Fanfiction
ospitata per gentile concessione del Bloodylove in attesa di
riuscire a rintracciare l'autrice.
BROCCATI
TENEBRA E PALETTI
di Siranna
Prologo:
Quella che sto per narrarvi è una
storia di bizzarra natura, qualcosa che solletica la mia lingua come il pepe e
mi induce a condividere con altri la mia perla.
Nella regione più remota dei vostri
pensieri voi potrete pensare che sia frutto di vaneggiamenti, oh ma tutto ciò
che è creato lo è, la pazzia è il sale della vita. Io non sono una persona e
nemmeno sono da considerarsi un individuo dalla lucida mente. Per reputazione
sono un fanfarone, la mia rinomata qualità di inventore supera i limiti dell’immaginazione
umana, ma ogni cosa ha un fatto vero e se la vostra mente è aperta a ciò che
normalmente si rifiuta allora quanto segue non sarà altro che pura, nuda,
genuina verità. Io non sono altro che un araldo senza volto e senza storia, un
giullare del re Tempo.
Io, sono il Canta Storie
Chosen
Passi frettolosi risuonavano in un
viottolo scuro, la puzza dei rifiuti delle case impregnava l’aria
e nauseava gli uomini.
Una giovane fanciulla, dai capelli
color del grano maturo correva a perdifiato nella stradina. Il suo vestito blu
di seta francese, con ampia scollatura e molti pizzi, frusciava sul terreno e
si imbrattava della sporcizia. Era un abito adatto ad una festa nei quartieri
alti della città, non ai sobborghi di Londra. Le piccole scarpette azzurre di
seta macinavano i metri e producevano un suono fastidiosamente amplificato dal
silenzio della notte.
Aveva gli occhi lucidi perla corsa e
le guance arrossate, i capelli biondi ormai sfuggivano dalla crocchia
aggraziata, ricadendo ribelli sulle spalle nude.
Tentava di correre più veloce che
poteva ma la gonna voluminosa si impigliava ovunque, strappandosi.
Un’ombra
veloce come un felino strisciava lungo i muri sudici, in tetro silenzio seguiva
la giovane. Potete credere che fosse umano, in effetti tutto lo lasciava
presagire. La corporatura atletica, l’altezza e la forma fisica erano
quelle di un uomo di trent’anni.
Un uomo forte e vigoroso capace di
correre a lungo, agilmente e senza affanno, un uomo intuitivo.
Ma se si notava bene attraverso i
bervi squarci di luce offerti dalla casta luna, si scorgevano due occhi che
nulla avevano di umano, due cerchi giallo inferno che bruciavano al fuoco della
morte.
La fanciulla correva disperata, senza
emettere un fiato ma con la paura nelle vene che scorreva più densa dell’olio.
Le sue membra fragili e spossate non potevano più sostenere il peso della
corsa, le gambe le dolevano e presto avrebbero ceduto, abbandonandola.
Come se
Giunse dinnanzi ad una vecchia casa di
malcostume che a quell’ora era ormai chiusa, non c’era
nessuna via d’uscita.
Si girò verso la strada, la luce
debole di qualche lanterna illuminava la sagoma nera che avanzava verso di lei.
Sentì le lacrime salire e la paura quasi diventare insopportabile, il verde
acqua si fece più intenso alla luce della luna.
Il cacciatore avanzò con molta più
lentezza, sorridendo inquietante, aveva denti strani e lunghi, così affilati
che avrebbero lacerato il collo di una vacca senza sforzo. Quando riuscì a
vederne il viso un solo ed autentico urlo di terrore le uscì dalle labbra, era
trasfigurato in una maschera demoniaca, nemmeno le novelle di Mr. Poe erano
altrettanto spaventose.
La raggiunse in un balzo famelico,
eccitato oltre l’inverosimile dall’odore della
carne.
Quella notte una creatura avrebbe
lasciato questo mondo...
Il mostro sparì in uno sbuffo di
cenere improvviso, emettendo un urlo gutturale di sorpresa.
La fanciulla ansimò sentendo la
tensione scemare dal suo corpo. Strinse convulsamente a sé un oggetto con la
mano destra. Guardò la polvere sparsa a terra nel fango e scrollò quella che
era finita su di lei. Con un sospiro di sollievo si appoggiò al muro, non
curandosi della fuliggine che lo ricopriva e facendo una smorfia per il male ai
muscoli.
<<Molto bene mia cara.>>
un uomo, sulla cinquantina, ben vestito in un abito da sera nero elegantissimo.
Portava un cilindro lucido sulle ventitré. Le si avvicinò pulendosi il monocolo
con un panno rosso.
<<La ringrazio
duca.>>sussurrò col fiatone la fanciulla, gli lanciò un’occhiata
e sorrise lievemente, aggiustandosi una ciocca bionda disordinata. Fece roteare
il paletto tra le dita e lo infilò nel vestito.
<<Davvero notevole Elisabeth, ma
ti prego, chiamatemi Signor Giles...>> le porse il braccio e lei lo
accettò contenta. <<Come vuole...Signor Giles.>>
camminarono piano lungo la via
periferica, come una normale coppia londinese della buona società. Certo erano
piuttosto ambigui, la giovane aveva si e no 17 anni e l’uomo
54. si combinavano matrimoni strani all’epoca. Il duca era celibe, un uomo
colto che amava la lettura. Nella sua villa nei pressi di Hyde Park possedeva
una stanza di due piani, le cui pareti erano interamente coperte da libri, per
un totale di più di due milioni si volumi...
La fanciulla rabbrividì all’aria
della notte e duca le coprì galantemente le spalle con il suo soprabito.
<<Davvero mi chiedo come
facciate ad indossare tali abiti.>> asserì l’uomo
aggiustandosi il monocolo sull’occhio e scoccando un’occhiata
di profondo disgusto all’abitino.
La fanciulla sorrise ed annuì
gentilmente. <<Non li scelgo io purtroppo, mia madre dice che quest’ano è
di moda scoprire le spalle di tre centimetri.>>l’uomo
alzò gli occhi al cielo in un moto di compatimento per il gentil sesso,
convenendo con sé stesso che era solo colpa della società maschile se si
arrivava a quell’estremo, ma da buon inglese di vecchio stampo si
tralasciò dalla lista degli individui che escogitavano tali mezzi di tortura,
lui era contrario a tutto ciò.
<<Direi che le signore delle
buona società dovrebbero accontentarsi di vestire bene e comode, ritengo che
scoprire il collo e, in estremis, una piccolissima porzione di decolté sia al
limite della decenza per non apparire volgare!>> ribatté puntiglioso, non
era d’accordo che la sua piccola prescelta se ne andasse per
i salotti nobiliari vestita come una sgualdrina. La giovinetta annuì concorde e
guardò l’oscurità dietro a sé, avvertiva una strana
sensazione, non capiva ne come ne perché ma non si sentiva del tutto fuori
pericolo, qualcosa o qualcuno pareva seguirli, nei sobborghi londinesi si
potevano reperire ogni genere di creature, ma poteva essere solo suggestione
data dal nero della notte...
<<Dovevate svolgere il vostro
compito proprio abbigliata in quel modo mia cara?>> chiese il duca con
una nota di rimprovero, davvero non concepiva cosa passava per la mente delle
donzella.
Lei era mortificata.<<Mi
rincresce Signor Giles ma la festa si è protratta per un tempo imprevisto e a
casa non c’era nessuno pronto a coprirmi, Anya è dovuta venire ad
aiutare domestiche della baronessa Landou.>> sussurrò contrita.
<<Capisco Elisabeth, non vi sto
rimproverando. Mi chiedevo solo come avreste spiegato lo stato in cui siete una
volta rientrata a casa.>> sorrise lievemente per la premura dell’uomo,
se anche il duca Hank Summers fosse stato così...
<<Non crucciatevi per me Duca. L’abito
che si indossa ad un festa, specie se così importante, non viene più
utilizzato. Sarebbe scandaloso per una debuttante non che di cattivo
gusto!>>
Il Signor Giles scosse la testa, se ne
intendeva così poco della moda inglese femminile, nonostante fosse delle nobili
origini della casata di sua maestà la regina!
<<Mi duole sapere che il vostro
debutto in società si è concluso in questo modo.>> disse poi, lievemente
imbarazzato. <<Dal consiglio sono arrivati ordini immediati...>>
lei sorrise.
<<Non importa duca. Credo che
sia stato il momento più emozionante di tutta la serata.>> l’uomo
sorrise per la sottile ironia della sua pupilla. <<Non sapevo che i balli
delle debuttanti fossero tediosi!>> lei ripensò alla serata. La sua amica
del cuore Drusilla aveva avuto l’onore di inaugurare l’estate
con un ballo nella bella villa, il ballo delle debuttanti. Per questo un poco
la invidiava.
Tutto era iniziato alle otto e trenta
e le giovani avevano sfilato accompagnate dal loro cavaliere, lei era stata la
dama del caro Andrew che dopo la cerimonia era tornato frettolosamente dalla
sorella Down. Elisabeth era l’ultima di tre sorelle, Willow,
Down e lei, le tre gemme dell’ovest, come amavano chiamarle i
vari nobili che conoscevano. Loro erano americane.
La cena era stata sublime, la
compagnia frizzante almeno finché la cara Drusilla non si era allontanata in
compagnia del giovane ufficiale Parker, un amico del fratello. Lizzie era stata
sballottata tra le madri delle ragazze. “e quanto siete carina mia cara..” “come
fate ad essere sempre così splendente...” “mia figlia
deve imparare da voi...” “nessuno ha
la vostra grazia, avete preso da Lady Joyce..” almeno per
una buona mezzora e poi era iniziato il vero tormento. Drusilla aveva due
fratelli, Osvald che amava storpiare il suo nome in Oz che aveva due anni in
più di Willow e quindi sei più di lei. E poi c’era Riley,
il capitano Riley. Si era arruolato nell’accademia militare ed era
entrato nell’esercito di Sua Maestà. Costui sembrava avere un
debole per Elisabeth, non l’aveva lasciata un attimo dacché
era riuscita a sottrarsi alle attenzioni delle signore. Una conversazione
monotona e troppo tirata, lei non capiva nulla di tattiche militari e nemmeno
di gradi d’uniforme e lui sembrava ostinatamente propenso a
mostrargli la sua, nemmeno fosse stato un trofeo di guerra. La cara Drusilla
era molto sfortunata ad avere un fratello del genere, per grazia del Signore se
ne stava in Egitto per la maggior parte dell’anno.
<<No duca, non lo sono per la
maggior parte di noi. Dipende dalla compagnia che si ha>> rispose lei
sorridendo tra sé e sé.
<<Bene, siamo arrivati a Rovello
Road, buona notte cara Elisabeth.>> lei bussò alla porta di servizio per
tre volte e quando le venne aperto dalla domestica entrò.
<<Buona notte duca. A domani
notte al solito luogo.>>
I due umani si separarono ed ognuno di
loro tornò alle proprie rispettive vite, senza pensare ai fatti accaduti in
quelle brevi ore.
Una figura scura uscì dall’ombra
più assoluta. Il suo viso bianco ed aggraziato venne illuminato dalla luna. Gli
occhi scuri come il mare saettarono alla luce della camera della fanciulla. Un
pallido sorriso gli raggiunse le labbra. Quella notte, sotto una cascata di
avvenimenti strambi aveva trovato la sua preda finalmente e l’avrebbe
perseguitata fino ad averla.
<<Finché morte non ci
unisca...>>
Becoming part1 (parte1)
Il mattino giunse troppo presto per il
corpo spossato della fanciulla, qualcosa congiurava contro di lei di sicuro.
Non era una nobildonna scansafatiche, assolutamente. Per c’era
un fatto: il suo corpo non rispondeva bene ai comandi prima di una certa ora,
qualunque essa fosse non era quella in cui ora avrebbe dovuto alzarsi.
Un paio di mani la costrinsero ad
alzare la testa dal cuscino di piume che venne velocemente sottratto al suo
possesso e sbattuto ripetutamente. Elisabeth si limitò a ripiombare
pesantemente sul materasso, senza accennare ad un risveglio.
<<Su contessina, si alzi! Il
sole brilla nel cielo e la colazione è pronta!>> gridò Anya, con un tono
di voce considerabile inammissibile per quell’ora del
mattino. Nel frattempo aveva già iniziato a riavviare le coperte, un metodo
infallibile per svegliare del tutto qualcuno.
<<Anya...ti prego!! Almeno tu
abbi pietà di me!>> biascicò la ragazza.
La domestica sorrise e con poca
delicatezza sollevò la sua padroncina dal letto e la mise su una sedia priva di
qualsiasi tipo di imbottitura, una vera tortura!
La giovincella mugugnò qualcosa contro
Anya ma poi si arrese, lasciandosi spogliare e immergere nella tinozza
stracolma d’acqua calda.
Mentre si passava la spugna marina
sulla pelle ripensò alle sensazioni della sera prima. L’aveva
turbata troppo quel vampiro? Infondo era solo il suo sesto demone...
probabilmente si era suggestionata.
<<Anya...?>> la ragazza le
sorrise con naturalezza, cosa poteva mai volere ancora quella creaturina da
lei? La mattina non parlava mai se non prima di un paio d’ore.
Anya era una giovane donna di 27 anni,
un’olandese dal fisico snello ma forte, un paio di occhi
verde muschio e capelli dal colore tenue e caldo come il miele.
Aveva una parlantina spiccia che
catturava l’attenzione e l’espressione: “non
avere peli sulla lingua” sembrava coniata apposta per
lei.
Forse non si rendeva nemmeno conto
delle gaffe che faceva. Ma era una buona lavoratrice e il suo carattere era
adorabile, senza contare la prontezza di linguaggio che disarmava qualsiasi
interlocutore indesiderato.
<<Non hai mai avuto l’impressione...di
essere seguita ed osservata?>> chiese Elisabeth con occhi grandi e
curiosi, attendendo una risposta che forse l’avrebbe
aiutata ad eliminare un po’ di dubbi su quella notte.
<<Mia cara padroncina! Sapesse
quante volte! Per le strade molti occhi sono puntati su di me, e non solo
quelli dei garzoni!!>> sorrise sorniona con espressione maliziosa.
<<L’altro
dì il duca dell’Hardforshire mi ha seguita fino a casa e mi ha
chiesto se...>> si interruppe alla vista degli occhi verdi ed innocenti che
la stavano fissando con attenzione. Non poteva continuare, non aveva il diritto
di parlare di certe cose.
<<Ma non penso che fosse ciò che
intendevo io. È già tardi e vostra madre vi sta aspettando per la
colazione.>> lasciò cadere la cosa. Non si curò di cosa volesse dire la
fanciulla, anche se conosceva il suo destino, di giorno era solo un giovane
normale della buona società. Di notte era un altro discorso.
Londra, 12° Dì
del mese delle rose, 1805
Cinque uomini camminavano per Revello
Road, avevano arie neutre, senza la minima espressione. La loro camminata era
rigida e il loro aspetto distaccato. Se ne stavano impettiti nei loro completi
scuri ed eleganti. In quattro accerchiavano un ometto più basso e grassoccio,
fasciato da un abbondante panciotto violaceo, il collo stretto in un papillon
marrone. Faceva ruotare con la mano destra un bastone di legno lucido e nero,
sormontato da un pomello d’argento in cui era incisa
finemente una croce.
Trotterellava tranquillo in mezzo ai
suoi quattro armadi da compagnia, sentendosi immensamente protetto. Scoccava
occhiate impertinenti ad ogni passante che non fosse del suo stesso rango,
mentre con gli altri si esibiva in profonde riverenze.
Giunsero dinnanzi a villa Summers. I
quattro scagnozzi osservarono le finestre chiuse, solo al terzo piano le
persiane erano alzate e delle tende bianche si muovevano nell’aria.
L’uomo si aggiustò il colletto
della camicia e raddrizzò il cappello.
Si avviò con passo rigido fino alla
porta principale di legno chiodato; bussò con il bastone sul legno scuro e
profumato e poi tirò la campanella. Dopo qualche istante si aprì uno spioncino
e Anya, la ragazza tuttofare della famiglia domandò cosa desiderassero.
<<Abita qui Elisabeth Anne
Summers?>> la ragazza annuì accondiscendente e si domandò come facesse ad
esserci gente tanto stupida, se quella era la celebre villa Summers era ovvio
che lei abitasse lì!
<<Sì mio signore, devo riferire
qualche messaggio?>> chiese angelica, scrutando con molta attenzione i
quattro individui che tenevano i cappelli calati sugli occhi.
<<No, desidero vedere la
contessina, subito!>> Anya lo osservò molto più attentamente, con i suoi
occhi verde scuro analizzò in breve tempo l’uomo.
Era ben vestito e in modo piuttosto
strano. Avrebbe voluto passare inosservato ma era più forte di lui, sfoggiare
la sua ricchezza era la prerogativa più insistente. Da quella distanza non
percepiva alcun odore molesto, nemmeno del sospettoso puzzo di alcool. Gli
odori dl
delle persone erano assai utili,
secondo Anya, per capire chi fossero e di che condizione sociale. Aveva
imparato ad osservare gli uomini che chiedevano della signorina, ormai era in
età buona, ma poteva essere anche un bocconcino appetibile per un consumo
veloce o peggio. Lei non poteva permettere questo, se i signori non se ne
occupavano lei invece sì.
<<Sareste così cortese da
fornirmi il vostro nome? Così posso annunciarvi alla mia signorina e chiederle
se ha il tempo per voi.>>
l’uomo fece una smorfia d’impazienza.
<<Sir Warren Montcreef, la ragazza DEVE vedermi.>> quell’imposizione
non piacque ad Anya, era solo un umile tutto fare ma nella sua vasta esperienza
con il genere maschile sapeva bene cosa aspettarsi.
<<Prego accomodatevi nel salotto
piccolo, vado a chiamarla.>> i cinque uomini entrarono compatti come un
muro di calce. Sir Montcreef si sedette impettito nella poltrona di velluto
beige.
Il luogo in cui si trovavano era una
stanza illuminata dalla luce del meriggio morente, dai colori chiari e delicati
tendenti al bianco. La ragazza entrò nella stanza con leggiadria, con la gonna
color lilla che frusciava leggera intorno a lei, producendo un lieve rumore
come di foglie mosse dal vento. Dalla sua pelle candida arrivava un gradevole
profumo di vaniglia. I suoi capelli catturavano la luce del tramonto e la
trasmettevano anche al viso, erano raccolti in una lunga treccia che arrivava
sino a metà schiena.
Warren si alzò in piedi e le fece un
profondo inchino, i suoi scagnozzi piegarono appena il capo. Rispose
inchinandosi a sua volta, raggiungendoli e sedendosi davanti all’uomo.
Pose le mani in grembo e concentrò la
sua attenzione sull’uomo, guardandolo dritto negli
occhi anche se sapeva che una dama di alto rango non avrebbe dovuto farlo.
<<Contessina Summers, non
indugerò oltre, lei deve subito seguirci.>> lanciò un’occhiata
ai cinque uomini che le stavano attorno. I quattro avevano discretamente
cominciato ad accerchiarla, lasciandole poca via d’uscita.
Cominciò a sentire paura.
<<Se è per quella terra per il
viso che ho “dimenticato” di pagare a Piccadilly...sarei
andata a portare i soldi...>> ma lui non parve ascoltarla.
<<Voi siete la prescelta, il
vostro destino è legato a quello di tutto il mondo. Voi siete la
cacciatrice.>> in un primo momento aveva creduto ad uno scherzo. In
seguito aveva ardentemente pregato che fosse così.
In meno di due ore le era stata
spiegata la parola cacciatrice, gli obblighi che comportava e quale sarebbe
stato il suo futuro d’ora innanzi.
Le avevano presentato il suo cosi
detto osservatore, il duca Giles dell’Hellmouth. Egli era inglese ma
da alcuni anni viveva in America sulla costa occidentale. Nel ducato di
Hellmouth appunto, un possedimento che confinava con il contado di Sunnydale,
di proprietà del conte Summers. Quel luogo doveva il suo nome al fatto che in
esso vi fosse
Lo scettro del potere ora era passato
ad Elisabeth ed era il suo turno di proteggere il mondo. Naturalmente c’erano
poi i vampiri, uomini che venivano prosciugati del loro sangue da altri di essi
che poi donavano loro in fin di vita parte del proprio liquido rosso. Così si
creavano questi mostri, uomini morti che continuavano a “vivere”, il
loro cuore non batteva, non avevano bisogno di respirare e avevano processi di
guarigione molto accelerati. Il loro volto era uguale a quello umano ma quando
uccidevano si trasfigurava, i canini si allungavano e diventavano terribili
armi mortali che laceravano la pelle. Anche gli occhi mutavano il loro pigmento
trasformandosi in cerchi gialli e demoniaci.
Erano forti come cento uomini, solo la
cacciatrice poteva difendersi da loro grazie alla sua straordinaria forza.
Potevano morire solo se trafitti precismante nel cuore con un paletto di legno.
Temevano il fuoco, l’acqua santa e i crocifissi.
Fuggivano il sole perché li trasformava in cenere.
Così Elisabeth aveva appreso tutto in
giorno solo. Nel giro di poche ore la sua vita era cambiata profondamente e mai
sarebbe tornata quella di prima.
Ma soprattutto Elisabeth non sapeva che
da quando aveva accolto in sé la forza, due paia di occhi si erano puntati su
di lei, entrambi vividi di oscurità che l’avrebbero avviluppata piano
piano.
Becoming part 1 (parte2)
Londra, 27° Dì
del mese dell’uva, 1805.
<<Sapete contessina, ci sono persone
da cui dovete guardarvi in questa casa>> sussurrò Anya. Elisabeth sgranò
gli occhi impaurita, come poteva essere?
<<Dall’ultima
visita del signor Travers c’è qualcuno che vi tiene d’occhio...>>
un mese prima, il capo degli
osservatori Quentin Travers, aveva contattato il duca Giles tramite missiva
importantissima.
Quentin abitava in un lussuoso palazzo
nella City dove teneva riunioni e congressi con gli altri osservatori. Alla
fine di ogni anno veniva scritta una parte di un importantissimo volume: Il
Diario degli Osservatori. Il quale sarebbe servito ai posteri per apprendere la
verità e i compiti sulle cacciatrici e su tutti i demoni.
Quel giorno i signori Summers si erano
allontanati per una visita importante, Elisabeth aveva dovuto acconsentire ad
accogliere il suo osservatore e l’altro uomo.
Si erano chiusi in uno degli studi del
conte ed avevano discorso per circa tre ore, in un fitto bisbiglio a cui la
giovane prescelta non aveva potuto assistere.
Erano circondati da libroni e molte
altre carte antiche, era sicuramente successo qualcosa di importante se non
addirittura molto grave ma purtroppo la cacciatrice aveva il divieto di
interferire con le decisioni del suo osservatore, aveva il dovere di ubbidire e
difendere l’umanità elaborando piane e strategie ma era poco
apprezzato lo spirito d’iniziativa. Il duca Giles era un
uomo abbastanza permissivo dopotutto, ma nonostante le continue richieste della
sua pupilla non aveva aperto bocca sulla questione discussa quel pomeriggio.
Così l’interesse di Elisabeth si era accresciuto,
soprattutto quando uscendo dalla stanza Giles aveva sussurrato: <<Non
credo lo accoglierà bene, e nemmeno io sono sicuro di farlo...>> con il
corso dei giorni la curiosità della fanciulla non si era placata.
Si chiese chi potesse avere dei
sospetti, chi la tenesse d’occhio, chi si permetteva di
tenere d’occhio Lei!
Nessuno li aveva visti uscire?
Nonostante fosse “umiliante” per il signor Travers dover
abbandonare la casa come un volgare ladruncolo, era stato necessario uscire per
la porta di servizio. Cosa avrebbero detto i vicini, specialmente quell’impiccione
del Signor Wilkins, se alle sette di sera avessero visto due uomini maturi
uscire dalla porta principale di villa Summers quando i signori non c’erano?
Le figlie avrebbero perso il loro onore pur non essendo colpevoli di nulla.
E di lì non li aveva visti nessuno! C’era
la carrozza che li copriva e...<<XANDER!>> urlò di colpo, con il
terrore in volto. Anya annuì con aria grave.
<<Precisamente, Alexander stava
sistemando le ruote della carrozza da viaggio quel pomeriggio e vi ha
veduti!>> Elisabeth si portò una mano alla fronte e sospirò.
<<Ho capito che vi tiene d’occhio
da qualche giorno, osserva spesso la vostra camera dalla stradina qui dietro
dove si apposta come un falco...se solo fosse più magro...aspetta il vostro
ritorno ogni notte perché sa che uscite, solo non ne sa il motivo...-confidò la
giovane, addolorata di recare preoccupazioni alla piccola Lady.
Una lunga ruga d’apprensione
le attraversava la fronte e i suoi occhi non potevano fare altro che
lampeggiare illuminati dalla paura di venir smascherata.
<<Siamo rovinati amica mia... il
cocchiere è un gran impiccione e questa sua qualità è nota in tutta Londra
almeno quanto l’amore per lo spettegolare!>> biascicò con voce
così madida di disperazione che avrebbe commosso perfino uno spietato
assassino. Ormai grandi lacrime le rigavano il viso candido, se l’avessero
scoperta, non necessariamente per quello che in effetti era ma solo le sue
uscite notturne...allora non avrebbe più avuto scampo. Suo padre così rigido ed
intransigente in fatto di rispettabilità l’avrebbe ripudiata e se si fosse
saputo al di fuori delle mura di villa Summers, su tutta la famiglia sarebbe
sceso il disonore. Le sue sorelle avrebbero dovuto convivere con l’onta
di avere in casa una svergognata e nessun nobiluomo le avrebbe degnate di uno
guardo. Decisamente non poteva permettersi un affronto simile nei loro
confronti ma come spiegarlo al signor Travers, come parlarne a Giles che in lei
sembrava riporre molta fiducia e che le concedeva un rapporto ben lungi dall’essere
solo quello di Osservatore-Cacciatrice? Per queste persone che erano a
conoscenza dei fatti la cosa non contava affatto, la salvezza del mondo e la
segretezza della missione erano tutto.
Anya mise le mani sui fianchi in un
gesto di stizza e cominciò a pensare, vedere la padroncina rodersi le unghie
dalla disperazione era per lei così frustrante...ma l’avrebbe
seguita sempre ed in ogni sua decisione perché le era molto affezionata, l’aveva
cresciuta lei infondo.
All’improvviso
la donna alzò il volto con aria furba e maliziosa, sorridendo piano con un
ghigno degno del più esperto demone vendicativo.
<<Forse un modo c’è per
sfuggire da questa situazione...>> sussurrò con tono così sadico da far
accapponare la pelle.
<<E come...?>> domandò
debolmente speranzosa la ragazza.
<<Bè credo sia ora di distrarre
il giovane Alexander dai suoi doveri di guida morale...>>il ghigno si
allargò a dismisura.
<<Davvero mia fidata amica?>>
chiese ora molto incuriosita la fanciulla, era proprio vero che nessun uomo
avrebbe battuto Anya in astuzia...
<<Certo...avrai sentito parlare
di arti femminili...bè Xander mi sembra ben dotato...non credo sarà un
sacrifico tanto grande...>>
Surprise! (parte 1)
Poco dopo Elisabeth scese nel giardino
d’inverno, una grande stanza circolare fatta
interamente di vetro che dava direttamente sul grande parco della villa. Il
soffitto era ricoperto da una morbida cascata d’edera verde
scuro che offriva un riparo nelle giornate più calde. Vi si trovava all’interno
un tavolo di ceramica italiana finemente dipinta a mano, qui si consumavano
spesso incantevoli e leggeri spuntini e colazioni, senza contare la parte
riservata al the con gli amici più cari. Nelle giornate di pioggia la stanza
riecheggiava delle chiacchiere delle tre sorelle e delle amiche, che si
intrattenevano raccontandosi frizzanti pettegolezzi sulle coppie appena
formatesi o discutendo dell’ultima trovata degli stilisti
parigini in fatto di corsetti.
La ragazza era molto più sollevata
dopo la trovata della sua cameriera e, pur non avendo inteso fino in fondo le
sue intenzioni, sapeva di essere in buone mani. L’importante
era continuare a nascondere ogni cosa alla madre e alle sorelle.
Così scese con il suo sorriso più
smagliante ed innocente, il suo viso d’angelo avrebbe incantato ed
ingannato chiunque e contava soprattutto su questo. D’altronde
la madre la vedeva così poco e si curava ancor meno di lei che era inutile temere
un profonda indagine. Quanto alle sorelle, Down sarebbe stata alle prese con i
suoi problemi pratici di trovare un lavoro rispettabile e molto decoroso al suo
Andrew al più presto, si sarebbero sposati di lì a pochi mesi e per quell’epoca
lui avrebbe dovuto garantirle un tenore di vita consono alle sue aspettative,
vale a dire un reddito non inferiore alle 2000 sterline all’anno.
Quanto a Willow, lei era sempre
assorta nei suoi pensieri dolci e fantasiosi, scriveva lettere lunghe fiumi di
parole che però non imbucava mai, sorrideva con aria sognante tra sé tenendo in
mano la piuma con eleganza e scarabocchiando strani disegni sulla carta. Si
sarebbe detto fosse innamorata ma di chi? Non aveva nessun fidanzato e gli
ammiratori li disdegnava tutti. Era una bellissima ragazza Willow, con
lunghissimi e setosi boccoli rosso fuoco, che però alla luce delle stelle
sembravano addirittura quasi porpora, baciati dalla luna malata. Le
incorniciavano un volto incantevole, magro e leggero punteggiato da lievi lentiggini
ambrate e un paio di occhi verde muschio così dolci da incantare un Dio.
<<Tesoro sei semplicemente
adorabile in quell’abitino di colore rosa pallido!
È stata proprio una buona scelta!>> esclamò Lady Summers resa orgogliosa
dalla figlia minore che ogni giorno si faceva più bella e slanciata, nonostante
la modesta statura aveva la grazia delle nobili inglesi e quella puntigliosa
precisione nel vestirsi che la rendeva un amore di ragazza.
Le sorelle annuirono e abbracciando la
piccola con amore la fecero accomodare tra loro.
<<Buon giorno madre, sorelle
care, avete passato una buona notte?>> chiese soave, la prima cosa da
fare è sempre ingraziarsi la madre.
<<Naturalmente piccola mia ma
adesso è giorno, non parliamo di una cosa oscura e subdola come la notte!>>
decretò la signora, versandosi una generosa tazza di the.
Elisabeth non condivideva appieno. Per
lei la notte era importante alla pari del giorno, lei viveva anche nella notte
e ormai aveva imparato a riconoscere ed apprezzare l’odore
della notte. Nella notte doveva imparare a sopravvivere e a dominare, perché
lei era la guardiana della notte. Qualcosa di fuggente che avvolgeva il corpo e
ne cambiava la forma, che aiutava a celare le anime.
<<Scusatemi madre. Che programmi
avete per oggi, se mi è permesso chiederlo?>> sussurrò non realmente
interessata alla risposta.
Joyce schiarì la voce e con un’occhiata
rivolta alle due maggiori disse:<<Dobbiamo prima recarci a prendere i
pizzi per rifinire il corredo di Down e poi da Mrs. Deveraux per gli abiti di
Willow, sai cara, sono arrivati dei completi molto belli giusto l’altro
ieri. Tu cara hai le lezioni non è vero?>> Lizzy sbuffò leggermente, era
più che vero, era un dato di fatto che il suo lunedì pomeriggio dovesse
trascorrere tra interminabili ore di grammatica tedesca e filosofia greca,
senza contare il ripasso del latino.
<<Si madre, infatti.>>
sussurrò con aria abbattuta.
Willow le rivolse un sorriso d’incoraggiamento
e Down le promise a mezza voce che avrebbe portato un catalogo di Moda di Mrs.
Deveraux e che l’avrebbero guardato insieme una volta concluso gli
studi. Lei gliene fu enormemente grata, adorava la moda e soprattutto i
coloratissimi cataloghi con quei ritratti in china così belli ed aggraziati!
Joyce suonò il campanellino d’argento
che teneva sempre con sé e pochi minuti dopo arrivò la cameriera con un
vassoietto d’argento, sul quale erano posate in ordinata pila
quattro lettere.
La padrona le prese e le guardò con
soddisfazione. Ne aprì una con l’apposito taglia carte e la lesse
molto interessata, mentre la sua espressione mutava in gioia e soddisfazione.
Quando ebbe finito accantonò le altre da un lato e mandò via la donna,
concentrando la sua attenzione tutta su Elisabeth che si sentì al quanto
sconcertata e preoccupata. Che era accaduto a sua madre perché si accorgessi di
lei?
<<Figlia mia, è necessario
discutere di una questione molto importante...>>all’improvviso
le era venuta un’aria grave e la fanciulla si allarmò, che fosse stata
scoperta? Non avrebbe retto alla vergogna...non ora che finalmente aveva
trovato una barlume di speranza di convivere con la sua delicata situazione.
Joyce si pulì l’angolo
della bocca con uno spicchio di tovagliolino, gli occhi color miele velati da
un misto di dolce eccitazione.
<<Ebbene mia cara, come ben sai
abbiamo organizzato una festa mercoledì sera perché tra una settimana compirai
diciotto anni*...>>
fece una pausa ad effetto e la ragazza
sospirò profondamente, sollevata.
<<Hai il permesso di invitare
chi desideri infatti gli inviti sono già stati spediti, ci sarà il fior fiore
della buona società inglese e tutti i tuoi amici più cari. Quello però che non
sai è che un’altra persona si è aggiunta alla lista...è di lei che
dobbiamo parlare...>> altra pausa. Le due maggiori si scoccarono un’occhiata
d’intesa di sottecchi.
<<Elisabeth, tuo padre ha
ricevuto notizia che il barone di Dublino, il signor Liam O’Connor,
è a Londra per affari. Poiché tuo padre ha interessi in Irlanda ha deciso di
invitare anche il barone alla tua festa. Avremo occasione così di mostrargli la
nostra ospitalità e...diciamo di accattivarcelo un po’ e
poi è un onore per tutta la nostra famiglia avere come ospite un uomo così
importante!>>
Elisabeth era allibita, la sua bocca
era aperta in un cerchio perfetto di stupore. Non poteva credere che sua madre
avesse fatto una cosa del genere!
