LASCIA CHE TI RACCONTI ….


PRODIGAL




DISCLAIMER: I personaggi di Buffy the Vampire Slayer ed Angel: the Series appartengono a Joss Whedon, la ME, la WB e la Fox.

Non scriviamo a scopo di lucro e non intendiamo violare alcun copyright.

AUTHOR: Mary .

PAIRING: Angel/Kate e Spike/ … vediamo se lo capite.

RATING: PG13, ANGST, AU (molto AU….in quantità industriale)

SPOILERS: Prodigal.

TIMELINE: Los Angeles 2000, durante la prima serie di "Angel".

SUMMARY: Kate e Spike riallacciano i fili di una storia che riguarda Angel, il suo passato, e il modo in cui Kate è caduta in una trappola crudele preparata apposta perché lei possa odiarlo…

DISTRIBUTION: Il nostro sito: Due Uomini e Una Gatta, chiunque altro…basta che chieda.

NOTE. Attenzione!!

Questa non è una novelization, per cui la trama di Prodigal è stata in parte sconvolta, e molti particolari sono stati radicalmente cambiati…

FEEDBACK:

A Sabrina, che ci ha fatte incontrare, che ci regala ogni giorno il dono inestimabile della sua magia, e che ha riempito una fetta dei nostri cuori con qualcosa di inestimabile e prezioso... lei stessa.


Da Mary a Sue.

Non esistono parole per esprimere quello che sei diventata per me.

E, forse, non devo neanche cercarne perché tu comprenda.

Solo… apri il tuo cuore…


A David e James, due attori meravigliosi, per aver dato un sogno a due ragazze, e, follia per follia, a Angel e Spike, che a questo sogno hanno dato un nome.

Grazie.


Prodigal



Los Angeles, 2001


Kate si prese la testa fra le mani, scuotendo leggermente il capo.


"Oh, mio Dio… " Mormorò, con qualcosa che somigliava ad un piccolo singhiozzo.


Davanti a lei, Spike sollevò un sopracciglio, sorpreso dalla sua reazione.


Naturalmente…

Lui… lui non poteva sapere…


"Bè…" Esclamò, prendendosi una sigaretta. " è una storia… credo… toccante, almeno per un essere umano…

Per lo meno la parte in cui io aspetto Angel fuori da casa mia tremando al pensiero di quello che… no. A pensarci bene quello era patetico!


Comunque sia, non vale la pena di… fare… quello che stai facendo!

Qualunque cosa sia!"


"Non sto piangendo!" Esclamò lei, piccata, sollevando il capo.


"No?!" Sbottò Spike, sul volto un'espressione… cosa? … offesa? "Io ti racconto, non ho idea del perché, la storia angosciosa del mio viaggio dalle tenebre alla luce, con tanto di dettagli patetici su madre e figlio che si rincontrano dopo venti anni senza potersi riabbracciare… e tu… non piangi?


Ma sarai una donna, almeno?!"


Kate incrociò le braccia sul petto.

"Si, l'ultima volta che ho controllato!"


"E allora reagisci da donna!


Versa una lacrimuccia sul notturno londinese con giovane vampiro angosciato!

Ammira estasiata la forza di volontà!


Almeno loda le mie doti di narratore!"


Kate sollevò un sopracciglio.


In effetti… era straordinariamente bravo a raccontare, al punto che, lentamente, il suo cervello era stato trascinato dalle sue parole, risalendo dal baratro di angoscia in cui era caduto.

E per questo doveva essergli grata…

Ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura!


"Hai finito?!" Scandì.


Spike si abbatté contro lo schienale.

"Può darsi!"


"Primo: vorrei ricordarti che di fronte alla mia disperazione hai commentato che sono stupida!"

"Idiota! E lo hai detto tu per prima!"

"Okay, idiota, grazie per la precisazione!


Secondo: se ho la facoltà di parlare in casa mia…"

"Il mio edificante racconto ha risvegliato in te piccoli, tristi ricordi."

"… non ho facoltà di parlare in casa mia!"


Spike strinse gli occhi e sorrise, portandosi la sigaretta alle labbra.


" e dimmi, questi ricordi hanno forse a che fare con due occhi nocciola molto penetranti…"

"… non sono affari tuoi…"

"… oltre che molto belli…"

"Sei la creatura più irritante che abbia mai conosciuto!"


Si strinse nelle spalle.

"Cosa vuoi? Sono un vampiro!"


Stavolta fu Kate a sorridere.


Un sorriso che non aveva voluto. Pieno di tristezza e tenerezza insieme.

Come spesso accadeva ai ricordi.

Che, a volte, rendevano un po’ più tristi i momenti belli, e un po’ più teneri quelli brutti.


"Già… " Mormorò, parlando con se stessa. "una cosa cattiva…"


"Prego?" Esclamò lui, con un 'espressione così stupita che la fece sorridere più forte.


Kate si passò una mano sulla fronte, ed esitò, prima di rispondere.


Pensando se doveva farlo…


Alla fine, semplicemente, smise di pensare.

E lasciò che fluisse ciò che aveva in punta di cuore.


"E' una… non so come chiamarla… una…perifrasi, che imposi ad Angel un giorno che venne nel mio ufficio…"

Si appoggiò allo schienale, e, senza quasi che lei se ne accorgesse, la sua mano, ancora, salì a sfiorare il morso sul suo collo.


Stavolta, Spike non la interruppe, e sembrava non avere nessuna intenzione di farlo.


"Se ne stava lì…" Continuò. " sulla porta, e mi parlava di un demone che aveva ucciso quella mattina in un sottopassaggio della metropolitana, dopo che aveva assalito un treno pieno di pendolari…

E io gli dissi che se aveva intenzione di lasciare la porta aperta almeno poteva usare l'accortezza di non dire proprio "demone", ma piuttosto…"

" Cosa cattiva…"


"Si… " Sorrise.


Ripensò a qual giorno, al volto di Angel.

A ciò che aveva provato vedendolo, nonostante i suoi razionalissimi auto- condizionamenti.


E ripensò al suo stupore quando Angel le aveva detto che il demone in questione non apparteneva a una razza aggressiva.


"La cosa cattiva non era una cosa cattiva?" Gli aveva chiesto.

E lui le era sembrato in imbarazzo.


"Bene, era una cosa cattiva nel senso della parola.

Solo non era una cosa cattiva.. cattiva!"


"Ci sono cose cattive che non sono cattive?"

"Bè… si."


Già… e probabilmente, adesso, ne aveva una davanti.


"Fu il giorno che mio padre fu ucciso… " Mormorò, mentre il sorriso scompariva dalle sue labbra. "tutto è crollato quel giorno.


E l'ho distrutto io… con le mie mani."


*****


Los Angeles, 2000


Aveva distrutto ogni cosa … lei, con le sue mani.


Lei si era fidata di Angel.


Nonostante tutto.


Nonostante la sua natura.

Nonostante sapesse che era un vampiro.


Un assassino.

Un mostro.


Si era fidata di lui.

E del suo istinto, che verso lui la spingeva.


Continuando a ripeterle che Angel non le avrebbe fatto del male.

Che in lui non c'era malvagità.


A gridarle, nella mente e nel cuore, che non poteva esserci cattiveria in qualcuno che aveva degli occhi così profondi.

Così pieni di compassione e di dolcezza.


In qualcuno che aveva votato la sua vita a salvare gli altri.


Nonostante ciò che sapeva di lui, nonostante ciò che aveva visto e ciò che aveva letto…si era fidata di Angel.


Aveva voluto credergli.


E alla fine non le era più importato che lui fosse un vampiro.


E ora suo padre era morto.


Ucciso da vampiri.

Come lui.


E il suo corpo giaceva ai piedi di Angel, esangue, la gola orribilmente straziata.

Mentre il cuore di Kate gridava e si contorceva, e lacrime di dolore le rigavano le guance.


Violente.

Inarrestabili.


Come un fiume in piena che la portava via.

E distruggeva ogni cosa.


Il suo autocontrollo, la sua ragione.

Il suo cuore.

La sua vita.


E di lei restava solo la creatura disperata che piangeva, piegata sul corpo di suo padre.


Affranta.

Annientata.


Col mondo intero che aveva smesso di esistere non appena era entrata in quella casa.

E aveva visto suo padre.


Lasciando solo quel corpo dissanguato.

E lei.

E la sua disperazione.


Eppure, anche se il mondo non esisteva più, Angel c'era ancora.


Lo sapeva.

Lo sentiva.


Dietro di lei.

Chino su di lei.


E poteva quasi avvertire la sua pena e il suo dolore.


E non li voleva.


Voleva solo piangere, singhiozzare.

Voleva solo che suo padre ritornasse da lei.


"Volevo salvarlo!" Disse Angel piano, la sua voce che vibrava di angoscia. "Lui, lui non mi ha lasciato entrare… "


No.

Non ne aveva il diritto.

Non aveva il diritto di accusare suo padre.


Lui non sapeva niente di vampiri, o forze oscure.

Non sapeva in che cosa era coinvolto.


Ma Angel si… Angel sapeva.


Aveva saputo fin da principio, fin da quando tutto aveva avuto inizio.


"Va fuori!"


Le lacrime l'accecavano.

Il dolore l'accecava.


E l'assordava.

E le toglieva il respiro.


"Esci!

Esci. Esci. Esci.


Va fuori!"


Non voleva che la vedesse così.

Non voleva che vedesse il suo cuore.


La sua disperazione.

La sua fragilità.


Non ne aveva il dritto.


Nessuno ne aveva il diritto.

In special modo lui.


Lui sapeva… lui avrebbe potuto salvarlo…


Lui salvava sempre tutti…


Lo sentì arretrare e qualcosa dentro di lei si ruppe.


Voleva che se ne andasse.

E con uguale forza non voleva che la lasciasse sola.


"Per piacere, esci…" Singhiozzò.


Stava troppo male per capire.

Per pensare.


Tutto quello che esitava era il dolore.

E l'uomo alle sue spalle.


Non voleva che la lasciasse.

E non voleva che fosse lì, accanto a ciò che era diventata.


Accanto al corpo di suo padre.


" Per piacere." Ripeté, e non sapeva come lui potesse comprendere le sue parole, rese dalle lacrime null'altro che una catena di suoni strozzati. " esci…"


Eppure lui capì.

E uscì dalla casa.


E Kate urlò, mentre il dolore diventava troppo grande, esplodendole dentro.

Lacerando, strappando, annientando tutto quello che lei era.


Un grido che si perdeva nelle profondità del suo corpo e della sua anima.


Troppo grande per entrambi.


Si staccò da suo padre, accucciandosi contro la parete.

Sostenendosi ad essa, cercando in essa la forza per non venire annientata.

Per non smettere di esistere.


Si era fidata di Angel, e ora suo padre era morto.


La sua unica famiglia.

L'unica persona al mondo che amasse veramente.


Si strinse al muro, e, disparatamente, continuò a piangere.


Si era fidata di Angel ed ora era sola.


Lui… Angel… l'aveva lasciata sola.


*****


Los Angeles, 2001


"Suppongo… che fosse troppo per me…" Mormorò Kate, fissando un punto imprecisato davanti ai suoi occhi. " troppo dolore, troppo senso di colpa…"


"Senso di colpa?" L'interruppe Spike.


Non lo guardò.

"Già… senso di colpa.. come non ne avevo mai sentito in vita mia…


Vedi…quella mattina… mio padre era lì, sulla scena di un crimine, e io non ho nemmeno pensato che fosse coinvolto.

Io… ma tu c'eri… " Si fermò, mentre un ricordo le saliva alla memoria.


Spike ammiccò.

" Nel tunnel, dici, quando Angel ha fatto secco quel demone Kwaini?

Mm…Si." Fece una smorfia. " Ma non mi ha fatto tirare nemmeno un calcio!


E' sempre così!

Se si fa prendere dal momento si scorda che c'è anche altra gente che avrebbe il diritto di divertirsi un po’!

Tu pensa alla frustrazione…" La fissò. " si, c'ero."


"Me lo ricordo.

Ti ho visto nel sottopassaggio, insieme ad Angel…"

" E io non ho mai capito tu perché sei scesa… da sola, per giunta!"


Kate scosse le spalle.

" Non lo so.

Istinto suppongo."

"Si. Di distruzione."

"E'… era una componente essenziale nel mio lavoro."

"Ecco perché tanti poliziotti finiscono sul campo!"


"E poi" Kate ignorò il suo commento." Dopo aver conosciuto A … voi, dopo aver scoperto cosa siete, ho cominciato a considerare ed accettare tutta una serie di possibilità che altrimenti avrei giudicato assurde… favolistiche.


Disprezzavo i miei colleghi., che si trovavano di fronte a fatti, a prove concrete, eppure non volevano considerarli perché, semplicemente, "certe cose" non potevano esistere.


Non riuscivo a concepirlo.


Io volevo sapere.

Volevo capire.


Ho sempre voluto capire.


Non ho mai neanche pensato di chiudere gli occhi davanti all'evidenza, o almeno non l'ho fatto da quando ho conosciuto… voi… e fino al giorno che mio padre fu ucciso.


Per quel breve periodo… credo di essere veramente stata un poliziotto… di aver cercato seriamente la verità.


Nonostante sembrassero sempre esisterne due di verità: quella che volevo trovare io e quella che vedeva il resto del mondo."


Si appoggiò alla mano, e un riso nervoso le salì alle labbra


"Prendi quel giorno…


C'era un vagone della metropolitana pieno di pendolari, con un demone che seminava il terrore, e una dozzina di passeggeri aveva visto solo… un uomo che si arrampicava sul tetto del vagone in marcia!


"E' una forma di autodifesa, Kate…" Mormorò lui, spegnendo la sigaretta." Non tutti potrebbero vivere con la consapevolezza che certe ‘cose cattive’ abitano porta a porta con loro… e francamente preferisco questo scetticismo da ventunesimo secolo alla credulità generale che ha portato alla caccia a vampiri, streghe e affini vari…"


"Gli uomini avevano il diritto di difendersi." Lo contraddisse Kate. "voi siete molto più forti di loro."

"Loro?" Spike sollevò un sopracciglio. " tu che ti metti in una classe intermedia?"


Kate rise.

"Hai ragione.

Di noi.

Ma capisco quello che vuoi dire."

"Si?"


"Bè, allora pensavo che sarei stata ben felice di sparare a qualunque figura vagamente non umana mi si fosse parata davanti, mentre ora… ora credo che esistano " Cose cattive" - cattive e "Cose cattive"- non cattive… proprio come ci sono degli uomini buoni e degli uomini cattivi.


Tuttavia immagino che ti sia trovato di fronte a gente che non andava così per il sottile, perché non lo facevo neanche io…


Quando Angel venne nel mio ufficio, dopo, e mi disse che doveva esserci qualcosa di strano, in quel treno e nei suoi passeggeri, perché il demone che lo aveva attaccato non era affatto di una specie violenta, il mio primo istinto è stato di chiusura."

Scosse le spalle.

"Non chiedermi perché.


Magari perché pensavo: un demone è solo un demone, o perché una parte di me stava lottando per non fidarsi di Angel…


Perché avevo letto che cosa era…

O perché, al contrario, provavo un impulso così forte ad aver fiducia in lui che mi irritava terribilmente…


Avevo infranto delle leggi per lui.

Nascosto delle cose.

Mentito.


E anche se lui non me lo aveva mai chiesto, anche se lo avevo fatto per mia scelta e mia volontà, non riuscivo a non avercela con me stessa… e con lui di rimando.


E proprio quando le cose dentro di me cominciarono a chiarirsi… mio padre fu ucciso…"


Tacque, ma solo per un attimo.

"Ho odiato Angel, quando ho saputo che aveva coperto qualcosa su di lui e non mi aveva detto niente.


Mi sono ripetuta che, forse, se lo avesse fatto, avrei potuto salvare mio padre…


E invece ero solo io… era sempre… soltanto colpa mia…


Mio padre è stato ucciso perché odiassi Angel… perché fossi un ostacolo…

E io ho abboccato al loro amo… almeno in parte."


Di nuovo, un sorriso amaro le salì alle labbra.

"Nessuno aveva mai voluto proteggermi in vita mia, nessuno lo aveva mai fatto, e io non volevo che nessuno lo facesse.


Credevo di essere in grado di affrontare qualsiasi cosa.


E poi è arrivato Angel, e, dall'inizio, ha sempre cercato di proteggermi.

Da un mostro omicida, da un delinquente, e poi dalla verità.


Da quello che lui era, dalla realtà stessa dell'esistenza sua e di quelli come lui.


E poi dalla realtà su mio padre."


Le dita di Kate, veloci, sfiorarono il morso sul suo collo.

" Anche quando ho creduto che volesse uccidermi, lui voleva proteggermi.


E io l’ho rifiutato.

Perché ero sicura che se mi fossi attaccato a lui una volta lo avrei fatto per sempre.


Cercavo di essere forte.

Volevo esserlo.


Abbastanza da affrontare la verità…


E quando lui cercava di proteggermi pensavo solo che non mi considerava abbastanza forte per farcela da sola.

E che mi mentiva.

Mi nascondeva qualcosa.


Anche quella mattina, quando mi chiese quell'elenco di passeggeri …


Sapevo che non mi aveva detto tutto… e questo mi faceva andare in bestia.


Io… volevo soltanto lavorare insieme lui, ma ero troppo orgogliosa per chiederglielo.


E così l'ho mandato via… e gli ho detto che per quanto mi riguardava tutto si riconduceva a quel demone e alla sua follia…


Perché… " Mormorò, alzando gli occhi verso Spike. " perché non mi ha permesso di avvicinarmi?

Perché non si è fidato di me, nella mia capacità di capire?


Perché questa… ostinazione a proteggermi come una bambina?"


Spike sorrise, e, esattamente come era accaduto a Kate con il morso sulla sua pelle, le lunga dita del vampiro corsero a sfiorare la sua Claddagh , accarezzandola con il pollice, come la cosa più preziosa che potesse esistere.


"Per la ragione più vecchia del mondo… " Mormorò. " perché ti vuole bene… e Angel farebbe qualsiasi cosa per proteggere i suoi cari.


Se potesse, li metterebbe sotto una campana di vetro e impedirebbe persino all'aria di sfiorali.


Lui è fatto così…


E certe volte deve letteralmente lottare con il rispetto che ha per gli altri, e si trova a dover scegliere tra farsi odiare per averli troppo protetti o vederli soffrire…


Nel tuo caso, ha scelto la prima possibilità… e la campana di vetro gli è letteralmente scoppiata in faccia!"


"Avrei potuto affrontare la verità."

"Davvero?

E lo hai fatto?"


Kate deglutì di nuovo. E dopo un attimo abbassò gli occhi, mortificata.

"No…"


Spike continuò a fissarla, impietoso.

"Angel ti aveva vista vicina a qual treno, come ti ho vista io, così felice che tuo padre fosse lì… così contenta di sapere che si preoccupava per te, anche se ti sforzavi tanto di nasconderlo…"


Kate dovette far forza su se stessa, per non boccheggiare.


Come aveva potuto quel vampiro leggere così profondamente in lei?

Penetrare nei muri di autocontrollo che così faticosamente si era costruita?


E gli occhi di Angel, quegli occhi che sempre sembravano scrutarle nell'anima, davvero avevano fatto lo stesso?

Davvero le avevano carpito i segreti più riposti del cuore?


E per questo aveva voluto proteggerla?

E perché?


Strinse i denti, e si stupì a scoprire di avere ancora orgoglio.


Credeva di averlo perso tutto, di averlo ingoiato, insieme ad alcool e barbiturici.


Eppure… doveva averne ancora se era così difficile buttarlo giù, se doveva stringere le mani una sull'altra, e chinarsi in avanti, e serrare le mascelle, per riuscire a parlare.


Per riuscire a chiedere.


A lui.

A un vampiro.


"Per favore, Spike…" Disse, più forte di quel che avrebbe voluto."Spiegami."


Lo fissò.

" Io impazzisco se non riesco a capire!


Sei stato tu a cominciare questa storia.


Continua.

Fami capire perché ha agito così… perché lo ho odiato…"


Per qualche momento, Spike non le rispose.


Non disse nulla.


La fissò, il pollice fermo sul suo anello.

Impassibile.


Come se stesse valutando le sue parole.

Come se stesse scegliendo se varcare o meno una soglia.


