EROI, SENZA SCAMPO...

 

di Elena P.

 

 

 

 

Disclaimer

 

Titolo: “Eroi, senza scampo…”
Autore: Elena P.
E-mail: profondoblu@hotmail.com , aracne2005@gmail.com
Spoiler: allora, vediamo… innanzitutto direi che chi non conoscesse la fine di BTVS o di ATS farebbe bene a stare alla larga perché qua e là, soprattutto all’inizio, ci sono un po’ di spoiler. Ma chi è che non ha ancora visto la fine di queste due splendide serie, eh?
Pairing: cenni a tutte, ma soprattutto Buffy/Spike
Rating: VM14, ma solo per stare sicuri
Timeline: la storia si colloca alla fine della 5 stagione di AtS, ma ha radici che affondano a molto tempo prima, appena prima che Buffy diventasse la cacciatrice.
Summary: una missione da compiere, delle vite da salvare, una leggenda da ripristinare. Se sventare un’apocalisse significa tutto questo, molte più cose sono contemplate nell’avverare una profezia, soprattutto quando la profezia in questione riguarda due vampiri con l’anima e una certa cacciatrice di nostra conoscenza.
Feedback: assolutamente sì! Di qualsiasi tipo!!!
Note: alcuni personaggi sono estranei al Buffy-verse, la storia è ancora WIP ma la finirò. Probabilmente in tempi geologici, ma la finirò! Non lascio mai incompiuti i miei lavori!

 

 

“EROI, SENZA SCAMPO...”

 

CAPITOLO 1

 

1996, in un palazzo disabitato di Londra

 

“Che cosa è successo?”

 

L’uomo sollevò lo sguardo verso l’austero trono di pietra, barcollando, e si appoggiò infine contro la parete.

La giacca, un tempo bianca ed elegante, appariva adesso sporca e lacera.

Lo sguardo, sottile e sprezzante, spento dalla rovina del fallimento.

La voce, poco più che un tremito spezzato.

 

“Mio… signore…” sussurrò.

 

La figura incappucciata si protese verso di lui, afferrandolo per un braccio.

 

“Lei dov’è?” esclamò, stappandogli un gemito.

 

L’uomo inspirò a fatica, cercando il coraggio per rispondere.

 

“Avanti, parla!”

 

“E’… è… è fuggita mio signore…” balbettò l’uomo tremando, nemmeno lui sapeva più se per la paura o per il dolore “Non siamo riusciti a fermarla…”

 

“Imbecille!” ringhiò il demone, sollevandolo in aria e sbattendolo contro un muro “Dovevate ucciderla! Dovevate portarmela, non importava se viva o morta! La ragazza deve morire! Se non la troviamo…”

 

“Mi… mi dispiace mio signore…” sussurrò l’uomo e la sua voce, fino a qualche giorno prima ferma e autoritaria, sembrava più che altro quella di un bambino impaurito. E anche gli occhi, di un viola quasi impossibile, apparivano adesso grigi ed opachi sul suo volto affilato.

 

“Non avreste dovuto lasciarla scappare!” esclamò senza ascoltarlo il demone “Sapevate perfettamente quanto la sua cattura fosse importante! Vi avevo dato tutti i mezzi necessari per distruggerla! La sua energia… il suo spirito… Non ci sono scuse, doveva essere catturata!!”

 

“Abbiamo tentato… con ogni mezzo mio signore…”

 

“Tutte storie!”

 

La mano sottile del demone si strinse ancora più forte intorno al braccio del suo sottoposto ed il servo gridò, mentre gli artigli affilati del padrone si conficcavano nella sua carne, facendone sgorgare sangue. Sangue rosso e denso. Sangue di demone. La sua mano, ancora appoggiata alla parete, strinse con forza uno dei mattoni sporgenti, fino a frantumarlo. La figura incappucciata si fermò un attimo. Fissò la mano dell’uomo che gli stava davanti.

 

E sorrise.

 

Inaspettatamente.

 

In quel luogo antico e dimenticato da dio, il demone sorrideva.

 

E mentre il debole crepitio delle fiaccole riempiva l’aria, il servo seppe, con certezza, che quella notte avrebbe cambiato il corso della sua vita… per sempre.

 

“Vai, trovala e riportala indietro!” sibilò infatti il demone, avvicinandosi al volto tumefatto del giovane e sussurrando “Qualunque forma le daranno, qualunque arma useranno, qualunque magia si inventeranno per proteggerla, tu…tu la troverai. E la riporterai da me! Hai capito?”

 

L’uomo annuì debolmente. Ansimando.

 

“Ti darò la forza. Ti darò la velocità. Ti darò il fascino. Ti darò l’astuzia.” continuò il demone, senza badargli “Ma non dovrai fallire! La sua vita e la tua sono legate da un sottile filo rosso adesso: il filo della morte. Se lei morirà, allora tu sopravvivrai. Se lei sopravvivrà…” disse e, mentre parlava, dagli occhi rossi del demone si sprigionò un fiotto di luce dorata che si conficcò nella sua carne, lacerò le sue membra e si fece strada fino al suo cuore. “Allora tu sarai mio. E nemmeno immagini quanto possa essere terribile. Adesso vai! E riportala qui, da me!” gridò, estraendo gli artigli acuminati dal braccio dell’uomo e scaraventandolo al suolo, verso la porta.

 

Il demone si rialzò lentamente.

 

Si diresse barcollando al di fuori della stanza, reggendosi il braccio sanguinante.

 

Ma, mentre camminava, diretto verso la città messa a ferro e fuoco da altri mezzi demoni come lui, l’ uomo vide che le gocce purpuree di sangue che sgorgavano dal suo braccio non macchiavano più le sue mani forti e che, dove prima c’era uno squarcio, adesso non v’era più nemmeno una cicatrice.

 

Si voltò.

 

Dal suo trono di pietra, il demone lo guardava sorridente ed altero, incitandolo a continuare. E lui, inaspettatamente, sentì nascere dentro di sé una nuova forza, una nuova determinazione, una nuova potenza. Chinò il capo verso il demone, in segno di ringraziamento. E si incamminò tra la folla, confondendosi con i rumori della notte.

 

Al di fuori della caverna, la luna risplendeva alta nel cielo stellato sbucando da una nuvola bianca.

 

Nella foresta, da lontano, poteva sentirsi acuto il gracchiare di un corvo…

 

*****

 

1996, Londra, Sede del Consiglio degli osservatori

 

Le fiamme crepitavano minacciose nel caminetto, riflettendosi alte sui legni scuri e spessi della biblioteca. L’impressione, angosciante, era che tutto stesse per andare a fuoco, senza che nessuno facesse nulla per evitarlo. La mano ossuta di Quentin Travers sfogliò con noncuranza le pagine di un vecchio libro ingiallito, prima di richiuderlo e posarlo su uno scaffale alla sua sinistra. La copertina verde stonava orribilmente in mezzo a tutte quelle rilegature color della paglia, pensò, mentre osservava con nostalgia le pagine degli antichi volumi dove sempre più raramente si posavano gli occhi di quelli che, secondo lui, potevano considerarsi dei veri studiosi.

Si voltò lentamente.

Di fronte alla porta, un uomo sui venticinque anni lo fissava aspettando.

Alto, slanciato, di bell’aspetto. E con quei capelli così ostinatamente fuori posto. Come tutto quello che lo riguardava del resto. A partire da quei suoi occhi tremendamente magnetici, di un colore troppo intenso. E la tipica espressione di chi non doveva mai chiedere niente a nessuno. Fissandolo più attentamente, l’osservatore si accorse che teneva ineducatamente una mano infilata nella tasca del classico abito di tweed e la camicia sbottonata. Della cravatta, ovviamente, non c’era nemmeno l’ombra… Ma adesso la sua mancanza di etichetta non aveva importanza. Tutto quello che premeva al capo degli osservatori era di sapere la verità e di saperla subito, a qualunque costo.

Non c’era un minuto da perdere!

E così, puntò gli occhi in quelli dell’uomo senza paura di quello che poteva leggervi. Senza distoglierli un secondo, lasciando che lo scrutassero.

Quando parlò, tuttavia, la sua voce si incrinò impercettibilmente, anche se mantenne intatta tutta l’autorità con cui di solito si rivolgeva ai suoi sottoposti.

 

“Lei ha avuto tutta una vita per apprendere quello che c’è scritto in questi libri, dico bene signor Claidfort?”

 

L’osservatore annuì in silenzio.

 

“E’ possibile quindi” riprese il più anziano con tono autoritario “è… probabile, che una parte della sua infinita esistenza lei l’abbia trascorsa qui, fra questi scaffali, sepolto tra i volumi preziosi che vi sono contenuti?”

 

“Sì” ammise l’uomo senza alcuna emozione, abbassando appena lo sguardo sul pavimento tirato a lucido. Era incredibile quanto badassero alla pulizia e all’ordine quel branco di studiosi che, in teoria, avrebbero dovuto occuparsi solo di carte e di puro sapere, pensò. Ma di paradossi a questo mondo ce ne sarebbero stati sicuramente di peggiori… Lo sguardo di Quentin Travers, nel frattempo, si era nuovamente riposato sullo scaffale e la sua mano, ferma e decisa, ne aveva tratto un volume antico e pieno di incantesimi. Un libro che, disgraziatamente, Vincent conosceva fin troppo bene.

 

“Devo desumere dalla sua risposta, mio esimio collega” riprese il capo degli osservatori “che quindi lei sappia con esattezza cosa recita la formula d’apertura di questo testo. Qui. Nella sezione 1477. Nella parte più antica e protetta di tutto il Consiglio. Dove nessuno tranne i membri fondatori e il Capo degli Osservatori possono accedere per motivi di massima sicurezza e dove lei in teoria non avrebbe mai dovuto nemmeno mettere piede!” gridò, sbattendogli in faccia il volume ed indicandogli le parole, piccole e sottili, scritte in una lingua antichissima che nessuno più, tranne pochi sopravvissuti, sapeva leggere o tradurre.

 

Vincent annuì di nuovo. E gli occhi piccoli di Quentin Travers diventarono due fessure gelide mentre si allontanavano inespressivi dalla sua faccia.

 

“Bene.” disse con calma, mentre riposava il volume sul proprio scaffale “allora temo che non ci sia più nulla da dire. Sappiamo perfettamente entrambi qual è la punizione per chi infrange le regole del Consiglio. Sulla sua scrivania troverà un biglietto di sola andata per Madrid e un busta contenente la somma di denaro corrispondente alla sua liquidazione.

Faccia buon viaggio.”

 

L’uomo abbassò la testa in un mezzo inchino e si voltò, afferrando la maniglia della porta.

Il tono sommesso di Travers lo richiamò, quando ormai stava per lasciare la stanza diretto all’aeroporto.

 

“Riponevo grandi speranze in te, Vincent” disse “ma spero tu riesca a capire che la situazione in cui ci hai coinvolti è troppo grave.”

 

Il ragazzo non si voltò, ascoltando.

 

“Membri di varie delegazioni ci hanno chiesto la tua testa su un piatto d’argento… ho risposto che sarebbe stato di scarso gusto estetico, ma non posso più proteggerti ora. Spero che non ci succeda niente… in caso contrario, sai che dovrò venirti a cercare.”

 

Le parole di Quentin Travers caddero come un sipario tra loro, creando un invalicabile muro di silenzio. Il capo degli osservatori gli dava le spalle, appoggiando una mano al caminetto acceso. E per un istante, a Vincent sembrò soltanto un uomo vecchio con troppe responsabilità da gestire. Un uomo anziano a cui lui, quella notte, lui aveva dato soltanto l’ennesima, grave, inutile delusione. 

Ma il danno ormai era fatto.

Girò la maniglia aspettando un attimo ad uscire, giusto il tempo per voltarsi e sussurrare brevemente:

 

“Mi dispiace…”

 

Quella sera, quando il domestico si apprestò a pulire la stanza di Vincent Claidfort, trovò sulla sua scrivania una busta con sopra scritto semplicemente ‘Al mio migliore studente: Rupert Giles’.

 

*****

 

 

Bocca dell’inferno, Sunnydale, 15 maggio 2003

 

Willow si protese in avanti, stendendo le mani sulla falce incandescente. La chioma rosso fuoco le fluttuava intorno candida, diventando argentea per la magia che le scorreva lungo ogni vena pulsante.

Lo sguardo fisso, perso nel vuoto.

Splendeva, illuminata da una luce purissima, come un oggetto delicato e prezioso, da proteggere a qualsiasi costo. Kennedy la guardava, mentre un leggero sorriso di pura estasi si univa alla gioia smisurata che solo un potere immenso e sconosciuto, unito alla mano decisa ed insieme delicata della sua nuova ragazza, poteva infonderle.

 

Rendendola potente ed unica.

 

Una dea.

 

Kennedy la guardava affascinata.

Davanti ai suoi occhi, la donna che amava splendeva di luce propria, sorridendo felice. Si protese verso di lei, stringendo più forte le dita attorno alla mano sottile. Assaporò la freschezza delicata della sua pelle. Sentì la forza della magia arrivare fino alla sua anima, rafforzandosi. E si lasciò travolgere, socchiudendo gli occhi e sentendo la potenza dell’incantesimo diventare fonte di nuova forza anche per lei. Soprattutto per lei. Solo per lei.

Gettò indietro la chioma scura, lasciando che ondeggiasse leggiadra, cullata da tutta quell’energia mistica e sconvolgente. Lasciando che danzasse. Come durante una delle sue battaglie.

Come poteva danzare solo una cacciatrice.

Cullata dal sangue e dalla forza.

 

E poi, all’improvviso, fu come morire. O venire al mondo di nuovo.

 

Da principio fu un dolore fortissimo, come se una lama incandescente le penetrasse dal centro del torace, affondando fino alla sua anima. Sostituita subito dopo da un piacevole calore e da una sensazione di estrema potenza.

Kennedy sapeva bene cosa le stava succedendo.

Ne avevano parlato a lungo. Lo aveva accettato. Lo aveva persino acclamato.

Eppure, adesso, non riusciva a non staccare gli occhi dalla strega splendente che continuava a pronunciare delle parole incomprensibili, in una lingua antica come il tempo, senza essere profondamente insicura, ora, che quella fosse la scelta giusta da fare.

 

Ma non c’era tempo per riflettere. Non più.

 

In quel momento, mentre lo sguardo di Willow si posava su di lei, riprendendo per un istante l’antica sfumatura della ragazzina che era stata e le sorrise, allora…

allora Kennedy seppe con certezza che la regola era stata invertita.

e che da quel momento lei,

Buffy Summers, …

sarebbe stata

 

solo una tra le tante.

 

*****

 

Periferia di Los Angeles,  15 maggio 2004

 

Il vampiro strinse la mano intorno al paletto, sentendo le schegge affondare sotto la pelle.

 

Nel vicolo buio, la notte ardeva come un fuoco infernale, vomitando sulla terra tutte le sue più orribili creature.

 

Angel, Illyria, Spike, Gunn ed infine Connor si lanciarono nella mischia senza esitazione, gridando forte per farsi coraggio. Alle loro spalle, un nugolo di demoni invadeva le strade ormai deserte, richiamando i loro simili con alte grida di battaglia, mentre un demone-drago enorme volava sopra le loro teste, lanciando fuoco e fiamme ovunque girasse l’enorme bocca zannuta.

 

“Finiamo il nostro lavoro!”

 

L’ultima frase di Angel rimbombava nelle loro menti quasi come un ordine, mentre calavano le armi sui loro avversari. Danzando quasi. Belli e letali. In quell’ultima nottata di morte.

 

La giacca scura di Angel volteggiò sinuosa nell’aria, seguendo il vampiro che metteva a segno un colpo dopo l’altro. La sua statura gli permetteva di vedere al di sopra del piccolo troll che lo aveva attaccato, finendolo rapidamente e concentrandosi poi su un vampiro enorme che avanzava nella mischia. Il rumore assordante delle armi copriva qualsiasi suono che non provenisse dai loro avversari. Grugniti, lamenti, ululati. La bolgia della bocca dell’inferno si era riversata tutta assieme in quel vicolo per concludere quello che non era mai riuscita a portare a termine fino a quel giorno.

La distruzione del mondo.

 

Angel parò l’ennesimo attacco furente, calando rapido la scure. Una spada volteggiò nell’aria conficcandosi al suolo, a pochi centimetri dalle sue spalle. Il vampiro si voltò, finendo il suo avversario con un colpo rapido ed afferrò l’elsa della spada.

 

“E’ così che a me piace giocare…” sussurrò, mentre già le teste dei due demoni che si erano avventati su di lui, pensando di coglierlo impreparato, cadevano rovinosamente al suolo.

 

“E’… solo così che a me piace giocare…”

 

*****

 

La lunga giacca di pelle volteggiò inquietante nell’aria, mentre Spike si girava di scatto finendo sull’orlo del parapetto. Il colpo lo sfiorò appena, permettendogli di voltarsi e lanciare uno sguardo verso il cielo infuocato.

Si lanciò dalla piattaforma, evitando per un soffio la terribile spirale di fiamme che incenerì parecchi dei suoi inseguitori e rialzò velocemente lo sguardo. Accanto a lui, Connor combatteva strenuamente contro un vampiro particolarmente robusto, tenendosi il fianco sanguinante.

 

“Resisti, sto arrivando!” gli urlò, ferendo mortalmente il suo avversario e incominciando a farsi largo tra la folla inferocita.

 

All’improvviso Angel fu in parte al figlio, polverizzando il vampiro che lo aveva attaccato e riprendendo subito dopo a combattere.

 

Spike sorrise compiaciuto.

 

Uno di meno.

 

Si rivolse di nuovo verso la massa urlante, brandendo con ferocia l’asta di metallo che si era procurato nel frattempo ed abbracciò, con un solo sguardo, la visione di Illyria che riduceva in briciole un gruppo di zombie di fronte a lei e di Angel, che uccideva, come un angelo sterminatore, qualunque cosa si trovasse sul suo cammino. Il rumore degli spari di Gunn e le urla di dolore dei suoi avversari gli fecero pensare che, forse, non tutto era perduto come sembrava…

Parò un nuovo attacco e si passò una mano sulla fronte per detergere sudore misto con sangue, il suo sangue, che gli offuscava la vista e che sarebbe contato ben poco qualora fossero riusciti nella loro impresa, se la folla di demoni infernali che aveva invaso la città fosse stata rispedita da dove era venuta, se avessero vinto, mettendo fine a quella follia. Se avessero trionfato, salvando per la centesima, e forse ultima volta, quel pianeta già troppo dilaniato dalle forze del Male.

Se il piano di Angel fosse riuscito…

 

D’un tratto una stretta micidiale si impadronì della sua spalla, catapultandolo al suolo.

 

Spike si rialzò, voltandosi di scatto, pronto a fronteggiare il nuovo arrivato. Ma il corpo muscoloso di un demone Torlox si avventò su di lui inchiodandolo al suolo.

Spike sentì le mani nodose del demone bloccargli i polsi ed alzare un altro paio di pugni robusti verso il cielo rovente, spalancando la bocca in un feroce grido di vittoria.

Un’esitazione fatale.

Un calcio ben assestato ed il vampiro si sottrasse alla presa del demone rotolando su un fianco, tra i tizzoni incandescenti. Non fece nemmeno in tempo a rialzarsi, che si accorse di essere già stato attorniato da una ventina di altri demoni ringhianti.

 

“E’ la tua ora vampiro!” udì gridare alle sue spalle, un attimo prima di voltarsi, giusto in tempo per vedere nel buio la canna nera di una pistola brillare letale nella sua direzione.

Un colpo secco risuonò nell’aria. Ed un fiotto di sangue cominciò a sgorgare dal petto di Spike, mentre i muscoli scuri del Torlox guizzavano di vita propria, fendendo l’aria fetida per aprirsi un varco tra la folla urlante.

Il vampiro si rialzò in piedi con una bestemmia.

Ansimando.

La pallottola di legno era arrivata solo pochi centimetri sopra il cuore e Spike sapeva fin troppo bene che poteva ritenersi fortunato che non l’avesse colpito in pieno. Per fortuna l’inventore di quell’arma rivoluzionaria non aveva pensato di immergere anche il proiettile nell’acqua santa, prima di spararglielo. Si voltò, cercando di liberarsi la strada a spintoni per raggiungere il resto del gruppo, conscio del fatto che da solo e con una ferita aperta, sarebbe stato un preda fin troppo facile. All’altro capo del vicolo, Angel urlava qualcosa all’indirizzo di Illyria, continuando a combattere. Spike provò a richiamarlo. Ma, com’era prevedibile, le sue parole risuonarono inascoltate in tutto quel frastuono.

 

Piccole scintille rosse scoppiettarono nel cielo plumbeo.

 

Il vampiro rialzò gli occhi un istante. Giusto in tempo per vedere la grossa bocca del demone volante emettere una densa spirale di fumo e fiamme, diritta nella sua direzione.

Non c’era tempo per riflettere.

Scattò a sinistra, appiattendosi contro il muro di una casa in rovina mentre il gruppo di demoni che lo inseguiva si ritrovava nuovamente sulla traiettoria delle fiamme.

Il Torlox ringhiava accecato dal calore, scalciando, prendendo a pugni l’aria. Alle sue spalle, un gruppetto di neo-vampiri si godevano la scena divertiti, aspettando il momento opportuno per agire.

Spike vide il demone drago tornare all’attacco, incendiando un cassonetto lì vicino. Uscì allo scoperto, colpendo alla cieca tutto ciò che gli si trovava davanti, per poi mettersi a correre, senza ritegno, con il Torlox urlante sempre alle calcagna.

 

“Angel!” Nella mischia, il grido di dolore di Connor risuonò insopportabile, mentre Spike continuava a correre. Impotente. Chiudendo la mente al dolore. Scansando per poco le zanne di un lupo mannaro ed alzando lo sguardo nella direzione del gruppo.

 

“Angel! Qui non ce la facciamo! Aiutaci!”

 

Il tono di Illyria era stanco e disperato, nel fragore della battaglia.

Spike vide la mano di Gunn sparare un ultimo colpo e poi cominciare a difendersi come poteva nel corpo a corpo, mentre Connor cadeva, senza che nessuno potesse fare più nulla per aiutarlo.

 

“Spike! Alle tue spalle!” sentì gridare, un secondo prima che la presa del demone si facesse nuovamente sentire, bloccandogli il braccio a mezz’aria. Torcendolo. Dolorosamente. Mentre ancora tentava inutilmente di difendersi.

Il corpo muscoloso del Torlox si avvinghiò addosso a lui, confondendolo. Ed in poco tempo la presa ferrea di quella massa di carne color dell’ebano lo bloccò completamente, lasciando che i vampiri si avvicinassero a lui trionfanti per godersi la loro vittoria, paletti alla mano.

 

Lanciò un ultimo sguardo alla piazza.

 

La folla di demoni traboccava da ogni parte, riempiendo ogni più piccolo spazio e continuando a riversarsi senza sosta nel vicolo ormai orrendamente pieno di cadaveri bruciacchiati. Spike sentiva le forze venire meno, mentre un braccio scuro del Torlox si stringeva ferreo intorno alla sua gola e un altro braccio gli schiacciava lo stomaco. Lontano da lui, Angel, Illyria e Gunn stavano ancora combattendo, resistendo eroicamente all’avanzata delle forze nemiche, con un coraggio ed una tenacia che avevano dell’impossibile.

Ma davanti ad un tale fiume di demoni…

Cercò di divincolarsi, gridando, con il solo risultato di ritrovarsi ancora più bloccato tra le braccia nerissime del Torlox.

E mentre scalciava, con le mani dietro la schiena ed il torace esposto.

Intrappolato in quella massa di carne e di muscoli possenti, pensò per un attimo, solo per un attimo, che anche questa volta non era riuscito a fare quello che avrebbe potuto salvarli tutti.

Che avrebbe potuto salvarla.

 

Buffy…

 

La sua immagine si dipinse chiara e nitida, davanti ai suoi occhi.

 

Quei demoni sarebbero arrivati da lei più in fretta di quanto potesse immaginare.

Doveva reagire! Picchiando, urlando, imprecando! Doveva liberarsi!

Ma era impossibile…

Angel… ormai era lui la sua ultima speranza. Anche se era ben conscio che, da solo, non sarebbe mai riuscito a difenderla.

Fallendo. Di nuovo.

L’immagine della sua cacciatrice bionda riversa al suolo si dipinse dolorosa e indelebile nella sua mente, mentre i vampiri avanzavano nella sua direzione, sogghignando.

Buffy. Il suo ultimo volo. La sua ultima battaglia. Il suo corpo esanime ai piedi della torre di metallo ed il suo volto disteso, con un sorriso felice e un miliardo di sogni da portare lontano.

E poi il suo ultimo sorriso, mentre se ne andava.

Lasciandolo solo.    

Di nuovo.

Là, dove la sua seconda morte le aveva permesso di andare.

In Italia, con Down, in qualunque altra parte del mondo.

Dove avrebbe potuto essere ben più che una semplice cacciatrice, mentre lui ed Angel lottavano per difendere quella normalità che lei aveva tanto cercato in quegli anni di battaglie e di morte.

Che aveva meritato.

 

“Mi dispiace…”

 

sussurrò, rilassando le spalle. Chiudendo gli occhi ed attendendo che la punta di legno calasse impietosa, trapassando muscoli e stoffa, mettendo fine ai suoi pensieri.

 

“Mi dispiace…” ripeté.

 

In fondo non ci aveva mai creduto veramente.

 

Ed a quel punto, nemmeno il vampiro più stupido avrebbe anche solo sperato

di avere una minima possibilità di salvezza.  

 

*****

 

Roma, 15 maggio 2004

 

Buffy accarezzò la punta dei fili d’erba davanti a casa, inumidendosi di rugiada.

Era passato un anno. Sembrava un’infinità di tempo, eppure non si era trattato che di una manciata di giorni, uno più noioso dell’altro, nemmeno sufficienti per portarne i segni sulla pelle.

Fissò lo sguardo sui fili d’erba che ondeggiavano pigri.

Ricordava di averli guardati anche l’anno precedente, sotto il portico di Rovello drive. Prima di rientrare. Con lo sguardo assente di chi ha già provato ogni cosa. Portando la morte come dono, su mani tremanti. Certa che sarebbe finito tutto, di nuovo. Accogliendo con un singolo sguardo quelle due iridi azzurre, come se non vi fosse stato nient’altro al mondo. Sprecando anche quell’ultimo istante. Per paura ed esitazione. Attendendo la fine, sorretta tra le sue braccia.

Come una stupida…

 

Sorrise.

 

Stare sotto il portico ad un anno di distanza la faceva diventare stranamente melensa. I ricordi, la sua vecchia missione, il pensiero dei suoi amici… Tutto aveva un posto prestabilito nella sua mente. Un posto che lei stessa gli aveva assegnato: nel cassetto delle cose da dimenticare, al più presto e senza rimpianti. Definitivamente.

Mentre una lacrima cadeva lenta a solcarle le guance ambrate, impossibile da fermare…

 

Le sembrava che non fosse cambiato nulla da quella notte, eppure era cambiato tutto.

Sunnydale, la sua vita, la sua missione, la sua ‘anormalità’… era tutto scomparso.

Sprofondato. Insieme a quel paio di iridi azzurre. Al mare delle incertezze e delle delusioni. Delle notti solitarie e dei baci appassionati.

 

Era tutto finito. Semplicemente svanito.

 

E adesso, altre ragazze avevano preso il suo posto, altre cacciatrici, altre prescelte. Una marea di ragazzine che arrivavano da ogni parte del mondo per imparare qualcosa dai vecchi osservatori in pensione dopo la riapertura del Consiglio.

E lei era diventata solo una tra le tante.

Aveva avuto la sua vita normale, alla fine.

Una casetta in Italia, un lavoro affidabile, una scatola per riporre i suoi ‘attrezzi del mestiere’, da ritirare fuori soltanto in qualche notte, quando Down veniva a fare la ronda con lei. Fastidiosamente.

E poi da dimenticare.

Eppure, quando si ritrovava seduta da sola sotto il portico. Quando i ricordi diventavano troppo ingombranti e la luna la guardava col suo sorriso sornione, quasi accusatoria, allora… allora Buffy Summers non riusciva a non chiedersi quale prezzo avesse avuto la sua decisione e quante vite quella magia, potente ed antica, avesse salvato….

O distrutto.

 

*****

 

Los Angeles 15 maggio 2004

 

“Illyria! Prendi gli altri e vattene! Non ce la faremo mai senza aiuto!”

 

“No!”

 

Angel parò l’ennesimo attacco del demone e poi si rivolse a lei, gridando.

 

“Come sarebbe a dire no?! Qui non c’è più niente da fare. Morirai, lo capisci? Vattene con gli altri!”

 

Un altro zombie al tappeto, ed un vampiro ridotto in cenere ancora prima di voltarsi. Gli occhi grandi e chiari di Illyria sembravano ancora più dilatati, in quel volto pallido e insanguinato

 

“Lo so. E’ per questo che non ti lascio.”

 

Angel si voltò nella sua direzione, stupito. Illyria gli sorrideva tristemente. Era strano. Angel avrebbe scommesso di non avere mai visto nessuna emozione passare su quel viso perfetto e tirato. Un volto che aveva amato, a suo tempo. Quando ancora non era infestato da un demone. Come una sorella, quando ancora la sua non-vita aveva un senso. Ma adesso Illyria gli sorrideva. Ed Angel si ritrovò a ricambiare quel sorriso senza nemmeno accorgersene.

Alle sue spalle, un nuovo demone lo attaccava con impeto, armato di ascia. Il vampiro si voltò, parando con poca convinzione l’ennesimo colpo preciso. Lo avrebbe ucciso. Se solo fosse servito a qualcosa. Al suo fianco, Charles Gunn si spegneva lentamente sotto i colpi dei demoni agguerriti che sembravano generarsi dal nulla. Poco lontano, suo figlio Connor giaceva riverso a terra, assumendo il freddo pallore della morte. In lontananza, Spike smetteva di combattere, attendendo il colpo di grazia.

 

Era tutto finito.

 

Non c’era riuscito.

 

Angel chiuse gli occhi, lasciando cadere la sua unica arma ed abbandonando le mani lungo i fianchi.

 

Non c’era più motivo per combattere.

 

Illyria aveva ragione.

 

Quella guerra, la sua guerra, li aveva fatti precipitare tutti dall’orlo del baratro…

 

Nessuno sarebbe sopravvissuto a quella pazzia…

 

Nessuno…

 

Nemmeno lui.

