. Fanfiction ospitata per gentile concessione del Bloodylove
in attesa di riuscire a rintracciare l'autrice.
SPETTRI - prima parte –
Di Zenas
Maledetta insonnia.
Stramaledetta.
Si sentiva impazzire.
Vampiri sull’orlo di una crisi di
nervi, pensò. Sarebbe un buon film. Divertente.
Si alzò dal letto, aveva voglia di una
bella doccia lunga. Lunghissima. Quanto un intero pomeriggio.
I decenni volano, rifletté. Sono certi
pomeriggi che non passano mai.
Si spogliò, poi diede un’occhiata
all’orologio.
Erano solo le tre del pomeriggio.
William s’immerse sotto il getto caldo
della doccia, speranzoso di poter trovare un qualche sollievo alle sue pene.
+++
Non era facile trovare informazioni
sul platinato.
Buffy non sapeva il suo nome, esattamente come non
conosceva quello dei suoi compari. Non poteva cercare nei libri
Tuttavia, nei due mesi che erano
seguiti dal loro primo incontro,
Da quello che aveva osservato poteva
dedurre che non aveva nemici. Non ingaggiava risse, ma era un tipo dinamico.
Probabilmente era un attaccabrighe naturale che aveva imparato a controllarsi.
Quindi era un ragazzo (Buffy si domandò quanto fosse
giusto definirlo così, dato che probabilmente aveva chissà quanti secoli)
piuttosto sveglio. E saggio.
Un’acqua relativamente cheta, insomma.
Ma, come dice il proverbio, sono
proprio le acque placide e tranquille che corrodono i ponti. Specialmente se
queste acque sono placide e tranquille solo in apparenza.
+++
Le tre e mezza. E sì che si era lavato
con estrema lentezza, godendosi ogni singola goccia.
Era passata solamente mezz’ora.
Ed era così da un mese. Da quando
aveva avuto con Darla quello che amava definire un “vivace e stimolante
diverbio”.
Si metteva a letto più o meno alle
quattro del mattino. Dormiva solo un paio d’ore, poi si svegliava.
E cominciava l’inferno.
Giornate infinite, da trascorrere recluso
in casa, a leggere, ad ascoltare musica a basso volume per non disturbare Hanneke, a gironzolare per la casa.
Da solo. Senza poter parlare con
nessuno.
E con una limitatissima possibilità di
movimento.
Questione di abitudine, pensava
William per farsi animo.
In qualche modo riuscirò a far fronte
a questa situazione. E’ la mia specialità far fronte alle situazioni critiche.
E poi non è così drammatica, in fondo.
Magari potrei riprendere a scrivere.
Darmi al teatro, o alla letteratura in
prosa. Scrivere della mia vita dopo la morte.
Sarebbe un best-seller. Altro che Anne
Rice.
Un’altra occhiata all’orologio. Le
quattro meno un quarto.
Andò nella sua camera ad asciugarsi,
preparandosi a farlo con esasperante lentezza.
+++
Circa un mesetto fa, però, era successa
al platinato una cosa strana: era stato aggredito dalla sua compagna bionda.
L’aveva attaccato alle spalle.
Sorrise al sentirsi sollevata dal
fatto che il vampiro si fosse difeso egregiamente.
Lo stava prendendo in simpatia. Era
una cosa che le capitava spesso con i vampiri, da quando aveva cominciato a
studiarli senza uccidere alla cieca.
Erano creature affascinanti, per certi
versi anche superiori alla razza umana.
D’altra parte, però, era anche
nauseata da loro: mangiavano esseri umani. Persone.
Vedeva questo come una sorta di
perverso e disgustoso atto di cannibalismo.
Ogni simpatia per i vampiri svaniva
quando li vedeva mangiare. Li trovava …indegni.
Qualche poeta decadente poteva trovare
il morso di un vampiro eccitante. L’unione di amore e morte, eccetera. A lei
faceva solamente schifo.
Li uccideva sempre mentre mangiavano.
Senza però mancar loro di rispetto.
Come gli esseri umani, anche i vampiri
cercavano semplicemente di sopravvivere nel miglior modo possibile.
+++
Le quattro e un quarto.
Perlomeno il tempo passava.
Solo un paio d’ore, ed il sole sarebbe
tramontato.
Si vestì, con lo sguardo perso di chi
era sotto ipnosi.
C’era un silenzio perfetto nella
villa, tanto che anche il fruscio dei suoi vestiti a contatto con la sua pelle gli
sembrava fastidioso.
I suoi sensi stavano diventando acuti
in maniera straordinaria.
Questa, almeno, era una cosa positiva,
ora che si era messo contro Darla e Drusilla.
Donne che più del diavolo non ne
sapevano una, ma almeno tre se non quattro.
Si preparò un caffè, lo bevve senza
zuccherarlo.
Le quattro e venti.
Si sedette, o meglio sprofondò, su una
poltrona.
Se Drusilla
l’avesse attaccato sarebbe stato in grado di difendersi? Ne dubitava, perché Drusilla era il suo sire.
Era una madre affettuosa, un’amante
esperta, un’amica presente.
Il suo sire, per l’appunto.
Scacciò il pensiero. Si sarebbe posto
il problema solo quando si sarebbe presentato.
La previdenza, purtroppo, non era tra
le sue doti…ma lo era la presenza di spirito.
Rincuorato, si alzò dalla sua
poltrona, sciacquò la tazza e decise di farsi un altro giro per la villa.
Mancavano venti minuti alle cinque.
+++
Angel era l’informatore della
Cacciatrice.