Aveva veduto per la prima volta il
barone in un ritratto e dire che ne era rimasta incantata era un eufemismo.
Quell’uomo
possedeva un fascino ammaliatore. Aveva lunghi capelli scuri che sembravano possedere
una morbidezza impalpabile, gli occhi erano due pozzi neri che brillavano di
dolcezza, resi vivi da una tristezza quasi disarmante. Aveva una fronte
piuttosto alta e spaziosa ed Elisabeth, pur non avendola mai toccata, era certa
fosse liscia e profumata come un petalo di rosa. Il suo volto poi...una
maschera di marmo di Carrara, bianchissimo e lucente. Lo aveva adorato dal
primo momento, pur trattandosi di un dipinto che non era sicuramente in grado
di rendergli giustizia.
Un pizzico sul braccio da parte di
Down la fece tornare in sé, fissò pera sua madre, con sorriso sognante.
<<Vedo cara figlia che non sei
contrariata per la decisione di tuo padre...nella lettera arrivata stamani ho
appreso la notizia che il barone è molto onorato per quest’invito
e accetta di buon grado, pregandoci di riferirti che sarà più che un piacere
essere l’ospite d’onore della tua festa e ti manda
i più sinceri e dolci auguri. Inoltre, pochi minuti fa è arrivato anche questo
dono da parte sua, cara che ne dici di scartarlo?>>
le fu messo in mano un piccolo
pacchettino avvolto in carta di riso blu. Gli occhi di Willow, Down e Joyce si
puntarono immediatamente sull’oggetto mentre la loro curiosità
saliva insieme a quella della fanciulla.
Con mani tremanti d’eccitazione
aprì delicatamente l’involucro scuro e al suo interno
si rivelò un astuccio quadrato di velluto rosso. Un’esclamazione
di stupore apparve sui visi delle tre donne.
Quando lo aprì vide un finissimo
anello d’argento, con un cuore tenuto ai lati da due mani e
sormontato da una corona.
Sospirò senza fiato per la bellezza
dell’oggetto, cosa che compiacque molto le tre donne.
Down sorrise, sua sorella presto
sarebbe stata baronessa d’Irlanda, conosceva alla
perfezione le intenzioni di suo padre. E lei, la cara sorella avrebbe avuto una
buona occasione per introdurre Andrew nel mondo della finanza. Il barone era un
grande possidente e aveva parecchi amici tra tutti i più grandi finanzieri e
curatori d’interessi. Il caro Hank avrebbe diviso il contado di
Sunnydale in tre porzioni, una volta che le tre figlie si fossero sposate l’avrebbe
dato come dote. Era praticamente certa che avessero combinato un matrimonio d’interesse
alle spalle di Elisabeth, O’Connor possedeva terreni in
America, la maggior parte dei quali confinavano con Sunnydale e Hellmouth,
quindi accaparrarsi una parte anche del primo era la sua prerogativa. D’altra
parte il conte Summers avrebbe avuto una figlia baronessa e dei buoni terreni
in Irlanda, che cercava da anni di accaparrarsi senza successo. Il barone non
voleva Elisabeth per il suo bel faccino, non principalmente. Se poi le si
innamorava tanto meglio.
Ed Andrew avrebbe amministrato i
terreni oltreoceano, con una piccola pressione sul padre che aveva un debole
per lei sicuramente avrebbe ottenuto tutto questo. Così sarebbe potuta tornare
in america, odiava l’Inghilterra e la sua grigezza
malinconica, voleva il sole della sua patria natia! Se solo Andrew non fosse
stato tanto preso da quello stupido teatro e dal modo per migliorare le
rappresentazioni grazie alle innovative scoperte della scienza! Che cosa
serviva nella vita un lavoro di così basso reddito e onore?
Elisabeth, ignara dei programmi
macchinosi che la madre e Down stavano facendo, rigirava tra le mani il suo
anello, ammirandolo insieme a Willow. Pensava già al suo ballo, il suo primo
ballo con la persone più importante della sua vita!
Surprise! (parte2)
Pomeriggio inoltrato, le cinque circa,
una luce livida di sole si intrufolava attraverso le imposte semi chiuse del
grande studio di mogano rosso.
Elisabeth rigirava il suo anello tra
le mani, lo sfiorava amorevolmente e ne percorreva i contorni con perizia,
sorridendo tra sé e sé per la delicatezza delle rifiniture, per la lucidità
dell’argento, sorridendo a quelle mani incise così delicatamente.
Si perdeva nell’osservare la fluidità delle curve del cuore.
Immaginava la sera in cui l’avrebbe
incontrato per la prima volta, lei avrebbe indossato qualche sofisticato abito
appena confezionato apposta per lei,
Sorseggiando coppe di Champagne della
miglior annata sarebbe riuscita ad accaparrarsi l’attenzione
di ogni uomo nella sala. Alla luce argentea delle candele riflessa dai
cristalli dei lampadari avrebbe camminato con scioltezza, mostrando il suo
sorriso ammaliante a chiunque, conversando brillantemente di moda con le
signore e di politica con i signori; avrebbe civettato in modo pudico, sempre
bevendo vino e rimanendo perfettamente sobria. La sua risata argentina e non
volgare sarebbe risuonata al di sopra della voce dei presenti come il canto
dell’allodola e avrebbe perfino incantato gli orchestrali
italiani che avrebbero provato in mille modi a riprodurre si tal impareggiabile
melodia. Il timbro vellutato della sua voce avrebbe ammaliato le menti e
attratto l’attenzione di tutti i presenti su di lei che si
sarebbero ben impressionati della contessina Summers, così giovane e così
matura!
Poi sarebbe arrivato lui, avvolto in
vesti azzurre che gli fasciavano il corpo in modo superbo. Sarebbe entrato
dalla porta principale, che naturalmente si sarebbe aperta da sola al contatto
con la sua aura. I suoi occhi avrebbero sparso una nuova aria nella casa, un’atmosfera
che sapeva di dolcezza e amore, intelligenza e superiorità. Con il suo passo
elegante avrebbe attraversato tutto il salone, lasciando senza fiato ogni dama
che si sarebbe rosa dall’invidia. I suoi fluenti capelli
mori sarebbero stati come quelli di un dio greco, avrebbero ondeggiato
morbidamente sulle spalle larghe e proporzionate creando una cornice meravigliosa
per quel viso d’angelo perfetto.
Si sarebbe avvicinato a lei e con un
profondo inchino l’avrebbe omaggiata, alzando poi
il capo e sussurrando con la delicatezza della brezza estiva il suo nome. Quella
parola sarebbe sgorgata dalle labbra carnose e sarebbe parsa la più bella della
terra. Al suono di quella voce vellutata si sarebbe sciolta nel sorriso più
seducente e avrebbe a sua volta pronunciato il suo nome, con una fitta di
dolore nel separarsi da quelle sillabe così preziose, donandole all’aria
che le avrebbe portate a tutti. Poi lui l’avrebbe presa gentilmente per
una mano, conducendola sulla pista da ballo camminando quasi senza poggiare i
piedi a terra. E lì l’avrebbe fatta volteggiare nel valzer
più romantico della sua vita, una volta fermati l’avrebbe
tratta a sé, avvicinando le labbra e sussurrando con un tono caldo e tenero…
<<Signorina Summers!!!>>
Elisabeth fece un salto sulla poltrona
e fu portata violentemente alla realtà, ritrovandosi tristemente seduta nella
stanza che usava per studiare, in un abito semplice di cotone rosa, con il
caldo nauseante della stanza chiusa, in compagnia di libri e del suo
precettore, il signor Snyder.
La voce stridula, che sembrava
grattare le pareti della gola quando usciva, stava alzando il suo volume.
<<Capisco siate eccitata dalla
vostra…imminente festa…ma non sono più disposto ad
accettare questa totale mancanza di concentrazione da parte vostra! Nulla è più
importante della grammatica francese per me e nemmeno un ricevimento in vostro
onore mi farà desistere dall’impartirvi una buona educazione!
Sono stato abbastanza chiaro?!>> sibilò sputacchiando l’uomo,
guardandola con cattiveria.
Lei sospirò rassegnata e assumendo l’aria
più contrita che conoscesse.
<<Scusatemi signore, avete
perfettamente ragione! Siete autorizzato a riprendermi in modo brusco la
prossima volta che succederà…>>
<<Certo che sono autorizzato!!
Sono il vostro insegnante e guida morale! Vi assicuro che non ci saranno
prossime volte signorina!!>> sbraitò l’uomo così
rosso da sembrare su punto di un attacco di cuore.
Lei abbassò il capo, come poteva
pretendere che quell’essere la capisse?
Snyder era un uomo di minima statura,
magro e secco, con un passo nervoso e veloce. Aveva una testa piuttosto grossa
con una strana forma a pera girata al contrario. Era calvo quasi completamente,
eccezione fatta per dei capelli posti ai lati, sopra le orecchie.
In mezzo alla faccia erano piantati un
paio di occhi a capocchia di spillo che osservavano tutti con quell’aria
di antipatica stizza tipica di un uomo che sa di non piacere alle persone.
La voce aveva un timbro
fastidiosissimo anche perché sembrava sciacquare nella bocca con la saliva e
creare un risucchio terribile.
Le sue mani erano magre come quelle di
un povero contadino francese del 1788 e saettavano con scatti iracondi sulle
carte, stringendo convulsamente i lapis che faceva grattare fastidiosamente.
Vestiva con abiti troppo rigidi e dall’odore
di naftalina che variavano dal grigio antracite a blu scurissimo.
Qualche anno prima era stato il
preside mediocre di un prestigioso istituto scolastico nel quartiere Bene di
Londra. In seguito ad un incendio doloso di cui non si era mai trovato il
colpevole l’edificio era stato distrutto completamente, erano
morti tre figli di nobili molto influenti e a causa dei familiari lui aveva
perso tutto. Così ora si abbassava a dare lezioni private nelle case nobiliari.
La cosa strana era che odiava
profondamente i ragazzi e da quel fatto soprattutto i rampolli. Riteneva che un
istituto scolastico sarebbe stato perfetto una volta eliminati tutti i giovani.
Li odiava per la loro felicità e la spensieratezza, per quella loro tendenza a
vivere serenamente ogni giorno e odiava i loro schiamazzi assurdi. Nella sua
vecchia scuola trattava tutti con le maniere forti e si asteneva dall’usare
la frusta solo perché pagavano bene. Ma li aveva sempre disprezzati,
soprattutto per quella loro tendenza ad “accoppiarsi come conigli”, la
sola idea lo riempiva di ribrezzo.
In special modo detestava la signorina
Summers perché vedeva in lei l’esempio più concreto della
stupidità e gaiezza giovanile senza contare che, a suo parere, possedeva una
spiccata tendenza a cacciarsi nei guai. Non gli piaceva quella giovincella,
leggeva nei suoi occhi verdi così fastidiosamente luminosi una insolenza senza
pari.
<<Signorina avanti, ancora una
volta!>> ordinò perentorio.
<<Je fais, tu fais il fait, nous
faisons, vous faites, ils font. Je vais, tu vais, il va, nous allons, vous
allez, ils vont. J’ai été, tu as été, il a été,
nous ont été, vous avez é..>> <<No, No, No!!! Non pronunciate
esattamente! Non è una U stretta! È OU quindi una U normale! Come direste Uva!!
Dall’inizio!!>> sbraitò arrabbiatissimo, facendo
scrocchiare le dita della mano sinistra e stringendo convulsamente i fogli d’esercizi.
Alla fine della giornata Elisabeth era
sfinita e aveva cominciato ad odiare profondamente la lingua francese.
Era nella sua stanza sdraiata sul
letto quando Willow era entrata come una furia con in mano una busta
stropicciata. L’aveva aperta febbrilmente con un tagliacarte e aveva
cominciato ad estrarre il foglio. Quando si era accorta della sorella era
diventata completamente rossa in viso e aveva nascosto dietro di sé, sulla
scrivania, l’oggetto incriminato.
Non si era nemmeno tolta il cappellino
e i guanti.
<<E-Elisabeth…no-non
ti avevo vista…scusami…>> secondo la bionda
avrebbe dovuto almeno immaginare che ci fosse, dato che quella in cui era
entrata era la sua camera. Era straordinario quanto le sorelle maggiori non si
preoccupassero di invadere la sua privacy, fortunatamente non aveva fuori
nessun “ferro del mestiere”, come
avrebbe spiegato la presenza di una balestra armata di un lungo paletto di
legno? Di certo non sarebbe riuscita a salvarsi dicendo il classico:”Non è
come pensi…”.
<<Non importa Willow, hai
bisogno di qualcosa?>> domandò piuttosto preoccupata nel vedere la
sorella così sconvolta per essere stata scoperta a fare qualcosa di male,
neanche fosse stata lei
<<No Lizzy, ero venuta qui
perché…perché ho sbagliato stanza…sai
tutto il giorno sotto il sole a fare compere estenuanti…>>
rise nervosamente e sorrise poco convincente.
<<È che mi sembravi così…sconvolta…è
andato tutto bene oggi pomeriggio?>> domandò seguendo i movimenti della
rossa che tentava in tutti i modi di far sparire il foglio senza dare nell’occhio.
<<Oh…sì
certo, c’è la mamma giù che ti aspetta, vuole parlarti…ecco
perché ero salita qui capisci?>> si allargò in un sorriso incoraggiante.
<<Ma se hai appena detto che hai…>>
<<Elisabeth Anne Summers! Se continui a contraddire le persone non
troverai mai nessun uomo che ti sopporti sai? Il conte è un uomo che ama il
silenzio e la sottomissione!>> si girarono entrambe e videro Down ferma
sulla porta che batteva il piedino in segno di rimprovero, aveva un bel sorriso
divertito e le braccia incrociate. Col mento alzato in maniera altezzosa e i
capelli raccolti in una crocchia elegantissima sembrava un’insopportabile
donna perfetta.
Elisabeth non gradì l’osservazione
tanto più che alla mora nessuno aveva chiesto nulla.
<<Su vieni Elisabeth, nostra
madre ha bisogno di farti vedere una cosa.>> così dicendo la prese per un
braccio e la guidò gentilmente verso il salotto azzurro. Prima di uscire
completamente dalla camera scoccò un’occhiata complice a Willow.
Arrivata di sotto trovò Joyce immersa
nei pacchetti dalle più varie forme e colori. Nel suo abito di cotone leggero
color verde chiaro faceva una magnifica figura, il cappellino bianco inamidato
con le penne bianche le rendeva il viso tagliente, accentuandone la magrezza.
Aveva un’aria così altezzosa da sembrare fatta di marmo.
Elisabeth si sorprese una volta di più della classe che sua madre sfoggiava e di
quanto potesse apparire perfetta in ogni occasione, anche dopo un’estenuante
giornata di shopping.
Appena la vide le fece cenno di
avvicinarsi, mentre impartiva ordini ad uno stuolo di domestici, pregandoli di
scartare e ritirare i nuovi acquisti.
Elisabeth la raggiunse, accorgendosi
che un paio di pacchi erano rimasti accanto alla madre.
<<Cara figlia, con le tue
sorelline ci siamo divertite a scegliere un regalo di compleanno per
te.>> esclamò molto eccitata, quasi fosse lei la festeggiata. Lei sgranò gli
occhi stupita e guardò Down che annuì felice, venendo ad abbracciarla forte.
<<Ma…madre
mi avete già donato quel meraviglioso cavallo arabo! Non avreste
dovuto!>> la signore Summers scosse la mano per dirle di non
preoccuparsi. Con gli occhi brillanti di felicità la donna la guidò verso i
pacchi.
<<Tesoro quello era più che
altro il regalo di tuo padre! Lui non se e intende molto di desideri femminili
e alla tua età è ancora più difficile scegliere un dono…diciamo
che questo è il regalo di noi ragazze che ti conosciamo benissimo…>>
rise scioccamente. Definirsi ragazza da parte sua era veramente una gentilezza
verso quelle rughe profonde che le increspavano la pelle intorno agli occhi.
Quanto al conoscerla…Elisabeth cominciò a
preoccuparsi seriamente di quale natura potesse essere il regalo dato che era
già un miracolo che sua madre si ricordasse di avere una figlia di quasi
diciotto anni…ripose la fiducia nelle sorelle che di sicuro erano
le persone che la conoscevano meglio dopo Drusilla.
<<A proposito mia cara, come
avresti chiamato quella bellissima bestia?>> chiese la donna mentre
frugava tra le montagne di carta velina che la separavano dal dono.
<<Lucius…>>
disse soprapensiero la ragazza.
<<Un nome bizzarro Elisabeth
anche se…considerato il suo aspetto mi pare gli si addica.
Incute abbastanza un senso di tenebrosa forza. Quel suo colore nero è così
profondo…>>
Down andò ad aiutare la madre perché
non riusciva veramente a districarsi dalla montagna di carta protettiva.
Quando riuscirono a prendere l’agognato
oggetto Elisabeth chiuse gli occhi e li riaprì. Rimase a bocca aperta. Davanti
a lei le due donne reggevano un tessuto bellissimo di broccato nero e un altro
di velluto che era percorso magnificamente da fini capelli d’argento.
Ne toccò quasi con paura una parte e percepì sotto le dita una sensazione di
morbidezza incredibile, pari a quella che si ha accarezzando il pelo di un
coniglio d’angora. La lucentezza dell’argento
era straordinaria e spiccava tra il nero con semplice eleganza, formavano
strani disegni monocromatici di fiori pregiati delle regioni dell’Oriente.
<<Allora sorellina…ti
piace?>> domandò la mora, togliendosi distrattamente il cappellino color
lavanda.
<<È…sono
superbe! O vi ringrazio madre! Grazie Down…grazie Willow!>> aggiunse
vedendo l’altra raggiungerle con il più radioso dei sorrisi. Da
come l’aveva vista precipitarsi nella camera si aspettava
che avesse appreso qualcosa di terribile, ora invece era la personificazione
della serenità e gaiezza.
<<Sono solo stoffe naturalmente
tesoro, per mercoledì sera diventeranno un meraviglioso vestito! Ho già
commissionato il modello a madame Deveraux.>> Elisabeth si trattenne a
stento dal saltarle addosso, quelle erano cose per le bambine e non per
signorine di ormai diciotto anni! Annuì compostamente e strinse forte le mani
della donna, sorridendo quasi non potesse più farne a meno. Abbracciò invece le
sorelle e li ringraziò di tutto cuore per l’ottima
scelta.
Dopo aver di nuovo ringraziato la
madre e sfiorato amorevolmente con gli occhi la stoffa se ne tornò in camera,
doveva assolutamente scrivere un messaggio alla sua migliore amica.
Si sedette sullo scrittoio della
cameretta e accompagnata dalla luce morente del sole prese tutto l’occorrente
per scrivere. Sbadatamente diede una manata ai fogli bianchi e li sparpagliò in
giro per il pavimento. Quando si accinse a raccoglierli ne trovò uno già
scritto, inizialmente pensò ad una brutta ma non riconoscendo la scrittura sua
ne di nessun altro membro della famiglia lo lesse.
“Mia carissima amica,
sono molto colpito dalla vostra
lettera e vorrei informarvi che ricambio il vostro sentimento con molto ardore.
Da lungo tempo vi ho osservato con occhi diversi da quelli di un semplice
amico, ho sempre taciuto il mio sentimento a causa della vostra età, nonostante
non siate di molto più giovane di me ho temuto di turbarvi con una
dichiarazione. Quando ho letto ciò che avete scritto con la guida del cuore
anche il mio ha palpitato più forte e ora entrambi sono una cosa sola. Vi prego
non consideratemi uno sfacciato, però sento il bisogno di dirvelo apertamente
mia adorata e di usare una persona diversa dal Voi: Ti amo carissima, dal primo
istante in cui ti vidi a quel ballo in maschera, vestita da nordica
principessa. Non riesco a vivere senza vederti almeno una volta al giorno e il
pensiero che la voce del mio liuto possa rallegrare le tue orecchie mi è di
grande conforto perché attraverso quelle note posso raggiungerti.
Ci vedremo quando tu sai, non attendo
altro che stringerti e baciare la tua chioma rossa!
Il tuo servo e devoto amore
O.”
Elisabeth era esterrefatta non solo
perché aveva letto la corrispondenza altrui con molta leggerezza ma perché
quelle parole così intrise d’amore l’avevano
stordita. La cara e bella Willow aveva trovato finalmente qualcuno a cui dare
il proprio cuore!
Era felicissima per lei ma anche
estremamente triste, presto anche la maggiore si sarebbe sposata e lei sarebbe
rimasta in quella casa da sola per sempre, senza nemmeno la compagnia di quella
dolce ragazza timida e riservata a cui confidava quasi ogni segreto.
Era evidente che ormai Willow aveva
letto la risposta, ecco spiegato lo smagliante sorriso a trentadue denti. Ma
come avrebbe potuto vivere lì senza nessuno?
Con le lacrime che minacciavano di sgorgare
da un momento all’altro ripose il foglio tra gli altri e ne prese uno
pulito. Leccando la penna e immergendola nell’inchiostro
scrisse:
”Cara Dru,
sono disperata e gioiosa allo stesso
tempo! Dru non crederai mai a quello che sto per dirti! Willow ha un
corteggiatore e anzi, a quanto ho capito è stata lei a fare il primo passo!!!
La timida e riservata Willow!! L’ho appreso da una lettera sparsa
tra i miei fogli di bella!! La deve aver letta in camera mia di nascosto e poi
dimenticata!! Io sono a pezzi amica mia! Non voglio rimanere da sola in questa
grande casa!!
La buona notizia è che mia madre, anch’io
stentavo a crederci all’inizio, mi ha regalato una
stoffa meravigliosa per cucire il vestito del ballo di Mercoledì!! L’ha
già mandata alla sarta! Sono in fibrillazione cara Dru, non pensavo che a mia
madre venissero certe idee! La credevo una donna impegnata a far la bella vita,
partecipando a ricevimenti e a balli ma ora scopro che sa di avere una figlia!
Da quando il barone ha accettato l’invito sembra molto interessata
a me! Le importa qualcosa di sua figlia e vedo che tiene a me! Quanto a lui
Drusilla cara…fremo dall’eccitazione! Tu non hai idea di
quanto sia bello e il pensiero che abbia accettato…ti ho
già parlato dell’anello?…” e qui Elisabeth andò avanti
per molto tempo, raccontando tutto ciò che sapeva sull’uomo
e quello che già sentiva di provare.
Alla fine del breve messaggio uscirono
sei pagine scritte fitte fitte da entrambi i lati. Quando ebbe finito chiamò
Anya.
<<Amica ti prego, sgattaiola a
chiamare la servetta dei Landau e digli che dica alla cuoca di dire alla
domestica di dire a Amy di dire a Drusilla di trovarsi al solito posto perché
le devo dare una cosa!>>
I parchi delle due dimore erano
confinanti, sul lato ovest c’era un grande muro ricoperto da
edera incolta, proprio sotto quest’edera le due amiche avevano
scovato dodici anni prima un passaggio di pochi decimetri. Da lì comunicavano
ricoperte dal rifugio offerto dalla pianta rampicante che invadeva entrambi i
giardini. Si scambiavano spesso giocattoli o piccoli doni d’affetto,
Drusilla scriveva magnifiche filastrocche e poesie che col passare del tempo
aveva acquistato una musicalità e originalità straordinaria. Ma del resto la
stessa Dru era molto originale. Aveva una fervida fantasia, poteva considerarsi
eccentrica e grande sognatrice. Una bellissima ragazza dal corpo slanciato e i
lunghi capelli bruni che la rendevano simile ad una fata.
Una volta consegnato il messaggio a
Drusilla se ne andò a cena e poi a letto. Pregando che Willow perdesse il suo
spasimante e immaginandosi nel suo vestito meraviglioso a volteggiare con il
suo principe.
Una carrozza coperta correva
velocissima per le vie limitrofe di Londra. I cavalli nerissimi erano spronati
fino all’esaurimento, correvano così veloci che gli occhi
rossi sembravano scoppiargli, li rendevano simili a demoni dell’inferno.
Nell’oscurità della notte stavano macinando i chilometri e
presto sarebbero giunti a destinazione.
Presso le mura di Londra la vettura
nera frenò fino a consumare le ruote ma tale era la velocità a cui andava che
arrivò a sbattere contro il cartello di legno che diceva: London.(è inventato,
non ne ho la minima idea se ci fosse…)abbattendolo.
Dallo sportellino uscì fluidamente una
figura nerovestita. Si voltò verso la strada appena percorsa e aspirò dalla sua
sigaretta, espellendo il fumo con aria arrogante. I suoi capelli scintillavano
alla luce della luna.
<<Casa dolce casa…>>
First Date (parte1) prendetelo come un
“primo incontro”
Il giorno fatidico era finalmente
giunto, alle tre del pomeriggio la casa si trovava nel subbuglio più totale. C’erano
domestici che correvano di qua e di là senza sosta. Lucidavano i più pregiati
argenti della casa, pulivano gli enormi pavimenti di marmo fino a farli
splendere. Una frotta di cameriere era intenta a sistemarsi gli indumenti e ad
inamidarsi i grembiulini. Gli enormi lampadari di cristallo di casa Summers
erano stati abbassati e passati con piumini per circa due ore tanto che ora la
luce delle candele era così intensa da abbagliare. Enormi guide di velluto blu
scuro scendevano dalle scale e si snodavano fino all’ingresso,
i tappeti erano privi di qualsiasi forma di polvere e anche la stoffa che
ricopriva ogni poltrona, divanetto o divano era impeccabile.
Ma tutto il fermento per far apparire
la casa al meglio non era nemmeno minimamente paragonabile al fervore che c’era
tra le donne Summers.
Ognuna di loro aveva ogni sorta di
problemi. Down non riusciva a trovare una scarpa e aveva tristemente scoperto
che il suo fermaglio di quarzo bianco preferito non riusciva a contenere la
massa di capelli mori. Willow aveva molta difficoltà a scovare i guanti in
coordinato con il vestito, dato che la sua camera era stata messa sottosopra da
Down che cercava quella maledetta scarpa. In pratica sembrava che i bauli e gli
armadi avessero rigurgitato tutto il loro contenuto. La signora Summers era
estremamente irrequieta perché la figlie avevano problemi e perché, da parte
sua, temeva anche per l’organizzazione della casa. Per
la prima volta in vita sua si era trovata in difficoltà nell’arredare
la dimora per una festa. Non conosceva i gusti dell’ospite
d’onore e quindi temeva di sembrare troppo pacchiana o
molto umile. Anya si era offerta per aiutarla nello scegliere le decorazioni,
anzi avrebbe anche fatto tutto lei ma Joyce, memore del fatto che la ragazza
non aveva propriamente gusti sobri da persona normale aveva rifiutato
gentilmente l’offerta. Dato che però le cose da fare si
accumulavano era stata costretta a preparare una lista dettagliata e molto
precisa di come addobbare ogni singolo metro della casa e aveva obbligato la
domestica a seguirla punto per punto senza permetterle di modificare nemmeno
una virgola. Si rammentava ancora quando per il battesimo di Elisabeth aveva
ordinato alla sartoria una serie di abiti verde acido cangianti, sostenendo che
il colore andava molto di moda e che era semplicemente stupendo e molto più
adatto del bianco crema ordinato dalla padrona.
Le stanze delle quattro donne erano un
viavai di cameriere che portavano spazzole, fiocchi, specchi, cosmetici,sottane
da una camera all’altra. Tra il subbuglio generale e l’agitazione
maniacale della minore avevano dovuto somministrare la bella donna a padrone e
serve, altrimenti nel giro di due ore sarebbero morti tutti d’ansia.
Il povero maggiordomo Oliver faceva su e giù dalle scale, essendo stato
qualificato come portavoce ufficiale tra il mondo di sotto e quello di sopra.
Se al poverino non era scoppiato ancora il cuore era solo perché da giovane
aveva fatto il centometrista nella squadra parrocchiale. Ma all’alba
dei suoi settantotto anni gli riusciva difficile correre per quegli scalini
quattro volte in dieci minuti per riferire ogni sorta di problema si
verificasse con la procedura d’arredo. Raggiungere i piani
superiori però non implicava la fine dei problemi, oltre a dover cercare la
signora Summers su tre pianerottoli diversi doveva pure scovarla in mezzo al
viavai di ragazze cariche di vestiti e mutandoni, ovviamente senza
intralciarle.
La figlia bionda era la più nervosa di
tutti. L’idea di incontrare il suo principe azzurro e di dover
sostenere con lui una conversazione di più di due sillabe la terrorizzava. Le
pareva capitassero tutte a lei, prima si era rovesciata la cera di una candela
addosso, macchiando la sottana. Così per cambiarla aveva dovuto far girovagare
la povera cameriera per mezz’ora dato che quell’indumento
sembrava risultare l’unico raro esemplare della sua
specie in quella casa. Una volta rimediato aveva rotto il ventaglio di pizzo
viola così si era dovuta far prestare da Willow quello nero, usato per il
funerale di zia Winifred. Il vestito era in ritardo, i capelli pieni di nodi e
le forcine introvabili. Il nastro di seta pareva non essere mai esistito e la
spazzola un oggetto sconosciuto in casa Summers. Così tra strepiti isterici e
pianti incontrollabili la povera ragazza era sprofondata nello sconforto più
totale.
Una scampanellata alla porta d’ingresso
risollevò molti animi. Chi sperava fosse finalmente il cesto di fiori ordinato
dal garzone più di un’ora prima, chi credeva fossero
le livree nuove per i camerieri, chi implorava fossero i guanti persi e chi
pregava ardentemente fosse un maniaco armato di schioppo pronto a farli fuori
tutti.
Anya andò ad aprire evitando agilmente
due divani e un quadro trasportati per il corridoio. <<Fa che sia Jack lo
Squartatore, fa che sia Jack lo Squartatore…>>
aveva ripetuto ad alta voce tutto il tempo.
Aprì il portone e si trovò davanti
Giles.
<<Squartatore sbagliato.>>
disse ricevendo un’occhiata sorpresa ed
interrogativa da parte dell’uomo. Non si scompose più di
tanto e con aria di sufficienza esclamò: <<Suvvia non faccia tanto il
sorpreso, le sue abitudini sanguinarie le so da un pezzo!>>
<<Mia cara ragazza io sono qui
per vedere la signorina Elisabeth! Ma come fa a conoscere…>>
<<Oh un giorno il mio occhio è caduto accidentalmente su un suo libro. “Lo
Squartatore, capo di una setta di esaltati che venera Dio sa cosa, di media
statura, bruttino, miope ed appassionato di mistero, tweed e libri, inglese” ho
fatto due più due, più palese di così!>> l’uomo ci
rimase un tantino male ma non fece in tempo ad esprimere un parere poiché la
ragazza lo agguantò per un braccio e lo trascinò dentro casa.
<<Misericordia!>> esclamò
esterrefatto l’uomo, allibito di fronte al caos e all’agitazione.
Anya sorrise. <<Già, le do un consiglio: non faccia mai figli o se
proprio deve si dimentichi ogni compleanno o occasione che potrebbe essere un
motivo per organizzare una festa!>> questa sua pillola di saggezza
riscosse la piena approvazione dell’uomo anche se non l’avrebbe
mai ammesso davanti a lei.
<<Ha detto che voleva vedere la
signorina? È una visita di cortesia o…>> lo guardò dritto negli
occhi lasciando in sospeso la frase. Lui tossicchiò leggermente e con un filo
di voce disse: <<Altro…ti prego falla scendere
subito.>> lei annuì e corse verso le scale.
Chiamò il maggiordomo e un rantolo
disperato le rivelò che si trovava ai piedi della scalinata appoggiato sfinito
al corrimano. Gli occhi vacui e terrorizzati da una possibile richiesta di
chiamare qualcuno di sopra. Anya capì che fargli fare anche un solo gradino
poteva essere fatale e avere un cadavere in giro per casa era un bell’inconveniente
dato che non avrebbe saputo proprio dove metterlo.
Scosse la testa e sul volto dell’ometto
si dipinse un sorriso di sollievo.
Si inerpicò per le scale ben attenta a
non sgualcire le bordature d’orchidee viola che ricoprivano
la ringhiera.
Arrivò incolume fino alla camera della
padroncina, sperando di non trovare anche qualche paletto sparso insieme agli
abiti, nella foga…
<<Signorina, il duca Giles è di
sotto e desidera vedervi.>> lei la guardò sorpresa, con una ciocca di
capelli sparata per aria.
<<Non poteva aspettare stasera
per gli auguri?>> chiese frastornata.
Anya scosse la testa e guardandola
fissa negli occhi disse: <<Ha detto che è una questione di *pungente*
importanza, vi ha dato la *caccia* tutta la giornata.>> la ragazza intuì
e senza dire nulla si precipitò giù dalle scale, arrivando con in indosso poco
più che una sottana. Il duca la guardò imbarazzato e arrossì, ringraziando Anya
che l’aveva poi coperta con una vestaglia recuperata in
mezzo a tutto.
<<Signor Giles, ha sbagliato
orario, la festa è alle nove! Quindi se non le dispiace dovrebbe ripassare
*solo* a quell’ora!>> ma l’occhiata
contrariata che le lanciò la fece tacere.
<<Elisabeth…mi
duole dirtelo ma questa sera devi andare a caccia…sono
arrivati ordini improrogabili dal consiglio.>>
<<Ma..ma..ma…questa
sera I vampiri non ci saranno! Gli ho dato la serata libera l’altra
notte perché oggi c’era la mia festa! Vedrà non
succederà nulla…è il mio intuito femminile da esperta che me lo
suggerisce ed è una garanzia perché io sono un’ammazzavampiri
e sono una donna…la garanzia c’è!!>> esclamò disperata.
<<Mi rincresce moltissimo mia
cara ma non ti è permesso trasgredire dagli ordini del tuo superiore!>>
<<Ordini? Ma lei non mi sta…non
mi ha mai ordinato nulla! Non ha il diritto di venire a farlo ora! Non è legale
che nella sera del mio compleanno lei mi ordini!>> grido con le lacrime
che minacciavano di uscire prepotenti. Anya capì che se non l’avesse
calmata subito, lo stress, la tensione accumulata e la notizia le avrebbero
fatto venire una crisi isterica.
