STONEWALL
AUTHOR:Carmilla.
SUMMARY: Nessuno conosceva il suo nome.
RATING: Non ho ancora deciso, ma comunque…NC-17 tanto per
andare sull’ultra-sicuro.
TIMELINE: Pre series.
AU.
PAIRINGS: None.
DISCLAIMER: Appartiene tutto a Joss Whedon,
alla Mutant Enemy, alla Fox.
Non scrivo a scopo di lucro e non intendo violare alcun copyright
Cosa ha chiesto: Voglio una storia speculare ad Age of Aquarius ossia: “Mentre Spike se la spassava a
Woodstock…dov’era Angel?”.
Per Liz. Perché è l’unica che mi ha proposto una sfida nella
sfida.
Cosa ha chiesto:” Mi piacerebbe uno studio su Angel. Un POV
o altro e senza la solita, immancabile, noiosa storia d’amore”.
Per Emmy. Perché lei ordina ed io obbedisco.
Nota dell’Autrice: Sebbene i personaggi siano, come al
solito, inventati e proprietà di Dio-Joss e della ME, questa volta gli
avvenimenti descritti sono realmenti accaduti. Il 27 giugno del 1969, da un
famoso locale di Greenwich Village a New York, il Stonewall Inn, partì una vera
e propria sollevazione popolare che è passata alla storia come “The Stonewall Riot”. Da questo avvenimento,
una rivolta da parte della popolazione omosessuale newyorkese contro i soprusi
della polizia e la ghettizzazione quotidiana, nacquero una serie di iniziative
che contribuirono alla creazione del il Movimento per i Diritti degli
Omosessuali. Esiste una versione teatrale e cinematografica di ciò che avvenne.
Per maggiori
informazioni:http://www.columbia.edu/cu/lweb/eresources/exhibitions/sw25/case1.html
Mettetevi seduti dunque e….buona lettura.
Greenwich Village (NY)
1969
Nessuno conosceva il suo nome.
E QUESTO era normale e straordinario al tempo stesso.
Normale per lo Stonewall,
dove i nomi erano un intricato balletto da decifrare e le identità scivolavano
via nella cruda luce del mattino assieme ai preservativi usati ed al trucco
sbavato; straordinario, perché
Stonewall era una grande tribù dove ciascun membro aveva i propri, distintivi,
colori di guerra.
E le proprie cicatrici.
Michelle si strofinò inconsciamente il polso sinistro dove
le due sottili linee parallele erano coperte da numerosi braccialetti
tintinnanti.
Il ghiaccio si era sciolto completamente ed il cocktail che Ronnie le aveva preparato
aveva un sapore dolciastro, quasi nauseante.
Cenere e rimpianti.
Lo sconosciuto non aveva di questi problemi. Da tre
settimane entrava, scambiava un cenno con Ronnie e si sedeva al tavolo
d’angolo, quello meno illuminato e più vicino al bancone del bar.
Ronnie gli portava una bottiglia di Bushmills liscio ed un
bicchiere.
E poi…. scompariva.
Curioso.
Vi erano persone che bazzicavano il bar da anni ed erano
ancora, come dire, di passaggio.
Camionisti, prostitute, ladri, viaggiatori di commercio che
Michelle immaginava benissimo anche FUORI.
Che potevano entrare nello Stonewall e perdere inibizioni,
soldi, dignità, sanità mentale e poi, come serpenti, cambiare pelle non appena
messo piede fuori dal locale e ritornare a curare prati, derubare vecchiette o
quello che cazzo dovevano fare.
Così, semplicemente.
Ma questa immunità,
che Michelle invidiava loro ferocemente, li rendeva al contempo fuori posto,
sempre a disagio.
Poi c’erano quelli come lei, Ronnie, Babette o Jack, il rappresentante di collant, un omino gentile e dalla voce sottile che teneva sempre la
sua valigia da campionario accanto ai suoi piedi, come un cagnolino.
I regolari.
E lo sconosciuto era uno di loro.
Era una certezza
che non nasceva da nessuna ragione apparente, razionale, ma che affondava le
radici in quelle sensazioni che non hanno spiegazioni se non a livello
viscerale.
Era così e basta.
