UNA
NOTTE DI NEBBIA
Di PrincesOfTheUnivers
Discalimer: nulla di tutto ciò è mio,
ma del solito Joss Whendon
e della Mutant Enemy. Il
Personaggio di Elena è di quasi mia invenzione.
Rating: assolutamente per tutti.
Pairing: nessuna
Ambientamento: quinta
stagione di ATS, prima di ‘A hole in the world”
Per qualsiasi commento, scrivere a monica_placebo@libero.it
Questa FF è dedicata alla
mia Sire Notturna: lei mi ha dato le direttive primarie e io ho sviluppato la
storia come volevo. Spero le piaccia il mio lavoro. Un bacione.
UNA NOTTE DI NEBBIA
La giornata era umida e fredda, come molto spesso
accadeva in quella stagione nel mezzo della Pianura Padana. Dicembre era ormai
in procinto di terminare e portava con se l’odore tipico delle feste. All’uomo
seduto sull’Intercity Milano-Venezia, le feste non
piacevano proprio, troppi ne aveva visti di Natali, la metà dei
quali passati, probabilmente, a squarciare gole per divertirsi e l’altra
metà passati ad espiare una quantità di peccati inimmaginabili. Angelus odiava
la felicità del Natale, le sue torture migliori le aveva fatte sotto le feste,
voleva potersi beare di quella felicità intrinseca delle persone che agognano
una fetta di panettone e qualche pacchetto da aprire. Angel, invece, odiava il
Natale proprio perché gli ricordava meglio i peccati dell’Angelus. Era una
spirale da cui non riusciva ad uscire.
Almeno quel viaggio in Italia lo esentava dal cenone
e dal pranzo che sicuramente Fred, con l’aiuto del pazzo Lorne,
aveva messo su alla Wolfram &Hart.
Perfino Spike si era buttato anima e corpo nello shopping festaiolo, per non
parlare di Wes o Gunn. Lui
no, voleva essere solo, per immergersi meglio nella sua malinconia.
Il viaggio sarebbe stato breve, ormai. Era sceso
all’aeroporto di Linate, per poi prendere il treno che lo avrebbe portato a
Brescia, dove avrebbe dovuto trovare un avvocato della sede Italiana della W&H per poter mettere a tacere un conflitto tra clan
demoniaci. Poteva tranquillamente mandare l’ultimo pivello assunto nel suo palazzo, ma quel viaggio era un’occasione troppo ghiotta per
la sua solitudine.
Non aveva mai viaggiato molto in Italia, era un
paese troppo soleggiato per i suoi gusti, ma doveva ammettere a se stesso che l’atmosfera
gli si addiceva parecchio: una spessa coltre di nebbia non gli permetteva di
vedere ad un palmo dal suo naso, gli ricordava molto
“Liam!! Liam!!” la piccola Katie lo chiamava dalla porta. Si era lavata
per bene e si era messa il vestito nuovo per la festa, eh già, proprio per il
Natale, l’ultimo passato in casa prima che lui venisse preso da Darla.
“Che c’è?” le
aveva risposto con voce biascicata. Stava appena uscendo dalla sbornia della
sera prima.
“Devi aiutarmi per il pranzo. Me lo avevi
promesso.” Si era messa le mani sulla vita cercando di essere minacciosa e in
quel momento a Liam sembrava di rivedere sua madre,
lo stesso cipiglio.
“Adesso arrivo. Mi do
una lavata, va bene?” per lei avrebbe fatto di tutto, anche smaltire la sbronza
in dieci minuti, se glie lo avesse chiesto.
Katie, la prima donna che non era riuscito a proteggere.
L’aveva uccisa dopo averle fatto vedere il padre agonizzare nel suo stesso
sangue. Lo aveva pregato e lui l’aveva uccisa. Un lampo di dolore passò nei
suoi occhi scuri, nient’altro tradiva la sua inquietudine.
Quante donne aveva conosciuto,
sedotto e ucciso. Era uno dei suoi divertimenti maggiori, portare giovani donne
alla pazzia e poi abbeverarsi del loro dolce sangue. Il risultato migliore era
stato sicuramente Drusilla. Oh, che dolce e perverso
capolavoro il suo. Anche lei amava il Natale, da buona Cristiana qual era stata
e cercava sempre dei bei regali. Le piaceva entrare nelle case dove c’erano
bambine, perché di sicuro avrebbe trovato delle bambole. Stragi di innocenti,
pensò Angel, eppure mi divertivano così tanto. Dopo il banchetto di solito si
lasciava andare ad una sessione intensa di sesso selvaggio con le due vampiresse e con William, quando entrò nel gruppo. Anche
tra maschi se l’erano spassata non poco.
Dopo l’anima finiti i bagordi, solo
espiazione. Ricordava nitidamente un solo Natale, con Buffy, quando a Sunnydale nevicò
per la prima volta. Era stato sul punto di suicidarsi prendendosi la tintarella
a causa delle illusioni del First. Se lo ricordava come un Natale dolce eppure
pieno di rimpianto. Rimpianto per Buffy, un’altra
donna che non era riuscito a proteggere infine. Un altro errore. Una cotta che
aveva trascinato entrambi in un turbine di dolore, qualcosa che non sarebbe
dovuto iniziare mai. L’aveva amata, ma ora era definitivamente finita, rimaneva
in lui soltanto l’affetto per una ragazzina troppo giovane, eppure
terribilmente vecchia a causa del suo lavoro.