 

*****

 

Il demone arrivò sul tetto del palazzo, imprecando. La battaglia era già iniziata e, quel che era peggio, nessuno aveva avuto il buon senso di tirarsi indietro da quello scontro quand’era ancora il momento. Giocando a fare gli eroi senza macchia e senza paura. Fregandosene altamente delle conseguenze! La storia si ripeteva… pensò, notando con orrore il corpo esanime di Connor giacere riverso sui calcinacci polverosi e la mano di Gunn, alzarsi lentamente un ultima volta nell’intento di proteggere, senza troppe speranze, la non-vita del suo datore di lavoro. Nonché amico.

Socchiuse gli occhi. Concentrandosi.

Dall’alto del palazzo, poteva sentire che c’erano ancora tre anime dalla parte del Bene che combattevano senza sosta in quel mare infernale di demoni urlanti. Una la vide cadere sotto i colpi di una ventina di zombie che la attorniavano. Illyria… se non si ricordava male aveva infestato il corpo di una giovane scienziata sperimentando, ora, quanto potesse essere fragile un corpo umano anche se rafforzato dal potere più rilevante.

Cercò con lo sguardo Angel e Spike, ancora vivi e pensanti in quel mare di demoni. E vide con terrore che la giacca di Angel sbucava da sotto una trave abbattuta e che la testa di Spike, di un biondo ormai sporco e striato di sangue, spuntava imprigionata nella massa di carne di un demone Torlox mentre tre vampiri avanzavano, pronti per finirlo, senza che lui tentasse neppure di difendersi.

I suoi pensieri, come  quelli di Angel un attimo prima dell’incoscienza, erano fissi su un paio di occhi verdi che lo guardavano sgomenti.

 

“non sono riuscito a salvarti… perdonami.”

 

La sua ultima frase si stagliò nella mente del demone, come se l’avessero gridata da un altoparlante.

 

Non arrenderti.. ti prego, non arrenderti…

 

La punta di legno brillò per un attimo, spiccando in mezzo a quella bolgia infernale come un faro in mezzo alla tempesta. All’altro capo del vicolo, un altro vampiro alzava impietoso lo stesso strumento di morte sul petto senza respiro di Angel.

 

Inesorabile.

 

Una lacrima solitaria rigò la guancia del demone.

 

Abbassò la testa, rendendo omaggio a quell’ultima violenza, a quelle due ultime vite spezzate.

 

Nel vicolo, le urla di gioia dei vampiri accompagnavano come una macabra sinfonia la discesa dei paletti.

 

Tentò di pensare a qualcosa di bello, da portare con sé nel viaggio senza ritorno della morte. Conscio del fatto che ormai tutto stava finendo. Di nuovo. Nel peggiore dei modi.

 

 

Il cerchio si chiudeva.

 

 

Il demone chiuse gli occhi, attendendo la fine.

E, all’improvviso, una luce fortissima si insinuò sotto le sue palpebre catapultandolo al suolo.

 

Riaprì gli occhi, esterrefatto. Giusto in tempo per sentire il rumore di una fortissima deflagrazione e dell’esercito che si rompeva, sparpagliandosi in tutte le direzioni.

L’edificio in cui si trovava si accartocciò su sé stesso, precipitandolo in un vortice di detriti e cemento armato. Facendogli sbattere la testa contro qualcosa di duro e appuntito. Annebbiandogli la vista.

 

Un attimo prima di perdere i sensi, il demone riuscì a sentire , inaspettatamente, queste poche parole:

 

“Noi abbiamo arginato la calamità. Ora tocca a voi risolvere il problema, una volta per tutte”

 

CAPITOLO 2

 

Firenze, 15 maggio 2004

 

“Sono tornato!”

 

Willow sollevò lo sguardo sul suo nuovo coinquilino che traballava vistosamente nel soggiorno. Borse e borsine della spesa gli ondeggiavano tra le mani in precario equilibrio e pacchetti e pacchettini sembravano aver occupato ogni tasca disponibile. Tra i denti, in bilico, teneva il giornale del mattino mentre una camicia a fiori, aperta sul davanti là dove un bottone era saltato, lo faceva sembrare un Tarzan del nuovo millennio.

 

Willow riportò lo sguardo sul monitor annoiata.

 

“Ti sei dimenticato di nuovo di comprare la frutta…” lo accusò.  

 

“Cosa?!”

 

Xander posò maldestramente tutta la roba sul tavolo, riuscendo a rovesciarne parecchia sia sulle sedie che sul pavimento tirato a lucido.

 

“Come sarebbe a dire che mi sono dimenticato di nuovo di comprare la frutta?! E questa cosa ti sembra?” chiese, additando un paio di melette rachitiche e sei o sette mandarini di un giallognolo preoccupante.

“E poi di che ti lamenti, scusa? Non ci sei andata tu a fare la spesa! Dovresti vedere quanta gente c’era in coda alle casse! E comunque questo supermercato italiano non è esattamente- … OOOOH… Attenta!” urlò quasi, quando la lattina di coca cola che teneva in una mano gli sfuggì dalle dita, cospargendo il suo contenuto terribilmente vicino al nuovo computer portatile della strega.

 

Igredior!” esclamò lei alzando la mano. E subito la cascata di bibita si bloccò a mezz’aria, ritornando diligentemente al suo posto.

 

Il ragazzo la squadrò ammutolito.

 

“Wow!” disse, non appena la sua voce ritornò controllabile “Da quando conosci quell’incantesimo Willow? potresti insegnarmelo? Sai, con il lavoro che faccio essere in grado si utilizzare dei trucchetti del genere mi faciliterebbe parecchio-” “Ti sei sempre dimenticato di comprare la frutta.”  gli ricordò lei.

Xander lasciò ricadere le braccia lungo il corpo, sbuffando.

“Ma se sei tanto brava con la magia non potresti-”

“Xander!”

“D’accordo, d’accordo, vado! Ma poi non lamentarti se non è come la vuoi tu, lo sai che non sono mai stato un granché come uomo di casa…”

“Non ti preoccupare, non mi lamenterò… e comunque i miei non sono dei trucchetti!”

“Speriamo soltanto che siano ancora aperti…” continuò il ragazzo sorridendo, dirigendosi con passo spedito verso la porta.

Stava giusto per aprire, abbottonandosi con poca convinzione la camicia fiorata, quando la voce compassata del presentatore del telegiornale pomeridiano richiamò la sua attenzione con una notizia che, a dire il vero, si aspettava di sentire molto, molto tempo prima.

 

Si voltò in direzione dell’amica rossa che era rimasta seduta al suo tavolo impassibile, e decise che la frutta avrebbe anche potuto aspettare.

 

“Buona giornata. Apriamo subito questa edizione straordinaria del telegiornale con una notizia di cronaca della massima importanza. Ieri notte, sul fare dell’alba, una terribile esplosione ha raso al suolo un intero quartiere residenziale nella zona della statale ovest di Los Angeles. Il nostro inviato non è ancora arrivato sul posto, ma da una prima analisi effettuata dai pompieri sembra che si sia trattato di una fuga di gas. Il sindaco ha ordinato l’evacuazione delle zone limitrofe. Per non creare ulteriori disagi si invitano tutti i cittadini alla massima prudenza ”

 

Xander rimase qualche minuto a fissare le scene che si ripetevano nella tv, giocherellando con il cellulare. Alla fine decise di spegnere il televisore con un gesto secco e di comporre un numero che conosceva a memoria, fin dai tempi del liceo, quando ancora la considerava una ragazzina un po’ imbranata e pressappoco normale. Schiacciò alcuni tasti meccanicamente, quasi che fosse la cosa più naturale del mondo. Ma quando fu il momento di premere il tasto d’invio, qualcosa nella sua mente lo fece bloccare, cancellando il numero.

Si rialzò dalla poltrona.

Il telefonino giaceva immobile sul divano di pelle marrone ricoperto da una leggera stoffa a fiori. Si avvicinò alla parete, appoggiando la fronte contro il vetro freddo della finestra e socchiuse gli occhi. Nell’ampio giardino davanti a casa, il cinguettio allegro dei passerotti sanciva l’inequivocabile arrivo della bella stagione. Sentì il sole riscaldargli la pelle e non poté fare a meno di sorridere mestamente.

L’estate stava arrivando, pensò. A dispetto di tutte le catastrofi accadute nell’ultimo periodo, la natura si risvegliava sempre. I fiori sbocciavano, gli insetti ronzavano, i cani correvano al guinzaglio facendo dannare i loro padroni... Tutto sembrava rimasto esattamente identico, in tutti quegli anni.

Tutto…

Tranne una cosa.

Xander scosse la testa infastidito.

Ma cosa si era illuso che accadesse? Pensava forse che con il crollo di Sunnydale sarebbe finito tutto? Oppure che la bocca dell’inferno avrebbe smesso di rigettare sulla terra indescrivibili mostri solo perché gli Scoobies se n’erano andati in pensione?

Picchiò forte una mano contro il davanzale della finestra.

Stupido. Stupido. Stupido Xander!

In fondo aveva fatto bene Anya a smettere di lottare, decidendo di finire in bellezza. In fondo aveva fatto bene Spike a decidere di sacrificarsi per essere ricordato da vincente. Anche se il sacrificio, loro e delle persone che amavano, non era servito a niente! Ed, in fondo, Xander era stato davvero uno stupido a pensare che tutto sarebbe finito così! Che dopo quello che era accaduto sarebbe stato tutto perfetto e che le cacciatrici avrebbero combattuto il male senza che si presentassero problemi di sorta all’orizzonte. Come quando si va in pensione. Una bella pensione. Riposante.. Magari in un cottage in montagna…

 

“A cosa stai pensando?”

 

Xander si voltò di scatto, impiegando qualche secondo a capire chi lo aveva chiamato.

Al tavolo della cucina, Willow aveva sollevato gli occhi dal suo computer portatile ed ora lo stava fissando dritto in faccia, aspettandosi una risposta a quella banale domanda. Xander sorrise.

A cosa stava pensando? Facile a dirsi.

Un po’ meno a spiegarsi…

 

“Stavo ascoltando quello che dicevano al telegiornale” rispose secco, senza voltarsi.

 

“E?”

 

Xander scrollò le spalle “E… beh… stavo pensando che forse il mondo non è un posto così sicuro come credevamo, anche dopo l’attivazione di tutte quelle cacciatrici…”

 

Willow riabbassò la testa verso il tavolo con un’alzata di spalle.

 

“Dagli tempo. Anche Buffy il primo anno non era poi così forte…” commentò.

 

Xander la guardò sfogliare con attenzione le pagine gialle del libro come una studentessa modello. Cercò di guardarla negli occhi. Le palpebre si alzavano e si riabbassavano ritmicamente, passando dal dizionario al volume polveroso appoggiato sul tavolo, per poi ripuntarsi qualche secondo sullo schermo piatto del pc controllando che il lavoro venisse svolto alla perfezione. Per un attimo, Willow gli sembrò nient’altro che la ragazzina senza un amico che era stata ai tempi della scuola media. O al massimo una liceale, alle prese con una ricerca troppo meticolosa.

 

“É proprio questo che mi preoccupa…” disse

 

La strega alzò di nuovo gli occhi, puntandoli sul ragazzo accanto alla finestra.

Xander continuava a fissare il giardino, come se fosse rimasto incantato dai giochi di luce che il sole di maggio compiva filtrando attraverso le foglie del salice davanti a casa, senza vederli realmente.

 

“Xander?” il ragazzo non si voltò. “mi stai preoccupando…” disse

 

“Lo saresti anche tu se ascoltassi con più attenzione quello che dicono alla tv” rispose lui con noncuranza.

 

“Cosa vorresti dire?”

 

Xander si voltò. Possibile che Willow non capisse? Perché doveva essere sempre e solo lui l’unico ad accorgersi di certe cose? A vedere cose che gli altri non riuscivano a vedere? Strinse la lattina della coca-cola tra le dita, sforzandosi di rimanere calmo. Inutilmente.

 

“Qui non siamo al sicuro Willow!” esclamò infine, con un moto di rabbia, accartocciando la lattina tra le mani “Non lo siamo mai stati!” gridò

 

“Neanche a Sunnydale lo eravamo, ma ci siamo rimasti ugualmente, senza farci mai troppi problemi…”

 

“Sì, solo che allora era diverso!” constatò Xander con tono impotente, tornando a rivolgere lo sguardo verso il giardino.

 

“Smettila di raccontarti che va tutto bene Willow, li segui anche tu i telegiornali!” esclamò il ragazzo rilassando le spalle, esausto “non è una novità che per noi che il mondo finisca almeno una volta all’anno, ma un anno fa almeno eravamo noi a decidere per il nostro futuro, che cosa era meglio fare e che cosa era giusto non fare. Invece adesso… Odio dirlo, ma il destino di tutti noi potrebbe essere in mano a qualcuno che, forse, non è nemmeno in grado di tentare di difenderlo!”

 

 

******

 

Roma, Italia, 15 maggio 2004

 

Due ragazze che camminano nel cimitero della capitale. Niente di cui stupirsi.

Se la scena si svolgesse di giorno, quando il camposanto è pieno dei famigliari dei defunti e il guardiano tiene aperta la porta lasciando entrare chiunque…

Ma la situazione può sembrare leggermente diversa se si considera che non solo non è giorno, ma che una delle due ragazze regge in mano un paletto di legno e l’altra, dopo aver scavalcato insieme a lei il pesante muro di cinta, scappa a passo spedito in direzione del centro abitato precedendo l’altra di almeno una decina di metri.

 

“Down! Down! Ma si può sapere perché non rallenti?”

 

La ragazzina si girò velocemente, lanciando un’occhiata alla sorella, riprendendo poi a camminare ancora più in fretta.

 

“Down!” il tono di Buffy era gelido ora.

 

Down si fermò.

 

“Che cos’hai?” chiese, mettendosi le mani sui fianchi con aria di sfida.

 

Era toppo. Buffy le si avvicinò esasperata incrociando le braccia.

 

“No, tu che cos’hai? Non ti ho mai vista così: mi eviti, vieni in ronda con me e poi scappi, sei sempre sulla difensiva, non ti si può più dire niente…”

 

“Senti chi parla, anche tu hai fatto così con me per più di due anni!” esclamò

 

“Lo vedi?”

 

“Che cosa?”

 

“Non ti si può nemmeno parlare che reagisci come se ti stessero facendo un torto gravissimo!”

 

“Forse perché è così!”

 

Buffy rimase senza parole.

 

“Down, ma… che cosa stai dicendo?”

 

“Non ha importanza!” rispose duramente la ragazzina con un’alzata di spalle. Non voleva che sua sorella si impicciasse ancora di più nei suoi affari privati, e andare a fare la ronda con lei era stata veramente una pessima idea.

 

“Down, io vorrei soltanto che noi ritornassimo a parlare come una volta, che le cose tornassero come prima…” cercò di calmarla Buffy, ottenendo solo un sospiro annoiato come risposta “Ma non posso pensare di comprendere quello che ti passa per la testa se non mi dai neppure la possibilità di ascoltarti!”

 

“Forse sono io che non voglio che tu mi ascolti!” rispose secca la ragazzina, ricominciando a camminare.

 

Ok. Adesso Down la stava davvero superando ogni limite…

 

“E va bene. Sai che ti dico allora? Rimani a casa la prossima volta! Sono stufa marcia di portarti a fare la ronda con me se l’unica cosa che ottengo sono le tue risposte acide e il tuo disprezzo!” gridò Buffy, al limite della sopportazione.

 

“Bene! Tanto non imparo comunque niente a stare a guardare te che gironzoli tra le tombe!”

 

“Perfetto! In ogni caso dovresti essere contenta che non ci siano vampiri in giro in questo periodo, così non ti devo salvare la pelle ogni due secondi!”

 

“Allora lascia che sia qualcuno altro a farlo, così almeno scopriremo perché hai attivato tutte quelle cacciatrici!”

 

“Io l’ho fatto per salvare il mondo!”

 

“Ah sì? – esclamò lei voltandosi - Ma poi te ne sei allegramente strafregata di loro, dico bene?”

 

“Questi non sono affari che ti riguardano!”

 

“Oh, certo! Benvenuta nel mondo reale sorellina, sappi che ogni azione comporta delle responsabilità! L’ho imparato fin da bambina, io!”

 

“Ok, allora spero proprio che un vampiro ti trovi al più presto, così magari lui ti da una lezione e tu la smetti di blaterare!”

 

“E tu non mi daresti una mano? Ah, già, è vero… la cacciatrice non fa più certe cose tra le bare con i vampiri da quando ha perso il suo stallone privato!”

 

Buffy si fermò esasperata.

Tirare fuori la sua storia con Spike in quel momento era sinonimo di pura vigliaccheria e lei non sopportava le persone vigliacche!

 

“Oh, guarda…” la canzonò la sorellina arrivata ormai davanti alla porta di casa “Il tuo ultimo spasimante ha deciso di lasciarti un altro regalino…”

 

Buffy si sporse, strappando dalle mani di Down il bel mazzo di rose rosse.

 

“Beh, questa volta almeno è andato sul classico…” pensò

 

“Sempre meglio di quel modellino di Ferrari che ti ha regalato l’altro giorno. Ma dico io che cosa se ne fa una di un modellino? Ti avesse regalato l’automobile almeno, ma il modellino…”

 

“Down…”

 

“E va bene, ho capito, non sono affari miei… Certo che quel tipo è davvero strano!” poi, rialzando la testa “Però… a pensarci bene questo gli da una possibilità: in fondo a te sono sempre piaciuti i tipi non proprio a posto con la testa!”

 

“Down!”

 

Per tutta risposta la ragazzina girò sui tacchi e rientrò in casa, sbattendo la porta.

 

Buffy inspirò lentamente, cercando di calmarsi.

“Beh, almeno il mazzo di fiori è carino…” commentò, mentre già si voltava e, lasciando cadere per terra le rose rosse esattamente dove si trovavano, si incamminava con passo deciso verso uno degli altri cimiteri della capitale.

 

 

******

 

Periferia di Los Angeles, 15 maggio 2004

 

“E’ tutto pronto?”

 

“Manca ancora una cosa. La più importante…”

 

Il demone si stropicciò le maniche, alzandole fino al gomito

 

“E allora trovatela!”

 

“Non è così semplice…”

 

“Perché?” il sottoposto si profuse in un profondo inchino, porgendo la caraffa di sangue al suo signore e padrone

 

“Rialzati! Lo sai che non mi piacciono le smancerie! Piuttosto dimmi perché non potreste trovare facilmente quello che cerchiamo”

 

“Il… il vostro braccio destro mio signore…” balbettò il vampiro

 

“Che cosa ha fatto ancora di sbagliato?” ringhiò il demone

 

“Temo… signore… che non stia più dalla nostra parte…”

 

******

 

Londra, Inghilterra 15 maggio 2004

 

“Biblioteca comunale, in che cosa possiamo servirla?”

 

L’uomo fece una pausa, prendendo fiato prima di parlare

 

“Avrei bisogno di contattare Rupert Giles per cortesia. É urgente.” disse infine.

 

“Il signor Rupert Giles non lavora più per noi da quasi due mesi, non sappiamo dove sia in questo momento” chiocciò l’allegra bibliotecaria salutando nel frattempo, con un sorriso smagliante, la collega che usciva per la pausa pranzo. L’uomo sospirò nervosamente.

 

“Sono al corrente del suo recente spostamento. Vorrei solo sapere se è possibile avere il suo nuovo numero di telefono, le ripeto che è una questione della massima importanza!”

 

“Chi è lei?” chiese la ragazza sospettosa.

 

“Un suo vecchio amico. Non ho cattive intenzioni se è questo che la preoccupa. Devo solamente parlargli.”

 

“Ah-ah… Allora prenda carta e penna. Ma l’avverto che non sono sicura che risieda ancora a questo indirizzo…”

 

L’uomo scrisse le sette cifre su un pezzo di carta.

 

“Grazie mille, le auguro una buona giornata…”

 

Si alzò.

 

L’ultimo moccolo di una candela bianca si stava esaurendo velocemente nella tozza bugia di ottone. Si stiracchiò, distendendo le braccia verso il soffitto e guardò l’orologio sulla mensola. Le undici e un quarto... Era tutto il giorno che chiamava a destra e a manca alla ricerca dell’ex-osservatore ed adesso cominciava davvero a sperare che la fortuna decidesse di guardare un po’ più intensamente nelle sua direzione.

Fissò il telefono di plastica grigia.

A pensarci bene, forse la dea bendata avrebbe fatto meglio a fissarlo insistentemente, senza smettere un singolo istante, per dargli anche solo una minima possibilità…

 

Compose il numero in fretta e si mise in ascolto.

 

tut…....tut….…tut…..tut…..

 

all’altro capo dell’Atlantico il telefono suonava impietosamente libero. L’uomo cominciò a rigirare nervosamente il filo tra le dita, attorcigliandolo tanto da non riuscire quasi più a disbrogliarlo

 

tut…....tut….…tut…….tut……

 

“Andiamo… maledizione, rispondi!” pensò, sperando che da un momento all’altro qualcuno replicasse. Anche solo per dirgli che aveva sbagliato di nuovo numero.

 

tut……tut…….tut….…tut……

 

“Avanti… non è possibile che nemmeno stavolta-”

 

tut……tut…….tut….…“Pronto?”

 

rispose improvvisamente una voce all’altro capo del filo. L’uomo si rizzò immediatamente sulla sedia ed appoggiò i gomiti al tavolo di legno sperando di non sognare.

 

“Rupert? Rupert Giles?” chiese titubante

 

“Sì? Chi parla?”

 

L’uomo tirò un grosso sospiro di sollievo senza farsi sentire. A quanto pareva la sua buona stella aveva deciso di ricominciare a brillare.

 

“Ho bisogno di parlarti. Ti chiamo da parte del Consiglio”

 

“Il Consiglio è stato distrutto” ribatté Giles freddamente

 

“Tuttavia c’è ancora chi crede nella sua esistenza...”

 

“Beh, non io!”

 

“Aspetta!” l’uomo sentì il sospiro annoiato dell’ex-osservatore passare attraverso la linea telefonica. Alzò gli occhi al cielo sollevato.

 

“Non ti so chiedendo questo. Ho bisogno solamente che tu mi ascolti prima di riagganciare e decidere”

 

“Decidere? … e riguardo a cosa esattamente?” chiese Giles in tono sarcastico

 

L’uomo afferrò alcune carte, portandole davanti alla luce fioca della candela.

 

“A occhio e croce… riguardo al fatto che ogni singolo umano presente sulla faccia del pianeta possa vivere o morire, temo.”

 

“La solita vecchia storia…”

 

“Può darsi” lo interruppe l’uomo con decisione “ma può anche darsi che stavolta sia molto peggio… Non sono qui per farti paura Rupert ma non posso nemmeno mentirti: la situazione è grave…”

 

“E cosa potrei fare io per risolvere la terribile catastrofe di cui sta tentando di parlarmi?”

 

L’uomo sopirò “Rupert, tu sei l’unico che…”

 

“Aspetti!”

 

L’osservatore appoggiò la tazza di the fumante sul ripiano della scrivania su cui stava lavorando. Aver chiuso i contatti con il Consiglio non gli aveva permesso di rimanere fermo con le mani in mano e, anche se la sua cacciatrice ora era comodamente sistemata in un bel monolocale vicino al centro di Roma, sul tavolo del suo studio si ammonticchiavano ogni giorno decine e decine di casi di demoni su cui doveva indagare: un centro commerciale distrutto senza apparente motivo, una carneficina in un casinò di Las Vegas, un uomo ritrovato decapitato con alcuni tatuaggi sul corpo, un essere infernale con delle buffe corna a banana… Loro chiamavano e lui rispondeva, e nel tempo libero, le telefonate dei vecchi osservatori che volevano coinvolgerlo nella riapertura del Consiglio.

 

“Il modo in cui pronuncia il mio nome non mi è nuovo. Come ha detto di chiamarsi?”

 

L’uomo sospirò.

 

“Vincent Claidfort” rispose.

 

Il signor Giles scoppiò in una fragorosa risata.

 

“Claidfort? Non sapevo che il Consiglio avesse ricominciato ad occuparsi dei tuoi sottoposti, caro Vincent. A cosa devo l’onore di questa tua chiamata?”

 

“Te l’ho detto, abbiamo bisogno del tuo aiuto”

 

“Abbiamo?”

 

“Ok, ok, ho… io ho bisogno del tuo aiuto. E se non la smettiamo di rimbeccarci come due bambini di tre anni temo che non mi basterà un mese di stipendio per pagare la bolletta!”

 

Rupert Giles fece una pausa molto lunga, soppesando la situazione. Poi chiese: “Da che parte stai?”

 

L’uomo rise sommessamente “Ma che domande mi fai, Rupert?! Dalla vostra ovviamente!”

 

“É una cosa tanto seria?”

 

“Perché ti avrei chiamato altrimenti?”

 

“Dimmi tutto”.

 

Vincent sorrise. Giles era ancora come se lo ricordava. Un po’ più irascibile forse, ma sempre molto affidabile.

 

“A dire la verità, è una situazione piuttosto delicata…”

 

******

 

Francia, 15 maggio 2004

 

Caldo. Ansimava. Doveva fare presto. Avvisarli prima che fosse troppo tardi.

Attorno a lei, litanie vecchie come il tempo si ripetevano a ritmo incalzante.

Abbassò le mani, afferrando l’orlo della gonna rossa e se lo portò all’altezza della vita, lasciando scoperte le gambe.

Ben presto si rese conto di non riuscire più a correre veloce come voleva.

Fece un ultimo sforzo prima di cadere rovinosamente al suolo.

Le voci attorno a lei erano diventate più forti, sempre più incalzanti.

“Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male… Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male… Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male…”

Christal si contorse nel letto prima di svegliarsi in un bagno di sudore.

Urlando.  

 

CAPITOLO 3

 

 

Roma, Italia, 16 maggio 2004

 

“Insomma, si può sapere che cosa diavolo ti prende?!”

 

“Nulla!”

 

Buffy si puntò i pugni chiusi sui fianchi e la squadrò da capo a piedi, bollendo di rabbia.

 

“E allora dimmi perché sono più di tre giorni che non mi rivolgi nemmeno la parola!”

 

“Cosa vuoi che ti dica, sono stanca!”

 

“Certo!” esclamò la cacciatrice afferrando sua sorella per la manica della maglietta e facendola ritornare a forza sui suoi passi, fino a piazzarsela davanti agli occhi “adesso mi dici cosa diavolo ti prende, signorinella. E non voglio scuse!”

 

“Senti Buffy, - sbuffò Down esasperata - sono stata a scuola tutto il giorno, hanno anche tentato di interrogarmi, non ho capito una sola parola di nessuna delle lezioni che ho seguito e ho un mal di testa che me ne basterebbe la metà! Posso andare a dormire adesso?”

 

“No!”

 

“Come sarebbe a dire ‘No’?! Ma lo sai almeno che ore sono?”

 

“Le sei del pomeriggio. E non mi sembra l’ora per andare a coricarsi. Dì piuttosto che non vuoi più avermi davanti agli occhi per tutto il resto della serata!”

 

Down sospirò, liberandosi dalla presa della sorella con uno strattone. Possibile che Buffy fosse così testarda? O forse era solo così ottusa da non capire? In fondo se aveva salvato il mondo sventando almeno 7 apocalissi, un pochino d’intelligenza doveva pure averla sviluppata!

 

“Hai ascoltato i telegiornali oggi?” La cacciatrice rimase senza parole.

 

“Come immaginavo” concluse fredda Down, ricominciando a salire decisa le scale

 

“Cos’è successo?” chiese Buffy salendo d’istinto un paio di scalini

 

“Informati!” disse Down “E fammi sapere quando la tua vita privata ti concederà di interessarti di nuovo al mondo Buffy!” urlò, prima di chiudersi in camera sua, a doppia mandata.

 

Buffy rimase immobile per un attimo, fissando la rampa di scale che portava al piano di sopra.

Poi, come un automa, sbuffò, si voltò e cominciò con gesti rapidi e precisi ad apparecchiare la tavola.

 

******

 

1996, in un palazzo disabitato di Londra

 

“ Ti dico che non ne so niente!”

 

Il demone alzò gli occhi al cielo, ritornando poco convinto sui suoi passi.

 

“Puoi credermi” aggiunse l’uomo, tentando di calmarlo, ma l’essere aveva già afferrato dal muro una piccola chiave e ora si stava avvicinando senza dire una sola parola ad una cassa da cui uscivano dei suoni allarmanti.

 

“S-senti…” balbettò l’uomo “i-io non lo so che fine ha fatto il tuo oggetto magico. Solo il telepate lo sa… Se abbiamo fallito è stato solo perché lui si è rifiutato di darci le informazioni che ci servivano al momento opportuno, tutto qui. Possiamo ritentare! Il mio più grande desiderio è servirti, lo sai. Ci serve solo un altro po’… di tempo. Per organizzarci meglio…”

 

Il demone si voltò sorridendo, a due passi dalla scatola.

 

“P-potremmo anche metterci al lavoro subito se vuoi. Mi sembra una buona idea… sì…. Chiamerò gli altri e…”

 

“Silenzio!”

 

L’uomo deglutì a fatica, incontrando lo sguardo impassibile del demone. Il tono con cui aveva pronunciato quell’unica parola avrebbe zittito anche l’essere più coraggioso del mondo, e non era esattamente il coraggio la caratteristica per cui Joy Tompson, ex-militare al servizio dello stato, aveva deciso di mettersi al suo servizio. E nemmeno quella per la quale era stato scelto.

Povero patetico idiota!

Tutto tremante, supplicante, impaurito.

Immobile sotto lo sguardo di ghiaccio di un demone che esisteva da prima che il mondo fosse stato creato, ed ora… pretendeva persino di fare il saccente e di ideare strategie di combattimento… Povero stupido…

Voleva solo vivere…

Non sapeva ancora che il suo più grande desiderio sarebbe stato esaudito molto presto…

 

Il rumore del lucchetto che scattava fu accompagnato dal singhiozzo disperato dell’uomo che si prostrò a terra, in un ultimo disperato tentativo di salvarsi. Il demone immerse una fiala nella scatola maleodorante e la ritrasse, dirigendosi verso il militare in ginocchio.

 

“T-ti… ti prego…” supplicò lui

 

“Silenzio.” Ripeté il demone inginocchiandosi di fronte a lui “Non hai nulla da temere” disse, con il tono più calmo che orecchio umano potesse immaginare.

Joy si ritrasse istintivamente verso il muro. Fino ad incontrarne la solida resistenza dietro le spalle. E la crudele consapevolezza di non avere più alcuna via d’uscita.