Il
Principe, l’aveva soprannominato Babette, per il portamento elegante
e quel suo distacco da tutto e tutti,
rientrava a pieno diritto nella categoria degli abituali.
Un volto finemente cesellato, che raccoglieva ogni volta
sguardi invidiosi o ammirati.
Largo di spalle e scultoreo, raro come un oggetto prezioso
sottratto alla vista.
Non sarebbe potuto entrare in un altro locale senza spegnere
tutte le conversazioni, né uscirne senza lasciare nella propria scia una sorta
di sollievo.
Apparentemente nel fiore dei suoi anni, più vicino ai venti
che ai trenta se si osservava il suo viso. Gli occhi invece… tradivano qualcos’altro.
Età, esperienza. Il Principe
poteva pure essere giovane, anagraficamente parlando, ma doveva essere
passato attraverso…bè Michelle non riusciva ad immaginarlo.
I Favolosi Anni 60’, probabilmente.
Cazzo, se non lo sapeva lei che la Vita lasciava cicatrici…
Un regolare, ad
ogni modo.
Anche se era entrato per la prima volta nel locale solo tre
settimane prima.
Michelle non poteva sbagliarsi sulla data.
Tre settimane prima lei e Randy avevano ricevuto la
cartolina di precetto dell’Esercito e l’ordine di presentarsi per la visita
medica di routine. Destinazione:
Vietnam.
Tre settimane prima Randy se n’era andato.
Tre settimane prima Michelle si
era tagliata le vene.
In realtà, lo rammentava lucidamente, fra la corsa
all’ospedale e i dottori che le ricucivano i polsi, “non ne vale MAI la pena,
se lo ricordi”, e l’infermiere di mezza età che le sputava addosso “la prossima volta mettici più impegno,
brutta checca”, il problema con Randy esisteva già da prima.
Come il famoso elefante rosa in cucina, che esiste ma
nessuno vuole vedere, aveva condizionato gli ultimi mesi della loro convivenza
e Michelle non poteva onestamente, “-L’onestà
è la cosa più importante, ricordatelo!- Si, Padre Flannery.”, non poteva
sostenere che fosse TUTTA colpa di Randy.
Glielo avevano detto e ripetuto tutti, le amiche, le ragazze
al Blue Foxy nelle pause tra un turno e l’altro, Ronnie.
Ed anche Babette l’aveva avvisata, con uno sguardo tra
l’insofferenza e la pietà.
-Ladri, assassini, papponi vanno bene. Anche i tossici,
cara, se la scimmia non gli sale ancora per il culo, sono okay.- Il fumo azzurrino della sigaretta confondeva i contorni
della figura ancora piacente.- Ma gioia…un etero confuso…tieniti alla larga. E’ una scommessa persa in partenza.-
Ma Michelle era innamorata. E cocciuta. E questa
combinazione le aveva impedito di cogliere i segnali, le occhiate inquiete, i
silenzi.
Persino gli schiaffi, dapprima sporadici poi divenuti un’abitudine,
come quella di chiudere il gas prima di uscire, le erano apparsi come una prova
d’amore.
Michelle scosse la testa e trangugiò svogliatamente il resto
del suo drink.
Erano rimasti solo in tre. Ora di andare a nanna.
Da sola, con la
maglietta che Randy si era dimenticato di portare via.
Fu allora che si scatenò
l’inferno.
-Che posto di merda!- I tre entrarono barcollando, la donna
al centro, i due uomini ai lati. Li conosceva di vista, due poveri sfigati che
campavano di furtarelli e lavorando occasionalmente come picchiatori per Big
Al, il mafioso che controllava metà Village, dalla 19a alla Broodway.
Due nullità.
La donna invece….
Bruna, zigomi alti, con un’aria tra il selvatico e il
sensuale che hanno certe donne slave, del tipo che non sai se l’attimo
successivo ti baceranno o ti taglieranno la gola.
Denti troppo bianchi, labbra troppo rosse, viso troppo
bianco e c’era qualcosa di sbagliato
in lei che Michelle non riusciva a identificare.