L’abbracciò stretta e lei
ricambiò, scoccando da sopra la spalla della donna occhiate cariche d’odio
al suo Osservatore.
<<Dovresti essermi grata per
questo! Molte poche cacciatrici hanno avuto la libertà che hai tu!>>
<<La mia libertà? Che cos’ho
io? Non ho nemmeno una vita normale come ogni ragazza della mia età!>>
<<Elisabeth tu non sei una
ragazza normale! Sei la prescelta! Per ogni generazione c’è una
prescelta che si ergerà sul male…>> <<La smetta! La
so a memoria quella stupida tiritera! Non l’ho scelto
io di essere così!>>
<<Non mi importa mia cara,
questi sono gli ordini, devi andare a caccia perché è il tuo dovere e perché
questa è una notte strana.>> si pulì il monocolo con un panno e riprese
la sua aria imperturbabile, anche se nei suoi occhi si poteva leggere il
dispiacere per vedere la ragazza soffrire…lui non era certo uno di quegli
osservatori despota che pretendevano la perfezione dalle loro adepte. In cuor
suo considerava molto la vita umana e non vedeva queste giovani ragazze come
macchine per uccidere ma come esseri umani. Aveva sgarrato anche troppo e
Quentin ne era venuto a conoscenza. “Se verrò a sapere ancora di
queste tue iniziative umanitarie ti solleverò dall’incarico
Rupert! E sarà per sempre…” era solo per il suo bene se
doveva agire così.
<<Che succederà
stanotte?>> domandò più interessata. Il suo istinto di predatrice era
riemerso prepotentemente e non poteva soffocarlo.
<<Non posso rivelartelo,
trasgredirei agli ordini.>> lo guardò molto male, profondamente
contrariata per l’atteggiamento distaccato e non curante, sapeva però
che era inutile discutere.
<<Al solito posto
dunque?>> domandò rassegnata.
Lui le sorrise benevolo perché era
felice che avesse compreso le sue ragioni.
<<Sì, a Restfield.>>
First Date(parte2)
Erano le otto e tre quarti e ormai era
tutto perfettamente a posto anche se aveva richiesto I nervi di un paio di
cameriere e le dita delle mani di un falegname. Fortunatamente Anya aveva
dimostrato quanto fosse efficiente nel seguire alla lettera gli ordini della
padrona e nel non farsi prendere dal panico.
Appena entrati nella casa si era
accolti da una schiera di camerieri pronti a ritirare i soprabiti veloci come
fulmini e con la discrezione di un buon dipendente. Una guida blu scuro copriva
una parte del grande pavimento di marmo bianco, tracciando un sentiero che
conduceva fino al primo piano, dove si trovavano molti salottini privati e
varie stanze in cui potersi rilassare, al secondo piano c’erano
le camere delle signore e un paio di studi inaccessibili agli ospiti. All’ultimo
piano infine stavano le camere della servitù dove ben poche persone sarebbero
comunque salite.
Il piano terra invece ospitava il
giardino d’inverno dove la festeggiata avrebbe accolto gli
ospiti e intrattenuto le conoscenze più intime, un salone immenso da ballo
interamente addobbato con fiori dalle tonalità scure posati sui tavolini ai
lati della pista dove si sarebbero potuti consumare aperitivi. C’era
poi la sala da pranzo ovvero un enorme stanza in cui una tavolata con più di
duecento posti era stata imbandita. Le posate d’argento
brillante erano disposte in modo impeccabile, c’erano
cinque serie di forchette e coltelli, senza contare due cucchiai e le posate da
dessert, un vaso d’argento contenente un fiore d’orchidea
teneva in piedi il cartellino con il nome dell’ospite, i
bicchieri erano cinque anch’essi, tutti nel più pregiato
cristallo.
I ritratti di famiglia che adornavano
le pareti di un grande corridoio erano stati resi vivi tanto risultavano
puliti. Quel corridoio conduceva ad una scalinata esterna di granito rosa che
apriva le porte al parco verdissimo. Le aiuole erano arricchite da fiori
aggiuntivi e qua e la delle candele coperte da carta giallo tenue illuminavano
fiocamente la via dando un effetto magico. Le piccole fontane sparse per il
giardino zampillavano acqua freschissima creando un dolce sciacquio rilassante.
Perfino delle lucciole erano state comprate per far risultare l’atmosfera
più romantica e ora nuotavano nell’aria rilucendo come piccole
gemme illuminate a sprazzi dal sole.
Le tre sorelle Summers scesero le
scale e si sistemarono in piedi all’ingresso, giusto alla fine della
scalinata pronte ad accogliere gli ospiti.
Willow indossava un abito verde
smeraldo che risaltava i suoi occhi, era scollato moderatamente e con maniche
fino a metà braccio. Indossava guanti corti bianco latte, sul polso destro
portava un finissimo bracciale di oro molto chiaro con incastonato al centro
una pietra che richiamava il colore dell’abito ed era in coordinata con
il girocollo.
I capelli rosso fiammante erano
raccolti in piccole ciocche fissate al capo con forcine discrete mentre altri
sottili ciuffi lunghi toccavano morbidamente le spalle.
Down era avvolta da morbida seta
azzurro cielo, delle strisce di sottile raso si intrecciavano sostenendo l’abito,
andando ad allacciarsi dietro la schiena. Era estremamente semplice ma molto
elegante, abbinati aveva un paio di guanti lunghi fino al gomito bianco crema e
portava con grazia una fredda collana d’oro bianco con nel centro un
turchese grosso quanto una ciliegia. Aveva i lunghi capelli castani raccolti in
una crocchia elaborata con alcune ciocche sciolte che andavano a cadere sulla
vita, precisamente nel centro.
Elisabeth era qualcosa di
straordinario. Pur nella sua modesta statura appariva sicura di sé e l’abito
slanciava molto la sua figura avvolgendola come una seconda pelle e
sottolineando la perfezione della vita. La lunga e leggera gonna di broccato
frusciava tra le sue gambe, il velluto formava un morbidissimo corpetto senza
maniche che risaltava il seno, era scollato quasi al limite della decenza. Un
paio di guanti bianco argento lunghi fino a metà braccio risaltavano il colore
dorato della pelle. Il dito indice della mano destra sfoggiava l’anello
regalatole dal suo principe azzurro, che con la sua semplicità esaltava l’eleganza
e la sottigliezza della mano. Sul polso sinistro faceva bella mostra di sé un
fine bracciale d’argento con incastonati piccoli spruzzi di brillanti,
un’estremità si allungava a formare la testa di un
serpente con occhi di ametista. La collana presentava il medesimo soggetto solo
che la testa era leggermente più grande e cadeva proprio sullo sterno
risaltando il corpo perfetto della ragazza. I capelli biondo grano erano
raccolti in un paio di treccine poste ai lati della testa, che andavano a
congiungersi intorno ad una crocchia da cui il resto dei capelli si snodava,
scendendo elegantemente fino a metà schiena.
Tutte e tre erano estremamente agitate
ma se le prime due bene o male avevano già un cavaliere, la più piccola tremava
per l’eccitazione e la paura di risultare poco attraente.
Anche Joyce, splendida in un abito blu
all’ultima moda, e Hank Summers erano particolarmente
agitati, temevano una cattiva riuscita della serata e di conseguenza un brusco
arresto alla loro espansione nel settore finanziario.
Alle nove precise era arrivata la
famiglia Landou. Drusilla era qualcosa di etereo. Quell’abito
rosso porpora sottile e leggero come le ali di una farfalla la faceva sembrare
una ninfa e la morbida chioma nera ondulata, fermata ai lati del capo con un
filo di brillanti, risaltava il viso. I suoi grandi occhi violetti erano più
dolci che mai e brillavano alla luce delle candele come due tizzoni ardenti,
messi in risalto dal filo di trucco scuro che li contornava.
Jenny Landou, una donna molto bella da
cui la figlia aveva preso la grazia e l’aspetto, era vestita in modo
strano, una sorta di abito orientale, arrivato appositamente dalle regioni
della Romania di cui era originaria. Discendeva da un’antichissima
stirpe di zingari e lei era una delle principesse del clan. L’aver
sposato il barone Hethan Landou l’aveva portata in Inghilterra ma
ciò non significava che avesse dimenticato le sue origini tzigane.
Si avvicinò subito ad Elisabeth, che
considerava una specie di seconda figlia dato che lei e la sua bambina si
conoscevano dalla nascita e in passato non era passato giorno in cui la bionda
andasse a trovare la mora, anche per un semplice the, ma un the con Drusilla
non era mai un’occasione semplice, in effetti nulla lo era con lei.
Ogni osa prendeva il fascino di mistiche poesie e litanie delle lontane terre
orientali.
Dopo aver salutato tutte e tre le
sorelle andò ad abbracciare la contessa Summers e il conte, facendo insieme al
marito i complimenti per la splendida decorazione della casa.
I capitano Riley non aveva la solita
aria baldanzosa, purtroppo quella sera avrebbe avuto poche possibilità di
rimanere a chiacchierare in modo frizzante con Elisabeth come qualche sera
prima, sapeva bene che purtroppo aveva un temibile avversario, contro il quale
non avrebbe mai potuto competere. Nonostante questo aveva deciso di vestirsi
nella sua uniforme di gala, che secondo il suo modesto parere esaltava la sua
imponente e muscolosa figura.
Quando salutò Beth sembrava teso e rassegnato,
da parte sua la ragazza non prestava molta attenzione agli ospiti, attendeva
impaziente una sola persona...
Osvald la salutò cordialmente come al
solito, ma la cosa che la stupì fu la quantità di parole che aveva per Willow,
non capitava spesso di vederlo intrattenere una lunga discussione. D’improvviso
si rammentò
Infine giunse anche Andrew, che fu
requisito immediatamente da Down e non si videro più fino a cena.
Arrivarono altri ospiti, ognuno dei
quali venne accolto dalla famiglia ma per Elisabeth non c’era
gioia perché lui non era entrato ancora in quella casa!
Prese da parte Drusilla e la guidò
verso il giardino d’inverno. Sedute su un divanetto
cominciò a parlarle.
<<Dru sono preoccupatissima!!
Non è ancora arrivato e io...ho paura! E se avesse cambiato idea?>>
la mora la guardò con quel suo sguardo
perso e molto dolce, accarezzandole i capelli biondi con amore e prendendole le
mani disse: <<Non ti preoccupare mia piccola rosellina! Io so che verrà,
le stelle me l’hanno confidato giusto ora...>>alzò gli occhi al
cielo e attraverso il vetro rimirò il cielo che si faceva sempre più scuro.
Come avvolta da una musica molto dolce si mise ad ondeggiare, portando nei suoi
movimenti armoniosi anche le mani di Elisabeth che la guardava incantata.
<<Un principe azzurro questa
notte verrà...la chiave del tuo cuore in suo possesso avrà...>>
canterellò sognante e sorridendo in modo così dolce all’amica
da commuoverla. L’abbracciò più stretta che poté e cercò di
trasmetterle tutto l’affetto che nutriva in lei.
Drusilla le accarezzò il capo con naturalezza e sussurrò sciocchezze al suo
orecchio, parlando in un linguaggio tutto suo, il linguaggio delle stelle.
<<Dru tesoro cosa fare senza di
te?>> domandò la bionda. Lei sorrise enigmatica e fece ondeggiare piano
le dita della mano destra, osservandole rapita.
<<Non so risponderti mia dolce
Elisabeth, per fortuna non potremo mai scoprirlo perché non ci lasceremo mai,
nemmeno quando le stelle moriranno e la loro luce si spegnerà nell’eternità
e io non potrò più ascoltare il loro canto...>> due pallide lacrime le
sgorgarono dagli occhi e si persero tra la chioma corvina.
<<Voglio che tu sia sempre la
mia amica più grande, desidero condividere con te ogni momento della mia vita e
dirti sempre tutto!>> esclamò felice la bionda, stringendo di più le mani
dell’altra che però non parve ascoltarla. Si alzò di
scatto e quasi camminando sospesa da terra si avvicinò a una finestra. Chiuse
gli occhi e parlò molto piano, via via che il suo monologo seguitava la sua
espressione cambiava e diveniva triste, finché di colpo non si mise a
piagnucolare tappandosi le orecchie. Si voltò verso Elisabeth e le fece segno
di raggiungerla, non appena le fu vicino le raggiunse l’orecchio
e sussurrò lieve:
<<Il vento malvagio che vien dal
mare mi ha rivelato cattive nuove...
nell’ora più
buia dove gli spiriti escono a vagare...
troverai un angelo nero che nell’ombra
si muove
e la tua felicità lentamente saprà
guastare...
una persona sola ma due nomi in viso
porterà nel nido amore e tormento
principe e angelo uniti da legame liso
sapranno darti terrore e
sgomento....>>
la ragazza rimase per un attimo
immobile poi stringendo di più Beth riprese:<<Non capisco Elisabeth...non
sono mai state cattive con me le stelle...non mi hanno mai lasciata senza
spiegazioni...non comprendo il loro canto e ho paura rosellina mia...Mammina ha
tanta paura per la sua bimba...>> bisbigliò quasi piangendo.
Lizzy al strinse a sé ricordando nelle
sue parole il gioco che facevano da piccole di mamma e figlia, era allarmata
per l’improvviso mutamento di Dru. Non dava molto peso alle
predizioni in versi ma questa volta sembrava che la giovane tzigana avesse
avuto cattive notizie e in qualche modo si allarmò. Dopotutto conosceva la
verità, sapeva che al mondo esistevano magia e demoni, era
First Date(parte3)
Un improvviso bussare alla spalla
riscosse Elisabeth, voltandosi trovò il sorriso bonario un po’
tirato di sua madre.
<<So che vorrete parlare tesoro,
ma c’è un cavaliere che reclama la sua dama...>>
lei rimase a bocca aperta, troppo
eccitata per dire qualsiasi cosa.
<<E un altro fa
altrettanto>> una voce maschile sopra le loro teste fece voltare Drusilla
che come d’incanto sorrise raggiante a Parker e se ne andò
sognante con lui, senza più traccia d’apprensione in viso. Ma
Elisabeth era troppo presa dal suo problema per occuparsi anche dell’amica.
Fu scortata dalla madre all’ingresso dove si era formata una
certa calca, in mezzo a quella gente stava lui, il barone Liam O’Connor.
Porse al maggiordomo cilindro, bastone
e mantello e si apprestò a fare il suo trionfale ingresso nella sala, incurante
della moltitudine di persone che lo guardavano con curiosità ed interesse,
apparentemente ignaro si essere la vera attrazione della serata.
Alzò il volto candido e immacolato,
incontrando lo sguardo della fanciulla bionda totalmente succube della sua
bellezza. Le iridi verdi si fusero con quelle nere in un muto abbraccio carico
di sbigottimento, passione, amore e fu magico, per entrambi.
Elisabeth si sentì quasi morire
osservando la limpida malinconia che quegli occhi sapevano esprimere, erano
intrisi di bontà e carichi di molti pesi. Chi era quell’uomo
capace di sopportare tutta quella voragine di tristezza?
Avanzò molto piano verso di lei, quasi
abbagliato dal colore dei suoi capelli, rapito dalla forma angelica del suo
viso, stregato dal corpo minuto e dalle linee dolci. Si sentì irretito da
quella giovane sconosciuta che più che bambina non era ma che lo trascinava in
un vortice senza fine, si sarebbe buttato ai suoi piedi pur di poterla amare e
anche solo per un istante sentirsi ricambiato, perché non c’era
la possibilità che lui fosse felice, era condannato ad un’eternità
di pene e dolori e nemmeno quel raggio di sole avrebbe potuto scalfire la
coltre di malinconia che lo annebbiava.
Quando finalmente le loro mani si
incontrarono, ad Elisabeth si mozzò il respiro. Il dipinto non gli rendeva per
niente giustizia, avvolto in quel vestito blu scuro sembrava più un Principe di
terre sconosciute, un principe delle favole e lei, almeno per quella sera, era
la sua principessa. Ripensò fugacemente alla frase di Dru “Un
principe azzurro questa notte verrà...la chiave del tuo cuore in suo possesso
avrà..”, sicuramente quell’uomo aveva
con sé quel prezioso e piccolo oggetto perché sentì il suo cuore schiudersi
dolcemente in un caldo movimento e tutto questo per lui, perché aveva trovato
il suo Principe.
Non riuscì a pensare altro, quando lui
parlò la sua mente si fermò del tutto e una sorta di morbido torpore li
avvolse, estraniandoli dal resto delle persone. C’erano solo
loro due e nulla più contava al di fuori di questo.
<<Mia dolce Elisabeth...sono
onorato di trovarmi qui, al vostro ricevimento, permettetemi di esprimermi i
miei più umili auguri...>> le afferrò con dolcezza la mano e vi pose un
delicato bacio. I suoi occhi si illuminarono alla vista del piccolo anello d’argento
elegantemente indossato da quel dito meraviglioso.
Un profondo silenzio cadde nella sala,
tutti aspettavano la risposta rapiti, come se da quella frase potesse dipendere
il destino del mondo.
<<Vi ringrazio immensamente,
sono lieta che siate venuto...non so esprimere la mia gioia nel trovarmi
finalmente al vostro cospetto...>>sussurrò a mezza voce la ragazza,
intimidita e allo stesso tempo lusingata per il modo in cui lui la guardava.
Tutti intorno a loro si sciolsero in
un sorriso estasiato, le signore avevano gli occhi lucidi di commozione per
quell’incontro così speciale e gli uomini si scambiavano
cenni d’approvazione. Joyce aveva gli occhi lucidi di pianto
e stringeva la mano di suo marito con la felicità che cresceva di secondo in
secondo. Hank era semplicemente in brodo di giuggiole e macchinava quanti e
quali terreni avrebbe potutuo scegliere nell’Irlanda,
quanto potere avrebbe acquistato una volta che tutta la trattativa
economico-matrimoniale si fosse conclusa e a quanto sembrava, tutto si sarebbe
svolto in breve tempo, la sua cara figlia si dimostrava molto interessata.
Down scambiò un’occhiata
compiaciuta con Andrew, pianificando le prossime nozze e il suo trasferimento
immediato nel contado di Sunnydale. Willow aveva un dolce sorriso stampato in
volto e teneva un po’ imbarazzata la mano di Osvald,
sentendosi candidamente felice nell’osservare la sorellina e il suo
possibile cavaliere. Oz osservava il tutto con cipiglio e finalmente anche a
lui apparve un piccolo e tenero sorriso, guardò ancora la coppia e poi diede un
lieve bacio sulla guancia della sua rossa, pensando che dopotutto anche loro
erano felici.
Liam puntò gli occhi in quelli verdi
di Elisabeth e si sentì rincuorato, c’era tanta purezza in lei, tanta
rettitudine che non avrebbe mai potuto cadere nella via sbagliata, non avrebbe
mai potuto cedere e scendere in un abisso tenebroso, non si sarebbe mai
riaffacciato Lui.
<<Vorreste concedermi questo
ballo Elisabeth?>> chiese posando morbidamente la sua voce nell’aria,
facendola sembrare il canto degli uccelli del paradiso alle orecchie della sua
dama.
Volteggiare...camminare...dondolare
nelle note di un valzer tra le sue braccia...poteva sognare qualcosa di più
straordinario? Mentre la musica fondeva i loro corpi e catturava le loro
menti...poterlo vedere e sorridergli a poca distanza dall’incantevole
viso..tutto questo per lei che non era nulla di speciale, tutto questo per lei
che era la cacciatrice e non una fanciulla normale...la cacciatrice che si
ergeva su ogni altra cosa, il cui sacro compito era più importante di ogni
altra cosa...ma non quella sera, quella sarebbe stata
<<Con infinito piacere
Barone.>> rispose timida.
Così sotto le note di un magnifico
valzer avevano cominciato a muoversi, leggiadri e maestosi, due figure figlie
in qualche modo della luce e in qualche modo delle tenebre.
Dopo pochi istanti anche tutti gli
altri presero a danzare, trasportati dalla magia di quella coppia straordinaria
che li guidava su sogni passati, su ricordi di giovinezza e grandi feste.
Ballavano trasportati solo dai loro
sguardi, non c’era un motivo per staccarsi e quando la musica finì
rimasero fermi per poco a fissarsi, dopo di che si allontanarono e giunsero
vicino ad una grande finestra che dava sul parco illuminato dalla luna
piangente.
<<Vorreste andare in veranda? La
notte è calda e così bella...>> sussurrò timida Elisabeth.
Uno strano brivido corse lungo la
schiena del barone, una lieve paura gli si impossessò e si sentì meno sicuro
della sua precedente diagnosi. La notte. Tutto in quel luogo minacciava il Suo
ritorno ma del resto...lui stava nella notte, era la sua casa ma non la sua
vita, lui non viveva nella notte, la sopportava soltanto come unico mezzo per
riscoprire il mondo ma in realtà vi sopravviveva soltanto, non era una creatura
della notte di fatto ma solo di nome. Purtroppo per sua scelta tutto era
cominciato...le pene e la luce che bruciava e viveva, riviveva in lui...una
pallida e infelice imitazione della sua specie.
<<Come desiderate mia
carissima...>> la seguì per il corridoio dove ammirò i ritratti della
grande famiglia e poté notare in lei alcuni tratti dei suoi antenati, era cosi
bella e pura...
giunsero alla grande scalinata e vi si
appoggiarono lievi lievi, come due ombre nella notte chiara.
<<Non trovate sia un luogo
bellissimo?>> chiese sognante la ragazza osservando le opere di
decorazione dei suoi domestici.
Perché voleva tormentarlo,
distruggerlo così? Cosa c’era di bello nella notte? Una
pallida imitazione del giorno, una metà oscura e cattiva che racchiudeva
cattiverie e brutture, dove nulla era casto. Seguì a malincuore il suo sguardo
e capì che si riferiva al grande parco, tirò un sospiro di sollievo e annuì.
Le prese improvvisamente la mano e la
strinse, sfiorando il cerchietto d’argento che le aveva regalato. Alla
ragazza brillarono gli occhi, come poteva non svenire dopo che...dopo
che...aveva mostrato quella dolcezza e bontà nel gesto? Eppure c’era
qualcosa in lui che la lasciava perplessa, era così triste e allo stesso tempo
sembrava nutrire un certo disgusto per ogni cosa che aveva un legame con la
notte e l’oscurità in genere, cosa poteva turbare un giovane
uomo forte, bellissimo e vigoroso come lui?
<<Questo anello...sono lieto che
l’abbiate apprezzato. Significa molto per me.>>
lei sorrise e cercò di fargli capire
quanto tenesse a quell’oggetto, era come una sacra
reliquia e a volte temeva anche di bestemmiare pensandolo, ma per lei era più
importante di qualsiasi altro pregiatissimo gioiello avesse.
<<Sul serio? È veramente
meraviglioso, così semplice e diretto...io amo le cose semplici.>>
sussurrò sempre più in imbarazzo per trovarsi con lui da sola, a parlare, al
chiarore della luna.
<<Nella mia terra, l’Irlanda,
viene dato come pegno...d’affetto. Le due mani
testimoniano l’amicizia, la corona è la fedeltà e il cuore..bè è
facilmente intuibile. Lo chiamiamo Claddagh ed è dato alle future
spose...>> lei divenne scarlatta e lo guardò con occhi nuovi. Davvero
voleva questo da lei? Come poter manifestare gioia senza esagerare...non lo
sapeva nemmeno lei.
<<Sono...commossa barone...è
veramente il più bel regalo che avessi mai ricevuto. I gioielli sono così
freddi e privi di significato ma questo...questo è speciale, come lo siete voi
per me...>> abbassò gli occhi imbarazzata e le gote le si colorarono ancora
di più.
<<Sono felice mia cara...felice
di avervi incontrato e di avervi dimostrato quanto tengo a voi.>> delle
piccole lacrime di gioia le inondarono le guance.
<<Oh vi scongiuro non piangete
per questo...non sono che le parole di uno sciocco...non volevo turbarvi e
nemmeno disgustarvi.>>
<<Ma che dite? Sono state le
cose più belle e sincere che abbia mai sentito, barone..>>
<<Liam...>> <<Liam...avete fatto breccia nel mio cuore e
nella mia anima e ora non c’è che il vostro nome inciso
dentro me...mi scorre nelle vene e mi esalta...voi siete tutto...>> lui
si chinò molto piano e le diede un bacio, il primo vero bacio, casto e puro, di
vero amore.[]
Rimase interdetta per qualche secondo
e poi sorrise, consapevole che quella notte avevano sugellato qualcosa di più
grande di un amicizia, qualcosa che risplendeva i colori dell’amore
e richiamava il profumo delle rose.
Tornarono dentro e ripresero a
ballare, volteggiando felici e incuranti di tutti coloro che li osservavano
chiedendosi cosa fosse successo.
In lontananza, da una finestra poco
visibile, qualcuno aveva osservato costantemente tutta la sera la piccola
Elisabeth, si era incantato ad osservarne le fattezze armoniose e la pelle
bianca, pensando a quale odore potessero avere i suoi capelli. Immersa in quel
vestito nero, il suo nero, l’aveva ammirata e aveva deciso
che qualunque cosa fosse accaduto avrebbe avuto da lei qualcosa, quella notte l’avrebbe
sconvolta e turbata, perché questo era il suo compito e questa la sua intenzione,
lui voleva solo sapere che un giorno la ragazza avrebbe dato l’anima
per lui.
First date (parte4, l’ultima)
Nello studio in mogano del padre delle
tre Gemme dell’Ovest due uomini si fronteggiavano, uno più basso e
pesante, l’altro altissimo e vigoroso.
<<Allora è tutto deciso
Barone?>> aveva chiesto un po’ in pensiero Hank, stringendo
delle carte.
<<Naturalmente, l’accordo
è sempre valido.>> rispose Liam, pensando più alla sua bella che alle
trattative.
<<Molto bene allora...se
vorreste firmare questi documenti....>> il conte aveva posto sotto i suoi
occhi tutti i termini dell’accordo e gli aveva porto una
penna e dell’inchiostro rosso. A quel colore la mano di Liam aveva
vacillato, una strana luce era nata nei suoi occhi e una strana sensazione
di...fame si era accesa in lui, costringendolo a deglutire e ad appoggiarsi
saldamente alla sedia che stava dietro di lui.
<<In-in effetti pre-preferirei
firmare tutto il giorno del fidanzamento...sempre che ci sia...ho ancora molti
dubbi in proposito. Devo prima consultarmi con i miei contabili.>> aveva
ribattuto, mentre quella sensazione di malessere e allo stesso tempo di potere
stava crescendo. Non poteva essere vero...non poteva essere bastata la vista di
quel liquido per risvegliarLo...forse i suoi pensieri non del tutto consoni ad
un uomo rispettabile che in quel momento si erano affacciati alla mente...la
sua dea bionda. I suoi occhi scuri, ancora più scuri del solito, saettarono
sulla giugulare dell’uomo che gli stava di fronte, la
vena pulsava pulsava, piena di vita e di sangue, conteneva qualcosa di
inimmaginabile, un liquido che avrebbe fatto impazzire di piacere
qualunque...ma non poteva pensarlo ora, non riusciva a trattenerLo ma sapeva
che doveva metterci tutta la sua volontà per uscire di lì senza fare
nulla...una volta fuori dalle mura della casa non avrebbe più importato.
Hank intanto era diventato leggermente
paonazzo, il battito del suo cuore aveva accelerato, se solo si fosse reso
conto di cosa aveva risvegliato...
<<Ma ma come? Io credevo che
fosse ormai tutto pronto, ha già trattato con in suoi contabili e...>>
<<Ho detto che ho bisogno di
tempo e così sarà!!>> urlò il giovane moro, facendo correre un lampo
giallo nelle iridi che fu appena notato dal conte, spaventato a morte per l’improvviso
mutamento del suo ospite. Liam si era sporto in avanti e aveva quasi ringhiato,
le mani bianchissime premute contro il legno della scrivania e le labbra aperte
in un ghigno perfido.
Come per incanto si ricompose, anche
se un’espressione di malessere e sbigottimento si era
impossessata del bel volto, era visibilmente spaventato. Sembrava un’altra
persona ora, quasi impaurito da sé stesso e dal suo scatto...oh se doveva
allontanarsi da lì, per non cedere, non con le persone più importanti che
conosceva...”non ti preoccupare Liam...non la mangerei...”
quasi svenne e un senso di nausea profonda assalì la bocca dello stomaco.
Perché succedeva tutto questo? Cosa aveva il potere di richiamarLo così in
fretta e perché, perché in nome di Dio non riusciva a scacciarlo come faceva di
solito?
Hank lo soccorse e lo fece sedere,
preoccupato prese un bicchiere del Brandy che teneva nel mobiletto e lo porse
al barone.
<<State bene signore?>>
chiese titubante.
La vena la vena! Quel meraviglioso
involucro scuro che si muoveva a ritmi incalzanti...lo poteva vedere, poteva
sentirlo vivere...quel collo era così vicino...fame, tanta fame e poi voglia di
morte...fuoco, grida...
Si alzò di scatto e prese il bicchiere
con malagrazia, tracannando il contenuto in un sorso e sorridendo deliziato,
passandosi la lingua sui denti bianchissimi e leggermente lunghi.
Lanciò un’occhiata
torva e allo stesso tempo maligna, sgomenta, all’uomo.
<<Benissimo...solo un capogiro
vi ringrazio. Ritornando al discorso precedente, io devo riflettere su alcune
cose che riguardano vostra figlia...penso sia lecito anche che io provi la
merce...>> sorrise lascivo lasciando di stucco Hank, poi come se niente
fosse accaduto tornò ad avere quello sguardo compito e gioviale, con solo la
bontà e la tristezza negli occhi.
<<Se..se per voi sta bene così
allora anche per me è lo stesso...>> ritirò i fogli nella scrivania e
ricevette il congedo dall’ospite.
Una volta fuori casa Liam si accasciò
a terra e si strinse lo stomaco, cercando disperatamente di resistere a Lui.
Emise qualche leggero urlo e poi si sdraiò sulle mattonelle umide e sudice.
Una donna, una prostituta, gli si
avvicinò piano. La sua gonna frusciava e risvegliava i sensi di un mostro, il
suo odore di perdizione nutriva la creatura, la rendeva viva.
Si tolse il bocchino dalla bocca rossa
e chiese, toccando una spalla del Barone: <<Tutto bene amico?>> in
un attimo se lo ritrovò attaccato al collo e sentì la propria carne lacerarsi,
mentre il sangue fluiva via e con lui la vita. Liam scaraventò il corpo a terra
e liberò il sorriso alla luna. Espirò il fumo della sigaretta e ghignò.
<<Mai stato meglio...>>
Erano pressappoco le due di notte, la
festa era finita da circa un’ora. A mezza notte erano stati
lanciati dei fuochi d’artificio per la festeggiata,
venivano direttamente dalla Cina. Avevano cenato e riso tutta la serata,
insieme avevano danzato fino al limite dell’impossibile
e catturato l’attenzione di tutti gli altri ospiti a cui era stato chiaro
che genere di sentimento scorresse tra il barone e la contessina. Inutile dire
che la signora Summers era contenta come una Pasqua e le sue lacrime sembravano
ormai essere a getto continuo. Aveva preso da parte la figlia e le aveva
confidato quanto fosse felice per lei. Le aveva inoltre detto che il barone era
molto interessato ad un legame più profondo e che, se tutto fosse andato bene,
dopo qualche mese di fidanzamento si sarebbero potute celebrare le nozze.
Elisabeth era quasi svenuta alla notizia. Non le sembrava vero che lui volesse
come sua compagna lei, la giovane e senza pretese Elisabeth Summers.
E ora era fuori, per le vie umide di
Londra, all’ora tarda mentre tutti in quella città riposavano nei
loro letti morbidi. Camminava sbuffando leggermente. Questa volta aveva
cambiato abito e sembrava una semplice popolana che si aggirava per l’enorme
cimitero di Londra. Ma era sopra pensiero, non rifletteva sul suo compito e non
guardava intorno a sé le lapidi, nemmeno si curava di un’ombra
che l’aveva seguita da casa.
Si vedeva la rallentatore le immagini
della splendida serata, cercava di rammentare il profumo della pelle di Liam e
il calore del suo corpo...quello non riusciva proprio a rammentarlo. Le braccia
che l’avevano tenuta per l’intera
festa...si non era proprio stato una piuma nello stringerla, ma era accecato
dall’amore...come lei del resto. Lo vedeva sorriderle
dovunque e lei lo guardava e gli rispondeva immaginandoselo...
Solo si chiedeva ogni tanto dove fosse
il duca Giles, era lì da circa un quarto d’ora ma non l’aveva
visto e lui sarebbe arrivato in ritardo solo quando la pioggia fosse caduta all’insù!
Senza nemmeno capire come, si ritrovò
a terra nell’erba fredda, con il viso sporco di terra e un
lancinante dolore allo zigomo destro. Guardandosi intorno si trovò di fronte un
vampiro col volto della caccia e le fauci aperte in un ringhio affamato. La
teneva ferma schiacciandola a terra con un piede poggiato sullo stomaco.
Buffy lo osservò attentamente, aveva i
capelli castani quasi biondi, che ricadevano in riccioli ribelli. Due zigomi
pronunciati che tagliavano il viso bianco latte, dolce e con classe nonostante
fosse trasfigurato. I suoi occhi gialli mandavano bagliori indefinibili e
dentro di essi poteva vedere molto bene qualcosa oltre alla malvagità e alla
morte...c’era un briciolo di intelligenza e la coscienza, cosa
assai strana per un vampiro.
Nonostante fosse schiacciata sul
terreno umido e fangoso non tentò di alzarsi, poteva osservarlo bene e questo
le bastava, anche perché si sentiva rapita dal suo sguardo indecifrabile e dal
suo corpo snello. Era vestito con una camicia rossa di seta lucida che scopriva
leggermente il petto, che strana moda era ma soprattutto, aveva veramente il
coraggio di sfoggiare quello stile trasgressivo? Per non parlare di un lungo
giaccone di quella che sembrava pelle, leggermente sbiadita e usurata dal
tempo. I calzoni poi, seta anch’essa, della più pregiata si
sarebbe detto...
Sorrise beffardo e tornò ai suoi
lineamenti normali, senza però spostarsi. Lei si dimenò un poco, guardandolo
con occhi seccati e in attesa.
