LASCIA CHE TI RACCONTI ….


INCUBUS



DISCLAIMER: I personaggi di Buffy the Vampire Slayer ed Angel: the Series appartengono a Joss Whedon, la ME, la WB e la Fox. Non scriviamo a scopo di lucro e non intendiamo violare alcun copyright.

AUTHOR: Mary & Sue

PAIRING: nessuno.

RATING: PG13, ANGST, AU (molto AU….in quantità industriale)

SPOILERS:

TIMELINE: San Pietroburgo 1916/1917. Los Angeles 2001

SUMMARY: Tanya è morta, e il demone di Spine non può, semplicemente, accettare questo fatto. Così come l'anima di Angel non può accettare di avere perso anche suo figlio...

DISTRIBUTION: Il nostro sito: Due Uomini e Una Gatta, chiunque altro…basta che chieda.

NOTE. Attenzione!! Per chi non ha amato le vicende di Tanya e Spike (nel qual caso ci chiediamo perché mai stiate leggendo questa fan-fiction), per chi detesta l'angst in quantità industriale...questo è il momento buono per premere il tasto back del vostro browser, ed allontanarvi a gambe levate da questa fan-fiction...anzi, nel caso di chi detesta l'angst il consiglio è ancor più valido.

Per chi, invece, ha amato la storia di Tanya e Spike, per chi adora l'angst, si metta comodo, prenda una bella confezione di kleenex, un po' di nutella...e si goda questo viaggio nel passato!

NOTA 2: i versi mormorati da Spike alla fine di questa fan-fiction sono di Fedor Tjutcev (1803-1873) e sono gli ultimi versi della poesia: "L'ultimo amore"

Nota 3: Come si noterà, in alcune scene, Spike o Angel pensano a Pietrogrado, ancora, come a " San Pietroburgo"… non si tratta di un errore, ma di un particolare intenzionale, dovuto allo stato d’animo dei personaggi nel particolare momento in cui si fa riferimento…

Per essere chiari… chi penserebbe al fatto che la propria città ha cambiato nome mentre è affranto per la morte della donna che ama?!

In realtà sarebbe stato più logico, trattandosi comunque di una FF in POV, lasciare molti più riferimenti a "San Pietroburgo", ma abbiamo pensato di limitarli, per evitare la possibilità di un ‘eccessiva confusione, dovuta al frequente alternarsi dei due nomi.

FEEDBACK: a volontà…





Incubus



Pietrogrado, 14 marzo 1916


Non lo sentiva.


Non poteva…


Non lo sentiva urlare. Non lo sentiva ringhiare.


Non lo sentiva divincolarsi sulla sua spalla.


Non sentiva le unghie di lui conficcarglisi nella schiena.


Né i suoi pugni contro le ossa.


Non sentiva il suo odio vibrargli attorno.


E la sua rabbia.


Il suo dolore.


Non poteva.


Perché se avesse permesso loro di raggiungerlo, di afferrarlo…


Se avesse aperto loro la porta della sua mente.


Se avesse ceduto un attimo, soltanto un attimo… sarebbe stato perso.


Sarebbe crollato lì, sulle scale di casa, dove Spike e Tanya si ricorrevano ridendo.


Avrebbe sbattuto contro i gradini gelidi, come contro il ponte… e sarebbe rimasto lì.


E la rabbia, il dolore, l’odio di Spike lo avrebbero consumato.


Come già facevano i suoi.


E quando il sole fosse sorto, e avesse attraversato la finestra delle scale, ancora, sarebbero rimasti lì.


Tutti e due.


Perché lui non avrebbe avuto la forza di rialzarsi.


E Spike non avrebbe voluto farlo.


E non avrebbe potuto.


Angel, ora, era le sue gambe. Era i suoi piedi.


Era la sola possibilità che aveva di arrivare a casa.


Perché era il solo che, forse, sarebbe riuscito a non uccidere.


Per questo non poteva sentirlo…


Per questo non poteva fermarsi…


Per questo non poteva cedere a quell’atroce stanchezza.


Per questo il suo cervello cercava scampo e appiglio…


Nella ricerca delle chiavi di casa.


Nei grani di polvere che mulinavano nell’aria dell’androne.


Mentre sulla sua spalla un demone ruggiva selvaggiamente.


Nella scalinata.


Nei ripetersi dei gradini. Uno dopo l’altro.


Uno dopo l’altro.


Nei propri passi.


Lenti.


Cupi.


Stanchi.


Che ogni volta ripetevano la stessa canzone.


Lo spesso pianto.


Tanya. Tanya. Tanya.


E il suo nome gli riempiva il cervello. Impedendogli di sentire le urla di Spike. I suoi colpi sulla carne.


Il suo nome era un appiglio.


Era ciò che gli impediva di cadere.


Sui gradini.


Contro la ringhiera di ferro.


E di restarci.


Tanya…


Non riusciva a pensare di potersi voltare… e non trovarla dietro di lui… di poter aprire la porta di casa , e non vederla sorridere, mentre correva a togliergli il cappotto…


Non riusciva a pensare che il mondo potesse continuare ad esistere…


Tanya. Tanya. Tanya.


Un passo dopo l’altro.


Lentamente.


Aiutami.


Dammi la forza.


Aiutalo.


Arrivò sul pianerottolo senza sapere come.


Solo la vaga consapevolezza di aver fatto le scale.


Solo la vaga consapevolezza di avere ancora un corpo.


Oltre la stanchezza.


Oltre il dolore.


Solo la vaga consapevolezza di una figura che usciva dalla porta di fronte alla sua, e della voce di Eleanor.


Si voltò.


Verso il suo appartamento, che non aveva mai chiamato casa.


Perché casa erano sempre stati Tanya e Spike.


Prese le chiavi, ma un colpo di Spike al gomito gli piegò quasi il braccio a metà, facendogliele cadere.


Si appoggiò alla porta, la fronte contro il legno freddo.


E poi ci fu la vertigine, un'ondata di dolore troppo forte. E la voce di Eleanor, che continuava a chiedere… parole, che lui non riusciva a comprendere.


Abbatté un pugno contro la porta.


Spaccò i cardini. Ed entrò.


E non riconobbe nulla di ciò che vide.


Portò Spike nel salotto, e mentre lui lo colpiva come un pazzo… come un demone pazzo… lo appoggiò sul divano, bloccandogli i polsi per impedirgli di ferirlo.


"Spike… "Mormorò, ma lui ringhiò più forte.


E divincolandosi dalle sue mani si lanciò in avanti, precipitando in terra. Battendo la testa, e la faccia, mentre il suo corpo si piegava in maniera innaturale, grottesca.


E ancora continuava a guardarlo, con i suoi occhi gialli, pieni di odio. E ancora continuava a ringhiare.


"Mio Dio…" Mormorò Angel piano, e in quello stesso istante, non comprese come, un altro suono, oltre quello della sua voce, gli arrivò al cervello. Il suono di un battere di porta.


Credeva di non avere forze.


Credeva di non avere energie nemmeno per urlare. Eppure, corse fuori di casa, ancora una volta incurante delle sue ferite, e afferrò Eleanor dal braccio, bloccandola a metà della prima rampa di scale.


"Lasciami!" Urlò la donna. Gli occhi inondati di lacrime.


E ad Angel non servì chiedere… per sapere che aveva capito.


"E’ la mia bambina! E’ Tanya!"


L’afferrò più forte, da entrambe le braccia, e dovette lottare contro la forza che le dava la disperazione.


"Darla e Drusilla sono ancora là fuori… " Mormorò.


"Dov’è? " L’interruppe lei. "Dov’è ? Dimmi dove l’hai lasciata!"


"Eleanor…"


"Non doveva succedere così…"


"Eleanor, per favore…"


"La dovevo salutare!" Gridò la donna, la voce che il dolore aveva reso così stridula da penetrargli nelle orecchia. " Dovevo dirle addio…"


Si abbatté sul suo petto, piangendo, come Angel non l’aveva mai vista fare.


La sembianza dell’Osservatrice controllata e gelida gettata via come qualcosa di inutile.


Perché, ormai, era inutile.


Ormai non c’era più Tanya da proteggere.


"Così non è giusto…" Singhiozzò, mentre Angel la stringeva a se. "è troppo crudele…"


Non sapeva cosa dirle.


Di nuovo.


Di nuovo non sapeva come consolare un dolore che non poteva essere consolato.


Il dolore di una madre.


Di nuovo, si sentiva inutile, e inadeguato.


E di nuovo dovette fare forza su se stesso, e allontanare la mente da quelle lacrime. Da quel dolore.


E dai propri.


Per non cadere.


Per non restare lì. Per continuare a stringere Eleanor, senza trovare le parole da dirle.


Per tornare da Spike…


Lo sentì gridare sopra di se, e poi udì il rumore di qualcosa che si infrangeva.


E anche Eleanor lo udì, e sollevò la testa, fissando i suoi occhi.


"Voglio… vederlo…" Sussurrò, asciugandosi il viso.


"No…"


"Angel, forse…"


Sospirò.


Veramente… non ce la faceva più.


"E’ meglio di no. Te lo assicuro.


Non è… nelle condizioni… adesso…"


Eleanor fece per ribattere, ma lui la interruppe, spietato.


"Non credo che ti riconoscerebbe…"


Le vide chiudere le labbra, e deglutire piano, annuendo.


"Allora... va da lui…"


Angel la guardò. E gli sembrò di vedere una vecchia.


Una donna invecchiata di vent'anni in un istante, la forza che ancora, nonostente tutto, le brillava negli occhi verdi, come unico ricordo di quel che era stata e che, Angel ne era certo, non sarebbe mai più tornata.


"Tu…"Mormorò piano." Stai…"


"Male, Angel. Sto male.


Ma non andrò a farmi massacrare."


La fissò, senza sapere se crederle o meno.


"Per favore, Eleanor…"Mormorò alla fine. "fallo per Tanya… aspetta l’alba…"


Lei tirò su con il naso, annuendo, e riuscì persino a stringere le labbra in quello che, forse, ad un altro osservatore avrebbe potuto sembrare un tremulo sorriso.


Ma che a lui parve solo uno sforzo sovrumano per non piangere ancora.


"D’accordo…"Sussurrò." Aspetterò in… casa… "La voce le si spezzò su quell’ultima parole, e Angel dovette stringere disperatamente i denti per trovare la forza di accompagnarla lungo le scale.


Non si parlarono più.


Non si scambiarono nemmeno una parola.


Non si accusarono a vicenda.


E non si consolarono.


Solo, ancora per qualche istante, si guardarono negli occhi, specchiando uno nell’altro un dolore identico.


Un dolore atroce.


Prima che lei tornasse ai suoi ricordi.


E lui ai ringhi disperati di suo figlio.


Era il divano che aveva sentito infrangersi.


Spike lo aveva gettato in aria, mandandolo contro il vetro di una delle porta-finestre, e aveva fatto lo stesso con il tavolino, e la rastrelliera degli utensili per il camino, che aveva lanciato contro una consolle.


Perché la sua rabbia, il suo dolore e la sua disperazione erano così profondi, così esplosivi, che il suo corpo non riusciva a trattenerli.


Nessun corpo umano, ne mente umana, forse, avrebbero potuto .


E non potevano quelli di Spike…


Come non poteva il suo cuore umano, ritirato in lui come un animale ferito nel buio della sua tana.


Per non soffrire più…


Perché non poteva più reggere…


Lasciando solo il suo demone.


Ed era il suo demone che gridava, che ringhiava, che si contorceva in terra.


Perché anche il demone di Spike amava Tanya. Almeno quanto la sua parte umana.


E adesso la piangeva.


Come poteva piangerla un demone.


Con urla, e ringhi, e sangue.


Il suo…


Dalle ferite sulle mani, provocate dalle sue stesse dita e dalle schegge dei mobili, e dalla sua bocca, dove i denti avevano raschiato la pelle, tendendosi ed abbattendosi gli uni sugli altri ad ogni singolo grido.


Gli colava sul mento… come quella sera… non riusciva neanche a ricordare quando…


Ricordava solo che c’era sangue, sul mento di Spike… che colava da una ferita vicina al naso…


E c’era la neve che cadeva, proprio come adesso…


E c’era Tanya…


Tanya... che con un sorriso sollevava il braccio, e gli asciugava il sangue con la manica candida della sua camicia…


E si abbandonava sul suo petto…


E mormorava " mi hai salvata"…


E lui sapeva che non era vero…


"Menti…"Le diceva, la bocca appoggiata alla sua.


E lei, ancora sorridendo, rispondeva: "Solo se ti dico che non ti amo…"


Si erano baciati.


Sotto il cielo stellato.


Sotto la neve.


E ...vicino al fiume.


Faceva male.


Faceva male al cuore.


Faceva amale all’anima.


E Angel desiderò non averla un ‘anima…


Si avvicinò piano, anche se sapeva... che Spike non poteva vederlo.


E gli parlò. Anche se sapeva... che Spike non sentirlo sentirlo.


"Spike…"Ripeté.


Piano. E non era mai stato così disperato.


Nemmeno anni prima, risvegliandosi una notte, con i ricordi di un mostro...


Chino su Spike, lo vide lanciarglisi addosso.


E, nei suoi occhi, lesse il desiderio di ucciderlo.


Ma non lo uccise.


Scartò la gola per meno di un soffio, e gli artigliò il viso.


La guancia.


Graffiandolo, lacerandogli la carne.


E il sangue di Angel, nelle mani di Spike, si confuse con il suo.


Lo vide ricadere in terra.


Senza sentire dolore fuorché al cuore.


Mentre il sangue gli scendeva sul collo.


Mentre la forza lo lasciava.


Mentre tutto lo lasciava.


Per lasciare soltanto il dolore.


Il desiderio di dormire.


Di dimenticare.


Davanti a lui, Spike arcuò il moncone di schiena che riusciva ancora a muovere, e gridò.


Con tutte le sue forze.


Con la voce, e il corpo, e gli occhi, e il volto del suo demone, e le zanne, e tutto ciò che del suo cuore era rimasto intero.


