un punto indefinito sul muro.

 

Il ragazzo scrutò, per un attimo, il suo viso e scorse l’enorme livido che aveva sulla guancia.

 

- Non posso dire la stessa cosa di te… che ti è successo? – Buffy tremò e si strinse la sua borsa al petto.

 

- Ni… niente… non è… successo… niente… - balbettò in modo confuso. Angel decise di non porle altre domande, era visibilmente scossa e non voleva metterla in ulteriore agitazione.

 

- Sono contento che tu sia venuta… vieni quasi tutti i giorni… i tuoi amici ti reclameranno! – il ragazzo le sorrise, ma Buffy non ricambiò, il suo sguardo rimase vuoto.

 

- Non ho amici… non ho nessuno qui… a parte te e… - non pronunciò l’altro nome che le era passato per la mente, avrebbe implicato troppe domande. Angel la guardò curioso, non aveva mai visto Buffy in quello stato, qualunque cosa le fosse successo l’aveva scossa terribilmente e lei, evidentemente, non ne voleva parlare.

 

- Buffy… non so cosa ti sia successo, ma se posso esserti d’aiuto, conta su di me – lo sguardo di Buffy s’illuminò per un attimo, poi il velo di tristezza, ricoprì nuovamente i suoi splendidi occhi verdi, decise di porre la domanda che gli era andata a fare.

 

- … è… ke? – pronunciò talmente sottovoce la frase, che Angel non capì.

 

- Come? Non ho capito Buffy… -

 

- Do… è… ke? – di nuovo Angel non capì.

 

- Scusa, ma proprio non riesco a sentirti – Buffy, sull’orlo del pianto, cercò di porre meglio la domanda.

 

- Dov’è Spike? – disse con voce tremante, poi scoppiò a piangere. Angel, con fatica, si alzò dal letto e le cinse le spalle con un braccio; subito sentì il corpo di Buffy irrigidirsi di colpo, così lasciò la presa. Lei, con occhi sgranati, lo fissava impaurita.

 

- Mio Dio Buffy, ma che ti hanno fatto? – in un istante capì quello che doveva esserle successo, senza sapere, però, che gli individui erano stati fermati prima di poter arrivare alla fine dell’opera. L’espressione si fece disgustata, ma non era disgusto nei confronti di Buffy, era disgusto nei confronti degli uomini che si comportavano come bestie, anzi, peggio delle bestie.

 

- Buffy… io… - la ragazza si coprì le orecchie con le mani.

 

- NO, NO… non dire… niente… - si accasciò sul pavimento, sempre piangendo.

 

- Dove… è… Spike…? – gli chiese nuovamente, tra un singhiozzo e l’altro. Angel cercò di non avvicinarsi troppo e di non abbracciarla, per non spaventarla ulteriormente. Poteva comprendere il disgusto che, in quel momento, provava nei confronti degli uomini, tuttavia non riusciva a spiegarsi perché cercasse Spike.

 

- Oh, tesoro, mi dispiace tanto… io non so dove sia… ci conosciamo da tanto, ma lui si sposta continuamente… di solito è lui che viene da me… - provò una pena infinita per quella ragazza alla quale in un attimo erano riusciti a togliere allegria e sorriso, sostituendoli con tristezza e pianto.

 

- Tesoro, ti prometto che se verrà a trovarmi, gli dirò che lo stai cercando, ok? Ora cerca di calmarti… - provò di nuovo ad avvicinarsi, chinandosi con una punta di dolore al petto, vicino a Buffy. Lei lo guardò smarrita e poi gli si gettò tra le braccia, aggrappandosi alla sua maglietta con tutta la forza. Lui le accarezzò i capelli con dolcezza, coccolandola fino a che non riuscì a calmarla. Dopo essersi lavata il viso e messa in ordine come meglio poteva, Buffy ringraziò Angel e gli promise che sarebbe andata a trovarlo molto presto, poi chiamò un taxi e se ne andò.

 

Quella notte, durante il suo turno, cercò di scacciare i brutti pensieri lavorando sodo. Poi, più velocemente del solito, arrivò l’ora del ritorno a casa. Si fece la doccia negli spogliatoi dell’ospedale e si cambiò d’abito con quelli che aveva di ricambio nell’armadietto. Lì aveva appeso con cura anche il mantello di Spike che aveva portato con se da casa, ne accarezzò la pelle, mentre gli occhi le si velavano, nuovamente, di lacrime. Le ricacciò indietro, prese lo spolverino e lo strinse a se… sentendo l’odore di Spike. Sentiva il bisogno di restituirgli quello che gli apparteneva e, più urgentemente, di ringraziarlo per quello che aveva fatto. Ancora non si spiegava le macchie di sangue sul cemento, l’oblio aveva avvolto la sua mente, ed i fatti di quella mattina erano confusi. Chiamò il taxi e, dopo aver indossato il mantello di Spike, si affrettò a salirvi senza notare l’uomo che, accanto alle porte del Pronto Soccorso, la stava fissando. Quando il taxi partì questo cominciò a camminare nella direzione opposta, fischiettando un motivetto e proseguendo poi, canticchiandolo.

 

“Early one morning,

Just as the sun was rising,

I heard a maid sing,

In the valley below.”

 

Le dita delle mani erano sporche di sangue ed anche sulla maglia c’erano macchie scure indefinite. Il viso era ricoperto di graffi, come il dorso delle sue mani. Smise di cantare e sulle labbra, si dipinse un sorriso soddisfatto, poi, riprese la sua melodia, mentre l’oscurità lo inghiottiva.

 

“O, don't deceive me,

O, never leave me,

How could you use

A poor maiden so…”

 

Il taxi si fermò sotto casa, Buffy pagò la corsa e, facendosi coraggio, scese e percorse, correndo, la breve distanza che la separava dal portone. Con movimenti frenetici armeggiò con le chiavi, che le caddero. Imprecò sommessamente e le raccolse, cercò nuovamente la chiave del portone e, sempre nervosamente, la infilò nella toppa, si guardò in giro e tirò un sospiro di sollievo non vedendo nessuno. Entrò e si diresse al suo appartamento. Chiuse la porta con doppia mandata ed infilò la catenina per precauzione. Si domandò se ora e per sempre, avrebbe dovuto vivere con la paura di essere aggredita. Si tolse la giacca di Spike e l’appese con cura nell’armadio a muro vicino all’entrata. Prima di richiudere l’anta l’accarezzò e sorrise debolmente. Si preparò qualcosa da mangiare con il forno a microonde e si mise a guardare uno stupido programma alla TV. Aveva paura di addormentarsi, non voleva rivedere il viso di quegli uomini nei suoi sogni, non voleva vedersi violentata ed umiliata da loro. Cercò di concentrarsi sul programma, ma presto il sonno la avvolse accompagnandola in un incubo. Si svegliò sudata e spaventata, il cuore le batteva all’impazzata. Si alzò dal divano e si recò in cucina, dove prese un bicchier d’acqua che bevve tutto in un sorso, poi se ne andò a letto cercando di allontanare le brutte sensazioni che l’incubo le aveva provocato.

 

Ai piedi del palazzo era giunta anche la figura di poco prima, ed ora stava fissando incessantemente la debole luce che filtrava dalla finestra della sua camera, all’ottavo piano. L’uomo tirò una boccata dalla sigaretta che teneva tra le dita ancora sporche, facendo balenare nel buio il debole rossore del tabacco arroventato. Sorrise sardonico.

 

Nelle settimane che seguirono Buffy lavorò ininterrottamente al fine di non pensare più alla sua brutta avventura, ora si spostava con il taxi in qualsiasi ora del giorno e andava a trovare spesso Angel, che si era quasi completamente ristabilito. Purtroppo il ragazzo, non sapeva mai darle nessuna notizia di Spike, non l’aveva più visto nemmeno lui. Buffy non aveva mai smesso di indossare la sua giacca, le dava un senso di sicurezza, lo sentiva vicino. Le sue paure, in ogni caso, erano sempre in agguato, ancora non riusciva a fidarsi degli uomini. Da due settimane pioveva senza sosta, la città era un fiume in piena e v’erano diversi disagi, tanto che Buffy temeva di dover prendere i mezzi pubblici in quanto il traffico cittadino era molto rallentato e caotico. Quello che temeva, un giorno, si realizzò. Quella sera, il suo turno finì un po’ prima del solito, alle due invece delle quattro. I mezzi pubblici, a quell’ora, non passavano più nell’area della sua abitazione. Decise di prendere il bus che si fermava a pochi isolati dal suo quartiere. Vi salì e, fortunatamente, non era sola, alcune operaie le facevano compagnia. In fondo al bus, la solita figura vestita di scuro, si era seduta su uno dei sedili disponibili e fissava distrattamente la pioggia che batteva sul finestrino alla sua destra, Buffy non la notò.

 

Il bus arrivò alla sua fermata, la paura la colse inesorabilmente, scese e si mise a correre all’impazzata sotto la pioggia martellante. Una persona, la incrociò e la vide, mentre cadeva a terra. Questa la raggiunse e fece per aiutarla ad alzarsi, ma Buffy si mise ad urlare, spaventandola.

 

- MI LASCI! AIUTO! AIUTO! –

 

- Signorina, si calmi, io… - l’uomo si guardò intorno sgomento e si ritrovò la misteriosa figura, anch’essa scesa dall’autobus, davanti. Questo gli diede un’occhiata e, ancora più spaventato, corse nella direzione opposta lasciando Buffy a terra e l’uomo in piedi, accanto a lei.

 

Buffy piangeva e singhiozzava, era bagnata fradicia. Si sentì prendere per la vita e sollevare, senza nessuna difficoltà, dalla persona che era sopraggiunta. Urlò ancora.

 

- NOOOOO… NOOOO… - disperatamente lottò per liberarsi dalla presa, arrivando persino a graffiare il volto magro dell’individuo che, tuttavia, non si scompose.

 

- Buffy… - la voce era roca, ma Buffy la riconobbe immediatamente e si tranquillizzò un poco.

 

- Spike? – lo osservò meglio, indossava un impermeabile ed aveva il cappuccio ben collocato sulla testa, era talmente grande che gli copriva mezzo viso. Con emozione Buffy alzò la stoffa che gli copriva il volto e, come sempre, si tuffò nei suoi magnifici occhi blu. Gli prese il viso tra le mani e rimase scioccata, quando sentì la pelle rovente sotto le sue dita. Doveva avere la febbre molto alta.

 

- Spike… ma tu… - in un attimo, Buffy aveva smesso di piangere e dimenarsi. Ora era solo preoccupata per la salute del ragazzo che l’aveva salvata.

 

- Ora devo andare… - Spike si voltò ma, dopo aver fatto pochi passi, cadde a terra, svenuto e rantolante.

 

Con fatica Buffy riuscì a trascinarlo verso la sua abitazione ed a portarlo nel suo appartamento. Richiuse, accuratamente, la porta dietro di se con due mandate e la catena. Sistemò Spike sulla poltrona e gli tolse l’impermeabile fradicio che aveva addosso, tutti i suoi vestiti erano impregnati d’acqua gelida. Doveva essere stato sotto la pioggia per ore. La sua pelle era rovente ed il respiro era corto ed affannato, Buffy era preoccupata, ma non avrebbe potuto portarlo in tempo alla struttura dove si trovava Angel né, tantomeno, all’ospedale dove prestava servizio. Doveva abbassargli la febbre in modo rapido, così decise di preparargli un bagno gelato. Si tolse lo spolverino e si avviò nel bagno dove riempì la vasca con acqua fredda, mettendovi poi tutto il ghiaccio che aveva in casa. Trascinò il corpo esanime di Spike in bagno e, con fatica, riuscì a sistemarlo nella vasca. Venti minuti dopo, il ragazzo prese a respirare regolarmente, così lo tolse da quella posizione e decise che era arrivato il momento di riscaldarlo. Naturalmente dovette spogliarlo, si fece coraggio e gli tolse tutti i vestiti, lasciandogli i boxer. Aveva un bellissimo corpo, muscoloso ed armonioso, sulla pelle pallida aveva, però, diverse cicatrici, alcune molto strane. Buffy si obbligò di smettere di fissarlo e cominciò ad asciugarlo con i suoi asciugamani, poi gli asciugò i capelli con il phon. Cercò dei vestiti e li trovò, gli infilò un paio di pantaloni di una tuta che aveva comprato tempo addietro, sbagliando la misura ma che a Spike andavano a pennello, ed una delle sue magliette giganti, quelle che usava quando guardava il super-bowl alla TV, per fare la sua squadra del cuore, e decise di metterlo a letto, gliel’avrebbe prestato finché non si fosse ristabilito completamente. Glielo doveva dopo quello che aveva fatto per lei. Lo mise sotto le coperte e gliele rimboccò, con il viso rilassato era davvero affascinante. Il suo respiro ora era regolare e la sua pelle non scottava più come prima. Buffy aveva deciso di dormire sul divano così si fece una doccia, bloccò la porta, dopo averla chiusa a chiave, mettendovi davanti il cesto dei panni sporchi ed il cestino, in modo da rendere il bagno inespugnabile. Appena uscita dal bagno, diede ancora un’occhiata a Spike, che dormiva profondamente, e poi sistemò le coperte ed il cuscino, che aveva in più, sul divano spazioso trasformandolo in un letto. Si mise sotto le coperte e si addormentò, sperando che gli incubi restassero lontani dalla sua mente… purtroppo non accadde. Come ogni notte si svegliò, spaventata e sudata, questa volta pianse. Aveva bisogno d’aiuto e non vi era nessuno che glielo poteva dare, la sua mente andò incontrollata al ragazzo che dormiva nella sua stanza, l’unico che l’avesse aiutata veramente. Si alzò piano ed arrivò davanti alla porta della sua stanza, la scostò cercando di non fare rumore, Spike era ancora profondamente addormentato. Buffy tornò indietro e prese il cuscino dal divano, se lo mise sotto un braccio e, silenziosa, entrò nella sua stanza e si sistemò sull’altro lato del letto, rannicchiandosi vicino al ragazzo e tenendo un lembo della manica, della sua maglietta, stretta tra le dita. Si addormentò quasi subito, stavolta il sonno fu profondo e senza sogni. Un sorriso felice si dipinse sul volto rilassato ed addormentato di Buffy. Su quello di Spike accadde la stessa cosa.

 

L’indomani, quando si svegliò, Buffy si ritrovò avvolta nelle coperte, Spike non era più al suo fianco. Si alzò e fece un rapido giro per l’appartamento. Non c’era più, anche i suoi vestiti erano spariti ed i pantaloni e la maglietta, che Buffy gli aveva dato, erano piegati e poggiati sul divano. Sopra questi c’era un bigliettino con scritto:

 

“Grazie, la giacca la puoi tenere come ringraziamento, sta meglio a te che a me. Spike”

 

Senza rendersene conto, Buffy si commosse e sollevò gli abiti, nascondendovi il viso. Per la prima volta in vita sua, sentiva la mancanza di qualcuno, anche se si rendeva ben conto che Spike era uno sconosciuto e che forse non c’era da fidarsi di lui; però questo non le importava, lui l’aveva salvata dall’aggressione e anche quella mattina, convinto che fosse in pericolo, si era fatto vedere.

 

- Sei il mio angelo… - sussurrò sui vestiti.

 

Passò ancora una settimana, pioveva ancora e le condizioni meteorologiche non accennavano a migliorare. Buffy andò a lavorare, come ogni sera, non aveva mai preso nessun giorno libero per non restare da sola. Non aveva più visto Spike ed Angel era, ormai, stato dimesso e, di tanto in tanto, era lui ad andarla a trovare. Aveva deciso di trovarsi un lavoro per togliersi dalla strada, si era innamorato di quella ragazza che lavorava all’istituto nel quale era stato ricoverato, Faith. Buffy era stata felicissima della notizia, quell’uomo si meritava il suo angolo di felicità… lo invidiava un po’.

 

Verso le mezzanotte scese alla caffetteria, era il momento della sua pausa, ed aveva bisogno di un panino per calmare la fame che l’attanagliava. Il ragazzo che serviva al banco le fece un bel cappuccino ed un panino caldo, imbottito più del necessario. Era l’unica cliente ed il ragazzo, nonostante il locale chiudesse la cucina alle 20.00, le faceva sempre un favore servendole e scaldandole il panino. Buffy era grata a quel tipo, Xander, per la gentilezza che le riservava. Addentò il panino e masticò con voracità.

 

- Xander, adoro i tuoi panini, sono fantastici! – farfugliò con la bocca piena. Il ragazzo rise, ma la sua attenzione venne catturata dall’individuo barcollante che si stava avvicinando a loro. Buffy seguì lo sguardo di Xander e lo vide, Spike, malconcio, la stava raggiungendo. Lei si alzò di scatto e gli andò incontro, il ragazzo cadde in avanti, perdendo l’equilibrio, lei cercò di tenerlo in piedi.

 

- Buffy… credo… di… stare… male… - la voce era fievole, la pelle bolliva come la sera che l’aveva portato a casa, forse di più. Era fradicio ed infreddolito, tremava come una foglia. L’influenza, non curata adeguatamente, ora si era aggravata e, probabilmente, trasformata in qualcosa di più grave. Aveva una brutta tosse e faticava a respirare, Xander si offrì di aiutarla per trasportarlo al Pronto Soccorso.

 

- Non posso… non ha l’assicurazione e Giles mi licenzierebbe su due piedi, dagli un’occhiata mentre vado ad avvertire che, per questa notte, ho finito il turno –

 

- Va bene, lo guardo io, ma fai presto… non vorrei che morisse qui – poi, accortosi di quello che aveva detto, si morse le labbra. Buffy lo guardò con disapprovazione e poi andò a cercare la responsabile.

 

Spike sentiva la testa scoppiargli ogni volta che tossiva, il petto gli faceva male e, quando respirava, l’aria sembrava lava rovente che gli colava nei polmoni.

 

- Su, amico, non vorrai mica morire qui… vero? – lo implorò Xander. Buffy arrivò trafelata con un sacchetto di medicine in mano, aveva già chiamato un taxi che l’avrebbe riportata a casa.

 

- Xander, per favore, aiutami a caricarlo sull’auto – Buffy prese un braccio di Spike e se lo mise attorno al collo, lo stesso fece Xander con l’altro.

 

- Ok Buffy, andiamo –

 

Lo caricarono in auto e Xander li vide partire.

 

Il taxi si fermò sotto casa di Buffy, alcuni minuti dopo. La ragazza tentava di tenere Spike sollevato, in modo da consentirgli una migliore respirazione. Chiese all’autista di aiutarla a portarlo di sopra, da sola non ce l’avrebbe mai fatta, l’uomo acconsentì. Lo trasportarono fino al suo appartamento e lo misero sul divano. Buffy espresse la sua riconoscenza al tassista e gli pagò la corsa, con un piccolo extra per il disturbo arrecatogli, l’uomo ringraziò e se ne andò. Dopodichè chiuse accuratamente la porta e si voltò verso Spike che stava cercando di alzarsi in piedi.

 

- No Spike, stai molto male… devi stare steso, togliti quei vestiti bagnati e… -

 

- No… io… ho sbagliato a venire qui… - barcollò e cadde addosso a Buffy, che cercò di sostenerlo. Spike fece leva, con una mano, sulla spalla della ragazza e si rimise, con fatica, in posizione eretta. Buffy incontrò i suoi occhi, la temperatura elevata li aveva fatti diventare due zaffiri brillanti; ne rimase incantata. Restarono a fissarsi, occhi negli occhi, per qualche minuto, poi Spike arretrò di qualche passo, con gli occhi sgranati.

 

- No, io… devo andare… scusa per il disturbo – e si avviò verso la porta d’entrata, facendosi strada seguendo la parete con la mano e, di tanto in tanto, appoggiandosi ad essa affannato. Buffy lo seguì e gli circondò la vita con le braccia.

 

- Ti prego, resta… stai male, hai bisogno di cure… appena starai meglio te ne andrai dove vuoi, ma ora ragiona… per favore – Spike, esausto e dolorante, si arrese e cominciò a sfilarsi l’impermeabile, che poi passò a Buffy.

 

- Posso… andare in bagno a cambiarmi? – la frase fu pronunciata a fatica, Spike stava peggiorando a vista d’occhio, se non gli avesse fatto subito la puntura d’antibiotico che aveva preso in ospedale forse, di lì a poco, avrebbe avuto un arresto respiratorio.

 

- Va bene, ma prima devo farti un’iniezione di antibiotici per far abbassare la febbre, poi potrai stare in bagno per tutto il tempo che vorrai – gli sorrise, poi si recò in bagno per preparargli i vestiti, quelli che aveva già utilizzato la volta precedente, e per preparare il disinfettante e la siringa con il medicamento. Spike si sollevò la manica della maglietta, ancora fradicia, che indossava e le porse il braccio. Buffy passò il batuffolo di ovatta sulla pelle, per disinfettarla, e gli fece l’iniezione. Poi gli mise un piccolo cerotto rosa, con delle mucche disegnate sopra, Spike lo fissò meglio, credendo che fosse un’allucinazione provocata dalla febbre. Buffy rise sommessamente.

 

- Mi dispiace ma avevo solo questo… - ed uscì dalla stanza. Raccolse l’impermeabile di Spike e lo appese sul suo balcone, sgocciolava troppo per tenerlo in casa. Notò le strane macchie bordeaux che vi erano all’altezza dell’addome, però non vi prestò molto caso, in fondo Spike viveva in strada, era normale che i suoi vestiti non fossero tutti lindi ed asciutti, tuttavia si chiese come mai la sua persona fosse sempre così pulita. Nella mente le apparvero, in un flash, i visi sciupati e sporchi degli uomini che avevano tentato di violentarla, scosse la testa per scacciarli via. Quando rientrò in casa vide Spike uscire dal bagno, si era cambiato e barcollando, si stava dirigendo sul divano.

 

- No Spike, usa il letto, hai bisogno di riposo e di un posto comodo dove stare –

 

- No… andrà bene anche il divano… ho dormito in posti che nemmeno immagini ed un divano è veramente qualcosa di lussuoso per me – lo disse con una tale semplicità che a Buffy si strinse il cuore che, peraltro, non cessava di battere all’impazzata. Gli si avvicinò e gli mise una mano sulla fronte, scendendo poi sulla guancia, ma lo sentì irrigidirsi sotto il suo tocco, così la ritirò.

 

- Non scotti più così tanto… l’antibiotico che ti ho iniettato sta iniziando a fare effetto, ma non voglio sentire ragioni, tu userai il mio letto e questo è tutto! Fila di là – e lo spintonò fino alla sua stanza.

 

- Va bene, ho capito… allora… buonanotte Buffy – le rivolse un timido sorriso, accostò la porta e s’infilò a letto. Buffy, ancora con il cuore agitato, si avviò verso il divano, si sedette sui morbidi cuscini ed accese la TV, abbassando il volume al minimo, per non disturbare il suo ospite. Anche se era passato molto tempo, il suo sonno era ancora popolato da incubi, i visi degli uomini riemergevano ogni notte nei suoi sogni. Da sveglia, fortunatamente, faticava persino a ricordarli, segno che la sua mente aveva fatto uno sforzo enorme per dimenticare… Purtroppo, quando le funzioni mentali erano al minimo, senza difese, i ricordi ritornavano prepotentemente a galla. Quella notte, però, non riusciva ad addormentarsi era molto tardi e così, come quella volta, prese il suo cuscino sottobraccio e si avviò verso la sua stanza. Scostò la porta e, camminando nel buio, guidata dal respiro regolare di Spike, gli si accoccolò accanto. Finalmente, si addormentò.

 

 

 

Quando si svegliò la mattina seguente, si ritrovò coperta dal piumone. Spike non era più accanto a lei. Con il cuore in gola si alzò in fretta dal letto ed uscì dalla stanza lanciando un’occhiata al divano, non vi erano i vestiti piegati come allora e le scarpe di Spike, che aveva raccolto in bagno la sera precedente, erano ancora vicino alla porta, dove le aveva sistemate. L’impermeabile danzava, accompagnato dalle folate di vento che stavano spazzando via le nuvole, ancora appeso alla gruccia sul balcone. Corse all’armadio a muro e l’aprì spaventata, ma anche lo spolverino era al suo posto. Poi sentì tossire, Spike era in bagno. Buffy, rilassatasi, si mise a preparare la colazione. Fece il caffé e tirò fuori qualche biscotto ed un paio di brioche, da scaldare nel forno, poi apparecchiò per due. Spike uscì dal bagno, aveva il viso pallido, più del solito, e la febbre doveva essergli salita di nuovo. Buffy sorrise guardandolo, aveva i capelli talmente arruffati che, persino il suo viso, appariva buffo ed allo stesso tempo molto, molto sexy. Avanzò verso di lei stropicciandosi gli occhi e sbadigliando, poi le sorrise.

 

- Buongiorno Spike… come ti senti oggi? – Buffy era, stranamente, allegra. Lui assaporò l’aroma di caffé che aveva riempito l’appartamento e notò che aveva apparecchiato per due.

 

- Un po’ meglio grazie, posso? – le chiese con una punta di timidezza, indicando la sedia. Buffy appoggiò una tazza di caffé fumante sul tavolo.

 

- Ma certo, accomodati pure… le brioche saranno pronte tra un attimo, le sto scaldando, vedrai che buone! – Buffy si voltò verso il forno per controllare che i cornetti non bruciassero e poi si rivolse di nuovo a Spike che, nel frattempo, si era seduto al tavolo, aveva inzuppato un biscotto nel suo caffé e l’aveva addentato con avidità.

 

- Spike… scusa, ma il caffé lo prendi così? Senza niente? Non vuoi zucchero o latte? –

 

Spike la guardò come se gli avesse offerto caviale e champagne, al che Buffy provò nuovamente una stretta al cuore. Si chiese quanto avesse sofferto nella sua vita, quel ragazzo che sedeva alla sua tavola.

 

- Allora, quante zollette? – gli disse sorridendo, poggiando la zuccheriera sul tavolo. Spike spostò la tazza vicino al contenitore per lo zucchero, e le restituì il sorriso.

 

- Due, grazie – Buffy prese il cucchiaino e fece tuffare due zollette nel caffé bollente.

 

- Latte? –

 

Il ragazzo, purtroppo, cominciò a tossire violentemente e Buffy, preoccupata, gli prese e gli porse un bicchiere d’acqua che lui bevve in un sorso. Sentì i piccoli cerchi che la mano della ragazza disegnava sulla sua schiena e, bruscamente, le disse che ora stava meglio. Buffy non si scoraggiò, capiva la diffidenza che aveva nei confronti delle altre persone come, d’altronde, l’aveva lei. Senza scomporsi troppo la ragazza gli chiese nuovamente se desiderasse del latte e lui accettò mestamente, come a volerle chiedere perdono per l’asprezza con cui l’aveva trattata. Finalmente Buffy portò in tavola i cornetti caldi, poi prese burro e marmellata e li poggiò sul tavolo, posizionandosi davanti a Spike. Consumarono il pasto in silenzio, temendo che, se avessero intavolato una discussione, questa li avrebbe condotti a parlare troppo di se stessi, ripercorrendo gli spiacevoli episodi della loro vita. L’atmosfera si era fatta pesante, entrambi fissavano punti indefiniti sul muro, evitando accuratamente di guardarsi. Buffy si alzò e si mise a sparecchiare, sotto lo sguardo attento di Spike, rimasto rannicchiato al suo posto. Buffy gli voltò le spalle e fece scorrere l’acqua del lavandino, cominciando a lavare le tazze ed i piattini.

 

- Buffy… ti spiace se fumo? – disse tossendo. Lei furente, si girò e lo guardò fulminandolo con gli occhi.

 

- Ho capito bene? Perché ho sentito fumo… Intendevi sigarette? No perché mi sembra che tu non prenda ossigeno sufficiente per riempirti neanche la metà dei polmoni, e credo non sarebbe saggio riempirti l’unica metà funzionante di nicotina –

 

- Allora no? – Spike era sempre in attesa di una risposta positiva, non fumava dalla sera prima e ne sentiva veramente il bisogno.

 

- Se vuoi posso andare fuori in balcone, ti prego, ne ho veramente bisogno – sorrise.

 

Lo sguardo di Buffy lo raggelò.

 

- Non ho nessuna voglia di venirti a raccogliere in balcone, dopo che sarai svenuto per l’assenza d’ossigeno al tuo bel cervellino, forse non te ne sei accorto, ma non stai molto bene, la febbre potrebbe alzarsi subito. Quindi è un no, se non l’hai capito… –

 

Lo sguardo di Spike si fece cupo. Si rattristò per il fatto di dover rinunciare alla sua dose di nicotina giornaliera. Ma non si arrese, dopotutto era stato obbligato a restare in quella casa; tralasciò il fatto che era stato lui a presentarsi da Buffy e a chiederle aiuto. Senza discutere ulteriormente si alzò dalla sedia e, con il pacchetto di sigarette in mano, si avviò verso la terrazza. Buffy furiosa, lo prese per un braccio e lo obbligò a voltarsi verso di lei, dicendogli, cercando di rimanere calma.

 

- Parlo forse un’altra lingua? Eppure a me sembrava di essere stata chiara, anzi chiarissima. C’era qualche parte nella frase “quindi è un no” che non ti era chiara? –

 

Spike esasperato, alzò gli occhi al cielo ed avvicinò il viso a quello di Buffy, trovandosi così a pochi centimetri dal suo volto, peraltro preoccupato.

 

- No, grazie, era tutto chiarissimo, ciò non toglie che non me ne può importare di meno. Sai ragazzina, ho vissuto per strada per dieci anni senza il tuo aiuto e sono sopravvissuto, cavandomela egregiamente – l’arroganza sprezzante nella voce.

 

- Che strano però, ieri sera non sembrava che non avessi bisogno d’aiuto, quando sei venuto da me chiedendomelo – lo canzonò lei.

 

- Non mi ricordo di questo particolare… - e detto questo aprì la finestra del balcone ed uscì, lasciando Buffy senza parole. Non aveva mai incontrato un uomo più cocciuto e disobbediente di lui, un senso di nervosismo le salì in corpo e le strinse lo stomaco. Lo guardò, mentre bellamente tirava, con occhi chiusi, lunghe boccate dalla sua Marlboro accesa, tossendo subito dopo. Buffy lo osservava, fissandolo in cagnesco e aspettando solo il momento dove sarebbe dovuta andare ad aiutarlo; non si fece attendere. Spike, infatti, non accennava a smettere di tossire, aveva assunto un colore violaceo in volto e si era appoggiato al muro accanto a lui, incapace di respirare e di restare in piedi. Buffy, vedendolo in quello stato, capì che di lì a poco, sarebbe svenuto se non fosse andata in suo soccorso. Le ci vollero pochi passi per raggiungerlo e mettersi una delle braccia di Spike attorno al collo, mentre gli cingeva la vita con una delle sue. Lo fece sedere sul divano e corse a prendergli un bicchiere d’acqua ed un paio di pillole d’antibiotico contro la tosse e la febbre. Si parò davanti a lui e, con un gesto stizzoso, gli porse il bicchiere, buttandogli in grembo le due pastiglie. Spike le scoccò un’occhiata tra il divertito ed il preoccupato, non riusciva a capire che problema avesse quella ragazza, si agitava troppo per i suoi gusti.

 

- Prendi queste e vattene a letto, le sigarette puoi scordartele, da questo momento in avanti farai quello che ti dico io, sono il tuo medico e seguirai alla lettera le mie istruzioni. Ti ordino di non uscire più sulla terrazza fino a nuovo avviso! – Spike la fissò, indebolito dall’attacco di poco prima e, senza la forza di ribattere, riuscì solo a dirle.

 

- Agli ordini, mio Generale! – facendole il saluto militare. In seguito si diresse, barcollante, verso la camera di Buffy, sparendovi poi all’interno. Lei era ancora nella stessa posizione, quando vide la sua testa ossigenata far capolino dalla porta.

 

- Credi che riceverò un’altra tua visita? Non per altro, ma con il tuo braccio e la tua testa poggiati sul mio petto, non riesco a riempire d’ossigeno la metà sana dei miei polmoni… allora vorrei saperlo, sai, prima di morire soffocato… -

 

Buffy arrossì violentemente e, afferrando un cuscino dal divano, glielo scagliò contro, prendendolo in pieno viso.

 

- INGRATO! – gli urlò, cacciandogli fuori la lingua e dirigendosi di nuovo in cucina. Sentì la risata di Spike, seguita da una serie di colpi di tosse. Scosse la testa e finì di lavare i piatti e di mettere in ordine. Dopodichè si mise sul divano, ancora in pigiama, ed accese la televisione. Passò qualche ora guardando una commedia e poi, dato che la sera prima non era riuscita subito a prendere sonno, crollò. Gli incubi tornarono a farle visita, come sempre. Ogni volta, all’aggressione, la sua mente aggiungeva nuovi particolari, Buffy urlò nel sonno e cominciò a piangere, incapace di svegliarsi. Si sentì sollevare e, nel suo orecchio, riecheggiò un battito cardiaco possente e regolare, mentre il calore del corpo, contro il suo, la riscaldava. Si accoccolò tra le braccia di Spike che la stava trasportando nella sua camera. Si era svegliato sentendo le urla di Buffy e l’aveva trovata in lacrime, piangeva nel sonno e tremava impaurita, così aveva deciso di portarla a letto e di metterla accanto a se, come l’aveva trovata quella mattina. Ricordò che, anche la volta precedente, l’aveva trovata vicino a lui, con la manica della sua maglietta stretta tra le dita ed il viso nascosto nel suo torace. Gli era sembrata un koala attaccato al suo albero d’eucalipto.

 

L’adagiò sul letto, nella parte dove stava dormendo lui, e la coprì con le lenzuola ed il piumone, poi si sistemò dall’altro lato voltandosi verso di lei, con un braccio sotto la testa, la contemplò. Il viso di Buffy era, ora, rilassato e sembrava riposare tranquillamente, che fosse davvero la sua vicinanza a farla sentire bene? Prima che riuscisse a rispondersi, Buffy mugugnò qualcosa e sorrise, poi si girò dalla parte di Spike, una ciocca di capelli le cadde sul viso. Lui allungò una mano e gliela sistemò dietro l’orecchio, così facendo vide che il livido provocatogli da uno dei due aggressori era sparito, lasciando solo un lieve alone, lo sguardo del ragazzo si raddolcì un poco e, con il pollice, le asciugò le lacrime che aveva ancora sul viso. Buffy, si aggrappò con le mani alla sua maglietta e si avvicinò, raggomitolandosi vicino a lui.

 

- Spike… - mormorò nel sonno. Spike sospirò e, sebbene non sopportasse il contatto con le altre persone, le permise di restare così. In seguito si addormentò anche lui.

 

 

Buffy si svegliò non ricordandosi più dove fosse, era convinta di essersi addormentata in salotto ed ora si ritrovava tra le braccia di Spike, il quale dormiva ancora. Erano a faccia a faccia e Buffy poté osservare bene, per la prima volta, i lineamenti marcati del suo viso. Aveva una vistosa cicatrice sul sopracciglio sinistro e le sue labbra carnose, così vicine, erano terribilmente sensuali. Si rese conto, inoltre, di non averlo mai ringraziato per averla salvata dagli aggressori, ma mentre formulava quel pensiero si sentì stringere la vita, era Spike che aveva stretto il braccio attorno a lei e l’aveva attirata ancora più vicina a se. Ora Buffy poteva ascoltare il suo respiro ed il battito del suo cuore, il corpo di Spike era caldo, ‘probabilmente ha ancora la febbre’, pensò. Nascose il viso sul suo torace, all’altezza del collo del ragazzo, e sentì la sua guancia inumidirsi, alzando lo sguardo verso di lui vide le lacrime scendere dai suoi occhi ancora chiusi.

 

- No… no… fuoco… scappa… scappa… - la voce di Spike era lieve, ma il tono era disperato. Buffy si preoccupò.

 

- Spike… - chiamò debolmente. Gli accarezzò una guancia, asciugandogli il viso.

 

- Spike… - Buffy era così vicina alle sue labbra invitanti che, per un attimo, si scoprì vogliosa di esplorarle con le sue. Spike, agitato, aprì gli occhi e Buffy rimase ferita dall’espressione fredda che assunse il suo volto, quando si accorse d’averla tra le braccia. In un balzo lui scese dal letto e, arretrando senza attenzione, inciampò nella sedia della scrivania, finendo a terra con un tonfo. Buffy si alzò in fretta e lo raggiunse, ma Spike arretrò ancora, spingendosi con i piedi e le mani fino ad arrivare contro il muro.

 

- Spike… - la voce di Buffy tremava, Spike era terribilmente spaventato e lei non riusciva a capirne il motivo.

 

- Spike, sono io… Buffy – gli disse gentilmente, mentre si accovacciava a poca distanza da lui. Il ragazzo si era raggomitolato nell’angolo con le ginocchia sul petto, le aveva cinte con le braccia e la guardava di sottecchi; la mascella contratta e gli occhi sgranati. Buffy, cercò di allungare una mano nella sua direzione ma Spike si rannicchiò ancora di più contro il muro, che cosa mai poteva aver scatenato una reazione del genere nel ragazzo?

 

- Spike, posso fare qualcosa per te? – Buffy stava per avere una crisi di panico, desiderava aiutarlo, ma non sapeva come.

 

- COSA VUOI DA ME! – le urlò addosso, poi svenne. Buffy era sconvolta, lui non era più il ragazzo che conosceva. Ora lo capì, comprese che non lo conosceva per niente, che non sapeva nulla di lui, né il suo vero nome né il suo passato. Decise di aiutarlo comunque, le domande gliel’avrebbe porte più in là. Lo raccolse da terra e lo trascinò sul letto. Lo fissò, ora era tranquillo. Buffy gli asciugò, con un fazzolettino che aveva preso dal cassetto del comodino, il sudore dal volto, quando Spike aprì gli occhi e li posò su Buffy.

 

- Buffy… io… - scosse la testa come a voler far chiarezza nella sua testa, fece per parlare di nuovo, ma Buffy glielo impedì premendogli un dito sulle labbra.

 

- Non dire niente, è tutto a posto. Riposati ora, ne hai bisogno – si alzò e si voltò per raggiungere la porta, quando Spike le prese una mano, bloccandola.

 

- Ti prego, perdonami se ho fatto qualcosa di strano… non volevo spaventarti – Spike sentì che Buffy era rimasta immobile, come congelata al suo tocco, così ritirò la mano.

 

- Ne riparleremo quando starai meglio Spike… ora riposa – lasciò la stanza chiudendosi la porta dietro di se.

 

Il ragazzo incrociò le braccia dietro la nuca e fissò il soffitto buio della stanza. Non voleva stare in quella casa, non voleva che Buffy gli chiedesse del suo passato e non voleva che quella ragazza si affezionasse a lui, aveva chiuso con i legami molto tempo prima e, di sicuro, non li avrebbe riaperti per far piacere a lei. Buffy, in cucina, pensò a Spike. Chiuse gli occhi e rivide le sue lacrime, il suo viso terrorizzato e risentì le parole che aveva pronunciato nel sonno: fuoco, scappa. A chi mai potevano essere state rivolte? Forse aveva perso qualcuno in un incendio? Quello avrebbe spiegato le strane cicatrici sul suo corpo. Sospirò immaginando che Spike fosse un uomo votato al salvataggio di persone in pericolo. Fantasticò ingenuamente, figurandoselo come un supereroe che celava la sua vera identità sotto le spoglie di un semplice barbone.

 

- Buffy… - la voce del ragazzo la fece sobbalzare. Si era avvicinato senza che lei lo avesse sentito, ‘movimenti da predatore’, pensò. Lei indietreggiò di qualche passo, fino ad arrivare ad appoggiare le mani sul bordo del tavolo.

 

- Che cosa c’è? – la voce le tremava un poco. Spike si avvicinò ancora di più, ma quando notò le dita della ragazza chiudersi saldamente sul bordo del tavolo, si fermò.

 

- Buffy, io… non posso più restare… devo andare – il tono di Spike era pacato, ma Buffy vi scorse una punta d’amarezza. D’un tratto tutti i dubbi che le affollavano la mente, sparirono, spazzati via dalla tenerezza che Spike le trasmetteva, facendo scattare in lei il bisogno di aiutarlo.

 

- No, Spike resta… davvero, non è successo niente – lasciò la presa ed avanzò di qualche passo. Spike rimase immobile, mentre Buffy gli carezzava una guancia.

 

- Spike… non ti ho mai ringraziato per quella mattina. Io davvero… non so… - scoppiò a piangere, ma non fu un pianto d’angoscia o di paura, bensì un pianto liberatorio con il quale, finalmente, sentì di poter far scorrere via le paure e gli incubi che l’avevano attanagliata fino a quel momento. Spike aveva assistito a tutto; non aveva bisogno di mentire con lui, di sostenere tutto quel peso da sola, lui l’aveva consolata e protetta. Spike, sebbene titubante, allungò una mano e le carezzò i lunghi capelli, Buffy aveva il viso nascosto nelle mani e gli sembrò così piccola ed indifesa che, per un attimo, perse il controllo del suo corpo. Allungò anche l’altro braccio e l’attirò a se, stringendola al suo petto e poggiando la guancia sul suo capo.

 

- Shht, Buffy, va tutto bene ora… quei due non faranno più male a nessuno… te lo giuro… -

 

Buffy scostò il viso dal petto di Spike e lo fissò, perdendosi nel profondo blu delle sue iridi, si alzò sulle punte dei piedi e chiuse gli occhi, sporgendo le labbra verso le sue. Spike la scostò bruscamente.

 

- No Buffy… no… - il ragazzo scosse la testa e lo sguardo divenne di nuovo freddo, glaciale. Buffy, rendendosi conto di quello che avrebbe voluto fare, abbassò lo sguardo a terra, guardandosi i piedi.

 

- Scusami… io… io non so cosa mi sia accaduto… davvero… - si asciugò le lacrime, sfregandosi gli occhi con la manica del pigiama, rapidamente. Diede ancora un’occhiata a Spike che la fissava, disgustato. Questo la ferì come non mai e la obbligò a lasciare la stanza, andò a chiudersi nella sua camera da letto. Spike si recò in salotto e si lasciò cadere sul divano, la testa gli doleva ed i brividi gli correvano lungo la spina dorsale. Chiuse gli occhi e rivide Buffy, in quel vicolo, indifesa. Il suo viso bagnato di lacrime, infinitamente triste ma, nello stesso tempo orgoglioso nel suo dolore, gli aveva fatto scattare dentro qualcosa che non provava più da tempo: la rabbia, cieca e furiosa mista alla pietà. Da quando viveva in strada non si era più preoccupato di nulla e di nessuno, era scappato dal suo passato fatto di violenza e sofferenza, e non aveva più avuto la forza di reagire. Troppo peso portava sulle sue spalle per aggiungerne altro. Per questo motivo si era isolato e, solo molto tempo dopo, aveva iniziato ad avere fiducia in Angel che gli aveva insegnato a vivere per strada in modo degno, senza chiedergli nulla in cambio. Quando l’aveva conosciuto era solo l’ombra dello Spike di adesso, era sudicio, malnutrito e sull’orlo del cedimento psichico e fisico. Angel gli aveva porto la mano alla quale, anche se con iniziale diffidenza, si era in seguito aggrappato con tutte le sue forze ritrovando, con fatica, almeno un po’ d’amore per se stesso. Fu in quel momento che decise di non legarsi mai a nessuno, il fardello che portava glielo impediva e non era giusto coinvolgere altre persone. Sospirò e prese la sua decisione.

 

 

 

Buffy, nell’altra stanza, cercava di far calmare il battito accelerato del suo cuore. Per quale motivo Spike era riuscito a ferirla così profondamente? Che sentimenti provava per lui? Era davvero solo voglia di aiutarlo o c’era qualcosa di più? Non riuscì a rispondere alle sue domande. Riuscì solo a ricordare la sua infanzia difficile e solitaria, con due genitori praticamente assenti e freddi. Le poche volte che stavano in casa, litigavano e lei, solo bambina, si rannicchiava in un angolo della sua camera, con le mani premute sulle orecchie per coprire le urla delle persone che avrebbero dovuto amarla al di sopra di ogni altra cosa. La situazione non migliorò nemmeno dopo la loro separazione, in pratica Buffy non vide più suo padre e sua madre era troppo occupata a trovargliene un altro, facendola arrivare all’adolescenza senza che avesse mai compreso l’amore dei genitori, il calore di una famiglia e senza mai spiegarle che cosa stupenda fosse l’affetto tra due persone innamorate. Purtroppo, quando fu abbastanza grande da sperimentarlo, non riuscì mai a riconoscerlo. Fu soprattutto usata dai ragazzi che incontrò, come oggetto da esibire, data la sua bellezza e non solo, ma non riuscì mai a farsi amare come, invece, amava lei, totalmente ed incondizionatamente. Si era innamorata di molti ragazzi, eppure, nessuno di loro era riuscito a farla sentire speciale e ad apprezzare quello che lei offriva loro… forse aveva offerto troppo ed ora, la torta era finita, o almeno l’aveva creduta tale fino a quando non aveva visto Spike. La prima volta che lo aveva incontrato era talmente disperato per la sorte di Angel che l’aveva colpita, non aveva mai visto un uomo piangere per amicizia e per paura di perdere una persona cara. Poi, quando le aveva detto quelle cose, in quella stanza d’ospedale, l’aveva fatta sentire un mostro ed aveva desiderato, con tutto il cuore, spiegargli che l’aveva fraintesa. Poi arrivò quel terribile giorno, se non ci fosse stato lui, non sarebbe mai riuscita a riprendersi dallo shock. Ora, purtroppo, sentiva di aver rovinato tutto… Ma era sicura di una cosa, l’amore che aveva creduto di provare in passato, non era assolutamente vero, era solo una proiezione dei suoi desideri, nient’altro che un’ombra, mentre ora sentiva una miriade di emozioni scuoterle l’anima.

 

Un lieve bussare alla porta la distolse dai suoi pensieri. La voce di Spike le arrivò ovattata dall’altro lato.

 

- Buffy, me ne vado, grazie di tutto… ho preso le pastiglie dalla cucina e ho raccolto tutta la mia roba, ti prometto che mi curerò… Addio ragazzina –

 

Sentì una fitta al petto, dolorosa e profonda, mentre i passi di Spike si allontanavano dalla porta e dalla sua vita. In un attimo l’aprì e gli si parò davanti, i suoi occhi verdi brillavano come due diamanti, Spike socchiuse le palpebre e sospirò, risollevandole.

 

- Devo farlo Buffy, è giusto così, credimi… io non ti posso dare quello che mi chiedi e se me ne vado adesso che i tuoi sentimenti non sono ben definiti, mi dimenticherai in fretta… - Buffy chiuse gli occhi, le lacrime iniziarono a scendere copiose e a rigarle le guance.

 

- Non ti vedrò più? È questo che mi stai dicendo? Come posso andare avanti con la mia vita sapendo che non ti potrò più vedere? Non sapendo quello che potevi offrirmi? – riaprì gli occhi e trovò Spike con la stessa espressione risoluta e la mascella contratta.

 

- Buffy, non posso e non voglio offrirti nulla… se quella mattina ti ho salvata è stato solo un caso, credimi… l’avrei fatto anche se non fossi stata tu – il ragazzo avanzò di qualche passo, ma Buffy gli impedì il passaggio.

 

- BUGIARDO! Se fosse stata un’altra ragazza, tu non ci saresti stato! E sai perché? Perché seguivi me! ME MALEDIZIONE! – Spike sgranò gli occhi, come faceva a saperlo? Era sempre stato attento a non farsi vedere.

 

- Non… io… - non riuscì a mentirle guardandola negli occhi.

 

- Probabilmente hai ragione Buffy… forse non ci sarei stato se non fossi stata tu in pericolo…ciò non toglie che io non voglia offrirti nulla – Spike fece per avviarsi alla porta, ma si fermò quando Buffy cominciò a sfilarsi la maglia che indossava, lasciandola con il torace nudo davanti a lui, lo sguardo gli cadde sui suoi seni perfetti. Pensò a quanto era bella, ma ricacciò indietro quella riflessione, deglutendo a fatica.

 

- Va bene, allora non offrirmi nulla… sono io che ti offro il mio corpo… prendimi Spike, prendimi ora, dimmi che mi ami… dimmi che mi ami… ti prego… - lo sconforto di Buffy gli fece compassione, ma non per questo si lasciò ammaliare da lei. Buffy, intanto, si era accasciata a terra, singhiozzando e piangendo disperata.

 

- Buffy, non dovresti offrire il tuo corpo in questo modo, e non a me. Non posso dirti che ti amo perché ti mentirei, e tu non lo meriti. Anche se a te andrebbe bene così, io non potrei mai farlo. Gli uomini fanno l’amore anche senza provare sentimenti, perché vorresti sminuirti così? Perché con me? Il mondo è pieno di uomini che farebbero carte false per stare con te, sei una persona buona Buffy, sei pronta ad aiutare il prossimo e a farti in quattro per non far soffrire nessuno… Se facessi sesso con te, sarei come quegli animali che ti hanno aggredita, ed io non lo sono - Spike cercò di reprimere la voglia di prenderla tra le braccia e di consolarla, sarebbe stato sbagliato e Buffy avrebbe sicuramente frainteso il suo gesto. La ragazza, ai suoi piedi, continuava a piangere a dirotto, tanto che a Spike si strinse il cuore vedendola in quello stato. Probabilmente anche lei, nella sua vita, aveva sofferto molto, quel disperato bisogno d’affetto lo conosceva bene anche lui, ma negli anni era riuscito a soffocarlo completamente, fino ad arrivare ad un completo menefreghismo della sofferenza altrui.

 

- Perché, allora dimmi perché nessuno mi ama? Dimmelo Spike, dimmelo… dimmelo… - quando Buffy alzò gli occhi e lo guardò con aria supplicante, le difese del ragazzo caddero. Le si mise accanto e la prese tra le braccia, accarezzandole i capelli e la pelle nuda della schiena. Buffy si aggrappò al suo impermeabile, nascondendo il viso nel suo petto e dando sfogo al suo dolore da tempo sopito.

 

- Ragazzina… non fare così… vedrai che, un giorno o l’altro, anche tu troverai il vero amore… Perché tra tutti gli uomini che ci sono, vuoi proprio me? – Buffy, calmatasi un poco tra le braccia di Spike, lo abbracciò stretto, questa volta lui non la respinse ma rimase immobile, nella stessa posizione.

 

- Non dirmi così… non cercare di addolcirmi la pillola, non funziona. Dimmi, perché non mi vuoi Spike? Dimmi perché ti faccio così paura – sentì le dita del ragazzo, che le stavano gentilmente accarezzando la schiena, fermarsi di colpo. Nella mente di Spike la parola “paura” riecheggiò milioni di volte nel giro di pochi secondi. Si sciolse dall’abbraccio ed incontrò gli occhi arrossati e gonfi di Buffy, che lo fissava sfiduciata. La sua pelle candida risplendeva alla luce del tramonto che entrava dalle grandi finestre della sala, sembrava un angelo, un angelo che lo pregava di amarlo, che gli chiedeva il permesso di poterlo amare. Tirò un lungo sospiro.

 

- Prima di risponderti voglio farti questa domanda Buffy, tu mi ami? Sei innamorata di me? Non mentire a te stessa, sii sincera – Spike la prese per le spalle e la obbligò ad alzarsi fino a raggiungere la sua altezza, erano entrambi inginocchiati ed ora Buffy lo fissava dritto negli occhi… Spike, pensò, che quello sguardo gli faceva male dentro, distolse i suoi occhi, incapace di sostenerlo. Buffy, intanto, dentro di se stava cercando la risposta a quella domanda, il viso di Spike le suscitava mille emozioni che, però, non riusciva ad esprimere a parole, il concetto “Amore” era a lei sconosciuto, come poteva confessargli quello che ignorava? La cosa certa era che il pensiero di non rivederlo più la lacerava, le sue parole fredde la ferivano, i suoi gesti per allontanarla la rattristavano.

 

- Non lo so… - rispose sincera – non ho mai provato l’Amore vero per nessuno, non posso riconoscerlo, ma conosco tutte le altre emozioni che mi fai provare. Forse queste, riunite, sono l’Amore… - Spike la fissò, inclinando la testa da un lato, intensamente senza dire una parola. Si riscoprì a guardare, di nuovo, il corpo di Buffy… così bello, così pulito, così puro… così invitante… non poteva infangare tanta bellezza, non poteva e non voleva, con Buffy sentiva che avrebbe potuto perdere il controllo delle sue emozioni e far crollare il fragile equilibrio che, con tanta fatica, aveva costruito attorno a se.

 

- Ho capito. La mia risposta alla tua domanda è questa. Non mi piaci Buffy – ‘STAI MENTENDO’ – non riuscirei mai ad amarti dopo quello che mi hai detto, non sarei mai sicuro del tuo amore – ‘IPOCRITA’ – e poi guardarti nuda, non mi fa nemmeno venire voglia di scopare – ‘BUGIARDO’ – non sei la donna per me Buffy, ed ora sono sempre più convinto che sia meglio che me ne vada… - ‘IMPOSTORE’, la mente di Spike non aveva smesso un secondo di smentire le sue parole, ma il ragazzo si obbligò a non prestarvi attenzione. Buffy ora lo guardava con disgusto ed orrore, si coprì il seno raccogliendo la maglietta da terra, era riuscito a farla sentire brutta e sporca, mai nessuno era riuscito a denigrarla in quel modo, eppure qualcosa, dentro di lei e negli occhi del ragazzo, le diceva che le sue parole non erano dettate dal suo cuore, ma solo dalla sua angoscia. Tentò un’ultima cosa, voleva essere certa di aver letto giusto nell’anima di Spike, dal profondo dei suoi occhi, infatti, sembrava urlarle di non arrendersi, che anche lui aveva bisogno di lei come lei di lui, insieme si sarebbero potuti completare.

 

- Non ti credo Spike… - Buffy, inginocchiata dinnanzi a lui, fece cadere a terra la maglietta e gli buttò le braccia al collo, premendo prepotentemente le sue labbra contro quelle di Spike che, preso alla sprovvista, cadde all’indietro portando Buffy, sempre intenta a baciarlo, a cavalcioni sopra di lui. I capelli di Buffy gli ricaddero sul viso, facendogli assaporare il loro profumo vanigliato, se ne inebriò. Le labbra morbide della ragazza, si strusciavano ora sensualmente sulle sue, invitandole a socchiudersi. Spike, come poco prima, perse il controllo, prese Buffy per i fianchi e la sistemò meglio su di lui, poi l’attirò a se, rendendo il bacio più profondo. La punta della lingua di Buffy, gli accarezzò le labbra, e Spike, arresosi, le socchiuse permettendole di penetrare nella sua bocca e di esplorarla. Buffy iniziò ad accarezzargli il palato dolcemente e sentì Spike mugugnare sulla sua bocca. In quel momento Spike intrecciò la sua lingua a quella di lei, togliendole il respiro. Senti perfettamente che, di lì a poco, avrebbe perso il controllo del suo corpo. Mise fine a quel bacio prima che fosse troppo tardi. Ansimavano entrambi, si fissarono negli occhi e, ambedue, vi lessero passione, vibrante ed incandescente. Spike scostò Buffy e si mise in piedi, il suo mondo di cristallo si era incrinato e se fosse rimasto lì, ancora per qualche minuto, si sarebbe infranto. Si voltò verso di lei che, ancora inginocchiata sul pavimento, lo guardava intensamente, negli occhi v’era la muta richiesta di non lasciarla. Spike scoprì dentro di se, per la prima volta dopo tanti anni, la voglia di stare accanto a qualcuno, di annegare in una donna, di perdere la ragione e di amare. Decisamente doveva andarsene.

 

- Spike… - Buffy si alzò piano da terra, Spike aveva un’espressione terrorizzata sul viso, ma non era la stessa che aveva notato quella mattina. Allungò una mano, in direzione della sua guancia, ma Spike l’afferrò.

 

- No Buffy, è tutto sbagliato, quel bacio, io e te, non può funzionare, io non posso, non voglio, maledizione! – Buffy gli accarezzò la mano con la guancia.

 

- Spike… proviamoci… magari insieme abbiamo un senso… io da sola non l’ho, tu da solo nemmeno… -

 

Spike sentì il rumore di una nuova crepa nel suo mondo di cristallo. Doveva fuggire ed in fretta, anche se le sue gambe non avevano intenzione di obbedirgli. I suoi occhi si stavano riempiendo della figura minuta e perfetta di Buffy, che ancora mezza nuda, gli stava davanti. Mentre attendeva la risposta di Spike, si era portata la sua mano sulla guancia ed aveva preso ad accarezzarne il dorso con la sua. Spike ritirò la mano e, furioso, attaccò Buffy.

 

- Io da solo ce l’ho un senso! O, almeno, l’avevo prima che tu entrassi nella mia maledetta vita! Lasciami in pace Buffy, non avvicinarti più a me… o te ne pentirai! – detto questo Spike, questa volta, guadagnò l’uscita e sbatté la porta dietro di se. Buffy si accasciò al suolo, fissando la porta con sguardo vitreo.

 

Spike ancora febbricitante, dall’altra parte di quest’ultima, si lasciò scivolare lungo lo stipite, cercando di soffocare i colpi di tosse che gli scuotevano il corpo e gli provocavano fitte ovunque. Non si sentiva affatto bene, ma aveva dovuto tirare fuori tutta l’energia che gli era rimasta in corpo per fronteggiare Buffy, anche se non si era aspettato una lotta così serrata, da lasciarlo stremato. Chiuse gli occhi per un attimo poggiando la testa contro il muro. Ripensò al bacio appassionato di poco prima, alle emozioni che l’avevano travolto, facendogli abbassare le difese. Guardò la porta chiusa ed un folle desiderio di raggiungere Buffy e di stringerla ancora a se, si fece strada dentro di lui.

 

- No… no… non devo – si tirò in piedi a fatica e prese due pillole dalla cartina, sottratta a Buffy. Poi chiamò l’ascensore e scese al pianterreno. Uscì dal portone, diede un’ultima occhiata alla finestra dell’appartamento di Buffy, e si allontanò accompagnato dall’oscurità che stava stendendo il suo manto su New York.

 

Presto arrivò Natale e Buffy fu invitata da Angel e Faith per il pranzo. Naturalmente, neanche a dirlo, non aveva più avuto notizie di Spike, ma non era ancora riuscita a scacciarlo dal suo cuore. Aveva chiesto sue notizie anche ad Angel che, molto sinceramente, le aveva detto che Spike non voleva che sapesse dove si trovava. Il ragazzo, comunque, gli aveva assicurato che stava bene o, in ogni caso, non se la passava peggio di prima. Buffy dopo essersi cambiata d’abito ed infilata una gonna scura dal taglio giovanile ed un golf a collo alto bianco, prese lo spolverino di pelle ed uscì di casa. Il taxi l’attendeva di sotto e lei fece una piccola corsa per raggiungerlo, nevicava forte e le luci natalizie della città, accese appena calava la notte, erano uno spettacolo che toglieva il fiato. Angel e Faith abitavano assieme in un piccolo appartamento situato nel quartiere povero della città. Angel aveva trovato lavoro come sguattero in una tavola calda e con lo stipendio di Faith, unito al suo, erano riusciti ad affittare un appartamentino modesto, ma grazioso.