Ma il Principe sì, perché rialzò bruscamente il viso “così bello da non poter essere vero”, aveva
sentenziato Babette la prima volta che l’aveva visto, ed un’espressione
singolare gli attraversò lo sguardo prima di riassumere la consueta
impassibilità.
-Fuori dalle palle, voi due.- La voce calma e stanca di
Ronnie parlava di insonnia, di troppe sigarette e di un brutto mal di testa.
-Stiamo chiudendo.-
-Fatti i cazzi tuoi, frocio. La Signora qui vuole bere e quindi questo buco rimane APERTO.-
Uno dei due buffoni si era appoggiato al bancone a distanza di un braccio
da Michelle e fronteggiava Ronnie, un ghigno che scopriva i denti giallastri da
fumatore di crack.- Se ci fai vedere
le tue mutandine, Paparino, potremmo
pure lasciarti una mancia!- Risate beluine da parte del singolare trio e un
luccichio insano in quegli sguardi.
Michelle sentì rizzarsi i peli dietro la nuca.
Perché la faccia del rottinculo era, come dire, cambiata e c’era abbastanza luce perché
non si potesse attribuire all’alcool, al fumo o ad altro.
No, decisamente qualcosa non andava.
Concentrando la sua attenzione su Ronnie, Michelle comprese
che, qualsiasi cosa fosse stata, l’aveva vista anche il barista, che si era
affrettato a tirare fuori una bottiglia e tre bicchieri.
Uno non sopravviveva fra i fottuti Marines per dodici anni per poi finire a gestire un gay-bar nel Village senza avere un GRANDE
istinto di preservazione.
-E TU cosa cazzo hai da guardare, dolcezza?-
Michelle si affrettò ad abbassare gli occhi, memore delle
ultime notti con Randy quando domande di quel
tipo, fatte con quel tono, erano un
preludio ad una scenata.
O peggio.
-Forse le piaci, Jay. Forse ti vuole dare un bacetto.- E giù risate sguaiate.
Una mano molliccia, sporca di una sostanza a cui Michelle
non voleva neppure pensare, tracciò il
suo viso in una parodia di approccio.
-Ti piace Jay, carina? Fammi vedere quanto ti piaccio su…-
la mano aveva raggiunto il collo ed indugiava sul nastro di seta verde intorno
alla gola, intonato al vestito. –Ti faccio sentire una vera donna se vuoi.- Il rumore di stoffa che
si strappava risuonò nella stanza silenziosa.
-Che schifo, Bobby. Altro che donna del cazzo. E’ uno di quelli.-
In questi
casi non parlare, gioia. I consigli di Babette le risuonavano nel cervello. Non reagire, non piangere, non RESPIRARE
neppure, e soprattutto non dare mai a quei cripto-froci l’impressione che siano
riusciti a farti male.
Ma Michelle si sentiva nuda senza il suo collare, quel pomo
d’adamo che sporgeva oscenamente dal collo le ricordava cosa NON era, non
Michelle Williams ragazza carina, speciale,
ma Michael Williams, patetico travestito da poco abbandonato dal suo ragazzo
che si era scoperto improvvisamente uomo.
Anche se gli piaceva prenderlo nel culo.
Non fu Michael a rialzarsi lentamente dallo sgabello, ignorando
le occhiate di avvertimento di Ronnie, e che si sistemò con lentezza l’abito,
stirando pieghe immaginarie.
Non fu Michael che,
con uno scatto della testa, spinse indietro dal viso la sua parrucca color
fragola, pagata 84.57$ con lo sconto da Tony giù a Hell’s Kitchen e che tutti
le avevano detto che le stava divinamente.
Fu Michelle però
che, con gesto morbido, prese la bottiglia dal bancone e fissando negli occhi
lo stronzo che stava ancora ridendo, con uno scatto del polso gli spaccò la
mascella.
Le urla di dolore dell’uomo non fecero paradossalmente che
aumentare le risate della coppia.- Jay, frocio o no, ti ha dato il benservito!!!!!-
E Cristo, il tizio
si stava togliendo le schegge dalla faccia, in alcuni punti Michelle riusciva a
scorgere l’osso. Eppure era in piedi. E stava avanzando.