Beveva solo sangue animale perché una
maledizione zingara gli aveva dato un’anima, e quest’anima gli procurava
sofferenza se si nutriva di sangue umano.
Questo non sarebbe stato un problema
per il vampiro. I vampiri cambiano spesso abitudini, sono molto adattabili.
Il vero dramma era che l’anima aveva
effetto retroattivo.
Angel si sentiva in colpa per ciò che
era, ed il non poter porvi rimedio lo faceva impazzire.
Per non pensare alla sua condizione e,
soprattutto, per non immergersi nella melma dell’autocommiserazione, dava una
mano alla Cacciatrice.
Che oltretutto era anche il suo tipo.
Ed anche lui era il tipo di lei.
Adesso la biondina era tutta presa da
un nuovo gruppo di vampiri che non avevano rapporti con gli altri clan e che si
massacravano tra loro.
Gli aveva raccontato di una biondina
che aveva attaccato uno dei suoi alle spalle e che aveva ucciso l’altro maschio
del gruppo.
Uno della sua vecchia famiglia, Spike,
l’avrebbe definita “un peperino”.
Buffy lo guardava impaziente.
“Spiegazioni?”
“L’attacco potrebbe essere una punizione.
Magari il platinato si era preso troppe libertà nei confronti del capo del
clan.”
“E l’omicidio?”
“Non ne ho idea. I clan eliminano i
membri inutili, ma quella che mi hai descritto sembra un’uccisione immotivata.
Vorrei proprio vederlo, questo clan.”
Buffy annuì di nuovo, ed attirò il vampiro a sé per
baciarlo.
Un po’ di sano divertimento non le
avrebbe fatto male.
+++
Le cinque.
William sorrise: il sole era quasi
calato, tuttavia ancora non si azzardava ad uscire fuori casa.
Hanneke lo raggiunse alle spalle.
“Hai dormito male anche oggi?”
“Io non dormo male, Hanneke. Io non dormo affatto.”
Si sedettero su due poltrone, uno davanti all’altra.
“Sei un buon sire, William.”
Il vampiro la guardò incuriosito e non
disse niente, attendendo spiegazioni.
“Volevo che tu lo sapessi.”
“Ma io già lo so.”
Non mentiva. Non era modesto, esaltava
le proprie virtù e trovava solo giusto che le sue doti gli venissero
riconosciute.
Quando riceveva un complimento non
ringraziava. Si limitava a confermare.
Adesso William non guardava più
l’orologio. Non ne aveva bisogno.
Il tempo scorreva veloce.
Il sole era tramontato.
Spalancò le finestre.
“Vai tu a prendere la cena?”
William annuì.
Hanneke lo abbracciò.
+++
Angel e Buffy
si separarono con un bacio. Lei andava a fare la ronda, lui a procurarsi del
sangue da un macellaio.
Forse certe cose si sarebbero
chiarite. Aveva bisogno di conoscere le dinamiche e le gerarchie all’interno
del gruppo, per capire chi di loro era effettivamente pericoloso e chi non lo
era.
Se un membro del gruppo era stato
espulso, questo doveva essere ucciso, affinché non creasse un nuovo clan.
Buffy pensò che prima di conoscere Angel il suo lavoro era molto diverso: uccideva senza discriminazioni. Adesso
studiava i suoi nemici con attenzione. Ne conosceva abitudini e debolezze. E
questo facilitava enormemente i suoi compiti.
In genere si limitava ad uccidere gli
scarti, mentre lasciava in vita le creature che realmente contavano.
Era arbitro delle dispute tra vampiri.
Suo obbiettivo era conoscere nel dettaglio i clan più forti e potenti per poi
ucciderli. Il resto sarebbe stato un gioco.
+++
Uno spacciatore. Bello grosso. Una
cena davvero succulenta.
L’uomo era stordito, ma ancora vivo. Bello fresco.
Lo mise in macchina, con tutti i sensi
all’erta.
Andò a casa.
Aprì la porta.
Si bloccò.
“Hanneke?”
Silenzio.
Lo stesso silenzio che c’era di
giorno.
Ed il giorno era portatore di morte.
“Hanneke?”
Un miagolio di risposta.
Tristan fece capolino dalle scale.
William guardò il gatto per un
momento, poi salì le scale.
Il micio lo precedette all’interno
della stanza della sua compagna.
Di lei era rimasta solo la testa.
Con mani tremanti prese un foglio.
“Bentornato,
William.
La tua amica si è fatta uccidere in
modo estremamente docile.
Si sta bene da soli, vero?
Drusilla è molto arrabbiata con te, si sente tradita, dice
che sei indegno.
Io sono d’accordo con lei, devi
pagare, cacciando me hai rinnegato la tua famiglia. E questo è un errore
imperdonabile.
Questo è solo l’inizio.
Ti abbiamo anche maledetto,
Drusilla ha fatto un incantesimo.
Non puoi più essere sire di nessuno. I
tuoi morsi non porteranno nessuno a nuova vita.
Spero che tu sia abbastanza
intelligente da darti la morte da solo.
Darla.”
“Ti piacerebbe.” ringhiò William alla
lettera.
Adesso era diventata una questione di
principio. D’onore. E di vendetta.
Concetti che William aveva da sempre
avuto ben chiari nella sua mente.
Intanto vediamo questa maledizione,
pensò.
Raggiunse l’uomo che aveva catturato,
che stava cominciando a riaversi.
Lo morse. Morì, ma neppure un accenno
di rinascita.
Un moto di scoramento lo prese davanti
a quella prospettiva di eterna solitudine.
Ma Tristan
lo raggiunse, e William lo prese in braccio.
Sentì una leggera scossa…la villa si
riempì di presenze.