Alla fine, quasi bruscamente, scosse le spalle.


"Angel non mi dice sempre tutto nei particolari. So solo la metà di questa storia."


"Non importa" Rispose Kate senza esitare." L’altra, la conosco io..."


*****


Galway, Irlanda, 1753, l' aurora.


"Vieni più vicino, Anna…"


La ragazza lo fissò con gli occhi sgranati, i riccioli biondo dorati legati sulla testa e a stento trattenuti da un piccola cuffia candida.


Impaurita.

Incerta.


Ed eccitata.


Gli piaceva questo.

Gli faceva sentire che esisteva.


Perché se Anna lo vedeva… se ad Anna batteva più forte il cuore quando lui si avvicinava, voleva dire che esisteva… che era più di nulla.


E poi… questo era proibito.

E a lui piaceva tutto ciò che era proibito.


Questo lo avrebbe fatto infuriare.

E a lui piaceva tutto ciò che lo avrebbe fatto infuriare.


"Master Liam…"Mormorò la ragazza nervosamente, guardandosi intorno." vostro padre…"


Lui barcollò, afferrandosi alla parete della cucina per evitare di cadere in terra, e un pigro sorriso gli salì alle labbra.


"E' in chiesa," Disse. " a pentirsi dei suoi peccati, e fa bene.


Vieni più vicino Anna…"


Era carina, Anna.

Molto carina.

M lui non voleva portarsela a letto.


Era una dolce, piccola ragazza… una brava ragazza che metteva da parte i soldi per sposarsi.


Voleva solo divertirsi un po’ con lei… guardare come si tingevano di rosso le sue guance quando la fissava, quando le bisbigliava parole che avevano sempre più di un senso…


Lo divertiva scandalizzarla… e vederla pendere dalle sue labbra.

E continuare a stargli vicino, anche se tremava per la paura che lui la scoprisse.


Un bacio, forse…

Si solo un bacio…


Le orecchia di Anna non erano fatte per le sue false promesse.


La ragazza si avvicinò di un passo, stringendo al seno la brocca piena di acqua, scavando nel buoi alla ricerca del suo volto.


"Perché ve ne state nell'ombra, signore?" Gli chiese timidamente." Non state bene?"


Liam inclinò leggermente la testa.

"La luce." Spiegò, allungandosi verso di lei e proteggendosi il volto con la mano. " Mi ferisce gli occhi."


"E noi sappiamo bene il perché!" Raschiò una voce aspra, bassa, che gli artigliò il cervello come unghie sul muro.


Si sentì spingere in avanti, con tale violenza che cadde in terra, afferrandosi al pozzo, e usandolo un attimo dopo per rimettersi in piedi.

E ritrovarsi faccia a faccia con l'uomo dal volto duro, arcigno, che lo odiava e che lui odiava.


In tutta la sua vita non lo aveva mai visto sorridere.


La sbronza era stata troppo forte perché riuscisse a stare eretto, ma ci provò, e nonostante le sue parole di poco prima non si fece ombra, né strinse gli occhi, lasciando che la luce del caldo sole irlandese illuminasse tutto quello che era: scomposto, scarmigliato, spettinato, i lunghi capelli castani ridotti ad un ammasso scomposto.


Non gli importava che lui lo vedesse.

Anzi… voleva che lui lo vedesse…


"Di nuovo fuori tutta la notte "Sbraitò l'uomo fra i denti. " bevendo e andando a puttane!


Posso sentirti il fetore addosso!"


"Buongiorno a voi, padre." Lo salutò Liam, ignorando ostentatamente le sue parole,e godendo della rabbia che sfrecciò negli occhi dell'altro.


"Sei un disonore." Gli ringhiò contro lui quello che Liam pensò fu che doveva davvero soffocare tanto era stretto il suo colletto… e che faceva male…

Ancora e ancora, e ancora…

Nonostante l'alcool e il sesso… ma quelli servivano solo per un momento… il trascorrere di un battito di cuore.


Pure, sul suo volto, quel dolore ormai non compariva più.


"Se dite così, padre." Rispose, apparentemente annoiato.

"Oh, lo dico" Sibilò suo padre. " Non hai avuto abbastanza bagordi per una notte? Devi anche corrompere i servitori?"


Liam lanciò un 'occhiata ad Anna.


La ragazze era terrorizzata, letteralmente.


Avrebbe potuto essere scacciata al solo sospetto che lo avesse incoraggiato…

Ma, dopotutto, a lui cosa importava?


"Vi infastidisce che volessi corromperla" Mormorò. " o che mi sia ‘abbassato’ a rispondere ad una sua domanda?"


L'altro serrò i denti, ma Liam continuò, imperterrito.

"Tutti siamo corrotti, padre, ma trovo che alcune forme di corruzione siano" Sorrise. "più piacevoli…"


Lo colpì, così forte da farlo indietreggiare, sebbene Liam fosse molto più alto e robusto di lui.


"Mi vergogno di chiamarti mio figlio!" Tuonò. " Sei solo una canaglia e non diventerai mai niente più di questo!"


Gli aveva spaccato un labbro, e il sangue gli scendeva nella bocca e sul mento.


Era aspro il sangue, e sapeva di ferro.

E lui lo ingoiava, gli occhi fissi nel vuoto.


Non faceva più male, ora.

Non faceva mai male dopo che lo colpiva.


Aveva raggiunto il suo scopo.

Lo aveva fatto irritare, lo aveva abbassato, trascinandolo nel fango.


Al suo livello.


E ora non faceva più male.


Cercava quei momenti, a volte.

Quando il suo cuore sembrava quasi morto.


Ma duravano poco.

Sempre troppo poco.


Lentamente, sollevò la mano, e si asciugò dal labbro il sangue sparso da suo padre.


*****


Los Angeles, 2000


Era arrabbiato.

Veramente arrabbiato.


Anche se, come spesso gli accadeva, nulla nella sua espressione tradiva la rabbia che provava.


Avrebbe potuto afferrare una qualunque delle porte che gli scorrevano di fianco e strapparla dai cardini con un semplice gesto della mano, eppure chiunque lo avesse visto avrebbe giurato che fosse perfettamente calmo. Che percorresse il corridoio semi buio del palazzo come un qualunque uomo tranquillamente concentrato nei suoi pensieri.


Molto probabilmente solo Spike e Doyle avrebbero potuto intuire la sua rabbia, il suo vero stato d'animo.


Neanche l'uomo che cercava l'avrebbe letto sul suo volto.

Anche se ne era la causa.


Lo aveva visto pochi istanti prima, mentre apriva una porta e consegnava un pacchetto al fattorino che aveva seguito fin lì.


Quello che era nella metropolitana attaccata dal Kwaini, quello che aveva tirato il freno d'emergenza, quello che la stessa Kate aveva interrogato e poi lasciato andare.


Se ne sarebbe accorta in un altro momento…


Era sempre stata così attenta ad dettagli, così acuta da essere fin troppo pericolosa per qualcuno che, come lui, viveva immerso nelle tenebre.


Kate lo aveva smascherato la prima volta che eri erano incontrati, era giunta fino a lui, e poi aveva trovato Penn… eppure, ora, non si era resa conto dell'incoerenza, della semplice, lineare assurdità di un fattorino che, durante l'orario di lavoro, anziché nel suo furgone , si trovava su un vagone della metropolitana ...


Tuttavia, Angel non gliene faceva una colpa.

Angel poteva capire.,. fin troppo bene… quel che si agitava nel suo cuore.


Aveva visto all'improvviso il suo mondo invaso da demoni, vampiri, mostri di ogni genere che non aveva mai pensato potessero esistere, e aveva reagito con tanta forza e compostezza che perfino Angel aveva scordato quanto difficile potesse essere per lei.


Che Kate non era nata a Sunnydale, e non era la Cacciatrice…


Era andato da lei, le aveva chiesto il suo aiuto, le aveva parlato, come prima di Penn, come prima che lei sapesse… e solo allora aveva compreso veramente quanto stesse lottando… per capire… per accettare una realtà che non sembrava vera.


E si era rimproverato di non essere riuscito a risparmiarglielo…

E di quella sorta di gioia, di sollievo che provava a non doverle più nascondere chi era…


Anche se era stata lei a non permettergli di proteggerla…

Anche se era stata lei a non volerlo…


Ora, di fronte all'enorme sforzo che le era crollato addosso, di fronte ai suoi colori contrastanti, e alla sua complessità, come avrebbe mi potuto rimproverarla se le sfuggiva un ' unico dettaglio?


E poi… c'era suo padre…


Il padre che adorava.

Il padre che non la meritava.


Non gli sarebbero bastati altri duecentocinquanta anni per dimenticare la sua espressione ferita quando le aveva dette quelle parole così crudeli, all'indomani della sua festa di pensionamento.


Gli era sembrato che il cuore di Kate battesse nel suo petto, allora.


Aveva sentito il suo dolore, la sua delusione, il suo sentirsi inutile e inadeguata…

E si era chiesto se davvero quei sentimenti fossero di Kate… o solo l'ombra di ricordi vivi dentro di lui come se solo il giorno prima fossero stati scolpiti dentro la sua anima.


Né avrebbe mai dimenticato il volto di lei quando lo aveva visto, suo padre, vicino a quel treno… e aveva creduto che fosse venuto per lei.

Perché era preoccupato …


Glielo aveva detto dopo che lui se n'era andato.

Fissandolo scomparire.


Gli aveva aperto il suo cuore in quel momento.


Aveva dimenticato che era un vampiro… una delle sue "cose cattive".


Credo che mi stia davvero controllando…


Si era chiusa in se stessa, dopo, imbarazzata, e lo aveva allontanato.

Aveva chiuso il suo cuore, lasciandolo fuori.


Ma, in quei pochi istanti, Angel aveva visto una bambina emozionata e felice perché il suo papà si preoccupava per lei…

Aveva rivisto la ragazza vulnerabile che piangeva perché lui non le aveva mai espresso il suo affetto.


Kate era stata così felice che lui fosse lì, almeno quanto era stata attenta a non darlo a vedere, a controllare i propri sentimenti.


Il suo volto si era come illuminato, e aveva sentito chiaramente il suo cuore battere più forte.


Lei viveva per l'approvazione di suo padre, per il suo affetto… ottenerlo le sembrava la cosa più importante al mondo …


E ora… ora c'era quest'uomo che apriva una porta e consegnava un pacchetto al suo indiziato numero uno, e che probabilmente quello stesso pacchetto lo aveva sottratto dalla scena di un crimine non più di una manciata di ore prima.


Portando via, se il suo intuito all'improvviso non aveva preso a far acqua, la ragione per cui un innocuo demone Kwaini si era trasformato in un pericoloso guerriero.


E quest'uomo era il padre di Kate.


La stessa persona di cui lei, così orgogliosa, mendicava uno sguardo, per la cui festa di pensionamento era stata emozionata come una quindicenne al primo ballo.


Alla cui approvazione aveva probabilmente votato la sua vita.


Si.

Era veramente arrabbiato.


Era arrabbiato perché quell'uomo stava mentendo a Kate.

Era arrabbiato perché l'aveva usata, aveva usato il fatto di essere suo padre per portare via il pacchetto sotto il naso della polizia.

E perché quando Kate lo avesse saputo ne sarebbe stata annientata.


E la delusione, l'amarezza l'avrebbero fatta stare male.


E si sarebbe sentita piccola e inutile, e si sarebbe chiesta che cose ci fosse di tanto orribile in lei da spingere suo padre ad ingannarla.


E si sarebbe sentita… niente.


E avrebbe reagito, si, ma non come lui.


Lui era stato un debole… e la sua reazione era stata quella di fare qualunque cosa potesse ferire suo padre.


Kate… lei probabilmente avrebbe lottato… si sarebbe arrabbiata, e avrebbe sfogato il suo dolore chiudendosi ancor più in se stessa…

E avrebbe sofferto… tanto.


Se lui non fosse riuscito ad impedirlo.

Se non fosse riuscito a proteggerla…


E con la rabbia che si ritrovava in corpo dovette ricordare a se stesso che era il padre di Kate che si trovava di fronte, quando aprì la porta, per impedire ad disprezzo di trapelare dal suo volto.


"Signor Lockley?" Mormorò, freddamente.


" Si? "

"Sono Angel. Ci siamo incontrati alla sua festa di pensionamento.


Sono un amico di suo figlia."


"Katie?" Esclamò quello." E' successo qualcosa?"

"Sta bene." Lo interruppe, irritato.


Quell'uomo sembrava il ritratto dell'amore paterno, e sua figlia si struggeva per una sua parola di approvazione.


"E' con lei?"

"No. Lei non sa che sono qui.

Ma può scommettere che le interesserebbe molto sapere chi altro era qui a farle visita."


Strinse i denti, senza riuscire a dominare le parole.

"Lo sa che ha davvero pensato che fosse lì, stamattina, perché era preoccupato per lei?"


L'uomo si mise immediatamente sulla difensiva… proprio come faceva sua figlia.


"Che cosa vuoi?" Esclamò, stringendo leggermente gli occhi.


"Voglio sapere che c'era in quel pacco.

Quello che ha dato al fattorino."

"Non so di che stai parlando."


Mentiva.

Dio… e proprio come Kate era bravo, molto bravo, a nascondere i propri sentimenti.


Eppure, proprio come con Kate, quei sentimenti quasi gridavano nelle orecchia di Angel.


"Lei ha rimosso qualcosa dalla scena del delitto.

Qualcosa che qualcuno non voleva fosse scoperto dalla polizia."


L'uomo fece per chiudere la porta, ma Angel lo bloccò.


"Per chi lavora, signor Lockley?"

"Non lavoro per nessuno." Rispose, fingendo ancora indifferenza." Sono in pensione.

Eri alla festa, ricordi?"


Strinse le dita sul legno della porta, fino a farsi male.

"Scoprirò quello che sta facendo, signore.

Glielo sto dicendo solo per riguardo a Kate."


"Mi stai minacciando, figliuolo?" Sibilò lui.

"No. Io sto cercando di proteggere sua figlia."


Gli sembrò sorpreso, ora, più che irritato, almeno quanto lo era lui per aver usato quelle parole.

Per avergli detto la verità.

"Proteggere mia figlia? E da che?"


Ancora una volta , non gli mentì, e sperò che quella verità servisse più delle parole, più della sua rabbia e del suo sguardo truce.

"Dallo scoprire che non era perché le vuole bene che era lì, oggi."


Sperò.

Desiderò che quelle semplici parole gli arrivassero al cuore.

Che lo convincessero.


Si illuse per un attimo che gli avrebbe detto la verità, e che lui avrebbe risolto tutto… senza che Kate ne sapesse mai nulla… mai…

Senza che cessasse di credere in suo padre.


Ma quell'uomo era ostinato.

Come sua figlia.


"Tu… tu non puoi pensare e di sapere come si sente un padre" Esclamò tra i denti, ad alta voce." E perché fa le cose che fa.

Tu non hai figli!"


Angel lasciò andare lo stipite, abbandonando la mano lungo il fianco.

Mentre uno strano misto di orgoglio e tristezza gli invadeva l'anima.


E con tutte le sue forze desiderò di essere distrutto prima di provocare una delusione come quella che quell'uomo avrebbe dato a Kate, o che suo padre aveva dato a lui.


"Si sbaglia" Mormorò piano. " io ho un figlio."


*****


Galway, Irlanda, 1743


"Io non ho un figlio!" Gridò. " Non ho un figlio! Non ho un figlio!"


E ogni parola era una vergata sulle sue spalle.

Sulla sua pelle.

Sulla sua carne che bruciava.


Come spilli di fuoco.


Sottili.


Troppo per lasciare segni altrove che non sulla sua anima.


"Non merito un figlio come te!

Una simile piaga è per un delinquente, non per un uomo timorato!"


Strinse i denti, Liam, per non emettere un solo lamento.

Mentre suo padre continuava a compirlo.


Avrebbe voluto che crollasse, che piegasse le spalle, ma la sua schiena si ostinava a restare diritta, le braccia allungate di fronte a lui, contro il muro della cucina, e il sudore che in rivoli gli scendeva sul volto.


E ogni momento in cui i suoi muscoli rimanevano tesi era un insulto, un grido di disprezzo.


E meritava un 'altra vergata.

E un 'altra ancora.


Avrebbe potuto rispondergli.

Impedirgli di colpirlo ancora.


Perché, a sedici anni, Liam era molto più alto, e più robusto, e più forte di lui.


Eppure continuava a subire la sua ira.

E non aveva mai pensato di colpirlo a sua volta.


Forse era solo un idiota, ma non aveva mai voluto colpirlo.


Erano altre le cose che aveva voluto… da lui… da suo padre.


Prima.

Quando ancora si illudeva di poterle ottenere.


Ora, non voleva più nulla…

Ora sapeva che non avrebbe mai avuto nulla…


Sollevò la testa, stringendo i denti, ingoiando un grido, mentre la verga gli colpì le reni.

E, per reazione, un sorriso ironico gli salì alle labbra.


"Vi ferirete al polso…" Ansimò. " perché non vi fare aiutare dal signor Dirr… ah, dimenticavo… non ci allieta più con la sua compagnia…"


L'ultima parola gli morì in gola, ingoiata con il suo dolore.


"Insolente inetto!" Urlò, colpendolo ancora.


Sentiva l'odore del sangue.

Del suo sangue.


Nelle narici.

Sulla pelle.

Tutto intorno a lui.


Un altro sarebbe già caduto.

Forse, sarebbe già svenuto.

Ma non Liam.


Non avrebbe mai dato a suo padre una simile soddisfazione.


E poi, ogni singolo colpo valeva mille volte la gioia crudele che aveva provato quando aveva detto a suo padre ciò che aveva fatto al suo prezioso signor Dirr, il suo compito, affidabile istitutore inglese, quello a cui aveva raccomandato di spezzarlo, se necessario, pur di fargli imparare qualcosa.


Lo specchio di virtù che si portava a letto la figlia di un pescatore.


Quanto… quanto si era divertito ad appiccare il fuoco agli sterpi vicini al vecchio mulino, dove i due si incontravano, e a veder accorrere tutta Galway prima di incendiare anche quello.


Almeno quanto nel vedere la faccia di suo padre diventare paonazza per la rabbia e l'umiliazione quando una massa di pescatori inferocito gli avevano riportato quel che restava dell'istitutore, che era pure sposato e padre di tre figli.


In tutta la sua vita non aveva mai riso tanto.

Ne era mai stato battuto tanto.


Eppure non faceva male.

Non come la prima volta.


Quando si era nascosto nel buio, e aveva pianto.


Ancora piangeva, a volte… ma lo faceva così di rado che poteva illudersi che non fosse vero.


Quando il vecchio prete che gli aveva insegnato a leggere si appoggiava al suo braccio, e gli diceva che si fidava solo di lui per la sua passeggiata.

O quando incrociava sua madre e lei abbassava gli occhi, e Liam aveva voglia di afferrarla dalle braccia e gridarle in faccia, chiedendole perché non facesse mai qualcosa.


Perché guardava in silenzio mentre suo padre lo picchiava, mentre dalle loro bocche scivolava il veleno.

Perché non lo aveva mai accarezzato, dopo, dicendogli che gli voleva bene.


Allora piangeva, a volte.

Ma per le vergate no.


Per quelle non avrebbe pianto.


Si sarebbe stancato prima suo padre di dargliele che lui di prenderle, anche se gli avesse staccato la pelle dalla schiena, a forza di colpirlo.


"Chiedi perdono!" Gli gridò, e lui sollevò il volto, e sorrise.


Si stancava, il vecchio… molto, molto prima di lui…

"Chiedi perdono o giuro che ti ammazzo!"


Sollevò più in alto la testa, spingendo più forte contro la parete.

E si disse che era l'ultima volta che glielo permetteva.


Che se ne sarebbe andato.


Presto.

Immediatamente.


Se lo disse per distrarre la sua mente, come aveva già fatto migliaia di volte.


Se ne sarebbe andato.


Via da Galway.

Via dall'Irlanda.

E avrebbe visto il mondo.


E il mare, nelle sue orecchia, avrebbe preso il posto delle vergate…


"Master Malahide, master Malahide, venite, presto.

Ci siamo!"


Girò la testa, l'arrestarsi dei colpi sulla sua schiena così brusco che lo prese di sorpresa.

Distraendolo.

Facendogli quasi perdere l'equilibrio.