 

Il taxi si arrestò davanti ad una palazzina abbastanza diroccata, v’erano molte persone radunate attorno a dei bidoni di acciaio, nei quali erano stati accesi dei falò. Altre persone erano avvolte in cartoni e vecchie coperte, con enormi strappi e buchi, infreddolite e, probabilmente, affamate. Buffy restò immobile davanti a quella desolazione, non aveva idea che la parte “bene” di New York nascondesse anche questi angoli poveri e desolati. Angel le venne incontro sorridente e l’abbracciò. Buffy ricambiò il sorriso e l’abbraccio, le avrebbe fatto bene passare una giornata con i suoi amici. Frequentava spesso i due e doveva ammettere che Faith era proprio una brava ragazza. Angel le fece strada e l’accompagnò all’appartamento, una volta entrati Faith le venne incontro e le baciò le guance, facendole un gran sorriso. In seguito le prese il cappotto e sparì in un'altra stanza. L’appartamento era molto piccolo, ma arredato con gusto e amore. Si vedeva benissimo che Angel era innamoratissimo di Faith e che lei ricambiava appieno il suo sentimento. Buffy, allegramente, tirò fuori i doni che aveva portato loro ed augurò Buon Natale. Faith le fece segno di metterli sotto l’albero e Buffy, poggiando i suoi regali, ne vide uno con il suo nome sopra, si commosse. Si misero a tavola e, anche se le pietanze erano semplici, Buffy mangiò tutto con gusto: Faith era una cuoca favolosa. Stare insieme a loro non la faceva sentire tagliata fuori, la facevano sentire partecipe delle conversazioni e raccontarono anche alcuni episodi divertenti legati ai loro posti di lavoro. Il tempo passò velocemente e, prima che Buffy se ne andasse, aprirono i regali. Buffy aveva regalato a Faith un completo con berretto, guanti e sciarpa, molto adatto al clima invernale di New York, mentre ad Angel aveva donato un buono per un corso completo di informatica, al fine di aiutarlo a trovare un lavoro migliore. I due amici la ringraziarono entusiasti e la invitarono a scartare il loro. Buffy accarezzò la carta colorata che avvolgeva il pacco, era forse il primo regalo che riceveva da qualcuno. Li guardò e poi scartò il dono, vi trovò un berretto di lana ed una cornice per foto. Il berretto era stato fatto a mano da Faith, mentre la cornice era opera di Angel. Buffy non seppe come ringraziarli, li abbracciò entrambi dicendo loro che li amava molto. Arrivò l’ora della separazione, Angel si offrì di accompagnarla fino all’ospedale; anche se era un giorno di festa, lei era di turno al Pronto Soccorso. Camminando per le vie della città che, data l’ora, erano già illuminate dalle decorazioni natalizie, Buffy cercò di chiedere ad Angel di Spike, quando sentì il sangue raggelarsi nelle vene. Si fermò di colpo.

 

Dalla parte opposta della strada v’erano i due tizi che avevano cercato di violentarla, ma aguzzando la vista Buffy vide i loro visi. Erano sfigurati, come se avessero avuto un incidente.

 

- Buffy? Che hai visto? – Angel guardò nella sua stessa direzione per vedere cosa aveva catturato la sua attenzione.

 

- Ah, sono Bill e Murphy, hai visto che roba? Hanno detto che una sera sono stati pestati da dei poliziotti, mi hanno raccontato che li hanno ridotti così perché dormivano sui gradini di una Chiesa. Sai, sono stati nel mio stesso ospedale per circa un mese. Le ferite si erano infettate e non accennavano a guarire. Poveracci… -

 

- Dovrebbero crepare all’Inferno – rispose Buffy con un sibilo. Angel la guardò, confuso.

 

- Ma come puoi dire una cosa del genere? Sono esseri umani… - esclamò sconcertato, Buffy si voltò di scatto nella sua direzione.

 

- Lo sono? Davvero? Angel, lascia che ti racconti una cosa. Ti ricordi quando venni in ospedale a trovarti ed avevo quel livido sul volto? Avevi capito quello che mi era successo, vero? – Angel annuì, dispiaciuto al ricordo della Buffy disperata di quel giorno.

 

- Beh, quei due sono i responsabili e sono felice che siano stati pestati da dei pol… - in un flashback, nella sua mente rivide le macchie di sangue sull’asfalto e sull’impermeabile di Spike, mentre le sue parole danzavano nella sua mente “quei due non faranno più male a nessuno… te lo giuro…”, ricomponendo i pezzi del puzzle che era andato perduto. Era stato dunque Spike a ridurli in quello stato? E perché l’aveva fatto? Sentì il bisogno di vederlo, ma Angel non le avrebbe mai detto dove si trovava senza una spiegazione logica.

 

- Buffy? Ti senti bene? – Angel aveva assunto un’espressione preoccupata.

 

- Angel, ti posso offrire un caffé? Devo parlarti di una cosa molto seria –

 

Il ragazzo, ancora sconvolto per la confessione di Buffy, annuì distrattamente. Stava ancora osservando i due tizi che, tranquillamente, stavano svoltando l’angolo della strada; la rabbia gli montò in corpo. Buffy lo portò alla caffetteria dell’ospedale dove gli raccontò tutto l’episodio. Fu molto difficile per lei ricordare quello che aveva provato e quello che le avevano fatto, ma si rilassò quando prese a raccontare di Spike, di come l’aveva soccorsa e di come le era rimasto vicino, fino al suo risveglio. Gli raccontò anche che aveva capito di essere seguita da lui, perché alcuni pazienti e colleghi del Pronto Soccorso entravano raccontando di uno strano individuo con l’impermeabile che se ne stava sempre dall’altro lato della strada a fumare e a fissare le porte. Stranamente quell’uomo non c’era mai quando Buffy non era di turno.

 

- All’inizio non avevo pensato a Spike, ma quando quella sera, in cui stava male, mi soccorse capii che doveva trattarsi di lui e che era stato sotto la pioggia battente e al gelo, per notti intere, scortandomi fino a casa, ogni notte, a mia insaputa. Quello è stato uno dei motivi per i quali l’ho portato da me quando si ripresentò la settimana successiva – Angel non credeva alle parole che aveva sentito, tuttavia gli venne in mente una domanda da porre a Buffy.

 

- E quali sono stati gli altri motivi? Voglio dire, che ti hanno spinta a riportarlo da te? – Buffy abbassò lo sguardo e lo fissò sulle sue dita, cominciando tormentarsi le unghie.

 

- Uno dei motivi è che mi sono affezionata a lui… penso che siamo simili, che abbiamo sofferto per le stesse cose… forse, insieme, potremmo affrontare il futuro… Angel, ti prego, dimmi dov’è o digli che lo voglio vedere, ne ho bisogno – Angel scosse la testa.

 

- Posso capire quello che provi Buffy, ma non posso dirti nulla su di lui. Mi dispiace veramente, ma sono il suo unico amico e non mi va di tradire la sua fiducia. Quando lo vedrò gli dirò senz’altro che lo vuoi vedere, questa è una promessa, ma non posso fare di più – Buffy annuì, rispettando i sentimenti di Angel.

 

- Angel, posso chiederti un favore? – Buffy estrasse dal borsone che portava con se, un pacco abbastanza grande. – Lo potresti consegnare a Spike e dirgli che è il mio regalo di Natale? – Buffy arrossì un poco ed Angel le sorrise.

 

- Glielo consegnerò, ma lasciati dire una cosa Buffy, lascialo perdere. Spike ha un bel po’ di problemi, è un ragazzo difficile… - Angel si fermò vedendo l’espressione di Buffy indurirsi.

 

- Tu conosci il suo passato Angel? Ti ha raccontato qualcosa? – la voce della ragazza mal celava la rabbia.

 

- No, ma lo conosco da tanti anni e… - provò a giustificarsi.

 

- Allora non puoi giudicare! Ora devo andare, comincio il turno tra qualche minuto e devo ancora cambiarmi. Ci vediamo Angel, salutami ancora Faith e fammi sapere quando hai recapitato il regalo – detto questo si alzò e sparì nella sala.

 

- Gran bella ragazza ma cocciuta, non trovi amico? – Angel si voltò verso Xander, che gli si era avvicinato, ed annuì.

 

Due giorni dopo Angel fece sapere a Buffy di aver consegnato il regalo a Spike, ma che il ragazzo non l’aveva aperto, almeno non davanti a lui. Si era limitato a mandarle un “grazie” ed era sparito subito dopo. Buffy ci rimase un pochino male, pensava infatti di non meritarsi tutta quella freddezza da parte sua, tuttavia cercò di non pensarci troppo e di andare avanti con la sua vita solitaria, come d’altronde aveva sempre fatto. Un giorno o l’altro sarebbe riuscita a dimenticarlo…

 

 

La notte del trentuno dicembre Buffy era di turno in ospedale, Angel e Faith erano stati invitati a casa dei genitori della ragazza e, per questo motivo, lei aveva deciso di lasciare libere alcune colleghe offrendosi per un doppio turno. Era sfinita, la mezzanotte si stava avvicinando e il Pronto Soccorso era stranamente calmo. Il piccolo numero di persone, di turno assieme a lei, aveva preparato una bottiglia di champagne e qualche stuzzichino per festeggiare almeno l’arrivo del nuovo anno. Buffy, sconsolata, si era rinchiusa nel minuscolo ufficio e guardava, tristemente, fuori dalla piccola finestra: nevicava e tutto era avvolto in una magica atmosfera. Mancavano ormai dieci minuti alla mezzanotte. Sentì i colleghi prepararsi per la festa, ma lei non si sentiva dell’umore adatto per aggiungersi a loro; che cosa doveva mai festeggiare? La sua vita sempre solitaria? La perdita dell’uomo che le piaceva, ancora prima di sapere se sarebbe potuta nascere una storia seria? Il fatto di passare ogni notte al Pronto Soccorso, contornata da colleghi che a stento le rivolgevano la parola? Sospirò pesantemente, incrociando le braccia sulla scrivania e poggiandovi il capo; chiuse gli occhi. Rapidamente arrivò la fine dell’anno, con i botti ed i festeggiamenti del Madison Square Garden, in diretta alla TV, con il tintinnare di bicchieri pieni di champagne e con i baci e gli abbracci di rito. ‘Tutto noioso…’ pensò Buffy, alzandosi in piedi e trascinandosi lentamente verso la caffetteria, non badando ai colleghi che, attorno a lei chiacchieravano animatamente. Aveva seriamente bisogno di un caffé o sarebbe crollata dalla stanchezza. Passando davanti alle grandi porte a vetro dell’ospedale, guardò distrattamente in strada. Si fermò, quando la sua mente le mandò l’immagine di un uomo con i capelli ossigenati e vestito di scuro che, dall’altra parte del marciapiede se ne stava tranquillamente a fumare sotto la neve. Spike. Il cuore di Buffy mancò un paio di colpi, poi, come ridestatasi da un sonno infinito, corse allo spogliatoio, infilò l’inseparabile spolverino, prese l’ombrello ed attraversò, con il corpo sopraffatto da mille emozioni, le porte scorrevoli. Spike, vedendola correre verso di lui, gettò a terra il mozzicone ed attraversò la strada. Buffy percorse, lentamente, la breve distanza che li separava, aveva paura che Spike svanisse nel nulla.

 

- Ciao ragazzina… - il tono del ragazzo era allegro e, con fare casuale, scivolò sotto il suo ombrello, scrollandosi di dosso la neve. Buffy lo fissò incredula, mentre lui inclinò la testa da un lato e le sorrise sornione. La ragazza fece scorrere lo sguardo lungo tutto il suo corpo fino al suo viso e, finalmente, riguadagnò l’uso della parola.

 

- Ciao Spike, vedo che non hai cambiato le tue brutte abitudini, presto o tardi ti prenderai un accidente se continuerai a stare sotto la pioggia e la neve… - Buffy gli sorrise, lo trovava in gran forma.

 

- Può darsi, ma amo il rischio. Che ci vuoi fare? Sono sempre stato cattivo… - Spike pronunciò la frase abbassando il tono della voce e guardandola intensamente, poi ridacchiò e Buffy lo seguì, sebbene il suo battito accelerò leggermente. I suoi occhi magnetici avevano ancora il potere di farla agitare.

 

- Vedo che hai ricevuto il mio regalo, ne sono contenta… Quell’impermeabile immenso non ti donava molto – Spike sorrise ancora e si atteggiò, come fosse un modello.

 

- Diciamo che lo spolverino di pelle rientra più nel mio stile, lo stile del “big bad”. Ma devo ammettere che dona molto anche a te – alzò un sopracciglio squadrando Buffy, dalla testa ai piedi. Buffy rise a fior di labbra.

 

- Cosa, lo stile da “big bad”? – Spike scosse la testa, sbuffando ed alzando gli occhi al cielo.

 

- No, lo spolverino… sciocchina… - fu allora che i loro occhi s’incontrarono e tra loro scese subito un silenzio imbarazzato, che durò qualche minuto e che venne, in seguito, interrotto da Spike.

 

- Beh, ora devo andare, ero venuto solo per ringraziarti del regalo, mi sembrava doveroso farlo. Addio ragazzina, stammi bene – il ragazzo fece per andarsene, ma Buffy lo fermò strattonandolo per la manica del cappotto.

 

- Spike? – lui si voltò verso di lei che, infreddolita e con occhi dolci, sembrava pregarlo di rimanere.

 

- Buffy, ne abbiamo già parlato… ed io… - Spike, senza trovare le parole per andare avanti, abbassò il capo, per rialzarlo subito dopo, sentendo le parole di Buffy.

 

- Grazie Spike… grazie per essere venuto qui, stasera. Il nuovo anno mi ha portato una bellissima sorpresa e non potevo desiderare altro… - una lacrima solitaria attraversò il viso della ragazza, che cercava di trattenere a stento le emozioni. Il ragazzo allungò una mano, ma Buffy lo interruppe pronunciando poche, ma decisive, parole.

 

- Non farlo. Se pensi ancora le stesse cose che mi hai detto a casa mia, ti prego di non farlo o non riuscirò più a staccarmi da te… - Spike indugiò per un attimo e poi abbassò la mano. Sul volto di Buffy si disegnò un sorriso amaro, intanto che il ragazzo si voltava dandole la schiena, pronto ad andarsene.

 

- Addio, Spike. Ti prometto che non ti cercherò più, non chiederò più ad Angel di te e sparirò dalla tua vita come desideri; perché vederti mentre ti allontani da me e non poterti avere vicino, non poterti dare il mio affetto, mi lacera il cuore –

 

In un attimo si ritrovò tra le braccia del ragazzo, stretta in una morsa che non le consentiva quasi di respirare. Sentì Spike sussurrarle tra i capelli, per la prima volta, parole sincere.

 

- Perché? Perché mi fai sentire così vivo, quando invece vorrei morire? – Buffy si aggrappò con tutte le forze alle spalle di Spike, piangendo, in quella notte, sotto quella neve fredda che bagnava i loro corpi, che li aveva fatti rincontrare. L’ombrello di Buffy, adagiato sul marciapiede innevato, completava lo sfondo, accompagnato dal suono dei festeggiamenti che riecheggiavano nella città.

 

Buffy e Spike, bagnati fradici, sedevano alla caffetteria dell’ospedale davanti a due tazze fumanti di cioccolata calda. Buffy, dopo il momento intenso che avevano vissuto poco prima, non aveva avuto il coraggio di rivolgere nessuna domanda a Spike, per paura di perderlo nuovamente. Fu lui a parlare.

 

- Buffy, mi dispiace per prima… - la ragazza sbuffò, tirando indietro la sedia per alzarsi. Conosceva perfettamente il discorso che lui stava per farle, ma Spike batté una mano sul tavolo, richiamando la sua attenzione.

 

- Dicevo che mi dispiace per prima, quell’abbraccio è stato un errore e, probabilmente, tu hai frainteso il suo significato. Le cose non sono cambiate tra noi e forse è meglio per tutti e due se davvero non ci vediamo più –

 

Buffy sollevò gli occhi al cielo e si alzò dalla sedia, agitandosi una mano vicino al viso, segno che non voleva ascoltare più nulla.

 

- Ok, come vuoi tu Spike. Ti saluto, devo tornare al lavoro ora – Spike, confuso, si tirò su dalla sedia e le afferrò un braccio con forza, obbligandola a voltarsi. Gli occhi verdi di Buffy erano infelici e sembrava sconfortata, stanca di quell’orrendo gioco.

 

- Che c’è Spike? Pensi forse che ti sarei corsa dietro in eterno? Spiacente di deluderti, non lo farò. Questa volta sono io che ti volto le spalle e mi allontano. E sai perché? Perché sono semplicemente stanca… stanca di essere ferita da te, stanca di dover chiedere sempre ad Angel tue notizie, stanca di non poterti mai vedere, di non poter sapere nulla di te, nemmeno il tuo vero nome... E poi? Che cosa fai? In questa notte decidi di fare un’apparizione per quanti? Cinque? Dieci minuti? Senza renderti conto che, in quei pochi istanti, sei riuscito a ferirmi di nuovo e così profondamente che non esistono nemmeno le parole per farti capire quanto! – Buffy cominciò a piangere, riuscendo però a padroneggiare le sue emozioni – Ora lasciami per favore! – strattonò il braccio, che Spike teneva ancora stretto, con forza riuscendo a liberarlo – Spike ti prego di non farti vedere mai più, voglio mettere fine a questo penoso gioco. Ora vattene e non tornare mai più –

 

Xander assisteva alla scena impotente. In quell’istante Buffy perse il controllo su di se e crollò, cominciò a piangere disperatamente. Spike era in piedi, con occhi sgranati, che la guardava, sentendosi uno dei responsabili del suo dolore. Gli altri erano probabilmente conoscenti, amici e familiari; una sofferenza così immensa e distruttiva non poteva essere stata scatenata solo da lui. Guardandola gli sembrò un cucciolo piccolo ed indifeso che più viene allontanato, ferito, più si affeziona e segue. Sebbene, in un piccolo angolo dentro di se, avesse scoperto il desiderio di starle accanto, non poteva permetterselo. Lui non poteva salvarla perché doveva ancora salvare se stesso, ma questo Buffy non lo poteva sapere, anzi, nessuno lo sapeva, nessuno conosceva il vero Spike. Se l’avessero conosciuto l’avrebbero odiato come lo odiava lui, disprezzato per quello che aveva fatto, disprezzato perché era fuggito, disprezzato perché non era riuscito a cambiare. No, né Buffy né altri avrebbero dovuto sapere mai il suo segreto, MAI!

 

- Buffy, tirati su, ti prego… - Spike le porse la mano, che lei non accettò. Si asciugò le lacrime e con aria minacciosa lo aggredì.

 

- Vattene Spike, vattene…, vattene…, VATTENE! – gli urlò fuori di se.

 

- Buffy, calmati… andiamo in un altro posto a parlare. Ti spiegherò alcune cose… - cercò di tranquillizzarla, Buffy però svenne. In quello stato sentì voci, confuse e distorte, che ordinavano cosa fare, che iniezioni preparare. Le sembrò che anche la voce di Spike la chiamasse, le parve disperatamente. In quel momento sentì la maschera dell’ossigeno coprirle bocca e naso, respirò l’aria artificiale dalla bombola e cadde ancora più in basso, in un turbine oscuro senza fine. Fino a che le voci non divennero sussurri e poi il nulla… l’oblio.

 

Due ore dopo la Dr.ssa Rosenberg usciva dal reparto rianimazione, dirigendosi verso Spike che, seduto in corridoio, passeggiava nervosamente.

 

- Salve, lei è qui per la Dr.ssa Summers? – Spike si arrestò e asserì con il capo.

 

- Non si deve preoccupare, Buffy sta bene, è stato solo un malessere provocato dal troppo stress. Ora è sveglia, ma ha bisogno di riposo – la giovane dottoressa gli lanciò uno sguardo eloquente. Spike abbozzò un lieve sorriso, abbassando lo sguardo.

 

- Posso vederla? – La dottoressa lo scrutò attentamente.

 

- In verità Buffy ha chiesto di un certo signor… Angel… è lei per caso? – Spike nascose il malumore provato nel sentire che Buffy non voleva vederlo, ma non si perse d’animo, da un certo lato poteva anche capirla… Da un certo lato…

 

- Il solo ed unico! Ora posso vederla? – chiese impaziente. La dottoressa gli lanciò uno sguardo sospettoso, ma gli permise di entrare nella stanza.

 

- Cerchi di non stancarla troppo, le do cinque minuti – non finì la frase che Spike si stava già chiudendo la porta dietro la schiena. La Dr.ssa Rosenberg scosse la testa e si avviò lungo il corridoio.

 

Buffy aprì piano gli occhi sentendo il rumore della porta che si schiudeva e si trovò Spike, al suo capezzale. A fatica voltò il viso verso la finestra, fissando il vuoto in segno di disapprovazione. Appena uscita di lì avrebbe sgridato Willow per la sua inadempienza verso le richieste di un paziente.

 

- Buffy… come ti senti? – Spike la osservava, era evidente che fosse adirata con lui. Lì, stesa in quel letto d’ospedale, con il viso pallido ed i capelli scomposti, gli sembrava infinitamente piccola, indifesa come una bambina ed era, in parte, colpa sua se si trovava in quelle condizioni. Non poteva sopportarlo.

 

- Buffy… ragazzina… guardami, ti prego – gli occhi immensamente tristi della ragazza si posarono stancamente su di lui, sembrava che ogni movimento le costasse un’enorme fatica.

 

- Spike – inspirò profondamente – ti ho detto di non… - le labbra del ragazzo si posarono, dolcemente, sulle sue. Buffy non rispose al bacio, ma si limitò ad assaporarlo, chiudendo gli occhi. Quando lui si staccò, rimase per un attimo vicino al viso di Buffy, scrutandola al fine di scorgere le sue emozioni. La ragazza riprese a fissare il muro, riuscendo a fatica a nascondere il turbamento di quel contatto inaspettato. Spike si scostò, prese una sedia e la mise accanto al letto.

 

- Perché… l’hai fatto? – il ragazzo non rispose. Se ne stava ancora in piedi, con la mano appoggiata allo schienale della sedia, cercando di dare una risposta a quella semplice domanda, più a se stesso che a Buffy.

 

- Spike? – Buffy si voltò per cercare i suoi occhi che, persi, fissavano il vuoto. Era come in trance, le sue labbra si aprivano e si chiudevano formando parole confuse, che Buffy non riuscì a decifrare, una di loro riuscì però a prendere voce.

 

- William… - sussurrò. Buffy sgranò gli occhi, mentre quelli di Spike si posavano su di lei, dolci e arrendevoli.

 

- Mi chiamo William… - ripeté più chiaramente. Buffy gli sorrise al colmo della felicità. Confessandogli il suo vero nome aveva risposto alla sua domanda, la considerava importante e questo, per ora, le sarebbe bastato. Spike si sedette sulla sedia e le prese la mano tra le sue, posando piccoli baci sul dorso e facendo ridere Buffy che, d’un tratto, ridivenne seria.

 

- Spike… William… - chiamò. Spike sorrise al suono del suo nome pronunciato dalle labbra di Buffy – Come hai fatto ad entrare? Io avevo chiesto di Angel… - Spike rise, si alzò e si mise in posa.

 

- Ed infatti eccolo qui in tutto il suo splendore! – Buffy non riuscì subito a capire, ma quando Spike le fece l’occhiolino, scoppiarono entrambi in una fragorosa risata, la prima dopo tanto tempo.

 

Buffy venne dimessa un paio di giorni dopo, il riposo le aveva giovato ed ora che aveva accanto Spike, la sua vita sembrava iniziare a sorriderle. Lui non le stava molto intorno, appariva e spariva, ma sempre molto regolarmente, così Buffy non ne sentiva la mancanza. Angel aveva continuato ad avvertirla di stare lontana da Spike, ma quando lei aveva minacciato di rompere la loro amicizia, aveva accuratamente evitato di darle consigli. Voleva certamente bene a Spike, ma non lo trovava adatto a Buffy, per il fatto che conosceva alcuni spiacevoli episodi accaduti nel loro ambiente che coinvolgevano proprio il ragazzo di cui lei si stava innamorando.

 

Quella mattina, come tutte dal giorno in cui Spike le aveva confessato il suo vero nome, lo trovò fuori dalle porte del Pronto Soccorso, pronto ad accompagnarla a casa. Era la metà di gennaio ed il freddo era diventato molto pungente. Spike se ne stava mollemente appoggiato alla parete, fumando nervosamente la sua Marlboro. Buffy gli volò tra le braccia posandogli un bacio a fior di labbra.

 

- Buongiorno tesoro! – ridacchiò e Spike le rivolse un sorriso distratto, che Buffy colse al volo.

 

- Che è successo? – una nota d’allarme le tremava nella voce.

 

Spike scacciò i pensieri che gli stavano attraversando la mente, scuotendo la testa.

 

- Nulla passerotto, nulla… tutto ok, andiamo? Fa freddo… - le porse il braccio e Buffy lo accettò di buon grado, aggrappandosi a lui e saltellando felice.

 

Arrivarono rapidamente al portone del palazzo e Spike, come ogni giorno, la baciò con passione, prima di lasciarla andare. Quando si staccarono, i loro sguardi bruciavano, i loro corpi volevano di più, il loro sangue gridava nelle vene. Fu Buffy che, in un soffio, gli disse di non abbandonarla. Spike rimase immobile, incapace di decidere: se si fosse legato a Buffy, in quella mattina di gennaio, avrebbe frantumato definitivamente il suo mondo di cristallo, lo desiderava davvero? Posando lo sguardo sul viso e sul corpo della ragazza, per la prima volta, prese coscienza dell’importanza che lei rivestiva nella sua vita. In pochi mesi era riuscita prepotentemente ad entrargli dentro, si accorse di aver combattuto una battaglia già persa in partenza. Forse non amava Buffy, ma certamente la considerava importante. Poteva dunque rimanerle accanto anche senza esserne innamorato? E lei, che cosa realmente provava per lui? Lei, che diceva di non conoscere l’Amore?

 

- Buffy, io non credo che sia una buona idea… - cercò di convincerla. Buffy, con gentilezza, gli prese una mano e se la portò al viso, posandosela su una guancia e chiuse gli occhi.

 

- William, non ti sto chiedendo nulla… sono io che voglio donarti tutta me stessa, voglio sentirti dentro di me, attorno a me… voglio annegare in te William. Voglio che l’alba di questo giorno ci trovi amanti… - riaprì gli occhi, in essi vi era racchiusa la fragile speranza che la sua richiesta venisse accettata. Sentì le dita di Spike reagire ed iniziare ad accarezzarle il volto e, un attimo dopo, si ritrovò schiacciata sulla parete del portone, sotto il corpo di Spike, che la baciava ovunque e l’accarezzava voglioso. D’un tratto un flashback la riportò a quella notte, nel vicolo, e bruscamente lo staccò da se. Entrambi si fissarono, persi e senza fiato. Buffy prendendo coscienza di quello che aveva appena fatto cercò di scusarsi con Spike che, rispettando i suoi sentimenti, cercò di confortarla abbracciandola.

 

- Scusa Buffy, ho perso il controllo… non succederà più… Forse non siamo ancora pronti per… - Buffy nascose il viso nel petto del ragazzo, vergognandosi di averlo respinto in malo modo, dopo avergli chiesto di stare con lei.

 

- William… vorresti salire e tenermi stretta questa notte? – Spike le sorrise e la prese per mano, spingendo il portone d’entrata con l’altra. Rimasero teneramente abbracciati fino a che l’ascensore non s’arrestò al piano dove si trovava l’appartamento di Buffy. Uscirono e la ragazza, aprendo la porta, si rivolse a Spike.

 

- Ti spiace se faccio una doccia? Ho corso in lungo ed in largo per i corridoi stanotte che ne sento veramente il bisogno – Spike annuì, togliendosi lo spolverino e gettandolo, distrattamente, sul divano. ‘Uomini…’ pensò Buffy prima di recuperarlo e di appenderlo, assieme al suo, nell’armadio a muro. Spike sorrise, mentre si accendeva una sigaretta, Buffy protestò rumorosamente fino ad obbligarlo a spostarsi vicino alla finestra. L’aprì e, con le braccia incrociate vi si appoggiò tirando profonde boccate dall’inseparabile Marlboro. Buffy sparì in bagno, lasciando una scia di vestiti lungo il corridoio. Chiuse la porta a chiave; sapeva che poteva fidarsi di Spike, ma la sensazione di disagio era forte in lei. Mentre l’acqua tiepida donava conforto al suo corpo stanco, Buffy pensò a come doveva sentirsi Spike vicino a lei. Da quel giorno, quando era stata ricoverata, non avevano fatto altro che darsi baci e tenersi per mano, quando la riaccompagnava a casa. Niente di più, segno che Spike la rispettava e che non le avrebbe mai fatto nessuna pressione. Non aveva mai esternato nemmeno le sue voglie, non fino a poco fa almeno. Quando l’aveva messa con le spalle al muro ed aveva sentito il suo profumo avvolgerla, per un attimo aveva pensato di riuscire a lasciarsi andare, poi aveva miseramente fallito nel suo desiderio. Si chiese tristemente per quanto tempo ancora, il volto di quegli uomini che ora, tra le altre cose, apparivano sfigurati nei suoi incubi, l’avrebbero accompagnata impedendole di condividere momenti intimi con Spike. Spense l’acqua ed uscì dalla doccia, avvolgendosi nel suo accappatoio rosa. Dall’altra parte della porta, giungevano i suoni disturbati della TV, sorrise all’idea di trovare Spike sdraiato sul divano intento a guardarla. In quel momento si accorse di non aver portato con se il pigiama. Sbuffò e, dopo essersi legata i capelli, uscì dalla stanza ed attraversò il corridoio per recarsi in cucina, vide Spike proprio nella posizione in cui l’aveva immaginato. La guardò intensamente inarcando un sopracciglio, Buffy si rese conto di indossare solo l’accappatoio e le mutandine ed arrossì violentemente, mentre Spike si stava alzando dal divano e, con sguardo da predatore, si avvicinò alla sua “preda”. Buffy, incapace di muoversi, calamitata da quegli occhi blu intensi e profondi che sembravano chiamarla, scosse debolmente la testa.

 

Quando Spike le fu abbastanza vicino, le passò accanto, dandole un buffetto sulla guancia, e si chiuse in bagno. Buffy con occhi sgranati e respiro affannoso, lo maledì mentalmente, ma non andò a vestirsi. Si versò, invece, un bicchier d’acqua e sgranocchiò qualche biscotto, in attesa che il ragazzo uscisse dalla stanza. Sentì l’acqua della doccia riprendere a battere contro le piastrelle, così decise di andare a sedersi davanti alla TV e di continuare a guardare quello che Spike aveva lasciato perdere. Era uno sciocco gioco dove dei concorrenti dovevano indovinare un proverbio, girando una ruota e comprando vocali e consonanti, esasperata cambiò canale. Fermò lo zapping dopo essere arrivata ad un vecchio film horror, ancora in bianco e nero, forse Nosferatu. Sorrise davanti alla pellicola, i grandi film cult di un tempo, indiscutibili per alcuni critici, a lei parevano talmente ovvi che sembravano comici. Ammise che gli effetti speciali avevano fatto dei passi da gigante nella cinematografia, eppure non riusciva a farsi piacere i film di una volta, se non quelli che parlavano d’amore. Il tema che le piaceva di più. Si chiese se mai, lei e Spike, avrebbero potuto avere un rapporto del genere, come quelli struggenti e romantici che vedeva nelle pellicole di Doris Day.

 

La porta del bagno si aprì e Buffy si ridestò dai suo pensieri, rimase abbagliata dalla vista di Spike che indossava solo uno dei suoi asciugamani legato attorno alla vita. Lui si fermò davanti a lei e, con viso diabolico, mimò sulle labbra un “vuoi vedere?” Buffy di rimando gli fece un grande “no grazie”, obbligandolo a spostarsi. Si sedette accanto a lei, in silenzio. Guardarono la TV, poi dopo un po’ la voce di Spike si sovrappose al suono dello schermo acceso.

 

- Ho i boxer sotto, sai, non volevo obbligarti a… - Buffy gli rivolse un sorriso, posandogli una mano sul ginocchio.

 

- L’avevo capito William, tranquillo, ma sono contenta che sotto tu abbia qualcosa, se non altro per il fatto che, sedendoti, l’asciugamano si è aperto – Spike guardò in basso e poi scoppiò in una risata.

 

- E poi scusa, ma ti sei fatto la doccia e… non ti sei cambiato? – Spike aggrottò la fronte.

 

- Come no? Indosso l’unico indumento che avevo di ricambio… - Buffy, divenne curiosa.

 

- Ma… tu vai in giro con un cambio di mutande nei pantaloni? -

 

- Oh, no, non nei pantaloni, nello spolverino… e non mi guardare come se fossi un dannato alieno… amo avere sempre un ricambio, c’è qualcosa di male? Cosa c’è? Lo trovi sconveniente? – chiese sorpreso.

 

- No, no… solo che mi sembrava strano, tutto qui… e gli abiti dove li tieni? – Spike non capiva dove Buffy volesse arrivare.

 

- Ma dobbiamo proprio parlare della mia biancheria? Sono quasi le cinque del mattino… Comunque la tengo alla stazione della metro, chiusa dentro un armadietto, contenta ora? – Buffy asserì con il capo, ora sapeva una cosa in più sul suo William. Gli prese una mano e lo tirò, facendogli segno di seguirla nella camera da letto. Lui gliela strinse.

 

- Sei sicura di volermi nel tuo letto Buffy? Io posso anche dormire sul divano… davvero, non è un problema… - Buffy gli sorrise dolcemente.

 

- Dai, non è proprio la prima volta che dormo con te accanto, o mi sbaglio? –

 

- Già, ma le altre volte ero malato… - il tono della voce era basso ed allusivo.

 

- William, io mi fido di te… - A quel punto Spike, convinto, la seguì. La stanza era buia, illuminata debolmente solo dalle due abatjour poggiate sui comodini. Spike si infilò sotto le coperte, con solo i boxer indosso.

 

- Buffy, vuoi che mi metta la tuta e la maglietta? – Buffy, invece di rispondergli, fece scivolare a terra il suo accappatoio lasciandola con solo le mutandine addosso.

 

- Buffy… - sussurrò in un soffio. La ragazza si avvicinò al letto.

 

- Va tutto bene William, io mi fido di te – si infilò sotto le coperte, e si accoccolò con il capo poggiato sul suo torace, Spike le circondò la vita con un braccio e l’attirò a se, carezzandole la schiena nuda. ‘Sono io che non mi fido di me…’ pensò distrattamente, inebriato dal profumo di Buffy che lo circondava. La sentì sospirare ed attese che gli ponesse la domanda che, immaginò, le stava tormentando la mente. Questa non arrivò; Spike pensò di aver interpretato male i lunghi sospiri di Buffy e si rilassò, fino a che non fu sul punto di addormentarsi.

 

- William? – il ragazzo, con gli occhi chiusi, mugugnò sommessamente, traendo un profondo sospiro.

 

- Mmh? –

 

- Sai… io… non sono vergine… - il ragazzo non fece nessun commento all’affermazione di Buffy in quanto non riusciva a comprendere il significato che lei volesse dare a quella frase. Buffy continuò, timidamente.

 

- Penserai che sono una stupida a dirti questo… vero? Ma è solo per dirti che… cioè, che prima dell’aggressione… - Spike le posò un dito sulle labbra.

 

- Lo so Buffy, non ti preoccupare… - teneva ancora gli occhi chiusi, ma sentì comunque Buffy sorridere.

 

- Spike, tu… ecco… come dire… - Spike aprì, lentamente, gli occhi e tirò indietro il capo, per guardare meglio Buffy che, rossa in volto, cercava di porgli quella difficile domanda.

 

- Spara passerotto, dimmi tutto quello che vuoi… - le sorrise dolcemente.

 

- Tu… ecco, tu mi desideri? – i suoi occhi brillavano nell’oscurità.

 

- Si – Buffy, rimasta colpita dalla serietà e dalla schiettezza dell’affermazione di Spike, sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale. Iniziò, quasi senza rendersene conto, ad accarezzare il torace di Spike che, sorpreso, le bloccò le mani.

 

- Buffy, io posso aspettare, non sforzarti… - Buffy lo guardò seria e, sciolta una mano dalla sua presa, gli toccò il viso con la punta delle dita, fu un tocco lieve, quasi impercettibile.

 

- William… aiutami a vincere i miei incubi… - si mosse verso di lui e lo baciò teneramente, Spike accettò quel bacio che, accompagnato dalle carezze insistenti di Buffy, divenne sempre più profondo e coinvolgente. Spike la strinse per la vita e la portò sotto di lui, dove prese ad accarezzarle i fianchi morbidi e lisci, risalendo fino ai seni. Sentì Buffy irrigidirsi e si fermò immediatamente, ma la mano della ragazza, raggiunta la sua, l’accompagnò obbligandolo a toccarli.

 

- Non ti fermare Spike, non ti fermare ti prego… non ho paura… - il respiro di Buffy era affannato, ma Spike non riuscì a determinare se fosse per l’eccitazione o per la lotta estenuante contro i ricordi di quella mattina, che la stavano assalendo. Invitato da Buffy, si riempì le mani di lei. Le baciò ogni centimetro di pelle nuda, partendo dai piccoli piedi e risalendo su lungo le gambe, sino al ventre piatto, per soffermarsi a giocherellare con la punta della lingua sui suoi capezzoli inturgiditi. Arrivò all’incavo del suo collo ed inspirò l’odore di lei, dei suoi capelli.

 

- Sai di buono… - la voce, bassa e roca di Spike, e le sue labbra che, sensualmente, si muovevano lungo il suo collo, provocarono in Buffy un’ondata di calore che si concentrò nel suo bassoventre, in quel momento lei stava cercando di scacciare, con tutte le sue forze, i brutti ricordi che si affacciavano prepotenti alla sua mente. Le carezze di Spike, così esperte e vogliose, pian piano, sentiva che la stavano facendo tornare alla vita. Si convinse del fatto che, dopo quel momento tra loro, i suoi incubi si sarebbero diradati nel tempo fino, forse, a sparire completamente. Iniziò, così, ad aggrapparsi alle spalle del ragazzo, percorrendogli la schiena con le dita e segnandola con le unghie, gli strappò un gemito. Mentre la percorreva sentì, sotto i polpastrelli, tutte le cicatrici che aveva già intravisto quando era stato malato, si chiese di nuovo come se le era provocate, ma prima o poi, sapeva che sarebbe stato lui a dirglielo. Buffy chiuse le sue mani, scivolate nei boxer, sui glutei di Spike attirando il suo bacino contro il proprio. Sentì l’eccitazione di Spike premere contro il suo pube, i loro respiri fondersi, le loro carezze farsi sempre più intime, i baci più appassionati e affamati d’affetto. Le loro anime, avvolte dall’oscurità, si erano incontrate ed ora, stavano per unirsi, nel gesto forse disperato, di scacciare la solitudine che attanagliava i loro cuori e le loro esistenze.

 

Spike, con gesti sensuali, mentre le baciava il ventre, fece scivolare le mutandine lungo le gambe, segnandone il percorso con baci e carezze, facendo gemere Buffy, sempre di più. Quando Buffy fu libera dall’unico indumento che indossava, dato che lui si era ancora posizionato sopra di lei, alzò le gambe fino ad arrivare con i piedi all’altezza del bacino di Spike. Infilò le dita dei piedi tra l’elastico dei boxer e la pelle, calda, del ragazzo e, lentamente, li fece scorrere fino a sfilarglieli. Ora, finalmente senza costrizioni, i loro corpi erano liberi di toccarsi e fondersi completamente. L’eccitazione di Spike, che si ergeva dura e vogliosa di lei, la fece arrossire un po’. Il ragazzo le carezzava i capelli sussurrandole parole dolci all’orecchio mordicchiandole, di tanto in tanto, il lobo. Buffy percorreva con le dita, ogni cicatrice che trovava sul percorso che stava tracciando sulla schiena del ragazzo, come a voler alleviare il dolore che, probabilmente, aveva provato procurandosele.

 

- Buffy… - le dita di Buffy si erano chiuse sul suo membro ed avevano iniziato a muoversi ritmicamente, su e giù, procurandogli ondate di calore lungo tutto il corpo. Invertirono le posizioni e Buffy si mise a cavalcioni sopra di lui dove, sensualmente, prese ad accarezzargli le gambe con le mani ed il torace con i seni, muovendosi sopra di lui con sguardo predatore. Spike le prese i seni tra le mani e cominciò a massaggiarli con delicatezza, Buffy gettò il capo all’indietro, lasciando che i suoi lunghi capelli le carezzassero la schiena, provocandole ulteriori brividi. Spike desiderava sentirla attorno a lui, ma non aveva il coraggio di chiederle di fare una cosa del genere, dopo quello che aveva passato. Così cercò di concentrarsi sui movimenti che Buffy faceva sopra di lui, stava sfregando il suo clitoride sul suo membro eretto e voglioso di attenzioni, chiuse gli occhi. Improvvisamente sentì le labbra umide di Buffy chiudersi sul suo pene. Spalancò gli occhi e si specchiò in quelli di lei, brillanti, che gli sorridevano. Buffy con la lingua lo stuzzicava, per prenderlo poi in bocca dove lo assaporava a fondo, facendo impazzire Spike che, perso in quei gesti, si era abbandonato completamente a lei. Le punte delle dita di Buffy giocavano tra i suoi testicoli, prendendoli, stingendoli gentilmente, mentre le sue labbra continuavano a far scivolare il suo membro su e giù nella sua bocca umida.

 

- Buffy… sto per impazzire… - le disse, carezzandole i capelli, guidando i movimenti del suo capo.

 

Spike arrivato al limite, invertì nuovamente le posizioni, accarezzando il centro del piacere di Buffy e saggiandone l’umidità, infilò due dita dentro la sua femminilità gonfia e calda.

 

- Ooohhh Spike… - Buffy inarcò la schiena per aumentare il contatto con la sua mano che, freneticamente, si muoveva tra le sue cosce tese.

 

- Spike… ti voglio dentro di me… prendimi… - Buffy gli cinse i fianchi con le gambe, portando Spike contro il suo corpo. Il ragazzo, con dolcezza, sfilò le dita e fece scivolare il suo membro dentro di lei attendendo che la sua femminilità si modellasse attorno a lui. Buffy gemette a quel contatto e Spike, incentivato dal movimento delle gambe di Buffy che lo invitava a penetrarla di più, cominciò a muoversi in lei, spingendo dapprima lentamente e poi, via via, sempre più velocemente, raggiungendo un ritmo incalzante. Buffy accompagnava ogni sua spinta, inarcando la schiena e premendo il suo bacino verso di lui, sembrava che i loro corpi fossero stati creati per congiungersi perfettamente.

 

- Buffy… Buffy… - Spike sentiva su di se le carezze, dolci e sensuali di Buffy, che non gli lasciava tregua, lo toccava, lo accarezzava, lo baciava senza sosta, mentre lui, dentro di lei, la portava all’apice del piacere. A Buffy sembrò che, il suo nome sussurrato da Spike così dolcemente, racchiudesse in realtà tutti i suoi sentimenti, dai significati profondi ed indescrivibili a parole. Il cuore di Buffy, si riempì di tenerezza per quel ragazzo che, sopra di lei, le stava regalando il momento più bello della sua vita, senza chiederle nulla in cambio.

 

- Spike… così… - Buffy si sentiva persa in quei movimenti così possenti e virili, non aveva mai provato nulla di così sconvolgente con nessuno, prima di lui. Si sentì vergine tra le sue braccia. Una stretta al cuore, la voglia di piangere dalla felicità ed il respiro corto di Spike sulla sua bocca, accompagnarono il suo orgasmo. Il ragazzo la seguì poco dopo, rilassandosi sul suo corpo, la danza estenuante li aveva lasciati sudati ed appagati. Spike, dopo aver ripreso fiato, fece per uscire da lei, ma Buffy lo bloccò.

 

- No, resta… ti prego… - Spike la guardò e le sorrise, si sistemò meglio su di lei che, felice, intrecciava le dita nei suoi capelli. La sentì ridere.

 

- Che hai da ridere? – le chiese mentre con la punta del naso le stuzzicava la spalla.

 

- Hai la ricrescita… sei castano… - Spike ridacchiò e le rispose, tra un bacio sul collo e l’altro.

 

- Già… delusa? – Buffy lo abbracciò ancora più stretto.

 

- Affatto… tutt’altro… - poi lo guardò profondamente, un velo di lacrime scese ad appannarle lo sguardo, felice e appagato.

 

- Credo di amarti, William… - sussurrò dolcemente. Spike restò in silenzio, incerto su cosa risponderle, ma Buffy lo precedette.

 

- Non devi rispondermi, volevo solo che lo sapessi… - gli sorrise apertamente e Spike decise di parlarle sinceramente.

 

- Buffy… non ti posso dire che ti amo perché, come sai, ti mentirei… Posso dirti, però, che prima ero solo, camminavo in un tunnel senza luce, più oscuro della notte, più freddo delle profondità marine, avevo solo me stesso… ora, con te vicino, in fondo a quel tunnel è apparsa una luce, calda, avvolgente, che pian piano, sta guidando il mio cammino… sei tu Buffy, sei quella luce, sei la mia pace… - Buffy, tra le lacrime, lo baciò cercando di trasmettergli tutto l’amore che sentiva di provare per lui. Si accoccolarono, entrambi felici, l’una nelle braccia dell’altro.

 

- William…? –

 

- Mmh? – il ragazzo le posò un lieve bacio sulla fronte poggiandovi, subito dopo, la guancia.

 

- È perfetto… -

 

- Che cosa è perfetto, passerotto? –

 

- Tutto questo, io che mi addormento tra le braccia dell’uomo che amo, dopo essermi donata a lui, lui che mi abbraccia e mi coccola… è perfetto… ti amo William… -

 

Spike la strinse a se, quanto avrebbe voluto risponderle che l’amava anche lui, ma nel suo cuore la parola “Amore” non esisteva più, purtroppo nemmeno per lei.

 

Si tennero stretti, specchiandosi l’uno negli occhi dell’altro, fino a che il sonno, non sopraggiunse. L’alba di quella fredda mattina di gennaio, così come Buffy aveva desiderato, li trovò amanti…

 

Buffy si svegliò che era pomeriggio inoltrato, il sole stava già quasi tramontando, ma non se ne preoccupò. Aveva preso un paio di giorni di congedo, dato che durante le feste aveva sempre lavorato. La debole luce del tramonto filtrava dalle tende, illuminando lievemente la stanza da letto. Spike era ancora addormentato, posizionato su un fianco, con il viso rivolto verso il suo. Buffy sorrise. Il suo sguardo venne catturato da una cicatrice, che non aveva ancora notato. Il piumone, che si era scostato leggermente, lasciava intravedere il torace di Spike. La cicatrice era posizionata sulla sinistra, a poca distanza dal cuore. Aveva una forma circolare, non molto grande a dir la verità, ma Buffy non ne aveva mai viste così. Non riuscì ad impedirsi di posarvi un dito e di scorrerlo, seguendo l’irregolarità della pelle, attorno ad essa. Spike, svegliandosi, aprì debolmente gli occhi ed appena vide il suo viso, le sorrise dolcemente.

 

- Mmh – si stiracchiò - buongiorno passerotto… - e l’abbracciò stretta, Buffy gli circondò la vita con un braccio e ricambiò il sorriso.

 

- Buongiorno amore, dormito bene? – Spike, prima di risponderle, le solleticò il viso con la punta del naso, inebriandosi del suo odore.

 

- Magnificamente… tu? – Buffy poggiò il viso sul suo petto, chiuse gli occhi, e rimase ad ascoltare il battito, lievemente accelerato, del suo cuore.

 

- Benissimo… hai fame? – Buffy allontanò il viso dal petto del ragazzo, e lo fissò. Spike inarcò un sopracciglio e, con uno sguardo sensuale, incurvò lievemente un lato delle labbra all’insù. Buffy scosse il capo in modo scherzoso.

 

- Intendevo cibo… colazione, hai presente? – Spike, con velocità, le premette la bocca sull’arteria del collo, socchiuse le labbra e fece finta di addentarla, come fosse un vampiro.

 

- Ho presente… - le rispose sulla pelle, continuando a mordicchiarla e succhiarla, provocando l’ilarità di Buffy che stette al gioco.

 

- Oh, si Spike, divorami! – il ragazzo si posizionò sopra di lei, avvolgendola con il suo corpo ancora nudo e voglioso di lei.

 

- William… - Buffy gli fece scivolare una mano dietro la nuca e, dopo avergli accarezzato i capelli, lo attirò a se e lo baciò. Spike aveva già iniziato a muoversi sopra di lei, facendo viaggiare le sue mani, sul corpo perfetto di Buffy, quando lei lo scostò gentilmente.

 

- Ho fame… fammi alzare da questo letto per favore – mise il broncio come una bambina, facendo sporgere il labbro inferiore. Spike glielo catturò e prese a mordicchiarlo. Buffy socchiuse le labbra in modo che la lingua di Spike potesse cominciare ad esplorarle la bocca, poi si perse nel suo bacio appassionato. Quando si staccò da lei, Buffy aveva il respiro affannato e Spike sorrideva amabilmente.

 

- Che hai da sorridere? – lui la guardò serio.

 

- Scommetto che la fame ora ti è passata, dico bene? – Buffy lanciò il piumone e le lenzuola in fondo al letto e si alzò, Spike rimase incantato alla vista del suo corpo illuminato dalla luce rosea del tramonto.

 

- Presuntuoso! – la ragazza, ridendo, lasciò la stanza e si chiuse in bagno. Spike rotolò sulla schiena, posizionandosi un braccio dietro la nuca, mentre con l’altro cercava, tentoni, il pacchetto di sigarette che credeva abbandonato sul comodino. ‘Ah, maledizione, è in salotto…’ con questo pensiero, Spike, smise di cercarlo e portò anche l’altro braccio sotto la sua testa. Fissò il soffitto cercando di non pensare a nulla, concentrandosi sullo scroscio d’acqua provocato dalla doccia. Qualche minuto dopo Buffy uscì dal bagno, aveva i capelli bagnati e, praticamente, nulla indosso. Attraversò il corridoio ed arrivata nella sua stanza, con Spike che si nutriva di quella vista, si infilò il suo completo preferito di biancheria intima, un paio di jeans sdruciti ed un maglione. Si voltò verso Spike che, con aria arrogante, la contemplava.

 

- Che fai ancora a letto? – scherzò.

 

- Aspetto… - Buffy si mise le mani sui fianchi, divertita.

 

- E che cosa aspetti? – Spike non si mosse dalla sua posizione.

 

- Che le mie sigarette giungano a me – giocando tese una mano, facendo finta di concentrarsi per azionare i poteri ESP, poi la fissò supplichevole.

 

- Ancora con queste sigarette? Dovresti smetterla di fumare… ma, dato che mi hai fatto passare una notte… soddisfacente, te ne concederò una, ma una soltanto… ok? – così dicendo alzò il dito e lo agitò davanti al naso di Spike, che rise.

 

- Affare fatto biondina! – il tono del ragazzo era allegro e, mentre Buffy spariva in salotto, si mise seduto in attesa. La ragazza tornò subito facendo danzare il pacchetto mezzo vuoto davanti agli occhi di Spike, che lo prese avidamente.

 

- Hey, quanta fretta… - Buffy si sistemò accanto a lui che, freneticamente, se ne accese una, assaporandola a fondo.

 

- William? – Spike la fissò, mentre inghiottiva il fumo tratto dalla sua affezionata sigaretta.

 

- Scusa tesoro… è che se non fumo, poi mi sento male… - Buffy scosse il capo e Spike sporse le labbra come invito a baciarle, lei si chinò su di lui e vi pose un bacio lento, poi si scostò di colpo.

 

- Bleah… sai di nicotina… - Spike immediatamente spense la sigaretta in un bicchiere che Buffy aveva, distrattamente, lasciato sul comodino sere prima. La ragazza cercò di protestare, ma Spike la prese con forza e la tirò sul letto. Prese a baciarla con passione e a farle scorrere le mani sotto il maglione, posizionandole sui suoi capezzoli già induriti.

 

- Ti voglio Buffy… - la voce vellutata e sensuale di Spike le arrivò flautata alle orecchie, provocandole brividi di piacere. Buffy, che era rimasta stupita dal gesto repentino di lui, si lasciò andare aggrappandosi alle spalle del ragazzo.

 

- Spike… -

 

Il ragazzo le sbottonò velocemente i jeans ed infilò una mano nei suoi slip, sfregando le dita sul suo clitoride, provocandole onde di piacere in tutto il corpo. Spike non le toglieva gli occhi di dosso, catturava ogni suo gemito, ogni sua espressione e questo, sebbene la mettesse un po’ a disagio, le provocava, nello stesso tempo, una gran eccitazione. Buffy allargò le gambe in modo da facilitare l’accesso a Spike che, nel frattempo, aveva infilato due dita all'interno della sua femminilità ed aveva preso a muoverle velocemente, dentro e fuori.

 

- Spike… Spike… più veloce! - Buffy infilzò le unghie nella schiena di Spike facendolo rabbrividire.

 

Il ragazzo, nella foga, le strappò il reggiseno e le sfilò il maglione quasi con ferocia. Buffy, invece di esserne spaventata, venne presa dalla stessa frenesia.

 

- Buffy, sei così bella… così calda… io ti… - Spike si raggelò immediatamente, spaventato da quello che il suo cuore gli aveva dettato e che stava per dirle. Buffy, però, abbandonata alle sue emozioni non aveva fatto caso a quel “io ti” che introduceva, probabilmente, un’assai più importante parola. Aprì gli occhi, non consapevole di quando li avesse chiusi, e fissò il viso terrorizzato di Spike. Allungò una mano e gli carezzò una guancia.

 

- William? Va tutto bene? – Spike si scostò da lei, liberandola dal suo assedio.

 

- Si tesoro, tutto a posto… - rispose distrattamente passandosi una mano tra i capelli. A Buffy, però, i suoi occhi blu, urlavano tutt’altro. Buffy scese dal letto, si rimise il suo maglione, riabbottonò i pantaloni e si posizionò accanto a Spike, poggiandogli una mano sul ginocchio e guardandolo fisso negli occhi.

 

- William… guardami… - il ragazzo, prima di spostare il volto, sospirò pesantemente.

 

- Che c’è William? A me puoi dirlo… davvero… - Spike intrecciò le sue dita a quelle di Buffy, i suoi occhi si velarono di lacrime. Il corpo del ragazzo iniziò a scuotersi da singhiozzi violenti, Buffy gli prese il capo tra le mani e lo portò sul suo seno.

 

- … tranquillo William… tranquillo… io sono qui con te amore, non devi temere niente – Spike affondò il viso tra i seni di lei, cingendole il collo con le braccia. Buffy non sapeva in che modo portargli conforto, il suo pianto disperato le faceva stringere il cuore e si sentiva impotente. Prese a cullarlo.

 

- Amore mio… non soffrirai più, non lo permetterò… - gli baciò i capelli, Spike sembrava si stesse calmando un po’ ascoltando le sue parole. Buffy poggiò il suo capo sulla testa di Spike, tenendolo stretto a se e carezzandogli la schiena nuda, che era diventata gelata.

 

- Tesoro… devi vestirti o ti prenderai un malanno… - pose piccoli baci sulla fronte del ragazzo che, però, non accennò a muoversi. Buffy, alla cieca, tirò un lenzuolo verso di loro ed avvolse, come meglio poteva, il corpo di Spike.

 

- Buffy… - il ragazzo si scostò un poco da lei, in modo da riuscire a guardarla, gli sorrise dolcemente. Spike aveva gli occhi arrossati e lo sguardo perso, come quello di un cucciolo ferito.

 

- Si, tesoro, dimmi… - Buffy gli asciugò le lacrime dal viso, con la punta delle dita.

 

- Non voglio più fuggire, non voglio più stare solo… non lasciarmi Buffy… - la supplicò.

 

Anche se Buffy non aveva ben capito da cosa lui volesse fuggire, ma il messaggio di Spike era chiaro, la solitudine l’aveva avvolto ed ora che aveva assaporato di nuovo l’affetto, aveva paura di essere ferito ed abbandonato nuovamente a se stesso. Il volto e gli occhi di Buffy si fecero seri.

 

- Non ne ho nessuna intenzione… non vado da nessuna parte… io ti amo William, ti ho appena trovato, come potrei lasciarti? – le dita di Buffy, presero ad accarezzargli il volto e poi scesero, soffermandosi sulla cicatrice che aveva notato al suo risveglio.

 

- William… tutte queste cicatrici, come te le sei procurate? – il tono era delicato e dolce. Spike, le prese la mano e si scostò da lei, si alzò in piedi e si chiuse in bagno. Buffy non riusciva a comprendere il suo stato d’animo, attese. Dopo qualche minuto Spike uscì dalla stanza, si era vestito e si era lavato il viso. Si rimise seduto, in silenzio, accanto a lei. Il suo sguardo si fissò a terra e sospirò pesantemente, come a voler misurare il peso delle parole che stava per pronunciare. Alzò il capo e la guardò nei suoi splendidi occhi color smeraldo, pieni d’amore per lui.

 

- E va bene Buffy… prima di farmi delle promesse è giusto che tu sappia, così potrai capire se potrai mai amare il vero me stesso o se ciò che ami è solo l’idea che ti sei fatta di me. Ti racconterò il mio passato… se tu lo desideri – attese una risposta da parte di Buffy che annuì, Spike sospirò di nuovo ed iniziò il suo racconto.

 

- Io sono un soldato Buffy… un soldato che ha tradito il suo Paese, che ha tradito i suoi compagni ed è fuggito dalle responsabilità – Buffy fece per interromperlo, ma lui la bloccò.

 

- Non interrompermi per favore o non riuscirò più a farlo… ti prego, ascoltami… - Buffy annuì.

