LA MIA WILLOW
Di Josephine
Disclaimer: I personaggi utilizzati sono
di proprietà di Joss Whedon, di David GreenWalt e della 20th Century Fox
Television Production. Sono stati utilizzati senza il consenso degli autori, ma
non a fini di lucro. Non rivendico su di loro alcun diritto per averli
utilizzati.
La mia Willow
Era una strega e lo si capiva subito. Quando la vidi
affiggere quel semplice foglio stampato alla porta, il pensiero sviscerò in me
immediatamente.
L’avevo osservata di sfuggita mentre conversavo con
una mia collega, durante la passeggiata nella pausa pranzo: i capelli lunghi
rossi e un maglioncino aderente lilla; un lampo di colore improvviso fra il
grigio cemento degli edifici della city.
Non resistetti e lessi le lettere di quel foglio che
danzavano davanti ai miei occhi, “Cercasi commessa per negozio di magia”.
<<Se ti interessa il posto è tuo!>> la
sua voce fece eco nella mia mente, mescolandosi alle parole commessa e negozio
di magia; fluttuò nell’aria.
Ora potevo vederla bene, era dritta di fronte a me,
si rivolgeva a me.
Sì, i capelli erano lunghi e rossi, il maglioncino
era lilla, una figura esile, sottile, da bambina, il sorriso divertito da elfo
irriverente ed inattesi, inadatti, due magnifici occhi verdi. Impenetrabili.
Monica, la mia collega, mi affondò una gomitata:
<<Geike! Ti interessa o no?>> sibilò.
<<Io… io… Sì, ok, per me va bene, ma… Io, beh,
ho anche un altro lavoro… otto ore… ufficio…>> biascicavo slegando le
parole, incapace di correlazionare grammatica e sintassi.
Quel dannato verde non si staccava da me.
<<Perfetto! Cercavo per l’appunto qualcuno che
mi aiutasse nelle pause e di sabato. Io mi chiamo Willow e tu sei
assunta!>>
Allungò una mano.
Dita sottili, disadorne, tranne per un minuscolo
nastro verde che le cingeva il polso destro.
Strinsi le sue dita e quel verde mi compenetrò
dentro, facendomi vacillare. Mi persi, frastornata, fra le galassie di stelle
che altro non erano, leggere efelidi che percorrevano il suo volto.
<<Willow! Io non so nulla di magia!>>
esordii mentre reggevo uno scatolone zeppo di candele profumate.
<<Non ti preoccupare. Quelle poggiale
lì.>> mi rispose occupata a mescere fra loro alcune polveri colorate.
Erano trascorsi solo pochi giorni dall’inizio del mio
lavoro al “Magic Shop” eppure quel luogo mi era venuto stranamente familiare.
Conoscevo l’esatta ubicazione d’ogni singolo libro,
pozione, articolo. Ne avevo memorizzato i prezzi, l’uso, le indicazioni e
controindicazioni, eppure qualcosa ancora mi sfuggiva.
Non capivo. Questo era il mio cruccio.
Non comprendevo lei. Il mio capo, Willow.
<<No! No! Non mescolare mai le candele
divinatorie con quelle extrafiammeggianti!>>
Sussultai. Soprappensiero stavo disponendo
casualmente il contenuto dello scatolone sullo scaffale.
Si avvicinò a me. Con il suo profumo, con la sua
essenza, leggera ed intensa, con la sua voce, miele fuso sull’anima, fu al mio
fianco.
<<Non avvicinare mai questi due tipi di
candele. Le prime…>> prese fra le mie dita una candela divinatoria dal
colore verdognolo, quasi blu <<Serve a propiziare un rito, a richiamare
l’attenzione, il fumo che sprigiona è odoroso, intenso, quasi denso. E’ molto
potente.>> circuì le mie spalle con un braccio fino a raggiungere l’altro
genere di candela, dal colore più chiaro, fra il beige e il giallo.