-Mi hai fatto male, Troia.-,
esclamò, solo che adesso la sua faccia era cambiata, c’erano zanne e occhi
gialli e le sue mani avevano artigli.-
Ti caverò gli occhi, brutto frocio. E me li mangerò come noccioline.-
-No.-
Lo Sconosciuto era in piedi ora ma, curiosamente, non
fissava Michelle o il suo aggressore, bensì la donna.
Che aveva smesso di ridere.
-Prendi i tuoi giocattoli e vattene. La vostra serata
finisce qui.-
Calmo, così calmo
e la voce era come Michelle se l’era immaginata, profonda, imperiosa,
terribilmente seducente.
In piedi sembra torreggiare su tutti loro.
-Tu chi cazzo saresti, stronzo?-
Lo sconosciuto lo ignorò continuando a fissare la donna.
-Non voglio problemi.-
-E’ la tua riserva di caccia personale, liebling?- La donna accarezzò il viso del suo compagno con un dito.
Una traccia di sangue apparve e lei portò alla bocca il dito succhiandolo
oscenamente.
Michelle sentì rivoltarsi lo stomaco mentre accanto a lei
Ronnie sussurrava:- Gesù, Giuseppe e
Maria…-
-Pensa quello che vuoi. Il locale mi piace. E’ tranquillo e
voglio che rimanga tale. Dillo anche agli altri, questo.-
-Chi ti dice che ci siano degli altri?- Il tono sempre
indolente ma la postura del corpo era cambiata, più tesa, e anche i due
compagni dovettero avvertire qualcosa perché si concentrarono sullo
Sconosciuto.
-Ce ne sono sempre di quelli come te.-
-Quelli come me, liebling?-
Il Principe si strinse nelle spalle, un movimento casuale,
le mani ancora nelle tasche del giaccone scuro.
-Abbastanza forte da trasformare due cadaveri freschi. Non
abbastanza furba da capire quando è il momento di ritirarsi.-
-Fammelo spezzare, baby.- Uno dei due, Bobby, non aveva
gradito il lampo di indecisione nello sguardo della donna.
-Te lo sbudello e poi ti regalo il cuore come souvenir.-
Il Principe rise, una bella risata, maschia, aperta.
Completamente insultante.
-E’ proprio vero che la stupidità non conosce limiti.
Neppure quello della Morte.- In un batter d’occhio fu accanto all’aggressore di
Michelle.- Vediamo di capirci….un cuore come
questo?-
E Michelle ebbe solo un attimo per vedere lo sguardo di
sorpresa del coglione che l’aveva aggredita e qualcosa di rosso colare dal pugno del Principe prima che tutto si sbriciolasse
davanti a lei.
E diventasse polvere.
-Oh, merda!-,
esclamò l’altro con lo sguardo spalancato ed incredulo dei bambini che vengono
picchiati per la prima volta dai genitori. -Gli ha fatto un buco nel petto, hai
visto? Gli ha strappato il cuore.-
Non lo
fanno tutti gli uomini prima o poi?, si chiese Michelle stolidamente,
mentre in sottofondo sentiva Ronnie respirare pesantemente e l’odore acre della
sua paura impregnare l’aria.
La donna aveva perso la sua aria sfacciata e si umettava
nervosamente le labbra, gli occhi rivolti verso il basso e un atteggiamento
sottomesso.
-Perdonaci. Non sapevamo che tu fossi qui. Lo dirò agli
altri.-
Lo sconosciuto si limitò a fissare la testa reclinata e lo
sguardo attonito dell’altro sopravvissuto, rimasto a bocca aperta durante lo scambio,
spiazzato probabilmente dal nuovo sviluppo degli eventi.
Sorpresa,
sorpresa Coglione. Hai appena scoperto di non essere al vertice della catena
alimentare. Michelle dovette dominare l’impulso di ridere
istericamente.
Non era proprio il caso, ora.
-Fuori.- Il Principe voltò loro le spalle e si risiedette al
tavolo.
Come se non fosse successo nulla.
Sulla porta l’altra indugiò.- Master, quando passerò il messaggio agli altri..che nome devo
dire?-
La pausa durò alcuni battiti del cuore di Michelle.
-Angelus.- Un
soffio.