Era stata la levatrice a chiamare, da una finestra al primo piano che dava sul cortile… e suo padre rispose immediatamente, gettando la verga ai suoi piedi e passandogli accanto pieno di disprezzo.


Non si era piegato… sapeva che non lo aveva fatto.


"Datti una ripulita." Sibilò fra i denti, senza neanche guardarlo." E vieni a salutare tuo fratello."


Liam attese che fosse entrato in casa e poi si appoggiò al muro, affondando la testa fra le braccia e lasciando che un gemito soffocato gli sfuggisse dalle labbra.


Non seppe mai quanto tempo rimase così, immobile, ansante, mentre il dolore fisico e dell'anima gli si diffondeva in ogni pollice di carne.

Prima di riuscire finalmente a voltarsi e ad avvicinarsi barcollante al pozzo.


Era l'ultima volta.

L'ultima.


Se ne sarebbe andato di lì.


Da quei boschi verdi in cui la sua balia lo portava a passeggiare, da quella luce che arrivava all'anima.


Sarebbe andato lontano, tanto che adesso non poteva neanche immaginarlo.


Faticosamente, riempì un secchio d'acqua, e poi lo sollevò, rovesciandoselo sulla testa.


Le ferite, sulla sua schiena nuda, bruciarono e dolerono, e lui boccheggiò, passandosi le mani sul viso.


Voleva che conoscesse suo fratello?


Bene.

Sperava che sua madre avesse messo al mondo un bastardo come lui, così finalmente lo avrebbe lasciato in pace.


Un piccolo ghigno gli salì alle labbra.


Lacero, sudato, mezzo nudo e bagnato fradicio… suo padre sarebbe andato in bestia se si fosse presentato in quel modo… ma gli aveva detto di andare... di conoscere questo fratello che gli avrebbe insegnato a vivere.

E lui era un figlio rispettoso, dopotutto.


Si avviò verso casa, a fatica, lottando per non barcollare.


E odiò suo padre.

Lo odiò più di quanto non lo avesse mai odiato.


E non per le vergate.

Non per le sue parole.

O perchè lo faceva sentire come se non esistesse.


Lo odiò perché faceva in modo che lui provasse risentimento per una creatura che non era ancora nata.


Un fratello che molto probabilmente avrebbe vissuto quel che viveva lui, e avrebbe sofferto quanto soffriva lui.


Si passò una mano sui capelli, sgocciolando sul pavimento tirato a lucido, mentre si avvicinava lentamente alla stanza di sua madre.


Vide la domestica di sua madre uscire, portando un fagotto bianco in una camera di fronte, e un attimo dopo venire fuori anche suo padre, che lanciò un 'occhiata torva al vecchio padre Dermot, fatto venire per l'occasione.

"Tutto questo trambusto," Soffiò a denti stretti. " solo per una femmina!"


Una bambina!

No, non poteva crederci!

Era troppo divertente!


Il prezioso erede, la rivincita si suo padre era… una bambina!


"Ebbene" Continuò quello. " Sia come Dio vuole.

Battezzatela, padre, appena vi sarà possibile."


Il vecchio prete sollevò il volto, sospirando.

"E come vorreste chiamare la vostra creatura, ditemi."


Suo padre scosse le spalle.

"Katherine."


"E perché non Cathleen, secondo la nostra tradizione?"


L'altro squadrò il vecchio prete dall'alto in basso.

" Mia figlia non porterà un nome pagano!" Esclamò, prima di lasciarlo.


Passò accanto a Liam, lanciandogli uno sguardo pieno di ribrezzo.

"Va a ripulirti, ragazzo. Sei disgustoso!

Qui non c'è niente da vedere!"


Liam appoggiò la testa alla parete, mentre un sorrisetto pieno di ironia gli saliva alle labbra.

Tuttavia, per una volta, lasciò che le parole di scherno gli riscendessero lungo la gola, nella consapevolezza che suo padre quel sorriso lo aveva visto, e che sapeva benissimo cosa voleva dire.


Fece ancora qualche passo, fermandosi per un attimo sulla soglia della camera che da mesi era stata destinata a suo fratello, e che al centro, illuminata dalla luce del sole, aveva una piccola culla di vimini intrecciati.


Entrò, incuriosito dalla mancanza di suoni, e abbassò lo sguardo per osservare la bambina avvolta nelle lenzuola chiare.


Katherine.

Sua sorella.


Una cosina rossa con tantissimi capelli castani e un viso minuscolo e grinzoso.


"Guardati… " Sussurrò piano." Lo sai che sei proprio brutta?"


Sorrise quando la bambina sollevò il viso, lasciando andare qualcosa di molto simile a un piccolo sospiro.


Sembrava… sembrava quasi che lo guardasse.


"Non è vero…" Concesse. " sei carina… pure troppo per essere sua figlia…"


Allungò una mano, ma si fermò alla vista della sua pelle sporca e sudata .


All'improvviso, si sentì tutto sporco e sudato .

Dalla testa ai piedi.


E di più.

Si sentiva sporco e sudato anche dentro…


Lei, invece, era appena nata, ed era così pulita…

Così colorata… sembra che niente al mondo avrebbe mai potuto sporcarla.


Ma era nata in quella casa, ed era facile in quella casa sporcarsi, per tutto e tutti.


Con una scrollata di spalle allungò le mani e la prese in braccio.


A suo padre sarebbe venuto un colpo se lo avesse visto.

Avrebbe pensato la volesse far cadere.


Ma Liam non voleva farla cadere.

Liam aveva paura, era terrorizzato al pensiero di farla cadere.


Però… voleva anche tenerla un po’ vicino a se.


In quel momento, in quella casa, quella bambina era l'unica creatura che non lo disprezzasse.

Che non lo considerasse un inutile, vergognoso inetto.


E lui non voleva che, appena nata, si sentisse sola, nel mezzo di quella stanza vuota…


No.

Per una volta le sue azioni non erano per ferire suo padre.


Per una volta non era l'odio a dettarle…


"Sei venuta in un postaccio…" Mormorò piano.


Alle sue spalle, da qualche parte, suo padre sbraitò contro qualcuno, e lui strinse le labbra, continuando a guardarla.

"Benvenuta a casa, Kathy."


*****


Los Angeles, 1983


"Katie ha gli occhi di vetro!

Katie ha gli occhi di vetro!


Biglie di vetro colorate, e le rane glieli caveranno con la lingua!"


"Basta!" Gridò, fuggendo via, le mani premute sulle orecchia per non sentire.

Per non ascoltare la cattiveria dei suoi compagni, che ora ridevano sul marciapiede di fronte alla scuola.


Era da giorni che continuavano.

Sembrava che non si stancassero mai.


Continuavano a ripetere che i suoi non erano occhi veri, che erano troppo chiari, e troppo grandi, e che li sgranava sempre troppo.


Erano biglie di vetro colorate… e quando avesse piovuto abbastanza e gli stagni e i fiumi si fossero ingrossati, le rane sarebbero sgusciate fuori e glieli avrebbero cavati con la lingua, prima di mangiarli.


All'inizio non ci aveva creduto.

All'inizio si era difesa, come sempre.


Era per questo che i bambini le facevano i dispetti.

Perché non aveva paura di loro.

Perché si difendeva, e, alta com'era, riusciva a darle persino ai più grandi.


Ma poi, a poco a poco, aveva cominciato a crederci, e quando, quattro giorni prima, Frank Davis aveva liberato in classe tre enormi rospi pieni di escrescenze ne era stata terrorizzata, e aveva cominciato a urlare come una bambina piccola.


"Hai nove anni, Katie!" L'aveva rimproverata suo padre. "Sei grande, ormai, e le ragazze grandi non piangono!"


Naturalmente aveva ragione.


Era grande, ormai… era grande da quando sua madre era morta, eppure gli scherzi degli altri le facevano ancora male, e le rane ancora paura.


E di notte si nascondeva sotto le coperte col terrore che le sbucassero in camera e le mangiassero gli occhi.


A poco a poco, rallentò l'andatura, ansimando per lo sforzo, e alla fine si fermò, davanti alla vetrina del fornaio, a due passi da casa.


Sembrava molto più grande della sua età, forse per via della sua altezza, o della forma del suo viso, o dei suoi occhi grandi e un po’ felini.

O forse, semplicemente, perché era grande.


Più grande delle bambine della sua età.


Lo sapeva.

Lo sapeva sempre.


Anche ora, mentre entrava nel negozio e comprava il pane per il pranzo e i biscotti per la colazione del giorno dopo.


E poi, mentre ficcava la chiave nella toppa ed entrava in casa.


Le sue compagne pensavano a giocare, a fare i compiti, ad andare a spasso con le loro madri.


Entrò, accendendo la luce, e appoggiò lo zaino al suo posto, sulla consolle attaccata alla parete.

Poi, automaticamente, scosse con le mani i fiori nel vaso trasparente.


Quando era viva e veniva a prenderla da scuola, quella era la prima cosa che sua madre faceva.

Non aveva mai capito perché.


Non glielo aveva mai chiesto.

E ora non lo avrebbe più fatto.


Deglutì, cercando di mandar giù il groppo doloroso nella sua gola.


Le ragazze grandi non piangevano.


Doveva ricordarsene.


E non voleva che suo padre tornasse a casa e capisse che stava per piangere.


Ci sarebbe rimasto male, l'avrebbe rimproverata.

E lei non voleva deluderlo.


Passò in cucina, e cominciò a sbattere le uova in un piatto.


A suo padre piacevano le frittate, e lei si sforzava di inventane ogni volta una variante diversa…

Solo… solo che certe volte lui non se ne accorgeva nemmeno…


Era sempre così occupato… così preso dal suo lavoro al distretto di polizia… o così stanco dopo aver staccato…


Però… se lei fosse stata abbastanza brava… se avesse cucinato abbastanza bene, o tenuto la casa come faceva la mamma, o avesse preso voti abbastanza alti a scuola si sarebbe accorto di lei.

Le avrebbe detto che era brava.


Doveva solamente essere abbastanza in gamba.


E non piangere più.


Apparecchiò la tavola, dispose i piatti e le posate, poi appoggiò al centro i fiori, allontanandosi di un passo per ammirare tutto.


Sembrava carino… era carino… e i fiori erano bellissimi…


Sorrise nervosamente, lanciando uno sguardo all'orologio, e quasi sobbalzò quando sentì, giù in strada, l'inconfondibile frenata di suo padre.


Scostò le tende per sicurezza, anche se non ne aveva bisogno, e poi si affrettò di nuovo in cucina, a dividere la frittata e a scodellarla nei piatti.


Non aveva ancora finito di riavviarsi i capelli quando suo padre aprì la porta, chiacchierando rumorosamente con Biggie Nelson, il suo compagno.


Gli corse incontro, sorridendo.

"Ciao papà."


Trevor Lockley le lanciò uno sguardo distratto.

"Ciao, Katie, tutto bene a scuola?"


"Si, papà…" Lo vide passare, superandola, e avvicinarsi alla tavola. " grazie… "


Non ricevendo risposte, si voltò educatamente verso l'altro uomo.

"Resta a mangiare con noi, signor Nelson?"


Lui le sorrise, un sorriso cortese, molto dolce sul volto scuro del Portoticano.

"No, Katie, grazie, sei sempre molto gentile." Passò lo sguardo alle sue spalle. " e sei anche molto brava.

Sono sicuro che quel delizioso pranzo lo hai fatto tu con le tue mani…"


Sorrise, abbassando timidamente gli occhi.


"E dai Biggie" Disse suo padre dietro di lei. "La mia ragazza non è tipo da complimenti!

Non le interessano queste cose!"


Tacquero entrambi, e dopo un attimo Kate si volse verso suo padre.


Era in piedi, davanti alla tavola, e stava piegando la sua fritta fra due fette di pane.


"Non ti fermi, papà?" Mormorò, avvicinandosi di un passo.


"No, ragazza, non posso.

Ho un turno in più oggi."

"Oh. Non me lo avevi detto."


Le passò di nuovo di fianco, raggiungendo il suo compagno che teneva gli occhi bassi e non la guardava.

"Sono certo di si.

Lo avrai scordato."


"Papà…" Lo chiamò, mentre era già sulla porta." Aspetta…devo mostrarti una cosa…"


"Domani, Katie, domani.

Ora devo proprio andare.

Fa i compiti e poi va subito a letto."


Kate annuì piano, appoggiando una mano alla maniglia.


"Ciao, Katie… " La salutò Biggie, e lei si sforzò di rispondere al suo sorrido gentile.


Dopo un momento, lo sentì parlare lungo il corridoio.

" E che cavolo, Trevor! E' solo una bambina e tu la tratti come una donna di quarant'anni, ignorata per giunta!

Non lo vedi che ci resta male?!"


"Nah…" Gli rispose suo padre. " Katie non è una di quelle ragazzine frignanti.


Lei è forte.

Sa che ho un lavoro duro e che le cose sono molto difficili da quando sua madre se n'è andata."


"Allora diglielo!"

"Oh, non c'è alcun bisogno di dirle, certe cose!

Si sanno.

Si sanno e basta."


Sentì la sua voce scemare lungo le scale, e per un attimo restò immobile, con la porta aperta e la mano appoggiata alla maniglia.


Ingoiando.

Una, due volte.


Per non piangere.


Non c'era motivo di piangere.

E poi, le ragazze grandi non piangevano.


Senza nemmeno sospirare e senza guardare la tavola imbandita tornò indietro, aprì lo zaino, e tirò fuori un foglio di cartoncino ripiegato i due.


Poi prese le chiavi e, richiudendosi la porta alle spalle, uscì di casa e percorse i pochi passi che la separavano dall'appartamento della sua vicina.


Tirò su con il naso e sollevò la testa prima di suonare.


Perché non si vedesse che aveva voluto piangere.


E quando la donna venne ad aprire riuscì persino a rivolgerle un sorriso educato.

"Buongiorno, signora Newman." La salutò. " oggi a scuola mi hanno dato la pagella di fine trimestre.


Me la firma, per favore?"


*****


Los Angeles, 2001


Spike guardò Kate spazzolare qualcosa di inesistente dal pantalone da tuta che indossava sotto la maglietta bianca, uno sguardo malinconico nei begli occhi chiari.


Era accoccolata sul divano, con le ginocchia piegate sotto il corpo.

In una posizione simile a quella che le aveva visto assumere circa un anno prima, sotto l'impulso dell'incantesimo che aveva portato in superficie la sua sensibilità nascosta, e che di certo non si consentiva di assumere quando aveva il pieno controllo di se.


Come una bambina.


La bambina che non era stata .

Che non le avevano permesso di essere.


La donna si interruppe solo un minuto, eppur lui ebbe il tempo di pensare a tante cose.


Pensò a quella bambina di nove anni che doveva mandare avanti una casa e occuparsi di suo padre.

E a Buffy Summers, che a diciannove si comportava come una ragazzina viziata ed egoista, afferrando per l'ennesima volta fra le unghie il cuore si Angel e poi buttandolo via, dopo aver spremuto un po’ di sangue.


E al padre del suo sire, e alla rabbia che aveva provato lui quando, per la prima volta, gli aveva raccontato del modo in cui lo trattava.

Delle percosse, delle umiliazioni, della freddezza… di come aveva desiderato poter tornare indietro e cavare a quel bastardo tutti i denti dalla bocca, pensando al modo in cui aveva gettato il suo stesso figlio sull'orlo dell'abisso in cui era precipitato, trasformandolo in un uomo arrabbiato con il mondo, disperato e senza la forza di fare qualcosa di costruttivo per cambiare la sua vita.


Convinto di non essere nulla.

Come Kate.


Convinto da suo padre.

Come Kate.


Kate che si vestiva come un uomo perché probabilmente suo padre avrebbe desiderato un figlio forte e onesto che seguisse le sue orme.

Kate che in quel figlio aveva voluto trasformarsi.


Che era entrata in polizia.

Che aveva sepolto in fondo al cuore i suoi sentimenti.


Per lui.

Perché fosse orgoglioso di lei.

E lui non se n'era mai accorto.


Aveva distrutto la vita di sua figlia senza nemmeno accorgersene.


E pensò che era fortunato.


Per sua madre.

Per il suo sorriso radioso e le sue carezze quando l'ascoltava suonare.


E perché anche se non aveva mai conosciuto suo padre aveva avuto Angel.


Angel, non Angelus, che pure lui aveva voluto come padre.


Angel, che gli si era imposto, e che gli aveva insegnato ad essere quello che era.


E che era sempre stato lì per lui.

Quando era stato felice e quando il suo cuore freddo si era spezzato.


Si.

Era stato molto fortunato.


Più di Angel.

Più di Kate, che si passava una mano nei capelli, e probabilmente si chiedeva perché gli stesse raccontando quelle cose.


E all'improvviso fu contento di essere lì.


Pensava ancora che quello non fosse il suo posto, che avrebbe dovuto esserci Angel seduto su quella poltrona… anzi, a voler essere onesti, avrebbe dovuto essere accanto a Kate, possibilmente con un braccio attorno alle sue spalle… a rimuginare per la milionesima volta sul suo passato e su quello di lei… però era anche contento di essere lì.


Quella donna si stava dimostrano molto più interessante di quanto non avesse creduto, nonostante ciò che aveva visto negli ultimi due anni.


"Oh, Dio, scusa… "Sorrise lei, sollevando il capo." mi ero incantata…"


Lui scosse le spalle.

"Nulla di male, bambina, succede anche a me… specialmente quando guardo Angel."


Kate sgranò gli occhi, scandalizzata.

E lui, per tutta risposta, le fece l'occhiolino.


*****


Los Angeles, 2000


Suo padre era quasi scandalizzato dalla sua sorpresa, dal fatto che continuasse a chiedergli perché si trovasse lì, ma Kate, in quel momento, doveva saperlo.

Kate doveva essere sicura.


Perché Kate aveva paura.


Paura di essere delusa.

Paura di credere per l'ennesima volta di essere diventata abbastanza brava, o abbastanza bella, o abbastanza forte …

E che finalmente lui le avrebbe detto che era fiero di lei.

Di sua figlia.


Per poi rimanere ancora con l'amaro in bocca, e la gola piena di lacrime che non voleva lasciar uscire.

Che non poteva lasciar uscire.


Perché le ragazze grandi non piangevano.


E ormai, per lei, controllare i suoi sentimenti, le sue emozioni, e soprattutto il loro manifestarsi era diventato un'abitudine, qualcosa di automatico.


Sebbene, da un po’ di tempo a quella parte, fosse stato molo difficile esercitare su se stessa quell’autocontrollo che aveva reso così famoso il suo cuore di ghiaccio.

Sebbene, da un po’ di tempo a quella parte, avessero fatto irruzione nella sua vita emozioni così forti da essere difficilissime da imbrigliare.


Emozioni legate a mostri, a vampiri, a omicidi inspiegabili, e a profondi occhi nocciola.


E adesso a suo padre, che prima la controllava sul lavoro e ora, addirittura, veniva a prenderla per il pranzo.


E lei aveva paura.

E continuava a chiedergli perché.


Erano all'aperto, su un pontile di legno, seduti uno di fianco all'altra, ed il sole era forte, e chiaro, e caldo, ed illuminava la figura ormai appesantita di suo padre, i sui capelli imbiancati dal tempo, e le faceva ricordare quanto le sembrasse grande da bambina, e forte.


Il più forte di tutti gli uomini.


Quando lo guardava andare via attaccata a sua madre e non desiderava altro che sentirsi al sicuro fra le braccia di lui, e udirlo dire che le voleva bene.


Adesso, se avessero lottato, sarebbe stata Kate a vincere.

Se avessero sparato, sarebbe stata Kate a centrare più bersagli.


Eppure, lui aveva sempre il potere di farla tornare indietro a quella bambina fra le braccia di sua madre.


E con quella luce, con quel sole bellissimo che scaldava il cuore, era così facile arrendersi al desiderio di credere alle sue parole.

Di illudersi.


"Pensavo solo di poter passare un po’ di tempo con mia figlia."


Si.

Si.


Voleva credergli.

Aveva bisogno di credergli.


Aveva bisogno di sapere che non era stato tutto inutile.

Gli sforzi, la sofferenza, le lotte per diventate più forte.

Per essere un bravo poliziotto, qualcuno di cui lui potesse andare fiero.


"Allora, stai bene?" Le chiese, evidentemente imbarazzato dalla sua titubanza.