 

“T-ti prego… non farmi del male…” continuava a ripetere. Il demone allungò un dito in direzione della sua bocca e lo appoggiò delicatamente sulle sue labbra

 

“schh…” disse avvicinandosi “E’ tutto a posto…”

 

Alcuni piccoli sbuffi di fumo cominciarono pian piano ad uscire dalla fialetta nella mano del demone e ad avvolgersi intorno al profilo dell’uomo che si sentì soffocare. Una mano, liberatasi improvvisamente dalla stretta delle catene, si artigliò intorno alla gola cominciando gradatamente a mutare. Gli occhi dell’uomo, sbarrati, si puntarono in quelli del demone di fronte a lui mentre tutto il suo corpo sembrava rivoluzionarsi dall’interno, in preda a violenti spasmi.

 

“Non avevi detto che il tuo più grande desiderio era quello di servirmi?” chiese con tono ironico il demone, mentre Joy si portava le mani alla gola stringendole come una morsa nel tentativo inutile di respirare

“Ora sarai accontentato…” bisbigliò avvicinandosi al suo orecchio ed accogliendo con un impeto di gioia ogni tremito convulso del suo corpo.

“Farò di te un demone”

 

******

 

Los Angeles, 16 maggio 2004

 

La notte sembrava grigia e malata, sotto la luce fioca del crepuscolo.

La polvere, compagna silenziosa di tutte le battaglie che avevano affrontato, saliva densa e rossastra in vortici turbinosi verso il cielo azzurro. La terra, riscaldata a tratti dal primo sole tiepido dell’estate, appariva fredda e desolata. Landa di ruderi. In cui giacevano senza vita alcuni corpi simili a bambole di pezza.

Tra le case diroccate, le scale antincendio abbattute, le pareti sfondate, tutto dal più piccolo particolare al più evidente relitto, portava la triste testimonianza della tragedia appena conclusa.

 

Il demone mosse appena le palpebre, riprendendo lentamente coscienza di dove si trovava.

Sotto la sua schiena, i frammenti irregolari del muro appena andato in frantumi gli provocavano ancora un leggero fastidio, ma era ben poca cosa rispetto alla distruzione che regnava nel vicolo, tutto intorno al suo corpo.

Anche se non apriva gli occhi poteva percepirlo.

Non si ricordava esattamente come fosse successo, né quando.

Solo il bagnato della pioggia, un fracasso assordante e le sue stesse urla di battaglia.

E poi, di colpo, il nulla più assoluto.

 

Aprì gli occhi, richiudendoli immediatamente.

 

Nei suoi polmoni, il sangue accumulato durante lo scontro lottava per uscire, provocandogli uno strano senso di nausea e, come se non bastasse, le sue percezioni erano ancora annebbiate e le gambe gli facevano un male incredibile… ma gli sembrava di riuscire a muoverle e questo almeno era una buona cosa…

 

Distese le dita sui calcinacci polverosi, tra un detrito e l’altro, ed allungò una mano in cerca di qualcosa su cui fare presa.

 

Voleva alzarsi!

 

Diamine, non gli piaceva per niente restare sdraiato a terra come un moribondo, non era nel suo stile!

 

Si voltò su un fianco, tossendo, facendo forza sulla spalla sinistra per riuscire a rimettersi in piedi. E artigliando con l’altra mano la ferita ancora aperta che si trovava all’altezza del torace, poco distante dal cuore. Un dolore lancinante lo piegò in due mentre un fiotto di sangue gli giungeva alle labbra, incontrollabile.

Spike ricadde a terra senza forze, richiudendo gli occhi e reprimendo un gemito. Cercò di respirare, anche se a fatica, per liberarsi i polmoni ed aspettò un istante, solo un istante, che il suo corpo reagisse a tutte le ferite della battaglia e di quello che, probabilmente, era accaduto subito dopo.

Il vento, unico compagno di quel paesaggio da apocalisse, gli sferzava leggermente la pelle, scompigliandogli i capelli biondi come in una sorta di muta carezza. Mentre il demone dentro di lui gli ordinava di alzarsi e di nutrirsi, di qualunque cosa avesse trovato, per riprendere le forze dopo le ferite dello scontro.

 

Ma il vampiro distese i lineamenti, ordinandogli di tacere.

 

Premette un po’ più forte la mano intorno al torace e si perse nella carezza del vento. Desiderando quasi che quel momento magico non finisse mai. E guardando, con gli occhi della mente, una donna, piccola e bionda, che avanzava verso di lui con un sorriso di ammirazione sul volto e le braccia leggermente aperte.

Se si concentrava abbastanza poteva persino sentire il suo profumo, e la sua voce pronunciare alcune dolci parole. Parole in cui adesso voleva credere, senza riserve. Abbandonandosi completamente contro il suo corpo e perdendosi nel mare biondo dei suoi capelli mossi e dei suoi occhi color dello smeraldo.

Abbracciandola e donandosi a lei.

Immergendosi nel suo sguardo.

Perdendosi nei suoi desideri.

Amandola.

Semplicemente.

Totalmente.

Incondizionatamente.

Come da sempre era più abituato a fare.

Ma i minuti passavano lenti. E nessuna ragazza bionda faceva udire i suoi passi leggeri nella landa desolata che era stata la statale ovest di Los Angeles e che ora era poco più che un mare di lamiere distrutte e bidoni rovesciati.

Il vento, solo il vento, continuava ad essere il solo compagno dei suoi sogni solitari. Ed inoltre, rimaneva il fatto che non gli piaceva l’idea di restare sdraiato in quella posizione con il rischio che qualcuno lo vedesse in quello stato! ‘Maledetta testardaggine inglese’ avrebbe commentato qualcuno… Lui continuava a preferire il termine ‘tenacia’: suonava meglio, ma non cambiava la realtà dei fatti.

Si era lasciato massacrare.

Per quale motivo, nemmeno se lo ricordava. Forse era stata un’azione nobile, una rissa fuori da un bar, un regolamento di conti.. ora non aveva assolutamente importanza.

Sapeva soltanto che aveva combattuto e che ora doveva reagire, rialzarsi, correre lontano, magari sparire. Solo così poteva sperare di salvarsi. Solo così poteva evitare l’alba e chiunque avesse cercato di fargli la pelle.

E poi… poi avrebbe potuto correre da lei.

 

Lentamente, rilassò i muscoli preparandoli allo sforzo necessario per rimettersi in piedi, abbandonando i sogni e ritornando dolorosamente alla realtà. Imprecando, flebilmente, nello sforzo di trovare qualche cosa sulla quale appoggiarsi per raggiungere quantomeno la posizione eretta. E faticando non poco per ordinare ai suoi arti di collaborare.

Gli addominali contratti, gli occhi stretti, le braccia tese, e… la sua mano…

Spike rabbrividì quando si rese conto che la sua mano era appoggiata su qualcosa di morbido. Di organico.

 

Dimentico di quello a cui stava pensando, riaprì gli occhi di scatto e si costrinse a guardare.

 

Sotto la polvere, a pochi centimetri da lui, un’altra mano, fredda quanto la sua, giaceva immobile. La lunga manica di pelle tirata fin sopra le nocche, il tessuto strappato e impolverato, la fluida viscosità del sangue ad insinuarsi tra le sue dita.

Spike strinse un po’ più forte quella mano, fredda come il ghiaccio.

Ricordando in un lampo un’altra morsa, ferrea e implacabile, che gli aveva mozzato il fiato mentre un vampiro ripugnante avanzava verso di lui con un paletto stretto in pugno, come una cacciatrice.

Richiuse gli occhi.

I frammenti di quello che probabilmente si ricordava non dovevano avere nessuna importanza in quel frangente. Strofinò leggermente quella mano, immobile sotto le sue dita, con un brivido di paura.

Solo quella aveva importanza ora… non poteva non averne.

In fondo non era detto che non ci sarebbe stato più niente da fare. Forse… forse il corpo che giaceva in parte a lui era soltanto svenuto. Forse si trattava solo di una sua impressione e forse non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di preoccuparsi.

Forse… sarebbe bastato portarlo da Fred, al laboratorio medico e forse…

 

Improvvisamente il respiro gli bloccò in gola e il cuore gli si strinse in una morsa insopportabile.

 

Fred…

 

Immagini sconnesse e scomposte incominciarono a vorticargli vertiginosamente nella testa

e la verità comparve improvvisa, disarmante e terrificante come un fulmine a ciel sereno.

 

Fred ,

 

e Cordelia…

 

E Wes, Lorne, Harmony, Gunn ed infine Connor…

 

Morti.

 

Tutti.

 

Morti…

 

Alcuni, ancora prima della battaglia finale. Tutti, ancora prima che qualcuno avesse potuto salvarli. Prima che avesse anche solo potuto tentare di salvarli…

Strinse più forte gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime che già gli bruciavano il volto al ricordo del corpo esanime di Fred, sdraiata nel suo stesso studio, mentre un demone di nome Illyria ne infestava senza pudore le spoglie mortali;

e Cordelia, spentasi in ospedale senza che lui nemmeno sapesse che stava così male;

e Wes, che non poteva sopportare di separarsi dalla donna che amava,

e Connor, con i suoi occhi colore del cielo,

e Angel…

 

Angel. Angel. Angel. Angel!

 

Una sola parola nella sua mente che si ripeteva come un vortice. Privandolo di ogni energia e donandogliene tantissima al tempo stesso. Annichilendolo, quasi. Annebbiandolo e rendendolo più lucido di quanto non fosse mai stato.

 

Angel…

 

E la sua battaglia.

 

Angel…

 

Con un moto di rabbia Spike si deterse la polvere dal volto ricordandosi di come lo avesse visto combattere senza sosta nel conflitto che li aveva portati fino a quel punto.

Di come avesse accettato, senza remore, di affiancarlo.

Di come avesse pregato, anche quando ormai era inutile farlo, che Angel riuscisse a correre a Roma per avvisare Buffy del disastro incombente.

E di come avesse sperato, durante quell’ultima lotta, che almeno lui si salvasse.

Che la difendesse, come l’aveva difesa sempre.

Che l’aiutasse, come l’avrebbe aiutata lui se solo ne fosse stato capace.

Che la salvasse.

Anche se era impossibile.

E che l’amasse, come solo lei si meritava,

dopo che di lui non fosse rimasto altro che una manciata di polvere.

 

E adesso…

 

Adesso si ritrovava a sperare che almeno Angel si trovasse ancora al suo fianco.

 

Perché questo significava che, in qualche strano modo, avevano vinto.

Che il mondo intorno a loro non era finito.

E che lui, Angel, aveva sconfitto la più grande apocalisse a cui avessero mai partecipato, salvandola non solo nei suoi sogni, ma anche nella realtà.

 

Si aggrappò a quella mano, fredda come il ghiaccio e risalì lentamente quel profilo immobile.

 

Socchiuse gli occhi per metterlo a fuoco.

 

E lo vide.

 

Una statua.

Angel giaceva riverso sui calcinacci polverosi.

Sereno, anche se estremamente malridotto e ricoperto di sangue.

Il suo e quello di molti altri.

Un angelo caduto, ora come non mai.

Una trave di legno gli era franata addosso, schiacciandolo. Aveva tagli, contusioni e lividi ovunque. E le palpebre abbassate nell’espressione tranquilla di chi, semplicemente, aveva scelto di smettere di lottare.

Ma era vivo.

Grazie al cielo era vivo!

 

Spike si rialzò in piedi senza nemmeno pensare a cosa stesse facendo. Spostò la trave di legno che gli era caduta addosso, liberando quel corpo che pareva senza vita, in tutti i sensi, e provò a sollevarlo. Ma le gambe gli cedettero. Evidentemente non era uscito così indenne come gli sembrava da quello scontro… Ma non voleva neppure soffermarsi a pensare a come fosse ridotto.

Angel era in parte a lui.

E l’alba era vicina. Troppo vicina!

 

Infilò le braccia sotto le ascelle del vampiro, trascinandolo malamente al riparo dai raggi del sole dentro una specie di capannone per gli attrezzi scampato miracolosamente al massacro.

Lo appoggiò in un angolo. Delicatamente. Scostando i vestiti dai tagli più profondi, in modo che si rimarginassero. E cercando con lo sguardo qualcosa per detergere quel disastro di lividi e di sangue.

Angel era messo male. Decisamente male.

Se Spike non avesse saputo che era impossibile, avrebbe scommesso che non avrebbe superato la notte.

Ma Angel era un vampiro. Per fortuna.

Probabilmente gli sarebbero bastati solo un paio di giorni di riposo e un bel po’ di sangue umano per riprendersi, e allora- 

 

“Spike…”

 

La voce di Angel era poco più che un sussurro. Spike gli si avvicinò velocemente, posandosi prontamente le mani sulle ginocchia, e gli sorrise.

 

“Sono qui…”

 

“Cosa… è successo?”

 

Spike si guardò intorno.

Quanto avrebbe voluto sapere cosa rispondergli… quanto avrebbe voluto potergli dire che andava tutto bene, che non era successo niente e che i suoi amici lo aspettavano di fuori per festeggiare…

Ma Angel lo guardava con quello sguardo scuro, quegli occhi profondi e tetri che lo pregavano di dirgli qualunque cosa, tranne che una menzogna. Quegli occhi che lo informavano che avrebbe sopportato tutto, ma non un silenzio come risposta.

E allora decise.

 

“Non lo so, sembra… sembra che sia passato un maledetto tornado dannazione! Non c’è più una sola casa in piedi in tutto l’isolato!” esclamò allora, con la solita testardaggine di chi deve sempre trovare una risposta per tutto, e a qualunque domanda.

 

“Abbiamo vinto?”

 

Il vampiro scostò automaticamente il volto da quello di Angel, incapace di sostenere ancora quello sguardo. Puntandolo sull’esterno polveroso. E cercando con la vista una certezza di cui non aveva bisogno.

Cosa poteva rispondergli, adesso? Cosa diavolo poteva rispondergli?!

Guardò il maglione scuro del suo sire ridotto a brandelli. Dalla stoffa nera emergevano alcuni lembi di pelle con tagli e ferite non del tutto rimarginati, ma quello era il minimo. Spike sapeva bene quanto Angel avesse dato per combattere quell’ultima battaglia. A quanto avesse rinunciato. E quanto, alla fine, gli fosse stato strappato.

 

Posò una mano sulla sua spalla, saldamente, incapace di provocargli altro dolore. Ed incontrò di nuovo quello sguardo. E quegli occhi scuri. Che lo supplicavano di mentire stavolta. Di non pronunciare ad alta voce quella verità che era troppo chiara ad entrambi e che lui avrebbe impiegato ancora qualche tempo per accettare ed ammettere.

 

“Sì, abbiamo vinto” rispose quindi Spike con un sorriso deciso, quasi forzato.

“Non temere Angel, hai fatto il tuo dovere. Il mondo è ancora un posto sicuro…”

 

 

******

 

Francia, 16 maggio 2004

 

La ragazza correva disperata. Alle sue spalle centinaia di migliaia di demoni avanzavano a ranghi serrati, come un esercito. Un esercito di tenebra e morte che si sarebbe ben presto riversato sulla terra. Distruggendo ogni cosa.

La ragazza chiuse gli occhi, cercando di correre più forte. I polmoni le bruciavano per l’odore nauseabondo dello zolfo e le orecchie erano piene delle urla dei demoni alle sue spalle.

“Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male. Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male. Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male…”

Uno di loro l’afferrò per una caviglia facendola inciampare. Christal si voltò. Un altro la prese per la gola sollevandola da terra, mentre il plotone continuava ad avanzare.

“É inutile che ci provi. Non puoi fermarci. Non più!” esclamò il demone levando in alto la spada. La ragazza vide lo scintillio metallico della lama calare velocemente verso la sua gola, emettendo un urlo.

Chiuse gli occhi.

 

E si svegliò terrorizzata.

 

Christal si prese il volto tra le mani, nascondendolo in un singhiozzo disperato

“E’ tempo…” sussurrò, mentre già le prime lacrime le solcavano la pelle opaca ed il sole inondava la stanzetta, illuminando la soffitta di legno antico e profumato.

“E’ tempo…”

 

 

******

 

 

Roma, Italia, 15 maggio 2004

 

Buffy si voltò

Sistemare la tavola era una delle prime cose che sua madre le aveva insegnato a fare. I piatti, le posate, i bicchieri… persino tovaglioli e bottiglie, tutto aveva una sua disposizione precisa, un posto determinato.

Buffy aveva sempre trovato distensivo mettere tutto al suo posto.

La forchetta in parte al piatto, la caraffa al centro della tavola, il vassoio della frutta sopra il centrino…

Anche ora quei semplici gesti le infondevano una calma innaturale. Quasi come se mettere a posto quelle poche cose la aiutasse a mettere a posto anche nella sua vita.

Afferrò una pentola e mise l’acqua a bollire sul fuoco. Quella sera avrebbero mangiato pasta al ragù, in barba a tutte le diete ipocaloriche che sua sorella sembrava non smettere mai di seguire, nonostante la sua corporatura esile non le richiedesse affatto.

Sua sorella…

Down…

 

“Fammi sapere quando la tua vita privata ti concederà di interessarti di nuovo al mondo Buffy!”

 

Scosse la testa con forza, scacciando quelle poche parole.

Down non capiva!

Doveva smetterla di fare la bambina viziata e di attendersi attenzioni anche quando non era il momento. Doveva crescere!

Buffy si sedette sulla sedia della cucina mettendosi le mani tra i capelli.

Nella sua testa la stessa domanda che la torturava da quando era tornata dal paradiso…

‘Sarò ancora in grado di mentire a me stessa?’

Quando la tua vita privata ti concederà di interessarti di nuovo al mondo…

Facile a dirsi, soprattutto per gli altri!

In fondo loro non avevano una sorta di fidanzato vampiro che era morto pur di salvarla e un altro che preferiva nascondersi a Los Angeles piuttosto che fare anche una semplice telefonatina. Per non parlare di Riley, o di Parker, o di quel tizio tutto d’un pezzo che l’aveva portata fuori qualche giorno prima a ballare e che ora le recapitava qualsiasi tipo di messaggio d’amore sotto la porta in un inglese talmente sgrammaticato da farle venire il voltastomaco! E poi che nome buffo che aveva.

Immortale.

Un nome altisonante per un persona totalmente priva di ogni scrupolo. Eppure quel tizio sembrava proprio non volerne sapere di lasciarla andare, anzi! Una notte era arrivato persino a pedinarla. La seguiva di soppiatto con la sua bella automobile nera, sportiva, decappottabile. Buffy non ci aveva messo troppo a capire che la stava sorvegliando. Istinto di cacciatrice? Mah… Di sicuro sul suo conto sapeva soltanto che era un tipo molto stravagante, terribilmente fastidioso, e con quel qualcosa di tanto oscuro e irresistibile che sia Spike che Angel, se l’avessero vista in sua compagnia, ne sarebbero stati sicuramente gelosi…

 

“Sempre a pensare agli altri, vero sorellina?”

 

La voce aspra di Down la destò di colpo dalle sue riflessioni.

 

“Lascia perdere!” sbottò la ragazzina, sedendosi al tavolo “Dimmi piuttosto: da quanto tempo è su quella pasta?”

 

Bene. A quanto pareva Down aveva deciso di non darle tregua nemmeno per un istante quella sera…

 

“Non ti preoccupare, sono solo una decina di minuti che bolle!”

 

“Ah-ah, certo… e tu l’hi letto vero sulla scatola che questa pasta cuoce in non più di sette?”

 

“Oh santo cielo!” esclamò la cacciatrice correndo a spegnere il fuoco.

 

Down si sedette di fronte al tavolo, sogghignando.

 

“Smettila!”

 

“E perché scusa? Vedere il terrore del male che si dispera davanti ai fornelli non è uno spettacolo da tutti i giorni…”

 

“Finiscila Down!” Buffy scolò la pasta nel piatto versandoci sopra un po’ di sugo riscaldato

 

“Scommetto che per il formaggio dovrò pensarci io…” sospirò la sorellina aprendo il frigorifero.

Lo squillo del telefono le fece sobbalzare entrambe.

Buffy sollevò il ricevitore con una mano, appoggiandoselo alla spalla

 

“Pronto?” disse con tono frettoloso, incominciando nel frattempo a grattugiare il parmigiano sulla pasta, irrimediabilmente scotta.

 

“…”

 

“…?”

 

“Buffy?”

 

“Giles!”

 

Down si avvicinò al telefono, felice come non mai di poter risentire il tono dell’ex-osservatore che le aveva fatto praticamente da padre.

 

“Aspetti un attimo, metto il vivavoce, così può salutare anche Down!” esclamò allegramente

 

“Buffy….”

 

“Oh, su, non sia timido! Appena trovo il bottone giusto la faccio…”

 

“Buffy! – esclamò Giles, ritornando subito dopo al suo solito tono calmo – perdonami, è… è solo che… insomma… non è esattamente una telefonata di piacere. Dovrei pararti. In privato…”

 

“Oh… ma certo, mi scusi, io pensavo…”

 

“Cosa pensavi?”

 

“Non ha importanza. Mi dica.”

 

Lo sguardo della cacciatrice era teso ora.

Down si avvicinò maggiormente all’apparecchio cercando di captare qualche parola. Buffy le fece cenno di allontanarsi.

 

“Gli altri sanno già tutto?”

 

“Ho chiamato Xander e Willow. Prenderanno il volo delle otto e trenta. Buffy…”

 

“Angel?”

 

“Non so ancora nulla. Ho un aereo per L.A. tra meno di un’ora, ti richiamo appena so qualcosa.”

 

“Grazie”

 

“Buffy…”

 

“Sì?”

 

“Non dire niente a Down per ora. É inutile che cominci a preoccuparsi in anticipo. Ti ho già prenotato due posti sullo stesso volo di Xander.”

 

“Ok. Ma mi tenga informata, mi raccomando…”

 

“Non preoccuparti.”

 

Buffy rimise a posto la cornetta con lo sguardo fisso nel vuoto.

Passò in parte alla sorella che la guardava stralunata e cominciò a salire lentamente le scale che portavano alla sua camera, come un automa.

 

“Buffy?” Down era ferma sui primi gradini con gli occhi sgranati, in attesa di una risposta

 

“Che cosa è successo?”

 

La cacciatrice si voltò. E per la prima volta dopo tanto tempo Down fu certa di aver visto gli occhi di sua sorella diventare vuoti e spenti, di fronte al suo sguardo.

 

“Prepara la tua roba Down. Dobbiamo andare a Los Angeles…”

 

******

 

Londra, 16 maggio 2004

 

L’osservatore appoggiò il ricevitore del telefono su una spalla e cominciò a sfogliare con aria distante un vecchio volume.

 

“É una situazione delicata”

 

“Lo so…” la voce dell’uomo, all’altro capo del filo, tradiva una certa insicurezza

 

“Vincent…”

 

“Sì?”

 

Giles era turbato. Non aveva mai sentito Vincent Claidfort così preoccupato. E sapeva che di solito non era uno che cedeva agli allarmismi.

 

“Io non le ho detto… proprio tutto…”

 

“Hai fatto bene. Non sarebbe stata in grado di gestire una notizia di questa portata e soprattutto, non so se avrebbe avuto la lucidità per reagire con freddezza a una tale calamità. Le diremo tutto, non appena arriverà a Los Angeles”

 

“E cosa pensi di fare riguardo alle cacciatrici?”

 

Ecco. Quella sì che era una bella domanda…

 

Vincent si riportò il sigaro alle labbra aspirando un’intensa boccata di fumo.

 

Lo distendeva.

Fumare.

Non le sigarette, ovviamente! No, lasciava quel tabacco da pochi soldi mischiato con ogni sorta di schifezze a quelli che non avevano altra aspirazione nella vita che rovinarsi i polmoni prematuramente ed in modo duraturo! Ma il vero tabacco…

c’era ben poco che potesse reggere il confronto…

Ma purtroppo fumare non rispondeva alla domanda di Giles.

 

Sfogliò con noncuranza il vecchio libro ingiallito. Le pagine delicate seguivano le sue dita foglio dopo foglio, fino a che i suoi occhi non caddero su un’illustrazione a china di un nero molto intenso.

 

“Ho il rituale sottomano Rupert. Te lo porto non appena ci vediamo a L.A.”

 

“Perfetto”

 

“Ah, Giles!”

 

“Sì?”

 

“Cerca di contattare anche Angel. Abbiamo bisogno di un vampiro per completare il tutto”

 

“Ok. Serve qualcos’altro?”

 

Vincent rilesse con attenzione le prime righe del testo “Una lama di Tékal, qualunque cosa sia”

 

Giles aggrottò la fronte pensieroso.

 

“Una lama di Tékal hai detto? Non ne ho mai sentito parlare, sei sicuro di aver tradotto bene?”

 

“Ti prego Rupert! Sono stato il tuo insegnante di babilonese per oltre quattro anni!”

 

“Ok. Allora io mi occuperò di rintracciare Angel, ammesso che ci sia ancora qualcosa da rintracciare… tu intanto guarda fra i tuoi libri se riesci a scoprire qualcosa riguardo a questo oggetto. Ci riaggiorniamo a L.A.”

 

“Perfetto. Allora a presto Rupert”

 

“Buon lavoro, Vincent…”

 

Giles scosse la testa infastidito.

La tazza di tè fumante era ormai diventata gelida, ed i suoi occhiali si erano appannati parecchio stando vicino a quella insolita fonte di calore.

Chiamare Buffy…

Un solo pensiero che gli vorticava nella testa, senza una risposta.

Chiamare Buffy. Metterla di nuovo con le spalle contro al muro per la sua missione di cacciatrice e per di più fare tutto questo coinvolgendo Angel. A sua insaputa…

Rupert pregò in cuor suo che i piani di Vincent non coinvolgessero troppo da vicino il vampiro. Sapeva bene cosa significasse per Buffy lavorare ancora fianco a fianco al suo vecchio e forse unico amore. E lo spaventava non poco dover scoprire sulla sua pelle come avrebbe reagito una volta che l’avessero posta davanti ad una scelta di quel genere.

E se avesse rifiutato? Giles si era posto questa domanda centinaia di volte da quando quel maledetto telefono era squillato.

 

E se avesse rifiutato?

 

In fondo nessuno la obbligava a riprendere il comando, nessuno poteva costringerla a ritornare sopra le sue decisioni, nessuno poteva forzarla… Ma se non l’avesse fatto lei, allora a chi avrebbero potuto chiedere? Su chi avrebbero potuto ripiegare?

Faith?

Probabilmente la sua più grande ambizione era di stare sdraiata seminuda su una spiaggia dei Carabi a godersi il sole e la bella compagnia dei mari tropicali.

E allora chi?

L’osservatore appoggiò sul tavolo gli occhiali appannati e riprese in mano la sua fedele tazza di tè, scacciando dalla mente quei pensieri fastidiosi.

In fondo Buffy era stata contenta di sentirlo no? Ed in fondo non gli aveva riagganciato il telefono in faccia non appena aveva saputo il vero motivo della sua chiamata né si era opposta in qualche modo al viaggio verso L.A. in compagnia di Xander e di Willow. In fondo non gli era sembrata troppo scioccata dall’idea di un soggiorno, seppure momentaneo, alle porte del cratere della vecchia Sunnydale e in fondo…

 

In fondo, pensò Giles, adesso c’era soltanto da sperare che non si tirasse indietro all’idea di essere di nuovo l’Unica…

 

CAPITOLO 4

 

******

I sogni... c’è chi dice che siano desideri inespressi,

gocce di memoria, finestre sul futuro…

Io mi accontento che vengano a trovarmi tutte le notti

 

******

 

 

La sabbia era calda e morbida sotto le sue scarpe.

Buffy si tolse i sandali di cuoio intrecciati e li abbandonò all’ombra, in parte ad una roccia.

Appoggiò i piedi nudi sul suolo tiepido ed invitante e si sedette in riva al mare.

L’acqua, lenta e regolare, scavava larghi solchi sul bagnasciuga che svanivano nella frazione di un secondo. Il rumore delle onde spumose che si infrangevano contro gli scogli creava una dolce sinfonia, accompagnando il canto stridente di alcuni gabbiani che correvano a ripararsi dopo la pesca delle ultime ore ed il cielo azzurrissimo stava pian piano assumendo la calda colorazione dei tramonti più belli.

La ragazza si chinò immergendo le dita nel terreno salato. Afferrò una manciata di sabbia.

La polvere, fine e dorata, scivolò lentamente tra sue dita raggiungendo i mille granelli che, sotto di lei, giocavano con le conchiglie e le pietre levigate portate dal mare.

“Non è stupefacente?” sussurrò d’un tratto una voce. Voltandosi leggermente la ragazza riuscì a vedere con chiarezza il volto di colui che aveva appena parlato. Un ragazzo. Sorrise dolcemente. I suoi occhi, due zaffiri purissimi, fissavano senza vergogna ogni centimetro della sua pelle abbronzata, imprimendosi nella mente ogni più piccolo particolare di quel corpo fragile quanto perfetto, delicato ma forte ed implacabile allo stesso tempo. Buffy ricambiò il sorriso. Si voltò mentre lui si sedeva alle sue spalle ed appoggiò delicatamente la schiena contro le sue ginocchia. I capelli biondi le ricadevano sul volto in piccole ciocche scomposte accompagnate dal debole ondeggiare del vento. Anche i capelli di lui, leggermente più scuri, si muovevano lievemente. Come in una tacita danza. Rendendo il suo sguardo ancora più intenso.

“Potrei anche trascorrere tutto il resto della mia vita a guardare il mare… con te” sospirò. Il ragazzo non disse niente limitandosi a sorridere, una volta ancora. Buffy lo guardò, lievemente offesa.

Era da quando erano arrivati che non le rivolgeva una parola. Solo quel muto sorriso. Quel tacito bagliore che appariva e scompariva dietro ai suoi occhi dello stesso colore del mare. Forse non aveva semplicemente voglia di parlarle. O forse era arrabbiato per qualcosa che lei gli aveva fatto o che, senza volerlo, gli aveva detto? No, non era possibile. E allora perché lei si sentiva così… in colpa? Perché lui non la provocava? E perché lei non gli rispondeva?

Doveva… forse…

Le dita fresche del ragazzo si posarono delicate a pochi centimetri dal suo collo ed i pensieri tumultuosi della ragazza svanirono come neve al sole. Spazzati via dal rumore delle onde silenziose del mare.

Buffy si chinò un poco verso di lui, abbandonandosi tra le sue braccia.

Era magnifico.

Si avvicinò leggermente al suo viso, cercando con lo sguardo le sue labbra. Morbide. Intense. Sapevano di sale e di strada. Di tutte quelle che aveva percorso per arrivare fino a lei e di quella senza pensieri su cui stava camminando adesso.