<<Questa invece è extrafiammegiante, il suo fuoco è talmente rigoglioso
da essere quasi ipnotico. Serve a rilassarti, a confortarti, a scacciare le
paure. Brucia le tue insicurezze, lascia solo il profumo…>> la avvicinò
alle mie narici, lentamente, dolcemente.
Era così vicina a me, la sua presenza lì, tangibile,
al mio fianco con quel verde avvolgente. Il contorno della sua figura sfumava
ai miei occhi, restavano solo le sue dita leggere sopra le mie, mentre
reggevamo la stessa candela.
Mi scostai bruscamente, ai miei polmoni mancava
l’aria.
Respira. Uno, due, tre. Respira.
Inspira, espira.
Lottavo contro ogni singolo battito del cuore.
Rallentati o arrestati se necessario.
Ma non togliere mai quel verde davanti a me.
<<E questi rametti secchi qui?>> indicai
un barattolo zeppo di corte stecche di legno <<Combustibile magico per
accendere la stufa in mancanza della “diavolina”? >> cercai riparo in una
battuta stupida.
Il sorriso da elfo sbucò fra quelle fra quelle labbra
sottili.
Dolcemente, disarmante, mi aggrappai al bancone per
non cadere ai suoi piedi.
<<Silvus arboretum…>> la mia mente
vanificò alla partenza il tentativo di comprendere quel nome. <<Serve a
cancellare la memoria, far tabula rasa di tutti i brutti ricordi.>>
Risi. << Non ci credo, non è possibile
cancellare i ricordi dalla mente delle persone! Mi prendi in giro Will, stai
scherzando!>>
<<Io non scherzo mai con la magia!>> una
lastra d’acciaio che aveva ghigliottinato le mie parole.
Divenni seria anch’io. <<Non posso crederti, mi
dispiace.>>
Il verde era sempre più magnetico, il suo profumo più
inebriante, stavo lentamente, inarrestabilmente perdendo il controllo.
Lei scivolò al mio fianco, breve tangenza di corpi,
sgusciò via. Andò verso la porta del negozio alle mie spalle.
Mi voltai di scatto, impaurita, la vidi rovesciare il
cartoncino “aperto/chiuso”. Girò la chiave nella toppa.
Lentamente si avvicinò a me.
In panne, stavo contando le efelidi sul suo viso.
Quasi da mangiare.
Una ad una.
<<Cos’è per te la magia, Geike?>> mi
chiese, la sua voce proveniva da chissà dove.
Lontano, lontano, molto lontano.
Annullai la distanza e la baciai.
In modo leggero. Solo un lieve sussurro di labbra.
A contatto.
<<Questo per me è magia.>> dissi.
E avvenne. Quello che avevo sempre taciuto a me stessa,
oscurato, censurato e plagiato.
La mia ossessione.
Il sesso con Willow.
Sfilai il suo maglione e rivelai il suo corpo dalla
pelle bianchissima, candida, pura. Era mia ora.
Potevo assaggiarla, morderla, possederla.
Il sussurro delle nostre labbra divenne un urlo, un
intrico di lingue impazzite.
Rotolammo a terra, legate, avvinghiate, strette quasi
senza respirare.
Ebbi l’urgenza di sdrammatizzare, di rendere tutto
quello meno didascalico, non più solo un’appagante ginnastica; renderlo buffo,
allegro, evitare alla mia anima di dannarsi per quel mare verde.
Lei era su di me, sotto di me, attorno a me, il suo
corpo compresso, teso, tanto da leggermi nel pensiero.
Allungò una mano e strinse fra le dita una manciata
di polvere colorata, la gettò sopra di noi e disse qualcosa semi–soffocata dai
miei baci.
Un’altalena di colori sopra le nostre teste, un
incendio di colori, rosso, giallo, verde, blu: fuochi artificiali.