 

- Sono un orfano e, dopo aver ricevuto un’istruzione nell’Istituto dove stavo, a quindici anni sono fuggito… in quel periodo era scoppiata la guerra in Afghanistan e l’esercito arruolava volontari. Mi sono presentato spacciandomi per sedicenne; i controlli non erano molto approfonditi e fu così che venni reclutato ed educato alla guerra. Con i compagni mi trovavo bene, seguivamo i corsi con disciplina e impegno fu così che, dopo poche settimane, venni notato dai superiori in quanto ero il più rapido del gruppo, il più preciso nel maneggiare qualsiasi tipo di arma ed il più abile nella lotta corpo a corpo. Ai loro occhi ero come un superuomo, ma ero poco più di un ragazzino che giocava a fare l’adulto, comunque quella vita non mi dispiaceva. I miei insegnanti, accortisi delle mie capacità fuori dal comune, mi fecero frequentare un corso più intensivo e più duro, in modo che fossi abilitato rapidamente alla guerriglia, credo che il mio cuore si sia congelato in quel periodo, a poco a poco. Dopo due anni, passati in caserma, venni assegnato ad una truppa capitanata dal Colonnello Riley Finn. Partii subito e scoprii che la mia fama mi aveva preceduto, così i miei nuovi compagni si guardarono bene dall’infastidirmi e dall’approfondire la mia conoscenza, rimasi solo. Conobbi sul campo il Colonnello che, presomi in simpatia, mi arruolò come Capitano e mi affidò una squadra di uomini. La nostra missione era liberare un villaggio dai guerriglieri afgani. Fu un successo, uccidemmo tutti gli avversari e liberammo gli ostaggi. Da lì, mi vennero affidate altre missioni e le portai tutte a termine, scoprendomi anche un bravo stratega. I miei uomini eseguivano ogni mio comando, io stesso, come un automa, mi muovevo sul campo, uccidendo a sangue freddo i miei avversari e provando piacere nel farlo… –

 

Spike fece una pausa, inorridito da quello che aveva appena confessato, il volto di Buffy era mutato diventando una maschera di terrore, Spike distolse rapidamente lo sguardo e si sforzò di continuare.

 

- Ottenni molti successi e fu così che venni nominato Maggiore, ma rinunciai ai gradi in quanto non avrei più potuto agire sul campo. Il Colonnello Finn era fiero del mio operato e mi affidò una truppa più grande per una missione, a detta di tutti, suicida. V’era una zona dove i cecchini erano appostati in ogni angolo recondito delle montagne, vicino ad esse v’era un piccolo villaggio ancora abitato da donne e bambini, noi ci appostammo tra le rocce certi che i soldati avversari, si sarebbero recati, prima o poi, alla fonte d’acqua non lontana dal borgo. Purtroppo fecero ben altro, le informazioni si rivelarono false, i guerriglieri attaccarono il villaggio e noi eravamo distanti. Accorremmo non appena sentimmo gli spari, quando arrivammo impartii gli ordini ai miei soldati e cominciammo a lottare. Io mi ritrovai presto in una casa diroccata, mi muovevo cautamente, misurando il respiro e guardandomi attorno con circospezione. Sentii un rumore e puntai il mio mitragliatore, lo abbassai subito. Rannicchiato in un angolo scorsi un bambino, forse di quattro, cinque anni al massimo, che mi fissava con odio. Nell’altra stanza scorsi i corpi di quelli che dovevano essere i suoi genitori. Rapidamente presi la decisione di portare il bambino in salvo, lo presi in braccio a forza e corsi fuori. Feci solo pochi metri e poi sentii una pallottola trapassarmi il petto, caddi a terra, ancora cosciente. Cercai di alzarmi e mi accorsi che il proiettile non aveva leso il cuore, ma gli era passato solo accanto, poi scorsi il bambino, insanguinato. Pensai subito che si trattava del mio sangue, invece la pallottola aveva trapassato il suo piccolo torace, squarciandogli il cuore. Lo presi tra le braccia e piansi tutte le lacrime che avevo in corpo. I miei uomini si misero a cerchio attorno a me, per proteggermi, come era stato insegnato loro ed uccisero il cecchino che mi aveva ferito. Il mio sangue continuava a sgorgare abbondantemente dalla ferita – Spike si accarezzò la cicatrice sul petto – poi svenni. Quando mi svegliai mi dissero che la metà dei miei uomini era caduta sul campo, ma che la vittoria era stata nostra. Tutti si complimentarono con me e mi augurarono di guarire presto. La mia mente non era più lì con loro, pensavo al bambino che avevo fatto uccidere, ai miei uomini morti per una guerra che non era la nostra. Incominciai a chiedermi se, nel caso in cui l’avessi lasciato nella sua casa, rannicchiato a terra, il piccolo avrebbe potuto essere ancora vivo, se non mi fossi fatto sparare, i miei uomini avrebbero potuto vivere sotto il mio comando… la testa mi scoppiava, era come se il mio cuore e la mia mente congelati, si fossero ridestati d’un tratto ed avessero cominciato a torturarmi. Mi sembrava di impazzire così, una notte, benché fossi ancora convalescente, fuggii dal campo. Nessuno mi notò ed io riuscii, miracolosamente, a lasciare il paese su un aereo cargo. Quando approdai in America, non avevo documenti con me, la mia identità era stata cancellata e la mia voglia di vivere era inesistente. Volevo morire e m’impegnai per farlo accadere, non mi nutrivo, dormivo in posti sconci e, quando capitava, partecipavo alle risse pregando che qualcuno mi uccidesse. Poi incontrai Angel che, ironia della sorte, fu per me un angelo, salvò la mia anima dalla dannazione. Mi prese con se e, con pazienza ed affetto, mi insegnò a vivere in strada, a vivere come un essere umano povero, ma dignitoso. Fu grazie a lui che ritrovai un po’ d’amore per me stesso. Non vivevamo assieme, io andavo e venivo, ma lui era sempre pronto ad accogliermi ed a condividere con me quello che possedeva o che era riuscito a racimolare durante la giornata. Da soldato avevo imparato a non affezionarmi a nessuno, a soffocare i sentimenti e fu così fino a quando non arrivò quella notte, la notte dove spararono ad Angel… la notte dove t’incontrai… - Spike le diede un’occhiata veloce, Buffy era in lacrime ed aveva nascosto il viso tra le mani, ma decise di continuare il racconto.

 

- Quella notte compresi che avevo ancora dei sentimenti umani in me, mi ero affezionato ad Angel, forse gli volevo bene, così telefonai al 911 e chiesi l’intervento dell’ambulanza, il resto lo sai… anzi, manca ancora una cosa, guardami Buffy, te ne prego –

 

La ragazza, a fatica, allontanò le mani dal viso e si girò verso di lui, l’espressione terrorizzata di poco prima, aveva lasciato il posto ad una triste ed affranta che aveva tuttora. Spike continuò, mentre Buffy gli prese timidamente una mano.

 

- Anche se ho voluto negarlo, anche se ho cercato di evitarlo in tutti i modi, allontanandomi da te e trattandoti con freddezza, ho fallito su tutta la linea. L’ultima cosa che ti devo ancora confessare è che… - sul volto di Spike scesero lacrime dolorose – io ti amo… ma tu puoi amarmi ancora, adesso che sai tutta la verità? Ora che sai che ho ucciso? Che mi è piaciuto farlo e che ho provocato la morte di innocenti? – Spike attese.

 

Buffy era scioccata. Se il viso di Spike, in quel momento, non fosse stato così serio, si sarebbe messa a ridere certa che tutta quella storia fosse solo un’invenzione per prenderla in giro. Lo sguardo cristallino e seriamente preoccupato di Spike però, lavò via quell’assurdo pensiero. Ora era al punto di non ritorno, finalmente Spike le aveva detto quello che provava per lei, ma la cornice di quella dichiarazione d’amore erano morte e sofferenza, l’avrebbe potuto sopportare? Inoltre c’era ancora una domanda che le tormentava la mente ed era giunto il momento di porgliela anche, dovette ammettere, temeva la risposta.

 

- William… io… un giorno ho visto i miei aggressori… ed erano… sfigurati… io mi chiedevo… Insomma, sei stato tu? – pronunciò le ultime parole tutto d’un fiato, distogliendo lo sguardo dal ragazzo e allontanando la mano. Spike sospirò.

 

- Sì, sono stato io… quando perdesti conoscenza ti presi al volo prima che potessi farti del male, cadendo sull’asfalto. I due tizi erano ancora a terra, privi di senso e con il naso sanguinante, perciò mi preoccupai di coprirti e di tenerti al caldo, contro di me. Non ti toccai mai, sapevo che ne saresti stata disgustata, così restai in attesa del tuo risveglio. Quando quelle bestie si ridestarono, mi lanciarono un’occhiata e si dettero alla fuga. Non sapevano nulla di me, ma io sapevo molto di loro, persino i loro nomi e dove trovarli. La sera successiva li raggiunsi che era già tarda notte, mi nascosi vicino ad un pilone sotto il ponte dell’autostrada, loro erano accampati poco più avanti. Non avevo nessun’arma con me, solo la rabbia, la mia velocità e la mia forza fisica. In un batter d’occhio scivolai dietro Bill e gli cinsi il collo con un braccio fino a farlo svenire. Murphy, intanto, si mise a correre ma io, dopo aver raccolto un frammento di vetro, lo raggiunsi nel giro di pochi secondi. Con un calcio ben assestato alla gamba lo feci cadere a terra e lì la collera mi offuscò la mente. Ricordo che lo colpii talmente tanto da renderlo irriconoscibile, provocandogli ferite profonde sul viso con il pezzo di vetro che stringevo tra le dita. Murphy, coperto di lividi e sangue, portò le mani al mio viso e mi graffiò, ma io continuai fino a che non svenne. Pensai di averlo ucciso, ma non me ne preoccupai, Bill mi aspettava. Tornai indietro, trascinandomi dietro anche il corpo esanime di Murphy, e lo raggiunsi. Era riverso sul terriccio, ancora privo di sensi. Ricordo che mi asciugai il sudore ed il sangue di Murphy che mi era schizzato in faccia e colpii Bill, con tutte le mie forze, urlandogli di morire mentre lui mi pregava di smettere. Dopo aver pestato anche lui, passò qualche ora, mi calmai ed attesi. Fumai una sigaretta dietro l’altra, restando in attesa del loro risveglio; volevo che avessero ben presente il volto dell’uomo che li aveva portati così vicini alla morte. Murphy si svegliò per primo, urlando dal dolore provocatogli dalle ferite ancora aperte sul volto. Gli presi il colletto della giacca e lo alzai, senza fatica, fino a che i nostri visi non furono a due dita di distanza. Ricordo perfettamente il tanfo del suo alito ed il forte odore del sangue, che mi stava scorrendo, vivo e caldo, sulle mani. Annusai l’aria e sentii la brezza della morte che si aggirava in quel luogo, io stesso l’avevo portata lì. Quando fui certo di aver catturato l’attenzione di quell’animale, gli dissi che non avrebbe mai più dovuto alzare un dito su di una donna e che avrebbe dovuto raccontare che lui ed il suo compare erano stati pestati a sangue dalla polizia, perché trovati a dormire sugli scalini di una Chiesa. Poi gli ricordai che, se non avrebbero eseguito l’ordine, la Morte sarebbe tornata a fargli visita per terminare il suo lavoro. Murphy mi balbettò delle frasi confuse, ma compresi che aveva afferrato il messaggio, così mi allontanai. Da quella sera ti seguii, sempre, ogni notte, stando ore ed ore a fissare la finestra del tuo appartamento, cercando di scaldare il mio cuore con la debole luce che emanava. Quella mattina di dicembre, Buffy, mi innamorai di te… della tua fragilità, dei tuoi occhi impauriti, del calore che il tuo corpo emanava contro il mio… - Spike finì così la sua lezione.

 

Buffy si rese conto di non conoscere la persona che aveva davanti, come poteva trattarsi dello stesso uomo che l’aveva stretta tra le braccia poche ore prima? Che l’aveva amata con ardore facendola sentire una vera donna, desiderata ed importante? Ora era cambiato tutto, benché avesse detto ad Angel di essere contenta nel vedere quei due sfigurati, adesso che sapeva la verità, provava una punta di pietà per loro. Spike, che aveva voluto proteggerla, aveva reagito alla violenza con altra violenza. Che tipo di amore le stava offrendo? L’amore passionale? Quello che arde, che consuma, che non lascia niente alla fine? O l’amore vero? Quello di un uomo pentitosi del suo passato, di un uomo che chiede di essere amato, e di poter ricambiare quell’amore, nonostante gli errori commessi? Buffy era confusa, non conosceva la risposta a quelle domande. Anche se Spike ne pretendeva una, lei non se la sentiva di dargliela, aveva bisogno di tempo per pensare. Lo guardò, i suoi profondi occhi blu erano intensi e desiderosi d’affetto. Le stavano chiedendo di amarlo, di non respingerlo… Il silenzio, calato come un pesante manto tra loro, venne rotto dalla voce di Spike.

 

- Mi odi ora, vero? Odi quello che ti ho raccontato, il mio passato. Mi odi per aver infranto il tuo sogno, giusto? Per aver fatto sparire l’uomo che amavi? Mi odi? Parlami Buffy, PARLAMI MALEDIZIONE! Non puoi startene in silenzio! Non puoi… ho bisogno di sentire la tua voce… – le afferrò le spalle, mentre le lacrime presero a solcargli, lentamente, le guance. Buffy deglutì a fatica, non aveva ancora trovato una risposta dentro di lei, sebbene la disperazione e l’aria di quella stanza fossero diventate insopportabili.

 

- Io… io… devo andarmene da qui… - si alzò e fece per andarsene, ma Spike alzatosi anch’egli, le prese un braccio e la fece voltare.

 

- Non lasciarmi Buffy, non puoi lasciarmi… l’avevi promesso… - la stretta del ragazzo era gentile, non v’era violenza nei suoi gesti o nella sua voce, solo una profonda paura e un immenso sconforto, era consapevole di essersi giocato l’amore di Buffy, ma non sopportava l’idea di essere abbandonato, non ora che sapeva di amarla così tanto. Era consapevole del fatto che, mentre raccontava la sua storia, la stava perdendo parola dopo parola, ma non se l’era sentita di cominciare la loro storia con i fantasmi del passato che, alla fine, si sarebbero presentati per saldare i conti lasciati in sospeso.

 

- William… lasciami andare… - la voce di Buffy tremava leggermente. Spike l’abbracciò stretta, lasciandosi poi cadere in ginocchio, cingendole le gambe con le braccia.

 

- No, Buffy… no… - la stretta di Spike era forte, abbracciato alle sue gambe le sembrava così indifeso ‘è violento’, così fragile ‘ha ucciso’, la voce che sussurrava quelle terribili parole nella sua mente, non le dava tregua, ma il corpo di Spike, aderente alle sue gambe, le emanava lo stesso calore provato quella mattina e quelle notti passate con lui, poteva abbandonarlo? Negli occhi di Buffy si formarono gocce di pianto che rotolarono, dolcemente, sulle sue guance, bagnandole il volto.

 

- William… io non… - Spike ancora inginocchiato, in quel momento alzò lo sguardo che, carezzevole, percorse il corpo di Buffy e si fermò sul suo viso. Lentamente si alzò, senza mai distogliere lo sguardo, fino a raggiungere i suoi occhi. Reclinò il capo da un lato e cercò di sorriderle, fu un sorriso triste ed impacciato che aveva il sapore dell’addio.

 

- Ho capito Buffy, non c’è bisogno che tu dica nulla… sono contento di averti confessato tutto e di essere riuscito a dire che ti amo. C’è solo una cosa che ti voglio chiedere Buffy, questa mattina, mentre facevamo l’amore, eri lì con me, vero? È difficile da spiegare, ma… - Spike levò lo sguardo per un momento e sospirò, quando Buffy gli toccò lievemente una mano, riacquistando la sua attenzione.

 

- Si, c’ero… e, se te lo stessi domandando: no, non sono pentita… - negli occhi del ragazzo balenò una debole luce di speranza, ma Buffy non aggiunse altro. Spike si passò nervosamente una mano tra i capelli.

 

- Beh, credo che sia giunta l’ora di andarmene… grazie per avermi ascoltato Buffy, mi hai aiutato molto – il ragazzo cominciò a camminare verso la porta e poi, prima di oltrepassarla, girò appena il capo e, da sopra la spalla, osservò Buffy che silenziosa lo guardava mentre si allontanava.

 

- Addio Buffy… ti auguro di trovare un giorno la felicità che meriti – varcò la soglia e si diresse in salotto, seguito da una Buffy frastornata e dalla mente confusa. Lentamente raccolse le sue scarpe e le indossò, poi aprì l’armadio a muro e vi estrasse lo spolverino regalatogli da lei e se lo mise. Ogni gesto gli costava fitte tremende al petto, nei suoi occhi le lacrime, che volevano uscire, pungevano come mille aghi. Cercò di non incontrare il viso della ragazza, in quanto gli sarebbe stato impossibile andarsene se l’avesse guardata di nuovo negli occhi. Non avrebbe potuto spiegare il motivo per il quale si era innamorato di lei, ma era certo che non aveva e che non avrebbe più provato niente del genere per nessun’altra. Lei si era portata vicino al tavolo e si era aggrappata al bordo con entrambe le mani, stringendolo con forza. La stanza era, ormai, avvolta nella penombra. Non si era nemmeno accorta che l’ora era tarda, Spike aveva parlato per un tempo infinito, quasi congelando le ore che, in realtà, erano trascorse velocemente. Spike, ormai giunto davanti alla porta d’entrata, si tastò le tasche e si rese conto di aver dimenticato le sigarette sul comodino della camera da letto. Buffy, osservandolo, capì e le andò a prendere. Mentre raccoglieva il pacchetto sdrucito, sentì la porta aprirsi. In un attimo, nella sua mente, passarono le immagini di suo padre che, con le valigie alla mano, usciva dalla sua vita; dei suoi ragazzi che, dopo qualche notte di sesso, prendevano e se ne andavano, lasciandola sempre sola; ora c’era l’immagine di Spike, solo che questa volta era stata lei ad obbligarlo ad andarsene. Strinse il pacchetto tra le dita, mentre il rumore della porta che si chiudeva le arrivò alle orecchie. In un’ondata violenta, i sentimenti per Spike la investirono, non poteva perderlo. Velocemente, correndo per l’appartamento, arrivò davanti all’uscio e lo spalancò trovando Spike ancora in piedi, a pochi passi da esso, che le dava la schiena. Al rumore provocato da Buffy, Spike sussultò, ma non si voltò. Sentì, invece, le mani della ragazza scivolargli attorno alla vita, fino ad abbracciarlo. Sentì la testa di Buffy, poggiarsi e nascondersi nel suo spolverino, mentre la sua stretta aumentava leggermente e le sue mani salivano accarezzandogli dolcemente il torace. La voce di Buffy, attutita dalla giacca, gli arrivò vellutata alle orecchie.

 

- William… non andartene… - Spike chiuse gli occhi, per appropriarsi meglio quelle parole che aveva desiderato udire poco prima. Riaprì gli occhi, mentre faceva scorrere le sue mani su quelle di Buffy, però non si voltò.

 

- Buffy, questo non è quello che vuoi, io… - la voce, ora tremante, della ragazza lo interruppe.

 

- William, quello che voglio sei tu… -

 

Il corpo del ragazzo fu percorso da un brivido che lo fece irrigidire. Si sciolse dall’abbraccio della ragazza e si voltò per fronteggiarla. Tutto il suo coraggio svanì di colpo trovando il viso di Buffy rigato dalle lacrime, con le labbra leggermente imbronciate ed i suoi occhi, profondi e limpidi, nei quali riusciva a scorgere la sua fragilità e la sua dolcezza. Buffy gli sorrise debolmente e lui la guardò con tenerezza, mentre lei ripeteva quello che lui, forse per tutta la vita, aveva voluto sentirsi dire dalle persone che aveva amato.

 

- Quello che voglio sei tu, solo tu… - Buffy rimase immobile, in attesa di un gesto di Spike che le avrebbe rivelato le sue intenzioni. Di slancio il ragazzo l’abbracciò e, con voce bassa, sussurrò nel suo orecchio.

 

- Quella che voglio sei tu, solo tu… - le prese il lobo tra le labbra e lo morse scherzosamente, poi si allontanò dal viso della ragazza e la fissò con il capo inclinato.

 

- Che c’è? – gli chiese Buffy, con premura. Sulle labbra di lui si allargò un sorriso, Buffy lo ricambiò e l’abbracciò stretto.

 

- Ti amo Will… - sentì i muscoli tesi di Spike, rilassarsi mentre la sua voce calda le accarezzò nuovamente l’udito.

 

- …iam. O Spike o William, niente diminutivi per favore… e ti amo anche io Buffy, ti amo moltissimo – la fece volteggiare e, dopo averla posata a terra, le catturò le labbra posandovi un bacio appassionato che lei ricambiò senza remore.

 

Continuando a baciarsi e ad accarezzarsi sempre più freneticamente, riuscirono a rientrare nell’appartamento dove, una volta chiusa la porta dietro di loro, Spike cominciò ad insinuare le sue mani sotto il golfino di Buffy, carezzandole voglioso la pelle morbida della schiena. Buffy gli fece scivolare lo spolverino dalle spalle e, subito dopo, gli sfilò la maglia dai pantaloni e, aiutata da lui che alzò le braccia, gliela tirò via. Buffy aiutò Spike, a sua volta, a toglierle il golfino in modo che lui non avesse impedimenti. Rapidamente la liberò anche del reggiseno, che volò in un angolo del salotto, mentre Buffy prese a posargli baci su tutto il petto, stuzzicandogli con la lingua i capezzoli e strappandogli gemiti quando li prendeva gentilmente tra i denti. Spike, con una spinta, la buttò sul grande divano e, sensualmente, le sbottonò i jeans, fissandola intensamente mentre lo faceva. Appena i bottoni furono aperti, fece scivolare una mano negli slip di Buffy e prese ad accarezzarle il clitoride, gentilmente, disegnando piccoli cerchi con l’indice. Con l’altra mano si riempì del suo seno e cominciò a stuzzicarne il capezzolo con l’indice ed il pollice, sentendolo indurirsi sotto il suo tocco. Con la bocca cominciò a tracciare un percorso definito che partì dall’ombelico e che passò sull’altro seno, dove la sua lingua cominciò a tormentarle l’altro capezzolo già inturgidito. Spike fu soddisfatto nel vedere Buffy seguire i suoi movimenti, spingendo ritmicamente il bacino contro la sua mano, e gemere ad ogni tocco della sua lingua e delle sue labbra. Quando sentì la femminilità di Buffy abbastanza bagnata, fece scivolare delicatamente due dita in lei e prese a muoverle dentro e fuori velocemente, stuzzicandole il clitoride con il pollice.

 

 

- Sp… i… ke… - la voce di Buffy era rotta dagli ansiti, il suo corpo fu scosso da piccoli spasmi quando l’orgasmo la investì. Spike, sfilò la mano dai pantaloni della ragazza e prese a leccarsi le dita viscose, sorridendo maliziosamente mentre lo faceva. Buffy, ancora con il fiato corto, arrossì nel guardarlo.

 

- Non farlo… mi vergogno… - e così dicendo distolse lo sguardo dal ragazzo che, gentilmente, le prese il mento e la fece voltare di nuovo.

 

- Di che ti vergogni passerotto? Di quello che ti faccio? Ammetti che ti piace, che lo vuoi ancora… - Buffy sgranò gli occhi, lo Spike di ora era diverso da quello che l’aveva amata la mattina, era più arrogante, più sicuro di se, più sexy e a lei piaceva dannatamente tanto, anche quella voce bassa e roca che la invitava a rivelare i suoi desideri più intimi.

 

- Si… lo voglio ancora… - disse con un filo di voce, la gola le era diventata secca improvvisamente. Spike sorrise ed assunse un’espressione sorniona, iniziando a massaggiarle sensualmente in modo circolare il ventre.

 

- E che cosa vuoi Buffy? Cosa vuoi che ti faccia? Dimmelo ed io eseguirò… - la voce di Spike era vellutata e morbida, tuttavia aveva una carica erotica che Buffy non si era mai immaginata potesse raggiungere. Lei arrossì ancora di più guardando Spike che alzava un sopracciglio ed aspettava la sua risposta, capì che non si sarebbe più mosso finché non avrebbe accettato di giocare con lui. Buffy non accennava a dire nulla così smise di massaggiarle la pancia, lei protestò ma lui la zittì alzando un dito e facendo schioccare la lingua, scuotendo la testa.

 

- Il tuo Spike non farà più nulla se non sarai tu a chiederlo… così, mia signora, non ti resta che farlo, io aspetto… - rise e Buffy sbuffò, raggiungendo una nuova tonalità di rosso sulle guance.

 

- Toglimi… - iniziò timidamente – i jeans… - Spike si posizionò vicino al suo orecchio e le sussurrò con voce roca.

 

- … e come vuoi che te li tolga? – Buffy rimase attonita, quanti modi c’erano per togliere dei pantaloni?

 

- Non… so… - la sua mente era offuscata dai pensieri più sconci che le fossero mai venuti in mente. Spike le leccò il lobo dell’orecchio e disegnò una linea lungo il suo collo, poi si scostò, ma non di molto.

 

- Avanti… dillo… lo so che ti stai immaginando delle cose… sconce… cattive… - Buffy sentì un’ondata di calore scorrerle per tutto il corpo e concentrarsi nel suo basso ventre, dandogli una scossa di piacere e facendola bagnare di più.

 

- Sfilali… con violenza… strappameli via… - ansimò. Spike eseguì, le prese le due estremità dei jeans aperti e, con un movimento veloce, li fece scivolare lungo le sue gambe, irruentemente come aveva richiesto lei.

 

- Fatto… ed ora, mia signora? Che cosa ordina? – la sua espressione era terribilmente sfrontata, Buffy era decisamente in difficoltà. Ora aveva indosso solo le mutandine… ma lui indossava più biancheria di lei così decise di giocare sporco, in modo da riprendere fiato.

 

- Togliti tu i pantaloni ora… - Spike non si scompose e non si mosse, sogghignò fissandola intensamente.

 

- No Buffy, il gioco prevede che io faccia qualcosa su di te, non su di me… - sempre con il solito cipiglio di vittoria, Spike inclinò il capo trattenendo una risata. Il viso di Buffy era paonazzo, non poteva salvarsi da quell’indemoniato. Deglutendo a fatica cercò di scacciare le immagini ad alto contenuto erotico che le continuavano ad invadere la mente, cercò di darsi un contegno e di scegliere la via più facile.

 

- Va bene, allora baciami… - sorrise, certa della sua vittoria, ma Spike era pronto a smentirla.

 

- Dove e come, vuoi che ti baci? – la sua voce era calda, così calda che la faceva impazzire, mancava veramente poco per farle perdere il controllo.

 

- Sulla bocca, prima lievemente poi con la lingua… - Spike scosse il capo.

 

- Buffy… devi imparare a divertirti… lasciati andare… vedrai che ti piacerà, gioca fino in fondo con me… accetta la sfida, avanti! – si fece serio e continuò - comunque… ai tuoi ordini – Spike si chinò su di lei ed eseguì quello che aveva richiesto. Si porse verso di lei e poggiò le sue labbra alla bocca di Buffy, sfregandole contro le sue gentilmente, poi con la punta della lingua, cominciò ad inumidirle il labbro inferiore, poi passò a quello superiore, iniziando a stuzzicarli, chiedendole di lasciarlo entrare. Buffy godendo appieno del contatto, socchiuse le labbra, permettendo a Spike di approfondire il bacio. La sua lingua le esplorò la bocca e le accarezzò il palato, solleticandolo; poi le loro lingue s’intrecciarono e si ricercarono a vicenda; Buffy gli cinse il collo con le braccia, attirandolo di più a se. Per un attimo Spike si sistemò sopra di lei e Buffy percepì il suo membro duro che premeva contro la stoffa dei suoi jeans neri, un brivido la percorse, voleva averlo di nuovo dentro di se, ma Spike, ad un tratto, mise fine al bacio e, scostandosi, le sorrise.

 

- Ed ora? Cosa vuoi che faccia? – Buffy era frustrata, era ad un livello alto d’eccitazione e non riusciva a capire come facesse Spike a controllarsi e a non prenderla con la forza lì, su quel divano, in quel momento.

 

- Pren… di… mi… – disse in un sussurro quasi impercettibile. Spike che, però, aveva capito benissimo, continuò a giocare.

 

- Come? Non ho sentito… - le sorrise incoraggiante, Buffy lo guardò quasi con rabbia e gli urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

 

- SCOPAMI! SCOPAMI SPIKE… - il ragazzo si allontanò e si mise in ginocchio su di lei, infilando i pollici nei passanti dei suoi pantaloni scuri, quelli proprio sopra l’inguine, facendo abbassare un poco la stoffa. La fissò malizioso e poi scosse il capo, risistemandoli.

 

- No Buffy… se non vuoi giocare come si deve, allora sarò io a giocare… ti va? – inarcò un sopracciglio e le fece un mezzo sorriso, pieno di significati. Buffy, esasperata e desiderosa di lui come non lo era mai stata di nessuno, fece un lieve segno d’approvazione con il capo, sebbene avesse timore di quello che stava per chiederle. Spike entusiasta scese dal divano, si mise in piedi e, con le braccia incrociate sul petto, la fissò e fece finta di pensare.

 

- Mmh… vediamo… ci sono tante cose che vorrei che facessi – le fece l’occhiolino e continuò - … non so proprio quale scegliere… - Buffy era tesissima e pendeva dalle sue labbra, d’un tratto il viso di Spike s’illuminò.

 

- TROVATO! Voglio che mi baci sensualmente, partendo dalle labbra e scendendo verso il collo, arrivando fino ai miei capezzoli, poi ti dirò cosa fare… - mentre aveva pronunciato quelle parole, aveva percorso con il dito il tragitto che Buffy avrebbe dovuto seguire con le sue labbra. Buffy, controvoglia, si alzò dal divano e si mise di fronte a lui che, sfrontatamente, la fissava divertito. Si avvicinò al suo corpo ed il suo odore l’avvolse, inebriandola. Poggiò le mani sulle spalle nude del ragazzo e si alzò sulle punte per raggiungere le sue labbra. Vi posò un lieve bacio, poi un altro ed un altro ancora, tentando di distrarlo dal quello strano gioco, ma le labbra di Spike non si mossero di un millimetro, così Buffy fu costretta ad iniziare a scendere verso il punto che lui aveva indicato, appena dietro l’orecchio. Buffy avrebbe desiderato sentire le sue dita che s’intrecciavano ai suoi capelli, ma Spike era rimasto immobile gemendo sommessamente ad ogni bacio. Buffy arrivò sul suo petto e prese a scendere verso il suo capezzolo sinistro, poi si fermò e lo guardò, in attesa del nuovo ordine. Il viso di Spike era rilassato, ma Buffy sapeva che dietro l’espressione arrogante, che aveva assunto, v’era una profonda eccitazione, provata anche dal rigonfiamento evidentissimo dei suoi jeans. A Buffy, che si accorse di aver spostato lo sguardo sulla stoffa sporgente, vennero in mente immagini sconce. Cercò di ricacciarle indietro obbligando il suo sguardo a posarsi di nuovo sul ragazzo e alla sua mente di concentrarsi su altro, magari sugli occhi intensi di Spike che ora la fissavano, emanando uno strano luccichio.

 

- Ora lecca l’aureola del mio capezzolo, mentre stuzzichi l’altro con le dita. Poi lo prenderai tra i denti e lo succhierai fino a che non ti dirò di smettere – la voce di Spike, mentre pronunciava queste parole, ebbe un lieve fremito che non sfuggì a Buffy. Lei eseguì quello che lui aveva richiesto, leccò e succhiò il suo capezzolo, e stuzzicò l’altro. Notò che il movimento armonioso del petto di Spike, dettato dal suo respiro, divenne ad un tratto irregolare. Buffy ne rimase soddisfatta, evidentemente quello che gli stava facendo gli piaceva… Buffy fece per baciarlo, ma lui si tirò indietro.

 

- No, no Buffy… Stiamo ancora giocando, non puoi fare quello che vuoi… ora accarezzami tutto, partendo dal petto e scendendo verso le gambe, mi toglierai i pantaloni carezzandomele ed accompagnandoli fino ai piedi – l’eccitazione di Spike era evidente ed i suoi occhi erano accesi di desiderio, tuttavia riusciva a controllarsi; cosa che a Buffy risultava quasi impossibile, desiderava essere baciata, toccata, desiderava ardentemente averlo dentro di se, ma senza giocare. Sospirò e si arrese ancora alle richieste del ragazzo. Prese ad accarezzargli il petto, solleticandogli la pelle liscia con la punta delle dita e scendendo verso lo stomaco, posando baci e piccoli morsi lungo il tragitto. Sentì Spike gemere sommessamente, evidentemente cercava di trattenere le sensazioni per non abbandonarsi completamente, questo divertì Buffy. Con un gesto estremamente lento, infilò intenzionalmente le sue dita affusolate nel bordo dei jeans, facendole scivolare verso il bottone, che slacciò in un attimo. Rimase ferma fino a che Spike non abbassò lo sguardo per fissarla; appena ebbe ottenuto la sua attenzione prese la cerniera tra i denti e l’abbassò sfregando, intenzionalmente con il naso, la sua erezione che premeva sotto la stoffa dei boxer. Prima di iniziare a far scorrere i pantaloni lungo le gambe, guardò Spike che, con un’espressione indecifrabile ed il respiro affannato, la divorava con gli occhi, gli sorrise diabolicamente mentre gli accarezzava il sedere, prendendo la stoffa dei jeans tra le dita ed iniziando a farla scendere sensualmente lungo le sue gambe. Lei e Spike non si staccavano gli occhi di dosso, l’eccitazione era ai massimi livelli sopportabili e sarebbe bastata solo una scintilla per far divampare il fuoco che ardeva in loro. Il cuore di Buffy prese a battere all’impazzata, mentre si alzava pronta a ricevere nuovi ordini. Spike si avvicinò a lei ed inclinò il capo, puntando le sue labbra e dopo essere arrivato a pochi millimetri da queste non la baciò, ma le sussurrò con voce roca ed ansimante.

 

- Toglimi i boxer Buffy… tocca il mio pene… Dio Buffy, fallo… fallo ora… - Spike chiuse gli occhi e sfregò il suo naso contro quello di Buffy, assaporando il suo odore.

 

- Buffy… -

 

Buffy era rapita da quelle labbra piene che, così vicine alle sue, sussurravano il suo nome. Avvertiva il fiato caldo di Spike sul suo viso e sentì le sue mutandine bagnarsi ancora di più. Il suo corpo, questa volta, reagì senza ascoltare la ragione. Con coraggio gli cinse la vita con le braccia ed insinuò le mani nei suoi boxer, carezzandogli i glutei con sensualità. Allargò le braccia in modo da far stendere l’elastico e cominciò, senza fretta, a farli scendere, inginocchiandosi. Ad ogni centimetro di pelle scoperta, Buffy veniva scossa da brividi. La punta del membro teso del ragazzo fece capolino dai boxer che, nel frattempo erano scivolati sul pavimento. Adesso il suo pene era libero di ergersi fiero dinnanzi a lei. Buffy se ne riempì la vista, quella mattina mentre si erano amati, non aveva notato quanto fosse duro e grande, era stata troppo occupata a gemere sotto di lui. Inginocchiata di fronte al suo pene, con le mani poggiate sulle sue anche, Buffy sentì il bisogno di distogliere lo sguardo, così lo posò ancora sul viso di Spike che la fissava sfacciatamente.

 

- Buffy… toccalo… afferralo tra le mani… fagli scivolare sopra le tue labbra, la tua lingua, prendilo in bocca… - disse con voce setosa.

 

- Ma… io… -

 

Buffy lo guardò sgranando gli occhi, quel gioco si stava facendo troppo pericoloso. Sebbene volesse Spike disperatamente, quella richiesta così esplicita la metteva a disagio. Era certo che ora, nella sua mente, le immagini dell’aggressione erano state sostituite da quelle di amplessi amorosi tra lei e Spike, ma questo non impediva ai suoi tabù di riaffiorare, non consentendole di soddisfare quella richiesta. Spike, che era rimasto fino a quel momento in attesa, le prese dolcemente il mento e lo sollevò, voleva scrutare i suoi splendidi occhi verdi, per essere sicuro di non aver esagerato.

 

- Tutto bene amore? Se non te la senti, va bene… - il suo tono era cosi dolce che Buffy si sciolse. Gli sorrise ed annuì impercettibilmente, Spike le accarezzò la guancia e, intrecciando le sue dita nei suoi capelli, le avvicinò il viso al suo membro bisognoso di attenzioni.

 

Buffy deglutì a fatica, aveva la gola secca ed avrebbe rinunciato a tutto se il suo corpo non si fosse opposto, inviandole chiari segni classificabili come “voglia di sesso”. Seguendo il suo istinto, spostò le mani verso l’interno coscia di Spike e prese ad accarezzarlo, mentre con la sua lingua disegnava cerchi attorno ai suoi testicoli. Risalì lungo il suo pene eretto, raggiungendone la punta. Cominciò a picchiettarla gentilmente sulla lingua, mentre i gemiti profondi di Spike si facevano sempre più frequenti, invitandola a continuare. Lo prese in mano e cominciò a muoverla su e giù, sempre stuzzicandolo con le labbra e la lingua. Lo fece scivolare, a fondo, nella sua bocca assaporando la secrezione viscosa che ne era fuoriuscita. I movimenti, dapprima lenti, si erano fatti più rapidi ed intensi, Spike aveva gettato la testa all’indietro e mormorava parole incomprensibili tra un mugolio e l’altro.

 

- Amore… fammi sedere… ti prego… - Spike faticava a parlare, stava perdendo il controllo e, se non si fosse seduto subito, sarebbe crollato in quanto le sue gambe lo sostenevano a fatica. Buffy smise per un attimo di dargli piacere per permettergli di sistemarsi sul divano. Si mise seduto con le gambe divaricate, così che Buffy potè posizionarvisi nel mezzo, in ginocchio, davanti a lui. Ricominciò a pompare, accompagnata dalle carezze di Spike sul suo capo. Il suo pene entrava ed usciva dalla sua bocca, mentre le sue mani vagavano sulle cosce e sul petto di Spike, carezzando ogni punto che riuscivano a raggiungere. I gemiti del ragazzo si erano fatti più forti e, d’un tratto, l’allontanò.

 

- Passerotto… se continui così… non potrò resistere a lungo… - la fissò, cercando di respirare regolarmente. Sul volto di Buffy si allargò un sorriso di vittoria e, senza badare all’avvertimento del ragazzo, fece scivolare nuovamente il membro nella sua bocca, stuzzicando il glande con la lingua. Spike, godendo appieno del contatto, non ebbe la forza di aggiungere altro. Chiuse gli occhi e lasciò che il piacere invadesse il suo corpo.

 

- Buffy… oh… si, così Buffy… - disse con una voce talmente roca e bassa che Buffy ne rimase affascinata, fu felice di constatare che quello che gli stava facendo, lo appagava.

 

- Oh Buffy… si, così, prendilo tutto… - le prese una mano tra le sue e se la portò sul petto.

 

- Toccami Buffy… toccami ancora mentre lo succhi… - lei non si fece pregare troppo, cominciò a stuzzicargli un capezzolo con la mano libera, mentre con l’altra gli tormentava i testicoli.

 

- Oh, piccola… mi fai godere così tanto… - Buffy non sembrava voler smettere di soddisfare le sue esigenze, desiderava assaporare tutto di lui.

 

- Buffy… sto per venire… - la ragazza non smise di pomparlo nella sua bocca. Spike, con fatica, aprì gli occhi incontrando i suoi che, con lussuria, lo fissavano, mentre continuava a succhiare provocantemente il suo pene con avidità. Spike spalancò gli occhi, percependo il chiaro messaggio che lei gli stava mandando e si sentì libero di abbandonarsi completamente. Si rilassò e lasciò che l’orgasmo s’impadronisse del suo corpo, il suo seme caldo invase la bocca di Buffy.

 

- Sì amore… ingoialo tutto… è tutto per te… - dicendo questo cominciò ad accarezzare i capelli di Buffy che ingoiò il suo seme e si leccò le labbra. La ragazza fece le fusa come una gattina, mentre si arrampicava sopra di lui. Con movimenti fluidi ed armoniosi gli si mise accanto.

 

- Miaoooo… - fece lei, Spike ridacchiò e, con un braccio, le avvolse le spalle attirandola a se.

 

- Mmh, lo sai quanto ti amo Miss Kitty? – sfregò la sua guancia sulla fronte di lei, che scherzò ancora.

 

- Ron ron ron ron… miaaaoooo – gli poggiò una gamba tra le sue e Spike le posò piccoli baci partendo dalla fronte fino sul naso.

 

- Lo sai cosa non hanno le micette come te? – inarcò un sopracciglio, mentre Buffy lo guardava interrogativamente sempre strusciandoglisi addosso.

 

- Gli slip… - abbassò il tono della voce di proposito, rendendola più vellutata. Buffy arrossì. Spike l’allontanò e si girò su un fianco poggiando il gomito sul divano, tenendosi la testa; insinuò una mano sotto il cotone morbido delle sue mutandine. Buffy, di riflesso, si fece più vicina in modo che Spike potesse far penetrare la mano più a fondo fino ad arrivare ad accarezzare la sua femminilità da dietro.

 

- Oh… Spike… - sussurrò, nascondendo il viso nel petto del ragazzo. Le carezze divennero sempre più intime, obbligando Buffy ad avvicinarsi ancora di più in modo che Spike potesse infilarle meglio la mano tra le cosce morbide e frementi.

 

- Strappale Spike… - lo pregò. Il ragazzo, anche se stupito, fece riemergere la mano ed afferrò il bordo delle mutandine strattonandolo con forza, riuscendo a lacerare, senza troppa fatica, il sottile strato di cotone. Buffy lo aiutò a sfilarle il brandello di stoffa che, poco prima, era uno slip e, dopo aver preso la mano di Spike, se la portò tra le gambe.

 

- Toccami Spike, fammi godere, ne ho bisogno… - supplicò.

 

Il ragazzo non si fece pregare troppo e prese ad accarezzarle il clitoride con gesti lenti, Buffy si mise supina e Spike seguì il suo movimento, stendendosi accanto a lei, a pancia in giù sempre dandole piacere con le dita. Si chinò sul suo seno e prese a succhiarle e mordicchiarle un capezzolo, già inturgidito. Buffy faceva le fusa, ma questa volta non scherzava, si strusciava contro la sua mano inarcando la schiena e chiedendo sempre più attenzione. La sua vagina era già bagnata, grazie alla performance di poco prima, così con facilità le infilò due dita dentro e prese a muoverle aritmicamente, facendola gridare di piacere.

 

- Ahhh, Spike… sì, così… più veloce… più veloce… - Spike, obbedendo ai suoi ordini, velocizzò i movimenti e, con voce roca, sussurrò a Buffy.

 

- Mi piace la tua figa così bagnata per me… - Buffy arrossì, ma non fece nessun commento, era troppo presa ad assaporare le sensazioni che le dita fantastiche del suo ragazzo le stavano inviando.

 

- Ohhh… Will… iam… continua così… - ma il ragazzo sfilò la mano, mettendo fine al suo tormento, facendola protestare.

 

- Ancora… - implorò, il ragazzo le sorrise.

 

- Non ti piacerebbe che ti facessi qualcos’altro? Vorrei suggerirti una cosa, ma solo se me lo ordini… - un ghigno gli si dipinse sul volto, intanto che Buffy cercava di riprendersi dal turbine di passione in cui era caduta. Annaspando alla ricerca di aria, Buffy riuscì solo ad annuire, voleva ripristinare la situazione di poco prima; si era permesso di smettere proprio quando stava per venire, non gliel’avrebbe perdonato facilmente.

 

- Bene passerotto… che ne dici se ti dessi piacere orale? – Inarcò un sopracciglio mentre prendeva la punta della lingua tra i denti, assumendo un’espressione sensuale. Buffy era incapace di mettere assieme una frase che avesse un senso, così gli rispose a monosillabi… che fosse un uomo fantastico l’aveva capito da tempo, ma che sapesse farle perdere il controllo non l’aveva sperato.

 

- Uhm… ok… - Spike sorrise e, posando baci e tracce umide con la lingua, arrivò sul suo inguine, le allargò gentilmente le gambe e posizionò il capo tra le sue cosce sudate. Le allargò le grandi labbra con gentilezza e iniziò a disegnare piccoli cerchi con la lingua attorno al clitoride, strappando un urlo a Buffy.

 

- AHHHHH…. Dio, Spi… Spi… ke… - si portò le mani sui seni e cominciò ad accarezzarsi i capezzoli inturgiditi, ad occhi chiusi, mentre Spike aveva preso a succhiarle il centro del piacere con bramosia. Il ragazzo sostituì la bocca con le dita, continuando a tormentare il clitoride di Buffy, mentre la sua lingua guizzava dentro e fuori di lei, assaporando il suo nettare.

 

- MUOIO, OH DIO, OH DIO… così Spike… così… sto venendo… - Buffy urlò, quando il suo corpo cominciò ad essere scosso da violenti spasmi, era l’orgasmo più devastante che avesse mai avuto, dovuto anche alla lunga attesa. Il membro di Spike, nel vederla così, aveva reagito, non gli capitava quasi mai di essere sul punto di venire mentre faceva sesso orale, ma con Buffy era diverso, lei riusciva ad accenderlo, era così calda, doveva penetrarla subito o sarebbe morto. Si spostò sopra di lei che, ancora affannata, lo prese per le spalle, intanto che con le gambe, gli circondava il bacino, strofinando la sua vagina contro il suo pene duro.

 

- Prendimi Spike… lo voglio dentro… - gli affondò le unghie nella pelle bianca della schiena strappandogli un lungo gemito. Spike afferrò il suo membro tra le mani e l’accompagnò, gentilmente, vicino all’apertura di Buffy, con un’unica spinta entrò in lei che umida e pronta, lo accolse.

 

- Ooooh, si… così… fammi godere Spike… -

 

- Non aspetto altro piccola… lo vuoi vero? Tutto dentro di te… tutto per te amore, lo senti? – le spinte di Spike si fecero rapide e coinvolgenti, mandando onde di calore lungo tutto il corpo di Buffy che, inarcando la schiena, cercava un maggior contatto.

 

- Si… tutto mio… così Spike… più veloce… amore, più veloce… -

 

- Fai godere il tuo Spike, passerotto… - i respiri si mischiarono, il sudore imperlava i loro corpi, quando finalmente giunsero all’apice del piacere. Spike sentì il corpo di Buffy fremere di nuovo sotto di lui, sentì le sue pareti scuotersi attorno al suo pene, facendolo godere ancora di più.

 

- Vienimi dentro Spike… - il ragazzo le sorrise e, alla fine, si lasciò andare riempiendola con il suo seme. Si rilassò sopra di lei e nascose il viso nei suoi capelli. Buffy intrecciò le sue dita nei suoi capelli, erano entrambi senza fiato, il loro amplesso li aveva sfiniti.

 

- Buffy… sei un diavolo di donna… lo sai? – le bisbigliò, all’orecchio, con voce roca. Un brivido la percorse e lo abbracciò più stretto.

 

- Spike? –

 

- Mmh? Dimmi piccola… -

 

- Non lasciarmi mai… - Spike sollevò il capo, Buffy aveva gli occhi lucidi. Sapeva bene che, probabilmente, non avrebbe dovuto farle quella promessa, ma l’amava così tanto che non riuscì ad impedirselo.

 

- Non andrò da nessuna parte Buffy… mai… non sarai più da sola… - le posò un lieve bacio sulle labbra e fece per alzarsi, ma Buffy lo trattenne.

 

- Stai ancora dentro di me… per un po’… ti dispiace? – Spike le sorrise e le carezzò una guancia.

 

- Dispiacermi? Starei dentro di te in eterno Buffy… ti amo così tanto che mi si lacera il cuore ogni volta che mi allontano da te… - si rilassò di nuovo, sistemandosi meglio sopra di lei, bilanciando il suo peso, in modo da permetterle di respirare.

 

- Ti amo anche io William… Ora staremo sempre insieme, ed il tuo cuore – toccò il suo petto, proprio nel punto dove le sue dita incontrarono il battito regolare del cuore di Spike, vicino alla sua cicatrice – non si ferirà più… e così anche il mio… smetterà di farmi male… - gli portò la mano libera dietro il capo e gli catturò le labbra. Stettero così per molto tempo, addormentandosi e scaldandosi con i loro corpi.

 

Arrivò la primavera, Buffy era stata trasferita in corsia e così aveva ottenuto anche degli orari meno faticosi. Il suo turno andava dalle otto alle cinque, con un’ora di permesso per la pausa pranzo. Spike, dopo che si erano messi insieme, si era trasferito nell’appartamento della ragazza, spostando tutte le sue cose dall’armadietto della metro all’armadio della stanza da letto di Buffy. Quando Buffy lavorava lui stava in casa o se ne andava in giro, lei non aveva voluto obbligarlo a trovare un lavoro; era convinta che dovesse essere lui a decidere cosa fare, tanto lei aveva denaro sufficiente per mantenere il suo uomo, ancora per un po’. Di tanto in tanto andavano a trovare Angel che, grazie al corso di informatica regalatogli da Buffy, era riuscito a trovare un posto come centralinista in una piccola azienda. Viveva ancora con Faith e la loro storia andava a gonfie vele, forse un giorno si sarebbero sposati, erano così carini e felici insieme. Angel, pur sapendo della storia tra Buffy e Spike, non aveva smesso di consigliare alla ragazza di stare lontana da lui, anche se questa gli aveva risposto che Spike le aveva raccontato tutto del suo passato e che lei l’aveva accettato. Non rivelò mai ad Angel che i suoi aggressori, in realtà, erano stati conciati così dal suo ragazzo. Era riuscita, in quei mesi, a legare anche con qualche collega in ospedale e la vita sembrava sorriderle sempre di più, questa cosa la spaventava un po’, temeva che tutto le sarebbe stato tolto improvvisamente. A parte questi piccoli dubbi ora, Buffy Summers, era una donna felice ed innamorata.

 

La porta di casa si spalancò con un tonfo secco facendo sobbalzare Spike, seduto sul divano. Una raggiante Buffy aveva fatto il suo ingresso nell’appartamento come un ciclone, rompendo il silenzio che era regnato fino a quel momento. Spike, immerso nella lettura di un libro di medicina, aveva alzato lo sguardo sulla ragazza che si era posizionata, nel frattempo, davanti a lui.

 

- Indovina? – gli occhi le brillavano ed era tutta rossa in volto, probabilmente aveva corso. Spike chiuse lentamente il volume e lo poggiò accanto a lui, invitandola a sedere sulle sue ginocchia. Buffy si sistemò in braccio al ragazzo e gli cinse il collo con le braccia, posandogli un rapido bacio sulle labbra.

 

- Avanti, indovina cosa è successo oggi al lavoro! – Spike fece finta di pensare, mentre gentilmente le accarezzava la schiena.

 

- Non so piccola, che potrà mai essere successo? Sei raggiante… - sentì un improvviso moto di gelosia. Non che Buffy fosse una musona, solo che era raro vederle quel sorriso radioso sul volto. Di solito l’aveva dopo i loro amplessi o dopo che qualche paziente le regalava dei biscotti o dei cioccolatini.

 

- Guarda qui! – estrasse dalla tasca del suo cardigan una busta bianca con un contorno dorato, v’era scritto elegantemente “Dottoressa Buffy Summers”. Spike non ne aveva ancora afferrato pienamente il significato, sembrava una busta ufficiale come quella che usavano agli Oscar.

 

- Che cosa sto guardando esattamente tesoro? – le chiese prendendo la busta tra le dita e scrutandola con curiosità, riportando poi gli occhi su Buffy.

 

- È un INVITO! – squittì – un invito per il Galà di beneficenza che si terrà sabato sera. Gli inviti, che erano pochissimi, sono stati distribuiti allo staff dell’ospedale dopo una selezione del Dr. Giles ed io l’ho avuto! Non è meraviglioso? – lo sguardo di Spike si rabbuiò.

 

- E così il “grande” Dr. Giles ti ha mandato l’invito… ma bravo… e la mia principessa desidera andare al ballo, giusto? Beh, divertiti… – non sapeva spiegarne il motivo ma sentire nominare il facoltoso Dr. Giles dalle labbra di Buffy, gli faceva salire la rabbia. Era stato lui a mandare via Angel dall’ospedale quando era stato ferito, questo non se lo sarebbe mai dimenticato. Il viso di Buffy si rattristò per un attimo, ma ridivenne allegro.

 

- Sei uno sciocco! – Spike alzò un sopracciglio guardandola con stupore.

 

- Prego? – Buffy gli sorrise.

 

- Ho detto che sei uno sciocco! –

 

- Grazie Buffy, ora sto molto meglio… - Buffy gli prese il viso tra le mani e lo obbligò a guardarla.

 

- Sei geloso marcio! – rise.

 

- Non è vero! È solo che il tuo caro “dottorino” si da il caso che mi sia molto, ma molto antipatico. Non lo voglio sentire nominare – Buffy capiva perfettamente lo stato d’animo di Spike. Il Dr. Giles, nel caso di Angel, si era comportato malissimo, ma lei ci teneva così tanto ad andare a quel ballo.

 

- Dai amore, non fare così, voglio che tu venga con me. Voglio vederti in smoking, Dio, devi essere stupendo… - Spike abbassò lo sguardo, fissandolo sulla TV spenta.

 

- Non ho uno smoking Buffy, non so ballare e non voglio stare in un ambiente che non è il mio, con questo l’argomento è chiuso. Se vuoi andare chiedilo al tuo ‘dottorino’ – la scostò obbligandola ad alzarsi e riprese la lettura del suo libro. Buffy, che si stava infuriando per l’atteggiamento del ragazzo, prese il libro e glielo strappò di mano.

 

- Finché non mi darai retta, non farò più sesso con te! – girò i tacchi e si avviò verso la stanza da bagno.

 

- Come se questo possa farmi cambiare id… - lasciò la frase incompleta accigliandosi, si alzò e la seguì - Dai Buffy… torna qui… non fare così – la raggiunse e le prese un braccio, la fece voltare e la trovò con un’espressione vittoriosa sul viso.

 

- Buffy Summers, questo è sleale… - la guardò torvo.

 

- Sleale? Che cosa è sleale… Spike… - gli chiese avvicinando le labbra alle sue, fermandole a pochi centimetri di distanza. Spike aprì la bocca ma non uscì nessun suono, si obbligò a concentrarsi sull’argomento e non sulle sue labbra invitanti.

 

- È sleale ricattarmi con quello… Sappi che, mia cara signorina, non credo che rinunceresti alle mie doti amorose solo per un ballo… - sul viso si dipinse un sorriso ‘Uno a uno’, pensò. Buffy si avvicinò ancora, fino a che i loro corpi non furono a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro.

 

- Io ho dita ed un vibratore… Spike… ma tu? Cos’hai? – gli sussurrò in un orecchio con voce suadente, carezzandogli l’inguine attraverso la stoffa dei jeans. Spike sussultò e chiuse gli occhi. Buffy sentì il suo membro indurirsi contro il suo palmo, intanto che il respiro del ragazzo accelerava gradatamente.

 

- Allora Spike…? Mi porterai al ballo? – sfregò più velocemente, facendogli bofonchiare parole incomprensibili.

 

- Si… tutto quello che vuoi Buffy… - gemette. Buffy sorrise vittoriosa e smise di toccarlo. Spike aprì gli occhi, maledicendola nella sua mente.

 

- Cattiva Buffy… te ne pentirai… - le disse minaccioso, Buffy rise.

 

- Vedremo… domani ho preso libero, andiamo a comprare i vestiti – gli diede un bacio sulle labbra e, dopo avergli restituito il libro, sparì in bagno. Spike si voltò e si avviò verso il salotto.

 

- Diavolo di donna… crede di potermi comprare con qualche carezza… - borbottò, poi si fermò di colpo – Hey, aspetta un attimo, Cristo Santo! Ma mi ha comprato con qualche carezza!! – disse ad alta voce, camminando verso il divano, si sedette e tornò alle sue letture.

 

Venti minuti dopo, Buffy uscì dal bagno avvolta nel suo accappatoio di spugna rosa, asciugandosi i capelli bagnati, che le ricadevano ribelli lungo le spalle, con un asciugamano. Spike era ancora seduto sul divano, che la osservava di nascosto da sotto il libro. Buffy si avvicinò.

 

- Hai fame? Ordino cinese, ti va? – Spike fece spallucce. Buffy sorrise, era così tenero quando le teneva il muso, fortunatamente sapeva come fare pace. Lasciò cadere a terra l’asciugamano e si mise dietro il divano, fissando il libro che aveva in mano e sussurrandogli all’altezza dell’orecchio destro.

 

- Che libro noioso… - gli mordicchiò il lobo, sfilandogli il volume dalle mani e buttandolo dietro di se, Spike protestò.

 

- Hey, qualcuno cerca di leggere qui! – sbuffò, mentre Buffy gli accarezzava il torace con le mani, sfiorandogli la guancia con i capelli umidi. Spike scostò il viso in modo da non farsi toccare e le bloccò le mani, allontanandole da se. ’L’ho fatto proprio arrabbiare’, pensò Buffy mentre si rimetteva in piedi. Spike prese una rivista dal tavolino e si mise a sfogliarla attentamente. Buffy prese il telefono ed ordinò la cena, compresa la porzione per Spike che, dopo aver sbollito l’arrabbiatura, era sicura avrebbe mangiato. Passò davanti a lui e, con fare casuale, lasciò cadere l’accappatoio sul pavimento, il ragazzo la sbirciò da sopra la rivista ed il respiro gli si bloccò in gola, la visione di Buffy nuda gli faceva sempre lo stesso effetto.

 

- Vado a vestirmi… se suonano apri tu per favore… - e si incamminò verso la camera da letto. Spike abbassò la rivista e si riempì gli occhi di quella visione, sentendo il suo membro gonfiarsi nei jeans. I fianchi di Buffy ondeggiavano sinuosi, la sua pelle ambrata baciata dalla luce del tramonto, che filtrava debolmente attraverso le tende, era uno spettacolo che non si sarebbe perso per nulla al mondo. I lunghi capelli biondi, bagnati e lasciati sciolti, le carezzavano la schiena lasciando rotolare piccole gocce d’acqua sui suoi glutei soffici. Spike deglutì a fatica e Buffy sparì nella camera da letto.

 

- Pfui, come se mi interessasse… - raccolse la rivista con le mani tremanti.

 

- Hey, non puoi comandare sempre tu! – si rivolse al rigonfiamento nei suoi jeans – così l’avrà sempre vinta lei, ma non hai un po’ di orgoglio? – borbottò.

 

In quell’istante la sua attenzione venne catturata da Buffy che si diresse di nuovo in bagno, ancora nuda. Entrò nella stanza e socchiuse la porta ma Spike, affondando completamente la schiena nel cuscino del divano, riusciva ad intravedere perfettamente le sue forme dal generoso spiraglio che aveva lasciato. Buffy, con nonchalance, prese la sua crema idratante e cominciò a spalmarsela lungo una gamba, massaggiando ogni punto su, fino all’interno coscia. Spike sudava e sentiva improvvisamente caldo ‘Cattiva! Cattiva Buffy…’. La ragazza aveva preso a massaggiarsi il ventre piatto e stava risalendo, lentamente verso il suo seno. Li prese a coppa nelle mani ed iniziò a massaggiarne la punta, sospirando sommessamente. Spike, che ripeteva come un mantra la frase ‘cattiva Buffy’ nella sua testa, vide i suoi capezzoli inturgidirsi sotto il tocco delle sue dita sottili, di lì a poco sarebbe impazzito. Si rivolse nuovamente al rigonfiamento dei suoi pantaloni che, nel frattempo, era cresciuto parecchio.