Prese a guardarsi attorno: il vagone era quasi
completamente vuoto, probabilmente nessuno era in vena di viaggiare con quel
tempo e sotto le feste. C’era una ragazza sull’altro lato che lo guardava come
se fosse un canarino e lei il gatto. Era molto giovane, capelli tinti di nero e
lucidi, occhi pesantemente truccati. Aveva dipinto un sorriso malizioso puntato
verso di lui. Quando si accorse che Angel la stava guardando, la ragazza
accavallò le gambe in un gesto esasperatamente lento, come per poter mostrare
meglio la mercanzia, facendo così alzare la gonna di qualche centimetro. Le
labbra erano state colorate con un rossetto rosso acceso. Per un attimo Angel
pensò a quale modo la ragazza potesse usare quelle labbra su di lui, ma subito
si pentì di quel pensiero leggermente blasfemo per il periodo. Gli venne da
sorridere e la ragazza, convinta che fosse per lei, si alzò dal suo posto per andare
da lui.
“Ciao.” Lo salutò con fare seducente. Angel la
soppesò, doveva avere sedici, forse diciassette anni. “Che ci fa un bel ragazzo
tutto solo su un treno alla vigilia di Natale?” chiese sedendosi davanti a lui.
“Potrei fare la stessa domanda a te.” Rigirò lui con
voce calma.
“Cercavo qualche incontro interessante e credo di
averlo trovato.” Gli rispose facendo intravedere la lingua tra i denti. La
ragazza si tolse la scarpa e passò il piedi sulle
gambe di Angel risalendo sempre di più. Spudorata fino in fondo. Angel la fermò
pochi centimetri prima del suo tesoro di famiglia.
“Stai giocando la persona sbagliata.” Le disse
solamente, per poi riprendere a guardare fuori. La tendina leggermente tirata
gli permetteva di non aver problemi con un riflesso che non c’era e che avrebbe
dovuto esserci.
“Avanti, non dirmi che non
ti piacerebbe. C’è poca gente sul treno, potremmo andare in uno scompartimento e
divertirci. Dai straniero, scommetto che ti farei
venire in pochissimo tempo.” Angel pensò che erano veramente
cambiati i tempi, le ragazze di oggi erano molto più intraprendenti dei
loro coetanei maschi. Grazie al cielo doveva scendere. Non che una ragazzina di
quel livello potesse metterlo in difficoltà con le sue richieste di sesso
facile, ma non gli andava di mettersi a discutere.
“No, piccola. Questa è la mia fermata.”
Lei mise il broncio, avrebbe dovuto cercare ancora, ma le venne in mente
un’idea.
“Sarà per la prossima volta, stallone.” Lo salutò e
prima di andarsene gli prese la mano e se la infilò dentro la gonna, in modo
che lui potesse sentire che portava delle autoreggenti e che era senza slip,
poi si girò e mandandogli un bacio, si allontanò.
“Mio Dio, sono incredibili.” Disse piano Angel
scendendo dal treno.
La stazione era quasi deserta. C’erano qualche
poliziotto e alcuni tecnici delle FS ben attenti a restare nella capannina a
guardare la tv dal piccolo schermo azzurro che Angel intravedeva. ‘Voglia di lavorare, zero.’ Pensò.
Superò tutta la stazione fino a ritrovarsi
all’entrata, dove avrebbe dovuto trovare qualcuno che lo attendeva. Appoggiato
su una Fiat Punto bianca con la luminaria del Taxi, Angel vide che lo stava
aspettando con un cartello in cui c’era scritto il suo nome da mortale, Liam O’Connor, un uomo sulla
quarantina, stempiato e con la pancia prominente. Gli venne istintivo fare una
smorfia… quante cose sapevano di lui?
“Buonasera.” Disse all’uomo che lo stava squadrando
curioso.
“Salve. Lei è il signor O’Connor?”
“Sì, ma preferirei mi
chiamasse Angel. Il signor O’Connor era mia
padre.” Rispose secco, sperando che il tassista non parlasse troppo.
“Niente valigia?”
“No.”
“Non si ferma quindi. Immagino cercherà di
tornare a casa per il Natale. Viaggio di lavoro… immaginavo, visto che sono già
stato pagato. Succede qualche volta.” Niente da fare, parlava
e anche troppo per i gusti di Angel.
“Dove andiamo?” chiese il vampiro.
“Poco fuori Brescia. Un posto strano in
realtà, la campagna non è il massimo. Di solito gli uomini d’affari mi mandano
a Milano, non qui. Ma almeno fa bene cambiare giusto? È la prima volta che
viene qui?” Il demone di Angel scalpitava sotto pelle.
Aveva voglia di strangolarlo, ma si diede una calmata.
“No, ci sono passato anni fa.” Rispose laconico.
“Il suo italiano è ottimo, complimenti.”
“Grazie.”
