VITA A SPICCHI
Di PrincesOfTheUnivers
Disclaimer: Tutti i personaggi sono di proprietà di Joss Whedon, della
Mutant Enemy e della Fox. La scrittrice non si vuole appropriare di nulla,
tranne dell’originalità della storia. Non scrive a scopo di lucro.
Pairing: ci sono coppie di tutti i tipi.
Rating: per andare sul sicuro metterei un NC-17.
Tipo: AU di genere adolescenziale.
Premessa tecnica.
Il basket è uno sport che si gioca cinque contro cinque. Lo scopo di
ciascuna squadra è quello di segnare nel canestro avversario e di impedire alla
squadra avversaria di realizzare punti.
La squadra vincente è quella che ha realizzato il maggior numero di
punti alla fine del tempo di gioco.
Il campo di gioco è costituito da una superficie piana, dura, libera da
ostacoli avente le dimensioni di m
Sono necessarie le seguenti attrezzature:
• Tabelloni
• Canestri, comprendenti gli anelli e le retine posizionati a
• Struttura di sostegno del tabellone, incluse le protezioni
• Palloni
• Cronometro di gara
• Campo di gioco
• Due squadre
La data di nascita della pallacanestro, nota anche con il nome di basket
(canestro) o basket ball, é collocata nel 1891. Il dottor JAMES NAISMITH,
insegnante di educazione fisica presso l'Università del Kansas, ideò questo
gioco per impegnare in un luogo coperto anche durante il periodo invernale i
ragazzi.
Fu lui a varare i principi fondamentali e le regole che grosso modo
erano quelle della moderna pallacanestro. Sono conosciute come le 13
regole di Naismith, anche se nell'evoluzione tecnica del gioco moderno si sono
introdotte nuove norme, ed altre sono state abolite, per ottenere un gioco sempre più dinamico, veloce e spettacolare.
Le basi del basket sono chiamate Fondamentali e sono quattro: palleggio,
tiro, passaggio e difesa.
Il palleggio serve al giocatore con la palla in mano per muoversi
liberamente nel campo; il tiro serve per fare più canestri degli avversari; il
passaggio per dare la palla ad un proprio compagno; la difesa per evitare che
la squadra avversaria faccia canestro. *
*I regolamenti sono stati ricavati dal vigente Regolamento FIP per i
campionati dell’anno 2005/2006
Capitolo Uno
La palestra l’accoglieva silenziosa: ben pochi la usavano ad agosto, ma
di lì a poco la sua nuova squadra si sarebbe nuovamente allenata in
preparazione al nuovo campionato che sarebbe iniziato la prima settimana di
ottobre.
Monica sospirò forte: per quanto avesse sempre considerato il campo di
basket il suo ambiente naturale, pensò che l’avventura in cui si sarebbe presto
imbarcata fosse molto più grande di lei. Le era stato offerto –Gentile offerta!
Pensò lei- di allenare gli Under-18 della società dei Red Fox, ragazzi che
nessuno voleva allenare. Non che fossero male, avevano una buona tecnica e
buona atleticità, ma avevano tutti caratteri impossibili. Erano rare le partite
che finivano senza un fallo tecnico per proteste contro gli arbitri e lei non
lo tollerava: le cose sarebbero cambiate drasticamente.
Ammirò ancora una volta il bel parquet di legno chiaro, reso lucido
dalla vernice, le perfette righe bianche delineanti il campo di gioco, le due
aree colorate di blu ed i canestri posti a
Reprimendo l’ennesimo sospiro si alzò ed andò a cambiarsi: presentarsi
ai suoi ragazzi in tailleur, anche se lo aveva usato per una riunione di
lavoro, non sarebbe stato il massimo. Mettendosi in tenuta da palestra, ripensò
alla sua breve carriera: a diciotto anni aveva iniziato il corso per
allenatori, passando subito l’esame, poi era andata ad allenare i bambini del
mini-basket, per poi approdare come aiuto nella squadra giovanile femminile.
Quella era la sua prima squadra di soli maschi. Prese un pallone dal cesto e
cominciò a tirare: uno, due, tre, cinque, dieci canestri e più tirava, più
correva e sudava; riusciva così a stemperare la tensione dell’imminente
incontro.
Poi, arrivarono.
Spike arrivò in palestra imprecando fra sé: amava il basket sopra ogni
altra cosa, ma pensava che iniziare gli allenamenti così presto, quando i suoi
amici ancora stavano spaparanzati in spiaggia, fosse troppo anche per lui. In
più oggi avrebbero conosciuto il nuovo allenatore. Sperava fosse meglio del
precedente, che non aveva un minimo di polso. Spike non era uno stupido, sapeva
che erano ragazzi difficili da gestire, avevano tutti caratteri forti e non
volevano cedere. Eh già, allenare loro non era per nulla facile, se il padre di
Andrew non fosse stato assessore allo sport nel comune di Sunnydale, la sua
squadra sarebbe già stata sciolta, ne era sicuro.
Entrò in palestra sentendo il familiare rumore della palla che toccava
il legno: peccato, non era il primo.
Rimase sorpreso quando vide tirare a canestro una ragazza.
“Liam, muoviti! Dobbiamo correre in palestra!” il bel ragazzo moro
interpellato guardò l’orologio e dovette ammettere con se stesso che il
fratello aveva ragione.
“Arrivo Xander.” Doveva lasciare la sua ragazza ora. “Ehi, Darla, devo
andare, ho gli allenamenti. Sì, ci sentiamo dopo. Ciao.”
Darla Hopkins era la sua ragazza da circa un anno: non l’amava e lo
sapeva, ma lei era la ragazza più bella della sua scuola e quindi non poteva
chiedere di meglio…o sì? Stancamente si alzò dal letto e buttò le Nike pulite
nel borsone. Uscì dalla stanza e trovò Xander già pronto ad uscire.
“Mamma, noi andiamo!”
“Fate attenzione per strada, mi raccomando.” Rispose una donnina di
mezz’età.
“Cercate di combinare qualcosa di buono voi due, oggi.” Sbraitò dalla poltrona
il padre, birra in mano e canottiera della salute sporca in più punti.
“Ci faremo valere, papà.” Rispose Xander cercando di rabbonirlo.
“Proprio tu parli che non hai mai fatto niente per rendermi orgoglioso.”
L’espressione ferita del ragazzo valeva più di mille parole.
“Vieni, andiamo.” Disse Liam circondandogli le spalle per farlo uscire.
Non voleva che suo fratello si demoralizzasse il primo giorno di allenamento.
Con la macchina di famiglia arrivarono in palestra in un batter d’occhio.
“Spike è già arrivato…” disse Xander indicando la bici.
“È incredibile, vuole essere il primo anche ad arrivare in palestra per
un allenamento.” Commentò Liam.
Entrarono anche loro e davanti al parquet di fermarono: Xander rimase a
bocca aperta vedendo una ragazza centrare un canestro da tre punti, senza
apparente difficoltà.
La sveglia suonò, interrompendo Oz mentre stava suonando un pezzo dei
Muse. Il suono della corda del basso continuò ancora per qualche istante per
poi interrompersi del tutto. Il ragazzo guardò l’orologio e sbuffò. Non aveva
tutta questa voglia di andare in palestra, dato che così sarebbero ricominciate
le prese in giro. Per una volta ancora imprecò contro la sua altezza: era un
tappo e nessuno lo voleva, anche se a palleggiare non era malaccio. L’unico
gruppo a cui poteva accedere era quello dei Red Fox, quindi ‘o mangi questa
minestra…’
Fece una smorfia guardandosi le unghie: lo smalto nero stava iniziando a
scrostarsi.
“Dovrò rimettermelo questa sera.” Disse, calmo.
Aveva pensato di mollare tutto e di darsi esclusivamente alla musica, ma
i Dingoes Ate my Baby non riuscivano a
dargli tutte le emozioni del semplice rumore della palla che bucava la retina
dopo un tiro da lontano, quindi doveva continuare a giocare con loro. Non
riusciva a capire perché tutti ce l’avessero con lui. In sella alla sua Vespa,
Oz pensò a quando era iniziata quella manfrina: Darla, sicuramente era stata
causa sua. Lui l’aveva rifiutata e lei si era vendicata. E che sadica vendetta,
doveva ammetterlo anche lui, in fondo solo un ragazzo deviato poteva scaricare
la grande Darla Hopkins, uno normale si sarebbe fiondato su di lei senza aprire
bocca. Ma a Oz le ragazze piacevano sveglie e possibilmente un po’ acerbe.
Quelle già pronte a dartela su un piatto d’argento non meritavano la conquista
che portava avanti lui, solo che era difficile trovarne. Scaricò
Trovò i suoi compagni che guardavano qualcosa di apparentemente strano
in campo, ma non se ne curò. Si diresse direttamente in spogliatoio per
cambiarsi. Davanti al piccolo specchio si fece la domanda più importante di
tutta la giornata.
“E se mi tingessi i capelli di blu?”
“E quindi, suoi antidoti sono l'atropina e la digitalina.” Esclamò
soddisfatto Wesley chiudendo il suo libro di anatomia. Doveva essere tutto
perfetto per il compito del giorno dopo e lui era sempre stato perfetto negli
studi, non poteva certo dare un dispiacere a sua madre. Si accorse di essere in
leggero ritardo per il primo allenamento dell’anno, così prese dall’armadio una
maglietta grigia da battaglia ed un paio di pantaloncini, da aggiungere alle
scarpe di seconda mano ed un liso accappatoio. Doveva risparmiare il più
possibile. Aggiunse le lenti a contatto e cercò sua madre.
La trovò in cucina, che fissava un punto lontano sul muro.
“Mamma, io vado in palestra… non ti preoccupare, torno presto, va bene?”
ma la signora Pryce non sembrava accorgersi di nulla. Wes scosse la testa ed
uscì. Amava sua madre, ma la depressione che l’aveva colta lo stava portando
alla pazzia. Per fortuna che la seguivano i servizi sociali. Sospirò
ringraziando il cielo di avere quelle due ore in cui non doveva pensare a
nulla, se non a ficcare la palla a canestro. Da buon inglese era una chiavica
in quel gioco, ma si era appassionato da bambino guardando l’NBA e aveva
provato. Non se la cavava malaccio, tutto sommato, anche se segnava pochissimo.
Pazienza, preferiva di gran lunga recuperare palloni.
“Cavoli, sono già tutti qui.” Mormorò piano. Mollò la bici dove capitava
e corse dentro. Si ritrovò davanti ad uno spettacolo surreale: tutti i suoi
compagni, tranne Oz- e come poteva sbagliarsi!- erano ancora vestiti
normalmente, presi a guardare qualcuno che già giocava.
“Che ci fate tutti qui? Oggi niente?” chiese a chiunque volesse
rispondergli.
“Guarda là.” Disse invece Xander additando Monica che tirava.
Wes seguì il dito, incontrando con lo sguardo una ragazza non molto alta
vestita con una t-shirt blu elettrico ed un paio di pantaloncini neri. Ai piedi
calzava un paio di Nike bianche e blu, un modello di qualche anno prima. I
capelli lunghi erano catturati da una coda alta.
“Qualcuno le ha chiesto che ci fa qui?” chiese Wesley, e gli altri
scuoterono la testa. Fu lei a prendere l’iniziativa, infine. Con il pallone in
mano si avvicinò al capannello di ragazzi che ancora la fissavano curiosi.
“Beh, non vi siete cambiati ancora? Volete muovervi?” disse con voce
ferma, leggermente ansante per il piccolo allenamento extra che si era
concessa.
“Credo che lei si sia sbagliata, signorina.” Rispose invece Wes con la
sua educata cadenza inglese. Aveva capito che era sicuramente più grande di
loro, forse una senior della squadra femminile. Monica alzò un sopracciglio in
segno di curiosità. “Non sono neppure sicuro che le ragazze si allenino qui.”
Finì lui e lei prese a ridere.
“Mi sa che siete voi a non capire. Io sono qui per allenare… voi in
effetti!”
La bomba era stata sganciata. Dalle loro facce Monica intuì che nessuno
aveva ancora detto niente a quei ragazzi.
“Ok, facciamo così. Andate a cambiarvi, vi aspetto qui per fare una
chiacchierata tranquilla, va bene.” Ma sembrava che nessuno volesse ascoltarla,
parlavano tra di loro incuranti di tutto e lei capì che ci sarebbero volute le
maniere forti. Prese un fischio di quelli in dotazione alle classi arbitrali di
tutti gli sport e fischiò: il suono era così forte che tutti i ragazzi
portarono istintivamente le mani alle orecchie.
“Bene, ora che ho la vostra attenzione, potete fare come vi ho detto.
Su, andate a cambiarvi… vi aspetto dentro.”
Imprecando contro quella pazza, andarono tutti in spogliatoio,
trovandovi Oz che già si allacciava le scarpe.
“Ma vi rendete conto? Una donna! Ci hanno mandato una donna!” sbraitò
Spike. Cominciarono a spogliarsi in velocità e ben presto ci furono ragazzi
nudi in ogni angolo.
“Ehi, deviato, cerca di non eccitarti troppo nel guardarci.” Disse
qualcuno rivolto a Oz.
“Tranquillo, non sei il mio tipo.” Rispose lui con la sua solita calma e
un sorrisino di superiorità stampato sulla bocca.
“Ma sentitelo…” mormorò Xander infilandosi la canottiera.
“Potremmo lasciarle il beneficio del dubbio.” Continuava intanto a dire
Wesley parlando di Monica “magari ci sorprenderà.”
“Se vuoi ti dico io dove mi piacerebbe sorprenderla.” Rispose Spike poco
elegante.
“Scherzi a parte, capitano, immagino che dovremmo portare avanti una
linea comune.” Disse Liam dal suo angolo.
“Già, voi che ne dite?”
“Io penso che dovremmo ascoltare quello che deve dirci, poi al massimo
non la ascoltiamo.” Disse Oz attirandosi addosso tutti gli sguardi.
“Mi secca ammetterlo, ma forse Osborne ha ragione.”
“Bene, allora è deciso.” Decretò Spike e tutti uscirono verso il
parquet, trovando Monica che allegramente continuava la sua scarica di tiri,
stavolta dalla linea dei liberi.
“Oh, bene, siete qui. Sedetevi pure.” Lei si posizionò sul tavolo degli
ufficiali di campo, posto fra le due panchine al livello della riga di centro
campo e i ragazzi si accomodarono a terra davanti a lei, che a gambe incrociate
li guardava uno ad uno, segnando mentalmente chi già conosceva e chi no.
“Siete una squadra di falliti.” Esordì, attirandosi sguardi di puro
odio. “Almeno è quello che credono i capi di questa società. Non hanno tutti i
torti, in realtà. L’anno scorso siete stati fermati al nono posto al
campionato, su diciotto squadre, avete giocato in tutto 46 partite comprese le
amichevoli, e almeno uno di voi è stato buttato fuori per espulsione diretta o
per fallo tecnico per 35 volte. Fanno solo undici partite senza un T2 a
referto… inammissibile. Siete iscritti al prossimo campionato solo perché il
signor Welsh è l’assessore allo sport. Non provate vergogna per questo?” chiese
Monica tranquilla e nessuno rispose. “Appunto… io allenavo le ragazze fino
all’anno scorso, ma ora sono state mandate in un’altra società, visto che
questa vuole puntare solo sul maschile ed io mi sono ritrovata senza lavoro.
Siccome voi siete l’unica, e voglio sottolineare la parola unica, squadra che
nessuno voleva avere per le mani, eccomi qui. Un modo per sistemare voi e me,
una piccola punizione per il vostro rendimento e la mia testardaggine a voler
rimanere. Diciamocelo, qui c’è molto da lavorare, ma non dipende esclusivamente
da me, anzi, dipende soprattutto da voi. Avete una scelta davanti e io credo
che siate abbastanza grandi da poterla fare.”
“E quale sarebbe?” chiese Liam a voce alta.
“Potete fregarvene di me e fare il campionato senza una vera
allenatrice, arrivando ai risultati degli scorsi anni con il rischio di vedere
la squadra venir sciolta alla fine dell’anno agonistico, oppure potete decidere
di lavorare sotto la mia ala e dimostrare a quelli là che c’è del buono in voi.
Ma dovete decidere ora, io vi lascio qualche minuto per parlarne. Sappiate che
se mi vorrete come vostra allenatrice ci saranno delle regole da rispettare…”
Prese di nuovo il pallone per tirare e si avviò verso il canestro.
“Che si fa?”
“Non credo che abbiamo molta scelta.” Disse Andrew piano. “insomma, o
lei o nessuno. Meglio avere qualcuno che può comunque coprirci le spalle.”
“Il biondino ha ragione.” Continuò Xander.
“Io non ce la voglio una donna per allenatore…” sbottò Spike.
“Perché? Paura che sminuisca il tuo ruolo?” chiese Oz con un punta di
ferocia nella voce.
“Smettetela.” Li interruppe Wesley.
“Già, Pryce ha ragione, non è litigando che sistemeremo le cose. Si vota
per alzata di mano. Chi la vuole?” più della metà votarono sì. “È deciso, lei
resta.”
“Coach!” urlò Spike a Monica “abbiamo deciso!” e lei capì di essere nel
team.
“Ottimo. Quindi ora è tempo di dettare qualche regolina di buona
convivenza.” Prese a dire lei, camminando davanti a loro.
“Per prima cosa dovete imparare che con gli arbitri non si parla. Lo può
fare solo il capitano, che per inciso non sarà più William Giles, dato che è un
po’ troppo irruente. Chi prenderà un fallo tecnico, che voi sapete viene dato
solo per comportamenti non adeguati, pagherà multa, oltre a far pagare tutta la
squadra l’allenamento dopo. Stessa regola vale per i falli di espulsione diretta,
i così detti D2, per i falli tecnici alla panchina B2, quindi dati alle riserve
e i falli, rari, di rissa. Se il tecnico lo prendo io, quindi C2 sul referto,
pagherò da bere a tutti dopo la partita.” Tutti la stavano guardando sconvolti.
“Vale anche per i falli antisportivi?” chiese Oz.
“No. Quelli sono falli di gioco e sono a descrizione dell’arbitro darli.
È una loro valutazione.”
“Uscita per 5 falli?” Chiese Xander, piuttosto avvezzo a quell’ultimo
caso.
“Multa di tre dollari da mettere nel fondo cassa per la cena finale.”
Rispose lei, tranquilla. “Non so se lo avete capito, ma con me sputerete sangue
in difesa. È un fondamentale troppo trascurato. Poi, sono la vostra
allenatrice, quello che vi dico di tecnico non voglio che sia messo in
discussione per partito preso. Se negli schemi ci sarà qualcosa che non
capirete o che vi sembra sbagliato, fatemelo notare con calma e portatemi le
vostre argomentazioni: ne parleremo assieme e cercheremo di capirci. Le
statistiche dello scorso anno dimostrano che ci sono delle buone individualità:
William…”
“Spike. Io mi chiamo Spike, qui.” La corresse immediatamente lui, e lei
lo guardò alzando un sopracciglio.
“Spike ha avuto una delle migliori medie realizzative. Wesley è il primo
in campionato per palle recuperate e Liam per rimbalzi difensivi. Queste sono
cose su cui continuare a lavorare, ma i singoli non portano a vincere niente, è
la squadra che conta, quindi vedete di mettervi a giocare per essa e non per
voi stessi. Non so se fuori di qui siete amici oppure se neppure vi conoscete,
ma quando entrate in palestra dovete tutti essere fissati su un solo obiettivo:
fare squadra.”Sperò che quello che aveva detto fosse stato recepito.
“Ed in quest’ottica… potete considerarmi una stronza iper galattica, me
ne frego altamente, ma qui voglio, anzi pretendo, rispetto, lo stesso che io
darò a voi. Se qualcuno avrà bisogno di me, sono qui a disposizione. Posso
darvi uno strappo se non avete i mezzi di trasporto per venire ad allenarvi, vi
ascolterò se avrete problemi, ma voglio che sia chiaro che quando vi alleno
faccio quello e non sarò la brava e gentile Monica che potrei essere fuori,
entiende?”
“Ci farai anche da psicologa?” chiese acido Spike.
“Lungi da me. Non è il mio titolo, ma so per esperienza che parlare dei
propri problemi è liberatorio. Poi fate quello che preferite. Ah, ultima cosa.
Vorrei che votaste per un capitano, che non sarà Spike. Il ruolo di capitano
porta a dover parlare con gli arbitri, è il collante fra il fischietto e il
resto della squadra, quindi deve essere bravo a parlare e calmo. Capirete che
William non è il massimo in questo ruolo.”
“Beh a vederla in questa ottica non è del tutto sbagliato.” Disse Gunn,
un ragazzo di colore, piuttosto giovane.
“Votate e poi ditemi, non è urgente, il campionato inizia solo ad
ottobre. In piedi.” Cominciò a fissarli uno dopo l’altro.
“Via la collana, Xander.”
“Daniel, i piercing ti stanno molto bene, ma non in palestra. Potresti
farti male e non voglio.”
“Jonathan, meglio le lenti a contatto se puoi, se ti arrivasse una
pallonata sugli occhiali potresti farti male seriamente.” Diceva qualcosa ad
ognuno di loro.
“Liam, sorridi… saresti più carino.”
“Angel… mi chiami Angel durante l’ allenamento.”
“Ok, Angel.”
“Bei capelli, Spike.” Disse al giovane, sorridendo. Portava una zazzera
biondo platino che accecava.
“Devo tagliarli ora?”
“Oh no, tienili, fanno molto Billy Idol… non sono male e ti stanno bene.” Passò all’ultimo, che era
Wes.
“Dovrai cambiare le scarpe. Fallo presto, non voglio che arrivi alla
prima di campionato con le scarpe nuove e che ti fanno male.” Lui arrossì un
po’, e Monica si chiese il perché.
“Ah, una domanda… chi teneva le statistiche l’anno scorso?”
Una manina si alzò dal fondo del gruppo.
“Io…” disse a voce bassa Andrew.
“Complimenti… un lavoro ottimo, ho dato un’occhiata ai tuoi fogli. Bene,
cominciate a correre… quindici minuti per iniziare.” Il gruppo prese lentamente
ad eseguire l’ordine. “Aspetta Andrew, voglio chiederti una cosa.”
“Sì?”
“Devi scrivermi un foglio con tutti i nomi dei tuoi compagni e con un
numero di telefono per rintracciarvi. Me lo porti il prossimo allenamento, ok?”
“Certo… ma perché?” lei sorrise.
“Ve lo spiegherò la prossima volta. Ora vai a correre anche tu!”
Finita la corsa erano già tutti ansanti, l’estate li aveva un po’
rammolliti.
“Forza, via con lo stretching.”
Continuarono così per tutto l’allenamento: Monica li fece praticamente
solo correre e saltare, con qualche pausa per fargli fare allungamenti. La
palla la videro con il binocolo, fino a dieci minuti prima del termine.
“Facciamo una piccola partitella, giusto per vedere come siete messi.
Allora, maglie dentro: Daniel, Spike, Angel, Gunn, Jonathan. Maglie fuori:
Andrew, Wesley, Xander, Robin e Jesse. Iniziamo così, e datevi le marcature da
voi. Io farò da arbitro.”
Cominciarono a giocare: Monica lasciava correre molto, fermava il gioco
solo sui falli più gravi e le infrazioni, quali i passi. Stava cominciando a
pensare a come portare la squadra in alto.
‘Il potenziale c’è…’ pensò tra sé.
Fece un fischio più forte degli altri, dopo che Spike aveva segnato
l’ennesimo canestro in faccia a Jesse.
“Fermi tutti. Xander, Angel, cambiatevi di squadra. Jesse, marca Daniel,
Wesley prendi Spike. Robin fai tu il Play delle maglie dentro. Continuate.”
Con le nuove modifiche il gioco diventò più equilibrato e Monica fu
soddisfatta. Cinque minuti dopo li fermò con un triplice fischio.
“Mi sembra abbastanza per oggi. Adesso fate tre serie di addominali da
dieci e tre di dorsali, poi due tiri liberi segnati di fila e potrete andare a
farvi la doccia.”
“Ancora!” si lamentò Jonathan.
“Sì, Levinson, ancora. Dovete fare muscoli, che credete!” e ridacchiò.
Altro che solo muscoli, li avrebbe fatti morire, se fosse stato necessario.
Nessuno li aveva mai portati al limite… beh, lo avrebbe fatto lei! I suoi
superiori sarebbero rimasti a bocca aperta per i loro progressi. Prese a
tirare, mentre loro, con i piedi bloccati dalla spalliera, facevano addominali
e dorsali.
“Posso tirare?” chiese cortesemente Robin.
“Hai terminato?”
“Sì.”
“Tieni.” E gli passò la palla. Dopo un po’ anche gli altri arrivarono a
tirare, ma ben pochi centrarono per due volte di seguito il canestro.
“Su, ormai ci sono sempre due tiri, sono rari i casi di tiro singolo.
Dovete riuscire a segnare tutti e due.” Li incitava lei. Si era messa sotto la
retina e passava la palla, in modo da essere compresa nell’allenamento, per
dimostrare di essere parte della squadra. Dopo una manciata di minuti rimasero
solo Wesley ed Andrew.
“Vogliamo fare notte?” li prese un po’ in giro Monica.
“Provaci tu, se è così semplice!” sbottò Wes incazzato più con se stesso
che con lei, che, in fondo, faceva solo il suo lavoro.
“Mi sembra giusto. Passami la palla Andrew.”
Si posizionò dietro la linea bianca che delimitava l’area per tirare.
Due lanci, due canestri.
“Dai, tocca a te, Andy.” Andrew segnò il primo e si mise in posizione
per il secondo.
“Alt, fermo lì.” Intimò Monica. Arrivò da lui e gli fece avvicinare i
gomiti, girando la mano sinistra a lato della palla, per poterla mantenere più
stabile.
“Tieni paralleli i piedi, fai leva sulle gambe, non sulla spalla, spezza
il polso. Ricordati che la mano sinistra serve solo per appoggio, non per dare
spinta. Prova, ora.” Il ragazzo tenne a mente i consigli e si ritrovò a fare
canestro. “Visto? È più facile così, giusto?” e gli sorrise. “Vai a lavarti.
Bene, Wes a noi due!” e sorrise anche a lui.
Lo guardò tirare, ma lui non centrò la retina.
“E che cazzo! Sono impedito!” sbottò. Cavoli, era già tardi e sua madre
era sola a casa. Con quel pensiero si rimise in lunetta.
“Piega di più le gambe, Wesley. Tu fai molta leva sulle braccia e le
spalle, ma il tiro non funziona. Deve partire dai piedi e portare la forza alle
dita. Allunga per bene il braccio.”
Buttò dentro il primo.
“Ehi, è andato!”
“Visto? Vai a lavarti, altrimenti ci buttano fuori a calci!” disse
Monica, indicando la squadra di pallavolo che si allenava dopo di loro. Il
coach stava segnalando chiaramente l’orologio per far capire il loro ritardo.
“La prossima volta ne faccio tre, allora.”
“Va bene.”
Wesley corse in spogliatoio, dove trovò già i suoi compagni che
commentavano le due ore passate.
“Quella ci uccide entro la fine. Ci ha fatto correre da matti!” esclamò
Xander stanco morto.
“Beh mi sembra brava. Sono riuscito a segnare i liberi meglio.” Cercò di
proteggerla Andrew.
“Un miracolo, Andy. Ringrazia
“Non è vero, Andrew ha ragione, non è male. E poi considera che è
l’unica che ci allenerà. Siamo solo adolescenti, non possiamo affrontare un
campionato da soli.” Analizzò Oz calmo.
“Ozzobuco ha ragione.”
“Vaffanculo Spike!” rispose galantemente Oz all’insulto del platinato,
poi prese la borsa e se ne andò ancora sudato. Ringraziò il cielo che fosse
ancora estate e che quindi non facesse freddo, altrimenti si sarebbe preso un
malanno.
Spike, da sotto la doccia, si pentì un po’ di come aveva trattato Oz:
dicevano in giro che Oz fosse gay. Era un problema? Forse no, ma l’anno passato
la maggioranza dei suoi compagni, grandi e piccoli, lo avevano preso in giro ed
emarginato, da capitano aveva pensato che fosse meglio prendere le parti della
maggioranza. Poi le prese in giro erano diventate continue, quotidiane. Forse
doveva chiedergli scusa… chiuse l’acqua e si coprì le parti intime con un
asciugamano, rimanendo a petto nudo. I fratelli O’Connor erano già pronti per
andare a casa.
“Oh, ciao ragazzi!”
“Ciao Will.”
I due mori in macchina presero a parlare tra loro.
“Come ti sembra, sinceramente, la nuova allenatrice?” chiese Xander,
mentre Liam faceva un’inversione per uscire dal parcheggio.
“Penso che se ci vuole allenare, deve avere le palle quadrate.” Rispose
tranquillo lui.
“E le ha?”
“Chissà… è tutto da vedere quando inizierà il campionato.” Poco dopo
suonò il cellulare del fratello maggiore. “Rispondi tu.”
“È Darla.”
“Fa lo stesso, dai.”
“Pronto, ciao Darla… no, sono Xander… Liam guida… ehm, come stai?
...Certo, scusa non sono fatti miei. Devo dirgli qualcosa?... Ok. Ciao.” Chiuse
la chiamata con uno schiocco secco.
“Dice di richiamarla e se stasera la puoi passare a prendere.”
“Stasera? Io sono morto e lei
vuole uscire. Si vede che non fa un cazzo tutto il giorno.” Sbottò Liam.
“Beh, dai… è la tua ragazza… dovresti trattarla un po’ meglio.”
Era strano, pensava spesso Liam, Xander prendeva sempre le difese di
Darla. Possibile che avesse una cotta per la sua ragazza? Mah. E se così fosse,
le cose sarebbero cambiate? Probabilmente no, Xander era troppo nerd per i
gusti di Darla. Parcheggiarono in garage svuotando le borse davanti alla
lavatrice, così che la madre potesse lavare la roba.
“Siamo a casa!” urlò Liam.
“Com’è il nuovo allenatore?” chiese il padre alzando la voce dalla
cucina. I due fratelli si guardarono e alzarono le spalle.
“Allenatrice, in realtà. Sembra capace.”
“Una donna? E ti pareva se a voi due non arrivava una chiavica di
allenatore! Non meritate altro.”
“Papà, smettila. Non siamo noi ad averla chiesta.” Disse Liam leggermente
spazientito.
“A vostro fratello non sarebbe mai capitato.” Xander andò a chiudersi in
camera: non era proprio dell’umore di sentirsi una nuova manfrina su quanto
fosse bravo Riley rispetto a loro.
Anche Liam uscì dalla cucina.
“Non mangi?” chiese la madre.
“No, esco con Darla. Mangerò fuori.” Rispose secco, tirando fuori il
cellulare. Certo che la sera si prospettava proprio bella, se quelle di casa
erano le premesse.
Wesley si trascinò distrutto a casa. Il cancello cigolò, ricordandogli
quell’ennesimo problema da sistemare, se solo trovava il grasso per ungerlo a
poco prezzo. I soldi stavano per finire e la pensione sarebbe arrivata molto in
là. Doveva trovarsi un altro lavoro per il dopo scuola.
“Mamma, sono a casa.” La trovò sulla stessa sedia a guardare lo stesso
muro…
Capitolo Due
La camera di Spike era immersa nell’oscurità. Un fagotto di lenzuola e
carne si mosse nel letto, infastidito dal fascio di luce che filtrava dalla
porta aperta dal padre.
“William, ti alzi?”
La risposta fu un mugugno soffocato.
“Santo cielo! Come fai a dormire con questo caldo?” il signor Giles aprì
di scatto la finestra facendo entrare l’aria esterna.
“Papà!” urlò Spike da sotto il cuscino.
“Niente papà. Sai che ore sono? Le undici e mezza!”
“Sono andato a letto tardi. Lasciami in pace.”
“C’è Willow che ti aspetta da un’ora. La faccio salire. Debosciato di un
figlio!” Spike sentì i passi pesanti del padre sulle scale… uhm, Willow? E che
ci faceva lei lì? Avevano un appuntamento? Evidentemente sì, altrimenti lei non
sarebbe stata qui.
“Ciao Spike.” Disse Willow con voce allegra. Non sembrava arrabbiata per
il ritardo di lui, forse perché conoscendolo da un pezzo lo immaginava. Fece
capolino nella stanza, rimanendo, come sempre, sconvolta dal disordine che vi
regnava: vestiti erano sparsi ovunque, un calzino sporco spuntava dalla
libreria. Dal cestino della carta straccia fuoriuscivano cose di tutti i tipi e
sulla scrivania i libri erano ammonticchiati alla rinfusa.
“Uhm…ciao. Dovevamo vederci?”
“Sì. Dovevo darti una mano con la matematica.”
“Hai ragione. Adesso arrivo, dai.” Spike si mise seduto facendo
diventare Willow dello stesso colore dei suoi capelli, rosso fuoco. “Ma Will,
mi hai visto a petto nudo milioni di volte e ancora ti vergogni? Sei un caso
disperato.” La prese in giro.
“Va bene, ma tu copriti! Come fai a dormire senza niente, io mi
domando.” Willow si girò un attimo in attesa che l’amico si rendesse
presentabile.
“Puoi voltarti adesso.” Spike aveva indossato canottiera e pantaloncini che
usava per girare per casa. “Ho la possibilità di farmi un caffè o le x2 premono per tormentarmi?”
“Tranquillo, credo che ormai sia troppo tardi per iniziare. E il caffè
lo bevo pure io.” I due ragazzi scesero in cucina e si presero da bere.
“Che hai fatto in quest’ora di attesa?” chiese Spike in un attimo di
lucidità.
“Sono rimasta in negozio. Almeno così potevo fare qualcosa. Tuo padre
ogni dieci minuti mi diceva di venire a svegliarti.”
“Gentile Rupert.” Sbottò lui
“Com’è andato l’allenamento ieri?” chiese Willow addentando un biscotto
che Spike le aveva offerto.
“Insomma… ci è arrivata una donna per allenatrice. Io lo trovo
scandaloso.”
“Perché?” Willow lo fissava sbigottito.
“Ma come perché? Siamo un gruppo di ragazzi e lei è una femmina! Come
farà a tenerci testa? Non ci sono parole.” Spike si girò verso l’amica che la
stava guardando con uno sguardo fatto apposta per uccidere.
“Sei un maschilista! Io credo che lei potrà farvi diventare più bravi di
quello che siete! Sei solo geloso dell’autorità che lei può avere su di te, che
vuoi sempre primeggiare in tutto.”
Colpito e affondato, pensò lui, ma ribattè a tono.
“Non ti conviene continuare con la tua psicologia da brava ragazza,
Rossa. Il fatto che io e te siamo vicini di casa fin da quando eravamo piccoli,
non ti autorizza a psicanalizzarmi ad ogni piè sospinto. In più, ti faccio
notare che se continui così, Xander col cavolo che te lo presento.” A
quest’ultima affermazione, Willow divenne color papavero.
“Non è giusto che tu mi ricatti in questa maniera.” Spike rise forte
mentre lei prendeva la sua borsa.
“Dai, non fare l’offesa!”
“Non sono offesa, ma mi aspettano a casa tra un po’. Tu a quest’ora fai
colazione, ma la gente normale si prepara a pranzare.” Gli lasciò un piccolo
bacio sulla guancia e fece per uscire.
“Ci becchiamo dopo il mio allenamento?” le chiese lui.
“Al massimo prima. Accompagno Buffy in palestra. Si allena prima di
voi.”
“Buffy? Ah, l’hobbit! Bhe, allora a dopo. Ciao spettacolo!” ridendo,
Willow se ne andò e Spike rimase solo a guardare la sua desolante cucina: si
capiva che in casa non c’era una donna. Non che il buon Rupert non ci avesse
provato, ma la presenza di Spike era sempre stata un repellente per le
signorine bene di Sunnydale e i due continuarono a restare soli. Ma si sa, le
cose non rimangono mai immutate.
Spike aprì una porticina che dava nel negozio del padre: i Giles erano i
proprietari dell’unica libreria della città e, da poco, di una postazione
Internet. A Rupert quella novità faceva storcere il naso, ma doveva ammettere
che faceva buoni affari con quel trabiccolo. Tutto merito di Jenny, ovviamente,
l’unica donna che riusciva a tener testa ad entrambi. Aveva convinto il padre
di Spike a comprare un pc, cosa che il figlio tentava di fare da anni, nel suo
negozio situato a fianco della libreria. Ci volle poco per invitarlo fuori a
cena poi. Spike sogghignò al ricordo: fece vagare lo sguardo per il negozio
quasi totalmente vuoto e tornò in camera sua. Matematica era saltata, ma poteva
sempre studiare qualcosa di meglio. Prese il libro di letteratura e cominciò a
leggere, anche se il pensiero tornava sempre all’allenamento della sera
precedente: quella Monica lo incuriosiva. In meno di dieci minuti l’aveva già
inquadrato come un grande rompiscatole. La sua decisione di esonerarlo da
capitano lo aveva ferito, ma anche sollevato, paradossalmente. Il suo orgoglio
aveva urlato, eppure, adesso, la patata bollente sarebbe passata a qualcun
altro. Meglio! Lui voleva pensare solo a segnare, il resto era solo una
distrazione.
“William, prepara il pranzo, mentre io chiudo la serranda.”
“Ok.” Urlò di risposta a suo padre.
“Ah, prepara per tre, viene anche Jenny.”
Alzandosi dal letto, Spike mormorò:
“E come ti sbagli? Ormai è sempre qui.” Scese le scale sbuffando.
La musica tratta dal film “Lezioni di piano” si spandeva nell’aria,
mentre una ragazza dai capelli rossi guardava volteggiare la sua amica. Willow
aveva sempre invidiato la grazia con cui Buffy scivolava sulle quattro rotelle,
lei era sempre stata goffa ed impacciata e sui pattini si era sempre fatta
male.
Buffy, invece, pareva una fata: riusciva a fare le figure più difficili
nonostante fosse alta solo un metro e sessanta e pesasse cinquanta chili di
puri muscoli e nervi. I capelli biondi legati in una stretta coda, seguivano ogni
più piccolo spostamento d’aria. Gli occhi verdi brillavano determinati per
seguire al meglio la coreografia del suo vecchio programma: di lì a pochi
giorni avrebbe partecipato ad un Prix dello Stato e, nonostante fosse solo una
rappresentazione amichevole, lei voleva essere perfetta. Quello poteva essere
l’anno della sua consacrazione e non voleva sbagliare niente. Aveva letto che
la sua maggior rivale, Kate Lockley, si era rotta i legamenti di un ginocchio e
che per quell’anno non avrebbe potuto gareggiare ad alti livelli. Strada quasi
spianata verso la vittoria del Campionato, ma doveva stare attenta lo stesso.
“Ottimo lavoro, Buffy. Prenditi cinque minuti di pausa. Vi, prova tu.”
Buffy arrivò da Willow, sedendosi poi sulla panca con lei.
“Ti annoi?” chiese Buffy all’amica.
“No, è bello guardarti, sei molto brava. E poi mi sono portata da fare.”
Disse Willow tirando fuori dalla borsa un libro di scuola dall’aria minacciosa.
“Ma non avevi finito i compiti a giugno?”
“Sì, ma mi porto in avanti con il programma, per andare sul sicuro!”
Esclamò la rossa felice.
“Sei un caso disperato.”
“Uffa, anche Spike me lo dice sempre.”
“Spike? Ah, l’ossigenato. Spero giri al largo da qui, quest’anno.”
“Difficile, si allena oggi dopo di te.”
La smorfia della bionda fu sufficiente a Willow per capire che i suoi
due migliori amici, non sarebbero ancora andati d’accordo. Eppure avevano
parecchi punti in comune, a partire dal fatto che non si sopportavano.
“Mi piacerebbe litigaste di meno, in fondo entrambi siete miei amici.”
Cercò di convincerla Willow.
“Non si può andare d’accordo con uno come lui. Ora scusa, vado a finire
l’allenamento.”
Buffy si alzò di scatto e con poche spinte arrivò al centro della pista,
zona da cui cominciava il suo programma.
Willow si lisciò la gonna scozzese e prese a studiare: per quanto la sua
amica fosse brava, rivedere il ballo per la quinta volta era troppo anche per
una ragazza paziente come lei.
Intanto Buffy pensava: conosceva il pezzo così bene, che le sue gambe
andavano in automatico. Le ruote frusciavano sul legno e l’aiutavano a
concentrarsi. Poteva dirsi contenta di buona parte della sua vita: la sua
migliore amica era una secchiona, pronta ad aiutarla quando ne aveva bisogno;
era un asso del pattinaggio artistico e aveva un ragazzo che la amava e che,
soprattutto, era il numero uno della città. Una come Buffy Summers non poteva
volere di più. Eppure qualcosa mancava. Lei voleva la passione, quella vera,
sfrenata, quella dei libri e Parker non riusciva a dargliela. Ci aveva provato
portandola fuori al ristorante, affittando una limousine con i soldi di papà e
facendole tanti regali, ma lei non aveva mai ceduto. La sua prima volta doveva
essere qualcosa di non programmato, di improvviso, così lei lo voleva.
Uscì dalla trottola e buttò l’occhio a Willow, notando vicino a lei una
donna sui venticinque anni in pantaloncini corti che guardava proprio lei,
anzi, i suoi pattini, con profondo disappunto. Chissà chi era.
Monica osservava critica gli allenamenti della biondina: non ci capiva
nulla, ma le pareva fosse brava, anzi, molto armoniosa, però quelle maledette
rotelle rovinavano il parquet in maniera indecente.
“Ciao!” la voce dietro di lei la fece girare e si ritrovò Wes davanti.
“Ciao Wesley, come va?”
“Bene. Che facciamo oggi?” Monica notò che lui sotto gli occhiali aveva
gli occhi rossi e gonfi.
“Correrete e salterete. Avete bisogno di mettere su un po’ di fisico. Vi
servirà per la fine dell’anno.” Il ragazzo si buttò in spogliatoio per
cambiarsi con i suoi compagni. Erano praticamente tutti pronti.
“Pryce, sei in ritardo!” disse Spike stupito, non accadeva quasi mai.
“Ho avuto un contrattempo.” Già, aveva trovato sua madre riversa a terra
in lacrime, proprio un simpatico contrattempo.
“Andiamo va.” Chiamò a raccolta Angel, che faceva valere la sua età
maggiore. Dovettero aspettare nell’atrio che le pattinatrici finissero le loro
esibizioni, ma Monica tirò fuori da una borsa di plastica delle corde.
“Saltate, fatene duecento.” Ordinò. I ragazzi presero a saltare come
canguri, mentre la musica finiva e un’orda di ragazze uscivano dalla pista.
“Oh, guarda! Un Hobbit!” urlò Spike al passaggio di Buffy.
“Non rompere ossigenato!” rispose lei con rabbia correndo via. Non
riusciva a capire come una ragazza come Willow potesse sopportarlo. Si cambiò
in velocità e ritrovò l’odiato che ancora saltava.
“Andiamo Willow?” chiese Buffy all’amica.
“Sì, aspetta che saluto Spike.” La rossa di avvicinò al ragazzo, in modo
da non essere colpita dalla corda che frustava ritmicamente il pavimento.
“Io torno a casa. Guarda che domani vengo per farti matematica, vedi di
essere sveglio!”
“Ok, farò il bravo questa sera. A domani, Rossa.” Willow fece un piccolo
gesto con la mano, per poi lanciare un’occhiata adorante a Xander che tornava
la corda a Monica, i salti completati.
“Bene, fate tre file, palla al centro e treccia!” urlò l’allenatrice.
‘Treccia’ era un classico esercizio di riscaldamento che consisteva nel passare
la palla e correre dietro al ragazzo a cui è stata data la palla, finendo con
un tiro nel canestro opposto.
L’allenamento era ufficialmente iniziato!
Cordelia Chase era seduta sul pavimento del bagno a riprendersi un
attimo. I suoi genitori l’avevano fatta mangiare troppo: aveva bisogno di
dimagrire, non di diventare una balena, altrimenti Darla l’avrebbe buttata
fuori dalle cheerleader e non poteva permetterselo, non lei, non Queen C.
Quindi, ora, doveva vomitare. Non le piaceva farlo, ma era obbligata. Lo
scroscio della doccia faceva in modo che i suoi rumori non si sentissero al di fuori
di quella stanza.
Era stata sempre bella e ricercata, fin da bambina, l’idea di non
piacere era intollerabile. La sua popolarità era quasi crollata quando si era
messa con Xander O’Connor. Non era splendido come il fratello, ma era
simpatico, peccato che la sua fama di sfigato lo perseguitasse. Aveva dovuto
lasciarlo e questo la allontanava anche da Liam, per il quale aveva una cotta
segreta da anni.
“Cordy, tesoro, stai bene?”
“Sì mamma, sono sotto la doccia!” rispose la giovane alla madre.
“Santo cielo, sei sempre a lavarti!” sbottò la signora allontanandosi.
Cordelia chiuse l’acqua e si guardò allo specchio: le occhiaie erano
pronunciate, i capelli una volta lucidi e folti, ora erano rovinati e cadevano
di continuo. Un vero straccio, però era magra. Si truccò maniacalmente, in modo
da far sparire ogni inestetismo presente sul volto. Doveva uscire con Darla e
quindi essere più che perfetta per rivaleggiare con lei.
Darla guardava sprezzante la sua immagine riflessa: i jeans attillati e
il top corto risaltavano perfettamente il corpo sodo e minuto. I capelli biondo
scendevano liberi sul collo su cui spiccava un collarino di velluto nero con la
sua iniziale in argento e brillanti. Faceva molto caldo, ma lei non poteva
permettersi di sembrare sciatta.
Quella sera Liam sarebbe stato con lei e doveva approfittarne: con gli
allenamenti le sue uscite sarebbero diminuite drasticamente. Lei odiava la
pallacanestro, ma ogni volta che ne parlava con lui, sorrideva dolce, in modo
da tenerselo ben stretto: belli come Liam ce ne stavano veramente pochi.
Si mise un paio di sandali a tacco alto ed uscì immersa in un nuvola di
Chanel n° 5, intramontabile. La macchina sfrecciava veloce per le stradine,
spaventando qualche gatto randagio, ma Darla non se ne curava: niente poteva
far preoccupare una come Darla Hopkins.
Arrivò al Bronze, l’unico locale vagamente decente della città, inchiodando
rumorosamente. Liam non era arrivato, ma c’era Cordelia: la trovava ancora più
dimagrita e le faceva sorridere il pensiero di cosa la bella mora era disposta
a fare per compiacerla.
“Ciao Darla.”
“Ciao. Entriamo!”
Quella sera erano andate lì per un motivo ben preciso, anche se Cordelia
non lo sapeva: suonavano i Dingoes Ate my Baby, il gruppo di Oz. Darla odiava
ammetterlo, ma il piccolo bassista le era rimasto nel cuore. Era stato il primo
a dirle di no per un appuntamento, il primo a considerarla per quello che era,
una semplice ragazza come tante. Questo la infiammava ogni volta che lo vedeva.
Si sedettero su un divanetto, mentre la musica iniziava. Oz si era tinto
i capelli di verde elettrico e suonava attento il basso. Darla lo adorava,
anche per quella palese voglia di anticonformismo che si levava alto da lui.
“Ciao.” La voce calda del suo ragazzo la riscosse dai suoi pensieri.
“Ciao.” Si alzò e lo baciò appassionatamente.
“Mi tocca vedere Oz anche qui.” Sbottò Liam seccato.
“Dai, suonano bene.” Si intromise Cordelia. Liam si voltò verso di lei,
scrutandola come se fosse la prima volta che la vedeva.
“Ciao Cordy, come stai?”
“Uhm…bene grazie.”
“Sicura? Ti vedo un po’ pallida.”
“Un po’ di anemia, ogni tanto mi capita.”
“Curati, allora.” Le disse gentilmente.
“La vogliamo smettere con queste smancerie? Andiamo.” Si intromise Darla
e Cordelia sospirò: almeno non era più trasparente per Liam.
Ormai si allenavano da una decina di giorni. Monica li aveva fatti
correre e saltare e la palla l’avevano toccata raramente. Ora si stavano
scaldando.
“Venite qui.” Urlò lei. Aveva dei fogli in mano. ”Allora, questi sono i
recapiti di tutti noi. Ne avrete una copia a testa.” Disse sventolando la risma
di carta “Voglio che se qualcuno non può venire avvisi. Può chiamare
direttamente me, oppure uno dei compagni. Adesso che siamo tutti riuniti, mettetevi
a coppie.” Ben presto non ci furono ragazzi da soli. “Un palla a coppia e
dividetevi nelle due metà campo. Uno attacca, l’altro difende alternandovi.
L’azione termina a canestro segnato o a palla recuperata dal difensore.
Iniziate.”
Si sedette sul solito tavolo per osservarli. Segnavano tutti troppo
facilmente.
“Stop!” urlò e tutti si bloccarono. Camminò verso la coppia formata dai
due fratelli O’Connor.
“Angel, tesoro, sembri un pezzo di legno e non in senso buono. Quelle
belle gambe le devi piegare. Abbassa il culo, ops, il sedere. Devi scivolare di
lato e in piedi non puoi farlo, ti batterà chiunque. Riprendete.”
Angel prese a muoversi un po’ meglio, ma poco dopo tornò a riavere la
sua normale posizione. Monica scosse la testa e si tirò su la testa guardando
Wesley: lui sapeva difendere veramente alla grande, Spike faceva difficoltà a
muoversi.
“Xander, aggregati ad un altro gruppo. Angel, con me.” Il bel moro, con
l’aria di chi sta andando al patibolo, la seguì.
“Allora…qui dobbiamo migliorare qualcosa.” Si ritrovarono davanti ad un
grande specchio. “Mettiti in posizione di difesa.” Il ragazzo eseguì, portando
Monica a sbuffare. ”No, così non va bene. Questa è quella giusta.” Si mise
vicino a lui, piegò le gambe tenendo la schiena dritta e le braccia aperte.
“Devi piegare le gambe, abbassando il baricentro, perché così hai più
stabilità, grazie anche alle braccia che fanno da bilancieri. Provaci.” Liam
cercò di imitarlo e per un po’ ci riuscì.
“È scomodo.” Analizzò.
“Ma efficace. Adesso scivola di lato, non incrociare i piedi. Ecco, già
meglio.” Disse infine Monica soddisfatta. “Ancora un po’… non alzarti! Sempre
basso, per te deve essere naturale. Se riesci, a casa, allenati a farla.”
Angel annuì: le gambe gli facevano male da cani.
“Dai, andiamo a fermare i tuoi amici.”
Monica bloccò tutti quanti.
“Wes, resta in difesa. Spike, attacca. Gli altri guardino.” William
prese a palleggiare, pressato in maniera asfissiante da Wesley che non si
lasciava staccare di un centimetro. Dopo un po’ che palleggiava, Spike provò a
penetrare a canestro, ma Wes chiuse la strada. Alla fine non potè che tirare da
lontano, prendendo solo il ferro, così che Wesley riuscì a prendere il
rimbalzo, finendo l’azione.
“Cazzo, sei peggio della colla.” Sbottò Spike infuriato e Wes sorrise.
“Se avete notato, Wesley rimane sempre molto basso e scivola
velocemente. I suoi piedi non si incrociano mai, altrimenti perderebbe tempo.
In più riesce a stare sempre ad una distanza di circa un braccio, distanza
ottimale, perché se stesse più vicino, il suo avversario lo batterebbe in
palleggio, ma se rimanesse lontano, potrebbe subire un canestro da lontano.”
Monica andò davanti a Spike, usandolo some esempio: si abbassò sulle gambe
distendendo il braccio in avanti. “Vedete, ora se Spike palleggiasse, io
riuscirei a capire dove andrebbe, chiudendo la strada per il canestro, ma anche
se fosse fermo, intenzionato a tirare, la mia mano davanti ai suoi occhi,
intralcerebbe l’azione. Ovviamente se lui ha già smesso di palleggiare, si deve
pressare. Cinque secondi e la palla è a noi.” Si rialzò e contò i ragazzi.
“Dividetevi in terzetti. In centro quello di Oz con la palla. Andate.”
I ragazzi si alternarono, ogni tanto Monica li bloccava per correggere o
per consigliare scelte migliori, sia d’attacco che di difesa. Poi, mentre stava
parlando con Gunn, sentì che i ragazzi non giocavano più. Si girò verso di loro
infastidita rimanendo sorpresa nel vedere che tutti stavano guardando verso
l’uscita della palestra. Si era materializzata una figura degna di un fumetto
dark: era una donna, piuttosto alta, completamente vestita di pelle nera,
nonostante la calura di inizio settembre. Il volto era magro e due enormi e
freddi occhi azzurro ghiaccio li scannerizzavano da qualche minuto. I capelli
erano lasciati sciolti in modo da far risaltare le meches blu che si era fatta
sul suo naturale colore castano. Sorrise nel vedere Monica.
“Illyria! Che ci fai qui?” chiese Monica passando in mezzo al campo.
“Voi continuate!” disse ai ragazzi. Le due si abbracciarono e si baciarono
sulle guance, mentre tutti gli altri lanciavano occhiate curiose.
“È una buona squadra?” chiese Illyria.
“Sì. Secondo me può darmi molte soddisfazioni. Ma torniamo al punto
focale: che ci fai qui? Ti credevo a Los Angeles a studiare e a giocare.”
“Ho finito la scuola, sono finalmente diplomata in fisioterapia. E poi
le White Star di Sunnydale mi hanno chiesto di giocare con loro e sono
arrivata. Volevo vedere che cosa facevi tu ancora qui.”
“Lavoro, alleno, alleno lavoro.” Le due si misero ad osservare i ragazzi
e Illyria fece una smorfia quando Jessy perse un pallone.
“E tu con questi dove vorresti arrivare?”
“A grandi cose. Vuoi aiutarmi?” negli occhi della nuova arrivata passò
un lampo d’eccitazione.
“Vado a prendere le scarpe. “E Monica sorrise. Adesso poteva confidare
in un vero aiuto.
Finito l’allenamento, le due amiche si fondarono nel primo locale aperto
per bere qualcosa e farsi una chiacchierata. Era da un bel po’ che non si
vedevano, in fondo.
“Allora, come mai sei finita qui, Monica?” chiese Illyria mentre beveva
un sorso della sua birra chiara.
