LASCIA CHE TI RACCONTI ….


IL FANTASMA






DISCLAIMER: I personaggi di Buffy the Vampire Slayer ed Angel: the Series appartengono a Joss Whedon, la ME, la WB e la Fox. Isabel, James, Laurence e Bonnie sono creazione delle autrici. Non scriviamo a scopo di lucro e non intendiamo violare alcun copyright.

AUTHOR: Mary & Sue.

Come sempre, se siete orripilati da Spike prendetevela con la gatta Sue, se vi hanno fatto orrore Angel e Kate, invece, prendetevela pure con la gatta Mary.

PAIRING: nessuna...

RATING: AU (molto AU….in quantità industriale)

SPOILERS: Fool For Love, Becoming e Prodigal.

TIMELINE: Londra, 1901 e Los Angeles 2001, subito dopo Ephifany.

SUMMARY: Londra, 1901. Due vampiri per le strade oscure della capitale inglese.

Uno vuole salvare , l'altro non vuole essere salvato.

In un gioco che sembra infinito, fino a che, fra di loro, non si pone un dolcissimo fantasma del passato.

DISTRIBUTION: Il nostro sito: Due Uomini e Una Gatta, chiunque altro…basta che chieda.

NOTE. Attenzione!! In questa Fan Fiction si immagine che Angel non abbia ancora mutato il suo nome, per cui non svenite quando leggerete di un "Angelus" buono!

Siamo pazze, ma non fino a questo punto!

Comunque sia, per evitare confusione, il nome del nostro coprotagonista sarà scritto in corsivo, per non essere confuso con quello del demone che lo abita.

FEEDBACK:

A Sabrina, che ci ha fatte incontrare, che ci regala ogni giorno il dono inestimabile della sua magia, e che ha riempito una fetta dei nostri cuori con qualcosa di inestimabile e prezioso... lei stessa.


Da Mary a Sue.

Non esistono parole per esprimere quello che sei diventata per me.

E, forse, non devo neanche cercarne perché tu comprenda.

Solo… apri il tuo cuore…

A David e James, due attori meravigliosi, per aver dato un sogno a due ragazze, e, follia per follia, a Angel e Spike, che a questo sogno hanno dato un nome.

Grazie.


IL FANTASMA



Londra, Inghilterra, 1901


Casa dolce casa…


Londra, le cui notti, da sempre, gli provocavano un brivido di piacere come non aveva mai trovato negli altri posti visitati da quando era stato vampirizzato.


Londra…


Londra era fredda, umida…e riusciva a sentire la presenza delle persone ovunque si voltasse.


Il loro odore, il loro sangue… dolce, vellutato… sembrava chiamarlo.


Spike aveva fame.


La lunga traversata dalla Cina all’Inghilterra lo aveva lasciato furioso…ed affamato.


Come aveva osato quel bastardo? Chi diavolo credeva di essere per sapere cos’era, cosa voleva realmente?


Aveva dimenticato quanto avevano fatto insieme quando era ancora libero dell’anima?


Sentiva il puzzo della sua anima ogni volta che erano insieme …sembrava avergli impregnato le carni, le parole, le azioni.


Spike non era così.


Si sentiva potente, utile, forte solo quando I suoi denti affondavano nei colli delle sue vittime, solo quando con le sue mani infieriva, impartendo dolore…


Sofferenza…

Paura…


Era l’odore della paura e rendere il sangue così squisito, un nettare del quale non si sarebbe stancato mai, checché ne dicesse quella mammoletta di Angelus.


La notte era sua, si sentiva il padrone di essa, si muoveva agilmente tra I vicoli della città, sicuro, sfidando il mondo a venirgli addosso.


Sfidando …


Desiderando la sfida…


Desiderando tornare in Cina, dalla sua famiglia.


"Non sei perduto, Spike…" Gli aveva detto Angelus all’inizio della loro traversata, "c’è ancora umanità in te…c’è ancora William"


Aveva torto.


Doveva avere torto. William Appleton era stato un fallito, un debole, un povero illuso…talmente puro da dargli la nausea.


William Appleton si era lasciato schiacciare da chiunque, non aveva mai proferito una parola cattiva contro un altro essere umano.


William Appleton aveva avuto rabbia dentro di se, e si era sentito in colpa per quei sentimenti.


A William Appleton era stato insegnato a porgere l’altra guancia…


Lui non era William Appleton…


Quell’essere patetico era morto tanti anni prima, in una strada molto simile a quella dove stava camminando in quel momento…


era morto, solo per cominciare la sua vera vita.


Aveva fame: una fame bruciante, che non gli dava tregua.


Spike voleva sangue umano.


Era stanco di sangue di topi, mucche, maiali e di tutte le altre bestie…


Sangue umano, ecco quello di cui aveva bisogno…a cui aveva diritto.


Che Angelus continuasse ad illudersi…gli avrebbe mostrato che non c’era niente di umano in lui. Non più.


Lui aveva fatto si che non ci fosse.


Lo aveva fatto per il suo sire, per la sua regina nera…per la sua adorata Drusilla.


Lo voleva nero, come lei.


Lo aveva sollevato da una mediocrità deprimente ed inutile, rendendolo quello che era, quello che voleva e doveva essere.


Un demone.


Un vampiro.


Un assassino.


Svoltò un angolo.


Una prostituta era appoggiata contro una parete.


Aveva il volto stanco, e quella stanchezza era accentuata dal trucco pesante.


Spike sogghignò.

Il sangue delle persone disperate aveva sempre un sapore particolare, un retrogusto che soddisfaceva il suo demone in modo quasi fisico.


"Ehi, dolcezza…" Soffiò la donna, quando lui le si avvicinò.


Spike le sorrise.


Adorava giocare con le sue vittime.

Adorava affascinarle, prima di terrorizzarle…


Faceva parte del gioco, della caccia…della sua natura.


Angelus poteva parlare fino a diventare cianotico di William, della sua umanità, dei suoi sentimenti…ma la verità era un’altra.


Gli avrebbe fatto trovare il corpo straziato di quella puttana inchiodato ad una porta, ed avrebbe scritto sulle pareti con quel po’ di sangue che le fosse rimasto in corpo dopo essersi cibato di lei: ‘TI BASTA, ANGELUS?’


"Notte fredda, eh?" Domandò la donna, avvicinandoglisi ulteriormente.


Spike strinse le labbra, inclinando la testa di lato.


La donna era giovane, e sarebbe stata molto bella, se la strada e la fame non le avessero indurito il volto e lo sguardo.


Spike le circondò la vita con un braccio attirandola a se e mormorò: "Fino a questo momento…ma penso che le cose possano cambiare…"


La donna rise, gettando la testa all’indietro, e Spike deglutì osservandole il collo candido, coperto in parte da un nastro di velluto nero


Allungò una mano e sfiorò con le dita il nastro, indugiando sul punto che copriva la giugulare.


"Puoi pagare, tesoro?" Domandò la donna, occhieggiandolo, muovendo sinuosamente I fianchi contro di lui.


Spike annuì.


Forse prima di ammazzarla, si sarebbe anche divertito un po’.


William Appleton era stato puro, non aveva conosciuto I piaceri della carne…

Lui li conosceva.


William Appleton non aveva saputo ammaliare una donna con un sorriso, uno sguardo, una parola.

Per Spike era naturale, invece, era semplice…ed era divertente.


Baciò con forza la donna, mentre per un istante le parole dette da Cecily, la notte in cui era stato vampirizzato, gli tornarono alla mente.


Tu non sei niente per me…


Niente.


Ecco cos’era stato William Appleton…ed Angelus, pieno di delirio di onnipotenza, avrebbe voluto riportarlo indietro?


Si sarebbe fatto polverizzare piuttosto che permettergli una cosa del genere…anche se fosse stato possibile… e non lo era.


La donna rispose con passione al suo bacio, e Spike fu tentato di cominciare ad attingere al suo sangue mordendole le labbra.


Era una cosa che Angelus gli aveva insegnato: il connubio tra sesso e sangue…


Ne esisteva uno migliore?

Ne dubitava, eppure non riuscì a farlo.


Voleva godersi quel momento, voleva recuperare il tempo perduto, voleva dare una lezione ad Angelus.


Sarebbe partito poi, avrebbe trovato Darla e Drusilla, e con loro avrebbe continuato a seminare il terrore per l’Europa, ridendo della stupidità di Angelus.


Spinse la donna contro la parete.

Non con violenza, non ne aveva bisogno.


Il sangue delle donne eccitate per lui, per il suo corpo e le sue parole, era un fortissimo afrodisiaco per Spike.


La paura era solo il tocco finale, la ciliegina su una torta che intendeva godersi fino all’ultima briciola…o, nel caso specifico, fino all’ultima stilla.


La donna gli cinse il collo con le braccia e mormorò: "Che ne diresti se riscaldassimo un po’ questa pelle fredda?"


Spike sorrise contro il volto della donna, mentre le sue mani si spostarono verso I fianchi di lei per attirarla contro di se.


"Pensi di riuscirci, dolcezza?" Le sfiorò con le labbra il collo, graffiando la morbida pelle con I denti.


Il suo volto non era ancora mutato, stava aspettando il momento giusto.


La donna inarcò la testa fornendogli libero accesso al suo collo, incitandolo, anzi, passandogli una mano tra I capelli.

"Io penso di sì, tesoro…"


Il sorriso di Spike si allargò contro il collo della donna.


Già pregustava il suo sangue.


Sentì il suo volto mutare, e chiuse gli occhi, sentendo il suo intero essere vibrare per il potere che avvertiva nel suo mutamento, nel mostrare il suo vero volto, il volto del suo demone.


"Spike!"

La voce di Angelus risuonò improvvisa in quel vicolo.


Al bastardo poteva essere cresciuta improvvisamente un’anima, ma era evidente che ricordava ancora come sbucare alle spalle delle persone e spaventarle…o, nel suo caso, infuriarle.


Spike spinse da parte la donna, che urlò vedendo il suo volto, la ignorò e ringhiò in direzione di Angelus.

"Cosa diavolo vuoi?"



Los Angeles, 2001


Kate aggrottò le sopracciglia, ed abbracciandosi le ginocchia contro il petto domandò: "Ti aveva seguito?"


"Come un’ombra.


Voleva evitare che mi cibassi di umani…voleva evitare che li uccidessi…o mi divertissi troppo con loro" .


Spike scosse la testa

"Era convinto del fatto che fossi recuperabile, che ci fosse ancora qualcosa di umano in me.