 

- Cristo Santo, almeno un po’ d’amor proprio… solo perché lei sta… - puntò il dito verso la stanza dove si trovava Buffy e spostò di nuovo lo sguardo su di lei che nel frattempo aveva fatto scivolare una mano tra le cosce e si massaggiava il clitoride, gemendo e sospirando, lasciandolo a bocca aperta. Spike spalancò gli occhi e sentì il suo membro diventare di marmo, roteò gli occhi e guardò in basso.

 

- Dannazione, proprio nessun orgoglio… - mormorò e, sospirando sconfitto, si alzò e si diresse verso quella visione. Arrivò silenziosamente davanti alla porta e la spalancò, lo sguardo era da predatore; come quello di un leone che si aggirava intorno alla sua preda prima di avventarsi su di lei. Buffy sobbalzò, non l’aveva sentito avvicinarsi, sgranò gli occhi, cercò di coprirsi ed aprì la bocca per dire qualcosa.

 

- Spike ma cos… - in un attimo il ragazzo le fu addosso, la prese per le spalle e la appoggiò al muro, schiacciandola contro le piastrelle gelide con il suo corpo.

 

- Ma Spike… - cercò di protestare Buffy, ma la sua frase fu interrotta dalla bocca di Spike che, esigente, era calata sulla sua. Il ragazzo tracciò un percorso con le labbra partendo dalla sua bocca fino ad arrivare all’orecchio dove le sussurrò con voce roca, rotta dall’eccitazione.

 

- Bisogno d’aiuto piccola? – Buffy fece per rispondere, ma la voce si fermò in gola, la mano esperta di Spike era scivolata tra le sue cosce e si muoveva rapidamente. Si aggrappò alle spalle del ragazzo, alzando una gamba che lui prese, afferrandola sotto il ginocchio. Ora le sue dita potevano muoversi più liberamente sulla sua femminilità che, velocemente, stava rispondendo agli stimoli di Spike.

 

- Ohhhh, Spike… le tue dita sono così… così…. AHHHH… magiche… - Buffy gli abbassò la cerniera dei pantaloni, in gesti frenetici, mentre lui continuava a torturarla. Tirò fuori il suo pene già duro e bisognoso d’attenzione e cominciò ad accarezzarlo velocemente.

 

- Si, piccola… toccalo così… - le catturò di nuovo le labbra e si staccarono unicamente quando sentirono il bisogno di respirare.

 

- Spike… ho bisogno di sentirti dentro, prendimi, ti prego… AHHH, non resisto… - la voce di Buffy arrivava a singhiozzi, era quasi in apnea, faceva fatica a prendere aria con le dita di Spike che si muovevano dentro e fuori di lei. Lui non si fece pregare troppo, con una spinta rude entrò in lei e prese a muoversi velocemente, intanto che Buffy gli saltava in braccio e gli cingeva i fianchi con le gambe.

 

- Piccola… sei così calda… - le baciò il collo e succhiò avidamente un lembo di pelle, facendola gemere.

 

- Spike… Spike… sto per venire… dammelo tutto, fino in fondo – Spike si spinse ancora di più in lei, accelerando il ritmo. Buffy gettò la testa all’indietro gridando il suo nome, mentre l’orgasmo arrivava devastante come sempre.

 

- SPIKE OH MIO DIO… - quando Spike sentì la sua femminilità scuotersi attorno al suo membro, lasciò che il piacere invadesse anche il suo corpo. Scosso dai brividi la schiacciò ancora di più contro le piastrelle, come appiglio in quanto le sue gambe non garantivano un supporto sicuro per Buffy. Ancora dentro di lei, ansimante e soddisfatto, il ragazzo la baciò lievemente e Buffy, sebbene ancora senza fiato, rispose al bacio con trasporto.

 

- La prossima volta, chiudi la porta… - l’ammonì abbozzando un sorriso. Si staccò da lei e la posò gentilmente a terra.

 

- Chiuderla? Dio Spike, se questo è il prezzo che devo pagare per averla lasciata socchiusa, la prossima volta la lascerò spalancata – rise ed il ragazzo la seguì.

 

- A tuo rischio e pericolo, passerotto… le prestazioni cambiano in base alla vista che mi offri… - Spike si chinò per baciarla, ma il campanello interruppe l’atmosfera, riportandoli bruscamente alla realtà.

 

- Meglio che vada ad aprire… la cena è arrivata – si sistemò i pantaloni, si diede un’occhiata allo specchio ed uscì dal bagno, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Spike aprì la porta e si trovò dinnanzi un giovanotto dai tratti asiatici che gli consegnò le buste con il cibo.

 

- Fanno quaranta dollari – gli disse garbatamente. Spike lo guardò e sorrise, poi urlò verso il salotto.

 

- Passerotto, soldi per favore! – la voce di Buffy arrivò smorzata da dietro la porta chiusa del bagno.

 

- Arrivo subito, amore - sul viso di Spike si dipinse un’espressione superba.

 

- Arriva subito… sai, sono il suo accompagnatore e lei deve pagare tutto, se capisci cosa intendo… - il fattorino lo guardò, interrogativamente, dalla testa ai piedi e, considerando che fosse un tipo affascinante, non fece fatica a credere a quello che Spike gli stava raccontando.

 

- Davvero? Guadagni bene? – chiese con curiosità, facendosi coraggio.

 

- Benissimo e poi, devo confessare che il lavoro mi soddisfa molto… sono donne bellissime, mi ricoprono di regali, faccio sesso ogni volta. È una bella vita… - gli occhi di Spike si fecero sognanti, mentre sospirava. Il volto del giovane aveva assunto un’aria stupita ed invidiosa allo stesso tempo. In quell’istante apparve Buffy, con indosso un pigiama molto ampio ed i capelli sciolti, ancora umidi, che le ricoprivano le spalle. Spike le cinse la vita con un braccio e le diede un bacio sulla tempia, lanciando un’occhiata che diceva “visto che schianto di ragazza?”, al fattorino. Buffy porse con cortesia i soldi al giovane che li prese, fissando a bocca aperta l’enorme succhiotto, rosso vivo, che aveva sul collo, lei aggrottò le sopracciglia e, volgendo gli occhi al cielo, si voltò verso Spike.

 

- Che cosa hai raccontato questa volta? È mai possibile che tu non riesca a stare serio per almeno cinque minuti? – poi si rivolse al ragazzo – Che cosa ti ha raccontato? Che è un agente della CIA e che sta sorvegliando un politico dalla finestra con il suo binocolo? O che è un killer professionista e che non ti fa entrare perché vedresti il suo fucile di precisione sistemato sul balcone? – il giovane arrossì violentemente e, con educazione, disse loro che se ne doveva andare. Salutò in fretta e scappò via. Buffy fece una smorfia e guardò minacciosamente Spike che ridacchiava divertito. Scosse il capo e gli tirò una gomitata scherzosa nello stomaco.

 

- Da questo momento ti è vietato aprire la porta ai fattorini! Ti rendi conto? Nessuno vuole più consegnarci nulla nel raggio di due interi isolati e tutto perché, ogni volta, tiri fuori delle storie assurde, non potresti limitarti a pagare e basta? – chiese, esasperata, richiudendo la porta. Spike fece finta di pensare e poi se ne uscì con un sonoro “no”. Buffy sbuffò e si mise a scartare le porzioni di cibo.

 

- Scemo… - brontolò a bassa voce, poi le scappò una risata.

 

Mangiarono e scherzarono per tutto il tempo, poi Buffy cominciò a rimettere in ordine, mentre Spike guardava la TV. Dopo che ebbe terminato si avviò verso la camera da letto, era esausta. Il lavoro all’ospedale, anche se in corsia, era sempre duro; era felice del fatto che l’indomani avrebbe potuto dormire un po’ più del solito e, in seguito, avrebbe fatto shopping sfrenato in previsione della gran festa. Pregustava già la sensazione di Spike che la teneva stretta a lui, mentre volteggiavano sulle note di pezzi di musica classica, fasciati in abiti firmati ed eleganti. Si scosse da quei pensieri a fatica, se avesse continuato così, non sarebbe più riuscita a dormire.

 

- Amore, io vado a letto… non fare tardi… - gli sorrise dolcemente. Spike alzò lo sguardo dalla TV e fece schioccare le labbra mimando un bacio, contraccambiando il sorriso. Appena Buffy sparì dalla sua vista, il viso si contrasse in una smorfia di preoccupazione.

 

‘Avanti Spike… vedrai che andrà tutto bene. Dopo il ballo dovrai deciderti a spiegarle tutto, lei ti ama, non ti lascerà… lei capirà anche questo’. La voce nella sua mente riecheggiava senza sosta. Sospirò e cercò di concentrarsi sul film che trasmettevano alla TV: Jurassic Park. Alla fine del film, si alzò e s’incamminò verso la camera da letto borbottando tra se e se.

 

- Maledetto, dannato stupido film… un parco di dinosauri… ma chi diavolo ci crederebbe? È più assurdo di quelli sui vampiri… –

 

Si spogliò e s’infilò a letto, poi si girò di fianco e guardò teneramente Buffy, che dormiva già profondamente.

 

- Ti amo… - le sussurrò, dandole un leggero bacio sulla guancia. Sul viso di Buffy apparve un piccolo sorriso e mormorò qualcosa sottovoce, che Spike non afferrò. L’abbracciò stretta e, quasi subito, scivolò nel sonno.

 

Quando si svegliò allungò un braccio, ma non trovò Buffy accanto a lui. L’aroma di caffé, che aveva invaso l’appartamento, gli suggerì che doveva trovarsi in cucina. Si rilassò e si prese una sigaretta dal comodino, l’accese ed iniziò a trarne profonde boccate. La testa bionda di Buffy fece capolino dalla porta, facendogli un gran sorriso.

 

- Buongiorno tesoro… - disse allegramente.

 

Spike spense la sigaretta e si tirò a sedere, restituendole il sorriso.

 

- Buongiorno passerotto. Vieni dal tuo Spike, fatti dare un bacio – le fece segno, battendo una mano sul materasso, di sedersi vicino a lui.

 

- Aspetta, ti porto il caffé, l’ho appena fatto… Torno subito – e sparì di nuovo, riapparendo pochi minuti dopo con una tazzina fumante in mano. La porse a Spike, che la vuotò tutta d’un fiato, e gli si sedette accanto. Spike appoggiò la tazza sul comodino e si chinò a baciarla, dapprima lentamente, poi approfondendo il contatto. In un attimo le fu sopra e le stava aprendo la camicia del pigiama, ma Buffy lo fermò.

 

- William, dai, dobbiamo uscire… devo iniziare a prepararmi… - disse scivolando via dal letto.

 

- Voglio la mia colazione Buffy! Torna subito qui! – le urlò dietro sbuffando. Si rituffò sul cuscino e lo abbracciò chiudendo gli occhi.

 

- C’è tempo per quello… dai alzati… - la voce di lei proveniva dal bagno. Sentì Buffy accendere la doccia e, in un balzo, uscì da sotto le coperte. Percorse velocemente i pochi passi che lo separavano dalla toilette ed aprì la porta. Intravide il corpo di lei attraverso il vetro lavorato e, non resistendo, aprì l’anta per entrarvi anche lui. Lo investì uno schizzo d’acqua seguito dalla risata della ragazza.

 

- Lo sapevo che saresti venuto… - si spostò per farlo entrare nella vasca con lei.

 

- Ho sentito che avevi bisogno di essere insaponata – le si avvicinò, mentre Buffy si versò un po’ di shampoo nel palmo della mano. Spike si mise sotto il getto d’acqua bagnandosi tutto e lei prese a massaggiargli i capelli, soffermandosi sulla nuca e sulle tempie. Spike fece lo stesso con lei, con l’eccezione che le massaggiò tutto tranne i capelli.

 

Quella mattina, sotto la doccia, Buffy scoprì che Spike aveva molti talenti nascosti che, man mano, avrebbe voluto scoprire interamente. I loro amplessi sotto l’acqua durarono quasi un’ora. Finalmente, quando riuscirono a riprendere il controllo, fecero colazione e si prepararono per uscire. Spike era già davanti alla porta che aspettava Buffy, intenta a truccarsi in bagno. La ragazza, dopo un tempo infinito, uscì dalla stanza e, lentamente, gli si avvicinò con sguardo cupo puntandogli il dito contro.

 

- È tutta colpa tua se ora cammino in questo modo, sembro una papera! – esclamò con un tono alterato. Spike alzò le mani all’altezza delle spalle e scosse la testa.

 

- Amore, non ho fatto nulla che tu non volessi fare… - un lato delle sue labbra piene, voltò all’insù, mentre ripensava alla performance di poco prima, sotto la doccia. Buffy agitò l’indice davanti al naso del ragazzo, lo sguardo lanciava fiamme.

 

- TU! Tu non metterai più il tuo… il tuo… - indicò l’inguine di Spike – fottuto come si chiama nel mio culo! – Buffy afferrò la maniglia della porta e la girò con foga, ma Spike la prese per una spalla, impedendole di uscire.

 

- Passerotto… davvero ti ho fatto male? - era sinceramente preoccupato, ora che aveva capito che non stava scherzando. Le guance di Buffy si colorarono di rosso.

 

- Non è molto doloroso, ma è una sensazione sgradevolissima. Poi insomma, anche là sotto mi fa un po’ male. Forse lo facciamo troppo Spike o forse il tuo… tuo… –

 

- Fottuto come si chiama? – suggerì lui.

 

- Precisamente! È troppo grosso per me… - gli si avvicinò e lo abbracciò, poggiando la testa sul suo petto e chiudendo gli occhi; lui prese a massaggiarle sensualmente il sedere.

 

- Mi dispiace che tu non ti senta bene, piccola. Ma non credo che lo facciamo troppo. Siamo innamorati ed è normale avere voglia l’uno dell’altra, non trovi? Ti prometto che starò più attento la prossima volta, ok? E comunque il mio “fottuto come si chiama” è perfettamente nella media – le disse dandole un bacio sulla fronte, continuando a massaggiare.

 

‘Beh, non proprio nella media, ma non è il momento di vantarsene’, pensò.

 

- Mmh… ok… ne riparleremo… - Buffy, che si stava lasciando trasportare dalle sue carezze sempre più spinte, riaprì gli occhi e si staccò da lui prima che la scintilla tra loro si riaccendesse. Spike borbottò qualcosa di incomprensibile, i suoi occhi emanavano la luce che Buffy conosceva ormai perfettamente. Lo ammonì scuotendo la testa, lui sbuffò e si arrese. La prese per mano ed uscirono dal palazzo. Buffy aveva chiamato un taxi che li avrebbe portati nella parte chic della città dove sarebbe iniziato il loro tour alla ricerca di vestiti eleganti ed accessori adatti ad essi.

 

Dopo una quarantina di minuti arrivarono nel centro del distretto di Manhattan, Buffy disse al tassista di fermarsi all’Upper East Side all’altezza di Madison Avenue, dove le catene di Gucci, Versace ed Armani la facevano da padrone. Spike non era mai stato in quella parte di Manhattan e si sentiva un po’ a disagio in quanto indossava i suoi soliti abiti. Buffy portava, invece, una camicetta bianca ed una gonna nera corta, probabilmente firmati, associate ad un paio di stivali neri anch’essi, che le arrivavano sopra il ginocchio. Sopra, indossava però il suo stesso spolverino e questo lo rendeva felice. Da quando gliel’aveva donato lo portava sempre, in ogni occasione. Spike pensava che fosse un po’ come la sua coperta di Linus. Il taxi si fermò e lui scese per primo, intanto che Buffy pagava la corsa. Erano le undici del mattino e le strade erano piene zeppe di gente. Spike sbuffò; a lui non piaceva essere circondato da troppe persone e si era già pentito di aver detto di sì a Buffy per il galà. Sentì il braccio della ragazza scivolare sotto il suo e stringerlo, guardò in basso e vide lo stesso sorriso raggiante che aveva avuto quando gli aveva detto degli inviti. Restituì il sorriso e s’incamminarono tra la folla.

 

- Tesoro, prima prenderemo qualcosa per te e poi penseremo al mio abito, ok? – gli chiese con allegria. Spike cercò di non rovinare l’atmosfera di quel giorno così fece buon viso a cattivo gioco.

 

- Ok piccola, oggi faremo tutto quello che vuoi – le posò un bacio sulla testa. Buffy, entusiasta, lo tirò per un braccio indicandogli il negozio di Gianni Versace. Si posizionarono davanti alle porte scorrevoli ed entrarono. Spike rimase per un attimo accecato dalle luci che battevano sul marmo chiaro che ricopriva il pavimento. Una commessa sui trentacinque anni, fasciata in un tailleur rosso fuoco, venne loro incontro con il sorriso più falso che lui avesse mai visto.

 

- Posso esservi utile? – cinguettò. Buffy cordialmente spiegò alla commessa quello che stava cercando, indicandogli le scarpe, tenute assieme dal nastro isolante, di Spike. La donna gli lanciò uno sguardo quasi disgustato, ma lui cercò di non prestarvi attenzione in quanto ne aveva ricevuti di peggiori. La commessa fece veder loro molti modelli, Spike li trovava orrendi, ma Buffy ne era elettrizzata. Gli fece indossare un paio di scarpe dal taglio classico, scomodissime, di pelle nera.

 

- Oh, tesoro, ti stanno benissimo – esclamò lei, battendo le mani. Spike alzò gli occhi al cielo pregando che quella tortura finisse presto. Anche la commessa, che lui aveva soprannominato “la Cornacchia”, per via del naso adunco e dei suoi capelli neri a caschetto, si complimentò con lui ridacchiando in modo innaturale. ‘Vorrei essere un vampiro per staccare quella tua maledetta testa dal tuo dannato collo e bermi tutto il tuo sangue, per cancellarti quel dannato sorriso di plastica dalla faccia!’, pensò mentre sorrideva forzatamente alle due donne.

 

- Bene, per le scarpe siamo a posto, ora vorrei vedere il reparto uomo. Abbiamo bisogno di un vestito da sera, elegante ma non troppo classico, perché non starebbe bene al mio ragazzo –

 

Spike si era tolto le scarpe e le aveva consegnate nelle mani della Cornacchia che, soffermandosi un po’ troppo a fissare il suo torace, le aveva poi consegnate all’addetto per farle incartare.

 

La commessa volteggiò sui suoi tacchi a spillo da dieci centimetri, ed indicò l’ascensore.

 

- Prego, gli abiti maschili si trovano al secondo piano – fece segno ai due di entrare e a Buffy non sfuggì l’occhiata che diede al fondoschiena del suo ragazzo. ‘Fortuna che ha lo spolverino che gli copre il sedere…’, pensò mentre la fulminava con lo sguardo. Sentì il bisogno di sentirsi stretta a Spike, così gli circondò la vita con le braccia e si avvicinò a lui, che la prese tra le sue. Buffy rimase a fissare la commessa in modo ostile, ma questa continuava a sorridere e a parlare di abiti e accessori da abbinarvi. Spike si abbassò un poco in modo da raggiungere l’orecchio della ragazza e, con voce appena udibile, le sussurrò.

 

- È una Cornacchia… senti come gracchia… - Buffy trattenne una risata, nascondendo il viso nel suo petto.

 

- State insieme da molto? – chiese la donna con voce acuta, che rivelava una punta d’invidia.

 

- Ci stiamo per sposare, ci servono i vestiti per la cerimonia che si terrà alla mia villa – Spike le sorrise in modo arrogante, mentre Buffy scuoteva debolmente la testa. ‘Ecco che ricomincia con i racconti strambi…’. L’ascensore, grazie al cielo, si fermò in quel momento e, prima che lui potesse aggiungere altro, Buffy lo strattonò fuori.

 

- Vi faccio tanti auguri per il matrimonio allora, lei è una donna fortunata… - cinguettò ancora con quella sua voce mielosa che fece ribollire il sangue a Buffy.

 

- E si potrebbe sapere perchè sarei fortunata? Lei nemmeno lo conosce! Potrebbe essere un maniaco… - sbottò, indicando Spike.

 

- E lo sono! – aggiunse lui con orgoglio. La Cornacchia non capiva dove volessero arrivare, ma fece loro un sorriso di circostanza indicando gli abiti; in fondo, seppur strani, erano sempre clienti.

 

- Non era mia intenzione offendervi, era solo un augurio… comunque, prego, per gli abiti da questa parte – indicò i capi d’abbigliamento appesi ordinatamente sulle grucce.

 

Buffy si guardò attorno, tenendo saldamente la mano di Spike nella sua, e gli indicò un abito scuro, dal taglio moderno che le sembrava adatto a lui.

 

- Provalo amore, vedrai che ti starà benissimo! – gli disse, poggiando il mento sul suo petto e guardandolo con amore.

 

- Va bene passerotto, tutto quello che vuoi – le baciò la punta del naso e sparì nella cabina con l’abito in mano. La Cornacchia le si avvicinò con un altro abito in mano, era color avorio e Buffy lo trovò orrendo.

 

- Questo starebbe d’incanto al signore, non trova? – le chiese, accarezzando la stoffa con le sue dita scheletriche piene di anelli.

 

- No, non credo, al mio ragazzo donano i colori scuri. Fanno risaltare il blu intenso dei suoi occhi – le rispose Buffy, leggermente alterata. Incrociò le braccia sul petto e fissò la commessa con aria di sfida.

 

- Naturalmente… -

 

La donna sparì per riportare l’abito al suo posto. La tendina della cabina, in quel momento, si aprì. La mascella di Buffy raggiunse quasi il pavimento, Spike era stupendo con quel vestito. Sembrava essere stato cucito su di lui. Gli aderiva perfettamente come una seconda pelle. La camicia bianca, si modellava attorno ai suoi muscoli perfetti, mentre la giacca gli cadeva ordinatamente lungo i fianchi dove, con i pantaloni, faceva risaltare tutta l’armonia e la bellezza del suo fisico slanciato ed asciutto.

 

- Adesso puoi chiudere la bocca, piccola, ho capito che ti piaccio con questo vestito – ghignò, mentre Buffy si ridestava cercando di riprendersi da quella visione. Deglutì a fatica, ancora non aveva recuperato l’uso della parola. Spike le si avvicinò con movimenti fluidi e sinuosi.

 

- Passerotto… credo che siano da far sistemare sul sedere – detto questo si girò in modo che Buffy potesse vedere la stoffa che avanzava sul fondo schiena.

 

- Ma chi ha fatto questi pantaloni? Un cieco? Anche io so cucire così… - esclamò, nel momento in cui prendeva la stoffa in mano, pizzicando volutamente il sedere al ragazzo, e ne misurava l’abbondanza.

 

La commessa, nel frattempo, ritornò accanto a loro fissando Buffy, che era chinata verso il sedere di Spike con la stoffa dei pantaloni in mano.

 

- Qualcosa non va? – chiese con falsa gentilezza. Buffy tirò la stoffa e sgranò gli occhi, sottolineando l’evidente il problema.

 

- Oh, ma non si preoccupi, il nostro negozio offre anche il servizio di sartoria. Mi lasci andare a prendere il metro e sarò subito da lei, prenderemo le misure e lo aggiusteremo – disse sparendo di nuovo.

 

- Passerotto, so che la vista ti aggrada, per non parlare del tatto, ma non potresti alzarti e lasciarmi andare i pantaloni? – la voce calda di Spike ruppe il silenzio che si era creato.

 

- Oddio! – Buffy balzò in piedi e gli si mise davanti, sorridendogli.

 

- Mi sa che sono una maniaca anche io… - rise.

 

- Mmh… davvero? – disse ammiccando, mentre la prendeva tra le braccia. Aveva un assoluto bisogno di baciarla, così si chinò su di lei e le pose un lieve bacio sulle labbra. Buffy le socchiuse, invitandolo ad esplorarle la bocca, nel momento in cui faceva scivolare le mani sotto la giacca e cominciava ad accarezzargli intimamente il sedere. Spike si scostò un poco dalle labbra di lei.

 

- Piccola… non si fa in luoghi pubblici… sei veramente una cattiva, cattiva ragazza… - le fiatò sulle labbra, con quel tono sexy che le faceva sempre tremare le gambe, poi le ricatturò la bocca avvolgendola in un bacio affamato. La Cornacchia riapparve quasi subito obbligandoli ad interrompere quelli che le erano sembrati evidenti preliminari. Spike aveva sulle labbra i segni evidenti del lucidalabbra di Buffy che, accortasene, glieli cancellò velocemente con il pollice. La commessa sembrava spazientita, ma si sforzò di assumere un’aria cordiale.

 

- Prego, si metta qui, davanti allo specchio in modo che io possa prenderle le misure – v’era una nota di nervosismo nella voce.

 

Spike si posizionò in piedi, con le gambe leggermente divaricate e le mani dietro la schiena. L’impiegata gli si mise dietro e prese a misurargli il giro vita, poi scese a misurare le gambe ed arrivò all’interno coscia. Partì a misurare dall’orlo della gamba tirando su il metro, in modo da arrivare appena sotto il cavallo. Spike balzò in avanti.

 

- Hey! Lì le misure le prende solo la mia donna! – sibilò, guardandola con occhi gelidi.

 

- Che c’è tesoro? – chiese Buffy in apprensione, avvicinandosi a lui.

 

- Questa “signora” mi ha toccato il… il pacco! – confessò sconcertato.

 

- Oh, ma non è vero. Stavo solo prendendo le misure, è così che si prendono… - cercò di giustificarsi la donna.

 

- Sì, forse in prigione! – sbottò Buffy.

 

- Lei ha molestato il mio ragazzo e, se non vuole che la direzione ne sia informata, non mi farà pagare il lavoro di sartoria –sorrise vittoriosa.

 

- Passerotto… mi venderesti per così poco? – chiese sorpreso, aggrottando le sopracciglia.

 

- Zitto Spike! Allora? –

 

La Cornacchia si guardò attorno e, sconfitta, annuì con il capo. Buffy batté le mani e si fece consegnare il metro. Mise di nuovo Spike davanti allo specchio e ricominciò a prendere la misura del cavallo, dall’orlo della gamba salendo verso l’interno coscia. Non riuscì a trattenersi dal toccargli le gambe snelle attraverso la stoffa, mentre risaliva fino al suo inguine. Quando arrivò alla stoffa del cavallo sentì, o le parve di sentire, un mugolio sommesso di Spike. Le sue mani tremarono, aveva così voglia di sentirlo dentro di lei che l’avrebbe preso lì, davanti a quella commessa, davanti a tutti i clienti. Mentre quei pensieri le attraversarono la mente, guardò il riflesso del ragazzo nello specchio; quando lui se ne accorse si passò la lingua sulle labbra, inumidendole e si morse il labbro inferiore. Fu in quell’istante che, sulle sue dita ancora vicine al cavallo, sentì un leggero sfregamento. Spike si stava muovendo avanti ed indietro, di pochi millimetri in modo da non essere visto, ma abbastanza per procurarsi piacere con il contatto delle dita di Buffy, che sfioravano i suoi testicoli. Buffy gettò una rapida occhiata alla Cornacchia che in quel momento non stava badando a loro, ma era occupata a distribuire sorrisi agli altri clienti. Si voltò ancora verso lo specchio e rivolse un sorriso all’immagine di Spike, che glielo restituì. Senza farsi notare alzò l’indice ed il medio in modo che le sue dita, accompagnate dal movimento di Spike, gli accarezzassero la punta del membro ancora rilassato. Vide il ragazzo chiudere gli occhi e rilassarsi, mentre continuava a strusciarsi sulla sua mano. Buffy lo sentì indurirsi sotto le dita; Spike aprì gli occhi e, sulle labbra, le mimò “voglio scoparti”. Buffy lo guardò in modo sensuale facendo, velocemente, scivolare la sua mano sul suo membro teso. Fortunatamente il loro gioco era nascosto dalla giacca così, quando la commessa si avvicinò loro, rapidamente riuscirono ad assumere un’aria innocente. Buffy si alzò, mentre Spike fingeva di chiudersi la giacca e di ammirarsi nello specchio con compiacimento.

 

- Allora, soddisfatti? – chiese la commessa con voce stridula. Era ormai sull’orlo di una crisi di nervi, erano i clienti più fastidiosi che le fossero mai capitati.

 

- Non pienamente, direi! – saltò su Spike. Buffy gli diede una gomitata nello stomaco e sorrise, come meglio poteva, alla commessa.

 

- Ecco le misure. Il vestito l’ho bisogno per sabato. Fate consegne a domicilio vero? –

 

La commessa asserì con il capo e chiese se anche le scarpe avrebbero dovuto essere consegnate assieme al vestito, Buffy le diede tutte le informazioni necessarie e la Cornacchia li invitò a passare alla cassa per saldare il conto. Spike, intanto, si stava cambiando nel camerino.

 

- Fanno novecento dollari, signorina, paga in contanti o con la carta? – disse il cassiere con voce atona. Spike, che si era messo accanto a lei, per poco non svenne; non riusciva nemmeno ad immaginarsela una cifra del genere. Prima che Buffy potesse dire qualsiasi cosa, l’afferrò per un braccio e la trascinò via.

 

- Ma sei pazza? Spendere quella cifra per un vestito e un paio di scarpe è da malati! –

 

- Spike… ci tengo molto a quel Galà. Inoltre venticinque anni sono l’età giusta per cominciare ad indebitarsi. Ora lasciami pagare, per favore –

 

Buffy saldò il conto e, finalmente, uscirono dal negozio. Buffy prese a braccetto Spike come aveva fatto in precedenza, poggiando il capo contro la sua spalla.

 

- Sai una cosa Buffy? – le chiese guardandola con un ghigno.

 

- Che cosa? – rispose, scostando la testa e fissandolo a sua volta.

 

- Voglio ancora fare quello che ti ho detto al negozio… il mio – guardò il lieve rigonfiamento dei jeans – tu-sai-cosa non vuole darsi per vinto – nel mentre le spostò una mano sul sedere, scivolando sotto lo spolverino, e cominciò lascivamente ad accarezzarla sempre più intimamente. Buffy si aggrappò saldamente al suo braccio, cercando di sostenersi come meglio poteva intanto che cercava di controllare il suo respiro che si era fatto, via via, sempre più affannoso.

 

- Spike… ti prego… non smettere –

 

- Non ne ho nessun’intenzione amore –

 

Ora le sue dita stavano massaggiando il suo interno coscia. Buffy ansimava, non riusciva più a controllare le ondate di calore che si sprigionavano dal suo bassoventre e le attraversavano il corpo. Spike, invece, camminava tranquillamente come se nulla fosse con un largo ghigno beffardo stampato sul volto.

 

- Amore… mi dispiace dirtelo, ma la tua gonna è troppo stretta e non riesco ad andare in profondità… - le sussurrò all’orecchio con rammarico.

 

- Oh… ok… - gli rispose, cominciando a maledirsi mentalmente per la scelta dell’abbigliamento.

 

Camminando erano arrivati, intanto, all’emporio di D&G. Buffy era convinta che lì avrebbe trovato il suo vestito da sera e tutti gli accessori che le sarebbero serviti per essere bellissima. Entrarono ed, anche qui, si presentò una commessa di mezza età, ma molto giovanile e meno fasulla di quella di Versace. Buffy spiegò brevemente quello che cercava e la donna, molto gentilmente, l’accompagnò al reparto. Spike le seguì senza dire una parola, sapeva che Buffy teneva molto alla scelta del suo abito e lui non voleva assolutamente rovinarle il momento. La commessa estrasse dagli scaffali alcuni vestiti, mostrandoli a Buffy. La ragazza ne scelse uno lungo molto classico, di color nero con delle rifiniture in seta bianca ai lati e sul corsetto. Chiese alla donna di poterlo provare e questa le mostrò i camerini, poi si congedò lasciandole il tempo di provarlo e di decidere per l’acquisto. Buffy si infilò subito nella cabina e prese a spogliarsi. Spike era fuori che ammirava il negozio, era affascinato da quanto si potesse spendere per cose insulse come abiti firmati e accessori dal taglio strano. Un rumore arrivò dal camerino, attirando la sua attenzione, seguito da una serie di imprecazioni. Si avvicinò allo sportello e bussò.

 

- Bisogno d’aiuto amore? – chiese poggiando il capo sullo stipite della cabina.

 

Seguirono altre imprecazioni, poi il rumore della serratura, ed il capo di Buffy uscì da dietro la porta del camerino, incontrando gli occhi immensamente blu del suo ragazzo che la fissava divertito, con il capo inclinato ed un sorriso seducente sul volto.

 

- Cristo Santo! La maledetta cerniera della mia gonna si è incastrata, vieni ad aiutarmi, presto! – lo prese per la maglia e lo trascinò all’interno della cabina. Quest’ultima era piuttosto stretta, tuttavia Spike poteva muoversi abbastanza bene all’interno. Buffy, intanto, si era chinata indicando la cerniera ed offrendogli, nello stesso tempo, anche uno strepitoso panorama. Le poggiò le mani sui fianchi e l’attirò a se.

 

- Come posso aiutarti? – il tono era pacato e sensuale. Buffy sussultò al contatto delle sue dita, era da quando erano usciti di casa che desiderava sentire le sue calde mani su di lei.

 

- Spike… - sussurrò già in preda ad una strana frenesia.

 

- Vediamo se questa lampo si sblocca sotto il tocco delle mie dita magiche… -

 

Spike prese ad armeggiare con la cerniera della gonna, un lembo della camicetta si era incastrato tra i dentini della lampo e così era rimasta bloccata. Senza molta fatica riuscì a disincastrare la stoffa e a far scendere la lampo.

 

- Grazie tesoro… - gli disse con gratitudine.

 

La gonna fece per scivolare lungo i fianchi di Buffy, che si stava alzando, ma Spike la bloccò sistemando una mano sulla gonna e l’altra sulla schiena della ragazza obbligandola a rimanere chinata in avanti.

 

- Hey, che stai fa… - le parole le morirono in bocca quando il ragazzo cominciò a strofinare il suo inguine contro le sue natiche.

 

- Prego amore… Il piacere sarà tutto mio… - le rispose cominciando a carezzarle la schiena.

 

- Spike… fAHHHHHmmi alzare… non dOOOOHHHbbiamo farlo qui… - il respiro di Buffy si era fatto subito corto.

 

Le mani di Spike si erano spostate sui suoi seni e le stavano gentilmente stuzzicando i capezzoli che, prontamente, stavano rispondendo agli stimoli. Tra le natiche sentiva il membro indurito di Spike che premeva, voglioso di entrare in lei.

 

- Si piccola, ti voglio scopare proprio qui e, diciamo, che non sei nella condizione di scappare – rise sommessamente, per non attirare l’attenzione. Le mani si spostarono lungo tutto il corpo della ragazza e si posarono sulla gonna, sfilandola e facendola cadere sul pavimento. Buffy, intanto, puntò le mani sulla parete davanti a lei, in modo da riuscire a sostenersi.

 

- No… Spike… - cercò di dissuaderlo, anche se aveva cominciato a far ondeggiare il sedere, accompagnando i movimenti del bacino di Spike.

 

- Si piccola… comincia a danzare per il tuo Big Bad… - disse, abbassandole gli slip.

 

- Dimmi che lo vuoi… è così gonfio e ti desidera Buffy… ti vuole così tanto… - velocemente si sbottonò i pantaloni e li abbassò fino alle ginocchia, iniziando a strofinare la punta del suo pene umido contro il clitoride di Buffy, che prese a gemere.

 

- Passerotto… cerca di trattenerti o ci scopriranno e non potrai più prenderlo… e lui ti vuole così tanto, lo senti? – fece scivolare il glande nella femminilità bagnata di Buffy.

 

- Siiii, oh, siii, lo sento… lo sento… - sussurrò mentre cercava di indietreggiare per sentirlo più in profondità, guidando i suoi movimenti con l’aiuto delle mani, ancora poggiate sulla parete. Con un’unica spinta lo fece penetrare dentro di lei, tutto, fino in fondo. Cercò di soffocare i suoi mugolii come meglio poté.

 

- Oh, Buffy… Sei così calda… - si morse il labbro inferiore mentre Buffy continuava a muoversi avanti ed indietro, freneticamente, aumentando la loro eccitazione.

 

- Oh baby, muoviti con me… ti prego… - gli chiese supplichevole.

 

Spike cominciò a spingersi in lei velocemente, mordendosi sempre di più le labbra per trattenere i gemiti. Buffy, dal quel lato, non aveva molto successo e si stava lasciando parecchio andare.

 

- Sto venendo Spike… dammelo tutto… VENGOOOOO –

 

Sentì le pareti della femminilità di Buffy scuotersi attorno al suo membro, ma non perse la concentrazione, voleva venire in lei ma non lì.

 

- Buffy… ti voglio fottere nel culo… voglio venire lì… - le spinte di Spike erano rallentate.

 

- Ma… io… -

 

Buffy cercò di protestare, ma con un gesto rapido, Spike era uscito da lei ed era entrato nella sua apertura, quella più stretta, ma estremamente più eccitante.

 

- Spiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiikeeeeeeeaaaahhhh – fu l’unica cosa che uscì dalla bocca di Buffy, mentre il piacere la invadeva di nuovo.

 

- Oh passerotto, è così stretto… è così bello… sto per riempirti tutta… ti piace vero Buffy? – il ritmo del ragazzo era avvolgente ed intenso, procurandole un piacere nuovo, esaltato anche dal pericolo che stavano correndo.

 

- Siiii, aahhh, si…. Dio Spike… mi piace… -

 

In quel momento la commessa si avvicinò al camerino, bussò lievemente e, dato che non ottenne risposta, si accinse ad aprire la porta con il passepartout.

 

- VENGOOOO, VENGOOOOOO – urlò Buffy abbandonando ogni inibizione.

 

- Va bene cara, fai con comodo, io aspetto di sotto – e si allontanò.

 

- Oh, Buffy… sentito la signora? Fai con comodo… - riuscì a dire Spike, prima di abbandonarsi al suo potente orgasmo, riempiendola del suo seme.

 

Rimase ancora qualche minuto in lei e poi, lentamente, scivolò fuori cercando di risistemarsi al meglio.

 

- Io vado Buffy – disse aprendo la porta e guardandosi intorno. Non vedendo nessuno sgattaiolò fuori e si allontanò di qualche passo dal camerino. La commessa si diresse verso di lui.

 

- Va tutto bene? La signorina ha qualche difficoltà? – gli chiese apprensiva.

 

- Oh, non si preoccupi, aveva solo un problema con la lampo, ma le ho dato un…ehm a mano io… - le sorrise compiaciuto.

 

- Oh, bene! – squittì felice.

 

- Già, non sa quanto! – sul viso un ghigno enigmatico.

 

Nel frattempo la porta si aprì e Buffy, felice, uscì dal camerino. L’abito era splendido, fasciava il suo corpo minuto slanciandone la forma perfetta, delineandone ed esaltandone ogni curva. Tolse il respiro a Spike, era davvero stupenda. Lo sguardo che la ragazza gli lanciò, tuttavia, non aveva nulla di amichevole.

 

- Prego signorina, da quella parte ci sono gli specchi più ampi se vuole – la commessa le indicò la parete poco distante da loro. Buffy cominciò a camminare, trascinandosi lentamente ed in modo goffo verso lo specchio. La donna si rivolse a Spike che, prontamente, venne in soccorso di Buffy.

 

- Oh, non si preoccupi… Sa, la sciatica ha colpito la mia fidanzata molto presto… Un vero peccato… - scosse la testa, seguendo con lo sguardo i movimenti stentati di Buffy.

 

- Povera ragazza… - la signora si mise una mano sulla guancia e cominciò a scuotere il capo, imitando Spike.

 

Dopo aver acquistato anche gli accessori da abbinare all’abito, compresi un paio di orecchini con pendente d’argento, Buffy e Spike trovarono un grazioso ristorante dove pranzare. Davanti ai piatti semivuoti, Spike ruppe il silenzio che era regnato fino a quel momento.

 

- Buffy, non credi di aver speso troppo? Milleduecento dollari mi sembrano esagerati, per non parlare dei novecento già spesi prima – le disse gentilmente, anche se in realtà era molto contrariato da quella spesa folle contando che c’erano persone che soffrivano la fame. Buffy lo fissò, era ancora arrabbiata per il fatto di essere stata scopata dove lei non voleva. Fino a quel momento non aveva detto nulla, ma sentirsi dire da lui come doveva spendere i suoi soldi la fece innervosire.

 

- Quando ti vedrò portare dei soldi a casa, avrai voce in capitolo. Fino a quel momento vedi di tacere! – sibilò tutto d’un fiato, pentendosi subito di aver detto quella cattiveria. L’espressione di Spike si fece triste e malinconica.

 

- Oh Dio Spike, io non… - si portò una mano alla bocca, sgranando gli occhi.

 

Il ragazzo prese a tormentare con la forchetta una patatina fritta che aveva tralasciato nel piatto, lo sguardo basso.

 

- No, va bene. Hai ragione Buff… scusami per essermi intromesso – alzò gli occhi per fronteggiarla – Da questo momento stai pure tranquilla, non ti parlerò più e non ti chiederò più niente, mi limiterò a scoparti quando me lo chiederai e a portarti a quel dannato ballo! – nella sua voce era esplosa la collera e, di punto in bianco lanciandole uno sguardo ferito, si diresse verso l’uscita. Buffy rimase impietrita, incapace di fermarlo. Quello sguardo le aveva fatto male, molto male.

 

‘Ma che diavolo mi è preso? Dio… che stupida sono stata… Che m’importa dei soldi?’

 

Saldò in fretta il conto e corse fuori dal ristorante in cerca di Spike che, però, era già sparito, inghiottito dal fiume di gente che allagava i marciapiedi. Lo cercò disperatamente per ore, ma non lo trovò così, sconsolata, tornò a casa. Quando l’ascensore raggiunse l’ottavo piano e le porte si aprirono sul lungo corridoio, Buffy era in lacrime. Lentamente uscì e si diresse verso il suo appartamento, la paura di non rivederlo più era soffocante e le stringeva il petto in una morsa, impedendo ai suoi polmoni ed al suo cuore di espletare le loro funzioni correttamente. Avvicinandosi alla porta, si mise a cercare le chiavi nella borsa e quando, una volta trovate, alzò lo sguardo, vide Spike seduto sul pavimento che fumava. Quando la notò, spense subito il mozzicone, girandolo tra le dita, sul granito che rivestiva il pianerottolo e si alzò in piedi. Buffy gli volò tra le braccia singhiozzando contro il suo petto.

 

- Scu… scusami William… scusami… - riuscì a pronunciare, aggrappandosi alle spalle del ragazzo. Spike la strinse e le accarezzò la schiena.

 

- Shht piccola… è tutto ok… -

 

Buffy scostò il viso, ancora rigato dalle lacrime, dal suo petto ed alzò gli occhi fino ad incontrare i suoi.

 

- William… pensavo che non ti avrei più rivisto. Io… io… non pensavo davvero quello che ho detto. Voglio te, solo te… e non mi interessa se tu lavori oppure no. Voglio che tu sia la prima persona che vedo quando mi sveglio, l’unica persona che mi auguri buon lavoro facendomi un sorriso, l’unica che mi dica “bentornata” salutandomi con un bacio appassionato e l’ultima che vedo prima di chiudere gli occhi – Spike le sorrise con calore.

 

- Hai dimenticato di dire l’unica persona così dannatamente sexy da farmi piegare le ginocchia quando mi guarda o mi sorride, l’unica che, quando mi sfiora, mi fa urlare di piacere – inarcò il sopracciglio sinistro, mettendo in risalto la sua cicatrice, fissandola sensualmente. Buffy lo schiaffeggiò scherzosamente sul braccio, sorridendogli a sua volta.

 

- Scemo… - risero entrambi e poi, facendosi seri, si guardarono intensamente.

 

- Ti amo William – gli sussurrò Buffy.

 

- Anche io passerotto… Non ti lascerò volare lontana da me… - le rispose con voce calda.

 

Appena entrarono in casa, i loro abiti caddero sulla morbida moquette, seguiti dai loro corpi avvinghiati, che cominciarono ad amarsi lì, sul pavimento del salotto, incapaci di controllarsi. Dopo aver fatto l’amore diverse volte, giacquero abbracciati. Spike con la solita sigaretta accesa, che pendeva a lato della bocca, e Buffy stretta a lui che gli accarezzava il petto.

 

- Sai tesoro? Dovremmo litigare più spesso… sei stata meravigliosa – la baciò sulla fronte, dopo aver preso la sigaretta tra le dita. Buffy arrossì un po’ e chiuse gli occhi stiracchiandosi contro di lui come una gatta, facendo le fusa.

 

- Mmh… la mia Miss Kitty fantastica… - le massaggiò le spalle facendola miagolare, mentre spegneva e buttava la sigaretta nel posacenere poggiato sul tavolino del salotto.

 

- Miaaaaooooo – pronunciò Buffy in modo lento, mentre gli si posizionava sopra, a cavalcioni, iniziando a muoversi sopra di lui. Un’ombra le passò sul viso e si bloccò di colpo, provocando le proteste di Spike che, sbuffando, le chiese quale fosse il problema.

 

- Tu sai ballare? – esclamò allarmata. Spike rise.

 

- Beh… credo proprio di sì amore… Non abbiamo fatto altro… - sussurrò mettendo in evidenza il fatto che lui si trovasse dentro di lei in quel preciso istante. Buffy aggrottò le sopracciglia e, facendo una smorfia disgustata, scosse il capo.

 

- Eww… No, no Spike… Non intendevo “quel” tipo di ballo… Sii serio per favore –

 

- Ma io sono serissimo! Mai stato più serio in vita mia! – rispose sconvolto ed offeso.

 

Buffy lo guardò minacciosa e lui, seppur riluttante, cedette.

 

- No, non so ballare Buffy, anche se devi ammettere che so muovermi bene… - ghignò, mentre lo sguardo di lei diventava più torvo.

 

- Ti ho detto di essere serio! – Buffy si stava innervosendo.

 

- Tesoro, sono sempre serio quando si tratta di noi, mi vuoi dire qual è il problema? – domandò sempre rilassato.

 

- Il problema è che al Galà vorrò ballare e se tu non ne sei capace, sarò costretta a farlo con qualcun altro… Magari con il Dr. Giles… - sapeva che l’aveva punto sul vivo, ancora un attimo ed avrebbe raggiunto il suo scopo. Spike invertì repentinamente le posizioni, bloccandola sotto il peso del suo corpo, il suo membro ancora dentro di lei. La fissò con rabbia.

 

- Non lo farai! Con nessuno! Sei mia Buffy! – il tono era alterato e gli occhi immensamente blu, erano tempestosi ed emanavano scintille.

 

- Ma sarò costretta… è per beneficenzaaaaahhhhhh – sospirò. Spike aveva preso a muoversi lentamente in lei.

 

- No, non lo farai… - velocizzò le spinte.

 

- Devo… è… per… il lavoroooooooohhhhhh… Spike… - il ritmo stava accelerando e Buffy stava annegando in lui.

 

- Allora lo farai con me! Mi insegnerai… vero Buffy? –

 

- SIIIIIII, SIIII SPIKE…! – il membro di Spike che, incalzante, scivolava dentro e fuori di lei le stava facendo raggiungere rapidamente il punto di non ritorno.

 

- DILLO Buffy! Di’ che ballerai solo con me! –

 

- Dio sì, solo con te! Con nessun altro… MAI… AHHHHHHHHH… -

 

Buffy raggiunse l’orgasmo e Spike la seguì poco dopo, accasciandosi sopra di lei e poggiando le labbra sul suo collo, solleticandole la pelle con il suo alito caldo ed irregolare. Sorrise vittoriosa, l’obiettivo era stato raggiunto. Mancavano due giorni al Galà ed era sicura che, impegnandosi, sarebbe riuscita ad insegnare al suo cavaliere a muoversi sulla pista.

 

- Dirty Dancing? Ma si può sapere a che razza di ballo andremo? – chiese Spike, agitando la confezione del DVD che teneva in mano.

 

- Non farti ingannare dal titolo, è solo per farti entrare nello spirito del ballo – rispose Buffy, strappandogliela dalle mani.

 

- Lo spirito dei balli sconci? – rise sarcasticamente.

 

- Beh, sembra che siano quelli che più ti aggradano, o mi sbaglio? – pronunciando l’ultima frase, abbassò la voce di proposito. Incapace di controbattere, di mala voglia si lasciò cadere sul divano. Buffy sistemò il disco nel lettore e gli si sedette accanto. Verso la fine del film, Buffy guardava rapita Patrick e Jennifer che danzavano sulle note di “Time of my life”, mentre Spike la teneva contro il suo torace. Durante il film Buffy si era spostata e si era seduta davanti a lui, tra le sue gambe, poggiando la testa sul suo petto. Lo aveva utilizzato come cuscino, non che a lui dispiacesse il contatto con lei, anzi! Spike non riusciva a capire cosa ci fosse di bello in quel film, la sua storia d’amore con Buffy era infinitamente più struggente e romantica e con un enorme quantitativo di sesso che non guastava ma che, sinceramente, non gli bastava mai.

 

- Allora? Che ne dici? Stupendo non è vero? – chiese Buffy con occhi sognanti, rivolti verso di lui.

 

- Insomma… Ho visto di meglio – rispose scorrendo con lo sguardo il corpo di lei, adagiato contro il suo. Buffy sbuffò.

 

- Scemo… - esclamò mettendo il broncio. Spike le prese il mento e la obbligò a voltarsi quel tanto che la posizione in cui si trovava, le permetteva.

 

- Cosa abbiamo qui? Mmmmm? – si chinò sulla sua bocca dove il suo labbro inferiore sporgeva invitante. Buffy lo sporse ancora di più, vogliosa della bocca di Spike.

 

- Ti va di ballare… Buffy…? – le chiese sulle labbra, sensualmente facendo scorrere le sue mani sul corpo di lei, soffermandosi sui suoi seni sodi.

 

- Sempre baby… sempre… - riuscì a dire prima che la bocca esigente del ragazzo scendesse sulla sua, dando inizio alla loro danza.

 

Nei due giorni che seguirono Buffy si impegnò, dopo il lavoro, ad insegnare a Spike i passi di danza che conosceva. Da bambina, come tutte le ragazze del resto, aveva attraversato la fase “ballerina” e per questo, sua madre, l’aveva iscritta ad una scuola di balletto classico. Ricordava che, quelle due ore settimanali, erano le più felici. Avvolta nel suo tutù bianco, con le scarpette e la coroncina aveva partecipato alla rappresentazione, facendo la parte principale, del Lago dei Cigni. Naturalmente era stata una rappresentazione semplificata, eseguita da bambine di cinque e sei anni, ma ricordava bene, come se fosse ieri, il dolore che aveva provato non vedendo né sua madre né suo padre tra il pubblico. Si rifiutò di continuare e sua madre non la costrinse. Crescendo, però, la passione per il ballo classico lasciò il posto a quello moderno e a quello da sala. Si iscrisse, prima di iniziare l’Università, ad un corso serale dove aveva appreso le tecniche base che ora stava disperatamente cercando di insegnare ad un riluttante Spike. Buffy comprese ben presto che avergli fatto vedere Dirty Dancing non era stata un’idea felice e brillante in quanto per lui, ogni scusa era buona per strusciarsi addosso a lei. Non che si lamentasse del fatto che lui la desiderasse sempre tanto, ma trovava alquanto scomodo ritrovarsi avvinghiati dopo ogni due passi appresi.

 

Era giunto l’ultimo giorno, l’indomani avrebbero consegnato gli abiti e il Dr. Giles aveva comunicato a Buffy che una limousine sarebbe passata a prenderli. Spike aveva insistito fino allo sfinimento per tingersi ancora i capelli, ormai quasi del tutto castani, di quell’orribile biondo platino che, a quanto sembrava, gli piaceva tanto.

 

- Spike, ti prego, concentrati! – sbottò una sudatissima Buffy, dopo il suo ennesimo errore.

 

- È quello che dannatamente sto cercando di fare! – urlò lui di rimando.

 

Buffy volse gli occhi al cielo, cosa che fece innervosire ancora di più Spike.

 

- Non fare così Buffy, ti avverto! Se ti vedo di nuovo alzare gli occhi al cielo, ci andrai da sola a quel maledetto Galà per ricconi! – disse puntandole un dito contro, con aria minacciosa.

 

- Allora chiamerò uno dei miei colleghi, magari Owen l’infermiere – esclamò lei, con tono di sfida.

 

- Bene! – gridò Spike, voltandosi e dirigendosi verso il bagno.

 

- BENE! – gli fece eco Buffy, con gli occhi velati dalle lacrime, mentre sentiva il rumore della porta che sbatteva.

 

‘Idiota…’ pensò sentendo le lacrime cominciare a rigarle le guance.

 

S’incamminò verso la camera da letto e, arrivata davanti alla porta prese il telefono, mentre dietro di se si spalancò quella del bagno, compose il numero senza voltarsi. Spike era in piedi, con lo sguardo fisso su di lei.

 

- Ciao Owen… sono Buffy. Sei libero domani sera… c’è il Galà ed io… –

 

Non fece in tempo a dire altro perché Spike le strappò la cornetta dalle mani, accostandola all’orecchio. Libero… Buffy, si voltò, aveva sul viso un sorriso radioso.

 

- Ma è possibile che non lo capisci? Io amo TE, è con TE che voglio stare e voglio ballare solo nelle TUE braccia… ma perché non riesci a fartelo entrare in quella zucca? – incrociò le braccia sul petto. Spike le sorrise.

 

- Forse ho usato troppa acqua ossigenata e ho bisogno di sentirmelo dire spesso… - trattenne una risata. Buffy scosse il capo, mentre scoppiò a ridere.

 

- Dai piccola, sono pronto a ricominciare… - la prese per mano e la condusse in salotto, dove ripresero a fare le prove.

 

Rapidamente passò la serata e, Buffy e Spike, si ritirarono presto a letto. Sabato mattina arrivarono, come promesso, gli abiti e gli accessori comprati da Buffy. Lei, che era dovuta andare in ospedale e poi aveva preso appuntamento dall’estetista, era uscita presto lasciando Spike da solo alle prese con i fattorini. Naturalmente ad ogni fattorino raccontò una storia diversa, amava prenderli in giro. La limousine sarebbe passata a prenderli verso le venti anche se il Galà era fissato per le ventuno. La sala, infatti, non si trovava molto vicino al centro, ma abbastanza fuori mano. A quando aveva sentito al lavoro, si sarebbe tenuto in un’enorme villa antica. Era stata fissata un’asta silenziosa per raccogliere fondi così gli ospiti avrebbero potuto parteciparvi in modo anonimo.

 

Buffy rientrò verso le diciotto. Era già truccata e pettinata. I capelli erano stati raccolti in uno chignon elegante, dal quale fuoriuscivano riccioli biondi che le ornavano il viso truccato lievemente. Spike le andò incontro nell’ingresso, era sinceramente contento di vederla, le era mancata molto e si era annoiato parecchio.

 

- Ciao passerotto, ben tornata – si chinò per baciarla, ma lei si scansò.

 

- No… questo trucco mi è costato un occhio della testa… ti prego, non rovinarlo… - lo pregò.

 

- … uffa… ogni volta quello che ci va di mezzo sono io… - si lamentò Spike. Buffy gli diede una pacca sulla spalla e poi, con la mano, scese ad accarezzargli l’inguine.

 

- Ti va bene lo stesso come saluto? – gli sorrise beffarda.

 

- … mah… mi accontenterò… - rispose chiudendo gli occhi.

 

Buffy, dopo qualche istante ritirò la mano, provocando l’ira del ragazzo.

 

- Tu mi vuoi morto? Non puoi fare così e poi smettere di colpo! – incrociò le braccia sul petto, fulminandola con lo sguardo.

 

- Mi spiace tesoro, ma è tardissimo e devo vestirmi – detto questo sparì nella camera da letto.

 

‘Diavolo di donna… pensa di potermi trattare come il suo dannatissimo zerbino!’, si lasciò cadere pesantemente sul divano. Dalla stanza chiusa, arrivò la voce di Buffy che le chiedeva di raggiungerla, per aiutarla con la cerniera.

 

- Arrivo amore! – si alzò ed andò da Buffy.

 

Puntuale come un orologio svizzero, la limousine si fermò sotto il palazzo. Buffy e Spike, elegantissimi, uscirono e si sistemarono, abbracciati, sui sedili posteriori. Le note soffuse di musica classica, danzavano nell’aria ed accompagnarono il loro viaggio. Quando la macchina cominciò a muoversi, Spike strinse di più Buffy a se, era terrorizzato all’idea di vedere tutta quella gente dopo dieci anni di solitudine completa. E poi c’era anche “quella” cosa che, non avrebbe saputo spiegarne il motivo, aveva iniziato a tormentarlo sempre di più da quando era andato ad abitare insieme a lei.

 

- Tesoro, tutto bene? – gli chiese, notando la sua rigidità e la lieve pellicola di sudore che gli imperlava la fronte. Spike si volse verso la ragazza e tentò di sorriderle, cercando di sembrare naturale.

 

- Tutto bene, passerotto, tutto bene… Vedrai che sarà una bellissima serata. Ci sarà cibo? –

 

- Sì, credo ci sarà un buffet e alcool in abbondanza – si strinse di più al suo petto, poggiando la testa sotto il mento del ragazzo.

 

Dopo una cinquantina di minuti la limousine si arrestò davanti all’enorme cancello della villa antica che si levava, imponente, sulla collina in fondo all’immenso viale alberato. I cancelli si aprirono dopo che lo chauffeur si era annunciato e la macchina riprese a muoversi. Spike aumentò la presa, senza accorgersene, sulla mano di Buffy che, interrogativamente, lo guardò. Aveva il viso teso e leggermente pallido, la mascella serrata e quella che, le sembrò, paura negli occhi. Fissava il vuoto davanti a se. Serrò le dita attorno a quelle del ragazzo per infondergli sicurezza, questo si voltò e le sorrise, rilassando un poco i tratti del volto. Dopo pochi minuti la macchina si fermò di nuovo, questa volta dinnanzi al grande portone aperto, della villa. Un addetto si mosse per andare ad aprire loro la portiera, Spike scese per primo porgendo la mano a Buffy, che la prese uscendo dalla macchina. Un “wow” di stupore si formò sulle sue labbra, quando esaminò l’illuminazione elegante e sobria della villa. I giochi di luce ne facevano risaltare i particolari, le colonne antiche dell’entrata, le statue intagliate nella pietra che decoravano i lati delle enormi finestre del secondo piano e lo stupendo giardino, pieno di piante e fiori di ogni tipo, che circondava l’edificio. Avanzarono verso l’entrata dove due energumeni esaminarono il loro invito. Dopo aver controllato sulla lista in loro possesso, sorrisero e fecero segno di passare.

 

- Pronto tesoro? – domandò apprensiva. Spike sospirò pesantemente.

 

- Si, credo di si. Andiamo – varcò, insieme alla sua Buffy, la soglia di quella casa sconosciuta.