<<C’è
qualche problema piccola?>> domandò irrispettoso, uno sporco vampiro che
si permetteva anche di parlarle come se fosse una venditrice di piacere! Ma la
sua voce l’aveva...colpita. Era profonda e con un forte accento
inglese che lei non aveva mai preso, nonostante vivesse lì da tanto. C’era
poi una nota di cupa rabbia e un’ombra di amarezza, ma erano
nascoste, non si mostravano sempre. L’irrispettosa derisione che
poteva udire in ogni sillaba le dava fastidio, era un tipo che doveva essere
messo al suo posto.
<<Sì c’è un
problema, sono qui nel fango putrido di un cimitero e inoltre...perché mi
seguivate?>> finalmente se n’era resa conto. Però era
inconcepibile come lei fosse ancora lì ai suoi piedi anzi sotto i suoi piedi,
lei che era la cacciatrice! Certo era ancora una novizia per così dire ma...dov’era
finito il suo istinto e odio contro i demoni? Perché lui annullava le sue
difese?
<<So cosa stai pensando
passerotto...non preoccuparti non mordo, non te.>> ghignò lievemente e
non spostò il suo peso dal corpo di lei. Era così bella anche immersa nel
fango, vestita da poco più che stracciona...sarebbe stata sua, presto o tardi l’avrebbe
indotta a dannarsi l’anima per lui.
Lei lo guardò perplessa, credendo a
ben poco di quello che aveva detto, tentò con la forza di alzarsi ma lui non si
mosse di un millimetro, chi era per atterrare la cacciatrice in questo modo?
Poi come se niente fosse spostò il piede e le porse una mano, tirandola su e
portandola a pochi centimetri dal suo viso. Poté ammirare degli occhi blu come
l’oceano in tempesta, profondi come la mente umana, che
contenevano una miriade di pensieri ben diversi dall’uccidere
qualcuno. Ne rimase impressionata e per lungo tempo non fece nulla, si limitò a
guardarci dentro come se vedesse una storia lunga secoli...smarrendo i propri
doveri e la propria anima nel colore degli zaffiri.
<<La verità è, cacciatrice, che
pensavo fossi più alta, più grossa e tutto il resto. Invece sei un grazioso fuscello
di ragazza. Mi chiedo come tu sia ancora viva...>> alzò gli occhi al
cielo e la guardò mascherando le sue sensazioni... come desiderava stringerla,
accarezzarla e amarla per sempre...
<<Che cosa volete?> se la
luna fosse piombata a terra sarebbe stata meno sorpresa di come aveva palato.
Aveva dato del voi ad un vampiro! Dimostrava che aveva rispetto per lui...cos’era
successo?
Il ragazzo nascose la propria sorpresa
e il proprio compiacimento. Gli piaceva e lo rispettava, cosa che le precedenti
cacciatrici non avevano fatto...
<<La stessa cosa che vuoi tu
bellezza.>> rispose annusandole i capelli, smarrendosi nel profumo del
suo corpo. Non si era ancora scostata da lui, ma aveva osato troppo infatti la
vide allontanarsi imbarazzata.
<<E...e io co-cosa voglio?>>
stava balbettando ma era più forte di lei, cosa sentiva allo stomaco? Come se
si stesse rivoltando tutto, percepiva uno strano calore sulla pelle e la cosa
non le dispiaceva, semplicemente la rendeva perplessa. Quando la guardava il
calore aumentava ma non era normale timidezza...si sentiva inspiegabilmente
sconvolta da quello sguardo, come se le bruciasse i sensi.
<<Ucciderli bambina, ucciderli
tutti...fino a che non ne rimanga polvere e in te non scorra l’eccitante
respiro della morte...>> si leccò sensualmente le labbra continuando a
puntarle lo sguardo acceso da un’insana passione. Chi era questa
donna, questa cacciatrice, capace di sconvolgerlo tanto?
Rabbrividì senza poter trattenersi, il
calore era aumentato e anche un formicolio nel basso ventre...le sue parole
impregnate di malvagità e morte l’avevano sconvolta, perché
immaginandosele si sentiva pervadere dal desiderio di morte. Il suo istinto
veniva fuori e nulla contava più se non essere la cacciatrice e uccidere,
quanti più demoni poteva. Certo non lui, non quello che ora aveva preso l’aura
di un mentore...di un saggio e spietato maestro.
<<Mi dispiace...ma non è
vero...no-non voglio morte voglio solo...essere lasciata in pace...da
sola...>> e questa negazione non era forse un modo per difendersi? Ma non
da lui...da lui mai. Dalla miriade di emozioni che suscitavano in lei le parole
sul suo compito dette in quel modo...non voleva essere la schiava e l’amica
della morte...solo una paladina della luce...e non per sua scelta.
<<Tu pensi davvero di avere una
scelta? Le cacciatrici sono le puttane della morte e al tempo stesso i suoi
ruffiani...e tu non sfuggirai questa legge, anche perché io non lo
voglio.>> ora rabbrividiva per paura, le parole che aveva usato...così
pungenti e spudorate...lei non voleva, nessuno gliel’aveva
mai detto questo...dov’era il signor Giles?!
Si voltò per andarsene ma la sua voce
la trattenne...non poteva più sfuggire a quella voce, era come un richiamo per
un mondo a parte, oscuro e di morte, dove lei avrebbe prosperato. Il suo mondo.
<<Non andartene senza
questo...dovresti essere pronta ma non lo sei, almeno ti proteggerà dai più
deboli di noi...>> le lanciò una scatoletta di velluto blu. Aprendola vi
trovò una croce d’argento con una S* incisa nel centro, dove i due
bracci si univano. Come la toccò sentì che era sua, le apparteneva. Un oggetto
del genere...solo per le cacciatrici, era evidente che un vampiro non poteva
averla trovata per strada. Un pensiero le balenò in fronte, lui era uno di
Loro, quelli che le avevano tolto la fanciullezza relegandola al ruolo di
salvatrice di anime.
<<Chi siete?>> chiese più
arrabbiata, stringendo nella mano la croce senza però degnarla.
<<Che posso dirti
passerotto...sono un amico.>> disse con aria di sufficienza. Non gli era
sfuggito il mutamento nei suoi occhi, ora non si fidava più così ciecamente di
lui. ma avrebbe rimediato, sentiva nelle sue vene il desiderio assopito di
morte scorrere, stava solo a lui risvegliarlo.
<<Sì? Bene, non ho bisogno di un
amico di Travers.>>buttò lì, stringendo convulsamente la collana.
<<Non ho detto di essere amico
suo.>> sorrise sensuale e le si avvicinò con passo da predatore. Se solo
avesse saputo cosa stava scatenando in lui in quel momento...una
incontrollabile voglia di impadronirsi di quelle labbra infantili lo stava
uccidendo e la sua...Lei...ardeva più che mai nel suo cuore. Aveva riconosciuto
la sua gemella...
*N.B.
Storyteller (parte1)
Elisabeth aveva estratto il paletto e
lo faceva volteggiare tra le dita, non si sentiva più molto a suo agio con il
vampiro. Avvertiva in lui qualcosa di strano, in effetti aveva poco del vampiro
comune. Mai nessun demone che aveva incontrato le aveva regalato una catenina
con una croce, ne l’aveva risparmiata o aiutata.
Certo le parole che aveva sentito erano state pesanti e possedevano una gravità
inaspettata, eppure non riusciva a non sentirsi attirata da quell’essere.
L’osservava camminare lentamente avanti e indietro, con
passo fluido si aggirava tra le lapidi e le osservava, a volte si fermava ad
accarezzare la pietra lisa e altre sorrideva alle immagini. Ma tornava sempre
con lo sguardo su di lei ed era ogni volta una nuova scossa, era catturata
dalla sua immagine e dalla personalità ambigua, forte, di quell’essere.
Osservò attentamente la collana,
esaminò la croce. Era d’argento lucidissimo e senza
nessuna decorazione a parte
Alzò all’improvviso
gli occhi e si ritrovò davanti lo strano individuo, ora la guardava con quei
laghi blu che erano i suoi occhi, vivevano e bruciavano di vita propria e
contenevano una miriade di emozioni che alimentavano il loro fuoco. C’era
pena in quegli occhi? Poteva leggervi dentro solitudine e caparbietà, disprezzo
e amore e tanta, tantissima passione. Lui non era morto, non nell’animo
e forse era per quello che la ipnotizzava, cercava in lui l’uomo
che aveva la forza del vampiro, convinta che solo in lui potesse trovare
risposte che non sapeva nemmeno di cercare. All’improvviso
notò che le sue mani affusolate e bianchissime, con le dita sottili che
evidenziavano il punto di congiunzione tra le due falangi, si stavano muovendo
verso le sue. Come in una scena al rallentatore presero la catena d’argento
e l’aprirono. Facendo molta attenzione al ciondolo si
portò dietro di lei, ora lo poteva sentire muoversi mentre il suo profumo di
tabacco, menta e alcool inebriava le sue narici. Era estremamente vicino. Con
delicatezza spostò i capelli ancora sporchi di terra via dal collo, posandoli
morbidamente su una spalla. La sfiorò appena con due dita lasciando una lieve
carezza e tornò ad occuparsi della catena. Approfittò di piccoli ciuffi biondi
ribelli per scostarli e toccare il collo nudo. La freddezza delle dita era
impressionante, sentì un brivido correre lungo la schiena e dell’energia
pura diffondersi dove lui posava le mani. Chiuse gli occhi senza accorgersi e
avvertì maggiormente quel calore che lui emanava, una sorta di battito cardiaco
costante, come se ci fosse un cuore ancora vivo. Il vampiro abbassò le palpebra
e poté sentirLa scaldarsi, dentro di lui bruciava di un sentimento nuovo, che
non aveva mai concesso a nessuno. Accarezzando con movimenti dolci ed intensi
la pelle della ragazza ne aspirò l’odore. Spezie, orientali...olio
di patchouli e cannella...dovevano essere molto ricchi.. con gesti estremamente
lenti, quasi le sue mani non volessero privarsi di quel corpo, allacciò la
catena. Nel momento stesso in cui i due ganci si unirono una leggera luce si
sprigionò dalla S facendola diventare come incandescente. Elisabeth poté
percepire distintamente il battito di un cuore dietro di lei e il calore, che
emanava il vampiro.
Lasciò il suo collo e si toccò il
petto con una mano, aveva brillato dentro di lui. aveva potuto percepire le
anime di tutte le giovani donne che l’avevano portata prima di lei,
quella croce era intrisa delle anime di tutte le giovani cacciatrici e aveva
cercato di prendersi anche la sua...
Lizzie si voltò di scatto, con gli
occhi lucidi e il respiro affannoso.
<<Chi siete?>> domandò a
fil di voce.
Ancora sorpreso osservò intensamente i
prati verdi dei suoi occhi. Era arrivato il momento.
<<William il Sanguinario,
amore.>> rispose con voce calda.
Rimase per un attimo a bocca aperta,
poi la richiuse memore delle buone maniere e strinse in mano il paletto
saldamente, mettendosi in posizione d’attacco. Lui non ne parve
sorpreso, anzi si rilassò contro la parete di un mausoleo del cimitero.
<<Questo dovrebbe dirmi
qualcosa?>> domandò con astio. Lui si strinse nelle spalle, accarezzò
languido lo spolverino.
<<No cacciatrice, pochi possono
vantare di aver fatto la mia conoscenza e ancora meno possono dire di averlo
fatto in modo pacifico.>> lei rimase sempre in posizione di difesa,
sebbene quel vestito lurido e i capelli scomposti la facessero somigliare più a
una ragazzina scarmigliata che a una guerriera.
<<E questo dovrebbe farmi
rabbrividire?>> esclamò beffarda, stringendo il paletto con meno vigore e
allentando la guardia. Ma fu uno sbaglio, in un lampo lui le fu addosso e le
prese un braccio, torcendolo dietro la schiena, imprigionandola in quella sorta
di abbraccio caldo e di dolore. Avvicinando la bocca al suo orecchio le parlò,
mentre osservava rapito il profilo leggero e deciso del suo viso. <<No ma
dovrebbe istruirti e farti capire che razza di cattivo ragazzo io sia...mai
abbassare la guardia di fronte a me...in OGNI situazione...>> il suo
fiato freddo le solleticò l’orecchio e sparì nei capelli
biondi. Il braccio le faceva male ma niente era paragonabile al dolore che
avvertiva al ventre, come se lo stomaco si stesse rivoltando ad ogni sua
parola. I brividi che pensava di paura percorrevano incessanti la sua spina
dorsale. Per un istante, quando lo sentì annusarla chiuse gli occhi ma poi la
ragione prevalse. Con uno scatto si liberò dalla sua presa e si riposizionò
davanti, l’arma sguainata e lo sguardo determinato. Si beò della
vista del visino angelico arrossato e degli occhi lucidi, il suo respiro era
affannoso e insicuro, come voleva che fosse.
<<Che volete da me, se non
bramate il mio sangue allora cosa?>> una domanda, sarebbe stato così
invitante risponderle a tono, snocciolando la miriade di desideri che
percorrevano la mente centenaria. Metterla al corrente dell’imbarazzante
quanto piacevole effetto che aveva su di lui ed osservare la sua reazione. Cosa
voleva? Molte cose e tutte inadatte alle orecchie innocenti di una bambina come
lei.
<<Ogni cosa al suo tempo
dolcezza, verranno anche i giorni del sangue e del piacere ma non ora, in
questo preciso istante voglio rivelarti chi sono.>> disse con voce roca
ma lo sguardo fermo, deciso, come quello di un cacciatore che sta mirando alla
sua preda.
<<Mi pare che sia stato fatto.
Sei William il Sanguinario...>> rispose con un filo di impertinenza.
<<Ma tu non conosci le mille e
più sfaccettature del mio io, i miei soprannomi, le mie gesta e nemmeno ciò che
ho dentro di me e mi sembra una grande mancanza visto che io, di te, so ogni
più piccolo segreto.>> schioccò beffardo la lingua e assistette alle sue
reazioni.
<<Sarà una cosa
lunga?>>domandò guardando il cielo ancora scuro.
<<È probabile, dipende da quanto
sei disposta a credermi. Per quanto mi riguarda io ho tutta l’eternità.>>nei
suoi occhi leggeva l’interesse bramoso per la sua
storia e in verità non vedeva l’ora di raccontarla, sbottonarsi
così davanti a quella che secondo natura era la sua nemica poteva risultare al
quanto bizzarro. Ma lui era un vampiro del tutto diverso, cosa ci fosse in lei
ancora non sapeva, sentiva solo che doveva farlo, perché solo lei lo avrebbe
compreso fino in fondo, anche se non subito.
<<E la luce del sole? All’alba
dovrete andarvene...>> c’era dispiacere e apprensione nel
tono? Una certa amarezza di sicuro.
<<Ci sono tante caratteristiche
del mio essere vampiro che non conosci bambina ma sono disposto a correre il
rischio di fartene partecipe e tu? Sei disposta a correre il rischio di
scoprirmi?>>
Lei annuì piano, senza nemmeno averci
riflettuto su. C’era qualcosa che l’attirava
profondamente verso il passato del vampiro e lei lo accettava...chiedendosi
perché ma lo faceva.
Si appoggiò al muro del mausoleo come
aveva fatto lui prima, con le braccia incrociate e l’espressione
rilassata. Una posa che sembrava essere volutamente provocante, se solo il
vampiro non avesse saputo quanto inesperta fosse la fanciulla. Estrasse il
paletto e lo tenne pronto a colpire.
<<Oh cacciatrice, abbiamo
bisogni di armi per questo?>>
Storyteller (parte2)
Londra, 1603
C¡¯era stata una grande festa in
casa Lionell, era il debutto in societ¨¤ di Miss. Darla. Una fanciulla
dagli intensi occhi azzurri e i capelli color dell¡¯oro.
Un viso affusolate e ricco di sensualit¨¤, con la pelle chiara come l¡¯alabastro.
Il naso era perfettamente dritto e la bocca rosea e carnosa invitava ai baci pi¨´ di qualunque
altra parte del corpo minuto e pieno di grazia.
Quella sera erano in molti i nobili
che circolavano per la casa, nei loro maestosi vestiti pieni di pizzi e
gorgiere apparivano come la scrematura della societ¨¤
londinese, una minuscola parte rispetto alla quantit¨¤ di
poveri e lavoratori che affollavano le vie della grande metropoli. La famiglia
Lionell era una delle pi¨´ rispettate ed importanti della
capitale e Darla era la quindicesima donna per successione al trono inglese.
Chi non conosceva questa famiglia non poteva che venire dalle terre sconosciute
oltre l¡¯oceano, che ancora nascondevano molti segreti da che
gli spagnoli le avevano conquistate. Il titolo nobiliare risaliva a circa
duecento anni prima, quando un antenato, il signor Wilbourn Lionell aveva
partecipato alla spedizione verso l¡¯altro capo del mondo sulla Ni¨¾a,
seguendo il conuquistador Cristoforo Colombo. L¡¯uomo che
all¡¯epoca era poco pi¨´ che
ventenne era riuscito a mettere le mani su una grossa fortuna, al ritorno in
patria era stato colui che aveva ideato il piano per la liberazione della
caravella, caduta nelle mani dei corsari berberi. Grazie all¡¯immenso
coraggio dimostrato nell¡¯ammutinamento contro i pirati e
alla buona riuscita dell¡¯operazione era stato accolto in
Spagna come un eroe e ricevuto a corte dalla regina Isabella, la quale aveva
concesso lui il titolo di Barone. Una volta tornato in patria, l¡¯Inghilterra,
si era accaparrato al convalida del titolo anche dalla Corona Inglese, donando
met¨¤ dei profitti accumulati con la conquista delle
Americhe. In seguito la famiglia aveva mantenuto ottimi rapporti con Spagna
partecipando attivamente alla lotta contro i calvinisti; saggiamente,
comprendendo il declino imminente della grande potenza coloniale aveva combinato
importanti matrimoni con i nobili francesi, tenendosi in amicizia con l¡¯altra
grande potenza europea. Con il distacco dell¡¯Inghilterra
dalla chiesa cattolica la famiglia aveva accresciuto il suo potere, diventando
grande sostenitrice e seguace dell¡¯arcivescovo di Canterbury e
rompendo i rapporti con la monarchia spagnola, a causa dei disordini interni
era comunque possibile far valere il titolo di Barone e avere potere. Grazie
alla fiera prosperit¨¤ dell¡¯Inghilterra
la famiglia Lionell si era arricchita sempre di pi¨´,
commerciando con la maggior parte dell¡¯Europa e dell¡¯Asia,
dove aveva grandi piantagioni di the. In America persisteva comunque la
dominazione coloniale della famiglia.
Cos¨¬ le figlie
della famiglia Lionell erano diventate bocconcini prelibati per i giovani
rampolli europei, nonostante alcune fossero racchie e poco intelligenti. Il
titolo e l¡¯immensa ricchezza della famiglia facevano gola a
molti, cos¨¬ si combinavano fastosi matrimoni tra le nobili
casate d¡¯Europa e quella inglese.
Darla era una delle tante giovani
promesse spose, la sua mano era stata chiesta da un Barone irlandese di grande
bellezza, famoso per la sua vita di piaceri sordidi e di perdizione e
naturalmente la ricchezza della famiglia. Cos¨¬ quella
sera era stato combinato il matrimonio tra i due giovani.
Nessuno sapeva che la bella Darla
fosse malata di Tifo, preso forse in qualche bettola da lei frequentata di
nascosto durante le notti in cui il suo bisogno si faceva sentire.
Cos¨¬
inspiegabilmente, circa una settimana dopo il debutto, la giovane era stata
trovata morta nel suo letto, con solo un paio di segni sul collo provocati
probabilmente dalla sua stessa pazzia, che l¡¯aveva
colta durante la notte a causa della febbre alta. Solo un prete era stato
chiamato dalle domestiche che temevano per lei, ma al mattino dell¡¯uomo
non ne era rimasta l¡¯ombra. Pregarono quindi che la
giovane Darla avesse avuto il buon senso di confessarsi prima di abbandonare la
vita e due gironi dopo la sua morte si svolsero i funerali, ricchi e sfarzosi.
Il matrimonio salt¨° e del promesso sposo non si
seppe pi¨´ nulla, se non che la sua vita di piaceri continuava
libera come prima.
Londra, 1805.
<<S¨¬,
indubbiamente mamma Darla era una puttana fatta e finita, ma ¨¨
questo che preferisco in lei, in effetti ¨¨ l¡¯unica
buona qualit¨¤ che trovai in quella donna, sempre che cos¨¬ si
possa chiamare.>> disse beffardo il vampiro, aspirando dalla sua
sigaretta intensamente e guardando la cacciatrice con profondo interesse.
Lei era accovacciata ai suoi piedi e
si abbracciava le gambe, ascoltandolo attentamente. Pendeva da quelle labbra
carnose e attendeva impaziente la continuazione della storia.
<<Non capisco, cosa centra tutto
questo con voi? Questa nobildonna ¨¨ morta di atroci sofferenze e
voi la chiamate pu...prostituta e anche mamma...non capisco William.>>
sbatt¨¨ le lunghe ciglia sugli occhi verde smeraldo, facendo
impazzire il vampiro. Controllandosi meglio che pot¨¦ si
dedic¨° alla sua sigaretta, finendola in un colpo. Doveva
dannatamente calmarsi o avrebbe fatto fuori un¡¯intera
stecca in una notte. Si era sentito strano quando aveva udito il suo nome
pronunciato dopo tanto tempo e da una creatura cos¨¬
incanteovle.
<<Vedi piccola, la mia storia si
intreccia con molte altre. Potr¨° anche essere un diavolo di
vampiro succhia sangue ma la mia storia ¨¨ maledettamente interessante e
complessa e comincia tutta l¨¬, dal vicolo dietro casa
Lionell.>> sbuff¨° il fumo al cielo e si perse in
piccoli cerchi, rilucendo spettrale alla luce della luna.
Il tono imperioso aveva impaurito
Elisabeth che non seppe spiegarsi come una cacciatrice potesse temer di
suscitare la collera in un vampiro, chi era lui per imbrigliarla cos¨¬ al
suo volere?
<<Ero il giovane figlio di un
signore dell¡¯alta borghesia. Mi chiamavo William Black anche se
quel nome e quella persona non esistono pi¨´. Io sono Spike, la spina nel
fianco di qualsiasi cacciatrice!>>
Storyteller(parte3)
<<Ancora non capisco>> sussurrò
la fanciulla, sedeva incuriosita ai piedi del vampiro,con uno sguardo assorto
dipinto in volto e la consapevolezza di non poter sottrarsi alla curiosità che
la pervadeva. Il vampiro…Spike…che
nome bizzarro, sovrapposto ad uno così dolce come William, inspiegabilmente
sentiva di adorare quel nome, in modo in cui la lettera iniziale doveva essere
pronunciata, il movimento delle labbra simile ad un bacio…
<<Lo farai amore, come ogni uomo
fa per adattarsi a vivere in questo maledetto mondo…>>
tacque per lunghi minuti. Eppure voleva sentirlo parlare ancora,carpire dalle
sue labbra qualcosa di lui che ancora le era sconosciuta. Perché se si sentiva
così legata, così indissolubilmente attaccata a lui doveva pur conoscere
qualcosa del…maestro che le era piovuto accanto.
<<William Black nacque nel 1603,
lo stesso giorno in cui Darla Lionell morì e venne battezzato lo stesso giorno
in cui lei risorse.>> era evidente che non capiva, la piccola era ancora
inesperta e così maledettamente innocente che gli faceva quasi paura, come si
poteva sporcare un simile fiore? Come aveva potuto il Consiglio strapparle la
vita normale e affibbiarle l’ingrato e sporco compito di
difendere il mondo? in quel momento il suo antico odio per tutta quell’immondizia
di gente si rifece vivo e punse la sua scintilla con violenza.
<<Bizzarro non credi? Una vita
per una morte, una benedizione per una dannazione eterna, un bambino per un
mostro.>> Elisabeth alzò il volto verso il suo interlocutore. Cominciava
a capire, lo si vedeva dagli occhi stralunati e pieni di stupore.
<<Tu…tu
hai duecentodue anni? Non esistono vampiri così vecchi…solo
il maestro ha raggiunto la veneranda età di trecento anni…>>
lui scrollò le spalle. <<Che vuoi che ti dica bambina, sono sempre stato
un tipo speciale!>>ridacchiò orgoglioso di se stesso.
<<Continua.>> quell’ordine
perentorio lo riportò a terra, smise di compiacersi di sé stesso e catturò i
suoi occhi in uno sguardo stupito, come se non credesse possibile che la sua
storia potesse veramente interessarle ma che l’ascoltasse
più per forza di cose. Invece lesse nelle iridi verdi tutta la curiosità
ingenua della bambina, un misto d’adorazione che si perdeva nell’incredulità
e nella genuina voglia di ascoltare una storia.
<<Era un ragazzo fragile, nei
suoi occhi blu c’era la consapevolezza che non sarebbe vissuto molto e
che non avrebbe mai trovato il suo posto nella società di cui si spacciava
membro. Era un sognatore incallito che amava passare le sue giornate seduto
accanto alla madre, declamandole poesie che lui stesso scriveva e che solo lei
sembrava in grado di apprezzare.>> si interruppe per tenere d’occhio
la fanciulla seduta ai suoi piedi. Aveva appoggiato la schiena alla lapide dove
lui era seduto e teneva gli occhi chiusi, immaginandosi ogni sua parola e facendosi
un’idea del giovane William in base a quello che ne
restava ora, carpendo la sua immagine da quell’ammasso di
carne morta che le stava accanto e che le parlava con tono sprezzante.
Era ancora lì il vero William?
Posò una mano affusolata, lunga e bianca
sul collo scoperto. Non si nascose al suo gesto, nonostante fosse una signorina
che aveva ricevuto un’educazione e sapeva che quelle
cose si fanno solo dopo vari appuntamenti con il fidanzato e non con uno
sconosciuto. Perché non si era ritratta? Voleva quel contatto, come se potesse
avvicinarla di più a lui e la quantità di immagini che costruiva con la sua
mente si intensificasse e diventasse più reale. Accarezzò teneramente la pelle
morbida, evitando accuratamente la collana, non voleva affatto conoscere quella
sensazione di risucchio, desiderava evitare che la sua scintilla ricevesse
altri scossoni e gli facesse battere inconsciamente il cuore. A volte succedeva
e poi faceva un male d’inferno. Il sangue veniva
pompato a velocità altissima nelle vene e sembrava che le spaccasse, poi quando
tutto si fermava, perché in effetti durava pochi secondi, il sangue si
arrestava di botto e la scintilla doleva. Bruciava come se fosse arsa da mille
fiamme, che si propagavano nelle vene con il sangue, ormai fermo. Gli avevano
dato la scintilla ma non avevano esposto gli effetti collaterali, forse perché
non sapevano farlo neppure loro. Non esisteva una spiegazione logica per quello
che gli accadeva, succedeva e basta e faceva troppo male per sperare di
risentirlo. Non gli importava della circolazione, lui era vampiro, anche se un
po’ speciale certo.
Galway, Irlanda. Ultimo dì dell’anno
1603
<<Cosa state facendo tutta sola
mia cara? Vi siete persa forse?>> la donna taceva. Era una giovane dai
lunghi capelli biondi, raccolti in un’acconciatura raffinata e
lievemente spettinata. Il grande cappello di piume ricadeva storto da un lato
del capo che era piegato sul petto e si muoveva scosso dai singulti. Il vestito
della dama era di un giallo vaniglia molto caldo, con pizzi neri sul corpetto e
su uno spacco triangolare della gonna. Sul bordo inferiore s’incrostava
il fango dei vicoli.
Julius si rendeva perfettamente conto
di come fosse avvenente e di quanti soldi potesse avere, in quel momento si
chiedeva se fosse stato più conveniente portarla dai genitori che forse lo
avrebbero ricompensato, oppure soddisfare un altro tipo di bisogno.
La donna non parlava, non dava segno
di essersi accorta di lui, si limitava a singhiozzare emettendo lievi squittii.
Aveva paura e lo capiva perfettamente, forse comportandosi da bravo cristiano
sarebbe riuscito ad avvicinarla.
<<Miss, vi prego non piangete e
lasciatemi aiutarvi, sono sicuro che troveremo insieme una soluzione.>>
lei parve smetter per un secondo i piagnistei, ma poi riprese implacabile,
coprendosi il viso con le mani coperte di pizzo nero.
Decise di attraversare la strada,
portandosi all’altro capo del lurido vicolo e piano piano le si
accostò, usando tutta la charme e il potere seduttore e rassicurante di cui era
dotato.
Posò una mano sulla piccola e graziosa
spalla, magra e morbida come la seta. Da dov’era uscito
un tale gioiello? Chi poteva lasciarsi sfuggire una creatura di così rara
bellezza e non correre a cercare il tesoro perduto? Da quale maniero era
fuggita?
<<Su su mia cara, permettetemi
di porgervi i miei umili servigi e di aiutarvi.>> le porse il fazzoletto
bianco, piegato diligentemente in tre spicchi. Una manina guantata lo accolse
con reverenza e lo portò al viso, tamponandolo delicatamente.
<<Molto bene mia cara e ora
lasciate che vi aiuti ad alzarvi, vi prego Miss, non potete certo restare in
questo vicolo maleodorante, la notte girano tante anime dannate!>> la
donna alzò il volto e due occhi d’angelo, azzurri come il cielo
dell’inverno, investirono Julius, portandolo quasi alla
pazzia. Con quella chioma bionda la facevano sembrare un candido angelo sceso
dal paradiso, la sua pelle d’alabastro catturava la luce
della luna e la spegneva. Aveva due labbra carnose e voluttuose che avrebbero
allietato le notti di molti uomini. Rimase per un attimo trafitto dalla
bellezza fredda della sconosciuta, in quegli occhi leggeva caparbietà e
orgoglio e tanta, tantissima perdizione. Forse quella notte si sarebbe conclusa
veramente nel migliore dei modi.
<<Mio salvatore, siete un
perfetto gentiluomo! Non so come dimostrarvi la mia gratitudine per avermi
salvato da questo pianto interminabile…>> allungò la manina e lui
si chinò a baciarla, per prenderla poi e aiutare la donna ad alzarsi dall’acciottolato
discontinuo della viuzza. L’essere si alzò in piedi con
agilità straordinaria e in un attimo fu chiaro che non aveva nulla a che fare
con una povera fanciulla spaurita. Come si erse in tutta la sua figura agguantò
la testa dell’uomo e la piegò violentemente di lato, liberando il collo
robusto e pulsante di vita. Vi affondò i denti con oscuro piacere e lacerò
brutalmente la pelle, strappando la carne e rompendo la vena grondante di
sangue. Succhiò intensamente.
Un uomo camminava lontano, in modo
malfermo…
Mentre la vita lasciava il corpo, la
sua persona si rigenerava e rinnovava la carne in cui dimorava il demone.
Aveva al fianco due donne, vestite
indecentemente, che lo sorreggevano a mala pena…
Squarciò definitivamente il collo e si
intrise le labbra di liquido rosso e denso, che colava lento lungo il suo mento
e macchiava l’abito giallo.
L’uomo era sempre più vicino e
sorrideva in modo demoniaco alle sue accompagnatrici, mentre il puzzo alcolico
del suo fiato arrivava fino al naso del demone...
Bevve fino all’ultima
goccia, poi scaraventò di lato il corpo e si pulì con un dito il mento e le
labbra, leccando il sangue rimasto con la lingua.
Camminava incurante del mostruoso
omicidio che si era compiuto e inconsapevole del fatto che il brutale assassino
fosse a pochi metri da lui…
I suoi occhi persero il colore giallo
brillante e ritornarono azzurri ed innocenti, dolci come quelli di un bambino.
Si riavviò i capelli e ripulì piano il corpetto macchiato.
Era ben vestito, con abiti sontuosi di
festa che recavano l’odore poco raccomandabile delle
innumerevoli bettole i cui era passato…
Rivolse il bel viso d’angelo
alla luna, adocchiando l’uomo, con ancora la bocca sporca
di sangue ai lati.
<<Darla……?!?>>
Londra, 1805
<<William era promesso sposo ad
una giovanissima nobildonna, amica di famiglia e compagna assillante delle sue
giornate più brutte, Cecily. Ma William non l’amava,
nonostante fosse graziosa e piena di virtù e avesse un sostanzioso patrimonio.
Lei era perdutamente innamorata del giovane poeta, sopportava anche le sue
poesie che a quanto dicevano facevano sanguinare le orecchie anche delle
vacche. Per questo venne soprannominato William il Sanguinario. Gli amici di
Cecily, baronetti, conti e rampolli della bella società non sopportavano il
poeta, dicevano fosse un fallito e un disperato, un invertito.>>
Elisabeth storse il naso. <<Che significa invertito?>> domandò
innocente. Quegli amici della fidanzata non le piacevano proprio, come potevano
accanirsi così su un giovane tanto dolce come William? Le faceva molta
compassione e nutriva una certa avversione per questa donna a lui promessa
sposa, diciamo pure che sentiva tanta gelosia. Non si rendeva conto,non si
ricordava che il giovane poeta non era altri che il vampiro arrogante che le
sedeva accanto e la coccolava.
Spike ridacchiò. <<Un uomo che è
attratto da altri uomini, una checca.>> Elisabeth arrossì oltre l’immaginabile,
sapeva di queste cose solo perché le aveva lette di nascosto in un libro.
<<E perché vi definivano….>>
arrossì di nuovo e non concluse, sperando che lui avesse capito.
<<Non dicevano checca a me ma a
William, è ben diverso. Lo facevano perché amava oltre ogni immaginazione sua
madre, era la sua confidente e la donna del suo cuore, come aveva più volte
dichiarato. Questo perché Annie(che bello mi chiamo cm la mamma di
William!!!)era l’unica in grado di amare il ragazzo e di
comprenderlo.>> una piccola, quasi impercettibile lacrima scese sulla
guancia del vampiro e lì brillò. Girandosi in quel momento Lizzie la vide e ne
rimase sorpresa, commossa dall’amore che doveva ancora nutrire
per quella donna ormai defunta da secoli.