Il ragazzo vide Buffy avvicinarsi ed appoggiare il volto con gli occhi socchiusi contro la sua spalla. La scollatura profonda del suo vestito balenò per un secondo di fronte ai suoi occhi azzurri, obbligandolo a deglutire. Istintivamente portò le mani bianche sopra le spalle nude della sua donna, provocandole un tremito. Il volto della ragazza si avvicinò lentamente al suo, invocando un bacio. Sentì il suo cuore, fermo da tanto tempo, battere velocemente e poi perdere un colpo nel momento preciso in cui le labbra di Buffy si posarono sulle sue. Depositandovi un bacio. Un bacio lento. Che parlava di tutto quello che le parole non sarebbero mai state capaci di esprimere. Quello che la sua mente non sarebbe mai nemmeno riuscita a delimitare.

Se fosse stato vivo, il ragazzo sarebbe morto in quel preciso istante. Chinò appena la testa, staccandosi da quella piccola prova d’amore e ponendo un bacio delicato sulla sua spalla per poi risalire, come seguendo una pista invisibile, fino al collo teso e al mento vellutato. Buffy sentiva il suo corpo perdere irrimediabilmente il controllo mentre il ragazzo aumentava la stretta delle sue mani e la imprigionava per la vita contro il suo torace. Una mano del giovane era scesa pericolosamente veloce fino ai suoi fianchi, stringendola possessivamente. Buffy cercò di divincolarsi, cercando di voltarsi verso di lui, ma il ragazzo la precedette. Il suo bacino esattamente in mezzo alle sue gambe. Continuando a baciarla amorevolmente. Le sue mani tracciavano una ragnatela invisibile su ogni frammento della sua pelle lasciata scoperta dal vestito di seta bianco e rosa. Un vestito che stava diventando un fastidio. Quasi un problema serio. Il fermaglio che teneva legati i capelli di Buffy ricadde dolcemente sulla sabbia, fermandosi a pochi centimetri dai suoi piedi scalzi. Il giovane posò le dita fresche sulla schiena accaldata della ragazza, cominciando a sciogliere i piccoli laccetti che tenevano legata la stoffa.

Buffy sentì le dita abili di lui sciogliere ogni nastro per poi posarsi saldamente sui suoi fianchi e sulle sue gambe. Scivolando lentamente fino alle sue cosce e poi ritornando indietro senza un apparente motivo a torturarle la chiusura del reggiseno merlettato. La stretta delle mani di Buffy sulla sua schiena aumentò di colpo non appena la chiusura scattò lievemente, lasciandola esposta al tocco esperto di lui.

La sabbia, calda e invitante, accolse il corpo della ragazza mentre, accaldata, si ritrovava ad affondare in quella distesa di sale e di sogni. Sbottonò la camicia del ragazzo. Dischiuse leggermente le labbra. Socchiuse la bocca in un gemito e lasciò che lui si insinuasse prepotentemente sotto i suoi vestiti. Aggrappandosi alle sue spalle. Invocando che quella tortura non finisse mai. Sperando che quella nottata non conoscesse mai la luce del giorno. E lasciandosi amare, infine.

Dolcemente.

Possessivamente.

Completamente.

In un sogno che sfidava i confini della realtà.

 

******

 

Los Angeles, California, 16 maggio 2004

 

Spike si sporse un poco fuori dalla porta.

Il sole splendeva ancora alto nel cielo. E malgrado l’ora relativamente tarda, il tramonto sembrava non volerne sapere di arrivare.

 

“Non hai bisogno di guardare fuori, lo sai d’istinto quando è giorno, non te lo ricordi?”

 

Il tono di Angel, così poco cortese dopo tutto quello che era successo, ottenne il solo risultato di renderlo ancora più desideroso di uscire da quella baracca.

Si ficcò le mani nelle tasche e fece un lungo sospiro per cercare di calmarsi

 

“Sai Angel… stai diventando una palla al piede senza precedenti!” esclamò infine seccato, continuando a guardare distrattamente la strada

 

“Finiscila! E cerca di stare più attento: la luce del sole mi ha quasi raggiunto prima!”

 

Spike si voltò come una furia verso il vampiro disteso per terra.

 

Da quando si era ripreso Angel era diventato una lagna di prima categoria, non gli andava mai bene niente!

 

“Senti!” disse, scandendo le sillabe di quell’unica parola come se stesse facendo uno sforzo enorme per trattenersi

“Può anche darsi che tu ti diverta come un matto a stare chiuso qui dentro a non fare un bel niente. Io, al contrario, mi sono già rotto le scatole! E non c’è bisogno che ti ricordi di chi è la colpa!”

 

“Allora perché non esci?”

 

“Va a quel paese Angel!”

 

“Dico davvero…”

 

Spike si sedette in terra sospirando.

Già non andavano troppo d’accordo prima… ma quella convivenza forzata stava davvero diventando insopportabile!

 

“Ok, mettiamo subito in chiaro una cosa allora: - sbuffò -  io, non sono un idiota. E non ardo dalla voglia di andare di nuovo a fuoco, se mi permetti il gioco di parole. É giorno. Quindi, non vedo il maledetto motivo per cui dovrei uscire da quella porta quando il sole è ancora alto nel cielo!”

 

Angel lo osservò alzarsi e rimettersi in piedi vicino allo spiraglio di luce.

 

Chiuse gli occhi.

 

A dispetto di quello che voleva evidentemente dare a vedere, si notava lontano un miglio che era teso come una corda di violino. E altrettanto preoccupato.

Stupido idiota di un inglese!

 

“Nemmeno io sono uno stupido William” disse tranquillamente Angel, con una tale serietà da costringere Spike a voltarsi.

 

“Ma restando qui entrambi peggioreremo soltanto la situazione…”

 

Riaprì lentamente gli occhi puntellandosi su un gomito, con il solo risultato di ripiombare poco elegantemente sul pavimento.

 

“Però così ti fai solo male…” lo rimproverò Spike arrivandogli a un passo ed afferrandolo saldamente per la vita

 “Stai fermo. Sei un vampiro, non una specie di super-eroe dei fumetti dannazione!”

 

Angel lasciò che le braccia del biondo lo sostenessero, appoggiandolo alla parete. Si sentiva stanco, stanco oltre ogni previsione. Ma non poteva concedersi il lusso di dormire, lo sapeva lui quanto lo sapeva Spike.

 

“Che cosa intendi fare?”

 

“Stanotte non abbiamo vinto, vero?”

 

Spike si girò di scatto verso il volto del vampiro, con gli occhi sgranati.

 

Angel sorrise “Ti ho già detto che non sono un idiota William.”

Gli occhi del vampiro brillavano di una insolita consapevolezza. Spike non poté fare a meno di ascoltarlo.

“So benissimo che cosa stai cercando di nascondermi. Tutto questo… il nostro attacco… non abbiamo risolto il problema…” sussurrò. Spike lo guardò un lungo istante, poi alzò le spalle con noncuranza

“Non potevamo pretendere di redimere il mondo da soli. Siamo vampiri con l’anima, non dei…” poi, dopo un attimo di silenzio,

“Cosa ricordi di stanotte?”

“Io… io non mi ricordo tutto” ammise dopo un po’, accorgendosi che Angel era restio ad iniziare la conversazione.

“Nemmeno io” rispose lui assorto “vediamo se insieme riusciamo a capire qualcosa di quello che ci è capitato?”

“Ok. Allora comincia tu, io ti ascolto…”

 

Angel sospirò, alzando gli occhi verso il soffitto. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non dover ricordare di nuovo. Ma era necessario. E peggio ancora, ne era consapevole.

 

“Non so molto…” cominciò “solo che avevamo un’orda di demoni inferociti davanti, un drago alato sopra la testa e un centinaio di zombie a coprirci la fuga alle spalle”

“Dimentichi i vampiri che hanno incominciato ad uscire da tutti gli angoli non appena si è scatenato l’inferno…” gli ricordò Spike

Angel sorrise “Già…”

 

“Le prime fasi della battaglia me le ricordo abbastanza bene.” disse il biondo risoluto “Abbiamo combattuto alla grande! Gunn era un vero diavolo con le pistole e Connor…”

 

“Connor?” chiese Angel, puntellandosi sui gomiti in un moto di speranza. Spike abbassò la testa, contrito

 

“Era ferito… mi dispiace… se avessi saputo come-”

 

“Non ti preoccupare” sospirò Angel stanco “è stato sempre un combattente… Odio dirlo, ma sapevamo tutti perfettamente i rischi a cui stavamo andando incontro, a cui siamo sempre andati incontro… e mio figlio è sempre stato un ragazzino coraggioso…”

 

“E Illyria?” lo interruppe Spike, fermandolo sull’orlo del baratro da cui stava per precipitare. Nessuno conosceva il rimorso di un’anima meglio di Angel. E i ricordi e i rimpianti potevano essere pericolosi, Spike lo sapeva meglio di chiunque altro.

 

Il vampiro tentò di rialzarsi, lasciandosi sfuggire una smorfia di dolore. Mancò poco che Spike non dovesse raccoglierlo con un cucchiaino.

“Attento! Maledizione, ti avevo detto di stare fermo dannato idiota!” lo rimproverò il vampiro, acchiappandolo al volo e salvandolo da un pericoloso impatto contro gli spuntoni della cassa di legno alle sue spalle. Non aveva perso tempo a fare pulizia, visto che quel magazzino fatiscente non sembrava fatto d’altro, quindi si tolse la giacca di pelle e l’adagiò contro la schiena del suo sire sospirando seccato. Il pacchetto di sigarette che di solito si teneva dentro una tasca dei pantaloni non voleva proprio saperne di uscire. E come se non bastasse, quando finalmente riuscì ad estrarlo e lo aprì, se lo ritrovò brillantemente vuoto davanti agli occhi.

 

“Stavamo parlando di Illyria…” riprese spiccio, prima che al suo sire venisse un’altra brillante idea e si ammazzasse. Sul serio questa volta.

 

“Sì…” ammise Angel sistemandosi meglio contro le casse. “era proprio accanto a me…”

Gli sembrava quasi impossibile che fosse davvero Spike a prendersi cura di lui. Lo stesso Spike che aveva per poco rischiato di ucciderlo solo qualche giorno prima e che, da quando era entrato nel suo ufficio, lo trattava sempre come se fosse stato lui l’ultimo arrivato. Il poeta senza speranza che Drusilla aveva salvato dalla vita. Il childe irriverente che non aveva mai smesso di sfotterlo. Il vampiro con un’anima che, con quel paio di iridi azzurre, sembrava smontare il mondo pezzo dopo pezzo per poi ricostruirlo una volta carpito il segreto che nascondeva. Quale potere si nascondeva in quel paio di occhi di un colore indefinibile. Quanta energia. Quanta sofferenza. Quanto dolore celato. Quanta umanità… Dru doveva averla notata per forza nel momento in cui il giovane William gli era passato di fianco, sfiorandola in lacrime, dimentico dei pericoli della nebbiosa, vecchia Londra. E di quelle creature che vagavano nella notte, scure e sinistre, di cui tante volte avevano parlato poeti e scrittori. E molto probabilmente era stato quello il motivo che l’aveva indotta a seguirlo e a farne il suo principe.

Dru era pazza. Ma aveva sempre avuto uno strano dono nascosto. Qualcosa nello sguardo. Qualcosa che la rendeva unica ed irripetibile. Qualcosa. Come Spike.

 

“L’ho vista combattere. Ne ha uccisi parecchi, non so altro” rispose Angel riprendendosi dai suoi pensieri. Costringendosi a ritornare alla realtà “Pensa che ha resistito addirittura più tempo di me, ma se tu non l’hai vista…”

 

“Beh, quando mi sono risvegliato eravamo rimasti solo tu ed io sul campo di battaglia. A parte l’innumerevole cumulo di massacrati appartenenti alle linee nemiche è ovvio. Ma a dire il vero non mi sono soffermato più di tanto a controllare. Potrebbe essere ancora là fuori… da qualche parte…Potrei anche andare a cercarla…”

 

Il vampiro scosse la testa convinto, rilassando le spalle. “No. Non credo che servirebbe a qualcosa...” sussurrò, “in ogni caso, se fosse sopravvissuta sarebbe già scappata lontano e sarebbe un problema serio imporle di tornare indietro. E comunque io non credo che ce l’abbia fatta. Verso la fine della battaglia lei mi ha detto che…” ma la voce gli si spense in gola ancor prima che le sue labbra pronunciassero la fine di quella frase. Spike attese con pazienza che Angel formulasse ad alta voce il pensiero che nascondeva nella mente. In silenzio. Ma il vampiro sembrava perso in un altro mondo. In un’altra dimensione.

Lo sguardo fisso in un punto immaginario davanti a sé. La mente bloccata su una sciocchezza che gli aveva raggelato il sangue.

Una stupidaggine. Una banalità.

Eppure una sciocchezza troppo grande per essere tale.

Una banalità irrilevante, forse… ma troppo importante perché Spike non l’avesse notata e gelosamente celata…

 

“Angel?”

 

“…che c’è?…” rispose il vampiro soprappensiero. “E’… tutto ok?” chiese “…sì…” rispose Angel assorto “sì…va tutto… bene… credo” ripeté. Quasi che ce ne fosse un imminente bisogno. Come per convincersene a sua volta. Per poi voltarsi e guardarlo distrattamente negli occhi, perso in chissà quali recessi della sua mente. In chissà quali pensieri che, già lo sapeva, l’avrebbero tenuto sveglio spesso durante le prossime notti. “Anzi, solo una cosa…” sussurrò infine, come rianimato dal suo stato di trans apparente. Spike alzò la testa per guardarlo meglio.

“Io non ti ho visto cadere…” disse.

Spike rimase in silenzio.

La mente di entrambi ritornò improvvisamente indietro nel tempo, a quei fatidici momenti.

La morte. Le grida. Il sangue. La sconfitta.

E, poi, inspiegabilmente, il risveglio…

Angel non se lo spiegava.

E Spike sembrava non essere da meno.

 

Il silenzio cadde tra di loro, più pesante di un macigno.

 

Spike rimase un attimo fermo a riflettere.

In effetti, Angel aveva ragione. Ricordava perfettamente di avere atteso. Di avere atteso la fine intrappolato in una massa di muscoli e sangue. Irrigidendo il corpo in attesa del colpo finale mentre intorno a lui infuriava la battaglia…

Ma non si ricordava nulla di quello che era successo dopo.

Era come se la sua mente si fosse fermata nel momento esatto in cui il paletto si era alzato contro di lui, saltando poi automaticamente a quando si era ritrovato disteso per terra.

Ed anche il colpo di pistola, ormai, non era più che un vago ricordo. Una cicatrice. Da aggiungere alle mille altre che sarebbero sparite in breve tempo. Annegando nel ricordo di due occhi verdi che lo guardavano sgomenti.

 

“Nemmeno io ho visto cadere te…” rispose infine. Deglutendo a fatica al ricordo di quei terribili istanti. Del suo sguardo vuoto. Di quei due occhi verdi. “Pensi… pensi che significhi qualcosa?” chiese.

 

“Non lo so…” rispose Angel serio “Ma qualsiasi cosa sia, ci ha salvato la vita…”

 

“Ok, allora manderemo un bel mazzo di rose rosse a chiunque abbia fatto tutto questo.” Rispose spiccio Spike regalandosi, per nulla tranquillo, uno di quei sorrisi beffardi che lo aiutavano a sdrammatizzare anche le situazioni più complicate.

“Adesso però è meglio che pensiamo a come sistemare le cose. Tutto questo disastro merita di-” “Spike!”

Il monosillabo che uscì dalle sue labbra tremò involontariamente mentre la sua mente si fissava su una domanda imminente. La stessa che stava per pronunciare ad alta voce Angel. La stessa a cui stava pensando dal momento in cui si era risvegliato in quel cumulo di carne abbrustolita. La stessa che gli stava provocando una dolorosa sensazione di nausea alla bocca dello stomaco da qualche ora ormai e che sembrava solo aumentare con il passare del tempo e la luce accecante del sole che non accennava a tramontare…

 

“Sì?” chiese, anche se sapeva già cosa gli avrebbe chiesto Angel. E, con una punta di orgoglio, stava cercando in fretta una risposta convincente. Ma, come se qualcuno avesse ascoltato le sue mute preghiere, la domanda che uscì dalla bocca del vampiro fu completamente diversa. Anche se non per questo fu meno allarmante.

 

“Chi impedirà a tutte le creature che non abbiamo ucciso di ripresentarsi a saldare il conto, adesso?”

Il biondo lo squadrò sogghignando. “Angel.. Angel..” disse, incrociando le braccia come un maestro che spiega ad un suo alunno qualcosa di estremamente banale “se solo fossi stato in giro per le strade nell’ultimo periodo… il mondo è pieno di cacciatrici ora. Le ha attivate Buffy durante la battaglia contro il Primo, sapranno esattamente come affrontarli.”

 

“Infatti non mi preoccupo per loro” riprese Angel per nulla convinto “Rifletti. Se lo scopo di tutti quei demoni era liberarsi la strada per poi poter conquistare il mondo senza che nulla potesse fermarli, allora non pensi che daranno poca importanza a tutte quelle bambine e si dirigeranno verso la fonte del vero potere?” chiese “Los Angeles, prima… e poi..” 

“Roma…” completò la frase Spike con un filo di voce, gli occhi sbarrati, la testa bassa “Roma… dove sta la cacciatrice, dove sta Down, dove stanno tutti coloro che più volte li hanno sconfitti confinandoli in quell’inferno dal quale solo adesso sono riusciti ad uscire… Angel dobbiamo fare qualcosa!” Spike sembrava seriamente preoccupato ed Angel avrebbe scommesso tutto, persino la sua anima, sul fatto che lo fosse davvero.

“Abbiamo ancora tempo…” disse quindi, dimenticando per un attimo il tarlo che lo stava divorando e decidendo di fidarsi di lui, almeno per un’ultima volta “Ma avremo bisogno di aiuto. Uno di noi deve andare a Roma per avvertire Buffy del pericolo, mentre l’altro-”

“Deve cercare informazioni su quest’orda di demoni che se ne va in giro a distruggere tutto quello che incontra.” concluse Spike. Poi, dopo un istante di silenzio, “Me ne occupo io.” disse

 

Angel richiuse gli occhi. Un sorriso ironico stampato sulle labbra tirate.

 

“Non avevo dubbi…” sussurrò

 

“Su cosa?” chiese Spike ritornando immediatamente sui suoi passi

 

“Sul fatto che ti saresti precipitato tu in Italia per avvertirla… so come sei fatto William…”

 

“Ah-ah… che spiritoso!” lo prese in giro Spike. Avvicinandosi per riprendere il suo spolverino, sfilandolo da sotto la schiena del suo sire con un movimento fluido e lento. Leggermente più lento del necessario. Quel tanto che gli bastava per scorgere, in una frazione di secondo, lo sguardo tumultuoso di Angel e capire che, se aveva sorvolato l’argomento, era solo perché aveva cose molto più urgenti che doveva fare. O a cui doveva pensare…

 

“Piuttosto dimmi, tu come ti senti?” chiese

 

Angel alzò le spalle con falsa noncuranza

 

“Oh, beh, a parte qualche livido, un paio di costole rotte, una spalla sfasciata e la terribile emorragia interna… direi che sto benone!” rispose.

 

Spike lo squadrò da capo a piedi per un lungo istante.

 

“Che c’è?”

 

“C’è che sembri un vecchio rottame.” esclamò, inclinando la testa di lato.

 

“Ehi!”

 

“Ce la fai almeno a tornare a casa da solo?” domandò infine, senza ascoltarlo.

 

Angel lo fissò sbalordito.

 

“Quale casa?” chiese.

 

“Beh, una qualunque delle tante che sono rimaste disabitate nei dintorni, è ovvio. Non credo proprio che i proprietari se ne avranno a male se la userai per qualche tempo come base operativa. Per non dire come rifugio segreto e riparo dai raggi del sole. Io intanto vedrò di procurarti del sangue, meglio se umano; e poi…” “Spike…”

“Mmm?”

“Non pensavo che avessi una tale predisposizione per farmi da balia!”

“Da quando conosci il sarcasmo Angel?” sbuffò il biondo, stringendo gli occhi in due fessure piccolissime per fargli capire quanto lo stesse odiando.

Angel spostò lo sguardo verso la porta della casupola.

Il sole stava calando ormai…

“Spike…” lo richiamò Angel indicandogli la porta con un cenno del capo. Il vampiro strinse involontariamente i pugni nelle tasche della giacca

“Io me la caverò. Corri da Buffy piuttosto. Se quegli affari sono ancora là fuori non tarderanno molto ad attaccare di nuovo…”

“Ma se quegli affari attaccano ancora e non avviene un altro miracolo… allora nemmeno Buffy riuscirà a fermarli…”

“Lo so… ma cosa proponi di fare?”

Spike si voltò nuovamente verso la porta, sistemandosi la maglietta strappata, e si diresse a passo spedito verso l’esterno.

“Vai tu da Buffy. Se dovessero esserci dei problemi, sarò da voi il prima possibile.

Io… andrò a cercare delle risposte.”

e uscì, senza lasciare ad Angel nemmeno il tempo per replicare.

 

 

******

 

Roma, Italia, 16 maggio

 

“Tutto bene?”

 

La cacciatrice si sedette sul letto della sorellina prendendo in mano una maglietta ed aiutandola a ripiegarla.

 

“Staremo via per molto tempo?” Buffy sorrise. Non c’era astio nella voce di Down. Per la prima volta da parecchi giorni le sembrava che sua sorella fosse in qualche modo tornata ad essere quella dei vecchi tempi, sensibile ed impaurita. Esattamente come lo era lei…

 

“Non lo so Down. Io… credo che non staremo via più di qualche giorno”

 

“E come fai a saperlo?” Down chinò la testa, seria. Buffy la guardò cercando di intuire a cosa stesse pensando. Le sembrava piccola e indifesa in quel momento. Una chiave. Una semplice ragazzina a cui il mondo era stato svelato troppo presto.

Afferrò con delicatezza una boccetta di vetro contenente un’essenza profumata e la spostò nella valigia. Rimase stupita dall’incredibile quantitativo di candele e profumi che Down si era portata dietro. Quasi quasi poteva fare concorrenza a Willow. Alla Willow dei bei vecchi tempi dell’università quantomeno. In un angolo, una stoffa ricamata in argento custodiva gelosamente alcuni libri che la sorellina evidentemente non voleva che andassero persi o rovinati durante il viaggio. Libri magici, riconobbe senza alcun dubbio Buffy non appena ne toccò la copertina e sentì sotto le sue dita i rilievi del cuoio conciato a mano con cui venivano ricoperti di solito tutti i volumi che avevano una certa importanza e che lei, grazie al lavoro che faceva, si era spesso ritrovata tra le mani in tutti quegli anni gomito a gomito con il signor Giles. Chissà se aveva ancora una libreria ben fornita come quella del liceo…

“Non credere che non apprezzi tutto quello che stai facendo per me Buffy” disse d’un tratto Down, sottraendola ai suoi pensieri. Abbassò la testa, fissando attentamente il bordino viola della camicetta bianca che aveva comprato con Janice. E allacciando meccanicamente ogni singolo bottone che si trovava sottomano. Sentiva lo sguardo di sua sorella bruciarle la fronte. Ma continuò lo stesso. Incurante di quello che sarebbe potuto accadere… “Io lo capisco Buffy. Il trasferimento, la nuova scuola, la lontananza da tutto ciò che ci possa ricordare la nostra vita precedente, la nostra nuova vita… So che lo fai per me. Per farmi dimenticare tutto quello che abbiamo sopportato fino all’anno scorso e ti comprendo, però…” “Però, cosa?” la incoraggiò Buffy, cercando di scorgere i suoi occhi azzurri. E rabbrividendo involontariamente quando Down sollevò su di lei due iridi scure e opache, prive di qualunque emozione. Il ticchettio dell’orologio segnava inesorabilmente i secondi di quel tempo che la cacciatrice non avrebbe mai voluto trascorrere. Una macchina frenò in lontananza. Un allarme impazzito si mise a suonare nel cuore della notte.

“Io non sono come te Buffy…. io non voglio dimenticare...” sussurrò infine la ragazzina, facendo una pausa alla fine e guardando negli occhi la sorella più grande che la osservava stupita.

 

“Down, io… io penso che una vita normale sia la cosa migliore per-”

 

“Lo so che lo hai fatto credendo di agire per il meglio, dico davvero Buffy… e solo che…” “Non finire la frase, ti prego…” “Tu sei ancora la cacciatrice, Buffy” finì lei, senza ascoltarla. Lasciandola senza parole.

“Puoi anche dirmi che non è vero, ma io la vedo. E brucia. E proprio come io sarò sempre la chiave, tu…” “Down, io…” cercò di calmarla Buffy. “Non sei fatta per avere una vita normale Buffy. Semplicemente non lo sei.” esclamò Down a denti stretti “E nemmeno io.” Buffy sgranò gli occhi e deglutì a fatica, mentre le parole che aveva detto sua sorella si facevano strada dolorosamente nella sua mente.

Ma dove aveva accumulato tutto quell’indignazione? Quella sicurezza. Quello… spirito di osservazione, si trovò ad ammettere suo malgrado.

Strinse le mani forte a pugno e si morse la lingua, decisa a non dire una sola sillaba. A non risponderle in nessun modo. Ma le parole erano scivolate fuori dalle sue labbra ancor prima che riuscisse a pensarle “E non ti viene in mente, solo per un attimo, che se l’ho fatto è perché non sarei in grado di ritornare alla mia vita di prima?!” esclamò. Down la guardò stupita. Buffy si morse le labbra, desiderosa di non aver mai aperto bocca. Ma ormai il danno era fatto. Il silenzio era calato tra di loro come una fitta coltre di nebbia. Buffy sospirò nervosamente e poi abbassò gli occhi verso il copriletto fiorato. Down non capiva! Essere una cacciatrice significava mettere in pericolo le persone che amava. Prendere delle decisioni che riguardavano la vita degli altri…vedere le persone a cui voleva bene che se ne andavano sapendo di esserne lei la causa. Sapere che il mondo stava per finire e sapere di essere l’unica in grado di salvarlo, ma anche che poteva non riuscirci sempre. Vivere nella costante incertezza di dover scegliere, da un momento all’altro, tra la sua vita, quella della persona che più amava e quella di centinaia di innocenti…

Down…

lei non aveva la minima idea di che cosa significasse per lei essere una cacciatrice… Eppure continuava imperterrita, dando voce anche a quello che Buffy non avrebbe nemmeno mai voluto ammettere con sé stessa.

 

“Abbiamo fatto tutti degli sbagli Buffy, ma non è scappando che possiamo riuscire a migliorare… Io… ho visto la paura sul tuo volto quando hai rimesso a posto quel telefono. Non so cosa il signor Giles ti abbia detto, ma qualunque cosa sia, anche se dovesse dirti di ritornare sui tuoi passi, allora fallo!”

“Down, tu non sai nemmeno di cosa stai parlando!”

“Lo so invece. So che avresti sempre voluto essere una persona normale. E so che hai cercato in tutti i modi di riuscirci. Ma forse non era la cosa migliore per te Buffy. Forse non era quello che tu volevi veramente…” 

“E tu cosa ne sai?”

“Credo di saperne più di te”

“Prepara la tua roba Down! Il volo per L.A. parte fra meno di un’ora.” esclamò Buffy, infilando la porta e sbattendola alle sue spalle per non sentire più la voce di sua sorella dirle tutte quelle…

verità…

Essere un persona normale… il sogno di sempre, l’utopia da raggiungere, a qualunque prezzo. Ma, in fondo, c’era ancora una persona su tutto il pianeta che potesse definirsi davvero ‘normale’?

Scese le scale di corsa, infilando la porta di casa e correndo nel prato sotto il sole cocente per scacciare tutti quei pensieri che non le davano tregua.

Nella sua stanza, Down abbassava tristemente il capo, ricordandosi di quante volte avesse sentito sua sorella mandare tutti a quel paese con la scusa di non essere parte della sua vita normale. Ricordava Spike, Willow, Giles… ricordava sé stessa…. ricordava Angel… quando ancora tutto era bello e Buffy permetteva all’amore di riempirle la mente, oltre che il cuore. E ricordava anche di come era stato semplice, per lei, scappare dalla sua casa alla ricerca di quello che non aveva. Dopo una breve litigata e un minuscolo biglietto con due righe per dire a tutti di non cercarla. Che era partita alla ricerca di una nuova vita…

Salvo poi ritornare indietro, una volta accortasi che la vita che così ardentemente cercava non era così indispensabile come quella, seppure imperfetta, che si era lasciata alle spalle.

 

“Ti ho visto combattere Buffy.  Anche se non lo vuoi ammettere, sei ancora La Cacciatrice.” sussurrò

 

 

******

 

Los Angeles, 16 maggio

 

“Ti ho detto che l’ho sentito con le mie orecchie!”

 

“Allora è la verità…”

 

“Puoi scommetterci! Anche la veggente lo dice: sarà una cosa in grande!”

 

Spike si sporse un po’ di più verso il tavolo rotondo del locale, mettendosi in ascolto. L’odore di alcool e di putrefazione riempivano in modo orribile e nauseante quel piccolo bar, l’aria densa per calore ed il fumo delle sigarette. In un angolo, gridando e sbraitando, un paio di demoni dalla pelle rugosa stavano giocando al Poker dei non-morti, puntando come d’abitudine un cestino di gattini malnutriti. Alla cassa, un barman incompetente serviva sangue e cibo di origini molto dubbie ai pochi clienti che dimostravano di avere in mano del denaro sonante. E, vicino alla rastrelliera delle stecche per il biliardo, una vampira molto simile ad un’acciuga vestita di nero cercava di abbindolare ogni umano disponibile nel tentativo di godersi, oltre ad un pasto gratis, anche un po’ di divertimento extra.  Spike scosse la testa infastidito.  Non gli piacevano per niente certi posti. Non più quantomeno. Era finita da tempo la fase dei giochi. Eppure, inspiegabilmente, aveva varcato la soglia di quel locale dichiarando di cercare qualcosa da bere e magari anche qualche simpatica compagnia per passare la serata. Per quale motivo, non lo sapeva nemmeno lui. Non era stato qualcosa di razionale. Lo aveva fatto e basta. Anche se era strano.

Chi si recava al “Setten” di solito lo faceva per sbronzarsi, o dimenticarsi qualche sgualdrinella da quattro soldi rifacendosi con qualcun’altra. E lui non voleva fare proprio nessuna delle due cose, non per il memento almeno. Ma quella notte, non sapeva bene perché, sentiva nel petto la strana sensazione che lì dentro avrebbe trovato pane per i suoi denti.