Angel si perse guardando le luci della città. Non
erano molto forti, grazie alla spessa coltre di nebbia. Si domandò se quel muro
era un effetto di una magia o se fosse una cosa naturale, ma guardando i volti
dei cittadini e anche la tranquillità del tassista, arrivò alla conseguenza che
quell’evento atmosferico era comune per quella terra. Più si allontanavano
dalla stazione e più le vetrine dei negozi si facevano rade. Adesso oltre al
finestrino c’erano solo case. L’uomo guidava sciolto, sapeva perfettamente dove
portarlo.
Ormai erano in macchina da una ventina di minuti: la
città era passata, intorno a sé Angel non vedeva nulla, solo quella massa
bianca ancora più fitta. Doveva essere un bel problema se anche il suo autista,
che di sicuro era più abituato di lui, dovette rallentare. Infine la macchina
prese una piccola stradina sterrata e dopo una cinquantina di metri si fermò.
“Ecco qua. Arrivati. Io la aspetto
qua dentro. Se non è strano trovarsi in sto posto, io
non lo so. Faccia un po’ lei!” Angel uscì dall’auto che il
suo accompagnatore stava ancora brontolando.
Nonostante la sua vista da vampiro, Angel non
riusciva a vedere al di là del suo naso. Però, quest’ultimo, funzionava a
meraviglia. Aspirò subito un odore forte di acqua di colonia e odore di uomo
sudato. Nervoso, pensò.
“Angelus, bene arrivato in Italia.” La voce lenta,
strascicata e con pesante accento lombardo.
“Preferisco Angel.” Rispose serafico lui.
“Oh, certo…l’anima.” Non capì se lo stava prendendo in
giro. Dal grigio della nebbia uscì l’avvocato in completo gessato e un lungo
cappotto di lana cotta di taglio elegante. Poteva tranquillamente assomigliare
ad un essere umano, non fosse per la lunga coda sottile, il volto assomigliante
a quello del diavolo classico e le mani con tre dita, il tutto coperto da una
folta e curata pelliccia blu. “Io sono l’avvocato Bellini.” E gli porse la
mano. Angel accettò scrutandolo il più possibile.
“Come mai ci siamo ritrovati in questo posto
disperso?”
“Qui nessuno ci potrà
spiare.
Deve capirci, signor Angel, siamo Italiani, sangue caldo, immagino che lei lo
sappia.” E gli sorrise
storto.
“E quindi?”
“Quindi, questa trattazione non fa piacere a tutti i
demoni.”
“Del clan?” la risata del diavolo gli fece
accapponare la pelle.
“No. Il clan dei Xendra è unito ed è d’accordo.
Troppi ne hanno persi, per continuare questa faida con i secessionisti. Ma ad
altri, coloro che si giocano il territorio di Milano, non fa comodo che i Xendra tornino a tempo pieno ad
occuparsi della città. Stanno facendo di tutto per fermare la trattativa… anche
uccidere gli avvocati della Wolfram. Giocano pericoloso.” Angel ascoltava con interesse il racconto del
diavolo. A Los Angeles era
“Capisco. Dammi i documenti che ce ne andiamo via.”
“Non sei abituato alla
nebbia?
E sì che sei Inglese.”
“Irlandese, prego.” L’altro fece spallucce e presa
da una piccola ventiquattrore una anonima busta gialla.
“Qui trovi tutto quello che
ti serve.
Mi raccomando, attento mentre te la porti dietro, sono importati queste carte.” Angel gli lanciò un’occhiataccia ringhiando. Quel tipo gli
stava sulle palle da quando era sceso dall’auto. “Ok, ok, non
arrabbiarti. Ci tengo al collo.” Si girò e sparì di nuovo nella nebbia.
Finalmente solo.
Stava per raggiungere l’auto, quando si bloccò. Uno
strano profumo stava arrivando fino a lui. Era qualcosa di ancestrale, di
classico, meglio. Un profumo di gran dama e non potè non
pensare a Darla e ai suoi di profumi. A differenza della sua Sire, però, qui
non sentiva il retro odore del sangue. Chiunque si stesse avvicinando non era
un vampiro.
“Ehi, vai pure. Torno a piedi.” Disse
all’autista che stava ascoltando la radio.
“Cosa? Ma ci sono almeno
“Non importa, la notte è
lunga. Vada a casa, è Natale.”
“Come vuole… “ ingranò la marcia e corse via,
lasciando Angel solo nella nebbia.
Il vampiro camminò per la stradina, aspirando
profondamente l’odore della campagna Padana, fatto di terra umida e acqua
stagnante. Eppure, di sotto, sempre il profumo di donna.
Donne, donne, donne… quante ne aveva avuto nella sua
vita? Innumerevoli, impossibile da contare. E tutte erano state errori: non
doveva seguire Darla nel vicolo, non doveva far impazzire Dru,
non doveva innamorarsi di Buffy. Per non parlare della algida Kate, o di Nina. Solo Cordelia sembrava quella giusta e l’aveva persa.
Morta senza riuscire a risvegliarsi dal coma e, nonostante tutto, aveva fatto
di tutto per aiutarlo per la battaglia finale.
Un leggero rumore di passi lo fece girare. Chiunque
fosse, era vicino. Forse un demone che voleva i documenti ora posti al sicuro.
Aspettò il suo avversario sotto uno dei lampioni della strada provinciale in
modo da sfruttare la luce, anche se soffusa a causa nebbia.