“Per sbaglio. Ero un esubero per la società e loro non lo voleva
allenare nessuno. Credono che li mollerò, così avranno la scusa per sciogliere
la squadra e per rompere il contratto che hanno con me, solo che non mi
conoscono, io non abbandono di certo!”
Monica si guardò attorno: il locale puntava decisamente allo squallido.
Le poltroncine avevano le imbottiture scolorite e macchiate in più punti, alle
pareti vecchie foto in bianco e nero che ritraevano sempre il proprietario con
una diversa star di serie B che sorrideva di circostanza.
“Fai bene. Fagliela vedere. Ti ricordi quando giocavamo noi? Non ci
davano un soldo bucato e siamo arrivati ai Nazionali. Fanculo a loro!” Monica
rise forte. “Ma parliamo di cose serie, Monica… non giochi più?” l’interessata
si rabbuiò immediatamente.
“No, ho smesso del tutto. Il ginocchio non me lo permette. Hanno
sbagliato ad operarmi rovinandomi del tutto. Non ha senso che mi metta ad
operarmi adesso. Non ero brava al tempo, figurati ora. Alleno e sono
soddisfatta.”
“Non ti manca?”
“Ogni giorno, ma pazienza.” Monica sospirò pesantemente “Ti piace la
squadra, Illy?”
La ragazza dai capelli blu ci pensò un po’ bevendo un sorso di bionda.
“È troppo sbilanciata in difesa: puntano all’attacco senza pensare di
evitare i canestri, ma per il resto è quasi ok. Un forte quintetto iniziale, ma
le riserve scarseggiano. Ne hai di lavoro da fare, amica mia.”
“La prossima settimana ho organizzato una partita amichevole e allora
vedremo se sono pronti.”
Continuarono a chiacchierare dei tempi passati: Monica raccontò dei suoi
anni da allenatrice e Illyria di quando giocava a Los Angeles.
“Hai già adocchiato qualcuno che merita al di fuori del Parquet?” chiese
Illyria guardandola maliziosa.
“Ma figurati! Sono ragazzini, hanno appena diciassette anni, mi
prenderebbero per pedofila!” Esclamò Monica, ma Illy non demorse.
“Avranno anche diciassette anni, ma sono già ben che uomini la sotto.
Dai, non dirmi che non ci hai fatto un pensierino. Tutti quegli ormoni che
svolazzano, il sudore sui loro muscoli guizzanti…”
“Basta! Smettila, lo sai che sono single!” urlò ridendo Monica “Non ci
posso pensare.”
Illyria fece un gesto come per scacciare una mosca fastidiosa.
“Bha sciocchezze! Io trovo simpatico Spike, mi piacerebbe tenerlo come
un cucciolo!”
“Non cambi mai!”
“Certo che no, ma in confidenza… chi ti piace? Lo so che sei sempre
stata attratta dal maschio, non ci credo che sei diventata una santarellina
ora.”
Illyria la scrutò, ma Monica non rispose.
Capitolo tre
Tra i banconi del Mini Market, Monica pensava. La sua amica aveva
terribilmente ragione, a lei i maschi piacevano un sacco. Uno dei motivi
migliori per allenare era proprio quello, rifarsi gli occhi con della bella
fauna, ma il suo ruolo non le permetteva di andare oltre a questo.
Le sue storie serie si potevano contare nelle dita di mezza mano e non
erano mai durate tanto: brevi ed intense. E ora? Adesso era felicemente single,
poche storielle per nulla interessanti e non cercava di averne una. Aveva in
testa talmente tante altre cose, che l’idea di preoccuparsi di un fidanzato le
faceva venire l’orticaria.
Passò in rassegna le confezioni colorate di salvaslip, strumenti di
tortura, ma utili. Dopo una settimana di perdite, erano arrivate in tutta la
loro potenza: odiava essere donna in quella settimana. Saccheggiati gli
assorbenti, si dedicò al frigo dei gelati. L’effetto collaterale della tempesta
ormonale, era la grande fame che la assaliva ogni volta e poi non doveva farsi
strane paranoie, in fondo abitava sola, non aveva l’obbligo di preparare una
cena genuina per tutta una famiglia, ergo, poteva strafogarsi di gelato.
‘Uhm… amarena o fragola e limone?” pensò indecisa, la scelta poteva cambiare
la sorte della serata. Poco interessata, captò dalla cassa una discussione tra
la proprietaria e una cliente.
“Signora, suo figlio sa che è qui?” ma l’altra non rispondeva.
Monica prese la confezione di fragola e limone, aveva voglia di
freschezza doppia per evitare di pensare troppo a quel ragazzino.
Improvvisamente sentì una voce conosciuta: si voltò e vide Wesley. Rimase di
sasso nel vederlo così stravolto, gli occhiali storti sul naso, l’angoscia
dipinta sul volto. Stava cercando di portare via una signora sulla cinquantina,
i capelli neri con folte striature grigie e dei vestiti logori, che si stava
lamentando.
“Mi scusi, signora.” Tentava di dire lui alla commessa.
“Non dire sciocchezze Wes, mica è colpa tua.”
“La metta sul conto, per favore.” La proprietaria sembrava piuttosto
imbarazzata. “È un problema signora Gibbs?”
“Un po’. Io conosco i vostri problemi, Wesley, ma non posso più farvi
credito. Siete arrivati a 200 dollari,
“Lo so, ma abbiamo subito spese per la casa e…”
“Non ti chiedo di pagare tutto il tuo debito oggi, ma almeno pagami
quello che tua madre ha rotto stasera.”
Wesley prese il portafoglio e vi trovò due dollari.
“Bastano?”
“Sì, grazie.”
“Io non voglio andare a casa, Roger.” Disse la signora Pryce guardando
il vuoto.
“E invece, pian pianino, ci andiamo. Coraggio!”
Monica portò al banco le poche cose che le servivano per cena.
“Arrivo subito.” Disse alla commessa mentre usciva per seguire il suo
giocatore. Lo trovò nel parcheggio, dove Wes stava letteralmente trascinando
via sua madre, che, sembrava, stesse lottando per non muoversi di lì.
“Mamma, sono stanca, all’allenamento quella arpia mi ha ucciso.
Collabora, ti prego!” Monica sorrise a sentire cosa pensava Wes di lei, ma andò
verso di loro.
“Wesley… Pryce!” urlò quando lui non la sentì la prima volta. Lui si
voltò e lei provò una strana compassione nel vederlo così disperato.
“Oh.” Disse solo lui nel vederla.
“Come va?”
“Potrebbe andare sicuramente meglio. Ora, scusami, ma devo andare a
casa.” E fece per muoversi di nuovo, ma lei lo fermò.
“Devo essere sincera, l’arpia qui presente pensava di darti un passaggio
in macchina, se lo volevi.” Wesley arrossì: lei l’aveva sentita, proprio una
bella figuraccia.
“Scusa…”
“Allora, venite?” gli chiese incurante dell’imbarazzo del ragazzo. Lui
annuì felice di non dover camminare troppo e cercò di convincere la madre, ma
quest’ultima sembrava irremovibile.
“Mamma…” la voce era rotta dalle lacrime che pressavano. Non ce la
faceva più a sopportare quella situazione, avrebbe fatto qualsiasi cosa per
scrollarsi di dosso la sua vita.
“Signora Pryce, le va di fare un giro in macchina?” chiese Monica
dolcemente.
“Un giro in macchina…che bello!” esclamò come una bambina la signora.
Monica li guidò fino ad una utilitaria rossa.
“Mettetevi comodi, Wesley, vado in negozio a pagare la mia cena.”
Wes fece sedere sua madre sul sedile posteriore, allacciandole la
cintura, poi lui si posizionò a lato del guidatore. La signora stava allegramente
canticchiando e lui si mise a pensare. Di sicuro Lei aveva sentito tutto, era
dentro al negozio quando erano venuti fuori i problemi di soldi. Sospirò
pesantemente guardando fuori. Vedeva la ragazza che pagava al bancone. Che cosa
sarebbe successo ora? La vide sorridere alla commessa: riflettè sul fatto che
quel sorriso era veramente dolce e molto rassicurante, almeno per lui. I
sorrisi di sua madre erano tutti rivolti al cielo. Si rilassò un attimo
appoggiandosi allo schienale del sedile chiudendo gli occhi.
Poco dopo ritornò Monica con un sacchetto di carta in mano. Fissò Wes
che sembrava addormentato e provò di nuovo quella strana sensazione che aveva
provato in precedenza, una specie di compassione, che di sicuro lui non
meritava. In negozio la signora le aveva spiegato –beate le chiacchierone,
scopri molto e fatichi poco!- che i debiti dei Pryce aumentavano di giorno in
giorno, anche perché la madre passava di lì ogni tanto e rompeva puntualmente
qualche sacchetto o qualche barattolo. Ora Monica capiva il perché delle scarpe
consumate fino alle suole e l’espressione perennemente corrucciata.
“Guidami!” Esclamò lei sedendosi al volante.
Uscirono velocemente dal parcheggio e Wes diede le istruzioni per casa
sua. Non era molto lontana dal market, infatti la signora Pryce ci era arrivata
a piedi.
“Curioso, abito qui da anni e non ho mai saputo che questa fosse casa
tua.” Disse Monica guardando la piccola casetta un po’ trascurata davanti la
quale si era fermata. “io abito la dietro.” Finì poi.
“Veramente?” chiese interessato Wes. Stava già rimpiangendo i pochi
minuti passati in macchina con lei: per quel poco tempo non aveva pensato
neppure ad un attimo a sua madre o ai suoi problemi. Si chiese se la cosa non
fosse troppo egoistica, ma scacciò quel pensiero praticamente subito.
“Sì, hai presente quella casa con il giardino da potare e la staccionata
rovinata… sono lavori che non so fare.” Lui annuì tranquillo, poi fece per
uscire. Aiutò sua madre e mentre la prendeva sottobraccio decise di avere diritto
a qualche minuto di pausa.
“Mi aspetti cinque minuti che la porto dentro?” chiese a Monica che lo
guardava curiosa.
“Certo.”
“Roger, mi porti dentro? Wesley ci starà aspettando, caro.” Attirò
l’attenzione la signora Pryce. Madre e figlio entrarono in casa facendo
cigolare il cancello, poco dopo lui uscì tranquillo portando due cucchiai.
“Tieni, quel gelato va mangiato, altrimenti si squaglia.” E sorrise.
“E hai anche ragione, mister Pryce.” Tirò fuori dal sacchetto la
vaschetta fredda cercando di evitare che tutti gli assorbenti cadessero fuori,
non sarebbe stata una cosa elegante. Appena ebbe tirato via il coperchio, si
fiondò sulla fragola.
“Prendi anche tu dai. Altrimenti quel secondo cucchiaio prende ruggine.”
Mangiarono in silenzio completamente assorti dalla fragola e dal limone.
Non era un silenzio teso ed imbarazzato, bensì un silenzio complice. Wesley si
godeva ogni cucchiaiata che metteva in bocca e trovava Monica molto sexy mentre
faceva la stessa cosa. Aveva un modo strano di mettere in bocca il cucchiaio,
prima mettendolo dentro, succhiandolo per leccarlo alla fine. Si chiese se lei
sapesse che quei gesti potevano portare ad uno scompenso ormonale a qualsiasi
uomo etero e Wesley era molto etero.
“Che hai da sorridere?” chiese Monica rompendo, di fatto, il silenzio.
Aveva osservato Wesley per tutto quel tempo chiedendosi perché lui fosse lì:
certo non per scroccarle il gelato!
“Nulla, non mi ero neppure accorto di farlo.” Rispose lui sincero. Lei
non disse niente, facendo smorfie con la bocca, gli occhi e gesticolando con le
mani, come un invito a farlo parlare, peccato che lui guardasse divertito
quella scena, tanto da scoppiare a ridere. Monica ne fu felice, vederlo così
rilassato non era mai successo.
“Volevo scusarmi per il triste spettacolo di cui sei stata testimone.”
Eccolo tornare serio, peccato, pensò lei.
“E di cosa ti vuoi scusare? Non hai fatto nulla.”
“Non è stato bello lo stesso.”
Monica sospirò a poggiò il cucchiaio sul coperchio della scatola. Wesley
osservava assorto in chissà quali pensieri.
“Senti… Credo che io e te dobbiamo parlare, Wes.” Esordì Monica con la
più fatta delle frasi, ma non le era venuto in mente niente di meglio.
“Ok.”
“Io non so quali siano i vostri problemi in casa e sinceramente non mi
interessa conoscerli, ma una cosa ho capito: non riesci a comprarti un paio di
scarpe decenti, quindi domani mattina io e te andremo al negozio di articoli
sportivi e io ti anticiperò l’occorrente.”
“No!” esclamò infuriato Wesley “Non ho bisogno della tua carità!”
“La mia non è carità. Te li presto e basta, con il tempo me li
ritornerai.” Rispose lei tranquilla, si era aspettata una reazione del genere.
“No! Le scarpe non sono importanti.”
“Invece sì. Stai parlando con la tua allenatrice ora: ho bisogno che i
miei ragazzi siano al loro massimo della forza e non può succedere se non hanno
delle scarpe su cui potrei contare. Quando corri o salti, devi avere delle
calzature che ti permettano di farlo al 100%, ma tu devi sprecare una parte di
te per stare attento a non azzopparti. Ti presterò i soldi e tu me li
ritornerai con il tempo, non è un problema.”
“Invece lo è e anche troppo grande! Ma non capisci che io non ho un
lavoro? La pensione con cui viviamo ci permette a malapena di comprare da
mangiare?” Era arrabbiato, ma non tanto con lei che voleva solo aiutarlo, bensì
con se stesso e con la sua vita in generale. “Non riuscirei a ripagarti… non
posso.” Finì più tranquillo. Per un attimo aveva pensato a come sarebbe stato
con un bel paio di Nike nuove, ma il sogno era svanito allo scontrarsi con la
sua situazione.
Monica, intanto rifletteva: gli avrebbe comprato quelle scarpe, fosse
l’ultima cosa che facesse e non solo perché lo voleva l’allenatrice che c’era
in lei, ma anche, soprattutto, perché voleva
levare dagli occhi almeno per un istante quella sorta di disperazione perenne
che vi leggeva. Poi, le venne un’idea.
“Senti, potremmo fare così: io ti prendo le scarpe che ti servono e tu
potresti lavorare per me.” Wes la guardò: lei stava sorridendo a lui, con quel
sorriso così dolce, così suo, le labbra leggermente alzate verso l’alto, gli
occhi socchiusi e le guance in evidenza. Era seria, non lo stava prendendo in
giro.
“E come?”
“Bhe la mia casa è vecchia, era dei miei nonni che negli ultimi tempi
non la curavano con la dovuta devozione, quindi ora è piena di acciacchi. Io
non so come metterla a posto, ma tu potresti.”disse lei felice della prima
piccola apertura che proveniva da lui.
“Tipo?”
“Mi servirebbe che qualcuno ridipingesse gli scuri delle finestre, lo
steccato e magari anche i muri esterni. Poi c’è la soffitta da mettere in
ordine e qualche lavoretto dentro. Un po’ di tutto, insomma.” Finì di elencare
lei.
“Faccio questi lavori e poi mi prendi le scarpe?” chiese incredulo lui
ancora.
“Prima prendiamo le scarpe e poi lavori. Che ne so, un’oretta al giorno
dopo i compiti o la domenica, insomma quando hai qualche ora di libertà.”
Wes soppesò la proposta. Ciò che più lo attirava non era la faccenda
delle scarpe nuove, ma la possibilità di stare con lei tanto tempo. La
incuriosiva molto e poi avrebbe potuto, per qualche ora, non sentirsi in colpa
se lasciava sua madre sola a casa, in fondo andava a lavorare, no?
Prese un profondo respiro e poi disse:
“Va bene, affare fatto!” le diede la mano, per sancire il contratto e
lei la prese. Gli fece strano vedere come la sua mano riuscisse a inglobare
quasi completamente quella di lei, gli sembrò di avere davanti una bambina.
“Che hai che fai quella faccia strana?” chiese infatti lei.
“Stavo pensando a quanto piccole siano le tue mani.” Monica sorrise.
“Sono piccoline…anche i miei piedi sono piccoli. Indosso il 37-
“Cavoli, sei una ragazza mignon!” Risero assieme nella piccola macchina
e la tensione accumulata per le contrattazioni del loro accordo, andò a
svanire.
“Bene, forse è meglio se vado a casa.” Disse infine Wesley.
“Ok, passo a prenderti domani mattina…no, pomeriggio, tu devi andare a
scuola. Facciamo per le tre e mezza, così poi andiamo a prendere la vernice per
i tuoi lavori… io scelgo il colore e tu il tipo!”
“Va bene, mi sembra giusto.”
Wes scese dalla macchina e prima di chiudere la portiera si affacciò
dentro sorridendo.
“Buonanotte, Monica e…uhmmm…. Grazie.”
“Figurati. A domani e notte a te.”
Monica aspettò che lui fosse ben dentro in casa e poi mise in moto.
Doveva andare a casa e pensare all’enorme cazzata in cui stava per buttarsi.
La vernice era stata comprata, esattamente come le scarpe. Erano andati
nel maggior negozio della città in fatto di articoli sportivi e sembrava che
Monica conoscesse tutti, come se andare lì fosse cosa comune. Non c’erano stati
molto, Wesley aveva provato solo qualche paio di modelli, oltretutto dell’anno
precedente, e aveva trovato molto presto le scarpe adatte: un classico della Nike,
bianche con il dorso di colore verde. Ok, con la sua divisa rossa e nera
sarebbero state un pugno nell’occhio, ma a lui il verde piaceva e i piedi
parevano rivivere in quelle scarpe.
Invece, per i lavori di casa che avrebbe dovuto fare, la scelta era
stata solo ed esclusivamente di Monica. Aveva deciso che non voleva avere una
classica staccionata bianca, troppo banale per lei. Quindi aveva comprato un
fusto di vernice giallo sole da usare anche sugli scuri della finestra. Secondo
Wes era completamente pazza: aveva deciso di ridipingere le pareti di casa sua
di blu elettrico. Aveva provato a farla ragionare, ma lei aveva semplicemente
sorriso ed era andata alla cassa a pagare. Aveva anche detto al commesso che se
Wesley fosse andato a comprare cose per sistemare la sua casa, non doveva farlo
pagare, ma segnare sul suo conto. Si fidava di lui, sapeva che Wes mai avrebbe
approfittato per comprarsi qualcosa per se, di questo non dubitava neppure per
un secondo.
Quel giorno, in palestra, i ragazzi si trovarono davanti ad una
sorpresa: Monica ed Illyria avevano organizzato un’amichevole con tanto di
arbitro e ufficiale di campo per il referto. Era la loro prima prova seria.
Le ragazze avevano portato in spogliatoio le divise nuove: erano sempre
rosse con i bordi neri, ma dietro ognuno aveva scritto il proprio nome e il
numero era stato stampato con un carattere diverso. In generale erano meno
seriose delle precedenti.
“Sedetevi.” Ordinò Monica ai ragazzi. “Quella di oggi sarà una prova
contro una squadra che l’anno scorso ha fatto meglio di voi. Io non credo che
questi siano trascendentali e, credo anche, che potrete avere facilmente la
meglio su di loro, se solo giocate alla maniera che sapete. Adesso darò la
maglia ad ognuno di voi. Mi raccomando, saranno queste per tutto l’anno e in
borsa dovrete mettere sia le rosse che le nere. Ho mantenuto i numeri dello
scorso anno, quindi via alle danze: 4, Jonathan.
“Sono carine.” Analizzò Spike leggendo il suo nome stampato sul retro.
“Onoratele.” Rispose lapidaria Illyria scrutandoli uno ad uno con i suoi
occhi di ghiaccio.
Poco dopo la squadra uscì pronta dallo spogliatoio, trovando la sua
allenatrice che chiacchierava con un ragazzo della sua età, alto, spallato e
con gli occhiali. Portava i capelli corti castano chiaro e aveva due penetranti
occhi grigi: indossava la classica divisa arbitrale con i pantaloni lunghi
neri, maglia grigia e scarpe nere. Parlavano animatamente sorridendo e ridendo
tra loro.
“E quello chi è?” chiese Wes guardandoli.
“A naso, direi che è l’arbitro e che è pure un suo amico.” Disse Xander
prendendo una palla per iniziare a tirare.
“Allora, mi prometti che nessuno di loro mi manderà a fan culo?” domandò
il ragazzo a Monica.
“Non lo faranno, altrimenti li uccido, Alex.” Rispose lei ridacchiando
“Ora scusami, ma vado a fare il mio lavoro! Andiamo ragazzi, un po’ di entrate
di destra!” urlò poi.
I ragazzi presero a correre tirando a canestro: sembravano tranquilli,
concentrati, consapevoli di poter far bene. Tre minuti prima dell’inizio
ufficiale, Alex, l’arbitro, fischiò, in modo che le squadre si sedessero in
panchina.
“Allora, partiamo con la difesa ad uomo: vedete chi entra in campo e
datevi le marcature. Oz, fai girare bene la palla, chiama chiaramente i giochi
e cerca di smistare palloni a tutti. Dobbiamo avere un gioco fluido. Angel,
sotto canestro voglio il tagliafuori. Xander…occhio ai falli. Spike, non
cercare di giocare da solo, sei in squadra con altre quattro persone. Wesley,
ti voglio aggressivo in difesa.”
I cinque entrarono in campo sistemandosi maglie e pantaloncini:
salutarono gli avversari e l’arbitro che li aspettava con la palla in mano,
pronto ad iniziare. La palla a due era fra Angel e un tizio che sembrava ancora
più grosso del bel moro, un armadio.
“Che dici? Palla nostra o loro?” chiese Illyria sorridendo.
“Cinque dollari che la becchiamo noi.” Le rispose Monica osservando la
disposizione in campo dei suoi ragazzi.
“Solo cinque? Io pensavo a dieci almeno.”
“Fatta.”
La palla fu alzata e la partita iniziò. Monica sorrise vedendo Illyria
tirare fuori dalla tasca dei jeans una banconota verde.
Si capì fin dai primi minuti di
gioco che i Red Fox erano migliorati molto: i giochi erano molto ben oliati,
scivolando via azione dopo azione. Era in difesa che scricchiolavano un po’
troppo.
“Ah!!! Xander, giù quelle gambe. Scivola…” urlava l’allenatrice dal suo
box. “La prossima settimana vi uccido in allenamento, non sentirete più le
vostre gambe.” Diceva ai ragazzi seduti in panchina, facendoli gemere
pietosamente. Andrew annotò l’ennesimo tiro di Spike andato a segno. Il biondo
stava dilagando, lasciando i suoi compagni quasi a secco.
“Gunn, vai e cambia William.”
Alla prima palla morta, cioè a gioco fermo dopo un fischio dell’arbitro,
l’ufficiale di campo procedette al cambio.
“Perché mi hai cambiato? Stavo andando alla grande.” Domandò lui a
Monica.
“Anche troppo. Te l’ho detto prima, non puoi fare tutto solo.”
“Perché no? Segno!”
“E gli altri? Devono anche loro prendersi le loro responsabilità: che
faranno il giorno in cui tu starai male, o avrai una giornata no? Adesso stai
seduto e guarda!” il biondo sbuffò, ma non replicò.
Il gioco scivolava via veloce: i Red Fox
sbagliavano veramente poco e macinavano punti in abbondanza. Monica
gongolava dentro di se. Ovviamente c’erano ancora cose da sistemare, ma
sembravano inezie in confronto a quello che aveva pensato all’inizio.
La sirena finale risuonò nella palestra: la partitella era finita e i
tabellone segnava 97-73 per i Red Fox. Un ottimo inizio sicuramente.
“Bene, doccia e poi siete liberi. Ci vediamo qui domani
pomeriggio.” I ragazzi presero le loro
cose e si avviarono allo spogliatoio, solo Wes lanciò un’occhiata alle due
rimaste in panchina. Entrambe sorridevano: Illyria nel suo modo freddo e
distaccato, Monica, invece, era rassicurante e sbarazzina allo stesso tempo.
Wesley sospirò vedendo l’arbitro avvicinarsi a lei per parlare come due vecchi
amici. Poi smise di pensarci e andò a lavarsi.
Capitolo quattro
In casa Summers la sveglia prese a suonare martellante. Buffy si girò assonnata
fra le lenzuola ancora calde annotandosi mentalmente che cosa avrebbe dovuto
fare durante il giorno: scuola, pranzo, telefonata a Parker, allenamento, cena
e poi a letto di nuovo. Giornata decisamente normale.
Si alzò stiracchiandosi e prese a vestirsi con un paio di jeans
attillatissimi, presi apposta per poter far esaltare le sue curve e una
maglietta nera corta che faceva intravedere l’ombelico. Una veloce pettinata e
le scarpe da ginnastica e fu pronta per sentire sua madre chiamarla dalla cucina.
“Buffy, tesoro, vieni.”
Scese le scale e appena messo piede in cucina, si ritrovò davanti ad una
torre di frittelle.
“Abbiamo l’esercito in giardino?” chiese lei.
“Perché?” domandò Joyce Summers, poi dopo un gesto della figlia al cibo
continuò. “Certo che no, Buffy, ho solo pensato che tu debba mangiare un po’ di
più, visto che oggi ti alleni.” E le piazzò un piatto con 4 frittelle davanti
al naso, affogate nello sciroppo d’acero.
“Io mi alleno tutti i giorni e tu non mi hai mai fatto tutte queste frittelle.
Per di più non mi posso permettere di ingrassare, altrimenti i salti come li
faccio?” chiese leggermente seccata Buffy.
“Wow, che bontà!” urlò una ragazzina dai fluidi capelli lunghi. “Che è
successo?”
“Perché deve essere successo qualcosa? È così strano che io faccia da
mangiare alle mie bambine?” e Joyce lasciò la stanza per andare a prepararsi
per uscire.
“Tieni, mangia anche le mie Dawn.” Disse Buffy passando il suo piatto
alla sorella che già si leccava i baffi.
“Ma perché tutto questo sfoggio di amore materno?” chiese bofonchiando
“Bho, forse vuole farci evitare di pensare all’assenza di papà. Penserà
che la sua partenza sia colpa sua e avanti di queste idee.” Sospirò ripensando
a quei ultimi mesi, nei quali i suoi genitori si erano separati, o più
propriamente quando suo padre era uscito una mattina per andare in ufficio e
non era più tornato. I suoi vestiti erano ancora lì, in attesa di raggiungere
il loro proprietario. Sua madre non aveva pianto né inveito contro il marito
davanti alle due figlie, ma Buffy sapeva che in privato aveva bagnato il
cuscino di lacrime.
“Sono solo sciocchezze!” la voce squillante di Dawn la riscosse dai suoi
pensieri.
“Uh?”
“Il fatto che papà se ne sia andato non è colpa di mamma, ma sua.”
“Certo, ma spiegalo a lei. Senti pulce, io vado. Ci vediamo questa sera
quando torno.”
Dawn mise il broncio mentre cominciava ad addentare l’ultima frittella.
“Ancora allenamento! Io e te non passiamo un pomeriggio assieme da mesi!
Non è giusto.”
“Dai, non fare capricci, sei grande ormai. Lo sai che devo allenarmi
seriamente, altrimenti non arriverò ai Campionati. Pensa, se tutto va bene, nel
“Sì, ma fino al 2008 non ti vedrò.” Misero i piatti nel lavello e
presero gli zaini per andare a scuola.
“Facciamo così… sabato non ho niente, né allenamento, né gara. Potremmo
uscire assieme, andare al centro commerciale e fare shopping!” propose Buffy e
Dawn cominciò a saltellare felice, ma poi si rabbuiò di nuovo.
“Non è che poi mi tiri pacco perché devi uscire con verme-Parker?”
“Smettila di chiamarlo in questo modo. È il mio ragazzo, devi portargli
rispetto.” Dawn sbuffò.
“È viscido.”
“Smettila! Comunque ti prometto che uscirò con te.” Si strinsero la mano
per suggellare la promessa, poi sentirono la madre che le chiamava per andare a
scuola. La giornata iniziava.
Willow camminava lentamente fra i corridoi della scuola: aveva appena
concluso la lezione supplementare di informatica e doveva raggiungere la classe
di storia della signora Finch. Non le dispiaceva come materia, ovviamente, ma
prediligeva le materia scientifiche, per questo era riuscita ad entrare al
corso avanzato di pc ristretto a quegli studenti brillanti dell’ultimo anno e
lei frequentava appena il primo. Era considerata il genio del liceo: ammetteva
che la cosa le piaceva parecchio. Vero, la maggior parte dei ragazzi la
evitavano come se avesse la peste, ma tanto lei aveva Buffy e Spike, non le
servivano altri amici. Certo, avrebbe avuto voglia di un ragazzo, ma non si
struggeva molto per questo. La sua speranza consisteva nell’essere presentata a
Xander quanto prima.
“Ciao Rossa, sei stata elevata di grado?” Spike l’aveva chiamata dalla porta
della classe di letteratura del secondo anno. Gli architetti che avevano
progettato quella scuola avevano avuto un senso di elitarietà: quelli del primo
anno erano sistemati al primo anno, quelli del secondo anno al secondo piano e
quelli del terzo, al terzo piano. L’unico posto dove si potevano mescolare era
la mensa, un edificio esterno.
“Sono di ritorno dalla classe di informatica. Sai, il corso in più che
faccio!” rispose lei squillante e felice.
“È vero, la mia piccola genietta. Dovrai dare qualche dritta a papà,
forse tu ce la fai a fargli capire qualcosa.”
“Credo che Jenny abbia qualche argomento di persuasione migliore dei
miei.” Disse maliziosa lei e Spike prese a ridere fragorosamente. “Ora vado, o
la signorina Finch sarà felicissima di mettermi in punizione!” e corse via.
Buffy era già seduta al suo posto e lei si mise al suo fianco.
“Come è andata la lezione?” chiese la bionda.
“Bene. I ragazzi del terzo anno non capiscono come io riesca già a
programmare in quella maniera!”
“Solo perché non sanno di cosa sei capace…” Will rise modesta. Arrivò
l’insegnante e calò il silenzio in aula: per due ore sarebbero stati avvolti
nel mondo europeo medioevale.
La musica suonava lenta: Buffy stava ascoltando il pezzo per la prima
volta in modo da impararla per il nuovo programma che avrebbe dovuto portare ai
Campionati. La sua allenatrice voleva fare in modo che ci fossero più
difficoltà rispetto al precedente e a lei andava più che bene. Voleva potersi
sfidare, vedere fino a dove poteva spingersi. Si vedeva già a saltare: sulla
sua bocca sbocciò un sorriso soddisfatto.
“Tutto bene?” chiese l’allenatrice.
“Alla grande, signorina Kennedy.”
“Questo sarà un grande anno per te. Ad aprile ci saranno i trials per i
campionati del mondo… mi aspetto grandi cose da te, Elisabeth. L’anno scorso
sei rimasta esclusa per poco… non deve ripetersi!”
Prese a pattinare velocemente per tutta la palestra ricordandosi che
ancora non aveva chiamato Parker: ‘diavolo, gli avevo promesso che ci saremmo
sentiti prima dell’allenamento.’
Non che le cose andassero male tra loro, ma la storia a Buffy sembrava
un po’ noiosa, forse era causa sua e alla sua ritrosia riguardo i rapporti
sessuali. Eppure credeva che al suo ragazzo non importasse tantissimo di lei, a
volte si sentiva come usata. Scrollò la testa, convinta di star pensando solo a
delle cazzate senza senso: Parker era intelligente, simpatico e un bravo
ragazzo, di meglio non poteva anelare. Chiuse un salto triplo tra gli occhi
sgranati delle bambine piccole che seguivano i sui allenamenti e, con la testa
ancora tra i fatti suoi mentre andava a fare la doccia, andò a sbattere contro
Spike, che, appoggiato allo stipite dell’arco di entrata al parquet, stava
aspettando di poter mettersi a tirare.
“Ahi!”
“Ma guarda dove vai!” esclamò lui arrabbiato.
“Si può sapere che ci fai qui??”
“Aspetto semplicemente che voi ve ne usciate da qui e ci lasciate la
palestra!”
“Non ti avevo visto… comunque non è il posto giusto dove fermarsi ti
pare?” fece lei piccata.
“Tutte scuse… questo è un paese libero, posso stare dove voglio. Non la
conosci la tua Costituzione?”
L’imprecazione di Buffy si perse tra il rumore dei primi palleggi dei
ragazzi. Quel biondo la faceva infuriare: aveva ovviamente ragione sul fatto
che lei avrebbe dovuto guardare dove andare, ma la sua strafottenza la impediva
di dargli le sue scuse. Quasi le dispiaceva di non avergli fatto più male!
Prese il cellulare e lo accese, aspettando speranzosa che le arrivasse
il messaggio di avvertimento che Parker aveva chiamato, invece restò delusa: di
lui nessuna traccia. Mentre si slacciava i pattini bianchi, digitò il numero
del suo ragazzo. Dopo solo due squilli, lui rispose.
“Ciao. Dove sei?”
“Ciao Parker, ho appena finito allenamento… stavo per buttarmi in
doccia.”
“Mmmmm vengo a darti una mano se vuoi.” Disse lui con una punta di
lussuria nella voce, che fece rabbrividire Buffy e non riusciva a capirne il
motivo.
“Sei molto gentile, ma credo che riesco ancora a farmela da sola… però
potresti venire a prendermi fuori dalla palestra, dico a mamma che non stia a
venirmi a prend…”
“Non posso!” la bloccò lui senza lasciarla finire di parlare. “Devo
andare ad allenarmi anche io, che pensi. Ci potremmo vedere sabato pomeriggio!”
“Ho detto a Dawn che uscirò con lei.” Parker, dall’altra parte della
cornetta, sbuffò pesantemente.
“Che ti importa, è solo una bambina.”
“Bhe, ma io ho promesso!”
“Senti, io devo andare. Ne riparliamo, ok?”
“Va bene.” Capitolò lei “Buona serata allora.”
“Sì… ci sentiamo, ciao.” Non la lasciò replicare che mise giù: Buffy si
ritrovò come una scema a fissare il display che le comunicava l’interruzione
della chiamata.
“Ma tu guarda questo…” sbottò infine.
Quando stava per buttarsi sotto l’acqua calda, sentì l’inconfondibile
suoneria che annunciava l’arrivo di un messaggio: Parker le aveva scritto.
“Scusa amore, non volevo essere scortese, ma mi manchi e tua sorella può
vederti quando vuole. T.v.u.c.d.b”
Buffy si chiese se la bambina fosse veramente Dawn, oppure lui, che
finiva i SMS sempre con quelle frasi criptate che lei non sopportava. ‘Chissà
se un giorno me ne trovo uno che non parla come se dovesse dire il suo codice
fiscale!’
Decise di andare ad annegarsi sotto la doccia: in fondo sua madre
sarebbe dovuta passare a prenderla di li a poco, non aveva certo voglia di
sorbirsi una ramanzina sul fatto che la faceva aspettare. Dopo un quarto d’ora
era perfettamente pronta per tornare a casa.
“Sto diventando sempre più brava.” Disse a voce alta al muro. Col borsone
sulle spalle uscì, fermandosi un attimo a guardare i ragazzi che tiravano. Si
chiese come due ragazze riuscissero a tener testa a quella banda di scatenati,
eppure sembrava che tutti le ascoltassero interessati. Erano divisi in due
gruppi da cinque e tiravano da oltre l’arco dei
“Bravi! E molto bene Spike, ne hai segnate cinque su sette tirate.”
“Mancano due.”
Buffy perse il resto del discorso, perché, in fondo, la cosa non la
interessava moltissimo e uscì dalla palestra dove ricevette una cocente
delusione: sua madre non c’era.
“Mancano due.” Monica lo guardò male, ma non disse nulla. La voglia di
primeggiare di quel ragazzo le dava un po’ sui nervi, eppure lui ci metteva
veramente l’anima per essere perfetto. Si chiese da dove derivasse quella sua
voglia di rivalsa.
“Ok, ragazzi. Buona così. Ormai mancano due settimane all’inizio vero e
proprio del Campionato… credo che stiamo lavorando bene. Qualcuno di voi ha
qualche cosa da voler approfondire?” chiese. Tutti dissero di no. “Va bene.
Angel, Xan, Wesley, Robin e Jessy andate di là con Illyria, gli altri con me da
questa parte del campo.”
Lei ed Illyria si appartarono un attimo a parlare.
“Fai con loro lavoro specifico per i pivot, sia difesa che attacco. Mettiti sulla linea da tre e passa tu la
palla. Io lavoro con le guardie e i play.”
“A me gli alti, a te i tappi.”
“Non per nulla tu sei alta e io no.” Divisi ruoli ed esercizi, ripresero
a giocare.
Monica aveva deciso di dare una scossa alla sua difesa. Tutti a gambe
piagate e leggermente divaricate, pronte a scattare da una parte o all’altra,
in modo da chiudere la via d’accesso al canestro.
Le piaceva come si impegnavano Jonathan ed Andrew: nonostante fossero
meno bravi degli altri ci mettevano molto impegno a rompere le scatole agli
altri. Da lontano vide Wesley rubare l’ennesimo pallone al povero Jesse che non
riusciva a fare un canestro neppure pagandolo. Illyria fece fare cambio, in
modo che Wes marcasse Angel che era decisamente migliore di Jesse.
“Spike ed Andrew giocate assieme. Oz e Jonathan, voi in difesa…” porse
la palla a Spike ed osservò i movimenti dei ragazzi. Su canestro del biondo, si
mise a pensare seriamente ad un piccolo cambiamento di tattica.
L’allenamento finalmente finì: i ragazzi erano spompati, senza un grammo
di forza. Monica li aveva fatti correre come dei pazzi e la maggior parte di
loro non vedeva l’ora di buttarsi sul divano. Spike non faceva eccezione. Si
infilò sotto la doccia, assaporando la cascata di acqua calda che lo
accarezzava. Avesse potuto, si sarebbe addormentato così. Si riscosse dalla sua
apatia e vide che era l’ultimo: classico, era lentissimo a lavarsi. Mentre si
infilava le scarpe salutò Gunn e si ritrovò da solo.
In campo i senior stavano giocando e lui, per un attimo, pensò che
poteva fermarsi a guardare, magari imparava qualcosa di nuovo, poi ricordò che
a casa suo padre lo aspettava: c’era Jenny a cena e non voleva che lui
mancasse. Sospirò forte e si andò a prendere la bici. Rimase piuttosto sorpreso
quando vide una figura bionda in attesa.
“Hobbit, che fai qui?” notò che la ragazza era seduta sulla sua borsa di
allenamento.
“Secondo te che cosa faccio? Ballo il tango?” rispose acida Buffy “sto
aspettando mia madre.”
Spike fece mentalmente due conti e si ritrovò allibito.
“Ma sono almeno due ore che sei seduta qui.”
“Lo so.”
“E tornare a casa da sola non sarebbe una brillante idea?”
“Lei viene a prendermi qui, non posso muovermi.” Ed incrociò le braccia
decisa.
“Potrebbe essere pericoloso per una ragazza sola stare qui al buio.”
“Mi stai minacciando?” chiese Buffy allarmata.
“Ma figuriamoci! Con una come te non proverei mai!” inforcò la mountain
bike con agilità e con uno svolazzo della mano se ne andò. Che cosa poteva
importare a lui se una ragazzina era da sola al buio, di sera ad aspettare la
madre? Inchiodò poco dopo con uno stridio di freni e si guardò indietro: Buffy
sembrava una bambina, seduta davanti la porta della palestra. La zona
circostante non era bella, c’erano ben pochi lampioni a rischiarare il parco e
tantissimi posti per appartarsi.
Spike immaginò la prima pagina del giornale del giorno dopo: giovane
pattinatrice violentata ed uccisa. Mollò qualche parolaccia e tornò indietro,
sotto la sguardo diffidente di Buffy.
“Che fai?” gli chiese, infatti.
“Te l’ho già detto. Non è sicuro per una ragazza come te stare qui da
sola. Con me vicino non ti disturberà nessuno.”
Lei non disse nulla: non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, ma la sua
presenza la rassicurava. Nelle due ore che aveva passato seduta li, era stata
costantemente all’erta. Ogni più piccolo rumore proveniente dai cespugli la
rendeva inquieta, aveva paura che qualcuno potesse farle qualcosa. Vero era che
una pattinata in testa faceva male, ma metti che non fosse riuscita a fermarlo?
No, Spike era una garanzia maggiore di incolumità.
Rimasero vicini in silenzio, piuttosto imbarazzati. Nessuno dei due
sapeva bene di cosa parlare, non avevano nessun punto in comune, solo
l’amicizia con Willow, ma a nessuno dei due la voleva menzionare, una parte di
cervello di entrambi non voleva rovinare quella strana atmosfera con le parole,
quasi fossero inutili per sentirsi vicini. Per fortuna Joyce arrivò pochi
minuti dopo tutta trafelata.
“Alla buon’ora!” la salutò Buffy.
“Scusami tanto, ma un cliente dell’ultim ora… andiamo a casa, Dawn ci
starà aspettando preoccupata.”
Buffy si girò per salutare Spike, ma lui se ne era già andato, infatti
lo vide che era già oltre il pesante cancello di ferro che delimitava il parco:
rimase a fissarlo fino a quando non scomparve dalla sua visuale: quel suo gesto
l’aveva commossa, malgrado tutto.
“Carino il tuo amico.” Disse Joyce mettendo in moto.
“Carino? Come fai a dire che è carino con quei capelli assurdi?” sbottò
Buffy.
“Fanno molto anni ’80… gli stanno
bene.” La ragazza decise che era meglio non approfondire con la madre il
discorso Spike, o , conoscendola, non ne sarebbe venuta fuori. Solo quando
buttò la borsa in lavanderia, si accorse di non aver negato l’amicizia con
Spike.
“Oh.” Poi evitò di preoccuparsi, tanto dal giorno dopo lo avrebbe di
nuovo odiato cordialmente.
Ascoltò piuttosto distratta il racconto della giornata di Dawn e sua
madre, intervenendo con collaudate esclamazioni. Non che non le interessasse
quello che loro dicevano, ma in fondo era la stessa cosa di ogni giorno e lei
era troppo stanca per essere concentrata nella giusta maniera, così fingeva. In
fondo le riusciva anche piuttosto bene.
Finalmente in camera sua prese il cellulare, su cui spiccava una
chiamata senza risposta: Parker. Non gli aveva ancora risposto al messaggio,
nonostante il ragazzo le avesse scritto quattro ore prima. Che dirgli? Digitò
in fretta: scusa per il ritardo, lo sai, la mamma… ti voglio bene anche io, a
domani. Sì, andava bene, nulla di così troppo mieloso e niente di troppo
freddo. Prese Mr. Gordo e si buttò a letto addormentandosi con in mente un paio
di occhi azzurro mare che non ricordava dove li aveva visti.
“Ti avevo chiesto di arrivare presto, invece, come al solito, non mi hai
ascoltato.” Rupert Giles stava cercando di farsi ascoltare dal figlio, che però
era piuttosto preso nel tirare a canestro nel retro di casa sua.
“Ti ho già chiesto scusa, ma non è stata colpa mia.” Passò la palla al
padre, come a sfidarlo di tirare. Giles ci provò, ma fece cilecca.
“Bha, lasciamo perdere la palla a spicchi. La prossima volta giochiamo a
calcio, li vado meglio.” Spike rise fragorosamente.
“Ma dai papà, sei una schiappa anche con i piedi! L’unica cosa in cui
puoi sfidarmi è con i libri!” lo prese in giro bruciando la retina da lontano.
“Comunque, perché sei arrivato tardi?” continuò imperterrito il padre.
“Ci siamo allenati un po’ di più del solito. Non potevo dire di no.”
Sperò di essere stato abbastanza convincente. Di solito non diceva bugie al
padre, ma quella volta non potè fare altro. Voleva tenere per se il tempo
passato con Buffy, perché per un momento, vederla la, sola e in attesa, gli
aveva stretto il cuore. Certo, la motivazione da cavaliere con la bianca
armatura scintillate era piuttosto valida, ma non era la sola. In realtà lui
aveva proprio voglia di farle compagnia e stare con lei. Scrollò le spalle,
passando di nuovo la palla a suo padre.
“Dai, fammi compagnia, papà!”
I due continuarono a giocare a lungo dimentichi della discussione di
poco prima.
Capitolo Cinque
Il corpo di Darla era minuto sotto il suo, temeva sempre di romperla
quando facevano l’amore in macchina.
“Aspetta…” le intimò e lei, da brava, si fermò. In fondo anche lei
voleva divertirsi. Liam la fece salire sopra di lui, in modo da poter
terminare. A Darla bastarono pochi movimenti di bacino per far venire il suo
ragazzo. Rimasero fermi abbracciati per un bel po’, fino a quando, Liam non si
ricordò che doveva andare alla prima partita della stagione. Il Campionato
iniziava proprio quel giorno e se arrivava tardi Monica lo avrebbe scorticato.
“Vieni in palestra?” chiese a Darla mentre lei si aggiustava il
reggiseno.
“Certo. Voglio vederti vincere.” Rispose lei sorridente. Balle, lo
voleva vedere caldo e sexy al massimo. “E poi non sarò da sola… verrà
Cordelia.”
“Uhm… Cordelia? Ah, quella ragazza del primo anno, bruna?” chiese Liam
alzando la lampo dei jeans.
“Sì, proprio lei.”
“Una ragazza carina. La vuoi far diventare qualcuno?” chiese con sottile
ironia il ragazzo.
“Non ha bisogno di me per farlo. Suo padre è l’uomo più ricco di
Sunnydale, praticamente.” O almeno il secondo, proprio dopo il suo, pensò
Darla. “Però vuole entrare nelle mie grazie, in fondo sono o no la ragazza più
cool di tutta la città?”
Liam partì, lasciando alle spalle il boschetto dove da anni gli amanti
si appartavano per avere un po’ di privacy, impossibile da trovare in casa. La
macchina sfrecciava veloce, lasciando dietro di se solo polvere e detriti.
“Ciao Darla.” Salutò Xander. Prima di andare in palestra, Liam si era
fermato a casa sua per caricare il fratello che lo aspettava.
“Ciao. Allora giochi anche tu quest’anno?” chiese lei con poco
entusiasmo.
“Certo. Quest’anno ho pure fatto dei grandi progressi, vero Liam?”
“Sì hai ragione.”
La bionda sbuffò un po’ annoiata: non riusciva a tollerare Xander. Non
capiva come era possibile che uno bello come Liam si trovasse per fratello uno
sfigato come lui. Era umanamente impossibile. Invece la genetica li univa.
‘Bho, misteri della fede.’ Pensò infine, mentre Liam parcheggiava. Alcuni dei
loro compagni erano già arrivati, infatti sul muro erano appoggiate delle bici,
tra cui spiccava quella nera di Spike.
“Andiamo. Ci vediamo dopo Darla.” Disse Liam lasciando la sua ragazza
con un bacio veloce. La sveltina in macchina gli era piaciuta, eppure non lo
riusciva ad appagare del tutto. Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì
Xander che gli diceva qualcosa.
“Uh?”
“Dicevo, dove siete stati tu e Darla?”
“Alla collina.” Liam osservò che il fratello non era molto felice di
quello che gli aveva detto e prima di entrare nello spogliatoio gli posò una
mano sulla spalla.
“Xan, te lo dico come consiglio: non sei il ragazzo adatto per Darla, ti
userebbe come un fazzoletto e tu non lo meriti.”
“A te non ti usa in questo modo.”
“Io so farmi valere e non sono buono come sei tu. Oltretutto credo che a
volte faccia comunque quello che vuole lei.” Scrollò il capo senza capire ed
entrarono. Trovarono Spike ed Oz agli antipodi della stanza che si scrutavano
torvi già pronti per entrare. I due fratelli si scambiarono un’occhiata e si
cambiarono tranquilli.
“Chi credete che sceglierà Monica come capitano?” chiese Spike ad un
certo punto.
“Non te di sicuro.” Rispose immediatamente Oz.
“Ha detto che dovevamo sceglierlo noi.” Disse Xander memore del loro
primo allenamento.
“Per me uno vale l’altro…” disse Liam “Qui dentro siamo solo noi quattro
e due non mi vanno bene. Io non voglio neppure essere preso in considerazione…
mi rimani tu, Xander.”
“Sei matto! Io propongo che il prossimo capitano sia il primo che
entrerà dalla porta.” Oz alzò gli occhi al cielo, ma, in fondo, poteva essere
una soluzione come un’altra.
“Va bene.”
Si sedettero sulle panchine in attesa… sembrava che nessuno volesse
arrivare. Poi la maniglia si abbassò.
“Ciao a tutti.”
“Ciao Capitano!” esclamò Spike ad un Wesley piuttosto perplesso.
“Cosa?”
“Abbiamo deciso che sarai il nostro capitano per quest’anno. Buona
fortuna.” Disse Xander con un bel sorriso.
“No, no… qui si va a votazione. Quando ci saranno anche gli altri
vedremo. Io propongo Liam, è il più vecchio di noi e…”
“… e che quando si incazza prende a pugni il primo che trova…” disse,
appunto Liam. “Non sono la persona adatta.”
“Non sono d’accordo!” esclamò veemente Wesley, che voleva fare di tutto
per evitare anche quel fardello sulle spalle.
“Di che si discute?” chiese Robin entrando con, dietro di se, il resto
della squadra.
“Di Wesley capitano.” Disse Oz tranquillo.
“Ehy, che bella idea!” Continuò Andrew.
“No, no… Liam sarebbe migliore!” disse Wesley ormai disperato, ma i suoi
compagni non sembravano della stessa idea. Jonathan prese a dargli tante
piccole pacchette sulla schiena per infondergli coraggio. “Su, sarai il nostro
grande capitano Kirk.”
“O il nostro Tsubasa.” Rincarò Andrew, subito guardato come se fosse
malato “Insomma, Capitan Tsubasa… Holly e Benji vi suona meglio?”
“Ah!” fecero tutti in coro. “Parla come mangi, Andy.” Andrew, sbuffando
incompreso, iniziò a cambiarsi. In realtà per lui stare con i vestiti normali
non sarebbe stato un problema, tanto non giocava mai. Sarebbe rimasto in
panchina a fare lo scorer.
Quando Monica bussò alla porta, tutti erano già pronti.
“Possiamo entrare? Nessun minorenne nudo?” urlò Illyria.
Entrarono e i ragazzi rimasero ad occhi sbarrati: Monica indossava un
paio di pantaloni eleganti neri che slanciavano le gambe, una camicetta rosa
shocking e un paio di scarpe nere con il tacco. Si era truccata e i suoi occhi
sembravano essere ancora più grandi rispetto al normale. Illyria, al contrario,
non aveva abbandonato i suoi vestiti di pelle nera, che, però, fasciavano
interamente il suo corpo valorizzandolo al massimo. Molti dei ragazzi ebbero un
pensiero fugace: forse non sarebbero stata la squadra migliore, ma di sicuro
erano quelli con lo staff tecnico più figo di tutto il campionato, se non di
tutta la nazione.
“Allora, pronti?” chiese Monica sorridendo e loro annuirono veementi.
“Perfetto. Inizieremo con Oz, Spike, Angel, Wes e Xander. Prendete subito
l’uomo e cominciate fin dalla prima azione a pressare tutto campo. Mi
raccomando, questi sono dei morti di fame, non facciamo brutte figure.” Li
guardò uno ad uno e fu piuttosto soddisfatta da quello che aveva letto nei loro
occhi. Sembravano piuttosto determinati. “Avete scelto il capitano?”
Un gemito la fece girare: Wesley sembrava disperato.
“Fatemi indovinare…Wes?” si levò un coro di voce affermative. “Mi sembra
una bella idea.”
“Come?!? Ma sei impazzita pure tu?” rispose Wesley sconvolto.
“No. Dai andiamo.”
“Avrei dovuto capire che eri pazza vedendoti comprare vernice blu
elettrico per i muri di casa.” Borbottò Wes seguendo i suoi compagni.
“Oh su, che vuoi che sia. Io sono stata il capitano della mia squadra
per anni, non è mica una cosa così terribile.” Disse Monica ponendogli la mano
sulla schiena. “Adesso parliamo di cose serie.” Presero a guardare i loro
avversari che avevano iniziato a tirare. Monica sembrava stesse fissando un
ragazzo in particolare. “Vedi il numero undici?” Anche Wes lo puntò: era un ragazzo
di media statura, ben spallato con le braccia piene di muscoli. Tirava da tutte
le zone del campo segnandoli praticamente tutti. “Lo prenderai tu. Non deve
prendere palla. Non mi interessa che tu vada ad aiutare gli altri, lo marcherai
faccia a faccia.” Lui annuì e raggiunse i suoi compagni che stavano iniziando a
scaldarsi con delle tranquille entrare a canestro con la mano destra.
Monica vide che Andrew si era seduto in panchina a scrivere e andò da
lui.
“Che fai qui? Vai a correre.” Gli disse.
“Perché? Io tengo le statistiche, non faccio altro.” Disse lui
tranquillo.
“Invece ti vai ad allenare con gli altri, perché oggi potresti giocare.
Scrivo io qui.” E lo spinse verso il parquet. Andrew era rimasto senza parole.
Mancavano venti minuti all’inizio della partita e fecero la loro
comparsa i due arbitri e i due ufficiali di campo con la loro bella maglia
rossa. Monica salutò tutti e quattro, visto che li conosceva bene, dato che
anche lei aveva il tesserino da ufficiale di campo. Il primo arbitro li chiamò
vicino al tavolo per fare il riconoscimento: Monica sentiva dalla voce che li
odiavano. Si vede che l’anno prima li avranno fatti penare, pensò lei, per
fortuna che non succederà più.
“Poi abbiamo l’allenatrice, Cross.” Sentì che diceva il secondo arbitro.
“Buonasera, Monica.”
“Lo sappiamo… non serviva. Ti tocca sporca quest’anno, Monica. Questi
sono tremendi.” Disse uno dei due.
“Non molto. Sono bravi se vogliono.” L’occhiata scettica che ricevette
dai due ragazzi era piuttosto eloquente.
“Illyria Burkle è la scorer?”
“Sì. Sono io, eccomi.”
“Bene, direi che qui abbiamo finito.” Toccò all’altra squadra
riconoscersi e Monica ed Illyria andarono sedersi sulla panca a guardare i loro
che si davano da fare con un classico dai e vai.