Finalmente, Kate si impose di rilassarsi.

Di abbassare le difese del suo cuore.


"Si. " Rispose. "Si, bene."

"E come sta Angel?"


Sgranò gli occhi, le sue mura che si ricomponevano da sole in meno di un secondo.

"Pardon?"


Suo padre, però, non sembrò notare la sua reazione.

"Il tipo alto, bello, che hai portato alla mia festa di pensionamento."


"Si" Si affrettò a dire lei. " So chi vuoi dire."


"Non è un nome messicano? Angel?"


Kate si morse nervosamente le guance.


Ma perché mai, così all'improvviso, suo padre voleva sapere di Angel?


Da quando viveva da sola non si era mai informato sugli uomini che vedeva… e del resto, sinceramente, avrebbe avuto praticamente il nulla di cui interessarsi… e ora su chi gli veniva la curiosità?

Su Angel!

Il vampiro di duecentocinquant’anni!


"Non credo." Rispose laconica.


"Voi due vi vedete ancora?"


Dovette fare uno sforzo per mantenersi calma.

"Noi due non ci siamo mai visti, papà."

"Hmm. E che c'era di sbagliato con lui?"


"Nulla!" Esclamò.


"Ci deve essere qualcosa di sbagliato.

Ti ha fatto del male?"

"No."

"E' gay?"

"No!

Angel… " Ecco. Perfetto. Nello stesso momento, nello stesso posto, ossia il suo cervello, Angel e suo padre che la trattava come quando aveva quindici anni e la interrogava come il sospetto in un duplice omicidio!

Si stupiva di non essersi ancora messa a gridare.


E invece, ancora una volta, si sforzò di dominare i nervi.

E si sforzò tanto.


" Solamente… non è il mio tipo.

O sono io a non essere il suo tipo…"


Già… perché il tipo di un vampiro molto difficilmente avrebbe potuto essere un essere umano, e il tipo di un essere umano un vampiro.


Eppure c'era stato un tempo… quando ancora non sapeva chi fosse… allora una parte di lei aveva creduto che potesse esserlo… il suo tipo.


Ed era stata attratta da lui così tanto da lasciarla sconvolta.


Ma lei non doveva illudersi…

Mai.


Altrimenti, alla fine, avrebbe sofferto.


E, infatti, Angel era un vampiro… e lei ciò che restava di un 'illusa.


Era per questo.

Perché ancora le piaceva tanto che cercava di stargli più lontana possibile, di trattarlo più freddamente possibile.


Ed era per questo che non ci riusciva .


Si sforzava di essere obbiettiva.

Si diceva che non era per quello che lo aiutava, che infrangeva delle leggi per lui, che non denunciava ciò che era… che lo faceva perché nonostante ciò che aveva detto allo stesso Angel lei sentiva che non era malvagio, che aveva votato davvero tutta la sua esistenza ad aiutare gli altri.


Ma lo avrebbe fatto lo stesso se non avesse provato qual misto di gioia e dispetto che le stringeva il cuore ogni volta che lo vedeva?

Se tra le sue braccia, in quegli unici istanti in cui lui l’aveva stretta, si era sentita meglio di quanto non le fosse mai accaduto in vita sua?


E sarebbe stata contemporaneamente così arrabbiata con lui?

Si sarebbe sentita così ferita?


E avrebbe avuto nella testa tutta quella confusione fra credergli e non credergli, fra avere fiducia in lui e non farlo, fra il suo istinto e il suo orgoglio?


"Ha un lavoro?" Chiese suo padre, strappandola quasi bruscamente dai suoi pensieri.


"Si, "Rispose. " è u P.I. ."

"Un investigatore privato." Ripeté. " Ed è bravo?"


Rispose d'istinto, senza pensare, la piega che quella discussione avrebbe potuto prendere che rischiava di gettarla nel panico.

"Si " Esclamò. " è bravo. Molto bravo.

Non bada certo alle notti passate al lavoro!


Ma sei venuto fino a qui per parlare tutto il tempo di un ragazzo con cui mi hai vista uscire una volta?!"


Suo padre aggrottò la fronte, esitando.

"Lui mi ha… colpito."


Il che non era difficile da credere, doveva ammetterlo.

"E allora?"


La fissò.

Intensamente.

Più di quanto non avesse mai fatto.


E sembrò che volesse dirle qualcosa.

Che volesse aprirle il suo cuore.


Che volesse parlare con lei.

Sinceramente.

Da pari a pari.


Come non era mai accaduto.


E forse lo fece.

Perché per un uomo come lui, così assorbito nello sforzo di essere forte, di essere all'altezza neanche lui sapeva di cosa, così convinto che forza, dignità e controllo delle proprie emozioni fossero un tutt'uno, esprimere anche solo una di queste emozioni, formulare anche solo una frase che potesse tradirla era terribilmente, terribilmente difficile.


Così le disse solo, con un sospiro:

"Nulla.


Solo… solo… non è bene essere da soli, Katie…"


Eppure, quell’unica frase la colpì e la commosse più di quanto non avrebbe mai creduto possibile.


Perché era stato lui a dirla, e l'aveva detta a lei.


E perché la illuminò all'improvviso e, come se un afflato d'aria pulita le fosse finalmente entrato nei polmoni, rese tutto più chiaro.


E, finalmente, Kate capì cosa voleva.


*****


Voleva girarsi, fare dietro front e andarsene.


Salire in camera sua, spogliarsi, fare una doccia calda e stendersi sul letto, sperando che i pensieri e i ricordi di quelle ultime ore non si mutassero in sogni.


Ma, ovviamente, ciò che voleva e ciò che doveva erano due cose diverse come il giorno e la notte.


Ad esempio, avrebbe voluto entrare nella sua casa immersa nel silenzio, salutare i suoi amici, e ascoltare con calma ciò che avevano scoperto, e invece aveva dovuto sopportare la terrificante zaffata di sangue e carne di demone lacerata che lo aveva accolto al suo ingresso, era stato accompagnato da una cacofonia assordante di voci mescolate, e, dopo aver aperto la porta del "laboratorio " improvvisato, era stato costretto a sopportare la vista delle SUE pareti schizzate ovunque di sangue e del SUO pavimento e dei SUOI mobili ingombri di pezzi anatomici che nemmeno voleva provare ad identificare.


Al centro della camera, una preziosa scrivania degli anni quaranta era stata trasformata in un tavolo operatorio, e un lenzuolo copriva ciò che doveva rimanere del demone Kwaini che aveva ucciso, mentre, comodamente seduto dall'altro lato, un Wesley moderno dottor Frankestein, in camice e occhiali di protezione, stava trascrivendo qualcosa su un blocco di appunti.


Scosse il capo, stanco e notevolmente irritato dal chiacchiericcio senza posa di Faith e Cordelia, che gesticolava, evidentemente eccitata.


Molto meno pareva esserlo Doyle, che era praticamente affondato su un divano, la testa reclinata all'indietro… verde.

Letteralmente verde.

E con l'aspetto di chi avesse appena avuto un incontro ravvicinato con le proprie budella.


Chino su di lui, il colpevole di tutto qual caos lo fissava, leggermente divertito, con le mani affondate nelle tasche dei jeans.


"Ma è mai possibile…"Esclamò, puntando direttamente su Spike, e facendo contemporaneamente la massima attenzione per evitare le frattaglie sparse in terra. "che devi sempre metterti a giocare nei momenti meno opportuni?"


Spike lo guardò, raddrizzandosi e sollevando le sopracciglia fino all'attaccatura dei capelli.


"Gio- care?" Sillabò, con un 'aria di perfetta innocenza.


"E questo macello come lo chiami!?" Rispose lui, allargando le braccia per comprendere tutta la stanza. "Per la miseria, Spike, non imparerai mai quando è il momento per certe cose e quando no?


Io non ti ho mai impedito di sfogarti combattendo, però…"

"Sempre me lo hai impedito, sempre!" Lo interruppe lui.

"In cento anni ogni stramaledetta volta!

Non mi hai mai fatto divertire un po’!


Te ne vai in giro a tagliare teste, ma a me sempre: Spike non infierire!


Angel, sei sempre stato un rompiscatole formato magnum!"


"E c'era bisogno di giocare a fare i coriandoli con le budella del demone su cui stiamo indagando!?"


"Io non ho fatto niente!" Scattò Spike, battendo un piede per terra." Loro! Loro sono state!"


Allungò un dito. E Angel, incredulo, ne seguì la direzione verso Cordelia e Faith, che, vicine alla parete, avevano smesso di parlare e lo stavano guardando… ognuna con un grosso coltello da cucina fra le mani!


"Loro?!" Ripeté Angel deglutendo.

"Si, loro!" Ruggì Spike." L'immagine dell'innocenza in persona!

Il sesso debole!


Io ero di là che aiutavo miss Irlanda unita a liberarsi delle sue budella!"


Ancora incredulo, Angel passò gli occhi a Doyle, che senza alzarsi di un pollice ricambiò lo sguardo.

"Presente…" Mormorò. "ero il padrone delle budella…"


Angel deglutì, orribilmente consapevole degli sguardi di tutti puntati su di lui, e, senza volerlo, prese a tormentarsi le mani.

"Spike…" Cominciò. " senti…"

"Fottiti!" Scattò l'altro.


"Ho sbagliato…"

"Non hai sbagliato! Tu te la prendi sempre con me!


Diamine, Angel, ho 126 anni, e mi tratti sempre come se ne avessi… sessanta! "Sbatté di nuovo il piedi in terra, guardandolo come se non sapesse se morderlo o mettersi a piangere.


"Mi dispiace…" Provò, ma, ancora una volta , lui lo interruppe.

"Come no, ti dispiace sempre, ma intanto ogni casino che succedeva in casa davi sempre la colpa a me!"

"Spike, siamo sempre stati in due, con chi me la dovevo prendere?!"

"NO! Non mi freghi, occhi languidi!

Anche quando c'era Alex i casini li combinava lei e io guai li passavo io!


Chi ha provato ad evocare lo spirito sepolto in quell'albero? Lei! Ma da chi sei andato quando i rami hanno cominciato ad avvolgerci la casa?

Da Spike!


Chi ha invitato quella bella famigliola di vampiri a prendere il té con la scusa, per altro banale, del desiderio di immortalità in cambio di sangue fresco?

Lei!

Ma tu chi sei andato a prendere per il collo quando li hai trovati che ti sfasciavano il salotto?

Spike!


E poi… poi… a Woodstock chi hai accusato di essersi fatto di acidi?

Spike!"

"Ti guardavi una mano con il sole addosso!"

"Idiozie!

Tu ce l'hai per vizio!"


Angel si guardò attorno, nervosamente.

"Spike… non la potremmo continuare in privato questa conversazione?"


"Non c'è nessuna conversazione!" Urlò, puntandogli un dito contro. "Tu sei… sei… sei… cattivo!"


Gli voltò le spalle, marciando verso la porta, assolutamente incurante di ciò che calpestava.


"E dai!" Esclamò Angel, allargando le braccia e seguendolo. "Ho fatto un errore, ti chiedo scusa…"

"Non voglio parlare con te!"

"Spike, non fare il bambino!"


Si girò, così di scatto che quasi non gli finì contro.

"Ma io sono un bambino, ricordi?!

Un mocciosetto che si diverte tanto a fare a pezzetti i demoni!


VIVI! Vivi mi piace farli a pezzetti!


Porca miseria, Angel, ma per chi mi hai preso… per Wesley?"


"Ehi!" Esclamò quello, ma Angel lo ignorò completamente.

"Lo sai che non la penso così…"

"Nooo!

Però se potessi mi metteresti un… grembiulino e un bavaglino per non sporcarmi!"


Uscì dalla stanza, spalancando la porta.


"Che ne potevo sapere che Cordelia e Faith… oh, mio Dio… " Si fermò, mentre finalmente il senso delle sue parole gli arrivava al cervello. "Cordelia e Faith…"

"E con immenso gusto!

Tanto per sottolineare che il demone sono io!


Ma già, tanto la colpa è sempre mia…" Spike si fermò, aggrottando la fronte. " No.

Rettifico:

Io sono quello che combina guai.

Sei tu quello di cui è sempre la colpa!"

"Spike, dobbiamo andare avanti ancora per molto?!"

"No!

Per niente!

Perché a questo punto rinuncio!

Ho smesso di fare il buono, capito?!


Da questo stesso istante torno un demone!

Tanto tu non mi apprezzi mai!"


Angel sospirò, sollevando gli occhi al cielo.


Quante volte erano che glielo sentiva dire?

Più o meno di un milione?


"Scusate… interrompo qualcosa?"


"Kate!" Esclamò Angel, chiudendosi con un tonfo alle spalle la doppia porta del "laboratorio" e appoggiandocisi sopra. "Ciao!"


"Bella battuta!" Gracchiò Spike. "Originale!

Ripetimela che la appunto per il mio prossimo libro!"


"… c… ciao… " sorrise la donna, avvicinandosi di un passo e guardandolo come… come un deficiente che se ne stava attaccato a una porta chiusa stile marito che nasconde l'amante! " Ho suonato, e , visto che non aprivate, sono passata dal giardino…"


"Pensare che non ci fosse nessuno, no, vero?" Fece Spike.

"La macchina era fuori…"

"E se nessuno aveva voglia di aprirti?"


"Spike!" Esplose quasi Angel.

L'altro fece una smorfia.

"Mi hai insegnato a parlare?! Schiatta!"


"Io… " Kate passò gli occhi dall'uomo all'altro e poi si tolse un foglio dalla tasca dei jeans." Volevo solo darti questo… me ne vado subito…"


"No!" Esclamò, staccandosi finalmente dalla porta, e senza nemmeno rendersene conto allungò una mano a sfiorarle il polso. " Aspetta…"


Kate lo guardò in silenzio, e lui si sentì a disagio.

Immediatamente, le lasciò la mano.


"Ma fate!" Sbottò Spike, facendo un giro su se stesso prima di allontanarsi. " Ignoratemi!

Chiudetemi a chiave in un anfratto!"

"Spike!"

"Io intanto vado a mettere in disordine la mia cameretta!"

"Più di quello che è già?!" Scattò Angel, incapace di resistere.


E Spike, per tutta risposta, gli ringhiò contro.

Mentre Kate, meritandosi la sua perenne ammirazione, manteneva un contegno a dir poco impossibile.


*****


Impossibile.


Quelli non potevano essere vampiri con quasi quattrocento ani in due!

Doveva aver commesso un clamoroso errore!


Su di loro… e sulla decisione di andare lì quella sera!


Kate sbatté gli occhi, fissando il vampiro biondo che usciva, e poi riportando gli occhi su Angel, che stava esaminando con estrema attenzione la punta delle proprie scarpe.


Sollevò per un attimo lo sguardo, si schiarì la gola, poi lo abbassò di muovo, e lei sorrise.


Angel sembrava sempre così sicuro, così forte, eppure, sul più bello, veniva fuori questo suo abbassare gli occhi, questo suo imbarazzo che conferiva un 'espressione vulnerabile al suo volto…

E se prima di sapere ciò che era questo le aveva semplicemente fatto tenerezza, dopo le aveva reso quasi impossibile pensare che quell'uomo dal volto imbarazzato fosse un vampiro… una creatura con più di duecento anni… un assassino…


"Brutta aria…?" Mormorò, per rompere il silenzio.


Angel le sorrise a sua volta.

"Solo un piccolo litigio in famiglia."

Allungò una mano, indicando la porta del suo ufficio.

"Vieni…"


Kate lo precedette, e quando Angel si appoggiò alla scrivania, guardandola, gli tese nuovamente il foglio ripiegato.


"Che cos'è ?" Le chiese, prendendolo dalle sue mani senza neanche sfiorarla.


Kate sorrise nervosamente.

"Non mi avevi chiesto l'elenco dei passeggeri sulla metropolitana?"


Angel spiegò il foglio e lo osservò, prima di tornare a guardarla.

"Grazie. Che cos'è che ti ha fatto cambiar idea?"


Kate deglutì.

"Qualcosa che mi ha detto mio padre…


Lui sollevò le sopracciglia, sorpreso, gettandola in un panico che non diede a vedere.


"Davvero…"Aggiunse, dandosi immediatamente dell'idiota.


"Ci credo!" Esclamò lui, mettendo le mani davanti al petto, come per difendersi da qualcosa. "Posso chiederti cosa?"


Che non è bene essere soli…


Ce l'aveva lì, sulla punta della lingua…

Attaccato alle labbra, impastato col suo fiato.


Diglielo!

Forza, diglielo!


"Mi ha chiesto se sei bravo…"

Idiota!

Vigliacca idiota!


Di nuovo, lui sgranò gli occhi, e contemporaneamente, dalla stanza accanto, provenne distintamente il rumore di qualcosa che cadeva.


Kate si girò di scatto.

"Cos'era?" Esclamò.


"Nulla!" Si affrettò a rassicurarla lui."Il gatto!"

"Il gatto?

Hai un gatto?"

"Sarebbe così strano?"

"No!"

" Comunque non è mio… è un… gatto selvatico…

Si infila ovunque, specialmente dove non dovrebbe!"


Si schiarì la voce, interrompendo gli attimi di silenzio seguiti alle sue parole.

"Mi stavi dicendo che hai detto a tuo padre che sono… bravo?"


"In quello che fai… nel tuo lavoro, voglio dire!"


Angel annuì, e Kate ebbe la nettissima sensazione di essere stata l'unica in quella stanza ad avere dato un doppio senso alle sue stesse parole.


"Grazie."


Respirò piano, odiandosi per quell’ emozione inusuale.

"Senti, non ci sono dubbi che io mi senta a disagio su certi argomenti, e che certe cose mi sembrino assurde e incomprensibili, ma il fatto che io non sia in grado di venirne a capo non mi autorizza a ignorare il fatto che tu puoi farlo.


Tu hai… intuizioni… diverse dalle mie, e se dici che c'era qualcosa di strano su quel treno, beh, probabilmente è così!"


"Lo apprezzo molto." Mormorò Angel.

"E a me… piacerebbe che tu mi coinvolgessi…"


Di nuovo quegli occhi intensi su di lei.

Di nuovo le parole che si affollavano nella bocca.


"Cosa?!"


Parole.

Frasi.

Pensieri.


Decine.


Nel suo cervello.

Che si rincorrevano.


Chiari, per una volta, rischiarati dalle parole di suo padre.


Risposte, per quell'unica domanda.


Voglio essere coinvolta nella tua vita, o non vita, o come cavolo si dice!

Voglio essere coinvolta nel tuo mondo, anche se fa paura.


Voglio fidarmi di te… come prima.

Perché sento di poterlo fare.


A dispetto di qualunque cosa.


Voglio capire.

Voglio che mi permetti di stare con te.


Perché è vero.. è terribile essere soli. E quando penso a chi vorrei avere vicino il solo volto che riesco a vedere è il tuo..


Anche se non so a che potrà portare…

Anche se ho paura.


Perché adesso ho il coraggio di dire a me stessa che qualunque cosa possa seguire a questa scelta assurda… ne sarà valsa la pena…


" Nel caso…"


Ma perché?

Perché?


Aveva creduto che la cosa più difficile fosse far chiarezza in se stessa.

Accettare quel che provava.


Aveva creduto di avere la forza e il coraggio per dire qualsiasi cosa, poi…


E invece eccola lì… e la cosa più assurda era che sapeva di essere perfettamente calma mentre lo diceva.

Mentre mentiva.


Sapeva di essere perfettamente credibile.

Naturale.


Perché era veramente naturale per lei…


Nascondere i suoi sentimenti. Trincerarsi dietro una maschera di ghiaccio.


Lei era così.


Una donna senza emozioni.


Fredda.

Scostante.

Agli occhi di tutti.

Persino agli occhi di Angel.


E poi perché persino… lei non era nulla per lui, e lui per Kate… era solo l'uomo a cui non riusciva a smettere di pensare… e che poi non era nemmeno un uomo!


Sospirò, ma solo dentro di se.

Per lo meno lavorare insieme sarebbe già stato meglio di niente!


"Se trovi qualcosa mi coinvolgerai, va bene?"


Angel esitò per un istante.

"Sei… sei sicura?"

"Dovrò fronteggiare questi demoni, prima o poi, giusto?

Nulla di più facile che uno di loro mi sia vicino di casa…"


"Giusto… " Ripeté lui, e ancora, per qualche istante, rimasero in silenzio.