Troppo. Troppo poco.


E poi si abbatté in avanti, colpendo con i pugni il pavimento.


Una, due, tre volte… infinite volte.


Senza fermarsi.


Come una macchina.


Come un cuore impazzito.


Come un cuore ferito.


Come avrebbe battuto, forse, il cuore di Angel.


Se avesse avuto vita.


Angel cadde in ginocchio, e poi a terra.


Il peso della sua esistenza che diventava all’improvviso troppo.


Mentre la sua anima continuava a ripetergli che non voleva perderlo.


Mentre continuava a gridargli di lottare per lui…


Ma Spike gridava troppo forte.


Mentre continuava a fare troppo male.


Infilò la mano nella tasca, e disperatamente strinse fra le dita l’anello di Tanya.


Chiedendogli forza.


Chiedendogli aiuto.


Perché lui non aveva la minima idea di cosa fare.


E le sua, di forza, ormai se n’era andata.


Non poteva raggiungerlo, Spike, da dove si trovava.


Ma non aveva importanza.


Non lo guardava più.


Non lo vedeva più.


Non sentiva più la sua presenza.


Come Angel non avvertiva più quella di lui.


Ma solo il suo dolore.


Come non vedeva più il suo Spike , ma la creatura disperata che glielo aveva rubato.


Che continuava a urlare e ringhiare.


Come se la disperazione rigenerasse da sola la propria forza.


Che continuava a battere i pugni in terra, mentre Angel si stringeva la testa fra le mani.


E ogni colpo sordo e fortissimo, nelle sue orecchia, rimbombava con un identico suono... piangendo un’identica canzone.


Tanya.


Tanya.


Tanya.


*****


Los Angeles, 2001


Pioveva.


Di nuovo.


Le prime gocce di pioggia erano scese mentre raccontava della morte di Tanya, e parte di lui coglieva quasi una certa giustizia cosmica in quella pioggia.


Si alzò, avvicinandosi alla finestra, e guardò per qualche istante come le gocce scorressero pigramente sui vetri della porta-finestra. Veloci, proprio come lacrime, sfumando le luci della città. Il rosso dei fari delle automobili, lo scintillio di lampioni ed insegne.


Tutto sfumato, tutto annebbiato.


D’altro canto, la sua vita ... o non vita, non era stata così per molto tempo dopo la morte di Tanya?


Niente era più stato uguale.


Niente avrebbe più potuto esserlo.


La morte di Tanya era stata davvero la morte della sua luce.


Spike scosse la testa mentre faceva un tiro dalla sua sigaretta, lasciando che il fumo gli penetrasse nei polmoni senza vita, osservando lampi, che in lontananza, rischiaravano brevemente il cielo, prima di voltarsi. Pensare a Tanya gli faceva ancora male, maledettamente male.


E la cosa doveva essere piuttosto evidente per Kate, che lo stava guardando, I suoi occhi erano ancora sgranati, proprio come poco prima. Non aveva detto una parola, non aveva interrotto il suo racconto…era rimasta in silenzio ad ascoltare le sue parole.


Ad assorbire il dolore celato in esse, senza parlare, senza commentare.


Dio Angel, ho già detto che dovresti esserci tu qui con lei? Pensò distrattamente.


"Avevo capito nel modo più duro che I lieto fine non esistevano…non per me, almeno." Disse.


Si avvicinò lentamente alla poltrona e vi si lasciò cadere, e non riuscì ad impedirsi un sorriso quando continuò.


"Mi correggo, Kate: capire? Beh, quello arrivò, ma dopo: quando la ragione cominciò a tornare. Non ricordo molto dei primi giorni dopo la morte di luce…"


Osservò per un istante il fumo della sua sigaretta prima di dire. "Avevo la schiena spezzata, ma non sentivo nulla…non vedevo nulla." .


Si passò una mano tra I capelli, sentendosi improvvisamente molto stanco.


"Non c’era niente…non ero niente. Ero molto simile ad un animale…molto simile a…"


Deglutì, interrompendosi, sollevando la testa per guardare Kate, la donna si era stretta ancora di più le gambe contro il petto e l’osservava.


"Angel provava a venirmi vicino, provava ad aiutarmi, ma non capivo…ero troppo pieno di odio, di dolore, di sensi di colpa.


Era stato ferito, quella notte…e stava soffrendo…lui aveva amato Tanya come se fosse stata sua figlia…"


Chiuse gli occhi per un istante. "ma…non riuscivo a capirlo, non riuscivo a far niente…tranne che fargli del male…ancora ed ancora… "


***


Pietrogrado, 18 Marzo 1916


Non aveva più nevicato, da quando la Neva aveva rubato Tanya.


Non c’erano più stati fiocchi candidi a volteggiare leggeri, ballando la danza che a lei piaceva tanto, rendendo pure le case ed il mondo. Ma solo pioggia.


Una pioggia incessante. Forte.


Che copriva il sole, che si rifletteva sulle pareti del salotto, attraverso il vetro infranto della porta finestra.


Nessuno l’aveva mai riparata.


Nessuno aveva mai scostato le tende.


Perché a nessuno interessava guardare fuori.


A nessuno interessava il mondo all’esterno di quella stanza.


Né quello all’interno.


Non a Spike, che giaceva ancora accanto al caminetto, in una posizione quasi identica a quella di quattro gironi prima.


Non ad Angel, che da quattro giorni aspettava, seduto in terra, la schiena appoggiata alla parete e le braccia allungate sulle ginocchia.


Continuando a fissare suo figlio.


E non sapeva neanche che cosa stesse aspettando.


Forse attendeva che il dolore si placasse, e che il cuore gli esplodesse.


Forse aspettava che la porta dell’ingresso si aprisse e Tanya corresse nella stanza, ad annunciare che la prima neve era caduta.


Forse aspettava che il suo volto pallido ed esangue, come lo aveva visto quell’ultima volta, smettesse di tornargli alla mente, con un tormento che era eterno ed eternamente uguale.


Forse aspettava che smettesse di piovere…


Oppure… oppure aspettava che Spike lo guardasse come aveva fatto quattro gironi e poche ore prima.


E che accettasse il suo aiuto.


Non lo aveva mai fatto fino ad allora.


Non gli aveva mai permesso di avvicinarsi.


Non aveva risposto.


Non si era nutrito.


Aveva continuato a ringhiare come un animale ferito per quattro giorni, senza fermarsi, senza dormire, l’unica parvenza che somigliava al riposo le ore che passava disteso, con la fronte appoggiata in terra, e il suo grido veniva sostituito da un borbottio continuo, basso, come il suono del vento in mezzo a due fila di mura. Prima che di nuovo ricominciasse a ringhiare.


Prima che un suono, o un suo movimento, o qualcosa che somigliava a un pensiero lo percuotesse, duro come acciaio, riportando alla luce quella furia animalesca che non si era mai placata.


Mai.


Da quando la Neva si era presa Tanya.


E Angel non permetteva nemmeno a se stesso di pensare che avrebbe potuto restare così per sempre.


Che Spike potesse essere morto insieme a lei in quel sembiante spezzato che giaceva a terra.


Non poteva essere così. Non poteva.


Era già stato disperato, prima. Era già stato arrabbiato, era stato pieno di odio, e Angel era riuscito a tirarlo fuori…


Ma c’era stata umanità allora, mentre adesso… i suoi occhi erano gli occhi di una belva.


Pioveva.


Ancora.


Sempre.


Dal giorno che la Neva aveva preso Tanya.


Aspettava anche la pioggia, forse…


E forse non sapeva nemmeno lei cosa aspettasse…


Come Angel…


Inutile…


La pioggia non poteva lenire il dolore di Spike.


Come non poteva Angel.


Non poteva guarire la sua schiena rotta.


Come Angel.


Non poteva riportarlo indietro.


Come Angel.


La pioggia poteva solo cadere.


E osservarli, patetiche figure di una tragedia che li aveva piegati.


E aspettare.


Senza sapere cosa.


Inutile.


Come Angel.


Neanche lui si era nutrito, e le sue ferite erano state lente a guarire, a chiudersi sulla sua pelle gelata, mentre il sangue si rapprendeva sugli abiti che non aveva cambiato.


Ma lo avevano fatto. Togliendogli anche il conforto, la distrazione del dolore fisico.


Lasciandolo solo con Spike.


Che neanche lo riconosceva.


Così debole che il suo demone avrebbe dovuto emergere, e gridare, come quello del suo ragazzo… chiedendogli di nutrirlo… chiedendogli di uccidere per puro istinto di sopravvivenza.


Eppure non lo faceva.


Perché il suo demone lo odiava.


E sapeva che così il dolore , l’annientamento, sarebbero stati più forti.


Voltò leggermente il capo, e il collo gli fece male per la mancanza di movimento.


Da quando aveva provato ad avvicinare Spike l’ultima volta, più di dieci ore prima, e per l’ennesima volta era stato rigettato, si era appoggiato alla parete, e non si era più mosso di un muscolo.


Non gli serviva muoversi.


Tutto ciò che aveva… tutto ciò di cui aveva bisogno era in quella stanza…


E non sapeva se ce l’avrebbe mai fatta.


A muoversi.


Ad alzarsi.


Eppure lo fece. Quando si accorse che ciò che aveva attratto la sua attenzione era stato un battito discreto alla porta di casa… o ciò che ne rimaneva…


E la voce di Eleanor, lontana, come se venisse da un mondo di distanza, gli ferì le orecchia.


Si alzò, e non barcollò nemmeno.


E doveva avere un aspetto veramente terribile, se Eleanor, ferma nell’ingresso, si portò una mano alla bocca non appena lo vide.


Quando… quanto era dimagrita in quei pochi gironi?


Quanto era invecchiata?


Quanto aveva perso anche lei?


Domande… pensieri…


Quanto avrebbe voluto non averne avuti nei gironi trascorsi.


Quanto avrebbe voluto che gli fosse risparmiata la tortura di pensare.


Ma lui non si meritava questo dono.


E aveva pensato.


Sempre.


Ogni singolo istante.


E i pensieri avevano giocato con il suo cuore, dilatando il tempo.


Rendendo ancora più penoso ciò che già era atroce.


Senza lasciarlo mai.


"Oh, mio Dio…"Mormorò lei, avvicinandosi." Come stai?"


Non le rispose.


Gli sembrava inutile. E crudele.


"L’hai trovata?" Domandò invece, dando finalmente forma alla domanda che da quattro giorni la tormentava.


Eleanor strinse leggermente gli occhi, e lui conobbe già la sua risposta.


"Si…" Disse infatti.


Si guardarono, e per un attimo nessuno dei due parlò. E anche quando lei, alla fine, lo fece, sembrò che le costasse una fatica enorme.


"La riposto a casa…" Sussurrò, con una voce che lottava per mantenere ferma. "In Siberia…"


"Questa era la sua casa…" Le parole di Angel erano amare, piene di dolore, e gli lasciavano tristezza nella gola e nel palato. "Ma credo di capire quello che intendi…"


Deglutì.


Tanya.


Tanya… faceva così tanto male.


"E… poi?"


Di nuovo, la donna esitò.


"Non tornerò…" Rispose piano." Se tu non mi chiederai di farlo…"


Angel strinse le labbra.


Anche Eleanor…


"No…"Mormorò. "torna a casa anche tu. Non c’è niente che tu possa fare per aiutare Spike…"


"E… e te?"


Scosse le spalle.


"Solo Spike può aiutarmi…"


"E solo tu puoi aiutare lui…"


"Non lo so…" Si passò una mano sul volto, e ancora una volta si stupì di avere la forza per stare lì, per parlare… per esistere… per pensare…


Dio… Dio… quanto avrebbe voluto non pensare.


"Non sono sicuro di riuscire ad aiutarlo…"


"Se tu vuoi…"


Spike gridò.


Il suo ringhio che aveva squassato quegli istanti di quiete relativa.


A ricordargli che non esisteva quiete per lui.


Non più.


Angel vide Eleanor sobbalzare, sorpresa e spaventata, e portarsi di nuovo le mani al volto.


"E’ sempre…" Cercò di domandare, tornando a guardarlo, ma lui la lasciò finire.


"va a casa, Eleanor…


Riporta Tanya in Siberia e poi torna in Inghilterra…


Da tuo marito.


Da tutto quello che ami…"


Eleanor fissò la porta aperta alle spalle di Angel, e di nuovo, gli sembrò una donna invecchiata e sconfitta.


"Non lo avrò mai più…" Mormorò. " tutto quel che amo…


Vorrei… vorrei averla apprezzata maggiormente… quando c’era lei… quando era felice…


Vorrei avere ringraziato Spike per quanto la rendeva felice…"


Angel allungò una mano, e senza esitazione la chiuse su quella della donna.


"Magari, un giorno, glielo dirai…"


Lo guardò.


"O forse… glielo dirai tu…"


Di nuovo un grido, e Angel chiuse gli occhi.


Quanto… quanto avrebbe desiderato riuscire a non pensare…


"Prendi…"Mormorò Eleanor, prima di andare via, passandogli un bigliettino. " è il mio indirizzo a Londra… ti scriverò, appena arrivo…


Per sapere di te… e di lui…"


Ancora, esitò.


E poi, alla fine, troppo tardi, l’Osservatrice si arrese.


"Prendetevi cura di voi…" Mormorò. "Per favore… siete l’unica cosa che mi resta di lei…"


La vide andare via.


Oltre i resti della porta che non fece nemmeno un tentativo per rimettere a posto.


Perché non ne aveva la forza e perché non gli importava.


Non ci pensò nemmeno.


Tornò indietro.


Nel salotto, o quel che ne restava.


Dai riflessi della pioggia sulle pareti.


Dai suoi ricordi straziati.,


da Spike.


Pensando che anche se si sentiva esausto, anche se pensava di non avere forze, e di non poter resistere un altro giorno così, lo avrebbe fatto.


Per lui.


Per Spike.


Per suo figlio.


Avrebbe atteso ancora.


Senza sapere, ancora, precisamente cosa.