<<Ma-ma avrà avuto un padre…vero?>>
chiese quasi in un sussurro, temendo di urtarlo o di interromperlo in un
momento di dolore, solo a causa della sua curiosità.
<<Oh certo, ma vedi, Quentin
Black non è la figura più adatta per fare il padre. È solo un borioso uomo d’affari,
i cui dei sono i soldi e la prosperità personale. Non ha ideali e combatte solo
per…per tornaconto personale. Lui non mi ama. Quentin è
un essere senza scrupoli che si allea con le forze che gli fanno più comodo e
ha i suoi intrallazzi ovunque ci sia da guadagnare. Non ha amore se non per sé
stesso e il suo posto. Quentin è un ingrato figlio di puttana.>>
Elisabeth sussultò sentendo l’insulto pesante. L’uso
improvviso del presente l’aveva sconcertata ancora di più,
evidentemente si ricordava perfettamente tutto ed era così in collera con l’uomo
da non poter pensarlo morto nemmeno per un secondo. Infondo lo capiva, era
stato un uomo veramente meschino. Strano come tutti i Quentin di sua conoscenza
fossero dei poco di buono…
<<Will…Spike…mi
dispiace molto per voi…non credevo che aveste…aveste
avuto una vita così priva d’amore.>> la frase l’intenerì
nel profondo.
<<Senza amore? No, mia madre mi
dava tutto l’amore che occorre ad un figlio per crescere,anche se
era maledettamente malata di cuore ha sempre trovato il modo per darmene un
pezzettino…>> questa volta bloccò la lacrima sul nascere,
una volta basta e avanza.
<<William non voleva Cecily,
sebbene lei si dichiarasse innamorata alla follia di lui. Non amava gli amici
ipocriti ed arroganti della ragazza e non desiderava sposare anche loro assieme
alla promessa. Non si sarebbe mai scrollato di dosso tutta quella lordura della
società inglese…pur desiderando ardentemente di trovarvi un posto non
voleva scendere a compromessi per farlo. Sposare Cecily e ricevere in casa
propria gente che lo derideva era uno di questi.>>
<<In effetti posso comprendere
la vostra scelta, anche io mi rifiuterei di sposarmi con chi non amo e per
convenienza…per grazia di Dio questo non accadrà…il
mio amore mi ama e non brama il mio titolo…>> il cuore di Spike
ricevette una scossa e questa volta la scintilla non centrava nulla. Lei era
promessa…era destino che non trovasse mai campo libero con una
donna?
“Bene fantomatico Mr. X…sono pronto
a darti guerra. Lei sarà solo mia!”
Non la lasciò finire, i racconti delle
gesta apocalittiche del piccolo sorcio del suo cuore non gli interessavano.
<<William amava, amava una donna
che aveva il nome più bello di tutti, l’unica che gli permetteva di
andare avanti: Faith.>> si ritrovò mortalmente invidiosa di quella donna,
aveva conosciuto l’amore di William, aveva
conosciuto la sua umanità e apprezzato le dolci parole che componeva per lei.
Non che sentisse il bisogno di quel tipo d’attenzioni dal vampiro, aveva
già chi gliele avrebbe date. Solo provava desiderio di incontrare quella parte
di Spike che si chiamava William, la sua metà, ciò che era stato e che forse
continuava ad essere.
<<Ma William non ebbe mai
fortuna con l’amore, la donna gli fu strappata. Non che avesse
possibilità, era in procinto di sposarsi e una volta accaduto non voleva
tradire la moglie, pur non amandola. A volte compiango il me stesso di
allora.>> concluse accendendosi una nuova sigaretta e cominciando a
fumare con avidità, mentre il sottile rotolo di carta bruciava e si accorciava,
così come la vita di ogni uomo. Ardeva nella notte con una luce calda e
tremolante, ardeva nel suo petto con una luce accecante e rovente. Illuminava
un frammento del suo viso, illuminava tutto il suo essere. Due cose che
bruciavano, una si sarebbe estinta presto, l’altra mai.
<<Eravate un gentiluomo, avevate
degli ideali…volete dire che ora sono spariti?>> chiese con
una punta di risentimento la fanciulla che ormai si era arresa alle mani del
vampiro e permetteva loro di accarezzarla dolcemente sul capo e sulla nuca.
<<Dopo duecento anni di massacri
e di persecuzioni comici a perdere l’abitudine di vivere secondo
moralità e principi cristiani.>> sbottò freddamente il ragazzo, mentre
gettava il mozzicone ormai finito, morto.
<<Cosa accadde a Faith?>>
una vocina sottile ed impaurita lo spronava a continuare, chiedendogli con la
genuina curiosità di una bambina di continuare la bella favola. Se solo si
fosse resa conto che non era niente di tutto ciò…
<<Morì, ovviamente. Tutti all’epoca
morivano, tutte le persone degne di restare al mondo.>> Elisabeth si
portò una mano alla bocca, stupita ed addolorata per una persona morta due
secoli prima, sentendosi in dovere di consolare qualcuno che ormai aveva
accettato l’evidenza.
<<Mi rincresce immensamente
William…dovete aver sofferto.>> l’occhiata
che ricevette le fece capire di aver sbagliato a commiserarlo.
<<Non ho bisogno del tuo
compatimento cacciatrice, ormai ne ho passate maledettamente tante che il tuo
dispiacere non mi fa ne caldo ne freddo.>>
dopo poco riprese a parlare, come se
non potesse fare a meno di confidare a qualcuno la propria vita, in un certo
qual modo come per espiare.
<<Morì…uccisa,
una morte violenta. Fu ritrovata in un vicolo, con la gola squarciata. Hai
capito cacciatrice chi uccise la piccola Faiht?>>
Un’altra
lacrima occhieggiò sulla sua guancia, brillò come una fiamma alla luce della
luna e poi scorse via velocissima per quel volto scavato e morbido.
<<Io…io
sono sconvolta…dire che mi dispiace non allevierà il vostro dolore
vero? Ma non c’era una cacciatrice che difendeva gli
innocenti?>> chiese sentendosi in qualche modo colpevole, presa in causa
in quella storia.
<<Certo che c’era,
si chiamava Armony ed era un’oca bionda che abitava vicino ad
Hyde Park, la sua massima ispirazione era essere invitata ad un the in cui
avrebbe conosciuto il suo uomo, ricco e rimbambito. Quella notte non svolse il
suo sacro dovere perché nel pomeriggio si era stancata a giocare a
cricket!>> gridò con rabbia il ragazzo, prendendo a calci la lapide su
cui fino ad un attimo prima era seduto. La ridusse velocemente in pezzi e
costrinse Elisabeth ad alzarsi, prendendola per un braccio e attirandola a sé con
un furore omicida negli occhi. Le strinse le mani intorno alle braccia fino a
lasciarvi segni lividi.
<<Capisci ora piccola Buffy?
Faith morì perché una puttanella non aveva voglia di alzare il suo culo e
andare a fare quello per cui era stata scelta! Distrusse i miei sogni di poeta
togliendomi la mia musa mora e cavandomi dal cuore la voglia di vivere!>>
le premeva le dita affusolate sui muscoli, non ancora ben sviluppati. Stava
riversando su di lei tutto il rancore accumulato nei secoli, rendendola partecipe
del dolore che gli aveva attraversato il cuore immobile per decenni, facendogli
commettere atrocità. Lei taceva, impaurita dal demone che vedeva agitarsi negli
occhi blu ed emergere lento come l’olio dalle sue pupille.
Comprendeva la sua ira anche se non fino in fondo, si rese conto di quanto
fosse ancora umano. Così capace di soffrire anche a distanza di anni per un
fatto che gli aveva sconvolto l’animo di dolce poeta. Pur
capendo quale pericolo correva stando alla mercé del demone non reagiva, il paletto
ormai giaceva abbandonato lontano. Si fidava dopotutto, non del demone, di
quello doveva ancora imparare ad avere fiducia, ma dell’uomo
che vedeva lontano da lui.
<<Il dolore che ancora provate è
comprensibile, ma accanirvi contro me non porterà ad un miglioramento della
situazione, ormai stantia. Io mi fido di voi…non fatemi
ricredere…>> bisbigliò piano Elisabeth, scoprendo in sé
un insolito coraggio. Si sentiva un po’ più cacciatrice, dopo diversi
mesi in quel momento si sentì partecipe nella lotta contro il male. La vita che
fino a sera era stata quella della perfetta giovane nobildonna inglese, si era
come spezzata e una metà era stata sostituita prepotentemente da quella di una
prescelta. Non che percepisse una maggiore forza fisica, era il concetto
astratto di Cacciatrice di cui si era impossessata, l’aveva
fatto suo e in quel momento aveva capito che mai, nemmeno per un breve istante,
la sua vita sarebbe stata come quella di una persona normale.
Si ricordò di essere ancora tra le sue
braccia, alzò gli occhi e gli rivolse lo sguardo più maturo e completo che
avesse mai dato, spruzzava dolcezza e tanta comprensione. Una sorta di magia
vibrante sgorgò violenta dalle loro iridi che si incontrarono e unirono come in
un dolce abbraccio. Rimasero in quella posa per qualche secondo, il vento
notturno scompigliava i capelli biondi di Elisabeth e accarezzava il suo viso,
un fiotto di luce lunare pennellava le guance di Spike come se volesse
abbronzarlo con il suo pallore delicato e malato.
A poco a poco lasciò la presa e
permise al sangue di Elisabeth di tornare a scorrere liberamente nelle sue
braccia.
Lei si sistemò il vestitino
insignificante e con un bel sorriso si appoggiò ad un’altra
lapide. C’era una scritta a caratteri semplici che recitava: “Margot
O’Grady, 1709-1730. Beloved sister, beloved friend.” Di
fianco un ritratto sbiadito in bianco e nero, consumato attraverso il vetro di
protezione. Era una ragazza graziosa, con ancora i tratti da bambina in alcuni
punti del viso.
<<Voglio una tomba come questa
quando morirò…>> sussurrò appena, ma il prodigioso udito del
vampiro percepì la frase e lo fece gelare. Non era che un pensiero espresso all’improvviso
ma nonostante questo lo faceva pensare, per lui aveva molto più senso che per
qualcun altro. Aveva visto negli occhi delle cacciatrici il desiderio di morte
passare fugacemente, conosceva abbastanza bene le loro avventure da sapere che
presto, molto presto avrebbero dovuto fronteggiare il loro stesso desiderio di
una fine. Lo spirito di conservazione non persisteva a lungo come negli uomini.
Perché loro non aveva nulla, con gradualità finivano per allontanarsi dal resto
dell’umanità e perdevano gli affetti. Lasciavano il loro
passato come se fosse lavato via dalle loro anime e una volta che questo accadeva
non avevano più nessuno d’importante per il quale valesse
la pena di vivere, nessuno le teneva ancorate alla vita. Dopo anni di battaglie
per il mondo capivano che era giunto il momento di terminare quella per la
propria esistenza, concludendo con un pareggio. Il loro corpo e la loro mente
per l’umanità, l’anima per loro stesse.
Ma non voleva che accadesse anche a
lei, era troppo importante per il suo cuore fermo. Quentin non avrebbe dovuto
portarlo lì, era la sua dannazione, lo era diventata non appena aveva catturato
la sua immagine. Quel maledetto bastardo di Quentin, era l’unico
che poteva capirlo e non l’aveva mai fatto. William
disprezzava Quentin,Spike odiava Quentin molto di più di come un figlio possa
disprezzare il padre.
Si sedette ancora come prima, sulla
lapide, sopra di lei. Aveva un’espressione accigliata e si
sentiva sinceramente mortificato per la reazione precedente.
<<Così Faith morì. Il dolore mi
straziava il petto e mi costrinse, quella stessa sera, a vagare da solo per le
vie di Londra. Tutto ebbe inizio lì.>> Lizze l’ascoltava
ancora, rapita di nuovo dal suono melodioso e profondo della sua bella voce. Un
improvviso pensiero le attraversò la mente.
<<Come mi avete chiamata prima…?>>
domandò incuriosita.
<<Buffy? Non so da dove mi è venuto,
un soprannome…>> chiarì semplicemente.
<<Un po’
ridicolo non trovate? Mi fa sembrare una ragazzetta de vicoli tutta fango e
polvere. Spike le lanciò un’occhiata divertita, guardandola
nella tenuta da bassi fondi.
<<O certo perché Lizzie dona un
tocco d’eleganza alla tua persona!>> ribatté
sarcastico.
<<Che avete contro Lizzie? Me l’ha
dato mia madre!>>
<<Come vuoi…dov’era
rimasto? Ah sì. Dunque, camminavo malfermo per una via, recitando alla mia
Faith poesie che avrei voluto tanto dirle. Ero talmente debole che mi accasciai
su un muro e non mi rialzai per molto tempo. Quando finalmente ripresi
conoscenza mi trovai davanti una donna. Aveva il viso di un angelo, folti
capelli biondo chiaro e occhi di un azzurro maturo ed intenso che abbagliavano.
Non farti ingannare, non era una crocerossina. La bellezza in questione non era
altro che quella sgualdrina di Darla Lionell, sopravvissuta per venticinque
anni alle tenebre che l’avevano creata e cresciuta nel
loro sporco seno.>> un’espressione di stupore si disegnò
improvvisa sul volto di Elisabeth.
<<Ecco perché…mamma
Darla! Dio del cielo non sarà stata mica lei ad iniziarvi?>> lui sorrise
tetro.
<<Oh sì. Mi adescò molto
facilmente, promettendomi rosei futuri e felicità. Così io la seguii nel suo
mondo fatto di perdizione e morbida oscurità. Credo che si sarebbe limitata a
cibarsi di me se non avesse visto dell’attraente in quello stupido
poeta. Il mio fisico una volta divenuto prestante le servì per molte volte,
procurandole una certa dose di piacere. Non che scoparmi Darla fosse per me l’apice
della mia ispirazione, ma ero il suo childe e tant’è,
anche il suo servo. Dovevo piegarmi ad ogni suo volere anche se devo
riconoscere che non era un passatempo niente male...>>
apparve un’espressione
schifata sul volto della piccola contessina.
<<Non potete dire sul serio
vero? Non credevo foste così volgare...provo disprezzo per voi in questo
momento...>> sbottò irritata, il suo ideale di William si stava
lentamente sgretolando, come creta contro l’acqua. Era
di nuovo scomparso il suo poeta? E chi era diventato, cos’era
quella figura fatta di carne, sangue e arroganza che si muoveva? Sprezzante,
senza ritegno e volgare, con la predilezione per bagordi a base di sgualdrine e
vino. Lei non voleva perdere quella strana cosa che aveva trovato e nemmeno
pentirsi di averlo considerato come un suo pari, a cui dare fiducia e amicizia.
<<Sai Elisabeth, si fa in fretta
a giudicare se non si ha mai provato. Ma quando sentirai qual è il potere della
passione, quando capirai come un uomo o vampiro, come qualsiasi creatura possa
diventare soggetta al desiderio...quando proverai piacere sotto le carezze di
qualcuno...allora capirai Elisabeth, capirai perché si diventa schiavi di tutto
questo turbinio di sensazioni.>> le si era parato davanti, guardandola
con gli occhi lucidi e pieni di strane emozioni, dardeggiavano verso i suoi
proiettili di luce calda. La sua voce era roca, il suo sguardo perso in quello
della ragazzina.
<<I-Io non cadrò mai in tutto ciò
che dite...sono una donna cristiana...non avrò mai...>>
<<Credi che negli umani non ci
sia perdizione? Che in ogni essere vivo o morto che cammina sulla terra non ci
sia un angolo di perversione? È costantemente dentro di noi, che scava, cammina
lento e intanto osserva, le nostre emozioni, i gesti quotidiani, le persone e
poi colpisce. Raggiunge il suo obbiettivo e ti assoggetta, allora l’uomo
non sarà ne più ne meno che una bestia. Il desiderio di morte che c’è in
te, in ogni cacciatrice...è più forte di qualsiasi altro istinto. Troverai la
morte Elisabeth...presto o tardi la sua mano accarezzerà il tuo collo, ma prima
avrai trovato in te quella parte nera che tutti hanno.>>
le accarezzò i capelli, vicino al suo
viso come non era mai stato. Lui voleva, voleva insegnarle a comprendere quella
parte di sé, desiderava scoprirla insieme.
Londra, 1628. Fogne della città.
<<Dovremo aspettare ancora
molto?>>
<<Non angustiatevi mio Signore,
il processo di trasformazione è quasi completo.>>
<<Speriamo che non si riveli una
delusione come l’altro.>>
<<Sono certa di no.>>
<<Me lo auguro, ho grandi
progetti per Mr. Black quindi spera di non aver commesso errori.>>
<<Vi assicuro che sarà
perfetto.>>
<<Il fallimento non ti si addice
Darla.>>
<<Non amo ripetere i miei falli.>>
<Sarebbe imbarazzante per te,
quanto per me che ti ho creato. E io non voglio che la fratellanza si sbellichi
alle nostre spalle.>>
<<Non accadrà, Mr. Black saprà
accontentarvi.>>
<<Lo spero mi cara, lo spero per
entrambi.>>
<<Guardate, si sta svegliando.>>
<<È giunto il momento della
verità.>>
la figura buttata sulla paglia, al
lato di una grande camera umida e gocciolante, si mosse quasi
impercettibilmente.
Le altre due persone, sempre che di
persone si possa parlare, guardarono eccitate entrambe. Avevano gli occhi
puntati come calamite su quel corpicino esile avvolto in stracci luridi.
Il malcapitato girò di colpo la testa,
rimase in quella posizione per qualche istante. Era girato precisamente verso
di loro e in qualche modo li inquietava. Sembrava che oltre le palpebre
pesanti, calate, lui riuscisse a vederli. Immobile pareva fissarli attraverso
la pelle pallida e morbida. Un leggero sorriso gli si dipinse sul volto
cesellato, una smorfia più che altro. In ogni ruga delle labbra c’era paura,
tristezza, gioia, una punta di sfacciataggine e l’ombra
incurabile di perversione. La tenebra aveva compiuto il suo lavoro.
Le labbra si alzarono morbidamente
liberando gengive bianchissime e denti altrettanto candidi, aguzzi come
coltelli e scintillanti. I canini più prominenti degli altri. Chiedevano
sangue, esigevano carne, volevano vita.
Darla, istintivamente, si aggrappò al
braccio del suo creatore. Lei in piedi lui seduto su una sorta di ridicolo
trono. Eccitazione profonda le pulsava nelle vene morte e le incendiava la
pelle. Questa volta non aveva fallito. Percepì in sé la vita del demone che
aveva creato. La sua prole stava venendo alle tenebre, rinnegando per sempre la
luce.
Con molta lentezza il ragazzo mutò il
suo volto. Una maschera piena di grinze aggraziate, rughe di malvagità. Ora
restava solo una cosa, quella che rendeva l’insieme il
più bel quadro di terrore mai eseguito. Sollevò con snervante cautela le
palpebre, sapendo che la luce non l’avrebbe mai più toccato.
Apparvero due pupille nere come il suo nome, cattive come il suo animo. Intorno
a loro...giallo. Il giallo più tenebroso mai veduto. Un colore per il quale i
pittori si sarebbero dannati l’anima per possedere, senza
sapere quanto ci sarebbero arrivati vicino.
Il volto del demone fatto e finito li
guardava con crescente disprezzo, conteneva arroganza nei tratti e, cosa che
inquietò maggiormente il Maestro, autorità. Un’autorità
indiscussa su tutto, la maturità di una grande cacciatore.
Si alzò piano in piedi, aveva una
nuova sensazione, quella di essere morto e risorto, come il più grande e
potente di tutti.
Mise gli occhi sulla donna, bionda e
bellissima, con gli occhi azzurri come zaffiri, avvolta in un vestito color crema,
piume nei capelli raccolti in boccoli e tanti pizzi, crinoline a non finire e
le sue labbra...rosse come un cuore pieno di sangue. Quelle labbra che lo
avevano dannato, assaggiato, strappato alla mediocrità della vita.
L’altro essere invece, brutto oltre
l’immaginabile, con un grugno compiaciuto. Le sue
sporche manaccie attaccate a quelle della donna. William non aveva la donna, la
venerava, si sentiva irresistibilmente assoggettato dal suo sguardo, in suo
potere. Come una barca tra i marosi.
<<William Black...un nome nero
quanto lo spirito del suo portatore...ah...meraviglioso.>> gracchiò il
mostro. Aveva una voce gutturale che grattava contro la gola.
La donna bionda gli strinse
amorevolmente la mano e guardò il suo cucciolo, con oscuri progetti negli
occhi.
<<Il suo nome sarà una leggenda
tra la gente di questa città, e molto oltre.>> fama, la bramava, poteva
sentirlo. E anche lui si sentì piacevolmente pizzicato dal profumo della
gloria. Infondo che cos’era lui? un vampiro. Lo sapeva.
L’aveva capito subito. E sarebbe stato il più grande
dei vampiri! William il sanguinario avrebbe fatto sanguinare molto più che le
vacche.
Il mostro parlò ancora, era un
vampiro, per quanto strano fosse il suo aspetto. Come carne corrosa dalle
fiamme.
Si avvicinò con passo irritante alle
due figure, squadrando con impertinenza quel piccolo sgorbio seduto su quel
ridicolo trono.
<<Allora...a quanto ho capito tu
saresti una specie di maestro...>> disse sprezzante. I sue vampiri si
guardarono molto compiaciuti. Imparava in fretta.
<<Lui è il Maestro, comanda il
nostro ordine.>> precisò la donna. Sapeva che una parte del suo sangue
scorreva in lei. Sapeva anche che per lui era lo stesso. Leggeva il sangue
della donna... si chiamava...D..Daphne..no, Da...Darla. che nome dolce e
crudele, sfacciato nella sua bontà. Non era per lei.
<<Si chiama ordine d’Aurelius,
noi siamo i prescelti, gli eletti.>>
se sperava di impressionarlo allora
era fuori strada. Ormai nulla faceva più effetto. Quando si è morti e poi
risorti in sembianze demoniche è difficile sorprendersi per qualcosa.
Lanciò un’occhiata
di disprezzo al luogo in cui si trovavano.
<<Mh, e come mai vivete nelle
fogne?>> la donna gli lanciò un’occhiata assassina, non era
stato molto cortese.
<<Ci nascondiamo sotto terra e
rendiamo omaggio ai grandi anziani. In attesa del giorno in cui risorgeremo,
risorgere! Per distruggere il mondo che ci cammina sopra la testa!>>
gridò euforico il Maestro.
Ma lui era impassibile, non capiva.
<<Perché volete farlo?>>
lui grugnì perplesso, come se avesse detto un’idiozia.
<<Bè voglio dire...hai fato un
salto di sopra ultimamente? Non è male, io non potrei vivere in un buco
puzzolente e infestato dai topi come questo. Se non dormo in un letto vero...c’è il
rischio che la mattina mi svegli di pessimo umore...e questo Darla non è
conveniente.>> lei sussultò a sentire il suo nome. Era davvero un
esemplare straordinario. Ma allo stesso tempo troppo ribelle.
<<È ancora così
giovane...>> cercò di scusarlo.
<<E non basta, voglio una buona
coperta e le migliori lenzuola di seta e una bella vista, Darla dovrebbe sempre
avere una bella vista..vero mammina?>> chiese guardando la bionda.
<<Noi usciamo in superficie solo
per nutrirci e accrescere i nostri ranghi, non viviamo in mezzo all’umana
pestilenza..>>
William ridacchiò e squadrò il
vampiro.
<<Non prendertela ma...non ce la
faresti mai con quella faccia!>>
<<William!>> urlò la
giovane, chiaramente iraconda.
<<Non sarai sempre così brutto
vero amico?>>
<<Il maestro è andato oltre la
maledizione delle fattezze umane!>> lo difese Darla.
<<Tranquilla mammina, a me non
verrà quel maledetto muso da pipistrello!>>
il vampiro scattò in piedi e colpì
duramente William, mandandolo al tappeto.
<<Solo i vampiri più abili
riescono a vivere tanto a lungo quanto ho vissuto io e tu dovresti esserne al
prova!>> lo colpì ancora la volto, facendo sanguinare la perfezione di
quei lineamenti. Ma lui non si lasciò intimidire.
<<Italia! Tu e io
Darla...>> biascicò mentre il sapore del suo stesso sangue lo eccitava.
<<William...> c’era
esitazione nella voce, ma anche rabbia.
<<Questo non è il posto per
te...costretta a vivere con un mostro...io sono dannatamente più bello!>>
protestò pungolando la bella vampira.
L’altro lo colpì ancora.
<<Imparerai a portarmi
rispetto!>>
<<Tu appartieni al mio mondo là
fuori, potrai nutrirti come vorrai e avere tutto ciò che desideri. Avrai la
vita che hai sempre sognato Darla! Pensaci, quale volto vuoi guardare per l’eternità...il
suo o il mio?>> aveva fatto centro, il sorriso della donna, entusiasta,
lo provava.
<<Povero illuso! Lei è una mia
creatura...>> ma guardando la bella, vide che ormai non gli apparteneva
più.
<<Mi abbandonerai per questo
stallone vero?>> non c’era tristezza.
Lei aiutò la sua creatura ad alzarsi e
la condisse fuori...via dalle fogne putride, verso la notte stellata.
<<Non durerà a lungo...diciamo
che gli do un secolo...al massimo.>>
Storyteller(parte5)l’ultima.
Londra, 1805.
<<Ma non appena Darla capì che i
miei progetti allettanti non erano altro che un modo per fuggire di lì, il suo
atteggiamento cambiò radicalmente.>> l’aveva
lasciata andare, di malavoglia, e ora non era più molto vicino. Il volto
corrosa da dubbi e lacerato dall’incomprensione. Si chiedeva: chi
o cosa sono io? E sarò come dice lui?
tante domande piccola, troppe per una
notte già ricca di avvenimenti. Ora il suo arrivo, no! Il suo ritorno alla cara
vecchia Londra sembrava lontanissimo. La cacciatrice lo aveva guidato in una
girandola di ricordi così opprimenti, talvolta dolorosi, da staccarlo dalla
vita reale. Sempre che di vita si potesse parlare.
E lei che cos’era?
Una chimera, un aquilone senza coda a cui attaccarsi. Aveva il suo destino,
aveva la sua vita, aveva anche un uomo. Di sicuro più onesto e meritevole di
lui, ma soprattutto umano. Che speranze aveva? E tutto il suo discorso sulla
passione...su quell’attimo di perdizione...che scopo
aveva se non quello di una breve, clandestina lezione pratica? E lui non voleva
questo. Voleva l’eternità con la persona che amava maledizione! Lui
era lì per un motivo, uno scopo diverso da quello di amare la cacciatrice, e
una volta adempiuto il compito sarebbe stato allontanato, cancellato. Perché
non aveva più scopo.
Con un’enorme
sforzo si distolse dalle sue elucubrazioni. Doveva continuare, perché lo aveva
chiesto lei. Se non poteva darle altro allora se lo sarebbe fatto bastare.
<<Il Maestro e tutta la cerchia
di fedelissimi volevano...cercavano un cucciolo da addestrare. Puntavano alla
conquista del mondo. A volte mi chiedo come possano essere così banali i cattivi.
Volevano un cavaliere nero che combattesse la loro battaglia, uno dalla
personalità pungente e capace di radunare un esercito di demoni che marciasse
sulla terra per conquistarla. Progetti da megalomani squinternati. A parte il
semplice fatto che una cosa del genere era impossibile -dio solo sa in quanti
non ci abbiano provato- io non avevo la benché minima intenzione di
sottomettermi alle loro astruse idee. Ero un vampiro, forte, bello e dannato.
Diavolo volevo gloria e avevo fame! Ma questo Darla non sembrò mai accettarlo.
Sai Elisabeth, fu anche per questo che decisi di portare con me mia
madre.>> ora la giovane sgranava gli occhi verde smeraldino. Orrore,
certo, vi si leggeva.
<<Sì hai capito piccola Buffy.
Mia madre. Anne Black.>> incrociò le braccia, pronto a sostenere le
proteste che di lì a poco sarebbero piovute.
<<Voi...avete avuto il coraggio
di condannare all’immortalità vostra madre, la donna che vi ha
partorito e cresciuto, la dolce creatura che amavate sopra tutti. Come potete
averlo fatto...siete uno sporco assassino.>> lo disse con la calma più
completa, la fredda lucidità di una cacciatrice nello sguardo. Forse stava
riconsiderando l’idea di munirsi del paletto e di agire. Ma non si
mosse, sapeva di trovarsi al cospetto di quello che lei aveva definito un
assassino, era nelle sue mani. Ma non si mosse, non fece nulla. Lo guardò solo
direttamente negli occhi e questa volta non ci furono scintille o cori di
usignoli, solo gelo. La forza e l’intento della cacciatrice contro
la crudeltà e la fame di un vampiro.
<<Mia madre era malata di cuore,
prossima alla fine. Quando tornai da lei fu come essere avvolti in una calda
coperta dopo un giorno di gelo. Mi ci erano voluti tre giorni per trasformarmi
e durante tutto quel tempo, nella famiglia Black era regnata l’angoscia
e la disperazione. In una parte della famiglia Black. Per l’altra
esisteva solo il disonore di avere un figlio scapestrato, un giovane fallito
scomparso giusto prima del matrimonio, il futuro della casata sarebbe andato
alle ortiche.
Era una sera, Darla non era venuta con
me, non le interessava la cosa. Ostacolarmi però non le conveniva. Dopotutto
dipendeva da me, una volta lasciato il maestro non aveva più nulla e l’unico
modo di agghindarsi con parrucche e crinoline era quello di avere dei soldi,
soldi che io rubavo, o guadagnavo in modo illecito. Lei era troppo nobile per
fare cose del genere. Tornando a quella sera, la porta mi fu aperta dal nostro
maggiordomo. Stebbins. La meraviglia dei suoi occhi e quel breve luccichio mi
scaldano ancora il cuore. Poi fu la volta di mia madre. Descriverle tutto,
parlare liberamente, farmi accettare era ciò che mi terrorizzava, ma anche nel
mio aspetto da mostro lei seppe vedere del buono. Così accolse di nuovo quel
figlio tanto amato e mi fece promettere di non lasciarla mai più. Bè l’accontentai,
promettendole vita eterna, libera da malattie e sofferenze l’accolsi
nel nostro universo di notte. Il sapore del suo sangue era...paradisiaco.
Ricordo che mi piacque, come nessun altro fin’ora. E
morivo dalla voglia di assaggiarla, per legarmi indissolubilmente sempre di più
a lei, per restare uniti in eterno. Il destino è crudele Elisabeth, forse per
chi ha l’eternità lo è ancora di più. Mia madre morì, mio
padre non si disperò come avrebbe dovuto e la sua tomba fu presto dimenticata,
ma una notte risorse. Più bella ed elegante che mai, con la spietatezza nello
sguardo per gli altri e l’amore, puro, incondizionato,
invariato per me. Una vampira straordinaria, nella sua fredda cattiveria c’era
dolcezza per il sottoscritto ogni volta che desideravo. Uccideva e ricamava,
beveva sangue e mi cucinava piatti prelibati, fu grazie a lei che non
disprezzai mai il cibo umano. Lo amo tutt’ora. Darla era disgustata
ma...come ben sai non si poteva opporre. Mia madre divenne la sanguinaria più
abile e più dolce che conoscessi e tutto il suo affetto non degenerò mai in
qualcosa di oscuro e di perverso. Ma il destino è una dannata bestiaccia.
Mia madre morì Elisabeth...nel 1703.
morì il demone e morì lo spirito. Venne uccisa da una cacciatrice, era cinese,
vendeva spezie e mia madre andò a comprare della paprica.>>
Non pianse, si limitò a tremare come
scosso da una crisi. Elisabeth gli si avvicinò e lo abbracciò forte, poggiando
la testa sulla sua spalla. Da cosa fosse dettato quel gesto non lo sapeva, la
sua pietà era riemersa e al diavolo la cacciatrice, ora contava solo consolare
un’anima no, un demone. E Spike rimase spiazzato da
tutto ciò, ma non perse l’occasione. Ricambiò l’abbraccio
stringendo a sé la piccola cacciatrice, un gesto pieno d’amore.
Si sentiva compreso, addirittura protetto e si rendeva conto di quanto suonasse
ridicolo.
<<William, perdonate la lingua
di una stupida, continuate la vostra storia e impeditemi di giudicarvi
ancora.>> sussurrò teneramente al suo orecchio Elisabeth. Gli accarezzava
i riccioli castano chiaro, le piaceva. Appoggiò la guancia alla sua e sospirò,
rimanendo così per un po’, finché non sentì il proprio
respiro calmarsi. Non si staccò, gli si accovacciò in braccio continuando a
stringerlo per confortarlo. Il vampiro non capiva molto bene ciò che accadeva,
sentì solo il proprio cuore riceve un altro scossone e battere per qualche
secondo, anche se non abbastanza perché lei lo sentisse. Ma non fece male,
percepì un piacevole calore e pace, quindi la tenne con sé, nonostante
sembrasse una cosa totalmente sbagliata e ridicola.
<<Così persi mia madre. Darla
rideva, più piangevo più lei rideva. Mi disse che ero una nullità, un paradosso
perché non è possibile che un vampiro ami a tal punto la madre, avrei dovuto
sterminare tutti come aveva fatto il mio fratellino. Già, apre che Darla avesse
creato ancora, ma si era rivelato tutto una delusione. Una volta passato il
momento di massacri famigliari, il cucciolo aveva perso i dentini. Così era stato
abbandonato. Sì, c’era il disprezzo nella sua voce,
un rancore cieco dovuto alla mia insofferenza nei suoi confronti, era il mio
Sire ma non importava, non mi sentivo attaccata a lei. Così si scaricò su di me
insultandomi e insultando anche mia madre. Dicendomi chiaramente, con tutto il
disprezzo che possedeva, che eravamo due esseri inferiori. Al che, senza paura
o rimpianti, la uccisi. Presi un paletto e la infilzai e mentre i suoi occhi
stupiti e azzurri mi guardavano diventando polvere, seppi che ero libero. Se la
morte di Faith non suscitò in me la voglia di uccidere a cacciatrice, anche
perché non ero nemmeno a conoscenza della sua esistenza, quella di mia madre fu
il motivo perfetto. Andai, cacciai, scovai la mia preda e la uccisi con il suo
stesso paletto. Ricordo che mi disse qualcosa in cinese, il lo sapevo
perfettamente. Mi chiedeva di rassicurare la sua mammina...fu la goccia che
fece traboccare il vaso, la trucidai e lasciai il corpo martoriato appeso ad
una corda, a sventolare davanti alla porta della madre. Così ebbi la mia prima
vendetta, l’appagamento era dominante. Negli anni che seguirono
compii molte altre stragi, il mio nome divenne famoso e gli osservatori di
tutto il mondo ne vennero a conoscenza. Fu nel 1796 che ebbi la prima, vera,
grande svolta della mia vita. Ero sulle tracce di una cacciatrice, la mia fame
del loro sangue non si era mai placata, così come la sete di vendetta. Il suo
nome era Nikki, faceva la sguattera nella casa di un nobile. Era una nera,
bella, forte. Avrei ballato con lei tutta la notte. Questo impermeabile nero
era suo, lo usava per i giorni di caccia. Veniva dall’America.