"Allora…" Disse alla fine Kate." Aspetto che mi chiami."


Non glielo aveva detto.

E sapeva che ormai non lo avrebbe fatto.


"Va bene…"


Fece per andarsene, ma Angel l'afferrò per il braccio, improvvisamente, spedendole un lungo brivido lungo la schiena.


"Uh… Kate, senti…"

"Ehi!" Lo interruppe lei con un sorriso, colpita dall'espressione cupa dei suoi occhi." Non può esserci niente di così grave!"


Lui non rispose.


La lasciò andare e rimase a guardarla.


Kate lo sapeva.

Lo sentiva.


Poteva avvertire chiaramente i suoi occhi su di lei, come carezze sulla pelle.


Continuò a guardarla anche mentre andava via.


Più lentamente di quanto avesse voluto.

Molto, molto più lentamente.


*****


Lentamente, la porta si aprì, e la testa bionda di Spike fece capolino nello studio.


"Miaooo!" Esclamò, nella perfetta imitazione di un gatto.


"Ti è passata la crisi di persecuzione?" Domandò Angel, voltandosi per guardarlo .

"No, ma la curiosità è più forte!"


"Curiosità di che?!

Se hai origliato ogni singola parola!"

"Curiosità sul perché hai testè ricevuto un'offerta di pace accompagnata da ampio sbattere di ciglia e sembra che ti abbiano appena preso a pugni nello stomaco!"


Angel strinse le mascelle, ostinandosi a guardare il pavimento.

"Che cos'è venuto fuori dallo scempio che avete fatto di là?"


"Che HANNO, HANNO, HANNO!

Cos'è, hai sbagliato mira e ti sei spremuto il gel nelle orecchia?!


E comunque non c'entra con quello che ti ho appena chiesto!"

"Si che c'entra."

"No.

"Ti ho detto di si."

" E io ti ho detto di no!"

"Vado a chiederlo a Wesley…"

"Te lo dico io!"


Angel si fermò, con le mani sui fianchi, a metà strada dalla porta.


La gelosia di Spike nei confronti dell'Osservatore era una delle cose più divertenti in assoluto nella sua attuale esistenza, oltre a dimostrarsi, in casi come quello, estremamente utile.


"Allora?

Perché un demone totalmente innocuo è diventato all’improvviso così pericoloso?

Un 'evoluzione della specie?"


Spike scosse le spalle, appoggiandosi alla parete.

"Il cervellone, di là, non crede.

In un attimo di tregua delle amazzoni folli…"

"A proposito, chi ha detto a Faith e Cordelia di…"

"volevano aiutare."

" Oh.


Vai avanti per favore."


"Bè, a rischio della vita, l'eroico quattr'occhi si è lanciato fra le bisturate delle signore e ha tirato fuori un bel pezzo grosso di carne, che sono certo avrà tutto il piacere di mostrarti, eccitato come un quindicenne a una partita di streep poker, e dopo averla esaminata… per inciso, Angel, il demone sono io, ma a me quelli lì fanno paura…"

"Spike…"

" Okay, okay, stringo!


Bè, il trofeo di Wesley si è rivelato essere la ghiandola surrenale del demone, ed era grossa così…" Gli mostrò con le mani." Mentre normalmente dovrebbe avere le dimensioni di una noce.


Il tutto, probabilmente, dovuto ad una sostanza sintetica trovata in circolo in tutto l'organismo del nostro grazioso ospite."


"Una droga?"

"Esatto.

E roba forte, altro che gli acidi di Woodstock!


Metà sintetico e metà metafisico.


Pare che sia in grado di aumentare la forza di chi lo prende di venti volte, sempre a detta del re dei topi di biblioteca

Però non ti giurerei che sia vero!

Non me l'ha fatta provare!"


Angel sollevò la testa, lanciandogli uno sguardo che valeva, da solo, più di cento parole.


"Scherzavo!" Si affrettò a esclamare Spike." E poi non ci tengo mica a giocarmi il mio meraviglioso carattere!"


"Doveva essere questo che il fattorino trasportava … altra droga… una sostanza così potente che se fosse assunta da una creatura già forte di suo…"

"Non oso nemmeno pensarci…"


"Oh, mio Dio…" Si passò una mano sul viso." E il padre di Kate è coinvolto in tutto questo…"


"Chi?!" Esclamò Spike, staccandosi dalla parete." Il padre della principessa di ghiaccio!" Scoppiò a ridere." No!

E' troppo forte!"


"Piantala, Spike!" Lo interruppe lui, stizzito." Sarà terribile per lei, se lo venisse a sapere!"

"E, tanto per capire, tu come l'hai scoperta questa simpatica collaborazione?"

"Seguendo il fattorino…"

"Uah! Lo sapevo che sarebbe servito, quel nome sulla maglietta!"


" Ho cercato di parlare con lui…" Mormorò Angel angosciato.

"Okay" Esclamò Spike." Allora basta! Stop!

Fatto il tuo dovere!

Mettiti a posto quella coscienza da stacanovista!"


"Non vuoi capire…" Sospirò lui.

"No, capisco, capisco e come!


Tu vuoi proteggere quella ragazza dallo scoprire che il suo padre adorato non è poi quel modello integerrimo che crede!"


Angel lo fissò senza parlare.


Erano cento anni che aveva a che fare con l'intuito di Spike.

Era più probabile che fosse lui a spiegare ad Angel qualcosa sui suoi stessi pensieri che non il contrario.


"Credi che non l'abbia vista?

Quella donna pendeva letteralmente dalle sue labbra, e se non mi sbaglio ha già sbattuto contro la sua insensibilità.

Magari le farà bene un bel mach con la realtà!"


"No, Spike, no!" Esclamò Angel." Non sarebbe giusto.


Nessuno merita di essere deluso dal proprio padre!"


Stavolta fui Spike a stringere le labbra.


Lui sapeva.

Sapeva tutto di Angel.

Più di quanto aveva mai saputo o voluto sapere Buffy.

Più di quanto probabilmente avrebbe mai saputo chiunque.


E il misto di pena e rabbia che gli attraversò gli occhi ne fu la prova più lampante.


Gli passò accanto, uscendo dalla stanza.


"Dove vai?!" Gli gridò dietro Spike.

"Da Trevor Lackley."

" Che cos’ è, vuoi che pensi che sei innamorato di lui?!


Lo hai già avvisato, Angel, è pure troppo!

Pensiamo a trovare chi fabbrica questa roba, invece!"


Angel si fermò, e si voltò verso di lui, lentamente.


Aveva ragione.

Era quella la cosa più importante.

Ma lui non sarebbe riuscito a fermarsi neanche se lo avesse voluto.


"L'ho avvertito su di me.

Ora deve sapere la vera natura di quello in cui è invischiato…

Non ha neanche idea di quanto sia in pericolo…"


Spike strinse gli occhi, le iridi chiare come ghiaccio tagliente.

"Se non lo sa già…"


"No! "Gridò quasi lui." Non lo sa!

Non può saperlo!

Non può fare questo a Kate!"


Spike allungò una mano, stringendogli il braccio.,

"Lo ha già fatto, Angel.

Questo non lo puoi cambiare.

Può dispiacermi per Kate, posso essere contento se lo prendi per il collo e gliele dai di santa ragione, ma francamente odio che ti preoccupi anche per lui!

Ha fatto una scelta, sa che sta facendo qualcosa di illegale e che potrebbe danneggiare sua figlia.


Evidentemente non gli importa.


Bè, a questo punto abbiamo cose più urgenti a cui badare!"


Angel appoggiò una mano su quella di Spike, scostandola gentilmente.

" Lo so, Spike.


Credimi.

So ognuna di queste cose.


Ma qualche volta il prezzo che paghiamo per una scelta sbagliata non è commisurato al nostro errore…"


Spike scosse le spalle.

"Va bene, allora vengo anch'io.


Se gli rompo le gambe è difficile che il vecchio combini altri guai.

E la tua amica si divertirà ad assisterlo."


Angel scosse la testa, sospirando.

"Lo apprezzo molto, Spike, te lo giuro, ma è una cosa che devo fare io."


"Per chi?" Lo sfidò lui." Per lei, per suo padre, o per te stesso?"


"Per tutti, forse."

"Direi che sono un po’ troppi da gestire da solo, anche per te… dammi solo un momento e…"

"Spike… no."


"Tu!" Sbottò quello." Presuntuoso Irlandese! Credi di potermi dare ordini come a un…"

"Non ti sto dando un ordine, Spike, te lo sto chiedendo.


Per favore.

Ti prego, Spike, fai come ti dico."



*****


Galway, Irlanda, 1753


"Liam! Tu farai come ti dico!"


Grida.

Grida.

Grida.


Suo padre non faceva altro che gridare.


Ogni giorno.

Ogni ora.

Ogni volta che si incontravano.


E Kathy si spaventava.

Piangeva.


Per lui.

Perché non voleva che litigasse con suo padre.

Perché non voleva che lo colpisse.


E anche per se.

Perché aveva paura.


Liam le aveva detto che non doveva averne.

Che non l'avrebbe mai picchiata.


Perché Kathy non era come Liam.

Lei era buona.

Era obbediate.

Era una meravigliosa, allegra, dolcissima piccola ragazza con gli occhi nocciola più intensi che avesse mai visto.


Lo aveva abbracciato, dicendogli che anche lui era buono, e Liam non aveva continuato.

Non le aveva detto che se avesse alzato un dito su di lei lo avrebbe ammazzato con le sue mani.


Avrebbe fatto ciò che non aveva neanche pensato in ventisei anni di scontri.


Non le aveva detto che nessuno, nessuno avrebbe mai dovuto toccare sue sorella.

Mai.


Nemmeno lui.


Eppure la faceva piangere…

Ogni volta che suo padre lo colpiva..

Ogni volta che gridava contro di lui.


Come ora.


E il suo cuore, così indurito, così prodigo di false promesse per le ragazze della taverna del porto, si piegava, e sanguinava davanti alle lacrime di sua sorella.


"Dolce, piccola Kathy…" Mormorò, chinandosi su di lei.


Doveva porre fine a qual litigio.

Doveva farla smettere di piangere… e suo padre doveva pagarla.


Perché poteva ammazzarlo, ma non doveva mai più azzardarsi a gridare così con lei.


Solo per averlo difeso… un coraggio, a dieci anni, che suo fratello, a ventisei, poteva solo ammirarle.


Allungò una mano, e con dolcezza infinita le terse la guancia con il dorso.


Accanto a lei, vestita di nero, sua madre li guardava.

Senza parlare.


Come sempre.


"Niente lacrime…" Le sorrise. "Papà ora mi sfida… è con me che ce l'ha.

Non con te…


Non ti farà niente… nessuno ti farà niente.

Non finché vivo…"


Lei gli sorrise, lottando contro le lacrime, e Liam dovette trattenersi per non prenderla in braccio.


Non lo avrebbe mai fatto di fronte a suo padre.


Invece, si alzò, e sfidò il volto arcigno dell’altro, fermo sul suo camino.

"E ora, vorreste togliervi dalla porta, padre?"


Lui strinse gli occhi, lanciandogli quello sguardo che tante volte lo aveva terrorizzato da bambino, e che ora spaventava Kathy, e dopo un attimo gli si avvicinò, minaccioso.

"Ma non aspettarti di tornare mai più indietro!" Sibilò cupamente.


E le sue parole rimbombarono nel cuore di Liam.

"Come voi desiderate, padre." Disse calmo." Sempre, solo come voi desiderate."


"Desideravo un figlio!" Gridò l'altro, e, accanto a se, Liam sentì Kathy sobbalzare."Un uomo!

E invece Dio mi ha dato te!

Una terribile delusione!"


Liam gli sorrise.

Una reazione molto diversa di quando glielo aveva detto la prima volta.


"Una delusione?" Lo schernì. " non avreste potuto chiedere un figlio più deferente.


Per tutta la mia vita mi avete detto con le parole e gli sguardi ciò che volevate da me, e io ho vissuto per soddisfare ogni vostra aspettativa."


"Sei pazzo!" Sbottò lui, e Liam strinse i denti, mentre una rabbia che non voleva gli montava dentro.


Non doveva dare a suo padre la soddisfazione di vederlo arrabbiato.

Di fargli capire che le sue parole potevano ancora fargli del male.


Tuttavia, non riuscì a impedire all'amarezza antica di salirgli rapida dallo stomaco, allagandogli la gola, e il palato, e la lingua.


"La follia era pensare di non poter mai fallire abbastanza per voi, padre!

Ma forse, stasera, la smentiremo questa follia!"


"Ma certo! Vai!

A bere, con le tue sgualdrine!

Perditi in questa notte e domani ti vedrò strisciare di novo nell'ombra!


Non resisteresti un giorno là fuori, ragazzo!

Non ne saresti capace!


Sei troppo inetto anche per la vita del vagabondo!"


Strinse i pugni, e per un attimo sembrò calmarsi, come se la sua furia fosse arrivata troppo in alto, e ora non potesse altro che acquietarsi.

"Ho paura per te, ragazzo…" Mormorò cupamente.

"E questa è l'unica cosa che potete trovare nel vostro cuore per me, ora, padre?"


L'altro sollevò di nuovo la testa, il volto duro come granito.

"Nessuno ti aiuterà!

Nessuno vorrà mai avere a che fare con un tipo come te!"


Aveva quasi voglia di ridere, ora.

Ma erano risate amare.

Salate.


"Non mi mancherà un posto per dormire!" Rispose, afferrando la maniglia della porta." Potete esserne certo!"


Si precipitò fuori.

Rabbioso.

Furente.

Con suo padre e con se stesso, e con quel qualcosa di terribilmente sbagliato in lui che consentiva ancora a quell'uomo di ferirlo, e al suo cuore di sanguinare per questo.


"Se corteggerai i guai, "Gli gridò dietro suo padre." sarai certo di trovarli!"


Una massima morale!

Esattamente ciò che gli serviva!


Una massima morale, e non un barile di birra, e non una ragazza morbida, che gli facessero scordare che lui aveva ragione.

Che non avrebbe mai avuto il coraggio di andare via.

Di affrontare i disagi e l'ignoto.


Era da così tanto che lo sapeva.

Da così tanto che aveva smesso di ripetersi che sarebbe scappato, che avrebbe detto addio a quella vita e avrebbe visto il mondo.


Ogni volta che suo padre lo colpiva.

Ogni volta che lo mordeva con le parole iniettandogli il suo veleno.


Ora non fuggiva più dalla realtà, pregustando la sua partenza.

Ora erano l'alcool e gli occhi di una bella donna il suo vascello per l'oblio.

La formula segreta per dimenticare la vita che faceva.


E la nullità che era.


Arrabbiato, pieno di un livore che ormai chiamava per nome, vide appena, con la coda dell'occhio, la figura vestita di bianco che per poco non travolse, al margine della strada.


Non si fermò, ne si voltò.

Neanche per un attimo.


Non gli importava.


L'unica cosa che in quel momento turbava il suo desiderio d'oblio, l'unica cosa che cadeva come una goccia di pioggia sulle pareti di pietra della sua rabbia e della sua frustrazione era il pensiero che, forse, a casa, la sua piccola Kathy, la sua dolce sorella, piangeva ancora.


*****


Los Angeles 2001


"Ancora Darla…" Mormorò piano Kate, e, davanti a lei, Spike sollevò un sopracciglio, sorpreso.

"Come fai a saperlo?"


"Ho studiato." Rispose Kate, indicando con la mano la libreria alle spalle di Spike. " Subito dopo aver scoperto chi era veramente Angel ho voluto sapere.

E così mi sono procurata tutti i libri sui vampiri che sono riuscita a trovare."


" E te li sei letti a uno a uno dalla prima all'ultima, noiosissima parola."

"Di solito è quello l'uso dei libri."

"Ah si, e io che ho sempre pensato servissero solo a livellare i tavoli!"


"E poi, se ancora te ne ricordi, foste proprio voi a parlarmi di lei, quando venni a perquisire l'Hyperion…ne avevo letto, ma non avevo idea di che aspetto avesse…"

" Vuoi dire quando hai PROVATO a perquisire l'Hyperion…"

"Insomma, era Darla o no?!" Esclamò, leggermente spazientita.


"Come no!" Rispose lui." In carne, ossa e lussuria fino alla punta dei capelli!


Personalmente l'ho sempre trovata di una volgarità disgustosa, ma capirai, nel buio, per un ragazzo demoralizzato e ubriaco fradicio…"


Kate deglutì, uno strano peso che le premeva sul cuore.

"E' così che è andata?"


Pensava che lui avrebbe fatto di nuovo dell'ironia, che avrebbe gettato lì un 'altra delle sue battute, e invece si limitò a stringere leggermente le labbra, e a guardarla.


"Si" Mormorò, dopo pochi istanti." Proprio così…


Lo puntava da giorni, la fottuta bastarda, nell'attesa di beccarlo da solo.

Soltanto che, di solito, lui tornava a casa ad alba fatta…


Non dev'esserle sembrato vero vederlo uscire dalla locanda di notte, non tanto sbronzo da non notare che era una donna , e abbastanza per seguirla in un vicolo…"


Ancora una volta, fece una pausa prima di aggiungere: "aveva finito i soldi…"


Darla…


La donna che aveva orchestrato tutto.

Che l'aveva portata a distruggere la sua stessa vita.

Che aveva ordinato di uccidere suo padre.


Per nutrire la sua ossessione.

E la sua ossessione si chiamava Angel.


*****


Los Angeles 2000


"Si chiama Angel, "Disse Trevor Lockley, fissando negli occhui l'uomo che aveva di fronte." È un investigatore privato" Esitò, stringendo leggermente le mascelle. " da qual che ho sentito è bravo."


Oh, si, si… era bravo.

Molto bravo.


Il suo dolce, adorabile ragazzo.


Più bravo di quanto qual vecchio idiota avrebbe mai potuto immaginare!


Se non lo fosse stato tanto non si sarebbe data una tale pena…


Fissò Illips ricambiare lo sguardo dell'uomo, attraversi i vetri oscurati della concessionaria d'auto, che impedivano a Lockley si scorgere sia lei che il suo… amico.


"Qualche idea sul perché stia ficcando il naso nei nostri affari?"


Darla arcuò la schiena, puntellandosi con le mani sulla scrivania, solo vagamente consapevole di ciò che accadeva al suo corpo, del demone con cui in quel momento si stava accoppiando.


Si muoveva automaticamente, gemeva automaticamente, ma tutto il suo essere nero era volto su ciò che accadeva oltre quel vetro.


"Non lo so ." Rispose Trevor Lockley." Ha le sue ragioni, credo.

Che cosa c'era nel pacco?"


"Signor Lockley, noi eravamo d'accordo…"


Staccò le dita dalla scrivania per affondarle nella schiena del suo amante, e spingerlo ancor più contro di se.


"Eravamo d’accordo che avrei usato i miei collegamenti nel reparto per facilitare i movimenti delle tue parti d'auto rubate.

Non che avrei rimosso delle prove da una scena di crimine o spremuto informazioni alla mia stessa figlia…"


"Si…" Gemette Darla, e il demone pensò fosse per lui.

Per la sua fronte ossuta.

Per i suoi denti acuminati.


Il solo pensiero di quegli sciocchi burattini umani fra le sue unghie, il solo pensiero di quella ragazza orgogliosa che guardava Angelus come se potesse mai essere suo, il solo degustare la sua disperazione, il modo in cui avrebbe trasformato in odio la sua adorazione bastava quasi a farle raggiungere l'orgasmo.


Il volto sempre girato, nonostante la violenza del suo ondeggiare in bilico sul piano rigido, scorse chiaramente il vampiro porgere al padre di Kate Lockley una spessa busta marrone, che l'uomo prese con una smorfia, strappandole un altro gemito di piacere.


"Un consiglio per te e i ragazzi?" Disse, ridicola, ipocrita maschera d'orgoglio.


Si… si… dacci un consiglio, caprone, da un consiglio ai tuoi macellai…


"Qualunque cosa combiniate con i vostri piccoli pacchetti marroni, vi conviene smettere per un po’…"


Darla si abbatté sulla scrivania, chiudendo gli occhi, e mentre l'enorme demone le precipitava addosso, dalle labbra le sfuggì un unico suono disarticolato:

"Angelus…"


Ma il suo compagno era troppo ottuso per sentirla.