L’esaurimento delle forze del suo demone, o l’affievolimento del suo dolore.


Un segno che gli facesse comprendere ciò che non ammetteva, che Spike potesse essere impazzito di dolore, o, semplicemente, che smettesse di piovere.


Per ore, e giorni, e mesi, e anni ancora.


Per sempre, se proprio fosse stato necessario.


Ma quando entrò nella stanza, per assurdo, pensò che non sarebbe stato necessario.


E qualcosa si torse e gridò di uno strano tipo di gioia dove una volta aveva battuto il suo cuore.


Spike non stava più gridando.


Non stava più ringhiando.


Era ancora in terra, e lo guardava, gli occhi gialli leggermente dilatati che, pure, sembravano sapere finalmente chi fosse.


Dopo quattro giorni.


Si avvicinò.


E non volle illudersi.


Non volle ingannare se stesso.


Non volle pensa che fosse tornato.


Che Spike fosse tornato.


Perché non avrebbe potuto sopportare altro dolore.


Il suo corpo e la sua anima non avrebbero potuto.


Si tormentò le mani.


Guardandolo.


Senza sapere che fare.


Mentre lui lo fissava a sua volta e in quell’essere scarmigliato, lacero, ferito, Angel vedeva solo il ragazzo che lo aveva quasi fatto impazzire, il giorno del suo matrimonio.


"Era Eleanor…"Mormorò infine, pronunciando senza pensare la prima cosa che gli venne in mente. Parlandogli come se davvero lui potesse comprenderlo, come se non fossero appena trascorsi quattro giorni in cui non aveva voluto farlo. "riporta Tanya in Siberia…"


Spike lo fissò.


E poi, senza alcun preavviso, mutò volto.


E dopo quattro giorni, Angel tornò a guardare i lineamenti di suo figlio.


E fu così felice che non notò nemmeno la durezza, la ferocia, quasi, che li rendeva rigidi e contratti.


Ne la freddezza della sua voce, quando domandò: "Dovrebbe importarmi?"


Era dura, la voce di Spike.


Forte.


Come non avesse urlato per giorni interi.


Dura.


Quanto la pietra.


Eppure, ancora, Angel non lo notò.


Sapeva solo che suo figlio era lì. Di nuovo.


"Spike…" Esclamò, inginocchiandosi davanti, a lui e prendendogli le spalle. "Come ti senti?"


L’altro non mosse un muscolo.


Non sbatté nemmeno le palpebre.


Eppure, la sua espressione si fece cattiva.


"Liberato…"Soffiò.


Lo gelarono.


La sua frase.


Il tono con cui la pronunciò.


La freddezza della sua voce.


E l’odio.


Dio… c’era stato così tanto odio nella voce di Spike.


E nei suoi occhi.


E nel suo volto.


E nella linea delle sue labbra.


E nella tensione della sua mascella.


Un odio a cui Angel non riusciva a credere.


A cui non voleva credere.


"Liberato?" Ripeté, e per una ragione che non riuscì a capire, forse per puro istinto, non osò avvicinarsi di più.


Spike sollevò il volto.


E un lento sorriso gli strinse le labbra.


Passando una lama sottile nello stomaco di Angel.


"Si…"Disse piano." Perfettamente calmo. Liberato.


Finalmente libero da tutte queste ridicole menzogne.


Me stesso. Un demone.


Proprio come ha detto Darla."


Angel sgranò gli occhi , e dopo un attimo scattò in piedi, stringendo con forza i pugni.


"No!" Esclamò. " Tu non dici sul serio!


Sei soltanto ferito!"


"Ferito…"Spike rise di nuovo. "Si… nel corpo, dal momento che il tuo sire mi ha spaccato la schiena… ma non versare lacrime sul mio cuore spezzato, Angel, perché è come dovrebbe essere.


Freddo.


E io ne sono più che contento."


"No," Ripeté Angel." no…"


"Cos’è che non vuoi ascoltare, bastardo, cosa?!


Che avevi torto marcio?!" Ora la sua voce non era più così fredda… la sua voce vibrava di una collera che faceva accapponare la pelle. E. quando Angel fece per voltare la schiena, fu così spietatamente dura, e così piena di odio che lo colpì come una frustata .


Come l’ascia di Darla.


Costringendolo a fermarsi.


"Vuoi scappare, Angelus?


Come in Cina? Come sempre?


Da quello che hai dentro?


Vuoi trovare un altro reietto su cui sfogare il tuo senso di colpa?


Avevi torto, lo vuoi capire, torto!"


"Non avevo torto… c’era ancora…"


"Umanità!" Sputò lui."Si, certo! La tua preziosa umanità!


Eccola! Ammirala, la tua umanità!


Un demone trasformato in un patetico sgorbio sciancato!"


Gridò. E il suo odio si trasformò in forza.


E colpì Angel come una freccia.


Col gusto amaro del dolore.


"Fa male la tua umanità, Angel!


Fa un male fottuto!


Ti spacca dentro!


E tu sei stato così bastardo da non dirmelo!


Non me lo hai mai detto!


Hai lasciato che credessi fosse bella… che fosse calda…


E invece è fredda, è dolorosa, è una schifosa puttana che mi ha strappato le budella a morsi!


Questa è l’umanità?!


Il dolore? Il pianto? La perdita? L’angoscia?


Bè, se è così, non la voglio, grazie!


E che tu possa andare all’inferno per avermi costretto a provarla!"


Angel boccheggiò, incapace di reggere a tutta quella violenza.


A tutto quell’odio…


Mentre il cuore gli si frantumava, e ad Angel sembrò che tutto il corpo lo seguisse.


E che stesse per cadere, tanto il colpo che quelle frasi gli infliggevano era forte.


"Spike…"Sussurrò."per favore..."


Cercò di nuovo di avvicinarsi.


Sicuro che se gli avesse permesso di farlo, che se avesse sentito la sua presenza, se avesse sentito che gli voleva bene, ne sarebbe uscito. Che ne sarebbero usciti insieme.


Perché voleva esserne convinto.


Ma Spike gli ringhiò contro. E lo fece con il suo volto umano.


"Azzardati ad avvicinarti" Gridò. "E ti strappo il cuore dal petto!"


Lo stai già facendo…


"Spike…"Mormorò piano. "tu sei sconvolto…"


"Sono calmissimo"


"No, non sei calmo!" Esclamò Angel, l’amarezza , come una freccia veloce nella gola. "Se fossi calmo non penseresti di buttare via quindici anni della tua esistenza.


Quindici anni in cui hai aiutato la gente…"


"Me ne sono sempre fregato della gente, e tu non lo hai mai visto perché non lo hai mai voluto vedere!


L’ho sempre fatto per te!


Ho violentato la mia natura per te!


E tu… tu che cosa hai fatto?!


Tu hai sempre salvato tutti, hai sempre salvato gente che per me avrebbe potuto sprofondare, e non hai salvato Tanya!


La mia Tanya! La mia sposa!


Non ti avevo mai chiesto niente in quindici anni, volevo solo che la riportassi! Che la portassi fuori da quel fiume schifoso! E tu non lo hai fatto!"


*****


Los Angeles, 2001


"Spike…"Mormorò Kate piano, così piano che temette che lui non la sentisse.


Ma lo fece, e per la prima volta dacché aveva cominciato quella parte così dolorosa della sua storia, spostò gli occhi dal misterioso punto nel vuoto che stava fissando, e guardò lei.


"Si?"


Anche la sua voce era bassa.


E, in essa, Kate potè avvertire il dolore.


Una sofferenza che era il riflesso della propria.


Perché Kate stava soffrendo.


Stava soffrendo più di quanto avesse mai creduto possibile per un’altra persona.


Persona… non vampiro.


"Perché Angel non ha ancora tagliato la testa a nessuno dei due?"


Il sorriso con cui Spike le risposte, prima ancora che con le parole, fu amaro, e pieno di tristezza.


"Perché," Mormorò. "Il dramma è che, te lo giuro su Luce, io non l’ho mai, mai pensato… e gliel’ho anche detto… ma nonostante ciò… e … per tutti e due noi… lui crede che sia vero…"


*****


Pietrogrado, 1916


Era vero.


Lo sapeva.


Lui aveva ucciso Tanya.


Lui, che non era stato in grado, non era stato abbastanza forte, da fermare Darla.


Lui,che non aveva corso abbastanza in fretta,


E nuotato abbastanza velocemente.


E adesso, la sola cosa che poteva fare per Tanya era impedire a Spike di distruggere se stesso.


"E’ vero…"Mormorò piano, chiedendo a Dio e a Tanya la forza per andare avanti. " l’ho uccisa io…


Non merito il tuo rispetto. Non merito niente.


E tu non devi farlo per me…


Devi farlo per lei… per Tanya…"


"Tanya…" Disse il suo nome fra i denti, mentre un sorriso ironico gi allungava le labbra.


E fu come un insulto.


"Parli forse di quella povera cosa che hai lasciato per la strada?


O della stupida che si è fatta uccidere da una vampira molto più debole di lei?"


No.


No. No. No. No. No.


Non voleva ascoltarlo. Non voleva che parlasse così di lei.


Angel voleva colpirlo. Voleva chiudergli la bocca con la mano fino a rompersela.


Per impedirgli di continuare. Per impedirgli di ucciderla ancora.


E ancora. E ancora.


"E perché dovrei farlo per lei?


Perché dovrei soffrire ancora per causa sua?


Lei mi ha lasciato!


Si è fatta ammazzare!


Aveva giurato che sarebbe rimasta accanto a me per sempre, e non lo ha fatto!


Non era nient’altro che una bugiarda!


Una stupida bugiarda!


Un’illusa che credeva di poter cambiare un demone!


Che credeva di poter salvare il mondo!


Che ha buttato via ciò che avevamo per dei bambini che non aveva mai neanche visto!


E adesso che resta, me lo dici?!


Nessuno lo saprà mai! Quelli che ha salvato non lo sapranno mai!


Niente!


Non resta niente! Perché lei non era niente!"


"Basta!" Urlò Angel, afferrandolo per il cappotto distrutto che ancora portava addosso, e scuotendolo forte, dimentico della sua frattura, come pure Spike doveva essersene scordato. " Non parlare mai più così di lei!


Non mi importa che tu stia soffrendo!


Non mi importa che l’ami!


Non mi importa di niente! Ma di un’altra parola su Tanya e ti stacco la testa dal collo!"


"La amo?!" Gli gridò Spike in faccia. E il suo volto umano, quello stesso volto profuso di dolcezza nella foto sul caminetto di Lady Isabel Appleton, quel volto che aveva guardato Tanya con tenerezza infinita, faceva più paura, in quel momento, della sua maschera da demone. "Svegliati, Angel!


Io la odio! Hai capito, la odio!


Odio la sua purezza, odio la sua bontà, odio la sua disgustosa luce!


Odio le sue bugie! E odio che mi abbia fatto diventare così umano!


Avrei dovuto fare come temeva!


Andarmene, quella prima notte, dopo averla avuta nel suo stesso letto!"


"Basta!" Urlò Angel, buttandolo in terra.


"Avrei dovuto andarmene quella notte!


Avrei dovuto prendermi tutto!


Il suo corpo, il suo sangue, tutto!


E forse volevo tutto! Forse volevo anche il suo spirito!


Forse è solo questo che mi ha fatto rimanere!"


La sai una bella cosa, Angel, è proprio così!


Avrebbe dovuto esserci lei, qui, ora! A piangere, perché aveva voluto un mostro che l’aveva buttata via una volta stancatosi di lei!


E lo avrei fatto!


Lo avrei fatto!"


Gridava così forte da far vibrare ciò che restava dei vetri.


Da far vibrare il cervello di Angel.


Ed il suo cuore. E la sua anima.


E la rabbia, che gli diede una forza che pensava di aver perso per sempre.


Sapeva che non era vero. Che Spike non pensava una sillaba di ciò che aveva detto su Tanya.


Sapeva che ancora la amava tanto da esserne annientato.


Ma in quel momento non gli importò.


Non pensò di capirlo.


Non pensò di rassicurarlo.


E non pensò neppure ancora che poteva averlo perso, che Spike poteva voler credere così tanto a ciò che diceva da convincere se stesso.


Perché la rabbia… la rabbia era troppo forte.


"Un demone perfetto!" Ringhiò a denti stretti. " Veramente perfetto!


Bravo, Spike, i miei complimenti!


Sei riuscito in tutto!


Sei riuscito ad ingannare Tanya! E sei riuscito ad ingannare me!


Perché io ci ho creduto! Ci ho sempre creduto!


Quando vi ho visti insieme, ci ho creduto!


Quando mi hai parlato di lei, ti ho creduto!


Quando ho assistito alle vostre nozze, ti ho creduto!


Credevo… " Perché gli sembrava di non riuscire a respirare? Lui, che non aveva bisogno di farlo?


Era assurdo… era impossibile… Eppure era così.


Era lì.


L’asfissia gli invadeva lo stomaco, gli serrava la gola.


Sembrava ucciderlo.


"Che lei fosse la cosa più importante della tua vita, come tu della sua.


A quanto pare… lei era veramente troppo ingenua…"


Infilò la mano in tasca, e, stringendolo spasmodicamente fra le dita, tirò fuori l’anello di Tanya. "e questo … era vero solamente per lei…"


L’appoggiò in terra, vicino alla finestra, e il riflesso della pioggia sul pavimento gli parve quasi una cascata di lacrime.


"No…"Mormorò Spike, fissando l’anello. " riprenditelo…"


Ma Angel lo ignorò.


"Forse…"Disse, voltandogli le spalle e raggiungendo la porta. " Darla aveva davvero ragione…"


"Riprenditelo!" Urlò Spike dietro di lui." Riprenditelo!"


Chiuse la porta.


Alle proprie spalle e di fronte a Spike.


Mentre la voce di lui gli rimbombava nelle orecchia.


Mentre le sue parole , il suo odio, il suo veleno gli riempivano il cervello.


Mentre il suo cuore cadeva in pezzi ancora.


Mentre la sua anima gridava.