E difatti, non appena era entrato, aveva visto quella coppia di demoni sullo sfondo che borbottavano tra di loro. Troppo ubriachi, sicuramente, per ragionare. Ma abbastanza lucidi, evidentemente, per lasciarsi sfuggire delle cose interessanti tra i fiumi dell’alcol.

 

Beh, di qualsiasi cosa stessero discutendo, aveva tutta l’aria di avere a che fare con quello per cui era venuto fino a lì…

 

“Ti dico che avverrà presto” continuava intanto a ripetere un massiccio demone, somigliante più che altro ad una enorme tartaruga gigante, leccandosi le dita dal grasso di maiale del suo ultimo pasto.

“La veggente dice che sarà la nuova apocalisse. Nessuna bocca dell’inferno a suo parere ha mai ospitato qualcosa di tanto grande, nemmeno Sunnydale. C’è chi dice che l’intera razza umana scomparirà dalla faccia del pianeta in meno di tre minuti!”

 

“Allora è tutto pronto!” esultò un demone grigiastro alzando il boccale di birra verso i suoi compagni ubriachi “Fra poco meno di sette lune, diventeremo i padroni incontrastati dell’universo!”

La risata scrosciante e le urla di gioia dei demoni riempirono per alcuni minuti il locale, insinuandosi nella mente del vampiro, come un fuoco inestinguibile. Qualcosa da cui avrebbe sinceramente avuto voglia di fuggire. A qualsiasi costo. Attaccandosi ad un istinto vecchio quanto il mondo. Qualcosa di più antico della morte stessa. L’istinto di sopravvivenza… Ma rimase fermo, dove si trovava. Immobile. Socchiudendo semplicemente gli occhi. Accompagnando, nella memoria, le ultime parole che aveva sentito con quelle che aveva detto ad Angel prima di lasciare la baracca e partire deciso a setacciare tutto il pianeta in cerca delle risposte che gli servivano.

Improvvisamente non era più tanto sicuro di volerle sapere davvero quelle risposte…

 

“Per favore! Non funzionerà mai…” borbottò improvvisamente un vampiro lì vicino, spostando il suo bicchiere ancora colmo di sangue al lato del bancone.

Spike si voltò stupito nella sua direzione e lo stesso fecero i numerosi demoni presenti all’interno del locale. Lo sconosciuto deglutì.

“Cosa vorresti dire?” chiese minaccioso il demone-tartaruga, appoggiandosi torvamente sul tavolo.

Il vampiro arretrò un poco, impaurito. Sapeva benissimo che quei demoni non prediligevano la compagnia di quelli come lui e non ci teneva minimamente a scoprire quanto fosse lunga la pazienza del loro capo, soprattutto in un momento come quello…

 

“Le cacciatrici…” rispose il vampiro con un filo di voce “Stavo solo pensando che non sono mai state molto amichevoli e, anche quando ce n’era una sola… beh… noi vampiri abbiamo sempre avuto seri problemi a portare a termine i nostri piani… e ora che ce ne sono tante…”

 

Il demone si alzò ringhiando ed afferrò il giovane per il bavero della camicia.

 

“…Su questo hai ragione…” disse, dopo una lunga pausa in cui il mezzo demone ebbe tutto il tempo di pentirsi sia di quello che aveva detto sia di quello che non gli era nemmeno passato per la testa.

 

“Ma per loro sfortuna c’è già chi ha pensato anche a questo!” esclamò lasciandolo andare. Il vampiro si rialzò tossendo e lasciò il locale di corsa. La risatina del demone richiamò l’attenzione di Spike, puntata fino ad un attimo prima sulle spalle del vampiro in fuga.

 

“Stasera, dobbiamo festeggiare!” esultò intanto il demone, ridendo sguaiatamente “Tra poco meno di sette giorni… la gloriosa stirpe delle cacciatrici diventerà solo un lontano ricordo!”

 

******

 

“Fermati! Devo parlarti!”

 

Il vampiro si voltò. Sembrava ancora più pallido del solito alla debole luce dei lampioni al neon, ma forse era soltanto lo spavento.

Spike avanzò verso di lui con calma, misurando i passi.

Non era sicuro che non lo conoscesse. O che non avesse partecipato di persona al massacro della notte precedente… Bisognava stare all’erta…

Contro ogni previsione, però, il vampiro si voltò di nuovo di spalle e cominciò a correre più veloce che poteva, lungo la strada asfaltata.

Spike rimase un attimo interdetto. Poi, con un’imprecazione, si lanciò all’inseguimento del suo simile.

 

******

 

Los Angeles, 16 maggio

 

Angel uscì dalla baracca poco dopo che Spike se n’era andato, camminando lentamente.

Nelle sue orecchie, ancora le parole senza senso di Spike.

 

Cercare una nuova casa…

 

Certo! E magari anche mettere un cartello fuori dalla porta con sopra scritto: “Qui sede temporanea della Angel Investigation. Entrate pure se volete farmela pagare per… tutto quello che vi ho combinato negli ultimi cinque anni!’

L’idea di Spike di farsi vedere di nuovo in giro dopo tutto quello che era successo equivaleva almeno ad un tentato suicidio! Senza contare che non sapevano nemmeno contro chi esattamente si erano andati a scontrare…O contro cosa…

Tanto valeva gettarsi tra le fiamme sperando di uscirne vivi!

O non-morti, com’era effettivamente successo…

 

Angel sospirò.

 

Nella sua follia distruttiva aveva pensato fino all’ultimo secondo di scontrarsi contro i Senior Partners, ma era ovvio che aveva clamorosamente mancato il bersaglio, lasciando la propria vita in mano ad un vampiro irriverente che fino al giorno prima gli avrebbe volentieri piantato un paletto nel cuore, e che ora sembrava persino preoccupato per lui…

Spostò una lattina a terra con un piede e pensò a Buffy.

Quella ragazzina che per lui era più indispensabile del sangue. Che si era innamorata di un vampiro che non aveva voluto tornare da lei e di un altro che era morto nel tentativo di restare per sempre al suo fianco.

 

Spike.

 

Gliel’aveva affidata.

Affidata. Certo!

Vai da lei, vai da lei aveva detto!

Vai da lei e proteggila.

Avvertila della minaccia incombente.

Facile. Elementare. Immediato.

Certo.

 

Ma poi?

 

Spike non poteva di certo ignorare quanto fosse difficile per Angel ritornare nella sua vita senza appartenervi completamente. Guardarla senza vedere nei suoi occhi il ricordo dei giorni che erano. Combattere al suo fianco sapendosi null’altro che colleghi di lavoro.

Era un bel problema.

Un problema da cui Spike si era magistralmente sottratto.

Da vigliacco.

Da codardo dannazione!

Lasciando ad Angel la sua bella gatta da pelare!

O forse era solo lui che stava scappando da un contatto che faceva troppo male anche solo a pensarci…

Angel sospirò. Passandosi una mano tra i capelli scomposti.

Abbassando gli occhi. Involontariamente. Verso il pavimento.

 

Spike aveva da sempre avuto il dono innato di confonderlo.

Era arrivato da lui una mattina e non se n’era più andato.

Aveva sofferto e combattuto dalla sua parte, ma lo aveva sempre deriso e sbeffeggiato ad ogni occasione.

Lo aveva battuto più di una volta e lui si era sempre rialzato sogghignando, ribadendo che non sarebbe bastato così poco per atterrarlo.

Angel lo provocava, e Spike gli rispondeva. Angel gli diceva di andarsene, e Spike trovava all’improvviso un buon motivo per rimanere. Lui lo estraniava dalle sue decisioni, e l’altro si trovava inaspettatamente sulla sua strada, con un sorriso smagliante e le mani infilate nelle tasche per sbattergli in faccia la verità, anche se in teoria non avrebbe nemmeno dovuto sapere di cosa stava parlando.

 

Ma la maggior parte delle volte aveva ragione…

 

Ed era per questo che Angel lo detestava!

 

Ricordava benissimo il giorno in cui se l’era ritrovato davanti, alla W&H.

Ansimante. Spaventato. Tremava, si voltava frenetico in tutte le direzioni… Ad un certo punto, Angel avrebbe giurato che stesse persino per scappare.

E poi, invece, era bastato pronunciare ad alta voce il nome di Buffy per farlo ritornare il vampiro che era una volta. Preoccupato per la sua donna ancor prima che per sé stesso; egoista, in un certo qual modo, nel parlare di lei e di tutto quello che erano stati davanti allo sguardo possessivo di Angel; arrabbiatissimo, con tutti, per il fatto di non poter lasciare la periferia di Los Angeles a causa di chissà quale incantesimo fatto sul medaglione che Angel stesso aveva consegnato a Buffy il giorno della battaglia contro il Primo…

Arrabbiato e rabbioso, offeso e offensivo. Così se l’era ritrovato davanti.

Tuttavia…

Angel doveva ammettere che se Spike non si fosse allacciato al collo quell’amuleto stregato, le cose sarebbero andate diversamente ed il mondo, ma soprattutto Buffy, sarebbero morti al posto suo lasciando campo libero al Primo e alla sua schiera di eletti.

 

Spike era un eroe... si ritrovò ad ammettere Angel quasi con rimpianto.

 

Né più né meno di lui.

 

Il problema stava nel modo in cui aveva scelto di esserlo…

Troppo… impulsivo.

 

******

 

Los Angeles, California, aprile 2004

 

“Ma perché non vai ad annoiare qualcun altro con le tue assurde pretese si può sapere?!”

 

Angel stava scendendo le scale di corsa inseguito a ruota da un agguerritissimo Spike, deciso come non mai ad accompagnarlo nei suoi pattugliamenti notturni.

“Dimmi almeno perché non vuoi che cacci con te. Nessuno si è mai lamentato del mio modo di fare e sinceramente sono stufo marcio di subirmi le chiacchierate senza senso di Harmony o gli sguardi languidi fra Wesley e Fred. Sono un uomo d’azione io!”

 

“Non sei un uomo, sei un vampiro. E mi stai davvero facendo saltare i nervi!” lo rimproverò Angel mentre usciva sbattendo la porta dietro di sé.

Spike lo seguì senza fare una piega.

 

“Non capisco perché ti lamenti tanto” continuava intanto imperterrito “Io ti do una mano ad eliminare quelli come noi dalla faccia del pianeta, tu salvi più innocenti, il rimorso della tua anima si fa sentire di meno, i conti tornano no?” Il vampiro fece finta di non averlo sentito continuando ad avanzare nella notte.

 

“Di che cosa hai paura Angel?” lo stuzzicò Spike “Temi forse che qualcuno possa farsi del male se io ti seguo? Guarda che sono bravo quanto te a salvare il mondo dai cattivi e posso provartelo” e detto questo, il vampiro afferrò un tizio che passava per la strada affondandogli velocemente il paletto appuntito in fondo al torace. Il ragazzo si tramutò in cenere ancor prima che Spike mollasse la presa del giubbotto.

“Allora, hai visto? Non è così difficile per uno come me fare il tuo stesso mestiere…” esclamò.

 

Angel si voltò verso il biondo esasperato. Lo squadrò da capo a piedi. Quando infine parlò la sua voce era strana, come se stesse dicendo una cosa trattenendone mille altre sulla punta della lingua.

 

“Sai uccidere bene William. E allora?” sibilò “eri bravo anche prima di riprenderti la tua maledetta anima. Ma il Male non si ferma annientando solo i pedoni, è alla regina che bisogna puntare, con ogni mezzo necessario. Caduta lei, il re poi è cosa facile.”

 

Spike rimase per un momento in silenzio, fissandolo.

 

“Wow…” sospirò infine, passandosi teatralmente una mano tra i capelli biondi e alzando irriverentemente un sopracciglio “Sai, visti così gli scacchi sembrano persino un gioco interessante. Il problema è che difficilmente un pedone può sperare di mangiare una regina…”

 

“Lo so.”

 

“E allora che si fa? Ci si nasconde dentro di lei come nel cavallo di troia sperando che non ci digerisca prima di arrivare a destinazione?”

 

“Esattamente”

 

Il biondo annuì serio, aggrottando le sopracciglia come se stesse riflettendo intensamente sulla questione. Angel si voltò soddisfatto. Cominciò a camminare con passo sicuro verso il prossimo vicolo. Adesso voleva proprio vedere se Spike avrebbe ancora osato dirgli qualcosa riguardo al suo piano…

 

“Ah, Angel!” lo richiamò naturalmente lui, con una risatina di scherno sul volto.

 

“Nel tuo bel ragionamento, ti sei beatamente scordato degli altri pezzi della scacchiera

E del fatto che ormai ti hanno circondato!”

 

CAPITOLO 5

 

                                                             

 

 

******

Uffici della W&H, 2 maggio 2004

 

Uno. Due. Tre. Quattro.

 

I libri cadevano cadenzati sul pavimento impolverato, sollevando ritmicamente piccole e dense

nuvolette di polvere. Quasi si trattasse di una strana coreografia.

Uno di quegli effetti speciali per i film, studiati e progettati sapientemente ad un tavolino.

 

L’osservatore alzò la mano destra afferrando l’ennesimo volume. E lo gettò per terra senza curarlo nemmeno di uno sguardo. Insieme a tutti gli altri.

 

Le pagine, leggermente spiegazzate, si strapparono violentemente a contatto con il pavimento.

 

La porta si aprì di scatto.

 

“Ma si può sapere cosa stai facendo?” esclamò Harmony entrando nello studio e tossendo leggermente alla vista di tutta quella polvere

“Caspita…Wes… non ti sembra di essere un tantino in ritardo per intossicarci tutti con le tue pulizie di primavera? Anche Giles faceva una cosa del genere ai tempi del liceo. Ma almeno aveva il buon senso di avvisarci quando lo faceva!”

 

“Esci da questa stanza Harmony!” borbottò per nulla impressionato Wesley, buttando un altro libro sulla scrivania. E mancando per un soffio il prezioso fermacarte di porcellana che la vampira aveva posato sul legno scurissimo nel tentativo di dare un tocco femminile ad una stanza a suo parere troppo… ‘da osservatore’.

 

“Ehi! Dannazione, sta attento!” urlò Harmony inviperita, andando a recuperare il gigantesco unicorno smaltato di bianco e portandosi poi, altrettanto velocemente, fuori dalla portata dei libri di Wes. “Ma lo sai che potevi anche distruggerlo?” continuava nel frattempo “non dico che ti debba per forza stare a cuore, ma almeno potresti mostrarti un tantino interessato! E poi cosa diavolo stai facendo?! Sono ore che te ne stai rinchiuso qui dentro!”

 

Wesley si voltò e sospirò. Poi cominciò ad occuparsi nuovamente del suo pienissimo scaffale. 

 

“Ehi! Dico! Ma hai sentito almeno quello che ti ho detto?” sbraitò Harmony

 

Per tutta risposta l’ex-osservatore infilò la testa nel ripiano più in basso, ormai mezzo vuoto, e ne estrasse uno strano oggetto luccicante.

 

“Ti rendi conto della catastrofe che ho appena evitato?!” strillò nuovamente la bionda, con una vocetta che tendeva all’isterico.

 

“Non ci dormo la notte sperando che quel ‘bellisimo’ unicorno rimanga intatto sopra la mia scrivania Harm…” borbottò l’osservatore, giusto per farla stare zitta.

Harmony sorrise compiaciuta.

“Ah… meno male… Sapevo che ti era rimasto un poco di buon gusto sotto tutta quella scorza di polver-   Oh!”

esclamò offesa. Girandosi stizzita quando lo sguardo ironico di Wes si posò sul suo unicorno, frantumandolo con gli occhi. E facendole capire per fortuna il significato intrinseco di quella frase evidentemente tanto difficile…

 

Harmony uscì sbattendo la porta e Wesley scese dalla sedia raggiungendo la scrivania.

 

Un unico libro, sopravvissuto ai metodi bruschi dell’osservatore, si trovava ancora aperto lì sopra.

 

L’uomo incominciò attentamente a sfogliarlo, sempre con il suo bell’oggetto luccicante stretto tra le mani. E sorrise divertito.

Sembrava quasi un cristallo. Un aggregato di cristalli per meglio dire. E alle due estremità, nascosti sotto i riflessi dorati ed incandescenti delle punte trasparenti, si trovavano due minuscoli forellini. Larghi appena perché un filo, di quelli che si usano per legare insieme le perle più preziose, potesse passarci attraverso.

 

Wesley lo guardò soddisfatto.

 

Con un gesto secco e brusco richiuse il manoscritto e si diresse con lunghe falcate verso la porta.

 

 

Non abbastanza lunghe, per fortuna.

 

 

Non abbastanza veloci, quantomeno, per non riuscire ad evitare, giusto per un soffio, la sventola della porta di legno che si apriva rabbiosamente davanti ai suoi occhi, ad un centimetro e mezzo dal suo naso, rischiando di investirlo in pieno e sbattendo violentemente contro la parete. Mostrando tra i due stipiti che la delimitavano un profilo. Una sagoma che, con la violenza e la velocità di un fulmine, si era infilata nel suo studio seguita appresso da un’altra. Richiudendo con un tonfo la porta alle sue spalle.

 

“Lorne!” esclamò Wesley non appena il demone verdastro si lasciò cadere sulla sua poltrona. Sollevando poco educatamente i sette o otto papiri egizi che aveva appoggiato con garbo prima di cominciare la guerra con il quindicesimo scaffale. E gettandoli molto sgarbatamente nel cestino della spazzatura.

 

“Lorne!!!” ripeté

“Ma ti sembra il modo! Non si entra in questo modo negli uffici della gente! E’… è per caso successo qualcosa?” chiese spaventato, notando come Spike, nell’entrare e sedersi non invitato alla sua scrivania, avesse incominciato a frugare meticolosamente alla ricerca di chissà cosa. Ed avesse assunto, nel farlo, un’aria pericolosamente simile a quella di Angel.

Il libro aperto davanti a sé. La pagina fermata saldamente con un tagliacarte di plastica colorata. La fronte corrugata. E le dita delle mani congiunte come in preghiera a pochi centimetri dalla bocca nella stessa identica espressione che aveva il suo capo quando pensava.

Una cosa incredibilmente preoccupante!

 

“Ok” disse scocciato quando si rese conto che i due demoni non  avrebbero aperto bocca da soli nemmeno se fosse finito il mondo sotto ai loro piedi in quel preciso istante.

 

“Si può sapere cosa diavolo volete da me?”

 

“Canta.” fu la scarna riposta di Lorne, non appena Wesley ebbe voltato il capo e scrutato abbastanza a lungo la ruga sulla sua fronte corrucciata.

 

“Canta.” Ripeté.

 

L’osservatore, che non sapeva più cosa diavolo aspettarsi dopo un ingresso di quel genere, intonò a denti stretti una melodia che aveva sentito qualche giorno prima alla radio. Giusto per fare contento Lorne. Sicuro come non mai che non avrebbe azzeccato due note in fila nemmeno se l’avessero pagato per farlo, o quantomeno per provarci.

Ma questo non aveva importanza.

Lorne leggeva le anime delle persone che sentiva cantare. Erano loro a dovere essere intonate. Non i loro padroni.

Per fortuna…

 

Il demone chiuse gli occhi orripilato e con un gesto della mano gli fece cenno di smetterla.

 

Qualsiasi cosa avesse fatto impazzire Angel, non aveva senza alcun dubbio colpito anche Wesley. E senza il più piccolo margine di errore, non era stata assolutamente opera sua.

 

“Va bene, va bene. Puoi piantarla adesso!”  esclamò quindi, quando le corde vocali di Wes toccarono un picco altissimo e sgraziato per poi rituffarsi poco elegantemente nelle nere profondità di un’oscura cantina. 

 

“Ehi! Wes! Sto parlando con te!”

“Ti prego Lorne, fallo smettere!” urlò Spike

“Wes, va bene. Abbiamo capito! Sei più a posto tu di tutti noi messi in fila. Adesso finiscila!”

“Sì, per favore!” ribadì Spike, tappandosi ancora più forte le orecchie “noi vampiri abbiamo un udito piuttosto sviluppato, purtroppo!”

 

Con un ultimo accordo sgraziato Wesley finì la sua esibizione e si appoggiò con la schiena contro il cassettone vicino alla porta, fissandoli entrambi in attesa di una qualche riposta.

 

“Oh, dio ti ringrazio!” borbottò Spike togliendosi le mani dalla testa mentre Lorne appoggiava con sollievo la guancia contro il cuscino del divano e formulava, senza dichiararlo, lo stesso pensiero del vampiro ossigenato.

 

“Beh, penso che a questo punto voi possiate spiegarmi con calma il motivo della vostra poco educata… irruzione!” commentò l’osservatore, sfilandosi gli occhiali dal taschino della camicia e guardandoli attentamente contro la luce opaca della finestra.

 

Lorne sospirò e guardò Spike.

 

“Non pensare nemmeno che sia io a parlargliene!” esclamò dopo un po’, allargando le braccia quasi offeso. Strabuzzando gli occhi rossi in direzione del platinato

“Si dà il caso che io sia ancora un amico di Angel!”

 

Spike sorrise di sbieco e Wesley inforcò immediatamente gli occhiali, facendosi improvvisamente molto più attento.

“Si sta parlando di Angel?” chiese preoccupato. “E’ il caso che tu ti sieda…” mormorò Lorne indicandogli con un dito lo sgabello sgangherato che si reggeva a malapena in piedi nell’angolo destro della sala. Wes sorrise sarcasticamente.

 

“No, grazie. Penso che resterò in piedi dove sono. Ma per favore, adesso potreste…”

 

“Calmati piccolo osservatore…” lo bloccò Spike prima che Wesley potesse anche solo iniziare a parlare. “Angel sta benone. Almeno per il momento. Non ti devi preoccupare.”

 

“Meno male…” sospirò l’uomo.

 

Il vampiro sollevò lo sguardo verso il soffitto e poi si raddrizzò elegantemente sulla poltrona, appoggiando i gomiti sopra il ripiano.

All’improvviso, provò una fitta di rabbia al pensiero dell’effetto che faceva la sorte di Angel su tutti loro. Ma chi si credeva di essere?! In fondo, lui era stato sul punto di finire all’altro mondo per diverse volte durante quel seppur breve soggiorno, e mai nessuno si era offerto di aiutarlo! Solo Fred. Gli altri lo avrebbero volentieri spedito tra le fiamme dell’inferno piuttosto che vederselo semplicemente gironzolare tra i piedi. Mentre Angel invece… quando qualcosa non andava, tutti lo aiutavano, tutti lo proteggevano, tutti lo volevano come amico. Eppure era stato tra i più grandi assassini della storia! A pensarci bene, l’unica cosa che lo rendeva diverso dagli altri era quel suo dannato ‘diritto di esclusiva’.

Un diritto che non aveva più da quasi un anno ormai. Ma che nessuno, per sua disgrazia, sembrava essersi dimenticato.

Questo pensiero lo faceva imbestialire!

 

“La faccenda è presto chiarita: al tuo capoufficio si è fermato l’unico neurone che ancora roteava a vuoto nel suo cervello. Sta facendo una cazzata dietro l’altra! Lorne, spiegaglielo tu.”

 

Il demone verdastro lo guardò con odio a stento trattenuto e poi si rivolse alla faccia preoccupata di Wesley, sputando alcune brevi parole di spiegazione.

 

Spike intanto si era riappoggiato allo schienale della poltrona pensieroso.

 

Non aveva ancora le idee chiare su cosa fare. E Lorne gli aveva ingarbugliato in testa le poche che ancora gli rimanevano con i suoi bei discorsi sulla ‘cosa giusta’, il marketing e tutto il resto! E poi Spike non era il tipo a cui piaceva pensare. Per questo c’erano i cervelloni come Giles o come Wesley, no? Che diamine, era un vampiro d’azione lui!

Il problema è che purtroppo sapeva anche pensare…

E non poteva fare finta di non accorgersi di quello che stava accadendo e delle conseguenze che questo avrebbe provocato.

 

Nella stanza, un debole aroma di muschio bianco si univa al piacevole fruscio delle foglie mosse dal vento.

Chiuse gli occhi ed aspirò a fondo.

Fred doveva essere stata lì da poco, evidentemente… Oh certo, non la vera Fred s’intende! Wesley doveva avere ceduto alle lusinghe di Illirya chiedendole di trasformarsi per un attimo nella donna che amava. Facendosi del male da solo.

Ma anche così, il suo profumo riscaldava quell’ambiente freddo ed inospitale. Un atto di puro masochismo.

Ed in fondo, pensò Spike, sotto sotto erano un po’ tutti masochisti all’interno di quello stupido posto. Quella filiale di avvocati che si ergeva come una roccaforte sopra l’Inferno di L.A. Un inferno che si presentava giorno dopo giorno con un conto sempre più salato da pagare…

Persone. Innocenti. Amici.

Chi di loro non aveva mai voluto ritornare indietro nel tempo, anche solo per un istante? Chi non si era mai pentito più di una volta, delle scelte che aveva fatto? Chi non aveva mai desiderato, con tutto sé stesso, di essere arrivato solo un minuto prima in una dannatissima stanza? Chi non aveva mai voluto illudersi, per un’ultima volta, che tutto quello che gli restava davanti non era altro che un terribile, dannatissimo incubo…

Se ripensava a sé stesso, Spike doveva ammettere di avere perso il conto già da tempo…

Ma la voce di Lorne aveva già finito da qualche minuto di spiegare, in breve, quello che lui e Gunn avevano scoperto. Collaborando per la prima volta da quando si conoscevano. Ed il silenzio che era calato nella stanza era rotto soltanto dal debole scricchiolio delle imposte delle finestre che sbatacchiavano per il forte vento.

 

La pioggia cadeva violenta e incessante.

 

E Wesley rifletteva con lo sguardo basso, contando le piastrelle del pavimento.

 

Probabilmente non credeva ad una sola parola di quello che aveva appena sentito.

 

Per tutta la durata della conversazione si era limitato ad ascoltare, senza neppure un minimo cenno di una qualunque emozione. Puntando gli occhi chiari in quelli di Lorne e fissando anche Spike, di tanto in tanto. Spike perso nei suoi pensieri. Spike che rifletteva. Spike… così simile ad Angel… eppure così estremamente diverso. Non sembrava particolarmente turbato. Era preoccupato, certo. Ma non era per niente sconvolto da quello che aveva appena scoperto. Era quasi come se in un certo senso se  lo aspettasse. Che lo attendesse, addirittura.

 E Lorne non la smetteva un singolo istante di puntare su di lui due occhi simili a due saette rosse, ordinandogli di continuare. Ma Wesley non sollevava la testa. E Spike era troppo saggio, o troppo scaltro, per interrompere uno studioso che pensava.

 

“Allora. Cosa ne dici?” chiese dopo un po’ di tempo Lorne, che non era incline ai lunghi e rimuginosi silenzi.

 

“Sei dalla nostra parte?”

 

“E da che parte potrei stare?” sussurrò Wesley, alzando a mala pena le spalle. Non sembrava convinto. Era come se non ci credesse davvero…

 

Lorne appoggiò i piedi ancora calzati sul divano. E Spike si protese in avanti, sicuro che qualcuno gli avrebbe tirato una scarpa da un momento all’altro.

 

“Tieni…” sopirò in direzione dell’ex-osservatore. L’uomo lo guardò aggrottando la fronte.

 

“Avanti, prendilo!”

 

Ecco, ora era più che certo che la scarpa di Lorne lo avrebbe colpito in pieno proprio sulla nuca.

A dire il vero non poteva dire che non se lo sarebbe meritato. Ma non accadde niente.

 

Wesley si protese per afferrare il foglio e l’unica cosa che ottenne Spike fu un’occhiataccia ed un sospiro annoiato.

Quasi quasi avrebbe preferito la scarpata…

 

“Porta la firma di Angel” notò Wesley, scendendo con gli occhi fino in fondo alla pagina. “è… di un negozio di magia…?” Spike annuì seriamente e l’uomo cominciò a leggerlo ad alta voce. Lorne chiuse gli occhi. E si sforzò di non alzarsi in piedi e mollare un cazzotto a quel vampiro testardo. Dopo aver strappato il foglio dalle mani di Wes, s’intende!

Ma doveva ammettere che Spike in un certo senso aveva ragione.

In fondo se volevano coinvolgere anche Wesley dovevano in un modo o nell’altro dirgli tutto. Anche se questo non era esattamente quello che Lorne riteneva la cosa migliore da fare. Anche se questo non era per niente quello che Lorne riteneva la cosa migliore da fare!

 

Ars Obscura – negozio di arti magiche –

317 \ 13 Crossex street. Los Angeles.

Proprietario: Adam Senior & sons

 

In oggetto della vendita/acquisto di n°1 pendente di Giava

Da parte del signor/ra Angel

Con la presente si declina il negozio ed i suoi proprietari dalla responsabilità dell’utilizzo dell’oggetto qui sopra riportato. L’articolo, nonostante la sua potenziale pericolosità, è ritenuto inoffensivo nelle mani dell’acquirente. Il pendente di Giava è quindi ora esclusiva proprietà del signor Angel

Si ringrazia il cliente per il gentile acquisto e gli si augura una lunga e felice vita.

In fede

Adam senior”          

 

Wesley girò il foglio.

Poi lo ripiegò.

Ed infine lo appoggiò sulla sua scrivania guardando interrogativamente sia Lorne che Spike.

 

“Ovviamente la frase finale è una cosa che mettono su tutte le certificazioni. Non ha niente a che fare con lo stato attuale del nostro bel tenebroso” cercò di sdrammatizzare Lorne.

Wesley tuttavia non sembrava per nulla preoccupato. In risposta all’affermazione del demone l’osservatore alzò un secondo la testa e poi la riabbassò senza emettere un fiato verso il documento.

“Se è per questo, non hanno nemmeno cancellato il ‘ra’ di signora” fece notare Spike “ma non è questo che conta…”

“Un pendente di Giava?” commentò infine Wesley “Un pezzo raro. Da vero collezionista. Probabilmente si è stancato di vivere in una camera dove gli unici soprammobili sono gli unicorni smaltati di quella svitata di Harmony…”

 

Il demone verde spalancò la bocca sorpreso e Spike si portò le mani vicino alla bocca, mugugnando silenziosamente.