Era convinto che la crudeltà che avevo dimostrato nei vent’anni precedenti fosse stata solo frutto del mio desiderio di piacere a Drusilla…" Si accese una sigaretta e mormorò: "Ed in parte aveva ragione"



Londra, 1901


La prostituta si allontanò velocemente dal vicolo, e Spike notò come Angelus si fosse assicurato che la donna si fosse allontanata prima di mutare volto ed avanzare contro di lui.


"Cosa volevi fare?" Domandò.


"Mangiare e fare sesso…non necessariamente in quest’ordine" Disse Spike, rimanendo immobile.


Vedere il demone di Angelus fare capolino sul suo volto non lo spaventava. Sperava anzi che gli si avventasse contro.


Sperava di far finita quella pazzia, una volta per tutte.


"C’è del sangue in casa…".Replicò Angelus.


"Forse non ti è chiaro il concetto, Angelus…io non ho intenzione di bere sangue di capra…io amo cibarmi degli umani…"


"Non te lo permetterò, Spike…" Disse Angelus a bassa voce.


Spike inarcò un sopracciglio e commentò: "Ma davvero? E come hai intenzione di fermarmi?


Mi colpirai alla testa ogni volta che ho fame?

Ogni volta che voglio uccidere qualcuno?


Sei patetico!" Sputò Spike, voltandogli le spalle ed allontanandosi da lui.


Sapeva che Angelus lo stava seguendo, ma non gli importò.


Si sarebbe arreso, prima o poi, e lo avrebbe lasciato in pace…

E finalmente le cose sarebbero tornate alla normalità .



Los Angeles, 2001


" Non sapevo ancora quanto Angel potesse essere ostinato" Disse Spike.


Vi era divertimento nella sua voce.


"Quello che si dice sugli Irlandesi è vero, sai? Sono cocciuti come muli.


Andammo avanti così per settimane…


Io mi avvicinavo ad una potenziale vittima ed Angel mi sbucava alle spalle, impedendomi di uccidere…

Ogni notte gli sputavo contro veleno, rabbia…ma lui non demordeva…"


"Perché non lasciasti Londra?" Domandò Kate, incuriosita.


Spike aspirò una lunga boccata dalla sua sigaretta.


Non rispose all’inizio, non la guardò nemmeno.


Solo dopo qualche istante sollevò la testa e disse semplicemente: "Perché non ero mai stato da solo…"


Sorrise, prima di continuare: "E perché Angel non me lo avrebbe mai permesso…


Si era messo in testa di liberare la parte umana che c’era in me ed intendeva riuscirci, a qualsiasi costo…"


Kate si appoggiò contro lo schienale del divano, e le labbra le si piegarono in un piccolo sorriso quando disse: "Beh, considerando il fatto che sei qui…e che avete passato I cento anni seguenti insieme… deduco che ci sia riuscito, dopotutto…" Si mordicchiò il labbro inferiore prima di domandare: "Come?"


Il volto di Spike divenne improvvisamente molto serio.


Si passò una mano tra I capelli, spense la sigaretta nel posacenere e domandò: "Hai mai visto un fantasma, Kate?"


L’ex poliziotta lo guardò perplessa prima di commentare: " Soltanto quello di mio padre… nei miei incubi"


Spike si ritrovò a deglutire alle parole della donna.


Deglutì a dispetto del nodo che gli si stava formando in gola.


Si schiarì la voce prima di dire: "Fu un fantasma ad aiutarlo…ad aiutare entrambi…il fantasma della mia vita passata…"



Londra, 1901


C’era odore di neve nell’aria.


Londra sembrava immersa in un’atmosfera quasi irreale quella notte.


Spike si guardava attorno.


Sentiva gli occhi di Angelus su di se.


Ormai egli non faceva più mistero delle sue intenzioni, né del fatto che lo seguisse.


Gli impediva di cibarsi di umani, eppure Spike trovava sempre sangue fresco ad attenderlo quando tornava dalle sue cacce infruttuose.


Non capiva nemmeno perché vivesse nella stessa casa di Angelus.


Lo odiava, lo aveva sempre odiato.

Avrebbe continuato ad odiarlo.


Scosse la testa e digrignò I denti.


Era un’idiota.

Avrebbe dovuto andarsene da Londra, avrebbe dovuto lasciare che Angelus lo inseguisse fino in capo al mondo, divertendosi nel frattempo a seminare cadaveri sul suo cammino…invece, rimaneva e giocava a rimpiattino col bastardo.


Le sue riflessioni furono interrotte dalla vista di una donna che camminava all’altro lato della strada.


Spike sentì il terreno franargli sotto I piedi e le coltri del tempo squarciarsi in modo così repentino da farlo quasi barcollare.


La donna, che avvolta in un lungo cappotto grigio camminava sola, in quella strada semi buia, era sua madre.


Non l’aveva vista per vent’anni.


Non aveva nemmeno voluto sapere che fine avesse fatto.

Ne aveva pensato a lei.


Quella donna apparteneva ad un’altra vita, una vita che aveva smesso di avere significato per lui.


Camminava svelta, la figura aggraziata, come la ricordava, e Spike dilatò le narici e dovette abbassare la testa di scatto quando l’inconfondibile profumo alle violette di sua madre gli arrivò alle narici.


Tutto quanto di buono vi era stato nella sua vita mortale, lo aveva sempre associato a quel profumo.


Lunghe passeggiate nei parchi, mattine piovose passate davanti al caminetto acceso a leggere libri che lei gli faceva trovare sulla sua scrivania, pomeriggi assolati passati nel giardino della loro casa…mentre il profumo dei fiori, della terra bagnata sembravano riempirlo…con emozioni tanto forti, che avevano trovato espressione solo nelle sue poesie.


"Mio Dio…" Sussurrò.


Le sue gambe si mossero più veloci del suo cervello, mentre seguiva quella donna.


Sua madre.


I suoi lunghi capelli, come al solito raccolti in un’elaborata crocchia, erano striati di un grigio argenteo.


Spike deglutì, mentre si assicurava che la donna non si accorgesse della sua presenza.


Che diavolo ci faceva, da sola, per strada, di notte?


Quando era vivo l’aveva accompagnata ovunque.

Aveva pensato, allora, quando era ancora ignaro della crudeltà del mondo, che bastasse la presenza di una figura maschile per scoraggiare I male intenzionati.


Quanto era stato stupido ed ingenuo…


La donna, in ogni caso, non aveva paura.


Spike lo sentiva, non riusciva ad avvertirne l’aroma…e ne era felice.


L’odore della paura era troppo forte e troppo eccitante per un demone…o come aveva avuto occasione di vedere negli ultimi vent’anni, per qualsiasi male intenzionato.


Perché la stava seguendo?


Cosa gli importava di cosa facesse, di dove andasse?


Eppure, non riusciva a fermarsi, così come non poteva smettere di tormentare le maniche del suo cappotto.


La donna svoltò un angolo, e Spike attese per qualche istante, prima di farlo a sua volta.


Ora, sua madre stava salendo I gradini esterni di un edificio scuro, e dopo un attimo bussò ad una porta.


Anche da dove si trovava, Spike vide la ragazza che venne ad aprirle e notò il fatto che sembrasse conoscerla.


"Buona sera, Lady Isabel, I bambini chiedevano di voi" Spike udì la ragazza dire.


Lady Isabel Appleton, vedova di Sir. Cornelius Appleton, madre di William Appleton, morto venti anni prima in un tragico quanto inspiegabile incidente.


"Lo so, mia cara, perdonami, devo aver perso la cognizione del tempo… " Si scusò la donna.


Spike deglutì… una due volte…


Aveva dimenticato la voce di sua madre…


Era pacata, dolce, carica di una tristezza che gli aveva sempre stretto il cuore in una morsa…e che anche in quel momento ebbe lo stesso potere.


"Siete andata di nuovo …" Cominciò la ragazza.


La donna però la zittì, e lo fece come solo lei sapeva fare… con un sorriso, che Spike riuscì a vedere persino a quella distanza, notando anche che il volto della donna, contava poche rughe, poche in più rispetto all’ultima volta che l’aveva vista.


La ragazza abbassò la testa e mormorò: "Charlotte ha chiesto di voi tutto il giorno, vuole farvi vedere il suo primo ricamo…"


"Andiamo, allora…" Rispose Isabel.


La ragazza fece un passo indietro, permettendo alla donna di entrare.


Il suono della porta che si chiudeva risuonò forte alle orecchie di Spike, che dovette appoggiarsi contro un recinto, sentendo la testa girargli vorticosamente.


Sentiva il suo intero essere, tutto quello che era, sconquassato da qualcosa che non aveva provato da quando aveva aperto gli occhi vent’anni prima, ed aveva visto tutto attraverso quelli del suo demone: rimpianto…ed un amore così forte che gli riempì gli occhi di lacrime.


Sua madre era ancora viva.



Los Angeles, 2001


"Ti avvicinasti a lei?" Domandò Kate, e Spike le fu grato per il fatto che sembrasse ignorare quanto roca fosse la sua voce.


"Per farle venire un infarto?" Commentò alla fine.


"William era morto, Kate…non ero più il suo bambino…e comunque non avevo il coraggio di farlo…


Cominciai a seguirla però. Ogni sera spiavo I suoi movimenti…"


"Volevi proteggerla?" Domandò lei a bassa voce.


"Sì, anche se all’epoca non lo avrei ammesso nemmeno sotto tortura…


Ero ancora nella fase: ‘sono sporco, brutto e cattivo…’


Ripetevo a me stesso che lo facevo perché non avevo nulla di meglio da fare, dal momento che Angel mi impediva di uccidere…"


"E ci credevi?" Domandò Kate, scettica.


"No" Commentò laconicamente Spike, accompagnando le sue parole ad un mezzo sorriso. "ma questo non m’impediva di ripetermelo in continuazione…"


"Quindi, ricapitolando: ripetevi a te stesso di essere brutto, sporco e cattivo, ma nel frattempo seguivi tua madre per proteggerla e non ti cibavi di essere umani…e Angel?"


"Angel?" Spike giocherellò col suo zippo, spegnendolo ed accendendolo in continuazione, sbattendo gli occhi all’irregolarità della fiamma.


Strinse gli occhi, senza guardare Kate, e disse: "Non commentava, ma sapeva…e seguiva entrambi…"



Londra,1901

Aveva scoperto presto che sua madre lavorava in un centro per bambini abbandonati.


Era in quell’edificio che passava la maggior parte del suo tempo.


Non aveva cambiato dimora, viveva ancora in quella che era stata la sua casa, quando era vivo, e Spike si ritrovava spesso a chiedersi se si occupasse ancora dei suoi fiori, delle sue piante.


Si domandò se nel vassoio sul grande tavolo in salotto vi fossero ancora le caramelle al latte che aveva sempre mangiato da bambino, si domandava se cantasse ancora sottovoce mentre ricamava o se passasse il suo tempo in silenzio.