“Chi è là?” chiese, ma non udì nulla in risposta.
Scrutò con attenzione i dintorni, aguzzando i
penetranti occhi scuri, fino a quando qualcosa si mosse nella nebbia. Una
persona, sicuramente, non un demone, ma neppure un’umana, pensò Angel, che
aveva capito subito che era una donna. I suoi sensi erano come impazziti,
c’era, in quell’ombra, qualcosa che il vampiro non riusciva a capire.
Non riusciva bene a vederne i tratti a causa della
coltre bianca, ma la figura era alta, indossava un vestito lungo, di colore
scuro, capì che era un mantello pesante. Man mano che si avvicinava diventava
più visibile, il cappuccio, però non gli permetteva di scorgerne il volto, fino
a quando non furono distanti pochi metri.
Angel, finalmente, potè
vedere chi aveva davanti. Era una donna, ma questo lo sapeva già, abbastanza
alta, con i lineamenti del viso forti, decisi. Lo stava guardando con sorpresa,
evidentemente anche lei non si spiegava come mai un uomo se ne stesse al
freddo, in mezzo alla pianura, di notte alla Vigilia.
“Un vampiro.” La voce era tranquilla, come se avere
Angel davanti a se fosse cosa del tutto naturale. Morbida, aveva pensato lui,
quando l’aveva sentita parlare.
“Sì, lo sono.” Gli sorrise.
“E che ci fai qui? Non
dovresti essere a succhiare qualche collo?” prese a fissarle gli occhi e per
uno strano scherzo, pensò a Spike. Aveva il suo stesso colore, blu
chiaro e la stessa malizia nello sguardo.
“Non succhio sangue umano da un po’…” sussurrò Angel
come incantato.
“Ah, l’Angelus caduto!” e proruppe in un risata cristallina. “Vuoi farti un giro con me per la
campagna?” di voltò verso dove era venuta e cominciò a
camminare piano.
“Come mi conosci?” chiese Angel astioso. Lei sapeva
chi era lui, ma lui non aveva idea di chi fosse.
“Io so un sacco di cose. Cammino da molto per questi
campi. Una volta erano miei.” Poi si rabbuiò un secondo prima di riprendere a
parlare “Se non fossi morta, ovviamente.” Angel si bloccò.
“Sei un fantasma.”
“No, senti qua.” Gli tese una mano da sotto il
mantello: era piccola, elegante e affusolata, molto pallida
ed ingioiellate. Il braccio era coperto da una manica di un vestito di
broccato rosso di lavorazione tipica medioevale, con dei ricami dorati richiamanti
delle foglie. Doveva essere costato, all’epoca, tantissimo. Angel prese la mano
che gli veniva offerta e potè sentire le dita fra le
sue. Era decisamente corporea.
“Bene, non sei un fantasma. Che cosa
sei?” lei non gli rispose, ma sorrise e basta.
“Non è la domanda giusta questa.” Sibillina, pensò
Angel.
“Perchè vuoi che stia qui
fuori con te?” provò allora lui.
“Io non ti ho chiesto nulla. Sei tu che rimani qui.
A me fa piacere, perché sono sempre sola, ma se vuoi puoi lasciarmi.”
Ma lui la voleva lasciare? Questa era la domanda
fondamentale per Angel. No, si rispose, voleva restare con lei, lo incuriosiva.
Gli occhi di lei, così magnetici, lo chiamavano, lo legavano e lei.
“Chi sei?”
La ragazza rise un po’.
“Finalmente hai fatto la domanda giusta. Mi chiamo
Elena da Primino, detta da tutti
Elena
“E cosa ci fai qui?” L’espressione di Elena divenne
malinconica.
“È la mia maledizione. Sono legata qui, a questi
che ora sono campi. Poco lontano da qui era situata la magione di mio padre,
era un ricco mercante e queste erano le sue terre.”
Disse facendo un gesto con la mano, come per mostrare al suo interlocutore lo
spazio circostante.
“Non ti seguo. Sei
stata maledetta, ma sei morta, giusto?” Elena lo guardò con la fronte
aggrottata.
“Non sei un uomo che sappia cosa sia il tatto vero?”
“Io…scusa.” Lei fece spallucce.
“Non importa.” Disse contenta. “Vuoi che ti racconti
la mia storia?” chiese poi speranzosa.
“Uhm… ok.”
“Non ti interessa, vero?” chiese lei inquisitoria.
“No, cioè, si mi interessa. Sono
incuriosito dalla tua presenza qui.” Rispose lui tranquillo, come al suo
solito. “Parlami di te.”
Elena guardò verso l’alto, come a cercare quella
luna nascosta.
“Vivo qui. Proprio
in questo punto…” e così dicendo battè con un piede a
terra. “…qui mi hanno sepolta, con questo vestito. Solo mia madre era
triste, mio padre era stizzito, ma contento, si liberava di un peso non
indifferente.”
“Un peso?” lei annuì.
“L’unica figlia di un ricco mercante, malata. Questo
era un terribile peso ai miei tempi. Ero segregata in casa, non volevano farmi
vedere da nessuno, però gli anni passavano ed era il mio momento di maritarmi.