 

“Nessuno ti ha mai detto che cosa fa un pendente di Giava, Wesley?!” esclamò Spike. Sicuro come non mai di una sua risposta affermativa. Non poteva di certo vederlo, ma era completamente sicuro che Lorne adesso si stesse sul serio slacciando la scarpa…

“Ma certo che lo so!” rispose infatti Wesley punto sul vivo. “Anni e anni al servizio del Consiglio e di Quentin Travers non si scordano così facilmente! Il pendente di Giava, a dispetto del nome, è un’arma potentissima e nello stesso tempo una delle più bizzarre leggende presenti sulla faccia del pianeta. La sezione di ricerca dei manufatti magici del Consiglio se n’è occupata per decenni. Travers stesso sembrava avere una sorta di strana venerazione per questo straordinario oggetto mitologico. Ha smosso mari e monti per trovare qualcuno che ne decodificasse il funzionamento ed alla fine lo trovò. Ma la parola finale della formula, scritta in una lingua indecifrabile, non aveva comunque alcun significato. Per questo non mi preoccuperei più di tanto. Anche se Angel avesse effettivamente questo oggetto, cosa di cui sinceramente dubito, non potrebbe farci niente, è decisamente più probabile che ne abbia trovato una buona imitazione e che abbia deciso di acquistarla per lo scopo di cui vi parlavo prima. Harmony a volte sa essere veramente seccante, sapete…

Parlando invece di cose più importanti. Vi ricordate per caso dove Gunn abbia nascosto il Triduo di ghiaccio: quel bastoncino di legno che sprigionava scintille rossicce e che potrebbe attivare il globulo di Tones che sta nel mio armad- ” “Vuoi smetterla di giocare Wes!” gridò Spike. Stritolando per poco i braccioli della poltrona su cui stava seduto. E sentendo il respiro annoiato di Lorne diventare improvvisamente molto più agitato. “Solo perché il tuo caro capo-osservatore non ha mai trovato la parola che gli serviva, non significa per niente che questa non esista! Io stesso la conosco. E anche Angel. Ed il fatto che Mr. depressione si sia alleato con le forze ed i clan che a rigor di logica dovrebbe combattere non è per niente un punto in suo favore!”

 

L’osservatore lo guardò sconcertato.

 

“… Spike ha ragione Wes…” sospirò alla fine Lorne. Mandando a quel paese la speranza che quella delicata informazione non raggiungesse mai le labbra del vampiro.

“Angel ha in mano un’arma potentissima e per nostra disgrazia sa anche come usarla. E purtroppo, se decidesse di agire, noi non avremmo alcun modo per fermarlo. Con il pendente di Giava può farci credere qualunque cosa. Per questo motivo ti ho chiesto di rintracciare… quella strana sfera luminosa.” “La Prigione di Danzalthar?” sussurrò Wesley rigirandosi tra le mani il prezioso manufatto luminescente. Lorne annuì seriamente.

“Se la situazione dovesse precipitare - e temo che non siamo poi tanto lontani da questa tragica eventualità – l’ultima possibilità che ci resta è quella di imprigionare per sempre Angel in quella sfera magica. Lui. E tutto quello che quel pendente ha provocato… Non sarà uno spasso, ma possiamo riuscirci. Gunn e Spike sono già d’accordo. Manca solo il tuo parere…”

 

“Io ho intenzione di parlare con Angel”

 

Wesley lo guadò con rispetto, quasi con ammirazione. Lorne sbuffò seccato.

 

“Ne abiamo già parlato Spike. Non ha senso. Cosa vuoi che ti dica? ‘Scusa tanto. Ho intenzione di trucidarvi tutti ma adesso che me l’hai fatto notare ho scoperto che è una cosa tanto tanto cattiva’?! Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo agire completamente a sua insaputa!”

“Su questo punto concordo con Lorne.”

“Ma come? Pensavo che fossi contento di concedere Mr. Depressione almeno un’ultima chance!” esclamò il vampiro seccato

“Sì. Ma questo prima che mi ricordaste quanto può essere assurda questa tua convinzione. E che scarse probabilità abbiamo con un intervento del genere”

“E va bene.” sospirò Spike alzandosi in piedi e spalancando le braccia.

“Dove vai?”

“Fuori da questa stanza.”

“Fermati immediatamente!”

“E per quale assurdo motivo dovrei farlo?”

“Perché te lo diciamo noi!”

“E sarebbe un buon motivo?” chiese Spike, ritornando per un attimo indietro “Io non sono dotato di anima da molto tempo ma evidentemente la utilizzo meglio di tutti voi.” disse “Vi dichiarate tutti amici dei vostri paladini e poi non volete nemmeno tentare ascoltarli prima di pugnalarli per un’ultima volta. Io non sono un amico di Angel. Ma ho già assistito ad una scena del genere e quando prendo le mie decisioni, io, voglio essere sicuro di averle prese con la mia testa e non con la filosofia o con l’analisi delle probabilità!”

“E così pensi di andare da lui?”

“Voi che ne dite?”

“E se avesse già attivato il pendente?”

 

La domanda di Lorne calò come una scure sulle intenzioni combattute di Wesley.

Spike si infilò le mani nelle tasche e si accese una sigaretta con tutta la calma di cui era capace. L’osservatore guardò con noncuranza la cenere rossa della brace cadere lentamente fino a bruciacchiare i fili del prezioso tappeto che aveva trovato nel suo ufficio fin da quando era arrivato. Un arazzo del XV secolo. Una reliquia sfuggita agli artigli del tempo, solo per essere sfruttata come il più originale dei posacenere. Due occhi color delle fiamme bruciavano la schiena del vampiro aspettando una sua reazione. E un altro paio di occhi colore della del mare in tempesta lo trapassavano da parte a parte, ancora incerti se fidarsi o meno delle sue azioni.

 

******

 

 

Los Angeles, 16 maggio 2004

 

“Io non so niente, non so niente, non so niente, puoi credermi, non so niente!”

Spike scrollò le spalle del vampiro che teneva attaccato al muro, esasperato.

“Vuoi smetterla di dirmi che non sai niente e cominciare a calmarti invece?”

Il vampiro tremava come una foglia.

“Allora…” sospirò Spike al limite della sopportazione “Cominciamo dalle domande facili: come ti chiami?”

“M- Mark…” balbettò il vampiro.

Spike sospirò.

“Ecco, vedi che se stai calmo a qualcosa servi? Adesso, Mark, rilassati… e ripetimi con calma quello che stavano dicendo al tavolo della locanda!”

“I-io, io… io ti conosco!” esclamò il vampiro d’un tratto “t-tu… tu sei quello che lavorava insieme alla cacciatrice. Con Angel. Alla Wolfram & Hart!”

“Senti, se mi ripeti quello che stavano dicendo quei demoni al bancone della taverna non ti succederà nulla!” azzardò Spike, decidendo di sfruttare la situazione come meglio poteva. In fondo Mark adesso era da solo. E non si vedeva in giro traccia dei suoi compagni. Se si fosse reso conto di non avere altra via d’uscita avrebbe sempre potuto eliminarlo in fretta per poi andarsene di corsa una volta carpite le informazioni necessarie...

 

“Certamente, mi credi tanto idiota?!” esclamò invece Mark, spingendo con una mano sul petto del vampiro

 

“Cosa credi che mi spingerà a dirti che le informazioni che cerchi le puoi trovare soltanto in Francia, da una ragazzina di nome Marta, orfana di entrambi i genitori da più di quindici anni?”

 

Spike lo lasciò andare stupito.

 

Fissò il vampiro negli occhi, sorpreso come non mai da quella fuga di notizie così spontanea da chi, soltanto un attimo prima, si era rivelato tanto restio a fornire anche solo il suo nome e ficcò le mani nella cintura dei jeans.

Mark si sistemò meglio la giacca, sorridendo. Poi si allontanò con tutta calma verso il fondo del vicolo. Voltandogli le spalle.

 

“Se fossi in te lascerei perdere L.A., il Nord, e andrei di filato verso il confine con l’Italia. In una località chiamata Nyons…” suggerì di nuovo il vampiro, cominciando ad allontanarsi “Là troverai una locanda. Chiedi un po’ in giro. Può darsi che la ragazzina utilizzi ancora qualche pseudonimo e, fammi un piacere…” esclamò voltandosi, prima di riprendere a camminare lentamente “se ti dovesse capitare di rivedere Angel, digli che il debito che avevo con lui è saldato. E che è stato un vero piacere lavorare per la W&H!”

 

 

Spike lo guardò stupito allontanarsi tra la gente.

 

Mark…

 

Angel che teneva alle sue dipendenze dei vampiri…

 

un favore da ricambiare…

 

Era semplicemente pazzesco!

 

Ma in fondo cosa poteva aspettarsi da un vampiro che viveva con una licantropa, in uno studio con i vetri anti-sole, dormendo di notte e bevendo sangue aromatizzato mentre esaminava pratiche alla sua scrivania come il più noioso dei burocrati?

 

Scosse la testa sorridendo.

 

Almeno, adesso, aveva una pista da seguire…

 

 

******

 

1996,  Londra

 

“Abbiamo una pista da seguire!” Il sevo ridacchiò soddisfatto agitando le catene che teneva strette in una mano. Alla sua sinistra, un piccolo uomo basso e tarchiato si guardava intorno respirando affannosamente.

“Portatelo da lui!” ordinò il demone. E subito il vampiro diede un forte strattone alle catene del prigioniero, indicandogli la via da seguire.

Vincent lo guardò avvicinarsi, tremante.

Come un automa, si abbassò di fronte a lui, cercando il suo sguardo. L’uomo si sentì improvvisamente attratto da quegli occhi, di un viola così intenso, quasi magnetico…

 

Il tutto non durò che pochi istanti.

 

Un brevissimo cenno di assenso da parte di Vincent. La risata sgangherata del demone. Il rumore del corpo dell’uomo che veniva gettato lontano. Il collo piegato in una strana angolazione innaturale… tutto faceva parte di un procedimento che durava da troppo, troppo tempo. 

Il ragazzo rialzò gli occhi sul volto del suo padrone. Rassegnato.

 

“L’hanno portata a Sunnydale” rivelò con tono neutro, rimanendo impassibile.

Alle sue spalle, il demone seduto sopra un massiccio trono d’argento si lasciò andare ad un’inquietante risata.

 

“Perfetto” disse

 

“Hai fatto un ottimo lavoro. Partiamo nel pomeriggio.”

 

 

CAPITOLO 6

 

 

 

Los Angeles, 2 maggio 2004.

 

Pioggia.

Ancora.

Violenta e incessante sui balconi della W&H

Quasi una sorta di monito.

Angel appoggiava i piedi scalzi sul pavimento e camminava lentamente verso la finestra. La schiena nuda, costantemente rivolta verso la porta, si stagliava chiara e solida contro i lampi del temporale, come un muro, una barriera invalicabile tra lui ed il mondo, tra i suoi pensieri e quelli della massa. E Wesley Whydam Price, ex-osservatore, ex membro del consiglio e probabilmente ex amico del vampiro con l’anima, seminascosto nella penombra del caminetto, preoccupato come non mai per la sorte del suo eroe silenzioso si chiedeva da ore, inutilmente, come far fuoriuscire una singola parola dalla bocca di quel vampiro tanto assorto.

Nascosto là, dietro la porta, in attesa che dalla camera di Angel fuoriuscisse un miracolo, Wesley teneva in mano la sfera luminosa che avrebbe potuto imprigionarlo per l’eternità.

…la prigione di Danzalthar…

Fred avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di evitarlo… Eppure lui lo teneva in mano. Un oggetto luminoso e bellissimo, qualcuno aveva persino ipotizzato che fosse la dimora costruita per una fata, ma per un vampiro costituiva la peggiore delle condanne. E guardando Angel, fermo e apparentemente inerme di fronte alla finestra, si chiese per l’ennesima volta se avrebbe avuto il coraggio di usarla…

 

Immobile.

 

Angel sostava da ore davanti al chiarore dei lampi, ormai. Wesley guardò l’orologio. Aveva imparato a memoria ogni singolo particolare della sua camera, ogni più piccolo dettaglio delle lingue di fuoco del caminetto, durante quell’interminabile attesa, ma il vampiro continuava a rimanere lì, fermo, rilassato, come se nulla gli importasse veramente. Perso in chissà quale mondo. Intento come non mai a fissare lo scroscio dell’acqua, il fragore del temporale ed il bagliore sinistro dei fulmini che illuminavano la stanza e che nascondevano, solo in apparenza, la sua mente all’intero pianeta…

ed ai dubbi di tutti loro

L’osservatore sospirò piano.

Portò lentamente la mano destra alla sfera ed accarezzò delicatamente la superficie irregolare, sperando di non dover pronunciare la parola magica che l’avrebbe attivata. Mai. Non sapeva cosa si sarebbe potuto aspettare da tutta quella situazione. Ma di una cosa era sicuro: non la voleva usare. Se solo quel vampiro testardo si fosse deciso a collaborasse… ma no.  No.

Angel l’aveva sentito, di questo ne era certo. Eppure continuava ad ignorarlo. Deliberatamente. Ma non poteva non averlo notato.. non era possibile! Una volta, mentre erano di ronda insieme, gli aveva persino spiegato che i vampiri potevano fiutare le emozioni di coloro su cui erano concentrati a miglia e miglia di distanza e poi agire di conseguenza… eppure Angel non aveva ancora fatto niente. Non poteva ignorare i sentimenti di tutti loro in quei giorni, eppure non aveva tentato neppure di difendersi. Faceva semplicemente finta che non ci fosse nessuno, nascosto nell’oscurità, come si fa con un estraneo, come stava facendo con tutti… da troppo tempo ormai.

E Wesley Whydam Price, stanco di essere un osservatore, stanco di osservare, non sapeva più che cosa pensare.

Ripose la sfera in tasca e sollevò gli occhi sul tatuaggio del suo vampiro.

Un angelo.

Un angelo nero.

Dalle ali spiegate.

Pronto a spiccare il volo… e a portare con sé all’inferno tutti coloro che lo avrebbero ostacolato!

Le parole di Lorne si ripetevano impresse a fuoco nella sua mente. Incessanti.

Da bravo scienziato aveva persino cercato di essere scettico al riguardo, di non pensarci, di trovare una scusa… ma i fatti parlavano chiaro. Fonti più che attendibili avevano visto Angel uscire di nascosto ed incontrare i membri del circolo del Black Thorn: una specie di malavita locale, ed i contaminati, i trasformati in demoni, erano aumentati di colpo.. inoltre, se a questo si aggiungeva la più totale reticenza e la scarsità di ronde nell’ultimo periodo, era davvero difficile, per Wes, far combaciare quel vampiro muto in piedi di fronte alla finestra con l’eroe tenebroso in cerca di redenzione che era tanto abituato a conoscere, e se questo era vero… se per caso Lorne aveva visto giusto… allora…

Allora non avevano assolutamente tempo da perdere!

Eppure c’era Spike…

Una pedina di troppo su una scacchiera già troppo ingarbugliata.

Se la soluzione di Lorne era semplice quanto definitiva, nella sua tragicità, quella di Spike sembrava traballare e cascare rovinosamente da un momento all’altro… E tuttavia era sufficiente per minare alla base le affermazioni così sicure di Lorne. Una mina vagante… ecco che cos’era!

Eppure Wes non riusciva a spiegarsi una tale determinazione da parte di quel vampiro ossigenato.

Insomma, nessuno poteva parlare in quel modo senza avere un minimo di certezze e loro in quel momento avevano bisogno di certezze. Un assoluto bisogno di certezze. Un po’ meno di certezze che andassero a scardinare altre certezze… e quello che aveva detto Lorne… e Spike… e Fred, ancora, dopo di lui… beh insomma era un vero casino! E tutto quello che Wesley aveva potuto fare al riguardo, dal momento in cui Spike era entrato nel suo studio insultandoli tutti, pesantemente, ed imponendo il suo punto di vista, era stato riflettere a lungo sulle parole del vampiro, senza riuscire a venirne a capo. Esattamente come aveva riflettuto a lungo senza venirne a capo sulle sue supposizioni e su quelle di Lorne e sulle possibilità che avrebbero avuto di fermare Angel qualora Spike si fosse sbagliato… e doveva ammettere che a questo punto aveva preferito smettere di pensare, anche per non mandare in ebollizione il suo cervello.  Angel non era una persona facile da capire e la soluzione di Lorne li avrebbe con molta facilità liberati da un eroe, ma anche da un problema enorme allo stesso tempo.

Del resto era più facile rimpiangere un amico che tentare di capirlo, gli ricordava nella sua mente Quentin Travers, ex-capo dell’ex-Consiglio degli osservatori… la persona più priva di buonsenso che avesse mai conosciuto…

il fatto era che non se la sentiva di decidere lui per tutti.

Lorne e Spike avevano interpellato Wesley come se fosse un oracolo… ma la verità era che lui era solo un uomo, privo di qualunque mezzo per capire cosa si agitasse nei pensieri cupi di Angel! Eppure era lì da ore, ad arroventarsi il cervello per cogliere ogni più piccolo segnale.

E, anche se non riusciva a venirne a capo, non voleva mollare. Per nessuna ragione al mondo.

 

E fu allora che, improvvisamente, Angel si mosse.

 

L’osservatore rimase fermo, guardandolo. Lo squadrò mentre si voltava, si girava quasi meccanicamente di novanta gradi e si dirigeva con passo sicuro fino al cassettone. Sopra la superficie di mogano, a lato di una fotografia che ritraeva la squadra al completo, stava il libro con le profezie che lo riguardavano, che lo innalzavano al rango di eroe.

Il vampiro sfogliò il volume con calma fino a individuare una pagina in particolare, soffermandosi a leggerla. Wesley non osava fiatare. Persino il temporale sembrava ruggire meno intensamente, adesso.

Angel scorreva con calma le parole fino ad imprimerle a fuoco nella sua mente.

E poi, senza preavviso, afferrò il libro e lo gettò nel caminetto alle sue spalle.

Bruciandolo nel fuoco.

Wesley allungò una mano, scioccato. Un urlo soffocato gli si fermò in gola…

paralizzato...

decenni di battaglie, lotte, sconfitte… un destino non scritto, una protezione dall’alto… persino la profezia dello shansu… una mano decisa lo fermò sulla soglia, una frazione di secondo prima che si precipitasse nel fuoco e bruciasse insieme allo scritto, nella cenere del caminetto.

“Sono solo parole stampate, non significano nulla” sembrava dire il suo sguardo, mentre con calma lo invitava ad arretrare. Tranquillo. Di una calma quasi innaturale.

“Vai pure, qui finisco io.” sussurrò. Le mani sottili e magre di Wesley si strinsero intorno alla sfera, facendola brillare. “Aspetta il  mio segnale, non attivarla finché sono qui dentro” gli ricordò, ma a Wes quella raccomandazione non serviva. Guardò di nuovo l’orologio e poi gettò un’occhiata al tavolinetto intarsiato. Sapeva cosa sarebbe potuto accadere se l’avesse attivata troppo presto, ma l’attesa stava diventando snervante. “Che cos’hai intenzione di fare?” chiese, senza sperare che gli avrebbe risposto realmente “Non lo so ancora, ma tu aspetta il mio segnale” disse invece lui e, con un sorriso tranquillo sul volto irriverente, entrò nella stanza.

 

Angel era di nuovo di fronte alla finestra, immobile ed impassibile come in tutta la serata. Il vampiro si guardò attorno con calma.

Gli piaceva la pioggia.

Forse le sue origini lo influenzavano, ma dal suo punto di vista era come se, scendendo, cancellasse d’un tratto tutte le brutture e gli abomini del mondo. Come se permutasse l’intero universo… e lasciasse posto soltanto al futuro, un futuro non ancora scritto in ogni caso… in cui ognuno era padrone di sé stesso.

Ombre lunghe e sinistre si insinuavano nella camera di Angel. Un intreccio di oscurità, di toni diversi, avvolti nel buio, e ogni tanto, solo ogni tanto, illuminati dal fulmineo chiarore di un lampo, i suoi occhi….

Angel aspirò a fondo l’aria della notte.

Un respiro tranquillo, intenso. Carico di profumi e di odori. Di tutti i suoni che la notte trasportava come il più indiscreto dei cantastorie… fino ai sensi fin troppo sensibili di loro vampiri, di uomini morti, di demoni dannati in ogni caso che a rigor di logica non avrebbero dovuto nemmeno essere interessati al sapore dei vivi. Eppure a loro piaceva sentire la sensazione delle piastrelle di cotto calde sotto le piante dei piedi, il debole brivido della tempesta a un centimetro dalla loro pelle, lo strano dissidio dei suoni che li tenevano svegli di notte, il sapore della libertà ottenuta a caro prezzo firmando una condanna di morte e la piccola scarica di adrenalina del sapore del sangue… quel senso di completezza che in un vampiro come Angel non taceva mai. Sopito, a forza. Nascosto solamente sotto il peso insopportabile di un’anima troppo ingombrante. E mai sconfitto.

Eppure Angel taceva.

E assaporava con eccessiva calma ogni singola scarica che la sua pelle chiara, inerte ormai da tanto tempo, ancora gli trasmetteva. Ricordandogli la fine di una lotta, la conclusione di una caccia. Un sottile piacere. E un’anima egoista che lo riportava a forza nei confini della realtà.

Il vampiro scosse la testa infastidito.

Con uno sforzo enorme scacciò quelle sensazioni nei meandri della sua testa e si costrinse ad avvicinarsi al letto.

Un altro secondo vicino alla finestra e si sarebbe perso, lo sapeva bene.

E quindi fntro di lui si risvegliasse spalle. gli trasmetteva.eranza.ero temporale sembrava la tertrece pochi passi indietro. Raggiungendo la testiera.

La cravatta nera, la giacca elegante e la camicia bianca, di prassi in quei giorni frenetici, giacevano abbandonate mollemente sul bracciolo della poltrona, ricadendo per metà a terra.

 

Angel vi gettò uno sguardo annoiato e poi si rivolse nuovamente verso la città.

 

La sua città.

 

la sua Los Angeles…

 

molto più sua di Sunnydale in ogni caso.

 

La pioggia cadeva violenta ed incessante.

E l’intero mondo sembrava letteralmente scomparire, celato da quel liquido potente e salvifico.

Un tempo, nemmeno una tromba d’aria a due passi dalla portiera della sua auto avrebbe fermato il paladino della giustizia. Anzi, forse si sarebbe sentito molto più motivato ad uscire, con una calamità in arrivo.

Ma adesso…

 

Angel si portò le mani vicine al volto, sospirando.

Anche se era ben tappato in casa e la sua pelle e i suoi muscoli non reagivano al cambiamento di temperatura, stava tremando.

Leggermente, era vero. Ma stava tremando.

 

Linsdey e i membri del Black Thorn erano stati molto chiari la notte precedente.

Lo avevano fatto accomodare alla loro tavola rotonda. Gli avevano offerto la loro alleanza. Gli avevano promesso in cambio la salvezza dell’intero pianeta. E avevano messo in chiaro fin dall’inizio che non volevano scherzi.

E se da una parte Angel era sicuro, *certo* che il piano che aveva in mente avrebbe funzionato alla perfezione permettendogli di salvare, come si suol dire, capra e cavoli, dall’altro sentiva nelle ossa come uno strano tremito. Una sensazione sgradevole. Che lo informava che qualcosa di più grande e di più potente di lui, di loro, qualcosa contro cui non si era mai nemmeno imbattuto, stava arrivando. Ed era qualcosa di così mostruoso e potente, di così terribile e malvagio, che faceva paura anche solo percepirlo.

Ed Angel non era più lo stesso da tanto tempo...

Se solo avesse potuto parlarne con qualcuno… ma la verità era che meno persone lo sapevano, e meno avrebbe dovuto salvarne. Aveva già perso troppa gente che gli stava a cuore nell’ultimo periodo. Cielo, se si guardava indietro la sua vita non sembrava fatta d’altro che di funerali a cui non avrebbe mai voluto partecipare. Un orrendo album di volti che adesso se ne stavano sepolti a due metri sotto terra. Una marea di persone che non aveva salvato e che in molti casi aveva addirittura condannato. Prima la sua vita, poi la sua non-vita, ed infine la sua espiazione… per quanto si sforzasse, nessuna di queste tre fasi aveva visto risultati eccellenti. E adesso Angel era stufo. Stanco. Stanco di lottare, stanco di espiare, stanco di fallire, stanco…

…di essere solo.

Nessuno poteva sapere cosa volesse dire avere il peso mondo sulle proprie spalle e non avere un perché. Buffy. Buffy… Lei almeno aveva una missione. La sua missione. Ma Angel. Angel cosa aveva? Una redenzione? E che cos’era in fondo una redenzione? Dover lottare da mattina a sera, sacrificare tutto, persino le persone che amava, trascinare nel baratro da cui stava tentando di rialzarsi tutta la gente che finiva sulla sua strada…  questa era la redenzione?! Ed era davvero così importante? … Rischiare di perdere tutto, soprattutto, rischiare di far del male alle persone che si legano a noi? No…

 

No.

 

Non era per questo che aveva deciso di soffrire.

Non era per questo che aveva deciso di combattere.

Era ora di metterci una pietra sopra. In tutti i sensi!

Ma prima…

 

“Esci subito da lì!”

 

Silenzio. La voce di Angel cadde inascoltata tra le pareti spesse della camera. Le ombre dei vari oggetti rimanevano immobili. La luna, quella pallida luna che sembrava lottare per non essere inglobata dalle nuvole del nero temporale, sembrava la tetra metafora della sua situazione. Una debole luce nel buio. Una fiammella che lottava per non perdersi e non essere spenta… una piccola luce… che sembrava non avere un perché in una lotta così accanita ma che continuava a lottare, anche se sapeva che la situazione stava precipitando. Che la battaglia probabilmente si sarebbe conclusa con una sua sconfitta. E che si stava chiedendo se valeva la pena continuare a combattere, se era giusto continuare a sforzarsi… E nel frattempo quella piccola luce veniva attorniata da ogni parte. E nemmeno le stelle, sue eterne compagne, potevano fare più nulla per salvarla. Ma c’era sempre quella presenza. Quel rinnegato. Quell’ombra tra le ombre…

Non luce, eppure nemmeno tanto buio quanto la notte… che si nascondeva dietro il suo paravento, a due passi da lui. Quella persona che persona non lo era più. E che lo fissava da quando Wesley se n’era andato, stanco di quel suo dannato mutismo. Cercando di capire se poteva tendergli una mano.

Perché lui era nuvola tra le nuvole, ombra tra le ombre.

E come nuvola sapeva cose che la luce, per sua stessa natura, ignorava.

E voleva capire se era il caso di rivelargliele.

 

“Sono sicuro di non averti mai dato il permesso di entrare! Quindi esci subito da lì, o giuro su Dio che ti faccio venire fuori a calci!”

 

Un tono che non ammetteva repliche, eppure molto meno autoritario di quanto non volesse fargli credere. Il vampiro fece capolino dal nascondiglio di legno intarsiato. Un vero pezzo d’antiquariato. Un lavoro di cesellatura finissimo, molto probabilmente il ricordo di qualche sua ricca vittima…

 

“Ti sei deciso.. Adesso dimmi perché sei venuto qui!”

 

Il demone avanzò di un passo.

Afferrò una spada di acciaio lucente, perfettamente bilanciata, con un’impugnatura eccellente. Il sangue di una delle sue vittime era ancora incrostato sul fodero. Sull’elsa, in piccoli caratteri svolazzanti, si poteva leggere chiaramente il giuramento d’onore dei cavalieri medioevali:

Non sguainarmi senza offesa. Non ripormi senz’impresa’ recitava la scritta, una massima che Angel a suo parere seguiva alla lettera.

 

“Non pensavo che la tenessi ancora…”  borbottò il biondo con un’alzata di spalle, comparendo per intero e camminando fino al centro della stanza.

Angel rimase immobile di fronte alla finestra, sospirando piano.

 

 “Che cosa stai cercando di fare?” chiese dopo un po’

 

Spike sorrise beffardo.

“Vedere se per caso hai ricominciato a bere, è ovvio!”

 

“Te ne accorgeresti dall’odore” gli fece notare Angel, aspro

 

“Certo che sei veramente amichevole stasera eh? Che succede, una delle tue amichette non ha voluto vederti?”

 

“Vattene via Spike!”

 

“Ti è andata di traverso la cena? O  forse hai finalmente dato un’appuntamento a Nina ma la lupetta ti ha mandato inesorabilmente in bianco?”

 

“Spike! … Lascia la stanza per favore!”

Il tono di Angel, così tetro e cupo, sembrava quasi una supplica.

Lascia la stanza. Per favore. Non ti immischiare. Non ti posso salvare…

 

“Non ci penso nemmeno!”

 

Indifferenza. E tanta arroganza. Con una punta di menefreghismo ovviamente.

Spike non era lì per una visita di piacere.

 

“E va bene. Fa come ti pare allora!”  si arrese il vampiro bruno alzando le spalle, continuando a rimanere voltato “tanto lo fai comunque…”

“E dai. Ammettilo. Ti mancava un sacco la mia presenza!”

“Si può sapere cosa diavolo stai cercando di fare nella *mia* stanza Spike?” chiese infine Angel, notando come l’altro non la smettesse un secondo di curiosare tra le sue cose.

“Sto cercando di capire se sei ancora sano di mente” rispose soprappensiero lui, aprendo e annusando schifato la caraffa di sangue personale del suo gran sire.

“Radici di mandragola… bleah!” esclamò dopo un attimo orripilato “Ottimo sapore ma alito pestilenziale da qui a una settimana! Per forza che le donne poi ti tengono alla larga!”

“Vuoi piantarla di fare il cretino Spike?!” esclamò Angel minaccioso.

Il vampiro sorrise ironico.

“Guarda che non stavo scherzando…” rispose infine, posando con delicatezza la caraffa.  “voglio davvero sapere se sei sano di mente”

“Sto benissimo!” esclamò Angel rapido “E adesso puoi farmi un favore e andartene?!”

“Ne sei sicuro?” chiese Spike alzando un sopracciglio

“Di cosa?”

“Che ti farò un favore andandomene”

“Sì!” rispose secco il vampiro “E adesso vattene!” 

Il sorriso di Spike si allargò un poco, lasciando scoperti i denti bianchi. La pioggia continuava a battere insistente sui vetri anti-sole, illuminandosi di tanto in tanto del bagliore di un lampo argenteo, di un chiarore accecante.

Ed improvvisamente, di un tuono in lontananza.

E del rumore inconfondibile di uno sparo.

 

“Che cosa fai, lasciami andare!”

 

Angel non aveva fatto nemmeno in tempo a voltarsi che si era ritrovato le mani di Spike strette intorno al collo, piantate saldamente sui suoi pettorali.

 

“Lo sparo proveniva dalla camera di Wes, devo andare!” ringhiò. 

 

Spike lo squadrò per un lungo istante, serissimo.

 

Lasciando che passasse ancora qualche secondo.

 

Poi rispose.

 

“Io sono forte Angel. Ma non abbastanza da impedirti di andare a salvare qualcuno a cui tieni veramente, se è questo quello che vuoi. Il colpo di pistola si è sentito chiaramente, e il grido del tuo amico osservatore ancora meglio… A che gioco stai giocando Angel?”