 

Appena entrati attraversarono il lungo corridoio di marmo chiaro, sui muri erano appesi enormi dipinti antichi di persone, forse vecchi abitanti della villa. I grandi lampadari di cristallo illuminavano perfettamente tutta la sala che, attraversando un alto arco, avevano raggiunto. L’ambiente, riccamente decorato, era già gremito di gente elegantissima che parlottava e beveva dalle loro coppe, lo champagne offerto dall’organizzazione. Disposti su dei piedistalli, ricoperti da cabine di vetro, vi erano esposti gli oggetti d’asta. Accanto ad essi vi era un quaderno sul quale era possibile scrivere l’offerta accompagnata dal nome del possibile acquirente. Spike si chinò, raggiungendo l’orecchio di Buffy che si porse verso di lui.

 

- E questa sarebbe beneficenza? – scosse il capo.

 

Disappunto, ecco cosa sentiva per tutta quella ricchezza sfrontata che gli veniva sbattuta in faccia. Dando un’occhiata agli invitati vide solo gente vuota che, per placare la propria coscienza, si era riunita con il pretesto di aiutare il prossimo. Provava schifo, tutto era sporco e disgustoso. Tra quelle c’erano le persone che gli avevano negato i soldi per un pasto, che l’avevano infradiciato, bagnandolo con l’acqua putrida di qualche pozzanghera, passandogli accanto con la macchina nelle fredde sere d’inverno. Sentì il bisogno di vomitare, ma cercò di controllarsi; lo faceva per Buffy, per la donna che amava con tutta l’anima. In quel momento un signore di mezza età, con indosso uno smoking vecchio stile, si avvicinò a loro, sorridendo a Buffy.

 

- Dottoressa Summers, sono contento che abbia accettato l’invito – le prese una mano e la sfiorò con le labbra. Lo sguardo gelido di Spike, puntato su di lui. Buffy arrossì, ma non per l’uomo, bensì per il gesto di quest’ultimo che, sapeva, aveva fatto male a Spike.

 

- Dottor Giles, la ringrazio molto del suo gentile invito – sorrise, poi con una mano indicò il ragazzo accanto a lei.

 

- Questo è Wi… - fu interrotta dalla voce di Spike che porse la mano al Dr. Giles, per una stretta.

 

- Sono James, James Richardson. Piacere di conoscerla – strinse vigorosamente la mano dell’uomo che aveva buttato fuori il suo migliore amico dall’ospedale senza tante cerimonie, condannandolo a morte certa se i volontari contattati da Buffy non avessero accettato di aiutarlo. Di nuovo sentì la voglia di vomitare.

 

- Piacere mio, allora è lei il ragazzo di cui Buffy parla in continuazione! – sorrise cordialmente. Spike lasciò la stretta.

 

- Beh, lo spero! – esclamò con falso entusiasmo, provando disgusto verso se stesso per essersi mischiato a quella gente. Buffy lo vide in seria difficoltà così si congedò educatamente dal suo superiore, dirigendosi nel mezzo della sala dove l’orchestra aveva preso a suonare. Nella sala accanto v’era il buffet, ma ora aveva bisogno di sentire le braccia di Spike strette attorno a lei. Lo guidò al centro della pista, lui la prese tra le braccia e cominciarono, lentamente, a muoversi sulle note dolci della melodia suonata al pianoforte. Spike, avvicinandola di più a se, poggiò una guancia sulla fronte di lei che, alzando il viso, gli baciò lievemente le labbra. I suoi occhi brillavano di gioia, mentre quelli di Spike erano scuri e impenetrabili. Troppe ombre vi si nascondevano e Buffy non riusciva a penetrarle. Era distante, lì tra le sue braccia eppure lontano anni luce da lei.

 

- Spike…? Tutto bene? – sussurrò.

 

Il ragazzo non rispose, rapito dai suoi pensieri continuava a muoversi meccanicamente, senza sentire la voce della ragazza che gli aveva parlato.

 

- Spike, tesoro... Vuoi andare via? – gli carezzò la schiena, destandolo dai suoi pensieri.

 

- Come? – le sorrise dolcemente.

 

- Ti ho chiesto se vuoi andare via… -

 

- No, no piccola… siamo appena arrivati. Ho una fame, andiamo mangiare qualcosa e, per favore, chiamami James – prima che Buffy potesse chiedergli spiegazioni, la prese per mano e la portò al buffet. Buffy aveva messo alcune tartine nel suo piatto e Spike, apparentemente allegro, ne pescava una dietro l’altra, mangiandole con gusto. Il Dottor Giles era a pochi passi da loro che parlottava animatamente con altri colleghi dell’ospedale. In quel momento uno strano borbottio, proveniente da un altro gruppo accanto a loro, la fece incuriosire e si mise ad ascoltare il loro discorso.

 

- È arrivato… pensavano che non avrebbe fatto in tempo. Dicono che sia arrivato oggi dall’Iraq. Solitamente a queste aste di beneficenza le sue offerte sono le più alte… -

 

Buffy, affascinata dalle chiacchiere , si alzò sulla punta dei piedi cercando tra le persone, l’oggetto del discorso. Il Dr. Giles notò qualcuno tra la folla e, scusandosi con i colleghi, avanzò rapidamente esclamando ad alta voce.

 

- Colonnello Finn! Che piacere! –

 

Un uomo alto, con indosso l’alta uniforme, sulla quale spiccavano i gradi ed alcune medaglie, si avvicinò a Giles stringendogli la mano.

 

Spike sbiancò notando l’uomo che l’aveva obbligato ad uccidere ed aveva cancellato la sua identità. Era l’uomo che l’aveva fatto morire dentro… che l’aveva costretto a vivere per strada, per dieci lunghi anni, come un emarginato. Stinse i pugni così forte che si ferì il palmo della mano sinistra con le unghie, la mascella contratta e gli occhi fiammeggianti. Il sangue caldo gli colava tra le dita.

 

- Buffy… andiamo via… - sibilò tra i denti.

 

Buffy voltandosi, non riconobbe quasi il suo ragazzo. Quello sguardo gelido e pieno d’odio non apparteneva al suo William.

 

- Amore che succ… - Spike la zittì lanciandole un’occhiata glaciale, che le fece paura. La prese per mano e la trascinò via.

 

- Ma Sp… James… che fai! La tua mano… – cercò di divincolarsi. Il ragazzo si voltò di scatto.

 

- Zitta! Dobbiamo andarcene subito! – quando si voltò andò a sbattere contro uno degli ospiti.

 

- Mi scusi – borbottò alzando lo sguardo ed incontrando quello del Colonnello Riley Finn, il suo peggior nemico che, nel frattempo, si era incamminato verso il buffet.

 

- Di niente, c’è talmente tanta gente che è difficile non scontrarsi – scherzò. L’uomo però rimase colpito da Spike, prese a scrutargli il volto. Gli assomigliava… se non che “lui” era castano ed, ormai, erano passati dieci anni dall’ultima volta che lo aveva visto. Eppure qualcosa, negli occhi dell’uomo che aveva davanti, glielo ricordava. L’aveva cercato così tanto…

 

- Mi scusi… ci conosciamo? – chiese, sempre fissandolo.

 

Spike impallidì, quasi non respirava… e se lo avesse riconosciuto? Guardò Buffy che, confusa, passava lo sguardo da lui all’uomo e viceversa. Se lo avesse riconosciuto il suo passerotto sarebbe volato via da lui, portandosi via il suo cuore.

 

- No, no… non credo signore – balbettò incapace di controllare il suo nervosismo. Il sudore gli imperlava la fronte e le mani gli tremavano, aveva paura.

 

- Mi ricorda qualcuno che conoscevo in passato… ma forse mi sbaglio, sono anni che non lo vedo. Qual è il suo nome? –

 

- Sono James Richardson, piacere di conoscerla signor… - cercò di controllare la sua voce e fece finta di presentarsi.

 

- Sono il Colonnello Riley Finn, piacere – gli porse la mano e Spike la strinse, l’odio gli pervase il corpo, facendolo vibrare. Ruppe subito quello spiacevole contatto.

 

- Mi scusi, ma io e la mia fidanzata ce ne stavamo andando. Arrivederci – disse con tono fermo, oltrepassandolo ed uscendo in fretta dalla sala con Buffy al seguito, silenziosa.

 

- Hudson, vieni qui per favore… -

 

- Colonnello? –

 

- Fai seguire quell’uomo, voglio sapere tutto di lui – il Colonnello fissò ancora la porta dalla quale Spike era uscito. Sul viso di quell’uomo si sovrapponeva quello del ragazzo che faceva parte della sua squadra speciale, tanti anni prima. Gli occhi erano gli stessi, profondi ed oscuri.

 

‘Sono sicuro che scoprirò cose interessanti su di te… “James”…’ sorrise.

 

 

Di nuovo al sicuro nella limousine con uno strano silenzio calato tra loro, Buffy e Spike evitavano di far incrociare i loro sguardi. Farlo avrebbe implicato troppe domande da parte di lei alle quali lui non avrebbe avuto voglia di rispondere. Lentamente, mentre la città addormentata veniva circondata da nubi nere, che preannunciavano una tempesta, la macchina percorse la via del ritorno. Il viaggio sembrò infinitamente lungo. Stremati e, senza dirsi una parola, salirono fino all’appartamento. Buffy ruppe quell’atmosfera che cominciava a pesare.

 

- Spike… quell’uomo era… “quel” Colonnello, dico bene? – chiese con apprensione. Il ragazzo portò una mano agli occhi e li strofinò nervosamente, il fazzoletto nel taschino della sua giacca era sporco del sangue che era fuoriuscito dalla ferita alla mano che si era procurato.

 

- Possiamo non parlarne adesso? – sospirò, ma nella voce c’era rabbia. Buffy si mise seduta sul divano, cominciando a togliersi le scarpe e a massaggiarsi la pianta dei piedi doloranti, date le scarpe nuove.

 

- No, Spike o James o William… voglio sapere tutto ora… - l’apprensione aveva lasciato posto al nervosismo. Stando con lui le era sembrato di cominciare a conoscerlo, le era sembrato che lui le avesse aperto il suo cuore, le sembrava che l’avesse lasciata avvicinare ed invece, ora si rendeva conto che più lei camminava verso di lui, più lui si allontanava. Ora era lontano anni luce e lei aveva voglia di piangere ed urlare, ma non lo fece. Spike, intanto, si era messo a guardare fuori dalla finestra, fissando l’immagine riflessa nel vetro, di Buffy. Piccole gocce cominciarono a picchiettare i vetri delle finestre, mentre Spike sospirava e si arrendeva.

 

- Sì Buffy, era lui… e fortunatamente sembra che non mi abbia riconosciuto. – si passò nervosamente una mano tra i capelli, tralasciando il fatto che Buffy avesse sottolineato di dubitare del suo nome. Tracciò con un dito il percorso di un rivolo che una goccia aveva lasciato sul vetro freddo.

 

- C’è qualcosa che ancora mi nascondi, non è vero? – rise amaramente, scuotendo il capo e fissando le sue spalle larghe. Ora anche lei lo vedeva riflesso nel vetro bagnato. La pioggia batteva incessante.

 

- No, ti ho detto tutto… ora è tardi Buffy, sono stanco – tirò un profondo respiro, mentre tirava fuori il pacchetto stracciato di sigarette.

 

- Certo, sei stanco! Questa serata è stata veramente uno schifo! Me ne vado a letto, tu non seguirmi! – si alzò di scatto e cominciò a dirigersi verso la camera da letto, quando la voce di Spike la raggiunse.

 

- Mi stai cacciando? – il tono era addolorato e le ferì il cuore. Si girò di nuovo verso di lui, incontrando i suoi occhi che la fissavano da sopra la spalla. In un attimo tutta la rabbia si sciolse.

 

- No, Spike… per l’amor del cielo, non lo farei mai… È solo che, alle volte, tutto è così difficile e Dio solo sa quanto vorrei che non lo fosse. La mia vita è sempre stata dura ed ora mi sembra che lo sia ancora di più da quando… -

 

- … io ne faccio parte… - concluse lui tristemente. Buffy percorse la breve distanza che c’era tra loro e gli circondò la vita con le braccia, poggiando il viso sulla sua schiena calda.

 

- No, non è così Spike. Tu sei l’unica cosa importante della mia vita… Ti amo così tanto che ogni volta che il tuo viso si rabbuia, ho paura di non ritrovarti più qui al mio risveglio – strinse la presa e Spike le carezzò il dorso delle mani, rilassandosi un poco. Guardando dalla finestra la sua attenzione venne attirata da due individui vestiti di scuro che, posizionati all’altro lato della strada, si guardavano intorno con fare casuale. Sembravano non far caso alla pioggia che cadeva copiosa; erano al contrario, interessati ai palazzi. La voce di Buffy lo distolse dai due individui.

 

- Amore… andiamo a letto… - disse Buffy, intanto che le sue mani cominciavano a vagare sul suo petto, aprendogli la camicia e scostando la stoffa mano a mano che le faceva scendere. Le bloccò e si voltò prendendole il viso tra le mani, baciandola appassionatamente. Buffy arrotolò rapidamente il vestito che indossava, fino sopra la vita e saltò in braccio a Spike, avvolgendogli le gambe attorno ai fianchi e cominciando a strusciare il bacino contro il suo.

 

- Spike… ti voglio… - gli sussurrò nell’orecchio, iniziando a tormentarlo con baci e morsi.

 

- Buffy… oh… Buffy… Anche io ti voglio… Sempre… - rispose ai suoi baci ed alle sue carezze, portandola in camera da letto ed amandola fino al mattino.

 

Passarono due settimane, durante le quali Spike capì che il Colonnello doveva averlo riconosciuto. Aveva iniziato a studiare i movimenti degli uomini che, caso strano, si trovavano sempre nel suo stesso luogo. Probabilmente erano delle nuove reclute senza esperienza in campo di spionaggio. Aveva compreso, osservandoli attentamente, che il gruppo comprendeva sei persone. I turni erano fissati ogni dieci ore ed i sei individui si alternavano sempre. Cercavano, benché fossero sempre in coppia, di non essere mai assieme allo stesso compagno per più di due turni, non prestando attenzione al fatto di aver creato un anello facilmente identificabile da un esperto come Spike. ‘Dilettanti’ fu l’unico aggettivo che gli passò per la mente. Credeva di sapere quello che il Colonnello Finn voleva da lui e sapeva bene che era capace di qualsiasi cosa per raggiungere lo scopo.

 

La porta si spalancò, facendolo sobbalzare.

 

- Tesoro, che fai sempre alla finestra? – Buffy era allegra e stringeva in mano una busta color confetto, con due anelli dorati incisi sopra.

 

- Niente passerotto, niente. Mi annoio, tutto qui, cos’hai in mano? – non voleva in nessun modo far preoccupare Buffy.

 

- È un invito ad un matrimonio… ANGEL e FAITH SI SPOSANO! – gridò entusiasta. Spike le sorrise, prendendo la busta in mano e leggendo l’invito.

 

 

“Angel O’ Connell

 

&

 

Faith Acker

 

Sono felici di invitarvi al loro matrimonio che si terrà

 

Sabato 1° settembre xxxx

 

Alle ore xx:xx

 

Nella Cattedrale di S. Patrizio”

 

 

 

Ripose il biglietto nella busta e lo porse a Buffy.

 

- Non è bellissimo? Ho sentito Angel e vuole che tu gli faccia da testimone! Devi solo darmi un documento d’identità in modo che possa farlo registrare al Municipio – gli sorrise fiduciosa.

 

- Non se ne parla Buffy… digli di no! – il tono era gelido. L’entusiasmo di Buffy si spense all’istante, lasciando il posto alla rabbia.

 

- Oh bene! Perfetto! Però glielo dirai tu! E spero solo che non farai queste storie al nostro matrimonio! – mise le mani sui fianchi, gli occhi lanciavano fiamme.

 

- Cos…? – Spike cercò di concentrarsi sulle parole che la ragazza aveva pronunciato.

 

- Nostro matrimonio? Buffy ma quando mai ne abbiamo parlato? Io… io non posso sposarti! – si passò una mano nervosamente tra i capelli e poi prese a massaggiarsi gli occhi con il pollice e l’indice della mano sinistra.

 

- COME? Tu non puoi sposarmi? E di grazia, quando me l’avresti fatto sapere? – sentì le lacrime spingere per uscire, ma non cedette. Era troppo arrabbiata.

 

- Abbassa il tono Buffy! Non voglio fare questo discorso ora, anche perché non ne abbiamo mai neanche parlato! Di’ solo ad Angel che dovrà trovarsi un altro testimone – fece per allontanarsi, ma Buffy lo bloccò.

 

- Eh no! Caro mio, ora lo affrontiamo questo discorso… Perché non puoi sposarmi? Credevo che mi amassi – la voce di Buffy si spezzò ed il mento cominciò a tremarle. Spike si addolcì un poco e la prese tra le braccia.

 

- E ti amo Buffy… con tutto il cuore, solo che il matrimonio mi sembra prematuro. Sono pochi mesi che stiamo insieme e… -

 

- Ho capito! Ho capito che le uniche cose che vuoi sono scoparmi e stare qui – lo spinse via. Le lacrime le rigavano le guance. Si voltò e si chiuse in camera. Lui bussò alla porta ma Buffy non aprì.

 

- VA’ VIA! TI ODIO WILLIAM! – gli gridò tra i singhiozzi. Spike strinse la mascella ed i pugni, era sul punto di dire qualcosa, ma poi si allontanò, afferrò impetuoso il suo spolverino e se ne andò sbattendo violentemente la porta dietro di se. Buffy sussultò e tese l’orecchio.

 

‘Se ne è andato?’ Si alzò e cautamente uscì dalla stanza.

 

- Spike? – sussurrò, ma lui non c’era più. Si guardò attorno, sul viso una smorfia di dolore. Si accasciò sul pavimento e pianse tutte le sue lacrime, mentre il profumo di lui ancora presente nella stanza, si affievoliva sempre più.

 

****

 

- Colonnello Finn, ecco il rapporto sulla missione che aveva richiesto, come vedrà purtroppo ci sono già state diverse perdite… – l’uomo si mise sull’attenti, mentre l’alto ufficiale prendeva la cartella e ne cominciava ad esaminare il contenuto.

 

- Grazie Hudson mi preoccuperò di trovare degli uomini migliori per la missione, puoi andare ora… - gli fece cenno di uscire, ma poi lo fermò.

 

- Hudson, per l’altra faccenda, avete scoperto qualcosa? – il Colonnello lo fissava seriamente incuriosito.

 

- Niente Signore… Quell’uomo non esiste, il nome che le ha dato è risultato falso, non è iscritto a nessun’assicurazione medica, nessuna rendita né militare né d’invalidità. Non ha mai lavorato, apparentemente. È come… come se fosse un fantasma… nemmeno i nostri servizi segreti sono riusciti a trovare informazioni su di lui. L’unica cosa che sappiamo è che attualmente vive con una ragazza, fa il medico al Presbyterian Hospital. I nostri uomini, tuttavia, li spiano ancora – rispose.

 

- Allora funziona… - il Colonnello Finn sorrise compiaciuto, senza più ascoltare quello che l’uomo gli stava dicendo.

 

- Funziona cosa, Signore? –

 

- Niente Hudson. Uhm… come si chiama la dottoressa? – sorrise incoraggiante, l’espressione molto interessata.

 

- Dottoressa Summers, Buffy Summers, Signore –

 

- Mmm, Buffy Summers eh… Grazie Hudson, vai pure ora, sei congedato –

 

- Sissignore! Ah, Signore, si ricordi che questa sera c’è l’opera. Abbiamo trovato i biglietti. Manderemo una macchina a prenderla –

 

- Va bene, lasciami solo ora -

 

L’uomo salutò ed uscì dall’ufficio. Il Colonnello, fece girare la poltrona e guardò fuori dalla finestra, osservando i mezzi da lavoro che circolavano per la base militare. Dondolandosi sulla sedia assunse un’aria talmente soddisfatta da risultare abbastanza inquietante.

 

- Bene, bene William… Credo che presto ci rivedremo e sarai di nuovo mio… - mormorò tra se e se, intanto che un ghigno diabolico gli si dipingeva sul viso.

 

****

 

 

Era notte fonda ormai e Buffy, esausta e rassegnata, si era cambiata e messa a letto. Spike per quella notte non sarebbe tornato. Chiuse gli occhi e, nella disperazione, si addormentò. Sognò Spike che, coperto di sangue, urlava il suo nome. Si svegliò di soprassalto. Prese la foto di loro due, che avevano fatto la settimana prima, dal comodino e la strinse al petto. L’incubo le aveva lasciato un brutto presentimento, quanto voleva che William fosse lì con lei per darle conforto con il calore del suo abbraccio, del suo corpo. Sarebbe tornato?

 

Sentì dei rumori provenire dall’ingresso. Con un balzo uscì dal letto, appoggiò la foto e corse per l’appartamento, aprendo la porta con slancio.

 

- Spike! – gridò affannata. Davanti a lei c’era il suo vicino d’appartamento che la fissava sbigottito, scosse il capo ed entrò in fretta in casa. Buffy era ancora lì, in piedi, che stringeva la porta di legno massiccio affondandovi quasi le unghie. Il suo corpo minuto fu scosso dai brividi e dai singhiozzi strozzati. Di nuovo in lacrime, chiuse la porta e si ritirò a letto, ma non riuscì che a percorrere pochi passi prima di crollare sul pavimento. Si portò una mano al petto, le doleva talmente tanto che pensava di morire. Non riusciva più a respirare, davanti a lei vedeva solo il volto furente di Spike. Vedeva solo la sua figura di spalle che si allontanava.

 

- Spi… ke… Spi… ke… - continuò a pronunciare il suo nome all’infinito, fino a che non riuscì a raggomitolarsi sul divano, cercando di calmare la crisi. Il pensiero che Spike non fosse più lì a proteggerla dal mondo permise, dopo essere scivolata nel sonno, ai suoi incubi di prendere di nuovo il sopravvento.

 

****

 

Buio. L’oscurità avvolgeva i vicoli e la pioggia battente ancora bagnava l’asfalto. L’unica e debole illuminazione era data dalle insegne lontane e dai pochi lampioni lungo quella via. L’opera era appena conclusa ed il Colonnello Finn, che si era trattenuto a parlare con i proprietari del grande teatro, accompagnato da due uomini si stava incamminando velocemente verso la sua auto. Passò davanti ad un vicolo buio, senza nessuna illuminazione. La strada era deserta, tutta la gente si era già diradata, grazie anche all’enorme quantità d’acqua che cadeva dal cielo. Qualcosa attirò la sua attenzione, una figura indefinita. Si fermò per un istante a fissare il vuoto. Le tenebre erano impenetrabili, addirittura palpabili tanto erano dense. In quel momento una luce fioca balenò nel buio illuminando il viso magro di un uomo, tra le labbra pendeva una sigaretta. La fiamma si spense e, nella notte, si liberò una nuvola di fumo. Pochi passi echeggiarono nel vicolo, accompagnati dal rumore delle pozzanghere. L’uomo gli si parò davanti, le guardie si erano già posizionate in difesa del loro superiore. La luce di un lampione gli illuminò lievemente il viso. William. Vestito completamente di nero, con indosso il suo inseparabile spolverino di pelle e fradicio dalla testa ai piedi, lo stava fissando indifferente, in silenzio, tirando lunghe boccate dall’inseparabile Marlboro. Il Colonnello e le sue guardie rimasero immobili ad osservarlo. Ora l’uomo aveva chiuso gli occhi e, inclinando il capo da un lato con uno scatto fece crocchiare le ossa del collo, una smorfia si dipinse sul suo viso finora impassibile. Si rimise a posto e riaprì gli occhi, il Colonnello era spazientito e, a dir la verità, un po’ spaventato.

 

- William… - cominciò, ma il ragazzo spalancò gli occhi fulminandolo con uno sguardo glaciale che lo fece rabbrividire. Finn arretrò di qualche passo senza nemmeno rendersene conto, mentre i suoi uomini apparivano disorientati. Spike finì la sua sigaretta e tirò il mozzicone lontano, questo si spense nell’acqua. Mandò fuori l’ultima boccata di fumo e avanzò di qualche passo. Le guardie estrassero le pistole, ma Spike si era già fermato. Finalmente la sua voce bassa e atona spezzò il silenzio.

 

- Riley… quanto tempo… Ho notato che mi stavi cercando e ho deciso di venire di persona… - trasse un lungo sospiro, sempre fissando Finn negli occhi.

 

- Will… William – sussurrò il Colonnello, recuperando parte della capacità di parlare. Se non ci fossero stati i suoi sottoposti, sarebbe già scappato da quell’uomo che gli incuteva molta paura… sicuramente si era presentato per un motivo preciso.

 

- Colonnello… per farla breve, sono qui per riprendermi quello che mi appartiene: LA MIA VITA! – le ultime parole furono urlate, in modo da risultare chiare e superare il rumore scrosciante della pioggia. Il Colonnello Finn, sapendo che le sue guardie non avrebbero esitato a sparare nel caso in cui lui si fosse mosso, rise sguaiatamente.

 

- La tua vita? E per farci che cosa? Tu mi appartieni William, ti sei solo preso una vacanza che noi ti abbiamo permesso di prendere. Tornerai con noi, nella nostra famiglia… la squadra degli Shadow men reclama il suo comandante. Smettila di giocare al fidanzatino con quella troietta. Le ferie sono durate anche troppo… ma ti perdonerò i tuoi dieci anni di assenza… - Finn provò a fissarlo negli occhi, ma quello che vi lesse gli fece subito distogliere lo sguardo. Odio. Cieco e totale.

 

- Io non tornerò da voi… sono qui per chiudere il conto Riley… Ti ricordi di questa? – con un movimento rapido estrasse da dietro lo spolverino un oggetto ricurvo. Finn cercò di aguzzare la vista, ma non ce ne fu bisogno. Spike appoggiò la punta a terra, accanto al suo fianco e rigirò l’oggetto tra le dita, un lampo balenò nel cielo nero e fece brillare la lama argentea nell’oscurità. Riley riconobbe così la katana che gli aveva regalato dopo il successo della prima missione, gli era stata donata da un capo di Stato giapponese. Una spada antica e preziosa, famosa per aver ucciso diversi Re e potenti del luogo anni ed anni fa. La sua lama, terribile e sporca di sangue, era ancora ben affilata e assetata di vendetta. L’adrenalina aumentò nel suo sangue, le tempie gli pulsavano. Sapeva che William era un combattente spietato, preciso e che portava a termine qualsiasi cosa gli venisse ordinato. Ora cercava vendetta ed il Colonnello non era più sicuro che le sue guardie fossero abbastanza abili da poterlo battere.

 

Sul volto di Spike apparve un sorriso sadico, gli occhi di ghiaccio stavano studiando la situazione e calcolando velocemente lo spazio di movimento. Il Colonnello sapeva di avere i minuti contati. Prima che le guardie del corpo avessero potuto reagire, la mano mozzata di uno di loro, che reggeva l’arma, stava già raggiungendo l’asfalto. Il grido di questo riecheggiò nella strada desolata, mentre l’altro puntava la pistola su Spike. L’uomo in nero si voltò lentamente, il sangue sulla lama si stava rapidamente cancellando grazie alla pioggia.

 

- Io non lo farei se fossi in te… - lo ammonì, il volto rilassato. La mano della guardia tremò visibilmente, ma non abbassò l’arma. Spike si avvicinò di qualche passo, lentamente.

 

BANG! BANG!

 

Altre urla di dolore si aggiunsero a quelle dell’uomo a terra. Spike era ancora in posa, dietro la guardia, mentre un braccio ed una gamba si disgiungevano dal corpo di quest’ultima, cadendo in una pozza. La katana era puntata verso il cielo, dove i lampi azzurri facevano luccicare la lama purpurea. Spike si rimise in posizione eretta, dondolando la spada al suo fianco.

 

- Sei circondato da dilettanti… male, molto male Colonnello – disse con tono deciso, mettendosi davanti all’unico uomo ancora non strillante. Il Colonnello indietreggiò facendo vagare gli occhi sulle persone straziate, che si rotolavano ai suoi piedi. L’abbondante strato di acqua che copriva la strada era ora un fiume vermiglio, questo rendeva il tutto uno spettacolo davvero raccapricciante e spaventoso. Dinnanzi a lui, c’era l’uomo che, ne prese coscienza, voleva ucciderlo. Spike si avvicinò ancora, mentre Finn cercava di arretrare il più possibile.

 

- Will… William… se, se mi uccidi non avrai la tua vita indietro… Lo capisci ve… vero? – balbettò in preda al panico. Spike si fermò, il capo inclinato da un lato, l’espressione seria. Sorrise. Cominciò ad avanzare di nuovo, più velocemente. Finn cadde a terra.

 

- NO WILLIAM, NO TI PREGO! – si coprì il volto con le mani mentre la punta della katana si rivolgeva di nuovo al cielo, pronta a scendere su di lui.

 

- AAAAAARGGHHHHHHH –

 

Finn iniziò a contorcersi sull’asfalto tenendosi le gambe con le mani. Spike gli aveva causato dei profondi tagli sotto le ginocchia e sulle cosce.

 

- Stronzo… - ringhiò tra i denti, Spike per risposta affondò la lama nella sua spalla, facendolo urlare ancora di più.

 

- Non devi insultarmi… sii educato. Devi solo darmi quello che voglio ed io ti lascerò andare. Siamo uomini d’onore – la voce di Spike era calma, troppo calma per appartenere ad un uomo sano di mente. Finn però sapeva che William non era pazzo, ma perfettamente sano e questo faceva diventare la situazione molto più complessa. Ricordava bene la sua spietatezza e freddezza, era grazie a queste qualità che era riuscito a vivere così a lungo nell’ambiente dove era cresciuto. Per un attimo ritornò al passato, a quando William, allora sedicenne, era entrato a far parte dell’esercito. Dato il suo talento era stato notato dai superiori, compreso Riley. A quel tempo aveva appena messo insieme la squadra degli Shadow men. Era una squadra speciale controllata dal Governo, segretissima, i cui membri erano tutti senza passato e senza legami. La loro identità era stata facilmente cancellata dagli schedari, come non fossero mai venuti al mondo. Le missioni loro affidate erano le più pericolose, al limite del suicidio. Gli incarichi variavano dagli omicidi di persone scomode, di alcuni capi di stato o di figure di spicco negli ambienti della malavita fino al trafugamento di documenti, di files segreti o di prove compromettenti. William era diventato il capo della squadra in breve tempo, era un abile stratega ed un eccellente combattente. Le sue missioni avevano il minor numero di perdite ed erano quelle dal successo assicurato. Tutto questo fino al giorno dove, Riley non ne conosceva il motivo, aveva mollato tutto ed era sparito dall’Afghanistan fino a quella festa, dove l’aveva finalmente ritrovato.

 

- Non… ti… darò mai quello che… vuoi – sibilò tra i denti, poi tossì. Spike, con semplicità, girò la lama ancora conficcata nella sua spalla, facendolo gridare.

 

- Io penso che cederai… ho tutto il tempo che vuoi… - estrasse, con un movimento rapido del braccio, la spada. Riley non si mosse, il fiato era corto e la vista appannata dalle fitte alle gambe e alla spalla.

 

- Se mi ucciderai… nessuno potrà ridarti… quello che vuoi… - tossì di nuovo. Sul viso di Spike passò un’ombra, che Finn non poté vedere. Fissando lo sguardo negli occhi socchiusi di Riley, puntò la katana verso il collo del Colonnello, toccando la pelle bagnata con la punta. Gli alzò il mento, il gelo della lama lo fece rabbrividire. Era sul punto di morire, ma non si sarebbe arreso a quel ragazzo arrogante.

 

- Ho… una proposta… - riuscì a dire. Spike scrutò il suo viso contratto in una smorfia, quasi comica, di dolore. L’uomo in nero fece scivolare la spada lungo la linea del suo collo, fino a raggiungere il braccio sinistro, poggiando la punta sul palmo della mano di Finn.

 

- Sentiamo – inclinò il capo, curioso.

 

- Ho una missione… - la punta della lama premette sulla sua carne, strappandogli un gemito sommesso.

 

- … nessuno può superarla… solo… tu… - la lama entrò nella carne, Riley chiuse gli occhi e strinse i denti, ma continuò.

 

- … fa’ questo per me… e sarai… libero… per sempre… - Finn urlò di nuovo, la katana era entrata in profondità nella carne del suo palmo. La estrasse di nuovo, Riley era ormai sul punto di svenire. Spike assunse un’espressione pensierosa, vagliò bene l’offerta e, dopo qualche minuto, parlò.

 

- Va bene, accetto. Ma ricordati bene – abbassò il capo, inarcando la schiena, verso il volto di Riley – se proverai a fregarmi o a fare del male alla mia donna, ti troverò ovunque tu sia e finirò quello che ho iniziato questa sera, assicurandomi che resterai sveglio ed attento per assaporare tutto quello che ti farò, ogni più piccolo particolare, fino all’ultimo – lo fissò ancora con disprezzo e poi si raddrizzò. Prese una sigaretta e la portò alle labbra, l’accese e l’assaporò a fondo. Sospirò pesantemente, mentre nascondeva la spada ancora sporca di sangue nel suo spolverino.

 

- Ci vediamo domattina presto al comando. Avrò bisogno dell’equipaggiamento completo. Buonanotte Colonnello – cominciò ad allontanarsi, canticchiando.

 

“O, don't deceive me,

O, never leave me,

How could you use

A poor maiden so…”

 

Sparì inghiottito nell’oscurità così come era apparso.

 

Dopo circa mezz’ora, il Colonnello venne soccorso dal suo chauffeur che, non vedendolo tornare era andato a controllare. Questo chiamò un’ambulanza per lui e le sue guardie del corpo, quasi in fin di vita. Finn non disse nulla a proposito di Spike, ma si assicurò di tornare alla base per l’indomani. Diede ulteriori disposizioni per non far trapelare quello che William aveva fatto a lui ed ai suoi uomini, avere la stampa tra i piedi non sarebbe stata una buona soluzione.

 

 

****

 

Spike, ancora fradicio, raggiunse l’appartamento di Buffy. Estrasse la spada dallo spolverino e, con l’altra mano, aprì la porta stando attento a non far rumore. Aveva tre ore di tempo prima di doversi recare in missione e non se la sentiva di partire senza averla prima rivista. Non avrebbe sopportato di perire sapendola adirata con lui. Fece qualche passo e la vide, rannicchiata sul divano con il viso ancora bagnato dalle lacrime. Doveva essersi addormentata senza accorgersene. Gli si strinse il cuore, sembrava così piccola ed indifesa. Si tolse lo spolverino, vi avvolse la katana, e lo poggiò all’ingresso, in modo che non sporcasse il pavimento. Fece la stessa cosa con gli anfibi che indossava, seguiti poi dalla maglia nera. Si avvicinò ancora di più e si inginocchiò di fianco a Buffy, il suo viso era così vicino che il suo respiro caldo e regolare gli accarezzava il volto. Chiuse gli occhi e lasciò che il suo profumo dolce gli invadesse le narici, voleva ricordarsi tutto di lei, ogni cosa, ogni particolare, ogni sua curva. Nella semi oscurità della stanza scorse il contorno del suo viso, delle sue labbra carnose ancora imbronciate, delle sue mani aggraziate strette a pugno, vicine al volto. I lunghi capelli, lasciati sciolti, le ricadevano sul davanti. Seguì con lo sguardo la curva delicata dei seni, velati dalla camicia da notte di seta chiara che indossava, e quella sinuosa dei fianchi fasciati dalla stessa stoffa delicata. Era sul punto di piangere, non voleva abbandonarla ma doveva farlo per essere finalmente libero di stare veramente con lei, senza più segreti, senza più impedimenti. Il viso di Buffy si contrasse in quel momento.

 

- Spi… ke… - una lacrima solitaria le scese lungo la guancia. Spike la raggiunse e con un movimento lieve gliel’asciugò.

 

- Sono qui amore, il tuo William è qui… - le poggiò il palmo della mano sulla guancia e la guardò con dolcezza, mentre Buffy si spingeva lentamente verso il suo tocco, cercando un contatto maggiore.

 

Un fulmine cadde nelle vicinanze, accompagnato da un boato, Buffy si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi spaventata e tuffandosi in quelli burrascosi di Spike. Lo fissò per un paio di secondi, tempo necessario per realizzare che non si trattava di un sogno, prima di gettargli le braccia al collo sussurrando il suo nome ancora ed ancora.

 

- William… William… William… sei tu… Sei davvero tu… - si strinse a lui, per quello che la posizione in cui si trovava, le permetteva.

 

- Shht, passerotto, sono qui… - le accarezzò i capelli, intanto che circondava la sua vita con le braccia, serrandola contro il suo petto.

 

- Pensavo di non rivederti più, mi dispiace per oggi… davvero, io… io… - mormorò contro il suo torace.

 

- È tutto a posto piccola, dispiace anche a me. Io tornerò sempre da te, ricordatelo – Buffy s’irrigidì e si sciolse dall’abbraccio, guardandolo in viso. Il viso del ragazzo era così triste, che comprese subito.

 

- Cosa… intendi dire? Te ne vai di nuovo? – pregò che la risposta alla sua domanda non fosse affermativa.

 

Era così preoccupata e Spike odiava farle del male, ma sembrava destinato a farglielo ogni volta. Si augurò che fosse l’ultima.

 

- Devo tesoro, lo devo fare per noi, lo faccio per te… Tu che mi hai ridato la vita… Te che amo più di ogni altra cosa al mondo… - non riuscì a dire nient’altro, la bocca di Buffy era premuta con forza sulla sua. Non voleva più sentire quelle parole, voleva solo sentire lui, lui ed il suo calore, lui ed il suo amore per lei.

 

La lingua della ragazza gli massaggiò le labbra, chiedendo di approfondire il bacio. Le sue piccole mani vagavano sul suo torace nudo, strappandogli gemiti sommessi di piacere, la sua pelle era così fredda sotto le sue dita… pensò questo prima che la sua mente non fosse più in grado di elaborare pensieri coerenti.

 

Il ragazzo, senza farsi pregare troppo, socchiuse le labbra permettendo alla lingua di Buffy di esplorare la sua bocca, mentre con una mano raggiungeva la sua nuca e l’avvicinava ancora di più, era affamato di lei. Le loro lingue duellarono appassionatamente, intrecciandosi e spingendosi nella bocca dell’altro. Rimasti quasi senza fiato si staccarono, respirando affannosamente alla ricerca di ossigeno. Non smisero mai di fissarsi. Nei loro occhi, oltre la disperazione per l’imminente separazione, brillavano l’amore e la voglia di fondersi in un unico essere. Buffy osservò la figura inginocchiata di Spike: la sua pelle bagnata ed esposta ai suoi occhi, i muscoli del torace e delle braccia tesi nel gesto di tenersi in equilibrio, i capelli biondi fradici e scomposti, i suoi occhi blu intenso accesi di desiderio, il suo viso magro e virile, ma nello stesso tempo così dolce… Tutto il suo essere trasmetteva a Buffy una sensualità tale che sentì il suo bassoventre reagire all’ondata di calore che le percorse il corpo. Si sorprese di sentirsi bagnata solo per averlo fissato, lo amava dunque così intensamente…

 

Spike raggiunse un piede di Buffy e, prendendo un lembo di stoffa tra le dita, con la mano percorse tutta la sua gamba, su fino ad esporre la parte inferiore delle sue cosce. Sotto la finissima stoffa, trovò quella un po’ più spessa delle mutandine della ragazza e cominciò ad accarezzare la sua femminilità, sentendola già bagnata attraverso il cotone. Buffy spinse il bacino contro la sua mano, chiedendo di più. La bocca di Spike era scesa sul suo collo, dove mordeva e succhiava la sua pelle calda e profumata.

 

- Sei bellissima Buffy… - le sussurrò vicino all’orecchio, mordendo e succhiando poi il suo lobo.

 

- Spike… fa l’amore con me… - si aggrappò alle spalle del ragazzo. Questo smise di tormentare la sua femminilità e senza fatica la sollevò tra le braccia dirigendosi verso la camera da letto. La ragazza durante il breve percorso gli tempestò il collo, il torace ed il volto di baci.

 

- Dio Buffy… - sospirò, poggiandola delicatamente sul letto, collocandola di traverso in modo che le sue gambe penzolassero sul lato di quest’ultimo. Con un movimento sensuale prese il bordo dei suoi slip e li fece scivolare lungo le gambe, gettandoli poi in un angolo della camera. Le allargò leggermente le gambe e prese a sfiorare con le labbra l’interno coscia, avvicinandosi pericolosamente alla sua femminilità.

 

- Spike… cosa stai facendooOOOHHHH – le dita di Spike le stavano allargando le labbra gonfie della sua femminilità, mentre la sua lingua cominciava a colpire ripetutamente il suo clitoride.

 

- Così bagnata… - sussurrò riprendendo a leccare e facendo scivolare un dito dentro di lei. Buffy miagolò e spinse il bacino in basso per un miglior contatto. Spike colse l’invito di Buffy e introdusse un altro dito, muovendoli aritmicamente dentro di lei, mentre succhiava avidamente il suo clitoride. Buffy gemeva e si contorceva sul letto, incapace quasi di respirare per le forti sensazioni che lui le stava dando. ‘Meravigliosa bocca, stupenda lingua’ pensò confusamente stringendo le lenzuola tra le dita. In quel momento le azioni del ragazzo vennero meno, Buffy fu sul punto di protestare quando al posto delle sue dita, la sua lingua cominciò a scivolare in lei, intanto che il pollice e l’indice di Spike lavoravano sul suo clitoride.

 

- Ah.. Spike… ah, sì, così… non-ti-fermare! – scandì in preda al piacere. Spike prese a disegnare cerchi attorno al centro del suo piacere, mentre sostituiva nuovamente la lingua con le dita.

 

- Sai così di buono Buffy… i tuoi mugolii mi fanno così eccitare… su piccola… dimmi che lo vuoi ancora… - la sua voce era vellutata, le arrivò all’orecchio come una carezza che la fece fremere ancora di più.

 

- SI, SPIKE.. anf… ANCORA ANCORA… AH… AH… - le sue urla riempirono la stanza, facendo scorrere un brivido lungo la schiena di Spike. La sua lingua si muoveva in lei, attorno a lei come le onde del mare. ‘Grazie signore per avergli dato una lingua così…’ riuscì a mettere insieme questo pensiero, intanto che il ragazzo continuava a darsi da fare.

 

- Dimmi quanto ti piace piccola… - dopo aver pronunciato queste parole, Spike le mordicchiò il clitoride; nello stesso istante le sue dita si stavano muovendo sempre più velocemente in lei, spingendosi a fondo nella sua cavità zuppa.

 

- TANTO… TANTO… Sto per veni… - non riuscì a terminare la frase scossa dal forte orgasmo che la investì, chiuse gli occhi e si abbandonò all’intensa sensazione. Spike, orgoglioso, si tirò in piedi e si stese di fianco a lei, pulendosi il volto con il palmo della mano e cominciando a leccarsi via il liquido di Buffy, il suo pene era talmente gonfio da fargli male, era stato quasi sul punto di venire sentendola gemere ed urlare e vedendola agitarsi sul letto.

 

Buffy aprì piano gli occhi e trovò Spike intendo a succhiarsi l’indice della mano sinistra, gli occhi blu brillarono quando cominciò a succhiare più lentamente, arrotolando la lingua attorno al suo dito. Non resistendo più a quella vista, gli prese il volto e lo attirò a se, baciandolo appassionatamente ed assaporando il proprio sapore, ancora presente sulle sue labbra.

 

- Buffy… - mugolò nella sua bocca, approfondendo il bacio ed alzandole la camicia da notte, per sfilargliela. Buffy, intanto, cominciò a sbottonargli i pantaloni, liberando il suo pene ormai completamente gonfio ed eretto dall’enorme eccitazione. Lo prese nella mano e cominciò a strofinarlo su e giù, Spike gemette forte sentendo la sua mano che si muoveva attorno a lui.

 

- Buffy… aspetta… anf… - pregò. La ragazza si fermò di colpo, sgranando gli occhi.

 

- Scusa, ti ho fatto male? – chiese preoccupata, ma Spike le rivolse un sorriso incoraggiante.

 

- No tesoro, è solo che sono così eccitato che non riesco a controllarmi se continui a fare così… Intanto togliamoci questa – le prese la camicia da notte e la sfilò via, gettandola all’altro lato della stanza. In seguito toccò a Buffy liberarlo dai jeans che ancora indossava. Ora i loro corpi erano completamente nudi, Spike si posizionò sopra di lei, che ebbe un brivido.

 

- Amore, sei gelato… asciugati o ti prenderai un malanno – ma Spike strinse la presa su di lei affondando il viso nell’incavo del suo collo, tra i suoi capelli setosi.

 

- Buffy… scaldami tu… - il tono che aveva assunto Spike pronunciando quella frase fece stringere il petto a Buffy, era stato così infinitamente triste. Aveva perso la spavalderia di poco prima probabilmente perché l’ora dell’addio cominciava ad avvicinarsi… Si strinse a lui con tutte le sue forze.

 

- Sì amore, ti scalderò io… - gli baciò la nuca, intrecciando le dita nei suoi ricci ribelli. Buffy fece scorrere le mani sulla schiena del ragazzo in modo sensuale, graffiandogli la pelle con le unghie e strappandolo dai pensieri dolorosi che gli stavano attraversando la mente. Quello era il loro momento e nulla doveva insinuarvisi. La ragazza raggiunse nuovamente il suo pene e lo afferrò come aveva fatto poco prima, Spike si spostò un po’ di lato al fine di permetterle una maggior mobilità. Lui giocava con i suoi seni, intanto che lei cominciava a muoversi dapprima lentamente e poi più velocemente. La ragazza si sporse verso di lui e lo baciò lievemente sulle labbra, lui rispose al bacio ma prima che potesse approfondirlo, lei era già sul suo collo che tracciava una linea delicata di baci giù fino al suo torace. Spike abbandonò il capo sul soffice materasso perdendosi nel suo respiro affannoso, chiuse gli occhi per riaprirli quando sentì Buffy muoversi. La vide posizionarsi a cavalcioni sopra il suo petto costringendolo a stendersi sulla schiena, la sua femminilità bagnata davanti al suo volto. Poggiò le mani sui suoi glutei sodi, mentre lei faceva affondare la sua bocca sul suo membro teso allo spasmo.

 

- Oh Buffy… si, succhialo Buffy… - intanto che lei continuava a far scivolare la sua lingua sul suo membro, lui le allargò le labbra ed iniziò a tracciare con la lingua i contorni della sua figa zuppa.

 

- Ahhh, Spike… - gridò, per poi continuare a dare attenzione al suo membro. I loro respiri affannati si fusero, il loro piacere cresceva sotto il tocco delle loro dita, labbra e lingue. Buffy venne gridando il nome del ragazzo quando lui affondò la lingua a fondo, dentro la sua cavità. Lui venne subito dopo nella bocca di lei, che avidamente ripulì e ingurgitò il suo seme caldo. Lentamente lei tornò al suo fianco e si posizionò sopra di lui. Ora la pelle di Spike era bollente, lei sorrise orgogliosa.

 

- Ora sei caldo… - disse compiaciuta, percorrendogli con le dita il torace scolpito. Lui mugugnò qualcosa tra i denti.

 

- Che hai detto tesoro? – chiese curiosa alzando il capo per incontrare i suoi occhi, lui le accarezzava dolcemente i lunghi capelli.

 

- Ho detto che lo sono sempre quando sto con te… - ridacchiò lui. Risero insieme, ma l’allegria del momento si trasformò subito in un silenzio amaro e malinconico. Spike scoccò una rapida occhiata alla sveglia sulla scrivania; mancava un’ora al momento della sua partenza. Il suo sguardo cadde sulla figura esile di Buffy, accoccolata sopra di lui. La desiderava ancora, voleva stare dentro di lei fino all’ultimo istante. Solo in quel momento si accorse che il corpo della ragazza sussultava impercettibilmente, sentì la pelle del suo torace inumidirsi, lei piangeva. La strinse di più a se e le diede piccoli baci sul capo, mentre le scostava i capelli dal viso con una mano.

 

- Shht Buffy… è tutto a posto… - la cullò dolcemente e Buffy diede libero sfogo al suo dolore singhiozzando più forte. Rimasero così, abbracciati in silenzio per un po’, finché Buffy non riuscì a calmarsi. Spike, quando si accorse che si era tranquillizzata, scambiò le posizioni. La fece rotolare gentilmente sull’altro lato del letto e la coprì con il suo corpo, ancora enormemente voglioso di lei.

 

- Buffy… Lasciami… Io voglio perdermi in te… Ti amo, ti amo tanto… - le sussurrò all’orecchio con la voce spezzata dal dolore. La ragazza rispose alla sua preghiera facendogli passare lentamente le gambe attorno ai fianchi, anche lei sentiva il bisogno di averlo dentro di se, di perdersi con lui. Spike con dolcezza entrò in lei, la sentì gemere sommessamente, mentre raggiungeva il punto più profondo della sua femminilità. Iniziando a muoversi in lei, stabilendo un ritmo calmo e dolce, Spike le sussurrò all’orecchio parole d’amore.

 

- Ti amo William… - bisbigliò lei sommessamente, incontrando i suoi occhi. Gli mise una mano dietro la nuca e lo guidò verso il basso per catturargli le labbra in un bacio che aveva tanto il sapore dell’imminente separazione. Spike, scostatosi di qualche millimetro dalla bocca di Buffy, cominciò a sussurrarle sulle labbra.

 

- Ti amo Buffy… Aspettami, ti prego… - prese a baciarle tutto il viso, mentre sul volto di Buffy erano riapparse le lacrime.

 

- Per favore non andare, non mi lasciare… - pregò tra un bacio ed un sospiro, aggrappandosi alle sue spalle con tutte le forze.

 

- Devo, amore, lo sai… Per noi due. Io tornerò da te, te lo giuro! Aspettami Buffy, ti prego, aspettami – le spinte di Spike si fecero più intime e veloci, Buffy prese a muoversi con lui. In pochi minuti raggiunsero l’apice e, nuovamente appagati, rimasero abbracciati in attesa del momento della separazione. Buffy, quasi senza accorgersene, scivolò nel sonno; Spike le accarezzava la schiena in modo blando, tenendo il suo corpo minuto contro il suo petto. Era arrivata l’ora. Senza svegliarla scivolò via dal letto, la fissò ancora per qualche istante per imprimersi al meglio la sua immagine. Le pose un lieve bacio sulla tempia e le sussurrò nell’orecchio “Torno presto, amore”. Buffy sorrise e lui uscì dalla stanza dopo aver raccolto i suoi pantaloni. Una volta in salotto si ricordò delle fotografie che Buffy teneva nel cassetto della cristalliera, l’aprì e ne prese una a caso ficcandosela nella tasca posteriore dei jeans. Raccolse la sua maglietta, ancora umida, gli anfibi e lo spolverino. Una volta pronto si avviò verso la porta d’ingresso, strinse la maniglia nel palmo della mano ma, prima di uscire, diede un’ultima occhiata alla stanza. Sospirò pesantemente ed uscì, lasciandosi dietro l’unica cosa preziosa che avesse.

 

Quando uscì dal portone di casa trovò una macchina ad aspettarlo. Dentro vi erano un paio di uomini vestiti di scuro che l’attendevano. Uno di questi, sceso dal veicolo, gli aprì la portiera e gli fece segno d’entrare. Spike alzò lo sguardo verso al finestra della stanza di Buffy, non v’era nessun bagliore, lei dormiva ancora. S’infilò nell’auto e questa partì a velocità sostenuta.

 

Arrivarono presto in un luogo incustodito, con palazzi diroccati e abbandonati, nei sotterranei di una delle imponenti costruzioni vi era la base segreta del gruppo degli Shadow Men. Gli uomini fecero scendere Spike dall’auto e lo accompagnarono verso un portone, l’ingresso era in rovina come in tutta l’area circostante. Uno dei due individui premette il pulsante dell’ascensore e questo si aprì rivelando una cabina dell’ultima generazione. Spike entrò, scortato dai due. La cabina prese a muoversi verso il basso, scendendo di alcuni livelli nelle profondità del sottosuolo. Quando si arrestò, le porte si aprirono su un corridoio d’acciaio, il pavimento era ricoperto da linoleum bianco e a Spike parve tutto molto artificiale. L’installazione era moderna e v’erano sia scienziati che componenti della squadra di cui Spike, presto, avrebbe fatto di nuovo parte. Camminarono attraverso il lungo corridoio fino ad arrivare ad una stanza. Gli uomini fecero segno a Spike di entrare.

 

- Signore, qui troverà gli abiti necessari per la missione. Si cambi, noi saremo qui e la scorteremo dal Colonnello che le darà le altre informazioni sulla missione – si misero sull’attenti, mentre Spike spariva all’interno dell’enorme spogliatoio.

 

Guardò i nomi sugli armadietti, il suo c’era ancora: “William il Sanguinario”. La divisa, fatta di un materiale nuovo, simile al cuoio, di colore nero, con la giacca coordinata e gli stivali erano poggiati sulla panca a poca distanza da esso. Cominciò a spogliarsi, piegando accuratamente i suoi abiti e riponendoli con attenzione nell’armadietto. Non dimenticò di estrarre la foto di Buffy dalla tasca posteriore dei suoi jeans e di riporla, dopo averla guardata, in uno dei taschini della giacca. Finì di allacciarsi gli stivali e fu pronto. I suoi capelli platinati e la pelle candida del suo viso risaltavano sulla guaina nera che indossava. Afferrò i guanti ed uscì. Le guardie lo portarono nella sala di controllo dove venivano pianificate le missioni e stabiliti i compiti, lui la conosceva molto bene, v’era stato migliaia di volte. Varcarono la soglia e trovarono il Colonnello Finn seduto su una sedia a rotelle, con le gambe ed una mano fasciate. Sicuramente aveva anche la spalla medicata in quanto era evidente la presenza delle bende sotto la camicia. Spike lo fissò con occhi vitrei, lo odiava ma quella sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrebbe visto. Poi sarebbe volato tra le braccia della sua Buffy standole per sempre accanto, o almeno finché lei l’avrebbe desiderato.

 

- Accomodati Sanguinario – lo invitò Finn, ma Spike non accettò, si limitò a girare attorno al lungo tavolo e rimase in piedi in attesa di ricevere le istruzioni, desiderava farla finita il più in fretta possibile. Finn trasse un lungo respiro e fece un cenno con la mano verso Spike.

 

- Come vuoi… Voi due, andate e riunite gli uomini, voglio tutti i membri della squadra Snakes qui, subito! –

 

Gli uomini salutarono e lasciarono la stanza. Spike e Riley stettero in silenzio e finalmente arrivò alle loro orecchie, il vociare degli uomini che si avvicinavano. Entrarono, erano quattro persone che Spike conosceva perfettamente, erano i superstiti della sua vecchia squadra. I quattro raggelarono, ma lo stupore durò solo qualche istante. Corsero ad abbracciarlo, commossi nel rivederlo dopo dieci lunghi anni di assenza. Il loro capitano, l’unico che avessero ritenuto tale, era tornato. Sotto la sua guida erano sicuri che le loro vite sarebbero state in buone mani, in quegli anni erano stati decimati e le missioni che portavano al successo erano diventate via via sempre meno. Spike, tuttavia, rimase impassibile, come se l’uomo di cui parlavano fosse un estraneo. Iniziava a sentirsi male, solo la vicinanza della ragazza bionda lo faceva calmare, solo lei riusciva a tenerlo sotto controllo, a tenere a bada il suo lato oscuro. Riley si schiarì la voce e diede ordine a tutti di prendere posto attorno al tavolo, Spike non lo fece, rimase in piedi esattamente nel punto in cui si trovava e si accese una sigaretta.

 

- Soldato, non ti è permesso fumare qui dentro! – cercò di protestare Riley, ma smise subito vedendo lo sguardo infiammato di Spike. Si schiarì di nuovo la voce, con nervosismo, ed iniziò a spiegare la missione. Fece scorrere delle diapositive nella stanza, ora avvolta nell’oscurità, e iniziò a fornire i dettagli della missione. Le prime diapositive rappresentavano la cartina del paese e la foto di un uomo, sulla cinquantina, dai tratti asiatici.

 

- La missione si svolgerà in Giappone, sull’isola di Hokkaido. Lì vive Makoto Yoshizumi, è un boss mafioso che esporta armi in tutto il mondo, ma quello che interessa al nostro gruppo sono i suoi guadagni, quelli che derivano in special modo dall’industria chimica. Infatti è quasi certo che esporti virus manipolati geneticamente e li venda sottobanco come armi batteriologiche ai paesi del medioriente, che le usano per tenere sotto scacco l’intera area con la minaccia di usarle, incrementando l’industria farmaceutica. Il vostro obiettivo è rubare la formula dell’ultimo virus in lavorazione, con un campione e la relativa documentazione sugli effetti, il raggio d’azione e l’eventuale antidoto. L’unica cosa che sappiamo su questo nuovo agente patogeno è che non viene rivelato nemmeno dalle analisi del sangue, che i sintomi non si avvertono se non a circa un’ora dalla morte, quando non c’è più nulla da fare e, ancora più grave, è inodore ed insapore, si diffonde nell’aria senza lasciare tracce – Riley fece scattare la diapositiva seguente, che raffigurava la piantina dell’immensa villa, ma prima che riuscisse ad iniziare a parlare, Spike lo interruppe.

 

- Oh, e sicuramente lo facciamo per salvare il mondo, vero? O forse perché lui fa un prezzo più basso del nostro? – l’intervento di Spike fece raggelare gli altri membri della squadra, loro erano così abituati ad eseguire gli ordini che non sarebbero mai arrivati ad avere lo stesso pensiero del loro capitano.

 

- Non essere insolente soldato! Quello che ne faremo non è un vostro problema, vi atterrete agli ordini e questo è tutto! – gridò Finn.

 

Per un attimo i loro sguardi s’incontrarono, ardenti e battaglieri, poi Riley incapace di sostenere quello di Spike, abbassò il suo e lo portò di nuovo sulla diapositiva.

 

- Ora, andiamo avanti con il briefing… - si schiarì la voce e proseguì.

 

- La casa, come vedete dalle foto satellitari, è situata su una collina. Davanti c’è una radura, niente alberi, mentre sul retro c’è il mare. È una scogliera inaccessibile, ci sono forti correnti e lo strapiombo è invalicabile. Per questo, la via migliore, sarà un attacco dall’alto. Vi sganceremo nel mezzo del cortile della villa e potrete introdurvi più facilmente, senza essere visti, nel laboratorio situato all’interno del cerchio rosso che vedete. Tutto chiaro? – gli uomini si guardarono l’un l’altro, tacitamente. Spike si avvicinò alla diapositiva, sotto lo sguardo di tutti e poi la sua voce ruppe il silenzio.

 

- Oh, certo, grandissima idea Colonnello. Peccato però per questa – indicò un punto sulla diapositiva – torretta che si trova in mezzo alle mura di cinta –

 

Il viso di Riley divenne rosso dalla rabbia, sapeva perfettamente dove Spike volesse arrivare.

 

- Antimissili, vero? - i compagni di Spike avevano gli occhi sgranati, il loro capitano non aveva perso il suo stile.