Doveva lasciare il suo patrimonio al suo erede, solo che non potevo essere io,
che ero donna, ma, almeno, sperava che avessi io un figlio maschio.”
“E allora perché la tua morte sarebbe stata una
liberazione?” lei lo guardò storto.
“Non riesci ad aspettare che le cose le racconti io per tempo. Vuoi sapere
sempre tutto e subito?”
“Scusa.”
“Allora, dovevo sposarmi, solo che non c’erano molti
pretendenti per me, anzi, praticamente nessuno. Nonostante la grande ricchezza
di mio padre, la paura che i figli potessero uscire malati era troppo forte.
Sembrava fossi destinata a restare zitella, almeno per mio padre. Ciò che lui
non sapeva era che io avevo l’abitudine, durante le belle serate, di uscire.
Prendevo un mantello e camminavo per le campagne, per il giardino della mia
magione. Quei pochi che mi vedevano erano convinti che fossi una strega, ma non
sono mai riusciti a vedermi in faccia e quindi… bhe
meglio per me.” Sorrise al ricordo. “Fu
in una di quelle passeggiate che si compì il mio destino. Ero nel mio
giardino, seduta su una panca di pietra, tra le rose profumate. Era maggio sai,
quei fiori riuscivano a coprire l’olezzo dei miei tempi. Questa è una delle
cose che non rimpiango, sai? Comunque, ero la a pensare a solo Dio sa cosa,
quando lo vidi. Era a torso nudo, con una vanga in mano che mi guardava stupito.
Non capiva cosa ci faceva una ragazza nel mezzo della notte in un giardino,
vestita come una gran dama. Era incredibilmente abbronzato, massiccio, con due
spalle simili alle tue, era sporco di terriccio, completamente sudato, con i
capelli che si appiccicavano sulla fronte e quei due occhi neri come la notte
che mi fissavano stupiti.” Aveva il tono sognante di
una ragazza innamorata. “Poi iniziammo a parlare.”
“Chi siete, signorina? Questa è
proprietà privata.” Chiese il ragazzo ad Elena ancora imbambolata a fissarlo e
siccome lei non dava segni di rispostale passo il palmo davanti agli occhi.
“Ehm…questo
giardino è mio, o meglio, è di mio padre.”
“Oh Madre
Santa, mi spiace, mi scusi… sono stato…villano.”
“No,
figurati. Io non pensavo ci fosse qualcuno, credevo fossero tutti a dormire.”
“Dovevo
finire un lavoro… così ho approfittato. Non dovrei essere qui, vostro padre non
ne sarebbe felice.” Si bloccò e poi chiese con
apprensione “Non gli dirai che ero qui, vero?”
“No. Tanto io e lui non ci parliamo
mai.”risponde lei con voce poco entusiasta, lasciando
il ragazzo perplesso.
“Bhe, signorina, credo che me ne andrò. Vi lascio sola come volevate essere.” Fece un inchino, ma mentre stava
per andarsene, lei lo bloccò. Si era alzata in fretta e aveva lasciato la mano
a metà, indecisa se prenderlo per il braccio oppure no.
“Aspettate. Se volete, potete
restare, non mi date fastidio, anzi…mi fa piacere parlare con qualcuno che non
sia la mia cameriera.” Sembrava imbarazzata per la
proposta alquanto ardita che aveva fatto. Una ragazza di buona classe come lei
non poteva permettersi di allacciare amicizie con la servitù, almeno questo le
ripeteva sempre sua madre. Infatti anche il
giardiniere pareva piuttosto confuso, ma tornò a girarsi posando la vanga a terra.
“Come volete, signorina. Resterò un po’ qui.” Elena sorrise.
“Come vi
chiamate?” chiese lei.
“Io mi chiamo Alessandro. Lavoro qui
da quando ero piccolo, metà di questi fiori li ho piantati io.”
“Anche queste
belle rose?”
“Anche
quelle.” Era sempre in piedi davanti a lei, non si poteva permettere di muovere
se lei non gli avesse dato l’ordine di farlo. “E voi siete…?” chiese Alessandro
titubante.
“Io sono
Elena da Primino.” Lui rimase piuttosto scosso. “State calmo. Non mordo.”
“Scusate… quindi voi siete Elena
Lei fece una
piccola smorfia.
“Elena
“Un po’ tutti. Il fatto che la figlia di
Roberto da Primino, grande mercante, dama di sicuro
matrimonio, non si faccia mai vedere alla luce del giorno, alimenta le voci nel
villaggio. Forse non avrei dovuto parlarvene.” Sembrava
dispiaciuto.
“No, un po’ me lo aspettavo. Ma non è colpa mia.”
“Parlammo per buona parte della notte e anche delle
notti dopo. Alessandro ero un bravo ragazzo, lavorava sodo, lo spiavo durante
il giorno e qualche volta gli davo una mano io se aveva cose poche faticose da
farmi fare. Diventammo amici, ero molto felice, non avevo mai parlato con
nessuno prima di lui che venisse da fuori la casa.”
Angel la seguiva rapito. Ancora non riusciva a
capire che cosa le stesse facendo quella donna: erano le undici e mezza di
notte, la nebbia li avvolgeva come una umida coperta e
lui stava in mezzo ad un campo ad ascoltare la storia di una dama vissuta
secoli prima. Non aveva senso, eppure lui non avrebbe voluto essere da nessuna
altra parte in quel momento.