“Non prevedo difficoltà in questa gara.” Esordì Illyria.
“Così sembrerebbe… ma è sempre la prima di campionato.” Illy sbuffò
facendo un gesto con la mano.
“Non cambia assolutamente niente. I nostri sono più forti.” Monica non
rispose, ma dentro di se credeva esattamente la stessa cosa. Vide che gli
spalti si stavano riempiendo, soprattutto di ragazze: era evidente che i
ragazzi piacevano parecchio. Si alzò sorridente per andare al tavolo: mancavano
dieci minuti, doveva dare agli ufficiali di campo le entrate dei primi cinque.
Sorrise alle sue colleghe con chiacchierò un po’ prima di segnare i giocatori.
“Allora, entrano: Osborne, i due O’Connor, Giles e Pryce.” Disse
guardando Gunn mentre tirava da fuori area segnando.
“Capitano?” chiese la segnapunti.
“Pryce.” Fece una firma a lato e tornò da Illyria che ogni tanto dava i
comandi ai ragazzi per fargli cambiare esercizio.
“Non ti ho neppure chiesto come sta Fred.” Domandò Monica alla sua vice.
“Come vuoi che stia? È al MIT che fa quello che le riesce meglio… la
secchiona.” E rise. “No, dai, non infieriamo. Sta bene, è l’orgoglio di mamma e
papà che vedono già un Nobel per la fisica troneggiare in salotto. Mi ha
chiamato l’altra sera, dice che Boston le piace e che i ragazzi sono carini.”
“Cosa certamente non trascurabile.”
“Già. Bhe, in fondo è sempre stata lei la secchiona di casa, io ero la
gemella sportiva.”
Gli arbitri fischiarono, tre minuti all’inizio: i ragazzi si sedettero
sulla panchina per ascoltare gli ultimi consigli delle due allenatrici.
“Allora, gli arbitri vi odiano, sono pronti a darvi tecnico alla prima
parola che spiaccicate, quindi silenzio. Se uno di voi parla con loro, lo tolgo
e lo lascio in panchina per settimane, è chiaro?” sperò di essere stata
abbastanza dura su questo punto e di risultare convincente. Era fondamentale
che non succedesse nulla. “Dai, Oz, Spike, Angel, Wes e Xan. Angel… il salto a
due deve essere tuo!” disse rivolta a Liam, che tranquillo annuì come se fosse
cosa fatta.
Pronti, attenti, via! Bastarono i primi dieci minuti per capire come girava
il vento quel giorno: Spike non ne sbagliava uno, Xander e Liam prendevano
qualsiasi rimbalzo passasse dalle loro parti, Oz girava a meraviglia la palla e
Wes sembrava colla. L’altra squadra era completamente annichilita.
Darla, dagli spalti, si godette appieno il suo ragazzo in canottiera che
troneggiava sugli altri, in più scannerizzava Oz ogni volta che passava sotto
di lei. I suo capelli verde elettrico erano spettacolari.
“Scusa il ritardo.” Si girò e si trovò una Cordelia ansante. “Ma mia madre
non voleva schiodarsi dalla tv.”
“La prossima volta vedi di essere puntuale. Qui da sola sembravo una
patetica sfigata, un po’ come quelle due là.” Disse ammiccando a due ragazze:
Willow ed una annoiatissima Buffy.
“Non è bellissimo?” chiese Willow guardando Xander.
“Insomma, quei capelli biondi sono terribili.” Rispose Buffy senza
troppo pensarci su. Le sembrava di aver sentito sua madre.
“Biondi? Ma guarda che io parlavo di Xander, non di Spike.” Buffy
arrossì un po’ per la figuraccia che aveva appena fatto. “Ti piace Spike?”
“Willow, ti ha dato di volta il cervello? È solo stato un lapsus. E
Xander non è il mio tipo, suo fratello è molto meglio. Comunque io ho già il
ragazzo, non me ne serve un altro.”
Ma Willow non sembrava molto convinta.
“Chi è il ragazzo con i capelli verdi? Mi pare di conoscerlo.” Chiese
Willow per lasciar cadere il discorso.
“Lo abbiamo visto suonare al Bronze qualche volta. Si chiama Daniel
Osburne, o qualcosa del genere. Dicono che sia gay.” Concluse Buffy lanciando
un’occhiata a Darla e Cordelia che parlavano. “Ha scaricato
“E allora non può che essere gay.”
Intanto, Oz, non sapendo di essere stato tirato in ballo, fece un
passaggio lungo a Xander che stava correndo in contropiede, terminando con un
bel canestro da due.
“Bene, che ne dite di movimentare un po’ i giochi? Gunn, entra al posto
di Spike.” Il ragazzo andò a sedersi sul cubo del cambio e Monica prese da
parte Jesse. “Allora, hai visto come ha difeso Wes fino ad adesso?” lui annuì.
“Dovrai fare la stessa cosa. Dagli il cambio.”
Ovviamente le riserve non avevano la stessa tabella di marcia dei
ragazzi del quintetto iniziale, che ora stavano tranquillamente seduti in
panchina a fare il tifo per i loro compagni: erano entrati anche Jonathan e
Robin, quindi Angel e Xander si stavano riposando.
“Ehy coach…” urlò proprio Xander “Direi che va tutto a meraviglia.”
“Da migliorare sicuramente. Comunque come prima uscita non è male.”
La sirena finale decretò che la gara era finita.
“Dai, forza qui. Facciamo l’urlo, andiamo a salutarli e via in doccia.”
Esclamò Monica contenta. L’indomani, ad allenamento, avrebbe avuto poco su cui
discutere, ma qualcosa lo avrebbe trovato, se non altro per spronarli a
migliorare. Lunga era ancora la strada per la fine del Campionato.
Nel frattempo, Spike stava parlando con Willow che era scesa, insieme ad
una Buffy piuttosto di cattivo umore, dagli spalti.
“Siete stati bravissimi! E tu ancora più di tutti!” esclamò la rossa
saltellando.
“Grazie Will, ma è solo ordinaria amministrazione.” E sorrise
compiaciuto, poi guardò Buffy che batteva a terra un piedino impaziente di
andarsene. “A te è piaciuto guardare?”
“Non siete male, ma la squadra del mio ragazzo vi farà neri.” Sentenziò
soddisfatta. In realtà non lo sapeva se quello che aveva detto era vero, ma
sapeva, grazie alle chiacchiere ininterrotte di Parker e dei suoi compagni, che
erano piuttosto bravi, visto che l’anno prima erano arrivati quasi alle finali
nazionali.
“Ah, è chi è il disperato che sta con te?” Ribattè acido Spike.
“Stronzo! Parker non è proprio disperato, mi ama e io amo lui.” rispose
la bionda con piglio battagliero. Al
nome di Parker, Spike strinse gli occhi, e così facendo sembrò assomigliare ad
un serpente velenoso.
“Quindi Parker è il tuo ragazzo…interessante…” sibilò, appunto. “Ah
Xander!” urlò cambiando discorso. “Sei stato proprio bravo oggi… sì, sì…” e lo
fece avvicinare al gruppetto, dove Willow aveva assunto un acceso colore rosso
ciliegia sulle guance. “Non è stato bravo, ragazze?” chiese speranzoso di una
risposta. Buffy lo guardava come se fosse un extraterrestre appena sbarcato da
Marte e Willow balbettava qualcosa che assomigliava vagamente ad un sì.
“Uhm… grazie?” rispose titubante Xander che non capiva perché Spike
sembrasse così… poco Spike.
“Loro sono due mie amiche…” riprese il ‘finto’ Spike “Lei è Willow,
piccole genio e ragazza favolosa, mentre lei è Hob…Buffy…sì, Buffy.”
“Piacere mio, io sono Xander.” E fece per andare in spogliatoio, quando
Willow, presa da uno strano raptus, gli urlò dietro:
“Magari ci si rivede!” gli occhi dilatati e speranzosi di lei fecero
leva su Xander.
“Perché no… sai dove trovarmi.” E andò a lavarsi. Spike rilasciò un
sospiro di sollievo, la parte più difficile era stata fatta, ora toccava a loro
due e lui si sarebbe potuto lavare le mani con comodo.
“Sei un idiota!” lo apostrofò Willow.
“Prego?” chiede lui con perfetto applombe inglese.
“Presentarmi così… mi prenderà per una stupida adesso!” piagnucolò.
“Ma dai, lascia perdere… ha detto che potreste vedervi, no? Come pensi
che avrei potuto presentarvi diversamente? Ora scusa, devo andare. Ciao
Hobbit!”
“Smettila di chiamarmi Hobbit!” urlò arrabbiata Buffy mentre lui entrava
nello spogliatoio dove tutti i suoi compagni erano già nudi pronti per la
doccia. Solo Wes era ancora vestito e seduto in un angolo… sembrava stesse
pensando.
“Tutto ok Pryce?” sarà il fatto che erano inglesi entrambi, ma a Spike
il moretto faceva simpatia anche se mai erano usciti una sera assieme, anche se
non avevamo mai parlato molto.
“Sì, tutto ok. Stavo solo pensando.” Rispose lui alzandosi per
cambiarsi.
“Ah… interessante. E a che pensavi?”
“Al fatto che ho giocato bene, meglio del solito.”
“Viva la modestia Wes.” Fece sarcastico il biondo sorridendo. Wesley
rispose a quel sorriso.
“Bhe, ogni tanto un po’ di autostima serve. Credo che Monica sappia
quello che fa.” L’entrata in scena della allenatrice, spiazzò Spike che non se
lo aspettava.
“Che c’entra lei, poi… siamo noi che siamo diventati più bravi.”
“Grazie a lei… perché ti dà così fastidio che lei ci possa insegnare
qualcosa?”
“Non mi dà fastidio…” fece Spike punto sul vivo.
“Carina la tua amica.” Disse Xander strofinandosi i capelli bagnati. “Potrei
veramente uscirci…”
“Con Willow? Ti conviene, ci guadagneresti parecchio.”
“No, io intendevo Buffy… è proprio una bella ragazza.”
“Lasciala perdere quella, è off limits. Credimi, prova ad uscire con
Will, è molto meglio.” Si buttò sotto il getto d’acqua decisamente arrabbiato,
nonostante la bella prestazione in campo. Non riusciva a capire se era seccato
dal commento di Wes su Monica, o se dal fatto che Buffy stesse con Parker. In
fondo a lui che gliene fregava se la biondina stava con quel coglione? Eppure,
dentro di lui, gli rodeva parecchio che lei andasse a perdersi con quella
faccia da schiaffi di Parker, perché poi? Chiuse il rubinetto con rabbia e andò
a cambiarsi. Ci mise cinque minuti lasciando nella stanza solo pochi ragazzi,
tra cui Wesley che lo guardava curioso.
Fuori trovò Monica seduta su un tavolo che guardava Illyria tirare a
canestro: sembrava che guardasse l’amica con una punta di rimpianto e
nostalgia.
“Ciao Spike, ci vediamo domani.” Lui le diede una risposta borbottante
che lei non capì. Poi lui tornò indietro e le si mise davanti.
“Tu ti credi brava e forse lo sei, ma non resisterai con noi per più di
due mesi!” e se ne andò come una furia lasciando la sua allenatrice a bocca
aperta. Da dove arrivava tutta quella furia nei suoi confronti? Fino a due ore
prima era tutto contento per l’inizio della partita. Oh no, non l’avrebbe
scappata.
“Ti pentirai di quello che mi hai detto William.” Giurò a se stessa
Monica meditando vendetta, mentre Illyria centrava un tiro da tre con semplicità.
Capitolo Sei
L’allenamento stava per iniziare e Monica ancora non era arrivata.
Strano, pensava Illyria, non era un gesto da lei, specie visto quello che
doveva fare oggi con lui. La sera prima le aveva parlato del suo progetto e lei
si era trovata d’accordo. Doveva inculcare un minimo di rispetto in quel
ragazzo.
“Ehy, non arriva il Coach?” chiese Angel curioso.
“Avrà avuto problemi al lavoro. Sapevo che aveva una riunione
importante, forse è durata più del previsto. Comunque, iniziamo, lei ci raggiungerà.
Sedetevi in panca.” Quando i ragazzi, rumorosamente, si sedettero, lei riprese
il discorso camminando su e giù. “Ieri è andata bene, non lo si nega, però ci
sono alcune cose che vanno perfezionate.” Iniziarono una analisi tecnica
dettagliata. Anche questa era stata decisa dalle due allenatrici insieme.
Dopo circa un quarto d’ora dall’inizio, apparve, come materializzata dal
nulla Monica, solo che, molti pensarono, non sembrava neppure lei. Indossava un
elegante tailleur color pesca, con la gonna che le arrivava fino a sopra il
ginocchio, collant neri e scarpe con i tacchi. I capelli erano stati lisciati
dal parrucchiere in maniera impeccabile e sul viso spiccava un trucco leggero
ed irresistibile. Era bellissima ed elegantissima. E si capiva fin da subito,
incazzatissima. Qualche fischio ammirato si levò da alcuni ragazzi, fischi che
si zittirono all’istante quando lei gli lanciò un’occhiataccia.
“Sei arrivata a metà discorso. Vuoi continuare tu?” le chiese Illyria.
“No, vado a cambiarmi. Tu vai avanti, stai andando alla grande.” Prima
di girarsi per andare in spogliatoio, Monica diede una lunga occhiata a Spike
che continuava a fissarla con distacco.
Tornò poco dopo indossando una vecchia divisa, quella che usava per
giocare anni addietro: era completamente blu elettrica, con le scritte e gli
orli di un colore rosso acceso. Spiccava dietro la schiena il numero dieci,
ripetuto sul petto. Si era tirata i lunghi capelli indietro in una ferrea coda
di cavallo, si era tolta trucco e aveva preso un pallone, ma la cosa che più si
notava in lei era una grossa ginocchiera in tinta con la divisa che le fasciava
il ginocchio sinistro. Dai calzini completamente calati sulle scarpe, spuntava
una specie di cerotto che fasciava tutto il collo del piede. Illyria, che la
conosceva da tempo, aveva perfettamente capito che era in tenuta da battaglia,
pronta a sputare sangue per il suo orgoglio.
“Abbiamo finito Monica.”
“Perfetto. Oggi faremo lavoro differenziato. Spike, dall’altra parte,
tutti gli altri restano da questo canestro e lavorano con Illy. Andiamo
biondo.” Si avviò con cipiglio da guerriero con Spike che la seguiva
decisamente incuriosito.
Monica si girò all’altezza della linea di tre punti passandogli con
forza la palla a lui che le stava dietro.
“Vai a canestro, se ci riesci.” Lo sfidò lei. Si era messa in posizione
di difesa: gambe leggermente divaricate e abbassate, braccia aperte per
bilanciarsi ed occhi incatenati ai suoi.
“Che cosa dovrei fare io?” Spike non le credeva e si mise a ridacchiare.
Monica si avvicinò in fretta rubandogli la palla e andando in entrata verso
canestro segnando.
“Siamo due a zero. Questa è una partita e tu stai perdendo.” Gli
rilanciò la palla. Spike aveva appena capito di essere stato sfidato
apertamente. Cominciò a palleggiare lentamente per capire se lei potesse aprire
la sua difesa per così poco, ma Monica era fermamente posizionata pronta a
spostarsi da qualsiasi parte. Con un cambio di mano e di velocità, Spike provò
ad cercare il fondo sinistro del campo, ma Monica chiuse bene ogni spazio,
facendo in modo, quindi, che lui cambiasse di nuovo direzione usando come perno
il piede sinistro, mentre dava le spalle al canestro. Monica si spostò di
qualche centimetro, così che potè di nuovo mettersi in posizione giusta.
Infatti Spike, non pensando di trovarla lì, sbagliò il tiro e quindi lei potè
riprendere la palla ed uscire dall’area dei tre punti, come prevedeva la regola
dei campetti che loro stavano usando.
Monica sapeva che l’impresa era ardua: erano anni che non si allenava,
ginocchio e caviglie le facevano già male e Spike era, invece, al culmine della
sua prestanza atletica. Ma lei aveva alcune marce in più: inizialmente aveva
più esperienza di lui e conosceva trucchetti deliziosi, specie in difesa, aveva
molta più grinta e voglia di vincere di lui, almeno in quel momento e non
ultimo, lei sapeva giocare sporco.
Spike si era messo in difesa: in realtà aveva proprio voglia di dare a
lei una bella lezione, quindi muovendosi con rapidità cercò di andare a rubare
il pallone, ma lei piantò un gomito per proteggersi.
“Ehy, così non vale.” Le urlò dietro mentre lei segnava.
“Come no? Pensi che i tuoi avversari si faranno molti problemi? Tieni
tocca a te.” Come lui prese il pallone tirò e centrò un canestro da tre punti.
“Uhm, complimenti, bel tiro. Siamo quattro a tre per me.” Ripresero a
fronteggiarsi senza esclusione di colpi. Continuavano a tirare a canestro uno
alla volta sotto gli sguardi allibiti degli altri.
“Che sta facendo Monica?” chiese Wesley ad Illyria che osservava la
scena con un sorrisino trionfante sul volto.
“Insegna.” Fu la risposta lapidaria.
“Che cosa?”
“Il rispetto. Guardala bene, Wes, e poi dimmi se non è un mostro in
difesa.” In effetti il giovane era piuttosto impressionato per la reattività e
la capacità che aveva la sua allenatrice a chiudere ogni spazio libero a Spike.
“È un vero peccato che non giochi più. Una come lei è difficile da trovare.” In
effetti, pensò Wesley tra se, essere marcata da una come lei doveva essere
debilitante.
Monica stava per esplodere… non ce la faceva più, sapeva benissimo che
la mattina dopo non sarebbe riuscita a muovere un muscolo senza provare dolore.
Erano arrivati alla parità… palla in mano a lei: fece un paio di palleggi verso
il canestro, ma Spike chiudeva bene ogni via, così Monica in velocità tornò
dietro alla riga da tre punti e tirò. Il fruscio della retina quando la palla
entrò, fu l’unico rumore che si sentì in palestra in quel momento.
“Posso dire di aver vinto.” Disse lei tranquilla, come se tutta la
fatica fatta non ci fosse.
“Perché?” domandò Spike.
“Perché ho fatto tre punti più di te.”
“No, perché hai fatto questo.” In effetti era una domanda legittima,
pensò Monica riprendendo fiato.
“È molto semplice. Io sono la tua allenatrice, devi mettertelo in testa,
perché non ne avrai un altro in tutto l’anno. Io so cosa tu devi fare, so cosa
insegnarti per poter migliorare, ma se tu non la smetti con il tuo
comportamento ti sbatto in panchina per tutto l’anno. Certo, per gli altri sarà
difficile vincere senza di te, ma non mi frega proprio niente. Hai l’età che
hai e se non lo capisci adesso non lo capirai mai.” Gli lanciò la palla con
forza. “Quando tu emettevi il tuo primo vagito io già giocavo con Illyria.
Quindi ficcati bene in testa che io di pallacanestro ne so più di te. E la
partita serviva solo per fartelo capire meglio… spero di essere stata chiara.”
“Non puoi farlo.”
“Certo che posso e lo farò. Tu sei solo un giocatore, non una squadra.
Posso mettere un altro al tuo posto. Magari non segnerà come te, ma non importa.
La cosa che pretendo da te, come da loro, è il rispetto, cosa che tu mi hai
dato a corrente alternata. Bene, vuoi continuare così? No problema niño, farai
il panchinaro a vita e sinceramente, sarebbe un peccato, visto il tuo talento.
Sappi che la scelta è solo tua.” Monica andò a sedersi sul tavolo, contenta di
non dover muoversi più per un po’. “Bhe,
voi che avete da guardare? Continuate. Dividetevi nelle due metà campo e
tirate.” Le due allenatrici sapevano che la sfida tra i due non sarebbe passata
inosservata ed era proprio questo, un effetti, quello a cui miravano.
“Come è andata?” chiese Illyria a Monica.
“Distruttivo…ma speriamo che questa fatica sia valsa a qualche cosa. “
Lentamente Monica si tolse la ginocchiera, dando a tutti la vista di una
lunga cicatrice che partiva dalla base del ginocchio per scendere di dieci
centimetri seguendo l’osso sottostante. Il ginocchio era completamente
arrossato, tutti i ragazzi che passavano di lì, l’avevano vista e più di
qualcuno si era chiesto che cosa le fosse successo.
Spike, invece, mentre tirava, stava pensando a quello che era appena
successo: aveva perso… su tutta la linea. Pensava di essere bravo, ma una
semplice ragazza lo aveva battuto. Certo, con difficoltà, ma sempre sconfitto
ne usciva. La sua difesa non era mai stata molto asfissiante come quella di
lei, ma a lui non piaceva difendere, ma solo attaccare, eppure… era stata con
la sua difesa che lei aveva vinto su di lui. Certo, lei si era anche aiutata,
ma questo, e lo sapeva anche lui, non era un alibi. Capì che se voleva
diventare ancora più bravo, doveva darle un minimo di retta. E poi lo
incuriosiva capire come faceva ad avere quell’incredibile gioco di gambe quando
era in posizione fondamentale… lui non ci riusciva proprio. In fondo gli altri
pur andavano d’accordo con lei, c’era perfino chi voleva innalzarle una statua,
per quanto le volevano bene, non ultimo Andrew, che per la prima volta nella
sua vita, era entrato in campo in una partita e aveva perfino segnato un tiro
libero. Perché anche lui non poteva comportarsi come loro? Si mise in posizione
per un tiro e un paio di occhi color nocciola sprezzanti, gli apparvero
davanti. La retina che si muoveva, lo riscosse dai suoi ricordi.
Si ritrovò in coppia con Oz: osservandolo mentre gli passava la palla da
sotto canestro, si sentì improvvisamente uno schifo. Lo aveva preso in giro per
mesi, trattandolo veramente male e la sua unica colpa era stata quella di
mandare in bianco
Quando dovette dare il cambio al piccolo play, gli portò la palla in
mano, in modo da guardarlo occhi negli occhi.
“Che c’è, Spike?” chiese Oz preoccupato: già credeva che gli sarebbero
stati sputati degli insulti.
“Niente, volevo solo scusarmi… per tutto.” Rispose il biondo con una
strana sicurezza, poi andò a posizionarsi sotto canestro in attesa di prendere
il rimbalzo, con Oz che lo guardava a bocca aperta e occhi sgranati per la
sorpresa: William Giles, il capitano che per mesi e mesi lo aveva vessato con
le ingiurie più pesanti, che non lo aveva mai degnato di una parola se non per
prenderlo in giro, che in campo lo chiamava con un ehy o con un oh… insomma
quel William Giles gli stava chiedendo scusa? Oz, frastornato, pensò che,
probabilmente, si era aperto un varco interdimensionale che aveva scambiato lo
Spike della sua realtà con uno Spike molto più gentile. Non disse nulla, si
limitò a tirare a canestro.
“Bene, ragazzi, credo che per oggi possa bastare. Ci vediamo domani.”
Urlò Monica ancora seduta sul tavolo. Fuori dal parquet c’era già la squadra
seniores che aspettava di entrare per allenarsi. I ragazzi lasciarono a loro i
palloni ed andarono in spogliatoio a cambiarsi, tranne Spike che andò da
Monica. Lei lo guardava incuriosita e lui sembrava piuttosto deciso.
“Sì?” domandò tranquilla.
“Ho capito.” Rispose solo lui e seguì i suoi compagni senza vedere il
sorriso di Monica allargarsi sul volto.
“Ce l’hai fatta, mi sembra.” Analizzò Illyria che aveva seguito tutta la
scena.
“Così sembra… speriamo bene.”
“Resti qui?”
“Sì, vorrei guardare un po’ dei loro allenamenti… magari mi vengono
nuove idee per qualche esercizio.” Rispose Monica osservando in campo.
“Ok, io vado ai miei di allenamenti… mi aspettano. Ciao.” Illyria uscì
correndo: doveva andare velocemente dall’altra parte della città, dove si
allenavano le White Star, l’unica squadra femminile di Sunnydale.
Spike uscì dallo spogliatoio lavato e cambiato, lanciò un saluto con la
mano a Monica ancora seduta sul tavolo e andò a prendersi la bicicletta.
Incredibile, trovò di nuovo Buffy seduta sulla sua borsa ad aspettare qualcuno.
“Ma tua madre sa leggere l’orologio?” le domandò quasi divertendosi.
“Taci, sta lavorando, è impegnata.” Borbottò lei.
Distrutto, invece di mettersi sulla sua bici, si sedette vicino a lei.
“Sarà anche impegnata, però poteva almeno avvisarti. Potevi andare a
casa da sola, ti pare?” Buffy si gira verso di lui: era strano, ma le sembra
che il suo tono di voce fosse meno irritante del solito, quasi quasi poteva
anche rispondergli bene, in fondo era stato gentile a sedersi con lei.
“Mia madre lavora tanto, non lo fa apposta, ma non riesce a staccarsi.”
Disse tranquilla.
“Che lavoro fa?”
“Ha una galleria d’arte. Adesso ha in piedi una specie di mostra sulle
maschere tribali di non so quale paese sperduto dell’Africa.” Sospirò
profondamente. “Vorrei che non fosse così impegnata.” Sussurrò più a se stessa
che a Spike.
“In effetti… almeno si ricorderebbe di dover passare a prendere sua
figlia. E tuo padre? Lui come mai non è qui a salvare la piccola principessa?”
lo sguardo di Buffy si fece duro, serrò la mascella con forza.
“Mio padre se ne è andato.” Spike capì di aver toccato un nervo ben
scoperto della biondina, in fondo la capiva benissimo, era successa la stessa
cosa a lui.
“Scusa, non lo sapevo.” Disse infatti lui.
“Non fa nulla… non lo potevi sapere.” Strano, pensò Buffy mentalmente,
fino a due ore fa lo avrei sbranato se fosse uscito con questo argomento. Spike
si trovò leggermente a disagio, era caduto uno speciale velo di ghiaccio a
dividerli.
“Sai…” riprese Buffy bisognosa di sfogarsi “…è per questo che mamma
lavora così… dice che vuole il meglio per noi… io credo che passi così tanto
tempo alla galleria perché a casa avrebbe troppi ricordi che le farebbero
pensare a mio padre. È per lei che fa tutti questi straordinari, non certo per
me o per Dawn, ma in fondo non gliene faccio una colpa… mi basterebbe che mi
avvisasse prima.”
Spike non rispose, in fondo non aveva proprio nulla da dire. Vide in
lontananza un paio di fanali e capì che la signora Summers era arrivata. Si
alzarono insieme, lui prese la bici e la inforcò.
“Ciao Buffy.” Disse lui.
“Ciao Spike.” Rispose lei mentre metteva il borsone nel bagagliaio.
In macchina ripensò che quello era stato il primo discorso che i due
avevano fatto senza insultarsi e per la prima volta l’aveva chiamata con il suo
nome, invece che con quel insopportabile nomignolo… e cosa ancora più
incredibile, lei aveva fatto lo stesso! Qualcosa si mosse nel suo stomaco,
senza che lei riuscisse a capire che cosa fosse.
In realtà a Monica degli allenamenti dei senior non poteva importare di
meno. Il problema è che aveva una certa difficoltà ad alzarsi e camminare. Ci
aveva provato qualche minuto prima e stava per crollare a terra. Aveva sforzato
troppo il suo ginocchio debilitato e pure le sue caviglie non aveva fatto un
bagno di salute. Le pareva di aver visto tutti uscire dagli spogliatoi, quindi
poteva essere il momento giusto per scendere da quel trespolo e cercare di
avviarsi, strisciando, verso l’auto.
Prese a camminare lentissima, cercando di zoppicare il meno possibile,
mentre attorno a lei i ragazzi si allenavano. Doveva ancora andare a prendere
la sua roba… non aveva voglia di rimettersi il tailleur e men che meno le
scarpe con i tacchi. Aprì la porta e vide che seduto ad allacciarsi le scarpe
c’era ancora Wesley. Sospirò afflitta.
“Ancora qui?” gli chiese.
“Diciamo che me la prendo spesso comoda. Io e Spike facciamo a gara a
chi è più lento, a meno che non debba scappare a casa.” Lei annuì: poteva
facilmente immaginare che per Wesley non fosse facile ritrovarsi una madre
persa nel suo mondo. Con lentezza quasi esasperante, riuscì ad arrivare davanti
alla sua borsa. Piegò la gonna, la camicetta e la giacca, mise le scarpe in un
sacchetto e gettò alla rinfusa la ginocchiera. Era stravolta e non era ancora
arrivata alla macchina. Si sedette sul lettino per massaggi presente nello
spogliatoio.
“Stai bene?” le chiese Wesley che non l’aveva persa di vista un solo
istante. Gli pareva che Monica non fosse al top della forma.
“Certo, non si vede?” sperò di essere stata un minimo convincente. In
verità le interessava solo di arrivare al suo letto, con una bella borsa del
ghiaccio che le facesse sgonfiare ginocchia e caviglie.
“No… sembri piuttosto stravolta.” Rispose lui sincero. Le si avvicinò e
si fermò a vedere la lunga cicatrice. “Che ti è successo?” domandò indicandola.
“Mi sono rotta il legamento crociato anteriore ed i menischi. Non un bel
affare.”
“È per questo che non giochi più?”
“Sì.” Lo disse con voce bassa, piena di malinconia e a Wes fece
tenerezza.
“È tanto distrutto anche ora? In fondo ti sei operata.”
“Vieni qui e dammi la mano.” Gli disse lei invece di rispondergli. Lui,
sorpreso, le si avvicinò cauto si fece prendere la mano in quella sua mignon e
se la ritrovò appoggiata sul ginocchio malato. “Senti bene.” Disse lei e poco
dopo iniziò ad alzare la gamba in orizzontale e poi piegarla di nuovo a novanta
gradi verso il basso. Wesley rimase scioccato nel sentire che, ad ogni
movimento, il suo ginocchio scricchiolava, sembrava quasi una vecchia porta che
faceva difficoltà ad aprirsi. Tolse la mano e la guardò: se la ritrovò che gli
sorrideva mesta.
“Non posso più giocare, ne va della mia salute generale, almeno così
posso camminare. Quello che ho fatto oggi è un optional che non devo più osare
mettere in pratica.” Sembrava si fosse fatta una ragione, lui ci rimase un po’
male.
“Illyria dice che eri brava.” Lei ridacchiò.
“Ero discreta. Non sapevo fare molto: ero bassa, non sapevo palleggiare
bene, a tirare ero una frana in partita. Avevo dalla mia solo una cosa: la
voglia. Io mi divertivo un sacco a giocare, non mollavo mai, ero l’ultima ad
arrendersi, per questo mi hanno fatto capitano. Ero un po’ come te: molto brava
a difendere. Per questo voglio che voi siate imbattibili in questo
fondamentale.” Disse convinta guardandolo dritto negli occhi azzurri di lui,
perdendosi un attimo. “Ma da sola, non potevo far nulla. Illyria è molto brava,
magari un giorno potremmo andare a vederla giocare.”
“Perché no.” Wesley prese la borsa e si girò verso di lei. “Ti aiuto.”
“Non serve, faccio da me.” Saltò giù dal lettino reprimendo una serie di
parolacce che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto e con fatica
prese il borsone, rischiando di crollare. Wes ammirò per un istante la tenacia
che lei dimostrava: era molto probabile che lei non volesse farsi vedere così
debole davanti ad uno dei suoi giocatori, dopo che con tanta fatica si era
guadagnata il rispetto di uno come Spike. Si riscosse e le prese senza sforzo
anche la sua di borsa, incurante delle sue proteste.
“Andiamo.” Le disse perentorio “Sono o no il Capitano, a qualcosa
servirò pure.” Fece ridendo. Si mise le due borse sulla spalla sinistra, mentre
con il braccio destro arpionò il fianco di Monica, in modo che lei potesse
appoggiarsi.
Lei non disse nulla, ma dentro di se era decisamente contenta: era
veramente stanca e anche se Wesley di lì a poco l’avrebbe lasciata, era
riuscito a darle un minimo di sollievo. Quando riuscì ad infilarsi in macchina,
quasi le venne un colpo vedendo Wes che si sedeva sul posto a lato. Ad un suo
sguardo interrogativo, lui disse:
“Ti accompagno a casa.”
“E la bici?” lui alzò le spalle incurante di tutto.
“La prenderò domani, tanto fa talmente schifo che nessuno la ruberebbe.”
In silenzio Monica guidò fino a casa di Wes, ma lui non scese.
“Guarda che ti porto a casa tua. Poi qui ci arrivo a piedi senza troppi
problemi.” Monica non si prese nemmeno la briga di protestare, tanto aveva
capito che era inutile.
Parcheggiò l’auto davanti a casa e scese zoppicando, con Wes che corse a
sostenerla.
“Lascia stare, tanto sono arrivata.”
“Gli scalini…” disse lui come se non avesse neppure sentito. La strinse
un po’ più a se e potè sentire al meglio le sue forme femminili aderirgli al
fianco: prese improvvisamente a sudare freddo.
Entrarono e per la prima volta Wesley vide la sua casa. Si vedeva che
c’era ancora l’impronta dei suoi nonni: i divani erano tappezzati con dei plaid
a fiorellini leggermente stinti, il muro coperto da listarelle di legno al
naturale e quadri di tramonti erano appesi ad ogni parete. Di moderno c’era
solo un televisore con il lettore DVD ed un grosso stereo. A fianco faceva
bella mostra di se un mobiletto stracarico di cd musicali e vicino uno pieno di
film. Monica si distese sul primo divano a portata di mano e sospirò: la parte
più difficile era stata completata.
“Bene, me ne vado. A domani Monica.” Le disse lui facendo pure un cenno
con la mano.
“Ciao Wes… e grazie per tutto.”
“Figurati.”
Monica sentì chiudersi la porta e potè finalmente rilassarsi. Maledetta
Illyria e le sue parole su quanto i maschi diciassettenni potessero essere
affascinanti!!
Wesley stava tornando a casa fischiettando. Non sapeva perché ma si
sentiva felice: quella giornata era finita in una maniera decisamente inusuale.
Stringere Monica a se, come se fosse una piccola fragile bambola di porcellana,
lo aveva fatto sentire importante. Lui sapeva che erano ben poche le occasioni
di rivalsa che poteva prendersi rispetto alla sua vita generale. Almeno fino a
quando non sarebbe riuscito a vincere una borsa di studio per andare a vivere
lontano da Sunnydale, ma per almeno due anni non ci avrebbe neppure pensato.
Dopo quasi due mesi di allenamenti continui passati fianco a fianco a
lei, senza contare che lei lo aveva visto in uno dei suoi momenti peggiori,
aveva capito che lei gli piaceva. Sì, Wesley Whindam-Pryce si stava prendendo
una colossale cotta per la sua allenatrice. All’inizio si era veramente
preoccupato di ciò e aveva anche tentato di smettere- neanche fosse un vizio-
solo che aveva capito che era tempo perso, allora si era fatto forza ed aveva
continuato ad andare avanti esattamente come faceva sempre: teneva tutto dentro
e gongolava tra se tornando a casa.
“Mamma, sono tornato.” Urlò appena aprì la porta.
“Ciao tesoro, hai fatto tardi.” Lo rimbeccò la signora.
“Hai ragione, scusa.” Ecco un altro motivo per essere felice: sua madre
sembrava stesse bene. Ogni tanto la depressione la lasciava e questo le
permetteva di vivere dei momenti di lucidità.
“Vieni, è in tavola.” Gli mise sul piatto una fettina di carne e del
purè di contorno. “È andato tutto bene oggi ad allenamento?” Wesley sorrise a
quaranta denti.
“Perfettamente.” E ripensò a quanto fosse stata morbida Monica sotto di
lui.
Capitolo sette
Nonostante fosse ottobre inoltrato, la giornata era ancora calda. Xander
stava tranquillamente camminando per le vie del centro. Aveva ancora un bel po’
di tempo prima di andare in palestra, quindi faceva un po’ di spese.
Gli piaceva gironzolare per nulla in città, da solo, senza Liam o
qualsiasi altra persona che di solito stava con lui. Senza contare che così
facendo se ne stava ben lontano da casa sua e questa non era una brutta cosa.
Cuffie in testa, musica sparata a palla e fischiettando piano, Xander prese a
guardare la vetrina della libreria Giles, sperando di beccarci Spike, che,
però, non sembrava essere in negozio. Pazienza, pensò Xander, sarebbe stato per
la volta successiva. Girandosi per tornare verso casa per prendere il borsone
di pallacanestro, andò a sbattere piano contro una ragazza che usciva dalla
libreria.
“Ahi!” la sentì esclamare
“Scusa, non l’ho fatto apposta. Ehi, ma tu non sei l’amica di Spike?” in
effetti davanti a se si ritrovò Willow che lo guardava a bocca aperta
arrossendo furiosamente.
“Io… bhe, sì sono amica di William.”
“Tutto bene?”
“Uhm… bene. Se cerchi Spike è su a casa.”
“No, stavo bighellonando, in realtà.” Risponde Xander sorridente. “Hai voglia
di far due passi con me?” le chiede. Willow non capì se è serio o se la stava
prendendo in giro.
“Dici a me?”
“Certo, non ci sono altre simpatiche ragazze vicino a me.” Willow si
riscosse da un leggero torpore nato dalla frase del ragazzo e gli sorrise
contenta.
“Ok, dove andiamo?”
“In giro, non importa dove. Allora, che mi dici di bello di te?”
Willow si sentiva come se la vita le stesse tornando qualcosa dopo tutte
le cattiverie che le erano state sputate in passato dai compagni di scuola. Si
sentiva veramente felice lì, in città con Xander che, molto gentilmente, le
aveva anche preso i libri dalle mani.
“Io non lo so…” in effetti solo adesso si era resa conto che la sua vita
era sempre stata piuttosto piatta e oltre a studiare non faceva altro.
“Spike mi ha detto che sei una specie di genio informatico. Sei
un’hacker?” domandò Xander per ravvivare la conversazione.
“No, nel senso che potrei esserlo, ma gli hacker si divertono a
scardinare sistemi anche di sicurezza nazionale… io non sono così. Potrei
farlo, ma non ne vedo l’utilità.” Rispose lei alzando le spalle.
“Non ne vedi l’utilità? Potresti scoprire tutto quello che c’è nel
Pentagono e non ti interessa?” Xander sembrava allibito.
“Infatti. Metti anche che io scopra che tutti alla CIA, FBI o chi per
loro, sappiano chi ha ucciso Kennedy… poi che succederebbero? Io potrei fare
una denuncia, ma non credo che mi lascerebbero vivere tranquilla. Magari potrei
essere rapita e la mia famiglia con me.
E questo solo se tutto va bene… no, nessuno crederebbe ad una ragazzina, senza
contare che la cosa sarebbe quanto meno illegale…” incredibilmente, Willow si
sentiva molto a suo agio con Xander, ma forse solo perché stavano parlando di
una cosa che a lei piaceva molto.
“Sai, Spike ha proprio ragione, sei un vero genietto.” Rise il ragazzo.
“Grazie. E tu che mi dici?” Ormai si sentiva piuttosto intraprendente.
“Io a scuola sono una mezza frana, insomma mi arrangio ad arrivare al
sei, ma a parte questo, io la odio la scuola. Mi piace il basket però.”
“Sei bravo!” lo complimentò lei.
“Te ne intendi? O lo dici per farmi piacere?”
“Dopo che hai abitato per quattordici anni vicino ad uno come William,
per forza che impari a conoscere la pallacanestro. Ti ho visto alla partita
della scorsa settimana e ti sei mosso piuttosto bene.”
“Oh, è sempre una bella cosa parlare con una ragazza che se ne intende
di queste cose. Sono rare in effetti.” Willow sorrise, questo poteva essere un
ottimo punto a suo vantaggio.
Xander ripensò, a tradimento a Darla: certo la piccola Willow era una
ragazza deliziosa e parlare con lei era quasi liberatorio, visto che lei non
sembrava giudicarlo, ma le mancava il fascino freddo e algido della bella
bionda. Però come dire di no ad un sorriso solare come quello di Willow?
“Senti, io adesso devo andare, mi aspettano in palestra… però, ti
piacerebbe uscire assieme qualche volta? Magari sabato pomeriggio, dato che non
gioco, si potrebbe andare al cinema…sempre che ti piaccia.”
Willow si ritrovò con gli occhi sgranati dallo stupore: un appuntamento di
quelli veri!! E con Xander, addirittura! Si sentì svenire…
“Volentieri. Mi piace molto il cinema…”
“Ok, allora ci vediamo sabato alle quattro. Ci troviamo davanti al
cinema, va bene?”
“Perfetto.” Risponse lei felice, mentre lui le stava tornando i libri
contento.
Il cinema era mezzo vuoto e i due ragazzi stavano allegramente
chiacchierando. Il film non gli interessava poi molto, si era dimostrato
veramente un fiasco. I pop-corn erano già finiti e i due ridacchiavano in
silenzio a qualsiasi battuta veniva detta dagli attori sul video.
Willow non si era mai sentita così bene: Xander non era come se lo era
immaginato per mezza vita, ma era un sacco simpatico. Sembrava apprezzarla
nonostante fosse uno zero sociale, forse perché anche lui non era molto popolare.
Faceva battute a raffica e le sembrava molto più calmo dell’ultima volta che lo
aveva visto. Willow si inorgoglì, in fondo quello era il suo primo vero
appuntamento con un ragazzo e lui sembrava contento da come si stava
comportando.
Finito il film si fermarono in un piccolo caffè. Era molto carino il
posto scelto: le pareti erano colorate di giallo tenue, con delle rifiniture
rosa pastello pure imbottite. I divani richiamavano, ovviamente, le imbottiture
del muro. I tavolini erano tutti tondi e piccoli, e aiutavano a creare una
certa intimità.
“Allora, Willow… che mi dici di bello di te? È vero che non festeggi il
Natale?” lei rimase un po’ sorpresa… non ricordava di avergli parlato della sua
religione.
“Come lo sai?” Xander parve leggermente imbarazzato.
“Ho chiesto alcune informazioni a Spike. Non volevo fare delle brutte
figure già alla prima uscita… forse non è servito molto.” Lei rise
improvvisamente contenta dentro. Cioè, lui si era preparato per uscire con lei,
Willow Rosemberg, piccolo genio e nerd della scuola. Fantastico!
“È vero, noi preferiamo festeggiare Hannukà, ma in famiglia non siamo
molto credenti, quindi, nonostante tutto, ci scambiamo qualche regalo e
facciamo pure l’albero. Questo, poi, mi piace tantissimo! Tutto colorato, pieno
di luci… è la cosa più bella del Natale.”
“Pensavo che voi ci teneste alle vostre tradizioni.”
“Noi ebrei? La maggior parte sì, ma come ci sono cattolici credenti e
non praticanti, così ci sono ebrei credente, ma che non praticano. La mia famiglia
è più portata… al sociale. I miei non sono mai a casa.” Disse lei sorridendo
quasi mesta.
“Non sembri molto felice… io non aspetto altro! Vorrei che i miei non
fossero sempre e ostinatamente in casa.”
“Io ammiro i miei genitori: combattono con tutti i loro mezzi per i loro
sogni e sono loro ad avermi insegnato questo, però vorrei tanto poterli vedere
di più. Su sette giorni, li vedrò per una cena sì o no…”
“Riformulo: beata te.” Sospirò Xander guardando fuori la vetrina del
caffè.
“È così dura da te?” chiese Willow curiosa. Non sapeva praticamente
niente della vita di Xander, tranne quelle poche cose conosciute da tutta
Sunnydale.
“Troppo dura. Mia madre è sempre a casa ed è sempre a pulire quella
dannata foto di mio fratello e mio padre, quando torna da lavoro, è solo a bere
in poltrona davanti alla televisione, maledicendo il cielo perché i suoi figli
sono dei falliti… sei fortunata tu.” Sospirò infine.
“Ma tu e Liam non siete dei falliti, siete bravi a giocare e anche molto
popolari.” Ribattè lei convinta.
“Liam è quello popolare, io sono lo sfigato e, comunque, per quanto Liam
ed io possiamo essere bravi, non sarà mai abbastanza.” Rise, di una risata
amara “Se a scuola prendo un brutto voto, me le sento, ma se prendo una A,
divento subito uno sfigato secchione, questo per mio padre. Se in una partita
segno 30 punti perché sono al top, non arriverò mai ai livelli di mio fratello,
perché lui era quello perfetto, quello che non ne sbagliava uno, quello che
rendeva tutta la famiglia orgogliosa!”
“Liam?” Willow si stava perdendo un attimo.
“No, Riley. Lui era quello imbattibile, lui era il primo, l’unico degno
di portare avanti la stirpe degli O’Connor.” L’amarezza era palpabile e Willow
non sapeva in realtà cosa dire. Non si aspettava questa sua uscita. “Sai Rossa,
a volte provo disgusto per me stesso: spesso mi ritrovo ad odiare Riley
nonostante quello che gli è successo e senza che lui abbia fatto nulla per
meritarselo. Quando eravamo ancora tutti assieme io mi divertivo molto con lui,
molto più che con Liam… ma immagino che ti sto annoiando con i miei discorsi di
famiglia.” E sorrise.
“No, no, tranquillo, insomma, so che fa bene parlarne.” Cercò di
tranquillizzarlo lei “Comunque non è colpa tua se Riley non c’è più.”
“No, ovviamente no, ma credo che papà e forse anche mamma, avrebbero
preferito che a morire fossi io o Liam, piuttosto che Riley.” E dicendo questo
finì la sua coca.
Calò su di loro un silenzio teso: Willow non aveva nulla da obiettare a
Xander, specie se il ragazzo diceva quelle cose con tutta quella sicurezza.
Prese ad osservare una zucca già intagliata sulla finestra di fronte.
“Ehm… che fai per Halloween?” chiese lei per mitigare quella situazione.
“Sarei invitato ad una festa… è invitato Liam, in realtà, ma per
cortesia hanno esteso l’invito anche a me. Vorresti venirci con me?” Xander ci
aveva pensato tutto il pomeriggio: era solo da un po’, cioè da quando Cordelia
lo aveva lasciato per entrare nelle cheerleader quasi un anno prima, e non
aveva voglia di andare ad una festa senza una accompagnatrice. Sapeva anche,
però, che nessuna ragazza di una certa levatura si sarebbe presentata con lui.
Willow gli sembrava abbastanza carina ed era anche molto simpatica: sì, lei era
la persona giusta.
Willow era rimasta a bocca aperta: un pomeriggio al cinema era una cosa,
ma una festa di sera… cavoli, questa era una cosa seria!
“Ok… come devo vestirmi?” chiese balbettante.
“Come vuoi, non è a tema.” Xander era proprio contento, era uscito per
passare un sabato con una persona diversa da suo fratello e si era ritrovato
con una ragazza per Halloween. Meglio di così non sarebbe potuto andare.
“Perfetto! Allora, possiamo fare così. Io ho allenamento quella sera, ma
potresti passare a prendermi in palestra, tanto sai dove ci alleniamo. Così io
mi faccio la doccia e poi andiamo direttamente là. Ti pare un buon programma?”
chiese con lo sguardo luccicante.
“Certo, trovo che sia perfetto!”
Halloween arrivò più in fretta di quanto non volle Willow: la ragazza
era completamente presa dal panico, visto che non aveva ancora trovato un
vestito adatto a lei.
Chiamò subito Buffy al cellulare.
“Ciao Buffy, ho bisogno di te! Sono invitata ad una festa di Halloween e
non so cosa mettermi!” urlò isterica.
“Stai calma Willow, adesso ci pensiamo.”
“Ho solo un vestito da fantasma…potrei mettermi quello, così nessuno
potrà capire che sono io.” Buffy sospirò pesantemente.
“Willow, Halloween serve per essere qualcosa che di solito non si è.
Quindi ora cerco un bel vestitino per te e più tardi vieni da me.” Poi le due
amiche presero a parlare di tutte altre cose, ma Willow continuava ad essere
preoccupata.
Mezz'ora dopo era a casa di Buffy, davanti ad un armadio stracolmo di
vestito con Dawn che le guardava curiosa e invidiosa che loro andassero ad una
festa, mentre lei sarebbe dovuta restare in casa con sua madre. Non vedeva
l'ora di avere un'età decente per uscire senza troppi problemi.
"Che te ne pare di questa?" chiese Buffy alla sua amica
mostrandole una minigonna di pelle nera abbinata ad una maglietta a maniche
lunghe bordeaux che le lasciava l'ombelico scoperto. "Se metti un paio di
stivali, sari fighissima."
"Buffy, non mi sembra il vestito giusto per me." Piagnucolò
Willow. Non si era mai messa dei vestiti che mostrassero le gambe, ad
eccezzione delle sue gonne scozzesi
"Per te qui niente è giusto, ma se vuoi veramente conquistare
Xander, devi rischiare. Se ti acconci i capelli come Dio comanda e ti metti un
po' di trucco, nessuno ti riconoscerà."
"Appunto, solo che sotto continuerò ad essere la solita nerd che
viene snobbata da tutti." Buffy sospirò guardando l'amica.
"Ok, adesso non buttiamoci giù. Hai detto che devi stupire,
stupisci fino in fondo! Vieni dopo il mio allenamento, così ci prepariamo
assieme. Pure io devo andare ad una festa...Mi tocca vestirmi da damina
dell'ottocento e tutto perchè Parker si veste da capitano della marina Inglese.
A volte non lo capisco."
"Io non capisco te, sorellona." Si intromise Dawn dal suo
angolo "Stai con un ragazzo che continui a criticare...mollalo no?"
Willow pensò che la ragazzina non avesse poi tutti i torti, ma evitò di dirlo
così palesemente a Buffy, visto che stava lanciando una occhiataccia
all'inidizzo della sorella.
"Non sono fatti tuoi pulce, tu non puoi capire."
Xander stava difendendo più che poteva su suo fratello, ma lo sapeva
bene che Liam era più forte di lui. Sperò di finire al più presto quella
tortura: Monica non era rimasta molto contenta dell'ultima partita che avevano
giocato, nonostante avessero vinto, dicendo che le erano sembrati delle amebe
in campo. E ora gliela stava facendo pagare cara. Probabilmente alla festa non
sarebbe neppure riuscito a stare in piedi. Si chiese sfuggevolmente come si
sarebbe vestita Willow: l'aveva vista arrivare e chiudersi in spogliatoio con
la sua amica bionda, ma poi..chissà...era proprio curioso.
"Xander, torniamo con i piedi per terra?" gli urlò furiosa
Monica. Niente, quella sera non gli voleva proprio dare tregua.
"Sì, scusa." Le rispose ansimando. Lanciò un'occhiata a Liam
che scosse il capo.
Avevano corso talmente tanto che neppure Spike, di solito amabile
chiacchierone, riusciva a dire una parola. Non ce la faceva più, l'unica cosa
che voleva fare in quel momento, era buttarsi sul divano ed agonizzare felice.
Si chiese, di sfuggita, se Monica avesse il ciclo, solo così si poteva spiegare
la rabbia che aveva nel corpo.
Invece Monica, ciclo o meno, era arrabbiata solo perchè i suoi ragazzi
avevano dato per scontato la vittoria nell'ultima gara: era vero, avevano vinto
e pure di una ventina di punti, ma contro i loro avversari, avrebbero dovuto
dare di più, invece i primi due quarti avevano giochicchiato come se fossero in
campetto d'estate. Non l'avrebbero passata liscia, infatti ora li stava
lentamente, ma inesorabilmente, uccidendo. Li aveva fatti correre mezz'ora
secca, poi scatti, suicidio e poi esercizi di difesa. Si sarebbe stupita se
alla fine qualcuno sarebbe riuscito a camminare tranquillo. Decise che per
quella sera fosse abbastanza, anche perchè a breve i senior avrebbero iniziato
il loro di allenamento.
"Potete andare. Ci vediamo dopodomani." Sospiri di sollievo si
levarono da ogni parte del campo, facendo sorridere Illyria. Non ricordava la
sua amica così vendicativa, ma ammetteva che aveva decisamente fatto bene.
Wesley si stiracchiò lanciando un'occhiata alla sua allenatrice: le
piaceva quel suo cipiglio di comando, poi si voltò sentendo un po' di
schiamazzo provenire dall'entrata. Xander e Oz stavano discutendo un po' troppo
animatamente.
"Non toccarmi, capito?" Dise Xander al suo play.
"Come se avessi voluto farlo, non mi ero accorto che eri lì,
bestione." Rispose il rosso. Già era stanco per l'allenamento estenuante
che gli era stato toccato, ci mancava solo una discussione con un povero
demente come Xan.
"Sono stufo di giocare con un deviato come te." Quella fu la
goccia che fece traboccare il vaso della sopportazione di Oz. Lo guardò furioso
negli occhi.
"Te lo faccio vedere io chi è il deviato." I ragazzi non
sapevano che fare, Angel semplicemente se ne fregò ed andò a cambiarsi, mentre
Wesley cercava di tenerli buoni prima che arrivasse Monica. Un altro
allenamento del genere e non sarebbe sopravvissuto, solo che le ragazze avevano
assistito a tutta la scena, un po' confuse in verità, ma di sicuro non erano
contente di quello che era successo.
In quell'istante uscirono dallo spogliatoio Buffy e Willow: la bionda
non si era ancora preparata perchè Parker la passava a prendere a casa, ma
Willow sembrava trasformata. Si era infine messa la gonna nera di pelle e la
maglia rossa, in completo con le calze velate e gli stivali. Si era raccolta i
capelli in un bel chignon con alcune ciocche che scendevano libere sul bel
volto. Buffy l'aveva truccata con maestria, rendendole i penetranti occhi grigi
ancora più grandi con un po' di ombretto appena accennato e l'eye liner nero.
Un velo di rossetto scuro completava il tutto. Xander ed Oz rimasero a bocca
aperta, poi il play sorrise malizioso. Si avvicinò a Willow e la prese per le
braccia trasportandola verso il muro. Lei non capì nulla, dato che si era persa
tutta la scena di poco prima, quindi lo guardò confuso con le labbra
leggermente aperte. Oz la poggiò al muro bianco dietro di e le mise la mani a palmi aperti vicino al
volto, le sorrise dolcemente e la baciò. La sala attorno a loro ammutolì. Xander
sembrava una statua di sale.