 

- Cosa proponi Sanguinario? – ringhiò Finn, mentre sul viso di Spike appariva un sorrisetto di vittoria.

 

- Beh, possiamo suonare il campanello con tanti fuochi d’artificio in cielo come dici tu… oppure possiamo tentare l’impossibile – indicò la cartina - il mare… noi sbarcheremo lì – disse con tono sicuro. Riley si mise a ridere.

 

- Certo, un’idea geniale… se non fosse per le correnti forti e per lo strapiombo invalicabile… Nessuno riuscirebbe a scalarlo! – lo canzonò, ma Spike non ebbe la reazione sperata, rimase calmo.

 

- Io lo scalerò! E la squadra capitanata da me lo farà! – disse schiacciando ogni opposizione da parte del Colonnello, lo sguardo dritto in quello di Riley, che si rivolse ai quattro uomini.

 

- Sentito? Questa sarà la vostra ultima missione a quanto pare! Buona morte a tutti! – spostò la sedia a rotelle e la girò verso la porta ma, prima di uscire, uno dei soldati gli inveì contro.

 

- Noi non moriremo! Abbiamo di nuovo William e sappiamo che il suo piano funzionerà. Se dice che scaleremo quelle rocce, scaleremo quelle dannate rocce! – quello che parlò era stato il secondo di Spike, quello che l’aveva trascinato via dal campo della missione afgana dieci anni prima: C.J. Redfield.

 

- Soldato, cerca di controllarti, come osi rivolgerti in questo modo ad un tuo superiore? – il tono di Riley non ammetteva repliche e C.J., suo malgrado, dovette scusarsi.

 

- Mi scusi signore, non succederà più… - si morse il labbro inferiore, quanto gli costava fare quelle scuse!

 

Spike, dal canto suo, fu sorpreso di vedere ancora un tale attaccamento da parte della sua vecchia squadra, sebbene non volesse più far parte di quel mondo, erano stati gli unici amici e compagni che aveva avuto nella sua vita. Fu sollevato di dover condividere il suo ultimo compito con loro.

 

- Colonnello… hai dimenticato di dirci quando dobbiamo partire e come dobbiamo fare per le armi… - la voce tranquilla di Spike lo fece infuriare ancora di più.

 

Il Colonnello Finn, ancora furente per la pessima figura che Spike gli aveva fatto fare poco prima davanti ai suoi uomini, dette le ultime informazioni come richiesto dal capitano.

 

- Partenza domattina alle 06.00 dal JFK, salirete a bordo di un aereo come civili ed atterrerete all’aeroporto di Narita, a Tokyo. Subito verrete prelevati dai nostri agenti e portati ad Akita. Lì sarete imbarcati su di un sottomarino, un nuovo prototipo di piccole dimensioni per le missioni in mare, e portati ad Hokkaido. Verrete abbandonati nei pressi degli scogli ai piedi della collina. Lì quel genio del vostro capitano vi dirà cosa fare! Per le armi, genio, ti potrai rivolgere all’armeria. Ah, dimenticavo, nel caso in cui foste catturati, il Governo negherà ogni coinvolgimento. E con questo siete congedati! Buona morte a tutti! – Riley uscì in fretta dalla stanza.

 

Spike strinse la mascella, come osava umiliarlo davanti ai suoi uomini? Il genio gli avrebbe fatto vedere quanto era abile, avrebbe portato a termine la missione come tutte le volte. C.J. gli andò vicino e gli tese la mano, mentre gli altri lasciavano la stanza per andare a preparare il necessario per il viaggio.

 

- Bentornato capitano, ci sei mancato! – gli occhi del giovane uomo brillavano dalla commozione. Spike fissò la mano amichevole che gli veniva tesa e che lo invitava a stringerla. Non avrebbe voluto abbandonarsi a stupidi sentimentalismi, ma quello era l’uomo che l’aveva trascinato via dall’inferno, salvandogli la vita. Non poteva negare di provava ancora dell’affetto ed un senso di profonda gratitudine per lui. Afferrò la sua mano e, dopo averla stretta con forza, lo attirò a se e gli diede un abbraccio fraterno, dandogli pacche sulle spalle.

 

- Mi sei mancato Will! – disse il ragazzo con la voce rotta dall’emozione. Spike lo sciolse dall’abbraccio, tenendolo per le spalle, con un sorriso sincero sul volto.

 

- Anche tu C.J., mi sono sempre chiesto cosa stessi facendo e se fossi ancora vivo –

 

- Certo che lo sono! Dopo centinaia di missioni dove hanno provato a sotterrarmi, io sono sempre riuscito a sotterrare loro! E tu Will, cosa hai fatto in questi dieci anni? La tua vacanza è stata lunga, sei sparito senza dire nulla. Pensavamo fossi in missione, ma poi non sei mai tornato – C.J. rimase in attesa di una risposta, che arrivò confusa.

 

- Io… sono stato in giro. Dopo questa missione non mi rivedrai mai più C.J., mai più… -

 

- Vuoi abbandonare nuovamente gli Snakes? Gli Shadow men? E perché Will? Siamo sempre stati una famiglia, perché non vuoi stare con noi? – chiese sorpreso l’uomo, se l’avessero schiaffeggiato in quel momento il suo volto sarebbe apparso meno sgomento.

 

- Perché c’è una ragazza che mi aspetta e voglio tornare da lei il prima possibile… – confessò Spike. Il viso dell’amico mutò assumendo un’espressione ancora più sbigottita.

 

- Te… te ne vai per una donna? Will, ma sei impazzito? Ne possiamo avere a centinaia da scopare! Se è solo per quello te ne posso passare qualcuna delle mie, sono molto calde! – disse con leggerezza ed una punta di scherno. C.J. era incredulo, che William si fosse dunque rammollito così tanto? Davvero, in lui non riconosceva più il Sanguinario di un tempo. Spike, accecato dalla furia, tese un braccio e gli chiuse le dita attorno al collo, impedendogli di respirare.

 

- Non ti azzardare più, dico mai più a paragonare la mia donna alle tue puttane! Siamo intesi? – Redfield, incapace quasi di respirare, fece segno di si con la testa e Spike lo lasciò andare. Sentì l’uomo tossire intanto che si allontanava dalla stanza e si dirigeva all’armeria per farsi consegnare l’equipaggiamento e per chiedere anche un favore ad un suo vecchio amico. L’indomani sarebbe stata una giornata pesante quindi, subito dopo aver preso quello che gli serviva, si sarebbe ritirato nella sua stanza.

 

****

 

Buffy aprì piano gli occhi ed si scosse dal torpore delle lenzuola, poi lanciò un’occhiata alla sveglia posta sulla scrivania, segnava le nove. Brontolò qualcosa tra i denti e si stiracchiò allungando un braccio in cerca del corpo caldo di Spike, trovando solo le lenzuola fredde. In un attimo i ricordi della sera precedente la investirono, lei doveva essersi addormentata dopo aver fatto l’amore con lui e lui se n’era andato senza svegliarla. Si mise seduta sul letto e si guardò attorno, l’appartamento sembrava enorme e freddo senza Spike, vuoto. Le sembrava di essere tornata alla sua prima mattina a New York, la cosa diversa era che ora la solitudine non era più una costante della sua vita, non più da quando questa era stata riempita dall’amore di William.

 

Spike fortunatamente le aveva promesso che sarebbe tornato da lei e questo la rincuorava, tuttavia si ritrovava sperduta senza di lui. Le mancavano già la sua arroganza, la sua cocciutaggine, la sua dolcezza… i suoi baci… le sue magiche dita stuzzichevoli: tutto di lui le mancava già e non erano passate che poche ore. Non sapeva nemmeno quanto sarebbe stato via, giorni? Mesi? Addirittura anni? Si sforzò di scacciare quei pensieri prendendo la foto, che li ritraeva insieme, e fissandola. Spike aveva un’espressione così dolce mentre la guardava e le teneva un braccio attorno ai fianchi. Le lacrime le velarono la vista ed una di loro cadde sul vetro della cornice. Solo in quel momento si rese conto di stare piangendo. Si asciugò, con un movimento rapido della manica, le lacrime e si alzò. Si diresse in bagno e si fece una doccia calda, aveva bisogno di sentire il calore sul suo corpo, anche se artificiale, che le riscaldasse il cuore. L’assenza di Spike era opprimente, se già dopo poche ore si sentiva così, come avrebbe fatto a resistere per un lungo periodo?

 

Uscita dal bagno ritornò in stanza e, ancora bagnata e avvolta nel suo accappatoio, si lasciò cadere sul letto affondando il viso nel cuscino di Spike, assaporandone il profumo ancora impresso nella federa.

 

- Oh amore… Torna presto da me… - sussurrò abbracciando il guanciale e stringendoselo al petto. Presto avrebbe dovuto recarsi in ospedale così dovette obbligarsi a fare colazione e a prepararsi. Decise che quella sera sarebbe passata da Angel, ancora gli doveva dare una risposta per il matrimonio ed aveva bisogno di stare con le persone che amava e lui era una di queste.

 

****

 

Spike guardava tristemente fuori dal minuscolo finestrino dell’aereo. La vasta distesa d’acqua, sotto di loro, si espandeva per chilometri e chilometri, proponendo sempre lo stesso panorama. In alcuni tratti le nuvole erano talmente fitte da non riuscire ad intravedere nulla ed era solo in quei momenti che il suo sguardo si spostava sulle persone che condividevano l’abitacolo con lui. I suoi compagni erano seduti in modo rigido e, benché indossassero abiti civili, la loro postura da soldato li tradiva. Lui, invece, era mollemente adagiato nel suo sedile con la guancia appoggiata al palmo della mano, mentre le dita dell’altra tamburellavano, seguendo un ritmo indefinito, sul bracciolo del sedile. La gamba sinistra si agitava nervosamente, impaziente di poggiarsi nuovamente sulla terra ferma. Non amava volare, era l’unica cosa che riusciva a renderlo veramente nervoso. Non era quasi riuscito a chiudere occhio e ora, dopo quattordici, interminabili, ore di viaggio, l’aereo cominciò ad eseguire le manovre d’atterraggio.

 

Redfield sedeva accanto a lui, ancora teso dopo l’episodio accaduto prima della partenza. Non gli aveva rivolto la parola per tutto il tempo ed ora stava lentamente cominciando a radunare le sue cose. Aveva letto qualche pagina del libro del suo autore preferito ed ora si accingeva a riporlo nella sua borsa. La hostess venne verso di loro, era un tipo molto carino: bionda, con i capelli lunghi e lisci raccolti in una coda, formosa ed una bocca carnosa ed invitante. Il tipo che non sarebbe dispiaciuto a Spike se non ci fosse stata Buffy a riempire completamente il vuoto che aveva sentito in passato. La ragazza rivolse un sorriso a quest’ultimo e gli disse gentilmente di allacciarsi la cintura, troppo assorto nei suoi pensieri non aveva notato il messaggio. Ricambiò il sorriso alla donna e fece quanto richiesto.

 

Un’ora dopo erano già in viaggio verso Akita, accompagnati da un gruppo di mercenari, o almeno così sembravano a Spike. Appena arrivati diedero loro del cibo e le armi, poi li imbarcarono sul sottomarino. Questo era di piccole dimensioni ma aveva dei propulsori simili, se non più potenti, di quelli normali, in grado di sfidare qualsiasi tipo di corrente oceanica e marina. Una volta saliti il sottomarino s’immerse e si avviò verso Hokkaido, la loro meta finale. Spike e gli altri si misero le tute e si armarono.

 

Giunti a destinazione, vennero espulsi in mare e nuotarono per gli ultimi metri che li separavano dagli scogli. Era già buio, arrivati lì abbandonarono le bombole d’ossigeno e Spike cominciò ad armeggiare con il necessario per il free-climbing: imbracature, corde, corde gemelle e moschettoni, poi tirò fuori un disegno della parete, con segnati i punti dove piantare i tasselli.

 

- Io andrò su per primo e per voi fisserò gli spit, preparerò la via in questo modo – disegnò delle linee sul foglio – così saprete in che modo arrampicarvi.

 

Una volta che furono messi i primi spit, il gruppo seguì Spike. Gli uomini cominciarono la scalata, ma questa si presentò difficile in quanto il loro Colonnello non aveva accennato alle forti correnti d’aria che scorrevano lungo la parete di roccia. Spike guidava il gruppo come sempre, arrampicandosi con agilità e grazia, trovando appigli e appoggi facilmente, e lasciando i suoi compagni a bocca aperta. C.J. e gli altri dovettero ammettere che, sebbene fossero passati dieci anni, non aveva perso la sua forma fisica e le sue capacità. Questo li rese ancora più sicuri. Dopo un paio d’ore di arrampicata finalmente arrivarono in cima, si tolsero le imbracature e radunarono tutto il materiale, lo misero in un sacco molto pesante e lo buttarono in mare al fine di cancellare ogni loro traccia. Per fuggire, dopo la missione, avrebbero usato dei paracadute in modo da scendere più velocemente. Il sottomarino li avrebbe attesi in mare e li avrebbe raccolti una volta atterrati in acqua.

 

Spike tirò fuori la mappa dell’immensa villa e cominciò a tracciare un percorso, C.J. teneva la torcia ed osservava il suo superiore che lavorava incessantemente. Ogni tanto si fermava e rifletteva, poi ricominciava a tracciare linee sulla mappa. Alla fine ne tracciò due.

 

- Allora, ascoltatemi bene. Ho tracciato due percorsi, il laboratorio si trova qui – indicò un punto sulla mappa, cerchiato in rosso – Ci divideremo in due squadre. Una seguirà questo tracciato, mentre l’altra seguirà quest’altro. Seguiremo strade diverse in quanto, nel caso che una delle due venga scoperta, l’altra potrà portare la missione a compimento ugualmente. Gli uomini di Yoshizumi saranno, inoltre, concentrati sulla squadra che hanno scoperto, lasciando all’altra alcuni minuti per agire indisturbata. Se le squadre dovessero arrivare entrambe al laboratorio, allora la squadra Alpha formata da me e Ramon procederà fino al laboratorio, mentre la squadra Beta formata da C.J., Christopher e Manolo ci coprirà. Tutto chiaro? – guardò negli occhi, uno ad uno, i suoi uomini. Non v’era paura, ma solo fiducia e stima. Asserirono tutti e si prepararono a proseguire per vie separate. Spike e C.J. si dettero un ultimo sguardo, fecero un lieve cenno con il capo e si allontanarono, ognuno con gli uomini assegnati dopo aver distribuito tutto il necessario per la missione. Per tenersi in contatto avevano una ricetrasmittente che emetteva un segnale criptato e che, quindi, non poteva essere captato dal nemico.

 

Spike e Ramon, fasciati nella loro tuta scura e armati con un coltello e una pistola con silenziatore, da usare per le emergenze, strisciarono nell’erba fino ad arrivare a pochi metri dalla villa. I volti erano stati anneriti apposta con il terriccio in modo da non essere visibili. L’unica cosa che brillava alla luce della luna erano i capelli platinati di Spike, ma sembrava che lui non si ponesse il problema. Ramon comunque glielo fece notare e Spike s’infilò un copricapo nero anch’esso, sbuffando e mugugnando parole incomprensibili tra i denti. Ramon scosse la testa e seguì il suo comandante. Arrivarono sulla cima di una collinetta che dava ampia visuale sulla villa.

 

‘Cazzo! Grandioso! Davvero grandioso!’ imprecò Spike dentro di se, la villa era praticamente una fortezza con diverse guardie in ogni angolo.

 

Accucciato nell’erba, cominciò ad esaminare i dintorni e a contare gli uomini di guardia. Ramon gli si mise accanto in attesa di ordini. C.J. comunicò che la sua squadra si trovava sul lato est, pronta a muoversi non appena Spike, che aveva di gran lunga una visuale migliore, avesse comunicato la posizione delle guardie.

 

Il ragazzo, grazie ad un binocolo night vision con uno zoom a lungo raggio, ne avvistò due dietro ad alcune piante, ogni due minuti si spostavano lungo il viale, guardandosi attorno con cannocchiali a visione notturna. Ne notò altri due all’altro lato di quest’ultimo che facevano la guardia ad una porticina, probabilmente era la porta che serviva ai fornitori per consegnare il cibo. Dal lato dove si trovava la squadra Beta, scorse un paio di guardie al di là del magazzino, dietro il quale erano appostati, con in mano dei grossi fucili a pompa.

 

- Squadra Beta, vedo due uomini, armati di fucili. Uno a ore tre e l’altro a ore nove. Non ho una visione completa della villa, è facile che altre guardie siano appostate sui balconi o dietro a muri che non mi sono visibili. Conferma di nuovo la tua posizione, passo –

 

- Squadra Alpha, stiamo modificando la posizione in quanto abbiamo notato degli uomini aggirarsi attorno alla nostra postazione precedente, ora ci stiamo portando sul versante nord-est, passo –

 

- Ricevuto squadra Beta, vi terrò informati se noterò dei movimenti sospetti, passo -

 

Mise giù il binocolo e fece segno a Ramon che avrebbero iniziato a spostarsi verso la villa. Aveva notato, infatti, una piccola costruzione dove non v’era sorveglianza. Probabilmente vi erano gli attrezzi da giardino e forse, con un po’ di fortuna, sarebbero riusciti a raggiungerla senza essere notati.

 

- Squadra Beta, ci muoviamo. Buona fortuna soldati! Passo –

 

- Buona fortuna squadra Alpha! Passo –

 

Spike e Ramon, indossati i visori notturni, cominciarono la discesa. Il capitano aveva stabilito un ritmo lento e, di tanto in tanto, faceva segno a Ramon di fermarsi e si guardava attorno. Quando la situazione risultava chiara e sicura dava il via e la squadra ripartiva. Tutto andò per il meglio e, dopo aver pericolosamente aggirato un paio di uomini armati, riuscirono a raggiungere il prefabbricato. Ora si trovavano nel giardino della villa, il cortile davanti a loro era lungo e la casa lontana. Il laboratorio si trovava vicino all’edificio principale e c’erano molti metri che li separava da esso.

 

‘Come posso arrivare all’altro lato? Pensa William… cazzo! Ci sono guardie dappertutto!’, Spike continuava a studiare la situazione, ma sembrava impossibile passare da qualunque lato, troppi uomini. In quel preciso istante capì che la vera intenzione del Colonnello era farlo fuori, nessuno avrebbe potuto sopravvivere a quella missione.

 

‘Maledetto stronzo, se riuscirò a sopravvivere la pagherai, la pagherai cara… finirò il lavoro che ho iniziato!’ strinse con rabbia un ciuffo d’erba e lo strappò da terra, attirando la curiosità di Ramon. Spike però si girò e gli fece segno di stare in silenzio. Dio era così giovane, erano tutti troppo giovani per morire così. Questa volta non avrebbe permesso ai suoi uomini di morire, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto. Nel mentre gli arrivò all’orecchio un messaggio da C.J.

 

- Capitano, dalla nostra postazione è impossibile avanzare, ci sono guardie ovunque. Cosa facciamo? Vista la situazione consiglierei di abbandonare la missione. Cosa ne pensi? Passo –

 

‘Fanculo, non posso abbandonare o non avrò indietro la mia identità… cosa devo fare? Potrei mandare a casa la squadra Beta e cercare di portare a termine la missione assieme a Ramon, ma così forse lui potrebbe morire. No, non lo lascerò morire. Cosa devo fare?’ Spike cercò di concentrarsi maggiormente, immaginando in che modo avrebbe potuto agire se fosse stato da solo.

 

‘Dopotutto… Forse da solo potrei farcela… Se non dovessi pensare alle coperture e alla vita di altri… Sì, ho deciso!’

 

- Squadra Beta, vi ordino di abbandonare la missione. Ripeto: abbandonare la missione immediatamente – sospirò e batté la testa, stancamente, sulla parete della piccola costruzione, intanto che attendeva la risposta.

 

- Ricevuto capitano, passo – la voce di C.J. arrivò forte e chiara e poi ogni contatto venne a mancare, Spike sentì solo un debole brusio poi più nulla. Voltò lo sguardo verso Ramon che, fiducioso, lo fissava. Negli occhi aveva un bagliore di speranza, la speranza di poter abbandonare la missione. Spike gli sorrise.

 

- Vai Ramon, ti ordino di ritirarti. Di’ ai superiori di mandare il sottomarino all’ora stabilita, io proverò ad esserci. Se, però, non mi vedranno apparire entro un’ora, di’ che dovranno andarsene. Buona fortuna ragazzo, magari un giorno ci rivedremo – la voce di Spike era abbattuta. Ramon, giovane soldato di venticinque anni, gli fece il saluto militare e gli sussurrò un “buona fortuna, capitano” prima di cominciare ad allontanarsi.

 

‘Bene Spike, ora ci sei solo tu, come volevi. Grande, grande idea davvero genio!’, dopo questo pensiero il soldato si obbligò a dare ancora un’occhiata alla situazione. Per una fortuna sfacciata in quel momento le guardie si stavano scambiando i posti creando una breccia tra loro nella quale, con uno scatto felino, Spike riuscì a penetrare e, senza essere visto, percorse gran parte del cortile. Arrivò in un punto dove due muri, che si congiungevano tra loro, formavano una specie di nicchia scura. Spike vi si mise accucciato ed attese. Le nuove guardie tornarono alle solite postazioni. Nel buio, girandosi, notò una griglia quindi, senza fare rumore, cercò di disincastrarla aiutandosi con la punta del coltello. Dopo qualche minuto finalmente la grata cedette, Spike la tolse con delicatezza e la posò accanto a lui. Vi fuoriusciva dell’aria, si trattava di un condotto che, secondo il punto dove si trovava, poteva portare ai laboratori. Il foro era abbastanza grande da poterci entrare, così Spike si lasciò scivolare all’interno. Dopo aver percorso qualche metro arrivò ad un bivio, dalla cartina il laboratorio si trovava sulla sinistra, quindi scelse quello. Finalmente arrivò ad un’altra grata che dava proprio su una delle stanze adibite alla ricerca. Vi erano computer, provette, frigoriferi e altri strumenti scientifici. Fortunatamente, data l’ora, non v’era nessuno. Indossò però gli occhiali per la rilevazione di raggi X e vide che parte del pavimento della stanza, precisamente quello che portava ai box per la conservazione del virus, era protetto da una rete abbastanza fitta di raggi, se ne avesse sfiorato solo uno sarebbe scattato l’allarme.

 

‘Merda, oggi la mia fortuna è pari a zero!’ Spike cercò di vagliare tutte le possibilità, l’unica che trovò fu quella di togliere la grata e entrare nel locale, poi avrebbe pensato al da farsi per i raggi X. Prese un piccolo strumento e cominciò ad intagliare la lamiera della grata, questa cadde a terra con un tonfo assordante, ma non provocò nessun allarme. Spike scivolò fuori dal condotto e atterrò sul pavimento del locale. Indossò la maschera antigas in quanto non voleva correre rischi nel prendere il virus. Guardò in ogni angolo della stanza, i raggi erano solo davanti ai contenitori, non v’era traccia di telecamere o altro. Dopo essersi assicurato la sicurezza del luogo e di come muoversi, si recò ad uno dei computer, infilò l’apparecchio per ricercare la password ed attese. Mentre i numeri e le lettere scorrevano velocemente davanti ai suoi occhi, pensò a Buffy.

 

Finalmente la macchina trovò la parola d’accesso ed il computer avviò il sistema. Spike collegò il masterizzatore e cominciò a copiare dati e documenti. V’erano statistiche sugli esperimenti condotti e risultati sugli effetti del virus documentati da foto e diari. Le immagini erano spaventose. Sembrava quasi che le vittime fossero affette da lebbra, colera e altre malattie tutte insieme. Le carni delle cavie erano talmente deformate da piaghe, croste e sangue raffermo che era quasi impossibile stabilire se i corpi appartenessero ad animali o ad essere umani. Ricordava quello che aveva detto Riley e, dai documenti scaricati, risultava la verità. Ci si riduceva in quella poltiglia informe solo dopo un’ora dal contatto con il virus. I documenti fortunatamente parlavano pure di un antidoto, che però era ancora in via di sperimentazione. La guarigione dall’agente patogeno si poteva ottenere solo se questo antidoto veniva iniettato almeno nei primi venti minuti dalla contrazione del virus, in caso contrario la morte sopraggiungeva ugualmente.

 

Finito di scaricare le informazioni, Spike scollegò i suoi attrezzi e rimise tutto in ordine.

 

‘Ed ora tocca alla simpatica rete di luce… Spero di essere ancora abbastanza agile’, pensò mentre si metteva davanti all’intreccio di raggi. Osservando bene il percorso da effettuare cominciò a muovere i primi passi nella fitta matassa, piegandosi e girando su se stesso cercando di non sfiorare nessun raggio.

 

‘Merda, mi sono incastrato, cazzo!’ Si trovava intrappolato tra quattro raggi che incrociati tra loro, non gli permettevano di muoversi. Due s’intrecciavano sul suo busto, uno gli passava accanto al fianco destro e s’incrociava all’ultimo, che passava accanto alla sua caviglia sinistra. Il suo respiro stava iniziando a diventare corto, sotto la maschera sudava e il nervosismo cominciava a farsi strada dentro di lui, dovuto anche alla stanchezza provocata dal mancato riposo.

 

‘Spike, cerca di concentrarti… Se mi abbasso girandomi di circa 45 gradi, prima di piegarmi sull’altro lato dovrei riuscire ad inarcarmi verso il pavimento. Porto entrambe le mani verso il mio piede destro che è già posizionato nel modo corretto e, facendo perno dovrei riuscire ad alzare il piede sinistro che, fanculo, è incastrato in quei due raggi… Devo riuscire a farlo scivolare un pochino indietro in modo da poterlo sollevare… Sì, così dovrebbe funzionare. Dai Will, o la va o la spacca’ cominciò a muoversi come aveva pensato, piegò dapprima il busto verso la parte opposta ai raggi, stando attento a quello che gli passava accanto al fianco, fece passare le spalle ed il capo sotto l’intreccio. ‘Ok, fino qui ci siamo, ed ora la parte difficile’, con attenzione inarcò il corpo e poggiò il palmo delle mani sull’altro lato, accanto al piede destro che era già posizionato nel modo corretto. Una volta lì, stando attento a non alzare il fondoschiena che avrebbe inesorabilmente toccato il raggio, spostò un poco all’indietro il piede sinistro alzandolo poi sulla punta e, con attenzione portando la gamba in avanti. I muscoli gli dolevano, ogni movimento gli costava una concentrazione estrema che non avrebbe più potuto tenere a lungo. Finalmente il peso del corpo si bilanciò nel modo corretto e Spike si ritrovò davanti al frigo. Se avesse aperto le ante, l’allarme sarebbe scattato. Fortunatamente aveva pensato a tutto, estrasse uno strumento con la punta di diamante e cominciò ad incidere il vetro spesso. Nei documenti che aveva scaricato aveva potuto leggere come si presentava il virus in provetta: era un liquido azzurro chiaro, mentre l’antidoto era di una tonalità verdastra. Spike li vedeva perfettamente da dietro il vetro. Finalmente questo cedette e, con delicatezza, fece rotolare la parte tonda, che aveva intagliato, di lato, all’interno della vetrina. Prese i due campioni e li mise in un piccolo contenitore protetto che gli avevano consegnato. Lo ripose in una delle tasche della tuta e cominciò lentamente a voltarsi.

 

In quel momento i raggi sparirono e si accesero le luci. Un ricercatore, dal camice bianco e l’espressione assonnata, entrò nel locale.

 

- Shht – gli fece Spike mettendo un dito davanti alla maschera. Il ricercatore però non collaborò e, spaventato, azionò l’allarme.

 

- Fanculo! – correndo Spike arrivò velocemente vicino allo scienziato e, con una mossa decisa, lo colpì in testa con il calcio della pistola.

 

Si arrampicò nuovamente, dopo aver riposto l’arma, nel condotto e rapidamente rifece il percorso eseguito in precedenza. Purtroppo non poteva sapere che alcuni uomini avevano notato la grata aperta e lo aspettavano all’uscita. Intanto tutte le guardie si stavano mobilitando. Spike però, guidato dal suo sesto senso, questa volta scelse l’altro corridoio che l’avrebbe portato chissà dove, forse ad un altro lato del giardino.

 

L’allarme, intanto, riecheggiava per tutto l’interno e l’esterno della proprietà di Yoshizumi. Le guardie, armate di pistole e fucili, si stavano rapidamente mettendo in posizione, mentre Spike cominciava a vedere il chiarore del cielo risplendere sulla grata di ferro in fondo al tunnel che stava percorrendo.

 

Avanzò un poco e, subito, capì che la situazione non gli era favorevole. Con fatica estrasse ancora la pistola, modello SC da 5.72 mm, dotata di un selettore di fuoco a colpo singolo, un caricatore da 20 colpi ed equipaggiata di silenziatore e frangifiamma. I proiettili di cui era munita, 5.72x28 mm ss190, offrivano un buon livello di penetrazione contro i moderni giubbotti antiproiettili, mantenendo però peso, dimensioni e rinculo dell’arma a livelli ragionevoli. Con l’arma ben stretta nel palmo della mano sinistra riprese a strisciare verso l’uscita, ora apparsa nella sua visuale, davanti alla quale era posizionata una delle guardie. Intravide la lunga canna di un fucile che risplendeva alla luce dei fari che attraversavano freneticamente il giardino ed il cortile alla sua ricerca. Con estrema cautela arrivò fino alla griglia. L’uomo con il fucile era a circa un metro di distanza dalla posizione nella quale si trovava lui, non poteva sparargli in quanto avrebbe attirato l’attenzione degli altri su di se. Lentamente cominciò ad estrarre la grata che, fortunatamente, si staccò più facilmente dell’altra, e la fece cadere sull’erba che ne attutì il colpo. La guardia non sentì nulla in quanto v’era ancora l’allarme assordante che suonava nella proprietà. Spike scivolò fuori dal condotto ed arrivò alle spalle dell’uomo. Tra le dita delle due mani, dopo aver infilato la pistola dietro la sua schiena, nella cintura della tuta, aveva attorcigliato un filo di nylon, lo tese e, con un movimento veloce, lo attorcigliò attorno al collo del nemico cominciando a stringere con tutta la sua forza. Il sangue iniziò a scorrere sulla sottile ma letale, fibra intanto che l’uomo esalava l’ultimo respiro e si accasciava al suolo, morto. Spike, guardandosi attorno con circospezione, attirò il corpo vicino al condotto, lo infilò dentro e richiuse accuratamente la grata. Prima di andarsene prese con se il fucile di precisione e si nascose dietro ad un deposito, protetto dalle ombre. Con il visore termico rilevò alcuni cecchini, probabilmente armati con un fucile automatico SC-20k dotato di una lente estremamente potente, situati alle finestre della villa e dei magazzini circostanti.

 

‘Merda, sono troppi anche per me…’ Con la fronte imperlata di sudore si guardava attorno freneticamente, non trovando nessuna breccia nella disposizione del nemico. Si lasciò cadere seduto sull’erba umida di rugiada e, per la prima volta, sentì di non avere la capacità di portare a termine l’incarico assegnatogli. Di lì a qualche ora sarebbe sorto il sole che avrebbe rivelato la sua postazione. Sarebbe morto.

 

In quel momento l’immagine nitida del viso della ragazza che amava apparve prepotentemente davanti ai suoi occhi.

 

‘Buffy…’

 

Ricordò di avere la sua foto in una delle tasche della tuta, così la estrasse e, grazie al visore notturno, la fissò per diversi minuti.

 

‘Devo tornare da te, te l’ho promesso maledizione! Ed è quello che farò!’

 

Con rinnovato vigore si rimise in piedi, nascose nuovamente la foto, armò il fucile e se lo mise in spalla dopo essersi strappato la maschera che gli copriva la bocca ed il naso. Si sarebbe mosso unicamente usando i due visori, notturno e termico, dei quali la maschera che portava era dotata.

 

Prima che poté muovere un passo, però, sentì premere dietro di se, sulla base del collo, il freddo acciaio di una canna di fucile.

 

- Fermo! Ora voltati molto lentamente - minacciò una voce poco convinta dietro le sue spalle.

 

Spike, senza fretta, eseguì l’ordine e si ritrovò faccia a faccia con un giovane sui venticinque anni, giapponese e dall’inglese stentato, reso quasi incomprensibile dal forte accento della regione di Nagoya che aveva.

 

- Butta il fucile e la pistola! - esclamò il giovane, puntando l’arma alla testa di Spike.

 

- Ok amico, non ti agitare - gli rispose lui con tranquillità, buttando a terra il fucile e, successivamente, la pistola. L’unica arma che rimaneva in suo possesso, all’insaputa del giovane, era un coltello dalla doppia lama, nascosto nel suo stivale sinistro.

 

‘Devo trovare il modo per abbassarmi’ Spike cercava di valutare, il più rapidamente possibile tutte le possibilità che gli avrebbero permesso di prendere velocemente il manico del coltello che, di pochi millimetri, fuoriusciva dal suo anfibio. Il ragazzo, intanto, impazientemente gli fece segno di spostarsi verso il cortile.

 

‘Se mi sposto sono un uomo morto, cazzo! Pensa Spike… pensa in fretta!’, mentre cercava di figurarsi alcune situazioni per cercare di liberarsi del giovane ma che, in conclusione, vedevano sempre il suo decesso ed il fallimento della missione. Fu in quell’istante che gli venne un’idea per temporeggiare.

 

- Se mi spari, morirai anche tu… All’interno della mia tuta è nascosto un virus. Se mi colpisci nel punto sbagliato, questo si spargerà ovunque e, dopo un’ora, sarete tutti morti. Non c’è vaccino, nessuna via per scampare alla morte… Ora a te la scelta: spararmi o lasciarmi in vita. Se mi fai scoprire, i tuoi compagni mi spareranno e sarà una strage… La vita di tutti è nelle tue mani. Allora, cosa scegli? -

 

Sul viso del giovane si dipinse un’espressione di stupore e, successivamente, di scherno.

 

- Stai mentendo, non sono così stupido come credi! Ora muoviti! -

 

- Ok, come vuoi. Io non sto scherzando, ma se tu la pensi così allora sparami pure - mentre diceva questo, Spike allargò le braccia, sorridendo.

 

- Che aspetti? Avanti! - incalzò.

 

Il ragazzo si fece coraggio e spostò la canna del fucile ancora più vicina alla testa di Spike, le cui certezze cominciarono a vacillare.

 

- E se ti aprissi un buco in mezzo agli occhi? Sono sicuro che le provette non le tieni lì, o sbaglio? –

 

Gli occhi a mandorla della guardia brillarono nel buio, illuminate dalla luce di un faro che stava passando pericolosamente vicino alla loro posizione.

 

- Hai ragione, ma io cadrei e le provette si romperebbero ugualmente e, di nuovo, il risultato sarebbe: tutti morti - l’arroganza di Spike, non molto velata, si percepiva ad ogni parola. La paura cominciò a scuotere la mente del nipponico che, sgranando gli occhi, abbassò la canna del fucile all’altezza del petto di Spike.

 

- O… Ok, mi hai convinto… Allora prendi lentamente le provette e poggiale a terra. Ti terrò sotto tiro, quindi niente scherzi, d’accordo? - disse con non molta sicurezza.

 

- D’accordo… - rispose Spike seriamente, cominciando ad abbassarsi verso il suo stivale. Il ragazzo aveva alzato nuovamente la canna che ora puntava la testa di Spike.

 

- Bravo soldatino, vedo che ti hanno insegnato a morire per il tuo paese! Esegui gli ordini alla lettera, come un bravo cagnolino! - lo canzonò il nipponico, mentre Spike raggiungeva il manico del coltello e lo chiudeva tra l’indice ed il pollice, non riuscì a trattenere un sorriso demoniaco. In un attimo, con un movimento estremamente rapido e preciso del polso, la lama andò a conficcarsi nella giugulare della guardia, che lo fissava sorpresa.

 

- No, mi hanno insegnato ad ammazzare quelli che gli si mettono contro… Mi spiace, ma tu, come vedi, eri sulla lista - esclamò la voce fredda di Spike, intanto che il suo corpo veniva scosso da brividi d’eccitazione dovuti all’uccisione. Questo non gli succedeva più dall’episodio in Afghanistan ed ora, tutte le sue cellule vibravano come non mai. Dunque provava ancora piacere nel togliere vite? La risposta che si diede fu: si. Conscio di questa cosa, nel momento in cui il corpo del giapponese raggiungeva il suolo con un tonfo sordo, attutito dall’erba, si mosse verso quest’ultimo, estrasse la lama vermiglia e la pulì nella stoffa della giacca dal taglio italiano del cadavere. Scattò, poi, nell’altra direzione dove altre due guardie si guardavano attorno. Il suo corpo si muoveva leggero, agendo come se la sua coscienza si fosse annullata. L’intenso desiderio di ritornare da Buffy risvegliò quella parte di lui che stava cercando di soffocare dal giorno dell’aggressione alla ragazza, ma che si era risvegliata più affamata che mai il giorno in cui aveva attaccato Riley, in quella notte buia e uggiosa, combattendo contro il desiderio di mettere fine alla sua esistenza. Aveva provato paura, paura di perdersi ancora in quel tunnel dal quale era risalito a fatica, dopo l’incontro con Buffy. Da quella volta si era porto molte domande ed aveva cominciato a tormentarsi. Aveva capito che Buffy possedeva il potere di renderlo un uomo migliore ma, nello stesso tempo, anche di far risvegliare in lui il suo lato oscuro, quello votato alla violenza e alla guerra, quello che poteva essere soddisfatto solo con il sangue. Con il sangue di quelli che minavano la felicità di Buffy, la donna che amava.

 

Intanto era arrivato alle spalle dei due tipi; come un’ombra scura calò sul primo, spezzandogli il collo a mani nude, prima che questo potesse voltarsi. L’altro si spostò armeggiando con il fucile, ma Spike gli arrivò addosso come una furia. Gli prese un braccio e glielo ruppe, facendogli cadere l’arma, e gli bloccò l’altro dietro la schiena. Facendosi scudo con il corpo dell’uomo, uscì nel cortile. I cecchini cominciarono a sparare, ma riuscirono ad uccidere solo il loro compagno. Spike lasciò andare il corpo ormai crivellato di colpi, diventato solo un peso morto, e si rituffò nelle ombre, che in quella notte lunga fungevano da riparo sicuro.

 

La scogliera non era più molto lontana.

 

Mentre lasciava dietro di se i numerosi cadaveri dei nemici, pensò di nuovo a Buffy. Se l’avesse visto in quel momento non l’avrebbe riconosciuto. Il sangue delle vittime gli imperlava la parte inferiore del viso, lasciata libera dal visore. Era ovunque, anche sulla tuta, sui guanti e, soprattutto, gli stava invadendo nuovamente la mente e l’anima. Gli occhi, freddi e oscuri, rendevano il suo viso dai tratti angelici, glaciale, quasi indifferente se non fosse stato per quel ghigno diabolico che non accennava a cancellarsi dalle sue labbra.

 

Mancavano ormai pochi metri alla scogliera ed era abbastanza in orario. Il sottomarino sarebbe stato ad aspettare ancora per una decina di minuti, era sempre più vicino, poteva sentire lo scroscio delle onde che s’infrangevano violentemente sugli scogli sottostanti. Un’altra missione riuscita.

 

L’enorme fiducia in se stesso e nelle sue capacità, per un attimo, gli fecero credere di essere invincibile e, in questo modo, commise un enorme sbaglio: abbassò la guardia.

 

L’allarme era cessato e la via che stava percorrendo era libera. Arrivò alla scogliera più o meno senza problemi. Si stava accingendo a sistemare il paracadute, abbandonando le armi ed il visore, quando un fascio di luce, proiettato da una torretta, lo investì in pieno. I cecchini non si fecero attendere oltre e aprirono il fuoco su di lui che, con un balzo, si lasciò cadere nel vuoto. Un proiettile, però, lo colpì in testa, facendo schizzare un fiotto di sangue vivo davanti ai suoi occhi sgranati ed increduli. Un dolore lancinante gli attraversò tutto il corpo e poi fu il buio. Le acque gelide del mare accolsero ed inghiottirono il suo corpo, mentre le correnti lo spingevano al largo. Le onde si colorarono di rosso, ma ormai lui non poteva sentire più nulla…

 

****

 

Buffy si stava preparando per il matrimonio di Angel e Faith. Per uno strano caso avevano scelto la stessa data del suo ventiseiesimo compleanno. Erano passate diverse settimane da quando William era partito, ma lei sentiva che sarebbe tornato presto. Gliel’aveva promesso e lei si fidava di lui. Si diede un’occhiata nello specchio, il lungo abito che indossava per il matrimonio le fasciava il corpo, esaltandone la forma in special modo dei seni e dei fianchi. Le cose che, tuttavia, la colpirono guardando la sua immagine riflessa furono il viso, pallido e sciupato, e gli occhi, leggermente cerchiati e immensamente tristi.

 

- Bene Buffy, sembri più pronta per un funerale che per un matrimonio. Senza contare che è anche il tuo compleanno - disse rivolgendosi all’altra se stessa, che si limitò a ritornarle uno sguardo perplesso. Da un po’ di tempo non si sentiva molto bene, aveva passato l’ultimo mese mangiando pochissimo e a vomitare in bagno. Si diede gli ultimi ritocchi all’acconciatura e al trucco leggero. I capelli erano stati raccolti, come di consueto quando indossava un abito lungo, in un austero chignon. Si mise gli orecchini d’argento con il pendente, gli stessi che aveva utilizzato al Galà, quanto le sembrava lontana quella serata. Lei e William avevano litigato e, subito dopo, avevano fatto la pace facendo l’amore. Gli mancava più dell’aria che respirava. Nessun uomo, prima di lui, aveva lasciato un tale vuoto e senso d’inutilità in lei, nemmeno suo padre. Si sentiva smarrita, abbandonata ad una realtà che ormai non le apparteneva più. Voleva solo Spike, lui era il suo presente e lo sarebbe stato anche al suo ritorno, restituendole quel sorriso e quella felicità che si era portato via con se.

 

Guardò l’orologio a muro e si accorse di essere in ritardo così si allontanò dallo specchio e, raccolta la borsetta che si abbinava al vestito, si avviò alla porta d’ingresso. Prese le chiavi e l’aprì, trovandosi davanti ad un uomo, vestito da corriere, che le sorrideva.

 

- Mi scusi, lei è Buffy Summers? - domandò gentilmente, mantenendo il sorriso.

 

Buffy, sbigottita, riuscì solo a fare un cenno affermativo con il capo, intanto che cercava di ricordare che cosa avesse ordinato.

 

- Oh, bene! Ho un pacco da consegnarle. Ecco, firmi qui per favore -

 

Il pacco era piccolo e strano, non c’era nessuna scritta sopra. Buffy, anche se riluttante, firmò ed il fattorino, dopo aver ringraziato facendo il saluto militare, se ne andò.

 

‘Saluto militare…?’ realizzò Buffy.

 

- Hey, chi lo manda? - gli gridò dietro, ma l’uomo era già sparito. ‘Ma era un vero fattorino?’, pensò chiudendo la porta. Si rigirò la piccola scatola tra le dita, incerta su quello che doveva fare e dimenticandosi del ritardo accumulato. Guardò minuziosamente ogni lato della scatola: sembrava un normale materiale da pacco, se non per il fatto che la scatola era rivestita con una carta verde scura. Rimase ancora ad osservare l’involucro per qualche minuto, poi decise di aprirlo. Rimosse il nastro adesivo e, non appena tolse la carta, un bigliettino spiegazzato cadde ai suoi piedi. Buffy poggiò la piccola scatola nera, senza prestargli troppa attenzione, e raccolse il foglietto. Lo aprì, i suoi occhi si riempirono di lacrime da troppo tempo tenute a freno, il suo corpo venne avvolto da una sensazione di calore ed il suo cuore accelerò il ritmo: era la grafia di Spike! Il primo sorriso, dopo tanto tempo, le incurvò le labbra. Cercò di calmare il tremolio delle dita e cominciò a leggere.

 

“Amore mio, prima di tutto buon compleanno! Se hai ricevuto questo foglietto vuol dire che non sono ancora tornato da te (evidentemente), ma non volevo che passassi questo giorno senza ricevere qualcosa da me. So quanto tieni a formarti una famiglia, quindi nella scatola troverai qualcosa che ti rivelerà le mie intenzioni.. Aprila e poi continua a leggere, ti prego…”

 

Buffy, molto agitata, prese la scatola che, solo ora, notò era di velluto scuro. L’aprì e si portò una mano alla bocca, i suoi occhi erano fissi sul piccolo anello dorato con brillante che luccicava adagiato nel suo cuscinetto bianco. Lo prese tra l’indice ed il pollice e lo guardò meglio. Non era uno di quegli anelli grossolani da ricconi, ma era di fattura fine ed elegante. Tenendolo in mano, si rimise a leggere la lettera.

 

“Allora, tesoro, ti piace? Io mi auguro di sì, perché è l’unica cosa che mi posso permettere (non l’ho ancora pagato a dir la verità) per dimostrarti il mio amore e, sì, Buffy, hai capito bene, sto chiedendo la tua mano (poi lo farò di persona, ma ora permettimi di farlo per lettera). Buffy Summers, vorresti sposarmi al mio ritorno? Mi auguro che la tua sia una risposta affermativa…”

 

- Sì, si Spike, io ti sposo, io ti sposo! - sussurrò rivolta al foglio di carta, stringendolo a se, mentre le lacrime di gioia, intanto che s’infilava al dito l’anello, le rigavano le guance. Se le asciugò come meglio poteva e continuò a leggere.

 

“Scommetto che hai detto di sì. Ormai ti conosco, vedi? Ora ti devo lasciare, ma non senza averti fatto ancora gli auguri per il tuo compleanno e averti mandato un grosso bacio (anche se vorrei stringerti tra le braccia questa notte!). Mi manchi, passerotto! Aspettami, mi raccomando. Buffy, io tornerò da te, è una promessa e ora hai anche la prova. Ti amo… non mi stancherò mai di dirtelo.

 

Tuo sempre,

 

William”

 

Buffy rimase in silenzio, sopraffatta dalle emozioni che scuotevano il suo corpo: gioia, dolore, rabbia e frustrazione. Su quella lettera, purtroppo, non v’era la data quindi Spike poteva averla scritta in qualsiasi momento. Per la prima volta l’insicurezza che albergava in lei, le fece sentire che, forse, avrebbe potuto non rivederlo più. Un brivido gelido, simile alla morte, le passò accanto facendola tremare. Non aveva tempo ora per pensarci, Angel e Faith si stavano per sposare e lei era una delle damigelle! Non poteva mancare. In fretta ripose il biglietto di Spike, con cura, nel cassetto del suo comodino e poi, con gran velocità, guadagnò la porta e salì sul taxi, chiamato molto prima, che l’avrebbe condotta in Chiesa.

 

****

 

Alcune settimane prima. Presbyterian Hospital, New York. Ufficio del direttore: Dottor Rupert Giles. Chiamata sulla linea privata.

 

- Pronto? -

 

- Rupert… sono io. Abbiamo bisogno del tuo aiuto - la voce dall’altro lato, fece tendere i tratti del viso del primario che, tuttavia, assunse un’aria interessata.

 

- Mmh, chi è il paziente? -

 

- Si tratta del Sanguinario, ricordi vero? -

 

- Sì, ricordo. Che cos’ha? -

 

- Questo lo potrai constatare di persona - lo schernì la voce.

 

- Arrivo subito, dovrò passare all’ufficio del personale per le ferie. Potrebbero volerci un paio di giorni -

 

- Non sarà necessario Rupert, l’esercito ti rivuole con se, è pronto a farti una buona offerta. Ne parleremo quando arriverai, intanto assicurati che Buffy Summers abbia una buona posizione nella struttura -

 

Il direttore attese qualche minuto per pensarci.

 

- Va bene, mi occuperò io di tutto. A presto - e, detto questo, riappese con un sorriso soddisfatto sul volto.

 

‘Strano il destino… Allora eri proprio tu Sanguinario e, a quanto pare, dovrò strapparti ancora dalle braccia della Morte’

 

****

 

 

Afghanistan - Dieci anni prima

 

 

Il rumore degli F-35, che partivano ed atterravano dall’aeroporto della base militare, nascosta tra le rocce, coprì quello del furgone che si arrestò a pochi metri dalla piccola struttura ospedaliera del campo. Le porte dell’ambulatorio si spalancarono e la barella fece il suo ingresso. Sopra di essa era adagiato il corpo di un giovane soldato, ricoperto di sangue, delirante.

 

- Spari… fuggire… è morto… - le lacrime bagnavano il viso sporco e madido di sudore del ragazzo. Poi svenne.

 

Il medico, di un età compresa fra i trentacinque ed i quarant’anni, membro dell’esercito da ormai quindici anni e responsabile del reparto sanitario, si chiamava Rupert Giles. Era stato chiamato da Seattle espressamente per occuparsi di quel caso speciale. I suoi superiori gli avevano ordinato di fare tutto il possibile per salvare quel giovane che stava lottando contro la morte. Allestirono la sala operatoria in una stanza adiacente all’ambulatorio e, una volta spogliato, Giles iniziò ad operarlo. Un proiettile era penetrato tra le costole e passato vicino al cuore poi, fortunatamente, era fuoriuscito dal torace. Purtroppo, anche se non aveva leso l’organo, era riuscito a recidere i vasi sanguigni causando un emorragia abbastanza grave. Il soldato aveva perso molto sangue ed i valori erano scesi ai minimi termini. Rischiava il collasso da un momento all’altro. Giles ordinò immediatamente una trasfusione e la respirazione artificiale, più l’apporto di sostanze sollecitanti e di supporto al cervello e al cuore. Alcune di queste erano di proprietà esclusiva della milizia americana e nessuno, al di fuori del Governo, ne conosceva l’esistenza. Il medico continuò con l’intervento che, dopo alcune ore, riuscì alla perfezione salvando la vita a Spike. Nessuno poteva sospettare che, sebbene il suo fisico si sarebbe ripreso velocemente, la sua psiche vacillava e non gli avrebbe più dato tregua, tormentandolo con i sensi di colpa e facendogli rivedere i volti delle sue vittime, compreso quello del bambino che era morto tra le sue braccia.

 

- Allora, come ti senti Sanguinario? -

 

Spike cercò di fissare il punto da dove proveniva la voce, ma una luce intensa, proprio diretta a loro, gli ferì gli occhi, facendogli abbassare di nuovo le palpebre. Il Dottor Giles lo stava visitando e stava cercando di controllare i suoi riflessi. L’uomo spense la pila e si allontanò un poco dal letto, scrivendo attentamente sulla cartella clinica i risultati dell’esame.

 

William si era appena risvegliato dopo una settimana di incoscienza. Quando realizzò che la luce non gli avrebbe più offuscato la vista, aprì lentamente gli occhi. Il suo corpo era pesante come il piombo ed i movimenti, seppur elementari, lo facevano affaticare molto, si sentiva molto debole. La stanza era avvolta in una semi oscurità e Spike, non capendo dove si trovasse e perché, soprattutto, era ancora in vita, si guardava attorno spaesato. Provò a parlare con l’uomo che gli stava sorridendo, fissandolo da sopra la cartella clinica, ma dalla sua bocca uscì solo un grugnito roco. Non riconobbe la sua voce, era come se il suo corpo non gli appartenesse più.

 

- Non cercare di parlare, hai dormito per una settimana dopo l’intervento. Pian piano riacquisterai le forze e la voce, non ti preoccupare. A proposito, sono il Dr. Rupert Giles - il tono dell’uomo era incoraggiante, aveva anche un accento inglese molto marcato. Spike tentò di schiarirsi la voce e, finalmente, riuscì con fatica a porre l’unica domanda che gli passava per la testa.

 

- Perché… sono… ancora vivo? - poi cominciò a tossire, così tanto che l’uomo, poggiata la cartella, gli porse un bicchiere d’acqua e lo aiutò a bere.

 

- Sei stato operato appena in tempo. Il tuo compagno C.J. ti ha portato fino a qui dal campo di battaglia. Eri ridotto male, ma grazie all’intervento che ho eseguito tornerai in forma smagliante tra un paio di settimane -

 

- Io… voglio morire… Fammi morire… - bisbigliò il soldato. Anche se era un sussurro, la preghiera disperata di Spike giunse perfettamente alle orecchie di Giles.

 

- Ragazzo, nessuno può desiderare la morte! - esclamò sorpreso Rupert, l’espressione scioccata, poi continuò.

 

- Riposati e vedrai che questi brutti pensieri spariranno e potrai tranquillamente continuare a combattere -

 

Spike non riuscì a ribattere, ricadde nel buio, esausto.

 

- Allora Rupert, pensi che il mio ragazzo si riprenderà presto? Mi serve per una missione -

 

- Andiamo Riley, lascia almeno il tempo alle ferite di rimarginarsi un po’, poi sarà tutto tuo! -

 

I due uomini, seduti al tavolo a notte fonda a bere whisky, si misero a ridere all’unisono. Spike, che nel mentre si era svegliato, vedeva attorno al suo letto individui dai volti offuscati. Aguzzando la vista, anche se la stanza era illuminata unicamente dalle luci esterne del campo, riuscì a mettere a fuoco le immagini. Orrore fu quello che si dipinse sul suo viso. Le persone che gli stavano attorno erano fantasmi, i fantasmi di quelli che aveva ucciso. Ai piedi del letto c’era quello della sua ultima vittima: il bambino. Nella camera si alzò un bisbiglio, anche se le labbra delle persone presenti non si muovevano, le orecchie di Spike erano piene delle loro voci, riecheggiavano nella sua mente in continuazione.

 

‘Assassino… Assassino… Assassino…’

 

Dei ghigni sinistri si erano dipinti sui loro visi. Spike si portò faticosamente le mani alle orecchie e chiuse gli occhi per cercare di allontanare le allucinazioni che invadevano la sua mente, la sua stanza.

 

- Voi non esistete, non siete reali - urlò in continuazione, creando una litania macabra che andava schiarendosi, man mano che la sua voce tornava.

 

Purtroppo le voci non smettevano di tormentarlo, si facevano sempre più numerose, sempre di più…

 

- BASTA! BASTA! - gridò ancora più forte, intanto che con la mano sinistra si strappava la medicazione posta sul cuore. Con le unghie, affondate nella carne viva, ancora non cicatrizzata, si strappò i punti. Lo squarcio creato cominciò a sanguinare abbondantemente. Finalmente, con il dolore provocatosi, le figure ed i sussurri cessarono all’istante. Le lenzuola, macchiate di sangue, ricadevano di fianco al letto in modo scomposto. Spike stava cercando di alzarsi ma, in quel momento, una delle infermiere notò lo strano movimento nella stanza ed intervenne chiamando il Dr. Giles che accorse subito, somministrandogli un potente sedativo. In seguito, lui stesso, ricucì e rimedicò la ferita, sperando che non s’infettasse.

 

Quando riprese conoscenza, il Dr. Giles era accanto al suo letto e lo fissava con aria severa. Accanto a lui, il soldato vedeva l’immagine di uno dei suoi compagni che era stato in missione con lui.

 

- Perché… John è qui? - chiese cercando di scandire le parole. Il medico lo guardò stupito e scosse la testa.

 

- John? Ragazzo… lui non è qui… lui è… è morto. Vedi, anche se la missione è riuscita ci sono state delle perdite: cinque in tutto. Mi dispiace… -

 

Spike chiuse gli occhi. Quindi anche quella era un’immagine partorita dalla sua mente? Stava forse per perdere la ragione? L’aveva già persa? Riaprì gli occhi e, nuovamente, i fantasmi affollavano la sua stanza ed i sussurri le sue orecchie. Urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, incurante delle fitte che si sprigionavano dalla cucitura sul petto in tutto il suo corpo. Il Dr. Giles, che non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo, gli fece una nuova iniezione di tranquillanti. Spike ricadde nelle tenebre, dove gli incubi più spaventosi lo attendevano.

 

Le infermiere che lo visitavano di tanto in tanto durante la notte, lo vedevano agitarsi, fradicio di sudore e, alle volte, delirante.

 

La situazione non migliorò nemmeno nei giorni seguenti. Spike era costantemente tenuto calmo con dei potenti tranquillanti. Steso in quel letto d’ospedale, troppo piccolo per dare l’idea di essere confortevole a chi lo guardava, conduceva la sua triste non-vita. Stava tutto il giorno con il viso inespressivo e gli occhi vitrei, resi nebbiosi dai farmaci, rivolti al soffitto, immobile. La sua mente era prigioniera, senza possibilità di essere liberata, degli incubi. Il Dr. Giles temeva che andando avanti in quel modo, il ragazzo sarebbe impazzito del tutto. I suoi compagni erano anche andati a rendergli visita e si erano complimentati per la riuscita della missione, ma nulla era riuscito ad alleviare quel dolore che l’avrebbe lacerato se non fosse stato tenuto sotto controllo dall’influsso dei medicamenti che gli facevano assumere costantemente. Nulla lo scosse da quel torpore e da quella tranquillità apparente. Nessuno poteva immaginare che nello stesso momento William stesse passando le pene dell’Inferno intrappolato nei suoi incubi e nelle sue paure, espiando in parte le sue colpe.

 

- Riley, il ragazzo è grave, non possiamo tenerlo sotto sedativo ancora per molto… Io credo, come medico, che sia meglio allontanarlo dalla squadra per un po’ e… -

 

- Non se ne parla Rupert! Lui mi serve ed in fretta anche! Ho dovuto sospendere due missioni per colpa sua, cazzo! Non mi interessa quello che dovrai fare, ma devi rimetterlo in piedi a qualsiasi prezzo! Ti do tre giorni di tempo per farlo -

 

- Ma Riley, lui non è più in grado di… -

 

- Il discorso è chiuso, Rupert -

 

Il Dr. Giles sospirò profondamente intanto che il Colonnello lasciava il suo ufficio. Il medico, in quel momento, capì che per Finn la vita del soldato era importante solo ai fini delle sue missioni, che non lo considerava affatto un essere vivente, ma solo un oggetto da manipolare a suo piacimento. Giles decise così di interrompere i calmanti e valutare se le crisi di Spike erano diventate meno violente.

 

Alcune ore più tardi Spike si svegliò. Era notte, ma la nebbia che aveva avvolto la sua mente fino a quel momento si era come diradata. Anche se si sentiva frastornato, si sentiva meglio. Si alzò piano dal letto e fu soddisfatto di vedere che le gambe lo sorreggevano ancora. L’unico pensiero che aveva ora era quello di fuggire via, lontano. Non sarebbe più stato un soldato e non avrebbe più ucciso nessuno. Per moltissimo tempo, un tempo infinito, indefinibile, i fantasmi del suo passato l’avevano perseguitato e, pian piano, era arrivato a quella decisione. Davanti agli occhi apparve nitidamente la piccola figura del bambino, questa volta però, contrariamente a quanto successo nei sogni, sorrideva e gli indicava la finestra. Senza paura Spike si avvicinò a quest’ultima e vide, poco lontano, un aereo cargo che veniva caricato con diverse casse. Se fosse riuscito a salirci, avrebbe potuto allontanarsi da lì velocemente. Sapeva che Riley non gli avrebbe permesso di morire e, andandosene, sarebbe alla fine riuscito nel suo intento.