Mentre qualcosa, dentro di lui, urlava disperatamente di non volere perdere Spike.


Come aveva perso Tanya.


E all’improvviso, di nuovo, gli parve che le forze lo lasciassero.


Spazzate via dal dolore. Spazzate via dalla disperazione.


Spazzate via dalla delusione, e dalla paura.


Spazzate via dal pensiero che, forse, aveva resistito invano.


Si appoggiò per un attimo alla porta, sollevando il volto, mentre tutta la sua disperazione gli riempiva la gola come un gemito.


Poi cadde in terra, e scoppiò a piangere.


*****


Voleva smettere di pensare.


La coltre nera che era scesa sopra di lui era stata accettata, gradita, e lui si era rifugiato in essa, ricacciando il resto.


Ricacciando lei.


Ma ora non riusciva a smettere di pensare, di sentire, di ricordare, di odiare.


Il dolore alla schiena pulsava, sordo, lanciandogli saette bianche di dolore lungo le gambe…ed il dolore gli ricordava quanto era accaduto.


Il suo fallimento.


La sua morte


La morte della sua luce.


Ed i suoi pugni battevano ancora contro il pavimento duro…rumori sordi, rumori di rabbia.


Perché?


Perché era stata così stupida da farsi ammazzare?


Perché lo aveva lasciato?


La odiava, odiava il suo corpo mortale, il suo cuore che ora non batteva più, le profondità dei suoi occhi grigi, ora ciechi.


Sì, che Eleanor la portasse in Siberia, nella sua neve, sotto il suo cielo terso.


Spike…Spike non sapeva cosa farsene di lei.


Pensò al fatto che I suoi capelli sarebbero diventati radi, di lì a poco, e la sua pelle perfetta squarciata dalla morte.


E nessuno avrebbe più udito la sua risata.


Perché nessuno udiva le risate dei morti.


Perché I morti non ridevano


I morti non amavano.


Si era illuso.


E la odiava per questo.


E non l’avrebbe più stretta a se di notte, pensando a quanto tutto fosse perfetto.


Perché lei non c’era più.


Perché il suo corpo ora viaggiava lontano, verso la neve.


E lei non ci sarebbe stata più.


E lui la odiava perché gli aveva promesso che sarebbero rimasti insieme per sempre.


E la odiava perché non sarebbe stato in grado di mantenere quella stessa promessa.


La odiava perché faceva male, troppo male. Erano passati quattro giorni, ed il suo corpo era freddo, vuoto senza di lei.


E lui c’era ancora. Lui ci sarebbe stato, pur essendo morto.


Lui, inutile creatura, con la schiena spezzata ed un buco al posto del cuore.


Lui… perché c’era ancora? Perché non era precipitato Spike da quel ponte?


Lei… non aveva gridato.


Non aveva neanche potuto udire la sua voce.


E la sua mente era ferma all’ultima volta che lo aveva guardato, mentre correva verso di lui.


Avevano vinto.


Aveva pensato che sarebbero stati liberi.


Che sarebbe stata di nuovo luce.


E invece lei era morta.


E lui la odiava…


Ed odiava il mondo


Ed odiava il suo cuore stupido che non smetteva di soffrire.


Il suo cuore stupido ed immobile.


Spike inclinò la testa, mentre il freddo del pavimento premeva contro una sua guancia.


Sapeva che il suo volto era mutato nella maschera umana.


Lo aveva sentito.


Molte volte, dacchè Angel era uscito, ore prima.


Che importanza aveva il tempo, ormai?


Aveva ricominciato ad essere un’inutile scorrere di secondi, minuti, ore.


Sarebbe rimasto sempre così.


Inutile.


Mentre pian piano si allungava.


Lo sapeva. Lo sentiva.


Perché quella era la condanna dei demoni.


No…


No…


Lui… Voleva tornare a non capire, a non sentire.


Voleva che I rumori cessassero.


Che il dolore cessasse.


Voleva cessare egli stesso....


Voleva tornare a coprirsi con quella coltre nera di istupidimento


E invece tendeva I sensi, cogliendo I rumori fuori dalla stanza.


Il costante battito della pendola in soggiorno, che continuava a scandire i secondi, i minuti.


Senza Tanya.


Chiuse gli occhi.


Gli faceva male al cuore tenerli aperti, gli faceva male anche solo esistere in quel momento.


E le mani di Drusilla furono di nuovo attorno alla vita di Tanya. E di nuovo udì il tonfo del suo corpo infrangere il ghiaccio. E di nuovo sperò che non fosse tardi, di nuovo il cuore gli si spezzò.


"No…" Mormorò.


"No…ti prego, no…ti prego no…" Continuò, battendo I pugni in terra.


E sentì il suo sangue colargli tra le dita…spesso, vischioso…


Sangue di demone.


Sangue di morto.


Perché… perché stava perdendo sangue… ?


Il suo corpo era morto.


Il suo cuore era morto.


Il sangue era vita. Non era questo che si diceva? Non era questo che I vampiri agognavano?


E lui aveva amato il sangue, e mai si era fermato a domandarsi il perché ne perdesse, quando era ferito.


Si domandò se Tanya avesse sanguinato, mentre moriva.


Lui…lui non era riuscito a sentire l’odore del suo sangue.


Così come non aveva sentito arrivare Drusilla.


Così come non aveva potuto aiutare Luce.


Aprì piano gli occhi, deglutendo. Il dolore alla schiena continuava a pulsare, mentre le sue gambe erano immobili, inutili appendici che intravide, quando sollevò la testa.


Rise piano a quel pensiero.


Cosa se ne faceva un morto di un paio di gambe?


Sarebbero servite a Tanya, lì giù in Siberia, sotto il manto bianco di neve dove l’avrebbero sepolta?


Serrò i denti, con tanta forza che le mascelle gli fecero male.


No…


Non Tanya.


Seppellita sotto metri di terra, dove non avrebbe più potuto vedere il sole, il cielo, la neve.


Inarcò la testa, sentendosi senza fiato.


No, la terra non poteva avere Tanya.


La morte non poteva avere Tanya.


Tanya era stata sua.


Loro…loro si erano amati.


Lei gli aveva baciato le labbra ogni giorno, dopo aver aperto gli occhi, ed I suoi capelli gli avevano solleticato il petto.


Lei era stata viva. Lei era stata sua. Lei aveva sorriso.


Ed ora non c’era più niente.


E non riusciva più neanche ad odiarla.


Voleva solo vederla.


Voleva solo lei.


Ma lei non c’era. Lei non ci sarebbe più stata.


L’unica cosa che rimaneva, ora, era quell’anello, al centro della stanza, che scintillava.


Già, magari una Claddagh, come la tua.


Gli angoli della bocca gli si piegarono in un sorriso.


L’anello era lì, l’anello di Tanya. La vera nuziale che aveva portato ogni giorno, ogni notte, ogni istante.


Aveva scintillato, proprio come in quel momento.


Io ti amo più della mia stessa vita, Spike. Niente potrà mai cambiare questo.


Scosse la testa.


Perché la voce di Tanya era così chiara nella sua mente? Sembrava quasi che fosse ancora lì, con lui, sembrava quasi non fosse accaduto nulla.


Eppure quell’anello, abbandonato al centro della stanza, era la prova di quanto era accaduto, come la sua schiena spezzata, come il sangue rappreso sui suoi abiti.


L’universo è fatto di luce


Spike si morse le labbra con forza e tossì, quando il sapore del suo stesso sangue gli invase il palato, e gli occhi gli bruciarono, mentre I contorni della stanza si appannavano, e l’unica cosa chiara sembrava restare l’argento della Claddagh di Tanya.


Luce, proprio come lei.


Allungò una mano verso l’anello, ma fu inutile.


Era lontano.


La sua luce era lontana.


Sbatté gli occhi, stupidamente, sperando che il bruciore scomparisse, sperando che I contorni di quella stanza tornassero ad essere chiari, ma non accadde.


Il bruciore era insistente, come spilli conficcati nella carne, lento, come la prima lacrima che gli rigò il volto.


La sentì scorrere lungo una guancia, e gli fece male.


Così tanto male.


Mentre la Claddagh continuava a scintillare, continuava ad essere luce pura in un mondo di nebbia.


E di nuovo allungò una mano, tendendosi in avanti.


Ignorando il dolore, provò a strisciare verso quella luce.


Solo pochi metri, erano solo pochi metri…ma sembravano incolmabili.


Come la strada verso la Siberia.


O il paradiso…che aveva assaggiato, lui, un demone…e per il quale era stata Tanya ad essere punita.


Abbassò la testa di scatto, e la sua fronte cozzò contro il pavimento.


Ma non sentì dolore.


Come poteva sentire qualcosa?


Come osava provare dolore?


Sentì sangue colargli ai lati del viso. Lento, come le sue lacrime.


Le lacrime, ecco…quelle facevano male. Tanto male che aveva voglia di urlare, tanto male da volere disperatamente che cessassero.


Facevano troppo male, ed il loro sapore lo soffocava, confondeva I contorni di quella stanza, facendo apparire la Claddagh più vicina, sembrare quasi che potesse toccarla.


Ma non poteva.


Come non avrebbe più potuto toccare Tanya.


Mai più.


"No" Sussurrò, passandosi una mano sul volto. Affondando le dita nei rivoli di sangue, artigliandosi la pelle, con tanta forza che non riuscì a trattenere un gemito.


"Luce, no…"


Scosse la testa.


Aveva davvero pensato di odiarla? Davvero era stato convinto che sarebbe riuscito a farlo?


Eppure se l’era ripetuto… lo aveva detto ad Angel.


E non vi era stata disperazione nella sua voce, non vi erano state lacrime a scorrergli sul volto. Il suo tono era stato fermo, così come I suoi pensieri.


"Perdonami…" Disse, e nuove lacrime gli scesero sul il volto.


Lacrime d’odio, di dolore, di amore.


Lacrime di vergogna.


Lacrime di rimpianto.


Inarcò la testa, cercando di placare il tremito del suo corpo.


Le prime ombre della sera si stendevano nella stanza, eppure, la chaddag continuava a scintillare, quasi innaturalmente.


Di nuovo, provò a strisciare verso l’anello, allungando le dita sul pavimento, anche solo per sfiorarlo.


Ma, ancora, non ci riuscì.


Il dolore era troppo forte, sembrava quasi che si stesse risvegliando, ricordandogli il proprio fallimento, la propria arroganza.


"Dannazione!" Ringhiò a denti stretti.


"Dannazione, dannazione!" Ripeté, con voce resa roca dalle lacrime e dal dolore.


Perché faceva così male?


I demoni non avrebbero dovuto soffrire così.


Nessuno avrebbe dovuto soffrire così.


Il suo corpo rimaneva immobile, rifiutandosi di eseguire gli ordini che il suo cervello impartiva. E il suo cuore continuava a sanguinare, a contorcersi disperato.


Ringhiò, mentre ancora una volta provava a raggiungere il centro della stanza.


Erano solo pochi metri....e lo scintillio di quell'anello lo provava.


Rifulgente.


Non era quello che aveva sognato da umano? Quella parola ampollosa, desueta, che aveva creduto bellissima?


Bellissima, come aveva pensato fosse Cecily, bellissima, sulle labbra di Drusilla, la sua assassina.


Assassina del suo corpo, prima, e del suo spirito, dopo.


Assassina della sua luce.


Nuove lacrime gli riempirono gli occhi, quando il suo corpo crollò, dopo soli pochi minuti.


Appoggiò il volto contro il pavimento, ansimando, schiacciato dal dolore alla sua schiena spezzata.


Non ce la faccio, Luce...fa troppo male...non ce la faccio...non ce la faccio... pensò.


Scommetto che, invece, ama sentirti parlare della tua vita. Sei come un figlio per lui.


Già…hai trasformato due vampiri in una famiglia, Luce…


Avete fatto tutto da soli…


Angel


Angel?


E' il mio nome...


Sollevò la testa, dischiudendo le labbra per parlare.


Il grido gli stava nascendo in gola, e sapeva che non sarebbe riuscito a fermarlo.


Volevo essere sicuro che esistesse un rito...e che tu...in qualità di mio sire...acconsentissi...


E da quando rispetti le gerarchie?


Io non rispetto le gerarchie...Rispetto te, è diverso!


"Sire!" Urlò e l'urlo gli bruciò la gola, mentre di nuovo, lacrime gli rigavano le guance.


"Ho bisogno di te, sire!" Continuò, nascondendo il volto tra le braccia.


Sentì la porta della stanza aprirsi, ed i passi pesanti del vampiro più anziano riempire il silenzio della sera.


"Ti prego" Mormorò. "Aiutami..."


Alzò piano la testa, indicando con lo sguardo l'anello di Tanya. Ed Angel seguì il suo sguardo, annuendo piano.


Pensò che avrebbe preso l'anello per lui, ma non accadde.


Non fu così.


Angel gli si avvicinò, e Spike aggrottò la fronte.


"Per favore" Mormorò di nuovo.


Per favore, non andartene


Per favore, aiutami a non impazzire.


Angel si inginocchiò accanto a lui, e Spike gli sentì addosso l’ odore del sangue, del suo sangue, e nuove lacrime gli riempirono la gola e gli occhi, quando sentì su di lui odore di neve… l'odore di Tanya.


Il braccio di Angel gli si avvolse attorno al torso e Spike serrò i denti, per il dolore che terribile gli esplose lungo la schiena e le gambe.


"Mi dispiace" Mormorò Angel, intuendolo.


Spike scosse la testa, deglutendo. Le lacrime che sembravano aver riempito il suo intero essere.


Allungò un braccio, sfiorando con le dita l'argento dell'anello.


"E' caldo" Mormorò, stringendolo nel palmo.


Chiuse gli occhi, avvicinando il pugno chiuso al volto, mentre le vecchie lacrime venivano lavate via da quelle nuove.


Più amare, più laceranti, quando sentì chiaramente odore di neve, e per un solo istante fu come se Tanya fosse accanto a lui, come se realmente non fosse accaduto nulla.