Grosso.

Massiccio e ottuso.


Non tanto da non poter stare a capo di uno dei suoi piccoli traffici.

Ma abbastanza da essere manovrato.

E da credere di essere il capo.


Quando era lei, invece, che aveva sempre deciso tutto.


Che lo aveva convito ad usare Lockley, e lo aveva spinto per la prima volta a provare la sua stessa droga… perché la dipendenza lo rendesse più feroce, e ancor più manovrabile… e più soddisfacente quando gli faceva credere, con il sesso, di essere il padrone.


Si scostò da lei un attimo prima che Illip entrasse, e Darla non si diede nemmeno la briga di mettersi in piedi, o di sistemarsi la camicetta aperta sul seno.


Il vampiro sapeva che era lei a comandare.

Lo sentiva.

Percepiva la sua forza e la sua ferocia.

E la conosceva.


Ma poiché Darla lo aveva messo al di sotto di Jorgos e oggettivamente era lui che picchiava, fu a lui che si rivolse.

"Che dobbiamo fare con questo investigatore privato, signore?


L'altro continuò a guardare Darla, divorandola con gli occhi.

Oh, adorava quella droga…


"Ammazzatelo!" Grugnì.


Darla sorrise, e quello pensò ancora che fosse per lui.

Uccidere Angelus… loro…


"Si… "Ansimò, sollevandosi leggermente." E uccidete anche Lockley."


"Ma Lockley è il nostro miglior corriere…"Cercò di opporsi Illip. " è così conosciuto in polizia che nessuno osa fermarlo, e sua figlia…"

"Sua figlia…"Soffiò Darla." È una sgualdrinella che ha messo gli occhi su ciò che non doveva.


Impazzirei di piacere, se la vedessi piangere…"


Si umettò le labbra, e vide gli occhi del demone Jorgos incupirsi di passione.

"Fate come ha detto." Ordinò." E portatemi una ghiandola surrenale!"


Sorridendo, Darla si distese languidamente sulla scrivania.

Aveva idea che quella specie di gorilla in forma di demone non sarebbe durato ancora per molto, tanto valeva approfittare…

"E fate presto!"


*****


"Però! Hai fatto presto!" Esclamò Spike, sollevando gli occhi dallo schermo del computer." Dimmi che lo hai pestato!"


Chi?

Angel?

Più facile cavare sangue da una rapa!


Lo aveva visto fare cose così truci da far impallidire il raptus di ferocia esplorativa di Cordy e Faith, ma dategli il papà di una sua amica e tornava ad essere il bravo ragazzo del XVIII secolo che sarebbe stato se lui, come padre, non avesse avito l'animale che aveva descritto!


Gli avrebbe fatto più piacere che quell'uomo, Lockey, l'avesse picchiata Kate!

Perché in quel caso dubitava che qualcuno sarebbe riuscito a identificarlo dopo che Angel gli avesse messo le mani addosso, e lui si sarebbe evitato tutti quei problemi di coscienza!


Il che, pensò, stendendosi all'indietro sulla sedia ergonomica che era la disperazione di Wesley, lo riportava all'amletico dubbio:

perché Angel se la prendeva tanto per quella donna?


La considerava una sua amica, o almeno così l'aveva considerata prima che scoprisse la verità su di lui, ma c'era qualcos'altro…


Non che ne fosse innamorato, questo no.

La piaga Buffy Summers appestava ancora l'interezza del suo cuore con la sua purulenza, però c'era qualcosa negli occhi di Angel… nella passione con cui voleva difenderla…


Forse era dovuta al fatto che si era sempre trovato sulla stessa lunghezza d'onda di quella poliziotta.


Stessa riservatezza, stessa profondità, stessa intelligenza silenziosa.

Oltre al fatto che Kate aveva la singolare abitudine di non far assolutamente nulla per ricordare al mondo che era una donna, a partire dal modo in cui vestiva, il che, per Angel, doveva essere terribilmente rassicurante.


Erano più di duecentocinquant’anni che le donne gli svenivano addosso, averne trovata una che gli aveva puntato una pistola al petto e lo aveva passato da parte a parte con un palo era una novità quasi sconvolgente per lui.


Kate gli era piaciuta subito.

Si era subito trovato a suo agio con lei, al punto che a Spike era venuto un colpo quando li aveva visti chiacchierare tranquillamente in quel bar.


Stavano lavorando tutti e due, stavano indossando tutti e due la maschera di una falsa identità, eppure sembrava che si conoscessero da sempre.


O forse era un altro il motivo che lo spingeva a prendersela tanto per Kate.

Qualcosa che riguardava tanto lei che se stesso.

E i bambini che erano stati… e gli adulti che erano adesso…


O ancora, più probabilmente, erano tutte queste cose.

Insieme.


Ba!

Quel che gli importava veramente era solo che in cento anni era la prima volta che il suo sire trovava qualcuno così affine a se stesso, con cui si sentiva così intimamente a suo agio… e si ritrovava con quella dannatissima clausola sulla testa e col cuore che gli era rimasto a Sunnydale, e su cui Buffy Summers aveva messo un'ipoteca perenne!


"Non c'era!" Mormorò Angel, lasciandosi cadere sul divano.


"Personalmente, spero che sia andato ad impiccarsi!"


Angel alzò gli occhi, e parve sul punto di dire qualcosa, ma rinunciò, sospirando lentamente.

"Gli altri?"


"Doyle a casa.

Devo dire che per essere un mezzo demone ha lo stomaco parecchio delicato."

"Col caos di là? Stavo per vomitare anche io!"

"Esagerato!


Comuqne, Wyndam Price è ancora lì che armeggia, mentre Faith e Cordy ripuliscono…"

"E tu te la sei svignata."

"Io… che sono l'unico a non aver fatto il bagno nelle frattaglie dell'amico tossico… sono appena entrato nel sistema della compagnia di spedizioni per cui lavora il nostro fattorino, e controllavo la lista degli spedizionieri!"


"Va a finire che lo scansafatiche sono io!"

"Mai contraddire gli anziani!"


Angel sorrise, scuotendo il capo, ma il sorriso gli morì immediatamente sulle labbra quando, dall'altra stanza, giunse, chiaro e forte, un urlo di Cordelia.


Furono fuori insieme, come un unico essere, e solo per prontezza di riflessi Spike non fu preso in pieno dal demone che Faith stava gettando nella sua direzione.


Un demone Kwaini, esattamente come quello che avevano usato per ridipingere le pareti… e come altri cinque nella hall!


"Ehi, splendore, "Esclamò, gettandosi immediatamente nella mischia." Non ne hai abbastanza di interiora di Kwaini?"


"Non è mai abbastanza, occhi blu!" Rispose la ragazza. " Mai!"


Nel frattempo, Angel si era buttato sul demone che strattonava Cordelia, lanciandolo praticamente dall'altro lato della stanza, contro un altro dei suoi compagni.


Erano deboli.

Molto deboli.

Troppo deboli.


Tanto che neanche un minuto dopo erano tutti in terra.


Angel e Spike si guardarono, aggrottando entrambi la fronte.


C'era evidentemente qualcosa di strano in quello scontro.

Ma prima che uno dei due potesse dire o fare qualcosa uno dei demoni sollevò debolmente la testa .


"Perdonate.." Biascicò. " ma chi di lor signori è Angel?"


*****


"Angel?" Chiese nuovamente Wesley, allungando al demone una tazza di te fumante." Siete proprio sicuri che abbiano detto Angel?"


Quello annuì, accettando la tazza, mente con l’altra mano si premeva sulla testa una grossa borsa di ghiaccio.

"Si… certo… Angel…

Quando abbiamo sentito che era un investigatore privato abbiamo pensato che magari poteva darci una mano… ahio!

Ma non capisco perhé ci abbiate attaccato!"


Al che Angel guardò Spike, Angel e Spike guardarono Faith, Angel, Spike e Faith guardarono Cordelia.

E la ragazza doveva starli guardando tutti contemporaneamente, a giudicare dalle dimensioni dei suoi occhi.


"Io… " Si difese." Li ho visti nell'atrio… e ho pensato che fossero qui per … per…"

"Per Gat?" Chiese uno dei demoni." Allora siete voi quelli che lo hanno ucciso?"


Nessuno rispose, un silenzio imbarazzato che cadeva nella stanza.

"Oh…" Disse l’altro Kwaini, quello con il ghiaccio in testa." Non sentitevi in colpa… sapevamo che sarebbe accaduto, prima o poi."


Sospirò.

"Noi siamo una razza pacifica, ma sapete come sono i giovani… in una grande città come questa, con queste sollecitazioni… cominciano a farsi strane idee, a voler imitare i divi del cinema e della tv… a sentirsi inferiori ad altre razze…


E poi ecco che ti arriva questo cartello di vampiri con la loro sporca roba, e i nostri ragazzi cominciano a volerne tutti, a rubare per procurarsela, e poi cominciano ad uscire di testa…"


Di nuovo, si interruppe per un attimo.

" Noi volevamo fare qualcosa, ma ci avete visto… non siamo dei guerrieri… siamo esploratori… abbiamo trovato il loro quartier generale, ma, quando abbiamo visto tutti quei vampiri e quell'enorme demone, abbiano capito che non avremmo mai potuto fare niente.


Così, li abbiamo osservati per giorni, e quando oggi è venuto quell'uomo a portargli informazioni su di te e poi il loro capo gli ha ordinato di ucciderti abbiamo subito cercato la tua agenzia…"


"E dove?" Esclamò Cordelia.

"Sull'elenco!"


"Chi era l'uomo?" Mormorò Angel, qualcosa che, all'improvviso, aveva preso ad agitarsi in lui.


"Uhm… uno che lavora per loro… un corriere credo…"

"Lockley! " Aggiunse uno dei suoi compagni." Lo hanno chiamato Lockley."

"Ma non ha più importanza, ormai, sembra che non gli faccia più comodo…"


"Che vuoi dire?!" Esclamò Angel, e, quando quello non gi rispose, lo afferrò per la spalla. " Spiegami che vuoi dire!"

"Che.. che hanno deciso di ucciderlo…" Ansimò il Kwaini, sorpreso dalla sua reazione." Lo hanno deciso il suo capo e… e una donna…"


Se avesse avuto fiato gli si sarebbe bloccato i gola.

Ne era certo.


Come era certo che nessuno potesse essere così veloce da seguirlo.


Scattò in piedi, e poi fuori dalla stanza , e dall'albergo.


Avrebbe dovuto rimanere lì.

Avrebbe dovuto aspettare che Trevor Lockley rientrasse in casa.


Saltò in auto, e un attimo dopo, mentre la città gli scorreva attorno, afferrò rabbiosamente il suo cellulare, e compose il numero con il pollice.


"Kate" Esclamò, un moto rabbioso di frustrazione che gli attraversò l'anima quando fu la segreteria a rispondergli." Sono Angel.

Rispondimi se sei lì.!"


Attese, stringendo spasmodicamente i denti.

Per degli istanti che gli parvero eterni.

Mentre non voleva accettare l'idea che Kate non ci fosse.

Che lui volesse avvertirla, che stesse disperatamente cercando di difenderla e lei non fosse dall'altra parte, per aiutare lui.


Ala fine, una terribile sensazione gli si diffuse dentro.

"Se ascolti questo messaggio" La pregò. "trova tuo padre.

Portalo fuori di casa.


È in pericolo.


Lui non sa cosa sono, Kate.

Non capisce." Respirò , perché il tono della sua voce non la allarmasse troppo. Tuttavia, sapeva perfettamente quanto fosse inutile.

Sentiva da solo l'ansia nella propria voce.

E la paura.

" Io sto andando là, ora."


Richiuse il telefono.


Con rabbia.

Quasi con violenza.

Mentre dentro di lui la sua anima continuava a gridare una sola parola.


No.

No.

No.



*****


Galway, Irlanda, 1753


"No!" Esclamò suo padre, appoggiandosi alla parete su cui solo un attimo prima stava inchiodando una croce. "Vattene, Mostro!

Un demone non può entrare in una casa dove non è benvenuto!

Dev'essere invitato!"


Angelus sorrise, avvicinandosi lentamente, proprio come ciò che era, un demone, un predatore davanti alla sua preda.

La più ambita delle sue prede.


Non la più dolce, ma quella a cui più aveva pensato.


Da quando si era svegliato.

Con una fame insaziabile.


Di sangue.

E, più ancora, di odio.


Di distruzione.

Di paura.


Che in fretta si era trasformata in qualcosa di diverso, nel desiderio, la passione di costruirli… l'odio, la distruzione… di dipingere, pennellata dopo pennellata, il quadro grandioso del sangue.


Erano giorni, settimane che dipingeva, solo per arrivare a quell'unica, precisa mano, a quegli unici, precisi momenti.


Dall’ attimo stesso in cui Darla lo aveva atteso, all'inizio della sua notte, aveva ucciso, squarciato, mutilato, aveva seminato il terrore nella sua città, fra coloro che lo avevano sempre conosciuto, e non per fame.


Mai per fame.


Perché, con tutto il sangue che gli scorreva in gola, Angelus non sapeva cosa fosse la fame.


Lui aveva costruito un incubo.

Aveva trasformato una tranquilla cittadina di mercanti e pescatori in un covo di gente terrorizzata, che attaccava croci alle case e imbrattava di erbe le pareti.


Senza che gli importasse nulla di nessuno di loro, di nessuno di coloro che aveva ucciso e di cui si era nutrito.


Era quella la casa che lui voleva.

L'unica.


Per lei aveva costruito il suo terrore.


Perché coloro che la abitavano potessero assaggiarlo.


E tremassero.

Si voltassero ad ogni suono sinistro nella notte.


E alla fine scoprissero che era il loro figlio quel terrore.

E alla paura si mescolasse l'orrore.


Come adesso.

Sul volto di suo padre.

Quell'uomo che attaccava un croce alla parete, rivelandosi per quello che era sempre stato.


Patetico.

Disgustoso.


Che si sentiva tanto forte da terrorizzare un ragazzo, o un uomo che non voleva colpirlo, ma che ora, davanti a lui, aveva gli occhi colmi di terrore.


Eppure, era lo stesso volto che guardava, gli stessi occhi, la stessa figura di qual ragazzo, di quell'uomo.


Il suo sorriso si allargò, trasformandosi in un ghigno malefico.


"E' vero," Disse. " ma io sono stato invitato."


Indicò con gli occhi la porta e si scostò, perché suo padre, muovendosi appena, potesse vedere, e l'orrore potesse diffondersi sul suo volto duro.


Chissà cosa pensava di suo figlio, ora.

Chissà se ancora lo considerava un inetto, fissando il corpo senza vita di sua figlia. Della piccola, adorabile Kathy, seduta accanto alla porta, con il capo reclinato di lato.

Come se dormisse.


Gemette, suo padre, me il suo dolore non gli diede il piacere del sangue caldo di Kathy.

Nel palato.

Nella gola.

Fin nelle viscere.


Bruciando di purezza.

Di bontà.

Di amore.


Si.

Il sangue di qualcuno che lo amava faceva vibrare i suoi sensi come la più potente delle scariche .

E gli piaceva.

Gli piaceva da impazzire.


"Ha creduto che fossi tornato come un angelo." Ghignò, certo che ci sarebbero voluti anni perché il piacere di qual sangue si placasse,


"Assassino!" Gridò suo padre davanti a lui, e stringendo il martello fra le dita lo brandì contro di lui.


Glielo tolse facilmente, gettandolo in terra.


"Strano" Sibilò." Mi sembravate più alto quando ero vivo."


Suo padre si alzò, e si appiattì contro il muro.

Il volto una maschera di orrore.


"Dio…" Mormorò. "liberatemi da questo demone, ora…"

"E pensare che ho lasciato che una cosa così piccola e tremante mi facesse sentire come voi mi facevate sentire!


Si avvicinò a lui di un passo, mentre suo padre continuava a cantilenare.

"Vi prego, Padre, datemi la vostra protezione."

"Mi avete detto che non ero nulla. E io ci ho creduto.

Mi avete detto che non avrei mai fatto niente di me stesso."


Gli stava davanti.

Aspirava la sua paura.

Il suo orrore.

Riflessi in occhi che si sgranavano in modo ridicolo, su un volto che ora poteva solo divertirlo.



Mutò il suo viso, e la paura di suo padre esplose.

Avvolgendolo, riempiendolo.


"Avevate torto.

Ho fatto qualcosa di me stesso, dopotutto."


Gli afferrò la faccia con la mano, schiacciandogliela, spingendola contro il muro, le sue dita divaricate che gli consentivano di vedere ancora il suo volto atterrito, la sua bocca che si spalancava, senza che da quella gola velenosa venisse fuori alcun suono, i suoi lineamenti che si distorcevano orribilmente.


Tremando.


Ogni pollice del suo corpo tremava.

Come una foglia.

Come quello di un bambino.


Come il suo, tanti anni prima.


E la cosa più divertente era che ad Angelus di qual bambino non importava assolutamente nulla.


Non provava nulla per lui, come non provava nulla per colui che stava ammazzando.

Nulla, fuorché il piacere.


Lo morse.

E, ancora, sua padre continuò a tremare.


E ancora nessun suono riuscì ad erompere dalla sua gola.


*****


Los Angeles, 2000


La sua gola era secca mentre percorreva il corridoio.

Tanto da fare male.


E il suo cuore era pesante, come una pietra.

Tanto da fare male.


E vibrava di paura. E di rimorso.

Tanto da fare male.


Bussò con forza, e si dovette dominare per non buttare giù la porta, ricordando a se stesso che non sarebbe servito.


Non aveva l'invito per entrare in casa, quella parete non faceva, in realtà, nessuna differenza.

Sarebbe riuscito solo a spaventare Lockley.

A fargli pensare che era pazzo.


Quando forse non ce n'era alcun bisogno.

Quando forse non era ancora accaduto nulla.


Ma qualcosa era accaduto.

Oh, Dio, qualcosa era accaduto!


Il cervello quasi gli scoppiò, gridando con voce folle quelle parole non appena Trevor Lockley aprì, e alle sue spalle Angel scorse due figure in piedi.


Due figure che sembravano uomini.


"Signor Lockley" Esclamò. "ho bisogno che mi inviti a entrare."


L'altro lo guardò, stupito, e lesse sul suo volto la tensione.

La paura.


"Vattene" Disse piano, mentre alle sue spalle uno dei due vampiri si avvicinava a lui.


"Mi inviti a entrare!" Gridò Angel, sbattendo contro la parete senza sostanza, così forte da ferirsi le mani.


Davanti a lui, dove il padre di Kate non poteva vederli, i due vampiri mutarono volto.


"Mi inviti dentro!"


Lo afferrarono, gettandolo attraverso la stanza, e Angel urlò, opponendo il suo "no" disperato alla forza che lo teneva fuori.


Vide il primo vampiro avventarsi sull'uomo, mentre l'altro lo guardava, con un sorriso beffardo sulla faccia.

"Sembra che tu non sia il benvenuto, qui, Angel!"


Ringhiò.

Ringhiò mentre azzannavano la gola della loro vittima.

Ringhiò mentre il rumore della pelle spezzata gli arrivava alle orecchia, e l'odore del sangue alle narici.


Ringhiò mentre la sua anima ringhiava più forte.


E gridava, gridava, gridava, e spaccava i confini del suo corpo, delle sue cellule, di qualunque cosa lui fosse.


Esplodendo di dolore, e rabbia, e impotenza.


Mentre i suoi occhi guardavano il padre di Kate venire ucciso.

Ed era tutto ciò che lui poteva fare.


Guardare.

E ringhiare.

E battere pugni impotenti contro la parete d’aria.


E gridare.

Con l'anima.

Con la bocca, che non riusciva a contenere tutta la sua rabbia e il suo dolore.


"Nell'istante in cui la sua anima lascerà il corpo, io passerò questa porta, e vi ammazzerò entrambi!


Era lì, l'anima di Trevor Lockley.

Era ancora lì.


A provarlo, la parete che lo tratteneva.


Era lì mentre lo bevevano.

Era lì mentre si nutrivano di lui.

Era lì mentre soffriva.


Era lì mentre Angel guardava.


E poi, all'improvviso, non c'era più.

Come la parete che gli aveva impedito di salvarlo.


E lui poté entrare.


E non c'era nulla di umano in lui.