 

Si tolse la camicia del pigiama, a maniche corte, che era già semi aperta e la gettò nel cestino. La grossa medicazione che aveva notato l’ultima volta che era stato lucido, era sparita, sostituita da una meno appariscente. Gli venne un dubbio: per quanto tempo l’avevano tenuto sotto sedativi o droghe? Fu allora che si guardò il braccio. La pelle era piena di buchi e di lividi, conciata peggio di quella di un tossico. Non sapeva né cosa gli avessero iniettato né per quanto tempo l’avessero tenuto incapace di intendere e di volere. Aprì piano la porta e, con un movimento fulmineo, prese la sua cartella clinica che v’era appesa. Le date dei controlli, registrati fino alla mezzanotte di quel giorno, corrispondevano, scorrendole al contrario, ad un mese prima. Gli avevano portato via un mese, non che gli importasse del mese in se, tanto voleva morire, ma quello che lo faceva imbestialire era il fatto che l’avessero tenuto in vita per forza, contro la sua volontà.

 

Li maledì, li maledì tutti. Si lasciò cadere sul letto e pianse, pianse per il fatto di non aver avuto una vita, per il fatto di non aver potuto decidere per se stesso, per il fatto di aver ammazzato delle persone innocenti e per aver fatto morire i suoi compagni. E se invece di cercare di scappare, si fosse tagliato i polsi proprio lì? In quel letto dove l’avevano tenuto a forza? No, l’avrebbero scoperto, era certo di essere soggetto a dei controlli costanti.

 

Con il palmo della mano si asciugò gli occhi, doveva trovare in fretta degli abiti. Sgattaiolò fuori dalla stanza dopo essersi assicurato che il corridoio fosse sgombro. Cercava lo spogliatoio dove avrebbe preso in prestito dei vestiti e si sarebbe allontanato indisturbato.

 

Scivolando lungo le bianche pareti ed i pavimenti di linoleum verde, arrivò, dopo aver cercato per tutta la struttura quasi deserta data l’ora, alla porta della lavanderia. Quello fu ancora meglio, lì avrebbe potuto vestirsi da inserviente o medico e passare inosservato.

 

Entrò e cominciò a rovistare tra gli abiti puliti, ne trovò uno da infermiere e uno da chirurgo. Optò per quello da chirurgo: era azzurro con mascherina ed il berretto, cose che gli avrebbero nascosto il viso ed il capo. Una volta vestitosi, sgattaiolò fuori dal locale e cominciò a camminare lentamente cercando l’uscita. Mentre stava per girare l’angolo, sentì dei passi avvicinarsi. Il sangue gli gelò nelle vene, erano le voci del medico che l’aveva drogato e del Colonnello. Entrò in una delle porte vicine che si rivelò un magazzino e rimase in ascolto, ora poteva vedere i due uomini perfettamente dallo spiraglio che aveva lasciato tra lo stipite e la porta. Ridevano e parlottavano sottovoce. Spike tese l’orecchio e provò ad ascoltare la loro conversazione. Ora gli stavano passando accanto e lui riuscì perfettamente a sentire le loro parole.

 

- Hai deciso cosa fare, Rupert? Ti è rimasto solo un giorno dei tre che ti avevo accordato… Il Sanguinario deve essere in piedi, dopodomani dovrà partire per una nuova missione… -

 

- Riley, te l’ho già detto mi pare, è troppo debole, l’abbiamo tenuto troppo sotto sedativi e calmanti, ora non ce la farebbe. Aspetta ancora un po’, dammi qualche altro giorno -

 

- Non se ne parla, ero stato chiaro riguardo i tre giorni. Anche se dovessi pomparlo con sostanze stimolanti e stupefacenti per farlo stare in piedi non m’importerebbe, la cosa che importa è la missione -

 

- Come vuoi Riley, vedrò cosa posso fare… -

 

I due uomini si allontanarono e Spike non riuscì più a sentire nulla. Aveva, comunque, sentito abbastanza. Abbastanza da stare male. Il Colonnello, che lui considerava quasi un padre, ed il medico che l’aveva curato l’avevano drogato fino a quel momento ed ora, se non fosse fuggito dalla stanza, l’avrebbero riempito di chissà quali sostanze e obbligato a tornare sul campo di battaglia. Un senso di nausea lo pervase, ma cercò di scacciarlo, ora non aveva tempo: doveva fuggire.

 

Rapidamente, quando non riuscì a sentire neppure i passi in lontananza, uscì dallo sgabuzzino e girò l’angolo. Finalmente vide le porte della struttura. C’erano solo un paio di infermieri lì vicino, così cercò di assumere un atteggiamento normale. Lui non li conosceva e, dedusse, che la cosa era reciproca. Si avvicinò loro con passo affrettato.

 

- Ragazzi, cosa fate qui? Non sapete che abbiamo un’urgenza? Il soldato seguito dal Dr. Giles si è tagliato le vene, presto, presto, dobbiamo agire! -

 

Gli uomini guardarono Spike disorientati, ma appena realizzato quello che lui aveva detto, corsero nella direzione della sua stanza. Senza voltarsi indietro. Spike, soddisfatto, si tolse la mascherina ed il berretto ed uscì. I suoi passi, veloci, si trasformarono quasi subito in corsa. Raggiunse l’aereo cargo. Indossava ancora la divisa medica, non poteva avvicinarsi usando quel travestimento perché avrebbe destato sospetti. Si appostò vicino alle casse, in attesa che qualcuno di utile si facesse vedere. Si avvicinò uno dei portantini, era così vicino che Spike poteva percepirne il respiro. Non appena questo caricò la cassa sul carrello che aveva, Spike uscì dall’ombra e lo colpì alla- nuca, quel tanto che servì per farlo svenire. Trascinò il corpo dietro le casse e gli sfilò gli abiti. Si cambiò e si calcò in testa il cappellino con la visiera abbassata, in modo che metà viso fosse in ombra. Prese il carrello e cominciò a spingerlo verso il retro dell’aereo, dove le altre casse venivano accatastate.

 

- Hey Michael! Stiamo andando in pausa, l’altro carico è da effettuare sul prossimo aereo. Non fare il solito leccapiedi! - gli disse uno degli uomini lì vicino, allontanandosi poi con una sonora risata. Spike sospirò e rispose, cercando di rimanere calmo.

 

- Si, questa è l’ultima, poi vi raggiungo ragazzi -

 

Spike, vittorioso, salì nel vano dell’aereo, che nel frattempo aveva acceso i motori, e si accucciò in un angolo, al buio. Mezz’ora dopo l’aereo lasciava l’Afghanistan diretto a New York; almeno così pensava Spike dato l’indirizzo sulle casse. Lì avrebbe messo fine alla sua inutile vita, certo che non sarebbe mancato a nessuno. Nessuno l’aveva mai amato e non conosceva nessuno che avrebbe potuto farlo. Si addormentò cullato dal rumore dei motori, stavolta non fece sogni, fu un sonno liberatorio.

 

****

 

 

- COME SAREBBE A DIRE CHE È SCAPPATO? -

 

- Mi dispiace Riley, ma sembra che il suo corpo, dopo un mese, si sia abituato alle dosi di tranquillanti che gli davamo, così è riuscito a svegliarsi e a fuggire -

 

Finn, fuori di se dalla rabbia, chiamò Hudson, il suo braccio destro, e gli ordinò di cercarlo per tutta la base.

 

- Sono certo che non abbia potuto allontanarsi da qui -

 

In quel momento arrivò la notizia che diceva che un uomo era stato aggredito e spogliato nell’hangar delle merci da espatriare.

 

- Merda! È su quell’aereo, ne sono sicuro! Date ordine a New York di cercarlo subito non appena l’aereo toccherà il suolo, non devono dargli il tempo di fuggire. Lui… Lui mi appartiene! LUI È MIO! - urlò Riley, sembrava impazzito, nemmeno Rupert l’aveva mai visto così.

 

Purtroppo, anche con i controlli ordinati, non trovarono traccia di Spike, né sull’aereo né con le successive ricerche, effettuata nei sobborghi di New York, che durarono un paio di mesi. Il Colonnello dovette perciò darsi per vinto e, passati alcuni mesi, non parlò più del soldato che era fuggito.

 

****

 

Oggi. Struttura ospedaliera governativa segreto. Ubicazione sconosciuta.

 

 

- È in coma, Riley - la voce grave del Dr. Giles invase la fredda stanza d’ospedale.

 

- E quando uscirà dal coma? - rispose curioso il Colonnello Finn senza scomporsi minimamente, dopo aver ascoltato la diagnosi.

 

- Forse mai, la ferita alla testa è molto grave. Non posso dirlo con certezza, ma forse, quando e se uscirà dal coma, subirà una perdita di memoria. Temporanea o permanente, sarà solo il tempo a dircelo… Sempre che non rimanga un vegetale per il resto della sua esistenza… -

 

Finn si mise a ridere, una risata maligna che Rupert trovò davvero inopportuna.

 

- Vuoi dire che questo stronzo ora è ridotto come un vegetale e che quando si sveglierà, sempre se lo farà, non si ricorderà un cazzo? Ma è magnifico Rupert! - diede una pacca al medico, che lo fissava inorridito - Questo vuol dire che la smetterà di stare dietro a quella troietta da quattro soldi e ritornerà ad essere un soldato come Dio comanda! Anzi, ora che ci penso, hai fatto in modo, come ti avevo ordinato, che lei avesse il posto da capo équipe, vero? -

 

- Si, ho fatto in modo che l’avesse - il tono di Rupert era sommesso ma, tra le parole, si scorgeva una sfumatura aspra e di rimprovero - Comunque smettila di chiamarla troietta, perché non lo è! È una brava ragazza e svolge il suo lavoro con meticolosità come un buon medico dovrebbe fare! Come fai ad essere così cinico Riley? -

 

- Ma che caz… Rupert, non ti riconosco! Ti stai rammollendo! Ora andremo a dire alla ragazzina che il suo tesorino è morto, così chiuderemo questa storia una volta per tutte e lei si potrà consolare con tutti i soldi che guadagnerà con il nuovo posto di lavoro. Non ti sembra meraviglioso? Alla fine tutti hanno quello che vogliono -

 

- Tutti? Mi sembra che l’unico che avrà quello che vuole sarai solo tu Riley… nessun altro, in special modo quei due ragazzi -

 

- Oltre che rammolliti, siamo anche romantici adesso, Rupert? E da quando? Da quando facevi esperimenti con i virus sperimentali e antidoti ancora instabili sui prigionieri di guerra o da quando facevi test genetici sulle donne incinte per creare soldati superpotenti? Ora smettila di fare il sentimentale, cazzo! Mi fai venire la nausea! Cerca di riportare in vita questo sacco di rifiuti, è l’unica cosa che m’interessa! Adesso ho da fare, ci vediamo presto, Squartatore -

 

****

 

Un altro mese se ne era andato, lento e solitario, come il precedente. Di William ancora nessuna notizia. Dopo il matrimonio, Angel e Faith si erano buttati seriamente nel lavoro per riuscire a trasferirsi dal minuscolo appartamento nel quale abitavano ad uno più grande. Angel temeva per Faith, il quartiere dove stavano non era molto sicuro e, sebbene avesse vissuto lì, da sola, anche prima di incontrarlo, lui preferiva allontanarsene. Inoltre, pensava, che un giorno non lontano avrebbero allargato la famiglia; così, prendendo un nuovo appartamento, avrebbe risolto due problemi. Buffy, invece, aveva ricevuto improvvisamente un incarico molto prestigioso dalla direzione dell’ospedale. Era stata davvero una sorpresa per lei in quanto c’erano molti candidati, e con molta più esperienza di lei, che ambivano al posto di capo équipe. Durante il colloquio, nel corso del quale le era stato annunciato che era stata considerata idonea al posto, non le era stato rivelato molto se non che il direttore, Dr. Giles, prima di andarsene aveva parlato molto bene di lei elogiandola sotto ogni punto di vista e che la Commissione si fidava molto del suo giudizio. Quando era uscita dalla stanza, dopo aver passato quasi un’ora al cospetto di quattro vecchi decrepiti che le avevano esposto, oltre agli elogi abbastanza gratificanti che aveva fatto il Dr. Giles su di lei, anche tutte le regole che doveva seguire e l’etica professionale che doveva rispettare nel suo nuovo ruolo, invece di gioire si era sentita persa, sola. Aveva sentito il corpo e la mente pesanti, oppressi dall’immensa tristezza e senso di vuoto che albergavano nel suo cuore. Troppi erano gli sforzi che giornalmente doveva fare per mostrarsi efficiente e cordiale con i pazienti e con i loro familiari, tanto che alla sera arrivava a casa stremata. Era uno di quei brutti scherzi che il destino si diverte a tirare: l’amore della sua vita, che aveva tanto cercato, l’aveva lasciata sola ma, nello stesso tempo, le veniva offerta su un piatto d’argento la svolta decisiva alla sua carriera che aveva sognato da quando aveva stretto il diploma nel palmo della mano.

 

Era un giorno come un altro e nulla di particolare importanza era capitato, tanto che sembrava che le malattie ed i delinquenti si fossero presi una vacanza. Era quasi ora di pranzo e Buffy era seduta alla scrivania, intenta a firmare certificati e lettere inerenti gli ospiti dell’ospedale, quando sentì bussare alla porta. La fissò, indecisa se ignorare chi v’era dall’altra parte, facendo finta che non ci fosse nessuno all’interno o se farlo entrare e venire tediata dalle richieste o dalle lamentele di qualche collega. Sbuffando e ricordando quello che si era ripromessa accettando il nuovo posto; cioè di eseguire al meglio le proprie mansioni, diede il permesso all’individuo di entrare.

La porta si aprì e Buffy sgranò gli occhi, il Colonnello Finn fece il suo ingresso nell’ufficio con fare superbo, misurando con lunghe falcate il pavimento e fissando, in seguito, lo sguardo su Buffy.

 

- Buongiorno Dr.ssa Summers, credo che lei mi conosca già, ma mi presento lo stesso. Sono il Colonnello Riley Finn, molto piacere signorina - esordì con voce melliflua, dipingendosi sul volto un sorrisetto fasullo e tendendo la mano al giovane medico. Buffy lo fissò con diffidenza, ma forse lui sapeva qualcosa di Spike, ciononostante non strinse la mano di Finn.

 

- Buongiorno Colonnello, si accomodi pure. In cosa posso esserle utile? - cercò di essere gentile, indicando la sedia davanti a lei. Riley, dopo aver ritirato la mano, fece pochi passi e si sedette, incrociando volgarmente le gambe e mettendo in evidenza l’arma che portava alla cintola.

 

- Veramente non sono qui per una visita di piacere. Lei è una donna intelligente, può ben immaginare il motivo per il quale mi trovo qui - ammiccò con lo sguardo e assunse ancora la stessa espressione di poco prima. Buffy annuì.

 

- William - sussurrò, uno strano nervosismo le faceva tremare la voce.

 

- William… - la canzonò, continuando - Noi preferiamo chiamarlo Sanguinario… o meglio, preferivamo… -

 

- Sanguinario? Ma che cosa… In che senso dice ‘preferivamo’? - Buffy, in cuor suo, aveva già capito il significato che Riley aveva dato alla frase, ma desiderava, con tutta se stessa, di aver compreso male le parole allusive di quel bellimbusto. Odiava quell’uomo e non si fidava di lui. Il Colonnello si avvicinò e mise una mano sopra il dorso di quella di Buffy. Il contatto non le piacque, ma in quel momento non aveva tempo per pensarci.

 

- Ha capito bene, purtroppo ci ha lasciati. Il suo ragazzo è morto, signorina Summers. Mi dispiace molto, le faccio le mie condoglianze - la voce di Riley le arrivò confusa, il suo cervello si stava rifiutando di udire quelle parole.

 

- Qu… quando è successo? - chiese, ripensando all’anello che Spike le aveva inviato per il suo compleanno.

 

- Subito dopo la missione che gli avevamo affidato. Vede, signorina Summers, lui era tornato da noi, ma purtroppo è caduto sul campo. Beh, almeno è una morte degna di un vero soldato, deve essere contenta di questo… - le dita di Riley carezzarono la morbida pelle della mano della ragazza.

 

- No, non è possibile… Lui non voleva più fare il soldato. Non poteva essere lui… Lui… lui mi ha inviato un regalo per il mio compleanno… lui vuole sposarmi, vede? - la voce di Buffy era concitata e, togliendo la mano da sotto quella di Finn, gli mostrò l’anello.

 

- Oh, quello… Ha dato disposizioni per fare in modo che le venisse consegnato proprio in quel momento. Mi dispiace dirglielo, ma lui era già morto nel giorno del suo compleanno. Buffy, mi spiace molto… - la chiamò per nome, con noncuranza, come fosse un fatto casuale.

 

- Voglio vederlo… voglio vedere il suo corpo… - il viso della ragazza era mutato in una maschera di dolore silenziosa.

 

- Non è possibile, è già stato sepolto e comunque era irriconoscibile. È stato ucciso da una mina antiuomo e abbiamo dovuto fare il riconoscimento del cadavere tramite la dentatura - il tono di Riley era freddo e ogni parola la feriva come mille aghi conficcati nel suo petto.

 

- Mio Dio, ma si rende conto? Come può! Come può venire qui a dirmi queste cose? Le narra come se fossero le regole di un gioco a premi, ma è della morte del mio Amore che sta parlando! - si mise una mano sulla bocca, sgranando gli occhi. Calde lacrime cominciarono a scivolare sulla pelle vellutata delle sue guance. Solo in quel preciso istante si rese davvero conto che il suo William non c’era più. Non aveva rispettato la promessa, ed ora aveva un uomo meschino dinnanzi a lei che godeva nell’annunciarle quella bruttissima notizia.

 

Finn dovette ammettere che William, in fatto di donne, aveva davvero buon gusto. Bionda, con i capelli lisci e lunghi fino ai fianchi, in quel momento intrecciati. Gli occhi grandi e luminosi, di un verde cristallino, magnifico mentre il sole lo illuminava. Il viso dolce e imbronciato, ora solcato dalle lacrime. Un corpo minuto, ma ben proporzionato, con le curve morbide del seno e dei fianchi che venivano sottolineate dal camice bianco che indossava.

 

'È davvero una bella donna', pensò Riley percorrendo con lo sguardo l’esile figura di Buffy, scossa dai singhiozzi, mordendosi il lato destro del labbro inferiore. L’eccitazione, mentre la osservava, crebbe in lui, gli percorse il corpo e lo fece fremere. La voleva. Senza pensarci, si alzò e raggiunse Buffy, dietro la scrivania. La ragazza, troppo presa dal pianto e dalla disperazione, non vi prestò attenzione. In quel momento non le importava di nulla, se non della perdita del suo Spike. La mano di Riley scivolò sulla sua spalla, per poi percorrerle la schiena e finire sull’altra. La sua voce rauca, spezzata dal desiderio, le sfiorò l’orecchio facendola rabbrividire, mentre l’altra mano di Finn finiva sul suo seno, accarezzandolo lascivamente.

 

- Buffy… sei ancora così giovane per piangere un morto… - le carezze si fecero più profonde, Buffy cercò di divincolarsi ma la presa di Riley si rafforzò costringendola a restare seduta, intanto che lui continuava ad esplorarla intimamente.

 

- Toglietevi subito! Che cosa diavolo avete tutti in questa città? – sibilò divincolandosi sempre di più per cercare di liberarsi dalla presa di Finn.

 

- Non vorrai gridare, vero? Non credo che, nella tua posizione, sarebbe un bene farti trovare così… Su… lasciati andare – le leccò il lobo dell’orecchio nello stesso momento in cui finì la frase. Buffy, s’irrigidì di colpo, non avrebbe sopportato di perdere anche il lavoro dopo il suo Amore, non avrebbe saputo come distrarsi dal dolore così, rivedendo le immagini di quella mattina in cui era stata quasi violentata, chiuse gli occhi quando sentì i bottoni della camicetta aprirsi e le dita di Riley penetrarvi all’interno, mentre l’altra mano scorreva sulla sua coscia, salendo sempre più in alto…

 

- Brava… Brava ragazza… Vedrai che non ti farò male. Il nostro William, ti avrà scopata tutte le sere, vero? – ridacchiò ed il suo alito caldo e irregolare le giungeva fastidioso sulla pelle, facendola irrigidire ancora di più – Ma come dargli torto? – continuò, baciandole il collo, mentre le stringeva un capezzolo tra il pollice e l’indice, facendole male.

 

Le prese il mento tra le dita e la obbligò a voltare il viso verso di lui, i suoi occhi verdi, guizzanti d’ira e di orgoglio lo sfidarono. Lo sguardo fiero di Buffy lo colpì come un pugno nello stomaco, disorientandolo e facendogli allentare la presa. Lei approfittò della distrazione per tirargli una gomitata sullo sterno e fuggire verso la porta, stringeva i lati della camicetta tra le dita al fine di tenerla chiusa. Afferrò con forza la maniglia della porta e la girò, finendo tra le braccia della persona che era in piedi, davanti ad essa. Si trattava di Angel, passato per invitarla a pranzo. Appena osservò meglio la scena che gli si presentava davanti, Buffy con la camicetta aperta, il viso spaventato, e con un uomo nell’ufficio, accecato dalla rabbia si avventò su quest’ultimo affibbiandogli un pugno in pieno viso. Riley non fece in tempo a reagire, barcollò e finì con la schiena contro il muro. Angel lo prese per la divisa e lo scortò, tutt’altro che gentilmente, fuori dalla porta, buttandolo letteralmente contro il muro dall’altro lato del corridoio. Puntandogli il dito addosso, per nulla intimidito dalla divisa che l’uomo indossava, lo ammonì dal presentarsi di nuovo dinnanzi a Buffy. Il Colonnello lo minacciò, ma alla fine si allontanò anche perché alcuni curiosi si erano radunati e stavano assistendo alla scena.

 

- Puttana… - sibilò tra i denti, scoccando un’ultima occhiata alla coppia e alle persone che si erano fermate a fissarli.

 

Angel, gentilmente, mise una mano sulla schiena di Buffy e l’accompagnò nel suo ufficio dove la fece sedere su uno dei divanetti che lo arredavano. La donna, non appena fu seduta, crollò e pianse la morte di Spike, aggrappata alla camicia di Angel che disorientato non riusciva a capire se fosse arrivato troppo tardi.

 

- Tesoro, non piangere… Lo denunceremo e finirà in prigione quel porco! – cercò di confortarla, accarezzandole i capelli e la schiena.

 

- No… è Spike… lui è… - i violenti singhiozzi interruppero la frase, scuotendo il corpo della ragazza, ed Angel non riuscì a capire cosa volesse dire.

 

- Cosa ha fatto Spike? È tornato? Avete litigato? Dai, non può essere così grave… –

 

- È MORTO! – gridò rimettendosi a piangere a dirotto – È morto… - sussurrò ancora, continuando il suo pianto disperato. Il volto di Angel mutò all’istante, scioccato da quella notizia terribile. Anche gli occhi dell’uomo si velarono di lacrime, ma in quel momento non poteva dare libero sfogo al dolore, ora doveva pensare a Buffy, a Buffy che si disperava attaccata a lui. Avrebbe avuto tutto il tempo, in seguito, per piangere la morte del suo amico.

 

La cosa più scioccante, per loro, fu il fatto di non poter assistere al suo funerale, di non avere una tomba su cui sfogare il dolore, insomma nulla che permettesse ai loro cuori di trovare la pace, in special modo quello di Buffy la quale, oltretutto, accusava strani malori.

 

Devastata dalla sofferenza la ragazza era stata sopraffatta da un senso di apatia: insieme al suo uomo era morta anche la sua anima e morire dentro è la peggior cosa che può capitare ad un essere umano. Da un giorno all’altro aveva deciso di abbandonare il lavoro, quello era infatti il posto dove l’aveva conosciuto e guardare la sala d’attesa nella quale, per la prima volta, si era tuffata nel mare blu dei suoi occhi le lacerava il cuore. La stessa cosa le capitava quando rientrava a casa, in quell’appartamento dove, anche solo in pochi mesi di convivenza, vivevano i ricordi; sentiva il vuoto e la solitudine opprimerla, toglierle l’aria. Non poteva più sostenere tutto quel peso. Certo, si era sfogata, aveva pianto, gridato, si era aggrappata ai suoi unici amici, Angel e Faith, ma tutto questo, a distanza di due mesi, non era stato sufficiente. La depressione e la voglia di inseguire il suo amore l’avevano resa l’ombra della ragazza felice che era stata accanto a lui: i capelli arruffati, i cerchi scuri che ormai erano l’unico ornamento dei suoi occhi, un tempo brillanti, spenti ed assenti; la pelle lucente ora divenuta smunta, inaridita come il suo cuore; il viso dal quale, solo pochi mesi prima traspariva la felicità, ora era ancora più magro e segnato dal dolore. Fu quando Angel trovò Buffy svenuta sul divano a causa della debolezza e della malnutrizione, che decise di obbligarla a vedere uno psicologo.

 

 

 

Dapprima lei si rifiutò categoricamente adducendo scuse assurde poi, una volta convinta, fu contenta di avere qualcuno di estraneo con cui aprirsi ed al quale raccontare tutta la sua difficile vita, soprattutto la sua difficoltà a riallacciare la relazione affettiva con sua madre alla quale imputava, come spiegatole dopo alcune sedute, l’abbandono del padre ed il conseguente insuccesso delle storie amorose che aveva avuto. Christina, la psicologa, era una donna raffinata ed elegante ma, nello stesso tempo, dolce e comprensiva. Era una di quelle persone che trasmettono un senso di tranquillità e di benevolenza, una sensazione materna che avvolge, che fa sentire sicuro e tranquillo chi le sta accanto. La donna, poco più grande di Buffy, l’aveva ascoltata con attenzione senza mai interromperla, facendola sfogare, piangere, dandole conforto ma mai in modo invadente. Con il passare delle settimane si comportava più da amica che da medico, cosa che Buffy apprezzava pienamente e che la incoraggiava sempre di più a scendere nei dettagli della sua triste vita, rivivendo con un po’ più di serenità gli episodi spiacevoli che si erano susseguiti. Le erano brillati gli occhi ed un lieve sorriso le aveva piegato le labbra all’insù quando parlò di William, di lui e della loro storia, nata tra mille difficoltà e insicurezze eppure così vera e viva, così importante, così intensa da averle tolto la voglia di vivere una volta spezzata. In quel momento la dottoressa aveva preferito smettere gli abiti del medico ed indossare quelli di amica, l’aveva abbracciata e consolata.

 

Dopo altri quattro mesi di terapia Christina aveva consigliato a Buffy di riprendere i rapporti con sua madre, l’unica persona a cui Buffy, oltre Angel e Faith, si poteva ancora affidare. Dopo tutte quelle sedute, l’odio che aveva provato nei confronti di Joyce era quasi sparito e stava lasciando il posto alla voglia di riavvicinarsi a lei, di comprendere quello che pensava, perché lo pensava ma soprattutto capire se le voleva bene. Quella era la cosa che le importava in quanto aveva compreso che, nonostante tutto, lei gliene voleva ancora molto ed ora, dopo tutto quello che era successo, aveva davvero bisogno di sapere se questo affetto veniva ricambiato. Buffy invitò quindi sua madre a raggiungerla per convincerla a seguire qualche seduta da Christina.

 

Joyce si sarebbe recata da Buffy la settimana successiva perché aveva alcune cose alla Galleria da sistemare. Sua madre era infatti la responsabile dell’unica e piccola Galleria d’arte di Sunnydale la quale, seppure non molto vasta in termini di superficie, riusciva a collocarsi in mezzo a quelle più grandi, appartenenti alle città importanti. Sua madre aveva sempre tenuto molto al suo lavoro che spesso l’aveva tenuta lontana da casa per lunghi periodi, questo succedeva anche quando Buffy era bambina. Quando capitavano questi momenti la bambina veniva messa in una struttura privata e lì la piccola Buffy soffriva per la paura che la madre non si ripresentasse come alle volte capitava ad alcuni ospiti dell’Istituto. Le sue visite temporanee in quella struttura durarono fino al compimento del sedicesimo anno d’età, età dalla quale le fu permesso di restare a casa da sola. Buffy a quell’epoca era ormai una ragazza ossessionata dall’Amore, da qualsiasi forma d’Amore che le venisse offerta. Purtroppo la sua fragilità interiore era molto evidente anche all’esterno e per questo motivo era facilmente capitata tra le mani di persone che avevano approfittato di questo suo disperato bisogno di affetto. La più spregevole fu il suo primo ragazzo: Parker Abrams. Lui giocava a pallacanestro per la squadra del liceo ed era ambito da tutte le ragazze. Alto, con i capelli neri abbastanza lunghi, fisico atletico e due occhi scuri molto penetranti, aveva fatto capitolare Buffy come tutte le altre ragazze, del resto. Amava andare a guardarlo giocare dopo le lezioni nel campo dietro la scuola. Un giorno Buffy, che aveva avuto un compito da recuperare a seguito di un’assenza per malattia, aveva raggiunto il campo in ritardo e l’aveva trovato da solo. Con il sole che baciava la sua pelle sudata le era sembrato un Dio greco ‘in attesa della sua Dea’ aveva pensato un po’ stupidamente. Aveva dovuto raccogliere tutto il suo coraggio per riuscire ad avvicinarglisi, a pochi passi di distanza da lui, questo si era voltato verso di lei facendole un gran sorriso. Da quel momento, si può dire, che cominciarono ad uscire insieme. Fu una storia intensa, almeno dalla parte di Buffy, che si concretizzò quando lei donò la sua verginità a Parker.

 

La mattina successiva, dopo avergli donato la cosa più importante per lei sfruttando una delle numerose assenze della madre, Parker sparì nel nulla. Si era svegliata da sola, il posto accanto a lei freddo come le lame che si erano conficcate nel suo cuore. Per tutto il fine settimana non era riuscita a raggiungerlo e, raccogliendo l’ultimo briciolo d’orgoglio che le era rimasto, aveva deciso di aspettare il lunedì per riuscire ad incontrarlo a scuola.

 

Il lunedì, purtroppo, l’intento di appellarsi all’orgoglio era inevitabilmente caduto e così l’aveva cercato per i corridoi pieni di studenti, nel campo dietro la scuola, in palestra ma sembrava come sparito fino a quando, finalmente, non lo trovò alla caffetteria… in compagnia di un’altra ragazza. Da lontano l’aveva fissato per interminabili minuti fino a che lui non si era voltato, infastidito da quello sguardo insistente, e l’aveva vista. Le aveva rivolto un gran sorriso e Buffy rinacque in quel momento, gli si avvicinò fiduciosa non aspettandosi la pugnalata che le arrivò dritta allo stomaco, subito dopo. Parker, infatti, con noncuranza ed occhi adoranti rivolti all’altra ragazza, gliel’aveva presentata come sua fidanzata. Buffy aveva cercato di dire qualcosa, ma tutto quello che riuscì a liberare furono solo le lacrime di dolore e di sconfitta. Si era voltata ed era uscita dal locale intanto che il suo corpo veniva scosso dai singhiozzi.

 

Il bisogno impellente di sentirsi amata però crebbe prepotentemente in lei e, qualche mese dopo, si era di nuovo innamorata, dimenticando il viscido Parker, di Scott Hope. Lui frequentava il suo stesso corso di greco, non era bellissimo ma sembrava molto dolce. Un giorno Buffy aveva fatto in modo di sedersi accanto a lui per la lezione e attaccò bottone destando l’interesse del ragazzo. Purtroppo quella fu un’altra storia a senso unico in quanto Scott, che i primi tempi si era rivelato dolce ed attento, era diventato scostante e taciturno. Lui e Buffy avevano un’intimità fatta solo di timidi baci, ma a lei bastavano per essere felice. Purtroppo, dopo quasi un anno di frequentazione, Scott le rivelò di essere gay e di essere uscito con lei solo per salvare le apparenze ma, ora che aveva accettato la sua natura, lei non era più necessaria e doveva uscire dalla sua vita. Di nuovo Buffy fu devastata dal dolore, sentendosi tradita dal ragazzo di cui era innamorata. Aveva passato le due settimane successive rinchiusa nella sua stanza senza che sua madre si fosse preoccupata di consolarla, l’unica volta che si era affacciata nella sua stanza per vedere se tutto andava bene, aveva ricevuto una risposta sgarbata e non l’aveva più fatto.

 

Resistette, senza avere nessuno, fino a che non entrò all’Università. L’idea di diventare medico l’aveva avuta dopo aver fatto un periodo di volontariato nelle Case di riposo, era un’attività che le permetteva di isolarsi e di non pensare ai suoi problemi. Aveva desiderato aiutare le persone in difficoltà, alleviare il loro dolore e fu così che s’impegnò come non mai per gli esami finali del liceo. Uscì con un’ottima media che le permise di entrare all’Università di Sunnydale senza problemi. Avrebbe potuto facilmente entrare in una scuola più prestigiosa, ma non voleva allontanarsi troppo da sua madre, l’unico legame che aveva in quella città. Nei quattro anni che seguirono, studiò con disciplina, lavorando contemporaneamente al fine di mantenersi agli studi senza dover chiedere denaro a Joyce la quale, nel frattempo, si era trovata un nuovo uomo con il quale condividere la vita. Le storie che ebbe in quel periodo furono classificabili, nella maggior parte dei casi, come “lotta contro la solitudine”.

 

Durante il periodo di praticantato trovò senza problemi un posto al Sunnydale Hospital, aveva dei voti eccellenti e questo l’aveva aiutata molto. Quel giorno, quando strinse il diploma in mano, si ripromise di trovare la felicità che meritava. L’offerta del posto a New York l’avrebbe portata lontana da quella città che le aveva fatto provare solo dolore e aiutata a superare tutta la sua infanzia e tutta la sua adolescenza… o almeno così credeva all’inizio.

 

Quando aveva visto Spike, la prima volta, aveva notato negli occhi di lui le sue stesse paure, le stesse insicurezze e per questo se ne era sentita subito attratta. Non era stato come per le altre volte, non era stata la voglia di averlo a tutti i costi ad attrarla, benché fosse un bellissimo ragazzo, ma era stata la sua voce tremante, il suo viso preoccupato ed i suoi occhi imploranti a farle scattare un qualcosa dentro. Certo poi la “vecchia” Buffy si era prepotentemente esposta e il disperato bisogno d’affetto si era fatto sentire anche in quell’occasione. L’unica differenza era stata che Spike, dapprima reticente e sfuggevole, era stato il primo a ricambiare il suo amore, ad innamorarsi di lei profondamente. Quando gli aveva donato se stessa, dopo quella brutta avventura, si era risvegliata accanto a lui, stretta nel suo abbraccio. Si era sentita, per la prima volta, protetta e amata, anche se lui ancora non gli aveva confessato i suoi sentimenti. Aveva sentito che tutto sarebbe stato perfetto. Dopo la confessione di Spike, quella sul suo passato, le sue sicurezze erano vacillate ma vedendolo addolorato e pronto a lasciarla libera, con il dolore dipinto sul viso, aveva capito che non poteva perderlo perché lo amava più della sua stessa vita.

 

- Ora nulla ha più importanza… - sussurrò Buffy concludendo l’ennesima seduta da Christina. Sua madre sarebbe arrivata l’indomani.

 

- Buffy, non devi dire così… vedrai che quando rivedrai tua madre starai un po’ meglio –

 

- No Christina, niente potrà farmi sentire meglio… Lui è morto ed io sono morta con lui. La Morte ci terrà uniti… - gli occhi vitrei della ragazza si erano posati sul suo grembo lievemente rigonfio, le dita tormentavano l’orlo della maglia.

 

- Buffy… pensa a tuo figlio, davvero non t’importa di lui? Lui è il frutto della tua unione con William… -

 

- Non mi interessa! – ringhiò scattando in piedi furiosamente – Non mi interessa avere un figlio! Io rivoglio il mio William e basta! E smettila! Smettila di fare l’amica, sei solo il mio strizzacervelli, niente di più! -

 

Christina rimase sorpresa nel vedere Buffy in quello stato, non sembrava nemmeno più la stessa persona che, timidamente e un po’ timorosa, si era affacciata alla sua porta. Faith, che era sua amica dai tempi delle medie, le aveva raccontato tutta la storia di Buffy e lei aveva accettato di aiutarla, ma sempre più, andando avanti, aveva la sensazione che Buffy non volesse esserlo. Era chiaro che non si nutriva a dovere in quanto era scheletrica, ciononostante la sua gravidanza a detta del suo ginecologo procedeva bene. Christina si era sorpresa anche per l’odio che Buffy ostentava nei confronti del nascituro, come se quella fosse stata una punizione più che un dono. Tentò di rimanere calma, tirò un sospiro di frustrazione e ricominciò a parlare con Buffy.

 

- Tesoro, davvero pensi che William avrebbe voluto che suo figlio non venisse al mondo? Davvero vorresti cancellare in questo modo il ricordo di lui, il dono che ti ha lasciato prima di partire? – Christina si alzò, soppesando le successive parole – Buffy… non avrei mai pensato che tu potessi essere così egoista… -

 

“Egoista”, nella sua vita non avrebbe mai pensato di sentirselo dire, ma forse nessuno aveva avuto lo stesso coraggio di Christina o, più probabile, lei era scappata prima che qualcuno potesse dirglielo. Si accorse che anche con William era stata egoista pretendendo il suo amore e aggrappandosi a lui senza, almeno all’inizio, chiedersi se davvero lui desiderava amarla. Quella parola arrivò a Buffy come uno schiaffo in pieno volto e, proprio quell’unica parola, parve dare un piccolo scossone al suo senso di apatia in cui vegetava da quando aveva saputo della morte di Spike. I suoi occhi spenti si velarono di lacrime, ma stavolta erano lacrime di consapevolezza, la consapevolezza che presto sarebbe divenuta madre. Certo avrebbe ancora avuto bisogno d’aiuto, ma ora sentiva che, pian piano, avrebbe potuto riprendere le briglie della sua vita e condurla in modo diverso. L’avrebbe fatto per lei e per suo figlio… il figlio suo e di William. Il cielo limpido di quella mattina, quando uscì dallo studio medico, era dello stesso colore degli occhi del suo Amore che forse, da lassù, la stava guardando sorridente e felice, felice perché per la prima volta lei gli avrebbe dimostrato di essere forte.

 

Come da programma Joyce arrivò il giorno seguente. Dopo l’iniziale shock dovuto alla gravidanza di sua figlia, lo strano istinto dettato dalla natura umana, la trasformò in un’apprensiva, futura nonna. L’intervento di Christina, per quel che riguardava il riavvicinamento di Joyce e Buffy, non fu necessario in quanto le due, riunite dall’ormai prossimo parto, si erano avvicinate come mai prima d’ora, nel giro di poche settimane. Buffy però non sembrava molto entusiasta di tutta questa situazione infatti il senso di leggerezza provato dopo l’uscita dallo studio di Christina andava via via affievolendosi, anche se cercava di farsi forza.

 

Qualche giorno dopo si recò ad una delle solite visite di rito, questa volta non fece storie quando il medico le indicò lo schermo sul quale veniva proiettato il suo ventre rigonfio.

 

- Vede signorina? Questo è il suo bambino, vuole sentire il cuore? –

 

In tutte le visite precedenti si era sempre rifiutata categoricamente di ascoltare o guardare il suo bambino, ma ora doveva sforzarsi, sforzarsi di non provare quel senso di disgusto che aveva sentito da quando aveva scoperto di aspettarlo.

 

- S… si – rispose sommessamente, girando il viso verso lo schermo nero, sul quale veniva proiettata la piccola creatura che portava in grembo. Il medico alzò il volume e:

 

TU TUM TU TUM TU TUM

 

Il suono di un battito veloce e regolare riempì la stanza. A quel suono Buffy sentì crescere dentro di lei uno strano sentimento, quel piccolo essere cresceva dentro di lei, viveva dentro di lei e una volta nato sarebbe dipeso da lei, vissuto per lei. Una lacrima di commozione scese sulla sua guancia scavata, gli occhi stanchi s’illuminarono mentre studiavano lo schermo. La voce del medico la riportò alla realtà.

 

- Signorina Summers, il suo bambino per ora sta bene, ma sono sinceramente preoccupato per la sua alimentazione. Sembra che lei non mangi a dovere e questo, a lungo andare, potrebbe nuocere al bambino. So che lei è in terapia, ma voglio chiederle una cosa: lei vuole davvero questo bambino? –

 

Buffy abbassò lo sguardo fissandolo sul suo ventre pronunciato. Era vero, era denutrita, mangiava pochissimo, quel tanto che bastava per fare contente sua madre e Christina. L’idea che il suo bambino traesse il nutrimento da lei non le era passata per la mente anche perché, sinceramente, non le era importato granché. Ora però aveva fatto una promessa a se stessa, lei si sarebbe impegnata per far crescere il suo bambino.

 

- Sì dottore, lo voglio – ammise per la prima volta, più a se stessa che al medico. Si accarezzò la pancia ed un lieve sorriso le incurvò le labbra. Riprese a guardare la piccola figura in bianco e nero, sullo schermo. Era alla fine del terzo mese di gravidanza.

 

- Vuole sapere il sesso? – chiese il medico incoraggiante, con un sorriso.

 

- No, è lo stesso… – riuscì a rispondere lei, rapita dall’esile figura che danzava dentro il liquido amniotico, sognando chissà cosa.

 

- Come vuole signorina… Mi scusi, avevo dimenticato di chiederle una cosa: il padre assisterà al parto? –

 

Buffy s’irrigidì all’istante, il cuore palpitava violentemente nel suo petto e le sue orecchie percepivano i suoni come fossero a chilometri e chilometri di distanza, non faceva più parte di quella dimensione, era ripiombata in quella infernale degli ultimi mesi. L’odio prese il sopravvento e così spinse lontano la sonda che il medico stava guidando sul suo ventre e saltò giù dal lettino. Senza pulirsi, mentre il medico cercava di calmarla, prese i suoi vestiti ed uscì in fretta. Joyce che l’attendeva nella sala d’aspetto, sentendo il baccano, uscì dalla stanza e fece appena in tempo a vedere Buffy che fuggiva dall’ambulatorio ancora mezza svestita, seguita dal medico. Joyce prese in fretta la propria giacca e seguì la sua bambina, non prima di aver lanciato uno sguardo torvo al medico.

 

- Con lei parlerò più tardi! – e lasciò lo studio.

 

Buffy, arrivata in strada, prese il primo autobus che vide fermarsi e si lasciò il palazzo alle spalle, diretta chissà dove: ovunque, lontano da lì, sarebbe andato bene. Joyce, scesa anche lei subito dopo, non la trovò più e, preoccupata, salì di nuovo nell’ambulatorio per chiarire l’accaduto con il medico. Arrivata all’ufficio si fece annunciare ed il dottore la ricevette subito.

 

- Allora, volete dirmi che cosa è successo? Di sotto non sono riuscita a trovare Buffy e vorrei sapere cosa l’ha turbata così tanto da averla fatta fuggire… -

 

- Non so signora Summers, stavamo parlando tranquillamente… Questa volta sembrava anche interessarsi un poco delle cose che le stavo dicendo… -

 

- Ma le ha chiesto qualcosa di particolare? – insisté Joyce.

 

- No, le solite domande di rito sa, se è sicura di volere il bambino, se il padre assisterà al parto… -

 

- Cristo Santo! Lei le ha chiesto se il padre assisterà? Ma è completamente impazzito? Con questo deduco che lei non abbia nemmeno aperto il dossier che la Dottoressa Walsh le ha inviato! Il padre del bambino è deceduto e Buffy ha scoperto subito dopo di essere incinta… Per quale motivo pensava fosse in terapia? Dio… Dio… che guaio… – Joyce si mise una mano sulla fronte, stanca di tutta quella situazione.

 

- Oh… - fu l’unica cosa che il medico riuscì a pronunciare in mezzo a quel fiume di parole.

 

- Oh? OH? È tutto quello che sa dire? Le dico io una cosa allora, LEI È DAVVERO UN INCOMPETENTE! – e con questo lasciò la stanza, sbattendo la porta dietro di se, pronta ad andare alla ricerca di Buffy.

 

Nel mentre l’autobus l’aveva portata abbastanza lontana dalla zona residenziale, ora si trovava vicino alla spiaggia, poteva vedere l’immensa distesa blu che si espandeva davanti a lei, fino a sparire all’orizzonte. Un raggio di sole colpì il finestrino del mezzo e Buffy poté vedervisi riflessa. Il viso era quello di una donna stanca di lottare, abbattuta, senza né vitalità né allegria; gli occhi spenti e ormai sempre gonfi di pianto erano profondamente tristi, incapaci di trovare bellezza o pace in quello che vedevano.

 

‘Spike… perché mi hai lasciata sola?’ si mise a piangere sommessamente ‘Io non sono forte, non ce la faccio senza di te…’.

 

L’autobus, in quel momento, si fermò e Buffy, scossa dai singhiozzi che non riusciva più a tenere sotto controllo, scese in fretta correndo giù, lungo la scalinata che l’avrebbe portata verso la spiaggia. Alcuni passanti si voltarono distrattamente a guardarla, senza però interessarsi veramente a lei.

 

Nel momento in cui raggiunse il bagnasciuga, Buffy si lasciò cadere a terra, incapace di reggersi sulle gambe. Pianse di nuovo, come in tutti quei mesi… Quando si calmò, si mise a fissare il mare, le onde che s’infrangevano, alternando potenza e dolcezza, sulla sabbia le davano un senso di calma ed il colore dell’acqua, con il suo profumo, le ricordava il suo William. Negli occhi di lui, la loro ultima notte, aveva letto le stesse sensazioni che ora le onde le davano: tristezza, dolcezza, forza, debolezza e tanto, tantissimo amore che le sarebbe dovuto bastare per un’intera vita perché mai un altro uomo avrebbe occupato il posto di Spike.

 

 

 

- Signorina, si sente bene? –

 

La voce gentile le arrivò alle spalle e lentamente Buffy si voltò nella sua direzione. Una ragazza, dai lunghi capelli castani, era accovacciata dietro di lei e, con un dolce sorriso sul volto, attendeva la sua risposta.

 

- Sì, tutto bene – il tono di Buffy nascondeva il nervosismo dovuto a quella presenza invadente.

 

- Mi scusi se m’intrometto, ma non mi sembra che vada tutto bene. È da mezz’ora che la osservo da lontano e non ha fatto altro che piangere e guardare il mare… così mi sono permessa di avvicinarmi e… -

 

- MI LASCI IN PACE! – l’urlo di Buffy squarciò il rumore delle onde, la ragazza bruna sgranò gli occhi per un istante per poi tornare a sorridere dolcemente. Si sedette accanto a Buffy senza più dire una parola, facendole solo compagnia e lei non l’allontanò, troppo debole per replicare. Dopo qualche minuto, incuriosita da quella nuova presenza, si voltò per guardarla meglio. Era una ragazza molto bella ed il viso era giovane, forse aveva la sua stessa età. Il volto era segnato da alcune cicatrici e, solo in quel momento, vide che la donna aveva una protesi ad una gamba.

 

- Ho avuto un incidente… molto grave qualche anno fa… - le disse gentilmente.

 

- Oh, mi dispiace – rispose Buffy, distogliendo subito lo sguardo e sentendosi in colpa.

 

- Mi chiamo Cordelia, e tu? – non c’era un tono insolente o sfacciato nella sua domanda, era quasi un timido tentativo di conversazione.

 

- Buffy – bisbigliò, ancora non era certa di voler fare conversazione con quella strana ragazza che s’interessava a lei.

 

- Ti va Buffy di ascoltare la mia storia? – la voce di Cordelia era triste e malinconica, come i suoi occhi mentre guardavano lontano, scrutando l’orizzonte alla ricerca di chissà quale sogno. Buffy rimase stupita dall’espressione accigliata della giovane donna e così decise di ascoltarla, certa che questo avrebbe giovato sia a Cordelia sia a lei, che si sarebbe distratta dai suoi problemi.

 

- Si… - la risposta fu lieve come il venticello caldo che si era alzato, accompagnando l’odore gradevole dell’acqua del mare fino a loro.

 

- Tre anni fa mi sono sposata con l’uomo che amavo dai tempi del liceo. Lui si chiamava Wesley, era un uomo gentile, estremamente corretto, molto dolce e buffo. Era molto goffo ed impacciato, ma io me ne innamorai subito. Di tanto in tanto aiutava il bibliotecario a classificare i volumi più vecchi, così riuscii ad avvicinarlo perché quella parte della scuola non era molto frequentata. Ci siamo messi insieme quasi subito e decidemmo di sposarci dopo il diploma. Lui trovò lavoro al museo nazionale, era uno studioso di storia dell’arte ed era molto conosciuto per le sue ricerche – la donna fece una pausa, si rannicchiò portandosi le ginocchia sotto il mento, persa ormai nei suoi ricordi.

 

- Dopo pochi mesi restai incinta e questo non fece che aumentare la nostra felicità. Noi eravamo fatti l’uno per l’altra, lo dicevano tutti i nostri conoscenti, gli amici, i nostri stessi genitori ed un figlio fu come la ciliegina sulla torta. Mio padre e mia madre comprarono una casetta per noi, avevano fatto tanti sacrifici per mettere via quel denaro eppure l’utilizzarono per noi, per dare un tetto sicuro alla nostra famiglia appena creatasi. Quando il nostro Daniel venne al mondo completò la nostra esistenza. Il nostro amore cresceva di giorno in giorno e Daniel era la nostra gioia… eravamo felici Buffy, ma un anno fa mi fu tolto tutto… e la mia vita ebbe fine… - la voce della ragazza s’incrinò per il pianto che riuscì però a reprimere. Si voltò verso Buffy e sorrise dolcemente.

 

- Che… che cosa è successo? – Buffy sentì formarsi un nodo in gola, quanto aveva sofferto quella ragazza dai tratti dolci e dagli occhi gentili?

 

- Un giorno decidemmo di andare a fare una passeggiata, precisamente di venire qui, su questa spiaggia, per festeggiare il compleanno di Daniel. Durante il viaggio sull’autostrada, un camion ci venne addosso. Il conducente aveva perso il controllo del mezzo e ci scaraventò lontani, addosso alla lunga coda di macchine che avevamo davanti. Io colpii violentemente la testa, non ricordo molto dell’incidente, so solo che il camion, dopo aver girato su se stesso, ci venne di nuovo addosso, ma questa volta eravamo incastrati tra le altre macchine, così colpì violentemente il lato dove si trovavano mio figlio e mio marito, schiacciandoli. Riuscii a dare un ultimo sguardo a mio marito, poi svenni dal dolore. Quando mi svegliai avevo il volto ricoperto di cicatrici, mi avevano amputato una gamba e la mia famiglia non esisteva più – questa volta Cordelia lasciò libere le lacrime, non accorgendosi che Buffy piangeva con lei. Dopo qualche minuto, la donna bruna guardò Buffy, di nuovo sorrise e continuò con l’ultima parte del racconto, fissando lo sguardo nuovamente davanti a se, come stesse raccontando tutto questo alla distesa d’acqua che si perdeva all’orizzonte.

 

- Io ho perso tutto in quell’incidente: mio figlio e mio marito, loro erano la mia vita. Avrei dato entrambe le gambe per riavere Daniel e Wesley, ma questo non sarebbe mai stato possibile… Ti rendi conto Buffy? Era la prima volta che lo portavamo al mare, ma non poté vederlo né allora né mai… - si fermò un attimo, respirando a fondo.

 

- E… e tu cosa hai fatto? – Buffy capì che quella donna aveva davvero perso tutto, mentre lei aveva ancora il suo bambino, eppure Cordelia le sembrava molto più forte di lei. La ragazza bruna si voltò e con gli occhi ancora lucidi di pianto, parlò di nuovo, con voce leggera e dal tono un po’ triste.

 

- Mi sono disperata Buffy… Cos’altro avrei potuto fare? La mia vita non aveva più senso, senza più mio figlio, mio marito, senza una gamba e con il viso deturpato dalle cicatrici… Ora tu mi vedi così, ma questa è semplicemente una maschera, una maschera ricostruita che è solo una banale imitazione… - lasciò la frase incompleta, perdendosi nei ricordi di quel brutto periodo, poi fu un sussurro - Solo per non far paura agli altri… - con la punta delle dita percorse la cicatrice che le attraversava la guancia sinistra, una delle poche rimaste ancora in evidenza sul viso, un viso che doveva essere stato stupendo tanto tempo prima…

 

- Mi dispiace… - Buffy si accigliò, vergognandosi della sua immaturità e della domanda stupida che aveva posto. Cordelia scosse il capo.

 

- Non devi Buffy, ormai sono serena. Ho smesso di farmi del male quando ho capito che c’erano tante persone che, come me, avevano perso la speranza, la voglia di vivere e che forse insieme avremmo potuto costruire qualcosa di nuovo. Per questo ho cominciato ad andare negli ospedali come volontaria per cercare di dare un po’ di conforto a chi ancora soffre, a chi ha perso molto più di una gamba o a chi non ha mai avuto niente per cui gioire e, stando con loro, ho capito che la mia vita è importante e che se sono scampata a quell’incidente era perché avevo ancora qualcosa da fare qui… Capisci cosa voglio dire? -

 

- Credo di si… anche se io… - Buffy, persa nell’enorme maglia che portava sembrava farsi ancora più piccola stringendosi nelle spalle, conscia del fatto di essersi comportata malissimo verso chi le stava attorno, specialmente verso il bambino che portava in grembo. Cordelia la guardò in modo dolce, quasi materno, e le accarezzò i capelli.

 

- Non devi dirmi nulla Buffy, davvero… Ora si è fatto tardi, devo andare – si alzò, scrollandosi la sabbia dai jeans e fissando lo sguardo ancora sulla figura che le sedeva accanto poco prima – Mi ha fatto bene parlare con te… Ogni tanto ho bisogno di tornare qui, sai? – Lo sguardo si rivolse al mare, ormai era quasi il tramonto - Oggi è il compleanno di Daniel e l’anniversario della loro morte, ma guardando il mare, in questo preciso momento, so che loro sono qui con me… - Cordelia si asciugò una lacrima che, solitaria, le scendeva lungo la guancia e si girò, facendo un ultimo cenno a Buffy.

 

- Grazie per avermi ascoltata e tanti auguri per te e per il tuo bambino… - le sorrise dolcemente, intanto che Buffy arrossiva violentemente.

 

- Oh… io… come… come fai a saperlo? – balbettò imbarazzata.

 

- Sai, una donna incinta, anche se non desidera il suo bambino e si nasconde in enormi maglioni, emana una luce speciale che non può cancellare… Spero davvero che la mia esperienza possa esserti utile, almeno per capire cosa vuoi veramente… - detto questo salutò ancora e si allontanò senza fretta seguita dallo sguardo di Buffy che l’accompagnò fino a quando non sparì dalla sua vista. Quella ragazza così fragile, ma così forte allo stesso tempo, le aveva dato una lezione di vita non indifferente e Buffy si sentì scossa dal torpore nel quale, da troppi mesi, si crogiolava. Abbandonò la spiaggia e si precipitò in città.

 

****

 

- Signorina, le ho detto che la dottoressa è occupata, SIGNORINA! – gridò la segretaria dietro ad una Buffy determinata ad entrare nello studio. Oltrepassò l’impiegata spintonandola contro la scrivania.

 

- Mi lasci passare! Le ho detto che è urgente! – Buffy strinse la maniglia della porta nel palmo della mano, fulminando la segretaria con lo sguardo, e lo girò trovandosi nel bel mezzo di una seduta. La paziente sgranò gli occhi, mentre Christina tranquillamente si voltò scrutando il volto di Buffy che le sorrise, un sorriso luminoso e tranquillo.

 

- Christina, voglio essere aiutata! – disse con serietà. Sul viso di Christina apparve un sorriso radioso, quanto aveva aspettato di sentire quelle parole da lei. Qualunque cosa le fosse successa era riuscita colpirla talmente tanto da farla uscire dal guscio nel quale si era chiusa.

 

- Allora ci vediamo domani Buffy – le sorrise certa che, questa volta, Buffy si sarebbe davvero lasciata aiutare.

 

- Sì e… grazie Christina – si scambiarono ancora uno sguardo, più eloquente di mille parole, poi Buffy uscì e tornò a casa, libera dal peso che l’aveva oppressa per quegli interminabili e bui giorni, pronta per ricominciare a vivere per lei e per il bambino suo e di William.

 

****

 

In un tranquillo pomeriggio, mentre il debole sole del tramonto riscaldava blandamente l’aria, prima della sera, Buffy sentì un colpetto alla pancia. Dapprima non vi fece caso ma, quando questo si ripeté, le si formò un nodo in gola per l’emozione. Suo figlio le stava tirando piccoli calci. Chiamò Joyce, che era nell’altra stanza, e le fece sentire il piccolo. Le due donne si abbracciarono in silenzio guardando il sole che spariva all’orizzonte, sfumando tutto il cielo di un rosso acceso.

 

‘Piccolo mio, chissà se il tuo papà ci sta guardando da lassù…’ fu l’ultimo pensiero di Buffy, intanto che ammirava lo spettacolo offertole dalla natura. In quel preciso istante decise di tornare a Sunnydale, molto più tranquilla e verde in confronto a New York, per crescere il suo bambino.

 

- Mamma… torniamo a casa… vuoi? – chiese Buffy, spostando lo sguardo dal cielo a sua madre, che la guardava contenta.

 

- Faremo tutto quello che vuoi piccola… - le accarezzò il volto, facendole un dolce sorriso.

 

Buffy, dopo le ultime sedute di terapia decise, con l’autorizzazione di Christina, di andarsene da New York. Aveva contattato l’Ospedale di Sunnydale e, contenti del suo ritorno, le avevano assegnato un posto analogo a quello che ricopriva nella Grande Mela, anche se lo stipendio era notevolmente calato. A lei questo non importava, desiderava solo tornare alla sua vecchia vita, quella vita che, grazie a Christina, aveva capito di non odiare tanto come aveva creduto.

 

Tutto era ormai pronto per la partenza e Buffy, durante l’ultimo appuntamento con Christina, le confessò che aveva un po’ di timore nel tornare a casa.

 

- Non ti preoccupare Buffy, questo è normale. I cambiamenti fanno sempre riflettere… se sentissi il bisogno di parlare con qualcuno sappi che io ci sarò sempre e non perché sono il tuo medico, ma perché sono tua amica… ok? –

 

- Grazie Christina… grazie davvero di tutto. Hai avuto molta pazienza con me e… insomma… io… te ne sono grata, grazie per non aver ceduto… - lo sguardo di Buffy era veramente pieno di gratitudine per quella donna, ma v’era anche ammirazione. Lei riusciva ad aiutare gli altri, a farli stare meglio. Anche Buffy si ripromise di fare altrettanto a Sunnydale, certo non poteva aiutare gli altri psicologicamente, ma almeno poteva alleviare il loro dolore fisico. Le due donne si salutarono con emozione.