“E poi?” le chiese curioso.
Il volto di Elena di fece più dolce ancora.
“E poi… e poi il passo fu
breve.
Ci innamorammo, ovviamente. Era difficile resistere la alla tentazione se lui
passava le notti a petto nudo lavorando la terra con me davanti. I nostri
incontri si fecero più caldi di notte in notte. Nessuno si faceva problemi se
io andavo fuori di sera, mio padre aveva dato disposizione che non venissi
disturbata, dato che di giorno ero confinata nelle mie stanze, quindi nessuno
ci poteva vedere. Ma le cose non vanno mai bene per sempre.”
Sospirò profondamente.
“Che è successo?” chiese Angel.
“Mio padre mi trovò un marito. Era un vecchio
destinato a morire a breve, però senza figli legittimi a cui lasciare il suo
patrimonio. Fu uno shock per me, io volevo sposarmi per
amore, speravo che la mia malattia facesse desistere chiunque, invece…” la voce
aveva il tono triste. “…invece mi sarei sposata da li
ad una settimana.”
Elena prese a camminare piano, come gravata da un
enorme peso. Angel la guardava con interesse crescente. Quella ragazza piena di
rimpianto e di tristezza, lo faceva sentire…bene, cosa che a Natale non gli
succedeva mai.
“Lo dissi ad Alessandro,
ovviamente, la sera stessa che lo venni a sapere. Era distrutto. Non che
sperasse di potermi sposare lui stesso, era solo un giardiniere, mentre io ero
una quasi nobildonna, ma entrambi speravamo di poter continuare a vederci nel
mio giardino. Facemmo l’amore, quella notte, fra i petali delle ultime rose e
il terriccio umido. C’era tra noi una sorta di quieta disperazione mentre ci
davamo l’una all’altro. Una rassegnazione che nella mia vita non avevo mai
provato. Stavo per perdere l’unica persona che mi aveva ascoltato, l’unica che
avevo amato con tutta me stessa.” Aveva gli occhi
lucidi ora, a ricordare. “Tu lo hai mai provato, Angel?”
“Cosa?” chiese il vampiro stranito.
“L’amore che ti sconvolge una vita e perderlo.”
Angel ci pensò su, poi sorrise
amaramente, tanto era ovvia la risposta.
“Sì, l’ho provato.” Elena
si accorse immediatamente del tono di nostalgico rimpianto di lui.
“Che cosa ti è successo?
Sempre che tu ne voglia parlare. Non sembri uno che chiacchiera molto, vero?”
“Non sono molto bravo a
dire le cose. Che vuoi, io un vampiro e lei
“Sì?”
“Questo tuo tono scettico
non mi piace, Elena.” Lei rise leggera.
“Hai dovuto lasciarla… e
adesso mi dirai che lo hai fatto per il suo bene, suppongo.” Continuava con il
sarcastico, pensò Angel.
“Non l’ho fatto solo per
lei, l’ho fatto soprattutto per me. Ho fatto un macello quando ho perso l’anima
e non posso permettermi che succeda di nuovo. Quindi devo starle lontano,
perché nel momento in cui la rivedo, perdo il controllo, anche se non sono più
innamorato. Credo che il mio demone sia ancora ossessionato da lei.”
“Una ammissione
piuttosto profonda.”
“Sembrerà
strano, ma non sono stupido. Un po’ lento nel capire i sentimenti, forse, ma
non stupido. Riesco a sentire quello che si agita dentro di me.” Rispose tranquillo Angel.
“E adesso
non hai nessuna ragazza che ti fa battere il cuore? Ops, scusa la battuta.”
Chiese lei con un sorrisino sulle labbra.
“Una ce ne, mi ha fatto
anche un vaso, ma non è Il grande amore e intendo quello con
Elena non disse nulla, si
limitò ad osservarlo in silenzio. Quel vampiro gli piaceva, strano, non aveva
mai sopportato le creature oscure che giravano per la pianura, ma lui… quel
misto di malinconia e senso di colpa che la affascinava. E poi, diciamocelo,
era decisamente sexy.
“E la tua
storia?
Non mi hai ancora spiegato perché sei qui a vagare nel mondo.”
Lei annuì e prese a ricordare.
“Perché non vuoi essere mio? Le nostre famiglie sarebbero felici. Alessandro,
ascoltami!” La procace ragazza dai capelli rossi prese il giardiniere per il
braccio.
“Non ti ascolto perché non c’è nulla da dire. Non ti voglio sposare
Maddalena, non mi interessi.” Rispose lui
divincolandosi dalla stretta di lei. “Lasciami in pace!”
“Allora è vero…”
“Vero cosa?”
“Elena
“Tu sei pazza. La figlia del padrone con me? Devi aver perso completamente il senno.”
sperò di essere convincente, ma Maddalena non sembrava
intenzionata a cedere.
“Me lo hanno detto i sogni e loro non mentono mai.”
“Non puoi credere a queste cose. Non sono vere!” si accorse avere un tono leggermente
atterrito.