Willow non sapeva che cosa fare, sentiva solo le labbra calde del
ragazzo premute sulle sue, mentre nel suo cervello lampeggiava una scritta al
neon che diceva "Primo bacio!" di continuo. Si sentì sopraffatta da
lui, specie quando sentì la sua lingua intrecciarsi con la sua. Sapeva che
avrebbe dovuto spingerlo via, allontanarsi da quel tipo che, non era gay?
Eppure le piaceva troppo, quindi senza neppure accorgersi, rispose al bacio.
La risata di Monica li fece tornare tutti con i piedi per terra. Xander
stava trattenendosi a stento da prendere a pugni Oz, Spike non credeva di aver
assistito alla sua migliore amica mentre baciava un ragazzo, che oltretutto
doveva essere Gay. Decise di andare a farsi la doccia con l'interrogativo che
forse Oz era etero. Wesley scosse il capo, intuendo per primo che questa poteva
essere una cosa decisamente imprevista per i loro fragili rapporti all'interno
della squadra.
Oz si staccò da Willow: Gli era piaciuto baciarla, aveva un buonissimo
sapore, sicuramente dovuto al lucidalabbra usato. Willow era rossa come i suoi
capelli, aveva gli occhi lucidi per l'emozione, anche se dall'espressione non
si capiva se era felice oppure furiosa. Le prese in mano una delle ciocche
ribelli e sorridendo le parlò all'orecchio.
"Buona serata Fragolina, a presto." e se ne andò sorridendo
vincente. Era nata come una sfida e si era trasformata in uno splendido
momento. Decise che avrebbe conquistato Willow, fosse l'ultima cosa che faceva.
"Bastardo..." sibilò Xander, con Wes che tentava di tenerlo
fermo.
"Xander.."Mormorò Willow. Si era completamente dimenticata di
lui. Ma che mostro era? Guardò Buffy che scosse le spalle: neppure lei sapeva
cosa fare. Xander la guardò ferito e se ne andò senza rivolgerle una parola.
"Ehy, non voglio casini Xander o sei fuori squadra." Disse
Monica per cercare di tenerlo buono. Aveva deciso di parlare con Oz nel momento
stesso che fosse uscito di lì, cosa che avvenne pochi minuti dopo.
Evidentemente aveva scelto di farsi la doccia a casa per non far venire fuori
troppo bordello.
"Daniel, vini con me." Oz se lo aspettava, quindi con Monica
ed Illyria si avviò verso una panchina a bordo campo e aspettò che la sua
allenatrice prendesse la parola. "La vostra squadra è un continuo di problemi.
Speravo che tu non me ne creassi troppi, sei sempre così bravo. Si può sapere
perchè hai così deliberatamente stuzzicato Xander?" domanda legittima,
pensò Oz.
"In realtà non volevo farlo, ma sono scoppiato." Rispose con
voce atona e tranquilla.
"Perchè?" lui sospirò e, guardando un punto fisso del parquet,
iniziò a spiegare i fatti.
"Ho toccato Xander per sbaglio prima e lui mi ha detto che non
vuole che lo tocchi, perchè....perchè è fissato che io sia gay." Ecco,
fuori il dente, fuori il dolore.
"E quindi?" chiese Monica che non capiva quale era il punto
focale del problema.
"E quindi mi emarginano da un anno con questa storia." Monica
non era stupida, aveva ben visto che Oz stava sempre per i fatti suoi, parlava
giusto con Wesley qualche volta, ma per il resto era muto come un pesce.
"Mi prendono in giro, mi sbeffeggiano e questo da sempre, solo che oggi
non ce l'ho fatta più e ho cercato di prendermi una rivincita. Sapevo che la
ragazza, Willow, doveva uscire con Xander e quindi ho pensato che vederla
baciare un altro gli avrebbe chiarito che non sono gay e gli avrebbe pure dato
fastidio." Una rabbia sorda prese a nascere nello stomaco di Monica.
"Poverina, non le hai neppure chiesto il permesso."
"Ok, mi spiace per lei, ma se ci provavo con la bionda mi arrivava
una pattinata. E poi devo dire che mi piace... Willow, intendo."
"Senti, capisco quello che hai provato e vedrai che si pentiranno
di quello che ti hanno fatto, ma evita di fare di nuovo queste cose. Vorrei
finire l'anno cestistico con tutti voi integri." Oz la guardò impaurito.
"Non ci farai fare un allenamento come quello di oggi, vero?"
chiese.
"Peggiore."
"Allora al prossimo non vengo." Lei sorrise ma non disse
nulla. Ora, almeno, aveva capito un sacco di cose in più. Lasciò andare via Daniel che corse a
prendersi la vespa, lanciando un'ultima occhiata a Willow che piangeva tra le
braccia di Buffy. Un profondo senso di colpa prese forma in lui.
"Mercoledì sputeranno sangue." Promise a se stessa Monica.
"Ti do una mano, ci stai? si offrì Illyria.
Le due amiche sorrisero maligne.
Capitolo otto
Scappare. Ecco, quella era l'unica cosa che desiderava sul serio Liam.
Casa sua era un inferno: suo padre e sua madre continuavano ad essere
terribilmente attaccati alla memoria di Riley, tanto da dimenticarsi che
avevano altri due figli a cui badare. Quasi odiava suo fratello per quello, poi
se ne pentiva sempre, perchè non era certo colpa sua se era morto due anni
addietro. Come se non bastasse, dalla sera di Halloween suo fratello sembrava
uno zombi. Mugugnava sempre frasi senza senso, si chiudeva in camera sua e ad
allenamento picchiava di più. Non che quest'ultima cose fosse male, anzi,
all'ultima gara nessun avversario era riuscito a fermarlo, ma a Liam stava
cominciando a stare decisamente sulle palle. Sentì il telefono che squillava da
qualche parte e lo prese: Darla. Sospirò nuovamente.
"Ciao."
"Ciao Amore." Sentì dall'altra parte del telefono. Alzò un
sopracciglio incuriosito suo malgrado. Darla di rado lo chiamava amore e solo
per chiedergli qualcosa.
"Che ti serve, amore." Rispose sarcastico.
"Non prendermi in giro. Senti, ci sarebbe una festa a cui sono
stata invitata con Cordelia. Ti va di accompagnarci?" Liam pensò un
secondo. Aveva voglia sul serio di buttarsi a casa di un solito figlio di papà
che dava una mega festa nel suo villone? Sentì le urla provenire dalla cucina e
si diede mentalmente dello scemo.
"Certo che mi va. Quando?"
"Sabato."
Il campetto era completamente immerso nel sole. Non faceva molto freddo,
nonostante stessero avvicinandosi al Natale, quindi Spike stava tranquillamente
in maglietta a maniche corte e pantaloncini
a tirare a canestro. Fino a poco prima c'erano stati alcuni ragazzi con
cui aveva fatto qualche partitella, dimostrandosi talmente superiore per
bravura, che se ne erano andati mugugnando. Ora ne approfittava per esercitarsi
nei tiri.
Monica ultimamente li aveva spremuti come dei limoni maturi sul
fondamentale più palloso, la difesa.
Solo Wesley sembrava sguazzarci come un bambino al mare, ma lui la odiava. Li
aveva fatti correre e piegare così tanto, che sentiva ogni giorno un
indolenzimento da acido lattico continuo. Perfino indossare i pantaloni alla
mattina diventava un problema. L'allenamento dopo quello in cui Oz aveva
baciato Willow, Monica era stata spietata, perfino con Andrew e con Jonathan a
cui di solito, per evidenti motivi fisici, ogni tanto dava l'ok per un
riposino. Era assai probabile che il play le avesse detto il perchè del suo
gesto e lei non era stata contenta, lo si capiva subito. Stava imparando a
conoscerla e doveva ammettere che cominciava a provare un profondo rispetto per
lei.
"Oh, ma guardalo, un perdente." La voce decisamente antipatica
che gli aveva parlato, lo fece girare. Si trovò davanti una delle persone più
odiose che avesse mai conosciuto sui campi di basket.
"Parker." Alto poco più di lui, longilineo con i muscoli ben
delineati, capelli scuri e occhi celesti slavati. All'apparenza sembrava un
bravo ragazzo, ma Spike sapeva che era un viscido verme sempre pronto a
riompere le scatole e attaccar briga con i più deboli. Peccato che con lui
avesse completamente sbagliato. Dietro il ragazzo venivano alcuni suoi compagni
e, sorpresa delle sorprese, una riottosa
Buffy che lo guardava sopresa.
"Sai, anche se ti alleni tanto non ce la farai a passare. Tu e la
tua squadra siete una barzelletta." Buffy guardò il suo ragazzo: di solito
non era così acido, chissà come mai si sfogava con Spike, poi ricordò, che in
fondo, anche a lei stava antipatico. Guardò William e si rese conto che non gli
stava poi così antipatico.
"Dai, lascialo stare." Disse a Parker, ma lui le lanciò
un'occhiataccia intimandole di stare zitta.
"Dovresti ascoltare
I gorilla che accompagnavano la coppi, si misero a grugnire, proprio
come delle scimmie, pensò Spike, ma Parker si mise a ridere.
"Sarà una Barbie, ma almeno io la ragazza ce l'ho, sfigato."
Buffy lo guardò malissimo e senza dire niente altro, girò i tacchi e se ne
andò: l'aveva veramente fatta incazzare. Parker fece spallucce, ma non la
inseguì.
"Non per molto, vedo."
"Quella è già mia."
"Sei solo un fottuto bastardo, Parker!" Esclamò Spike
dimenticandosi di essere stato il primo a non parlare benissimo di Buffy.
L'interpellato esplose in una risata leggere, prese il pallone da sotto il
canestro e glilo lanciò.
"Uno contro uno. Vediamo chi vince." E si mise in posizione di
difesa, pronto a contrastare William. I suoi due compari si spostarono a lato
del campo per non intralciare le manovre dei ragazzi.
Iniziarono una partitella senza esclusione di colpi, fatta di punti,
artoppate, entrate spettacolari e palle perse. Nessuno dei due voleva perdere,
anche se la posta in gioco era solo il proprio orgoglio. Ansanti e sudati, si
presero a fissare in cagnesco. Parker aveva pensato che battere Spike fosse una
bazzeccola, invece si era dovuto ricredere: era migliorato molto rispetto
l'anno precedente nel quale lo aveva affrontato.
Anche Spike era piuttosto sorpreso: sapeva che gli allenamenti di Monica
lo avevano aiutato a diventare più bravo, ma non credeva di essere arrivato a
quel punto. Già gongolava al pensiero di dove poteva arrivare a fine anno.
"Bella prova Giles, ma un solo uomo non fa una squadra...in
Campionato sarà tutta un'altra musica." Disse Parker andandosene.
Spike lo vide andar via senza sapere cosa rispondergli: la sua squadra
era forte, se ne stavano trendendo tutti conto partita dopo partita, ma i Black
Panters di Parker erano su un altro livello. Era piuttosto preoccupato per
quello che sarebbe potuto succedere in campo. Raccolse il suo pallone e la bici
e lentamente tornò verso casa, fermandosi, sorpreso, poco più avanti in un piccolo parco giochi. Seduta, mesta, su una
altalena, stava Buffy. Come guidato da una volontà a se stante, si avvicinò a
lei che lo guardò con odio malcelato. In lei bruciavano ancora le parole che
lui le aveva rivolto in campetto.
"Che vuoi, ossigenato?"
"Che fai qui? Aspetti tua madre?" la rimbeccò lui.
"No, aspetto Parker." Spike si sedette nella seconda altalena
sospirando.
"E' andato via da un po'. Sei una ragazza destinata a rimanere ad
aspettare da sola." Buffy lo osservò meglio: era stanco, coperto di sudore
e polvere. Si accorse per la prima volta di quanto blu e profondi fossero i
suoi occhi.
"Non capisco perchè tu dovresti far compagnia ad una Barbie come
me." Lui sogghignò.
"Scusa, non volevo offenderti, ma è stata la prima cosa che ho
pensato contro Parker." Lei sospirò pesantemente.
"Anche lui mi ha chiamata Barbie. A volte non riesco proprio a
capirlo." Disse tutto ad un fiato Buffy come a volersi sfogare con
qualcuno. Spike non sapeva molto bene cosa dirle. Già si odiavano, dire la cosa
sbagliata in quel momento poteva causare la morte di qualcuno. Solo ora Buffy
si accorse di aver parlato a voce alta. Si alzò dalla altalena con uno scatto.
"E' meglio se vado a casa, non credo che lui verrà a prendermi." Si
alzò anche Spike per prendere la bici e iniziò a seguirla.
"Che fai?" gli chiese lei curiosa.
"Ti accompagno a casa. Non vorrei che ti succedesse qualcosa."
Buffy non disse nulla, ma si assaporò solo la sua compagnia. Le faceva molto
strano: non erano mai stati amici, anzi, non perdevamo un minuto per potersi
insultare un po'. Eppure, in quelle ultime settimane, sempre a distanza,
qualcosa tra loro si era incrinato...a volte lo sentiva più vicino rispetto al
suo ragazzo. E la cosa le sembrava incredibilmente sbagliata.
"Grazie del passaggio, Ossigenato." Gli disse quando arrivò in
Revello Drive. Spike montò sulla sua fedele mountain bike nera e le urlò:
"Ciao, Hobbit."
Scappare. Era l'unica cosa che voleva fare Liam in quel momento. Al
pomeriggio la festa in cui era stata invitata Darla, gli era parsa una bella
cosa per evaderte da casa, ma ora voleva solo urlare. E scappare.
La casa era enorme ed era completamente invasa dai ragazzi bene di tutta
Sunnydale. Darla ci si ritrovava perfettamente, specie quando riusciva a
mettere in mostra il suo fedele ragazzo. Sembrava che le sue amiche lo
apprezzassero e lui non poteva che sorridere falsamente e sperare che la festa
finisse quanto prima.
"Ehy, ciao amico. Quanto tempo!" Angel si girò e si ritrovò
davanti un ragazzo che non conosceva assolutamente, completamente ubriaco che
barcollava con un bicchiere in mano di birra, che in un secondo tempo, finì
tutta sulla camicia nera di Liam. "Oh scusa." Disse l'altro ridendo
come uno scemo.
Liam lo guardò male e prese a pulirsi la macchia con dei fazzolettini
trovati sul tavolino.
"Amore, sei tutto bagnato..." Iniziò Darla annusando la
camicia del suo ragazzo "...di birra."
"Forse è meglio se vai a darti una lavata in bagno. Lo trovi su per
le scale." Gli disse la padrona di casa, una graziosa brunetta dai capelli
corti.
"Grazie." Salì le scale lentamente, con la voglia insana di
spaccare la testa alla prima persona che osava rompergli le scatole. Era stufo:
in quei giorni Monica li stava massacrando e sicuramente a causa di Oz. Non se
l'aspettava proprio un gesto così plateale da parte del piccolo play, però, lo
doveva ammettere, aveva dimostrato molto di più rispetto al fatto di non essere
gay, ma anche di avere le vere e proprie metaforice palle. E a lui piacevano le
persone così. Adesso doveva solo cercare di cambiare completamente la sua vita.
A parte il basket non aveva nulla: la scuola andava abbastanza bene, ma non era
un secchione. Il basket gli piaceva, ma di sicuro non era l'unica cosa che
poteva fare nella sua esistenza. Gli piaceva disegnare e lo faceva di continuo,
appena aveva un minuto libero. Solo che a casa doveva stare attento a non farsi
beccare da suo padre, che considerava il disegno, qualcosa di sbagliato,
qualcosa di non abbastanza virile per uno dei suoi figli. Quindi il blocco era
finito in un cassetto nascosto della sua scrivania. In realtà voleva fare
qualcosa che potesse aiutare la gente, magari entrare in Polizia...chissà a
casa che cosa avrebbero detto?
Trovò il bagno e abbassò la maniglia, rimanendo di sale, visto che la
porta non si aprì. Sentì dal di dentro una voce che gli urlava.
"E' occupato." Sospirò
decisamente infastidito: possibile che non gli andasse bene nulla? Sentì che
qualcuno di ubriaco e decisamente su di giri, stava arrivando e Liam non aveva
proprio voglia di sorbirsi altre parole biascicate e cose simili. Entrò nella prima
stanza disponibile: era la camera da letto padronale, con il letto matrimoniale
ricolmo di giacche. Si sedette sul bordo passandosi le mani sugli occhi
stanchi. Voleva scappare. Chissà se avesse lasciato Darla lì, che gli avrebbe
detto.
Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì un rumore provenire dalla
stanza a lato, il bagno. Sembrava che qualcuno stesse male. Bussò ad una porta
che metteva in comunicazione le due stanze.
"Ehy, tutto ok?"
"Sì." sentì una voce da donna soffocata. Liam si preoccupò un
po'. Provò lentamente ad abbassare la maniglia e mise la testa dentro. Quello
che vide lo fece rimanere di sasso. Cordelia era seduta sul pavimento, davanti
alla tazza del gabinetto, pallida come un cencio, mentre il vestito bordeaux
era aperto davanti a lei. Aveva il volto stravolto e scioccato per essere stata
beccata da qualcuno in quella posizione. Inorridì maggiormente quando si rese
conto che la testa castana spuntata dalla porta di servizio era quella di Liam.
"Cordelia....che stai facendo?" domandò lui.
"Nulla. Ho bevuto un po' troppo..." cercò di salvarsi in
corner lei.
"Sicura? Non sento odore di alcol e credimi, io ne so qualcosa in
materia." Liam entrò del tutto sovrastando la ragazza che guardava ovunque
tranne che il ragazzo. L'aiutò ad alzarsi rimanendo stupito da quanto lei fosse
fragile. I capelli gli sembravano meno lucenti, lo sguardo perso, le mani
secche. Per un attimo ebbe paura che la bella brunetta soffrisse di qualcosa di
più serio di una sbronza. "sai...dovresti mangiare un po' di più. Di te ci
sono solo le ossa." Le disse infine, quando, preso il braccio, non sentì
la tenera carne sotto le dita.
"Sto benissimo Liam e mangio anche troppo."rispose piccata la
ragazza.
Lui non disse nulla, la vide uscire tranquilla, solo un po' barcollante,
fuori dalla porta principale, lasciandolo davanti ad uno specchio con mille
dubbi.
Cordelia si diede della scema: sarebbe dovuta essere più attenta.
Avrebbe dovuto chiudere a chiave anche la seconda porta, non solo la
principale. Come aveva potuto farsi vedere in quel momento proprio da Liam?
Sperò che il moro non ne facesse parola con Darla. La ragazza avrebbe potuto
buttarla fuori dalla squadra per quel comportamento così poco di classe.
Rabbrividì al solo pensiero.
"Io torno a casa." Disse alla sua amica bionda. Aveva l'auto,
poteva andarsene quando le faceva più comodo e quello era il momento migliore.
"Ok, ci vediamo domani Cordy." Rispose Darla stupita: non era
da lei andarsene nel bel mezzo di una festa.
Cordy prese la macchina e se ne andò arrabbiata per la piega inaspettata
delle serata, proprio mentre Liam scendeva dal bagno, non molto sicuro del
risultato ottenuto con la sua camicia. La macchia si era allargata a causa
dell'acqua, ma sentiva ancora di puzzare di alcool. Voleva andarsene da lì.
Cercò con lo sguardo Cordelia: non era molto sicuro che la moretta stesse bene
e lui voleva indagare a fondo. Non sapeva perchè ma averla vista riversa così
in un bagno, con gli occhi castani così profondi di disperazione, gli aveva
fatto male. Giurò a se stesso che l'avrebbe aiutata.
"Tutto ok amore?" Darla lo guardava con il suo sorriso
malizioso, come a chieergli un dopo festa soddisfacente. Liam pensò che Cordy poteva aspettare ancora una notte.
Il pc della scuola ronzava monotono, mentre Liam sfogliava frenetico
decine di pagine Web. Tornando dalla festa aveva buttato lì, innocentemente, il
discorso cibo con Darla. Sapeva che la sua ragazza era perfetta così, ma da
piccola aveva avuto qualche problema di sovrappeso. Era un discorso che lei
affrontava poco e sempre controvoglia. Però, tra la descrizione di una dieta e
l'altra, aveva fatto accendere una lucetta nel cervello di Laim. E ora stava
cercando di dare adito alla sua idea, trovando notizie sconvolgenti che gli
stavano facendo diventare quella luce, un incendio di dimensioni colossali.
La secchezza della pelle, i capelli rovinati, la leggera lanugine sul
braccio di Cordy...tutto gli sembrava presupporre una crisi di anoressia
nervosa, almeno così la descriveva quel particolare sito. Gli stava montando
del panico...Non sapeva cosa fare ora. Una parte di lui, quella più indolente,
gli diceva che doveva lasciar perdere tutto, che Cordy doveva arrangiarsi, che
lui, in fondo, non era il salvatore degli oppressi. Quel ruolo in casa O'Connor
si salvatore della patria era già stato occupato da Riley, nessuno avrebbe
potuto rivaleggiare con lui. Eppure l'altra parte di se, l'angelo custode, gli
urlava che quella povera ragazza aveva bisogno di qualcuno e che, quindi,
doveva mettersi in moto. Il problema che gli montava addosso, però, era come
parlarne a lei. Liam non era uno che parlava molto, era un taciturno, spesso
ombroso, evitava i discorsi troppo lunghi perchè altrimenti rischiava di innervosirsi...come
avrebbe potuto parlare ad una ragazza vulcanica come Cordelia? E soprattutto
senza esserne del tutto sicuro. Più leggeva sullo schermo e più si convinceva
di avere ragione.
Decise di spegnere tutto, prese i vari fogli stampati e tornò verso la
sua classe per la lezione giornaliera di letteratura. Beccò in corridoio suo
fratello che camminava con il muso fin per terra depresso.
"Ehy Xan, dammi un consiglio." iniziò nascondendo il suo
materiale.
"Che vuoi?"
"Se tu dovessi parlare di una cosa importante con una
persona..." Cominciò imbarazzato. "A chi ti rivolgeresti?" Suo
fratello prese a guardarlo curioso.
"Stai bene Liam?"
"Certo!"
"Ah, ok...Bho, dipende...Riguardo a cosa?" Liam alzò gli occhi
al cielo: gli aveva fatto una domanda, non voleva essere sottoposto ad un terzo
grado.
"Fatti miei Xander. Mamma e papà sono esclusi. Mi servirebbe
qualcuno di sensibile e che capisca bene le cose senza fare troppe
domande." Xander prese a pensarci: lui a chi avrebbe chiesto aiuto? I
genitori erano fuori discussioni. Se era una cosa serie, escludeva anche i suoi
fantomatici amici...Forse proprio a Liam ne avrebbe parlato, ma era lui a
chiedere aiuto. E Xander non si sentiva uno molto sensibile.
"Perchè non Wes? E' il ragazzo più intelligente che io conosca."
"Uhm...ci penserò." Lo salutò e si avviò in classe. Sì, Wesley
era un amico, ma non sapeva bene se fidarsi o meno, cioè, lui di malattie del
cibo ne avrebbe capito?
"Signor O'Connor, è con noi o è a far canestro in palestra?"
Domandò sarcastico il professor Smith prima di chiudere la porta della classe.
"Posso parlare con una di voi?" Monica ed Illirya si girarono
verso Liam che le guardava con uno sguardo da cucciolo abbandonato. Come dire
di no?
"Io vado ai miei allenamenti, ci pensi tu e poi mi dici?"
Chiese l'aiuto allenatrice e Monica annuì.
Alla fine, dopo lunghi rimuginamenti in classe e a casa, Liam aveva
capito che solo una donna adulta poteva aiutarlo: sicuramente una donna lo
avrebbe ascoltato, sarebbe stata discreta e sensibile. Certo, c'era da
chiedersi Chi potesse essere la donna giusta, visto che sua madre era l'unica
donna adulta che conosceva abbastanza, ma che di sicuro non era sensibile a
lui, figurarsi per un problema di una sua amica. No, ci voleva una strategia
migliore e quindi aveva puntato sulle due figure femminili che più gli erano
state vicino durante quel periodo: le sue allenatrici. Oh Dio, non che loro lo
conoscessero molto di più rispetto a sua madre, ma erano di sicuro molto più
alla mano.
"Ok, Angel, dimmi tutto. C'è qualcosa che non ti è chiaro dello
schema di oggi?" lui scosse il capo in senso di diniego.
"No, è qualcosa di personale." Monica lo guardò ancora più
interessata. Di rado aveva scambiato due parole con il moro, aveva capito che
era un tipo taciturno.
"Sono qui."
"C'è una persona...una amica in realtà..." Iniziò lui
passandosi una mano sul collo un po' a disagio. "...una ragazza che credo
non stia bene." Sì, pensò Liam tra sè, così andava bene.
"Che tipo di malattia ha?"
"Ehm...io credo...ma solo credo...che si tratti di qualche malattia
legata all'alimentazione." Sospirò, prendendo coraggio per continuare
"L'ho trovata seduta davanti alla tazza del Water." disse infine.
Monica prese a pensare: non era propriamente il suo campo e non aveva mai sofferto
di anoressia o bulimia, perchè questo, in soldoni, gli aveva detto il suo
pivot. Però nel passato alcune sue amiche erano passate per quell'inferno.
"Quindi?"
"Vorrei aiutarla."
"Ah." Esclamò lei sorpresa.
"Come le parlo?"
"Come stai facendo a me. Senti, Liam, non è una cosa facile. Come
prima cosa è lei a dover capire di star male. Se proprio vuoi aiutarla, fa che
sia questa la sua prima consapevolezza. Poi credo che dovrà parlarne con uno
psicologo e quindi andare da qualche medico. C'è sempre bisogno di un supporto
per queste cose."Lui annuì.
"Qualcosa di pratico?"
"Parlale, stalle vicino, falle capire che è già bella come è."
Prese dalla sua borsa una risma di CD e si mise a cercarne uno in particolare.
"Ecco, prendi questo. Traccia 9, secondo me riflette bene la situazione.
Fagliela ascoltare, magari vi aiuta."
"Grazie Monica."
Liam andò a farsi una doccia, incurante degli sguardi incuriositi di
Xander che non aveva perso i movimenti del fratello. Non voleva parlarne a lui,
per quanto dalla morte di Riley avessero legato parecchio, non gli andava che
Xan sapesse di questo suo slancio di umanità.
Tornò a casa e lasciò borsa e fratello senza neppure entrare a salutare
i giocatori: mise nel lettore il cd che gli aveva dato Monica e prese, fermo in
una piazzola di sosta, ad ascoltare la canzone da lei consigliata.
Si sveglia che fa buio ormai d'abitudine
La notte le regala un'aria più complice
Detesta il vuoto dei rumori della realtà (aurora sogna)
Ma col volume a stecca può sopravvire (aurora sogna)
Sogna una carne sintetica
Nuovi attributi e un microchip emozionale
Sogna di un bisturi amico che faccia di lei
Qualcosa fuori dal normale
Qualche gelato al giorno forse la nutrirà
Non crede nell'amore in cio' è molto semplice
Come si chiama questa voglia di vivere (aurora sogna)
Che nel suo corpo ha bisogno di espandere (aurora sogna)
Sogna una carne sintetica
Nuovi attributi e un microchip emozionale
Occhi bionici più adrenalina
Sensori e ciberbenetica neurale
Sogna una carne sintetica
Nuovi attributi e un microchip emozionale
Labbra cromate ricordi seriali
Emozioni e un nuovo impianto sessuale
Aurora Sogna- Subsonica
Si, decisamente ci azzeccava. Tornò a guidare ascoltanto di continuo
quella canzone, con l'immagine di Cordelia stampata nel cervello. Arrivò a casa
Chase e suonò il campanello.
"Desidera?" chiese con voce educata il cameriere di casa.
"Sono un amico di Cordelia, vorrei parlare con lei."
"Attenda, la chiamo." Sentì il click del termine conversazione e si
mise ad aspettare tambureggiando il volante con le dite.
"Chi è?" La voce di Cordy uscì chiara dall'interfono.
"Sono Liam O'Connor...il ragazzo di Darla. "Disse pentendosene
subito. "Ti ricordi di me, vero?" Cordelia, dentro casa, pensò che
fosse una cosa assolutamente impossibile dimenticarsi di uno come lui.
"Certo. Che c'è?" Liam prese un profondo respiro.
"Vieni fuori, dobbiamo parlare."
CAPITOLO NOVE
La "Questione bacio" fra Willow ed Oz si era allargata a macchia
d'olio: ormai tutta la scuola sapeva quello che era successo in palestra.
Persone che prima neppure sapevano chi lui fosse, ora lo salutavano tranquille.
Oz pensò che fosse incredibile come potevi passare da essere uno zero assoluto
a mito scolastico in poco tempo. C'era perfino gente che ora gli chiedeva
notizie sui concerti.
Scambiò un'occhiata provocatoria con Spike che passava in corridoio, ma questo
non sembrò impressionarlo. Il biondo era perso in tutti altri pensieri,
popolati da una certa pattinatrice che di solito si divertiva a stuzzicarlo.
Oz si stupì di questa insolità tranquillità, anche perchè Spike era solito
rompergli parecchio le palle. Scrollò le spalle ed iniziò a scendere in
giardino. Davanti allo sgabuzzino delle scope, si scontrò con Willow. La
ragazza fece cadere i libri a terra, spaventata ad avere davanti il maledetto
"ruba primi baci". Aveva fantasticato su quel momento così a lungo e
sempre con Xander come cavaliere, che quando aveva sentito le sue labbra
addosso quasi si era illusa che fosse così. Invece, aprendo gli occhi, si era
accorto di avere davanti due penetranti pupille grigie invece di quelle castani
tanto agognate. Non si accorse neppure che Oz le stava porgendo le sue cose.
"Ciao!" esclamò lui felice. Rivederla gli faceva piacere. Lei
balbettò qualcosa di poco chiaro. "Tranquilla, mica ti mangio."
"Mi sembra che lo hai già fatto." Rispose lei mettendo il broncio.
Lui la fissò sorridendo e appoggiandosi al muro.
"E la cosa ti è piaciuta così poco?" Willow diventò dello stesso
colore dei suoi capelli. Poteva ammettere a lui e a se stessa che il bacio le
era piaciuto? No, non poteva e decise di mantenere il silenzio. Oz vide due
ragazze che, guardandoli, ridacchiavano, così, quando scomparvero, prese Willow
e la portò dentro lo sgabuzzino.
“Ehy!” protestò lei.
“Non vorrai che tutta la scuola ci veda assieme, no?” Willow si sentì in
trappola. Lo sgabuzzino era piccolo e lui bloccava l'unica uscita.
“Che vuoi, Oz?” Domandò tremante e lui ne ebbe un po' pensa e sospirò.
“Volevo chiederti scusa. Quello che ti ho fatto non è stato un bel gesto, lo
ammetto, ma è stato più forte di me.”
“Perchè?”
“Perchè? Bella domanda...perchè Xander ci guardava e sapevo che doveva uscire
con te, per...”
“Quindi è solo per vendetta.” Lo interruppe.
“Anche e non solo. Forse l'ho fatto perchè tu sei molto carina anche se non
indossi quella minigonna. Forse perchè sei piuttosto invitante.” Finì Oz
sorridendole dolcemente.
“Potevi almeno chiedermelo.” Borbottò Willow. Era rimasta frastornata dalla
strana dichiarazione del ragazzo, anche perchè era stato il primo a dirle di
essere invitante.
“Dai, stiamo parlando di un bacio, solo un bacio.”
“Non era solo un bacio, era qualcosa di più.” E a quel punto Oz capì che era
stato il suo primo vero bacio e lui glielo aveva praticamente rubato. Si sentì
veramente in colpa, ma le cose non potevano essere cambiate.
“Scusami, Willow.” Le accarezzò la guancia e si sorprese dato che lei non si
era spostata. “Purtroppo non posso far tornare indietro il tempo, quello che ho
fatto non si può cancellare, ma farò tutto quello che vuoi per farmi
perdonare.” Willow lo guardò fisso, per la prima volta senza tremare.
“Tutto?”
“Tutto!”
“Allora non farti più vedere.” Esclamò dura, tanto che Oz ne rimase sospreso.
Quella ragazza sapeva stupirlo.
“Sicura? Perchè sarebbe un bel problema. A me piaci e mi sarebbe anche piaciuto
conoscerti meglio.” Ma Willow non mostrò cenni di cedimento. “Ok, come vuoi.
Vorrà dire che ci vedremo in giro, Fragolina.” E così dicendo le prese in mano
una ciocca di capelli ribelli e gliela mise dietro l'orecchio sorridendole
dolce. Poi uscì, lasciando Willow confusa. Quel gesto così tenero le aveva
scaldato il cuore e quel sorriso aperto le era piaciuto. No! Lei doveva
riuscire a tornare amica di Xander, non doveva importarle che ancora agognava
le labbra di Oz sulle sue, quella sensazione sarebbe sparita presto.
William stava tranquillamente disteso sul suo letto a leggere. Molti lo sfottevano per quell'hobbie, ma per
anni suo padre gli aveva rifilati libri sotto il braccio, un po' per tenerlo a
bada e un po' perchè leggere faceva bene. E lui si era abituato. Gli piaceva,
gli permetteva di staccare il cervello per delle ore, così da non pensare ai
mille problemi che gli passavano per la testa.
Si accorse del padre solo quando questo fu davanti a lui.
“Ti dovrò portare a fare un controllo dell'udito. Sono due ore che ti chiamo.”
“Scusa, non ero presente. Che c'è?”
“Scendi. Jenny è già giù e la cena è pronta.” William guardò l'orologio e si
sorprese nel constartare che in effetti, erano passate le otto. Non se ne era
proprio accorto.
“Ok, adesso arrivo.”
Jenny era una bella donna, a William faceva molta simpatia. Portava meglio la
sua età rispetto a Rupert: era di origini gitane, con pelle olivastra, i
capelli neri e lucenti e due occhi scintillanti. Avevano in comune la passione
per la musica punk, cosa che il padre non capiva. Ma William sapeva che i due
si amavano molto e lui era felice di questo, perchè Rupert se lo meritava. Aver
cresciuto un figlio di indole così ribelle da solo, portava solo rispetto agli
occhi di Spike. E ora era giunto il tempo che si godesse la vita, magari con
una bella donna accanto.
“Ciao Jenny.” Notò che i due adulti erano piuttosto eleganti. Lei aveva optato
per un completo giacca e pantalone di color azzurro, mentre suo padre sembrava
uscito da un the con
“Ciao
“Bene, e tu?”
“Anche. Ottimi affari oggi!” E cominciarono a parlare di dati tecnici di
computer, cose che per Giles Senior era complesso come una traduzione
dall'aramaico antico, anzi, forse anche di più.
La cena scivolò tranquilla, tra una risata e una disquisizione sulla scuola e
la pallacanestro.
"Dovete uscire che siete vestiti così eleganti? La porti a teatro?"
Chiese William mentre bevevano il classico the del dopo cena, cosa che a casa
Giles non mancava mai. I due adulti si scambiarono un'occhiata complice che non
sfuggì al ragazzo. Rupert poò la tazza sul piattino e guardò negli occhi suo
figlio. Si sorprese ancora una volta di quanto fosse cresciuto: ricordava
ancora quando da piccolo gli faceva da destriero. Sorrise, tornando alla
realtà.
"No, William. Questa sera resteremo a casa. Siamo vestiti così perchè è
una giornata importante, questa." E così dicendo prese la mano di Jenny.
"Io e te abbiamo vissuto molti anni assieme e da soli. E' stato difficile
per me, ma anche per te e io sono fiero di come sei diventato." William li
osservò con attenzione: non capiva dove volesse arrivare suo padre.
"Stai bene, vero?" Domandò a bruciapelo.
"Certo..." Rispose imparpagliato Rupert, mentre Jenny ridacchiava
sotto i baffi. "Noi volevamo dirti che a giugno ci sposiamo."
L’espressione di William fu da manuale: bocca spalancata in un cerchio
perfetto, occhi sbarrati e sopracciglie alzate. Questo cambiava un sacco di
cose.
"Questo, ovviamente, se tu sei d'accordo." Concluse Jenny per aiutare
i due che sembravano due statue di sale.
"Certo che mi va bene." Si riscosse William e Rupert esalò il sospiro
di sollievo che tratteneva da tutto il giorno e tornò pure del suo colorito
naturale, dopo essere variato verso il rosso. "E' giusto e sono felice per
voi." Il padre prese una bottiglia di spumante della California e la aprì
con il botto, così da festeggiare. William pensò di non averlo mai visto così
felice.
"Per Natale verrà a vivere qui mia figlia e mi piacerebbe che voi
diventiaste buoni amici."
"Nessun problema." Spike sapeva che la figlia di Jenny viveva in
Europa e frequentava un college privato svizzero e che era anche una bella
ragazza.
"Quindi vivremo tutti assieme." Terminò Rupert al settimo cielo.
'Tutti assieme?' Pensò William tra se. 'Oh, oh.' Spike decise che era meglio
lasciare i due piccioncini in pace a festeggiare.
"Bhe, io esco."
"Non fare troppo tardi, domani hai scuola."
"Sì, papà." In realtà non sapeva bene dove andare, quindi decise di
bussare alla porta dei suoi vicini.
"Buonasera signora Rosemberg. C'è Willow?" La signora gli sorrise, lo
conosceva da anni.
"No, è uscita con Buffy. Sono al Bronze." Lui ringraziò e si avviò al
locale. Aveva proprio voglia di stare un po' con le due ragazze, specie con
una.
Il Bronze era pieno di gente. Vide parecchie conoscenze, ma da uno dei
divanetti spuntava una familiare testa rossa. Con fare baldanzoso si sedette
vicino a lei.
“Ciao Willow!”
“Mi hai fatto prendere un colpo.” Rispose lei. Aveva gli occhi gonfi di
una che aveva appena pianto.
“Che ti succede?”
“Nulla, ho solo tentato di parlare con Xander.” Spike la guardò come a
chiedere chiarimenti. “Dopo il bacio con Oz non mi parla più.”
“Forza Rossa, vedrai che capirà, devi solo avere un po’ di pazienza.
Xander è un po’ lento su certe cose.” La abbracciò forte, in modo da farle
capire di esserle vicino.
“Tu che mi dici di bello, invece?” Spike rubò quello che restava della
menta della sua amica.
“Mio padre si sposa!” Buttò fuori. Willow sgranò gli occhi e prese a
battere le mani felice, per poi abbracciarlo. “Ehy, non mi sposo io!”
“Anche perchè, povera ragazza altrimenti.” Buffy era davanti a loro.
Indossava un paio di jeans a vita bassa azzurri, scarpe con i tacchi che la
slanciavano e un’eterea canottiera nera, poco trucco e la coda alta.
“Ah, ah, hobbit. Io credo che, invece, ti piacerebbe essere la ragazza
in questione.” Buffy rise senza rispondergli e si sedette vicino a Willow,
all’opposto rispetto a dove stava Spike.
“Tu sogni ossigenato. Allora, chi è che si sposa?”
“Mio padre con Jenny.”
“E tu sei d’accordo?” domandò Buffy seria. Era rimasta stupita dalla
tranquillità che aveva dimostrato William dando l’annuncio. Provò ad
immaginarsi lei nella stessa situazione e rabbrividì. Willow si alzò per andare
a prendere da bere, visto che il suo amico le aveva finito la bibita.
“Certo che sono d’accordo! Mio padre se lo merita!” Spike non riusciva a
capire cosa passasse nella testa della biondina.
“Sì, lo so, ma...insomma....e tua madre? Quella vera, intendo, non
Jenny.” William si irrigidì. Stava per mandarla poco elegantemente a quel
paese, ma poi ricordò la chiacchierata che avevano fatto fuori dalla palestra,
quando lei aspettava sua madre e stranamente, non se la sentì di trattarla
male.
“Mia mamma non c’entra. Lei non è qui.” Vide la confusione di Buffy e
sospirò. “I miei hanno divorziato ormai da dodici anni. Mio padre mi ha
cresciuto da solo e ha aspettato che io diventassi grande per poter essere
felice, per fare in modo che io non stessi male. Mia madre ha perso il diritto
su di noi quando ci ha lasciato, quando ha smesso di guardarmi negli occhi.
Quindi sono più che d’accordo che si sposino.” Senza accorgersene i due si
erano avvicinati uno all’altra. Buffy non replicò, ma si ritrovò a pensare che
si sentiva molto vicina a Spike, intimamente vicini. Provò un moto di simpatia
per lui.
“Allora alla salute di tuo padre!” alzò il bicchiere sorridendogli e lui
non potè fare a meno di risponderle.
“Mi devi lasciare perdere!” Cordelia non aveva mai pensato che avere
Liam tra i piedi fosse così stressante. Dalla sera in cui si era presentato a
casa sua, non l’aveva mai lasciata. Era arrivato dicendole che doveva
cominciare ad amarsi di più, che era una bella ragazza già così e avanti di
questo passo. Si era sentita lusingata, dato quello che provava per lui, ma
quando aveva iniziato a parlarle di bulimia e malattie legate
all’alimentazione, si era scandalizzata. Lei non era quel tipo di ragazza, lui
non era malata, aveva solo bisogno di rigettare quando mangiava un po’ più del
solito. Aveva una linea da mantenere.
“No, voglio aiutarti.” Rispose tranquillo lui.
“Perchè?” Cordy si girò per affrontarlo: nonostante fosse una ragazza slanciata,
Liam troneggiava su di lei. Ogni volta annegava in quelle due pozze di pece che
erano i suoi occhi
“Come sarebbe a dire, perchè?”
“Perchè proprio io? Ci sono un sacco di innocenti da salvare, perchè
vieni proprio da me che non ne ho bisogno?” Liam sospirò pesantemente. Già,
perchè?
“Perchè sei una mia amica.” Ecco, abbastanza tranquilla come
motivazione, niente di troppo compromettente.
“Sono una tua amica?” domandò sorpresa Cordelia.
“Certo!” esclamò in risposta Liam. Forse era la volta buona che
l’ascoltasse.
“Ti ringrazio, Liam, ma io sto benissimo. E poi non credo che Darla
sarebbe felice di vederci sempre assieme, quindi è meglio se tu te ne vai.”
“Darla? Ah sì, Darla.” Era grave, pensò Liam, che si fosse dimenticato
della sua ragazza? Sì, era grave. “Senti, io so che tu hai bisogno di una mano.
E io sono qui per dartela, ma tu devi essere la prima a volerlo.”
“Esatto! E io non lo voglio!” così dicendo cambiò direzione lasciandolo
solo.
Liam sbattè la testa contro il muro: non era possibile che avesse
sbagliato in quella maniera così grande. Insomma, aveva seguito tutti i
consigli che Monica gli aveva dato, quindi perchè le cose non erano andate come
voleva lui? Nelle sue fantasie, Cordelia lo ringraziava ed insieme o anche da
sola, iniziava a curarsi. Invece no, la ragazza stava facendo di tutto per
metterlo in difficoltà.
“Dovrei veramente smetterla di provarci e lasciarla che si arrangi.”
Disse sbattendo le mani sul volante.
“Che si arrangi chi?” Darla era entrata nel SUV con un sorriso smagliante.
“Mia madre...mi ha chiesto un favore, ma che palle.” Bugia perfetta.
“Allora, andiamo?”
“Devo aspettare Xander.” Darla sbuffò, ma evitò di dire alcunchè, fino a
quando non apparì.
“Era ora, sei sempre lento.”
“Stai zitta.” Due paia di occhi si voltarono verso Xander: non era da
lui rispondere in questo modo, men che meno a Darla.
“Ehy, tu lasci che mi tratti in questa maniera?” chiese Darla a Liam
completamente scioccata da quello che era successo. Xander prese a guardare
fuori dal finestrino, apparentemente disinteressato a quello che accadeva
nell’abitacolo.
“Lascialo perdere, non sta passando un bel periodo.”
“Solo perchè
“È Successo il contrario e smettetela di parlare come se io non ci
fossi.” Xander era arrabbiato con il mondo. Aveva sperato che dopo la rottura
con Cordy, di trovare una ragazza che gli volesse bene. Invece nulla, la sua
popolarità era sempre stata molto bassa e puntare a Darla non lo aveva aiutato.
Con Willow stava proprio bene, lei lo faceva sentire brillante e desiderato. E
ci era rimasto male quando l’aveva vista collaborare al bacio di Oz. Non si era
neppure accorta che lui fosse lì. Era tornato ad essere lo Zeppo della squadra.
Lacrime copiose stavano bagnando il divano e Wesley non ce la faceva
proprio a tollerarle ancora. Aveva allenamento appena da lì a due ore, ma stava
progettando la fuga. Non voleva continuare a veder sua madre in quello stato.
Ogni anno, sotto le feste natalizie, dava di matto. Continuava a blaterare che
doveva essere la festa della famiglia e si disperava perchè suo marito non
c’era più. La cosa che più faceva male a Wes era a Natale stesso: suo madre
preparava la cena della vigilia e poi metteva tre piatti ed iniziava a parlare
ad un fantasma. E parlava di cose che lui neppure ricordava. No, era troppo
tempo che subiva queste cose, quindi si preparò in fretta, mise le scarpe da basket in borsa e se ne andò. Sperò in
cuor suo di trovare sua madre dove l’aveva lasciata, cioè a piangere sul
divano.
Non era molto contento: quello sarebbe stato l’ultimo allenamento, poi
le vacanze di Natale e lui non voleva smettere. La pallacanestro era l’unica
cosa decente che gli rimaneva. Senza contare che per due settimane e mezzo non
avrebbe visto Monica...no, questa era la tortura peggiore che potesse ricevere.
Si era divertito molto con lei mentre dipingeva gli scuri della casa e poi
quando insieme avevano cercato di mettere ordine nella soffitta dei nonni.
Avevano spulciato tutti gli album fotografici, l’aveva vista da piccola e anche
in divisa. Non gli era sfuggita la piccola lacrima di commozione che era scesa
sulla guancia della ragazza, ma non aveva fatto nulla per togliergliela...anche
se era stato molto tentato di farlo. Lei gli aveva detto che poteva lasciar
perdere ulteriori lavori fino a dopo
Arrivò in palestra che ancora i bambini del minibasket stavano giocando.
Si sorprese ulteriormente a trovarci Monica che li allenava, anzi, li faceva giocare.
Aveva un sorriso smagliante, mentre passava la palla ad una bambina con le
treccie. Mollò la borsa e prese ad osservarli. Stavano giocando a palleggiare
seguendo i comandi della ragazza e si divertivano pure. Ricordava anche lui i
bei momenti che passava da piccolo in palestra: certe cose non cambiavano
proprio mai.
“Ehy, che ci fai qui?” Domandò Monica appena lo vide.
“Sono scappato di casa.” Lei perse un po’ del suo sorriso.
“Mi spiace, so che non è facile.” Nei momenti passati assieme, lui le aveva
detto che sua madre stava di nuovo male e anche un po’ del suo passato. Non si
era sbottonato troppo e lei non aveva chiesto. Se ne avesse voluto parlare
dettagliatamente lei sarebbe stata lì ad ascoltarlo, esattamente come aveva
fatto con Oz.
Lui fece spallucce e sorrise.
“Fa nulla, ora sono qui. Vuoi una mano?” chiese indicando i bambini.
“Magari! Sono peggio di voi.”
Continuarono l’allenamento e Wes si trovò sudato semplicemente a
segiurli, erano veramente dei diavoletti.
Vide che fuori i genitori arrivati, stavano preprando un tavolo pieno di
cose da mangiare: evidentemente finito in campo avrebbero festeggiato il
Natale.
“Allora, adesso chi vuole aspettare babbo Natale?” domandò Monica quando
tutti furono seduti. Decine di mani si alzarono in alto, seguite da un coro di
‘io’. “Bene. Andiamo a mangiare qualcosa e poi chissà che se non fate i bravi,
arrivi lui con un regalo.” L’orda di bambini si alzò e correndo arrivò al
tavolo dove i genitori li aspettavano sorridendo. “Per fortuna è finita.” E così
dicendo si sedette sul tavolo.
“Ti hanno appioppato anche i bambini oltre a noi?” domandò Wes sedendosi
vicino a lei.
“No. Ho solo sostituito il loro maestro per oggi: si sono ritrovati
senza nessuno per un’epidemia di influenza ed eccomi qui. Mi seccava fargli
perdere la festa di Natale. Poi babbo Natale come avrebbe fatto a distruibuire
i regali?” Guardarono verso l’atrio, dove uno dei papà in completo rosso e
bianco e con la pancia finta, aveva appena fatto la sua comparsa trasportando
un sacco ricolmo di regali. “Bei tempi quelli in cui si aveva così tanta
fede.”mormorò Monica.
“Che ci fai fare oggi?” cambiò argomento lui.
“Credo solo una partitella. Voglio arrivare alla festa tranquilla. E poi
è l’ultimo allenamento.” Ripose stiracchiandosi. “Non ho voglia di arrabbiarmi,
quindi di ai tuoi amici di fare i bravi, ok?”
“Mi farò valere, sono o no il capitano della squadra?” si voltò verso un
bambino che correva tutto felice con il suo nuovo regalo in mano, poi prese un
pallone dalla cesta e andò a tirare mentre Monica lo osservava e gli dava
suggerimenti quando sbagliava.
Era strano per lei: quel ragazzo le piaceva molto. Di solito era pacato,
tranquillo, un gran lavoratore. Aveva indubbiamente una sensibilità parecchio
spiccata, visto i casini che aveva a casa, senza contare che era pure carino.
Ogni tanto arrivava a casa sua non ancora sbarbato dalla notte appena passata e
sembrava molto più grande di lei. E quando si alzava la canottiera per
togliersi il sudore, rivalava un bel torace con una leggera peluria che
dall’ombelico scendeva sotto i pantaloncini e Monica doveva distogliere lo
sguardo (NDS mi succede davvero e non con Wesley, purtroppo). Definitivamente
doveva smettere di pensare a lui, solo che risultava quantomeno difficile.
“Già qui?” la voce di Illyria interruppe i suoi pensieri.
“Ciao! Allenamento extra, oggi.” La nuova arrivata lanciò uno sguardo a
Wes e poi tornò su di lei. A Monica incuteva timore, a volte. I suoi occhi
erano così freddi e ti scrutavano così in profondità, che si sentiva quasi nuda
davanti a lei, senza contare gli anni passati a condividere vittorie, gioie e
dolori.
“Che allenamento avete fatto voi due?”
“Illy...è minorenne, te lo ripeto per la cinquantesima volta. Non c’è
nessuna possibilità che succeda qualcosa.” Rispose con veemenza Monica.
“Tenti di convincere me o te stessa?” domandò Illyria scrutandola, ma
l’interpellata non rispose.
Pian piano arrivarono in palestra tutti i ragazzi della squadra.
Sembravano piuttosto scazzati, forse perchè sapevano che quello sarebbe stato
l’ultimo allenamento prima delle feste e quindi non erano particolamente
portati a fare del loro meglio. E dato che Monica ed Illyria lo sapevano
benissimo, li lasciarono giocare senza intervenire troppo, mentre loro
chiacchieravano di tutto e niente, ma entrambe videro la gomitata che Xander
tirò ad Oz proprio a livello delle costole. Il play si tenette il torace
guardandolo male, mentre Xan scrolleva la spalle. Voleva semplicemente
prendersi la sua rivincita.
“Cercate di non farvi male.” Urlò l’allenatrice.
Wesley scosse il capo, sentiva che i problemi stavano aumentando. Però
sembrava che solo lui si stesse preoccupando per quello che stava avvenendo in
campo.
“Andate pure a bere.”
I ragazzi corsero verso i lavandini degli spogliatoi ridendo e cominciando
ad avere l’acquolina in bocca: sul tavolo dell’atrio c’erano dei vassoi pieni
di pizzette, pop-corn, patatine, stuzzichini. Illy e Monica li avevano
preparati e comprati apposta per festeggiare.
“La prossima volta cerca di stare più attento. Potevi rompermi
qualcosa.” Esordì Oz. Aveva deciso di uscire allo scoperto e non farsi mettere
più i piedi in testa da nessuno.
“Sai quanto me ne frega.” Fu la risposta completamente disinteressata di
Xander.
“Bhe, adesso lo sai. Quindi vacci cauto.”
“In realtà quasi ci speravo di romperti qualcosa...te lo saresti
meritato.”
“Andiamoci piano con le affermazioni, ok?” Si intromise Wesley.
“Stai zitto Pryce, questa è una cosa nostra.” Gli altri compagni si fermarono
tutti a vedere quello che stava accadendo in quel momento.
“Che ti rode, O’Connel? Che non sono più gay e disponibile per te,
oppure che la tua quasi ragazza abbia accettato di baciarmi?” Oz glissò
elegantemente il fatto che Willow non lo volesse più vedere, ma non gli
sembrava il momento giusto per dirlo. Xander, intanto, aveva socchiuso gli
occhi, contratto i muscoli del viso in una espressione di pura rabbia. Non ci
volle molto perchè si avventasse sul Daniel.
“Oh cazzo!” Fu l’unica frase che riuscì a dire Liam. Cercò di mettersi
tra i due riuscendo ad evitare che suo fratello spaccasse il naso ad Oz.
“Ma siete impazziti!” Urlò Spike uscendo dal gabinetto. “Lo sapete che
di la ci sono le due iene?”
“Evidentemente no.” Disse Illyria entrando. Come mise piede nella stanza
il tempo sembrò fermarsi, quella ragazza li congelava. Dietro di lei una Monica
depressa.
“Iena
“Uhm...nulla.” Monica guardò Wesley che arrossì subito.
“Sei un pessimo bugiardo Wes. Allora?”
“Non è successo niente, solo un piccolo scambio di opinione.” Cercò di
rimediare Liam, mentre tutti gli altri annuivano.
Le due adulte scrutarono Oz e Xander che non avevano ancora smesso di
guardarsi in cagnesco e sospirarono.
“Per questa volta va bene, ma se vi becco a mettervi le mani addosso non
giocherete fino al prossimo anno.” Uscì lasciando un sorriso a tutti.
I ragazzi, appena uscite le due, rilasciarono un sospiro di sollievo: se
l’erano vista proprio brutta.
CAPITOLO DIECI
La festa era scivolata via abbastanza tranquilla. Le due teste calde di
quella serata avevano deciso, saggiamente, di stare lontani uno dell’altra e di
andare a prendersi da mangiare e da bere in momenti separati. La musica
sembrava allietare tutti quanti, anche chi, come Cordelia, era venuta senza
molta voglia.