Aveva scoperto che andava ogni giorno al cimitero, a visitare la sua tomba.


Gli aveva fatto uno strano effetto vedere quella tomba la prima volta.


Sua madre era rimasta in piedi, ad osservarla per qualche istante, poi aveva fatto qualcosa che lo aveva turbato più di quanto fosse stato disposto ad ammettere: aveva cominciato a parlare con lui.


"I bambini sono così vivaci…" Sua madre aveva sorriso stancamente. "molto più di quanto lo fossi tu alla loro età…eri un piccolo così tranquillo…"


Sua madre aveva scosso la testa ed aveva sospirato.

"Sto invecchiando, William…e ti sento così vicino…forse ti raggiungerò presto…


A volte, quando cammino per strada, mi sembra quasi di sentire il tuo sguardo su di me…" Aveva sorriso, stringendosi nel suo cappotto ed aveva detto: "E mi costringo a non voltarmi…


Credo che sarebbe troppo per me la delusione nel non vederti …"


Spike aveva ammiccato alle parole della donna, tentato di avvicinarsi davvero, di parlarle.


Lo desiderava...ma non poteva farlo.


Non voleva avvicinarsi troppo a lei.

Non voleva correre il rischio di farle del male.


Forse, dopotutto, Angelus aveva avuto ragione… forse non era tanto demone come credeva di essere.


Da allora, era stato più prudente, ma non aveva smesso di seguirla…


Non si rendeva nemmeno conto di aver relegato la caccia, il nutrimento in secondo piano, e quando gli capitava di riflettere su quanto stesse facendo, scacciava quei pensieri.


Così come scacciava I ricordi dei suoi primi giorni come vampiro, quando, mostrando un coraggio che aveva sorpreso e fatto infuriare Darla ed Angelus, si era rifiutato di rivelare l’indirizzo di sua madre.


Aveva torturato I suoi cosiddetti amici, aveva tinto del rosso del loro sangue alcuni dei quartieri bene di Londra, si era divertito ad infliggere sofferenza ed aveva bevuto sangue fino a sentirsi sazio…ma era stato adamantino nel non rivelare niente della sua famiglia ad Angelus, Darla e Drusilla.


Era stato allora che Darla aveva cominciato a considerarlo un’idiota, era stato allora che Angelus aveva cominciato a prenderlo in giro…


Ma a Spike non era importato.


Non gli importava niente di sua madre, ma questo non voleva dire che volesse ammazzarla…o almeno questo era quanto si era detto allora.


Non era più sicuro di niente, ora.

Non voleva nemmeno pensarci.


Come al solito, sua madre uscì dal palazzo dove lavorava.


Spike aggrottò le sopracciglia quando si rese conto che teneva un bambino in braccio, proteggendolo con una coperta dal freddo pungente di quella notte.


Si domandò, e non per la prima volta, perché lavorasse in quel centro, così lontano dal quartiere dove viveva.


Si strinse nel cappotto, guardandosi attorno, assicurandosi che né creature della notte né semplici male intenzionati osassero avvicinarsi a lei.


Aveva ucciso dei vampiri, da quando aveva cominciato a seguire sua madre, aveva riconosciuto in essi lo stesso sguardo che doveva avere lui, quando si accingeva a nutrirsi, e lo aveva infuriato più di quanto fosse disposto ad ammettere.


Si era detto che uccidere demoni non era molto diverso dall’uccidere esseri umani, poteva essere, anzi, molto più divertente.


Se non altro la lotta non era impari.


Aveva ignorato, però, la voce che gli ricordava che si era limitato a spaventare I male intenzionati che aveva visto seguire sua madre…non si era cibato di loro, non li aveva ammazzati.


Cosa diavolo gli stava accadendo?


Scosse la testa e strinse I denti, scacciando quei pensieri.


Sua madre continuava a camminare, a passo svelto, stringendo la coperta contro il corpo del bambino che teneva tra le braccia, allo stesso modo in cui aveva stretto lui, da piccolo.


Svoltarono entrambi un angolo e Spike sentì il suo demone fargli capolino sul volto così velocemente che quasi non se ne rese conto, quando da un vicolo sbucarono due uomini che bloccarono sua madre.


Erano entrambi alti e robusti, e Spike sentiva odore di sangue sui loro abiti anche a quella distanza.


Sua madre non sembrava spaventata, strinse però il bambino più forte a se.


I due uomini le giravano attorno, sorrisi crudeli affioravano sulle loro labbra, mentre sua madre teneva la testa alta e cercava di evitare I loro sguardi.


Un ringhio gli si fermò in gola, quando uno degli uomini, allungò una mano che impugnava un coltello e ne fece scorrere la superficie su una guancia di sua madre sibilando: "I soldi puttana…"


L’altro uomo le arrivò alle spalle, sfiorando con le sue mani lerce le spalle della donna, ed aggiunse: "I soldi, poi penseremo al resto…"


Fece per muoversi, ma si sentì bloccare da due forti braccia.

Le braccia di Angelus.


Il vampiro lo bloccava tenendogli le spalle, e Spike sapeva che, sebbene l’altro vampiro avesse smesso di cibarsi di sangue umano, questo non diminuiva la sua forza.


"Dove credi di andare?" Gli sibilò contro il volto.


"Non sono affari tuoi…" Ringhiò Spike, mentre I suoi occhi erano fissi su quanto stava accadendo a pochi metri da lui, sul modo in cui I due uomini stavano terrorizzando sua madre, minacciandola con un coltello e con parole che lo disgustavano, lo infuriavano.


"Sono affari tuoi, invece?" Continuò Angelus con calma, "E’ una vecchia…e tu sei un vampiro…


Hai visto fare molto di peggio… tu sei molto peggiore…non è quello che continui a ripetermi?"


Spike si strattonò, cercando di liberarsi dalla stretta di Angelus, ma l’altro vampiro glielo impedì dicendo: "Perché ti turba tanto, Spike?

Non è molto diverso da quanto Darla e Drusilla fanno…non è quello che vuoi?


Goditi la scena…"


"Tu non capisci!" Ringhiò Spike, mentre una rabbia tanto forte da fargli lacrimare gli occhi lo riempiva, lo soffocava quasi. "E’ mia madre, bastardo! Lasciami andare da lei…"


"No, non è tua madre, Spike…" Continuò Angelus, che non sembrava turbato dalle sue parole. "E’ la madre di William, dell’uomo che è morto vent’anni fa…


Non avete niente in comune.


Tu sei un demone…proprio come Darla, che adora il sangue dei bambini appena nati, o Drusilla, che gode della sofferenza delle persone…


Stai qui buono…non senti la sua paura?


Può darsi anche che tu riesca …"


"Chiudi il becco!" Sibilò Spike. "Vuoi sentirti dire che hai ragione? Che sono la vergogna di tutti I demoni?


D’accordo, come vuoi!

Ma ora lasciami andare da mia madre.

Ha bisogno di me!"


Forse Angelus dovette udire la disperazione nella sua voce anche più chiaramente di quanto lo facesse lui. Spike non ne era sicuro.


Seppe solo che la stretta del vampiro su di lui si allentò, e Spike ammiccò sorpreso quando Angelus, veloce, percorse I pochi metri che li separavano dai due uomini e si avventò su di loro.


Non aveva mutato volto, probabilmente per non spaventare la donna, e Spike dovette faticare, mentre si avvicinava, a far tornare a posto la sua maschera umana.


Maschera…


Spike stava cominciando a chiedersi se quella fosse davvero una maschera…


Sua madre era stata sbattuta da uno degli uomini contro un muretto quando Angelus si era avventato su di loro.


Era seduta a terra, con gli occhi sbarrati, stringendo a se quel bambino, il volto pallido, molto pallido.


Spike si avvicinò piano a lei, mentre ad ogni passo che faceva ricordi ed emozioni lo riempivano, ad ondate tanto forti da meravigliarlo del fatto che non fosse crollato sotto il loro peso.


Deglutì mentre le tendeva una mano per aiutarla ad alzarsi, e sorprese se stesso quando agendo d’istinto, sistemò la coperta attorno alle spalle emaciate del bambino, che nascondeva il volto nel seno di sua madre.


La donna appoggiò con delicatezza, con reverenza quasi, il bambino a terra, e Spike dovette abbassare la testa quando ella fece un passo verso di lui.


Sentiva lo sguardo della donna su di se, sentiva il suo cuore cominciare a batterle forte in petto ed una sua mano stringere forte la propria prima di domandare a bassa voce, con un misto di incredulità e speranza: "William?"


Spike sollevò lo sguardo.


Gli occhi grigio-azzurri di sua madre non erano cambiati, erano ancora profondi, pieni di bontà, tristi…ed in quel momento, colmi di lacrime.


Avrebbe voluto parlarle, avrebbe voluto sfiorarle il volto, scusarsi per averla lasciata sola, completamente sola, ma non lo fece.


Su una cosa non aveva mai mentito ad Angelus…

William, il vero William, era morto...


Così non parlò. Dolcemente lasciò andare la mano di sua madre, lottando contro un malessere, un dolore che non apparteneva né al suo demone né alla persona che era stata.


Le voltò le spalle e si allontanò piano, mentre sentiva Angelus avvicinarsi a sua madre e chiederle se stesse bene.


Maledisse I suoi sensi da vampiro, quando sentì sua madre domandare con voce incrinata : "E’ mio figlio?"


La risposta di Angelus, o di chi diavolo fosse diventato negli ultimi tre anni, lo costrinse a mordersi l’interno delle guance per impedire alle lacrime di riempirgli gli occhi.


Angelus, con la sua voce calma, pacata, rispose: "No, è mio figlio"


Dovette appoggiarsi contro un muro e chiudere gli occhi.


No, è mio figlio…


Spike deglutì, mentre le parole dette da Angelus si ripetevano, mentre il tono con cui erano state pronunciate gli martellava dentro, quasi come il battito di un cuore.


E Spike gli credette…credette ad ogni singola parola…e lasciò che I sentimenti, piano, rientrassero in lui.



"No, è mio figlio…"

Angelus non sapeva perché avesse detto quelle parole.

Spike non era suo figlio.

Non era il suo childe e non era nemmeno un suo amico.

Spike lo odiava, e odiava quello che stava cercando di fare con lui.

E lo avrebbe ucciso se solo gliene avesse dato la possibilità. Se gli avesse voltato le spalle o avesse abbassato la guardia solo per un minuto.

Eppure, quelle parole gli erano sfuggite dalle labbra senza volere, senza pensare.

Forse perché una parte di lui aveva saputo che quella semplice bugia era la sola cosa che potesse fermare la donna che in quel momento stava cercando di liberarsi dalla sua spalla, e dal braccio con cui la tratteneva.