“Lo sono e lo sai anche tu. Ma io non mi fermo qui. Farò in modo che tu
non possa averla, mai!”
“E ha
mantenuto la sua promessa. È stata lei a maledirmi.” Disse Elena triste.
“Era una strega?”
“Si,
lo era. Aveva i capelli rossi e come buona rossa naturale aveva poteri magici.
La sua famiglia era molto conosciuta per le loro capacità di guarigione. La
magia era bandita, ma lei ne faceva largo uso. Io le portai
via l’uomo…”
“E lei si
vendicò.
Dico bene?” Elena annuì.
“Solo che arrivò troppo
tardi per uccidermi, a quello ci aveva già pensato mio padre.”
Angel alzò le sopracciglia sorpreso.
“Mio
padre era stufo delle mie scappatelle notturne in giardino e quindi mi proibì
di scendere fino al giorno delle nozze. Ma io dovevo vedere Alessandro, dovevo
farlo, dovevo dirgli addio, almeno un’ultima volta, così disubbidii. Scesi e lo
amai con tutta me stessa, come se l’indomani non dovesse arrivare. Ci
lasciammo, non ti sto a raccontare i dettagli, furono soprattutto lacrime e fu
in quel momento, quando lui scavalcava il muro di cinta del giardino, che arrivò
mio padre.” Lo sguardo di Elena si offuscò al ricordo.
“E immagino che non gli
abbia fatto piacere.”
“Proprio no. Ha cominciato
ad urlare, dicendo che io disonoravo la sua famiglia, che ero solo una puttana
che non meritava nulla. Avrebbe annullato il matrimonio spedendomi in convento.
Se si fosse limitato a darmi in moglie non ci sarebbe stato scandalo, ma non
era tipo da lasciar perdere un affronto. Che casino che ha
fatto… “
La nebbia stava cominciando
a dissiparsi, Angel riusciva finalmente a scorgere la luce della luna, anche se
era ancora solo un alone.
“Bhe,
tra il convento e la morte il passo non breve.”
“Maddalena andò da mio
padre e gli disse che mi aveva visto mentre lanciavo un incantesimo su
Alessandro per legarlo a lui e che avevo fatto ad altri uomini cose simili.
Ecco, per papà fu il modo giusto per non avere colpa della mia anormalità. Ero una strega, dovevo bruciare al rogo.”
Angel rimase senza parole.
Il rogo, la punizione più dolorosa, morire tra atroci tormenti, con il fumo che
ti entra nel naso e nella gola, mentre i piedi venivano lentamente
carbonizzati. Represse un brivido, inusuale per lui.
“Mi spiace.” Disse solo.
“Grazie, ma ormai è
successo da così tanto tempo…” fece spallucce, come se la cosa fosse stata
irrilevante. “Alessandro seppe della mia condanna e cercò di discolparmi, ma il
prete della casa l’ho additò come indemoniato e fu ucciso.” La voce le si ruppe
in gola, mentre delle lacrime scesero sulle bianche guance. Angel non disse
niente, si limitò ad abbracciarla, annusando l’enorme tristezza che
improvvisamente era calata su di loro. Dopo qualche minuto
Elena si riprese e guardandolo negli occhi, lo ringraziò.
“Grazie,
Angel.
Sto bene ora. Non ti preoccupare, la mia storia sta per finire, così potrai
andare a cercarti un riparo per il giorno.” Disse lei
gentilmente.
“Detto tra noi, Elena,
rimarrei ad ascoltarti anche tutto il giorno.” E sorrise.
“Lo sai che sei più carino
quando sorridi? Dovresti farlo più spesso.”
“Non ho molte cose per cui
ridere.”
“L’espiazione
è così terribile? Immagino di sì, con un secolo di massacri sulle spalle. Dovresti finirla però.” Angel
non disse nulla, scosse solo la testa. “Vieni, ti devo mostrare ancora un
posto.” Disse Elena. Camminarono per qualche centinaia
di metri, arrivando davanti ad un grande albero, sicuramente secolare.
“Qui adesso c’è questo
tiglio, ma una volta era la piazza pubblica del mio paese. Qui avvenivano le
esecuzioni e qui io sono bruciata.” Lo guardò con un
sorriso tristissimo. “C’era tutto il paese che mi ingiuriava
e mi urlava contro. A me non interessava nulla, ero morta da quando
avevo saputo di Alessandro, le loro parole non potevano colpirmi. Quando
iniziai a bruciare guardai in giro e vidi mia madre piangere per me, il prete
benedirmi, mio padre sorridere soddisfatto e poi vidi lei, Maddalena, con un
sorriso di puro trionfo. Aveva perso anche lei Alessandro, ma io ne sarei
morta, lei no. Però mi parlò, nella mia testa la sentii mentre declamava la
maledizione.” Rabbrividii al pensiero. “Aveva una voce cattiva, Angel, non avevo mai sentito un odio così
profondo provenire da una persona. Mi disse che sarei stata condannata a
vagare per i luoghi a cui ero legata senza potermi ricongiungere con il mio
amato, fino a quando qualcuno non avesse levato la maledizione. Mi disse che
sarebbe durata per sempre. Il mio corpo è rimasti integro perché si mise a
piovere. Alcuni dissero che era il Signore mi sapeva innocente e che sarebbero
stati puniti.”