Darla l’aveva praticamente obbligata ad accompagnarla, in modo che la
bionda non si ritrovasse da sola in mezzo a quella marmaglia, Liam escluso,
ovviamente. Il problema di Cordy, in realtà, era proprio lui. Non aveva la nessunissima
voglia di sorbirsi un’altra delle sue paternali su quanto male le faceva la sua
dieta ferrea e il suo continuo andare al bagno. No, decisamente non era il suo
miglior regalo di Natale. Adesso era lì che moriva dalla voglia di assaggiare
una di quelle pizzette, ma non lo poteva fare.
“Cordy, come mai sei venuta qui?”
“Per farmi del male, a quanto
pare.” Rispose e Xander sorrise. Non era uno stupido, aveva capito benissimo
che la cheerleader era dimagrita un sacco in quel periodo e che la cosa non era
del tutto normale, ma come era sempre stato nella sua indole, non ne aveva
parlato. “sai, è strano...” continuò lei “Ho sempre visto tuo fratello come uno
schivo e uno a cui del mondo fregava relativamente. Era sempre uno che sapeva
il fatto suo ed era ammirato per questo. Invece ora...sembra così
diverso.”scrollò il capo, anche lei sorpresa di questa confessione.
“Liam è come il giorno e la notte assieme. Sa sorprenderti sempre.”
Dall’altra parte della stanza, altre due ragazze avevano un conciliabolo.
“Ecco, vedi? Mi sta di nuovo guardando. Ma non la potrebbe smettere?”
chiese Willow voltando la schiena ad Oz che le aveva appena rivolto un sorriso
malizioso. Buffy roteò per l’ennesima
volta gli occhi.
“Forse se anche tu la smettessi di cercarlo con lo sguardo ogni momento
sarebbe meglio. Ogni volta...non è possibile che ogni volta mi faccio fregare
da te.”
“È perchè mi vuoi bene, raggio di sole, e cerchi ogni motivo per
vedermi.” Spike porse loro due bicchieri ricolmi di Coca e Buffy fece una smorfia.
“Tu sogni.”
“Guarda che basta che tu me lo chieda gentilmente ed io uscirò con te
più che volentieri. Gli Hobbit sono creature piuttosto ricercate.” Lui rise
mentre passò di nuovo lo sguardo su quel corpo minuto. Quella sera aveva
indossato un paio di jeans neri e un maglione di lana per combattere l’inatteso
freddo dell’inverno. I capelli raccolti in una coda di cavallo, le davano meno
di anni di quelli che aveva in realtà. Sembrava proprio una bambolina e William
aveva proprio voglia di giocarci assieme. Non aveva ancora capito quando era
successo, ma aveva iniziato a provare una forte attrazione per lei.
“Coglione.” Fu la sola risposta di Buffy.
“Dio, ragazzi, litigate come una coppietta sposata da anni.” Disse
Willow, facendo sputare a Buffy quello che aveva appena bevuto. “Bhe, che hai?
Sempre meglio di Parker.”
“Ok, Will, torniamo a discutere di Oz e di come lo segui?” Willow
arrossì, borbottò qualcosa di incomprensibile e andò a nascondersi dietro
William che rideva di gusto.
“Sembra che si stiano divertendo tutti... o quasi.” Disse Monica ad
Illyria.
“Per fortuna...avevo un po’ di timore sulla riuscita di questa
festa.”rispose mentre leggeva un messaggio sul cellulare.
“Buone nuove stella? Hai un sorriso così smagliante che illumineresti un
albero di Natale, giusto per stare in tema.”
“No, niente...solo che... diciamo che...” Monica la guardò stranita: da
quando la sua amica, da sempre fredda, controllata ed algida, mugugnava frasi
senza senzo?
“Illyria...”
“Oh cavoli. C’è un ragazzo che mi piace...e mi ha chiesto se stasera
possiamo uscire assieme.”
“Favoloso amica mia!”
“Mica tanto. Dovrò declinare, altrimenti chi pulisce qui?”
“Ovviamente la sottoscritta che non ha una vita sociale di cui tener
conto. Molla qui e vai, tanto non ho nessuno che mi aspetta a casa.” Rispose
Monica tranquilla. Tanto, pensò, non era così sporco lì.
“Veramente? Cioè...sei sicura.”
“Chiunque ti faccia ridere così lo merita.” Illyria non rispose, si
limitò a regalarle uno dei suoi rari sorrisi dolci.
“Questo è per te.” Cordelia sussultò: dietro di lei si era
materializzato Liam, silenzioso come un vampiro. Le stava porgendo un piccolo
pacchetto quadrato, chiaramente fatto a mano, visto la carta spiegazzata.
“Non dovevi farlo.”
“Lascia perdere, l’ho fatto con piacere, spero che piaccia anche a te.”
Lei scartò in fretta il pacchettino, ormai presa dalla curiosità, e vi ritrovò
dentro un cd masterizzato. In copertina Liam aveva scritto meglio possibile,
visto la sua grafia, tutti i titoli delle canzoni che ci aveva messo dentro e
sottolineato una. Aprì la custodia e trovò un foglio di carta ripiegato, lo
aprì e rimase senza parole. Liam le aveva fatto un ritratto: riconosceva la
posa, era di una vecchia foto che si era fatta con Xander durante uno del ballo
di Homecoming a cui avevano partecipato assieme. Era molto più in carne di ora
e lei odiava rivedere quelle foto, eppure, guardando quel disegno, si vide
bellissima. Decise di far sparire il regalo immediatamente nella borsetta, in
modo che Darla non lo vedesse. Non voleva che si rovinasse il momento, voleva
godersi quel regalo. Vide che da lontano Liam la stava guardando e lei mimò un
muto grazie che lui intercettò: il primo ghiccio era stato rotto.
“Dovresti essere già a casa, Wes.” Monica stava iniziando a pulire
quello che restava della festa. La sua amica era scappata a casa per farsi una
doccia ed uscire con questo fantomatico Knox, tecnico di laboratorio
dell’ospedale cittadino, e i ragazzi era tutti tornati alle loro dimore, tutti
tranne Wesley.
“Non ho voglia di andare a casa, oggi non era giornata buona.”
“L’ho capito, ma tua madre si starà preoccupando, sei via da questo
pomeriggio.” Lui fece spallucce e non rispose.
Sapeva benissimo che Monica aveva ragione: erano le dieci passate e
aveva lasciato casa alle tre. Sperava, sinceramente, che sua mamma fosse troppo
presa a lamentarsi con il mondo da pensare al fatto che lui non ci fosse. E
poi, onestamente, avrebbe potuto sprecare la possibilità di stare assieme a
lei? Assolutamente no, quindi sarebbe rimasto fino all’ultimo.
“Ok, resta allora.” Borbottò lei infilando in un sacco nero tutti i
piatti di carta sporchi che trovava in giro.Non voleva ammetterlo, ma la sua
vicinanza la turbava. Sentì che era andato a tirare a canestro...meglio così,
pensò.
Una mezz’ora dopo aveva riordinato tutta la saletta. Doveva solo portare
i rimasugli in macchina e le immondizie nel cassonetti.
“Wesley, è ora di chiudere.”
“No dai...non mi va di andare a casa.” Rispose tirando a canestro.
Monica sospirò e spense tutte le luci. Le uniche cose che rischiaravano
l’ambiente erano le luci di emergenza. Il freddo del neon dava al parquet una
strana intimità mai avuta in precedenza. Monica vide il ragazzo mentre cercava
di tirare a canestro un po’ a casaccio e scosse il capo avvicinandosi.
“Certo che la odi proprio casa tua, eh?” lui gli passò la palla in modo
che lei potesse tirare.
“Non è che la odio, solo che...oggi è difficile...ok, non solo oggi.
Quando si avvicina Natale mia madre entra nella più cupa depressione. Inveisce
come uno scaricatore di porto, si sbaglia maggiormente di chiamarmi, crede
ancora che mio padre sia via... insomma, preferisco starci lontano.”Sbottò
tirando ancora a canestro.
Monica non se la sentì di risponde...per dire cosa poi? Ok, neppure casa
sua era mai stata un lido del tutto felice, i suoi erano stati tra i primi a
Sunnydale a divorziare e per lei, piccola, era stata una cosa strana. Con suo
padre ci parlava pochissimo e con sua madre ogni tanto ci litigava. Però Wesley
viveva una situazione molto peggiore della sua. Lui il padre non ce lo aveva
proprio. E sua madre non aveva tutti i venerdì in testa. Come facesse lui ad
essere così equilibrato, lei non lo capiva proprio. Sperava avesse qualcosa che
lo facesse sfogare e non la pallacanestro.
“Ok, ma magari potevi andare a dormire da qualche tuo amico, no?”
“E perchè?”
Già, perchè? Si chiese Monica. Poteva dirgli che rimanere vicino a lui
era problematico? Poteva dirgli che quella barba sfatta lo faceva sembrare più adulto
e che i suoi occhi azzurri la richiamavano come una calamita? No, non poteva.
“Così...sai con qualche amico forse ti divertiresti di più” scusa
patetica, ma aveva dovuto improvvisare.
Wes mise di palleggiare e lentamente si avvicinò a lei. Era strano,
stare al buio gli aveva portato una consapevolezza in più. Solo in quel momento
aveva realizzato di essere da solo con lei in una enorme stanza vuota dove
nessuno sarebbe venuto a disturbare. Aveva il cuore a mille, le mani
leggermente sudate e una voglia impellente di abbracciarla. E ammetteva di
avere anche un sacco di paura: come avrebbe reagito lei? No, ora non doveva
pensarci, doveva solo fare quello che si sentiva di fare.
“Wes?” Ormai il ragazzo aveva coperto tutta la distanza che li separava,
c’era solo il pallone tra loro. Lui troneggiava su di lei con i venti
centimetri di altezza che li differenziavano e per la prima volta Monica si
sentì veramente molto piccola ed indifesa. Nel suo cervello lampeggiava un
“pericolo” costante, eppure non riusciva a muoversi da lì.
“Io...” Iniziò tentennando Wesley “Io preferisco stare qui...solo con
te.” Lei deglutì sonoramente, spezzando un po’ la tensione che si era creata.
“Wesley...ok, è meglio che andiamo adesso.” Fece per girarsi e voltargli
le spalle, ma sentì, in sequenza, la palla che cadeva a terra e la mano del
ragazzo prenderla per un braccio e attirarla a se. Monica era completamente
consapevole che erano fin troppo vicini, ma non riusciva a muoversi, anzi
fissava con crescente voracità le labbra di Wes, che, capito il messaggio
silenzioso, si fiondò su di lei.
E fu veloce, un tocco soltanto. Quello che bastava a lei per rendersi
conto dell’errore appena fatto.
“No, non va...” Non riuscì a finire la frase che Wesley riprese a
baciarla, questa volta più intensamente. E questa volta Monica non si oppose.
Come farlo quando intimamente lei voleva la stessa cosa? Mise in cassetto le
sue precedenti proteste e il fatto che quello che stavano facendo fosse
estremamente sbagliato.
La bocca di lei sapeva di vino, quello che aveva bevuto poco prima,
mentre puliva la stanza, e per Wesley non c’era sapore migliore per un bacio. E
che bacio: era meglio di quello che si era sempre immaginato durante le sue
sessioni solitarie. La portò ancora più vicino a se, così da poter sentire
tutte le sue forme su di lui. Si sentiva volteggiare in paradiso: fosse morto
in quel istante sarebbe stato felice.
E Monica? Monica si stava dando mentalmente della stupida: sapeva di
dover smettere immediatamente, ma il modo così focoso in cui lui la stava
baciando, l’infiammava troppo, non riusciva a staccarsi. E si accorse che ne
voleva di più. Non riuscì a fermare la sua mano che si insinuò nei capelli di
lui accarezzandoli. Wes cercò di toglierle la maglia, sentiva di avere un
estremo bisogno di fare l’amore con lei.
Ma lei lo bloccò e si staccarono.
“Cosa...?” fece lui confuso, mentre lei scuoteva la testa frenetica.
“No...no...cazzo, no!”
“Monica, che diavolo fai?”
“Come che diavolo faccio? Pongo fine a questa follia.” Per Wes parve uno
schiaffo in pieno volto.
“Ma...ma... il bacio...”
“Niente bacio. Abbiamo sbagliato Wes, non deve accadere mai più.”
“Io non capisco.” Monica sospirò cercando di mettere più distanza
possibile tra loro.
“Wes, quanti anni hai?”
“Diciassette.”
“Appunto. Quanti anni ho io? Ventiquattro. A casa mia questo è reato. Se
io e te andiamo avanti non solo perdo il posto di allenatrice, ma vado anche in
galera. Non si può.” Finì gesticolando.
“Vorresti dire che per te questo non è esistito?”
“Non ho detto questo. Mi è piaciuto e molto... ma non posso andare
avanti. Non posso coinvolgermi di più. Sarebbe la mia fine. Wes, trovati una
della tua età.”
Wesley sapeva che il discorso di lei non faceva una piega, eppure si
sentiva frustrato. Non doveva finire così, lei doveva essere ancora tra le sue
braccia. Si sistemò i pantaloni per cercare di diminuire l’erezione che aveva
cominciato a crescergli quando le due lingue avevano iniziato a duellare e se
ne andò. Sentì che lei sospirò e lui si girò un’ultima volta.
“Tornerò quando sarò maggiorenne.” E uscì dalla palestra lasciandola
sola nell’oscurità.
“Cazzo!” esclamò lei. Monica si sentiva una stupida. Era lei l’adulta
della situazione, non avrebbe dovuto cedere in quella maniera. Doveva
controllarsi.
Certo, come se fosse facile: mesi di astinenza e finalmente la luce in
fondo al tunnel. Perchè Wesley era così piccolo? Non poteva avere qualche anno
di più? Sarebbe stato il ragazzo perfetto. Invece no, era minorenne.
Imprecò prima di prendere il cellulare e digitare poche e veloci parole.
Tornato a casa, Wes trovò la madre addormentata sul divano. Meglio così,
pensò, non era proprio dell’umore di una discussione semi filosofica su quanto
il Natale facesse schifo. No, voleva solo distendersi a letto e morire.
Aveva baciato la sua allenatrice. Ed era stata la cosa più bella della
sua vita, migliore perfino della sua estate al campo con Lilah. Con lei c’era
stato sesso favoloso ed una grande scuola di vita, ma quel bacio racchiudeva
tutto l’amore che provava per Monica. Lui sapeva di amarla, anche se non glielo
aveva detto. Non c’era nessun’altra per lui, solo lei. E lei voleva.
Doveva fare qualcosa, ma non sapeva cosa. Lui non era molto ferrato in
queste situazioni. Decise che il giorno dopo avrebbe chiesto consiglio a
qualcuno.
Poi, cercando di addormentarsi, ripensò alle morbide labbra di lei, alla
sua lingua che giocava con la sua, alla sua mano che lo aveva accarezzato con
dolcezza e non riuscì a reprimere una lacrima: aveva rovinato tutto.
“Che è successo?” erano le due di notte ed Illyria era arrivata a casa
di Monica in tutta furia. Appena il suo cavaliere l’aveva lasciata davanti alla
porta di casa, si era accorta che aveva un messaggio da leggere. Visto i toni
allarmistici della sua amica, aveva pensato di andare subito a vedere che cosa
era accaduto.
“Ho combinato un casino di dimensioni cosmiche.” Rispose Monica
facendole cenno di entrare e sedersi sul divano. Illyria non era scema e si era
subito accorta che qualcosa non andava. “Dimmi che sono un’idiota...dimmelo!”
“Sei un’idiota. Ma adesso mi dici che diavolo è successo?”
Monica si sedette di peso sulla poltrona mettendosi la meni nei capelli.
“Ero lì che pulivo la palestra, tutto normale, dirai tu, invece no.
Wesley decide di rimanere li con me perchè non vuole andare a casa. Io non mi
sentivo molto a mio agio e tu lo sai, mi conosci.”
“Ci sei andata a letto?” la interruppe bruscamente Illy, stanca delle
sue continue girandole di parole.
“No!” rispose scandalizzata Monica. “Anche se ti giuro che ci siamo
andati assai vicino. C’è stato solo un bacio, ma uno di quei baci da favola.
Cazzo, non doveva succedere.”
“Ok, ma è successo, quindi ora che farai?”
“Che vuoi che faccia...dovrò cercare di guardarlo in faccia come facevo
prima facendo finta di aver dimenticato che quel bacio è stata la cosa più
eccitante che ho provato da quando sono stata lasciata dal mio ex...anzi pure
da prima. Sono un’idiota.”
“No, non lo sei. Dai, è stata l’atmosfera. Voi due soli, magari a
stuzzicarvi... Lui ha quell’aria da pulcino bagnato e tu la sindrome della
crocerossina...”
“Senza dimenticare che le luci erano spente.”
“Pure? Ecco, magari la prossima volta lo vedi alla luce del giorno e non
ti verrà di nuovo voglia. Capirai che la cosa non è giusta...” Illyria si
bloccò, come a pensare qualcosa di importante, mentre Monica la guardava in
maniera strana. “...spiegami perchè una vostra storia sarebbe sbagliata.”
“Illy, stai scherzando, vero?”
“No, io non riesco a capire. Se vi piacete tanto dove sta il problema?”
Monica sbuffò.
“Wesley ha diciassette anni. Mi mettono in galera se mi scoprono.”
“Ok, questo è una buona ragione. Ma a breve ne compirà diciotto,
quindi...”
“É anche uno dei miei giocatori... qualcuno potrebbe lamentarsi di favoritismo
e non sarebbe giusto nei suoi confronti...dove mi sono imbucata?”
Monica si era rannicchiata sulla poltrona come una bambina e sembrava
veramente spaurita.
“Ma lo ami?” L’interpellata alzo la testa di scatto, come fulminata.
“No! Ovvio che no. Mi piace molto, ma l’amore...è un ragazzino, io cerco
un uomo, non un bambino.”
“Però ti è piaciuto baciarlo.”
“...sì, pure tanto. Lui sembrava affamato di me...era una sensazione
bellissima. Mi sono sentita dopo tanti anni di nuovo splendida e solo perchè lui
mi baciava come se non ci fosse un domani. Mi sento improvvisamente patetica. E
la sai la cosa più triste di tutte? Vorrei che fosse ancora qui con me a
baciarmi di nuovo.”
“Bhe, abbiamo scoperto che Pryce non è solo bravo a
difendere...Evedentemente certi attacchi gli vengono bene.” E sorrise
maliziosa, facendo ridere di gusto Monica. “Senti, dormici su, sono sicura che
domani tutta la faccenda ti sembrerà meno caotica di come è adesso.”
“Hai ragione, la notte porta consiglio. Ok...abbiamo parlato fin troppo
di me. Raccontami di questo Knox.”
Illyria sorrise ed iniziò a descrivere all’amica tutta la serata passato
con l’uomo.
Il mattino dopo Wesley si svegliò più distrutto di come era andato a
dormire. Sentiva gli occhi gonfi e le braccia pesanti e gli sembrava anche di
sentire in bocca il sapore di vino che aveva rubato dalle labbra di Monica.
Sapeva che non era possibile, eppure il suo profumo ero ovunque intorno a lui.
Scacciò dalla mente i ricordi della sera precedente ed andò in cucina. Sua
madre era seduta sulla sua sedia con davanti al naso una tazza di the fumante.
“Dove sei stato ieri?”
“In palestra.” Rispose laconico prendendosi i pochi biscotti rimasti in
dispensa.
“Ci sei stato per troppo tempo. Tuo padre non sarà felice di saperlo
quando tornerà.” Lui sospirò e sbottò, ormai stufo di tutto.
“Mamma, papà è morto, te ne vuoi rendere conto sì o no? Non tornerà mai
a casa, mai più.” Sua madre lo guardò con occhi sgranati pieni di lacrime e
lui, incapace di resistere, uscì da casa sbattendo la porta. Che giornata di
Merda che si prospetta, pensò.
Prese la bici e cominciò a girovagare per Sunnydale, cercando di evitare
accuratamente la casa della sua allenatrice. Eppure... l’istinto l’aveva
portato esattamente la. Le tende di casa erano tutte tirate, quindi lui non
riusciva a vedere se Monica era già sveglia o meno. Voleva poter entrare la
dentro, in quello che per mesi era stato il suo rifugio. Deglutì pesantemente
ed andò in centro.
Aveva deciso che doveva far qualcosa per conquistarla, perchè lui
sapeva, lui aveva sentito, che Monica provava qualcosa per lui. Si capiva da
come lo aveva baciato, da come lo aveva accarezzato, da come era rimasta
ansimante alla fine. No, sarebbe stata sua...doveva solo capire come. E doveva
chiedere consiglio a qualcuno più ferrato in materia rispetto a lui.
“Buongiorno, posso esserti d’aiuto?”
“Buongiorno signor Giles. Cercavo William...c’è?”
“Oh sì, Wes. È di sopra. Spero tu lo trovi già sveglio... di solito
preferisce dormire quando è in vacanza.”
Wes salì le scale e bussò alla porta della camera di Spike che lo invitò
dentro. Evidentemente era sveglio.
“Ehy Wes, che ci fai qui?” William era seduto mollemente sul letto, con
le gambe allungate che leggeva un libro.
“Devo chiederti un favore. Ovviamente, quello di cui parleremo ora
rimarrà top secret, guai a te se lo racconti in giro.” Il biondo alzò un
sopracciglio incuriosito, ma annuì.
“Spara.” Wes prese un respiro profondo ed iniziò.
“C’è una ragazza...che mi piace molto. Io credo di amarla...”
“È una buona cosa.” Disse Spike tentando di far continuare l’amico che
si era bloccato.
“Sì, abbastanza. Il problema è che questa donna, diciamo...non è molto
convinta. Ci siamo baciati, ma poi mi ha rifiutato. Vedi, io so che lei mi
vuole, che io a lei piaccio, ma credo che abbia bisogno di avere una spinta...e
io voglio dargliela, solo che non so come.”
Spike si alzò dal letto e prese a camminare su e giù per la stanza
borbottando tra se. Stava cercando di trovare una buona soluzione valida per
l’amico. Fosse stato per lui avrebbe preso la donna in questione e l’avrebbe
baciata a morte, ma non vedeva il tranquillo Wes a fare una cosa del genere.
“Potresti...” iniziò quando gli venne l’illuminazione.
“Sì?”
“Potresti prenderla per gelosia. Le donne in genere sono come gatte selvatiche.
Se tu fai gli occhi dolci ad un’altra mentre lei ti guarda...vedrai che le darà
fastidio e forse capirà di volerti.”
“Forse? Io ho bisogno della certezza assoluta.”
“Non puoi averla quella. Stiamo parlando di ragazze, non di matematica
Pryce.” Wes fece una smorfia, ma dovette darla vinta all’amico.
E aveva già una mezza idea.
CAPITOLO UNDICI
L’aereo era planato all’aeroporto di Los Angeles senza nessun problema.
Il capitano aveva salutato e ringraziato tutti colore che avevano scelto di volare
con la loro compagnia ed una bella ragazza diciasettenne stava scendendo dalla
scaletta ripida. Finalmente riuscì a mettere piede sulla terra ferma. Aveva
proprio bisogno di sgranchirsi le gambe dopo le ore passate in volo. Si
spazzolò le con le mani la gonna lunga nera e guardò con aria critica la pista
di atterraggio. Era una bella ragazza dai capelli biondi che le cadevano in
voluttuose onde sulle spalle ereditati dal padre nordico, ma i grandi e
profondi occhi scuri della madre. Il seno procace era coperto da un bel
maglioncino di cotone.
Lei non voleva venirci in America, Ginevra le piaceva tantissimo e la
scuola era perfetta. Senza contare tutte le amiche che aveva dovuto lasciare.
Ma sua madre era stata categorica: ti trasferisci a Sunnydale. E la cosa
peggiore era che adesso avrebbe dovuto vivere in una piccolissima città e di
sicuro avrebbe dovuto frequentare la scuola pubblica. No, questo per Anya era
un affronto bello e buono e non intendeva piegarsi a quella dittatura tanto
facilmente.
Prese le valigie al tapin roulant e pregò che il resto dei suoi libri e
vestiti arrivasse sano e salvo con il corriere. Varcò le porte automatiche e si
ritrovò nell’atrio dell’enorme aeroporto. Decine di persone erano poste davanti
a lei con cartelli o con il telefono all’orecchio per cercare i loro cari. Vide
spuntare la testa di sua madre che si sbracciava: ok, forse non apprezzava del
tutto il doversi trasferire, ma doveva ammettere che sua mamma le era mancata
molto.
“Anya!! Anya....e si sposti, non vede che devo passare?” fece Jenny con
cipiglio da generale ad un uomo in giacca e cravatta che la guardava con
indolenza.
“Mamma!” le due si abbracciarono
e una sfuggevole lacrima scivolò sulla guancia di Jenny. Amava sua figlia ed
averla lontana per tanti mesi le faceva male. Averla di nuovo tra le sua
braccia era una benedizione.
“Oh piccola, quanto mi sei mancata.”
“Anche tu, Ma, ma smettila di stringere, mi stai soffocando.” Fece Anya
cercando di districarsi dalla donna. In fondo aveva una dignità di figlia di
diciassette anni da mantenere, troppe effusioni potevano dare un’immagine
sbagliata di lei. “Bene. Andiamo?”
“Certo. Ci stanno aspettando.” Anya aggrottò la fronte.
“Chi?” Jenny arrossì leggermente e sorrise.
“Il mio fidanzato e suo figlio. Te ne ho parlato, no? Avevi detto che
eri d’accordo in un mio secondo matrimonio.” Finì leggermente timorosa. Sapeva
benissimo che sua figlia aveva un caratterino niente male, ovviamente ereditato
da lei, più che dal padre, e quindi cambiava spesso opinione sulle cose. Non
voleva che proprio adesso che Anya era di nuovo con lei, avesse da ridire su
Rupert.
“Certo che sono d’accordo, solo che non pensavo che venissero
addirittura a prendermi.”
“Oh, Rupert si è offerto volontario per venire...Ok, William un po’
meno, ma in fondo anche lui era curioso di conoscere la sua futura sorella.”
Anya fece una smorfia: va bene che sua madre si voleva risposare, ma tutto
questo sentimentalismo famigliare le sembrava troppo, specie visto che fino a
quel momento le due ne avevano avuto ben poco. I suoi genitori avevano deciso
di divorziare quando lei aveva appena sette anni. Era stata male all’inizio, ma
con il senno di poi doveva ammettere che era stata la decisione più saggia. Per
qualche anno lei e Jenny avevano vissuto in Svizzera assieme, mentre suo padre,
un ricco industriale svedese, girava il mondo per i suoi affari. Anya lo vedeva
molto di rado, di solito durante qualche week end in collegio, ma non le
importava poi molto.
Raggiunsero una macchina in sosta, dove due uomini stavano attendendo:
Spike era annoiato e si stava fumando una sigaretta. Suo padre era così nervoso
per l’arrivo di Anya, che non gli aveva neppure rifilato la solita ramanzina su
quanto il fumo danneggiasse i suoi preziosi polmoni.
“Oh, eccole.” Esclamò Rupert, incespicando sulle parole.
“Papà, vuoi stare calmo, è solo una ragazza...” Guardò Anya che
trasportava una valigia. “...una bella ragazza. Ciao Sorellina!” Urlò. Rupert
sbiancò, mentre Jenny soffocò una risata.
“Ciao. Tu devi essere William.” Rispose Anya per nulla turbata. Si
diedero la mano soppesandosi. Lei dovette ammettere che era proprio un bel
pezzo di maschio. Gli occhi poi... i più belli che avesse mai visto.
“Per te solo Spike, bellezza.”
“William, ti prego.” Mugugnò il padre. “Ciao Anya, io sono Rupert Giles.
Come stai?”
“Buongiorno. Io sto bene, un po’ annoiata. Il viaggio è stato lungo.”
Entrarono in macchina dopo che i baldi uomini avevano caricato le valigie nel
bagagliaio. I due ragazzi si sedettero
nei posti dietro e Rupert partì alla volta di Sunnydale. Il traffico
Losangeliano li rallentava parecchio, ma nessuno sembrava accorgersene. Anya
parlava per tutti e quattro, raccontando aneddoti divertenti ed imbarazzanti
che le erano capitati in Europa, sembrava un pozzo senza fondo, ma almeno la
strada così scivolò via senza intoppi.
Arrivarono a casa di Jenny che stava iniziando a far buio.
“Vi aspettiamo per cena, allora?”
“Sa anche cucinare?” domandò Anya a Rupert.
“Sì, abbastanza. Sai, quando devi badare ad un figlio onnivoro come
William lo si deve fare per forza.”
“Wow, mamma, ti sei trovato un gran bel pezzo di uomo. Brava!”
Giles e Jenny arrossirono violentemente, mentre Spike scoppiò in una
grassa risata. Ci sarebbe stato assai da divertirsi con una del genere che
girava per casa.
La festa si stava dimostrando come tutte le altre a cui aveva
partecipato: una noia mortale. Liam odiava con tutto il suo cuore doverci
partecipare, ma Darla ci sguazzava come una trota in un fresco ruscello di
montagna. Poteva deluderla? In realtà stava veramente pensando di mollare
tutto.
Lanciò una lunga occhiata a Cordelia: era circondata da un campanello di
ragazzi, tutti facente parte della squadra di football e sembrava raggiante.
Sembrava soltanto. Gli dispiaque vederla in quello stato, ma lei faceva di
tutto per non farsi aiutare. Era frustrante.
“Tu guarda quella quante arie si da.” Sibilò Darla al suo orecchio. Liam
si voltò verso l’oggetto del momentaneo disprezzo della sua ragazza e si
ritrovò a fissare una biondina che declamava a voce alta senza nessun ritegno,
di quanto lungo fosse il pene del suo ex...anzi, corto, a sentir dire lei.
“Chi è quella?”
“La nuova sorellina di Spike. Viene dall’Europa.” Liam sorrise: non gli
dispiaceva per nulla.
“...e così gli ho detto: tutto lì? Chissà come mai non l’ha presa molto
bene.” Finì di declamare Anya ad una ragazza che la guardava male. Lei e le sue
amiche parlavano spesso di queste cose, ma sembrava che a Sunnydale fossero
tutte troppo serie. Scrollò il capo e buttò giù un sorso di birra: sperava ardentemente
che la mezzanotte arrivasse il più presto possibile.
“Allora, sorellina, ti annoi?” domandò sarcastico William. Quella sera
si era vestito al suo meglio: jeans neri strappati al ginocchio, anfibi di
pelle in coordinato con il lungo spolverino nero che lo faceva assomigliare ad
un voluttuoso pipisterello, e la sua camicia rossa, la preferita, anche perchè
così restava in tema, visto il Capodanno.
“Qui è una palla. Non pensavo avessi amici del genere.”
“Questi non sono i miei amici, ma Willow è andata a trovare sua zia,
quindi sono finito qui. Dio solo sa perchè ho accettato.” E sospirò
pesantemente.
“Ovviamente perchè volevi mostrare a me cosa dovrò evitare nei prossimi
mesi che passerò in questo buco. Dannazione, Ginevra era uno spasso.” E se ne
andò sculattando leggera. Aveva voglia di staccare e di parlare con qualcuno a
cui interessasse veramente quello di cui parlava.
Prese una Haineken e se ne andò verso un piccolo terrazzino che dava sul
giardino. Si sedette sul cornicione sperando solo di non cadere di sotto e
fissò la sala piena di ragazzi: sui divanetti c’erano già le coppiette intente
a sbaciucchiarsi, mentre alcuni si davano direttamente da fare sul muro. Che
poca classe questi americani, loro, in Europa, almeno, cercavano di appartarsi.
La musica faceva schifo e l’unico divertimento era notare come William venisse
quasi schifato per come si era vestito. A lei piaceva pure cosa aveva
indossato, trovava che lo valorizzasse al meglio.
“Ciao.” Dall’oscurità, dietro la pianta secca o quasi di gelsomino, era
apparso Xander. Si era nascosto lì per evitare Darla e le sue battute cattive e
si era ritrovato una bella bionda che beveva birra a collo: buffo come la vita
potesse prendere interessanti varianti.
“E tu chi sei? L’uomo dalle grandi entrate?” Lo osservò bene: ben
piazzato, spalle larghe, fisico che sembrava meritare. E poi quei due occhi
scuri che la chiamavano... Anya iniziò a farci un pensierino.
“Se vuoi. Io sono Xander O’Connor.”
“Anya Jenkins.”
“Come mai sei venuta qui fuori invece di startene al caldo dentro?”
Domandò lui ondeggiando sui piedi. Se ci avesse pensato un po’, si sarebbe
ricordato che quello era un gesto tipico di suo fratello Liam.
“Mi piace il freddo. Non sono abituata ai posti caldi. Sai, mio padre è
svedese e io ho abitato per anni a
Ginevra.” Lui aggrottò la fronte.
“In Svezia ancora ci arrivo, ma Ginevra...” Anya rise.
“È in Svizzera. È uno stato incastrato tra i monti. Famoso per le
banche... lì ci sono i soldi, un po’ come le Cayman.”
“Ah, un paradiso fiscale.”
“Esatto... forse è per questo che ci stavo così bene!” i due risero
assieme: il primo ghiaccio era stato rotto.
“Senti, secondo te, se noi ce ne andassimo per starcene tra noi,
qualcuno ne avrebbe a male?” domandò Anya ingollando un po’ della sua bionda.
“Per andare dove?”
“Non lo so, in qualsiasi posto carino possa esserci in città. Una birra,
un ballo... qualcosa.”
“Io e te?” chiese Xander incuriosito.
“Io e te. Allora, si può fare?” Anya lo fissò mentre scendeva tranquilla
dal balconcino.
“Potremmo andare al Bronze. È l’unico locale vagamente decente in
città.”
“Perfetto! Andiamoci allora, di sicuro sarà meglio di questo mortorio.”
Anya e Xander se ne andarono senza troppe cerimonie, la ragazza si
premunì soltanto di avvertire Spike, visto che erano arrivati assieme e il
biondo non poteva non ammettere che la sua sorellina non fosse intelligente.
“Ringrazio il cielo, mezzanotte è alle porte.” Mormorò Liam.
“Sì, così poi potremmo appartarci un attimo al piano di sopra.” Rispose
sensuale Darla strusciandosi su di lui.
“Sarebbe la prima cosa decente della notte.”
La musica si spandeva alta nella stanza. Ragazzi ballavano in salotto
facendo di tutto per farsi notare, mentre chi già aveva un compagno si
premuniva di non perderlo. Cordelia era una
di quelle ragazze che aveva trovato un buon accompagnatore per la serata: Scott
Hope era il classico ragazzo che ai suoi sarebbe piaciuto. Pulito, educato,
elegante. E mortalmente noioso, ma per quella notte andava bene. Lui sorrideva
ad ogni battuta che lei lanciava e poi la riempiva di mille complimenti. Non
era di certo Liam, ma era passabile.
“Allora lei mi dice: ‘Cordy, ma come ti sei fatta la coda?’ è stato
molto imbarazante.” E rise civettuola, mentre Scott le accarezzava il braccio.
“Attenzione... ormai manca poco!” Urlò Darla che era la padrona di casa
e della festa. Aveva in mano un bicchiere, pronto da riempire con champagne di
ottima annata. Liam era, ovviamente, a fianco a lei con la bottiglia da
stappare ed un’espressione da fucilato. Pregò che finisse tutto velocemente.
“Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due uno....” tappi
saltarono in aria e tutti urlarono un ‘Auguri’ che si sarebbe sentito fino a
Los Angeles. Darla e Liam si baciarono e così fecero anche Cordelia e Scott.
Alla ragazza sembrava di star a perdere il respiro e sapeva che non era dovuto
al bacio e tantomeno al ragazzo a cui lo stava dando. Non si sentiva molto
bene, ma stava cercando di resistere fino alla fine. Aveva fame, non aveva
praticamente toccato cibo tutta la sera, in più sentiva che il corsetto del
vestito nero che stava indossando, la stava
stringendo un po’ troppo.
Iniziò la girandola del baci e dei saluti, sperando che il nuovo anno
fosse stato migliore di quello passato. Quasi nessuno si accorse di Cordelia
che stava cercando di arrancare verso una sedia: tutti la fermavano per farle
gli auguri e darle da bere qualcosa, visto che in mano non aveva nulla.
Cordelia stava impazzendo: il suo corpo era scosso da brividi che lei
non riusciva a fermare e si sentiva piuttosto sudata, cosa che la fece
rabbrividire ancora di più. Il suo unico pensiero era quello di non farsi
vedere da Darla in quello stato. Si appoggiò allo stipite di una parte e prese
dei profondi respiri: che diavolo le stava accadendo?
“Cordy, stai bene?” la ragazza si girò di scatto e si trovò davanti
Liam, con delle tracce di rosseto ancora sulle labbra. Doveva averci dato
dentro parecchio, pensò lei. “Ti ho visto che camminavi tutta storta.” Cordelia
cercò di sorridere, ma con scarsi risultati.
“Troppo bere... devo stare più attenta con l’alcool.” Ma Liam la guardò
scettico: non credeva ad una sola parola.
“Cerchiamo un posto dove puoi sederti. Poi ti porto qualcosa da
mangiare.”
“No! Non mi serve nulla. Non hai ancora capito che devi lasciarmi in
pace? Non posso essere vista con te, Darla è la tua ragazza e potrebbe crearmi
terribili casini...” Non riuscì a finire la frase che il mondo prese a girarle
attorno, le gambe le cedettero e svenne senza un gemito tra le braccia di Liam:
prima che il buio la inghiottisse, si sentì protetta, perchè venne avvolta dal
profumo potente e muschiato del ragazzo.
Ragazzo che si sentì preso dai turchi: e adesso che faceva?
“Qualcuno chiami un’ambulanza!” urlò per farsi sentire oltre la coltre
della musica, del fumo e, perchè no, degli ormoni impazziti, ma sembrava che a
nessuno importasse. Anche le persone che erano attorno a loro facevano finta di
nulla. Liam cercò di creare un po’ di spazio attorno a sé, come per proteggere
Cordelia. Un fiotto di paura lo attraversò: la ragazza sembrava una piuma fra
le sue mani, era pallida come un lenzuolo e sembrava che tremasse. Doveva
assolutamente portarla in ospedale.
“Che succede Liam?” finalmente qualcuno che poteva dargli una mano.
“Chiama un’ambulanza, Darla.” La bionda lasciò un’occhiata strana.
“Portala di sopra, avrà solo bevuto un po’ troppo.” Liam prese un
profondo respiro per evitare di risponderle troppo male.
“Darla, una buona volta, non potresti fare qualcosa che ti chiedo? Cordy
non sta bene, ha bisogno di un medico.”
“Da quando siete entrati così in confidenza da chiamarla Cordy?” rispose
invece la bionda inviperita: non sopportava di essere messa in secondo piano,
figuriamoci se a farlo fosse stato il suo ragazzo ufficiale.
“Smetti di fare la bambina.”
“Fottiti Liam.”
Il ragazzo la fissò e per la prima volta la vide per quello che era: una
ragazzotta viziata che dalla vita aveva avuto tutto quello che aveva chiesto.
Ripensò anche a quello che era successo con Oz e si sentì veramente uno stupido
per tutto il tempo che aveva perso con lei.
“Lo farò, stanne certo, ma non pensare che sarà con te.” Darla lo guardò
stralunata, che voleva dire con quella frase? “Ah, se non l’hai capito, ti
lascio.” Un mormorio sommesso iniziò a girare per la casa: quella era la
migliore notizia della notte.
Liam prese Cordy in braccio e corse verso la sua macchina. Bestemmiò
sonoramente quando non la trovò: Xander gliela aveva presa.
“Di qua, amico.” Spike aveva le chiavi della macchina di suo padre in
mano. “Andiamo, è meglio.”
“Grazie.”
“Figurati.” Spike guidava velocemente per le strade semivuote di
Sunnydale. Ovunque si sentivano scoppi di petardi e fuochi d’artificio. Il
cielo sembrava quasi rischiarato a giorno dalle mille luci della città.
Evitarono di striscio qualche ubriaco: Liam teneva stretta a sé nel sedile
posteriore Cordelia e pregava che arrivassero in fretta.
Arrivati al nosocomio, Liam scese in velocità e la portò nel Pronto
Soccorso.
“Che succede?” si era avvicinato un dottore dall’aria gioviale, i
capelli corti neri e il camice bianco lindo e pulito.
“Eravamo ad una festa e mentre stavamo parlando è svenuta.” Posarono
Cordelia su una barella e presero a conteggiare i ritmi vitali
“Pressione 80/60, battito irregolare.”
“È disidratata.” E sparirono dietro delle porte a vetro. Liam non sapeva
che cosa sarebbe successo, ma decise che sarebbe rimasto lì fino a quando Cordy
non si fosse svegliata.
“Scusi.” Una infermiera lo stava guardando con un foglio in mano.
“Prego?”
“Abbiamo bisogno di alcune informazioni e lei mi sembra l’unico capace
di darcele. Il suo amico biondo mi ha guardato male.” Liam sorrise pensando a
Spike.
“Si riprenderà, vero?”
“Stiamo facendo il possibile per lei.Ma avremmo bisogno di rintracciare
i suoi genitori.”
“Mi pare che siano ad Aspen.”
“Questo non ci aiuta per nulla. La signorina si chiama?”
“Cordelia Chase.” L’infermiera impallidì leggermente a sentire il nome
della paziente.
“Chase? Cavoli.” Mormorò la donna sorpresa.
Liam andò a sedersi in saletta d’attesa liberando la mente da ogni
pensiero, fino a quando Spike non gli porse una tazza di caffè bollente.
“Credo che questo ti servirà. La notte è ancora lunga.” Si sedette
vicino all’amico per fargli compagnia.
“Grazie.” Rimasero in silenzio alcuni minuti, mentre osservavano il via
vai dei medici e delle infermiere. Sembrava che metà Sunnydale si fosse fatta
male, le salette erano tutte piene. “Sai, William, mi devi spiegare come mai
stasera sei venuto alla festa di Darla, invece di uscire con gente più...
consona a te.”Spike rise cercando di inventare una buona scusa.
“Beh, sai... la mia migliore amica Willow è da sua zia. E poi volevo far
vedere ad Anya chi governa la città.” In realtà non voleva dire a Liam che era
andato alla festa di Darla perchè sperava di trovarci Buffy, magari anche con
Parker. Si sentiva un idiota per la strana cotta che si era preso, ma non
riusciva a togliersela dalla mente: aveva perfino sognato di baciarla. Si era
svegliato ansante e sudato, pregando che non fosse vero. Invece era tutto vero.
Quindi si sentiva di volerla inseguire un po’ ovunque. “E tu, Angel...è vero
che hai lasciato Darla?”
“Sì, è vero.”
“Cazzo, tutta Sunnydale già vi vedeva sposati e felici.” Liam rise fragorosamente attirandosi occhiate
curiose delle altre persone presenti nella saletta. Spike aveva alzato un
sopracciglio stralunato: che cavolo aveva da ridere?
“Ci manca solo questo. No, per Darla io ero soltanto un bel ragazzo da
esibire alle feste e a scuola, per far vedere che lei era la migliore. E per
me... per me lei era un soprammobile. Qualcuno per divertirmi alla collina, ma
nulla di più. Non c’è mai stato amore tra di noi. E oggi l’ho capito: una sua
amica è stata male e lei non si è neppure interessata. Evidentemente Cordy non
è una sua amica... ma è una mia amica e io resterò ad aiutarla.” Spike lo fissò
negli occhi e vide in lui una consapevolezza che prima non aveva mai visto.
“Mi scusi.” L’infermiera di prima era di nuovo davanti a loro.
“La signorina Chase si è svegliata e chiedeva di lei.” Liam corse
letteramente e trovò Cordelia con due canule che le entravano nelle braccia. Ma
nel complesso sembrava stesse bene.
“Liam...che è successo?”
“Sei svenuta alla festa.” Si sedette sul bordo del letto e le sorrise.
“Sei stata male.” Due lacrime scesero sulle guance pallide della ragazza.
“Che sarà adesso di me?” Lui la guardò stranita.
“In che senso?”
“Sono svenuta in un festa dove c’era tutta
“Non importa degli altri. Tu devi uscirne vincente e devi guarire. E io
resterò qui con te ad aiutarti... sempre.”
CAPITOLO DODICI
La città era in fermento, o almeno lo era la comunità del basket. Quel
sabato era in programma una delle partite più attese della stagione: i Red Fox
e i Black Panthers si giocavano il primo posto in classifica. Il caso aveva
voluto che le due squadre si affrontassero all’ultima giornata del girone che
si svolgeva al ritorno dalle vacanze natalizie. Era solo il girone d’andata, ma
la sfida stava richiamando interesse in ogni angolo di Sunnydale e dintorni.
Perfino a casa Chase erano arrivate le urla dell’importante avvenimento,
se non altro perchè Liam ne stava parlando a Cordelia. La ragazza era stata
dimessa poche giorni dopo il ricovero, giusto il tempo di farla reidratare al
meglio e decidere insieme allo psicologo dell’ospedale una linea da portare
avanti per fare in modo che lei non ricadesse in brutti vizi. I genitori erano
tornati in fretta e furia da Aspen, preoccupati come non mai, tanto che
Cordelia se ne meravigliò parecchio.
Liam si era offerto di fare da supporto extra familiare per la terapia
di recupero, o anche semplicemente di starle vicina se avesse voluto sfogarsi e
proprio quello stava succedendo in quel momento. Cordy era ancora distesa a
letto per ordine dei suoi che la volevano recuperata, almeno fisicamente, ma
lei si stava annoiando a morte. Quasi quasi preferiva andare a scuola che stare
lì coperta di effusioni parentali.
“Vedrai che presto uscirai di qui.” Le disse Liam sorridendo. Anche lui
doveva ammettere con sé stesso che stava piuttosto bene. Aver mollato Darla era
una liberazione: niente più capricci isterici, niente corse notturne per andare
a recuperarla a delle feste orrende. E la libertà di essere quello che era
senza costrizioni. Si sentiva un uomo nuovo.
“Lo spero. Mi sto veramente annoiando.”
“Magari potresti venire alla palestra dei Black per la partita.” Cordy
si rabbuiò.
“Ci venivo sempre con Darla, ora chi vuoi che mi accetti? Con chi potrei
venire?”
“Ci sarebbe l’amica di Spike...Willow si chiama. E poi anche la sorella
di Spike. Cavoli, quel ragazzo ha attorno a sé una specie di harem.” Cordy lo
guardò sorpresa: da quando si metteva a fare battute di spirito? “ok,
scherzavo.”
“No, non ti scusare, anzi...è divertente vederti in questa veste nuova.
Ti ho sempre immaginato come nero, oscuro, imperscrutabile. Credevo che solo
Darla potesse capirti sul serio, invece noto che sei completamente diverso da
come ti idealizzavo.” Liam la guardò stupito. Lei lo aveva idealizzato?
“Darla non credo che mi abbia mai veramente compreso. E direi che ora
non mi interessa neppure che lo faccia.”
“Due settimane fa avrei riso a chi mi avesse detto che Liam O’Connor si
sarebbe lasciato da Darla Hopkins e che lui sarebbe stato in camera mia a
chiacchierare.”
“I tempi cambiano e le persone pure. Comunque...” Liam guardò l’orologio
e si alzò “... adesso vado ad allenarmi per la partita... spero di vederti
sabato a fare il tifo per noi, ovviamente.”
“Ci sarò, puoi scommetterci.”
Cordy sorrise mentre vedeva il ragazzo uscire dalla stanza: strano come
la vita stava girando per entrambi.
La palestra dei Black Panthers era quasi ricolma. Con lo sguardo fiero
di chi era riuscita ad uscire, o stava tentando di farlo, da un tunnel più
grande di lei, Cordelia stava cercando di setacciare gli spalti alla ricerca di
una familiare testa rossa. Io suo usuale gruppo l’aveva snobbata, dato che
Darla comandava e visto lo smacco di Capodanno... beh, lei era decisamente
fuori da tutto, o quasi. In fondo le restava Liam che era di sicuro una cosa
ottima.
Si accorse che moltissimi ragazzi si voltavano a guardarla e la
indicavano ridacchiando, ma Cordelia fece finta di nulla con la classe che le
era solita e si sedette vicino a Willow.
“Ciao.” La rossa si girò e la guardò ad occhi sbarrati: e da quando la
ragazza più popolare della scuola le rivolgeva la parola? Ah, certo, da quando
il trono era stato perso. Spike le aveva raccontato tutto quello che era
successo durante il suo soggiorno dalla zia a Los Angeles e per questo aveva
meledetto i suoi genitori per averla portata via. Però doveva ammettere che
Cordelia riusciva ad essere sé stessa anche se aveva tutti contro e questa era
una cosa che meritava rispetto.
“Ciao. Come mai qui?” Cordelia alzò un sopracciglio.
“Volevo vedere la partita... con chi forse può accettarmi.” E arrossì
leggermente per la confessione che aveva appena fatto. Willow annuì e le passò
un po’ del suo pop corn. Cordelia ne
prese uno tentennando: non voleva mangiare, ma pensò che fosse brutto rifiutare
subito qualcosa.
Vicino a loro si sedette Buffy: non sembrava sorpresa di vedere Cordelia
o forse, semplicemente non ci faceva caso, ma si mise a mangiarsi le unghie.
“Nervosa?”
“Certo, da questa partita dipenderà l’umore di Parker per la prossima
settimana.” E sbuffò. Guardò verso il parquet: le due squadre si stavano
riscaldando. Il suo ragazzo stava facendo streching a bordo campo con
un’espressione abbastanza rilassata. Sorrideva sprezzante mentre guardava i
suoi avversari. Buffy non potè non girare lo sguardo verso Spike: i suoi
capelli ossigenati erano come un cartello al neon in piena notte. A differenza
di Parker, lui sembrava molto più concentrato e nervoso per la partita. Si
chiese come stava in realtà e si perse a seguire ogni suo più piccolo
movimento, senza accorgersi che il suo ragazzo la stava fissando arrabbiato.
“Per chi tiferai?” le domandò Willow, che non staccava gli occhi dalla
minuta figura di Oz.
“Per Parker, ovviamente. Che razza di domande fai?”
“Allora mi sa che sei nella curva sbagliata.” Si intromise Cordelia. In
fondo in qualche modo doveva iniziare a relazionarsi.
“Tifi per il biondo o il rosso, Will?” domandò maliziosa Buffy, facendo
arrossire completamente Willow.
“Tifo per i Red Fox, no?” e si rituffò nel pop corn, sperando di essere
risultata almeno credibile, con Cordy e Buffy che sghignazzavano tra di loro.
In campo, invece, c’era chi era piuttosto nervosa per il fischio finale.
Monica si stava mangiando le unghie in attesa di dover dare le entrate al
tavolo. Quella settimana di preparazione alla gara era stata stressante: i
ragazzi avevano ancora la testa al Natale, sembravano appesantiti. In più
rivedere Wesley dopo il bacio scambiato, l’aveva sconbussolata per bene. La
cosa buona era che sembrava che il ragazzo avesse ripreso a guardarla
semplicemente come allenatrice e non come possibile amore della sua vita. Lo
fissò mentre tirava concentrato a canestro. Lo voleva? Forse, non poteva non
ammettere che il maschio meritava, ma era veramente troppo giovane. Sospirò per
l’ennesima volta e fece cambiare esercizio ai ragazzi.
“Sempre gelo tra di voi?” domandò Illyria ben conscia della situazioni
in atto e del carattere di Monica.
“Sempre. Mi ha a malapena rivolto il saluto. Forse è meglio così.” Si
avvicinò al tavolo confusa per come si stava evolvendo la situazione con Wes.
“Buongiorno. Entrano Osbourne, Giles, i due O’Connor e Pryce.” Firmò e andò a stringere la mano
all’allenatore dell’altra squadra, che la squadrò critico.
“Che vinca il migliore.” Disse Monica sportiva.
“Sicuramente. Devo dire che mi avete stupito ad arrivare fino a qui.”
Monica aggrottò la fronte, capendo benissimo l’allusione.
“Beh, la palestra è segnata, non credo che ci saremmo mai persi.”
Rispose sorridendo soddisfatta, per poi tornarsene alla sua panchina.
“Stronzo.” Mormorò all’indirizzo del muro.
“Tutto ok?” Wes era davanti a lei serio e Monica meditò se poteva
baciarlo in quel preciso istante. Con rammarico evitò di farlo, ma la voglia le
restò.
“Se non date il meglio di voi, vi faccio sputare sangue lunedì. Credono
di poterci battere usando soltanto la mano sinistra.”
“Gli faremo capire che non sarà per nulla così.” Rispose determinato
Wesley. In realtà anche per lui non era facile stare così vicino alla ragazza,
ma stava facendo il suo massimo sforzo per evitare qualsiasi coinvolgimento
emotivo.
L’arbitro fischiò a segnalare che ormai mancavano solo tre minuti
all’inizio della gara. Sugli spalti le varie tifoserie facevano parecchio
rumore, soprattutto quelle di casa.
“Allora, siamo venuti qui con la voglia di vincere. Loro sono i campioni
in carica, ma noi abbiamo vinto esattamente le loro stesse gare. Credono di
poterci battere come niente, ma io sono sicura che noi gli dimostreremo che
siamo migliori di quello che eravamo lo scorso anno. Fategli vedere chi siete.
Entrano i soliti cinque. Datevi le marcature: l’unica cosa certa è che Parker
lo marca Wes.”
“No, lo voglio prendere io.” Disse Spike di scatto.
“Parker è il loro miglior giocatore e realizzatore. Wes il nostro
miglior difensore. Lo marca lui.” Spike inghiottì la sua voglia di rivalsa,
capendo che le mosse di Monica non erano per fare uno sgarro a lui, ma per il
bene di tutta la squadra e quindi si accinse a marcare Lindsey McDonald, una
guardia massiccia, ma molto agile.
Liam si posizionò al centro del campo ed alzò lo sguardo: sorrise quando vide
che Cordelia era seduta vicino a Willow, vederla ridere così gli scaldò il
cuore. Poi dimenticò tutto e tornò concentrato per la partita. Scoccò
un’occhiata a suo fratello che lo guardò con intesa: da Capodanno anche Xander
sembrava cambiato e questa era decisamente una bella novità.