Di spingerlo via.


Esattamente come aveva saputo che vedere lei in pericolo avrebbe rivelato parte della verità al suo cocciutissimo figlio.

Una parte di lui che non era il suo demone, ma apparteneva al suo essere umano.

Una parte di lui che lo sciocco, superficiale ragazzo che lui era stato non avrebbe mai ascoltato.

Il suo inutile cuore freddo…

Eppure, se era così freddo, se era così inutile ormai come poteva ancora stringersi in maniera tanto dolorosa… ogni giorno della sua esistenza, ogni ora, quando il pensiero e il ricordo della sua ignominia non lo lasciavano riposare, e come adesso, mentre i suoi occhi incontravano quelli grandi, intensi, disperati della madre di Spike.

Gli occhi che lei gli aveva donato, di un colore indefinibile che andava dal grigio chiaro al blu inteso, insieme ai suoi zigomi e alle sue labbra, e alla forza che Angelus poteva sentire vibrare nelle loro profondità.

Oltre il dolore, oltre la disperazione, oltre le lacrime che le inondavano il volto.

L'aveva ammirata dal primo istante che l'aveva vista, quando aveva temuto che Spike la seguisse per nutrirsi di lei.

Quella donna alta, magra, elegantissima, di una classe sobria e semplice che non aveva niente a che vedere con la chiassosa ricercatezza di Darla.

Che camminava senza paura per le strade dei peggiori quartieri di Londra.

E quando poi l'aveva vista, aveva subito capito.

Aveva compreso che quella era la donna, la creatura umana, di cui Spike si era sempre rifiutato di parlare, di rivelare il nome o l'indirizzo.

Quella per cui si era fatto torturare dalle sue stesse mani, e che gli aveva procurato il suo disprezzo , e il disgusto di Darla e di Drusilla.

Con un 'ostinazione che, più di ogni altra cosa, più delle stesse sensazioni che provava, venti anni dopo, lo avevano convinto che c'era ancora qualcosa di umano in lui.

Che non era perduto.

E lo aveva sostenuto nella sua decisine, a dispetto di tutto.

Dell'odio, della rabbia manifesta di Spike, dei suoi tentativi di sfuggire al suo controllo, del suo desiderio di uccidere.

Angelus sapeva che la parte umana di Spike, che William era ancora lì, e si univa al suo demone.

Sapeva che la scintilla dell'umanità ardeva ancora nel suo corpo.

Perché sapeva come fosse non possederne affatto.

E quando Spike aveva cominciato a seguire sua madre la speranza, nel cuore di Angelus, era cresciuta, insieme all'ammirazione per lei.

Per quella donna che somigliava tanto a suo figlio da rendere impossibile un errore.

Che trascorreva quasi tutto il suo tempo in quel rifugio per bambini della strada in cui poche persone "rispettabili" avrebbero mai messo piede.

E che aveva affrontato i suoi assalitori ricacciando la paura in fondo ai suoi occhi, e aveva protetto col suo corpo il bambino che portava fra le braccia.

Quella donna che dopo vent'anni, in una strada buia e colma di ombre, aveva riconosciuto il suo figlio perduto, nonostante tutto.

Nonostante i mutamenti, nonostante sul suo volto non ci fosse più l'espressione dolce e quieta che aveva conosciuto.

Come Kathy aveva riconosciuto lui… segnando la sua fine.

L'aveva uccisa.

Aveva straziato la carne di sua sorella.

Dell’essere che più aveva amato al mondo…

Con la stessa ferocia con cui Spike si era rifiutato di uccidere sua madre e, dopo, aveva lottato per liberarsi dalla sua presa e correre da lei.

Lo aveva sempre saputo.

Aveva sempre saputo che non era come lui.

E adesso lo sapeva anche Spike, finalmente.

Vide gli occhi chiari della donna spostarsi dal suo volto al vicolo in cui suo figlio era scomparso, e poi tornare a lui, scrutandolo, cercando nel suo sguardo risposte che Angelus non le poteva dare.

E per un attimo pensò che avrebbe negato, che gli avrebbe detto che era troppo giovane per un figlio così grande…

Ma lei non disse niente.

Lo guardò per un istante, e, quando finalmente abbassò gli occhi, le sue spalle si afflosciarono.

Tutto il suo corpo lo fece.

Come se un peso terribile le si fosse all’improvviso rovesciato addosso.

Allungò verso il volto una mano dalle dita sottili, lunghe, stranamente lisce, come il suo viso, che avrebbero potuto essere scambiato per quello di una donna molto più giovane se non fosse stato per l'enorme tristezza che in qual momento lo velava, e cominciò ad asciugare le lacrime che lo ricoprivano .


Senza pensare, Angelus si cavò di tasca un fazzoletto e glielo porse, e lei lo accettò senza un parola, passandoselo stancamente sulle guance.

" … era… come mio figlio…" Mormorò finalmente. " ho pensato che lui fosse venuto… a prendermi…"

Di nuovo, il suo sguardo si perse dietro di lui, e Angelus strinse le labbra, superandola di un passo e chinandosi per prendere fra le braccia il bambino che giaceva ancora in terra, inerte.

Era sudato e bollente di febbre, e, a giudicare dal colore, la sua malattia doveva riguardare l'apparato digerente.

Facendo più attenzione che poté lo sollevò da terra, fissando il suo volto pallido, e poi tornò a rivolgersi alla donna, che, ancora, guardava ostinatamente la strada davanti ai suoi occhi.

"Avete molto per cui vivere, milady…" Mormorò, affiancandolesi. " e forse ciò che avete visto era solo quello che volevate vedere…"

Lei si voltò a guardarlo, il volto che aveva ripreso un 'espressione di quieta compostezza, resa quasi struggente dalla sua perenne malinconia.

" Grazie…" Mormorò piano." non so come ringraziarvi… è… così tanto che non incontro qualcuno così gentile con me…"

Angelus abbassò gli occhi, pieno di vergogna per se stesso.

Gentile… ogni pollice del suo corpo e della sua anima si ribellava a quell'aggettivo… rivolto ad un mostro come lui… e gridava, con le voci di Kathy e tutte le sue vittime…

" Voi mi avete salvato la vita…"

"Vi prego… " La interruppe gentilmente. " non ripetetelo più…"

" Ma io…"

" Vi prego, milady…"

Lai annuì, allungando le braccia per riprendere il bambino, ma lui continuò a stringerlo a se.

" Lo poterò io" Disse. " mostratemi dove abitate…"

" Ma i suoi vestiti… vi sporcherete tutto."

Lui sorrise, qualcosa che gli riusciva terribilmente difficile, ormai.

"Sono già sporco…" Sussurrò, e ancora una volta quella strana donna non commentò le sue parole, ma si limitò a stringere leggermente gli occhi prima di avviarsi la suo fianco per il lungo budello scuro.

Intorno a loro, Londra era immersa in quel silenzio che tanto falso risuonava alle orecchia del suo demone, e i soli rumori che gli giungevano al cervello erano quelli, ovattati, che provenivano dall’interno delle case, o da qualche strada di distanza.

Il trotto di un cavallo, il biascicare di un ubriaco, qualcuno che litigava, il ringhio di un vampiro.

Tutte cose che la donna al suo fianco non poteva udire.

Come non udiva i passi di Spike…

Eppure c'erano.

Erano lì.

Chiari, così vicini che era certo che se si fosse voltato per cercarlo avrebbe scorto la sua ombra muoversi fra le tenebre della notte, confondendosi con quelle delle case rancide della periferia londinese.

Li stava seguendo.

Come sapeva che avrebbe fatto.

Tirò più su fra le sue braccia il bambino e lanciò un 'altro sguardo alla donna, scoprendo che anche lei lo guardava.

E gli sorrideva.

Deglutì, mentre un pensiero fuggevole gli attraversava la mente.

Il pensiero di sua madre.

Così pacata, così silenziosa, tanto diversa da quella di Spike.

In tutta la sua vita non ricordava che avesse mai osato opporsi a suo padre, o esperire la propria opinione.

Non osava quasi parlare quando c'era lui… e Angelus aveva pianto tanto da bambino, chiedendosi perché non lo avesse mai difeso quando lo picchiava…

Più grande, l'aveva disprezzata per la sua debolezza, per il suo essere così passiva…

Sua madre non avrebbe mai percorso quella strada da sola… sua madre in avrebbe mai nemmeno messo il naso fuori dalla sua casa. E lui non si era mai preoccupato di chiedersi se fosse per carattere, o educazione, o per il proprio passato…

Aveva ucciso anche lei…

La stessa notte…

Cercò di allontanare quei pensieri, chiedendosi se ci non sarebbe mai riuscito.

Se avrebbe mai più avuto un attimo di pace, o se la sua esistenza avrebbe continuato a seguire la strada del rimorso, che lo aveva dilaniato negli ultimi tre anni…

Adesso, il passò di Spike era più vicino, e più veloce.

Si stava affrettando.

Sapeva che la sua casa era vicina…

E infatti, voltato un angolo, un lieve sospiro sfiorò le labbra di Isabel, subito prima che lei superasse un piccolo cancello e bussasse alla porta di una bella casa signorile, molto elegante, costruita agli inizi del secolo precedente, con sottili colonne chiare che ne ornavano la soglia. E che Angelus aveva già visto molte volte.

Tutte quelle in cui, silenziosamente, l'aveva scortata, seguendo Spike nell'ombra.

L'uomo che venne ad aprire era così anziano che Angelus non dubitò fosse a servizio della famiglia già quando Spike era vivo.

Sottile, curvo per l'età, e con una forte calvizie incipiente.

"Laurence…" Mormorò gentilmente la madre di Spike , entrando e cominciando a sfilarsi il cappotto." Ti ho detto mille volte di non attendermi in piedi…"

L'uomo si accigliò, mostrando un 'espressione arcigna sul volto pieno di rughe.

"Smetteranno di cantare i galli" Proclamò. " prima che io smetta di aspettarvi, lady Appletton…"

La donna gli sorrise.

" E prima che io smetta di raccomandartelo…"

"Milady!" Li interruppe una ragazza, che corse giù per le due rampe di scale che si inerpicavano al piano superiore, proprio di fronte a loro." Ero preoccupata per voi! E' così tardi!"

Era vestita come una cameriera, ma il volto sciupato , il modo di muoversi e il linguaggio la dicevano lunga su quello che doveva aver fatto prima che Isabel la prendesse con se.

" Tutto bene, Rose, " La rassicurò lei." grazie a queste … a questa persona" Si corresse, voltandosi verso Angelus che era rimasto a un passo dalla soglia. " Ma, cosa fate ancora lì fuori?"