Perché lui era solo rabbia, e dolore, e senso di colpa.


Era solo forza primordiale che sbalzò lontano il primo vampiro e spezzò la gamba di una sedia, usandola per distruggere il secondo.


Era un grido, un unico, immane grido che si irradiava dal suo corpo, senza suoni, senza parole, e che si voltò verso il vampiro rimasto.


Veloce.


Forse non abbastanza per impedirgli di fuggire, ma fin troppo per inseguirlo e distruggerlo in meno di un minuto.


E lo avrebbe fatto.

Si. Lo avrebbe fatto.


La rabbia, il dolore, il rimorso che era diventato, la forza primordiale, che era ciò che restava di lui, loro lo avrebbero fatto.


L'urlo che era diventato lo avrebbe fatto.


Se sulla porta, in quello stesso istante, non fosse apparsa Kate.

E di tutto ciò che lui era diventato, all'improvviso, non rimase che il dolore.


E i suoi occhi si riempirono di lacrime.


*****


Los Angeles, 2001


Con quelle lacrime… " Mormorò Kate." Finì così…

Finì tutto così…"


Aveva tirato su le gambe, e ora sedeva sul divano, la testa premuta contro ginocchia, un groppo in gola che rischiava di impedirle di continuare.


" Ci avevo messo così tanto a capire ciò che volevo…

A capire che per quanto assurdo potesse essere non mi importava che Angel fosse un vampiro… che mi importava solo che fosse lui… tanto assurdo che non lo avevo voluto accettare…


Se lui fosse venuto a casa mia, quel giorno, lo avrei fatto entrare…


Se ci fossi stata quando mi ha telefonato…"

"Avrebbero probabilmente ucciso anche te…" Mormorò Spike cupamente.


"Non potrò mai saperlo… l'unica cosa certa è che l'ho perso quella sera…" Guardò il vampiro, e sperò che non ridesse di lei." No.

Non mio padre.


Angel…


Il dolore era troppo forte.


Mio padre era tutto quello che avevo… non esisteva nient'altro nella mia vita.


Nessuna famiglia.

Nessun amico.

Nessun innamorato.


Solo il mio lavoro… e anche quello…


Lo avevo cominciato solo per renderlo orgoglioso di me… perché non fosse infelice… di avermi… come figlia…


Ora non me lo avrebbe più detto che era contento di me.

Ora non mi avrebbe più detto che mi voleva bene.


Non ce l'ho fatta.

Avevo bisogno di accusare qualcuno.

Qualcuno che non fosse me stessa… perché ero troppo debole per reggere al senso di colpa… per reggere alla verità… esattamente come ero troppo debole per reggere al dolore.


La rabbia… quella si, la potevo gestire.


La conoscevo.

La potevo sfogare.


E anche per quella mi serviva un bersaglio.


E Angel era lì.

Dietro di me.


Ed era un vampiro.


E io mi dicevo che non era giusto.

Che aveva salvato tanta gente… era ingiusto e crudele che non fosse riuscito a salvare proprio lui."


"Lo hai accusato di questo? Di aver salvato altri e non …"

Gli occhi di Spike erano sgranati, e nelle loro profondità Kate poteva leggere la sorpresa, e anche qualcosa che somigliava al dolore… al rimorso… ma era naturale… dopo quello che gli aveva appena detto…


"E’ terribile, vero?"

"Io… " Parve come in imbarazzo. " mi chiedevo solo perché Angel non abbia ancora tagliato la testa a nessuno dei due…"


Non comprese.

E probabilmente non poteva farlo… probabilmente non conosceva ancora ciò che le sarebbe servito per riuscirci…


Ma non voleva chiedergli nulla…

Si sentiva troppo male per farlo…


"Comunque lo feci… si… " Continuò. " per quello…e perché non era umano. Ed era più facile accusare lui, e giustificare la mia crudeltà dicendomi che era un mostro, una creatura delle tenebre…


Era più facile che accusare me stessa.


E poi… lo accusai… perché mi piaceva.

E perché mentre io mi sentivo così felice di aver finalmente messo ordine dentro di me… mio padre veniva ucciso.


Forse accusavo lui anche per punire me stessa.

Per allontanarmi dalla persona che… che più avrei voluto avere accanto…


Non lo so…

Non lo so… "


Si prese la testa fra le mani, premendola con forza contro le ginocchia.


"Non lo so…


Certe volte mi dico che se non mi avesse ascoltata… se mi avesse abbracciata invece di uscire, sarebbe passato tutto… avrei sofferto, ma non me la sarei presa con lui…


Oh, Dio, lo odiavo anche per quello… perché se n'era andato… ed ero stata io a chiederglielo…


E quell'odio, quel sentimento che all'inizio era quasi solo disperazione, è cresciuto, nei mesi, e mi ha avvelenato l’anima.


Perché il dolore non finiva.

E io non lo volevo.


Perché il senso di colpa non finiva.


Ho cominciato ad accusarlo di tutto, ho voluto odiarlo, e ho odiato me stessa perché non riuscivo a farlo, perché nonostante tutto, quando mi presentavano delle prove contro di lui il mio primo istinto era gridare: ‘No! No!.’

E ogni volta che lo facevo c'era un parte di me che tornava a ripetermi: pensa a tuo padre… ."


Sorrise amaramente.


"Ma, del resto… era proprio ciò che Darla volava…


Voleva un pupazzo, un 'arma da manovrare contro Angel, un burattino che gli mettesse i bastoni fra le ruote, ogni volta che le dava fastidio… e io le ho consegnato in miei fili fra le mani…"


Ancora, portò le dita alla gola, e stavolta le chiuse sul morso di Angel.


E serrò gli occhi.

E fu di nuovo lì, nel buio, con le sue braccia che la stringevano, il suo corpo premuto contro il proprio, e il dolore, e l'assurdo senso di pace che prendeva il posto della paura… la consapevolezza che se fosse finita sarebbe finita sul suo petto.


E la sua voce nelle orecchia.


E il sollievo, come un 'esplosione nel cuore e nell'anima.


Non perché non l'avrebbe uccisa… perché non aveva voluto farlo.

Perché era ancora l'uomo generoso che aveva conosciuto.. lo era sempre stato… e lei si era sempre sbagliata…


Mordendola, portandola vicina all'orlo, rendendola parte di se, Angel le aveva ridato qualcosa che credeva di aver perso per sempre.


La sincerità.


"In un certo senso… quella sera ho cominciato una guerra che era solo mia… e che lui, poi, mi ha costretto a chiudere.


Non prima, però, di avergli fatto del male.

Di aver distrutto tutto quello che avevo appena costruito.


E di averlo perso, senza averlo mai avuto.


*****



Los Angeles, 2000

Lo aveva perso.


Suo padre.

La sua famiglia.


Il suo cuore.

La sua anima.


Tutto.


Lo aveva perso senza averlo mai avuto.


Senza essere mai riuscita veramente a sciogliere il suo spirito.


Ed ora il dolore era grande.

Troppo grande.


La riempiva, la soffocava, le ottundeva la mente.


La trasformava in una bambina disperata.

In lacrime.

Attaccata a una parete.


Perché suo padre non c'era più e il dolore era grande.


Cercava forza in quella parete.

Cercava protezione.


Perché stava male.

Perché stava cadendo e non riusciva a fermarsi.


Perché non aveva più lacrime.

Perché il dolore era troppo.


E lei non sapeva cosa fare.


Non riusciva a fare.

Nulla.


Tranne stringersi contro la parete, e fissare il corpo di quell'uomo che le era sembrato invincibile.


Tranne lasciare che i respiri le venissero fuori dal petto, facendole male.


Tranne ripetersi, senza parole, senza frasi coerenti, che suo padre non c'era più.


Tranne pregare perché il dolore se ne andasse.


Senza riuscire a formulare la sua preghiera.

Lasciando che fosse il suo corpo la sua preghiera.

Le sue dita stretta contro la parete.

Lasciando che fosse la sofferenza stessa la sua preghiera.


Stava male.

Stava male.

Stava male.


Ed era sola.


E non riusciva a fare niente per fermare il dolore.


"Ho paura, papà… " Mormorò. " fa male…"


Ma non era a suo padre che si rivolgeva.


Lui non l'aveva mai ascoltata, non l'aveva mai rassicurata…


Lei non sapeva a chi si rivolgesse.


Forse a nessuno.

Forse a se stessa.

Forse a Dio.

Forse ad Angel che se n'era andato.


Forse la sua mente non funzionava più.

Forse nulla funzionava più in lei.


Perché non poteva diventare una parete?


Una cosa… una sedia rotta come quella dietro di lei?


Voleva essere una cosa… e invece era ancora una donna.


Che sentiva, che soffriva, che singhiozzava stancamente.

Che vedeva il corpo di suo padre, e le macerie del combattimento attorno a lui, e il denaro sporco del suo sangue sparso ovunque da una grande busta.


Denaro… troppo denaro…


Sbatté gli occhi, senza pensare.


Kate non poteva pensare…


C'era troppo dolore… come nebbia nella sua mente, come sofferenza nel suo corpo…


E anche quando allungò la mano, non pensò.


Fu un gesto automatico, che le fece quasi orrore…

Le fece quasi orrore riuscire a muoversi, con suo padre lì, davanti a lei, disteso nel suo sangue.


Le fece quasi orrore che qualcosa potesse ancora avere un senso.

Che potessero avete un senso le parole scritte sulla busta.


Auto esotiche Kel…

Auto esotiche Kel…


Anche la busta era macchiata di sangue.

Come il denaro che aveva contenuto.


Troppo.

Troppo denaro per suo padre.


Allora, finalmente, Kate pensò.


*****


Los Angeles, 2001


"Ma tu pensa!" Esclamò Spike, così sbalordito che si afferrò ai braccioli della poltrona, e si sporse così tanto in avanti che quasi le finì addosso. " Ci sei andata sola!

Sapevi che si trattava di vampiri e ci sei andata sola!"


"Non…ragionavo bene…" Si difese Kate." Ma… si, il succo è quello…"


Spike si lanciò all'indietro, colpendo lo schienale.

"Ecco!

La donna ideale di Angel!"


"Spike, per cortesia!

Non ho nessuna intenzione di scherzare!"


"E questa ti pare che la faccia di uno che vuole scherzare?!" Sbottò." Ti giuro che sono assolutamente serio!


Perché devi sapere, mia bella so-tutto-io, che mentre tu ti preparavi all'auto- immolazione andando da sola nel covo del lupo, Angel era a casa che si armava fino alla punta dei suoi capelli scolpiti dal gel, per fare esattamente la stessa cosa!


Con la minuscola, insignificante differenza che lui, arrabbiato com'era, avrebbe potuto farne fuori trenta di vampiri, e con una mano sola!"


"Era … arrabbiato?!"


Spike si lasciò sfuggire un sospiro.

"Era nero, Kate.


Letteralmente, per una volta.


Nero.


In tutta la nostra vita insieme lo avevo raramente visto così furioso.


Era lì, che si armava, senza parlare, con l'aria di voler fracassare le pareti con lo sguardo, ci mancava solo che si dipingesse la faccia!


Lasciatelo dire, Kate" Continuò, allungandosi nuovamente verso di lei. "tu sei riuscita in un'impresa che non avrei mai creduto possibile: hai trasformato il mio sire in Rambo!"


*****

Los Angeles, 2000


"Guarda che tu sei Angel, non Rambo!" Esclamò Spike, e nonostante il tono scherzoso delle sue parole poté sentire la preoccupazione fluire dalla propria voce.


Coltelli alla cintura.

Coltelli alle caviglia.

Paletti nei foderi fissati alle braccia e nascosti nelle maniche.

La spada nel supporto sulla schiena.


Sembrava che Angel si preparasse ad una guerra.


E, probabilmente, era proprio così.

Anche se aveva dei seri dubbi su dove si sarebbe realmente combattuta, se fuori o dentro di lui, o su chi fossero i nemici.


Gli assassini del padre di Kate o i suoi stessi rimorsi.

O il dolore per la sofferenza di lei.


"Ti manca altro?" Lo schernì, muovendosi attorno a lui. " Un bazooka, un carro armato, una bomba a mano?"


Angel fece scattare il meccanismo fissato al suo polso, per provarlo, e un paletto vibrò nell'aria, lungo la sua mano. Veloce e letale.

Senza parlare.


E questa era la cosa che più spaventava Spike.


Oh, certo, chiunque avrebbe detto che Angel era sempre silenzioso, e lui, più di ogni altro, conosceva i suoi silenzi.


Per questo quello lo preoccupava tanto.

Perché lo conosceva.


Era un silenzio che vibrava di collera a stento tenuta a freno, il silenzio che sempre invadeva Angel quando la furia era talmente tanto forte che gli gridava nel corpo e nell'anima per essere liberata.


Era sempre così.


Angel poteva combattere, poteva lottare per ore e contemporaneamente redarguirlo su ciò che di sbagliato aveva fatto quel giorno, poteva interrogare stancamente un sospetto mentre lo pestava, poteva gridare, se era arrabbiato, ma quando Angel era furioso, allora, non parlava.


E quella sera non aveva detto che poche parole, strette fra i denti.


Era entrato come una furia, dirigendosi direttamente all'armeria, e quando Spike gli era venuto dietro, senza che lui gli chiedesse niente e senza nemmeno voltarsi, aveva mormorato:

"Lo hanno ucciso.

E io ero lì."


Lockley.



Detestava quell'uomo senza averci mai parlato.


E ora era inutile.

Come era inutile qualunque cosa potesse dire a Angel.


Niente lo avrebbe fatto stare meglio.


Neanche sterminare gli assassini del padre di Kate.


L'unica cosa che Spike poteva fare era comportarsi come sempre.

Far sentire al suo sire che c'era un luogo nel mondo che era ancora al suo posto.

Un luogo e una famiglia da cui tornare.


E che nessuno gli avrebbe fatto domande.

Nè lo avrebbe giudicato.


Perché se lui non poteva impedire ad Angel di giudicare Angel, almeno poteva impedire agli altri di farlo.


Perché, per quanto fossero una famiglia, per quanto ci fosse un legame inscindibile a legarli tutti, niente poteva cancellare cento anni passati insieme.

Nemmeno l'amore più grande avrebbe potuto sostituire la conoscenza che, giorno dopo giorno, si era creata fra loro.


Così erano tutti lì.

Wesley, Cordelia, Faith.

E tutti guardavano Angel, mente lui non vedeva nessuno di loro.


E tutti gli volevano bene.

Ma nessuno lo conosceva quanto Spike.


Nessuno conosceva i suoi silenzi.

O il tormento che gli gridava dentro.


"Secondo me basta che li guardi! Hai un 'aria così feroce che si andranno direttamente a suicidare!"


Wesley gli lanciò un 'occhiataccia, e lui sorrise di fronte alla sua espressione scandalizzata.


Pensava che fosse insensibile.

Un demone.


Ma Angel non aveva bisogno di qualcuno che cercasse di calmarlo, ora.

E nessuno ci sarebbe riuscito.


Aveva cercato di proteggere Kate.

Aveva cercato di salvarla dalla sua stessa sofferenza.

Di darle la possibilità di essere felice che lui non aveva avuto.


E non ci era riuscito.


E Spike non poteva neanche immaginare come si sentisse adesso.


No.

Angel aveva bisogno di sapere che quando la furia si fosse trasformata in dolore, e stanchezza, lui sarebbe stato lì.

Anche se non avesse voluto.


"Senti, Angel.." Mormorò Wesley, avvicinandosi. "non sappiamo quanti sono e non possiamo fidarci solo delle parole del Kwaini…"


Lui non gli rispose.

Non lo guardò nemmeno.


"… che nè è del piano prima indaghiamo, poi attacchiamo?"


Angel afferrò un 'ascia da combattimento, roteandola nella mano.

"Quello era il piano A. " Disse cupo. " E' l'ora del piano B."

"E'… qual è il piano B? " Chiese l’altro, stupito.


Spike lo fissò.

"Deve spiegartelo davvero Wyndam Price?"


Vide Angel infilare il cappotto, ancora senza guardare nessuno dei suoi, ancora senza parlare.


E un attimo dopo lo vide lasciare la stanza, e allungò una mano appena in tempo per afferrare Faith, impedendole di seguirlo.


"Ehi!" Esclamò la ragazza. "Ma sei ammattito?

Potrebbero essere molti!"


"Lo sa " Rispose lui, cupamente, smentendo la disinvoltura di poco prima. "hai visto come si è armato…"

"E allora?!" Faith si liberò dalla sua stretta. "Lo farai andare da solo semplicemente perché ha deciso così?"


"Perché me lo ha chiesto…" Rispose lui, ma di fronte all'espressione della ragazza non riuscì a reprimere un sorriso. " e poi, se partissimo ora, si accorgerebbe che lo stiamo seguendo…"


*****


Era elegante l'assassino di suo padre, e Kate non si era resa conto di quanto il suo aspetto le fosse rimasto impresso, da quel rapidissimo quasi-scontro fuori dall'appartamento dove lo aveva appena ucciso.


Sembrava un uomo d'affari, alto, snello, un volto affidabile, giacca e cravatta a posto.


Un giovane di cui fidarsi.


E suo padre si era fidato.


Si era lasciato ingannare… corrompere.

Si era lasciato trascinare in uno dei suoi loschi traffici.


Non poteva mentire se stessa.

Non più.

Non ora.


Non adesso che aveva una meta, che sapere cosa fare le aveva ridato lucidità.


Una spaventosa, terribile lucidità.


Suo padre non era integerrimo come aveva pensato.


Suo padre era invischiato in qualcosa di sporco.

Il denaro in casa sua ne era la prova .


E forse quello era il motivo… il vero motivo, per cui era alla metropolitana, quella mattina.


Non per lei.

Perché le voleva bene.


Ed era venuto a prenderla al lavoro per chiederle di Angel… perché Angel sapeva di lui… come provava la sua telefonata…e il fatto che fosse lì, mentre veniva ucciso.


Non era difficile sommare due più due.


Angel aveva scoperto che suo padre era invischiato con quei vampiri, e non le aveva detto niente.

E ora suo padre era morto.


Dopo che lei, stupida, gli aveva chiesto di lavorare insieme.

Di tenerla informata sul caso… e lui aveva risposto di si.


L'aveva ingannata.

E suo padre era morto.


E, del resto, cosa poteva aspettarsi?


Lui era un vampiro, era stata una sciocca a pensare di poterlo scordare.

A pensare che non avesse importanza.


Era un demone, come quelli che avevano ucciso suo padre.

Come quelli che le stavano davanti.


Tre, in piedi, attorno a una scrivania, più quello che aveva incrociato fuori dalla casa di suo padre, seduto come un perfetto venditore.


Quattro vampiri.

Quattro mostri.

Quattro assassini.


Eppure, Kate non provava paura.


Solo dolore.

E la rabbia che aveva sostituito la disperazione.


Quando aveva letto quel nome sulla busta.

Quando aveva pensato.


Una rabbia benvenuta.

Perché la portava ad agire.


Anche se, senza la paura, agire avrebbe potuto significare distruggere se stessa.


Camminò verso di loro, sicura, quella rabbia fredda e terribile che guidava ogni suo passo, che si spandeva nella sua voce.


" Mio padre non poteva sapere chi sei, ma io si."Disse. "Io lo so."


L'altro si alzò, un sorriso pieno di ironia sul volto pallido, e, aggirata la scrivania, le si avvicinò, fissandola come il gatto con il topo.


" Ah, si?" La schernì. "Vedo."


Senza esitare, e senza distogliere gli occhi, Kate tolse la mano dalla tasca del giubbotto e premette il grilletto della sua pistola, colpendolo al petto.


Quello ringhiò, furioso, e mutò il suo volto, mentre Kate sollevava il suo, sfidandolo senza alcuna paura.


"So che questo non ti ucciderà. " Dichiarò, e continuando a tenere la pistola su di lui tirò fuori un paletto dal retro dei pantaloni, e glielo ficcò nel petto, con un unico, velocissimo gesto. " Ma questo si!"


Lesse la sorpresa sul suo volto, e un attimo dopo lo vide murasi in polvere, ed esplodere davanti a lei.


L'assassino di duo padre.


Eppure questo non calmò il suo dolore.

E non diminuì la sua ira.