"Mi dispiace..." Ripeté Angel sottovoce.


"Mi dispiace..."


Spike scosse la testa, appoggiando la nuca contro una spalla di Angel, mentre apriva la bocca, sentendosi improvvisamente senza fiato.


"Io sono morto, sire...sono morto insieme a lei..."


La voce gli si spense, e chiuse gli occhi, mentre l'argento della Claddagh gli feriva la mano.


Voltò la testa, incontrando lo sguardo di Angel.


"Lei...mi ha ucciso di nuovo. Il suo sangue mi ha fatto..." Chiuse gli occhi e dovette trarre un respiro per continuare. "Le sue mani mi hanno distrutto...


Tu...sei...il mio sire..."


Il vampiro bruno annuì, e sebbene la sua vista fosse annebbiata vide chiaramente i suoi occhi pieni di lacrime.


Timidamente, sentì una mano di Angel appoggiarglisi su una spalla, e strinse gli occhi.


Come avrebbe fatto ad aprire gli occhi ogni giorno, senza Tanya?


Come avrebbe fatto a parlare, ragionare, ad esistere senza di lei?


"Fa troppo male..." Sussurrò contro la spalla di Angel.


"Troppo male"


"Mi dispiace" Soffiò l’altro.


Spike sollevò la mano sinistra, ed aprì il pugno chiuso.


Il solco nelle carni scavato dall'anello stava già rimarginandosi, e Spike deglutì, mentre ancora le lacrime gli rigavano il volto, in una scia fredda.


Con dita tremanti, prese l'anello, e l'osservò per una frazione di secondo, prima di farlo scivolare all'anulare.


Incredibilmente, calzò alla perfezione, come era stato per Tanya.


Scosse la testa, sorridendo debolmente.


"Oh, Dio Luce..." Soffiò.


"Per sempre...per sempre amore mio"


Abbandonò il capo contro la spalla di Angel, mentre il suo corpo veniva scosso da singhiozzi silenziosi.


Ed Angel fu accanto a lui, piangendo, in silenzio, per la morte della luce.


Della loro luce.


*****


Los Angeles, 2001


"Da quella sera, non ho mai più tolto la Claddagh di Tanya"


Spike abbassò la testa, guardandosi la mano sinistra.


L’argento della Claddagh era ormai un po’ opaco, eppure, non fu una sorpresa per lui realizzare che era ancora l’oggetto più prezioso.


Si mordicchiò il labbro inferiore per un istante prima di continuare: "Beh, mai…tranne per qualche minuto, tre anni fa…"


Sollevò la testa e guardò Kate.


Era impallidita, la sua mano sinistra che scorreva sul suo braccio destro, su sui Spike intravide la pelle d’oca.


Scelse di ignorare lo sguardo incuriosito negli occhi della donna, scosse la testa e si chinò per recuperare da terra la bottiglia semivuota di birra, da cui sorseggiò un po’.


"I giorni si trasformarono in settimane…con una lentezza che trovavo esasperante…ed Angel…


Beh, lui rimaneva al mio fianco, cercando disperatamente di riportarmi alla vita"


Aggrottò la fronte, e fece un mezzo sorriso prima di commentare: "Metaforicamente parlando, naturalmente."


*****


Pietrogrado, Maggio 1916


"Ti ho detto di no!" Ringhiò Spike, guardando Angel con aria truce, o, se non truce, sperava almeno risoluta.


"Spike, per favore, non puoi rimanere a letto per sempre. Prima o poi dovrai lasciare questa stanza!"


"Davvero? E chi lo dice?" Domandò Spike, sollevando la testa dai guanciali, in modo da incontrare lo sguardo di Angel.


Il suo sire era ritto di fronte al letto, le braccia conserte, sul volto un’espressione preoccupata e stanca, e Spike, per la prima volta in due mesi, pensò che dovesse essere molto stanco.


Non ricordava l’avesse mai lasciato solo negli ultimi due mesi, se non per procurarsi il sangue…


e quella maledettissima sedia a rotelle, che da settimane, ormai, era nella sua stanza.


Dire che odiava quell’arnese infernale significava voler usare un eufemismo, ed ora Angel lo esortava a servirsene per uscire da quella casa.


Come se ci fosse stato qualcosa o qualcuno per cui valesse la pena di farlo.


"Spike," Ricominciò Angel. "Dovrai uscire prima o poi"


Il vampiro biondo si strinse nelle spalle, ma non rispose.


"La frattura si sta ricomponendo, ma non servirà a molto se rimarrai in questo letto ventiquattr’ore su ventiquattro!"


Ecco, ora Angel si stava arrabbiando…


Spike pensava di star esaurendo le scorte di pazienza del suo sire, col suo comportamento, ma non gli importava.


Sembrava che niente avesse senso, ormai.


La rabbia aveva ceduto il posto al dolore, ed il duro pavimento ad un letto, ma niente era realmente cambiato.


Tanya era ancora morta, e Spike desiderava ancora essere morto insieme a lei.


Sollevò la testa e quasi sorrise quando disse: "Ma sì, Angel!


Porta in giro l’invalido!


L’aria frizzante di San Pietroburgo farà miracoli per I miei polmoni, per non parlare del mio incarnato!"


Scosse la testa disgustato, più con se stesso che nei confronti della proposta di Angel.


Non era arrabbiato con lui, ma come poteva spiegargli che usare quella sedia non avrebbe fatto altro che suggellare il suo fallimento?


Aveva fallito nel combattere Darla.


Aveva fallito nel proteggere Tanya.


Aveva fallito, come uomo e come demone, e, questo, niente avrebbe potuto cambiarlo.


"Non sei divertente, Spike!" Mormorò Angel.


Spike si lasciò andare contro I guanciali, deglutendo.


"Strano, io mi sento tanto divertente…un vero e proprio scherzo della natura…"


Angel sospirò, e Spike lo guardò di sottecchi, mentre si passava una mano davanti gli occhi.


"Ho capito" Mormorò alla fine l’altro. "Hai deciso di seppellirti in questa stanza per l’eternità"


Spike gli scoccò un’occhiata incuriosita, il volto di Angel era serio, incredibilmente serio.


"E allora?" Domandò .


Mentre pensava: Che differenza fa?


Angel infilò le mani nelle tasche dei pantaloni: "Bene, liberissimo, ma ho una notizia per te, William: io sono stanco… non ho intenzione di seguirti nel tuo sepolcro…quindi" Annunciò, avviandosi verso la porta: "ora me ne vado…"


"Te ne vai?" Domandò Spike sorpreso.


Si puntellò sui gomiti, e cercò di sollevarsi sul letto, ignorando il familiare dolore alla schiena.


Generalmente Angel si sarebbe avvicinato per aiutarlo, ignorando le sue proteste.


Generalmente Angel gli avrebbe raccomandato di stare attento.


Non quella sera, però.


Il suo sire rimase immobile, con le spalle appoggiate contro una parete, e un’espressione irritata sul volto.


"Sì, Spike…" Commentò, scostandosi infine dal muro per aprire la porta. "Sono testardo, ma anche alla testardaggine c’è un limite…e io credo di averlo raggiunto…"


Gli fece un cenno col capo, prima di chiudersi la porta dietro le spalle. Spike sbattè gli occhi, una, due volte, mentre piano si abbandonava contro I guanciali.


"Fai pure!" sbraitò.


"Non ho bisogno di te!" Disse.


Guardò la sedia a rotelle, digrignando I denti.


"Non ho bisogno di nessuno!"


Deglutì, scacciando il consueto groppo in gola. Era diventato bravissimo a farlo nelle ultime settimane.


Basta frignare come un bambino, e, se pure a prezzo di sforzi titanici, riusciva a non piangere…


Eppure, in quel momento gli era difficile.


"Non ho bisogno di nessuno" Ripeté debolmente, coprendosi gli occhi con l’avambraccio destro.


Sentì sbattere la porta d’ingresso, e si ritrovò a sussultare.


E sperò che fosse il sonno a scacciare le lacrime.


Ma passarono ore, prima che riuscisse ad addormentarsi, e, quando lo fece, il suo sonno fu agitato.


Sognò di un tempo in cui quella casa era stata piena di allegria. Piena di gioia…


E poi fu di nuovo autunno… e la superficie ghiacciata della Neva.



*****


Los Angeles 2001


"Mentivamo tutti e due" Disse Spike, e non riusciva ad impedirsi di sorridere.


"Spudoratamente"


Kate aggrottò la fronte, incuriosita, parlando per la prima volta nell’ultima ora. "In che senso?"


"Angel non usciva…" Spike si morse il labbro inferiore, e scosse la testa divertito. "Aspettava in corridoio, sentendosi un verme per il suo comportamento, anche se d’avvero era l’unico modo per farmi reagire…."


Si strinse nelle spalle.


"Fosse dipeso da me, sarei rimasto in quel letto per sempre."


Si appoggiò allo schienale della poltrona, stiracchiando pigramente le braccia, prima di portarle dietro la testa.


"Quanto a me…beh, mentivo sapendo di mentire, quando dicevo di non aver bisogno di nessuno.


Avevo bisogno di Angel…


Lui… era l’unica famiglia che avessi…"



*****



Pietrogrado, Maggio 1916


4 Giorni dopo


"Io sto uscendo…"Mormorò Angel ad alta voce, affacciandosi nella stanza di Spike.


Lui non rispose, distogliendo lo sguardo dalla porta e posandolo su un punto indistinto alla sua sinistra.


Fingendo la più totale indifferenza, mentre Angel gli voltava le spalle.


Chiuse la porta, prendendo fra le mani il blocco da disegno appoggiato alla panca nel corridoio. E sospirò, sentendolo mugugnare:


" Non gli è mai piaciuto uscire… mai!


Ora gli viene il desiderio!"


Seguì qualcosa… come un basso ringhio, così diverso dai suoni terribili che gli avevano squarciato il petto, quella che sembrava una vita prima…


Quando Angel aveva temuto che tutto fosse perso per sempre.


Allora… in quei giorni di pioggia e di dolore…


Adesso…


Adesso si sentiva forte.


Soffriva.


Terribilmente. Come il primo giorno.


Per Tanya… e per Spike.


Ma si sentiva forte, come mai gli era mai accaduto dacché gli avevano reso la sua anima.


Si sentiva in grado di affrontare anni, e decenni come quegli ultimi giorni, pur di riavere indietro Spike.


Si sentiva in grado di sbattere la testa all’ infinito, di sopportare ore intere e ininterrotte di rimbrotti, e di lottare per tutto il tempo che sarebbe servito.


Contro le ferite di Spike, del suo corpo e del suo spirito.


Contro il sordo dolore, e l’apatia, e l’abbattimento che esse provocavano.


Contro il suo desiderio di lasciarsi andare.


Dimenticando il proprio, di dolore.


E il proprio di desiderio di lasciarsi andare.


Compagni antichi, ormai, e noti, anche se non meno spaventosi.


Anche se non meno pericolosi.


Pronti a colpire nel momento in cui avesse abbassato la guardia.


In cui avesse smesso di lottare.


Gli era capitato.


Prima di Spike, e in quegli anni in cui le uniche cose note erano stati il dolore ed il rimorso.


Dopo, non se lo era più permesso…


Per lui.


Per il suo ragazzo.


Per cercare disperatamente di strapparlo al suo demone.


E neanche ora se lo sarebbe permesso.


Sempre per lui.


Sempre per Spike.


Perché lui poteva venirne fuori.


E ne sarebbe venuto fuori.


A costo di trascinarcelo per le orecchia!


Lo aveva sempre saputo, ma lo aveva deciso quel terribile giorno, quando gli aveva sputato contro tutto il veleno del suo terribile dolore, e poi lo aveva stretto, come un bambino solo e disperato. Ed Angel aveva desiderato solo poter calmare quel dolore, poterlo prendere su di se.


E fare qualunque cosa… pur di placare il pianto del suo cuore.


Pregando di riuscire.


Perché Spike ricominciasse a vivere.


Una volta, molti anni prima, aveva fatto una scelta. E l’aveva fatta perché non voleva che Spike si perdesse. Che distruggesse se stesso, come aveva fatto Angel.


Adesso… Angel non voleva più salvare Spike da se stesso.


Perché questo… lui lo aveva fatto da solo.


Comprendendo quanto impossibile fosse, per lui, essere il demone puro che avrebbe voluto.


E non importava se fosse stato per Tanya, per gli anni trascorsi o per se stesso.


Ormai, Spike non poteva più cambiare ciò che era diventato.


Non poteva semplicemente decidere di farlo.


E dopo aver avuto così tanta paura che invece ci riuscisse, dopo aver avuto così tanta paura di perderlo… adesso… Angel non ne aveva più.


Non temeva più che lui potesse tornare indietro.


E non lottava per questo.


No.


Angel lottava perché Spike potesse di nuovo essere felice.


Perché tornasse a sorridere come prima


Certe volte era così difficile maltrattarlo… ed Angel si chiedeva se fosse davvero il modo giusto per spronarlo…


Ne conoscere la risposta lo aiutava a sentirsi meglio… quando chiudeva quella porta, e lo lasciava solo.


Con i suoi pensieri, e con il suo dolore.


Avrebbe voluto afferrarlo e ordinargli di lasciare il letto e usare quella sedia a rotelle, minacciandolo di legarcelo sopra.


E lui si sarebbe interstardito ancor più a non farlo.


Avrebbe voluto pregarlo di nuovo… e lui si sarebbe rifiutato.


Eppure… ancora… sarebbe stato più facile.


Più facile che chiudere quella porta. E fargli credere di essere indifferente al suo dolore.


E sbattere il portone dell’ingresso, e poi sedere in terra, con le spalle appoggiate alla parete del corridoio, e cominciare a schizzare sul suo blocc., l’ultimo dei molti già esauriti, durante le lunghe ore in cui fingeva di essere uscito, lasciando Spike da solo.


Sarebbe stato più facile, e non sarebbe servito.


Non lo avrebbe aiutato.


Ed era questo… aiuto… che Spike gli aveva chiesto…


Mentre lo stringeva a se. E piangeva contro la sua spalla.