"Posso entrare?" Domandò lui, ricordando quante, quante volte avesse usato la sua bellezza, il suo fascino, per sedurre coloro che, poi, dietro quella semplice domanda , avevano aperto alle sue zanne la porte delle loro case.

" Ma certo… " Rispose lei con un sorriso. "entrate… venite, venite con me… " Lo invitò con la mano, dirigendosi alle scale. " mettiamo James a letto…"

" Povero bambino!" Esclamò la giovane Rose." Che gli è capitato?"

"Ha la febbre." Spiegò Isabel salendo le scale.

"Gli preparo un letto?"

"No, no, ti prego, va a chiamare il dottor Narcoss…" Si voltò, a metà delle scale, e le sorrise. " c'è già un letto pronto per lui…"

Angelus notò subito lo sguardo che si scambiarono Rose e il vecchio Laurence, e dopo pochi istanti ne comprese la ragione.

Esattamente quando lady Isabel gli aprì davanti una porta perché lui potesse entrare, e si ritrovò nella stanza di uno spettro…

C'era una lampada a gas accesa , vicino a una piccola scrivania di legno, come per illuminare il lavoro di qualcuno.

E un mazzo di rose bianche e gialle in un vaso, per allietarlo e rendere meno severo il piano scuro, su sui erano accuratamente ordinati un calamaio e una penna d'argento, due piccoli libri rilegati in cuoio e un porta carte leggermente aperto per i troppi fogli.

Altri volumi erano contenuti in una piccola libreria accanto alla finestra, e sul comodino di fianco al letto, ricoperto da una leggera coperta all'uncinetto.

Bianca e gialla anche lei. Come le rose, e come le tende che incorniciavano la finestra.

Tutto era perfettamente in ordine, e nulla, in quella camera, avrebbe potuto far sospettare che il ragazzo che aveva dormito in quel letto e lavorato a quella scrivania non sarebbe mai più tornato per continuare la sua vita.

" Qui… " Lo chiamò Isabel, scostando le coperte. " per favore…"

Angelus obbedì, appoggiando il bambino sul letto, ma non poté impedirsi di lanciare un altro sguardo alla stanza mentre la donna cominciava a spogliarlo.

E poté immaginare quelle stesse, delicate mani mentre spogliavano e poi mettevano a letto un altro bambino.

Un bambino che faceva i capricci per dormire.

Con i suoi stessi… bellissimi… occhi grigio- blu.

*****


Un padre.


Mentre Spike seguiva Angelus e sua madre, la sua mente non poteva fare a meno di tornare a quelle parole.


Un padre.

Spike non aveva avuto un padre.


Il suo vero padre era morto poco prima che lui nascesse, ucciso da un incidente, improvviso quanto tragico.


Per un breve, brevissimo periodo, aveva creduto che Angelus sarebbe stato come un padre per lui. Aveva sperato che gli insegnasse ad essere un vampiro.


Si era presto ricreduto, però, quando aveva realizzato che l’unica cosa che importava ad Angelus era uccidere, in modo coreografico, in modo estremamente doloroso le sue vittime.


Angelus aveva amato uccidere lo spirito delle sue vittime, prima ancora che I loro corpi…e quella era una cosa che Spike non era mai riuscito a fare.


Aveva conosciuto la crudeltà di Angelus sulla sua stessa pelle, quando si era rifiutato di parlare, di rivelare l’identità di sua madre.


C’era qualcosa di incredibilmente comico nella tragicità di quella situazione: aveva cercato di proteggere sua madre dalla crudeltà di Angelus, ed ora era proprio lui che la stava accompagnando a casa, che probabilmente sarebbe potuto entrare nella sua vecchia stanza, avrebbe potuto vedere com’era stata la sua vita.


Angelus…che poco prima aveva volontariamente assunto il ruolo di padre.


D’altro canto non era quello che era stato per lui nell’ultimo anno?


Aveva cercato di guidarlo, aveva cercato di mostrargli una strada giusta da percorrere, lo aveva seguito evitando che commettesse errori, si era occupato di lui…


aveva visto attraverso I suoi atteggiamenti, attraverso il suo odio, attraverso la crudeltà del suo demone, ed era riuscito a ritrovare William.


Non il fallito, che era stato deriso ed umiliato…il giovane uomo disperato che era stato vampirizzato in un vicolo semi buio…

Aveva ritrovato William, l’uomo che era stato pieno di ideali, di passioni, tanto forti che nemmeno il suo demone era stato in grado di cancellarle completamente.


Lo aveva messo di fronte alla cosa più preziosa della sua vita mortale per spingerlo a smettere di negare quella verità dentro di se.


Non sapeva se sarebbe stato in grado di tornare a quello che era stato, non credeva nemmeno di riuscirci né di volerlo davvero…troppe cose erano accadute, troppo sangue aveva macchiato la purezza di William, ma forse…forse c’era ancora qualcosa dentro di se, qualcosa di buono della sua vecchia vita che potesse rendere la sua eternità da vampiro qualcosa di diverso…qualcosa di più utile che semplici uccisioni, che semplice violenza.


Dopotutto… se Angelus era cambiato, perché non poteva farlo lui?


Angelus…improvvisamente quel nome non gli piaceva più, e sospettava che lo stesso valesse anche per il suo sire.


Si fermò vicino ad un lampione e corrugò la fronte.

Quella era la prima volta che aveva definito così il vampiro più anziano…e la cosa più strana era che gli sembrava naturale…


Era la verità.


Angelus era il suo sire.




Cosa diavolo stava accadendo? Sembrava che Angelus avesse messo radici in casa di sua madre.


Lo aveva visto esitare appena prima della soglia, mentre da dov’era gli era arrivata la voce di Lawrence, il vecchio maggiordomo…e di sua madre, mentre invitava Angelus a entrare…


era stato allora che Spike aveva cominciato ad avere paura.


Solo un frammento, all’inizio, che aveva cercato di scacciare, ricordando a se stesso il fatto che Angelus era cambiato…che aveva un’anima ora, e che solo poco prima era accorso in aiuto di sua madre.


Non era servito a molto.


Dubbi avevano cominciato ad assalirlo, mentre la sua mente, il suo demone, avevano costruito scenari nei quali Angelus ritornava ai suoi vecchi fasti, dimentico della sua anima e delle sue parole, riuscendo in quanto gli aveva impedito vent’anni prima col suo silenzio.


I secondi erano diventati minuti, che si dilatavano, diventavano senza fine…persino per un vampiro.


La nebbia si era alzata, spessa e pregna degli odori della città, lo aveva avvolto, e Spike si era ritrovato a rabbrividire, mentre il suo sguardo era rimasto fermo, inchiodato sulla finestra centrale, quella accesa, quella dalla quale da bambino aveva osservato, rapito, cadere la neve, o il via vai della gente.


Cosa sarebbe accaduto se si fosse avvicinato a quella porta?

Se avesse bussato?


L’avrebbe riconosciuto Lawrence?

Gli avrebbero permesso di entrare?


E cosa sarebbe accaduto se nessuno avesse risposto?

Se fosse riuscito ad entrare?


Cosa sarebbe accaduto se avesse trovato Angelus, in piedi, al centro del salotto, con le sue mani e la sua bocca ancora sporche del sangue di sua madre?


Proprio come se la sua mente avesse congiurato la sua immagine, le tende della finestra si scostarono e Spike sentì lo sguardo di Angelus su di se.


Strinse gli occhi.


Sembrava che il suo sire lo stesse guardando, sembrava che anche all’interno di quelle mura avesse avvertito la sua paura, la sua preoccupazione.


La sua presenza voleva essere rassicurante, e lo fu…


Angelus rimase fisso alla finestra, voltandosi di tanto in tanto e sollevandosi in piedi, per poi tornare ad osservare la notte.


Quasi lo invidiava, Spike, per il fatto che si trovasse in quella casa, per il fatto che gli fosse concesso di vedere qualcosa che a lui era proibito in quel momento.


Cosa avrebbe detto Angelus a sua madre?


Ricordava ancora perfettamente quanto fosse stata intuitiva, quanto con uno sguardo fosse stata in grado di capire le persone, I loro sentimenti.


Il giovane William aveva ereditato questa qualità da sua madre, ma era stato Spike, il vampiro, ad usarla… per ferire, per uccidere…o in alcuni casi per difendersi.


Cosa avrebbe pensato sua madre del fatto che suo figlio era un vampiro?

Come avrebbe potuto spiegare Angelus quanto era accaduto negli ultimi vent’anni?


Vent’anni…


Sembrava fossero volati…eppure, in quel momento ,Spike ne sentì tutto il peso sulle sue spalle.


Vent’anni di sangue, di sesso, di urla disperate delle sue vittime, che avevano solo accresciuto la sua sete di sangue.


Vent’anni di oscurità…vent’anni di lotte con se stesso, per soffocare la parte umana che aveva continuato a sentire dentro di se, oppressa, ma non resa silente dal suo demone.


Vent’anni che si erano ridotti ad un singolo, infinito istante…poche ore prima, quando aveva dovuto compiere una scelta.


Era quella giusta?


Non lo sapeva.

Sapeva però che, da quella notte in poi, non sarebbe più stato solo…


Mai più.





Angelus scostò le tende, fissandole sui sostegni alle pareti e scavando con gli occhi nelle tenebre dense che circondavano la casa, e che una nebbia sottile e vibrante stava sfilacciando in un gioco quasi vivo di nero e grigio.

Non riusciva a vederlo, ma sapeva che Spike era lì fuori.

Che stava osservando la casa, e che probabilmente aveva paura… di lui.

Perché era nella casa di sua madre, e gli unici che potevano separarlo da lei erano un vecchio, una ragazza e un medico mezzo sordo.

E niente gli assicurava che, com 'era venuta, la sua anima non lo lasciasse in qualunque momento, e lui potesse allungare i suoi denti verso il collo di Isabel.

Sperava che, sedendo lì, sulla panca proprio sotto la finestra, potesse rassicurare se stesso… e poi gli piaceva qual posto…

Di giorno, il sole lo doveva inondarlo di una pioggia di luce…

Doveva inondare di una pioggia di luce tutto quel bellissimo soggiorno, rimbalzando sulle pareti chiare e sui mobili lucidi, sulla mensola del caminetto e sul pianoforte, su cui una fotografia, racchiusa in una semplice cornice d'argento, mostrava un ritratto di Spike… di William… di qualche anno più giovane di quando lo aveva visto per la prima volta, la notte in Drusilla lo aveva ucciso.

Portava gli occhiali, e aveva sul volto un 'espressione imbarazzata.

Sul bordo della cornice, gli occhi da vampiro di Angelus potevano scorgere con chiarezza le impronte delle dita di Isabel.