"Ti ho detto che lo sapevo…" Mormorò , parlando con la sua polvere, ma un attimo dopo il suono aspro di una voce le fece voltare la testa, spedendole un brivido di disgusto lungo la schiena, in pura anticipazione di ciò che aspettava i suoi occhi.


Poco avanti a lei, sulla porta, forse, di uno studio, stava quello che alla lontana avrebbe potuto sembrare un uomo, ma che non era un uomo…


Era solo vestito come un uomo, ma il suo volto era innegabilmente quello di un demone.


Un grosso demone, con la faccia schiacciata simile a quella di un pipistrello, creste ossute sulla fronte a orridi denti acuminati.


"E cosa pensi di sapere?" Ringhiò, entrando nella stanza e avanzando verso di lei." Sai ciò che cammina in questa città?"


Kate tese il braccio e gli sparò.


Una, due, tre, quattro volte, in rapida successione, tutte al petto,


Vide il demone sobbalzare, e il suo volto diventare più livido per la rabbia, ma quella fu l'unica reazione che ebbe.


"Cagna!" Gridò, facendo ancora in passo contro di lei, mentre dall'ufficio alle sue spalle uscivano altri vampiri, che l'agirarono, chiudendosi in un cerchio attorno a Kate.


Togliendole ogni via di scampo.


Eppure, ancora, Kate non aveva paura.

Ancora non ci riusciva.


Sapeva che l'avrebbero uccisa.

Orribilmente.

Come suo padre.


Sapeva di essere stata una pazza, una stupida sciocca a venire lì da sola.


Eppure, ancora, non riusciva ad avere paura.


"Tu non hai idea!" Gridò ancora il demone. " Non capisci con chi hai a che fare!"


"Con un grosso, brutto demone drogato che pensa di essere molto più pauroso di quel che non è?"


Kate si voltò di scatto, dimenticando la prima regola in un conflitto: mai perdere mai di vista il tuo nemico, mentre qualcosa, più veloce dei suoi stessi occhi, le saliva allo stomaco.


Qualcosa che poteva essere sollievo, ma non avrebbe potuto esserne sicura, e non le importava.


Ciò che importava era che Angel era lì, ora, alle sue spalle.


Era entrato dalla porta dell'autosalone, e incedeva sicuro verso di loro, facendo roteare nella mano un 'enorme ascia da combattimento, gli occhi scuri, seri, arrabbiati, fissi su di loro, che incontrarono per un attimo i suoi prima che finisse la sua frase, dicendo: "Si, lo sa."


Kate non lo aveva mai visto nel mezzo di uno scontro.


Lo aveva veduto combattere con Penn., ed era rimasta impressionata dal suo scontro con quello che aveva creduto un serial killer, ma questo… questo era diverso…


Vide la rissa scatenarlesi sotto gli occhi, e Angel colpire i suoi nemici con una furia, una velocità e una forza che le avrebbero fatto paura, se solo avesse potuto provarne, ma che in quel momento non riuscì a non ammirare.


In pochi istanti aveva ucciso due vampiri e quando un altro gli si avventò contro lo spedì su una parete senza nemmeno guardarlo. Gli occhi fissi su Kate, e su qualcuno che solo troppo tardi lei sentì muoversi.


Si voltò, solo per ritrovarsi un vampiro a neanche un pollice di distanza, ma non fece nemmeno in tempo a sgranare gli occhi che Angel lo afferrò per la gola, spezzandogli il collo e gettandolo di lato e poi attirandola contro di se, mentre, con un unico movimento, allungava il braccio, puntando l'ascia alla gola dell’ orribile demone che l'aveva minacciata.


"Noi ora usciamo di qui" Disse a denti stretti, tenendo Kate per la vita. "e tu non perdi la tua testa."


Il demone grugnì disgustosamente, ma fece ai vampiri segno di allontanarsi, e lentamente il cerchio attorno a loro si allargò, permettendo ad Angel di trascinarla di qualche passo indietro.


Kate si guardò velocemente intorno, cercando di controllare tutti gli altri vampiri, certo che non li avrebbero lasciati andare così facilmente.


E infatti, non appena il loro capo fece un passo indietro, allontanandosi dall'ascia, partirono tutti insieme, avventandosi su di loro.


"Kate!" Gridò Angel quando un vampiro l'afferrò, tirandola così violentemente da strappargliela di mano, e il suo grido le echeggiò nel cervello, mentre, automaticamente, lei piegava un ginocchio per colpire allo stomaco il suo assalitore, e un attimo dopo lo trafiggeva al cuore col paletto che ancora stringeva nel pugno.


La polvere del vampiro la investì, e lei si ritrasse istintivamente, cadendo in terra.


Incontrò gli occhi di Angel solo per un secondo e poi vide due vampiri attaccarlo, contemporaneamente, da entrambi i lati, e lui lanciare in aria l'ascia, e allargare le braccia, trafiggendoli entrambi con due paletti che scattarono fuori dalle sue maniche ad un movimento del polso.


La loro polvere non si era nemmeno depositata in terra che lui riafferrò al volo l'ascia.


Calmo.

Gelidamente calmo.


"Sei morto!" Gli ringhiò contro il demone.


Il volto di Angel non tradì alcuna emozione mente diceva: "Io sono davvero morto." E roteando il braccio decapitava il mostro così in fretta che Kate non riuscì a vedere altro che la sua testa che si spiccava dal collo. "Benvenuto nel club."


Come un esercito che si disperdeva dopo la perdita del suo capo, quel che restava dei vampiri fuggì via, sciamando velocemente oltre la porta di ingresso.


Angel non li seguì.

Non li guardò nemmeno.


Guardò Kate, e lei lo ricambiò per un secondo, prima che la vista le si annebbiasse per le lacrime e distogliesse gli occhi, fissandoli dinanzi a se ed attirandosi le ginocchia al petto.


Mentre la paura che avrebbe potuto salvarle la vita, quella paura che ostinatamente la sua mente si era intestardita a non provare le squassava il corpo, arrivandole al cervello.


E portando con se il dolore e il rimpianto, e la confusione, e la debolezza.

E un dolore che era troppo grande.


Troppo, troppo grande.


Più grande dello shock, più grande della consapevolezza di aver appena rischiato di venire uccisa in modo orribile.


Come suo padre.


Perché suo padre era morto.


Suo padre non c'era più…

Non c'era più…


Mente Kate era lì…

Kate si era salvata…

E tutto era ingiusto…

Il mondo era ingiusto…


Angel si chinò su di lei, appoggiandole gentilmente una mano sulla spalla.


"Stai bene?" Mormorò con dolcezza.


Lei lo scacciò.

Dal suo cuore, dal suo corpo, liberandosi dalla sua mano con un violento strattone, mentre disperatamente stava lottando per non piangere.


Perché le ragazze grandi non piangevano.


"Mai fidarsi di una… cosa… cattiva… "Singhiozzò.


"Kate…" La voce di Angel era piena di dolore… il suo volto era pieno di dolore.

Quello stesso volto che era stato senza espressione mentre combatteva, mentre decapitava quel demone, ora era così pieno di soffrenza e compassione che avrebbe potuto allagarle il cuore, se solo lei glielo avesse permesso. " So che quello che è accaduto a tuo padre…"


Ma lei non glielo permise.


Lei chiuse il suo cuore in una morsa, e quello fece male per la violenza con cui serrò le dita.


Non voleva il dolore di Angel.

Non voleva la sua pena.


Avrebbe dovuto dirle la verità, e lei,ora, avrebbe avuto ancora suo padre.


Avrebbe dovuto salvarlo.


Era colpa sua.

Sua.

Sua.


"Mio padre era una creatura umana" Gridò, sollevandosi in piedi, con una forza che non sapeva di avere." Non sai niente di questo!"


Vide gli occhi di Angel riempirsi di lacrime in un secondo, e divenire lucidi come cristallo.

Pieni di una sofferenza così grande che avrebbe potuto ucciderla.


Ma Kate era sopravvissuta alla perdita di suo padre.

E sopravvisse anche a quel dolore immenso.

Infinito.


Sollevò il viso, impedendo a quel dolore di toccarla.


Stringendo il suo cuore.

Soffocandolo.


E mentre le lacrime nei suoi occhi si asciugavano, andò via.


Lasciando Angel dietro di se.

Da solo.


E' finita, mormorò qualcosa dentro di lei.


Ma il dolore, e la rabbia, e il senso di autoconservazione gridavano troppo forte perché potesse sentirlo.


E perché potesse sentire, dentro di se, il suo cuore che si spezzava.


*****


Los Angeles, 2001


"Non sentivo niente…" Mormorò Kate. " niente oltre al dolore…alla rabbia…

Non volevo ascoltare la ragione…


Accusare Angel mi faceva sopravvivere.

Scaricare il mio senso di colpa.


Odiare lui era meglio che odiare me stessa.


E così, gli dissi quella cosa…"


Si premette di più la bocca sulle ginocchia, prima di continuare.

"Ti giuro che quando mi hai parlato di suo padre ho pensato che sarebbe stato meglio se quel demone mi avesse uccisa… non gli avrei fatto altrettanto male…"


"Assolutamente!" Sbottò Spike, cambiando per l'ennesima volta posizione sulla poltrona. "Sarebbe arrivato là e ti avrebbe trovata a fare il bagno nel tuo sangue!"


"Ma sentirsi dire quelle parole, sentirsele sputare in faccia da qualcuna che aveva solo cercato di aiutare, sentirsi dire che non sapeva cosa volesse dire avere un padre umano…"


Spike strinse leggermente le labbra.

"Tu non potevi sapere…" Soffiò alla fine, ma lei non lo lasciò terminare.

"Non cercare di giustificarmi, Spike, per cortesia!


Non potrai mai farlo, e io detesto chi cerca a tutti i costi scuse stupide per il proprio comportamento!


Ho gridato in faccia una cosa orribile a qualcuno che sapevo perfettamente essere stato umano, una volta.


Potevo non sapere dei suoi problemi con suo padre, di quanto avesse sofferto, ma sapevo benissimo che doveva aver avuto un padre.

Un padre umano!


E che lo aveva perso da secoli, ormai, in un modo o nell'altro!


Sapevo che dirgli quelle cose era crudele!

E gliele ho dette solo per star meglio.. ah, no… nemmeno… gliele ho dette perché se stavo male io doveva stare male anche lui.. o solo perché ero crudele!


Ma adesso che so, mi sento… mi sento peggio che crudele…

Mi sento meschina… e vigliacca…


E non riesco a fare a meno di chiedermi perché Angel non mi odi…


Me lo sono sempre chiesto, e quando ho pensato che lo facesse, che mi odiasse, una parte di me si sentiva sollevata…


Ma non era così, e non riesco a capire il perché…"


"Perché Angel è così." Sorrise Spike.


Un sorriso malinconico, pieno di un affetto così profondo che Kate ne fu non stupita… non più ormai… ma colpita, profondamente colpita." Non riesce a odiare…


In tutta la nostra vita insieme credo di averlo visto odiare solo un paio di volte, e anche in quei casi si trattava quasi più di dolore concentrato verso una persona, o di disprezzo… " Passò le unghie sul bracciolo della poltrona, e poi tornò a fissarla. "L'odio è qualcosa che rifugge la sua natura.


E sai qual è la cosa assurda, Kate?


Che tutti di dicono: ovvio che non odi nessuno, chi potrebbe odiare con quello che ha fatto?

Chi potrebbe mai commette azioni più orribili di quelle che ha commesso lui?

Chi potrebbe mai giudicare?


Oppure:

C'è troppo senso di colpa in lui, troppo tormento, troppo desidero di espiazione perché odi qualcuno…


Beh, l'assurdo è che non è vero.

L'assurdo è che Angel era così anche da vivo."


*****


Galway, Irlanda, 1753


"Da vivo, odiavo questo tavolo." Mormorò Angelus, stendendosi all'indietro sulla sedia, i piedi ostentatamente appoggiati sul piano davanti a lui. "Vederlo sedere qui, sapere che si sentiva il padrone…" Sorrise. " ora mi piace.. si domina ogni angolo della stanza da questo posto."


Ai suoi piedi, disposti attorno a lui, stavano suo padre e sua madre.


Due pupazzi inutili, ormai.

Corpi senza vita che aveva disposto perché assistessero al suo trionfo.

Il completamento del suo quadro.

Il primo, ne era certo, di molti capolavori.


"Questa disputa è finita, finalmente?" Mormorò Darla, avvicinandosi lentamente al tavolo.


Angelus la guardò.


La sua bellissima, mortale donna.

Il suo sire.

La sua amante.


Per cui non provava assolutamente nulla.

"Certo" Rispose." Ora ho vinto."


"Ne sei sicuro?" Gli chiese Darla.


Lui tolse i piedi dal tavolo, alzandosi con un balzo e versandosi poi un boccale di birra chiara.

"Naturalmente" ghignò. " ho dimostrato chi ha il potere qui."


Bevve avidamente, sorpreso per la differenza di sapore rispetto a ciò che ricordava.


Darla, ora, stava fissando il corpo senza vita di suo padre, il volto reclinato che esprimeva una sorta di materna pazienza… se poteva mai esserci qualcosa di materno in Darla, qualcosa che non fosse totalmente sottile e perfido.


"Lo credi davvero?" Insistette.


Angelus seguì il suo sguardo, leggermente irritato.

"Di che parli?"


La vampira spostò gli occhi su di lui.

"Ti sei preso una vittoria su di lui, ora, ma questo non rimedia alle sconfitte del passato."


Angelus aggrottò la fronte.

"Non ti capisco, Darla.

Lui non può sconfiggermi, ora."


"Ma non può nemmeno più approvarti, in questo mondo o in nessun altro."


Gli sorrise.


"Ciò che eravamo continua in ciò che diventiamo, piccolo mio.

Lo stesso amore infetta i nostri cuori, anche se non battono più."


Angelus spostò gli occhi al corpo di sua madre e, dopo, a quello esangue di sua sorella, ancora appoggiato contro la porta di ingresso, mentre Darla continuava. "La morte non può cambiare questo."


Lui aggrottò la fonte.

"Amore? Secondo te tutto ciò è opera dell'amore?"


Darla gli si avvicinò, sorridendogli, e sollevò una mano ad accarezzargli il volto.

"Caro ragazzo.

Così giovane.

Ancora tanto giovane…"


Angelus si appoggiò con la schiena al tavolo, e lasciò che un sorriso gli salisse alle labbra.

"Ti sbagli…" Sibilò. " posso essere giovane, ma so quello che sono…"


Abbassò gli occhi verso i corpi ai suoi piedi, e con un calcio spostò quello di suo padre.


"Approvazione?

Amore?" Rise. "No.


Sei tu a non capire.


A me non importa nulla di loro.

Assolutamente nulla.


Niente di quello che lui era mi infetta più."


"Ma allora perché…" Esclamò Darla. "perché tutto questo?"


Angelus allungò una mano, attirandola verso di se.

"Perché lui, " Mormorò. " mia bellissima, lui li amava."


Vide gli occhi di Darla dilatarsi, in un misto di sorpresa e piacere, e seppe che non lo avrebbe mai

più sottovalutato.


Mai più.


*****


Los Angeles, 2000


Mai più.


Kate Lockley non sarebbe mai più stata la stessa.


E Angel lo sapeva.

Lo sentiva.


Glielo dicevano il suo cuore e la sua anima.

E soffriva per questo.


Più di quanto probabilmente avrebbe mai rivelato a nessuno.


La guardava restare immobile davanti alla tomba di suo padre, nella luce, gli occhi bassi e un'espressione completamente afflitta, svuotata, sul bel volto pallido.


Protetto dall'ombra sicura di una cripta, non la lasciava un solo istante.

Con gli occhi e con il cuore.


E Spike non aveva bisogno che gli dicesse quanto stava male.


Lui lo sapeva.

Lo vedeva.


Dall'espressione triste del suo volto, e da quegli occhi che mai, mai riuscivano a nascondere le sue emozioni.


Dal modo in cui appoggiava una mano alla parete.

Come per sostenersi, per trarre da essa forza.


Dalla tensione del suo corpo.


Li poteva odorare su di lui.


La pena.

La tristezza.

Il senso di colpa.


Il dolore e il senso di sconfitta che crescevano sempre più, ad ogni istante che restava a guardare la donna in piedi nella luce , davanti a lui, con un mazzo di fiori in mano.


Sola.

Come in quel momento era solo Angel.


Lei nella luce, lui nell'ombra.

Con lo stesso dolore nel petto.


Così nuovo quello di lei, recente eppure antico quello del suo sire.


Così incredibilmente simili.

Separati dalla luce del sole.

Che Angel non poteva oltrepassare.


Solo lei, Kate, avrebbe potuto farlo.

Ma non voleva.

Non più.


Il suo universo si era rovesciato dal giorno così vicino in cui era venuta all'Hyperion, e aveva detto ad Angel che voleva lavorare con lui.

E c'era stato un mondo di parole non dette nelle sue frasi.


E ora, qualunque cosa avesse avuto intenzione di dirgli, non la voleva più.


Eppure, il suo dolore era riflesso negli occhi di Angel, eppure, lui stava soffrendo per Kate.


Per la sua pena.

Per la disperazione che conosceva bene.

Perché temeva di aver perso un’ amica.


E per la sua solitudine.


Perché lei era lì, nella luce… e non c'era nessuno a tenerle compagnia.

A stringerle una mano.

E non ci sarebbe stato nessuno, a casa, ad accoglierla.


Perché quella ragazza, che qualche mese prima aveva chiesto a lui, un uomo conosciuto da pochi mesi, di accompagnarla al pensionamento di suo padre perché non aveva nessuno, era sola.


Veramente sola.


Sola come era stato lui subito dopo aver riavuto l'anima.

Di una solitudine così disperata che lo aveva spinto a cercare Darla.

Di nuovo.


Sola come si era sentito Spike quando aveva creduto che Angel fosse perso.


Sola come Angel non sarebbe mai più stato.

Mai più.


"Spike…" Mormorò piano Angel, persino la sua voce che tradiva dolore. "Vieni qui…"


Strinse le labbra.


Stavolta non finse di essere irritato, e lui non gli ripeté per l'ennesima volta che non sarebbe mai riuscito a prenderlo di sorpresa.


Non era per quello che lo aveva chiamato, come quella notte fuori dalla casa di sua madre.


Stavolta lo aveva chiamato per averlo vicino.


E Spike obbedì.

Senza parlare.

Aspettando che fosse lui a farlo, e sapendo benissimo che questo avrebbe potuto anche non avvenire.


Gli andò accanto, dall'altro lato dell'apertura, e per un attimo anche lui fissò Kate, la sua testa reclinata , i capelli biondo oro che le ricadevano in riccioli scomposto sul volto, le spalle e tutta la postura del corpo che sembrava gridare quanto lei sembrasse confitta, e quando, egualmente, lo fosse.


Ma era per Angel che si preoccupava.


Era Angel la sua famiglia, la persona di cui più gli importava.

E Angel era triste, demoralizzato, abbattuto.


E la sofferenza che leggeva nei suoi occhi faceva male al cuore freddo di Spike.


E fu bello udire la sua voce, anche se era così triste.

"Sai cos'è la cosa più dolorosa, Spike?" Mormorò, e per un attimo pensò che parlasse di Kate.


Lo guardò fissamente, gli occhi nei suoi.

"Pensavo di odiarlo… mio padre… pensavo di odiarlo più di ogni altro essere al mondo... e invece lo amavo.


L'ho sempre amato…"


Distolse gli occhi, e di nuovo guardò Kate.

E a Spike sembrò che tutto il suo essere si tendesse verso quella donna disperata nel sole.


"Perché non vai da lei?" Mormorò.


Angel non lo guardò, e non distolse gli occhi da Kate.


Ma un piccolo sospiro gli sfuggì dalle labbra, mentre, tristemente, rispondeva: "Non ne ho il coraggio."


Davanti a loro, ignara della loro presenza, certa di essere totalmente sola, Kate Lockley depose senza piangere il suo mazzo di fiori sulla tomba di suo padre.


E poi, dopo un attimo, andò via.


Lasciò il cimitero, con la testa bassa.


Sconfitta davvero.


E Angel la seguì con gli occhi.

E anche quando fu scomparsa dalla sua vista rimase lì, immobile, immerso nei suoi pensieri.


A lungo.


Finché la sera, scendendo, non dilatò le ombre sulla terra.


E Spike, come sempre, rimase al suo fianco.


Fine