E Michelle vide il terrore puro negli occhi della donna.
Cosa si
dice in questi casi?
Grazie di
averlo sventrato mi era antipatico e,
già che ci siamo, vorrei supplicarti di non fare altrettanto con me?
-Allontanati da lui.- Ronnie la prese per il braccio ma
Michelle si liberò dalla sua stretta.
-Non essere stupido. Se avesse voluto farci del male, pensi
che saremmo ancora qui?- Il commento le valse un’occhiata indagatrice da parte
del loro inquietante salvatore e un sospiro da parte del barista.
-Ho sempre pensato che tu fossi pazza. Ora ne ho la prova.-
Ronnie si passò una mano sul volto.- Cristo, ho voglia di bere. Qualcosa di
forte, possibilmente. E con del Valium
sul fondo.-
-Fallo per due.-
-Forse dovrei sbarrare l’ingresso. Cioè se quei due
dovessero ritornare…-
-Non ritorneranno.- La voce del Principe conteneva una nota
definitiva. –Lei non è stupida e
pensa per entrambi.- Sembrò soppesare Ronnie. – Ma nel caso qualcuno come loro
si rifacesse vivo..- Da una delle tasche del giaccone tirò fuori un oggetto
lungo ed appuntito e, avvicinandosi, lo posò sul bancone. Dopo qualche istante
di esitazione il barista lo prese in mano soppesandolo.- Un paletto?-
L’altro curvò le labbra versò l’alto al tono di incredulità.
-Nel cuore. Un classico. Altrimenti
fuoco o decapitazione. Sospetto però sia difficile
tenere un lanciafiamme sotto il bancone e farlo passare per un accendino.-
-Amico, quasi quasi ti preferivo silenzioso e scostante.-
Prese un respiro profondo. – Dimmi solo una cosa. Mi devo aspettare altre
visite come quella?- Michelle
apprezzò il fatto che l’altro non rispondesse immediatamente.
–Non credo.- Rispose lentamente.-Sanno che sono qui ed ora
sanno chi sono.-
Le implicazioni di quello che il Principe NON disse
riportarono una patina di sudore freddo sulla fronte stempiata di Ronnie e
Michelle sentì nuovamente un dito gelido ed immateriale accarezzarle la spina
dorsale.
-Devi avere un diavolo di reputazione, amico. Quelle cose…-
-Vampiri.-
Michelle inspirò profondamente.
Lo sconosciuto si allontanò dal bancone e si risiedette al
suo tavolo e la scena assunse una strana, irreale domesticità.
Il tono del Principe era vuoto
ora. – Vampiri. E’ quello che sono. Demoni senza coscienza e pietà. Sono più
forti degli uomini. Più resistenti. Non hanno paura di niente e di nessuno. Mostri.-
-Come mai siamo ancora vivi, allora?- Michelle si ritrovò a
parlare prima di rendersene conto.
Il nero degli occhi dello Sconosciuto si fece più sfocato
per far posto a schegge d’oro e d’ambra che invasero l’iride e Michelle sentì
confusamente un fruscio secco come di
foglie calpestate o di rametti spezzati e la pesante bestemmia del barista.
Gli occhi della belva, incorniciati da un volto non più
umano, non abbandonarono i suoi neppure un istante.
-Perché esistono cose peggiori.
Ed io sono una di quelle.-
Ronnie deglutì.
Nei giorni successivi nulla cambiò nella routine dello Stonewall.
O tutto, ma questo dipendeva dai punti di vista.
Lupe era in città. Lupe era venuta a trovarla allo Stonewall
e Lupe si era leccata le labbra quando
aveva visto LUI.
Era partita in quarta, nonostante Michelle avesse tentato di
avvertirla.
Ma Lupe era un bambina, sarebbe sempre rimasta tale, una
bambina con la quinta di reggiseno ed un corpo da cartone animato, larga di
fianchi ed allettante come una mela, capace di attirare chiunque con una
semplice strizzatina d’occhio.
-Se non è un finocchio e non è uno sbirro, forse vuole una
bella puledra. E cazzo, da quel cowboy mi farei montare tutta la notte!-, aveva concluso ancheggiando mollemente
verso la sua preda.