Il tipo davanti a lui, Marcus Hamilton, lo guardò e gli scoccò un cenno
di saluto: marcarlo sarebbe stato molto duro, sembrava un armadio a muro a due
ante ed era uno dei migliori pivot dello stato.
L’arbitro alzò la palla e i quaranta minuti di fuoco iniziarono.
Subito per i Red Fox si mise male: gli altri erano molto più gasati, sia
per dover giocare in casa, che per il fatto di essere comunque i campioni in
carica. Presero un margine secco di dieci punti, senza che Spike e compagni
riuscissero a segnare. Nonostante Parker non riuscisse a fare un tiro, data la
presenza asfissiante di Wes, i suoi compagni segnarono per lui.
“Merda.” Sussurrò Monica mentre Lindsey bucava nuovamente la retina.
Chiamò immediatamente il time out che le era concesso e fece sedere tutti i
suoi ragazzi: niente tattica, in quel momento serviva solo spronarli.
“Siete degli imbecilli.” Ok, pensò tra sé, questo non è il modo migliore
forse... “Vi state facendo mettere sotto come delle donnicciole inutili. Cosa
volete, che entriamo io ed Illy? Magari, la smetteremo di vedere sto strazio.
Quelli sugli spalti si stanno già annoiando e i vostri avversari ridono di voi.
Fantastico, proprio quello che ci serviva, vero?” li guardò uno ad uno sperando
di dar loro una scossa. “Adesso voglio che entriate in campo con la vostra
solita voglia, sennò me ne vado anche io da qui.”
“Ok.” Mormorò un afflitto Oz.
“Allora, Angel, Xander, avete due bestioni lenti a muoversi. Cercate di
fregarli in velocità, specie tu, Xan. Oz, muovi quella palla. Spike, cerca di
svegliarti, ci servono i tuoi tiri. Wes, continua così a difendere, ma cerca di
farti vedere anche in attacco.”
Il tavolo fischiò il termine del minuto e i cinque si posizionarono in
cerchio per fare un urlo di incoraggiamento, con Monica che aveva messo la sua
mano come base.
“Mi raccomando.” Vide che Wesley la stava fissando dritto negli
occhi e lei ricambiò, mentre si sentiva
accarezzare il dorso della mano dal ragazzo.
La riscossa prese inizio da subito: Oz riuscì a rubare palla quasi a
metà campo grazie alla difesa forte di Wes su Parker, che gli impediva anche di
ricevere i passaggi più semplici. Il piccolo play, velocissimo, portò a termine
un perfetto contropiede, facendo saltare di felicità Willow sugli spalti.
“Bravissimo!” urlò incurante di tutto e tutti.
“E per fortuna che tifava solo per i Red Fox.” Mormorò Buffy mentre
applaudiva per la bella azione.
Finalmente i nostri iniziarono a rimontare, restando, però, sempre due
punti sotto. Il primo tempo terminò
“Bravi, così vi voglio. In spogliatoio, forza.” Monica era esaltata:
aveva finalmente visto la voglia di fare e vincere sul volto dei suoi ragazzi e
questa era la cosa che più si aspettava da loro. Sapeva anche lei che era molto
difficile quel match, ma almeno sperava che i suoi si impegnassero fino in
fondo, a costo di sputare sangua al termine. Vide che i cinque protagonisti
erano completamente spompati: diede ad ognuno di loro una borraccia piena di
integratore salino e tirò fuori dalla borsetta una stecca di cioccolato
fondente, ottima per carburare velocemente.
“Bene, siamo riusciti a bloccarli abbastanza bene, nonostante il gap
iniziale. Dovete continuare a giocare esattamente alla stessa maniera, senza
risparmiarvi: purtroppo per voi, questa è una partita che non potete vincere giocando
a meno del 100%. Se mollate, vi seppelliscono.”
Andrew passò la lavagnetta delle statistiche a Monica e lei prese ad
analizzarle. Non erano per nulla male: sorrise dopo aver contato quante palle
recuperate aveva già in saccoccia Wesley.
“Riposatevi per bene, poi, quando sentite il fischio dell’arbitro,
tornate in panchina.” Uscite le due ragazze, Spike sparò a freddo su Angel.
“Ho visto Cordelia, sta meglio?”
“Sembrerebbe di sì. È seduta vicino a Willow: forse così si farà delle
nuove amiche. A quanto pare Darla la evita come se avesse la peste.”
“Grande sgarro quello di stare male durante una sua festa... e pure
portarle via il ragazzo.”
“Cordy non ha portato via niente a nessuno.” Spike alzò il sopracciglio
malizioso.
“Ah no? Ma guarda, e io che ero convinto del contrario. Mi sarò
sbagliato.” E così dicendo andò a buttare la testa nel lavandino per bagnarsi.
Liam lo guardò iniziando a rimuginare.
Sentirono che l’arbitro fischiava dal campo e diligentemente si
avviarono alla panchina: mancava ancora mezza gara e dovevano cercare di
vincere.
“Tua sorella viene?” chiese Xander a Spike prendendolo in contropiede.
“Beh, perchè mi guardi così? La trovo carina.”
“L’ho invitata, ma è sempre in ritardo. Tra lei e Jenny io non so chi
sia più ritardataria.”
Monica si avvicinò a Wes preoccupata: vedeva il suo capitano decisamente
stravolto.
“Ehy, ce la fai a giocare o devo cambiarti?”
“Secondo te?”
“Lo chiedo a te. Io mi fido.” Lui la fissò intensamente.
“Sono pronto.” Lei annuì e gli diede una pacca sulla spalla.
“Ok, ragazzi, dovete stare attenti solo a non fare troppi falli: non
voglio concedergli tiri liberi gratuiti, quindi piegate le gambe e datevi da
fare.”
La partita ricominciò da dove era stata interrotta, cioè sul totale
equilibrio. I Black Panthers si erano ritrovati inguaiati a causa della
marcatura su Parker, cosa che di fatto limitava il loro uomo migliore, ma così
altri giocatori avevano avuto la possibilità di far uscire il proprio talento.
Nei Red Fox, invece, tutto il gruppo stava facendo fortino, ognuno di loro
metteva un piccolo mattone per portare avanti la partita nei binari giusti.
Spike finalmente aveva scaldato la mano e riusciva ad infilare canestri da ogni
zona periferica del campo, mentre, grazie alle penetrazioni di Oz in mezzo
all’area, Xander ed Angel riuscivano sempre a trovare una zona libera da dove
poter ricevere un passaggio e tirare. In definitiva nessuno riusciva a
prevalere sull’altro.
Monica si sgolava cercando di aiutare i suoi, più incitandoli che
dandogli dei consigli tecnici: ormai non era quello il momento giusto. Rischiò
quasi una discussione con il primo arbitro perchè era uscita dal box, ma lo
mandò mentalmente a quel paese e continuò con le sue urla.
Sugli spalti le tifoserie facevano a gara a chi faceva più rumore. Vicino
a Willow si era seduta ormai anche una trafelatissima Anya, che, in ritardo
come al suo solito, prese a tifare per il fratello e per Xander. La rossa la
fissò ed incredibilmente si accorse che non le dava fastidio. Solo Buffy
sembrava rimanere più quieta: lei per metà tifava per Parker, che, in fondo,
era il suo ragazzo. Eppure dall’altra parte c’era Spike, lo stesso Spike che le
aveva fatto compagnia quando sua madre si dimenticava di passarla a prendere, o
lo stesso Spike con cui aveva parlato di suo padre e del suo abbandono. Dentro
di sé sapeva che aveva iniziato a provare qualcosa di positivo per l’irritante
biondo, qualcosa che poteva sicuramente avvicinarsi all’amicizia. Quindi decise
di rimanere ferma e tranquilla.
Cordelia, invece, si stava veramente trovando molto bene con le tre
ragazze, anche la nuova arrivata: con Darla doveva sempre contenersi, darsi
un’aria di ragazza vissuta, invece lì si sentiva molto più sé stessa. Sorrise
splendida quando Liam prese un rimbalzo in attacco e segnò il canestro della
parità. Videro Monica saltare sulla panchina: quella partita sarebbe rimasta
negli annali.
In campo, nel frattempo, un frustratissimo Parker, fermo ancora in
singola cifra, cercò di attaccare briga con Spike.
“Hai paura di batterti con me, Giles? Per questo mi fai marcare da
Pryce?”
“Ti marca Wes perchè così ha deciso la mia allenatrice.” Spike battè le
mani quando vide Oz segnare il primo dei due tiri liberi che aveva a sua
disposizione.
“Una puttana per allenatrice. Bella squadra.” Wes, che aveva sentito
tutto, si avvicinò a Parker, pronto per marcarlo, guardandolo decisamente male.
“Tu te la sogni una così, Parker.” Gli disse, scattando per seguirlo.
Giurò a sé stesso che non gli avrebbe fatto più toccare palla per il resto del
tempo, avrebbero dovuto richiamarlo in panchina: non poteva pensare di
offendere Monica e di rimanere impunito. E così successe.
L’allenatore dei Black Panthers, stufo che il suo MVP non riuscisse a
fare nulla, lo cambiò, tra i sorrisi di scherno di Wes, Spike e Monica, che si
affrettò a cambiare il suo difensore, prima che stramazzasse a terra di
stanchezza.
“Ottimo lavoro, Wes. Riposati e tieniti pronto a rientrare nel momento
in cui tornerà in campo Parker.” Lui annuì sorridendo, contento di averla fatta
felice.
Ormai mancavano pochi minuti al termine: Oz aveva la palla in mano e
veniva marcato dal player avversario, Penn. Decise di provare ad entrare, così
da scaricare il pallone a Spike, o ad uno dei pivot. Sfruttò il blocco di Xander,
ma venne praticamente atterrato da Adam Walsh, l’ala dei Black Panthers.
L’arbitro fischiò immediatamente il fallo, ma Oz, nel frattempo, era volato a
terra. Monica era furiosa: questo, per lei, meritava un fallo antisportivo, non
solo un personale, ma le sue proteste non vennero ascoltate.
Liam, capitano in campo al momento dell’uscita di Wes, si avvicinò al
rosso.
“Che succede?”
“La caviglia...credo che sia slogata.” Monica entrò in campo e fece
alzare Oz: di certo non poteva giocare messo così.
Sugli spalti Willow osservava il tutto preoccupata ed arrabbiata: quando
aveva visto il fallo si era messa ad urlare come una pazza per la scorrettezza
appena vista.
“Wes, torna dentro e segna i liberi, ti prego.” Fece l’allenatrice e lui
lo fece. Mentre tirava e segnava, si divertì al pensiero che per lei avrebbe
fatto qualsiasi cosa, anche segnare da tre di continuo, bastava glielo
chiedesse. Si sentiva veramente innamorato di lei.
Le lancette presero a correre il loro ultimo giro. Il punteggio era
pari, ormai i supplementari sembravano cosa quasi fatta, fino a quando
l’arbitro non fischiò un fallo a Xander. Il moro prese a protestare, seguito da
Wesley che cercava di tenerlo buono: ci mancava solo che gli dessero un tecnico
per proteste.
In panchina Monica si stava mordendo quasi a sangue la lingua per
evitare di insultare l’arbritro, ma a lei quel fallo sembrava proprio un regalo
agli altri. Guardò il timer: sette secondi e pochi decimi. Segnare sarebbe
stato difficile.
Lindsey con freddezza segnò entrambi i liberi: erano sopra di due.
Liam da sotto canestro passò la palla a Spike che riuscì a dribblare due
giocatori con alcune difficoltà, ma lui sapeva che la palla finale spettava a
lui, era lui il tiratore. I suoi compagni pregarono dentro di loro che la fortuna
li aiutasse almeno un attimo. Spike fece un arresto. Era parecchio lontano ma
ci provò. Durante il volo suonò la sirena della conclusione: Monica incrociò le
dita, mentre anche Illyria si alzava in piedi in barba al regolamento. La palla
toccò il ferro esterno impennandosi verso l’alto e ricadendo tornò a rimbalzare
sul ferro che la fece uscire definitivamente.
I Red Fox avevano perso.
La panchina dei Black Panthers esplose di felicità, mentre l’altra si
affossò. Monica guardò il tabellone:
“Sei stato bravo.”
“Ho sbagliato l’ultimo tiro, quello che importava.” Monica si sedette
vicino a lui.
“Ogni tiro è importante. Durante la gara ne hai segnati molti altri, va
bene comunque. Adesso andiamo in spogliatoio e poi una buona pizza tutti
assieme. Forza, Spike.” Si alzarono assieme e il biondo eseguì il consiglio
della sua allenatrice, seguito dai suoi compagni.
Nella hall della palestra, prima degli spogliatoi, c’erano ad aspettarli
Willow e compagnia.
“Complimenti lo stesso.” Fece Buffy sorridendo dolcemente a Spike.
“Vieni qui Elisabeth, lascia stare quel perdente.” Parker prese Buffy
per il braccio e la allontanò da Spike.
“Ehy, se ce l’hai con me lascia stare lei.”
“Fatti i cazzi tuoi, Giles.”
“Parker, mollami mi fai male.” Disse Buffy strattonandosi. “ Spike non è
un perdente, ha giocato bene e meritava i miei complimenti.”
“Tu sei la mia ragazza, te lo ricordi sì o no? O ti fa solo comodo?”
“Stronzo!” Buffy se ne corse via, seguita da una Willow furiosa con la
guardia.
“Guai qui?” Gli arbitri, seguiti dalle tre ufficiali di campo, erano
giunti per andare a cambiarsi. I ragazzi si calmarono e Parker andò nel suo
spogliatoio senza rispondere.
“Nulla che non si sia sistemato.” Rispose diplomatico Wesley.
“Nonostante tutto siete stati bravissimi. Fratellino, Rupert non mi
aveva mai detto che segni così tanto.” Eslcamò Anya senza accorgersi che così
facendo era riuscita a stemperare la situazione.
“Grazie. Ah, ragazzi, lei è Anya Jenkins, la mia sorellastra.”
“Sorellastra...che brutto, sembra qualcosa di poco voluto. Sorella dai!
Senti Xander, ti aspetto, ok? Ho voglia di ancora un po’ di sesso, ho bisogno
di qualche orgasmo.”
Decine di paia di occhi si girarono verso il moro che era variato ad una
interessante sfumatura rosso pomodoro.
“Ok, Anya, ricordi il discorso sul fatto che vorrei che evitassi questi
discorsi davanti ai miei amici?”
“Io non sono tuo amico, continua.” Rispose Oz divertito, mentre ancora
saltellava su un piede a causa dell’infortunio
“Taci, nano.”
“Xan, finalmente qualcuno che non è Faith! Bravo.” Xander gemette
disperato al nome che aveva tirato fuori suo fratello.
Fanno talmente tanta confusione, che neppure si capisce che sono loro ad
aver perso, pensò soddisfatta Monica.
CAPITOLO TREDICI
Oz maledì per la centesima volta quel giorno, quel maledetto di Penn. La
caviglia gli faceva un male d’inferno solo appoggiandola a terra, figurarsi
girare per i corridoi con la borsa a tracolla. Si teneva con una mano al muro
per evitare di cadere, ma al posto suo, a finire sul pavimento, ci pensarono i
libri.
“Fanculo!” borbottò con poca grazia. Sospirando pensantemente, cercò di
poggiare a terra la borsa per poi, lentamente, abbassarsi a riprendere i libri,
ma vide, con sorpresa, quelli che si alzavano davanti ai suoi occhi. Seguì la
linea dei tomi e si ritrovò davanti una tranquilla Willow. Oz si guardò intorno
per capire se era al piano giusto o semplicemente per vedere se c’era gente attorno
a loro.
“Ti sei persa?” chiese mentre cercava di alzarsi da quella spinosa
posizione.
“Certo che no.”
“E allora che ci fai sul piano del secondo anno?”
“Sono di ritorno dalla classe avanzata di informatica. “ Oz la guardò
strabiliato.
“Complimenti. Ora se vuoi scusarmi, devo cercare di zompettare
allegramente fino alla mia splendida ed innovativa classe di matematica.” E
tese la mano per prendere i libri.
“Io pensavo di aiutarti, visto che sei messo così male... ma forse... “E
lasciò di nuovo cadere i volumi a terra, sotto lo sguardo shockato del ragazzo
“...preferisci fare da solo.” E fece per andarsene. Ma guarda, lei faceva la
gentile e lui osava pure trattarla male: maledetto ruba primi baci!
“No, Willow, per favore, fermati.” La ragazza si girò e lo vide
completamente spalmato sulò muro per cercare di non cadere. “Per favore, dolce
ed intelligente signorina, mi potresti aiutare?”
“Così va meglio.” Riprese i libri e seguì Oz che, nel frattempo, aveva
ripreso a saltallare su un piede solo. Pensò che se si fosse slogata anche
quella caviglia, per lui sarebbe stata la fine.
“Sei stato bravo alla partita di sabato.” Gli disse per tirargli su il
morale.
“Peccato non sia servito a molto. Abbiamo perso e così facendo siamo
scivolati al secondo posto. Senza contare che verremo sfottuti da Parker e
company per tutto il tempo. Fantastico...” Willow li lanciò un’occhiata
scettica.
“Guarda che l’importante è giocare bene. Scommetto che la vostra
allenatrice la penserà alla stessa maniera.”
“Da quando sei tu stessa una allenatrice?” le domandò dolcemente.
“Sai, per anni ho giocato a basket con Spike dietro casa sua. Ormai un
po’ me ne intendo. E nonostante quello che lui per anni mi ha ripeturo, cioè
che bisogna vincere per essere qualcuno, io credo che per essere il migliore
bisogna giocare al meglio, al massimo delle proprie possibilità e voi sabato lo
avete fatto.” Oz la guardò ammirato.
“Mi piaci perchè sai sorprendermi sempre.”Willow sorrise compiaciuta e
gli passò i libri, dato che ormai erano arrivati alla classe di matematica. Oz
si avvicinò a prenderli e, in velocità, le lasciò un leggerò bacio a lato della
bocca, poi scappò via. “Ciao, Fragolina.”
Willow lo osservò entrare, mentre alcuni ragazzi li guardavano
ridacchiando. Sorrise fugace, mentre con la punta delle dita si accarezzava le
labbra.
Monica osservava scettica le rotelle delle pattinatrici che solcavano il
parquet. Odiava il fatto che qualcuno potesse rovinare in quella maniera la
palestra, ma di sicuro non si poteva mettere a discutere con le ragazzine di
quello che stavano facendo. Rimase impressionata da un salto piuttosto alto che
aveva fatto Buffy. La biondina stava pensando a come lasciare il suo ragazzo.
Era decisamente furiosa per il comportamento che aveva tenuto lui nel dopo
partita. Si erano sentiti per telefono e lui l’aveva accusata di averlo quasi
tradito, solo perchè si era messa a parlare con Spike. Ma che razza di
ragionamento era quello? Perse momentaneamente il controllo di uno dei pattini
e rischiò di cadere: quel passaggio le risultava ancora piuttosto ostico.
“Signorina Kennedy, vado un attimo in spogliatoio.” Disse alla sua
allenatrice che annuì. Sorpassò Monica e ripetè mentalmente il discorso da
fargli. “Sì, può andare bene.” Mormorò prima di bere.
Nel frattempo, nell’atrio, erano arrivati i primi ragazzi del basket.
Monica chiacchierava tranquilla con Illyria di schemi di gioco o di uomini,
visto l’evolversi della storia dell’aiuto allenatrice. Si voltarono quando la
porta si aprì rivelando una coppia. Una coppia che fece strabuzzare gli occhi a
Monica: Wes teneva per mano una ragazza dai folti capelli rossi e ricci che
sorrideva contenta, mentre lui, sembrava lo stesso di sempre. Scoccò un’intensa
occhiata a Monica cercando di capire le sue reazione, ma la donna si voltò di
nuovo verso la sua amica. Wes sospirò e lasciò la mano della sua
accompagnatrice.
“Ci vediamo domani a casa tua, Virginia.” Lei focalizzò l’attenzione su
di lui, dopo che aveva lanciato sguardi interessanti sugli altri presenti della
hall: bei maschi in pantaloncini...mica male come cosa.
“Ok, Wes. Ricordati, devo migliorare in letteratura.”
”Sì, ho capito, non sono scemo.” Lei gli sorrise falsa e se ne andò
svolazzando la mano felice. Forse poteva guadagnarci qualcosa da quella strana
offerta.
“E tu da quando esci con
“Da oggi. È la mia...maschera d’ingelosimento.” Spiegò a bassa voce per
evitare di farsi sentire da Monica.
“Come hai fatto a convincerla?” i due indossarono le scarpe tranquilli.
“Prima delle vacanze di Natale mi aveva chiesto se potevo darle delle
ripetizioni di letteratura, dato che deve entrare ad Harvard e con i suoi voti
non ce la farebbe. Inizialmente avevo tentennato, ma poi...bhe, io avevo
bisogno di soldi, dato che ho finito i lavori da Monica.” Represse una smorfia
a quel pensiero. In realtà avrebbe dovuto fare ancora qualcosa, ma la
situazione non lo permetteva. “Solo che, visto quello che mi è successo, ho
pensato di sostituire i pagamenti con delle uscite assieme.” Spike alzò un
sopracciglio decisamente incuriosito.
“E come mai te la sei portata in palestra? La tua bella è una
pattinatrice?” Gli era venuto il dubbio che potesse essere Buffy la ragazza in
questione.
“No, ma dobbiamo provare, prima dello spettacolo, no?” wow, so mentire
perfettamente ormai, pensò tra sé Wes e così facendo entrarono nella palestra
lasciata finalmente libera.
Nel frattempo, Monica aveva deciso di tirare un po’ a canestro: Wesley
aveva una ragazza nuova, molto carina per giunta. I capelli ricci erano curati
con cura maniacale, i vestiti tutti griffati e sembrava molto sicura di sé. Che
cosa stava a significare? Che l’aveva già dimenticata? Eppure...l’occhiata che
lui le aveva dato era uguale a quella che si erano scambiati in partita,
qualcosa di molto caldo. Erano occhi che la guardavano con ammirazione e anche
una punta d’amore. Erano occhi che volevano lei. Ma alla fine, non aveva fatto
quello che gli aveva chiesto lei? Gli aveva chiaramente fatto capire che doveva
trovarsene una più adatta ed era chiaro che lui avesse eseguito il suo volere,
allora perchè adesso la cosa le sembrava così sbagliata? Era perchè lui le
interessava, oppure perchè non sopportava di essere stata messa in secondo
piano? Ragionò fino a quando non decise che era meglio mettere da parte i suoi
problemi personali per mettersi a discutere con i suoi ragazzi. Li aveva visti
ancora piuttosto abbacchiati per sabato e voleve che si riscuotessero quanto
prima.
“Ok, sedetevi qui davanti e ascoltatemi.” Ordinò prendendo il suo solito
posto, seduta sul tavolo delle ufficiali di campo a gambe incrociate. Illyria
le diede un foglio in cui aveva elaborato tutti i numeri tirati giù durante la
gara da Andrew. Il ragazzo era veramente bravo in statistica.
“Dunque... ciao, intanto, come va?” un mugnio indistinto si levò dai
ragazzi. “Lo prendo come un: va tutto alla grande, siamo bravissimi, ma grazie
alla tua splendida ed inimitabile guida arriveremo a traguardi ancora più
alti.” La guardarono tutti come se avessero davanti un’ubriaca. “Ok, ragazzi,
cosa non vi è chiaro?”
“Come fai ad essere così contenta? Abbiamo perso.” Disse Xander senza
mezzi termini. Da quando aveva iniziato la sua strampalata relazione con Anya,
si sentiva meglio ed era tornato ad essere il tipico Xander dalla battuta
facile e giocherellone. Un bel sospiro di sollievo per Monica che non sapeva
più come prenderlo, a parte a schiaffi.
“Avete perso con onore e credo che sia stata un’ottima dimostrazione di
forza la nostra.” Siccome i suoi giocatori le sembravano poco convinti da quel
discorso, scese dal tavolo e si mise a camminare davanti a loro. “Wes sa che
sabato l’allenatore dei Black Panthers aveva fatto commenti poco simpatici su
di noi.” Il ragazzo annuì, memore della discussione avuta prima della partita
con lei. “Lui non credeva possibile che noi riuscissimo ad arrivare all’ultima
giornata di andata del campionato con gli stessi punti dei suoi ragazzi. E in
fondo, non aveva neppure tutti i torti.” E così dicendo sventolò il foglio “
Questi numeri parlano chiaro. Siete migliorati, tutti quanti. L’anno scorso dal
doppio confronto con loro avete preso circa 25 punti di media. Loro vi hanno
battuti di 25 punti a gara.” Disse con enfasi. “Sabato erano solo due. Ed è
solo metà Campionato. Vi rendete conto cosa potrete fare alla fine? Alla
partita di ritorno potrete essere voi i vincitori. Voi siete quelli con i
margini più ampi di miglioramento, non loro.”
“Ma anche loro avranno lo stesso tempo per migliorare, gli stessi mesi.”
Obiettò lucidamente Oz. Nonostante non potesse correre a causa della caviglia,
era andato là lo stesso, per poter ascoltare l’analisi tecnica e anche perchè
amava stare in palestra.
“È vero, ma voi siete quelli che partivano più indietro. Loro sono quasi
tutti chiamati alla selezioni per
“Beh, grazie.” Borbottò lui leggermente rosso.
“Ammettiamolo, colpa anche del loro allenatore: avrebbe dovuto cambiare
Parker prima, ma pazienza. Tu sei stato bravissimo nel tuo ruolo, ma devi
cercare di essere più attivo in attacco, qualche canestro lo devi infilare
anche tu, non possimo basarci solo su quattro elementi. Se i difensori non ti
credono pericoloso, preferiranno andare a marcare chi lo è maggiormente, indi
su Spike, od Oz. Anche tu devi provare ad osare qualche tiro, siamo intesi.”
“Sì.” Si fissarono pochi istanti e Monica rimase ancora più confusa di
quanto non lo fosse. Che cosa le stava silenziosamente chiedendo? Si alzò in
piedi, prendendogli la palla da per terra.
“Ovviamente non possiamo non ringraziare per questa bella prova anche chi
vi ha supportato per tutta la gara: ragazzi come Andrew, Jonathan, Gunn, Robin
e Jesse, che entrano poco, sono indispensabili per noi, perchè vengono sempre
ad allenamento, ci permettono di poter allenarci sugli schemi cinque contro
cinque. E sono in panchina a tifare per noi.” I diretti interessati sorrisero
compiaciuti ed imbarazzati da quelle parole così gentili. Non erano abituati a
sentirsi lodati in quella maniera.
“Sei troppo buona.” Mormorò Andrew timidamente, ma lei scosse il capo.
“Avete capito finalmente che cosa avete creato, ragazzi miei?” loro si
guardarono cercando di capire dall’altro che cosa lei intendesse, ma si
limitarono a scrollare il capo. “Voi siete finalmente diventati una squadra.
Lavorate tutti per ottenere lo stesso risultato. Correte e sudate per poter
dire di aver dato tutti voi stessi sempre e lo fate insieme. Siete una squadra.
E ora, come una perfetta squadra, vi metterete a correre un po’, in modo da
iniziare questo allenamento!” i ragazzi si alzarono e presero a correre in fila
palleggiando. Oz si accomodò in panchina, leggermente invidioso dei suoi amici:
anche lui aveva voglia di giocare.
Wes si avvicinò a Monica.
“Il pallone.”
“Certo, eccolo qui.” Rispose lei passandoglielo.
“Splendido discorso. Sei stata grande.” E seguì i suoi compagni. Monica
lo osservò a lungo, tentando di fare chiarezza dentro di sé, mentre Illyria,
sorrideva maliziosa. Altro che ragazzino, pensò, quella è già cotta a puntino.
Il giorno dopo Spike era curiosamente in ritardo agli allenamenti. Di solito
era uno dei primi a presentarsi, data la sua smania di vincere e di voler
comunque essere il migliore, ma suo padre quel giorno aveva deciso di iniziare
i preparativi del matrimonio, quindi con Anya e Jenny si erano persi tra inviti
e vestiti. Aveva mollato un paio di parolacce che avevano fatto andare di
traverso il the al padre ed era scappato con ancora una fetta di pane in bocca
e il succo per mandarlo giù. Sperò ardentemente che Monica non si incazzasse a
morte con lui.
Oltretutto grazie al suo ritardo non avrebbe potuto vedere Buffy: ormai
quelli erano i suoi unici momenti per stuzzicarla e provarci. Sapeva che lei
stava con Parker, ma di sicuro si meritava molto di più e lui voleva essere
proprio quel di più.
Lasciò una frenata sull’asfalto facendo schizzare via un’onda di
sassolini, rischiando pure di cadere dalla bici, ma almeno era arrivato sano e
salvo in palestra. Ok, in ritardo, ma solo di pochi minuti. Scese dalla sella e
mise il lucchetto, pronto a sentirsi la lavata di capo che si meritava, invece
qualcosa lo fece fermare. Una voce, anzi due, una maschile ed una femminile.
Rimase fermo per capire quello che si stavano dicendo, ma era tutto confuso.
Incuriosito mise la testa oltre l’angolo del muro per spiare e rimase a bocca
aperta: c’erano Buffy e Parker che discutevano animatamente.
“Devi lasciarmi in pace. Mi hai trattato come una pezza da piedi.”
“Tu non puoi lasciarmi, Summers!” sbraitò Parker strattonandola.
“Uno, sono Buffy, non Summers e basta, due: sì, ti lascio. É più che
evidente che io non ti interesso, o che semplicemente mi vedi come un oggetto.
Ed è evidente che non mi sta bene.”
“Sei solo una stupida ragazzina. Che cosa pensi di ottenere da questo?
Sarai sola e sputtanata.”
“Sarò sola e pronta a trovare qualcuno migliore di te.” Lui continuò a
strattonarla e la sbattè sul muro con poca grazia.
“Tu sei una nullità, Buffy e sei diventata qualcuno solo perchè uscivi
con me.”
“Lasciami!” ordinò lei cercando di divincolarsi, ma Parker era troppo
forte per lei.
“Tu sei mia e voglio che tu te lo possa ricordare per sempre.” Le mollò
uno schiaffo in pieno viso lasciando una macchia rossa sulla guancia.
“Ehy, bastardo!” Entrambi si fermarono stupiti e sollevati da quella
intrusione.
“Spike!” Per Buffy fu come se qualcosa di pesante si fosse sgretolato
nel suo petto. Quando Parker la aveva presa e strattonata aveva avuto un sacco
di paura che le facesse del male. Lo schiaffo, poi, era stato qualcosa di
incredibilmente inaspettato. Il volto bruciava come fuoco.
William arrivò come una furia: all’inizio voleva lasciarli stare, anche
perchè è sempre meglio evitare di mettersi in mezzo, ma quando lui l’aveva
colpita non ci aveva visto più. Nessuno poteva permettersi di toccarla in quel
modo.
“Che cazz...” Parker non riuscì a finire la frase che Spike lo prese per
la maglia e lo sbattè per terra.
“Ti conviene lasciarla perdere, damerino.” Parker sputò per terra,
mentre Buffy osservava la scena in trance.
“Non sono fatti tuoi. Vedi tu di lasciarla perdere, lei è solo mia.”
“Lei non è di nessuno.” Il moro si alzò e si avventò su William con un
pugno, ma il biondo era ben allenato alle risse, quindi lo schivò e rispose a
tema, lasciando il suo avversario senza fiato, dato il colpo ricevuto allo
stomaco. Con fatica si rimise in piedi e ripresa alla carica: centrò Spike al
volto spaccandogli il labbro.
“Smettetela idioti!” la voce di Buffy riecheggiò per il giardino. Parker
si fermò e si mise a ridere.
“Ma sì, lasciami pure puttanella, tanto una come te non può che
meritarsi uno zero come Giles.” Prese la sua borsa e voltò le spalle ridendo
malignamente. “Te ne pentirai amaramente, Summers.” Sparì nell’oscurità senza
smettere di ridere, più per il nervoso che per una vera ilarità della scena.
Iniziò a meditare vendetta: Spike lo avrebbe umiliato nella loro prossima
sfida, mentre la ragazzina si sarebbe resa presto conto di cosa volesse dire
lasciare uno come lui.
“Fottiti, stronzo!” Furono le parole di Spike mentre si toccava il labbro
malridotto, poi si girò verso Elisabeth. “Come stai?” la risposta fu uno
schiaffo a cinque dita sul volto. “Ehy!”
“Sei uno stupido? Non sai che avresti potuto farti male sul serio?
Parker non è uno che ci va giù leggero di solito.” Lui la squadrò malizioso.
“Eri preoccupata per me, passerotto?” Buffy alzò lo sguardo al cielo con
un leggero broncio.
“Non esageriamo. Non poi così tanto.” Lei si guardò le mani leggermente
imbarazzata “Grazie, però. Se non fossi arrivato tu non so che sarebbe
successo. Non l’avevo mai visto perdere così il controllo.”
“Figurati, non sopporto chi se la prende con una donna. Gli avrei fatto
volentieri un occhio nero sabato, ma oggi è meglio.” Le raccolse la borsa con i
pattini e si accorse che ormai era veramente troppo tardi . “Tieni.” Le disse
porgendole la sua roba. “È meglio che torniamo a casa ora.”
“Aspetta.” Lo bloccò Buffy, mentre trafugava nella sacca. “Ma dove
diavolo sono...uhm, eppure ero sicura che fossero qui... Oh eccole!” tirò fuori
un barattolo contenente delle salviettine umidificate. Si avvicinò a Spike
scrutandolo minuziosamente e poi iniziò a pulirgli il viso con un fazzoletto,
mentre lui la guardava stupito. Sapeva di essere diventato rosso ed
imbarazzato, aveva i palmi sudati e il cuore batteva troppo per resistere a
lungo. Lei, invece, incurante di ciò che sentiva il ragazzo, continuò la sua
opera di crocerossina. Era il minimo che poteva fargli, visto il suo gesto.
Iniziò a pensare che cosa poteva accadere se Spike non si fosse intromesso:
Parker poteva arrivare a volere qualcosa di più di un semplice schiaffo?
Ricordò le occhiate decisamente lussuriose che le lanciava ogni volta che osava
mettersi un vestitino scollato o più corto di altri. Rabbrividì alla sola idea
che le era venuta: non sarebbe mai arrivato a farle quel tipo di violenza,
almeno ci sperava.
“Ecco fatto, adesso sei a posto.”
“Grazie. Mormorò lui, poi riprese un po’ della sua baldanza “Bhe, il
minimo dopo lo schiaffo. Potevi tranquillamente stenderlo tu il tuo ragazzo.”
“Ex ragazzo. L’ho lasciato... è per questo che discutevamo.” Spike lo
aveva già intuito, ma sentirlo direttamente dalle sue labbra era ancora meglio.
“Senti, ti va di bere qualcosa assieme? Io sono troppo in ritardo per
presentarmi in palestra e conoscendo tua madre, non sarà qui per almeno
un’oretta.” Lei sorrise.
“Bhe, oggi vado a casa sola, quindi, sì, mi piacerebbe. Aspetta solo che
avviso Dawn, non vorrei che si preoccupasse.” Tirò fuori il cellulare e digitò
velocemente il numero di casa. Osservò William sorridendo: i capelli ossigenati
spiccavano nell’oscurità grazie alla piccola lampadina che illuminava la zona.
Le faceva strano vederlo così tranquillo e rilassato dopo la scazzottata.
Ringraziò il cielo che fosse stato vicino e si rese conto che era, in fondo,
veramente un bravo ragazzo.
Terminata la conversazione con la sorella, i due si avviarono verso il
centro. L’aria era fredda, ma non molto, nonostante fosse gennaio inoltrato.
Entrarono in una elegante pasticceria ordinando due cioccolate calde. Buffy
volle anche un pezzo di torta alla crema e se ne fece incartare una intera da
portare a casa.
“Ehy, passerotto, così ingrassi troppo.”
“Non scherziamo, ho solo promesso alla mamma che quest’anno ci pensavo
io alla torta. Lei ha troppe cose per la testa.” Spike aggrottò la fronte.
“Perchè?”
“Perchè mio padre ci ha abbandonate e...”
“No!” la interruppe lui “Perchè la torta? Tua sorella compie gli anni?”
lei sorrise a trenta denti scintillanti.
“No, io li compio! Oggi, in effetti.”
“Auguri allora. Diciassette, vero? Come Willow.”
“Sì, divento grande.”
“Allora, brindiamo ad Elisabeth Summers!” Fece Spike alzando in aria la
tazza piena di cioccolata.
“E al tuo papà che si sposa con
“Pure io. Eppure succederà. È perfino arrivata la figlia di Jenny.”
“Anya, vero?” domandò Buffy. “è simpatica, l’ho conosciuta alla
partita.” Lui annuì soddisfatto.
“É una vera pazza! Favolosa!!!” Gli si illuminarono gli occhi. Aveva
scoperto che andava parecchio d’accordo con la sorellastra, forse il fatto di
essere entrambi europei li aiutava. Buffy si seccò di vederlo così... se si
fosse sforzata almeno un po’ di capire che cosa provava, avrebbe capito di
essere gelosa. “Inoltre mi pare di aver velatamente capito che ha una storia
con Xander e questo non può che essere una buona cosa: finalmente lui è tornato
quello di un tempo.”
“E tu che ne pensi... insomma, avrai di nuovo una madre.”
Cadde un leggero silenzio: in effetti William non aveva mai visto quella
parte della faccenda. Non riusciva a vedere Jenny come la sua nuova mamma, per
lui lei sarebbe rimasta sempre e solo Jenny. Buffy intuì la sua confusione e si
diede mentalmente della scema: perchè era andava a rivangare il suo passato?
“Cioè, non che sarà tua madre, però sposa tuo padre e il risultato è quello
e... diamine sto incasinando le cose ancora di più.” Arrossì, mentre lui
sorrideva.
“No, tranquilla... in realtà non so come saranno le cose. Lei non potrà
mai prendere il posto di mia madre, grazie al cielo mi viene da dire. Le vorrò bene
e sono sicura che si preoccuperà per me, come mio padre fa per Anya, ma... non
è la stessa cosa. È buffo, non ho idea di cosa significhi avere una madre.”
“Era così tremenda?” domandò seria Elisabeth. William sospirò, poggiando
sul piattino la tazza.
“Non lo so, non me lo ricordo bene. Di lei ho immagine confuse. Ricordo
che quando se ne è andata via, non mi ha neppure salutato, è andata via e
basta. L’unica cosa che ricordo nitidamente è il viaggio che io e papà abbiamo
fatto per arrivare qui e l’incontro con Willow. Mia madre è qualcosa di
nebuloso, lontano e poco chiaro. Senti, che ne dici se parliamo di altro?”
“Certo, anzi, scusa se ho tirato fuori l’argomento, non dovevo.” Cercò
di scusarsi lei con voce piccola, ma lui fece un gesto della mano, come a
scacciare una mosca.
“Non è questo, è che proprio non saprei bene che cosa dirti. La odio
perchè mi ha lasciato, ma alla fine non la riesco ad odiare fino in fondo e
sono sicuro che se me la ritrovassi davanti alla fine l’abbraccerei.” Guardò
verso l’esterno dove c’era una piccola cartoleria. “Mi aspetti un secondo qui?”
domanò infine a Buffy, che non poté che annuire confusa.
Finì la sua torta e la cioccolata, decisamente soddisfatta: buon cibo,
buona bevuta e ottima compagnia, che poteva chiedere di più una ragazza nel
giorno del suo compleanno?
“Ecco qui, per te.” Un regalo, a quanto pareva. Spike la guardava
sorridendo diabolico: quasi aveva paura di aprire il piccolo pacchetto che
aveva davanti a sé. Era stato incartato con cura, in una busta blu con i
brillantini. C’era un grosso fiocco argentato sulla sommità.
Con dita improvvisamente tremanti, prese a scartalo, ritrovandosi
davanti ad un piccolo pupazzo: era un piccolo troll di pezza, con il naso
grosso e bitorzoluto, ma lo sguardo gentile. Aveva i pantaloni rossi ed una
camicetta blu con delle brettelle. Aveva tra le mani una bella margherita ed
era posizionato come se volesse donargliela.
“Porta fortuna.” Spiegò William “Ah, leggi il biglietto.” Elisabeth
incredula trovò il piccolo cartoncino biano e lo lesse sbuffando.
“Auguri di buon compleanno, Hobbit. Vedrai che tra nanetti vi
intenderete benissimo. Spike.”lui si mise a sghignazzare. “Molto simpatico,
ossigenato. Certe cose proprio non cambiano mai.” Eppure Buffy non riusciva a
ricordarsi regalo più bello di quello. Sorrise nuovamente, mentre faceva in
modo di infilare il nuovo piccolo amico nella borsa di pattinaggio: se davvero
portava fortuna, era lì che doveva stare.
William sospirò dentro di sé: quando aveva preso il piccolo pupazzo aveva
avuto paura che lei non lo apprezzasse. Aveva sperato che con il suo tono,
allontanasse eventuali strane idee che si era potuta fare la ragazza: in fondo
si era appena lasciata dal suo ragazzo, lui non voleva che lei capisse così
presto il suo interesse per lei. Sarebbe stato veramente troppo presto. Invece
tornando al suo solito modo di fare, cioè prendendola un po’ in giro, le cose
sarebbero rimaste esattamente come erano.
Nessuno dei due voleva ammettere con sé stesso che le cose erano
veramente cambiate.
CAPITOLO QUATTORDICI
Per due uomini abituati a vivere sempre da soli, sentire due donne
litigare, era qualcosa di assolutamente intimidente. William e Rupert erano
seduti cercando di non fare un solo rumore, in cucina, attorno al tavolo,
completamente immersi nei giornali matrimoniali comprati da Jenny. Neppure
loro, che erano stati presenti, avevano ben capito come mai dal discorso “che
vestiti metteranno le damigelle?” adesso si parlava su quanto schifosa potesse
esse Sunnydale per una ragazza di 17 anni.
I due si guardarono negli occhi quando sentirono sbattere una porta da
Anya.
“Pensi che sia finita qui?” domandò Spike a bassa voce.
“Temo di no figliolo.”
Nella stanza entrò una infuriatissima Jenny: il ragazzo, senza dire una
parola, se ne uscì a gambe levate: che se la vedesse suo padre, lui non voleva
essere messo di mezzo.
“Come va?”
“Tutto ok, Rupert, tranquillo. Andrà tutto bene.” E prese un profondo
respiro mentre fissava l’oscurità fuori la finestra. “Hai trovato qualche
vestito interessante?” gli chiese sorridendo. Giles, che ormai la conosceva,
aveva già notato la patina di lacrime che velavano gli occhi profondi della sua
fidanzata. Le pose le braccia aperte, come a volerla abbracciare.
“Vieni qui a sederti.” Lei lo raggiunse e si sedette sulle sue gambe,
iniziando quietamente a piangere, mentre lui le accarezzava la testa
teneramente.
“Mia figlia mi odia.” Mormorò al suo petto.
“Ma no che non ti odia, non pensarlo nemmeno. Semplicemente Anya si è
ritrovata da un giorno all’altro a vivere in due posti completamente diversi.
Non si è ancora ambientata perfettamente.”
“Vede questo posto come una prigione.”
Giles le prese il volto tra le mani e le baciò il naso.
“E noi le faremo capire che qui non ci sono sbarre a tenerla. Non sei tu
a tenerla qui, sono le tue finanze e sono sicura che lei lo capirà
perfettamente.”
“No, non voglio dirle nulla. Già suo padre si fa vivo una volta ogni
morte del Papa, non voglio che lei sappia che ha perfino rinunciato a pagarle
la scuola. No, Anya non saprà nulla.”
“Sei tu sua madre e spetta a te decidere, amore, ma sappi che secondo me
stai sbagliando.” Jenny si alzò e prese un fazzoletto per pulirsi gli occhi e
soffiarsi il naso.
“Come hai fatto con William? Hai un rapporto così bello con lui.” Giles sgranò
gli occhi sorpreso.
“Un bel rapporto? Quando era piccolo, forse, adesso non ho idea quasi di
chi sia. Non mi racconta più nulla, tranne un po’ di Willow, ma... il resto?
Non so neppure se ha una ragazza.”
“Eppure state così bene. Vorrei che il miorapporto con Anya fosse così.”
E sconsolata fissò la porta dietro la quale si era nascosta una arrabbiatissima
figlia.
Figlia che con cipiglio da guerriera, borbottava la sua rabbia.
“Ero a Ginevra e ora sono relegata in questo buco terribile. Ah no, mia
madre non mi terrà qui.” Prese il suo cellulare e fece il numero. “Dai papà,
rispondi.” Ma il telefono suonava a vuoto, nessuno le rispondeva.
“Toc, toc.” Dalla porta fece capolino Ropert con una tazza in mano.
“Posso entrare?”
“Certo.” Rispose Anya, spegnendo il cellulare. Tentò di sorridere
all’uomo: doveva dare atto che sua madre aveva un ottimo gusto. Sembrava fosse
un uomo tranquillo sempre vestito di tweed e con gli occhiali perennemente
scintillanti, eppure Anya era completamente sicura che dietro questa facciata
si nascondeva un uomo con
Sospirò e si rallegrò pensando che quella sera sarebbe uscita con
Xander.
“Ti ho portato una tazza di ottimo the. Lo do sempre a William quando è
nervoso.” E gliela appoggiò sul comò.
“Scusa, Rupert, non volevo urlare così forte, ma io e mamma abbiamo
esagerato. Prometto non succederà più.” Lui sorrise.
“Non fare promesse vane, Anya, sappiamo entrambi che a volte le cose
succedono e tra voi le cose girano in questo modo.” Con cautela si sedette sul
ciglio del letto. “Sono qui anche per chiederti una cosa importante.” Si sfregò
le mani tra loro leggermente nervoso.
“Ok, spara.”
“Io amo tua madre, sul serio e ci tengo molto a sposarla, ma per lei tu
vieni di sicuro al primo posto. Tu sei sua figlia e io sarei il primo a farmi
da parte perchè lei possa essere felice. E lei può essere felice solo se anche
tu lo sei. Anya... io ti chiedo seriamente: sei contenta se tua madre si
risposa con me? Puoi accettare che nella tua vita entrino a far parte due
sconosciuti come me e William?”
Anya lo fissò ad occhi sbarrati: non si era aspettata una chiacchierata
padre/figlia con un uomo che conosceva da poco più di un mese. Neppure con il
suo vero padre era mai successo, di solito le discussione, serie o meno, le
faceva con sua madre. Si rese immediatamente conto di quanto lui amasse
veramente sua mamma se addirittura veniva a parlare con lei.
“Ma certo! Signor Giles...Rupert, io non ho nulla in contrario al vostro
matrimonio, anzi, se devo essere sincera sono contenta che mamma abbia trovato
qualcuno che ama sul serio. E lei mi sta molto simpatico, è un brav’uomo. E
anche William mi piace: magari ogni tanto ascolta musica un po’ strana, ma è un
difetto sul quale posso soprassedere.” Disse velocemente lei. “Non è per lei che
mi sono messa a litigare.”
“Ti prego, dammi del tu, se mi dai del lei mi fai capire quanto sono
vecchio.”
“Ok... allora, non è per te che mi sono messa a litigare con lei. Se a
mamma piace stare qui nessuno le vieta di viverci, ma perchè deve mettere in
mezzo me? Io venivo volentieri al suo matrimonio, ma poi volevo tornarmente a
casa mia, a Ginevra, invece mi tocca restare qui.” Giles prese un respiro
profondo e la guardò. Di certo non poteva dirle quale era la vera realtà dei
fatti.
“Hai mai pensato che forse non c’è altra possibilità?” dicendo questo,
si alzò dal letto. Anya lo guardò confusa: che voleva dire con quelle parole?
“Comunque ricorda che la cena sarà servita a breve. Ti aspettiamo di la.” Ed
uscì chiudendosi la porta alle spalle.
“Questo è proprio stano.” Mormorò la ragazza.
“Buongiorno signorina Chase.” Cordelia entrò per la sua seduta
psicologica nello studio del suo analista. All’inizio ci era andata molto di
controvoglia, ma ora si era abituata e non le dispiaceva molto il lavoro che stava
portando avanti con lui. Con lui riusciva a parlare di praticamente tutto senza
vergognarsi e, in fondo, non era questo il suo lavoro?
“Buongiorno dottor Webster.” Lo salutò sorridendo. Lo psicologo non era
molto vecchio, aveva circa trentacinque anni, ma molti dei suoi articoli sul
disagio giovanile erano stati pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche
nazionali e questo lo avevano fatto diventare uno dei terapisti più ricercati
di California.
“Allora, è pronta per la sua ora di inferno?” le chiese ridendo e
Cordelia non potè che sorridere con lui.
“Certo, sono venuta qui volontariamente, pensi. Sto diventando brava. O
masochista.”
“E sicuramente con la risposta pronta. Bene, come va a scuola?”
Ed iniziarono così la loro seduta: Cordelia parlava a ruota libera, solo
ogni tanto veniva interrotta dall’uomo incuriosito su piccoli particolari che
lei riteneva superflui, ma che per lui erano piuttosto rilevanti. E più parlava
e più Cordelia si sentiva svuotata, sentiva la sua testa farsi più leggera, riusciva
a capire delle cose che prima le erano sembrate intraducibili. Vedeva meglio i
fili che la legavano al mondo esterno, ai suoi genitori ed ai suoi amici. Si
sentiva rinfrancata, nonostante la difficoltà che provava ogni volta nel capire
di aver sbagliato nelle cose. Doveva distruggersi, prima di potersi
ricostruire.
“Stai facendo degli enormi passi in avanti, Cordelia, brava.” La elogiò
il dottore. Anche lui sapeva che in quella fase del lavoro doveva darle degli
stimoli e farla sentire bene con le parole era la cosa migliore. Elogiarla era
fondamentale per stimolare il suo ego.
“La ringrazio, ma è tutto merito suo.”
“Oh no, è merito tuo. Le cose da sistemare le hai dentro di te, io ti do
una mano solo a trovare il bandolo iniziale, la matassa, poi, la srotoli da
sola e te la cavi alla grande.” Non erano ancora arrivato al punto focale, ma
tutto andava fatto passo per passo.
Cordelia arrossì al complimenti, poi gli strinse la mano e lo lasciò al
suo prossimo paziente, che attendeva in sala d’aspetto.
Si sorprese nel trovarci anche Liam: era seduto a leggere una rivista
senza perderci troppo tempo. Indossava il suo classico cappotto nero e lungo e
aveva la sua tipica aria da pensatore. A Cordelia venne da ridere.
“È proprio vero allora che tu rimugini sempre.” Gli disse per prenderlo
in giro. Liam alzò lo sguardo su di lei e le sorrise piano. Le piaceva vederla
dopo le sedute, era sempre radiosa e gli dava l’idea di stare veramente bene.
“Non sono tutte leggende metropolitane.”
“Sai, sei proprio buffo.”
“Buffo? Non scherziamo troppo, ho una credibilità da proteggere.” Si
misero a ridere così forte che la segretaria del dottor Webster li zittì con un
‘ssst’ seccato. I due decisero che era decisamente meglio se uscissero fuori.
“Hai visto che faccia che aveva?” Cordelia trascinò Liam in un a piccola
caffetteria e ordinò due cioccolate: non era ancora riuscita a riprendere a
mangiare regolarmente, ma aveva scoperto che le cose liquide riusciva a non
vomitarle. Ottimo punto d’inizio.
“Allora, il dottore è bravo?” Domandò Liam.
“Il migliore per questo genere di cose. È ovvio che lo sia, altrimenti
papà non mi ci avrebbe mai portato.”
“I tuoi non hanno nulla da ridire sul fatto che ogni tanto ti vengo a
prendere io?”
“Non più. Il dottor Webster li ha convinti che i faccia bene uscire e
parlare con una persona che mi è amico e non solo un familiare.” E gli sorrise.
“Bhe, mi piace come cosa. Mi sarebbe seccato uscire dalla tua vita.”
Disse con tranquillità Liam mentre sorseggiava la scura bevanda. Cordy lo
guardò stupita: in quei giorni di terapia non aveva mai pensato a se stessa
senza Liam vicino, ormai era diventato essenziale.
“Non riusciresti mai ad uscire dalla vita di nessuno. Quando ci entri
diventi un faro, la luce per uscire dal tunnel...almeno dal mio tunnel di
sicuro.”
Finita la chiacchierata al bar, Liam la accompagnò a casa con l’auto di
famiglia. Arrivarono davanti al cancello di casa Chase.
“Grazie di tutto Liam. Non so che farei adesso, se non ci fossi tu.”
“Il piacere è tutto mio, Cordelia.” Si grattò il collo leggermente a
disagio “Senti, ti va di venire con me ad una festa? Nulla di esagerato...
qualcosa per uscire assieme.”
“Ma certo! Volentieri.” Cordelia sentì il cuore gonfiarsi di felicità:
un’uscita ufficiale con Liam O’Connor... wow!
“Perfetto, ok, ti passo a prendere domani sera per le nove.”
“Certo.”
Liam si abbassò su di lei per baciarle la guancia, ma alla fine optò per
qualcosa di diverso. Le labbra si toccarono leggermente, giusto il tempo per
assaporare l’aria attorno a loro. Poi Cordelia, con un sorriso, scese
dall’auto.
Finalmente la caviglia era ritornata alla normale funzionalità o almeno
c’era molto vicino. Illyria gli aveva insegnato come fasciarsela in modo tale
che non si slogasse facilmente ed Oz praticamente stava girando da un pio di
giorni con metri di scotch a proteggere l’articolazione. Ovviamente non
dimenticava di spalmarsi l’anti-infiammatorio e i bagni di acqua e sale come
gli era stato consigliato: voleva poter guarire al più presto, gli mancava
troppo giocare.
Non l’avrebbe mai immaginato, ma giocare con i Red Fox stava veramente
diventando divertente. Monica gli aveva finalmente dato un’identità di squadra,
nessuno più giocava per se stesso, ma tutti lottavano per il medesimo scopo, la
vittoria. E doveva ammettere che gli veniva piuttosto bene. Nonostante la
battuta d’arresto esterno, si erano ripresi in fretta e già le due gare
sucessive avevano sbaragliato gli avversari, anche senza di lui in campo.