Il cervello di Angel prese
a lavorare freneticamente. La storia l’ho addolorava, ma la faccenda della
maledizione non lo convinceva fino in fondo.
“Che ti succede?”
“C’è qualcosa che non mi
torna. Dovresti essere un fantasma, invece sei tangibile. Cosa
è successo?”
“Non ne ho la più pallida
idea, sono sempre stata così. Di giorno io non sono visibile, ma di notte
ritorno ad avere il mio corpo. Bhe, sono o non sono Elena
Sospirò profondamente.
Elena sentiva di essersi tolta un peso dallo stomaco parlando ad Angel, a
raccontargli la sua storia. Era la prima volta che lo faceva, in passato non
aveva trovato nessuno che la stesse ad ascoltare: di giorno gli umani non la
vedevano e di notte di sicuro non andavano in giro per i campi bui a parlare
con vecchi fantasmi, mentre ai demoni di passaggio poco importava della storia
di una dama morta sul rogo. Ma Angel la aveva ascoltata, l’aveva consolata nei
momenti più duri e ora stava pensando a lei, lo capiva dal suo sguardo intenso.
“Ti aiuterò!” esclamò Angel
ridestandosi dai suoi pensieri.
“Cosa?” chiese Elena
stupita.
“Ti aiuterò. Lavoro per uno
studio legale demoniaco molto potente, ho possibilità elevate. Troverò questa
maledizione e il modo per romperla. Te lo giuro, dovessi diventare polvere ora.”
Il giorno stava per
giungere, Angel se lo sentiva dentro, doveva trovare un posto sicuro per
ripararsi. Corsero veloci.
“Di qua, c’è un fienile.”
Elena lo accompagnò, riuscì ad entrarci nell’attimo in cui il primo raggio
colpì il volto della ragazza. Fu l’ultima volta che la vide, gli stava
sorridendo felice ed era ancora più bella.
“Wes,
allora hai trovato qualcosa?” Urlò Angel impaziente. Era tornato dall’Italia da
una settimana e aveva messo sotto tutta l’equipe dell’ex osservatore, ma per
ora i risultati scarseggiavano. All’inizio aveva creduto di sognare, la vita di
Elena, la sua maledizione e tutto il resto, ma grazie
a Wesley aveva ritrovato dei vecchi documenti che attestavano la veridicità
della storia.
Esisteva veramente una Elena da Primino, detta Elena
“Sì, Angel, abbiamo
qualcosa in mano.” Rispose con la consueta calma anglosassone,
Wes. “Ho studiato tutte le maledizioni che mi
ricordavano la tua descrizione e credo di averla trovata. È una
maledizione piuttosto complessa, come difficile sarà toglierla, ma ci
riusciremo.”
Angel
sorrise soddisfatto. “Sì!!” esultò alzando le braccia al cielo.
Improvvisamente si aprì la porta di scatto e fecero capolino Fred e Spike
preoccupati.
“Che c’è? Che succede?”
“Niente, che deve
succedere?” chiese Angel ancora sorridente.
“Stai ridendo,
peaches, e questo non è normale.” Rispose sarcasticamente
Spike.
“Spike, non rompere. Wes, datti da fare e togli quella maledizione. Non avete da lavorare?”
Fred uscì scuotendo la
testa seguita da Spike che parlava a voce alta di quanto fosse strambo il suo
Gran Sire, ma Angel non sembrò farci caso e si rimise
a lavorare tranquillamente, aveva da scoprire la causa di quei sei bambini in
coma con un ghigno stampato sul volto.
Quella notte, verso le
quattro, dopo essere andato a fare un po’ di ronda per i cimiteri, Angel andò a
dormire. Non aveva visto Wes e quindi ancora non
sapeva se la contro maledizione aveva funzionato.
Aveva anche pensato di andare da lui e di svegliarlo, ma aveva creduto che
forse Wesley potesse non prendere bene la sveglia nel cuore della notte. Con i
pantaloni di seta del pigiama addosso e nient’altro, stava a guardare le luci
della città sotto di lui e ripensava al volto di Elena colpito dal sole e
sorrise.
“E così è qui che abiti.”
Quella voce così morbida… non poteva essere, lei era legata alla sua terra.
Angel si voltò e si ritrovò davanti Elena come l’aveva lasciata, con il vestito
di broccato rosso e i ricami dorati. Era bella come se la ricordava.
“Sì, questa è casa mia.”
Rispose tranquillo.
“È molto
bello.
Decisamente diverso da dove abitavo io.” Considerò Elena.
“Non male. Come
mai sei qui?” Lei sorrise dolcemente guardandolo.
“Volevo
salutarti. A breve scomparirò. Ho sentito la voce del tuo amico, quel Wesley Windham-Price, che declamava il contro incantesimo e che mi
diceva che il mio peregrinare per
“Ricordati di ridere più
che puoi Angel, sei più sexy.” Quando si ritrovò di nuovo solo, Angel sentì
scorrere una lacrima solitaria sulla guancia, se la tolse con le dita e la
guardò sorpreso: non riuscì a trattenere un largo sorriso ripensando ad Elena.
“Neppure io ti dimenticherò
mai, Notturna.”