 

Le mani di Spike si staccarono prontamente dal torace del vampiro.

Angel si portò rapido una mano sul cuore, dove fino a un attimo prima erano posti i pugni di Spike. Le dita, abili e veloci del vampiro, vi avevano lasciato appoggiato un piccolo oggetto argenteo, minuscolo e luminoso, che Angel nascose prontamente dentro il palmo della mano.

 

“Chi ti ha dato il permesso di prenderlo?” chiese.

 

Spike si infilò una mano nella tasca del soprabito, estraendo un bianco pacchetto di sigarette ed un accendino di plastica.

 

“L’ho trovato su una bancarella poco distante dal centro della città” rivelò “Niente a che vedere con quello che donasti a Buffy quattro anni fa…”

Una luce si accese per un breve istante nella camera da letto di Wesley e una finestra si richiuse cigolando.

“Perché?” chiese Angel  deglutendo, e sentendo la fastidiosa sensazione di non riuscire bene a respirare, anche se non ne aveva effettivamente bisogno. Spike scosse le spalle infastidito, accendendosi una sigaretta. “Fai tante domande inutili Angel.” La fiamma balenò viva per un secondo, lasciando intravedere una luce vivida e intensa che illuminava gli occhi chiari del vampiro. Due iridi ghiacciate

“Ma una sola è la risposta davvero importante… dico bene?”

 

******

 

Roma, Italia, 16 maggio

 

Il Claddag di Angel.

Due mani.

Un cuore.

Una corona.

E tanti significati nascosti.

Molti.

Forse persino troppi per un oggetto così piccolo.

 

Buffy se lo rigirò ancora tra le dita, ricercandone i riflessi argentati, i caldi ricordi...

Metti la punta del cuore verso di te, vuol dire che appartieni a qualcuno” le sussurrò una vocina remota in un angolo della sua testa.

Buffy lo strofinò leggermente.

 

Nulla.

 

L’anello sembrava aver perso ogni briciola di magia al contatto con le sue mani gelide.

Si strinse nelle spalle, perdendo lo sguardo nella notte priva di stelle.

 

Gelide…

 

La pioggia cadeva lenta…

 

Ormai non contava più le notti in cui si era ritrovata a stringere quel piccolo pegno d’amore appellandosi a lui come per cercare un rifugio, o forse una via di fuga da quello che sentiva nascerle dentro e che non le piaceva.

Quasi per illudersi che almeno uno di loro, alla fine, sarebbe tornato. Che almeno uno di loro, alla fine, avrebbe trovato la forza per tornare. Per rischiare. Per vedere oltre le sue parole di disprezzo.

Perché era solo questo, quello che Buffy Summers riusciva a donare alle persone che amava: disprezzo.

Puro e semplice.

Eppure così complicato da non riuscire neppure a comprenderlo.

Angel, Riley, ed infine anche Spike… tutti con un passato indicibile alle spalle e tutti privi della forza, o forse solo del coraggio per tornare da lei. Nessuno. Nessuno di loro era mai riuscito a capire cosa si nascondesse dietro alle sue parole dure, ai suoi falsi sorrisi, a tutte le maschere che indossava e che non facevano altro che aggiungersi le une sulle altre, fino a renderla del tutto irriconoscibile.

Ora dopo ora.

Giorno dopo giorno.

Per difesa?

No.

Buffy Summers sapeva bene che non era per difesa.

Non sua perlomeno.

Ma nemmeno delle persone che le stavano a cuore.

E allora cosa?

 

Si era arroventata il cervello per mesi cercando quella risposta. E non era ancora riuscita a trovarla.

 

Ripose l’anello di Angel nel cassetto del comodino con un sospiro.

 

Il passato era passato, pensò. Anche se faceva male. E accanto a lei altri cinque oggetti legati alla sua precedente vita esigevano attenzioni. Una fotografia di Down da bambina, un fermaglio per capelli che le aveva regalato sua madre, una piccola croce d’argento, un accendino con la chiusura a scatto, un cercapersone minuscolo quanto leggero…

Si sorprese nel notare che, di tutte le cose che teneva lì dentro, di tutti i ricordi che aveva mantenuto, il suo era l’unico che brillasse veramente. Ancora di luce propria.

Come se fosse vivo…

 

Un brivido le percorse la schiena.

 

Vivo… lei non lo aveva neppure mai conosciuto quando era vivo.

Aveva avuto un assaggio, là, in quella chiesa senza speranza, dove lui le aveva confidato i suoi più inconfessabili segreti… ma tutto sommato non era sicura di poterlo considerare altro che una specie di shock post-anima. Eppure, di tutti quelli che aveva conosciuto, lui era l’unico che avrebbe fatto davvero fatica a definire morto. Di tutti i suoi amori impossibili, lui era senza ombra di dubbio quello che le aveva dato maggiori grattacapi. Di tutte le persone di cui si era fino a quel momento innamorata, lui era l’unico che l’avesse amata davvero…

E mai come allora, le sue notti avevano arso di passione e di baci. Di lecito e di non lecito. Di vita e di morte. Di luce e di oscurità, tese a compenetrarsi l’una con l’altra. A completarsi a vicenda.

Per poi staccarsi di nuovo durante il giorno, nascosti ognuno sotto le proprie maschere, così che gli altri non potessero vedere… e nemmeno capire.

 

Buffy sospirò.

 

Forse era stato questo, alla fine, l’errore della sua seconda vita:

credersi tanto cambiata, ma in fondo essere sempre rimasta la stessa.

L’insignificante, fragile, immatura ragazzina che non permetteva a nessuno di vedere i suoi sentimenti.

Che non riusciva a dire ti amo se non ne era costretta.

Che piangeva silenziosa, davanti ai riflessi argentati di un accendino fuori uso.

 

*****

Los Angeles, California, 16 maggio

 

Il Claddag…

Simbolo d’amore. Fiducia. Devozione. Appartenenza.

Il vampiro indietreggiò di un passo, ritrovandosi incredulo un paletto di legno piantato al centro del torace. Ed il sangue del demone in parte a lui venne sparso da una spada luccicante.

La cacciatrice aveva fatto la sua scelta e poco dopo anche Angel aveva preso la sua stessa, saggia decisione…

Saggia…

sì…

saggia…

Come se si potesse considerare saggio il fatto di ripetersi ogni mattina che la sua storia era finita già da tempo, sperando un giorno di arrivare anche a crederci.

O cercare nel rimorso e nel rimpianto un modo per sfuggire al presente.

O sfinire a furia di pugni e parole ogni demone che gli capitava davanti agli occhi durante le ronde, immaginando che fosse lui!

Lui, dannazione! Lui!

Sempre lui! Lui!

Lui! Perché Buffy era arrabbiata.

Lui! Perché Buffy era furente.

Lui! Perché Buffy doveva sfogarsi.

Lui! Perché Buffy lo amava maledizione! Con tutte le sue forze.

E non gli sembrava giusto che lui, Spike, se ne fosse andato, una volta ancora.

Lasciandola sola. Permettendo che soffrisse ancora.

Affidandola a lui! Ad Angel, maledetto!

Spendo che nessuno a parte lui avrebbe mai potuto consolarla!

Ed Angel non riusciva a non essere d’accordo con lei, riconoscendo nei suoi, i suoi stessi errori!

Eppure… in un angolo del suo cuore, il vampiro sapeva bene che Spike non l’aveva del tutto abbandonata… Come sapeva bene di essere stato un perfetto idiota a portarlo con sé in Italia, qualche giorno prima, solo per spaccare ancora una volta un animo già troppe volte spezzato…

 

*****

 

“Parli più forte, non la sento!”

“Stiamo - cercando - una - ragazza! Una ragazza di nome Buffy!”urlò Angel, imprecando contro i gestori dei locali notturni che tenevano costantemente il volume della musica sopra il limite consentito. “Buddy?” la ragazza del bancone si sporse più vicino ai due avventori muscolosi, in piedi ad un passo da lei “Non conosco nessuna Buddy che lavora per noi. Magari potrei farvi conoscere Betty…” “No… no!” esclamò Angel esasperato, mentre Spike si voltava verso il centro del locale gremito di gente, esasperato. “Noi stiamo cercando Buffy. Buf-fy. Buffy Anne Summers. E’… lei è americana, proprio come noi. Si è trasferita qui da poco tempo, pare che esca insieme ad un tizio… un tale che dice di essere immortale…”

“Ah…

quella Buffy…”

La mano di Spike e il dito della cameriera si fecero sentire nello stesso momento, indicandogli un puntino biondo tra la folla.

 

Buffy… 

 

Angel quasi non poteva crederci.

La definizione normale di “schianto”  le calzava a pennello.

Ballava, in mezzo a tutta quella marea di gente. Un completino di raso nero stretto addosso e completamente assente nei punti giusti. La lunga chioma dorata che rifletteva il bagliore delle lampade psichedeliche, le movenze aggraziate affinate da anni e anni di combattimenti e di lotte. Danze all’ultimo sangue, come amava definirle Spike. Vere e proprie battaglie. Da giocare a colpi di seduzione sopra ad un palco illuminato dalle luci artificiali di un locale… Ma non era questo quello che aveva visto Angel. E non era nemmeno questo quello che, per rabbia e per istinto, stava spingendo Spike ad aprirsi un varco tra la folla danzante, bestemmiando sottovoce peggio di uno scaricatore di porto.

 

Buffy.

 

Buffy non ballava da sola.

 

Buffy ballava con un altro.

 

Abbracciata ad un altro!

 

E non con un altro qualsiasi!

 

Quello era l’Immortale, l’Immortale con la I maiuscola, l’unico e solo. E Buffy ballava con lui come aveva ballato con Xander. Meglio di una professionista. Muovendosi sinuosa tra le sue braccia. Ondeggiando abilmente contro il suo corpo accaldato. Sfiorandolo appena con gli occhi socchiusi. Aspettando che lui la stringesse tra le braccia. E sognando, nel frattempo, che qualcun’altro, qualcuno che non c’era più, la bloccasse dolcemente, e la portasse a conoscere il paradiso… ma questo, ovviamente, nessuno poteva saperlo…

 

“Spike, fermati!” urlò Angel, inseguendolo tra la folla

 

Avevano già avuto a che fare con l’Immortale in passato, lui, Drusilla, Spike e Darla.

E non era stata una buona scelta.

 

“Voglio proprio vedere se qualcuno riuscirà a fermarmi!” gli brontolò dietro Spike, cominciando ad avanzare tra la folla “William, hai visto chi è quello che sta ballando con Buffy?!” gli chiese Angel preoccupato “Sì. E non me ne importa niente. Anzi, è l’occasione giusta per regolare un paio di conti: mi ha già portato via Drusilla, non può permettersi di toccare anche lei!” gridò “Ma… forse Buffy non vuole, forse non è la cosa giusta da fare…” “Quello… quello sta ballando con la mia ragazza! -  gridò  Spike, già al limite della sopportazione - Questa non è la cosa giusta da fare!” “Ok, allora magari potremmo aspettare, attendere un momento migliore, sono sicuro che mettersi a menare le mani qui, in mezzo ad un locale, non sia il metodo migliore per…” “Fottiti Angel!” il vampiro non si voltò nemmeno, continuando ad avanzare furente “Se hai paura di scontrarti con l’Immortale vai pure a casa, ma io rimango! Non mi spaventa di certo un rozzo damerino da quattro soldi!” “Non è questo il punto Spike! Io penso che tu dovresti mettere da parte la gelosia per un secondo e ascoltarmi, anche per amore di Buffy…ricordati che noi siamo qui per…”

“Non me ne importa niente Angel!!”

“ La testa!”

“Appunto! Cosa vuoi che me ne freghi adesso della testa? Aspetterà”

“No, non hai capito!”

Angel lo afferrò per una manica, costringendolo a voltarsi “La testa…

 è sparita!”

“Cosa?!”

“Io.. io l’avevo lasciata sul bancone e adesso… non c’è più. Qualcuno deve averla presa mentre noi…” “Maledizione!” imprecò Spike voltandosi verso il tavolo del locale come una furia, certo che Angel lo stesse ancora seguendo

 

E poi… e poi non c’era stato più tempo per andare da lei.

Dopo lo scontro non tanto amichevole con le guardie del corpo dell’Immortale la testa per cui tanto avevano faticato era ritornata nelle loro mani, costringendoli a tornare a Los Angeles e lasciando Buffy da sola, insieme ai pezzetti del loro cuore e del loro passato.

Non lo avesse mai portato con sé quella notte…

A dire il vero, la storia con l’Immortale era scocciata parecchio anche a lui! Senza contare che Angel sapeva bene che razza individuo senza scrupoli fosse l’Immortale e quanto gli piacesse passare da una donna ad un’altra con una tale disinvoltura che avrebbe potuto farsi amare contemporaneamente da tutte le femmine del pianeta, umane e non, senza risentire minimamente dello sforzo. L’incarnazione del don Giovanni, ecco che cos’era!

Eppure Buffy sembrava non esserne rimasta troppo sorpresa.

Ricordava ancora la telefonata di qualche notte prima. Prima della catastrofe. Gli era parsa giusto un poco più dispiaciuta che con Parker quando aveva saputo che il suo ultimo ammiratore era un poco di buono come tutti i precedenti. Ma non sembrava essere troppo afflitta dalla sua nuova condizione di single senza patria quando lo aveva richiamato.

Ed Angel non era stato capace di tenere per sé alcune frasi che le avevano fatto capire tutto.

A suon di domande.

Di minacce.

Di cornette riagganciate e risollevate.

Ed infine, era riuscita a capire tutto quello che era successo nell’ultimo anno e che il vampiro, ora, avrebbe tanto voluto essersi tenuto per sé…

 

Spike… Spike era tornato.

 

Alle orecchie della cacciatrice quelle parole erano suonate come una specie di miracolo.

Spike vivo… Di nuovo con lei. A portata di aereo. Corporeo.

Ma introvabile.

Angel si maledisse per la sua lingua lunga, là, nella carlinga dell’aereo, subito dopo essere partiti dall’Italia.

Era stato lui a dire a Buffy di aspettare, che non era ancora pronto per vederla, che si sarebbero fatti vivi loro per primi. E adesso…

Non appena erano atterrati Spike era ripartito subito.

Non per vigliaccheria, certo. Spike era uno che non riusciva a vivere lontano dal pericolo, dalla morte, dalla sua rissa quotidiana… ma per lei…

E anche adesso non appena aveva capito che poteva accaderle qualcosa di male era ripartito immediatamente.

Per dove, nessuno lo sapeva. Di certo Angel sapeva soltanto che lui non l’aveva dimenticata e che avrebbe fatto tutto ciò che gli era possibile per ritornare a stare di nuovo con lei, tranne che convivere ancora con il dubbio di un suo possibile tradimento, di un suo amore ricambiato verso qualcun’altro che non fosse lui e che, forse, poteva essere meglio di lui.

E tutto questo, ovviamente, Angel se l’era tenuto per sé.

“Maledetto idiota!” Imprecò il vampiro mettendo al tappeto l’ennesimo avversario nella notte scura di Los Angeles. Aver riaperto la porta dell’inferno aveva permesso a quelle creature immonde di tornare a prosperare, esattamente come prima che lui arrivasse nella città degli angeli.

Per fortuna, grazie al suo caro amico biondo, la rabbia per sconfiggere quegli esseri disgustosi sicuramente non gli mancava…

 

 

*****

 

Nyons, Francia, 16 maggio 2004

 

“Pensa di rimanere qui per molto?”

“No. Non penso”

“Bene. Allora le mostro la stanza…”

 

Spike salì le scale della pensione, tenendo stretta a sé la borsa di cuoio che aveva trovato nella camera di Wesley. Era stato incredibile scoprire che anche il compassato osservatore dei tempi di Sunnydale era avvezzo a fumare e ad ubriacarsi. Esattamente come lui.

In fondo erano entrambi inglesi…

 

“Ecco qui. La colazione viene servita alle sette. Se vuole posso chiedere alla domestica di venire a svegliarla domani mattina e di dare aria alla camera”

“No, grazie. Preferisco fare da me”

“Come desidera. Buonanotte allora”.

 

Spike gettò la borsa sul letto, allungandosi sul comodo piumone imbottito. Gli alberghi non erano più quelli di una volta, pensò. L’ultima notte che aveva passato da quelle parti si ricordava di aver dormito in una specie di buco ricavato nel muro, dove anche i topi avevano ribrezzo ad entrare. Ma in fondo i tempi erano cambiati… e anche lui lo era. Molto più di quanto non osasse ammettere.

Allungò un po’ di più le gambe afferrando la borsa di Wes.

Dentro, riempite con una calligrafia sottile e ordinata, alcune pagine parlavano dei suoi studi sulla profezia Shansu e sui vari modi per farla avverare. Ma a Spike questo non importava. Non più.

Li aveva portati via da Los Angeles solo perché Angel non si facesse prendere dalla smania di ritrovarvi dentro un senso, arrivando magari ad ammazzarsi nel frattempo.

Del resto, era inutile cercare di contrastare la propria natura. Lui lo sapeva meglio di chiunque altro.

Ma Spike capiva Angel, perché come lui ci aveva provato.

Com’è che diceva quel saggio? Bisogna stare attenti a ciò che si desidera, si potrebbe rischiare di ottenerlo. E Spike questa lezione l’aveva imparata fin troppo bene sulla sua pelle per rischiare che qualcuno a cui teneva facesse la sua stessa fine.

Ed ora, guardava fuori dalla finestra.

La battaglia era imminente. Lo sapeva.

E la notte, buia, limpida, sembrava chiamarlo con il suo sorriso luminoso. Con il suo manto trapuntato di stelle. Con la sua brezza leggera che gli accarezzava i capelli, trasportando il profumo di terre lontane.

 

Lo chiamava.

 

Lo voleva.

 

Lo invitava…

 

Ma stavolta, lui

 

non avrebbe risposto.

 

 

******

 

Los Angeles. 2 maggio 2004.

 

“Te l’hanno chiesto loro Spike?”

Il vampiro sollevò le spalle, fingendo di non capire. Una boccata di fumo grigio si frappose tra loro. Nascondiglio mellifluo per un singolo istante.

“Di venire qui a spiarmi intendo. Te l’hanno chiesto loro?” chiese di nuovo Angel, più serio che mai. Il biondo sorrise divertito. “Non volevano che io ti spiassi.” rispose infine noncurante “Se fosse stato per loro avrei dovuto ammazzarti…”

“Begli amici che ho!”ironizzò Angel. Poi, con una punta di amarezza nella voce, chiese: “ed erano tutti contro di me senza sapere nulla?”

 Il vampiro annuì serio. Non avrebbe voluto che Angel lo venisse a sapere in questo modo, anzi non avrebbe voluto che lo venisse a sapere e basta. Ma Lorne non gli aveva dato altra scelta che cercare di capire, di capire fino in fondo. Ed era questo quello che Spike era intenzionato a fare. Capire. A qualunque costo. E poi prendere la sua decisione.

“Come hai fatto a convincerli che parlandomi avresti capito quale sarebbe stata la cosa più giusta da fare?” chiese Angel. Ormai gli dava le spalle, appoggiato ancora più pesantemente contro lo stipite della finestra. Le gocce di pioggia rigavano lievi il vetro appannato.

Spike sorrise sarcastico.

“Al masochismo non c’è mai fine…”  rispose

Un sorriso irriverente, volto da schiaffi, quasi irritante. “Spike!” esclamò Angel.

“Diciamo solo che li ho convinti che, conoscendoti da più di cent’anni ed essendo io una persona mooolto sveglia, non ti sarebbe riuscito tanto facile ingannarmi…” rispose quindi in fretta, senza dare tempo al suo interlocutore di porsi ulteriori domande. Del resto, se n’era poste già abbastanza per una notte sola.

“Ma fammi il piacere!” sbuffò infatti Angel voltandosi con una smorfia indecifrabile dipinta sul volto. Dopo una giornata come quella, anche il sarcasmo mal riuscito di un vampiro ossigenato doveva sopportare! E poi non era questo il punto… “Io riuscirei ad ingannarti senza il minimo sforzo!” esclamò infatti e mancò poco che Spike non gli scoppiasse a ridere in faccia.

“Può darsi.” acconsentì quindi tutt’altro che serio “ma ti conviene non farlo sapere a quelli di là, non sarei contento di vederti sporcare il pavimento”  “Cielo! Fino a questo punto?” esclamò incredulo il vampiro. “Ehi, fanno sul serio, cosa credi!” gli ricordò Spike con un mezzo sorriso, sdraiandosi con gli anfibi ancora ai piedi sul letto dalle lenzuola candide di Angel.

“E tu? Tu come fai a sapere che anche io non faccio sul serio? Come puoi fidarti di me?”

Gli occhi scuri di Angel mandavano lampi. Le dita intrecciate. Il busto leggermente inarcato in avanti. Il sorriso sarcastico e lo sprezzo del pericolo che era tipico di Angelus.

Angel lo stava provocando.

E Spike aveva una voglia matta di rispondergli.

Ma non era questo il momento.

“Senti…” gli rispose quindi, calmo “So contro cosa ti stai battendo e so che non sarà facile.” disse “Ci sarà un prezzo da pagare, ma so che ci possiamo fidare di te, ora più che mai. E sono pronto a seguirti. Non chiedermi cosa mi spinga a farlo, non potrei risponderti. Ma so che lo farò. E qualunque sarà la tua decisione, io starò dalla tua parte.

La tua guerra.

Questa guerra.

Non sarai da solo a combatterla.”

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 7

 

 

*****

 

Roma, 17 maggio 2004

 

Pioggia.

Ancora.

Lenta e incessante.

Inesorabile.

Batte sui tetti freddi della città, sulle finestre appannate della sua camera.

Piccole gocce ghiacciate che lasciano una lunga scia di condensa sulla vetrata.

Senza tregua.

Senza concedere scampo.

Come la noia.

Come il destino…

 

Down è sdraiata sul suo letto.

 

La valigia, ancora disfatta, giace abbandonata in un angolo della sua stanza. Alcuni indumenti cadono dimenticati fuori dal tessuto blu e verde della borsa. Le lancette dell’orologio scandiscono ritmiche i secondi di quell’interminabile pomeriggio silenzioso. Down incrocia lentamente le gambe e china un poco la testa. I lunghi capelli castani ricadono in avanti, coprendole il volto, ma lei non se ne cura minimamente. I suoi occhi sono fissi su un punto imprecisato di fronte a lei. Tra i piedi ed il copriletto. Un punto su cui è posato un piccolo oggetto rettangolare.

Un piccolo diario.

Un piccolo diario segreto.

Down ha quasi paura di sfiorarlo, quel diario.

Allunga lentamente le mani e poi si ferma un istante, prima di afferrarlo. La copertina di cartone colorato è ruvida sotto la sua pelle. È un libretto da quattro soldi, ma per lei vale quanto un codice miniato. Del resto, con le sue ridotte finanze, non potrebbe permettersi nient’altro. E non se la sente, Down, di chiedere dei soldi a sua sorella per una cosa così futile: sa che Buffy si sta facendo in quattro per consentirle di vivere dignitosamente e lo apprezza. Non vuole crearle ulteriori problemi.

Le dita affusolate scorrono lente fino alla chiusura smaltata e alla piccola chiavetta di metallo.

E si ferma ancora un attimo, Down.

Un solo secondo. Un singolo istante.

Di consapevolezza.

Un attimo, per capire che come tutte le altre volte, non potrà più tornare indietro.

Si ferma un istante. E poi, con un movimento deciso e regolare, fa scattare la serratura. Le pagine si aprono rivelatrici davanti ai suoi occhi. I fogli immacolati di quando l’ha comprato non sono più nemmeno riconoscibili sotto tutto quel fitto strato di inchiostro. Ma ogni singola pagina è tenuta ligia e ordinata con una cura quasi maniacale.

Le dita delicate di Down si posano leggere sul piccolo bordo del diario. Ed i giorni si susseguono, l’uno dopo l’altro, man mano che lei avanza nella lettura delle pagine. Senza soffermarsi su nulla. Senza perdersi a cercare una data oppure un nome. Quasi con rispetto.

Lo sfoglia Down, quel diario, come se fosse dorato. La cosa più preziosa che possiede al mondo. Ricorda il giorno in cui sua madre glielo ha regalato. Il primo di quei minuscoli libricini. Sottile. Inviluppato in una carta color dello smeraldo. Ricorda anche di aver riso, Down, di quel dono così strano. Aveva quattro anni. Nemmeno sapeva scrivere.    ‘Le persone che scrivono un diario sono quelle con la memoria più corta del mondo’, le disse quel giorno qualcuno…  non ricordava bene chi fosse, ricordava soltanto di essersi arrabbiata molto.  ‘O magari sono solo quelle che preferiscono rivivere un giorno ogni singolo istante della loro vita’, fece notare a quella persona sua madre.

Sua madre…

Sua madre… quanto le mancava….

A volte si svegliava ancora, di tanto in tanto, gridando il suo nome.

Joyce.

Ricorda quel volto.

Sorridente.

Sereno.

E poi bianco, in quella fredda stanza di ospedale.

Morto. 

Down ha quasi tutte le notti degli incubi dopo quel giorno. Sa che sua madre stava bene, che è in Paradiso, dove altro potrebbe essere una donna dolce e affettuosa come lei del altrimenti? Ma il problema è che Down non ne ha la certezza. Dove può essere sua madre adesso? Cosa sta facendo? Si ricorda ancora di lei? Le vuole ancora bene? Non è possibile rispondere a domande come queste. Ma non è possibile nemmeno ignorarle. E Down sa bene che, come chiave, magari avrebbe anche il potere necessario per riportarla indietro. Il problema è che non sa se vuole farlo. Non vuole fare lo stesso errore di Willow. Riportare in vita qualcuno dopo la sua morte può essere doloroso. Per lei come per loro. E dopo Buffy, nessuno può convincerla a fare una cosa del genere almeno che non abbia come minimo una certezza. La certezza che anche sua madre voglia tornare da lei.

E nel frattempo lo rilegge Down. Con calma, quel diario. Cercando di ritornare indietro con la mente, al periodo in cui le sue mani hanno vergato di inchiostro quella superficie immacolata. Sorridendo. Del giorno in cui sua madre le aveva detto quella frase. E di tutte le frasi che le aveva detto in seguito e che lei aveva immortalato per sempre su quel diario. Down scrive tutte le sere su un diario da quel giorno. Per ricordare. Per non dimenticare. Le piace annotare tutto. Le sensazioni, i suoni, i profumi. Le gioie ed i dolori. Tutto. C’è il suo mondo, dentro quel piccolo diario. C’è la sua vita. Quella fatta di parole e frasi non dette. Di silenzi e di decisioni lasciate a metà.

Come tutti gli adolescenti.

Al caso o al destino.

Incancellabili.

Per ricordarsi che le ha vissute. E per sapere, un domani, che le sue motivazioni non erano poi così fondate. Per riderci sopra. E per rivivere, anche solo per pochi minuti, quello stato di totale smarrimento che si prova davanti ai propri silenzi e alle proprie angosce passate. Aspettando che sua sorella la chiami per andare all’aeroporto…

 

‘2/6/03 Caro diario, oggi sono furiosa!!! Buffy mi ha portato a fare la ronda con lei e nessun vampiro l’ha morsa o mi ha portato via con sé! A volte vorrei tanto che Spike fosse ancora qui con noi. Almeno lui, quando le cose non andavano per il verso giusto, sapeva sempre come farmi ridere. Mi manca sai, tantissimo.’

 

‘9/7/03 Caro diario, ieri siamo andate al centro commerciale. Non puoi immaginare quanta roba c’è dentro, anche se è grande poco più della metà di un normale magazzino di Los Angeles. Oggi Buffy mi ha detto che la maglietta che mi sono comprata mi sta proprio d’incanto. Janice invece è a letto con l’influenza. Non puoi immaginare quanto vorrei fare la pace con lei dopo il litigio dell’altro giorno. Ma sento che passerà. Anche se non le chiedo scusa, passerà. Intanto, oggi c’è il sole.’

 

Down girò le pagine velocemente, fino ad arrivare alla data di qualche giorno prima. Le cose che aveva scritto durante i primi mesi di soggiorno in Italia non erano altro che stupidaggini, adatte più che altro a riempire gli enormi spazi vuoti sia del foglio che della sua vita. La data di tre giorni prima apparve all’improvviso sotto i suoi occhi, come se la stesse chiamando. Si sistemò meglio sul letto e cominciò lentamente a leggere.

 

‘13/5/04 Caro diario.

Non riesco nemmeno a dire ad alta voce quello che sto pensando, spero di riuscire in qualche modo a scriverlo.

Ho paura.

I miei poteri come chiave, se mai ne ho avuti, non sono sicuramente la causa di tutto questo. Ma posso sentirlo. Si impadronisce di me ogni giorno di più e sento che arriva. Sento che ci vuole e so che verrà a prenderci.

Sento che la fine è vicina.

E non so nemmeno se avrò il coraggio di ammettere quello che sto scrivendo, quando sarà necessario.

Devo parlarne con Buffy!’

 

Down girò la pagina in fretta.

 

‘14/5/04 Caro Diario.

Il giorno è sempre più vicino.

Sono terrorizzata.

Il muovo spasimante di mia sorella le ha lasciato un altro regalino sotto la porta, ma io so che tutto quello che sta facendo è solo un mezzo per arrivare a noi. Non ne ho parlato con Buffy. Stavo per farlo, durante la ronda nel cimitero, ma è stato più forte di me. Oddio, ho troppa paura! Odio doverlo ammettere, ma temo che qualcosa si stia preparando e sono sicura che questa volta, solo un enorme… miracolo potrà salvarci.’

 

E finalmente, i suoi occhi trovarono la data del giorno precedente.

 

‘15/5/04 E’ successo.

Ieri sera, mentre tornavo dalla ronda e rientravo in casa mi sono accasciata sul divano ed ho sentito la testa come scoppiare. La battaglia stava avendo luogo. E noi non eravamo lì con loro per aiutarli. All’improvviso, ho sentito la consapevolezza farsi largo tra i miei pensieri. La battaglia era a Los Angeles. Angel e la sua squadra stavano combattendo una guerra che non era la loro e lo stavano facendo con tutta la forza di cui erano capaci. Ma non avevano speranza.

Non ho ancora sentito il telegiornale di oggi, ma so che si parlerà di disgrazie e di disastri, tutti imputabili naturalmente ad una qualche disgrazia passeggera, oppure all’incuria degli addetti alle tubature.

Ma io so cos’è veramente successo.

L’esercito nemico si è mosso in un’altra direzione, rinviando la resa dei conti. Ma è solo questione di tempo. Presto o tardi arriveranno. E se io non riuscirò a parlare con Buffy, allora tutto il mondo che conosciamo sarà spazzato via in una manciata di secondi.