Monica stava insegnando a Wesley a dirigere la squadra, in modo che se
Oz fosse stato fuori uso di nuovo, qualcuno di abbastanza intelligente
tatticamente, potesse prendere il suo posto. Il rosso aveva osservato il povero
Wesley cercare di fare qualcosa che non aveva mai fatto prima, e, risate a
parte, era rimasto molto sopreso da come il ragazzo seguisse gli ordini della
loro allenatrice senza fiatare. Del resto anche gli altri aveva capito che lei
ed Illyria non erano due persone da prendere in giro ed erano veramente degne
del rispetto che avevano richiesto ad inizio anno. Era facile, per i ragazzi,
darglielo: non li avevano mai trattati come degli imbecilli senza spina dorsale
come facevano tutti gli altri coach in generale, ma si erano date da fare per far
emergere tutta la loro potenzialità.
E anche per questo Oz non vedeva l’ora di poter di nuovo allenarsi come
tutti gli altri e non solo a fare esercizi specifici di rinforzamento per
l’articolazione.
Camminò senza troppi sforzi fino alla sua vespa ed iniziò a guidare per
la città: aveva sempre adorato gironzolare in solitario pensando alla sua
musica o agli schemi di gioco, quindi ora, che poteva beneficiare di qualche
ora di riposo prima dell’allenamento, prese a sfrecciare libero per le strade
di Sunnydale. Decise di andare alla biblioteca cittadina: doveva ancora
iniziare un tema di storia sulla rivoluzione industriale e doveva farlo bene,
ne andava di metà voto del trimestre. Si perse tra gli scaffali di libri,
indeciso su quale portarsi a casa: non gli dispiaceva leggere di tanto in
tanto, ma preferiva sicuramente buttarsi sulle biografie dei cantanti famosi.
Prese due volumi di storia e poi andò nella sua sezione: trovò proprio
quello che cercava. Vita e Musica di Bono Vox. Sorrise e andò dalla bibliotecaria
a registrare le sue scelte. Mentre la donna giocava con i codici a barre delle
etichette, Oz si guardò in giro, alla ricerca di qualcuno che poteva conoscere.
Sapeva, in realtà che i suoi amici preferivano star molto lontani dai libri,
manco fossero una malattia, ma,
nonostante tutto, in lontananza scorse una chioma rossa ben nota. Sorrise
felice e le si avvicinò.
“Ciao, Willow.” Lei sobbalzò.
“Oh... Oz, che ci fai qui?”
“Prendo dei libri, ti sembra una cosa strana?” e si sedette vicino a
lei.
“Visto quanto è affollata di solito, sì, mi sembra strano.” Chiuse il
libro da cui stava traendo informazioni di algebra e lo guardò: le stava
sorridendo, come se aspettasse qualcosa che non stava arrivando. “Vuoi dirmi
qualcosa?”
“Sì, una cosa ci sarebbe... hai voglia di prendere un gelato con me?”
quella richiesta la spiazzò. Un gelato? Cosa voleva Oz veramente? Un’altro
bacio... le sue rotelline si misero in moto frenetiche.
“Uhmmm...ok?” Oz si mise a ridere così forte che la bibliotecaria lo
zittì severa.
“Non voglio obbligarti, quindi me ne vado da solo.”
“No!” Esclamò Willow. Ora che lo aveva rivisto aveva voglia di passare
un po’ di tempo con lui. Si diede mentalmente una serie di calci al cervello:
non poteva continuare ad essere così insicura sui propri sentimenti. “Cioè, mi
farebbe piacere un gelato.” Ecco, pensò, così va meglio. Non fargli pensare che
lui ti può interessare.
“Perfetto, allora uscimo da questo posto tetro... o la strega ci
impedirà di divertirci.” Fece lui indicando la bibliotecaria che continuava a
guardarli in cagnesco per il tono di voce poco consono al luogo.
I due si avviarono in fretta verso l’aria aperta, fermandosi davanti
alla vespa bianca di Oz. Willow stava guardando il motociclo con sguardo poco
convinto.
“Bella vero? Originale italiana, mio zio ha fatto carte false per
farmela arrivare qui.” Disse lui con gli occhi che gli brillavano d’amore.
“Splendida...” fece laconica Willow.
“Tieni, questo è meglio se lo metti tu.” E le porse il casco integrale
rosso. “Non ne ho due e sarebbe un peccato che se, cadendo, ti rovinassi quel
bel faccino.” Willow arrossì a quel complimenti e si allacciò il casco sul
mento: era la prima volta che saliva su una Vespa e non sapeva come mettersi.
Vide Oz che faceva smontare il mezzo al cavalletto e l’accendeva.
“Forza, salta su.” Willow posizionò lo zaino dietro le spalle e, con le
gambe divaricate, si sedette impacciata dietro al ragazzo, afferrandolo forte
per la vita, tanto che le dita sembravano penetrare la carne.
“Così mi fai male. Cerca di stare calma, sono bravo a guidare.” Willow
lasciò leggermente la presa, riprendendola nel momento stesso in cui Oz diede
gas per partire.
Il ragazzo fu favorevolmente colpito nel sentire il corpo di Willow
completamente appoggiato alla sua schiena: il dolce profumo di lei, gli arrivò
chiaro e nitido direttamente al cervello. La sua voglia di baciarla crebbe
esponenzialmente.
Prese velocità nelle strade principali, guizzava senza nessuna paura tra
le auto ferme al semaforo, con Willow che ogni tanto lanciava qualche urletto.
Aveva paura quando passavano vicinissimi ad i veicoli in sosta. Eppure anche
lei sentiva l’eccitazione crescere, la velocità non sembrava spaventarla troppo
e il vento che entrava nel casco la faceva sentire libera. Sorrise durante una
curva che Oz si divertì a fare a tutta.
Willow scoprì in quel momento il mondo delle due ruote.
Il ragazzo si fermò davanti alla spiaggia della città.
“Allora, tutto ok?” le domandò.
“Sì, non male. Non pensavo fosse così divertente.” Rispose sorridendo
radiosa. Voleva rifarlo.
“Ma se urlavi...” la prese in giro Oz.
“All’inizio ero veramente spaventata, mi sentivo in un equilibrio
piuttosto precario, però poi ho capito quali posizioni dovevo tenere a seconda
della strada e di come tu guidavi e mi è sembrata una cosa così naturale.” E
gli porse il casco. Oz la guardava sorpreso: aveva creduto che le si mettesse
ad urlare perchè era andato troppo forte, invece sembrava fosse tutto il
contrario. Lo apprezzò.
Iniziarono a camminare lentamente per il lungo mare: non c’era nessuno
in spiaggia, ovviamente, dato che era febbraio e faceva ancora freddo, ma il
sole splendeva e rendeva il pomeriggio scintillante per quelle ultime poche ore
di luce.
“Allora, come stai? Intendo, la caviglia.”
“Bene, si sta riprendendo. Se tutto va per il meglio, la prossima gara
dovrei giocarla.”
“Meglio, senza di te in regia sono leggermente persi.”
“Non è vero. Stanno andando bene lo stesso.” Protestò lui, anche se si
sentiva veramente contento che Willow lo stimasse così tanto.
“Mi sono spiegata male. Wesley sta facendo del suo meglio, anche aiutato
da Spike, ma non è un play di natura, lo sta diventando e con molte difficoltà.
Non ha quella proprietà di palleggio che ti contraddistingue. È bravo a leggere
la difesa, ma... non è un play.” Oz annuì: non avrebbe potuto spiegare meglio
la situazione.
“Hai ragione, ma è bravo, si può migliorare certamente, ma sta facendo
il possibile.”
Continuarono a chiacchierare tranquilli, avvicinandosi sempre di più. Si
sentivano bene, come se fossero amici da sempre.
Oz le parlava del suo gruppo, di come gli piaceva suonare, delle serate
al Bronze, mentre Willow ascoltava attentamente. Le piaceva ascoltarlo, parlava
così bene, in maniera così fluida. Sì, a Willow, Oz piaceva veramente tanto.
Presero il gelato nel piccolo baracchino della spiaggia, poi andarono a
sedersi uno di fronte all’altra sul bordo di una fontana, che in quel momento
non stava spruzzando acqua. Oz aveva le gambe distese, mentre Willow le aveva
incrociate. Stavano semplicemente lì, a guardarsi ed a ridere e scherzare, non
si toccarono neppure una volta, restando comunque sempre molto vicini.
Non si erano mai sentiti così uniti.
Restarono lì fino a quando il sole non sparì oltre l’orizzonte: il vento
si era alzato e cominciava a fare fin troppo freddo per stare fermi seduti.
Quasi corsero, praticamente rincorrendosi. Alla Vespa, Oz si coprì il più
possibile con la pesante sciarpa di lana che sua madre gli aveva fatto a mano,
mise i guanti e accese il motore, mentre Willow si allacciava il casco con
attenzione.
Ripresero la strada per casa, sempre andando piuttosto veloce: Oz si
divertiva a misurare i suoi riflessi e Willow si sentiva sempre più eccitata.
Si stringeva al ragazzo sempre di più contenta di aver deciso di aver fatto
quel giro con Oz. Mentre stavano per parcheggiare davanti alla biblioteca, dove
la ragazza aveva lasciato la sua bicicletta, Willow appoggiò la guancia,
coperta dal casco, sulla schiena di Oz e lo abbracciò forte.
“Grazie del giro, mi sono divertita moltissimo.” Gli disse porgendogli
il casco sorridendo.
“Mi sono divertito anhe io, bisognerebbe rifarlo, che ne dici?”
“Va bene.” Si guardarono senza nulla da dire: Willow si sentì
leggermente imbarazzata, quindi sorrise e se ne andò.
Oz si sedette sulla Vespa e prese a seguirla con lo sguardo. Sperava
ardentemente di poter uscire di nuovo con lei molto presto. Sentirla dietro di
se, aggrapparsi ai suoi fianchi ed aspirare il suo profumo era stato qualcosa
di veramente mitico. Si passò la lingua sulle labbra, come se avesse assaggiato
qualcosa di buono ed avesse il suo gusto ancora in bocca.
Mentre si avvicinava allsua bicicletta ancora legata davanti alla
biblioteca, Willow pensava solo ed esclusivamente a quello che provava. Il
pensiero di Xander era ormai sbiadito: ci aveva parlato pochissimo, lui si era
trovato una ragazza che lo faceva stare bene, quindi era il suo momento di
voltare pagina ed Oz era lì pronto ad aspettarla. Quel pomeriggio si era
comportato da perfetto gentiluomo, non aveva provato a forzare nulla, tutto
quello che poteva essere successo era partito da lei stessa. E a lei piaceva:
quello strano ragazzo dai capelli verdi e
Ne aveva parlato anche con Buffy, che nelle storie con i ragazzi ci
navigava molto meglio di lei, ed erano giunte assieme alla conclusione che
Willow era ben che cotta e che la sua ritrosia nel confronti del ragazzo era
dovuta semplicemente all’increscioso primo bacio rubato. In fondo Oz si era
dimostrato pentito e paziente con lei.
Willow si fermò a metà strada e si voltò a fissarlo: i capelli corti
erano sparati da tutte le parti grazie alll’aria presa sul motorino, le labbra
socchiuse in un sensuale sorriso e gli occhi che la guardavano scintillanti.
Decise di fare la sua mossa: ritornò sui suoi passi, facendolo sorprendere e
quando si ritrovò a pochi centimetri da lui, inclinò leggermente il capo e lo
baciò sulle labbra, tenendole strette, in modo che semplicemente si toccassero.
Oz rimase incredibilmente sorpreso dall’intraprendenza di Willow: aveva pensato
che riuscire a farla capitolare fosse un’impresa molto più ardua, invece...
quella volta era stato fregato alla grande, ovviamente non che se ne
lamentasse.
Si staccarono guardandosi negli occhi intensamente.
“Ok... è stato... uhmmm è stato?” domandò Oz che fu il primo a
riprendersi.
“Qualcosa di bello?”
“Anche di più... e potrebbe essere ancora meglio...” e così dicendo la
abbracciò e la portò più vicino a sè. La baciò con passione passandole una mano
dietro al collo, cercando di insinuare la lingua nella bocca di lei per poterla
assaggiare al meglio. Willow rimase leggermente spiazzata, ma si arrese pochi
secondi dopo permettendo l’entrata. Quello che ne seguì fu per entrambi
piuttosto esplosivo: Willow, che non aveva mai baciato in quella maniera prima
d’ora, si sentiva volteggiare a dieci centimetri da terra. Il sapore di lui era
qualcosa di assolutamente piacevole, il suo profumo intossicante e decise che
le piaceva. Sì, avrebbe tranquillamente potuto rifarlo.
Oz, dal canto suo, capiva che per lei erano i primi approcci, quindi
cercava di guidare la cosa il meglio possibile. Lei gli stava dietro e pure con
favoloso entusiasmo, quindi continuò. Sentì che Willow cercava di aggrapparsi a
lui, come per non cadere, quindi la strinse maggiormente.
Fu lei a staccarsi: la mancanza di ossigeno cominciava a farsi sentire,
dato che non era molto abituata a baciare e la perfezione avviene con la
pratica.
“Wow... questo è stato... Wow.”
“Non avrei potuto dirlo con parole migliori.” Rispose Oz prendendole una
ciocca rossa e portandogliela dietro l’orecchio. “Sei splendida, Willow.” Lei
arrossì al complimento e prese a balbettare qualcosa di poco chiaro
all’indirizzo del ragazzo che si mise a ridere.
“Non prendermi in giro, ti prego.”
“Non mi permetterei mai. Senti... che te ne pare se stasera ti invito ad
uscire al Bronze? Io suono con la mia band dopo l’allenamento, sai ci faccio un
po’ di dollari... magari ti piacerebbe sentirmi suonare.”
“Certamente!!” Esclamò felice lei. Un appuntamento, di quelli veri, per
lei, Willow Rosemberg, nerd sociale e sempre costretta a rimenere ai margini.
Fu la cosa migliore per concludere degnamente il pomeriggio.
Si baciarono ancora, fino quando non finirono tutta l’aria a loro
disposizione.
CAPITOLO QUINDICI
La ragazza non ci era proprio portata. La letteratura inglese stava a
Virginia, come l’olio stava all’acqua, cioè male. Wesley alzò gli occhi per la centesima
volta, mentre lei diceva qualcosa di assolutamente improbabile.
“Ma tu mi ascolti quando parlo?”
“Certo...solo che non ti capisco. Avanti Pryce, sono cose assurde, a
cosa mi serviranno in futuro queste cose?”
“Vuoi andare ad Harvard? Allora è meglio se le sai queste cose.”
“Ma io voglio studiare chimica, non letteratura!” Wes ammetteva di
capirla perfettamente, ma non potreva certo darle ragione.
“Senti, basta solo che arrivi al sette, per il resto che ti importa. Il
prossimo anno non dovrai più a che fare con Whitmann e cose affini.”
Virginia sbuffò, ma tornò ad immergersi nei libri.
Per una buona ora, la ragazza riuscì a resistere, ripetendo dietro
Wesley, date ed autori, con le loro opere più significative, ma alla fine
decise che una pausa fosse d’obbligo.
Andò in cucina e ordinò del succo per lei e del the per lui, insieme a
dei deliziosi biscotti al burro. Wes si sentì intimorito da questo sfoggio di
potere, soprattutto quando la cameriera entrò in camera portando il vassoio con
le cibarie.
“Avanti Pryce, goditi la vita finchè puoi.” Lui non disse nulla, si
limitò a sorseggiare dalla sua tazza: non aveva mai avuto una cameriera tutta
per sè. Si immaginò Monica con la divisa nera e la crestina bianca tra i
capelli e sorrise. Virginia, che ignorava il tutto, annuì soddisfatta: non era
poi tanto male quel inglese.
“Senti un po’, lo so che non sono fatti miei, ma la curiosità mi sta
ucciedendo.” Iniziò Virginia. Wes la osservò da dietro gli occhiali.”Chi è
lei?”
“Prego?!” Si imparpagliò lui non capendo del tutto, dato che stava
ancora pensando a Monica in grembiulino. Virginia sbuffò leggermente
spazientita.
“Ma sì, la ragazza in questione, quella che devi ingelosire. Avanti, non
sono scema, a te servo per fare pratica.” Wesley la fulminò con lo sguardo.
“Ti avevo già detto che non è un argomento di discussione.” Lei
ridacchiò.
“Ogni giorno faccio la parte della brava fidanzatina. Non che la cosa
faccia così schifo, si intende, a baciare sei molto bravo, ma mi sembra di
essere affittata...” e lasciò in sospeso la frase, mentre sbocconcellava un
biscotto.
Wes la fissò pensieroso: non aveva mai messo in conto il fatto che alla
ragazza l’accordo potesse pesare. Virginia, un po’ come Darla, era una persona
che si divertiva parecchio in giro. Molti ragazzi declamavano le sue qualità e
lui era andato in automatico, ma a questa specie di compravendita non aveva
proprio pensato.
“Scusa, hai ragione.” Le disse poggiando la tazza sul piatto. “Forse è
meglio se torno a farmi pagare e lasciamo stare questo accordo.” Lei fece
spallucce.
“Come preferisci. Io mi diverto abbastanza, specie quando vengo in
palestra...” e gli scoccò un’occhiata maliziosa. Non era un’oca senza cervello,
nonostante la sua nomea, aveva capito che era lì che Wes dava il suo meglio per
essere il fidanzato ideale. Lui arrossì leggermente e lei sorrise vittoriosa.
“...con tutti quei bei ragazzi. Che tu sappia, Robin è single?”
“Ehm...non lo so, dovrei chiedere.”
“Lo faresti per me? Adoro la cioccolata.”
Wes sorrise a rimando: stava iniziando a stargli simpatica.
“Anya, devi smetterla. Il matrimonio sarà tra tre mesi e tu no puoi
continuare per tutto questo tempo a stressarmi l’anima che vuoi tornare in
Europa. Non ci torni fino a quando non avrai finito scuola, questo è quanto.”
Terminò Jenny brandendo un mestolo, mentre stava sistemando i piatti.
“Ma vorrei capire il perchè. Io a che ti servo?”
“Sei mia figlia, è ovvio che voglio averti vicino a me.” Anya non
demorse.
“E per tutto questo tempo? Non ero tua figlia?” Jenny la fissò con
dolore evidente. Sentiva che stavano allontanandosi sempre di più e che sarebbe
stato sempre più difficile riavvicinarsi.
“Anya, le cose cambiano e non sempre ci si può far qualcosa.” La ragazza
stava per protestare, ma il campanello della porta le inturruppe.
“Vado io, sarà Xander.” Mormorò Anya ancora imbronciata. Infatti il
ragazzo apparve e venne immediatamente dirottato nella sua stanza, senza che
lui riuscisse a salutare i padroni di casa.
“Aspettami, vado a prendere qualcosa da bere.” Gli disse Anya lasciandolo
un po’ interdetto. Xander si mise a gironzolare per guardarsi intorno.
La ragazza tornò in cucina dove c’era ancora sua madre che finiva di
pulire. Non si dissero nulla, si lanciarono solo un’occhiata nervosa, e il
povero Giles che era nel mezzo, non sapeva veramente più che fare. L’aria di
casa stava diventando troppo irrespirabile, erano tutti nervosi: lui per il
matrimonio, Jenny per Anya e Anya per Jenny...e poi c’era William. Lui era un
bel mistero: ultimamente sembravameno scavezzacollo del solito, si allenava un
sacco e alla sera tornava a casa sempre distrutto, ma sembrava felice e
decisamente incurante dello stato d’animo del resto della familia.
“Beato lui...” Sospirò Rupert, girando la pagina del giornale, senza
accorgersi dell’occhiata mesta della futura moglie che aveva già capito tutto.
Jenny maledì per la centesima volta in quel giorno il suo ex marito: era
tutta colpa sua se il rapporto con la figlia si era deteriorato in quella
maniera. Lui non aveva mai fatto parola con la ragazza del fatto che avesse
smesso di pagarle gli alimenti, ma, soprattutto, erano mesi che non si faceva
sentire. Anya credeva che fosse a causa sua ed era nervosa anche per quello: un
motivo in più per litigare con Jenny, perchè era ovvio che se papà non si faceva
sentire, era stata mamma a fare qualcosa di male. Lo avrebbe ucciso se avesse
potuto.
Finito di riempire due bicchieri di Coca, Anya tornò in camera e trovò
il suo ragazzo che osservava qualcosa.
“Che
carina che sei qui!” esclamò Xander mentre guardava una foto. Aveva aperto una
scatola a fiori che Anya teneva sopra la scrivania. La ragazza si avvicinò a
lui e sorrise.
“Sono
a scuola con le mie compagne.” Era raggiante mentre guardava l’obiettivo, con,
sullo sfondo, il lago di Ginevra. Era con altre tre ragazze vestite tutte
uguali. “Questa l’ho scattata a settembre e ancora non sapevo che mi sarei
dovuta trasferire qui.” Finì con una punta di amarezza.
“Bhe,
considera che se fossi ancora in Svizzera non ci saremmo conosciuti.” Anya non
disse nulla, ma dentro di sé si stava chiedendo se conoscerlo valeva il saldo
pagato lasciando le sue amiche. Non le sembrava giusto dare una risposta a
quella domanda.
I
due si sedettero sul letto continuando a guardare le foto della giovane: molte
erano state scattate con le sue compagne di scuola, in diversi momenti della
sua carriera scolastica, con i professori anche lontano dalla Svizzera. In
altre si vedeva una piccolissima Anya in compagnia di Jenny ed un uomo alto e
biondo, che evidentemente doveva essere suo padre, anche perché si
assomigliavano un sacco.
“La prossima volta mi farai vedere tu le tue foto.” Fece Anya al termine
dello show, ma Xander fece una smorfia.
“Io ne ho molto poche. I miei hanno fotografato soprattutto Riley e
Liam. Io sono il terzo e più sfigato… diciamo che in famiglia conto di meno che
il due di picche.”
“Scusa se te lo chiedo…ma…”
“Ma…”
“Sì, insomma… sono curiosa…”
“Spara senza paura.” Cercò di incoraggiarla lui sorridendo.
“ Cosa è successo a tuo fratello Riley?” Xander perse solo una piccola
parte del suo sorriso tranquillo. Ormai era una storia talmente vecchia che non
gli faceva più male, almeno non troppo.
“Quando Riley finì la scuola, decise di non andare al college, ma di
onorare la famiglia andando a West Point, l’accademia militare. Lì ha fatto
grandi cose: era bravo, obbediva ed imparava decisamente in fretta. In pratica
è diventato il soldato perfetto. A ventitrè anni lo hanno spedito in Kosovo,
durante la guerra e la è saltato insieme al suo convoglio su una mina anticarro
ed è morto.” Il silenzio cadde pesante nella stanza: Anya sapeva che il primo
fratello O’Connor non c’era più, ma sentirselo raccontare in quella maniera
l’aveva gelata.
“Mi spiace.” Mormorò lei.
“Già, anche a me. Mi manca molto, più che a Liam, credo. Quando Riley
era a casa…” prese un profondo respiro “quando lui c’era, mamma e soprattutto
papà amavano di più anche me, credo per riflesso. Tutti dicevano che io
crescendo sarei diventato come lui, invece ora sono solo una delusione per
tutti.”
“Non è vero!” si inalberò Anya “Non sei una delusione per tutti, almeno,
non lo sei per me. A me tu piaci molto, sei simpatico e il sesso va alla
grande.” Xander divenne rosso a sentir declamare la sua… capacità, ma apprezzò
il complimento. “E poi hai molti amici che si trovano bene con te, una squadra
alla quale non puoi mancare. Sono sicura che se tuo fratello fosse qui, te le
direbbe lui queste cose. Devi avere più fiducia in te e nei tuoi mezzi.”
Xander la abbracciò: avere una ragazza che lo coccolava così era
decisamente gratificante. Tutto completamente diverso dal primo tenero ed
innocente rapporto avuto anni prima con Cordy, ma proprio per questo
assolutamente più completo.
“Uhhh, guard qui, le tue pagelle.” Fece lui tirando fuori dalla scatola
di Anya un mucchio di fogli. Voleva cercare di stemperare l’aria pesante che si
era creata.
“Oh, non mi ricordavo di aver messo lì dentro i documenti della scuola.
E mia madre che li cercava ovunque… dovrò darglieli.”
“Però, andavi abbastanza bene.” Fece lui sfogliando i diversi fogli. Non
capiva del tutto le varie meterie, dato che erano scritti in francese e
tedesco, ma i numeri erano internazionali, quindi quelli li interpretava
giustamente.
“Diciamo che non mi sono mai sbattuta troppo a studiare, ma neppure
facevo schifo.”
“Dovrò prendere ripetizioni da te, almeno in francese.”
“Quando vuoi. Pagamento anticipato, però.” Lui la fissò stralunato… si
era dimenticato che la sua ragazza era piuttosto venale.
“Va bene… posso pagare in natura?” chiese scherzando, ma lei rispose seria.
“Con quello non si compra niente. Il sesso è divertimento, non
pagamento.”
“Stavo scherzando, tesoro.”
“Io non scherzo mai sui soldi, sono importanti. Me lo ha insegnato mio
padre… in effetti è un dei primi ricordi che ho di lui.” E chissà come mai è diventata
così. Pensò Xander senza dirlo, ma gli venne da ridere.
“Aspetta un po’… quelle non sono pagelle.” Fece Anya facendo fuoriuscire
dal plico di carte alcuni fogli. Erano scritti in francese, quindi Xander non
riusciva a capire che cosa fossero, ma c’era l’intestazione di una banca in
alto, quindi immaginò che si trattasse di pagamenti. “Sono fatture… intestate
alla scuola.” Continuò lei senza badare a niente altro. “Devono essere le rate
della mia iscrizione.”
“Wow, tutti questi soldi?”
“Bhe, era una prestigiosa scuola privata, è ovvio che si paga tanto.”
Spiegò lei paziente, come se stesse spiegando ad un bambino.
“Non credevo che Jenny avesse tutte queste possibilità.”
“Infatti era papà che pagava. Faceva parte del loro divorzio, da quanto
ho capito. Vedi, qui c’è il nome di mio padre.” Disse lei indicando il foglio.
“Qui no, però… “
“Come sarebbe a dire?” fece Anya allarmata: questo per lei era una
novità.
“Bhe, l’intestataria è Jennifer Calendar, residente a Sunnydale,
California. È tua madre.” Anya, non ancora convinta, strappò la cedola di mano
e Xander e prese a fissarla inebetita: il ragazzo aveva ragione, era
decisamente sua madre, ma non poteva essere, doveva trattarsi di un errore.
Diede un’occhiata alla cifra e quasi le mancò il terreno sotto i piedi: erano
troppi zero per sua madre.
“E qui si ripete.” Disse Xander passando un secondo foglio ad una Anya
sempre incredula: erano le ultime due rate scolastiche, poi lei era ritornata
in America.
“Deve trattarsi di un errore, mia mamma non ha mai avuto tutti questi
soldi, è impossibile.” Sussurrò più a sé stessa che a Xander.
“Forse dovresti parlarne con lei… è l’unica che può dirti come stanno le
cose.” Suggerì saggiamente lui. La ragazza lo guardò come se non capisse, ma
annuì.
“Sì, hai ragione, lo farò.”
“Ok, allora io vado. Mi aspettano ad allenamento.” E così dicendo si
alzò dal letto, poi la abbracciò e le diede un bacio sulle labbra. “Chiamami se
hai bisogno, va bene?” Anya annuì e lo accompagnò alla porta.
“Arrivederci signor Giles, arrivederci signorina Calendar.” Ed uscì.
Anya fissò per qualche secondo la porta d’uscita pensando a come
affrontare sua madre, poi, con le cedole della banca in mano, andò in
soggiorno. Jenny e Rupert erano seduti sul divano che discutevano sulla
disposizione degli invitati durante il banchetto.
“Mamma, devo parlarti.” E addio al mio piano sulla circospezione, si
disse Anya. Non era riuscita a stare calma: vedendo il genitore tranquillo e
rilassato, era partita senza pensare.
“Dimmi tutto.” Fece Jenny sorpresa: aveva creduto che, essendo sua
figlia piuttosto arrabbiata, le stesse lontano, invece voleva parlare.
“Si tratta di queste.” E così dicendo le passò i fogli della scuola.
Jenny, quando capì di che si trattava, sbiancò di colpo facendo preoccupare
Rupert.
“Amore, che c’è?” lei non rispose, si limitò a passargli il malloppo e
lui capì.
“Ci lasci sole, per favore?” gli chiese lei e lui se ne andò in cucina,
in attesa dell’inevitabile scoppio. “Quindi?”
“E’ tutto quello che mi sai dire? Quindi? Cazzo, mamma, hai tagliato
fuori papà dalla mia vita fino a questo punto! Lo odi così tanto?” le urlò
senza remore.
“Ah, questo pensi? Che io lo abbia tagliato fuori dalla tua vita? Non è
possibile per te, Anya, che sia lui quello che si è defilato senza troppi rimorsi?
Ovviamente no, è sempre la mamma quella cattiva, papà è quello buono, quello
che mi paga la scuola, quello che non mi porta via da Ginevra… la vuoi vedere
così? Fallo, tanto ormai già mi detesti,
che vuoi che sia per me.” Nei profondi occhi castani di Jenny si stavano
formando pesanti lacrime di rabbia. “Ma sappi, giusto perché sono stufa di
passare sempre per stronza, che la direttrice della tua scuola, mi ha chiamato
a settembre per dirmi che era evidente che ci doveva essere un errore nei
pagamenti perché il signor Jenkins non aveva saldato il nuovo anno e che se
volevo che mia figlia continuasse a studiare, dovevo saldare io. Ho saldato e
tuo padre non mi ha ancora restituito nulla… due rate. E tutti i miei sudati
risparmi, che volevo consumare per il matrimonio o anche per un bel viaggio con
mia figlia dopo anni di separazione, sono volati nelle casse svizzere.” Finì
Jenny piangendo, ma con il mento alto.
“Non ha pagato? Papà non ha pagato la scuola?”
“No.” Rispose più quieta la madre. Ora che si era sfogata, stava meglio.
“Ho cercato di parlargli, ma a me si è sempre negato, cosa che credo faccia
anche con te, se non sbaglio. Non so neppure dove sia ora…” E rise amaramente.
Anya crollò sul divano vicino a lei.
“Io ho sempre creduto che fossi stata tu a non volermi più mandare in
collegio, invece…”
“Invece ho finito i liquidi.”
“Ma perché non me lo hai detto subito?”
“Credo perché me ne vergognavo.” E sospirò. “Insomma, sei mia figlia e
il mio dovere è quello di fare il massimo per te. Andavi in una scuola
splendida che ti avrebbe aperto qualsiasi porta senza troppi sforzi e non
riuscivo a fartela frequentare. Ho fatto del mio meglio, ma chiedere prestiti
non è nella mia natura. Speravo che tu fossi meno testarda e…” si mangiucchiò
un’unghia per il nervoso “… e in fondo speravo che tuo padre si dimostrasse
meno stronzo, cosa che purtroppo non è stato.”
Nella stanza cadde il silenzio: Anya rimuginava su tutte le informazioni
che aveva ricevuto in quella manciata di minuti. Aveva sempre idealizzato molto
suo padre: era un uomo rispettato nella comunità internazionale e si era sempre
dimostrato piuttosto attento con lei, non riusciva a crederlo capace di averla,
in effetti, abbandonata in quella maniera, eppure, secondo le carte e sua
madre, era quello che era successo in realtà. Inoltre ora riusciva a capire
perché da mesi il suo cellulare squillava sempre a vuoto oppure era
perennemente spento: suo padre non voleva parlare con lei, era evidente. Due
lacrime silenziose scesero sulle guance della ragazza.
“Mi dispiace, Anya, avrei voluto che tu non lo scoprissi in questa
maniera, ma non sapevo come fare per dirtelo.” Lei annuì, senza riuscire a
rispondere: aveva un nodo alla gola che le impediva di parlare e prese a
fissare il piccolo tavolino su cui erano sparsi gli elenchi di invitati e la
loro posizione nella sala.
“Sai, mamma, non credo che William sarà felice di essere sistemato nel
tavolo degli amici di famiglia.” La voce era tremolante, ma almeno era riuscita
a ridere.
“No? Eppure il signor Rosemberg gli vuole bene.”
“Secondo me dovreste metterci con gli altri ragazzi… insomma, i bacucchi
li lasciamo a voi.”
Le
due si guardarono e senza dirsi nulla si abbracciarono con un calore che da
molto tempo non erano riuscite a dimostrare.
Capitolo
sedici
Guardando
la neve che continuava a cadere, Monica sospirò: era mai possibile che in
California nevicasse a febbraio? Anzi, nevicasse e basta? Alla faccia dei
cambiamenti climatici globali.
Quella
mattina si era svegliata presto a causa della mancanza del solito rumore di
sottofondo. La sorpresa bianca che aveva trovato fuori la finestra attutiva
qualsiasi cosa.
"Una
buona domenica per stare a casa." Mormorò impastando acqua e farina. Aveva
deciso di darsi ai lavori di casa e alla cucina. Ogni tanto le piaceva viziarsi
con il cibo e trasformava casa sua in un bel ristorante per lei e le sue
amiche, ma scommetteva che quella sera non sarebbe passato nessuno da lei.
Quindi avrebbe congelato il surplus. Dal forno cominciava già a spandersi il
profumino dei dolcetti di sfoglia e mele e dei bignè che si alzavano
lentamente. Sul fuoco si stava cucinando l'arrosto e la pasta fresca era sul
tavolo ad asciugarsi. Insomma, era pronta per prepararsi a pranzare, ma mancava
ancora una buona oretta per mettersi a tavola.
In
tutta onestà Monica sapeva benissimo il perchè si era messa di buona lena fin
dall'alba con dei lavori che di solito non si sarebbe degnata di fare per le
settimane avvenire: non voleva pensare troppo a Wes. Quel ragazzino le stava
facendo andare fuori orbita tutti gli ormoni che le erano rimasti. Quando lo
vedeva o peggio, quando lui le si avvicinava e sentiva il suo odore, si
ritrovava con una voglia pazzesca di saltargli addosso. Ma doveva assolutamente
contenersi, quindi di norma, non si spostava di un millimetro e contava fino a
centomila per calmarsi.
Si
chiese se era normale questa fissazione per un ragazzino. Ragazzino che,
oltretutto, si faceva vedere sempre più spesso con quella bella rossa al fianco.
A quanto pare l'aveva ben che bene dimenticata. Maledizione, pensò, prima ci
prova e poi mi lascia. Tipico di ogni uomo che ho incontrato. Sospirò per
l'ennesima volta e cambiò disco nel lettore. Mise "Origin of
Simmetry" dei Muse ed iniziò a saltellare per casa sulle note di "New
Born" : Per lo meno si scatenava, visto che uscire e fare due tiri a
canestro era escluso. Solo dei pazzi sarebbero usciti di casa quel giorno. Si
chiese fuggevolemente se il giorno dopo sarebbe riuscita a restare a casa dal lavoro.
Le strade erano completamente ricoperte di neve e che lei sapesse, il comune di
Sunnydale non aveva spazzaneve adatti...come qualsiasi comune normale di tutta
Il
forno trillò la fine del programma e lei sfornò i primi manicaretti sorridendo:
la sfoglia aveva un bellissimo colore dorato e si era sviluppata perfettamente
ed i bignè erano ben gonfi. Insomma, tutto preciso! Infornò il pane e si mise a
pulire il piano di lavoro.
Mattew
Bellamy era arrivato a "Plug in Baby" quando Monica sentì bussare
alla posta di casa. Ci mise un paio di secondi a capire che c'era qualcuno
fuori che attendeva di entrare.
"Chi
cavolo è così pazzo?" si chiese piano, asciugandosi le mani sul grembiule.
Aprì la porta e rimase a bocca aperta: davanti a lei stava Wes. Era riuscita a
riconoscerlo dall'unica cosa che spuntava fuori dai vestiti, i suoi occhi
azzurri come il cielo. Ai piedi indossava un paio di Moon Booth d'annata neri,
un paio di pantaloni pesanti ed una giacca a vento di seconda mano verde
smeraldo. Completava il tutto una sciarpa di lana fatta a mano ed un berretto
ben calcato blu. Non c'era un colore che intonasse con un altro, ma Monica
immaginò che Wes non avesse mai potuto fare una cernita di vestiti per essere
coordinato, specie per cose così invernali che di solito lì non si usavano. Le
mani erano completamente arrossate, visto che non aveva i guanti.
"Che
diavolo ci fai qui? Entra o ti prenderai un malanno, sei pieno di neve."
Lo fece entrare in modo che si scaldasse. "Ma sei completamente suonato?
Con che criterio hai deciso di uscire oggi? Non vedi che tempo infame?"
continuò imperterrita lei. Adesso che era entrato, si era ritrovata leggermente
nervosa. Averlo troppo vicino era rischioso. Lui la fissò per qualche secondo.
In realtà quella mattina si era svegliato con in mente un solo programma:
andare da lei e baciarla. Solo che ora che era lì, gli sembrava che lei non
fosse molto contenta di vederla. Le stava urlando contro di tutto perchè era
uscito. Insomma, si era vestito a mille strati, qual'era il vero problema?
Aveva immaginato mille e mille modi per approcciarsi in maniera perfetta, ma
tutto stava svenendo. La seguì in cucina come un automa, ancora non aveva
proferito verbo.
"Wes,
ma sei vivo?" Domandò lei.
Wesley
si tolse la giacca, rivelando un maglione pesante di lana, la sciarpa e il
berretto. I capelli erano sparati da tutte le parti ed aveva il naso rosso per
il freddo, eppure a Monica sembrava bellissimo.
Lui
si avvicinò a lei, guardandola fissa negli occhi, le prese la testa dietro al collo
e la baciò. Aveva deciso che non gli servivano parole, ma solo fatti. Monica,
invece, si era sentita sopraffatta. Voleva continuare a baciarlo per ore, ma
una parte di se stava protestando. Eppure il calore di quelle labbra, in
contrasto con il gelo della mano che la teneva incollata a lui, non la faceva
smettere. Ok, chi voleva smettere? Lei non di certo. Fu il timer del forno a
riportarli alla realtà.
"Cazzo..."
Sussurrò lei.
"Ho
diciotto anni, adesso." rispose semplicemente lui, facendo andare in tilt
il sistema cerebrale di Monica.
"Ah..."
Si staccò da Wesley e chiuse il forno. "Cioè...oh mio Dio."
"Compio
gli anni oggi. Sono maggiorenne, niente prigione per te." Wes le tornò
vicino, praticamente non lascandole spazio per muoversi, visto che dietro di
lei c'era solo il piano di cottura.
"Ma
ci sono altre cose per il quale io e te...non si può." esalò lei, mentre
Wesley l'accarezzava.
"Vediamo
se ne trovi una." Senza esitare si fiondò su di lei a labbra aperte. Si
aspettava molta più resistenza, ma a quanto pareva anche lei aveva voglia di
lui.
Monica
mise in soffitta i suoi buoni propositi di rimanere casta e pura e si preparò
mentalmente a fare l'amore con lui, perchè sapeva benissimo che lì sarebbero
giunti.
"Ma
non qui, camera mia." Riuscì a borbottare nonostante lui le stesse
stuzzicando il collo con la lingua. Lo prese per mano e lo accompagnò su per le
scale. Arrivati nella sua stanza, Monica chiuse gli scuri, facendo piombare
nella semi oscurità Wesley.
"Nessuno
dovrà sapere. Almeno fino alla fine del Campionato." Decretò Monica e lui
annuì. Capiva, in fondo, i suoi timori. Lei gli tolse il maglione senza esitare
rivelando una camicia azzurra. Con lentezza gli aprì ogni singolo bottone. Le
mani lavoravano con sicurezza, ogni dubbio era svanito. Gli accarezzò con
dolcezza il petto sodo e muscoloso, ricordando quante volte aveva voluto
farglielo durante allenamento. Scosse il capo, ora lo poteva fare sul serio.
Wesley fece lo stesso con lei: prima le tolse il grembiule che aveva usato in
cucina e poi la leggera maglia della tuta, lasciandola solo con il reggiseno
nero.
Si
baciarono di nuovo, questa volta con dolcezza e lentezza, in modo da poter
assaporare ogni piccolo gesto. Monica gli accarezzò la schiena facendolo
respirare più a fondo, mentre lui continuava l'esplorazione del corpo di lei
con la bocca affamata. Si stava contenendo, se fosse stato per lui,
l'avrebbe prese e gettata sul letto
quasi con violenza. Con entrambi le mani le slacciò il gancio del reggiseno,
così da poterle mordicchiare i capezzoli induriti. La sentì mugolare e
continuò, insinuando le mani dentro i pantaloni della tuta. Le accarezzò le
natiche scoperte.
"O
ti dai una mossa, o ti violento io." Gli mormorò Monica all'orecchio.
Wesley si mise a ridere e la fece distendere sul letto. Lui troneggiava su di
lei e, mentre la fissava, si tolse la cintura e fece scendere i pantaloni. Fu
Monica a togliergli i boxer per poter vedere finalmente la sua virilità pronta
per lei. Wes le accarezzò le gambe e si
posizionò fra di loro aprendogliele il più possibile. Monica attese
praticamente senza respirare: era da mesi che non faceva sesso, specie con un
uomo che le piaceva così tanto come lui. Era una sensazione molto strana, come
se non aspettasse altro da tempo immemore. Da quanto lo voleva? Smise di farsi
domande quando lui la penetrò senza sforzo: era così eccitata da non avere
problemi n quello.
"Cazzo,
è perfetto." Si ritrovò a dirgli.
"Già.
Meglio di qualsiasi cosa abbia mai pensato." Wes prese a muoversi dentro
di lei lasciandole delle spinte vigorose: non aveva voglia di andare piano,
voleva possederla fino in fondo il prima possibile. E Monica si stava stupendo
di quanta capacità avesse lui, non se lo era proprio immaginata.
L'orgasmo
si stava formando in lei. Lo prese di nuovo per le labbra, aveva troppo voglia
di baciarlo ancora. Strinse le gambe attorno alle sue anche permettendo
un'angolazione ancora più stimolante. Si sentivano completi, perfetti, uniti
finalmente.
Wesley
capì che il rilascio era imminente, così insinuò una mano tra di loro, in modo
da andare ad accarezzare la piccola clitoride sensibile di Monica. Voleva
venire assieme a lei, voleva sentirla urlare il suo nome. Prese a picchiettarlo
e, così facendo, sentì che il corpo di lei reagiva, stritolandogli il membro
ancora duro. Con una stimolazione del genere perse completamente il controllo e
prese a muoversi ancora più veloce.
Monica
urlò: troppo tempo era passato da quando si era scatenata in quella maniera e
ne aveva assolutamente voglia. Fu Wes a farla smettere, rapendole la bocca per
un bacio profondo ed intimo.
Smisero
solo per riprendere fiato.
"Però,
mica male..." rantolò lei, mentre Wesley rotolava al suo fianco. Aveva di
nuovo voglia, ma non voleva fare la parte dell'ossesso. Le baciò le spalle e
lei miagolò soddisfatta, tanto che lui la guardò spiazzato.
"Miaooooo!
Mi ci voleva proprio." Si girò verso di lui e gli sorrise. "Sei
contento?"
"Parecchio."
Monica perse il sorriso e si rabbuiò. "Che hai?"
"Mi
domandavo... La tua ragazza?"
"Chi?
Io non ho nessuno."
"E
quella Rossa?" Lui rise quando capì di chi lei stava parlando.
"Quella
è solo Virginia. E' una mia amica." Lei lo guardò scettico e quindi Wes si
spiegò. "Lei mi serviva solo per farti ingelosire. Sai, farmi vedere da te
con un’altra donna doveva farti capire quanto io ti piacessi." Monica lo
fissò incredula.
"E
di chi è questa idea geniale?"
"Di
Spike."
"Hai
parlato di me a Spike?" la voce le era uscita di una tonalità più alta.
"No,
ovviamente no. Era tutto in senso lato. Gli ho solo detto che ero innamorato e
che mi serviva conquistare questa donna fantomatica. Lui ha proposto di far
leva sulla gelosia, ma mi sa che ha funzionato poco." Monica decise di non
dar soddisfazione a Wes dicendogli che in parte il loro progetto aveva anche
funzionato: in effetti vederlo con quella Virginia le dava fastidio.
Sentì
sulla coscia che Wes era ben pronto ad un secondo Round e decise che lo era
anche lei.
Era
pomeriggio inoltrato e la luce si stava affievolendo ad ovest. La neve aveva smesso
di scendere e loro erano ancora mollemente distesi a letto a parlare e
coccolarsi. Era parecchio strano, per Monica, confidarsi con un ragazzo giovane
come lui, ma doveva ammettere a se stessa che lui era decisamente più adulto
rispetto a molti uomini che aveva conosciuto in precedenza e che per età
avrebbero dovuto essere più grandi. Sospirò al pensiero.
"Che
succede ora? Nuovi ripensamenti?" domandò Wesley. Per lui quella giornata
era stata perfetta, non importava che sarebbe dovuto tornare a casa da sua
madre, da quella mattina stava facendo l'amore con la donna che amava. Si
sentiva il re del mondo.
"No,
tranquillo. Tanto ormai che ripensamento posso avere? E con che diritto potrei
parlarne, visto che sono nuda e placidamente distesa a fianco a te. Sarebbe
come minimo ipocrita e io non lo sono. Stavo semplicemente pensando."
"A
cosa?"
"A
te."
"Oh,
e a cosa sei giunta?" Monica rise.
"A
nulla. Cioè, ho capito che sei un ragazzo pieno di doti..." E così dicendo
fece guizzare malandrina la lingua fra i denti.
"Ti
ringrazio."
"Sono
io che ringrazio te...infatti mi chiedevo proprio dove hai imparato a farlo
così bene. Insomma, sei piuttosto giovane."
"Diciamo
che ho avuto una brava insegnante." Monica lo fissò incuriosita. Quella
parte di Wesley era decisamente intrigante.
"Parlamene!"
"Avanti...
che ti interessa?" L'occhiata di lei fu più che sufficiente: le
interessava! "Dunque, lei si chiama Lilah. E' una studentessa dell'UCLA a
Los Angeles, giurisprudenza."
"Sempre
più grandi di te."
"Che
vuoi che ti dica, mi piacciono le vecchie." Monica gli diede un pungo e
lui si mise a ridere forte. "Lo sai che scherzo. Comunque, ogni estate, da
quando mio padre è morto, venivo mandato ad un campus estivo di due settimane.
Ero sempre con ragazzi che avevano i miei stessi problemi e quindi puoi
immaginare che aria felice si respirava laggiù. Ognuno di noi veniva
accompagnato da un tutor. La mia tutor era una simpatica signora che ad un
certo punto, non venne più. Era rimasta incinta." Wes si perse un attimo
nei suoi pensieri. "Mi voleva bene, credo che mi vedesse un po' come quel
figlio che cercava di avere. Quell'anno arrivò Lilah: lei aveva vent'anni, io
sedici. Era stata mandata lì perchè aveva bevuto qualcosa di troppo al campus:
in definitiva doveva fare del lavoro socialmente utile e quale maggior utilità
se non badare ad un ragazzo stufo del mondo?"
"Bhe,
almeno è stata fortunata: ha guardato le spalle ad un bel ragazzo." e lo
baciò all'incavo della clavicola.
"Grazie.
All'inizio lei non sopportava me e io non tolleravo lei...poi le cose sono
cambiate. Il tutto si è ripetuto un anno dopo."
"Di
nuovo problemi di alcool? Dovrebbe farsi vedere la ragazza." Fu Wes a
ridere.
"No,
la seconda volta è entrata come volontaria. Ci siamo messi d'accordo di vederci
di nuovo. Ci troviamo bene assieme, ci sentiamo qualche volta... anzi, ora che
ci penso, la chiamerò. Devo avvisarla che questa estate non ci sarò al campo.
Se Dio vuole, non ho più l'età per farmi trascinare la."
Monica
si stiracchiò lasciando intravedere la parte superiore del seno dal lenzuolo.
"Quindi
dobbiamo ringraziare Lilah. Bhe, grazie cara."
"E
tu che mi dici di te? Nelle nostre chiacchierate non mi hai mai raccontato dei
tuoi uomini e delle tue storie."
Monica
si voltò verso di lui e lo osservò: in effetti aveva ragione.
"Non
c'è molto da dire. Di storie serie ne ho avuta solo una e mi è bastata per
lungo tempo. Ho avuto qualche scopata passeggera, ma nulla di più. Sto
aspettando il grande amore, quello che sconvolge e cambia la vita, quello che
non torna mai nel tempo. Insomma, il grande amore."
"Ci
sono io qui." Monica rise, lasciando il ragazzo di stucco.
"Wesley,
non puoi essere tu."
"E
perchè no?
"Tu
quest'anno finisci la scuola e poi? Non volevi andartene ad Harvard? Con le tue
doti e le tue capacità puoi avere qualsiasi borsa di studio per qualsiasi
college della Nazione. E tu ti fermeresti qui a Sunnydale? Non farmi
ridere."
"Potrei
farlo." mormorò lui serio. Monica lo guardò con dolcezza e gli accarezzò
il mento.
"Non
lo puoi fare. Non sarebbe giusto. Non c'è donna al mondo che mai dovrà farti
cambiare le tue priorità. Nè io, nè qualsiasi altra, siamo intesi?"
"Io
ti amo, lo faccio ben che volentieri se tu resti con me." Si fissarono a
lungo: Wes era arrossito a quella confessione e Monica si era sentita splendida
in quel momento: ok, Wesley era un ragazzo di diciotto anni, ma era meglio di
qualsiasi altro uomo avesse incontrato.
"Wes,
stammi bene ad ascoltare, questa è una cosa seria. La situazione a casa tua è
quella che è. Ed è logico, quindi, che tu voglia andartene da lì. Ma se tu ti
leghi a questo posto, non te ne potrai mai andare veramente. Sono lusingata
dalle tue parole, veramente, ma non puoi basare la tua vita su di me."
"Dimmi
solo una cosa e poi non torno più sull'argomento." Fece lui "Tu mi
ami?"
"Ti
voglio bene, ma l'amore è qualcosa di più. Chissà, forse un giorno mi
innamorerò di te, ma fino ad allora..."
"Me
lo farò bastare." Finì filosoficamente Wesley. In fondo quella rimaneva lo
stesso la cosa migliore della sua vita.
Quello
che Monica gli aveva detto era vero, in effetti. Lui voleva andarsene dalla
California. Aveva fatto domanda ad Harvard ed era stato accettato con una borsa
di studio per merito da far girare la testa. Nulla lo poteva fermare, nulla,
eccetto lei. L'idea di non vederla lo faceva stare male, come se non riuscisse
più a respirare. L'aveva voluta, la voleva e l'avrebbe voluta ancora. In fondo
lo sapeva che anche lei lo amava, doveva solo rendersene conto. La parte
razionale stava avendo il sopravvento su quella emotiva, ma lui sapeva, anzi
sperava, di riuscire a farle cambiare idea.
Nel
frattempo le prese in bocca un capezzolo per farla gemere senza esitazione,
tornarono a fare l'amore. Di discorsi seri, c'era tempo in futuro.
CAPITOLO
DICIASSETTE
Ormai
tutta la città era in fermento. Quel sabato pomeriggio si sarebbe giocata
l'ultima fatidica giornata del campionato Juniores maschile. Il derby di
Sunnydale tra i Red Fox e i Black Panters avrebbe decretato quale delle due
squadre sarebbe arrivata prima e avrebbe così avuto il diritto di partecipare
alla fase finale del campionato di stato della California.
Fin
da lunedì Monica aveva intensificato gli allenamenti, in modo che i ragazzi non
arrivassero a quel grande appuntamento impreparati. La ragazza aveva avuto
paura che loro non la prendessero molto sul serio, invece sembrava che tutti
quanti volessero cancellare la sconfitta dell'andata. E lei ne era enormemente
contenta. Voleva che dessero il massimo per non pentirsi di nulla alla fine dei
quaranta minuti. Tutti loro erano concentrati al massimo, anzi, spesso era lei
che vagava con la mente. Non riusciva a fare a meno di seguire Wes in ogni suo
più piccolo movimento.
Ormai
la loro presunta storia continuava clandestina da più di due mesi. Si
incontravano quasi sempre da Monica, dato che viveva da sola e abbastanza
isolata rispetto al loro quartiere. Parlavano per ore, lui si sfogava dopo che
passava a casa e trovava sua madre che farneticava. Wesley non riusciva a
capire che cosa le stava accadendo: c'era stato un periodo in cui sembrava che
le cose andassero finalmente per il verso giusto, poi era peggiorata così tanto
che i servizi sociali stavano discutendo di portarla direttamente in istituto.
E lui? Come avrebbe fatto a pagarla questa casa di cura? Monica lo stava
aiutando, almeno psicologicamente, a non pensarci troppo, ma i problemi
rimanevano e nessuno sapeva dargli una risposta.
Chi
invece faceva un sacco di progressi, era Cordelia: il lavoro del dottor Webster
era ancora lungo, ma lui era piuttosto soddisfatto. C'erano delle volte in cui
la ragazza urlava e piangeva di rabbia, altre in cui sembrava decisamente
felice: erano le sedute in cui Cordelia si sbottonava su Liam. Era contenta che
il ragazzo le stesse vicino, tanto che ormai alle feste facevano coppia fissa.
Entrambi si affrettavano a dire che non stavano assieme e in effetti non si
erano mai palesati i loro sentimenti, ma di certo le cose funzionavano sempre
meglio.
"Perchè
tu e lui non state assieme? Cosa vi frena?" Chiese Willow a Cordy, mentre
mangiavano in mensa. La rossa aveva il vassoio stracarico di cibo, mentre
Cordelia si dedicava ad una scarna insalata con il tonno o con qualcosa che
doveva assomigliare al tonno per il cuoco. Doveva ricominciare a mangiare, ma
lo voleva farlo con calma.
"Non
è una questione di essere frenata..." iniziò a spiegare la mora "...è
che noi siamo solo amici." Willow la guardò scettica: lei a questa storia
dell'essere amici ci credeva veramente poco. "Lui si è appena lasciato da
Darla, è ancora in fase di stallo."
"Ma
quale stallo! Quello ha dimenticato
"Scusami,
ma tu da quando sei diventata una specialista in questioni di cuore?"
"Bhe,
una cresce...una cambia." Si difese lei.