Il suo sorriso da elfo si intrufolò nuovamente fra le
sue labbra. <<Così potrai dire in giro che quando fai l’amore con me vedi
i fuochi artificiali!>>
Risi, mordendole una spalla. Lei fu sopra di me, i
suoi capelli lunghi, rossi, sulla mia pelle abbronzata, quasi fuori posto.
Percorsi con le dita le sue natiche, sode e perfette,
luna pallida a cui offrire il mio voto.
Mi sollevai in piedi, trascinandola a me, le sue
snelle, lunghe cosce intrecciate alla mia vita, di colpo, bruscamente,
l’urgenza buffa scomparve, lasciando il posto all’eccitazione, alla pura
esaltazione sessuale.
Niente più scherzi, volevo farla venire lì, adesso,
subito.
Lingua, dita, fianchi, dentro di lei.
Finalmente penetrai la sua vagina con il mio
clitoride.
Scopammo.
In me si contrassero muscoli, sangue, orgasmo.
Definitivamente fu persa nel suo lato oscuro.
Willow, non ti ho mai amata così tanto.
Ritorna a me, ora il verde non è più oscuro.
Era il mio turno e lei lo sapeva.
L’avevo guardata venire e basta. Senza
partecipazione.
Lei lo sapeva, la sua lingua delicata, leggera.
Affonda in me, ti prego!
Ti supplico!
Fu allora che lo vidi.
Che vidi la vera Willow.
Vidi la sua vita lontano da qui, vidi i suoi amici,
l’unica, la sola, la bionda cacciatrice con la sua forza e la sua solitudine,
poi un ragazzo bruno capace di vedere dove gli altri non vedono, poi un Angelo,
mostri, vampiri, un lupo mannaro (togliele le mani di dosso!) poi ancora mostri
e vampiri, una giovane teen-ager pronta a sbocciare, una bellissima e
squinternata demone vendicativa, mostri, demoni, vampiri buoni, Capitan
Perossido, e… Tara…
Oh, Tara!
L’angelo biondo con gli occhi azzurri.
La detentrice del cuore di Willow.
“Ciao, sono io” la sua mano sulla tomba.
Mi sollevai di scatto, Willow sapeva ciò che avevo
visto, il suo lato oscuro.
Lei, lei, la vera Willow, non più la mia Willow.
Non era mai esistita.
Mi rivestii in silenzio, ruotai la chiave nella
serratura e me n’andai.
Trascorsero alcune settimane, evitai con cura il
Magic Shop, evitai con cura il solo pensiero dell’elfo dai capelli rossi con mi
aveva vampirizzato il cuore.
Una sera dopo palestra feci compagnia a mia sorella,
impigrita sul divano, intenta a sgranocchiare pop-corn.
Affondai le mani nella terrina. <<Che
guardi?>> chiesi senza che lei si degnasse di voltare il viso verso di
me.
<<Buffy, the vampire slayer, in italiano, Buffy
l’amazzavampiri.>>
<<Che roba è? Cambia su Discovery Channel c’è
un documentario sui koala…>> ribattei io con la bocca piena.
Mia sorella allungò una mano togliendomi il
telecomando dal raggio d’azione delle mie mani.
<<Non sei cosciente di quello che dici!>>
affermò <<Buffy è uno dei serial migliori mai stati prodotti fin ora.
Mescola magistralmente fantasy, commedy e drammaticità dei personaggi…>>
non riuscii a seguire ulteriormente le sue parole perché un’immagine rimase
fissa lì, sullo schermo.
Una Willow in lacrime, in ginocchio che parlava di
Tara, ma che illudo, lo spero, lo voglio, deve farlo, parlasse anche a me.
<<Vengo punita, ti ho baciato solo per un
attimo ed è bastato.
L’ho lasciata andare e lei non era ancora andata via,
era qui con me, dovevamo stare assieme per sempre ed io ho lasciato che
morisse.
Adesso è morta davvero.
Ti prego, tesoro, mi dispiace tanto.
Torna indietro, mi dispiace.
Torna indietro!>>