E lo chiamava sire…


Sire…


Ripensarci, lo riempiva insieme di orgoglio e di malinconia.


Sire… la più grande manifestazione di rispetto per un vampiro, in special modo per un tipo come Spike.


Eppure… non poteva esprimere nemmeno lontanamente i sentimenti che Angel provava per lui.


E pensare… che non aveva mai nemmeno pensato di avere un figlio.


Sospirò, e aprì la porta di ingresso, il blocco da disegno fra le dita.


Disegnava soprattutto Tanya, in quel periodo…


Lei era così presente… nel suo cuore e nel suo cervello.


Gli faceva male.


Lo faceva soffrire guardare il suo volto, sorridente o corrucciato.


Eppure, quando prendeva a disegnare, le linee, velocemente, si formavano da sole, e quel che nasceva sulla carta era quasi sempre lei.


Lei… o lo Spike che era stato con lei…


Un groppo doloroso gli serrò la gola, quando pensò a quell’ultimo quadro dipinto per loro.


Quello a cui aveva lavorato per mesi interi, quando Spike non poteva vederlo, e che non gli aveva mai dato.


Perché quel che vi aveva dipinto, la scena bellissima che si era impressa nel suo cuore, sarebbe stata troppo dolorosa per quello provato di Spike.


"Aspetta!"


Angel strinse le dita sulla maniglia della porta, che da molte settimane, ormai, era tornata al suo posto. E un sorriso di cuore gli salì sulle labbra.


Benchè ancora non osasse sperare del tutto…


Dall’altra stanza, la voce di Spike gli arrivava chiarissima, eppure, il vampiro stava quasi strillando, per essere certo che lui lo sentisse.


" Mi hai capito, razza di… aguzzino?!


Aspetta!"


Angel aveva una voglia indescrivibile di girarsi e correre da lui, ma, ancora, non permise a se stesso di farlo.


Gli si torceva lo stomaco, ma ancora no…


"Non voglio restare da solo!"


Si…


Si…


Ora si…


Sbatté la porta, e si impose di appoggiare il blocco sulla panca, e di cancellare il sorriso dal suo volto, acquistando una parvenza di freddezza.


E lo stupì capire che Spike pensava che se ne fosse già andato, quando lo udì borbottare, abbattuto, " tanto non ci volevo andare…"


"Davvero?" Disse, aprendo la porta della stanza. " allora torno indietro!"


Vide il volto di Spike illuminarsi, evidente quanto il suo sforzo di nasconderlo.


"No!" Esclamò, sollevandosi sui gomiti. " Ormai che sei tornato indietro…"


Si fissarono, Angel che lottava per non sorridere.


"E poi…" Mugugnò piano Spike, cercando evidentemente le parole. "Ho paura che da solo tu ti metta nei guai…"


Stavolta il sorriso fu troppo forte, ed Angel non riuscì a nasconderlo.


"Probabile…"Disse, togliendosi il cappotto e gettandolo sul letto. " e ora… se non vuoi uscire nudo…"


Spike brontolò come una pentola in ebollizione… il che era proprio quel che sembrava… ma si fece aiutare a vestirsi, e, dieci minuti dopo, Angel lo prese in braccio, e lo appoggiò con delicatezza sulla sedia a rotelle, stando attento a fargli provare meno dolore possibile.


Spike appoggiò la schiena, imbronciato, e deglutì a lungo, in silenzio, senza parlare.


"Allora?" chiese infine Angel, incapace di resistere." Come ti senti?"


Finalmente, Spike lo guardò.


"La odio!" Sibilò fra i denti.



*****


Pietrogrado 1916


"Ti stai divertendo molto, non è vero?" Domandò Spike, sollevando la testa in direzione di Angel.


Sbuffò all’occhiata severa di lui, e strinse i denti, quando, per l’ennesima volta, il vampiro bruno riprese a torturargli le gambe.


Lui la chiamava riabilitazione, ma Spike era giunto alla conclusione che si trattasse di tortura!


Le gambe gli facevano male, la schiena gli faceva male, eppure Angel ignorava le sue proteste, ed ogni giorno lo costringeva a lunghi ed estenuanti esercizi.


"Lo so che fa male, Spike" Disse Angel, distogliendolo dai suoi pensieri.


"Ma è per il mio bene, sì, si, bla,bla,bla …" Bofonchiò lui, prima di stringere forsennatamente i denti, quando il suo sire gli sollevò un ginocchio.


"Maledizione, Angel! Avvisa la prossima volta!" Urlò,ma Angel lo ignorò, e gli flesse la gamba.


"Vuoi abbandonare quella sedia a rotelle?" Domandò il vampiro più anziano.


"Si!" Urlò Spike. " Sulla tua testa!"


Angel sollevò gli occhi al cielo, mentre, piano, appoggiava la gamba di Spike sul pavimento, per poi ripetere l’operazione con l’altra.


"Potrai provarci una volta in piedi" Commentò.


Spike annuì, mentre cercava di concentrarsi sui dettagli nella stanza, per distrarsi dal lancinante dolore alla schiena.


"Darla ha fatto proprio un lavoretto di fino " Commentò, portandosi una mano dietro al collo.


"Già" Mormorò Angel, senza guardarlo.


Era raro che menzionassero gli avvenimenti di quella notte, così come era raro che si pronunciasse il nome di Tanya, ormai.


Era inutile farlo.


Altro dolore che si sarebbe aggiunto a quello che già si portavano dentro.


"Vuoi provare a metterti in piedi?" Domandò Angel, spezzando il silenzio della stanza.


Spike inarcò un sopracciglio.


"Perché no" Mormorò. "Male che vada, mi romperò il naso quando cadrò…"


"Non succederà" Replicò Angel semplicemente. Il vampiro bruno gli passò un braccio attorno alla vita, e Spike gli si aggrappò alle spalle per sollevarsi.


Riusciva a mettersi in piedi, per alcuni secondi, anche se il dolore di solito era così forte che era costretto a rimanere a letto per ore, dopo.


"Chi l’ha detto che noi vampiri siamo forti?" Domandò sibilando. "Fa un male cane…"


"Lo so…ma un essere umano…"


"Io non sono umano, Angel…" Lo interruppe Spike. "Dovrei essere già in piedi…"


"Darla si è accanita su di te…e tu…" Angel si interruppe, scuotendo la testa, eppure, riuscì a sorridergli quando domandò: "Sei pronto?"


Spike si strinse nelle spalle, guardando il pavimento.


Ripensò per un solo istante ai primi terribili giorni che erano seguiti alla morte di Tanya. Ripensò al dolore, e fu sicuro di sentire la risata di Darla, e le parole che Drusilla aveva pronunciato su quel ponte.


Così indifeso, spezzato…potrei ucciderti ora…e non potresti fare niente…


Guardò Angel: "Sono pronto amico…"


Continuerai a vivere…


Angel annuì alle sue parole, e piano allentò la presa sulla sua vita.


Spike strinse I denti.


Il dolore bruciava, risalendo lungo le spalle, scorrendo lungo le sue gambe ancora deboli, ma non gli importava.


Deglutì, quando fece il primo passo.


Sembrava che le ossa non reggessero il suo stesso peso, ma non vi badò


Però non ti toglierò I tuoi balocchi. Dolore, rimpianto, rimorso.


Fece un altro passo, e di nuovo la scarica di dolore si diffuse in tutto il corpo.


Questa volta le gambe cedettero sotto il suo peso, e Spike allontanò Angel, quando egli provò a trattenere la sua caduta.


Compagni eterni, piccolo Spike…


La fronte cozzò contro il pavimento, e Spike imprecò battendo un pugno chiuso in terra.


Eppure, la sua voce fu calma quando sollevò la testa in direzione di Angel, chino accanto a lui, e bofonchiò: "Beh, come si dice: Roma non è stata costruita in un giorno"


"Stai bene?" Domandò Angel.


Spike annuì.


"Alla grande.


Ricominciamo daccapo?" Domandò, tergendosi dalla fronte sudore e sangue.


"Sei sicuro?" Chiese Angel.


Così indifeso, spezzato…potrei ucciderti ora…e non potresti fare niente…


Spike annuì, mentre ancora le parole di Drusilla gli riecheggiavano nella mente, nel cuore, nella voragine creatasi quando Tanya era morta.


Era morta… niente e nessuno avrebbero potuto riportarla indietro.


Aveva fallito nel proteggerla…ma non avrebbe fallito di nuovo.


Avrebbe ucciso Drusilla, con le sue mani.


Beh Dru, Pensò freddamente. Sembra che si sia daccapo… Sei di nuovo il centro della mia esistenza.


"Sì…dopotutto qualcuno mi ha detto che ho la testa dura" Disse guardando Angel, e riuscì persino a sorridere.


Si domandò per un istante se Angel avesse intuito i suoi pensieri, i suoi propositi, ma decise che non gli importava.


Quella era la sua guerra.


*****


Los Angeles, 2001


"E Darla e Drusilla?" Domandò Kate, interrompendo Spike.


"Darla e Drusilla? Volatilizzate " Spike sollevò una gamba, avvicinandola al petto.


"Conoscendole, suppongo lo abbiano fatto subito, approfittando del vantaggio che avevano su di noi" Storse la bocca in una smorfia di disgusto. "Oh, non che Angel non le abbia cercate...lo fece eccome...ma fu tutto inutile.


Fu per questo che potè dedicarsi completamente alla mia riabilitazione"


Sorrise.


"A proposito di cadute e risalite: il mio muso toccò tante di quelle volte il pavimento in quel periodo che Angel cominciava a temere...."


Stette per un attimo in silenzio, poi aggiunse:


"…per il pavimento, naturalmente"


Un lampo illuminò per qualche istante il salotto, immerso nella penombra, e Spike si voltò verso la finestra.


"Anche la Russia precipitava" Mormorò.


"Sempre più velocemente. Mentre Angel ed io cercavamo di tenerci alla larga dai guai..."


Si abbracciò le ginocchia con le braccia.


"Ma naturalmente… i guai non erano d’accordo"


*****


Pietrogrado, 1917


Spike si voltò, sollevando la gamba e colpendo Angel sul petto… sfiorando Angel sul petto, per poi cadere in ginocchio, digrignando i denti per il dolore e appoggiandosi in terra col palmo della mano.


"Così impari a fare lo sbruffone!" Esclamò Angel, chinandosi su di lui e prendendogli un braccio, per passarselo poi attorno alle spalle. "Eccolo, come stai benissimo!"


Spike ebbe uno scatto, allontanando le sue mani, ed Angel sospirò, scotendo leggermente il capo.


"Spike… "Mormorò.


L’altro lo fissò, passandosi una mano fra i capelli.


"Scusa…" Borbottò infine.


Angel gli sorrise.


"Non c’è di che…"Concesse, aiutandolo a rialzarsi.


Gli porse il bastone, che Spike odiava esattamente come la sedia a rotelle, ma lui lo rifiutò, con calma, questa volta.


"Voglio continuare…" Disse risoluto. E, di nuovo, Angel scosse le spalle.


"Non concluderai niente se ti sfinisci o ti fai male da solo…


Devi avere pazienza…


E’ passato appena un anno ed è stata una frattura terribile…"


"Non dirlo a … ohu!" Esclamò Spike, che aveva provato a fare un passo, rimanendo quasi immediatamente bloccato." Ma che cazzo…"


Angel lo guardò negli occhi, critico.


"Appoggia le palme al muro"Gli ordinò dopo un secondo.


Spike inarcò il sopracciglio, obbedendogli, e gli scoccò un ‘occhiata molto sospettosa.


"Angel…"Mormorò, quando lui gli appoggiò una mano alla base del collo, facendo scorrere le dita attorno alla sua spina dorsale." Spiegami che intenzioni hai… mi devo preoccupare?" Angel soffocò un sorriso. "No, perché basta saperle le cose…"


"E piantala! Ti si intorpidiscono tutti i muscoli tranne la lingua!"


Spike scoppiò a ridere, appoggiando la testa contro muro.


Dio… era così bello sentirlo di nuovo ridere…


Sembrava che il sole, finalmente, stesse squarciando un banco profondo di nubi…


"Capirai…"Mormorò Spike, continuando a ridere." Non posso neanche difendermi… ah…" Un altro spasmo gli irrigidì la schiena, facendogli ingoiare il suo sorriso. " certo che Darla ci sa proprio fare…"


Angel sospirò, continuando a massaggiargli schiena.


"Lo so… gliel’ho insegnato io…"


"Tu?" Si voltò a guardarlo, un ‘aria interrogativa sul volto.


"Non voltare la testa, per favore."


Gli obbedì, ma non riuscì ad impedirgli di continuare.


"Pensavo fosse stato il contrario…"


Un altro sospiro.


Era così doloroso ricordare… Eppure, era anche facile parlarne con Spike… quasi… quasi fossero cose che lui già sapeva, e che gliele stesse soltanto ricordando…


"Darla sapeva solo che ci sono delle ossa nel corpo, e che possono procurare dolore, io…"


"Lui!" Lo interruppe Spike, e, nonostante tutto, Angel ritornò a sorridere, mentre il ragazzo continuava." Ha imparato presto come e dove facesse più male, e ha generosamente condiviso la lezione…


Chiariscimi un dubbio, Angel, ha studiato pure anatomia?"


"Si. E a questo aggiungi pure un certo mio talento…"


"Suo!"Soffiò, abbassando la testa fra le braccia. "E ora mi stai palpando la schiena! Entusiasmante!"


"Come se fosse la prima volta…"


"Non in questa posizione!"


Sospirò di nuovo.


"Devresti sapere"Mormorò, facendo scorrere le dita." Che chi è bravo a rompere… a volte… è bravo anche a riparare…"


Si fermò, sorridendo, sfiorandolo con le sue mani esperte." E infatti eccolo qui!"


"Cosa?"


Angel premette con le dita.


"Il muscolo … la causa dei tuoi fastidi… lo hai fatto andare fuori posto con la tua esibizione …"


"Oh, e io qui a pensare che la causa dei miei fastidi fosse una pantegana bionda! E tinta pure!"