Quella foto era la prima cosa che aveva notato entrando in quella stanza, insieme con l’intenso profumo di caramelle al latte che permeava dolcemente l'aria del soggiorno, spendendosi tutt’intorno a un grande piatto d'argento al centro della tavola.

" Le faccio io… " Gli aveva spiegato Isabel, notando come le guardava. " ai bambino piacciono tanto…"

Lui aveva sorriso, annuendo, e poi si era seduto sulla panca sotto la finestra, attendendo che il medico finisse di visitare il bambino, mentre la donna, velocemente, ritornava di sopra.

Lasciandolo solo con i suoi pensieri, e con il profumo delle caramelle al latte.

Parlava d'amore, quel profumo, e di famiglia, eppure la casa che inondava era una casa vuota.

Ogni tanto, il vecchio maggiordomo degli Appleton entrava a chiedergli se volesse qualcosa, prima di uscire, borbottando fra se e se.

Gli era sembrato che non facesse altro che borbottare, e Angelus si era chiesto se fosse sempre stato così.

L'ultima volta lo aveva visto fissare da lontano la fotografia di William, e sospirare, chiudendosi nelle spalle.

"Era il figlio della signora…" Gli aveva detto, e, internamente, Angelus aveva sorriso.

Un servitore che parlava ad un ospite senza essere interrogato… assurdo… a meno che , in quella casa, non fosse sempre stato considerato ben più di un semplice maggiordomo. " un ragazzo così gentile… non se ne vedono più così oggi giorno…

Da quando se n’è andato sua madre non fa che vivere nel suo ricordo… e del resto, con i parenti che si ritrova, povera signora…"

" Che volete dire?" Aveva chiesto lui, fissandolo.

L’altro era sembrato improvvisamente disagio, come se si fosse reso contro di aver osato molto.

Ma l’espressione gentile sul suo volto dovette rincuorarlo, poiché dopo un attimo ricominciò a parlare, con un ‘espressione indignata sul volto e nella voce tipica di chi stai parlando di qualcuno a cui vuole molto bene e che sia stato, a parer suo, vittima di un ‘ingiustizia.

" Non l’hanno mai capita , la mia signora!" Esclamò, e mentre parlava divenne man mano così rosso che Angelus temette seriamente che gli venisse un infarto." Volevano tutti mettere le mani sui soldi di sir Cornelius!

Già quando lui era vivo gli giravano attorno per interesse e basta, e quando la nostra regina Vittoria lo fece baronetto per meriti di commercio c’era tanta invidia attorno a lui che non mi sono meravigliato affatto quando quella nave affondò!

La mia signora era così giovane, poco più che una bambina… e aspettava suo figlio, allora.

Ed era così disperata che non disse una parola quando i fratelli di sir Cornelius presero il controllo dei suoi affari.

Però, quando hanno cominciato a mettere il naso nella sua vita, e nell’educazione nel signorino William, ha detto basta.

E lo ha detto una volta sola.

Mi ricordo che quel povero bambino aveva il terrore dei suoi zii.

Non facevano che rimproverarlo per la sua timidezza.

Ci guadagnò quando Lady Isabel li allontanò da se.

Non avrebbero potuto dargli nulla che non gli desse già lei.

E, di certo, non avrebbero mai potuto dargli più amore…

In vita mia non ho mai visto un ragazzo più amato…

Non c’era mai un litigio in questa casa, e la mia signora viveva solo per lui.

Quando crebbe e cominciò ad uscire, lei lo aspettava alzata vicino a una finestra, ma non gli disse mai una parola... per non condizionare la sua vita… "

Un ragazzo, pensò Angelus, che non era abituato alla cattiveria, all’invidia, alle parole velenose.

Un ragazzo cresciuto nell’amore, che probabilmente immaginava che non esistessero al mondo persone che potevano volerlo ferire solo per il gusto di farlo…

Deluderlo saprebbe stato così facile… e forse era proprio ciò che era successo quella sera, quando, in lacrime, si era imbattuto in… loro…

" … anche quella sera che non tornò lo aspettava in piedi, e quando venne l’alba e la vidi scendere io stesso per le scale, appoggiata al corrimano, come se le gambe non la reggessero più…

Lo sapeva che era successo qualcosa… lo sentiva…

Prese il cappotto e uscì a cercarlo… ma sapeva già qual che avrebbe trovato…" Sospirò, prendendo fiato, e si portò due dita sugli occhi lucidi. " e quei… bastardi… dei suoi parenti … dissero che era colpa sua … del modo in cui lo aveva educato!

Il mio signorino William!

Era il ragazzo più in gamba che avessi mai conosciuto!"

" sedetevi…" Lo incitò Angelus, alzandosi per scostargli una sedia dal tavolo. " questi discorsi non vi fanno bene…"

L’altro scosse una mano.

" Questa vita non mi fa bene…

Vedere la mai signora sfiorire così, senza più un sorriso… sempre sola… la sua unica gioia i bambini che aiuta… quando questa casa avrebbe dovuto essere piena di risate di bambini…

Certe volte, penso che l’unica ragione per cui ancora tiro avanti è vedere un altro bambino precipitarsi giù per quelle scale…" Gli sorrise, e un ‘espressione molto triste gli si dipinse sul volto. " Mi dovete perdonare…" Mormorò. " ma anche un povero vecchio, alle volte, ha bisogno di parlare con qualcuno… e quando si è solo un domestico è difficile trovare chi ti ascolti… e poi " Aggiunse." voi avete un volto… " Si fermò, scrutandolo per un attimo prima di finire ed uscire dalla stanza. " rassicurante."

Angelus si lasciò ricadere sulla panca, riflettendo ancora una volta su quanto fosse assurda la vita e l’intricarsi in essa delle vicende, umane e non umane, più disparate…

E chiedendosi se fosse un caso se lui, Liam, fosse stato vapirizzato una prostituta, mentre Spike, che per assurdo portava il suo stesso nome, lo fosse stato da una vampira che, in vita, era stata una fanciulla casta e virtuosa.

Un attimo dopo, sentì la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi, intervallata da un basso mormorio di voci.

Comprese benissimo ciò che il vecchio medico di origine greca stava dicendo, eppure, quando Lady Isabel rientrò nella stanza, e lui subito si alzò, le domandò ugualmente come stesse il bambino.

Isabel gli sorrise, un ‘espressione stanca sul volto che tradiva, in parte, la sua età.

"Meglio…

Si tratta di un problema di stomaco, povero bambino… qualcosa che ha mangiato…

Lo terrò qui fino anche non si sarà ripreso…" Si passò una mano sul volto. " mi dispiace che siate rimasto tutto questo tempo…"

Si avvicinò al pianoforte, e istintivamente allungò una mano, prendendo fra le dita la fotografia di William.

" Volevo sapere come stava James" Le rispose, avvicinandosi. " e salutare voi…"

Di nuovo, lei gli sorrise.

"Voi siete…"

"No." L’interruppe lui." Per favore…!"

Isabel strinse gli occhi, ma Angelus la prevenne di nuovo.

"Era di vostro figlio la stanza di sopra?"

Lei annuì, guardando di nuovo lail ritratto, pima di riporlo sul camino.

"Si… di William… non è davvero identico al… vostro?!"

Angelus fissò per un attimo quel volto sorridente, imbarazzato.

" Molto… si… per lo meno esteriormente…"

"Perché mi avete chiesto della stanza?"

"Perché è una stanza che ha bisogno di un padrone…" La guardò seriamente." Una stanza che aspetta qualcuno…"

Isabel abbassò gli occhi.

"Qualcuno che non arriverà…"

"Veramente… " La contraddisse Angelus. " a me sembra che qualcuno sua già arrivato…"

"James?" Esclamò Isabel, sgranando gli occhi.

"Perché no?

Non ha nessuno.

Voi non avete nessuno… e questa casa è fatta per essere abitata…"

Vide le sue labbra tremare.

" Un altro bambino… " Ansimò quasi. " alla mia età…

Voi… voi credete che sarei all’altezza?"

" Ma certo. " Le sorrise Angelus. " nessun altro lo sarebbe più di voi…"

Un lampo di speranza le passò negli occhi.

Era ovvio, o almeno così pareva ad Angelus, che quel pensiero non le era completamente nuovo.

Me un attimo dopo qualcos’altro attraversò quello sguardo, e lei si voltò, allontanandosi di un passo.

" Non … lo so…" Mormorò, esitante. " non sono nemmeno sicura di aver fatto un buon lavoro con il mio William…"

" Perché dite questo?" Le chiese.

Isabel si voltò di nuovo, fissandolo negli occhi, e allora, più che mai, Angelus vide in lei lo stesso sguardo di Spike.

"Un ragazzo ha bisogno di un padre… "Spiegò." Qualcuno da prendere ad esempio, che gli dimostri con il suo comportamento i valori che vorrebbe trasmettergli.

Qualcuno a cui importi il suo futuro.

A cui importi veramente.

Che non voglia imporsi su di lui e farne una copia di se stesso, ma voglia mostrargli un cammino, e seguirlo con pazienza perché non lo lasci.

Qualcuno che capisca il suo disagio, ciò di cui ha bisogno, che comprenda quali sono le parole giuste per incoraggiarlo, e sostenerlo, e correggerlo.

Qualcuno che soffra per i suoi errori.

E che metta in secondo piano se stesso per lui…

Che lo guardi da lontano per permettergli di camminare da solo, ma sia pronto ad intervenire per impedirgli di cadere.

Qualcuno che sia disposto a farsi prendere a pugni e ricoprire di insulti da un ragazzo arrabbiato che crede di sapere già tutto del mondo e di se stesso."

Angelus aggrottò la fronte, colpito.

" Voi non parlate di vostro figlio…" Mormorò.

" Io parlo di tutti i bambino e i ragazzi che ho incontrato in questi venti anni…

Forse, se avessi saputo queste cose allora… forse non mi sarei allontanata dai miei parenti.. Forse avrei cercato fra di loro qualcuno che potesse guidare mio figlio…"

"Perché?"

"Cosa?"

"Perché pensate che avesse bisogno di una guida?"

Isabel strinse le labbra, gli occhi che le si riempivano di lacrime.

"Non lo so…" Mormorò piano."Forse perché da venti anni cerco una ragione… qualcosa che mi faccia accettare di averlo perso…

E mi dico che forse è stata colpa mia…

Perché non ho saputo dargli la fiducia in se s tesso… e quella… quella gente ha potuto ferirlo… e lui era disparato quando ha lasciato quella casa e … oh, mio Dio… " Scoppiò, cercando rifugio fra le braccia di Angelus.

Lui la strinse a se , acarezzandole gentilmente i capelli, come non aveva mai fatto con sua madre.