Per poi ritornare al tavolo da Michelle e Babette con una
strana espressione sul volto.
Confusione.
Perché lo sconosciuto non l’aveva rifiutata o snobbata ma
improvvisamente, fissandolo negli occhi, come avrebbe poi ripetuto a Michelle
una volta tornate a casa, Lupe aveva pensato che se l’avesse toccato una volta non era più certa che avrebbe poi potuto
smettere di toccarlo. Pensieri più grandi di lei sembravano lottare per
trovare una via d’uscita e rivestirsi di parole.
Si era
chiesta – aveva continuato a parlare lentamente, in un raro guizzo
di profondità- se non doveva almeno BUSSARE
prima.
Fu una frase che rimase impressa nella mente di Michelle,
quando la sera successiva salutò il
non-più-sconosciuto con un cenno della mano.
Il sorriso luminoso di lui si ritrasse con la stessa
repentinità con cui era apparso oltre le linee severe del suo carcere.
Ma c’era stato.
C’era la solita trafila di gente che andava e veniva, i
poliziotti continuavano ad infestare il locale ma dopo una bottiglia, due
pompini ed una mazzetta da duecento dollari erano più che felici di lasciare questa
Sodoma di terz’ordine alle cure di un’Entità Superiore.
Dio o la fottuta commissione Municipale che controllava le
licenze dei locali, probabilmente.
Michelle continuava a vivere, lavorare, piangere nelle pause
caffè ripensando a Randy, portarsi a casa qualche gatto randagio che la mattina
dopo scompariva lasciandole un po’ di spiccioli sul tavolo del cucinino ed un
odore differente sulle lenzuola.
Ma ora tutto le
appariva, sfocato come visto attraverso
un vetro oppure sotto la superficie dell’acqua dove i rumori sono attutiti e le
immagini distorte.
Il Principe era ritornato alla sua apparente
incomunicabilità, Ronnie a servire cocktail con l’ombrellino a pelosi
camionisti di mezza età e Michelle pregava ogni notte di poter rimanere così,
con i pensieri confusi e la testa ovattata piena della novocaina più pura.
Contenta di non vivere i vari, infelici, patetici aspetti
della sua esistenza ma di passarci solo
attraverso.
Come un fantasma.
Si sorprendeva talvolta a studiarlo, ad osservarlo con una
concentrazione che non aveva nulla di sessuale, come un dipinto astratto che si
vuole imparare a conoscere.
Era tutto ciò che lei aveva immaginato nella persona che
attendeva con ansia di conoscere da una vita.
Era tutto ciò che avrebbe voluto essere.
Ma nel frattempo da Michelle si sprigionava una vibrazione,
un’energia che, col passare dei giorni, si trasformò in una collera, malsana,
continua solitaria, che si comunicava immediatamente al suo pubblico,
avventori, amici, marchette di una notte.
Il piacere giungeva solitario e violento e i sogni erano
popolati di occhi dorati e muschio.
-Si sta meglio?-
Il vampiro sollevò
lo sguardo dalla bottiglia.
-Come sei tu….intendo è meglio?-
Il liquido ambrato del bicchiere roteava lentamente, in
larghi cerchi ipnotici.
-Abbiamo il potere.
Siamo immortali. Ed eterni. Possiamo fare tutto quello che vogliamo. Sfidiamo
continuamente le leggi degli Uomini e di Dio.-
-Se è così fantastico essere un vampiro perché non ti vedo
sulle pagine di Newsweek a fare proselitismo?-
Il dolore aveva un colore, scoprì lei, fissandolo negli
occhi.
Caramello e cioccolato.
-Perché darei tutto quello che possiedo per poter ricordare
solo una volta il ritmo del mio respiro.-
Quella notte Michelle buttò il Seconal e le lamette nella spazzatura.
Greenwich Village. 27 giugno.
L’umidità ammantava New York. Le ondate di caldo conferivano
un aspetto malsano alle strade dove l’asfalto sembrava sciogliersi come i
copertoni delle gomme.
Persino le pale del condizionatore del locale giravano più
lentamente, schiacciate dalla calura incessante.
E lo Sconosciuto, Angel, come aveva detto di volersi far
chiamare, indossava ancora quel giaccone pesante.