La uccisi dopo un lunghissimo ballo. Ma non era nemmeno cominciata tutta la
storia. Immaginati quale fu la mia sorpresa nello scoprire che il proprietario
del corpo e della grande villa altri non era che... Quentin Travers o
meglio...Quentin Black. Mio padre.>> Elisabeth lasciò il collo del
vampiro in un lampo e la parodia della cacciatrice che morde un giovane vampiro
indifeso finì.
<<Coosa? Mi state prendendo in
giro....non è possibile che una persona bella come voi sia figlia
di...Travers.>> l’assurdità della frase parve
colpirla dopo un po’, ciò nonostante non smise di
guardare di sottecchi il vampiro.
<<È la verità passerotto, reagii
più o meno così anch’io. Ora ti spiego. Quentin, nel
1600, era a conoscenza del mondo demoniaco, della bocca dell’inferno
e delle cacciatrici. Era l’osservatore della piccola
Harmony, la quale morì uccisa dal Maestro...mi sono sempre dimenticato di
ringraziarlo...a lui naturalmente non interessava di quella sgualdrina, ma lei
era stata una piccola esca per giungere al cuore della comunità vampirica di
Londra. Attraverso operazioni poco legali e omicidi vari, riuscì a far
eliminare i veneratori d’Aurelius. Questo dopo la mia
morte e la scomparsa di mai madre, acquistò maggior potere e gli fecero dono di
una vita eccezionalmente lunga. Come premio. Puah! Che sciocchi imbecilli.
Fatto sta che divenne presto il capo del Consiglio e tutto il resto è storia.
Quando mi trovò fu invaso dal terrore, dalla sorpresa e infine dalla solita
brama di potere. Mi accolse in casa sua offrendomi la sua grassa ipocrisia, non
ebbe mai amore per me. Non ne ha mai avuto. Il mio omicidio fu messo a tacere,
venni assoldato come forza speciale nella lotta contro il Male. La mia
pericolosità però era evidente, così Quentin decise di darmi una cosa che,
secondo la versione fornita al mondo mi avrebbe impedito di ricadere nel
vortice di sangue e morte, seconda la versione personale mi avrebbe impedito di
nuocere a LUI e a tutti i suoi piani. Cosa mi diede? L’anima.
Un’anima donata senza amore e fredda di astio. Il mio
compito era quello di addestrare cacciatrici e renderle consapevoli della loro
missione. È per questo che sono qui Elisabeth. E ora puoi anche venire fuori
Rupert, tanto la mia storia finisce qui. È a te che tocca agire ora.>>
Elisabeth voltò il capo e con somma
sorpresa vide il Duca Giles uscire dalla porta di una vecchia cripta. Lo
sguardo che le lanciò vedendola accoccolata in braccio a Spike fu di
disapprovazione, ma non resse a quello della ragazza. Furiosa e pronta alla
resa dei conti.
Lies To me
<<Lascialo subito!>>
ordinò l’uomo, indicando il vampiro a cui era ancora
abbracciata la cacciatrice. Lui guardò la testolina bionda che fino a qualche
momento prima era appoggiata alla spalla, stava tremando e sicuramente non per
il freddo. Non voleva lasciarla andare, con lei si sentiva bene, si sentiva
vivo e di nuovo, dopo moltissimo tempo, apprezzato. Ma sapeva che era giusto
così, lei doveva svolgere il suo dovere e lui sarebbe rimasto a guardare...come
aveva sempre fatto. Ma prima non si era mai sentito bruciare come quando si era
trovato vicino a lei. Anche la sua anima lo sapeva, aveva arso di un sentimento
nuovo. C’era dell’affetto in quella di Buffy e
lei, l’anima, lo aveva assorbito tutto, perché non era stata
creata per amore, non ne conteneva e ora colmava questa mancanza.
Elisabeth scese dalle gambe dell’essere
che fino ad un momento prima sembrava un cucciolo indifeso. Ora c’era
rancore in lui, una rabbia mista ad impotenza verso il nuovo venuto, un
imbucato alla loro festa.
<<E tu, non ti azzardare più a
toccarla! Limitati ad un atteggiamento professionale con lei
altrimenti...>> aveva alzato il dito e lo puntava con decisione verso il
ragazzo, anche Giles era scosso dalla rabbia e maggiormente dall’indignazione.
<<Altrimenti che farai Rupert?
Lo riferirai a mio padre? A lui non importa un accidente di quello che le
faccio! Potrei anche scoparmela per quanto gli riguarda, basta che non intralci
i piani per la sua importante scalata al successo. E non sarà certo ad un
osservatore accecato d’affetto per la sua protetta a
cui darà ascolto!>> ribatte rancoroso e tagliente, spiazzando la
cacciatrice che stentò a riconoscere in lui l’uomo di
pochi istanti prima.
<<L’ho
detto a Travers che non era una buona idea portarti qui, sconvolgerai l’ordine
naturale delle cose!>>
<<Lo pensi davvero? Nove anni
che ho l’anima e nove cacciatrici morte, tutte assistite da
me. Ma se credi che con questa cosa che mi divora,io mi sia messo sulla strada
per la redenzione ti sbagli, non sono un depresso che si auto commisera per i
delitti compiuti e la mia sola ragione di vita NON è far sopravvivere le
cacciatrici qualche anno in più. Io non sconvolgo l’ordine
naturale, permetto il suo compimento. Le cacciatrici muoiono giovani Rupert.
Non sarò certo io a cambiare il loro destino.>> incrociò le braccia al
petto e si appoggiò alla parete del mausoleo, in attesa di una risposta.
Lo guardava, sentiva i suoi occhi su
di sè o sulla propria anima per meglio dire. E sapeva anche di averla delusa,
ma non poteva mostrarsi debole ora, non davanti ad un membro del Consiglio. Suo
padre non doveva sapere di averlo imprigionato per sempre.
<<Se sei così, malvagio allora
che ci fai ancora qui? Perché non hai compiuto una strage d’osservatori?>>
lo sbeffeggiò Giles.
<<Non credere che non ci abbia
pensato, comincerei da mio padre e credimi quando dico che sarebbe disgustoso
trovare ciò che ne rimarrebbe. Ma questa cosa che mi ha rifilato mi rende
impossibile uccidere persone, troppe persone. Sono malvagio, sono anche l’io di
due secoli fa, ma questo lo sono sempre stato. Le mie stragi erano
sistematiche, non uccidevo se non avevo fame. Chiamalo rimorso Rupert, ma non
riesco ad uccidere per odio.>> e con questo avrebbe potuto riscattarsi,
non desiderava darle dispiacere ed essere considerato un vampiro in gabbia, un
semplice allenatore, ma sapeva che ne andava della sua reputazione. Giles non
era come gli altri ma non sapeva fino a che punto poteva fidarsi di lui.
<<È la tua anima Spike, ti porta
ad avere compassione e rispetto per gli umani, tranne di quelli che non lo
meritano. Ciò non toglie che tu non debba considerarla una tua preda e hai
capito in che senso parlo. Lei è
<<Mi volete dire che cosa sta
succedendo?!>> gridò così forte che dei corvi si alzarono in volo da un
punto imprecisato del cimitero.
<<Elisabeth, con te farò i conti
più tardi ora non è il momento...>>
<<Certo che è il momento adatto!
Lei sapeva tutto non è vero? Sapeva perfettamente che lui sarebbe venuto, ecco
perché ha insistito tanto che io facessi la ronda e non c’è
nessuna emergenza! E pensare che io mi fidavo di lei...invece è solo il
galoppino di quel...quel...quell’immondo Travers!>> sbottò.
Il vampiro osservava la scena. Aveva qualche dubbio ancora sulla forza e
intraprendenza del suo raggio di sole? No. Ora sapeva con precisione che da lei
poteva ottenere qualcosa e se non era morte allora amicizia, solidarietà. Aveva
la possibilità di creare una complicità senza eguali tra di loro e poi
forse...chissà...
<<Mia giovane pupilla! Non vi
ritenevo capace di usare una tale veemenza contro di me, che sono il vostro
Osservatore e che in più occasioni ho cercato di facilitarvi il
compito!>> rispose allibito l’uomo, mentre con un panno puliva
delicatamente il monocolo, in evidente imbarazzo per la sua inferiorità
rispetto alla fanciulla che educava.
<<Io vi ho sempre apprezzato, ma
questa volta non avete scusanti! Ho dovuto apprendere cose...fatti accaduti
realmente ad opera del vostro...Consiglio, che ritengo essere abominevoli, vengo
a sapere che il mio destino è la morte prematura, la vita nell’oscurità
e la lotta costante contro la mia stessa anima da..da un vampiro! Non da voi,
mio Osservatore ma da lui. Che cosa vi rode di più Signor Giles, il fatto che
vi porti poco rispetto o che ne dia di più al demone?>> mise le mani sui
fianchi ed attese; l’uomo rimase per qualche istante
perplesso ed infine decise di riprendersi dallo stato catatonico in cui era
caduto.
<<Elisabeth, quello che hai
appreso oggi non è altro che verità, forse troppo colorita dalle espressioni di
un narratore sconveniente. Quanto al modo mia cara, ho ricevuto un ordine e se
non volete che il mio corpo si trasportato, non necessariamente in vita, all’altro
capo del globo io devo attenermi a questi ordini.>> ora sembrava
decisamente in collera, il modo in cui stringeva le labbra e le vene delle
tempie arrivavano in trasparenza lo dimostrava. Chi l’avrebbe
mai detto che lo Squartatore sarebbe tornato?
<<Se posso intromettermi...tutto
questo è molto...intenso, ma io ho un compito da svolgere e sinceramente lo
voglio fare ora, così da poter intrattenermi con un altro tipo di passatempi,
decisamente più piacevoli.>> richiamò la loro attenzione. La giovane
lanciò un’occhiata ammonitrice al suo osservatore e poi tornò a
rivolgersi al vampiro, con una calma fredda altamente disarmante, soprattutto
per il fatto che fosse appunto priva d’emozioni.
<<E voi, non vi credevo così
cinico! Tutto quello che avete detto prima è stato disgustoso! La dimostrazione
di quanto mi sbagliassi a provare pena e rispetto per voi! Non siete altro che
un demone senza cuore, non meritate la mia amicizia! Avete il volto di un
narcisista voltagabbana che gioca con i sentimenti altrui per comodo vostro. No
cercate più comprensione in me, non ne troverete.>> descrivere quanto
male al cuore gli fecero quelle parole sarebbe stato umiliante, ma il suo
accordo con se stesso era chiaro:mai farti vedere debole e in Loro potere.
<<Dolcezza, non credo mi sentirò
male per questo.>> la totale mancanza di disperazione, anche solo un
accenno di tristezza, sollevarono in Buffy una serie di sensazioni
contrastanti. Da una parte pensava che erano solo affari suoi e lei, essere
trattata come una donnaccia, non lo tollerava proprio, quindi meglio così. D’altra
parte si aspettava un leggero sconforto da parte sua, non esisteva il fatto che
rimanesse totalmente insofferente alle sue parole, non dopo quello che entrambi
avevano provato. Perché era certa che tutti e due avevano sentito qualcosa. Il
loro abbraccio...era venuto naturale.
<<Che cosa volete da me!? Non so
più di chi fidarmi, ci sono troppe bugie, troppi sotterfugi…>>
mormorò sconfortata. Il Duca sembrò impietosirsi e dalla sua espressione si
capiva che aveva intenzione di accondiscendere alle richieste della sua
pupilla, ma un’occhiata piena di cinica indifferenza del vampiro lo
fece desistere.
<<Rupert, non vorrai darla vinta
a questa mocciosa! Non ti facevo così arrendevole Squartatore, anni fa la tua
fama mi aveva deliziato ma ora…sembri solo un vecchio affetto
da demenza senile!>> una risata beffarda accompagnò le sferzanti parole
del vampiro. Nessuno poteva sapere quanto gli costasse tutto quello, quel
cambiamento radicale faceva più male a lui che ad Elisabeth. Però era una
partita pericolosa, c’era in gioco la vita della
cacciatrice ed era un prezzo ragionevole per restare zitto.
<<Come ti permetti brutto
demone, dovresti portarmi rispetto!>> sbottò Giles punto sul vivo, la sua
spavalderia si afflosciò tutta non appena incontrò lo sguardo di lacerante superiorità
di Spike.
<<Ricordati chi è che merita
rispetto Rupert! IO sono il più vecchio e il più spietato, ricordati chi è che
deve abbassare il capo!>> tuonò lapidario, con quella voce così profonda
e cristallina che faceva accapponare la pelle. trasudava virilità e potenza,
una sottile ferocia e tacita spietatezza. E Giles non potè altro che abbassare
il capo, pur digrignando i denti e sibilando proteste. Riconosceva la
superiorità del vampiro, ma non per saggezza, era conosciuto per essere un tipo
impulsivo che stava molto sul chi vive. Ne ammetteva l’esperienza
e la cruda tristezza che aveva dovuto affrontare e che lo aveva portato a
diventare ciò che era. Aveva sempre visto la feccia dell’umanità,
individuato le atrocità della specie umana. Aveva stile, conoscenza e durezza.
Gli era superiore.
<<Così va meglio. Quentin mi
aveva avvertito che lo squartatore diveniva un agnellino davanti alla sua
cacciatrice.>> parlava sempre del padre come se fosse un conoscente, non riconoscendolo
mai come capo famiglia e non dandogli mai il rispetto di un cognome.
Semplicemente il nome di battessimo che sua madre aveva detto spesso e troppo
spesso con amore.
<<Non avevo intenzione di dirle
nulla, so qual è il limite.>> precisò lievemente rancoroso l’osservatore.
<<Non ne dubito, è per questo
che Quentin ha affidato l’incarico a me?>> era
volutamente sarcastico.
<<Mi avevate detto di non essere
amico di Travers!>> esclamò tutt’a un tratto la cacciatrice,
delusa e sempre più amareggiata per il modo in cui ora era trattata, per il
modo in cui venivano trattate le persone a cui voleva bene.
<<Non sono suo amico, sono un
emissario e un dipendente con libero arbitrio. Potrà anche essere più vecchio
ma non per questo lo rispetto. Mi limito a sopportarlo, così come fai
tu.>> le rispose secco.
<<Smettiamola con queste inutili
chiacchiere, se sei qui muoviti e spiegale ciò che devi. Io chiarirò le lacune
culturali.>>
<< Potrò essere un eterno e
nutrirmi di sangue, avere un carattere impulsivo ma non darmi dell’ignorante
Osservatore, potrei elencarti fatti che i tuoi pidocchiosi libri di storia non
riportano Rupert e tu non mi crederesti comunque a causa del tuo fottutissimo
scetticismo verso qualunque cosa non sia stampato!>> rispose acido.
<<Non ho tempo per trastullarmi
con lezioni di storia vampiro, al contrario di te non ho l’eternità.>>
sbottò Giles, sempre più arrabbiato.
<<Possiamo rimediare
subito!>> esclamò rabbioso il vampiro.
Si erano avvicinati progressivamente l’uno
all’altro e da come si squadravano non era un buon segno.
<<Basta smettetela entrambi! Non
ho tempo per le vostre arringhe! Il sole sta per sorgere e devo tornare a casa,
la torre ha già battuto le quattro!>> Elisabeth si era parata di fronte a
loro e aveva alzato le braccia per placare quelle cascate d’astio.
Il vampiro alzò gli occhi al cielo e
convenne con lei che era meglio sbrigarsi, in secoli di albe conosceva alla
perfezione le sfumature adamantine che il cielo assumeva, odiava le albe, sembravano
staccarlo crudelmente dalla vita.
<<Sta succedendo qualcosa di
strano cacciatrice, sentiamo che c’è un’oscura
presenza che sta salendo e non ci piace. Ogni giorno è sempre più vicina e se
prima era un’ombra sottile ora sta espandendo la sua oscurità. È
un male nuovo, non c’è notizia di manifestazioni
precedenti. Il tuo compito è aspettare una sua mossa, individuarlo e
combatterlo, normale routine. Ma devi essere pronta, allenata. Devi essere
consapevole. E qui entro in gioco io. Ho allenato nove cacciatrici prima di te,
allenate in modo diverso da come può fare un osservatore, io ho metodi forse
poco ortodossi ma preparano al mondo vero, quello che c’è
fuori. Morirai Elisabeth, è una certezza. Ma forse rallenteremo quel momento.
Verrai qui ogni notte e subirai le mie anguste lezioni. Mezzanotte, non
prima.>> si accese una sigaretta e la guardò attentamente, bevendosi ogni
sua espressione, cercando ogni parte di lei per ricordarla per sempre.
Lei annuì piano, non era felice e si
sentiva tradita. Veniva catapultata in un mondo del tutto nuovo, c’era
un VERO cattivo da combattere e toccava a lei. Ma non era pronta, gli
allenamenti non sarebbero serviti, sarebbe morta, capitolata, lo sapeva. E non
voleva, Spike era sempre una figura mistica ed attraente, che la sconvolgeva,
ma si era rivelato e lei non sapeva più se credere alla realtà o a ciò che
aveva sentito poco prima, su quella lapide.
Si incamminò verso casa, scoccando uno
sguardo di risentimento al suo osservatore e di sfida al vampiro. Elisabeth Anne
Summers avrebbe avuto la sua vita felice, con il suo barone e con i suoi
terreni in Irlanda, e non sarebbe stato di sicuro nessuno sciocco demone a
portarle via tutto.
<<È molto di più di quello lo
sai vero?>>
<<Naturale che lo so, cosa avrei
dovuto fare, dirle che è come un male sottile che dilania l’organismo,
che non abbiamo nessun indizio se non vaghe tracce insicure, che quasi
certamente attaccherà lei per prima per far avverare un’antica
profezia, per altro indecifrabile?>>
<<Elisabeth è forte Spike, non
si farà sedurre dal male così facilmente e cerca di tenerlo ben a
mente.>>
<<Io non sono il male, non lo
sono mai stato. Non sono un mostro mitologico che incarna l’inferno.>>
<<Lo comprendo, anche se mi è
difficile. Ma immagino che tu non sia felice.>>
<<La mia anima pulsa, cresce e
si stabilizza. Non c’è affetto se è ciò che intendi.
Quentin non ti dà mai niente per niente e sto ancora cercando si capire che
cosa vorrà da me.>>
<<Non mi è mai piaciuto. Tuo
padre è un essere strano, sa troppo e sono convinto che sappia qualcosa anche
di questa storia. Ci sono segreti inarrivabili nel nostro passato. Agli inizi
era caotico e sconclusionato ma gradualmente i primi di noi iniziarono ad
annotare le loro esperienze.>>
<<I Diari degli Osservatori.
Sono inaccessibili.>>
<<Precisamente e Quentin è
dietro tutto questo. Se solo ne permettesse la consultazione…>>
<<Potremmo scoprire molto di
più.>>
<<Ma non possiamo. Ci sono fatti
anche trascurabili che potrebbero esserci d’aiuto.
Reincarnazioni, incesti, esecuzioni e resurrezioni. Senza contare interventi
diretti su di voi, alcune manomissioni nei corpi prima del Risveglio e delle
Illuminazioni.>>
<<Ma è scuro che sia un…>>
<<Quasi certo. La parola Eterno
è l’unica leggibile.>>
<<Allora ci sarà da lavorare, non
so chi possa essere, non bazzico più nei bassi fondi da tempo e i pochi
contatti sono stati polverizzati da Jonathan. Quel piccolo sgorbio non avrebbe
dovuto giocare a fare l’eroe.>>
<<Fu un errore il suo
addestramento, ma il fatto che fosse riuscito a scampare ad un vampiro e che
fosse nipote di uno di noi…>>
<<Il Consiglio è pieno di
errori, non è colpa tua Rupert.>>
<<Ogni cosa è come se fosse
colpa mia, sono uno dei fratelli.>>
<<Sei ancora l’unico
che si prende a cuore la stronzata dei fratelli Rupert, la vostra elegante
giustizia e imparzialità è decaduta da un pezzo. Sbagli se credi di trovarti
ancora nel limbo di saggezza e giustizia che spacciate di possedere, nessuno vi
crede più oramai, nemmeno gli stessi Osservatori. Alla tua Rupert e a quella di
Elisabeth. >>
<<Alla nostra.>>
Le due figure brindarono in silenzio,
con poca convinzione. Inconsapevoli di trovarsi a pochi isolati dal fulcro del
loro problema.
Real Me.
Saville Road era sempre stata una via
tranquilla, vi erano palazzi lussuosi ed eleganti, con grandi giardini ben
curati. Un’aria di finta impeccabilità aleggiava su quel piccolo
mondo perfetto, un parco giochi per i ricchi Lord e i parlamentari, per quelle
persone che si ritenevano i gentlemen inglesi per eccellenza e avevano abbondanti
introiti nei settori più disparati. Mentre i loro agenti lavoravano nella city
guadagnando denaro a volontà, loro potevano permettersi di partecipare a
battute di caccia, the con la nobiltà più in vista e piacevoli passatempi con l’intera
famiglia. Era un piccolo mondo a parte, senza lo sporco dei vicoli o i tuguri
delle periferie, dove i torrenti malsani e incrostati di morte come il Fleet
non erano nemmeno concepibili.
Raspberry House abbelliva in modo
sobrio la strada, aveva un colore rosso chiaro e morbido. Era in stile gotico
con gradi finestre a sesto acuto e vetri colorati, perennemente invisibili a
causa degli scuri nero carbone verniciati di fresco. Un discreto parco si
allargava intorno alla figura svettante della villa, era ricoperto di alberi
imponenti e frondosi, che proteggevano dalla luce solare molti sentieri. Un’aria
di incalzante decadenza aleggiava sul prato. Non era curato come gli altri,
ancora in buono stato ma si intravedevano già le erbacce e l’edera.
Nel complesso era un elegante edificio, ne più ne meno come gli altri. Ma da un
po’ di tempo a quella parte, gli abitanti di Saville
Road avrebbero potuto giurare di percepire un che di innaturale in quella casa,
che lentamente dilagava in tutta la via. C’era una sorta di demoniaca entità
che opprimeva l’aria.
Erano all’incirca
le cinque di mattino, ormai Elisabeth era al sicuro nel suo letto e dormiva
tranquilla. Spike da qualche parte cercava i smaltire la sbornia e il suo
conflitto interiore, Giles probabilmente era con lui. Il sole cominciava a
farsi intravedere nel cielo, la luce avrebbe presto ritrovato la grigia Londra
e l’avrebbe allietata con il suo ridente calore. Era più
rassicurante passeggiare per le strade, i garzoni delle stalle uscivano per
cominciare il loro duro lavoro, i panettieri impastavano e cocevano il pane,
gli operai ungevano di grasso i motori delle loro macchine. Londra si
risvegliava come un’enorme gatta sonnacchiosa e
sbadigliava, i motori delle macchine a vapore facevano le fusa.
Era una bell’ora
per camminare, era un pessimo momento per qualsiasi demone.
La porta di Raspberry House si aprì di
scatto, sbattendo con violenza contro un mobile di pregiato legno di noce.
<<Mio Dio signore, mi ha
spaventato! Ben tornato, le faccio portare la colazione?>> Malcom Liebich
fece un compito inchino al suo padrone e gli prese cappotto e cappello, non
facendo molto caso a delle strane macchie scure che imperlavano il colletto del
soprabito. Da bravo maggiordomo avrebbe spedito tutto in lavanderia senza
chiedersi ne il come ne il perché.
Lui non rispose, non si sentiva
affamato, anzi una piacevole sensazione di pienezza lo pervadeva e si chiedeva
il perché di tutto questo. La cena della sera prima era stata saltuaria e poco
nutriente, era troppo preso dal suo angelo biondo per pensare a nutrirsi.
Scosse distrattamente il capo e si
trascinò per le scale, ben sapendo che presto il suo animo tormentato avrebbe
trovato un po’ di pace. La sua anima si dibatteva lentamente e con
crudeltà, sentiva una maggiore sensazione di rimorso rispetto a quella abituale
e questo poteva significare una cosa sola. Anche se non voleva ammetterlo.
Percorse in fretta la rampa,
incespicando nei gradini bordati di rosso.
Arrivò nel suo appartamento con il
fiato corto e la strana sensazione di un giramento di testa, si spogliò in
fretta, rimanendo con il petto nudo dove spiccava una cicatrice profonda, che a
suo tempo era stata una ferita dolorosa. Era una sgraziata croce con tre
bracci, di quelle di ordini sacri antichi e conservatori.
Adocchiò in lontananza la boccetta di
tintura di iodio, l’agguantò in un lampo e l’aprì,
si posizionò poi di fronte al grande specchio per mettersela sulla recente
ferita, che per inciso non ricordava come si fosse fatto.
Cominciò a spalmarsela con
meticolosità, trattenendo gemiti di dolore e deformandosi il viso in smorfie
poco entusiaste. Quando alzò gli occhi allo specchio si accorse che qualcosa
non andava affatto. Ormai si era abituato all’idea che la
superficie lo ignorasse completamente, vi si affacciava solo perché era una
questione di abitudine, un gesto di pura vanità che compiva da quando era molto
giovane. Vedere i propri vestiti, gli oggetti che teneva in mano librarsi nell’aria
da soli non l’aveva mai divertito. Gli dava solo un senso di
impotenza e tristezza.
Ora invece, Lo specchio rimandava la
sua immagine nitidamente o meglio, era lui ma non precisamente, perché il se
stesso dello specchio non si stava passando nessun liquido disinfettante sul
petto e non aveva gli occhi stralunati.
Era un doppione rilassato contro la
cornice dell’oggetto, con il petto nudo e l’aria
arrogante, gli occhi fiammeggianti e giallo inferno. I capelli mori fluivano
liberi e selvaggi sulle spalle massicce, incorniciavano il viso largo e
piacevole rendendolo ancora più virile e temibile. Incuteva timore e sgomento,
forse anche per il fatto che zanne lunghe e affilate sbucassero crudeli dalle
labbra e la fronte fosse ricca di rughe che convergevano all’inizio
del naso e gli davano un’aria da pipistrello.
La bottiglia di tintura precipitò a
terra, infrangendosi con uno schianto secco e spargendo il contenuto sul
tappeto. Non distrasse le due figure che continuavano a fissarsi.
<<Salve mio caro Angel.>>
disse con voce ironica e velata di perfidia.
<<Per
<<Inutile invocare madonne, ci
sono e ci sarò sempre.>> lo blandì lo specchio.
<<Perché questo!? Non è una pena
abbastanza grande la mia!?>> disse disperato.
<<Perché sono il tuo
inseparabile compagno, il tuo demone e la tua metà.>> rispose lapidario.
<<Io…non
voglio, non ti sopporto…>> disse piagnucoloso come
un bambino Liam.
Lo specchio scoppiò in una risata
cruda e sferzante.
<<Ma lo farai perché tu non hai
una tua volontà, tu non sei niente Liam. Sei una figura fittizia, non esisti.
Angel esiste, Angelus esiste. Io esisto, mi hai creato tu. Siamo una sola cosa,
il rifiuto con cui sto parlando è solo il prodotto di un’anima
fredda. Non è nulla. Tu vuoi vendetta, IO voglio vendetta, contro chi ha creato
quest’immonda immagine di me stesso.>> sentenziò
implacabile, facendosi sempre più vicino allo specchio, così come Liam.
<<No…non
lo desidero…>> disse con poca convinzione il moro.
<<Oh sì che la vuoi! Ricordi
quando siamo, quando sono uscito Angel? Eri fiero ed audace, pronto ad un mondo
di perdizione, IO lo ero.>> Liam si ritrovò ad urlare, non capiva, non
parlava di sua volontà, eppure lo specchio rifletteva la sua immagine, era lui
in qualche modo. Era un dialogo con se stesso.
<<Ma poi non è andata come
sperato…>> si ritrovò a dire e questa volta era proprio
lui, Liam aveva parlato. Era difficile da comprendere ma sentiva quelle parole,
con l’anima. Non poteva permetterlo…stava
accadendo ancora.
<<Ho scoperto che una
maledizione gravava su di me, che TU gravavi su di me.>> sibilò ricco d’astio.
<<E questo mi ha fatto molto
arrabbiare…>> sussurrò Liam, non propriamente Liam…c’era
anche una parte di Angel in lui. Stava tornando, si stava impossessando del
proprio corpo. Ora l’anima si stava nascondendo.
<<Oh se l’ha
fatto! Tu Angel, che volevi votare la tua esistenza alla perdizione e mi hai
creato…hai valorizzato te stesso chiudendoti nell’oscurità…ti
sei ritrovato con un’anima! Una cosa che da vivo non
consideravi nemmeno! Sei arrivato tu Liam!>> era infuriato, ma gioioso come
un bambino, stava riuscendo nel suo piano.
<<E mi sono sentito tradito…nemmeno
libero di decidere per me stesso!>> urlò Angel, ormai rimaneva ben poco
di Liam…
<<Meditavi vendetta contro il
Consiglio che conoscendo il tuo piano ti aveva fatto maledire! Ma al contempo
capivi Angel, mio fida metà, che eri potente, che per te poteva esserci un
futuro. Io lo capivo, perché Angel era assopito in me e Liam vinceva…>>
<<Non ho potuto vincere…non
mi hanno permesso di godere di vita eterna ed eterna oscurità!>> biascicò
esaltato, tornando quello che era…
<<Sei diventato l’ombra
di te stesso e sei morto per non risorgere…ma il demone era stato creato…ti
sei ridotto ad una nullità e Liam è giunto con la sua ridicola
coscienza!>>
<<Non ce l’hanno
permesso…>>
<<Liam non sei tu! Non esiste!
Tu sei me, un demone spietato, creato dalla tua stessa volontà!>> ormai c’era
un che di folle nel suo sguardo, le pupille scintillavano contornate dall’ocra,
Angel stesso, Liam, il mezzo demone, si era trasformato. Parlava con la propria
immagine e si sdoppiava, si rispondeva, ma era un’entità
diversa, era il demone che riaffiorava, portando con sé la vecchia, vecchissima
personalità del barone irlandese. Portava con sé il VERO Angel.
<<Lei mi ha lasciato!>>
urlò Angel al suo doppione. Se la ricordava, fluenti capelli biondo chiaro,
morbidi come la seta. Occhi azzurri così belli ed angelici che scioglievano il
cuore e contenevano la crudeltà del suo demone. Poi rammentava la sua stretta,
le sue labbra che l’avevano cercato. Non appena
uscito il demone era prevalso, aveva fatto una strage ma poi…poi
era finito tutto!
<<Nel momento in cui si è resa
conto di quanto fossi diverso ti ha abbandonato, demone e uomo che lei stesso
aveva generato, ed è andata a perdersi con uno sciocco invertito sentimentale…>>
<<Ho sofferto…voglio
tornare…ma Liam è sempre nell’ombra…l’anima
mi rode anche adesso e il rimorso…mi minaccia…>>
<<Tornerai Angel, Liam sarà
debellato. Hai scoperto la chiave, l’acqua contro la scintilla. Ti
vendicherai!>>
<<Che devo fare?!>>
<<Ascoltami…>>
<<E poi abbiamo ballato…stretti
l’uno all’altra e in quel momento magico
io ho capito che amo quell’uomo profondamente e voglio
diventare sua moglie, per adorarlo in eterno…capisci
Dru?>> la ragazza mora annuì condiscendente. Era distesa come una gatta
sul divanetto del giardino d’inverno, le gambe piegate in
modo regale e leggermente tirate verso il busto. Il suo abito era di lino
bianco, con ricami viola che scendevano dalla vita e arrivavano all’orlo,
passando per la parte destra della lunga gonna. Si intrecciavano in un motivo d’edera,
con foglie molto stilizzate ed appuntite, come tanti corvi neri. Il corpetto
aveva il medesimo tema, i lunghi bracci d’edera si annodavano con grazia
quasi spettrale intorno alla spalla sinistra. I capelli della bella Drusilla
erano raccolti in aggraziati boccoli setosi che li accorciavano ed andavano a
congiungersi in una crocchia sopra la nuca. Aveva il sole di spalle, le
illuminava piacevolmente il corpo rendendola simile ad un angelo. Aveva il viso
molto pallido quella mattina, non sembrava in salute ma d’altronde
Dru era sempre stata di carnagione chiarissima, nessuno ci fece molto caso.
Anche i suoi occhi erano più vividi, come alimentati da una luce estranea.
Era arrivata dalla sua migliore amica
quella mattina stessa, con al seguito la dama di compagnia, Sheila. Un
ombrellino bianco venato di viola come l’abito e il cappellino,
nonostante dovesse fare solo pochi metri. Era una persona che usciva sempre in
grande stile, completa di ogni accessorio previsto dalla moda del momento.
Quell’aria trasognata che aveva sempre la rendeva sì
bizzarra, ma anche mortalmente bella. Sembrava una bambina da curare, vezzeggiare
e coccolare, una bambolina con la pelle di porcellana.
Era venuta sotto preciso invito di
Elisabeth, consapevole del fatto che avrebbe dovuto sentire ogni più piccolo
dettaglio della serata, continuamente.
<<Lo sai Dru che mi sono
innamorata pazzamente di lui? E mia madre ha detto che molto probabilmente
convoleremo a nozze!! Lo sapevi? Non è una notizia fantastica?>> esordì
la bionda, non riusciva a stare seduta un minuto sulla poltroncina, era
incredibilmente eccitata.