Come non aveva mai fatto in assoluto…

Nella sua vita, aveva stretto a se solamente la sua piccola Katy , e non aveva idea di come consolare qualcuno.

Delle parole giuste da dire a quella donna con cui il tempo era stato così crudele.

Forse non esistevano nemmeno… forse non esisteva un modo per alleviare quella pena… ma Angelus avrebbe dato la sua esistenza per riuscire ad inventarlo…

Il dolore di Isabel era dentro di lui… era colpa sua…

Era un suo peccato, una sua responsabilità… come quello di migliaia di persone in tutta Europa di cui non avrebbe mai nemmeno conosciuto il nome, o il volto, che non avrebbe mai potuto stringere a se, o a cui non avrebbe mai potuto dire:

"Perdonatemi…"

"Cosa?"Esclamò lei, allontanandosi dalle sue braccia.

"Perché … è per colpa mia che voi state soffrendo…"

"Oh, no…" Lei scosse la testa, asciugandosi il volto. " Non dite così… sono io.

Io ho sempre avuto la paura di non essere stata all’altezza di crescere mio figlio…"

"Milady…" Le disse, prendendole una mano. "Lui era una brava persona…"

"La migliore…" mormorò Isabel sorridendo." La creatura più buona e generosa che io abbia mai incontrato…"

"Bè" Disse Angelus, ricambiandone il sorriso, nonostante il tormento che gli riempiva il cuore. " se davvero era così… il merito sarà pur stato di qualcuno…"

Lei lo fissò, spalancando la bocca.

E Angelus capì che non ci aveva mai pensato.

Persa nell’adorazione per suo figlio, e nel rimorso per ciò che eventualmente gli aveva fatto mancare, non aveva mai pensato a ciò che invece gli aveva dato… non aveva mai pensato che suo figlio, senza di lei, sarebbe certamente stato un ‘altra persona…

"Voi avere fatto di vostro figlio un uomo onesto, sensibile e generoso…" Continuò Angelus, allungando una mano per sfiorarle una spalla." Ora tenete con voi James, e fate lo stesso con lui…

Vi assicuro che voi potete dare a chiunque più della stragrande maggioranza della gente… e che …" Sospirò, cercando di trovare la forza per pronunciare le parole."avere un padre non vuol dire sempre avere un buon padre…"

Isabel strinse la sua mano nella propria, continuando a guardarlo.

" Voi siete un buon padre…" Mormorò.

Angelus abbassò gli occhi.

Cosa poteva rispondere a quello?

"Devo andare… " Sussurrò, passandole accanto, ma lei lo afferrò per un braccio, trattenendolo.

"Aspettate.."Mormorò, allontanandosi dalla stanza.

E dopo pochi secondi vi rientrò di nuovo, portando in mano un sacchetto di carta che riempì con le caramelle in mezzo alla tavola.

"Lo so che è stupido…" Gli sorrise." ma datele a vostro figlio… con la mia riconoscenza…"

Angelus prese il sacchetto che le porgeva, e si avviò alla porta.

" A proposito… " Mormorò la donna, quando già stava uscendo. " non è troppo grande, per essere vostro figlio…?"

Angelus non riuscì ad impedirsi di sorridere, voltandosi verso di lei.

Anche Isabel gli sorrideva, e il suo sorriso era identico a quello di Spike.

" Sono io… che sono più vecchio di quello che sembro."

Ghignò, uscendo.

Ma, prima di oltrepassare il cancello, si girò per un ‘ultima volta.

" E’ stato un onore, milady." La salutò, con un piccolo inchino.

"Il vostro nome!" Esclamò lei improvvisamente. " Fermatevi! Non so nemmeno il vostro nome!"

Ma Angelus non si fermò.

Voltò di lato, chiudendosi alle spalle le tenebre e la nebbia, e appiattendosi contro la cancellata.

Vide Isabel correre già per le sale, e guardarsi introno, cercandolo invano.

Sperò che rientrasse subito in casa, e lasciò andare un sospiro quando la vide farlo.

Si sentiva ancora peggio del solito.

Era felice di avere conosciuto Isabel.

In tutti i suoi centocinsettanta anni raramente aveva incontrato delle persone così straordinarie… e la maggior parte le aveva uccise… ma quelle lunghissime ore avevano scatenato in lui un turbine di emozioni violentissime.

Di dubbi, di incertezze.

E rimorsi, rimorsi, rimorsi… un gelo che non lo avrebbe mai lasciato.

Strinse fra le dita la busta di carta, e una corrente di domande travolse la sua mente.

Come sempre…

Si chiedeva spesso quanto sarebbe riuscito a resistere a quel tormento, prima di impazzire…

Gli unici momenti in cui riusciva a distrarsi, preoccupandosi talmente tanto di qualcun’ altro da riuscire a spingere indietro le sue angosce, erano quelli in cui seguiva Spike per impedirgli di uccidere.

Qualcuno… che lo guardi da lontano per permettergli di camminare da solo, ma sia pronto ad intervenire per impedirgli di cadere…

Le parole di Isabel gli risuonavano nelle orecchia, come sapeva già che avrebbero fatto infinite volte, riportandogli addosso l’incredulità e lo stupore quasi infantile che aveva provato quando le aveva udite.


Qualcuno a cui importi del suo futuro. A cui importi veramente.

Qualcuno che capisca il suo disagio…

Questo… questo era un padre?

Qualcuno che soffra per i suoi errori. E che metta in secondo piano se stesso per lui.

Angelus… Angelus non lo sapeva…

Suo padre non era mai stato così…

Qualcuno che non voglia imporsi a lui o farne una copia di se stesso…

Che comprenda quali sono le parole giuste per incoraggiarlo e sostenerlo…

Qualcuno che sia disposto a farsi prendere a pugni e ricoprire di insulti da un ragazzo arrabbiato che crede di sapere già tutto del mondo e di se stesso…

Suo padre non gli aveva mai rivolto parole di incoraggiamento, ma solo ordini…

Suo padre non lo aveva mai sostenuto ma sempre condannato.

Suo padre non gli aveva mai chiesto cosa provava…

Non gli aveva mai fatto una carezza…

Suo padre non gli aveva mai chiesto il perché…

Non gli aveva mai parlato…

Gli era sempre e solo interessato quello che non era, e non quello che era.

Suo padre lo aveva sempre rapportato a se stesso…

La delusione che era per lui…

Le aspettative, sue, che non adempiva…

Gli ordini, i suoi, a cui non obbediva.

Aveva sempre imposto, sempre gridato.

E lui aveva voluto gridare più forte, disobbedirgli di più, fargli male… fino ad autodistruggersi… fino a quella notte, e a Darla.

Angelus non aveva ai conosciuto un altro padre… non sapeva nulla di tutto ciò che Isabel aveva detto…

Non aveva mai nemmeno pensato di avere un figlio…

Un figlio vero, non un childe da vampirizzare e a cui poi divertirsi ad insegnare ad uccidere… totalmente indifferente alla sua esistenza, alla possibilità che qualcuno lo riducesse in cenere… come Penn.

Qualcuno di cui gli importasse.

Da cui fosse disposto a farsi prendere a pugni e ricoprire di insulti perché credeva di sapere già tutto del mondo e di se stesso…

Eppure… non era proprio questo che faceva?

Che stava facendo ormai da un anno?

Giorno dopo giorno, con una pazienza infinita?

Non era così che si comportava con Spike?

Non lo stava seguendo nel buio, impedendogli di uccidere?

Non aveva cercato di spiegargli innumerevoli volte ciò che faticosamente aveva compreso lui stesso, rifiutandosi ostinatamente di arrendersi di fronte alle sue violente rivolte?

Non si era fatto prendere a pugni, reagendo lo stretto indispensabile per non essere ridotto in cenere?

E non aveva resistito in silenzio mentre Spike gli vomitava addosso il suo odio, enumerando ad uno ad uno i suoi peccati, accusandolo di voler usare lui per scaricare la sua coscienza nera, e deridendo l’assurdità e la follia del suo proposito di salvarlo?

Si era detto che, se non reagiva, era solo perché era vero.

Ogni singola parola.

Ogni singola accusa.

Tutto vero.

E tutto inciso a sangue nella sua anima tormentata.

Ma ora credeva di capire che non era stato solo per quello.

Era stato per lui… per Spike…

Si rendeva conto di essere disposto a farsi prendere a pugni e ricoprire di insulti da lui… pur di salvarlo… pur di fargli capire.

Era confuso, e sebbene quella non fosse una sensazione nuova, in quel momento gli sembrava che riempisse il suo mondo, ottundendogli i sensi.

Non aveva mai pensato di avere un figlio…

Eppure, se Isabel aveva ragione…

Se quello che aveva descritto era davvero un padre…

Un padre come lui non aveva mai avuto.

Come lui non aveva mai nemmeno desiderato.

Perché non aveva mai saputo che un padre potesse essere così…

Per lui… sarebbe bastato che il suo gli dimostrasse un po’ di affetto… che lo ascoltasse solo un po’ di più… quando la rabbia non era ancora diventata tanta che lui aveva pensato di non desiderare più nemmeno quello.

Di non volere nulla.

Fuorché bere, e divertirsi, e comportarsi in tutti i modi che più avrebbero potuto irritarlo,

e dimenticare.

Quello che era e quello che non aveva la forza di essere.

Improvvisamente, un fiume di amarezza, vecchi e nuova, lo sommerse, impastandogli la bocca.

E si chiese se si sarebbe trovato in quella via di Galway, quella notte, e avrebbe seguito Darla per i vicoli, se avesse avuto un padre diverso.

Non toglieva nulla alla sua colpa.

Ma le aggiungeva tristezza.

E dava a lui ancor più determinazione.

"Vieni fuori!" Esclamò, rivolto alle ombre e alla nebbia. " So che sei lì."

Per un attimo nessuno rispose al suo appello, e lui incrociò le braccia sul petto, fissando attraverso il buio la figura nervosa che avrebbe voluto nascondersi ai suoi occhi.

Poi, finalmente, Spike emerse dalle ombre, avanzando verso di lui, torvo in viso, minaccioso, come lo aveva già visto centinaia di volte in quell’ ultimo anno.

Ma c’era qualcosa di diverso quella sera.

Lo sapeva.

Era avvenuto e doveva avvenire.

Per entrambi loro.

Poteva essere un inizio, o un altro muro contro cui sbattere la testa, nella granitica cocciutaggine di quel… ragazzo.

Strinse le labbra, guardandolo avanzare.

Non si era sbagliato, lo sapeva, ora più che mai.