 

- Auguri Buffy e… fammi sapere quando nasce il piccolo, va bene? Ormai manca poco! –

 

- Sì, mancano due mesi! E te lo farò sapere senz’altro! – esclamò con entusiasmo la ragazza.

 

Una Buffy radiosa uscì dal palazzo, pronta ad affrontare la nuova vita che aveva scelto, per lei e per suo figlio. Guardando il cielo azzurro, di un tono così intenso che non si era quasi mai visto, Buffy pensò a Spike, quel blu gli ricordava quello denso degli occhi di Spike. Si era persa molte volte in quegli occhi così profondi, ma nei quali riusciva a leggere tutto il suo amore per lei.

 

‘William, ce l’ho fatta! Ho mantenuto la promessa, hai visto? Ora sono una donna forte! Sarò forte per nostro figlio… Alle volte mi domando se avrà i tuoi occhi… Io lo spero tanto…’

 

Respirò a fondo l’aria fresca che le accarezzava il viso e che le fece aumentare l’appetito.

 

- Tesoro, corriamo a casa che la mamma ha fame! – si rivolse al suo pancione, sorridendo e sparendo, subito dopo, in un taxi, diretta a casa dove sicuramente Joyce l’attendeva con qualche manicaretto.

 

****

 

 

Sunnydale – Tre anni dopo - Estate

 

Ricordi.

 

Sono i ricordi che, mille e mille volte, ti aiutano a superare i momenti bui. Che ti spronano a ricongiungerti ai tuoi affetti, alla tua famiglia, al tuo amore, che ti obbligano a tornare indietro, fino a loro. Loro rappresentano il filo rosso del destino che lega la tua anima, per sempre, a quell’Amore che ti è stato donato. Al vero Amore, quello che dura per sempre anche se questo ti è passato accanto, sfiorandoti solamente come il tocco delicato di una leggera brezza estiva.

 

Ricordi.

 

Sono i ricordi quelli che ti aiutano ad andare avanti, a non lasciarti andare… che ti accompagnano, tenendoti per mano, verso il futuro, verso i nuovi incontri, una nuova vita…

 

Ricordi.

 

Belli o brutti che siano, sono quelli che ti segnano, che ti fanno crescere e che ti supportano, mentre segui la strada per continuare a migliorare.

 

Ricordi.

 

Sono quelli che ti restano quando la persona che ami si è allontanata da te, abbandonandoti e lasciandoti con un vuoto che deve essere colmato.

 

Ricordo tutto di te…

 

****

 

Buffy, con i capelli che le ricadevano scomposti sul viso, era indaffarata a raccogliere tutti i giochi di sua figlia sparsi sul pavimento della cucina. Era già in ritardo e Joyce, che aveva l’incarico di baby sitter non si era ancora fatta vedere.

 

- Celeste, se ti prendo! – gridò alla bambina che ridacchiava sopra le scale, sapendo di essere colpevole per il casotto in cucina.

 

- Ma quanti giocattoli ti abbiamo comprato? Hai solo quattro anni e ne hai collezionati già così tanti? – brontolò, intanto che Celeste, chiamata in questo modo per omaggio ai magnifici occhi blu che aveva preso dal padre, la raggiungeva per raccogliere una delle bambole da terra.

 

- Mamma, ti aiuto – la vocina colpevole della bambina la fece sorridere.

 

- Non fa niente tesoro, va’ di sopra, la nonna starà per arrivare e tu ti devi ancora vestire – diede un bacio al suo angelo biondo, che subito ubbidì e corse di sopra. In quel mentre il campanello suonò, Buffy sbuffò, pronta a “sgridare” sua madre per il ritardo. Si diresse alla porta borbottando, prese la maniglia e, intanto che l’abbassava protestò contro sua madre.

 

- Mamma, stavolta ti meriti davvero… - ma le parole, così come erano venute, le morirono in gola in un istante, quando i suoi occhi si tuffarono, come accaduto la prima volta, in quelli tempestosi e profondi di William, che ora le stava davanti. Per un istante che sembrò lunghissimo si fissarono, senza dire nulla. Buffy era stata travolta da mille emozioni in un unico secondo, sembrava che le sue preghiere fossero state esaudite. Il suo viso era stanco, una nuova cicatrice gli tagliava il lato destro del labbro superiore e si sorreggeva con l’aiuto di una stampella. A parte questo la sua solita aria arrogante, fiera e canzonatoria era immutata, il suo sorriso sempre dolce e aperto era rivolto di nuovo a lei. Alla fine parlò. Buffy con occhi sgranati ed increduli continuava a fissarlo, convinta che fosse solo un’illusione, la realizzazione di un sogno tanto voluto.

 

- Finalmente ti ho trovata… - il tono della sua voce bassa e sensuale la investì, cullandola dolcemente.

 

Buffy inconsciamente chiuse gli occhi, assaporandolo come fosse un nettare raro. Quando li riaprì lo ritrovò sorridente, con il capo inclinato. Il corpo di lei si mosse da solo, allungò una mano per toccargli il viso, sperando che l’immagine che aveva dinnanzi non sparisse. Quando la punta delle sue dita toccarono la guancia calda di William, il ragazzo le prese la mano e adagiò il viso nel palmo di Buffy, piano si mosse fino a posare lievi baci lungo il polso.

 

- Sei vivo… - riuscì a dire lei, prima di ritrovarsi tra le braccia di Spike che la strinse a se, incapace di trattenere oltre il desiderio di tenerla stretta al suo petto.

 

- Sei vivo… - continuò a ripetere Buffy, intanto che William le carezzava i capelli.

 

- Buffy… Buffy… Amore mio, ti ho cercata tanto… non ti trovavo più. Nei miei ricordi non c’eri più… Ma ora sono riuscito a ricordare Buffy… Sono riuscito a tornare da te… - erano sussurri che si perdevano nei capelli della ragazza che ora si stringeva con tutte le forze alle spalle di Spike, aggrappandosi per paura che lui se ne andasse di nuovo. Il loro momento era finalmente giunto e nulla e nessuno poteva portarlo via, troppo avevano sofferto, ora meritavano la felicità.

 

William la staccò da se e, prima che lei potesse dirgli o chiedergli qualsiasi cosa, si ritrovò la sua bocca sulle labbra. Fu un bacio dolce, inatteso e denso di sentimento. Persa in lui, nel suo odore, nel suo calore, dimenticò se stessa, dimenticò dove si trovava, quello che doveva fare. Se si trattava di un sogno, desiderava non svegliarsi più. Il bacio divenne più esigente, ma Buffy lo allontanò da se.

 

- No… io… - divenne rossa in volto e fissò lo sguardo a terra. In quel momento un tonfo sordo arrivò dal piano di sopra. Buffy sgranò gli occhi, fece entrare in fretta William e, salendo le scale, esclamò.

 

- Aspetta! Sto arrivando amore… - e sparì in una delle stanze in cima alle scale. William rimase stordito al suono dell’ultima parola che riecheggiava senza sosta nella sua mente.

 

‘Amore? Questo vuol dire che non mi ha aspettato? Perché Buffy?’ pensò confusamente, indeciso se andarsene in quel momento, ferito e amareggiato, o attenderla per chiarire gli ultimi quattro anni di vita nei quali erano stati separati.

 

Dal piano superiore arrivò la risata cristallina di Buffy e questo ferì William più delle pallottole che l’avevano colpito in quegli anni. Già perché Riley, mentre era affetto da amnesia, l’aveva mandato in guerra. Aveva combattuto battaglie su battaglie, portato a termine missioni su missioni, senza più ricordarsi dell’unica cosa davvero importante della sua vita. Ogni notte un volto sfocato appariva nei suoi sogni, una voce armoniosa lo invitava a raggiungerla, ma poi il dolore lancinante alla testa faceva chiudere la porta dove la luce fioca dei ricordi risanava, almeno in parte, il suo animo ferito e lo faceva ripiombare nell’oblio.

 

****

 

- Celeste, la mamma deve fare una cosa importante, stai qui va bene? Gioca con la tua bambolina e cerca di non farti male, d’accordo?. Io arrivo subito –

 

- Va bene mami! Io e Ms Edith prendiamo il tè… Oh! E la nonna? Quando arriva? – gli occhi curiosi di Celeste scrutarono quelli ombrosi di Buffy. Era certa che la “visione” di poco prima fosse sparita, avrebbe fatto ritorno al piano inferiore e lui non sarebbe più stato lì.

 

- Oh… la nonna… me n’ero dimenticata… Perché doveva venire? – si mise una mano sulla fronte, cercando invano di ricordare qualsiasi cosa: vedeva solo lui.

 

- Mamma? – la vocina sottile e preoccupata di Celeste, la scosse un poco.

 

- Si tesoro? – tentò di concentrarsi allontanando l’immagine di William dai suoi pensieri.

 

- Stai bene? – ora la bambina le aveva preso un lembo di stoffa della manica e aveva poggiato la testa sul seno di Buffy.

 

- Si piccola, tutto bene… ora fa’ come ti ha detto la mamma… Torno subito – fece una carezza e diede un bacio a sua figlia e poi ridiscese. Di nuovo un tuffo al cuore: lui era ancora lì, seduto sul divano. Buffy camminò piano, come se avvicinandosi quel sogno potesse avere fine, ma lui non spariva, lui era sempre lì e la guardava con amore. Dio come le erano mancati quegli occhi, quello sguardo speciale rivolto solo a lei.

 

‘È vivo… è davvero qui…’ pensieri concitati le affollarono la mente, la sofferenza provata in quei quattro anni, profonda ed indescrivibile, tornò prepotentemente a farsi sentire e Buffy non riuscì più a trattenere le lacrime. Ferma, in piedi davanti alla porta d’entrata, scoppiò in un pianto disperato. Spike con premura si alzò dal divano, muovendosi sempre con l’aiuto della stampella, e le andò incontro, abbracciandola e tenendola contro di se, in silenzio, cullandola tra le sue braccia. La ragazza non accennava a calmarsi e Spike d’un tratto piangeva con lei.

 

- Non ti lascerò più… Dio come ho potuto dimenticarmi di te… - le sussurrò all’orecchio. Buffy si staccò da lui, quel tanto per guardarlo in viso.

 

- Riley mi ha detto che eri morto… - disse tra i singhiozzi – Io… io sono stata in terapia, ero disperata… Tu adesso non puoi apparire così, baciarmi, abbracciarmi e sconvolgere la mia vita, non di nuovo! – dal pianto era passata alla rabbia. Era arrabbiata con lui, con se stessa, con tutti. Si erano divertiti alle sue spalle, togliendole il suo Amore, togliendole il padre di sua figlia, togliendole la voglia di vivere per poi farlo apparire, come se niente fosse successo, più di quattro anni dopo. Spike l’ascoltava senza dire nulla, limitandosi a tenerla stretta e ad accarezzarle la schiena.

 

- Lo so Buffy, ma lasciami spiegare… Io non potevo tornare da te perché non mi ricordavo di te… - le sfiorò la guancia con la mano, cancellandole le lacrime con il pollice.

 

- Come? Non ti ricordavi di me? – la diffidenza ora serpeggiava tra le parole. Stanco, William indietreggiò e fece segno a Buffy di seguirlo nel salotto dove avrebbe dovuto, per l’ennesima volta, ascoltare quello che gli era accaduto e, se possibile, perdonarlo e farlo stare di nuovo con lei… Lei che era l’unica persona per la quale aveva lottato per riprendersi la sua vita. Si sedettero, uno di fronte all’altro, Spike era rivolto verso le scale che portavano al piano di sopra e dal quale provenivano strani rumori che non riusciva a decifrare.

 

‘Che sia un altro uomo? Che si sia sposata?’ pensò, prima che Buffy lo distraesse dai suoi pensieri.

 

- Allora… ti ascolto… - sussurrò sempre più terrorizzata da quello che doveva sentire.

 

- Ti racconterò tutto e tu dopo aver ascoltato, senza interrompermi, quello che ho da dire, deciderai cosa fare… Prima però devi dirmi una cosa… - lo sguardo del ragazzo cadde sulle mani di Buffy, nessun anello. Buono o cattivo segno? Difficile a dirsi. Non sapeva se Buffy fosse una di quelle donne che non portava la fede anche se sposata, ma doveva scoprirlo in fretta.

 

- No, prima dimmi tu una cosa. Quel Colonnello è venuto a dirmi che eri morto! Tu non ti rendi conto di quello che ho passato! Quel giorno sono morta anche io! Dio William… tu non lo sai, non puoi sapere quello che ho provato… Non voglio più provare niente del genere! Ci ho messo quattro anni, quattro STRAMALEDETTI ANNI PER USCIRE DA QUELL’INFERNO! E poi, tutto ad un tratto, ti presenti tranquillamente alla mia porta, certo di poter riprendere da dove avevi lasciato! Ma non funziona così! NON FUNZIONA IN QUESTO MODO! IO NON SONO UN OGGETTO CON IL QUALE TI PUOI DIVERTIRE!– gridò in preda ad una crisi nervosa. Tutto il risentimento, il dolore, la disperazione erano esplosi dentro di lei, lasciati troppo tempo sopiti ora erano un mare in piena che si riversava su Spike il quale, apparentemente tranquillo, la faceva sfogare. Quando Buffy si accasciò ancora in lacrime sul divano, dopo essersi alzata durante la discussione, Spike prese la parola.

 

- Buffy, so che non sei un oggetto. Cristo santo, non mai pensato, nemmeno per un secondo, che tu lo fossi! Purtroppo in questi quattro anni mi sono capitate tante cose, tutto è successo in fretta, ed è cominciato nella notte in cui sono andato in missione… -

 

Spike raccontò tutto quello che era successo, compreso il suo stato di coma ed il fatto che, dopo il risveglio, non si ricordasse più nulla degli ultimi dieci anni. I suoi ricordi arrivavano unicamente fino a prima che il bambino della missione in Afghanistan morisse. Buffy ascoltava in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto, le parole le arrivavano come coltellate al cuore, facendo riaprire le cicatrici di quelle ferite che aveva tanto faticosamente chiuso.

 

- Basta! – gridò, portandosi le mani alle orecchie – Non voglio più sentire niente… - chiuse gli occhi e si strinse nelle spalle, portandosi le mani dietro la nuca, come a proteggersi. Spike si alzò e piano la raggiunse, si mise seduto accanto a lei, incerto se poteva toccarla o meno, ma fu proprio Buffy a voltarsi verso di lui e a rifugiarsi tra le sue braccia. Le braccia che l’avevano sempre protetta e consolata, senza chiedere mai nulla in cambio. Il calore e l’odore di Spike non erano mutati, erano sempre gli stessi ed erano così familiari… e lei ne aveva così bisogno…

Spike la tenne stretta a se, baciandole i capelli, la fronte. Se avesse potuto l’avrebbe amata lì, in quel momento.

 

- Shht Buffy, calmati… - la voce calda di Spike la cullava e la tranquillizzava come al solito.

 

Di nuovo un tonfo sordo dal piano superiore. Buffy scattò in piedi come una molla, lo allontanò bruscamente e salì in fretta le scale.

 

‘Dev’esserci qualcuno… allora non mi sbagliavo! C’è un uomo con lei! Che cosa sono venuto a fare? Dopo quattro anni, credendomi morto non posso pretendere che mi abbia aspettato’ una risata amara fuggì dalle sue labbra ‘Certo, che cosa doveva aspettare? Un fantasma? Dio, mi sento così stupido!’ si massaggiò gli occhi con l’indice ed il pollice della mano sinistra e fece per alzarsi, ma Buffy tornò in salotto proprio in quel momento.

 

- Scusami per prima. Ho perso il controllo e non succederà più. Sono pronta ad ascoltare il resto della storia – questa volta era determinata ad andare fino in fondo.

 

- Ok, come vuoi. Riley mi ha mandato in guerra perché sfortunatamente ricordavo tutti gli insegnamenti: tecniche, strategie, armi… insomma tutto quello che riguardava la guerra ed il modo di uccidere. Ho passato questi anni combattendo, ammazzando, sottraendo documenti, armi, sostanze chimiche, virus e tante altre cose di cui non vado fiero. Ma non ero più io Buffy, sentivo che dentro di me avevo perso qualcosa di importante, c’era un vuoto che nulla riusciva a colmare… - s’interruppe per un attimo e la fissò, i suoi occhi erano così tristi che Buffy non riuscì a sostenere lo sguardo e, di nuovo, non ebbe il coraggio di ascoltare.

 

- No, basta, non ce la faccio… vattene Spike…- sibilò tra i denti, intanto che tentava di allontanarsi agitando le mani, questa volta però il ragazzo le prese i polsi, bloccandoli, e le allargò le braccia, costringendola a guardarlo dritto negli occhi.

 

- TU BUFFY, ERI TU QUEL VUOTO, NON LO CAPISCI? – urlò tra le lacrime che scendevano copiose sul viso magro e stanco – Non capisci quanto dolore ho sopportato sapendo di aver qualcosa d’importante da ritrovare nascosto dietro a quel dolore lancinante che mi spaccava il cranio? – ora Buffy piangeva con lui, abbassando le braccia, senza che Spike lasciasse però i suoi polsi.

 

- Sai come ho fatto a ricordare? – Buffy scosse debolmente il capo - È stata una tua fotografia… Prima di partire, la notte in cui ti ho lasciata, ho preso una tua fotografia. L’ho guardata per farmi coraggio durante la missione e poi l’ho riposta nella tuta, in seguito c’è stato il buio. Il periodo delle guerre, delle missioni e poi per caso, un giorno, vicino al mio letto l’ho ritrovata. Era sbiadita e tu eri molto giovane. In quella foto non sorridevi… avevi lo sguardo assente, lontano… forse eri un pochino triste. Sai, ho sempre voluto chiederti a che cosa stessi pensando in quel momento… Scusa, sto divagando… In conclusione, guardandola il mio cuore accelerò, lui ti aveva riconosciuta prima della mia mente. Caddi a terra in preda ad un dolore che non so esprimerti, davvero troppo grande per essere descritto… Svenni, ma questa volta, quando mi svegliai, tu eri tornata, era tornato il tuo nome sulle mie labbra, la tua immagine nei miei occhi ed il mio amore per te nel mio cuore… Non ho mai smesso di cercarti da quel momento Buffy… Ti amo… - mentre pronunciava le ultime due parole, sussurrandole dolcemente, fece scivolare le mani dai polsi di Buffy fino alle sue mani, stringendogliele. Buffy le ritrasse e si allontanò da lui.

 

- Da quanto tempo hai recuperato la memoria? – la sua voce era fredda.

 

- Da un mese circa. Sono tornato subito a New York, dopo aver preso da Riley quello per cui ero partito, ma tu non c’eri più… All’ospedale non sapevano il tuo nuovo indirizzo, mi dissero che ti eri licenziata e te ne eri andata senza lasciare un recapito. Anche Angel e Faith non abitavano più nel solito quartiere, girovagando un po’ ho trovato uno dei nostri amici comuni che mi ha dato il loro nuovo indirizzo… il resto lo puoi immaginare… Sono partito subito e, appena arrivato, ho suonato alla tua porta. Questo è tutto Buffy, ora sai la verità… - sospirò in attesa della reazione della ragazza.

 

- Cosa hai preso da… da… quel… - non riusciva a finire la frase, continuava a ripensare a quello che quel tizio aveva cercato di farle. Il viso confuso e irato di Buffy fece venire dei sospetti a Spike, le aveva già visto quel viso e quegli occhi, tanto tempo prima, in quella fredda mattina d’inverno.

 

- Buffy… tesoro, Riley ti ha fatto qualcosa? Qualcosa che io dovrei sapere? – chiese stando attento a non essere troppo brusco, anche se la rabbia stava montando rapidamente in lui.

 

- Cosa ti ha dato? – cercò di cambiare discorso attenta a non incrociare lo sguardo di William.

 

- Buffy, rispondi alla domanda per favore… - il tono si era alzato e Buffy fremette spaventata. Il ragazzo vedendola in quello stato si scusò e rispose alla domanda che lei gli aveva posto.

 

- Ho ripreso la mia identità Buffy, ora esisto in questo mondo, vedi? – prese dalla tasca il documento d’identità, ma evitò di parlare di matrimonio in quanto non era sicuro che lei fosse libera, dato che i rumori provenienti dal piano superiore non erano cessati. Buffy prese il documento tra le mani, le dita tremanti mentre leggeva i pochi dati riportati, poi glielo rese.

 

- Non posso, non posso ricominciare tutto… mi dispiace… William… -

 

Lo sguardo abbattuto e gli occhi tristi di Spike le fecero stringere il cuore. Odiava fargli del male, ma lei aveva bisogno di condurre la sua vita tranquillamente, aveva faticato molto per rimettere insieme i cocci di quella distrutta da Riley.

 

- Buffy, dimmi solo una cosa e poi me ne andrò… Riley ti ha fatto qualcosa? –

 

Il silenzio della ragazza fu più eloquente di mille parole.

 

- Dimmi cosa ti ha fatto, ti prego! – supplicò, bisognoso di avere un nuovo scopo nella vita: uccidere Riley.

 

- No! – si alzò e fece per allontanarsi, ma Spike la bloccò prima che potesse scappare dalla sala, conosceva bene quello sguardo di Buffy… era lo stesso di quando l’aveva soccorsa in quel vicolo. Doveva sapere.

 

- DIMMELO BUFFY! Dimmelo… – esclamò con tutto il risentimento e la disperazione che albergavano in lui, Buffy piangeva di nuovo.

 

In quel momento il suo sguardo, per un attimo, scattò sulla cima delle scale dove una piccola bambina bionda lo fissava con i suoi grandi occhi blu che lo studiavano guardinghi.

 

- Mamma piangi? – chiese premurosa intanto che scendeva le scale attaccata alle decorazioni di legno che ornavano il corrimano.

 

- No, no tesoro, sto bene… Stai tranquilla – la rassicurò Buffy asciugandosi in fretta gli occhi e liberandosi della stretta di Spike che, confuso, guardava alternativamente Buffy e la bambina.

 

- Lei è di Ry… - deglutì nervosamente tentando di scacciare il nodo che gli si era formato in gola.

 

- NO! Lei è… - cercò una scusa, ma non le venne in mente niente.

 

- Tu sei il mio papà? – la vocina della bimba interruppe il diverbio tra i due adulti. Gli occhi di Spike si spalancarono per lo stupore, l’emozione lo stava invadendo… Era in attesa di un cenno di Buffy che, raggelata, se ne stava in silenzio.

 

- È il signore della foto che c’è nella tua camera, la nonna dice che è il mio papà… Tu sei andato lontano, ma la nonna dice che non tornavi più… Adesso stai sempre? –

 

‘Mamma pettegola!’ borbottò tra se e se Buffy. Spike si abbassò e fece una carezza sul capo della bambina che ridacchiò arrossendo. Buffy osservò i due con attenzione, erano decisamente padre e figlia. Celeste aveva la stessa bocca e gli stessi occhi del padre, anche la stessa testardaggine. Non se la sentiva di tenerlo lontano da sua figlia, almeno quello glielo doveva, anche lui in fondo aveva sofferto. Si chinò sorridendo alla piccola e guardando Spike negli occhi, rispose a sua figlia.

 

- Sì tesoro, lui è il tuo papà, si chiama William… - la voce di Buffy s’incrinò per l’emozione, gli occhi di Spike divennero lucidi dalle lacrime. Celeste, dal canto suo, abbracciò il padre e gli posò un sonoro bacio sulla guancia. Spike la strinse a se, aveva lo stesso profumo di Buffy, la donna che amava gli aveva dato una figlia…

 

- È mia… è mia… - ripeté più volte cullando Celeste tra le braccia.

 

- Lo sai che la mamma tutte le sere guarda la tua foto? Adesso però non te ne vai via papà! Stai qui con noi? Tanto la mamma ha un letto grande grande, forse te ne presta un pezzettino… Eh mamma, glielo presti un pezzettino? Se no ti do il mio lettino… ma forse non ci stai – la voce concitata di Celeste correva a raffica, senza freni.

 

- Tesoro, io non posso rimanere però verrò a trovarti spesso, ok? – il tono di Spike era talmente dolce che Buffy si sentì sciogliere… lo desiderava così tanto, desiderava tanto che fossero una famiglia, ma non voleva più soffrire e disperarsi… Quello era un capitolo chiuso della sua vita, ora ne aveva un’altra e non voleva sconvolgerla di nuovo.

 

- Perché il papà – quanto suonava strana quella parola per lui che non aveva mai avuto una famiglia – ha un’altra casa, ma domani verrò a prenderti e staremo tutto il tempo insieme, ok piccola? – cercò con lo sguardo gli occhi di Buffy che annuì con il capo, non avrebbe mai permesso a nessuno di dividerlo da sua figlia. William le mimò un grazie e Buffy notò, ma forse si sbagliava, che aveva gli occhi lucidi dalla gratitudine. L’atmosfera di quel momento venne spezzata dallo squillo insistente del telefono. Buffy si alzò di malavoglia e si diresse all’apparecchio scusandosi con Spike. Solitamente era Celeste che faceva da centralinista, ma non accennava a scostarsi dal padre, lo adorava già. Spike nel mentre tirò su la piccola e la tenne in braccio, lei con le piccole mani gli circondava il collo e lo fissava sorridente.

 

- Pronto? Oh mamma… oh… perché dovevi venire? OH DIO, IL LAVORO! Hai ragione… sì… no, non è necessario che tu venga… credo che oggi non andrò in Ospedale. Scusa ma ora devo riappendere ed avvertire che non vado… Sì mamma, davvero non è necessario che tu venga… Va bene, darò un bacio a Celeste da parte tua… Ciao mamma, ora devo andare! – e riappese con un piccolo moto di stizza. Da quando era divenuta nonna Joyce era cambiata ed era diventata un po’ invadente. A Buffy non dispiaceva ma in quel momento non aveva proprio tempo da dedicarle, ora doveva pensare al lavoro. ‘Ma come ho fatto a dimenticarmi di andare a lavorare?’, guardò oltre l’arco che separava il salotto dalla cucina e vide che l’ovvia risposta era in piedi nell’altra stanza: erano davvero belli William e Celeste insieme. Ancora le si strinse il cuore, il desiderio di averlo di nuovo vicino a lei era impellente, ne aveva bisogno ma non voleva ammetterlo a se stessa. Le risate della bambina intanto riempivano la sala, William le sussurrava delle cose nell’orecchio e lei rideva a crepapelle.

 

- Papà, adesso voglio andare a fare un disegno… Poi te lo porto, mi aspetti? – chiese tutta eccitata con una vocina animata.

 

- Sì, certo che aspetto tesoro – ‘Ti aspetterei tutta la vita…’

 

Guardò la bimba correre su per le scale e sparire in quella che doveva essere la sua cameretta. Buffy nel frattempo era tornata nel salotto.

 

- Buffy, è bellissima… - la voce suadente di Spike ed il suo sorriso aperto e sincero la fecero tremare impercettibilmente.

 

- È perché ha un bel papà – rise lei, subito tornando seria realizzando di essersi lasciata trasportare un po’ troppo. Spike comunque si limitò a guardarla senza dire una parola. Buffy non riusciva più a sostenere quel silenzio imbarazzante che era calato tra loro così cercò di essere cordiale e di offrirgli un caffé.

 

- No, grazie Buffy. Meglio che vada ora… Ti ho portato via abbastanza tempo. Posso ripassare domani per vedere Celeste? – Spike la fissò in attesa, Buffy gli sorrise amabilmente.

 

- Certo William, puoi venire tutte le volte che vuoi… È tua figlia e non sarò certo io ad impedirti di vederla, ha bisogno di suo padre –

 

Spike si avvicinò a Buffy, i loro corpi erano ad una distanza ravvicinata e pericolosa. Lui si chinò verso il viso della ragazza che, impietrita, era incapace di fare qualsiasi movimento.

 

- Grazie… - e la baciò su una guancia.

 

Di nuovo, come prima, il suo profumo così familiare l’avvolse. Sapeva di tabacco e di acqua di colonia, ma c’era anche il suo odore, quello della sua pelle che le fece ricordare tutti i momenti che avevano passato assieme. Era inebriante, tutto intorno a lei. Senza accorgersene si alzò sulle punte dei piedi e raggiunse il viso di Spike, che si stava allontanando, e lo baciò sulla bocca. Spike dapprima stupito, la prese per le spalle e l’attirò a se, approfondendo il bacio ma poi cambiò idea e la staccò garbatamente.

 

- No Buffy, ti prego… Se incominciamo non potrei più staccarmi da te e so che per te non è la stessa cosa… Non voglio essere usato come un oggetto, non a questo punto, non adesso che so di avere una figlia – Spike distolse lo sguardo e si allontanò da Buffy, ma lei gentilmente gli poggiò una mano sulla guancia e lo fece voltare verso di lei.

 

- Tu non sei mai stato un oggetto per me William, mai… - Buffy era sincera in quel momento, si era lasciata trasportare dai ricordi del periodo felice che aveva passato con lui e tutto era vividamente impresso nella sua mente, come se fosse stato il giorno prima. Purtroppo nella sua mente v’erano anche i ricordi degli ultimi anni, il periodo buio che aveva passato e la nascita di Celeste che aveva riportato un po’ di felicità nella sua, fino ad allora, grigia esistenza. Spike raggiunse le dita di Buffy, che gentilmente gli stavano accarezzando la guancia liscia, e le racchiuse tra le sue per poi scostargliele educatamente.

 

- È meglio che ora io me ne vada… Ti dispiace se torno domani per vedere Celeste? Oh, ma forse tu sarai al lavoro…– chiese cercando di non sembrare invadente. Buffy lo fissò e gli sorrise.

 

- No, ho preso qualche giorno di permesso. Puoi venire quando vuoi, Celeste sarà contenta di poter passare un po’ di tempo con te. Gli sei mancato molto… - Buffy si morse il labbro inferiore. Era ceduta di nuovo e, in quell’ultima frase, si sentiva molto che era mancato anche a lei… forse più a lei che alla bambina. William distolse lo sguardo e si avviò alla porta, sempre aiutandosi con la stampella. Buffy lo raggiunse e lo prese per un braccio.

 

- William… posso chiederti che cosa hai fatto alla gamba? Non sarà qualcosa di grave! – chiese preoccupata, guardandolo insistentemente. Spike si fermò e si voltò.

 

- Niente di grave Buffy, solo un piccolo incidente. Tornerò in forma smagliante tra qualche settimana… - dicendo questo strinse nella mano la maniglia, pronto a fuggire da quella casa. Ormai aveva difficoltà a lottare contro la voglia di stringerla a se, di baciarla, di sentire di nuovo il profumo della sua pelle, il suo calore quando era sotto di lui… Sì, decisamente doveva andarsene. Buffy, però, non era ancora di quell’avviso.

 

- E la cicatrice al labbro? – domandò curiosa. ‘È così sexy che… Oddio, controllati Buffy!’

 

- Oh, questa – percorse la cicatrice con la punta dell’indice – un tizio ha cercato di tagliarmi la gola, abbassandomi e scostandomi è riuscito a tagliarmi solo il labbro… Che fortuna eh! – rise piano, ma poi tornò immediatamente serio: Buffy non si stava affatto divertendo.

 

- Quanto dolore abbiamo provato… - sussurrò la ragazza fissando lo sguardo sul pavimento.

 

- Alle volte mi viene da pensare: saremmo mai stati felici se tutto questo non fosse accaduto? Se Riley non fosse stato nella nostra vita? Mi piacerebbe trovare una risposta, vorrei davvero sapere come sarebbe stato… - Buffy aveva gli occhi lucidi. Immaginava loro tre insieme - lei, William e Celeste – e felici. William si avvicinò ancora di qualche passo e le alzò il viso. I suoi occhi meravigliosi luccicavano come diamanti, bagnati dalle lacrime e bisognosi di una risposta.

 

- Saremmo stati felici Buffy… Ci amavamo, avremmo amato nostra figlia e tutto sarebbe stato meraviglioso… Purtroppo non è stato così e ora dobbiamo cercare di dimenticare il passato e di andare avanti con le nostre vite. Però voglio che una cosa sia chiara: io ti amo. Ti ho amata e ti amerò per tutta la mia vita… Nessun’altra prenderà il tuo posto, mai! Tu sei l’unica per me Buffy - lo sguardo di William era serio, ma si vedeva che non attendeva nessuna risposta alla sua confessione. Buffy diede libero sfogo alle sue lacrime. In cuor suo sapeva di amarlo e di desiderarlo ancora, ma la paura di soffrire come aveva sofferto in precedenza non la lasciava libera di manifestare i suoi sentimenti.

 

- Ora vado… A domani Buffy… - si congedò gentilmente, se l’avesse abbracciata di nuovo non avrebbe più avuto la forza di allontanarsi da lei. Si chiuse la porta alle spalle e Buffy cercò di asciugare le lacrime. Dietro di lei comparve Celeste con un foglio da disegno in mano.

 

- Dov’è andato papà? Mi doveva aspettare… - la voce delusa del suo angioletto biondo la ferì molto, era stata colpa sua se Spike era corso via. Sua e di nessun altro.

 

- Tesoro, il papà aveva da fare una cosa importante ma tornerà domani e starà tutto il giorno con te, contenta? – cercò di rassicurare la bimba che la guardava con occhioni lucidi.

 

- Ma io gli avevo fatto un disegno… - si lagnò la bambina. Buffy si abbassò e guardò la figlia.

 

- Lo so tesoro, ma glielo farai vedere domani. Intanto fallo vedere alla mamma… - fece per prendere il foglio ma Celeste lo nascose dietro la schiena.

 

- NO! Questo è del papà! Tu non guardarlo! È colpa tua se è andato via! –

 

Buffy guardò sconsolata sua figlia che saliva velocemente, per quanto concesso ad una bambina di quattro anni, le scale e spariva nella sua stanza.

 

‘Hai ragione… è colpa mia se è andato via…’ pensò sconsolata andando in cucina per sparecchiare la tavola.

 

Il giorno seguente, come promesso, Spike si presentò, di pomeriggio, a casa Summers. Stranamente era senza stampella, camminava piano ma l’andatura era abbastanza sicura. In mano aveva un pacchetto, lo porse ad una raggiante Celeste che lo aprì con foga. Era un delizioso cappellino rosa con delle margheritine bianche e azzurre legate con un nastrino di un rosa più scuro. Celeste saltellò contenta per la stanza e poi saltò in braccio al padre dandogli moltissimi baci. Era da tempo che Buffy non la vedeva così contenta, lei era sempre impegnata con il lavoro e Celeste passava la maggior parte del tempo con Joyce che, suo malgrado, non era la miglior compagnia per una bambina vivace come lei.

 

- Posso portarla al parco qui vicino? Prometto che non la terrò via per molto – chiese Spike ad una Buffy assorta nei propri pensieri.

 

- Buffy…? – la chiamò gentilmente. La ragazza non reagiva così William le carezzò un braccio.

 

- Buffy? Tutto bene? – le scrutò il viso. La ragazza si scosse e gli rivolse un sorriso.

 

- Sì? Scusa… che cosa stavi dicendo? – domandò confusamente.

 

- Ti ho chiesto se posso portarla al parco qui vicino… -

 

- Oh, sì. Sì certo! Portala dove vuoi, davvero… - Buffy era pallida in viso e parlava lentamente.

 

- Forse farebbe bene anche a te uscire un po’, ti va di venire assieme a noi? – chiese Spike con un sorriso. Il viso di Buffy s’illuminò.

 

- Vado a prendere un golfino e arrivo – salì felice la scala e, appena pronta, uscirono tutti e tre assieme. Celeste era in mezzo a loro, teneva una mano in quella del padre e l’altra in quella della madre. A chi li avrebbe osservati da fuori sarebbero sembrati una famiglia come tante.

 

Arrivati ai giardinetti, Spike e Buffy, si sedettero su di una panchina, mentre Celeste litigava animosamente con un ragazzetto per l’altalena. La bimba sapeva il fatto suo, il caratterino l’aveva preso dalla madre, invece l’arroganza decisamente dal padre. Il ragazzetto bruno si dileguò lasciando una vittoriosa Celeste alle prese con l’altalena. Buffy, seduta accanto a Spike, non riusciva a distogliere lo sguardo da lui che, nel frattempo, aveva chiuso gli occhi per assaporare la dolce brezza e l’odore tipico dei fiori che portava la primavera. Il suo bel viso era disteso e felice e anche Buffy si sentiva così: distesa e felice come non lo era stata, forse, mai. Con coraggio raggiunse la mano di Spike, abbandonata sul fianco, e la strinse nella sua. William aprì piano gli occhi e si voltò verso di lei sorridendole. Il loro gioco di sguardi, che durò solo qualche breve istante, si fece più intenso, entrambi riuscivano a leggere quei sentimenti che l’anima dell’altro celava. Non furono necessarie le parole. Buffy ricambiò il sorriso e socchiuse gli occhi, intanto che il viso di Spike si avvicinava al suo ed il suo cuore agitato batteva all’impazzata. Aprì un poco le labbra in attesa che la bocca di Spike scendesse sulla sua avvolgendola con il suo calore. Sentiva il respiro lieve di lui accarezzarle dolcemente il viso, man mano che si avvicinava a lei.

 

- Vi baciate? – la risatina e la vocetta di Celeste li fece sobbalzare.

 

- Cos…? No, NOOO – rispose una sbigottita Buffy, vergognandosi di quello che stava per fare. Spike sorrideva sornione.

 

- Lui aveva qualcosa nell’occhio e io lo stava aiutando… - rispose concitata agitando le mani. Celeste sembrò pensierosa e poi fissò entrambi.

 

- Ma ci vedevi con gli occhi chiusi? – la sua curiosità era alle stelle. Si era portata una mano sotto il mento inclinando il capo da un lato, assumendo così una posa molto buffa. Buffy era arrossita fino alla punta dei capelli; William invece se ne stava comodamente seduto trattenendo una risata. Osservando il suo disagio però decise di porre fine alle domande imbarazzanti di sua figlia, così balzò giù dalla panchina e prese di slancio la piccola facendola volteggiare in aria.

 

- Andiamo a prendere un gelato? A me è venuta fame… - le chiese Spike, mettendosela sulle spalle.

 

- Siiiiiiiiiiiiiiiiii! – rispose Celeste entusiasta ponendo fine al fastidioso interrogatorio.

 

- Anche tu lo vuoi Buffy? – domandò alla ragazza, ancora rossa in volto, rimasta immobile sulla panchina.

 

- No, grazie. Andate voi… Io resto un po’ qui… - rispose senza alzare lo sguardo. Spike, benché preoccupato per la reazione di Buffy, si allontanò dirigendosi verso il camioncino dei gelati, poco distante.

 

‘Ma cosa mi è preso? Perché non riesco a stargli accanto come amica? Perché non riesco a cancellare questo peso che ho sul cuore?’ Una voce sottile, dietro i suoi pensieri le sussurrò: “Perché lo ami ancora”. Buffy scosse la testa come a voler cancellare quella fastidiosa parola dalla sua mente.

‘No, non è amore, è solo una brutta, bruttissima abitudine… Prima o poi inventeranno un cerotto anche per questo!’ ma di questo era poco convinta. Chiuse gli occhi e le voci attorno a lei, improvvisamente, divennero confuse. Quando si svegliò era nel suo letto, Spike era accanto a lei che la guardava sorridendole dolcemente.

 

- Come va? – chiese ad una Buffy ancora confusa.

 

- Bene credo, che cosa è successo? –

 

- Sei svenuta nel parco, forse per il sole o per la stanchezza… Quando siamo usciti eri molto pallida. Ti ho portato io a casa, Celeste era molto preoccupata ma l’ho tranquillizzata e si è addormentata non appena ha toccato il suo letto. È davvero un amore… - la mano gentile di William le cominciò ad accarezzare la fronte scostandole i capelli dal viso.

 

- Grazie. Grazie per tutto, sei davvero gentile… - gli era davvero grata, se non ci fosse stato lui… Già, se non ci fosse stato lui, ma lui c’era! Incontrollabili le lacrime tornarono a solcarle il viso stanco e pallido. Si portò un braccio sugli occhi e si voltò dall’altra parte vergognandosi della sua debolezza.

 

- Buffy, che cos’hai? Me lo vuoi dire? Da ieri non fai altro che piangere e credo che ieri notte tu non abbia fatto altro… Ho notato i tuoi occhi arrossati… Se è la mia presenza che ti fa stare male me ne andrò. Non voglio vederti così… - la voce sconfortata di Spike la fece pentire del suo comportamento altalenante, scostò il braccio dal viso e lo guardò.

 

- Non te ne andare… Stai con me, ti prego, non abbandonarmi più! Non ce la faccio a vivere di nuovo senza di te… – si alzò e gli buttò le braccia al collo singhiozzando sulla spalla del ragazzo. Spike la strinse con tutte le forze a se.

 

- Non vado da nessuna parte Buffy, se tu non lo vuoi… Io ti amo… - le sussurrò nell’orecchio. Buffy si staccò da Spike e lo guardò in volto, le lacrime continuavano a scendere senza controllo, tuttavia riuscì a dire sottovoce.

 

- Ti amo anche io… Ho cercato di lottare contro questo sentimento, ma non ce la faccio… È troppo forte e poi non voglio più stare da sola… - ora Buffy aveva il viso imbronciato, nell’espressione che a Spike piaceva tanto… Sembrava tanto una bambina indifesa. La strinse di nuovo a se.

 

- Dio Buffy, temevo che non me l’avresti mai detto… -

 

Poi le parole furono spezzate dalle labbra di lui, scese esigenti ed affamate su quelle di Buffy. Quando le carezze si fecero più esigenti ed i respiri cominciarono a fondersi diventando irregolari, William la lasciò andare e, sospirando, indicò con il capo la stanza di Celeste. Buffy si portò una mano alla bocca e sorrise con aria colpevole, senza mai staccare gli occhi da lui.

 

- Ora vado Buffy, si è fatto tardi… Ci vediamo domani – si chinò per darle un lieve bacio sulla fronte, scendendo poi sulla bocca.

 

- Arriverà il nostro momento… - le sussurrò con voce bassa e lievemente roca. Il ragazzo fece per allontanarsi, ma Buffy lo trattenne per la maglia. Con lo sguardo basso e un lieve rossore in volto se ne stava immobile. Spike inclinando di poco il capo vide le labbra della ragazza aprirsi e chiudersi, stava sussurrandogli qualcosa. Si abbassò meglio e ascoltò quello che Buffy stava dicendo.

 

- Spike, non andare… Ti… andrebbe… di… tenermi… stretta? Solo per un po’… – sussurrò la ragazza, balbettando lievemente. Un lieve rossore le colorava le guance e le faceva brillare gli occhi, il labbro inferiore era leggermente sporto in avanti, mentre quello superiore veniva tormentato dai denti ed i capelli erano dolcemente scompigliati: era la creatura più bella che William avesse mai visto. Senza staccare gli occhi da lei e ricominciando a respirare, non sapendo in quale momento avesse smesso di farlo, si avvicinò a lei e, silenziosamente, le si coricò accanto, circondandole le spalle con un braccio e poggiandole l’altro sul ventre. Buffy si rannicchiò contro di lui, abbracciandolo a sua volta, ma presto i loro sensi e le loro mani, guidati dai ricordi, cominciarono a vagare sui loro corpi, le labbra si unirono in baci sempre più esigenti ed avvolgenti. William, anche se con un lieve tremore alle mani, cominciò ad accarezzare il seno di Buffy che, sotto il suo tocco, sospirò impercettibilmente. Si spostò un poco per permettergli un migliore contatto e William, colto l’invito, baciandola lungo il collo, scese fino alla linea che portava verso i seni che, pian piano, venivano scoperti da lui che le sbottonava la camicetta indossata per la gita al parco.

 

- Dio William… Quanto mi sei mancato… - gli sussurrò Buffy, prima di cominciare a sfilargli la maglietta da sopra la testa. Ora Spike era a torso nudo e Buffy arrossì lievemente, non le era più capitato da quando avevano fatto l’amore la prima volta, eppure tutto, ora, era come se fosse di nuovo la loro prima volta. Era un dolce scoprirsi, un lieve accarezzarsi, un cullarsi nel calore del corpo dell’altro, l’inebriarsi del profumo dell’altro.

 

- Ti amo Buffy… - continuava a ripeterle tra un bacio e l’altro, mentre Buffy ansimava piano sotto di lui.

 

- Quanto mi è mancato il tuo calore Buffy! Quanto… tu non lo sai… -

 

- Sì che lo so… ti è mancato quanto a me è mancato il tuo William… - mormorò con voce bassa e vibrante d’emozione. Finalmente, dopo tutto quel tempo, potevano di nuovo specchiarsi l’uno negli occhi dell’altro e vedere, infine, l’immagine dei loro volti felici e pieni d’amore.

 

- Dimmelo Buffy… ti prego… ho bisogno di sentirtelo dire ancora… - la pregò gentilmente, sorridendole e fissandola con quella distesa azzurra come il mare che erano i suoi occhi.

 

- Ti amo William… Ti ho sempre amato e ti amerò sempre. Sei l’unico per me – rispose Buffy alla preghiera, ricambiando il sorriso intanto che William si adagiava su di lei, ricoprendola con il suo corpo caldo e appassionato. Stavano lentamente riappropriandosi di quello che era stato tolto loro anni prima, il corpo di Buffy apparteneva a Spike e quello di Spike a lei. Questo nessuno avrebbe potuto cambiarlo, mai. Avevano provato a separarli in ogni modo, con i più ignobili stratagemmi e le bassezze più inumane, eppure loro avevano attraversato quel sentiero tortuoso insieme, anche se inconsciamente. Il loro filo rosso non si era mai spezzato e, anche se lentamente, li aveva riportati a rincontrarsi.

 

- Ho bisogno di sentirti Buffy… - ammiccò Spike, Buffy arrossì di nuovo. Si sentiva così impacciata, stava provando troppe emozioni tutte insieme, tanto da dimenticare quasi di aver già fatto l’amore con lui in passato, tante e tante volte. Questo pensiero, purtroppo, non l’aiutò nella procedura di rilassamento, così divenne ancora più rossa e William, che la fissava iniziando a capire cosa le stesse succedendo, cominciava a divertirsi. Portò le mani sul reggiseno di lei, che ancora le copriva i seni sinuosi, e le solleticò un po’ la pelle.

 

- Togliamo questo? – le sussurrò all’orecchio con voce roca… Dio quella voce calda che avrebbe fatto sciogliere gli iceberg più maestosi della Terra. Spike, senza aspettare la risposta, fece scivolare il braccio libero dietro la schiena della ragazza, che si girò sul fianco in modo da permettergli un migliore accesso e, con un unico movimento, staccò i fermagli dell’indumento. Accompagnò la stoffa accarezzandole la pelle con la punta delle dita, sfilandole dapprima una spallina e poi l’altra, riempiendosi la vista di lei, del suo corpo perfetto che, nonostante la gravidanza, era rimasto immutato. Se possibile, dopo aver regalato la vita a Celeste, era ancora più bello, più splendente. Lei era sua. Cominciò a far scivolare le dita e si riempì il palmo con il seno di Buffy, questo si adattava perfettamente alla sua mano che prese a massaggiarlo dolcemente. Buffy, invece, vagava lascivamente lungo il suo petto scolpito. V’erano più cicatrici di quanto ricordasse, ma lo trovava comunque magnifico. Trasmetteva virilità e dolcezza allo stesso tempo. Quante volte vi si era rifugiata per cercare protezione, amicizia… amore, nulla da lui le era stato negato. Nonostante tutto il dolore provato, non vi sarebbe stato altro posto nel quale avrebbe voluto rifugiarsi. Le sue forti braccia che la cingevano erano la sua casa e nessuno sapeva, in verità, quanto le era mancata. Quelle labbra piene, che le stavano sussurrando dolci parole d’amore, erano il suo nettare, avrebbe potuto nutrirvisi all’infinito solo poggiandovi le sue. E così fece. Lui era suo.

 

- Buffy… toccami… - mormorò Spike, in preda al bisogno di lei, del suo tocco.

 

- William… - Buffy ansimò il suo nome, persa nelle carezze di Spike, nella sua bocca che assaggiava la sua pelle, che la divorava di baci. Spike si sistemò meglio su di lei nello stesso momento in cui le sue mani cominciarono a varcare la soglia del ventre, spingendosi ad accarezzarla più intimamente. Buffy si lasciò scappare un gemito di piacere nel sentire di nuovo le carezze di lui su tutto il suo corpo. Le sue magiche mani su di lei, le uniche che sapessero regalarle quel piacere intenso tanto familiare. Si aggrappò, affondando lievemente le unghie nella schiena di lui, alle spalle, riscendendo poi verso il fondoschiena, dove con forza gli strinse i glutei portandoli più vicini alla sua femminilità. Aveva bisogno di sentire la sua eccitazione, aveva bisogno di riconfermare il fascino che esercitava su di lui.

 

Spike si lasciò andare e gemette. La mano di Buffy era scivolata a testare la sua eccitazione ed ora gli stava accarezzando il membro attraverso la stoffa dei jeans. Quanto faceva male. Nessuno dei due sentì il rumore che arrivò dal fondo del corridoio, troppo persi l’uno nell’altra. Ancora gemiti e sospiri, carezze più sensuali, accompagnarono il lungo percorso che li avrebbe portati al piacere. Buffy stava cominciando a far scivolare la zip dei jeans e ad insinuare le piccole dita all’interno dove il membro di William l’attendeva impaziente. Spike, intanto, aveva già infilato la sua mano tra le cosce della ragazza, dopo aver fatto risalire lungo i fianchi la lunga gonna nera che aveva indossato nel pomeriggio.

 

- Spike… ti voglio… - mugugnò in un attimo di lucidità, ricadendo subito dopo nell’abisso del piacere che William le stava procurando.

 

In quell’istante la porta socchiusa, della camera di Buffy, si spalancò e la piccola fece il suo ingresso. Mosse qualche passo in direzione del letto, sul quale scorse due figure indefinite, entrambe bionde, e riconobbe i suoi genitori. Uno sbadiglio le impedì di vedere, fortunatamente, altro. Si stropicciò gli occhi, stringendo l’orsetto che aveva con se.

 

- Mamma, gli hai prestato il letto… - esordì con vocina assonnata, ma non appena riaprì gli occhi vide che sua madre e suo padre erano uno sopra l’altro. Buffy gli stava graffiando la schiena o almeno così sembrava.

 

- Ma state facendo la lotta? – domandò subito curiosa - Posso giocare anche io? – continuò con più entusiasmo cominciando a ridere, tutta presa dal nuovo gioco.

 

Buffy, sbiancò improvvisamente e provò ad allontanare sia la mano dall’inguine di William sia lui ma poi, ricordandosi della sua nudità, lo riavvicinò a se. Spike sgranò gli occhi, quella era una delle cose più spaventose dell’Universo: vedere i propri genitori fare (quasi) sesso.

 

- Te… tesoro… vai di sotto per favore… Io e papà arriviamo subito… Va bene? – cercò di convincerla Buffy, con un po’ di confusione e agitando la mano libera in aria.

 

- No, io voglio giocare! – Celeste batté il piede per terra e assunse un’aria truce.

 

- Ma… ma tesoro… no-non puoi… - attaccò Buffy, sempre più caoticamente.

 

- E perché? Io voglio fare la lotta con te e papà! Papi, posso fare la lotta? – Celeste, da vera donnina, sbatté le ciglia un po’ di volte e sorrise al padre che, dalla sua scomoda posizione, la osservava. Doveva trovare un argomento per distrarre Celeste e convincerla ad allontanarsi dalla stanza.

 

- Passerotto, non è proprio il momento… Vedi… la mamma e io stiamo parlando di cose importanti… Va’ di sotto, noi arriviamo subito e poi andiamo a mangiare fuori, ok? - provò a convincerla, sorridendole fiducioso.

 

- No, ma perché non volete che faccio la lotta anche io? Siete cattivi! – gli occhioni blu di Celeste si velarono dal dispiacere e subito enormi lacrimoni le rigavano le guance rosee.

 

- Amore, chiudimi la lampo se ci riesci… Non possiamo stare così! Non voglio che la nostra bambina pianga… – la voce era percettibile solo da Buffy, era diretta al suo orecchio. Piano asserì con il capo e, facendo attenzione allo sguardo di Celeste, sfilò la mano e richiuse la zip.

 

- Io sono praticamente nuda… che faccio? – mormorò a bassa voce nell’orecchio di William. Spike con un rapido colpo di fianchi, recuperò la sua maglietta e la stese su Buffy.

 

- Adesso a cosa giocate? – le lacrime avevano lasciato repentinamente il posto alla curiosità. William, con un balzo scese dal letto e prese in braccio Celeste, che se ne stava in piedi ai piedi del letto, di slancio facendola volteggiare in aria, per cercare di smorzare la tensione.

 

- Adesso giochiamo a “mangia Celeste”! – rise William, cominciando a mordicchiare il braccino paffuto della figlia, che cominciò a ridere a crepapelle. Riuscì a portarla fuori dalla stanza e Buffy, ancora attonita e pietrificata, era rimasta inchiodata al letto.

 

La vita, da quel momento in avanti, fu meravigliosa : gioia, felicità, amore e famiglia furono le parole che la contraddistinsero. Buffy e William, innamorati più che mai, cominciarono da subito a vivere insieme, naturalmente con Celeste.

 

****

 

Base militare segreta. Un mese prima

 

Giles entrò nell’ufficio di Riley e lo trovò riverso a terra, privo di conoscenza, in un bagno di sangue. Si avvicinò al corpo e, con attenzione, lo voltò: respirava ancora, anche se con difficoltà.

 

- Riley? Cosa è successo? – provò a chiedergli.

 

- San… guinario… - sussurrò Riley, incapace quasi di parlare. Non vide il sorrisetto soddisfatto di Giles.

 

- Ha recuperato la memoria vedo. Puoi muoverti? –

 

- Ho bisogno… di un minuto… Gli ho rotto… una gamba… - Tossì - Poteva uccidermi… -

 

- No, non l’avrebbe fatto… Mai. Ma so che prima o poi tu andresti di nuovo a cercarlo e lo faresti pentire della pietà che ha avuto. E Buffy con lui. Forse lui lo sa… - Giles raggiunse il taschino del camice e tirò fuori i suoi occhiali – ma non l’ha fatto comunque –

 

Riley, a terra, ascoltava in silenzio, la paura cominciava a farsi strada in lui.

 

- È un bravo ragazzo, lo sai? – Giles si mise gli occhiali – Lui non è come noi –

 

- Noi? –

 

Giles velocemente raggiunse il viso di Riley e gli premette la mano sulla bocca e sul naso, tenendoli chiusi. Riley lottò debolmente mentre Giles, che intanto manteneva la sua espressione calma, lo teneva fermo. Riley, dopo nemmeno un paio di minuti, spirò.

 

- Addio Colonnello – furono le ultime parole che Giles, ritto in piedi, nel saluto militare, rivolse al corpo senza vita di Riley.

 

****

 

Sunnydale. Due anni dopo.

 

- Tesoro! È arrivato!! – la voce allegra di Buffy raggiunse William, seduto nel piccolo studio posto al piano superiore della loro abitazione. Si erano trasferiti da poco in una casa un po’ più grande in modo da poter allargare, un giorno, la famiglia. Sorrise tra se e se, sentendo i passi della sua donna avvicinarsi sempre di più. La porta si aprì e Buffy gli corse incontro porgendogli il pacco che il postino aveva appena recapitato.

 

- Aprilo dai! – la ragazza non stava più nella pelle dall’agitazione. William rigirava con ammirazione, quasi prendendola in giro, il pacco tra le mani. Buffy si spazientì e glielo strappò via.

 

- Uffa! Faccio io! – e cominciò ad aprirlo con eccitazione, Spike rideva vedendola intenta a strappare un pezzo di carta da pacco che non voleva collaborare, troppo piena di carta gommata per aprirsi facilmente.

 

- Bisogno d’aiuto amore? – chiese ridendo.

 

- Sì… - Buffy s’imbronciò e gli passò il pacco.

 

Spike, sempre sorridente, lo prese e schioccò le labbra invitante, in attesa che Buffy gli desse un bacio… che non arrivò.

 

- Dopo! Apri il pacco adesso! – inarcò un sopracciglio ammiccando, come faceva sempre lui.

 

- Non fare così Buffy o il pacco resterà chiuso per altre due o tre ore… Anzi… - scorse il corpo della ragazza con avidità mordendosi il labbro inferiore. Celeste era dalla nonna per il fine settimana e loro avevano la casa libera.

 

- Cattivo William! Apri il pacco! – lo ammonì lei, restituendogli lo sguardo di poco prima. Spike girò la sedia, sconfitto, e poggiò il pacco sul tavolo, intanto che Buffy si posizionava dietro di lui e gli poggiava le braccia sulle spalle, abbracciandolo da dietro.

 

Il pacco conteneva un libro. Spike lo girò, dietro c’era una sua foto ed una breve biografia. L’autore del testo era infatti: William “Spike” Archer.

 

- Amore, è stupendo! – esordì Buffy posandogli un bacio sulla nuca ed uno sulla tempia.

 

- Beh, almeno tutte quelle ore di scuola serale sono servite a qualcosa. Questa è la nostra storia Buffy… – accarezzò la copertina del libro, poggiato sulla scrivania, con una mano, mentre con l’altra stringeva quelle di Buffy abbandonate sul suo petto.

 

- Sì, la nostra storia… - Buffy fece girare la sedia e gli si sedette in braccio. Lo baciò con passione e Spike ricambiò con ardore. Sulle loro mani risplendevano due fedi. Da qualche mese, infatti, Buffy era diventata la signora Archer. Celeste aveva fatto da paggetto durante la cerimonia ed era rimasta in adorazione di sua madre, vestita da sposa, per un lungo lasso di tempo. Nulla poteva però superare l’adorazione che aveva per suo padre, erano inseparabili. William ora, con il lavoro di giornalista e scrittore, stava quasi sempre a casa e dedicava tantissimo tempo alla loro bambina, come a voler recuperare tutto il tempo perduto. Oggi Buffy era una madre, e soprattutto una donna, felice e realizzata. Adorava suo marito, voleva un bene dell’anima a sua figlia ed era certa che nulla avrebbe più scalfito la sua felicità se non le piccole litigate con William che, quando s’incaponiva era davvero un bambinone, erano più una scusa per fare la pace fino alla mattina.

 

Spike sollevò Buffy e la portò al piano di sopra.

 

- Ti amo signora Archer – sussurrò mentre saliva le scale. Le diede un bacio sul naso e lei poggiò la testa sulla spalla del ragazzo.

 

- Ti amo anche io… Mi farai un autografo signor Archer? –

 

- Dove lo vorresti? – chiese ammiccante sottolineando il “dove”. Buffy si limitò a ridere.

 

- Bene, allora troverò io un posto adatto! – Spike accelerò il passo e raggiunse rapidamente la camera da letto.

 

Il libro, abbandonato sulla scrivania, s’intitolava: Fuga dal passato.

 

 

Fine