<<Sì cucciola…il
fatto che tu l’abbia ripetuto così tante volte fa pensare a mammina
che è una buona notizia…>> disse dolcemente Dru,
accarezzandole una guancia.
<<Oh…scusa
amica mia, è solo che sono così eccitata…non penso altro che a lui…>>
disse con aria trasognata.
L’occhiata incerta che Drusilla le
lanciò la fece gelare. Dopo molto tempo si stupiva sempre delle tendenze dell’amica,
aveva una certa capacità di capire le persone molto in fretta, tra le mura di
casa Landou si vociferava addirittura che la piccola erede avesse la vista. I
suoi amici tzigani, che spesso si fermavano a Londra solo per vederla, ne erano
convinti e avevano più volte cercato di convincere Jenny ad affidarla a loro,
che avrebbero potuto coltivare e accrescere questo dono. La donna però non
aveva acconsentito, non tanto per paura di uno scandalo ma perché non amava la
magia. Il suo passato era oscuro, non si conosceva molto della sua famiglia e
dei loro antenati. Ma Jenny aborriva la magia, non desiderava che sua figlia
avesse contatti con essa e nemmeno che le venisse parlato delle molteplici
creature che esistevano nel mondo. Drusilla non doveva sapere, non doveva fare
anche lei gli stessi errori dei suoi antenati e mettersi, finire al servizio
del Consiglio. Jenny sapeva cos’era Elisabeth, sapeva ogni cosa,
sapeva anche che qualcosa era in atto. Ma lei non avrebbe più fatto nulla,
aveva giurato.
<<Sei una bambina bugiarda…le
stelle me l’hanno detto…al tuo cuore un nuovo volto
parla…la sua voce ti ha infiammato il petto…>>
cantilenò con voce velata la mora. I suoi occhi violetti erano diventati
enormi, come quelli di una civetta. Scrutavano sornioni e consapevoli la bionda
che era rimasta sbigottita.
<<Parola mia Drusilla, se
continui con queste scempiaggini verrai rinchiusa in manicomio!>> trillò
sarcastica una voce.
<<Down!!>> la rimproverò
Elisabeth contrariata, sapeva che la sua amica non andava molto d’accordo
con sua sorella, non si erano mai piaciute. Forse perché Dru era un essere
onesto, dolce e sincero e Down no. Una persona materialista, che poteva anche
ricorrere facilmente ad inganni.
<<Le stelle potranno anche non
piacerti Briciola, ciò non toglie che conoscano! E quello che hai fatto ieri
sera con Piccolo Principe Bizzarro non piacerebbe a Lady Jo.>> Piccolo
Principe Bizzarro era un soprannome, Dru chiamava così Andrew, dicendo che con
i suoi capelli biondi, gli occhi chiari e quel viso dolce ed infantile le
ricordava un principino delle favole. Bizzarro perché era noto a tutti quanto
fosse strano, una volta le aveva fatto vedere un gioco di luce che simulava la
nascita delle stelle e da quel giorno lei lo adorava. Quanto a Lady Jo, era il
modo in cui Drusilla chiamava la madre di Elisabeth, nei suoi discorsi con l’amica.
Down sembrò punta sul vivo. Era
successo di sicuro qualcosa, Drusilla ci aveva visto giusto, letteralmente.
Inoltre odiava essere chiamata Briciola, nonostante fosse più grande della
moretta, era più bassa e meno aggraziata. A volte fastidiosa come una briciola
in gola, da quello era nato il soprannome.
<<Chiudi il tuo becco da cornacchia,
Pazzerella! Ciò che faccio in casa mia non sono affari tuoi! Cosa dicono le
stelle riguardo a ciò che ha fatto TU ieri!? “La
leggi-stelle è la regina delle sgualdrinelle…”>>
scimmiottò la voce della zingara con perfidia, era stata cattiva, Elisabeth non
aveva parole.
<<Sarò anche un sgualdrina ma
soddisfatta sono rimasta…non sono io che ho dovuto
simulare l’asta…>> canterellò tranquilla
Drusilla, lasciando trasparire un sorriso che aveva un crudeltà inaspettata.
Sembrava che negli occhi brillasse una luce sadica.
Elisabeth non capiva quasi nulla di
quello che stava accadendo, ciò di cui si parlava non aveva un significato per
lei. Ma Down diventò improvvisamente rosso porpora, con le labbra che tremavano
e gli occhi accesi di collera e umiliazione se ne andò via, sbattendo la porta
e facendo tremare i vetri del giardino d’inverno.
<<Ma che cosa intendeva? Non ci
cre-credo…perché ti ha dato della sgualdrina Dru!? Dio mio
scusala, è solo…nervosa per l’imminente matrimonio…lo
sai…>> balbettò Elisabeth, temendo che l’amica
fosse in collera. Ma con sua somma sorpresa la vide sorridere, dolcemente l’attirò
a sé e l’abbracciò, cullandola come se fosse una bambina.
<<Non ti preoccupare dolce Buffy…>>
<<Come mi hai chiamato?>> chiese esterrefatta la ragazza. Ma che
razza di potere conteneva Dru?
<<Il vento mi ha portato il nome…è
stato pronunciato da un angelo caduto…>> le accarezzò lieve il
capo, con lo sguardo vitreo, come se fosse in trance.
<<Briciola non aveva del tutto
torto…e io nemmeno. È accaduto qualcosa Buffy…mammina
lo sente e sa che anche per te è lo stesso…ma non devi dirmelo…sento
che non posso e non devo venirne a conoscenza.>> Elisabeth fu grata alle
stelle, al vento, alla risacca del mare, alla luna e a tutti gli emissari di
Drusilla.
<<Ma Dru, parlando di cose serie…come
poteva avere ragione mia sorella, mi rifiuto di crederlo! Io ho baciato il mio
Liam ma…tu…non hai baciato Parker…>>
era più un’affermazione che una domanda.
La sua aria birichina, leggermente di
superiorità e di compiacimento la fece fremere, era curiosa, doveva sapere che
cosa era successo.
<<Oh sì che ho baciato…tanto,
Ma non solo…>> Elisabeth cominciava a capire.
<<Dru! Ma per queste cose si
aspetta il matrimonio!!>> disse scandalizzata ma anche incuriosita.
<<Oh ma io e il mio principe
nero non ci sposeremo mai…la luna l’ha
mormorato al vento e lui l’ha bisbigliato a me…i
suoi morsi sono la linfa, i suoi occhi le mie stelle che dovrò sempre guardare…d’ora
in avanti…il mio siero è in lui…il suo
presto in me…per l’eternità.>> concluse
trasognata.
<<Dru…tu
stai straparlando un po’ troppo…Parker
non è…>>
<<Ma io non intendevo Parker. Il
mio principe è molto diverso e poi…Parker non mi ama…lo so…e non
c’entrano un accidente le stelle! L’ho
visto…non mi è fedele…>> la rabbia era chiaramente
intuibile attraverso i suoi lineamenti contratti e duri tutto d’un
tratto. Sollevò leggera le labbra in un sorriso poco rassicurante, se non fosse
stata troppo sconvolta dalla rivelazione Elisabeth avrebbe notato una
stranezza. I denti, più affilati e le gengive poco colorate.
<<Oh mia dolcissima Drusilla!!
Non è possibile, sembra seriamente preso da te e poi doveva chiedere la tua
mano…>>
<<E lo farà cucciola ma io non
lo voglio, lui non mi ama, apprezza solo il mio denaro e non sono disposta ad
accettarlo! Parlerò con mia madre e se lei non acconsentirà…fuggirò.
Con Linsday, me l’ha sempre proposto. Ma prima dovrò dare un saluto, l’ultimo,
al mio angelo…dovrò affogare per l’ultima
volta nel suo nettare…>> era triste, si teneva
la testa e mugolava con lentezza, presa dallo sconforto.
<<No ti prego Drusilla, pensa
allo scandalo, pensa a quello che succederebbe…e io come
farei…gli zingari non possono darti quello che hai qui…>>
cercò di dissuaderla la bionda.
<<Ma io avrò l’eternità
per riprenderlo, me l’ha detto l’inferno.>>
<<Si rende conto che avevo altre
visite prima della sua? Questa sua irruzione nella mia proprietà e nel mio
studio non la tollero, non so come sia riuscito ad entrare inosservato, ma non
ho nessuna intenzione di farla restare qui!>> l’uomo
prese un campanello d’argento e si apprestò a
scuoterlo, qualcuno sarebbe venuto a liberarlo da quell’energumeno
moro una volta per tutte.
<<Se fossi in lei non lo
farei.>> sentenziò con aria grave l’intruso.
<<E perché dovrei darle retta?
Non ha il diritto di darmi ordini in casa mia!>> l’uomo
aveva una smorfia determinata nel volto, ergendosi in tutta la sua altezza
prese l’oggetto e si preparò a scuoterlo.
<<No ma ho il diritto di
aiutarla e farmi buttar fuori nocerebbe molto sia ai suoi piani finanziari che
a sua figlia.>> Ethan si arrestò di colpo, con campanello ancora in mano,
pronto ad essere scosso.
Appoggiò le mani sulla scrivania e
socchiuse gli occhi, come a volere analizzare sottilmente il suo “ospite”.
<<Che intende dire!? Come si
permette di minacciarmi in casa mia! Lei deve essere pazzo, Drusilla è da una
amica!>> strillò isterico. Quell’uomo non gli era mai piaciuto,
fin da quando l’aveva visto la sera prima. Aveva una stonatura, una
macchia in sé, pur sembrando uno stinco di santo.
<<So benissimo dove si trova sua
figlia, non potrà dire lo stesso lei domani. Per scongiurare questo…increscioso
fatto, ho bisogno di un favore da lei.>> Angel era calmo, sedeva con
molta tranquillità su una poltrona di mogano e fumava un sigaro.
Il sudore cominciò a colare copioso
dalla fronte di Ethan, aveva ragione sul barone, non ci si poteva fidare di un
irlandese. Se i suoi vicino avevano il coraggio di affidare la loro bambina
nelle mani di quell’uomo erano affari loro. Solo
riteneva che la piccola Beth non avrebbe mai soddisfatto appieno le voglie di
quel barone, la sua unica salvezza era il fatto che fosse fertile, sicuramente
però avrebbe dovuto convivere con l’infedeltà e l’umiliazione
di chiedersi come mai, la sua vicina, avesse il suo stesso profumo.
<<Vuole dei soldi? Li avrà ma
prima dovrà darmi una prova di quello che dice, le minacce non si fanno alla
leggera.>> si era seduto anche lui, tamburellava sul piano smaltato della
scrivania con le dita e i suoi occhi erano di nuovo attenti e vigili. Quando si
parlava di affari, Ethan Landou era un mago.
<<Non voglio denaro, in duecento
anni ne ho accumulato parecchio. Voglio un incantesimo Ethan, voglio che tu
colpisca lo Squartatore.>>
per poco l’uomo
non cadde dalla sedia, nessuno, nemmeno sua figlia sapeva che lui era stato un…un
mago, un assassino veneratore di un mostro, un membro fedele di una setta.
<<Come…come…>>
balbettò con tutta la tranquillità che veniva meno. Si stava sciogliendo come neve
al sole, non era più al sicuro.
<<Non importa come l’ho
saputo, voglio che tu lo faccia, o tua figlia non potrà darti quello che
desideri.>> sentenziò Angel.
<<Se conosci il mio passato
allora sai anche che potrebbe non importarmi nulla di mia figlia, in fin dei
conti ho due eredi maschi che porteranno avanti il mio titolo e la mia
ricchezza.>> sperava di acquistare un po’ di tempo,
anche di convincerlo a desistere, magari sarebbe riuscito ad ingannarlo.
<<Non è importante a livello di
discendenza, ma è promessa al figlio del magnate del tabacco, Sir Thomas
Parker, della Parker&Sons, industria specializzata per la raffinazione di
tabacco. So che ha agganci in tutto il mondo e tende ad espandersi ancora. Il
mercato mondiale di tabacco è molto redditizio.>> precisò.
<<Quindi so che non perderesti
mai l’opportunità di imparentarti con un uomo destinato a
diventare tra i più ricchi del mondo.>>
si sentì messo in trappola, ora non
aveva più scuse.
<<E come avresti intenzione di
privarmi di questa opportunità?>> chiese, pur immaginando la risposta.
<<Mettiamola con un volgare
ricatto. O tu farai quell’insignificante incantesimo per
me, oppure tua figlia non vedrà più la luce del giorno.>> sorrise
diabolico e si godette la faccia stralunata dello stregone. Si accigliò però
quando lo vide sorridere sarcastico.
<<Ti credevo più originale,
invece una banale minaccia di morte, perché è questo che vuoi fare vero?
Ucciderla.>> chiese con una punta d’ironia.
<<E non solo.>> rispose,
lo scintillio degli occhi gialli costrinse Ethan a sedersi nuovamente. Non si
era nemmeno accorto di essersi alzato.
<<Capisco…ma…io no
guadagno nulla da questa storia. Infondo è un bello spreco di energie fare
incantesimi…>> si torse le dita, i vampiri erano avidi ma
amavano le persone che somigliavano loro, scaltre e senza rimorsi e
modestamente, lui si considerava così.
<<Anche con le spalle al muro ti
permetti di contrattare Ethan? Mi piaci, per questo non ti ucciderò per la tua
sfrontatezza. Il tuo tornaconto sarà la vendetta, il piacere di mettere al
tappeto lo squartatore e fargli pagare per le umiliazioni che ti aveva
inflitto. Non ti sembra abbastanza?>> ma dallo sguardo dello stregone
capì che non bastava.
<<Con la vendetta non si mangia,
e poi a me i piatti freddi non sono mai piaciuti.>> rise da solo per la
sciocca battuta, che fece alzare gli occhi al cielo ad Angel.
<<Non mi sembra che tu abbia
problemi a mangiare, ma se vuoi verserò un piccolo obolo a tuo nome.
Soddisfatto?>> l’uomo scosse la testa.
<<Dipende da quanto sarà piccolo!>>
ora ci stava prendendo gusto, era comunque una tratta, gli affari erano il suo
pane.
<<Non sfidare la mia generosità
uomo! Ho tolto abbastanza sangue a tua figlia da trasformarla sta notte
stessa!>> la cupidigia di Ethan si ridimensionò subito.
<<Come vuoi…che
cosa devo fare?>> domandò, la parte tecnica della faccenda era che tipo
di incantesimo dovesse praticare, ormai erano anni che non giocava con la
magia.
<<Dovrai mettere fuori gioco
Rupert Giles, non in modo definitivo, sorgerebbero sospetti. Inoltre è molto
attaccato alla sua cacciatrice e per questo è stato facilmente individuabile,
potresti scatenare l’ira della ragazza e non è
conveniente, senza contare che ne arriverebbe subito un altro d’Osservatore
e mi ci vorrebbe troppo per individuarlo.no voglio una malattia abbastanza
potente ma non mortale. Vedi tu Stregone, l’importante
è che se ne stia lontano da lei per un po’.>> si era alzato e aveva
buttato il sigaro fuori dalla finestra.
<<A che scopo
allontanarlo?>>
<<Non sono affari che ti
riguardano. Fai il tuo dovere e il tuo programma d’investimenti
sarà salvo. Prova a tradirmi e vedrai che succederà alla piccola dolce
Drusilla.>>
<<Quando devo cominciare…?>>
domandò irrequieto.
<<Bè io direi anche
immediatamente, buona giornata Ethan.>>
se ne andò con grazia, passando per i
corridoi liberò i domestici legati e imbavagliati e uscì dal portone. Imboccò
la strada in ombra e tornò a Raspberry House.
School Hard.
Drusilla era svenuta poco dopo. Si era
accasciata con grazia nonostante tutto, la poltrona l’aveva
fortunatamente accolta. Elisabeth si era spaventata oltre l’immaginabile,
tutto il suo orgoglio, la sua forza di cacciatrice era svanita di fronte a
quella disgrazia e si era trasformata in puro panico. Non appena ripresa dallo
shock si era precipitata in camera di sua sorella. Non le era importato se
aveva sorpreso la rossa e Osvald a baciarsi appassionatamente, non le era
nemmeno passato per la testa che avrebbe potuto chiedere aiuto a qualcuno di
sotto come il maggiordomo o chiamare Sheila.
Oz era sceso a precipizio dalle scale
e nonostante tutto aveva saputo cosa fare con molta calma e razionalità, mentre
la bionda gli saltellava attorno continuando a torcersi le mani e a strillare.
In un attimo la casa si era accesa di fermento, erano stati portati sali e
ventagli, pezze bagnate e alcuni sommari medicinali.
Oz aveva aperto il vestito di sua
sorella con molta cura e le aveva sollevato la testa, l’aveva
fatta respirare con più libertà e le aveva fatto odorare i sali, le aveva
bagnato la fronte con un panno imbevuto. Nella preoccupazione generale nessuno
le aveva esaminato con minuzia il corpo, d’altronde perché farlo?
Così i due piccoli buchi sul collo
della ragazza erano passati inosservati, perfino all’occhio
esperto della cacciatrice sarebbero dovuti essere evidenti. Ma quando il fato
ci si mette in mezzo nulla può contrastarlo, così nessuno si era accorto di
nulla e l’oscuro segreto di Drusilla non era stato svelato.
Quando finalmente la fanciulla era
rinvenuta Osvald l’aveva presa in braccio
delicatamente e senza sforzo, pur essendo più basso. Lei era debole e svuotata
di ogni energia, senza contare che era mortalmente pallida, come se il suo
colore fosse scivolato via d’un colpo. Non aveva riconosciuto
le persone intorno a sé, nemmeno Elisabeth che in preda al dolore si era
buttata a piangere tra le braccia di Anya. Si era affidata alle cure di quello
che pareva un viso noto e aveva lentamente chiuso gli occhi, sospirando e
lasciandosi portare via.
Arrivata a casa sua madre si era precipitata
a vederla, aveva chiamato il medico che sotto ordine del signor Landou aveva
praticato una trasfusione con il suo sangue, visto che Osvald si era fermamente
rifiutato di donare il proprio. Jenny non aveva avuto dubbi in proposito alla
causa di tutto, non aveva faticato a trovare le ferite circolari sul collo di
sua figlia e in preda alla collera cieca si era scagliata contro suo marito,
imponendogli un conciliabolo straordinario.
<<Oh Willow mi sono mortalmente
spaventata!>> singhiozzò Elisabeth in braccio a sua sorella. Erano nella
camera di quest’ultima, tutte e tre.
<<Quella ragazza è matta
Elisabeth, sinceramente non ne sono rimasta sorpresa. Con le compagnie che
frequenta…quegli zingari…non capisco come i nostri vicini
possano tollerare le visite di quelle immonde persone. Scommetto che cova in
grembo il suo bastardo.>> sbottò Down, intenta a sfogliare il Times nella
parte economica.
<<Down tesoro come puoi dire
cose simili? Di fronte alla nostra sorellina poi! I-io sono sicura che non è
così…la ragazza è giudiziosa…>>
cercò di giustificare la rossa, mentre accarezzava amorevolmente il capo della
più piccola.
<<È completamente fuori di
cervello Willow! E i suoi genitori sono troppo orgogliosi per ammetterlo, per
evitare lo scandalo mentirebbero anche alla Regina. Non mi meraviglierei
affatto se lei fosse in quello stato, perché io SO Willow, io ho visto.>>
sentenziò lapidaria la mora. Non concepiva il fatto che una donna potesse farsi
ingravidare in quel modo, da un lurido pezzente come uno di quegli zingari dell’est,
sporchi, ripugnanti e dediti a piaceri sordidi. La signora Landou avrebbe anche
potuto essere di sangue blu, ciò non toglieva che fosse in parte zingara.
Doveva solo ringraziare la sua gente per quello che era capitato a sua figlia.
<<Ma Down tu non capisci niente,
non hai visto niente! Non ti permetto di lanciare accuse contro Dru!>>
gridò Beth con le lacrime di rabbia che sgorgavano dagli occhi. Era tanto
cinica e senza cuore, come aveva potuto ridursi così la bella Down? Non si meravigliava
se Andrew volesse sempre rimandare le nozze, non si stupiva del fatto che sua
sorella avesse quella predisposizione per gli affari, possedeva tutta la
freddezza che occorreva in campo finanziario.
<<Non mi permetti? E con quale
autorità Elisabeth! Fino a prova contraria sono ancora tua sorella
maggiore.>> rispose tranquillamente. Odiava quelle scene di debolezza da
parte di quella piaga bionda, odiava la sua bellezza infantile, odiava la sua
fortuna e odiava le sue amicizie, semplicemente perché erano tali. E odiava
doverla consolare per così poco. In quei momenti sentiva di non amare per
niente il sangue del suo sangue.
<<Ma io sono la più grande Down
e finché sei in nostra presenza ti ordino di non offendere più le amicizie di
tua sorella più piccola. Non hai il diritto di giudicare con prove sommarie! Se
la giustizia fosse quella che predichi tu ci sarebbero più impiccagioni che
nascite.>> Willow si erse in tutta la sua altezza, emanava autorità ora,
un luccichio scuro nello sguardo che la faceva sembrare un’altra,
più determinata e più dura.
<<È per questo che l’Inghilterra
va a rotoli. Potete continuare a negare l’evidenza mie care, ma Drusilla è
e resta sempre un spostata incosciente.>> con queste parole uscì dalla
stanza sbattendo la porta.
Elisabeth rimase a fissare la porta
chiusa con rancore. Le carezze meccaniche di Willow tradivano la sua
preoccupazione, nei suoi occhi si leggeva chiaramente il dubbio. Non sapeva se
le sue parole potessero essere del tutto veritiere.
<<Non temere Beth, Drusilla
starà bene e senza gravidanze inaspettate, probabilmente è stato tutto dovuto
alla stanchezza.>> Elisabeth si voltò a guardarla incerta.
<<Credi? Non sopporterei di
perderla e anche se fosse…insomma non l’abbandonerei.>>
sentenziò pacifica e determinata la cacciatrice.
<<È per questo che Drusilla è
fortunata ad avere un’amica come te.>> la
rassicurò.
<<Willow?>>
<<Sì?>>
<<Parlami di te e Osvald…>>
<<Grazie a Dio non è in
cinta.>> esclamò Ethan asciugandosi la fronte. In realtà conosceva
perfettamente il motivo per cui sua figlia fosse ridotta in quello stato semi
cosciente. E con tutta probabilità lo sapeva anche sua moglie. L’aveva
sposata per la sua bellezza, per la sua forza e per il suo rango. Ma
soprattutto per il suo infinito ed antico potere. All’epoca
le sue manie di grandezza erano predominanti, avrebbe volentieri governato il
mondo se gliel’avessero offerto. La docile figlia dei principi
tzigani gli era sembrata la via più breve e migliore per arrivare al successo.
Ma docile non era stata. Sapeva le sofferenze e i pericoli che la sua famiglia
aveva dovuto affrontare nel corso degli anni, ogni rito contro ogni creatura
era stato accompagnato da un sacrificio umano, involontario. Così aveva deciso,
sua figlia non avrebbe più portato avanti la tradizione, niente più incesti,
niente più resurrezioni, niente più anime donate. L’aveva
detto chiaramente al suo promesso:<<Potrai sposarmi per il mio denaro,
per il mio rango o anche per amore, ma non mi sposerai per creare una discendenza
di stregoni e streghe. Non servirò più la causa del Consiglio, vivrò senza il
loro sostentamento.>> così si era rassegnato e un po’ per
soldi, un po’ per la straordinaria bellezza della donna, aveva
portato avanti le nozze, senza obbligarla a nulla.
Ma questo non significava che lei non
rammentasse che cosa erano in grado di fare i vampiri, quindi se non era del
tutto rimbecillita negli, anni aveva compreso perfettamente ogni cosa. Solo non
sapeva chi e perché, ma questo nemmeno Ethan lo sapeva.
<<Grazie a Dio un corno! Tu
sapevi tutto fin dall’inizio, è per questo che hai
ordinato immediatamente la trasfusione. Mi meraviglio addirittura che il medico
fosse così vicino a casa!>> gridò Jenny, facendo vibrare le finestre. I
suoi occhi scuri mandavano bagliori.
<<Tesoro, sono uno stregone e ho
compreso subito il fattaccio…>> cercò di giustificarsi.
Non poteva rivelarle nulla o avrebbero perso tutto.
<<Ethan non sono una sciocca
signora londinese, sono una tzigana la cui famiglia ha trattato per secoli con
quegli animali, mi vorresti dire che non so più di cosa parlo!?>> doveva
stare attento a sua moglie, era una donna difficile e piena di potere, non
avrebbe voluto ritrovarsi con qualche escoriazione in luoghi indesiderati.
<<Jenny per l’amor
del cielo…ci sentiranno!>> cercò di calmarla.
<<Non mi interessa! Io SO che tu
centri qualcosa con questa storia.>> sbottò iraconda, avrebbe volentieri
strozzato suo marito. Osava trattarla da stupida, dopo quello che aveva
giurato, dopo aver accettato le sue condizioni. Non credeva di aver sposato un
uomo tanto ripugnante.
<<Mia cara, mi offende solo il
fatto che tu lo pensi. Dovresti rallegrarti invece che dopo tutti questi anni
di inattività abbia riconosciuto la ferita e abbia ordinato una trasfusione.
Nostra figlia è stata quasi uccisa…>>
<<Appunto Ethan, QUASI! Ogni
demone con un po’ di cervello avrebbe finito il lavoro, invece è come
un’ammonizione. E vorresti dirmi che tu sei
innocente!?>> aveva battuto i pugni sul tavolo e la sua voce era
rimbombata nella biblioteca.
<<Innocente come un
bambino.>> dichiarò senza timore.
<<Come preferisci. Ma non me ne
starò con le mani in mano. Farò un incantesimo e nessun demone entrerà mai più
in questa casa.>>
<<Fallo tesoro, proteggerai la
nostra bambina. Ma sei sicura di riuscirci? È un esercizio della vecchia scuola
e ricordo com’era dura…>>
<<Lo farei anche se fosse un’eresia!>>
detto questo uscì dalla stanza, per andare a mettere in atto i suoi piani.
Ethan la lasciò fare, dopotutto il l’accordo
col barone era concluso, non vedeva come potesse nuocere ai suoi piani.
Un calcio, perfettamente parabile, la
mandò lunga distesa a terra, facendole battere la testa contro una lapide ed
insudiciare il vestito.
<<Che ti succede cacciatrice?
Stasera sembri avere la testa altrove.>> disse, porgendole una mano per
aiutarla. Lei l’accettò automaticamente e non vi prestò attenzione.
<<Che cosa?>> sussurrò
capendo che lui aveva detto qualcosa.
La guardò, poggiando le mani ai
fianchi e piegando di lato il capo. Un gesto che esprimeva la sua perplessità.
<<Appunto. Cerca di svegliarti o
non ti servirà a niente allenarti e io avrò buttato via una serata.>> non
che la pensasse veramente in quel modo. Ogni momento passato con lei era
prezioso, non aveva atteso altro tutta la giornata. Però lo irritava sapere che
lei non era lì con lui, voleva essere il suo primo pensiero appena la luna
sorgeva e l’ultimo appena tramontava. I loro allenamenti, era
danze di sottile grazia, ricche di significato ed emozioni. Lui le vedeva così,
voleva che in quelle poche ore lei fosse tutta per lui e solo per lui. Quella
sera non era così, qualcun altro aveva rubato la sua mente e a lui restava solo
il corpo, che non disprezzava ma…non sopportava di fare l’amore
con pezzi di carne vuoti. Ogni secondo passato con lei era intenso come fare l’amore.
La lotta era fare l’amore.
<<Oh…accidenti
guarda il mio vestito…si è macchiato…Anya
mi ucciderà....>> rispose per nulla interessata alla sua critica. Questo lo
sconcertò, era sicuro di suscitare per lo meno un sentimento d’ira
in lei e sarebbe già stato qualcosa...ma non potè far altro che constatare che
la sua predica si era infranta conto un muro di indifferenza. E questo non gli
andava.
<<Per l’inferno
maledetto, vuoi starmi a sentire cacciatrice!?>> finalmente riuscì ad
ottenere una reazione, seppur minima. Lei voltò la testa e lo fissò con gli
occhi sgranati e l’aria perplessa.
<<Non hai detto nulla degno di
nota...e poi ho problemi più urgenti ora.>> rispose tornando a
preoccuparsi per la larga macchia di fango sul retro dell’abito.
<<Oh certo! Il tuo povero
vestito si è sporcato, a chi importa se il mondo potrebbe andare a puttane da
un momento all’altro e la sua unica paladina della luce è
incompetente, Elisabeth Anne Summers si è macchiata!>> sibilò
contrariato. Lei ora si voltò completamente, con gli occhi verdi infiammati d’ira e
le labbra contratte dalla disapprovazione.
<<Per tua norma e regola, questi
sono i vestiti che posso mettere per venire a questi discutibili allenamenti,
se li sporco tutti non potrò più usarli ergo: non potrò più partecipare alla
tua...lezione.>> spiegò sarcastica. Si era fermamente imposta di non
trattare con rispetto il vampiro, a cominciare dal modo informale di parlargli.
Ma non seppe che questo lo faceva sentire più vicino all’oggetto
dei suoi desideri, che lo rendeva felice. Perché non si sentiva più come un
protettore ma come un semplice ragazzo, che chiede ad una semplie ragazza un
briciolo del suo cuore.
<<Oh andiamo! La nobile
contessina Summers che non ha vestiti?>> chiese scettico. Ora erano
perfettamente immobili l’uno di fronte all’altro,
ad una discreta e virginale distanza, come due persone civili. Il cimitero era
scuri intorno a loro, le lapidi assomigliavano a immobili fantasmi privi di
luce, donata loro solo dalla luna malata. Un paesaggio da brivido, ma non per
quelle due altere creature, per loro era solo un luogo come un altro dove
allenarsi. Spike era di spalle alla luna, non gli piaceva in quelle sere, sembrava
ancora più livida di morte e questo era un presagio cattivo. Lasciava che
illuminasse Elisabeth con i suoi raggi simili a molli capelli, nonostante le
desse un colorito troppo pallido. Ma lo scintillio dei suoi boccoli dorati era
adorabile e gli occhi smeraldini ne catturavano sprazzi, di luce. Beveva dalla
sua figura, sperava che un giorno avrebbe bevuto da lei.
<<Questi sono gli unici che
posso usare per uscire di notte, con te.>> ora assumeva l’aria
di un appuntamento galante. Se avesse potuto l’avrebbe
portata ovunque, a teatro e all’opera, poi l’avrebbe
anche portata in paradiso...ma quello dopo.
<<Non importa. Voglio solo che
tu stia più attenta, non siamo ad una sfilata d’alta
moda.>> ribattè. Lei mise il broncio, quel gesto adorabile...così ingenuamente
provocante. Una volta cresciuta avrebbe saputo giocare con le doti che madre
natura le aveva generosamente donato.
<<Va bene...come
desideri.>> si mise in guardia, con i pugni alzati e le gambe lievemente
divaricate, pronta o addirittura quasi rassegnata a ricevere il colpo. Non gli
piaceva vederla così, non si impegnava maledizione! La lotta per lui
era...quanto di più vicino alla caccia, si inebriava dei due corpi che si
univano, allontanavano ritmicamente, come nell’amore.
Amava l’odore della determinazione e del dolore, come quello
fresco del sangue. Si sentiva di nuovo preso dal suo demone e dalla sua antica
forza, che si assopiva a contatto con l’anima, era imbrigliato,
incatenato dall’anima ma la lotta...liberava i suoi istinti biechi e
primordiali, come quelli di un animale, ma una animale molto aggraziato. Un
fiero giaguaro che avanzava flessuoso nella notte.
La guardò ancora, poi mutò il viso. Le
si scagliò contro, deciso a colpirla al volto, mentre il piacere dell’imminente
contatto con il corpo di lei cresceva. Fu respinto, in modo quasi disperato ma
riuscì comunque a finire al tappeto. Lei non fece nulla, lo guardò con gli
occhi abbastanza lucidi di sorpresa, più per se stessa che per l’attacco
improvviso, e perplessi, come se non sapesse cosa fare. Il dolore e la
preoccupazione per Drusilla la lasciavano del tutto scoperta, soffocando
inesorabilmente la sete e la potenza della cacciatrice.
Spike si lecco le labbra, squadrandola
dalla testa ai piedi, dalla sua posizione poteva vederla ergersi fiera come una
statua greca, altrettanto bella illuminata dalla luna. Mai gli sembrò allo
stesso tempo così fragile, c’era qualcosa di profondo che la
turbava e si sentì stupido, per esserne stato geloso.
Con un colpo di reni si rialzò e le
andò vicino, con lentezza. Lei stette immobile ad aspettarlo, in muta
rassegnazione.
<<Brava cacciatrice, ma non è
abbastanza. Dovevi approfittare della mia caduta, picchiarmi
ancora...addirittura impalettarmi.>> lei abbassò il capo, subendo il
rimprovero con rassegnazione. Quello non era un mondo per lei, non riusciva, si
sforzava ma non capiva come si sarebbe dovuta comportare...non capiva nemmeno
come avrebbe potuto affrontare quest’oscura minaccia.
<<È che...che non ci riesco! Non
mi viene...naturale.>> si scusò frustrata. Lui notò il suo disagio e si
addolcì se possibile di più. Le sollevò il mento con un dito, per guardarla
dritta negli occhi e la trovò splendida, baciata dal chiarore lunare.
<<Non temere piccola...ci sono
io...sono qui per questo.>> le sorrise e la fece mettere di nuovo in
guardia, questa volta però l’attaccò con meno impeto
lasciandola parare i colpi con facilità, mentre le sue braccia spezzavano le
sue mosse lui la faceva indietreggiare, sembrava quasi che stessero eseguendo
un ballo al rallentatore, in una realtà distorta.
Elisabeth si ritrovò inchiodata al
muro di una cappella, senza via di scampo, con il vampiro che tentava di
picchiarla ancora e le si faceva sempre più vicino. I suoi colpi presero
velocità e in breve riuscì ad immobilizzarla contro la parete, con le braccia
lungo il corpo.