Ma prima devo riuscire a trovare una soluzione. Da sola.

Se non dovessi riuscirci, allora sarebbe inutile anche solo tentare di avvertire gli altri.

Li farei solo preoccupare per niente.

Spero soltanto che quelli che conosco siano riusciti a salvarsi. Soprattutto Angel e Spike.

Se dovessi riuscire a trovare una soluzione, sono sicura che avremo bisogno anche del loro aiuto…

nella battaglia finale.’

 

Down voltò la pagina.

 

‘16/5/04 Caro Diario

Oggi ha chiamato Giles. Domattina partiremo per Los Angeles…’

 

E prese in mano la penna.

 

‘17/5/04 Caro Diario….’

 

*****

 

 

Svezia, 17 maggio 2004

 

La cella era umida e fredda.

L’uomo avanzò di un passo, maestoso, incedendo altero in mezzo a quel cumulo di corpi senza speranza. “Conosco la persona che fa per noi” aveva detto il suo signore e padrone, una volta sentito il suo piano. L’Immortale arricciò il naso, camminando tra il fetore insopportabile e lo squittio dei topi. La persona che faceva al caso loro doveva essere lì, certo! Ma come poteva lui cercare una persona in mezzo a quel marciume disumano! Una mano si aggrappò con forza alla falda della sua toga e due occhi colore del ghiaccio lo guardarono supplicanti. Il demone scosse violentemente il tessuto per staccarsi di dosso quell’ennesima scocciatura e continuò a camminare.

“Cosa cercate esattamente?”

La voce del carceriere lo sorprese, sia per la sua limpidezza che per la sua contemporanea mancanza di pietà. ‘Cosa’… Persino lui considerava una cosa quegli inutili prigionieri supplicanti, quasi alla stregua di insulsi animali da macello. Gli piaceva. E ancora di più gli piaceva il fatto che lo non lo facesse pesare, senza che fosse un modo per assecondarsi la sua benevolenza. Quell’uomo aveva della stoffa. Peccato che fosse nato solo in un misero involucro umano ma a questo, per fortuna, si poteva facilmente porre rimedio.

“Sto cercando un uomo.” rispose quindi l’Immortale, sorridendo “So dai vostri archivi che è ancora vivo… Mi risulta che si faccia chiamare Etan Rayne.”

Lo sguardo del secondino cambiò di colpo, per poi puntarsi sui vestiti maestosi dell’uomo che aveva dinnanzi. Pizzi dorati e sete sgargianti. Di sicuro non era un umano. E teneva molto a farglielo notare…

“Etan Rayne?” sussurrò fra sé  e sé il carceriere, rimanendo un attimo pensieroso, riflettendo…

“Ah, già, Etan Rayne!” esclamò poi d’un tratto, come colto da una folgorazione improvvisa. “L’adoratore del caos! Un tipo in gamba, senza dubbio! Ne ha fatte di cotte e di crude in passato ed ha sempre avuto un certo senso dello humor che sinceramente… ma ditemi, che cosa vorreste da lui?”

“Solo… parlargli”

L’uomo annuì, serio.

Era ovvio che non voleva solo questo da Etan, ma tanto valeva guadagnare tempo.

E portare le mani avanti.

“Beh, a dire la verità…” cominciò quindi l’uomo, massaggiandosi il collo con una mano in quello che voleva essere un gesto affranto “Io non so se… insomma… ecco… se vi capirà.” disse “In fin dei conti è qui dentro da molto.. e stare qui dentro ti cambia. Non ha idea di quanti diventano pazzi o perdono il lume della ragione rimanendo rinchiusi tra queste quattro mura per tutto il giorno. Ovviamente hanno i loro momenti d’aria, certo. Ma il rimorso…. e la solitudine… La maggior parte di loro se ne va con gli angeli e quelli che rimangono… beh si rinchiudono nel loro mutismo per non sentire le urla di quelli che gli stanno in parte” “E’ questo ciò  che amo di questo posto…” commentò l’Immortale girando la testa, scrutando un altro corpo.

“Tuttavia, Etan era fatto di un’altra pasta…” ricordò quasi con nostalgia il secondino

“Sapete, nella mia lunga esperienza non ho mai visto nessuno resistere così tanto e così ‘bene’ in un carcere come questo…” “Cosa intendi dire?” chiese l’Immortale vagamente incuriosito. La faccenda sembrava diventare ogni secondo più interessante “Che si era ambientato alla perfezione.” Rispose l’uomo, con sguardo quasi sognante “Sembrava nato qui. Gestiva il traffico di ogni cosa all’interno del carcere: armi, cibo, medicine, bevande, incantesimi. Se volevi qualcosa era da lui che dovevi andare e non sbagliava mai un colpo. Un vero artista! Però poi mi hanno trasferito.. e da quando sono tornato non ho più sentito parlare di lui…” un’altra mano che si aggrappava, e un altro corpo da rispedire in un angolo con una pedata.

“Stavi dicendo?”

Il carceriere sorrise, notando l’atteggiamento di quello che temeva fosse solo un damerino in cerca di sudditi.

“Beh, forse questo suo modo di fare un po’ fuori dagli schemi non era ben visto dalle autorità locali, ma qui all’interno del carcere tutti, dagli ufficiali ai prigionieri, si servivano dei suoi traffici. Sa, quando uno è riuscito ad evadere una zona di massima sicurezza acquisisce una certa autorità non so se mi spiego. E qui la vita è dura sia fuori che dietro le sbarre…” “Interessante” mormorò l’Immortale, scavalcando un vecchio disteso per terra e dirigendosi spedito verso un angolo della prigione. Il carceriere continuò a seguirlo mormorando, ma ormai le orecchie del demone non lo ascoltavano. In un angolo, vestito di stracci, un uomo lo guardava avanzare con uno strano sorriso sul volto. L’Immortale gli si avvicinò ancora di un passo, quasi fluttuando in direzione del prigioniero. Quando gli fu tanto vicino da poterlo toccare, l’uomo alzò con decisione lo sguardo puntandolo dritto nei suoi occhi, senza timore.

“Sapevo che saresti venuto. Ti aspettavo.” mormorò.

L’Immortale tese una mano verso il prigioniero, aiutandolo ad alzarsi. Sotto lo sguardo stupito del secondino, lo abbracciò, tendendogli un coltello. “Ma… questo… cosa significa?” balbettò il poliziotto indicandolo.

L’Immortale si voltò a guardarlo.

“Questo…” ripeté Etan, facendo brillare per un attimo il pugnale d’argento che l’Immortale gli aveva dato e conficcandolo con prontezza tra gli addominali dell’uomo

“Significa.. che non abbiamo più bisogno di te”.

 

*****

 

Aeroporto di Roma, 17 maggio

 

“Il volo n° 214 diretto a Los Angeles partirà fra cinque minuti. I signori viaggiatori sono pregati di recarsi alla rampa di decollo”

 

Down si aggiustò meglio sul comodo sedile imbottito, cominciando a sgranocchiare il contenuto del sacchetto di noccioline in omaggio.

“E poi saresti tu quella che vuole rimanere a dieta per non ingrassare?” la canzonò Buffy, assestandole una leggera gomitata con una risatina affettuosa. La ragazza ficcò nuovamente la mano nel sacchetto di carta argentata.

“Le noccioline sono la cosa più buona del mondo.” sentenziò “Dopo i frappé naturalmente! Non pensavo che qui in Italia fossero così buoni. Ed anche il caffé. Non appena arriva la hostess me ne faccio portare un’intera caraffa!”

Buffy sospirò, rassegnata.

“Allora forse non hai capito bene come funziona…” disse, cercando di spiegare per la centesima volta a sua sorella quella semplice quanto elementare lezione di vita. “Vedi, Down, loro mettono la stessa quantità di caffé che noi usiamo per un’intera tazza in un bicchierino minuscolo, sufficiente appena per una piccola sorsata. Così risparmiano sul costo. E, dopo che l’hai finito, ti viene subito voglia di berne un altro… Da questo punto di vista sembra che abbiano preso lezioni di economia domestica da Anya! Ed io non vedo l’ora di ritornare in America…”

“Però a me il caffé italiano piace tantissimo!” ribadì Down facendo spallucce. “Quand’è che arriveranno Xander e Willow?”

Buffy si tirò su la manica della giacchetta beige per guardare l’orologio.

“Dovrebbero essere qui a minuti ormai. L’aereo farà scalo a Malpensa tra una mezz’ora al massimo… Chissà che cosa avranno fatto in tutto questo tempo…”

 

*****

 

“Un piano-bar vicino al centro storico di Firenze?! Caspita!”

Il ragazzo annuì, sorridendo soddisfatto.

“Eh già, lo ammetto, all’inizio nemmeno io mi prendevo sul serio…” disse, alzando noncurante le spalle “insomma, che cosa diavolo ci facevo io, un carpentiere, alla direzione di un disco pub? Non sapevo nemmeno che cosa diavolo dovevo servire o come si organizzasse una serata, eppure…” continuò, con aria sognante “Adoro l’Italia…”

“Già discusso su questo punto!” esclamò Down, interrompendolo prima che diventasse melenso e rivolgendosi invece all’amica strega “E tu? Scommetto che adesso lavori per una di quelle grandi case produttrici di software… sei sempre stata una vera maga con i computer.. nel senso buono naturalmente!”

Willow sorrise imbarazzata

“Per la verità…” disse, lanciando un’occhiata al suo piccolo quanto costoso computer portatile di nuovissima generazione abbandonato in un angolo tra il bagaglio a mano e le borsine della spesa. “Purtroppo in Italia non sono molto avanti nel campo della ricerca informatica per cui ho avuto qualche difficoltà a trovarmi un posto come si deve…”

“Willow…” la rimproverò bonariamente Xander, conoscendo bene la sua opinione in materia di tecnologia e di scienza in generale.

“Niente è meglio dell’America!” sentenziò infatti poco dopo, ricevendo un’occhiata di pura approvazione da Buffy.

“E allora cosa ti è successo? Sei rimasta disoccupata per tutto questo tempo?” chiese la cacciatrice con una nota di preoccupazione nella voce

“Ma no, ma no! Ma cosa ti salta in mente!” la smentì subito Willow, ondeggiando la mano a due centimetri dalla sua faccia “Ho un impiego di tutto rispetto, invece. E anche un sacco di ferie pagate!” “Coraggio, non farci stare sulle spine!” esclamò Down, elettrizzata. Willow si schiarì la voce, prima di cominciare..

“Mi hanno contattata quelli del Consiglio… del Rinnovato Consiglio degli Osservatori ovviamente… e mi hanno proposto di reperire e catalogare alcuni volumi molto importanti che alcuni di loro sono riusciti a salvare dopo il crollo di Sunnydale.” disse.

“Un secondo Mr. Giles?” esclamò Buffy inorridita. “Non oso nemmeno immaginare che cosa ci toccherà sopportare una volta che saranno tutti e due nella stessa stanza!”

Willow le diede un colpetto su un braccio, bonaria.

“É inutile che scherziate voi tre, è un lavoro di grande responsabilità! Senza contare che mi pagano un’enormità da quando gestisco la VOSB: la sola Biblioteca di Scienze Occulte Virtuale che esista!”

“Via internet?!” urlò quasi Buffy scandalizzata. Willow sorrise in tralice.

“Ma naturalmente! Era da un bel po’ che ci pensavo: il sapere va condiviso con tutti no? E richiudi quella bocca Buffy, sono stata davvero mooolto attenta a non mettere in circolazione incantesimi o altro materiale rischioso! Per la salvezza del mondo sai…”

“Oh… certo...” annuì la cacciatrice poco convinta, rivolgendosi poi agli altri sottovoce

“Attenzione! Ragazza pazza a ore undici, seduta su aereo diretto a L.A.!”

Xander scoppiò a ridere divertito ed altrettanto fecero Down e Buffy.

“Santo cielo, ma è possibile che sia sempre necessaria un’apocalisse perché decidiamo di incontrarci?” chiese Xander. Down annuì con un sorriso tirato.

“A proposito di apocalissi, fatemi capire.” disse Buffy d’un tratto, ricordandosi improvvisamente il discorso che le aveva fatto Giles. “Di cosa si tratta esattamente? Insomma, io so solo che il mio caro osservatore e un misterioso uomo di nome Vincent Claidfort ci aspettano a Los Angeles. Motivo: un caso di mondiale importanza. Speriamo che almeno questo Vincent sia un tantino meno noioso del signor Giles…” disse

“Vana speranza: è un osservatore” la deluse Xander “Ma voi ragazze potete sempre sperare che sia molto, molto carino…”

“Consiglio approvato.” annuì Willow sorridendo “In fondo non si sa mai cosa aspettarsi da quelli del Consiglio… cioè…”

“Però… nessuno sa con esattezza perché siamo stati chiamati?” continuò Buffy, imperterrita.

“Temo di no. Ma lo scopriremo quando saremo lì, giusto?” rispose Xander con un’alzata di spalle e cambiò subito dopo argomento.

Down si strinse le braccia al petto, sprofondando un poco nella poltrona dell’aereo.

Guardò fuori dal finestrino. Bianche nuvole di panna montata sfrecciavano veloci nell’aria ed i ragazzi continuavano a parlare, a ridere ogni tanto, sembrando ancora quelli dei bei vecchi tempi… ma lei no… lei non era mai stata una dei bei vecchi tempi… lei, semplicemente… non esisteva, allora. Ma esisteva adesso. E tutto quello che succedeva intorno a lei, ora, non poteva più ignorarlo.

 

*****

 

Nyons, Francia, 17 maggio

 

“Ehi! É ora di svegliarsi!”

 

Spike richiuse gli occhi infastidito, girandosi tra le coperte di lana.

La donna continuò imperterrita.

 

“C’è nessuno?!” gridò ancora, la voce più starnazzante di quella di una gallina “La avverto che sono venuta per ritirare il conto e che se ha intenzione di rimanere qui un’altra notte fanno 75 euro! Io non faccio sconti a nessuno!” esclamò e un’altra raffica di pugni si abbatté sul legno robusto. Il vampiro grugnì tra le lenzuola, bofonchiando.

“Ehi! Mi ha sentito?!” esclamò di nuovo la donna dopo un po’ “Guardi che so che è lì dentro, e se non mi apre subito giuro che la denuncio alle-”

“Alle autorità per caso?”

La porta si era spalancata di colpo davanti alla donna e Spike era apparso sulla soglia, ringhiante. Il volto mutato, gli occhi gialli e i canini scoperti terrorizzarono la donna che, dopo aver tirato un urlo fortissimo, si precipitò correndo giù per le scale.

Il vampiro si voltò sorridendo e tornò a sdraiarsi sotto le coperte.

 

O almeno, questo era quello che sarebbe dovuto accadere.

 

La realtà, purtroppo, fu che la donna lo guardò con aria interrogativa per qualche istante, scese con lo sguardo fino al basso ventre lasciato scoperto dalla cerniera della lampo abbassata, e si avvicinò di un passo tendendo la mano in avanti per nulla impressionata. “Allora? I miei 38 euro?” chiese infine, sottolineando “Per fortuna che non sono una che si arrende così facilmente…”

 

Spike rimase interdetto davanti a quel volto così… terribilmente rilassato. Con un gesto improvviso si portò le mani sulla fronte e poi sulla bocca per controllare di essersi realmente trasformato, ma il fatto di essere sfacciatamente un vampiro non sembrava turbare minimamente la donna che, continuando a guardarlo, tendeva la mano in avanti come se nulla fosse. I capelli, troppo lunghi e scarmigliati, le uscivano dalla retina con cui teneva a posto i mille bigodini che aveva sulla testa ed il trucco, troppo pesante e sfatto, la faceva assomigliare più ad una di quelle caricature che vendevano gli artisti sulla Senna piuttosto che ad una rappresentante del gentil sesso. Eppure era un’umana, su questo almeno non c’erano dubbi. Almeno non fino ad ora…

“Mi spiace ma di quelli come lei io non mi fido!” esclamò dopo un po’ lei, vedendo che il suo compenso tardava ad arrivare “Voglio i miei soldi. E li voglio adesso!”

 “Si calmi…” cercò di rabbonirla Spike “mi lasci solo il tempo per fare una doccia e poi sarò subito fuori da questa stanza.” “Per la doccia doveva pensarci prima!” gridò di nuovo la donna, mettendo a dura prova l’udito sensibile del vampiro “Cosa pensa, che siamo qui per fare beneficenza?! E’ già mezz’ora che la camera non le appartiene più! A meno che non paghi per un’altra notte se ne deve andare e mi pare di averle già detto che in caso contrario questo le verrà altri 75 euro!” “Ok, ok, si calmi…” “Mi calmerò quando avrò le sue banconote sul palmo della mia mano.” sbraitò “E non creda di imbrogliarmi sa: io non sono nata ieri!”

Beh, di femminile quella donna non aveva proprio niente…

“Va bene, ecco…” sospirò il vampiro tendendole un mazzetto di soldi  che teneva in tasca “Dovrebbero essere sufficienti per un altro paio di notti. E adesso mi lasci in pace!”

“Ok. Come vuole!” esclamò lei con un largo sorriso sulla faccia tonda, soffermandosi ancora un attimo a guardare quel bel biondo che la sorte aveva messo in una delle sue camere, per poi voltarsi e mettersi a scendere le scale traballando vistosamente sui tacchi altissimi.

“La colazione viene servita alle 7. Se desidera qualche sevizio extra deve solo scendere e suonare il campanello!”

 

Spike alzò gli occhi al cielo, esasperato.

 

Ci mancava giusto un’affittuaria isterica e per di più tirchia come Anya per completare il quadro già abbastanza ampio delle sue conoscenze! Ma chi gliel’aveva fatto fare di fermarsi proprio in quella pensione, si chiese. Non poteva semplicemente dormire sotto un ponte, come fanno tutti i senzatetto, e poi ripartire in fretta una volta trovata Marta? Stava per tornare in camera, quando una voce proviene dalle sue spalle non lo distrasse improvvisamente dai suoi pensieri, facendolo quasi precipitare giù dalle scale.

 

“Mamma Agata è sempre molto diffidente con chi non conosce. Ma devi essere paziente: non è facile mandare avanti una pensione da soli…”

 

Il vampiro si voltò di scatto verso la ragazzina apparsa misteriosamente sulla soglia della sua camera da letto. Come una fantasma.

 

“E tu chi saresti?” chiese, non poco stupito da quell’ apparizione improvvisa. Per tutta risposta, la giovane scoppiò a ridere. Una risata argentina, dolce, come i suoi occhi color nocciola che brillavano di luce propria riflettendo il sole della piccola finestra sul ballatoio delle scale. Una risata contagiosa, che ti scaldava la mente e l’anima. Spike si sorprese nel vedere una creatura così, in un posto squallido come quello...

“Penso di non aver capito come ti chiami?” chiese quindi, sorridendo a sua volta

“Ed infatti non te l’ho detto, ma rimedio subito: ciao!” esclamò quindi lei, allungando una mano verso il vampiro che la guardò stupito “Io sono Christal. E tu chi saresti?” Deliziosa, piccola, fanciulla. Spike sorrise ancora, prima di stendere la mano a sua volta e stringere le dita minute della ragazzina. “Io sono William” rispose lui, sempre sorridendo “Quanti anni hai?”

Christal scoppiò a ridere di nuovo.

“E adesso che cosa c’è?” chiese Spike stupito, lasciando le dita della ragazza. Possibile che…

Christal cercò di calmarsi un attimo, poi gli indicò una botola e una lunga scala che doveva probabilmente condurre in soffitta.

“Perché non sali da me, William? Potremmo tenerci compagnia per un po’…” propose. E senza aspettare una risposta cominciò a salire, lasciando che la gonna, svolazzante, si soffermasse per un istante davanti al volto stupito del vampiro scoprendo le mutandine bianche di pizzo.

Spike la guardò salire sorridendo. 

Ed alla fine, decise di seguirla su per le scale.

 

*****

 

Los Angeles, 17 maggio 2004

 

“Bene!” esclamò la ragazzina indicando la porta “L’indirizzo dovrebbe essere questo”

“A occhio e croce…” annuì Willow squadrando poco convinta la targhetta di metallo mezzo staccata fuori dalla porta che recava la scritta “Rupert Giles. Benvenuti!”

“Beh…” fece Buffy avvicinandosi “è un po’ in disuso, ma è sempre la casa del nostro caro, vecchio, amico osservatore. Non è così ragazzi?”   Un mugolio di approvazione le fece comprendere quanto poco fossero convinti della sua ultima affermazione.

“Ok… allora…  non c’è che un modo per scoprirlo…” disse Buffy. Ma mentre si voltava, il pugno già alzato in direzione della porta con l’intenzione di bussare, uno strano individuo vestito con eleganti jeans blu e camicia nera, comparve sulla soglia bloccandole la mano a mezz’aria.

La pelle abbronzata, la camicia aperta sul torace, la capigliatura scarmigliata e lo sguardo provocante lasciarono la cacciatrice senza parole, intenta a chiedersi se davvero la persona che si trovava davanti a lei fosse uno studioso amico di Giles o magari soltanto l’elettricista. Un gran bel pezzo di elettricista a dirla tutta. E con la stretta di mano più sensuale che avesse mai provato.

“Posso esservi utile?” chiese dopo un attimo lo sconosciuto, con un sorriso smagliante.

Buffy sorrise a sua volta, rimanendo per un lungo istante senza parole, persa negli occhi viola del ragazzo.

 

*****

 

Nyons, Francia, 17 maggio 2004

 

“Allora…” cominciò il vampiro non appena fu entrato nella stanza della ragazzina “Tu saresti?”

“Te l’ho già detto, mi chiamo Christal” ribadì lei, fermandosi in piedi, dritta, immobile nel centro della stanza. Spike la squadrò divertito.

“Ah, già, Christal… che bell’appartamento che hai, Christal… un vero tocco di classe” disse ironico, additando la soffitta poco illuminata e le carte dei tarocchi sparsi un po’ ovunque.

“In effetti è un po’ spartana, ma a me sembra che sia anche abbastanza confortevole no?”

Numerose piccole candele illuminavano la stanza e strane stoffe multicolori erano drappeggiate un po’ ovunque, cadendo morbide dai pochi mobili fino al pavimento di legno scuro. Un tavolinetto basso e tondo regnava sovrano al centro della camera.

Spike annuì e la ragazzina si avvicinò a quest’ultimo, incominciando a raccogliere i tarocchi.

“William, giusto?” lo richiamò Christal, alzandosi dal mobiletto nel quale aveva riposto le carte, fissando il vampiro negli occhi. E facendo un piccolo passo avanti, con calma ricercata. “Hai delle iridi davvero incredibili, William, te l’ha mai detto nessuno?” chiese “Scommetto che più di una ragazza ne è rimasta abbagliata e vi si è perduta cercando di carpirne le profondità…”

“A dire la verità, almeno un paio” rispose lui, riferendosi più che altro ai suoi più antichi trofei “E tu? Niente capacità nascoste?” chiese, mentre osservava la ragazzina versare del liquore ambrato in un lucente bicchiere di cristallo. 

Christal alzò le spalle con noncuranza.

“Solo un po’ di spirito di osservazione e un gran mal di testa una volta ogni tanto. Whiskey?” chiese, porgendogli il bicchiere colmo quasi fino all’orlo “O non è di tuo gradimento?” Spike si fermò a guardarlo, non sapendo bene se accettare o no. Poi, con un sorriso sarcastico, si lasciò sfuggire

“Che cosa dovrei aspettarmi da te cacciatrice?”

La ragazzina lo squadrò di nuovo, sorridendo. Evidentemente, quel vampiro era più scaltro di quanto pensasse…

“Non sono stata l’unica a non aver vuotato il sacco, vero William?” disse quindi, posando di nuovo il bicchiere sul tavolino ed aprendo invece uno scomparto segreto, dietro a quello dove teneva il liquore.  “Hai sete… Spike?” chiese quindi, porgendogli una brocca colma fino all’orlo di sangue.

Il vampiro rimase per un attimo interdetto. Doveva essersi accorta che lui era un vampiro, almeno da quando lo aveva guardato, eppure… gli offriva da bere?! Questo non aveva veramente alcun senso! A meno che… Si dipinse sulla faccia un’espressione molto provocatoria, cosa che non gli risultava particolarmente difficile, e disse: “Accidenti cacciatrice, non sono così idiota!” La ragazzina non parve particolarmente sorpresa. Intinse invece un dito nella brocca, leccando via velocemente il liquido purpureo con una faccia schifata, e poi gli porse il contenitore.

“Come puoi vedere dalle mie labbra” disse “ha un sapore orribile ma non è avvelenato. E adesso mangia. Si vede lontano un miglio che sono diversi giorni che non tocchi del cibo! Forse avresti bisogno di bere direttamente dalla fonte, ma…” 

“Farò finta di non aver colto la provocazione…” sorrise il vampiro, accettando la caraffa.

Spike afferrò la brocca, aspirò l’intenso aroma del liquido ferroso e se lo portò alle labbra.

Per un attimo, solo per un attimo, il demone che da tempo era sopito dentro di lui tornò a riemergere prepotentemente. Spike non si accorse nemmeno di quello che gli stava accadendo. Sotto gli occhi attenti di Christal, il bel volto del vampiro mutò quasi istantaneamente, tanto da farle chiedere se l’altro fosse mai esistito. Lo sguardo esterrefatto della ragazza ed il suono indescrivibile della sua giugulare che pulsava, lo stordirono per un secondo, quel tanto che gli bastava per rendersi conto che qualcosa non quadrava. E che le sue dita, strette attorno alla brocca di cristallo, erano sul punto di frantumarla.

Inspirò lentamente, socchiudendo gli occhi. E si concentrò sul liquido rosso che aveva davanti.

Denso. Rosso. Sangue…

Non poteva credere che gli stesse succedendo davvero…

 “Perché lo fai?” chiese Spike dopo un po’, ritornando faticosamente al suo volto normale.

Christal lo guardò, sollevata.

Non gli era mai successo prima di perdere il controllo così, all’improvviso, senza alcuna apparente ragione. Forse, forse quando era sotto l’influenza del Primo… ma anche lì le perdite di memoria erano precedute da vertigini e da un sacco di altri sintomi… ma allora… cosa diavolo gli stava succedendo adesso?!

“Sai quanto può essere pericoloso, anche per una come te…” continuò voltandosi “Tu sei un’umana ed io sono un vampiro. Che cosa ti aspettavi che facessi? Che mettessi fine alle tue sofferenze? Quelle come te nascono per uccidere quelli come me.” Christal alzò le spalle annoiata. “Bla bla bla...” disse lei, voltandosi dall’altra parte e stiracchiando le braccia prima di buttarsi a peso morto sul letto che occupava l’angolo sinistro della soffitta. “Per come la vedo io, essere una cacciatrice non è altro che una grande rottura di palle!” Spike inclinò la testa di lato, quasi volesse guardarla meglio. Forse per sincerarsi che non fosse completamente matta.

“Rilassati!” esclamò dopo una attimo la ragazzina, battendo una mano sul letto vicino a sé “Non è successo niente. E comunque, se devo correre, sudare, stancarmi, combattere e alla fine, magari, rimetterci anche la pelle non voglio ricevere in cambio solo un bel mucchietto di cenere. D’oro forse, ma la cenere. E poi, odio sporcare il pavimento! Ci sono molte altre ragazze che possono farlo al mio posto, non credi?”

“Ma… allora perché mi hai invitato ad entrare? Il tuo destino?” chiese Spike, del tutto spiazzato da una risposta del genere

“Mettiamola così” tagliò corto Christal, cercando nel frattempo qualcosa di non meglio precisato dentro il beauty ed estraendone infine, raggiante, una lunga matita viola “se fossi stata l’unica, allora mi sarebbe importato un po’ di più di fare il mio dovere. Per fortuna, non è così. E adesso mangia!” esclamò sedendosi con le gambe accavallate e cominciando a rimettersi a posto il trucco. “Non mi piace parlare con gente costretta a stare a stomaco vuoto…”

 

*****

 

Los Angeles, 17 maggio

 

“Posso esservi utile?” chiese l’uomo, squadrando con un sorriso disarmante le tre ragazze in piedi di fronte alla porta.

Buffy era diventata praticamente un pezzo di ghiaccio e Down fissava con imbarazzo Xander del tutto disorientato.

 “Noi… ecco…” balbettò Willow intrecciando le dita con i laccetti neri del maglione fino a non saper più distinguere il medio dal pollice “Forse abbiamo soltanto sbagliato indirizzo… sa com’è… con tutte queste vie… così… sconosciute…” inventò

“Ah-ah…”

Il giovane uomo si tolse gli occhiali dal volto e si mise a sfregarli energicamente con un angolo della camicia, per poi puntarli distrattamente contro la luce del sole. Un gesto estremamente da osservatore.

“Voi cercate la casa del signor Giles, dico bene?” chiese, rivolgendosi nuovamente alle ragazze “Allora tu devi essere Buffy Summers… e tu…” disse, spostando lo sguardo sugli altri senza aspettarsi comunque una vera risposta “tu devi essere Willow e tu Xander, la bella Down suppongo...” “E i nostri bagagli provenienti direttamente da tutte le parti dell’Italia! Potrebbe portarci per cortesia dal signor Giles adesso?” esclamò Buffy con un tono secco, quasi che si trovasse davanti ad un demone schifoso da eliminare seduta stante.

L’uomo si spostò immediatamente e tese una mano in direzione dell’ingresso, invitandoli ad entrare. Aveva un aspetto decisamente troppo… giovane per essere un osservatore. Ed i capelli erano troppo lunghi, scomposti.

“Il signor Giles vi attende nel suo studio. Cominceremo la riunione non appena vi sarete sistemati. Nelle vostre rispettive stanze troverete tutto quello che può esservi utile per il soggiorno e… fantastico vestito Down, dico sul serio…”

“Lei!” esclamò Buffy visibilmente sulla difensiva, l’indice teso a due centimetri dal volto del giovane. Nemmeno il comportamento era di quelli che si studiavano ad Oxford, pensò. Anche se non era mai stata da quelle parti ne era più che convinta! “Non si azzardi nemmeno a guardare di nuovo mia sorella in quel modo, ha capito bene?”

Il giovane non la degnò di uno sguardo e continuò a parlare, con un tono che a Buffy diede, se possibile, ancora di più sui nervi.

“Il the viene servito alle cinque. Sono felice di vedere che non ti sei per nulla arrugginita cacciatrice” le disse poi, porgendole intanto l’altra mano in segno di benvenuto “Piacere di conoscerti. Io,

sono Vincent Claidfort”.