Soffocò una risata, lavorando sul muscolo di Spike con le dita di una sola mano, finché lui non emise un sospiro di sollievo.


"Angel…"


"mm…"


"Se mai mi si dovesse intorpidire la lingua…"


"Si?"


"Non ti azzardare a metterci mano!"


"Ma sta zitto, e non sforzare questi muscoli finché non si saranno riabituati… sei un vampiro, non sei fatto di gomma!"


Spike sbuffò, staccando le mani dalla parete e appoggiandovisi con la schiena.


"Vorrei chiudere gli occhi… e riaprirli fra dieci anni…"Soffiò. E non era solo per il dolore fisico…


"Lo so…"Mormorò." È difficile per te…"


"Anche per te… non credere che non lo sappia.


Eppure sembri sempre così calmo…"


Sembro…


"Bè…" Rispose." Sono vecchio e noioso…"


" E imbranato con le donne…"


"E imbranato con le donne…"Concesse.


" E insicuro…" Rincarò Spike.


"E insicuro…"


"E votato al rimugino…"


"E votato al rimugino…"


"E…"


"William?"


"Cosa?"


"Basta."


Spike sbuffò, senza darsi per vinto. E avrebbe aggiunto certamente qualcos’altro, se l’attenzione di entrambi non fosse stata improvvisamente attirata da uno schianto al piano di sotto, seguito, immediatamente, da un rumore frenetico di passi e grida su per le scale.


Si guardarono.


E capirono.


Perché era facile capire.


A Pietrogrado.


Nel marzo nel 1917.


Era cominciato tutto con un piccolo sciopero per il pane.


Ciò che Angel aveva temuto.


Ciò che aveva previsto.


Ciò che Tanya, dentro di se, aveva sentito.


Lo sconvolgimento.


La rivoluzione.


Il cataclisma che si abbatteva sulla Russia e che, di li a poco, avrebbe lasciato solo macerie sulla sua strada.


Era cominciato col malcontento per una guerra sempre più disastrosa, ma che pure si continuava.


E con la carestia.


E la mancanza di cibo, e carburante, mentre il poco che si aveva si consumava al fronte.


E con il freddo.


Uno degli inverni più freddi che Pietrogrado avesse mai conosciuto.


Ed era cresciuto con altri scioperi. Uno dopo l’altro.


Ovunque, nella città.


E continuato con l’ordine alle truppe di sparare sulla folla.


E col loro rifiuto.


Con i reggimenti che si ammutinavano, che bruciavano gli edifici pubblici, che uccidevano i propri superiori.


Divenendo quel che era sempre stato.


Una rivoluzione.


E Pietrogrado aveva preso a bruciare.


Nel mese in cui era morta Tanya.


Nei giorni che avevano preceduto e seguito il suo dramma.


E nelle stesse ore in cui, un anno prima, Spike aveva ringhiato al mondo, solo e disperato, il suo dolore… il mondo gli aveva risposto.


Con il rumore dei colpi di fucile. Con le urla.


Con il crepitio del fuori


Con il sangue.


Con il dolore.


Lo zar aveva abdicato. Suo fratello aveva fatto lo stesso.


E la Duma, fin dai primissimi giorni, aveva deciso di mettersi a capo dei rivoltosi, dando origine a un governo provvisorio che, pur dal relativo isolamento della casa che divideva con Spike, era sembrato ad Angel troppo debole per mantenere imbrigliato a lungo tutto quell’odio, quel desiderio di ruggire.


Troppo indeciso.


Troppo riflessivio.


Mentre già si parlava di un ritorno di Vladimir U’lic. E allora, il sangue sarebbe scorso a fiumi. Molto di più…


Aveva cercato di uscire il meno possibile.


La salute di Spike, la sua ripresa, erano troppo importanti perché lui si lasciasse coinvolgere in qualsiasi altra cosa.


E così, si era limitato ai rapidi giri per procurarsi il sangue. E aveva cercato di chiudere il suo cuore, intervenendo il meno possibile in quel che vedeva. Ripetendosi che doveva pensare a Spike. Che doveva procurarsi del cibo.


E quando non aveva trovato più sangue di animali, perché in città non c’erano più animali, era andato negli ospedali…


Aveva lottato perché il dolore, il sangue versati per le strade non lo raggiungessero… non lo distraessero…


Perché quella follia non lo percuotesse come una frusta sulla schiena.


E ora… quella follia voleva imporsi a lui.


Ora degli scalmanati, che avevano trasformato una lotta per la sopravvivenza in un massacro, sfondavano il portone del loro palazzo, e correvano gridando per le scale.


E, dopo un attimo, Angel li sentì sfondare, quasi contemporaneamente, le porte delle due case, la sua… e quella di Spike e Tanya…


Sparando alle serrature.


Gridando.


Ridendo.


"Prendete tutto quello che trovate!" Urlò una voce.


"E se qualcuno si ribella…" Sghignazzò un altro." Ricordate al porco che la proprietà è un furto!"


Angel strinse i denti.


Davanti a lui, Spike stava lentamente tremando di rabbia, eppure, lo guardò appena.


Non gli diede tempo di dire una parola.


Si voltò, e freddamente raggiunse il soggiorno.


Mutando volto.


Forse, Spike percepì la sua rabbia silenziosa, e solo non volle interferire.


Rimase dietro di lui, mentre Angel si appoggiava allo stipite della porta, e con gli occhi del suo demone osservava per un secondo una mezza dozzina di uomini, alcuni in divisa, che portavano in casa sua la distruzione.


Che gettavano in terra i libri senza guardarli, che sfasciavano senza motivo i mobili, che aprivano i cassetti e ne rovesciavano il contenuto.


Strappando i quadri dalle pareti.


E imprecando perché non c’era nulla che potesse servirgli.


Poi, due di loro avanzarono verso di lui, per cambiare stanza.


E lo videro.


Immerso nell’ombra.


Ma non per molto.


"Ehi!" Esclamò uno. " C’è il padrone di casa!"


"Porco borghese!" Rincarò l’altro. " Dov’è la roba buona?!"


"Parla!"


Angel attese solo un altro istante.


Che tutti lo guardassero.


Poi uscì dall’ombra, nella luce tenue della luna che filtrava dalle porta- finestra.


E sorride. Lentamente.


Un sorriso sbilenco e terribile.


Riflesso nell’espressione atterrita sui volti di quegli uomini laceri e scarmigliati.


Bianchi, ora, come fantasmi.


"Benvenuti…"Soffiò piano. E si passò lentamente la lingua sui denti. "il mio ragazzo aveva fame!"


Soldati?


Rivoltosi?


Cosa?


Solo idioti che si facevano forti in un mondo che stava cadendo.


Angel non riuscì a reprimere un moto violento di ribrezzo, quando li vide sobbalzare quasi contemporaneamente, e poi scattare fuori, fuggire.


Gridando.


Ma in modo molto diverso,adesso.


Ora non c’era più sicurezza in loro. Non c’era più alterigia. Non c’era più nemmeno violenza.


Ma solo paura.


La paura istintiva, primordiale, di un animale di fronte a uno più forte … infinitamente più forte.


La paura che a volte gli salvava la vita.


Come ora.


Probabilmente.


Sentì gli altri uomini, quelli nella casa di Spike e Tanya, reagire alle grida dei compagni, e li vide affacciarsi sul pianerottolo. Mentre lui raggiungeva la porta.


Soldati…


Rivoltosi…


Coraggiosi…


Contro un gruppo di burocrati o la famiglia terrorizzata di un ‘altra casa di Pietrogrado.


In gruppi di mille.


Anche in guerra, forse…


Ma non contro il fuoco dei suoi occhi gialli.


Non contro l’ignoto.


Non contro un mostro.


Era questo che gridavano, fuggendo.


Mostro…


Suo padre lo aveva chiamato mostro… prima che lui lo uccidesse…


E lui stesso si era definito un mostro, vent’anni prima, in Romania…


E prima, e dopo, una lunga sequela, che lo aveva fatto ridere. O gli aveva fatto venir voglia di piangere.


Ma ora no.


Ora voleva essere un mostro.


Perché quegli stupidi non sarebbero tornati in una casa abitata da un mostro.


E non avrebbero raccontato che esisteva.


Lasciò che il sorriso gli svanisse dalle labbra, e lentamente riacquistò il suo volto umano.


Anche il soggiorno della casa di Spike e Tanya era sottosopra, ma non sembrava avessero fatto in tempo a prendere nulla.


Entrò, con un groppo in gola.


Lo aveva già fatto. Per prendere la roba di Spike. Ma ogni volta era come se non vi entrasse da allora.


Da quando c’era Tanya.


Ogni volta era come entrare da quella porta e penetrare nel suo passato, in una strana copia del suo passato… scura, senza colori, quando prima era stata un arcobaleno…Spike e Tanya erano stati un arcobaleno.


Fece qualche passo, controllando ogni cosa.


Avrebbe messo poi in ordine.


Ma il cuore gli si strinse nel petto quando ai piedi del divano scorse, sparso in terra, lo scialle candido di Tanya.


Quello che stringeva sempre attorno alle spalle, la sera, quando si ritrovavano insieme. Come una famiglia.


Lo raccolse, con un groppo in gola, e lo piegò con infinito amore. Appoggiandolo poi al bracciolo del divano, come faceva sempre lei.


Accomodò la porta alla meglio, prima di tornare da Spike.


Come quella del suo appartamento, avrebbe pesato poi a rimetterla a posto.


Spike aveva acceso le candele, come sempre dacché mancava la corrente nel quartiere, e stava vicino alla porta finestra, con la tenda scostata fra le dita. E Angel fu felice che non lo avesse seguito anche fuori…


"Angel…" Mormorò, lasciando andare la tenda, e fissandolo ad occhi sgranati "te la ricordi la faccenda della lingua anchilosata e delle tue mani?"


Angel incrociò le braccia al petto, e lo guardò.


"Si?"


"Ho cambiato idea!


Mettimela in bocca, mettimele dove vuoi, ma non guardarmi mai in quel modo!


Cazzo, Angel, tu mi fai paura!"


Scosse la testa, sforzandosi di sorridere.


Sforzandosi ancora una volta di allontanare i pensieri.


Per lui.


Sempre per lui.


"Ricordatene prima di sfottermi!"


"Io non sfotto!"


"Assolutamente…"Concesse Angel, avvicinandosi al caminetto e prendendo ad accendere il fuoco.


"Io mi preoccupo…"


"Si, certo…"


Ci tengo al…"


"William!" Esclamò, voltando la testa,.


"Okay, d’accordo, faccio il bravo!


Ma non passarti la lingua sui denti!"


*****


Pietrogrado, 1917



"A volte non ti capisco, amico" Commentò Spike, infilandosi il cappotto.


"E non parlo solo della tua tendenza a mangiarti le parole !"


Sorrise in direzione di Angel, guardandosi poi attorno per i paletti.


"Per mesi mi hai ripetuto che dovevo smetterla di starmene rintanato in casa, che dovevo ricominciare ad uscire..." Si strinse nelle spalle, infilandone uno nella cintura dei pantaloni, e restando poi un attimo immobile, sbuffando, prima di afferrare il suo bastone.


Lo detestava, almeno quando ammettere di averne ancora bisogno, di tanto in tanto.


La sua frattura alla schiena era quasi completamente guarita, ma sapeva che sarebbero passati ancora mesi prima che potesse abbandonare quell'arnese.


Sogghignò in direzione di Angel, e domandò: "Cos'è, hai cambiato idea?"


"No," Mormorò lui. "Non ho cambiato idea, è solo che...potresti non..."


Spike fece roteare il bastone nella mano sinistra, prima di interromperlo: "So badare a me stesso..." Inarcò le sopracciglia, ed aggiunse: "Beh, il più delle volte..."


Gli ultimi mesi gli avevano insegnato molto sulle sue forze, e sul rapporto con Angel.


Per molto tempo, aveva creduto di essere invincibile, per quasi quarant'anni, aveva pensato che essere un vampiro lo avesse messo al sicuro da ogni tipo di sofferenza: fisica e morale.


L’anno appena trascorso, invece, aveva cambiato tutto…la percezione che aveva di se stesso, del mondo...e di Angel.


Spike aveva bisogno di Angel, e gli era più grato per quanto aveva fatto per lui nell'ultimo anno, di quanto mai avrebbe potuto esprimergli...anche se, probabilmente, non lo avrebbe mai ammesso...


"Lo so, Spike" Riprese Angel, "solo..."


"Starò attento!


Cos'è," Domandò Spike sogghignando. " vuoi che faccia un giuramento di sangue?".


"Pessima battuta" Commentò Angel, eppure… sorrideva.


"Sarò poco ispirato dalla compagnia," Bofonchiò Spike, avviandosi alla porta.


" cosa vuoi che ti dica..."


"Ah, e...William? Io non tendo a masticare le parole!"


Spike si voltò, mentre una mano era ancora appoggiata sulla porta, di nuovo sorrise, e commentò: "L'importante è che tu ne sia convinto, amico...."


Gli fece un cenno con la testa, prima di chiudersi la porta alle spalle, mentre chiari, alle orecchie, gli giungevano i borbottii del suo sire.


Era la prima volta nell'ultimo anno che si trovava da solo sul pianerottolo di casa.


Fissò per qualche istante la porta dell'appartamento che aveva diviso con Tanya.


Fece qualche passo avanti, sentendosi, per la prima volta dopo mesi, malfermo sulle gambe.


Sfiorò con le dita pallide il legno scuro della porta, domandandosi se fosse tutto rimasto come la sera della morte di Tanya.


Se lo scialle di Tanya fosse ancora appoggiato sul bracciolo del divano in salotto, se il cesto con i suoi lavori all'uncinetto, quelli per i quali l'aveva presa in giro, fosse ancora in camera da letto. E la cassapanca delle armi ancora aperta.


La sua mano scivolò sul pomello della porta, stringendolo per qualche istante, prima di ricadergli lungo il fianco.