-Dovresti girare con un cartello: “Sono strano, guardatemi.”
appeso al collo. Daresti meno nell’occhio.-, gli sibilò Michelle, roteando gli occhi, allo sguardo
di assolutà incomprensione che l’altro le lanciò.
Creatura soprannaturale e misteriosa con ovvi problemi di stupidità.
-Accadrà qualcosa stanotte.-
Perfetto.
Ci mancava
pure questo.
-Hai avuto qualche premonizione o visione o che so io?- Chissà quali straordinari poteri doveva
possedere….
-Ho visto molte auto della polizia per le strade.-
….tra cui ovviamente
una vista normale e l’INCREDIBILE capacità di guardarsi in giro.
Michelle scosse la testa sorridendo amaramente.
-Significa che avremo più lavoro da fare. Talvolta penso che
avrei dovuto prendere i voti. Passo metà della mia vita in ginocchio.-
Il vampiro le scoccò
un’occhiata strana.
-Perché?-
Lo fissò, confusa. -Perché cosa?-
-Perché accetti di farlo?-
L’inquietudine, la rabbia si cristallizzarono, diventando
una cosa viva e Michelle ebbe finalmente uno scopo.
La sua voce è sabbia. Ruvida ed abrasiva.
-Forse è quello che mi merito.
Forse è questo il motivo per cui sono così, come continuano a ripetermi. Sbagliata. Come te del resto, giusto?-
E’ un impulso suicida ma ora non riusciva a fermarsi.
-Invece di startene qui potresti andare in giro a fare qualcosa. Salvare gattini su alberi, catturare criminali o
intrattenere al Bingo vecchiette. Invece non fai un cazzo. E non tutti i bar
hanno il loro buttafuori-vampiro, giusto? Negli altri locali quelli entrano
tranquillamente e la frase “offre la casa” assume tutto un altro significato, non è vero?-
Avanti. pensò Michelle, sentendo scricchiolare
pericolosamente il bicchiere. Prova a te
ed a me che ho ragione.
Il vampiro si immobilizzò completamente.
Michelle non ha mai avuto tanta paura nella sua vita.
Le parole uscirono pesanti come pietre. –La gente non vuole essere salvata. Io ci ho provato.
E ne ho ricavato…- La voce si
affievolì.
-Ed hai rinunciato dopo la prima volta. Cristo,- Michelle
scosse la testa pesantemente, la collera evaporata completamente, -sei più morto di quanto tu ti renda conto.-
Buttò giù d’un fiato la sua vodka.- E forse hai ragione tu. Non ne vale la
pena.-
Nel modo in cui
l’altro prese la bottiglia Michelle lesse una misteriosa brutalità.
Ebbe la ridicola sensazione di averlo irritato più con la
sua acquiescenza che con l’attacco di poco prima.
Voltandosi con la coda dell’occhio vide Babette, che le fece
un cenno.
E sentì le sirene.
Cazzo.
La coppia di poliziotti entrò con aria indolente, roteando i
manganelli e gettando un’occhiata distratta agli avventori. Il più anziano
rimase al centro della stanza mentre il compagno più giovane si guardava in
giro con aria schifata.
-Stasera è la vostra serata fortunata, Signori. Scomparite
da questa topaia mentre noi facciamo un po’ di pulizia. Tu, tu e tu…-,
indicando anche Michelle, -vi farete un viaggetto in Centrale.- Poi si diresse
da Ronnie a battere cassa.
Mentre i clienti si affrettarono ad uscire, sentì una mano
sulla spalla. -Andrai?-
Una strana calma discese su
di lei. –Non credo.- Sorrise ironica. -Stasera è la serata dedicata alla
pulizia del viso.-
E mentre lo disse si sentì libera per la prima volta
da…sempre.
-Io devo andare.-
-Dove?- Ma già conosceva la risposta.
Il sorriso era nella voce di lui, ora.- Qualcuno mi ha fatto notare che ci sono moltissimi alberi infestati
di gattini.-
Quando lei si voltò lui non era più lì.
In lontananza
Michelle sentì il rombo di un tuono.
Il vento stava cambiando.
Fine