C’era dell’umanità in lui… anzi, c’era più che dell’umanità…

C’era William in lui…

Quel qualcosa di diverso dagli altri vampiri che aveva avvertito fin dalla prima volta che lo aveva visto, e per cui lo aveva disprezzato, e odiato ferocemente.

Quel qualcosa che adesso aveva un nome.

Benissimo.

Potevo odiarlo.

Poteva disprezzarlo, poteva combatterlo, poteva insultarlo fino a perdere la voce.

Ma avrebbe tirato fuori quell’umanità, avesse dovuto farlo con i denti, distruggendo quel che restava di lui!

Avrebbe salvato Spike.

Innanzitutto da se stesso.

Non gli avrebbe permesso di distruggere la sua esistenza.

Come lui.

*****


"Insomma" Quasi ringhiò Spike. "cos’è ci avevi messo le radici lì sopra?"


Il tono della sua voce era stato duro, eppure Spike non era arrabbiato.


Aveva avuto la certezza che sua madre fosse ancora viva, quando l’aveva vista uscire dalla loro casa, e domandare quale fosse il nome di quell' uomo misterioso che l’aveva scortata per le vie di Londra.


Angelus non gli rispose, e Spike fu tentato di ringhiare, di nuovo.

Non si era reso conto fino a quella notte, di quanto fosse diventato taciturno.


"Allora?"

"Allora cosa, Spike?" Domandò Angelus sottovoce.


Si incamminò verso l’uscita del vicolo e Spike si ritrovò a seguirlo.

"Perché ci hai messo tanto ad uscire?" .


Di nuovo, Angelus non rispose.


Spike sospirò, esasperato, e si guardò attorno prima di domandare: "Il bambino come sta?"


Angelus si voltò a guardarlo.

Vi era una strana espressione nei suoi occhi scuri, un misto di sorpresa e di …dolore?


Ecco un’altra cosa alla quale non aveva fatto caso fino a quel momento: lo sguardo di Angelus.


Non che avesse passato molto tempo a guardarlo negli occhi, ma era sempre rimasto colpito dalla totale mancanza di umanità nello sguardo del vampiro…


Una mancanza di umanità che sembrava essere stata soppiantata da uno sguardo carico di dolore, di rimorso…di tristezza.


"Perché me lo chiedi, Spike?" Domandò Angelus, infilando le mani nelle tasche del lungo cappotto "Volevi forse mangiarlo a colazione?"


Spike sollevò gli occhi al cielo.


"Sì come no," Replicò secco. "perché tu me lo permetteresti vero?"


Si fermò, ed Angelus, come avesse tenuto d’occhio i suoi movimenti, si fermò accanto a lui. "Vuoi il bis di quello che è avvenuto stasera?

Vuoi che ti ripeta che sono la vergogna di tutti I demoni?

Ti farebbe sentire meglio?"


Angelus scosse la testa, e Spike non faticò a credere che fosse la verità.

Il vampiro più anziano si strinse nelle spalle prima di dire: "Sta meglio…"


Spike annuì, domandandosi perché Angelus non si decidesse a parlargli di sua madre.

Ficcò le mani nelle tasche del cappotto e domandò: "Il vecchio Lawrence ti ha fatto fare il giro della casa?"


Angelus scosse la testa, e Spike sollevò le sopracciglia prima di dire: "Balle!

Considerato dove ti hanno fatto aspettare, devi averne visto per forza una parte, ricordo quella casa!"


"Ho visto solo il salotto…" Disse lentamente Angelus. "e la stanza dove hanno sistemato James…"


Continuarono a camminare per qualche altro minuto, e sembrava che nessuno dei due si rendesse conto che stavano camminando fianco a fianco, mentre le loro ombre si confondevano con la nebbia.


Alla fine, Angelus si voltò a guardare Spike per un istante prima di dire: "Era una bella stanza, con mobili scuri…molti libri…e fiori…"


Spike deglutì.

"Rose bianche e gialle…" Mormorò, scuotendo la testa. "le coltiva ancora…" Continuò poi in un sussurro.


"Eri molto fotogenico…"


Spike si voltò di scatto verso Angelus, ed aggrottò la fronte.

"Stai scherzando, vero?" Domandò.


Di nuovo, Angelus scosse la testa.

"Affatto" Disse infine.


Spike chiuse gli occhi.


Angelus aveva evidentemente visto la foto sopra il pianoforte.


Era molto strano, aveva creduto di aver dimenticato come fosse stata la casa dove aveva vissuto quando era vivo, per oltre vent’anni non aveva pensato ad essa, eppure non era sorpreso nel realizzare che nè ricordava ogni singolo angolo.

Ricordava ogni stanza, ogni soprammobile…


"Rimanevo ore vicino il pianoforte da ragazzo…mia madre amava suonare…"

"E tu?" Domandò Angelus.


Spike si voltò sorpreso verso di lui.

Quella era la prima volta che gli faceva domande sulla sua vita mortale.

Si strinse nelle spalle.

"Io preferivo la chitarra…"


Angelus lo guardò interessato, e sul suo volto apparve un’ombra quando disse: "Non ti ho mai sentito suonare in questi anni…"


"In quanti punti mi avresti spezzato le dita se mi avessi udito, Angelus?" Domandò Spike.


Quasi sussultò quando si rese conto che non aveva voluto offenderlo, non aveva voluto rinfacciargli la sua crudeltà.

La sua era stata semplice curiosità.


Angelus, però, abbassò la testa, e Spike si ritrovò ad appoggiargli una mano su un braccio prima di dire: "Beh, non sono mai stato molto bravo comunque…"


Angelus lo guardò sorpreso, e deglutì prima di dire: "Il figlio di quella donna…era molto amato…sentono ancora tutti la sua mancanza…"


Fu Spike a guardare sorpreso Angelus, in quel momento.


Serrò le mascelle prima di domandare: "Come sta lei?"


"Vive nel ricordo di suo figlio…e si sente responsabile per la sua morte…"


"Non è stata colpa sua…" Disse Spike lentamente, scuotendo la testa. "non poteva sapere quello che sarebbe successo…non è colpa sua se suo figlio era…"


"Prenderò a pugni chiunque dica che quel ragazzo era uno stupido, o un fallito...

Sono stato chiaro?" Disse Angelus, e Spike riconobbe la determinazione nel tono della sua voce.


Era la stessa determinazione che gli aveva sentito quella notte di un anno prima, nella stiva di quella nave, in Cina.


Scosse la testa.

"Mi piacerebbe vederti provare..." Disse, e stringendosi nelle spalle lo guardò per un istante prima di continuare: "la verità è che era un'idiota...*ero* un'idiota..."


"Perché?" Domandò Angelus.


"Camminare da solo, di notte, incurante del pericolo...sai, credevo che Drusilla volesse I miei soldi..." Chiuse gli occhi e scosse la testa. "un maledetto ingenuo, ecco quello che ero..."


"Solo perché non ti aspettavi di venire ucciso da un vampiro?

No… Nessuno dovrebbe correre questo genere di rischi"


"Il che detto da un vampiro, per quanto dotato d'anima, è quanto meno ridondante non credi?" Esclamò Spike, senza riuscire a trattenere un sorriso divertito.


Angelus si voltò a guardarlo inarcando leggermente le sopracciglia, scosse la testa e mormorò: "Suppongo di sì...." Si fermò, e Spike lo vide affondare una mano in una tasca del cappotto prima di estrarla, mostrandogli poi un sacchetto di carta marrone.


Ammiccò sorpreso.


Non aveva bisogno dei suoi sensi da vampiro per sapere cosa fosse contenuto in quel sacchetto di carta.


Angelus glielo porse, senza dire niente, e solo quando Spike si ritrovò a lottare contro il groppo che gli si era improvvisamente formato in gola, si decise aspiegare: "La madre di William…mi ha chiesto di darle come ringraziamento all’uomo che l’ha aiutata a rialzarsi, questa sera…mi ha detto che le ricordava suo figlio…"


"E tu?" Domandò Spike, infilando una caramella in bocca.


Ammiccò.


Il sapore era diverso da come lo ricordasse.


Sapeva che le sue papille gustative non recepivano davvero I sapori, non allo stesso modo dei mortali, ma gli piaceva la sensazione di affondare I denti in qualcosa di solido, gli piaceva quel sapore particolare che avvertiva sul palato.


"Io cosa?" Domandò Angelus.


Spike prese un’altra caramella, domandando: "Cosa le hai detto?"


"Che quell’uomo non era suo figlio…" Angelus abbassò la testa e lo guardò di sottecchi prima di aggiungere sottovoce: "le ho detto che eri mio figlio…"


Spike inarcò le sopracciglia, sorpreso dal fatto che Angelus avesse ammesso una cosa del genere.

Deglutì e disse: "Beh, Angelus…"


"Spike?" Disse lui, interrompendolo.


"Cosa?" Domandò Spike porgendogli il sacchetto.


Angelus scosse la testa, disgustato, e disse: "Potresti evitare di chiamarmi Angelus, per favore? Odio questo nome…"


Spike inarcò le sopracciglia, riponendo il sacchetto di carta in una tasca del suo cappotto. "Non dirlo a me…

Voi…tu…non sei più la stessa persona…"


Angelus si voltò di scatto, inclinando la testa:

"Ah, no?"


Spike scosse la testa.

"No…

Angelus…era un bastardo…tu…beh, non ho ancora capito cosa sei…" Si strinse nelle spalle, e, ripreso a camminare, si voltò verso di lui, dicendo: "ma di certo non sei lui…"


"Chi sono allora?" Domandò Angelus.


"Un testardo Irlandese…" Spike sorrise: "ma non prendertela, nessuno è perfetto…."


Ricominciarono a camminare, l’uno di fianco all’altro, e nessuno dei due parlò.


Spike aveva affondato le mani nelle tasche del suo cappotto, stringendo tra le dita la carta del sacchetto, e ripensando a quanto era appena accaduto…a quella lunga, lunghissima notte.


Erano ormai in casa quando Angelus parlò interrompendo il corso dei suoi pensieri, dei suoi ricordi.


"Angel." Disse.


Spike ammiccò, e un’espressione interrogativa gli si dipinse sul volto.

"Angel?"


"E’ il mio nome…"


Spike annuì.

"Grande sforzo di fantasia, complimenti." Si strinse nelle spalle e disse: "Comunque va bene, vada per Angel…"

Gli voltò le spalle e mormorò: "Io vado a dormire…" Ma si girò per un altro istante, dicendo: "Ah, Angel?

Grazie per aver fatto di me il primo vampiro infartuato della storia, stasera…"


Un sorriso gli si dipinse sul volto quando udì la risposta di Angel.

"Non c’è di che…"


Spike aveva l’impressione che le cose sarebbero diventate interessanti. Molto interessanti.