<<E ora che farai cacciatrice?
Reagisci, trova una soluzione e approfitta della mia sicurezza...>> le
disse calmò, il volto molto vicino al suo, tanto che lei riuscì a sentire l’odore
di tabacco del suo alito e questo la infastidì. Lo guardò per qualche secondo e
poi riuscì ad allontanarlo con un calcio, potente, che lo mandò di nuovo a
terra.
<<Muoviti, agisci e usa questa
mia momentanea resa>> la incoraggiò. Sempre molto lentamente, per non
interrompere quella sorta di gioco, lei si fece avanti ed estrasse il paletto.
Si abbassò piano su di lui, con la gonna che la impacciava nei movimenti. Spike
afferrò al sua mano e la portò più in basso, invitandola a proseguire quello
che aveva iniziato, portando il paletto verso di sè. Poi senza preavviso
ribaltò le posizioni, facendola finire nell’erba umida,
ancora notevolmente sorpresa. Le si mise praticamente addosso e sostenne il suo
peso con un gomito mentre la mano le spostava in fretta il capo per liberare il
collo. Con l’altra le torceva il braccio armato dietro la schiena,
per proteggersi.
La vena pulsava pulsava, il cuore
accelerava i battiti e più sangue arrivava nel corpo, ne sentiva il lento ed
invitante sciabordio, come quello di un fiume. Immaginò il colore rosso
scarlatto e il sapore, doveva essere buono quello di Elisabeth, immensamente
buono. Portò la testa proprio sopra la giugulare e ringhiò piano, poi si
avvicinò all’orecchio e bisbigliò: <<Lo vedi? Si può
ribaltare tutto in un attimo, non devi mai indugiare, mai.>> Buffy era
scioccata, il sogno pareva essersi spezzato per essere sostituito da un altro,
uno in cui lei si ritrovava in balia del vampiro che più l’aveva
colpita e più apprezzava al mondo. La sua bocca che aveva quasi toccato il
centro della sua vita, i canini che reclamavano il loro pasto, e lei non si
spiegava come non riuscisse ad agire. Era immobile ed accaldata, con una strana
sensazione nello stomaco e i brividi freddi che scendevano lungo la schiena, là
dove lui le stringeva quasi con gentilezza il braccio. Lo guardò negli occhi
gialli, che mai le erano parsi più belli e più temibili e deglutì forte,
portando la giugulare a muoversi invitante.
<<Non provocarmi
cacciatrice...non sai che cosa scateneresti...>> disse lui,
accarezzandole piano la cute, dove teneva ferma la testa.
In un lampo si ritrovò contro un
albero, scalzato dal corpo di lei dal suo calcio. Sorrise visibilmente eccitato
e contento, lei aveva coraggio, aveva ritrovato la forza e ora era sua, lì,
pronta a combattere, a donarsi a lui in uno degli attimi più intimi che potesse
concepire.
Si rialzò agilmente e le si scatenò
contro, mirando con un calcio al viso che andò a vuoto, lei allora gli afferrò
la gamba e lo ribaltò buttandolo di nuovo a terra. Spike si concesse il lusso
di vederla sorridere, inconsapevolmente più bella che mai. Ma fu solo un
attimo, si avventò su di lei e le colpì il viso, facendola vacillare, evitò i
suoi attacchi e le tirò un altro calcio, mandandola a cozzare contro una lapide
che si incrinò. Rimase per un attimo ferma, ansante, squadrando con odio il suo
avversario, poi si rimise in piedi e lo attaccò ancora. Riuscì ad imprigionarlo
contro un albero e lo picchiò di più, Spike non si scompose, liberò facilmente
una mano e la prese per il collo, girandola in modo tale da parlarle
vicinissimo alle labbra, labbra che lo avevano scioccato, reso ebbro di
desiderio.
<<Ma brava la mia Buffy...ma non
sarà mai abbastanza contro di me...>> detto questo la respinse,
scaraventandola in mezzo al cimitero e facendola picchiare il sedere a terra.
Si rialzò tremante di dolore, ma
accecata dalla voglia di annientare quel pallone gonfiato. Ripreso a ballare,
come piaceva a Spike e più che una danza sembrava un disperato tentativo di
prevalere e affermare il predominio sull’altro, un continuo toccarsi-non
toccarsi che lasciava sulla pelle di entrambi una piacevole sensazione di
potenza, di calore e di proprietà, come se marcassero il territorio lì dove
colpivano e fosse quello un tacito segno di possesso, come se nessuno potesse
revocare il diritto di combattere con essi, se non loro stessi. Stavano
componendo una musica fatta di forza e stanchezza, di velocità, tessevano la
loro storia. Occhi negli occhi, sempre e comunque. Nessuno dei due poteva fare
a meno degli occhi dell’altro. Come il cielo con i suoi
astri, i fiori col profumo, il vampiro con la sua cacciatrice.
Fu la volta di Elisabeth di essere
pressata contro il muro, cozzando contro la parete fredda le mancò il respiro, così
come quando lui le fu addosso, a fior di labbra.
<<Ti piace vero Buffy? Lo sento
dal tuo cuore che ti piace, lo sento nel tuo sangue che ami l’odore
del confronto e della battaglia. Ami anche me...come avversario...>> era
più un’affermazione che una domanda e lei non seppe negarlo,
amava lui, amava combattere con lui, perché le insegnava, non le dava vantaggi,
non la trattava come se fosse su un piedistallo, amava sentirsi messa in gioco.
Il respiro era accelerato, per la
vicinanza del corpi, per la fatica, per il desiderio di...conoscere sempre di
più Spike, anche nella lotta.
Puntò sfacciatamente gli occhi sulle
labbra così belle e così femminili, come un’ape
attratta dal nettare. E lei arrossì, ma non si scompose.
<<Sì. Amo te...come mio avversario,
la lotta con te...la vicinanza...e la complicità...ma amo di più...>> si
interruppe per studiare la reazione. Lo vide farsi più attento...con gli occhi
scintillanti e torbidi, densi come la tempera.
<<Si? Cosa ami Buffy...cosa
ami...?>> chiese abbacinato dalla sua faccia, rossa e sottile, dal naso
lievemente storto, dalla persona in sé, dall’anima che
scorgeva nei suoi occhi.
<<...illuderti di avermi in
pugno.>> e detto questo, lo buttò a terra senza ritegno ed estrasse il
paletto, gettandosi sopra di lui come in preda alla follia.
<<Colpiscimi passerotto...se lo
vuoi.>> concluse lui, allungando le mani, accarezzandole i fianchi e la
mano che brandiva l’arma.
<<E chi mi farebbe da
guida?>> chiese stizzita e resa folle dalle sue mani.
Sogghignò, la amava, con l’anima,
col cuore, con il corpo. Amava Elisabeth Anne Summers e si sarebbe dannato un’altra
volta per lei.
<<L’Osservatore
Buffy...>> rispose, mentre incatenava gli occhi ai suoi.
<<Ma io non voglio l’osservatore,
voglio te, perché sei l’unico di cui mi fido...l’unico
che ha tirato fuori le due Buffy...cacciatrice e persona e le ha unite, in
tutto questo tempo.>> lo guardò e sorrise, amava quel vampiro, in senso
platonico, adorava la sua personalità.
<<Ti fidi di me?>>
<<Sempre.>>
“Alla cortese attenzione del Signor William Black
Dopo quanto discusso la sera passata e
dopo le decisioni prese in merito all’allenamento della ragazza, mi
vedo costretto a ricordarvi che i vostri doveri sono puramente didattici, per
nessun motivo siete autorizzato a dare informazioni non pertinenti alla lotta
alla ragazza, non dovete in alcun modo alimentare la sua curiosità sulla dura
missione che si appresta a compiere e nemmeno su quanto sto per dirvi.
I nostri esperti, sotto la guida di un
volume scovato per caso nella mia biblioteca, sono riusciti a decifrare
parzialmente la pergamena. Abbiamo ragione di credere che si tratti
effettivamente di una profezia su un vampiro e una cacciatrice, sulla rinascita
di un male che fu sedato, si credeva per sempre, molti anni orsono. Nulla però
indica il momento in cui la profezia si compierà e il male avrà via libera,
nemmeno la causa ci è chiara, sappiamo solamente che la cacciatrice avrà un
ruolo in tutto questo, presumibilmente quello sacro ed antico di proteggere il
mondo dalla nuova calamità. Nulla di nuovo in effetti, ma la prova sarà, come
si pensa, molto più difficile del previsto. Purtroppo è quasi impossibile
decifrare più di quello tradotto finora, abbiamo solo qualche frase isolata,
una delle quali tratta di un attimo di pura felicità, crediamo che sia quella l’arma
della cacciatrice, in quanto il demone, non avendo sentimenti e..un’anima...non
potrà contrastare con la forza di tale emozione. È però necessario proteggere
più che
Distinti saluti
Duca Rupert Giles, Osservatore”
William posò la lettera sul tavolo, si
portò una mano alle tempie e chiuse gli occhi. Ora sapeva perfettamente cosa
fare, come ogni maledetta volta, sempre così, sotto ordine di qualcuno, ordine
che per altro non lo convinceva per nulla.
Conversation with dead people.
Elisabeth si svegliò la mattina dopo
con l’intenzione di rivedere seriamente le sue attività
serali. Era stanca, dolorante e molto, molto pentita per ciò che si era
lasciata sfuggire. Lui non meritava quelle parole, non era LUI l’uomo
che avrebbe dovuto sentirle dire per la prima volta dalla sua bocca. Per quanto
attraente fosse, per quanta classe ostentasse, rimaneva sempre un vampiro.
Improvvisamente si chiese perché facesse questo discorso, non ce n’era
nessun motivo. Lei amava un altro il cui nome era stampato a fuoco nella sua
mente, ora come ora, sentiva di volerlo rivedere al più presto.
Scese a fare colazione, trovò le due
sorelle ma non la madre, fu informata poco dopo che era uscita per una visita.
Con Down non aveva più parlato, sebbene le mancasse il loro rapporto saldo e
sincero, l’offesa che le sue parole cariche di disprezzo avevano
provocato, non le permetteva di considerarla di nuovo degna di nota. Dal canto
suo la ragazza si limitava a saluti brevi e freddi, mentre era sempre più
immersa nel complicato labirinto dell’organizzazione del suo
matrimonio. La data era stata finalmente fissata, di lì a una settimana, Down
sarebbe stata finalmente la signora Lank e niente e nessuno le avrebbe portato
via la gloria di aver imbrigliato il suo promesso. Elisabeth si rendeva conto
che la sorella era arrabbiata anche per un’altra cosa. Sebbene le nozze
fossero imminenti, non si registravano l’eccitazione e l’angoscia
che avrebbero dovuto riempire la casa. Non si parlava d’altro
del possibile e quasi certo fidanzamento della più giovane. Decise di non
curarsene, la sua mente aveva altri problemi molto più gravi per la mente, ora.
Vedere Willow intenta a scrivere le
diede un senso di gioia profonda, la serenità con cui muoveva la penna, il
sorriso luminoso, l’amore che metteva in quella
lettera era evidente. Osvald era un ragazzo fortunato. E così le due famiglie
si sarebbero imparentate, la speranza che Riley facesse un buon matrimonio con
Elisabeth era sfumata non appena si era cominciato a parlare di barone
irlandese. il sentimento però che legava i due ragazzi, era tenuto segreto.
Sotto esplicita supplica di Willow, non aveva raccontato nulla, sembrava che ci
fosse qualcosa che non andava in Oz, che di recente avesse riscontrato una
qualche malattia, per cui Willow era preoccupata ma anche fermamente decisa a
debellare il male subdolo che affliggeva il ragazzo. Non aveva voluto parlarne,
era diventata tremendamente irrequieta e balbuziente, addirittura spaventata,
quando si era entrati in argomento. Quello che sorprendeva di più Buffy era la
particolare avversione che aveva dimostrato verso la sciagura, come se fosse
qualcosa di indegno e sacrilego. Arrivò a sospettare che covasse il mal
sottile.
Dopo la colazione e una leggera
chiacchierata con Willow, tornò nella sua stanza e chiamò Anya per farsi
aiutare a vestire.
<<Come va con...la tua
missione?>> chiese mentre la donna le stringeva il busto, mozzandole il
respiro.
<<Oh...-ridacchiò impertinente e
scoccò uno sguardo malizioso fuori dalla finestra-...molto bene signorina, io e
Xander ci intendiamo a meraviglia, certo è che aveva una vera fissazione per
voi, parlo seriamente. Ma dopo una bella chiacchierata sono riuscito a
convincerlo di lasciar perdere...per occuparsi di cose più importanti.>>
tirò l’ultimo laccio e chiuse con straordinaria forza. Ora
la sua padroncina aveva un vitino da vespa eccellente.
<<Per esempio?>> andò
verso il guardaroba e tirò fuori un vestito di cotone verde pallido, più
pesante degli altri. Cominciava a fare freddo. Osservò l’ampia
gonna voluminosa e il sottogonna che doveva indossare, ricco di pizzi e
fronzoli, rigido come se fosse stato immerso nella calce. La mente la riportò
alla sera prima e all’impiccio di tutti quei metri di
stoffa, se non li avesse avuti sarebbe stata molto più agile.
<<Oh...sa, cose
più...stimolanti...nulla che potrebbe interessarvi...l’importante
è, signorina, che quell’uomo non si cura più di voi e
della vostra sicurezza, non è un bene?>> le porse la sottogonna e l’aiutò
ad entrarvi, dopo di che cominciò ad allacciarle anche quella e a lisciarla per
benino.
<<Sì....suppongo di si
Anya...>> non la stava ascoltando veramente, ripensava sempre alla gonna
e accarezzava quella dell’abito, rimuginando.
<<Oh Elisabeth, mi piace molto
questo vestito! Ma vedrei un colore più acceso, un bel verde elettrico con
tanti fili d’oro e decorazioni...>> glielo chiuse e ammirò
il risultato. La sua contessina era stupenda, l’abito
richiamava il colore degli occhi.
Prese il cappellino con le piume blu e
azzurre e glielo mise per benino sulla testa, fermandolo con uno spillone in
mezzo alla chioma bionda raccolta. Abbassò al retina intonata alla stoffa e
porse l’ombrello da passeggio alla ragazza.
<<Siete perfetta! Se vi vedesse
il barone...>> Elisabeth finalmente la guardò e sorrise, diventando
rossa. Poi si diede un’occhiata nello specchio e
ripensò al vestito della sera prima. Inspiegabilmente le mancò il tocco grezzo
della stoffa rozza, la semplicità della gonna.
<<Mi dispiace per l’abito
di ieri...ma non importa se non riesci a pulirlo in tempo...>> mormorò.
La giovane cameriera la guardò sorpresa.
<<Ma come farete per stasera..l’altro
è ancora in lavanderia...>> domandò perplessa.
<<Non importa. Anya...ho bisogno
di un favore da te.>>
<<Tutto quello che vuole
signorina.>>
<<Devo avere dei vestiti da uomo
per stasera.>>
In un bordello poco lontano da Soho
due persone stavano parlando, stranamente. Una era rimasta nell’ombra,
celata dall’oscurità della stanza che era illuminata da pallide e
tristi candele, che invece di diffondere un’atmosfera
calda e sensuale rattristavano solo l’animo.
L’altra era appena uscita dalle tenebre,
dopo aver portato al suo ospite una caraffa e un calice. Ora era illuminata
dalla luce morente della fiamma. Era una giovane ragazza, al massimo di
ventisei anni, ma già con la pelle sciupata e lisa dal lavoro duro, non
necessariamente il classico. Aveva le labbra piuttosto vizze e orgogliosamente
arrossate dai cosmetici, le guance pallide e poco lisce e dei capelli castani
lucenti, morbidi come la seta e ondulati naturalmente, erano l’unica
bellezza che ancora non era stata sciupata dal tempo. Gli occhi però erano vivi
e scintillanti, color cioccolato, adorabili e teneri come quelli di una
cerbiatta. Luccicavano e la vibrazione intensa che si percepiva al loro interno
faceva pensare ad una persona forte ed orgogliosa, una volta doveva essere
stata una ragazza meravigliosa. Il suo corpo era stanco e incurvato dall’abitudine
di sollevare molti pesi, nonostante non fosse più sodo come un tempo era ancora
ambito da molti uomini, la pelle era morbida, anche se non più pura. Sedeva in
modo aggraziato, con le gambe accavallate e le braccia conserte, le dita lunghe
e belle che tamburellavano sul braccio e facevano tintinnare i cerchi di
metallo che adornavano i polsi.
Era molto interessata a quello che il
suo ospite stava dicendo e pur essendo immensamente stanca per il lavoro appena
concluso, aveva la pazienza e la voglia di ascoltarlo. D’altronde
non era venuto di sua spontanea volontà ma sotto un suo preciso invito,
letteralmente.
<<Quello che mi stai dicendo è
maledettamente scioccante. E pensare che hai dovuto invitarmi lo stesso…>>
sussurrò pensieroso il ragazzo. Portò il calice alle labbra e bevve, il sangue
scese denso e caldo nella gola e lo ristorò, era una situazione strana, di solito
non si nutriva mai alla mattina presto. La sera prima però era troppo stanco e…sconvolto
dalla rivelazione, per ricordarsi di cacciare.
<<Lo sai, questo poso non è solo
mio, in verità non lo è nemmeno. Appartiene tutto a Robin. È una fortuna che io
abbia ancora la facoltà di invitarti.>> rispose con dolcezza.
Spike amava profondamente quella
ragazza, l’aveva salvato dalle grinfie di quel paladino della
giustizia da strapazzo. Il padrone effettivo del bordello era il giovane Robin
Wood, figlio della cacciatrice che lui aveva ucciso in casa di suo padre,
Nikki. Era venuto a conoscenza della vera identità di sua madre solo a diciotto
anni, quando l’osservatore che l’aveva
cresciuto gliel’aveva rivelato. Da allora si era estraniato dal mondo
del Consiglio e si era, per così dire, messo in proprio, tramando vendetta
contro il vampiro che l’aveva privato della sua
infanzia. Alimentato dalla forza della violenza, sorretto dalla voglia di
ripagare la vita di sua madre, vagava con la guida di mezze voci e bisbigli,
brandelli di informazioni, finché un giorno non l’aveva
trovato. Spike si ricordava ancora la loro conversazione, l’uno
di fronte all’altro, sotto la pioggia battente di un temporale
eccezionale, si erano affrontati.
<<Ti strapperò il cuore vampiro!
Come tu hai fatto a me, quando mi hai privato di mia madre!>>
<<Niente di personale bamboccio,
erano solo affari. Se avessi saputo che aveva un figlio…ti
sarei venuto a cercare!>>
<<Bastardo! L’hai
resa un ricordo! Un nome negli annali degli Osservatori!>>
<<È quello che sarebbe diventata
tra qualche anno, ne più ne meno come ora, tu riempirai le pagine del registro
dei casi d’omicidio irrisolti!>>
<<La vedremo vampiro, sarai
cenere prima di domani…>>
<<Trovami una tabacchiera carina
allora!>>
Poi però il bastardo aveva tirato
fuori un’arma inaspettata. Il potere di una vecchia melodia
che sua madre gli cantava dopo ogni strage, una dolce cantilena popolare che
lui amava. Quella melodia lo faceva sprofondare in una malinconia senza fine.
Era una dolce agonia che non poteva evitare, il suo subconscio si annullava. Da
quando l’anima lo aveva invaso e devastato era diventato più
debole e quella dolce manifestazione d’affetto si era tramutata in una
piaga. L’anima di suo padre, l’anima che
crudelmente gli aveva inferto lo indeboliva.
Si era trovato in balia di quel brutto
muso, lo aveva sentito torturarlo con croci e acqua santa. Era in punto di
arrendersi e di morire, come un comune novellino. Poi era arrivata lei, venuta
a cercare il suo capo per chissà quale motivo, aveva assistito alle ultime
torture e poi…oh se ci pensava rideva ancora di gusto. La ragazza
aveva preso una tegola abbandonata e l’aveva scagliata in testa all’aguzzino,
tramortendolo. Poi aveva portato Spike nella sua stanza e con molta pazienza,
senza preoccuparsi di essere scoperta lo aveva curato. Aveva rinunciato al suo
cibo per lui. In un momento di lucidità era riuscito a confessarle di essere un
vampiro e lei, contro ogni legge naturale, gli aveva donato il suo sangue.
Da allora erano stati amici.
Robin non aveva mai scoperto nulla ne
aveva mai sospettato che la sua più brava e desiderata ragazza si prendesse
cura dell’assassino di sua madre. Per fortuna.
<<Winnifred mi dispiace. So che
non servirà a molto dirti che sarai la benvenuta nei nostri clan.>> la
ragazza sorrise, prese la mano del vampiro e l’accarezzò
con dolcezza. Era stata innamorata di Spike, aveva amato la sua bellezza, la
sua forza, il suo demone e il suo coraggio. Ma lui non l’aveva
mai degnata di uno sguardo che non fosse più che amichevole. Ora, nel suo nuovo
stato, percepiva l’amore per una donna, umana. La
sua totale passione e devozione a lei. Ma anche la sofferenza di non essere
ricambiato e la determinazione di non rinunciare.
<<Grazie Spike ma lo sai che non
hai più l’autorità per dire certe cose, non sei più ben visto
tra i tuoi con sanguigni.>> aveva un’aria rassegnata, la sportività
con cui accettava la situazione era meravigliosa, sembrava non essere nemmeno
diventata una vampira tanta era la bontà che conservava.
<<Lo so. Vorresti dirmi come e
quando è successo tesoro?>> lei arrossì, sentirsi chiamare tesoro le
faceva sempre un certo effetto e non dubitava che lui sapesse della sua vecchia
cotta. Ma aveva anche aspettato che le passasse, senza dirle nulla, amava
provocarla ogni tanto.
<<Non è stato nulla di
emozionante, mi aspettavo di più, forse perché colui che mi ha prosciugato non
si è preso la briga di darmi il suo sangue. Mi ha semplicemente abbandonato in
un vicolo. Per mia fortuna è passato di lì un vampiro stranamente
compassionevole e mi ha trasformato…si chiamava Wesley.>>
Un sorriso molto triste apparve sulla
sua bella bocca e commosse Spike. Gli sembrò molto più bella del solito e molto
più matura.
<<È morto?>> chiese,
rendendosi conto di aver usato poco tatto.
<<Sì…è
stato ucciso da…Robin, l’ha sorpreso mentre beveva da un
barbone.>> una lacrima cadde dagli occhi color cioccolato e si infranse
sul piattino della candela. Spike le prese con solidarietà la mano.
Gli dispiaque, era una dolce ragazza e
meritava di più che servire un lurido bastardo, soprattutto quando questo gli
aveva distrutto ciò che aveva di più caro.
<<E tu non hai fatto nulla? Eri
lì, l’hai visto uccidere il tuo sire e…non
ti sei vendicata?>> Winnifred chiuse gli occhi con tristezza.
<<No, non avrei dove
andare.>> il vampiro più anziano sbattè il pugno contro il tavolo facendo
sobbalzare la caraffa e il calice.
<<Cristo Fred! Sei un vampiro,
un signore delle tenebre e hai paura di quello scarto umano? Potresti ucciderlo
in ogni momento, non hai più bisogno di lui, potresti avere tutto il mondo se
volessi!>>
Lei scosse la testa rassegnata. Non
capiva, sapeva che per lui doveva essere frustrante vederla lì così, poteva
permettersi qualunque cosa e invece non voleva. Per un vampiro inacidito dall’anima
poteva sembrare un grande spreco, il dono che le era stato fatto serviva a ben
poco.
<<Non sono come te, il mio sire
era…pacifico, un uomo dolce, il suo sangue mi avrà reso
più docile di quanto ero già, non posso comportarmi da demone, non è ancora
entrato nella mia natura…magari quando Robin se lo
meriterà…>> rise in modo infantile.
<<Oh Fred…mi
dispiace maledettamente tanto per te. Potresti fuggire da questo schifo di
vita, potresti avere l’amore e non i soldi degli
uomini.>> si sentiva infervorato, voleva assolutamente convincerla a
lasciare ogni cosa della sua vita che riteneva degradante.
<<Tutto l’amore
che potevo avere mi è stato dato in quell’unica giornata, in quel momento,
per la prima volta della mia vita ho fatto l’amore con
qualcuno che lo faceva con me.>> pianse ancora ed in silenzio, ricordando
con nostalgia gli occhi verdi e la folta chioma bruna del suo sire, arrivato in
un battito di ciglia per darle la vita e svanito in uno sbuffo di polvere per
strapparle il cuore. Era felice che l’avesse lui.
<<Fred…vattene
da qui, scappa e vendicati, tu che puoi!>>
<<No. Un giorno me ne andrò ma
non ora e poi…ho paura del mondo, non sono mai uscita da
qui.>>.
Rimasero per lungo tempo in silenzio,
poi a Spike venne un dubbio, un’improvvisa curiosità.
<<Parlami di quello che ti ha
prosciugata, descrivimelo.>> lei strizzò gli occhi nel tentativo di
ricordare
<<Non rammento molto, era un
ragazzo giovane apparentemente ma molto bello, un po’ troppo
massiccio per i miei gusti. Mi ero avvicinata lui perché pareva stare male,
stavo fumando una sigaretta, avevo appena finito. Non appena l’ho
toccato lui mi ha afferrata e… il resto lo sai. Non ricordo
altro.>> Spike corrugò la fronte.
<<È piuttosto vaga come
descrizione…comunque non sarà importante ai fini della mia “missione”.>>
<<Non penso nemmeno io,
dopotutto si è trattato di un normale caso di aggressione, aveva fame e si è
nutrito, capita tutti i giorni. Ciò che ricordo con esattezza però è che
quando...Wesley...mi donò il suo sangue la mia parrucca bionda era scivolata
via, lo ricordo perché ammirò il colore dei miei capelli...oh William, il suo
sangue era il nettare più dolce che abbia mai bevuto...mi manca William, mi
mancano i suoi insegnamenti e i suoi baci...>> confidò con aperta
tristezza, non sapeva se vergognarsi di provare tanto dolore, lei che era un
vampiro, oppure rallegrarsi del fatto di poter avere una persona con cui
condividerlo. Una persona che aveva perso molto nella sua vita. Non era sicura
però che lui comprendesse fino in fondo, era stato Spike stesso ad uccidere la
sua sire e non aveva provato rimorso, forse perchè non si amavano come si erano
amati lei e Wes. In quei brevi giorni sentiva di aver provato più gioia che nella
vita intera.
<<Come farai ora Fred? Non puoi
restare qui...Robin se ne accorgerebbe, lo sai come è informato sulla nostra
natura. E poi, di chi ti nutrirai?>> fu lusingata del tono preoccupato
che usava con lei, dopotutto le sue erano domande lecite e a pensarci meglio,
anche lei se le era fatte.
<<Oh non ho paura di lui, sono
rimasta qui per un giorno intero e non si è accorto di nulla, ringrazio il Dio
che gli importi così poco delle sue “ragazze”,
immagino che potrei dissanguare qualche cliente ogni tanto, a Robin basta il
denaro, non importa da chi viene o che fine fa chi lo paga. Inoltre verso le
quattro finisce il mio “turno”, ho
ancora abbastanza oscurità per cacciare.>> rispose, stupendo se stessa
per la logica e la veridicità di quanto detto, non si credeva tanto
intelligente da organizzare la sua non-vita in modo così perfetto. Spike l’abbracciò
con calore, si sentì notevolmente più sollevato. Amava quella ragazza, era un’amica
straordinaria e in più, gli doveva la vita, saperla al sicuro era confortante,
non dubitò del fatto che un giorno sarebbe riuscito a sdebitarsi.
Parlarono ancora un poco e poi per
spike venne l’ora di andare a riposare, non avrebbe potuto allenare
il suo amore, altrimenti.
Si congedò dalla sua ospite e le disse
con dolcezza: <<Non negarti quello che potrebbe darti la felicità, non
negarti la non-vita vera, tu che puoi.>>
Elisabeth stava camminando per la
strada, il sole autunnale ormai non liberava calore e il venticello freddo dava
fastidio. Sarebbe volentieri scappata da crinoline e merletti per mettersi
sotto una bella, calda coperta di lana. La visita però la doveva fare, era
obbligata dal suo dovere di dama e di amica. Sperò in un bel te caldo.
Arrivò alla porta di casa Landou e si
fece annunciare. Poco dopo fu condotta da una cameriera nella camera lussuosa e
bizzarra della sua amica. La trovò accovacciata sul grande divano rosso,
intenta a canterellare tra se e se una melodia senza tempo. Non appena furono
sole le si avvicinò e l’abbracciò con dolcezza infinita,
continuando ad udire quella canzone sussurrata al suo orecchio. Le mani di
Drusilla scesero soffici sulle spalle di Buffy e l’accarezzarono,
si sentì bene vicino al suo angioletto biondo, percepì tranquillità d’animo
perché una parte di sé le diceva che Beth l’avrebbe
protetta, un’altra parte invece le imponeva di allontanarsi il più
possibile da quella ragazza.
Scioltasi dal dolce abbraccio, la mora
prese la coperta e la tirò su entrambe, per sentirsi più protetta dal gelo
della solitudine e della debolezza. Prese le mani di Elisabeth e le accarezzò
piano, persa in una sorta di sortilegio, dopo di che, la canzone, tutta ad un
tratto finì.
<<Buffy...>> la bionda
rabbrividì di nuovo nel sentirle pronunciare il suo nome.
<<Buffy sono molto confusa, la
principessa sente come se fosse divisa. Un parte vuole il calore e le poesie
del sole, l’altra solo le canzoni e le chiacchiere delle
stelle...>> sorrise e abbracciò di nuovo l’amica, come
se quel contatto la facesse sentire meglio, unita.
<<Dru...perchè senti questo? Non
pensi che forse è per...il tuo stato di debolezza?>>Drusilla le sorrise
candida facendo scintillare i grandi occhi violetti e lasciando nell’aria
una sensazione di irrealtà fastidiosa.
<<La debolezza Buffy, mi è
vicina come un ombra...ma mi sento anche in forze...il perché però...non lo
conosco e ne le stelle ne il sole vogliono rivelarmelo. È il mio destino quello
di attendere...>> allungò una mano pallida ed affusolata verso un
campanello. Al suono rispose una domestica che entrò nella stanza con una certa
titubanza, pareva avere paura di quale ordine potesse venirle affidato.
<<Portaci due tazze di
cioccolata Margaret, con della panna fresca a parte per cortesia.>> non
fu possibile dire chi fosse la più sconvolta tra la donna ed Elisabeth. La
lucidità usata nel dare quell’ordine non era da Drusilla. La
cameriera infatti restò immobile per qualche secondo di troppo, tanto da
suscitare un’occhiata scocciata e perplessa da parte della
padroncina.
<<Dimmi Drusilla, cosa ti hanno
diagnosticato i medici, esattamente?>> chiese Elisabeth. Ora che l’amica
pareva essersi momentaneamente ripresa era bene intavolare una discussione
logica e decente.
<<Oh, i signori con gli occhiali
e i gingilli hanno detto che mi manca...ferro. La mia debolezza era dovuta ad
una carenza di nettare...ma loro non sanno quanto ne ho bevuto io...la notte
scorsa..e quanto ne ha bevuto il mio angelo.>> Elisabeth sospirò
frustrata, evidentemente l’attimo di lucidità ci teneva a
rimanere tale.
Ma ancora non capì, prendendo un po’
sotto gamba le parole di Drusilla, era ormai esacerbata da tutte le sue
filastrocche e tiritere, amava la sua amica, ma quel giorno non era dell’umore
adatto per starla a sentire. Il nervosismo per l’incontro
con il suo allenatore e l’impressione che sarebbe successo
qualcosa a breve, non l’abbandonarono. Non aveva proprio
tempo per cercare di trovare un filo logico e conduttore nel groviglio di frasi
e parole della bella zingara.
<<Oh...mi dispiace amica
mia...mi raccomando mangia tanta buona carne, chiederò a mio padre se possiamo
darvi uno dei nostri cervi della tenuta, così ti rimetterai in sesto con una
buona cenetta. Ora scusami Dru ma...ho altre visite da fare purtroppo, rimarrei
a chiacchierare per sempre ma mia madre pretende che io svolga i miei compiti
di dama...>> si alzò con grazia dal divanetto e stava già per andarsene
quando la mano salda, e incredibilmente più fredda del solito, di Dru la fermò.
Esasperata si voltò e rimase di sasso. La sua bella amica si era trasfigurata
in una maschera di angoscia, pareva che sotto la pelle livida del volto si
scorgessero le ossa. Nei suoi dolci occhi violetti c’erano
pagliuzze dorate e un’espressione di puro terrore,
incoscienza e malvagità, la scrutavano inquisitori e la spaventavano.
<<Ciò che dici non è l’espressione
della tua volontà...ma il mio angelo verrà a salvarmi da questo mondo
mediocre...>> cantilenò con una voce altissima e stridente, come il
rumore di tante seghe sul metallo. Poi cambiò radicalmente espressione e
divenne più terrorizzata che se avesse veduto un fantasma.
Senza lasciare il polso di Elisabeth
la guardò profondamente negli occhi e un brivido freddo scese lungo la schiena
della bionda mentre la paura per Dru e per sé stessa esplodeva nel suo cuore.
<<Attenta Elisabeth! Ti prego
attenta, guardati da lui...>> biascicò in preda all’ansia
più grande, mentre ansimava nel tentativo di respirare ed emetteva strani
uggiolii che provenivano dal più profondo della gola.
<<Chi Lui? chi è Dru, tesoro
calmati, rispondimi, non spaventarti ci sono io...chi è lui?>> chiese
angosciata la bionda mentre in ginocchio sorreggeva la testa di Drusilla e
tentava di aprirle in vestito per farla respirare.
Ma la mora non dava segno di
migliorare, la fissava solo con quegli occhi vitrei e spalancati.
<<Lo scoprirai sabato...>>
ansimò, Elisabeth la guardò e fu come se il tempo si fosse fermato. Sentì le
parole uscirle spontaneamente dalla bocca e aleggiare sulle loro teste.
<<Che succederà
sabato..?>>
Dru si avvicinò al suo viso e
sussurrò: <<Lui ucciderà la giovane Elisabeth.>>
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