No...non era pronto.


Non sapeva se lo sarebbe mai stato.


Si era illuso di aver fatto dei progressi, si era illuso di aver superato il peggio.


Quanto si era sbagliato…


Eppure, i suoi occhi rimasero asciutti ed il suo cuore non gridò di dolore, quando sfiorò con la punta delle dita la porta, allontanandosi poi da essa.


I suoi occhi rimasero asciutti, mentre scendeva piano le scale, ricordando tutte le volte in cui Tanya e lui si erano rincorsi per quelle stesse rampe, ridendo.


Era stato così facile ridere, allora...era stato facile esistere…


Deglutì.


Gli sembrava quasi di vederla, gli sembrava quasi di poter udire la sua voce. La sua mano si strinse attorno all'impugnatura d'argento del bastone, e, come sempre negli ultimi mesi, Spike si impose di non lasciarsi andare ai suoi ricordi… al dolore.


Lo aveva fatto, e sapeva che sarebbe accaduto ancora… ma non era quello il momento.


Strinse i denti, mentre apriva il pesante portone del palazzo, e rimase per un attimo immobile.


Chiuse gli occhi quando una folata di vento fece svolazzare debolmente i lembi del suo cappotto.


Era freddo, pungente, e Spike si ritrovò a sfiorarsi il volto con le dita.


Aveva quasi dimenticato la sensazione del vento freddo di San Pietroburgo sulla pelle, la sua vita...o per meglio dire la sua eternità da vampiro, nell'ultimo anno era stata spesa tra le mura dell'appartamento di Angel.


Erano state quelle mura, e non il vento, ad udire le sue urla, i suoi ringhi, e sempre quelle mura erano state testimoni del lungo ed estenuante lavoro di riabilitazione al quale si era sottoposto.


Avevano urlato insieme, San Pietroburgo e lui, pensò amaramente, facendo qualche passo.


Ed erano cambiati.


San Pietroburgo era cambiata.


San Pietroburgo… che non si chiamava più neanche San Pietroburgo …


Era evidente per il suo olfatto, che coglieva distintamente odore di sangue.


Si domandò per un istante quanto ne fosse stato versato, nelle stesse strade percorse con Tanya.


L'aria era così satura del suo metallico umore che Spike sospettava che anche gli umani riuscissero a sentirlo.


Quello… ed altro …


Il suo quartiere era privo di energia elettrica, ma non aveva difficoltà nel distinguere forme ed oggetti...e non solo grazie ai suoi sensi...


Erano i roghi… tanti piccoli roghi che illuminavano le strade di una spettrale luce rossastra.


Bruciavano mobili, libri, suppellettili.


La ricchezza di quella città andava in fumo, con la vita di chissà quanta gente… e Spike camminava, calpestando cocci di vetro, mentre urla lambivano i suoi sensi di vampiro.


Quante urla aveva sentito negli ultimi mesi?


Quante risate di scherno, quanti colpi di pistola, di cannone, aveva udito?


Non lo sapeva...non gli interessava saperlo.


Una sua mano era ancora stretta sull'impugnatura del bastone, mentre l'altra affondava in una tasca del cappotto.


Si fermò, notando per un istante l’impugnatura del suo bastone, e come il rosso delle fiamme si riflettesse sull'argento, e sulla Claddagh di Tanya.


Si guardò attorno, stringendo gli occhi quando nuova distruzione, nuovo scempio, gli si presentarono davanti.


Vetrine sfondate, e soldati...decine di soldati, che camminavano per le strade, allo sbando, nei loro abiti lerci di sangue e paura, alcuni di loro stringendo fagotti sotto le braccia...bottini di razzie, probabilmente... come quella tentata nella casa di Angel e sua, qualche settimana prima.


Uno di loro gli passò vicino, pallido, il pallore enfatizzato dal lungo drappo rosso che gli cingeva le spalle.


Spike scosse la testa.


Se doveva essere onesto, non aveva una gran voglia di camminare per quelle strade, ma avrebbe dovuto farlo, prima o poi. Nascondersi non sarebbe servito a molto, e, comunque, non era nella sua natura farlo.


Non lo era mai stato.


Aveva sofferto… al punto di volersi annullare, ma aveva capito che non sarebbe servito a rifuggire il dolore.


Così aveva deciso di camminare per le stesse strade che avevano visto la nascita del suo amore con Tanya. Aveva deciso di camminare da solo, senza la confortante presenza di Angel.


Era tutto così cambiato.


San.Pietroburgo aveva perso la sua magia, aveva perso la sua innocenza.


Lo leggeva sui volti della gente, fra le macerie, negli incendi. Nel sangue che stagnava a terra, tra gli ultimi residui di neve sporca…


"Mio Dio Luce…" Mormorò.


Avrebbe mentito, se avesse detto di essere quasi contento che Tanya fosse morta… prima di assistere a quello scempio …


se fosse vissuta, ci sarebbe stato lui al suo fianco…


Pensò però che era alla distruzione di quella città che Angel si era riferito, prima che uscisse di casa.


Avrebbe saputo proteggersi da quello? Avrebbe saputo proteggersi dal vedere I propri ricordi vilipesi dal tanfo di polvere da sparo e sangue, dai ghigni di soldati ubriachi, dal pianto disperato di un bambino che udiva a poca distanza da se?


Non lo sapeva.


I ricordi gli straziavano il cuore, adesso… parlandogli di un tempo in cui vi era stata energia elettrica, ed I tram avevano funzionato, e Tanya, una volta, lo aveva baciato, prima di salire su uno di quei mezzi per dirigersi ad un orfanotrofio.


I ricordi lo straziavano, mentre si avvicinava al Palazzo d’Inverno, e ricordava quanto spesso Tanya si fosse incantata ad osservarlo, immaginando come fosse il suo interno…mentre ora poteva vedere mobili buttati alla rinfusa nel giardino, sporchi di neve.


Neanche la neve era più pulita….e Spike non credeva lo sarebbe più stata.


Non per lui, almeno.


Continuò a camminare, stretto nel suo lungo cappotto nero, mentre le nocche gli erano diventate livide a forza di stringere l’impugnatura del bastone, e si avvicinava alla riva della Neva.


La Neva, che gli aveva tolto Tanya…


Lo stesso fiume sulla cui riva avevano ballato, una volta, la notte del diciottesimo compleanno di Tanya.


Si guardò attorno, prima di scendere sull’argine, ignorando I derelitti che si riscaldavano, accanto ad un fuoco da bivacco.


Non li avrebbe uccisi, se lo avessero attaccato…


Non sulla riva di quel fiume.


Non quella sera.


Deglutì.


Il ghiaccio, sulla superficie, si stava sciogliendo, e la luna si rifletteva su di esso, proprio come la notte in cui Tanya era morta.


Si inginocchiò, e sfiorò con le dita il ghiaccio, prima di mormorare: "Non ho potuto dirti addio…" Chiuse gli occhi, ma solo per un istente.


"Forse… perché non volevo farlo…


Forse, perché non riuscivo ad accettarlo…ed ancora non ci riesco…ma …" Deglutì con forza, prima di mormorare. "Dovrò farlo, Luce…


Questa non è più la nostra San Pietroburgo…non potrei rimanere qui…"


Tanti anni prima, in un cimitero di Londra, Spike aveva udito sua madre parlare alla sua tomba vuota, ignara della sua presenza.


Aveva trovato strane quelle azioni, ne era rimasto turbato…ma non era riuscito a comprenderle.


Non avrebbe potuto farlo…


In quel momento, mentre il ghiaccio gli bruciava le mani, comprese appieno il gesto di sua madre.


"Fa male, Luce" Sussurrò. "Fa troppo male… ancora troppo male…


Vedere San Pietroburgo così è quasi come…" Strinse le labbra.


"Ti amo ancora" Soffiò, e, come al solito, si ritrovò a lottare contro un nodo, che , doloroso, gli si formò in gola.


"Ti amo" Ripeté.


"Avrei voluto smettere di farlo…avrei voluto odiarti…ma la verità è che non ci riesco…" Chiuse gli occhi, aspettandosi lacrime a rigargli le guance… ma non accadde.


Aveva scoperto un dolore per il quale lacrime non bastavano… un dolore che faceva parte di lui ormai, del suo demone, come dell’uomo che era stato.


Si strinse nelle braccia, sfiorando col pollice della mano destra la Claddagh.


Era un gesto, quello, che si era sorpreso a compiere sempre più spesso, negli ultimi mesi, e, quando lo faceva, gli capitava quasi di sentire odore di neve… aveva quasi l’impressione che Tanya fosse accanto a lui.


Gli era accaduto, a volte, di girarsi, mentre, solo, faceva esercizio, e, per alcuni istanti, era stato certo di sentire lo sguardo di Tanya su di se…


...A volt,e quando, cammino per strada, mi sembra quasi di sentire il tuo sguardo su di me...e mi costringo… a non voltarmi...credo che la delusione nel non vederti sarebbe troppo per me...


"Per l'inferno" Mormorò, mentre le parole di sua madre gli ritornavano alla mente, formando nodi dolorosi nel suo cuore… nel suo stomaco.


Digrignò i denti, impedendo alle lacrime di riempirgli gli occhi, e accarezzò di nuovo la superficie ghiacciata del fiume, mentre, in lontananza, udiva sordo un colpo di pistola.


"Questa città è impazzita, Luce..." Scosse la testa. "Persino i demoni l’hanno abbandonata..." Chiuse la mano a pugno, mentre lentamente si rimetteva in piedi.


"Io...spero...che.potrai perdonarmi" Soffiò, abbassando la testa.


"Per tutto"


La voce gli si incrinò, ma ancora una volta lottò, affinché le lacrime non gli riempissero gli occhi.


Le lacrime non avrebbero riportato indietro Tanya… niente avrebbe potuto ...


La sua anima è volata in cielo...


Chiuse gli occhi, stringendosi nelle spalle.


"Io te lo giuro..." Disse, e la sua voce era roca, gutturale.


"Pagheranno..."


Sollevò la testa.


Stelle splendevano nel cielo blu violaceo di quella notte, abbaglianti, quasi quanto la notte in cui aveva ballato con la sua sposa, poco lontano da lì.


"Per quei bambini, per i sensi di colpa di Angel...per la mia schiena...e per te, Luce...te lo giuro."


Si guardò attorno.


Gli uomini vicino al fuoco lo guardavano, e Spike si limitò a ringhiare, lasciando che il volto del suo demone facesse capolino per qualche istante, deformando i suoi tratti umani.


Gli uomini arretrarono, e Spike diede loro le spalle, mentre le sue dita si stringevano attorno al bastone, pronto ad usarlo, se fosse stato necessario.


Ma non quella sera.


Non sulla riva di quel fiume.


Non in quella città, già troppo ferita.


La città che Tanya aveva amato così tanto.


Camminò lentamente, senza vedere quanto lo circondava, senza soffermarsi sul contrasto stridente tra i suoi ricordi e la realtà.


"Venga pur meno il sangue nelle vene" Recitò a bassa voce, mentre si avvicinava al palazzo dove viveva, e versi letti anni prima, in una serata tranquilla, gli venivano in mente.


Li aveva letti Tanya, sottovoce, come sempre faceva quando qualcosa colpiva la sua immaginazione, il suo cuore.


"La tenerezza non vien meno in cuore" Continuò aprendo il portone, e richiudendoselo dietro le spalle con un tonfo pesante.


"Ultimo amore, o tu!" Deglutì, mentre sentiva la scia sottile di una lacrima rigargli una guancia.


La scacciò con un gesto della mano, e lentamente salì le scale.


Si fermò, e gli occhi si posarono sulla casa sua e di Tanya.


Un'altra lacrima gli rigò il volto, e questa volta non fece niente per fermarla, mentre, sottovoce, mormorava: "tu sei felicità e disperazione..."


Scosse la testa, e si passò una mano davanti al volto.


Sapeva che Angel lo aspettava in piedi, così come sapeva che aveva dovuto sforzarsi per non seguirlo.


Forzò un sorriso sul suo volto, prima di aprire la porta.


Angel era seduto di fronte il caminetto, stringendo tra le mani quello che aveva tutta l'aria di essere un libro di filosofia, e Spike scosse la testa, incredulo, mentre gettava il bastone sulla cassapanca .


"Seratina divertente, eh?"


Angel chiuse il libro, appoggiandolo sul bracciolo della poltrona.


"Interessante..." Commentò.


"Già" Spike si tolse il cappotto, gettandolo poi su una sedia, e sorrise, questa volta sinceramente, all'espressione esasperata che si dipinse sul volto del suo sire.


"Senti Angel" Mormorò, avvicinandosi. "Stavo pensando una cosa..."


Angel sgranò gli occhi, fingendo sorpresa, e Spike sbuffò, mentre l’altro incorciava sul petto le braccia, rispondendo: "Sono tutto orecchi..."


"E se ce ne andassimo da San Pietroburgo?


Insomma..." Il suo volto divenne serio, mentre continuava. "Non c'è più niente che ci leghi a questa gabbia di matti...


Eleanor è in Inghilterra...e Luce...beh, non c'è neanche il suo corpo qui..."


Complimenti, vecchio mio... senza neanche una lacrima...


Angel rimase in silenzio per un istante, un solo, lunghissimo, istante, e Spike si ritrovò a stringere le mani contro le cosce, aspettando la sua risposta.


Poi, il suo sire riprese il libro, lo aprì, e lo guardò brevemente, prima di mormorare: "Va bene..."


Spike annuì, sollevato, e si diresse nella sua stanza.


Si voltò poi in direzione dell’altro, e, con un sogghigno, commentò: "Ah, Angel? Per esperienza personale: Hegel è molto più comprensibile… se il libro lo tieni diritto!"


Non potè vedere il sorriso divertito che Angel gli rivolse, ma sentì chiaramente il sollievo, celato nei suoi borbottii...


E sollievo, misto al consueto senso di vuoto, gli serpeggiò dentro, al pensiero che presto, molto presto, avrebbero lasciato la Russia.