Mangiarono
un po' in silenzio, fregandosene delle occhiate di scherno che le lanciavano
alcune ragazze.
"Sai,
in realtà sono anche io molto frenata sulla questione Liam." cominciò
Cordelia, smettendo di sgranocchiare una foglia di insalata. Willow non fiatò
per non far perdere alla sua amica il filo del discorso. "E non è Darla a
frenarmi. Lei non può farmi proprio nulla, tanto sono già abbastanza caduta in
disgrazia a scuola... ma ho capito che non mi interessa poi così tanto la
popolarità, visto che le persone che avevo vicino sono risultate parecchio
false. Ciò che veramente mi blocca con Liam, è la mia situazione. Non sono
sicuramente a posto, mi sto ricostruendo ed averlo vicino è veramente..."
"Rassicurante?"
Finì Willow per lei e Cordy annuì.
"Decisamente.
Però lui...noi, non abbiamo mai parlato di sentimenti. Ci lega l'amicizia e
questo è palese, ma lui non mi ha mai dimostrato un altro tipo di interesse. Io
ho paura di legarmi troppo a lui. Se poi io ci provo e lui mi dice di no? Poi
ci resto di merda e...non vorrei rischiare una ricaduta."
"E
se invece ti dice di sì? Hai mai pensato a questa possibilità?" Cordelia
arrossì leggermente e sorrise.
"Certo
che ci ho pensato, ma non posso permettermi di fare strani sogni ad occhi
aperti."
Willow
annuì finendo di bere il suo succo, senza accorgersi che da dietro arrivava Oz,
che in velocità la cinse per i fianchi lasciandole un bacio sul collo.
"Daniel!
Mi fai sollettico." Rise lei, con Cordy che alzava gli occhi al cielo:
ormai i due rossi erano diventati la coppia d'oro della scuola. Erano quasi
sempre insieme e sembravano veramente ben assortiti. Provò una punta di invidia
per loro, perchè le mancava un sacco una sensazione del genere.
"Buongiorno
belle ragazze." Disse Oz guardando anche la mora che decideva di smettere
di mangiare.
"Ciao
Oz. Come mai così tardi? Di solito non sei qui prima degli altri a preparare il
posto per la tua principessa?" Fece lei scherzando.
"Avrei
voluto, ma Andrew mi ha bloccato."
"Che
voleva?" domandò Willow.
"Oltre
a giocare a pallacanestro, lui è anche uno degli organizzatori del ballo di
fine anno. Mi ha domandato se potevo suonare durante il ballo. Devo parlarne
con i miei compagni di gruppo, ma potrebbe essere una buona idea per fare
qualche soldo."
I
tre restarono insieme a parlare di scuola e partita ancora per un po', poi la
campanella suonò e si avviarono verso le loro rispettive classi.
Spike
era ormai distrutto: mancavano solo due giorni alla partita più importante per
lui, non solo per la questione "Campionato", ma, soprattutto, per la
sua rivincita personale contro Parker. Non si era assolutamente dimenticato il
canestro finale che non era riuscito a segnare e questa volta voleva assolutamente
infilarlo.
Prese
il pallone che era finito sul ferro dell'anello del canestro del campetto
dietro casa e si fermò: Monica gli stava facendo fare allenamenti molto
serrati. Gli piaceva molto, la stanchezza l'aiutava a farsi passare il
nervosismo che ora dopo ora gli cresceva nello stomaco. Solo che quando si
fermava a fare altro, la sua mente andava direttamente alla partita e tornava
ad essere nervoso. Proprio per quel motivo, in quel momento stava dando l'anima
a tirare praticamente da tutto l'arco dei 6,25*. Sospirò sperando che il giorno
della verità arrivasse quanto prima. A casa sua, poi, erano tutti in frenetica
attività per preparare il matrimonio, ormai si avvicinava anche quello. Lui e
suo padre erano andati già a prendersi i vestiti, quindi per lui tutto ciò che
era importante, era terminato. Sorrise ripensando alla particolare offerta che
gli era stata fatta: fare da testimone a Rupert. Ormai aveva diciotto anni
compiuti, quindi nessuno poteva opporsi, solo che a lui faceva strano fare da
testimone alle nozze del proprio padre. Aveva, ovviamente, accettato.
Ma
ora doveva pensare a sabato e alla sua benedetta gara. Riprese a correre, senza
accorgersi di un paio di occhi che lo fissavano incuriositi: Buffy lo guardava
molto interessata. Conosceva un po' di pallacanestro, magari non come Willow,
ma Parker le aveva insegnato qualcosa. Spike aveva un tiro che rasentava la
perfezione: era leggiadro, si appoggiava quasi solamente sulle punte dei piedi
e piegava le gambe al minimo per darsi potenza. E poi aveva la mano che ormai
si incollava al pallone, il polso si spezzava perfettamente dando alla palla la
parabola migliore per entrare nel cerchio. Insomma, anche per lei che ci capiva
poco, la tecnica di Spike era bellissima.
Non
sapeva più cosa pensare riguardo ai suoi sentimenti per l'ossigenato: lo
trovava intollerabile, eppure molto spesso si ritrovava a ridere e scherzare
con lui, oppure semplicemente a parlare di cose serie. Aveva imparato che Spike
era, sotto la superficie di rompiscatole sarcastico che lui cercava di
dimostrare appieno, un ragazzo molto sensibile e per alcune cose, molto più
adulto. A casa sua stava passando un uragano di cambiamenti grazie
all'abbandono di suo padre. Joyce aveva iniziato a dare un po' di matto e Buffy
non sapeva dove sbattere la testa. In quei momenti si ritrovava a telefonare a
Spike o incontrarlo da qualche parte e tempestarlo con i suoi dubbi e paure e
lui rispondeva tranquillo come se già sapesse di cosa si parlava. In effetti
lui lo aveva passato parecchi anni prima con suo padre e per fortuna era tutto
finito.
Lo
vide fare una schiacciata poderosa e lo applaudì.
"Complimenti,
sei proprio bravo." gli disse e lui sorrise.
"Lo
so, non sono male. E sarò ancora meglio sabato." Spike bevette un lungo
sorso d'acqua dalla sua bottiglietta e si sedette a terra per riposare.
"Lo
spero. Ho proprio voglia di vedere un grande spettacolo."
"Vieni?"
"Certo,
sarò vicino a Willow e immagino Cordelia. Ormai lei fa terzetto con noi."
Spike sorrise dolcemente.
"E'
una brava ragazza, in fondo, solo che girava con brutte compagnie...un po' come
una biondina di mia conoscenza." Buffy gli diede un leggero pugnetto sulla
spalla, sentendosi interpellata. "Eheheh, coda di paglia, eh Hobbit?"
"Zitto
Ossigenato! Solo perchè ho sbagliato una volta sarò tormentata a vita."
"Ovviamente."
I
due restarono in silenzio per un po', immersi nei loro pensieri, contenti di
essere così vicini, fino a quando meno di qualche mese prima non si
sopportavano neppure.
Fu
Buffy a rompere il silenzio.
"Senti...a
breve c'è il ballo della scuola."
"Sì,
lo so, Willow non fa che ripetermelo, dato che ci va con Oz.. è un disco rotto
ormai." Buffy rise pensando alla sua amica e non invidiava per nulla il
ragazzo.
"Che
ne dici se ci andiamo assieme?"
Spike
la fissò ad occhi spalancati: ci aveva sperato così tanto di andare in una
situazione mondana con lei, ma non aveva mai avuto il coraggio di
chiederglielo, in barba alla sua solita baldanza. Invece ora era lei ad aver
preso l'iniziativa.
"Il
gatto ti ha mangiato la lingua?" domandò lei, sfottendolo. Non voleva
ammetterlo, ma per chiedergli quella piccola cosa, aveva dato fondo a tutta la
sua intraprendenza. sentiva che le tremavano le gambe e non riusciva a capire
il vero perchè.
"Certo
che no, passerotto, solo che mi hai stupito. Ti ci porterò volentieri e ti
stupirò con effetti speciali." Risero assieme e lui si alzò aiutando anche
lei. Tirandola verso di sè, finirono uno addosso all'altro. Buffy arrossì
leggermente mentre si ritrovava incatenata agli occhi blu di lui che la
guardava affamato. La ragazza si ritrovò con il cuore che batteva all'impazzata
e le gambe di ricotta. Con la gola secca mormorò:
"E'
meglio che vada...ho....uhmm... gli allenamenti."
"Ok"
Fece lui lasciandola andare. "Ci vediamo sabato alla partita,
allora."
"Preciso!"
rispose Buffy, che quasi scappò da lui e, in definitiva, dai suoi sentimenti,
come una lepre.
Spike
sorrise malizioso guardandola: le cose sarebbero diventare interessanti.
La
palestra l'accoglieva silenziosa: Monica era arrivata parecchio in anticipo
all'appuntamento con i suoi ragazzi ed ora era seduta sulla panchina a guardare
gli spalti ancora tristemente vuoti. Sapeva benissimo che a breve si sarebbero
riempiti di ragazzine urlanti e genitori che avrebbero tifato allo spasimo, forse
pure troppo.
Si
tormentò per l'ennesima volta le unghie ormai distrutte dai suoi denti: non
riusciva a ricordare un momento più nervoso di quello. Praticamente quasi tutta
la sua stagione agonistica si sarebbe giocata di li a un'ora. Bhe, non poteva
di sicuro rimproverarsi di nulla, aveva allenato quei ragazzi in maniera
egregia, li aveva fatti crescere, sportivamente, a livelli cui nessuno
immaginava. Era molto soddisfatta.
Si
alzò dalla sua panchina ed iniziò a collegare i fili per il tabellone centrale
e gli strumenti dei ventiquattro secondi, in modo che quando gli arbitri
sarebbero arrivati, avrebbero trovato tutto in perfetto ordine. Riuscì anche a
collegare l'impianto stereo gentilmente prestato dalla signorina Kennedy del
pattinaggio, agli autoparlanti della palestra, così da poter far ascoltare a
pubblico e giocatori della musica pre gara. Aveva fatto scegliere ad ognuno dei
membri della squadra una canzone tra le loro preferite per fare quella
compilation. Voleva che ascoltassero qualcosa che gli desse la carica ed erano
venute fuori cose dell'altro mondo: Andrew e Jonathan si erano buttati su
colonne sonore di film e cartoni animati, mentre Spike aveva scelto un classico
del punk inglese con i Sex Pistols. Rap da strada per Gunn e raggae per Robin.
Oz e Xander, più classici nelle scelte, erano caduti su un rock melodico con U2
e Pearl Jam; Liam, in onore alle sue radici irlandesi, aveva richiesto gli Ash
e Wesley qualcosa del suo gruppo preferito, i Nirvana. Insomma un bel
pur-pourrite musicale che alla fine soddisfaceva tutti, inframmezzando qualcosa
di metal duro per Illyria e di elettronico per Monica. Insomma, ottima musica.
Ora mancava solo un'ottima partita.
Si
stupì quando si ritrovò davanti alla sua amica e collega: di solito non arrivava
mai puntuale.
"Ciao
Illy."
"Ciao.
Che c'è? Mi sembri quasi delusa dal vedermi. Pensavi che non venissi?"
Chiese lei aiutandola a portare la cesta dei palloni in campo.
"Ma
figurati, non mi aspettavo di vederti così presto, altrochè." Lei fece
spallucce.
"Che
vuoi, a casa mi annoiavo da morire ed ero troppo nervosa: meglio venire qui e
fare due interessanti chiacchiere con te, visto che è una vita che non ne
facciamo come si deve. Sei sempre di corsa, ultimamente." Monica scosse il
capo sospirando.
"C'è
un casino che non ti dico al lavoro. L'azienda rischia di chiudere e noi siamo
piuttosto in agitazione."
Le
due si sedettero tranquille per parlare meglio.
"La
cosa peggiore è l'incertezza. Se almeno devono chiudere, che almeno ce lo
dicano, così intanto mi cerco qualcosa di altro da fare, invece ogni mattina mi
presento la e spesso non so che devo fare. Ma parliamo d'altro, ti prego."
"Giusto,
avevo proprio voglia di chiederti qualcosa..." Fece Illyria scrutandola
con i suoi occhi di ghiaccio.
"Spara."
"Ti
vedi con qualcuno!" Esclamò sicura. Monica la fissò a bocca aperta.
"E
tu co...cioè, che cavolo dici?"
"Avanti,
come se non ti conoscessi. Ormai ti fisso da un po' e mi sembri più rilassata,
più radiosa, quindi o la vita è perfetta, oppure ti sei trovata un ragazzo...o
almeno fai abbastanza sesso per sentirti bene." Monica arrossì
furiosamente. "Oddio, ti ho fatto arrossire? E da quando? Mi sa che questa
è una cosa seria."
"Ma
quale seria, figurati!" Si lasciò scappare l'interpellata. Illyria alzò un
sopracciglio e Monica si arrese.
"Ok,
ho una specie di storia, contenta?"
"Parlamene,
sono curiosa."
"Come
va con Knox?" cercò di glissare la mora, sapendo che questo era un
argomento su cui Illyria era ben felice di discutere, non questa volta.
"Splendidamente,
ma non ci casco. Chi è lui?"
"Non
mollerai, vero?"
"Mai,
lo sai, ma ho una certa idea su chi sia il fortunato." e così dicendo fece
vagare lo sguardo verso l'entrata, dove Wesley e Spike stavano discutendo prima
di entrare in spogliatoio. Wes le salutò sorridendo a Monica.
"Che
non lo sappia nessuno, per favore." fece Monica.
"Certo,
per chi mi hai preso? Comunque, come vanno le cose con lui?"
"Direi
bene, anche se a breve credo che finirà. Abbiamo due vite troppo differenti per
poter far funzionare questa cosa." e sospirò.
"E
a te non dispiace?"
"Da
morire, ma che ci posso fare?" le due si guardarono e decisero di
accantonare quei discorsi per il momento: presero un pallone a testa ed
iniziarono a tirare per scaricare i nervi, mentre i loro avversari facevano il
loro ingresso. In testa c'era Parker che guardava la palestra con il suo solito
sguardo arrogante. L'allenatore, con poche parole, gli ordinò di andarsene in
spogliatoi e di cambiarsi in fretta. Andò anche da Monica per salutarla come si
doveva.
"Bene,
siamo arrivati alla fine."
"Già,
che vincano i migliori."
"Buona
gara."
Monica
ed Illyria decisero che era il momento di andare a parlare con i loro ragazzi.
Li trovarono praticamente tutti pronti, solo alcuni si stavano ancora
allacciando le scarpe.
"Sedetevi
tutti." Ordinò Monica. "Non credo di potervi insegnare nulla nel
tempo che manca alla gara. Ognuno di voi ha dato il meglio di sè in quest'anno
e in questa settimana avete decisamente sputato sangue, cosa che mi ha reso
felice, perchè mi ha fatto capire che ci tenete molto a vincere. Onestamente
non so se vinceremo, ma di una cosa sono sicura: darete tutto in campo, perchè
è per questo che siamo qui." li guardò uno ad uno, sorridendo leggermente
a Wesley. "Partiranno i soliti cinque. Voglio che Parker sia marcato
faccia a faccia come all'andata da Wes. Gli altri dovranno contare che lui non
aiuterà in difesa perchè si occuperà solo del loro MVP. L'altra volta non è
arrivato neppure in doppia cifra e ci tengo che accada esattamente la stessa
cosa." Lui annuì.
"Gli
altri mantengano tranquillamente le stesse marcature, eventualmente le cambiamo
a partita iniziata." Prese un respiro profondo. "Per quanto riguarda
l'attacco... allora, mi aspetto molto dagli esterni. Hamilton e Walsh sono due
bestioni di razza. Per Liam e Xander sarà difficile giocare, quindi toccherà a
Spike ed Oz pungere da lontano. Ovviamente sarebbe un bel aiuto se anche tu,
Wes, provassi qualche tiro, giusto per far capire che anche tu sai essere
pericoloso." Guardò Illyria che fissava, invece, i ragazzi davanti a lei.
Anche quel giorno aveva indossato il suo completo da battaglia, cioè pantaloni
e giacca nera di pelle con Doc's Martins ai piedi. Monica si chiedeva sempre se
lo faceva perchè stava comoda o se perchè voleva darsi un'aria da dura. Di
certo intimoriva parecchio la gente. "Comunque noi dalla panchina faremo
di tutto per aiutarvi al massimo. Cercate di non attaccar briga con gli altri,
dato che è risaputo che non sono mai molto gentili con gli avversari e, per
l'amor del Cielo, non discutete neppure una volta con gli arbitri. Per questa
gara non ci sono andati male, ma Steve è piuttosto severo. Bravo, ma a volte
fin troppo puntiglioso. Alex, invece, è buono, ma non stuzzicatelo troppo,
ok?"
Fecero
insieme l'urlo di incoraggiamento e poi scesero sul parquet a scaldarsi. Le
tifoserie erano arrivate e quelle di casa erano già scatenate: avevano portato
decine di striscioni e già cantavano urlavano per incoraggiarli.
"Arrivo
subito, vado in bagno." Disse Monica alla sua vice. Era la centesima volta
che ci andava, tutta colpa del nervosismo. Quando uscì si trovò Davanti Wesley
che la guardava sorridendo.
"Tutto
ok?"
"Dipenderà
dal risultato di questa partita." Rispose lei lavandosi le mani. Wesley,
stando attento che nessuno lo vedesse, la abbracciò da dietro e la girò verso
di sè.
"Andrà
tutto bene, vedrai."
"Lo
spero, mio Capitano." e gli diede un leggero bacio sulle labbra. "E
ora a correre!"
Intanto,
sulle gradinate, arrivò Anya in tutta fretta. Salutò in velocità Xander che
l'aveva vista da sotto canestro e si andò a sedere vicino a Willow
"E
io che pensavo di essere tardi." Borbottò la bionda.
"Tranquilla,
sei giusta." rispose Cordelia. Come aveva previsto Buffy, si erano trovate
tutte assieme a tifare per i Red Fox. All'entrata si erano scontrate con Darla
che non aveva perso tempo a screditarle il più possibile: quella volta non
avrebbe tifato per Liam, bensì per Parker, visto che ormai stavano assieme.
Entrambi si erano consolati assai in fretta dalla loro rottura. Cordelia non
aveva battuto ciglio, mentre Buffy si era diretta senza esitazioni al suo
posto. Sperava proprio che Spike desse una bella lezione al suo ex.
Guardandolo
in campo, non riuscì a trattenere un sorriso dolce: i capelli ossigenati
scintillavano quasi di luce propria, mentre tirava a canestro con facilità. Era
incredibilmente concentrato e serio e non ricordava di averlo mai visto in
quello stato. Le sarebbe piaciuto molto aiutarlo a distendersi un po'...
Arrossì violentemente quando si rese conto che tipo di pensieri stava facendo.
"Buffy
stai bene?" domandò Willow vedendola.
"No.
Credo di aver appena realizzato che mi piace Spike, ma questo so che deve
essere impossibile, dato che è il ragazzo più irritante che io abbia mai conosciuto."
Cordelia si mise a ridere di gusto, senza rendersi conto che due occhi scuri e
profondi la osservavano dal basso. Liam per la prima volta si sentiva come
realizzato: vedeva la sua amica stare così bene che nulla in quella giornata
poteva farlo stare male. Si rese immediatamente conto che avrebbe giocato la
sua partita migliore, del resto con Cordy così sorridente come poteva andare
male?
Monica
fece fare loro ancora qualche esercizio di riscaldamento: sperava vivamente che
tutto quello servisse per la gara. Fissò Parker che tirava da tre punti e si
augurò che Wesley tirasse fuori dal cilindro la prestazione perfetta per
fermarlo: era un ragazzino insopportabile, ma purtroppo per loro era anche un
vero campione. Era bravo, ma lei poteva sperare che la sua baldanza lo facesse
sentire abbastanza pieno di se da sbagliare. Poi scrollò il capo: era inutile
in quel momento fare tattiche, poteva solo giocare. In quel momento il primo
arbitro, Steve un suo amico, fischiò i tre minuti.
La
partita era ufficialmente iniziata.
*Per
chi non lo so, l'arco dei
Capitolo diciotto
Il primo canestro di Xander aveva fatto esplodere tutto il palazzetto: Liam,
sul salto a due, aveva spedito la palla direttamente in mano ad Oz che, visto
lo scatto repentino di Xander dal cerchio di centro campo all’area, aveva fatto un passaggio telecomandato, in
modo che l’ala potesse segnare senza difficoltà. Era stato qualcosa di
beneaugurante, almeno così sperava Monica.
Certo, la tecnica degli avversari rendeva tutto molto difficoltoso. I
Black non si erano persi d’animo ed avevano immediatamente imbastito un’ottima
azione di contrattacco.
“Santo cielo, sono così nervosa…” fece Willow nervosa mentre si torceva
le dita.
“A chi lo dici.” Mormorò Cordy intenta ad osservare Liam che difendeva su Hamilton cercando di non
farsi battere nel gioco a spalle a canestro.
Buffy era così agitata che non riusciva neppure a parlare. Aveva visto
come Parker l’aveva squadrata e sperava che non provasse a fare qualche
scherzetto a Spike, visto che era stato proprio il biondo ad aiutarla nel retro
della palestra quando lei aveva voluto troncare.
Oz segnò un tiro da tre facendo saltellare felice la sua ragazza. I
Panthers avevano adottato la stessa strategia dei Fox, marcare alla morte
l’MVP, cioè Spike, che per ora non era ancora riuscito a trovare la via del
canestro. Stessa sorte era accaduta a Parker che iniziava già ad innervosirsi
con Wes: Monica non aveva perso una gomitata sotto canestro dall’uscita da un
blocco che il play avversario aveva rifilato al suo ragazzo. In quel momento si
era voltato verso l’arbitro di competenza, ma lui non sembrava essersi accorto
di nulla. Monica ragionò sul fatto che Parker era veramente una brava carogna:
fare fallo senza essere visti non era cosa da poco.
“Ti conviene lasciarmi strada Pryce, o ti farò molto male.” Sibilò
Parker a Wes.
“Devi solo provarci.” Rispose lui mettendosi in posizione.
Parker, ritrovatosi senza possibilità di avanzamento, passò la palla a
Lindsay che fece ripartire il gioco.
Entrambi i play stavano dando delle ottime direttive, ma Oz aveva tirato
fuori dal suo cilindro personale un paio di passaggi eccezionali che erano riusciti
a sbilanciare completamente la difesa, permettendo prima a Liam e poi a Xander
di segnare da sotto.
L’allenatore dei Panthers chiamò minuto.
“Ok, ragazzi, state andando benissimo.” Iniziò Monica facendo sedere i
suoi giocatori. “state attenti ora, è probabile che cambieranno difesa.”
“La sfoggiamo ora l’arma segreta?” Domandò Spike temendo quello che
Monica gli aveva chiesto di fare durante l’allenamento.
“Non ancora, è troppo presto. La useremo se e quando saremo in
svantaggio e tutto il resto non funzionerà. Voglio tenerla proprio come carta
finale. Allora, ricordatevi, se fanno pressing tutto campo, Liam ti voglio nel
cerchio di centro campo pronto a fare da ponte. Rimessa di Wes. Tu e Spike
dovrete aiutare Daniel a portare su la palla. Xander, bello largo sotto
canestro, pronto a prendere i passaggi lunghi. Se, invece, si mettono a zona,
ricordatevi le posizione: cercate di coprire i buchi, penetrazione e scarico
chi ha la palla.” L’ufficiale di campo fischiò la fine del minuto. “Chi è senza
palla deve cercare di muoversi per mandare in confusione gli avversari.” I
ragazzi si alzarono e tornarono in campo fra gli applausi dei loro compagni in
panchina: Andrew, Robin, Jess e gli altri, stavano urlando come dei pazzi. Quel
giorno nessuno si era preso l’onere di tenere un scout, volevano tutti godersi
la partita fino all’ultimo secondo.
Ritornando in campo, come Monica aveva previsto, l’altra squadra aveva
deciso di cambiare difesa: dato che l’allenatore si era ritrovato alcuni
giocatori gravati di troppi falli, aveva deciso di metterli a zona pari, 2-3*,
sperando così, di limitare i danni. Fu grazie a quel cambio, che finalmente
Spike riuscì a segnare il suo primo canestro da tre, dall’angolo. Esultò
indicando gli spalti verso Buffy che si ritrovò con qualche paio di occhi
maliziosi che la fissavano: quella dichiarazione così esplicita l’aveva fatta
arrossire.
“Oh, a quanto pare le cose tra hobbit e ossigenato sono cambiate.” Fece
Anya schiettamente. “Avete già fatto sesso?”
La bionda strabuzzò gli occhi diventando ancora più fucxia.
“Ma tu sei pazza? Tra me e lui ancora non c’è nulla.”
“Ancora?” Rincarò la dose Cordy sorridendo. Boffy scosse la testa e
cercò di ritornare a concentrarsi nella partita.
Poco distante una scatenata Jenny stava urlando per il suo futuro
figlioccio con un sorpreso Rupert che non si aspettava questa esplosione da
parte sua.
“Cavoli, non mi avevi detto che era così bravo!” fece lei sedendosi.
“Devo ammettere che dall’ultima volta che l’ho visto giocare è
migliorato nettamente. Bhe, con tutto quello che si è allenato quest’anno, non
mi stupisce per nulla.”
Il cronometro decretò la fine dei primi venti minuti di gara: tutti i
giocatori andarono negli spogliatoi per riposarsi un po’. Negli ultimi due
minuti i Panthers avevano preso un vantaggio di una decina di punti,
approfittando di un paio di errori. Monica li vide tutti avviliti e si morsicò
un labbro pensando.
“Forza, dai. Non va male. Dobbiamo solo cercare di non fare più quegli
errori del finale. Adesso torniamo in campo con determinazione e arriviamo alla
parità.” Non era quello il momento per fare discorsi tattici e tecnici, serviva
soltanto cercare di non farli cadere troppo nel baratro. Dieci punti in venti
minuti erano una bazzecola e recuperare sarebbe stato facile, serviva solo non
deprimersi e non abbandonare le speranze.
“Spike, so che non è facile, marcandoti faccia a faccia così forte ti
hanno tolto il ritmo, ma abbiamo bisogno dei tuoi canestri. Oz da solo non può
fare miracoli, anche se i suoi 15 punti in metà gara sono qualcosa di
notevole.” Il diretto interessato sorrise orgoglioso del suo lavoro: non sapeva
cosa gli era successo, ma in quella partita stava facendo tutto il suo lavoro
al meglio e pure qualcosa di più di quello che era il suo solito. “Wesley, lo sai
che il lavoro in difesa è perfetto, ma ti prego…tira!” gli disse Monica
guardandolo severo. Lui non potè che annuire e cercò di mettersi in testa di
provare a segnare.
“Farò del mio meglio.” Le rispose.
“Bene. Rientrate in campo, abbiamo una partita da vincere.”
Uscendo dallo spogliatoio, Monica si ritrovò faccia a faccia con Parker.
Lui prese a guardarla sorridendo beffardo.
“Ti sei perso, bambino?” Fece Monica prendendolo in giro: aveva chiesto ai
suoi di non provare il benché minimo disturbo agli altri, non voleva alcun
pretesto per risse o nervosismo, ma questo non voleva certo dire che non poteva
farlo lei.
“Oh no, io la conosco la strada per la vittoria.”
“Lo vedremo.” E così dicendo, Monica lo superò entrando in campo. Lei
aveva una fiducia totale in Wes: sapeva che lui avrebbe continuato a marcarlo
stretto come aveva fatto fino in quel momento. Parker la fissò a lungo,
soffermandosi sulle gambe fasciate dai jeans e quando passò Wesley lo provocò.
“Sono sicuro che se le chiedo di scopare mi dice di sì. Tu che ne pensi
Pryce? Quanto dovrei pagarla per un lavoretto fatto come si deve?”
Wesley sentì un’incredibile voglia di menare le mani. Respirò
profondamente e andò verso la sua panchina senza accorgersi dello sguardo
preoccupato di Liam che lo fissava.
“Tutto ok, Wes?”
“Sì, Angel, solo Parker che fa lo stronzo.”
“Ah…E da cosa è diverso dal solito?” Liam guardò verso l’alto e vide
Cordelia che stava parlando felice con Anya e Willow.
Tornarono a giocare, ma i Panthers segnarono ancora. Per fortuna anche
Spike riuscì a fare canestro con una bella entrata. Monica aveva capito che
doveva scuotere un po’ le cose se voleva che il risultato tornasse a loro
vantaggio: ci voleva un cambio radicale in difesa. Durante dei liberi di
Xander, chiamò vicino a se Wesley.
“Chiama la difesa nuova.” Il ragazzo annuì e lei potè leggere nei suoi
occhi un luccichio di anticipazione: per un giocatore innamorato della difesa
come lui, una sfida nuova era la cosa più esaltante che gli si potesse far
fare.
“Ragazzi…” urlò il capitano. “…Monica in difesa.” Gli altri annuirono e,
dopo il secondo libero di Xander, si posizionarono in difesa. Avevano dato il
nome della loro allenatrice per la nuova zona, in suo onore e per votazione
democratica.
Lindsay rimase un po’ interdetto davanti alla 1-3-1* che si ritrovò
davanti e perse il primo pallone grazie al raddoppio di marcatura portato da Oz
e Spike. Il contropiede partì rapido e Wes segnò i suoi primi due punti. Cominciò così la rimonta che riportò in
parità il punteggio. La squadra dei Panthers non riusciva a sbrogliare la
matassa di quella zona così pressante, anche perché in coda si trovava il
miglior Wesley di stagione che riusciva a non far passare nessuno. Quando la rincorsa
finì, Monica ordinò loro di passare di nuovo alla zona: la 1-3-1 era stata
fenomenale, ma era un’azione molto dispendiosa in termini energetici. Doveva
permettere ai suoi di riposarsi, se la difesa a uomo poteva essere definita un
riposo.
E cosa fondamentale, finalmente Spike iniziò a prendere il suo ritmo
usuale: riusciva di nuovo a segnare un po’ da tutto l’arco dei tre punti. In
pratica il punteggio sul tabellone lievitò, con il disappunto di Monica, visto
che era evidente che la difesa non lavorava così bene come doveva. Avrebbe
protestato per questo un altro giorno, in quel momento doveva solo
incoraggiarli…certo, anche urlare che difendessero un po’ meglio.
In quel momento Oz passò la palla a Liam sotto canestro, dove lui era
posizionato con le spalle al tabellone. Il play scese verso l’angolo del campo,
in modo da poter fare da sponda se il moro non fosse riuscito a segnare, ma
Liam passò la palla ad uno smarcatissimo Wesley che si era avvicinato per
aiutarlo. Siccome Wes non tirava mai, il suo difensore, Warren, aveva preferito
aiutare Hamilton con Angel, lasciandolo così libero. Onestamente il suo primo
istinto fu quello di dare la palla a Spike, ma lui era alle prese con Parker
che lo marcava stretto. Quindi Wes ci provò: in tutto l’anno forse aveva tirato
due volte, ma in quel momento tutta la sua squadra contava su di lui. Piegò le
gambe leggermente, poi saltò alzando il braccio verso il canestro, spezzando il
polso in modo da dare alla palla la rotazione giusta. Monica ed Illyria dalla
panchina trattennero inconsapevolmente il fiato, fino ad urlare di gioia quando
il pallone usciva tranquillo dalla rete. Wes si girò verso di loro e, sentendo
il tavolo** che fischiava la richiesta di minuto dei Panthers, andò ad
abbracciare felice Monica
“Ehy, stai calmo, non abbiamo ancora vinto.” Cercò di frenarlo Monica.
Insomma, nulla era ancora successo in realtà.
“È il primo canestro da tre che segno!” esclamò lui sedendosi in
panchina, mentre un esaltato Jesse gli passava una borraccia. Guardò verso gli spalti
gremiti e sorrise riconoscendo una familiare testa rossa e riccioluta che gli
faceva il segno della vittoria: Virginia era venuta a fare il tifo per lui e
per cercare di imbastire una storia con Robin. Anche se Wes l’aveva
semplicemente usata per i suoi scopi, lei non se l’era presa e ci aveva riso
su.
“Forza e coraggio, siamo pari a un minuto e mezzo. Giocate con calma e
tranquillità, al limite dei 24”…cerchiamo di non dover buttar via palloni
fondamentali.” Li educò Monica anche lei al limite del nervosismo. L’arbitro li
richiamò in campo.
I Panthers segnarono quando mancava un minuto, ma grazie ad un perfetto
sfrutto di un blocco di Liam da parte di Oz, i Fox riportarono in parità il
punteggio. Trenta secondi, palla in mano a Parker che palleggiava sicuro
cercando una via d’uscita dalla marcatura di Wesley, ma Oz, con velocità, gli
rubò la palla. Spike, accortosi di quello che stava succedendo, scattò verso il
canestro. Dieci secondi, passaggio di Oz a Spike che si ritrovò davanti Lindsey
a bloccarlo. Fece un palleggio verso il canestro, ma il play avversario lo
bloccò, così decise di tirare da lontano. Fece un passo indietro e quando oltrepassò la linea dei tre punti, tirò. Fu
un’azione fulminea che prese in contropiede tutti. Nel frastuono del tifo, la
palla volò verso il cerchio del canestro: per Buffy che guardava tutto
dall’alto sembrava che il tempo si fosse fermato. Intorno a lei non esisteva
niente, solo Spike che tirava. Il “ciuf” della retina era troppo silenzioso per
sovrastare i rumori del campo, ma la palla che entrava era una cosa che tutti
avevano visto. E tutti avevano sentito la sirena suonare la fine della partita.
Ci fu un secondo di silezio, poi il boato: la tifoseria dei Red Fox
aveva capito che la loro squadra aveva vinto.
I ragazzi dalla panchina si erano fiondati in campo per abbracciare i
loro compagni, che, nonostante fossero esausti, stavano saltando e correndo.
Monica ed Illyria, completamente sopraffatte dall’emozione, sorridevano come
delle ebeti e se per Monica sorridere era normale, per Illy era qualcosa di
assolutamente nuovo.
“Abbiamo vinto!!!” urlò Monica alzando le braccia al cielo. Poi si
ricordò le buone maniere ed andò a salutare l’allenatore dei Panthers, le sue
colleghe ufficiali e gli arbitri.
“Complimenti, ce l’avete fatta.” Le disse Steve dandole la mano.
“Già. È stata veramente dura.”
I ragazzi erano ancora che saltavano in mezzo al campo. Spike si sentiva
il re del mondo: finalmente dopo mesi era riuscito a infilare il canestro della
vittoria, quello che valeva la stagione. E proprio davanti alla donna della sua
vita.
Monica andò dai suoi ragazzi e si mise a festeggiare con loro: tutti
l’abbracciarono a turno, Wes le baciò il collo sperando di non essere vista da
nessuno. Poi, per terminare, andarono sotto gli spalti a saltare con i loro
amici e tifosi. Tutta la palestra stava festeggiando con loro.
La gioia continuò rumorosamente in spogliatoio, dove fin sotto la
doccia, i ragazzi urlavano e schernivano i loro avversari. Ormai a giochi
finiti, potevano permettersi di fare gli sbruffoni. Erano consapevoli che
avevano rischiato: la partita era praticamente finita in parità, i tre punti
significavano solo un pizzico di fortuna in più. Ma a loro non importava
assolutamente nulla, avevano vinto e solo questo contava.
Quando uscirono tutti lavati e cambiati, furono accolti da un boato:
davanti a loro c’erano quasi tutti i loro amici pronti a saltare ancora un
po’. Avevano portato i loro striscioni e
fischiavano, urlavano e cantavano cori di sfottò contro gli avversari; insomma
una vera bolgia infernale, che tutti, però, apprezzarono immensamente.
“Sei stato grande, lupacchiotto.” Esclamò una raggiante Willow ad Oz,
mentre gli si aggrappava alle spalle.
“Lupacchiotto?” ribattè con una smorfia Xander.
Oz non rispose, ma divenne leggermente più rosso del normale. Willow lo
spiazzava in ogni momento e la cosa poteva essere terribilmente eccitante, ma
anche tanto rischioso.
“Ti ringrazio fragolina…Senti, che ne dici di andare a berci qualcosa
fuori?”
“Ma come, non avete una festa con la squadra?”
“No. Per volere di Monica, festeggeremo la prossima settimana. Adesso
vuole darci un po’ di libertà. Allora, giro in vespa?” Gli occhi della ragazza
iniziarono a luccicare di impazienza: andare su due ruote le piaceva una cifra.
“Certo!” Will salutò Buffy, che era alle prese con Spike. Stavano, come
al solito, litigando.
“Vedrai, ossigenato, riuscirò a farcela anche io!” sbottò infine la
biondina. Lui sorrise dolcemente e si acquietò.
“Ci conto e allora mi offrirai la cena.”
“Ci sto!” e così dicendo gli diede la mano. “Senti, Spike, mi accompagni
a casa? Se aspetto mia mamma finisce che facciamo notte.”
“Va bene.” Così dicendo salutò tutti e prese il suo borsone. Vide in
lontananza Wesley che abbracciava Monica in maniera diversa dal solito. Che
cosa stava succedendo a quel benedetto ragazzo? Virginia si era allontanata
dalla palestra con al braccio uno spaventato Robin che si era sentito preso dai
Turchi quando la rossa ci aveva provato. Quindi Wesley cosa faceva con la loro
allenatrice? Accantonò quel pensiero, dato che voleva essere ben concentrato su
Buffy.
Lei era a piedi, mentre lui montava la sua fedele bici nera. Suo padre
non gli aveva lasciato la macchina, dato che la doveva usare lui per portare
Jenny a vederlo.
“Vuoi provare l’ebbrezza dello stangone?” Chiese con un doppio senso per
nulla velato e sorridendo maliziosamente.
“Che bello, ho sempre desiderato farlo.” Rispose Buffy con ingenuità,
per poi diventare rossa e prendere a balbettare quando lui la fissò con un
sorriso da predatore e la lingua tra i denti.
“Perfetto, allora salta su!” Buffy scosse il capo: stava quasi per
declinare la gentile offerta, ma non poteva permettersi di dargliela vinta così
facilmente e poi, in effetti, aveva proprio voglia di un piccolo randez-voux
con William. Ci aveva pensato per tutta la gara ed era giunta alla conclusione
che quando lui si impegnava e dava tutto per qualcosa che gli piaceva, era
veramente sexy. Lo sguardo determinato che aveva poco prima del canestro finale,
era stato qualcosa di assolutamente nuovo per lei e le aveva fatto capire che
lo voleva.
Con una certa cautela, si sedette sullo stangone della mountain bike e
prese il manubrio tra le mani.
“Pronta a partire?” Fece lui mettendo le sue mani sui suoi fianchi.
Buffy perse un battito a quel contatto.
“Si, capitano.” Gli rispose.
Spike iniziò a pedalare e, dopo una lieve incertezza di Buffy, la loro
corsa divenne piuttosto regolare. La ragazza sorrideva contenta e lui ne era
felice. Aveva molta voglia di poggiare la testa sulla sua ed aspirare il suo
profumo, ma aveva paura che potesse essere frainteso. I loro capelli biondi
scintillavano al sole e quelli di Buffy volteggiavano grazie all’aria. Per
Spike quella era un’immagine da paradiso.
In meno di dieci minuti, prendendo mille scorciatoie per le viuzze di
Sunnydale, i due arrivarono a casa di Buffy.
“Wow! Fantastico…lo potremmo rifare un giorno, vero?” domandò lei quando
fu scesa.
“Certo passerotto, quando preferisci. Io sono sempre ben disponibile per
un po’ di allenamento extra e portare tutto il tuo mastodontico peso mi aiuterà
di certo.”
“Idiota. Guarda che io non peso nulla!” Fece lei stizzita e mettendo il
broncio.
“Dai, lo sai che scherzo. Sei leggera come una coccinella.”
“Uhmm…e va bene, per questa volta soprassiedo. Non ho voglia di
litigare. Senti…vuoi qualcosa da bere?” la buttò lì lei. Non aveva voglia che
lui se ne andasse così presto, voleva stare con lui ancora un po’.
“Perché no. Devo ancora riprendermi dalla partita.” Entrarono in casa e
Spike si ritrovò in un piccolo atrio dove si permise di lasciare il suo
borsone. Davanti a lui c’era una rampa di scale che portava al piano di sopra,
mentre a sinistra si apriva un ordinato soggiorno dove spiccava un bel divano
rosso e un tavolo di legno con un lampadario che troneggiava.
“Accomodati, fai come se fossi a casa tua.”
Buffy sparì dietro una porta e Spike osservò curioso. Sul mobiletto
c’erano diverse foto di lei con una ragazzina più piccola che doveva essere sua
sorella, ed una bella signora con il dolce sorriso che era sua madre. Di foto
del padre neppure una. Evidentemente l’abbandono era stato totale.
“Ecco qui. Ho pensato che un bel bicchiere di the freddo ti dovrebbe andar
bene.” Buffy sbucò con un piccolo vassoio con sopra una bottiglia e due
bicchieri.
“Ottimo.” I due bevettero insieme in silenzio. Ora che Buffy lo aveva in
casa si sentiva innervosita: Parker non era mai andato oltre il piccolo
portico. Le sembrava strano avere un uomo che non fosse suo padre in salotto.
“Tua madre e tua sorella?”
“Dawn aveva una gara di balletto a Los Angeles e quindi l’ha portata là.
Dovrebbero tornare questa notte sul tardi.”
“Ah.” Ritornò il silenzio imbarazzato: entrambi avevano appena
realizzato che sarebbero potuti restare da soli in quella casa per un sacco di
ore.
“Ti andrebbe di venire al matrimonio di mio padre?” sparò lì Spike. Era
la prima cosa che gli era passata per la mente: aveva bisogno di spezzare il
silenzio.
“Ma…non gli seccherà?”
“No, figurati. Viene anche Willow e comunque lui mi ha detto che se
volevo potevo portare un’accompagnatrice. Ho pensato che visto che mi avevi
chiesto per il ballo potesse piacerti andare da qualche altra parte insieme.”
“O..ok…” balbettò in risposta lei. William battè le mani risollevato.
“Bene, credo che ora sarebbe meglio che io andassi a casa, che te ne
pare?”
“Momento giusto, stavi diventando di troppo, Ossigenato.” Fece lei in
tono scherzoso.
“Ah, ah, ah, hobbit.” Prese la borsa e fece per aprire la porta. “Ci
vediamo presto.”
Buffy osservò le spalle guizzanti, la vita stretta sotto i suoi jeans
neri, per poi scendere di poco per fissargli le natiche e prese una decisione.
“Aspetta!” quasi urlò. William si girò incuriosito e si ritrovò a
spalancare gli occhi: Buffy lo aveva preso per la maglietta ed avvicinato a sé.
Le sue dolci labbra che sapevano di lampone grazie al lucidalabbra, gli si
erano incollate addosso. Lasciò cadere il borsone a terra con un tonfo leggero
e la prese per i fianchi, in modo da farla aderire meglio a se. Il corpo
piccolo e minuto di lei gli sembrava caldo e morbido.
Approfondirono il bacio aprendo leggermente le labbra, in modo che le
loro lingue potessero danzare assieme. Buffy gli mise la mano dietro il collo e
prese ad accarezzargli i capelli ancora leggermente umidi per la doccia.
Si staccarono per guardarsi negli occhi: gemme verdi in perle blu.
“Wow, raggio di sole….questo è stato…cos’è stato questo?” domandò Spike
un po’ confuso: certo, dall’inizio si erano avvicinati moltissimo, ma credeva
di dover aspettare un sacco prima di arrivare a quel bacio. Ovvio, non che la
cosa gli dispiacesse.
“Io spero sia il primo bacio di tanti futuri.” Mormorò un po’ intimidita
Buffy: non amava mettere a nudo i suoi sentimenti in quella maniera.
“Trovo che sia un’idea magnifica.”
Si ripresero a baciare e lentamente si spostarono dalla porta
d’ingresso: non era proprio il posto più romantico del mondo. Buffy, che
conosceva meglio la casa, lo portò verso le scale e gli sussurrò a fior di
labbra.
“Siamo soli.”
*Nella
pallacanestro esistono due grandi tipi di difesa, quella ad uomo e quella a
zona.
In
quella a uomo ogni giocatore è designato a marcarne uno dell’altra squadra.
In
quella a zona, invece, ogni giocatore ha il compito di presiedere un piccolo
pezzo dell’area di gioco. Le difese a zona, a questo punto, di dividono in due
ulteriori categorie, quelle pari e quelle dispari.
In
quella pari, di solito, il play che porta su la palla si ritrova due difensori
davanti a lui, che difendono, più o meno, sulla linea di tre punti.
Nella
dispari, invece, i difensori sono uno o tre, posti, di norma, intorno alla
linea di tre punti, per evitare canestri da lontano.
**
Per
ulteriori chiarimenti, chiedete pure.
CAPITOLO DICIANNOVE
La stanza era immersa nella penombra. Spike sorrise: era la tipica
camera di una ragazza di sedici anni. Sulla scrivania erano aperti i libri di
scuola e c’era anche un quaderno pieno di sottolineature, evidentemente il
quaderno degli appunti. Sulle mensole facevano bella mostra di loro decine di
pupazzi di peluche di tutte le forme e dimensioni. Sul muro era appesa una
grande cornice che conteneva tutte le medaglie che la ragazza aveva vinto nel
tempo e sulla libreria c’erano anche alcune coppe molto belle. Dei vestiti
erano stati gettati alla rinfusa sul letto e Buffy si premunì di appallottolarli
tutti su una sedia.
“Scusa, c’è un po’ di disordine.” William si mise a ridere.
“Non hai mai visto camera mia, amore.” Notò che lei era piuttosto
nervosa: continuava a mordicchiarsi il labbro insistentemente e lui sospirò.
Forse era normale che ci ripensasse e in effetti anche lui non sapeva bene da
dove iniziare. Non aveva mai avuto rapporti con nessuna ragazza tranne qualche
bacio ed un leggero petting. Si sedette sul letto e le allungò le mani. Lei le
prese e si sedette sulle sue ginocchia.
“Non dobbiamo fare nulla che non vogliamo, sai?”
“È che io voglio farlo. Solo che…non so come farlo. Cioè…” fece parlando
velocemente ed arrossendo “…so come si fa, ma…non l’ho mai provato.” Terminò
con un sussurro.
“Di questo non ti devi preoccupare. Intanto cerchiamo di rilassarci.”
“Sei nervoso anche tu?”
“Un po’…non vorrei fare figuracce con la più bella ragazza che conosco.”
Si baciarono ancora, ma con più lentezza e dolcezza di prima. Buffy
adorava succhiare il labbro di William, dato che era carnoso e succulento. Si
divertiva parecchio e sembrava che lui apprezzasse. Sentiva la sua bella mano
che le accarezzava la schiena dove il vestito la lasciava nuda. Una serie di
brividi le partì dal collo per arrivare fino ai piedi e non riuscì a reprimere
un piccolo gemito.
“Tutto bene, passerotto?”
“Odio quando mi chiami così, ma sto benissimo.” Con delicatezza fece
scendere le spalline del suo vestitino corto e fecero la loro apparizione i
piccoli seni. William li sfiorò appena, come se fosse completamente rapito da
essi.
“È la prima volta anche per te?” gli chiese.
“Già…” Buffy lo guardò stranita “Bhe, che c’è?”
“No, è che io credevo che…insomma, pensavo…”
“Che avessi più esperienza?”
“Sì… Willow dice che hai avuto parecchie tresche…”
“Nulla di serio. Mi sono fermato al petting. Non guardarmi in quella
maniera: non sembra, ma io credo nei sentimenti.” Buffy lo spinse verso il
cuscino, così si ritrovarono una sopra l’altro.
“Mi piaci un sacco, Ossigenato.”
“Neppure tu sei male, Hobbit.” Il vestito finì definitivamente sul pavimento,
facendo restare Buffy solo con delle semplici mutandine bianche.
William aveva fatto in modo di averla sotto di sé, per poter assaltare
al meglio il piccolo corpo. Le baciò il viso con deferenza, mentre lei,
leggermente impacciata, cercava di togliergli la maglietta, ma questa non
voleva saperne di uscire dal collo.
“Ahy, amore, mi fai male.”
“Scusa, ma questa cosa non esce!” Esclamò esasperata lei. Spike si mise
a ridere e fece da solo, rivelando il torace scolpito. Buffy si mordicchiò il
labbro.
“Posso toccarlo?”
“Puoi fare tutto quello che vuoi. Il mio corpo è a tua disposizione.”
Buffy iniziò a passargli un dito dalle clavicole, per scendere verso l’addome.
Sembrava stesse studiando ogni minimo dettaglio di lui. “Ti piace quel che
vedi?”
“Decisamente.” E per dimostrarglielo, passò la lingua sui capezzoli
rendendoli duri. William per contrattaccare, si fiondò sul collo di Buffy e
prese a lasciarle marchi decisamente visibili.
“Smettila!” Urlò lei ridendo “Mi fai il solletico così.”
“È questa la cosa bella.” Ma così dicendo, scese sui seni che
reclamavano le sue attenzioni. Iniziò piano, leccandone uno lentamente. Su
incoraggiamento della ragazza, osò di più mordicchiando la soffice carne. Buffy
si inarcò leggermente e gli accarezzò i capelli, perdendosi in un mondo fatto
di nuove sensazioni.
Anche per Spike era tutto nuovo e decisamente strano, ma indubbiamente
molto bello. Fosse per lui l’avrebbe già presa: sentiva il suo membro che
spingeva per uscire, ma non voleva fare la parte dell’assatanato, sapeva che le
ragazze avevano bisogno di qualche gioco in più per renderle pronte. E lui ci
teneva che Buffy fosse più che soddisfatta di lui.
Si dedicò con solerzia anche all’altro seno, contento dei suoni beati
che uscivano dalla sua bocca: tutto sommato non se la stava cavando male.
Infilò la lingua nell’ombelico e Buffy fece un salto: era stato un gesto
estremamente sensuale per lei.
“Spike!” William chiuse gli occhi e si assaporò quel momento.
“Dillo ancora… sei splendida.”
“Uhm…Spike?” lui sorrise. “Scusa, sono imbranata?”
“No, ma quando mi hai chiamato in preda alla passione…Wow, quello è
stato un momento di estasi.”
“Veramente? Per così poco?”
“Non hai idea di che effetto hai su di me.” Buffy guardò verso il
cavallo dei pantaloni ed ammiccò.
“Forse un po’ me ne rendo conto.”
“Direi che sono stato smascherato.” Si alzò in piedi e si tolse i jeans
rivelando un paio di boxer neri che sembravano scoppiare. Buffy non riusciva a
staccare gli occhi di dosso dal pacco in esposizione e lui se ne accorse.
“Scusalo, è un esibizionista.”
“Sei un idiota.”
Spike tornò su di lei e la baciò, questa volta con più urgenza, con
passione devastante. Aveva troppo bisogno di lei per fare con calma. Insinuò
una mano sotto l’elastico dei suoi slip, in modo da toglierglieli. Buffy lo
lasciò fare, anche perché ormai era chiaro quello che sarebbe successo. Ne era
spaventata, ma lo voleva in una maniera tale che nulla l’avrebbe fermata. Le
faceva strano, dato che con Parker non aveva mai avuto una passione così
profonda. Forse sua sorella aveva ragione: non lo aveva mai amato. Ma con
William era diverso, ogni sua singola cellula lo voleva e lo chiamava a sé.
Spike la accarezzò in mezzo alle gambe, in modo che lei le aprisse
almeno un po’. Capiva benissimo che le tenesse serrate, ma non era la maniera
giusta per iniziare. Con dedizione profonda, mentre le baciava il corpo,
insinuava le dita sempre più vicino alla sua femminilità, facendola sospirare e
gemere, fino a quando riuscì a sfiorare qualcosa di umido e caldo. Il leggero
salto che fece lei, gli diede l’esatta concezione di quello che aveva fra le
dita. La accarezzò dall’alto verso il basso e al contrario per un paio di
volte, constatando che Buffy sembrava chiederne sempre di più
Impaziente si alzò e tornò verso i suoi jeans: dalla tasca prese il
portafoglio e ve ne cavò un preservativo.
“Ho una voglia matta di te, Raggio di sole, ma le precauzioni sono
d’obbligo alla nostra età!”
“Hai perfettamente ragione.” Buffy ringraziò il cielo che ci avesse pensato
lui, dato che lei era troppo presa dalle sue carezze per pensare a qualcosa.
Scrutò William, arrossendo, ma troppo incuriosita, mentre lui si toglieva i
boxer. Il suo pene balzò fuori senza esitare, dritto, apparentemente enorme e
decisamente pronto all’uso. Il ragazzo armeggiò un po’ con il condom e tornò da
lei.
“Pronta?”
“Diciamo di sì.” Lui deglutì pesantemente.
“Guarda che siamo ancora in tempo per fermarci” L’occhiataccia di Buffy
gli fece capire tutto.
Tornò a distendersi su di lei, che questa volta aveva tenuto le gambe
preventivamente aperte. Il ragazzo prese in mano il proprio membro e lo guidò
verso il canale intatto di Buffy. Ci dovette riprovare tre volte, dato che la
plastica del preservativo scivolava sulla carne di lei, facendola ridacchiare.
Aveva temuto di fare la figura della pivella, ma non aveva tenuto in conto che
Spike era alle prime armi come lei.
Lo sentì entrare tutto, millimetro per millimetro, lentamente, delicatamente,
per non farle male. E il dolore non arrivò: certo, l’intrusione le stava
provocando qualche fastidio, ma si era aspettata di peggio.
“È tutto ok?” Spike stava cercando di muoversi il meno possibile,
proprio perché non sapeva cosa poteva provare lei. Per lui era tutto magnifico:
si sentiva stretto dolcemente da quei muscoli e l’unica cosa che voleva fare
era andare su e giù assieme, ma si stava trattenendo.
“Sì… “ mormorò Buffy. Le pareva strano: tutto quel casino per quella
roba lì? Non le pareva chissà poi cosa. Dovette ricredersi quando lui iniziò a
muoversi dentro di lei: ad ogni spinta sentiva crescere qualcosa di caldo e
potente proprio nel suo utero. Non riuscì a non urlare, quando lui spinse
maggiormente. Inarcò le pelvi per poterlo inglobare, inconsciamente, ancora di
più. William chiuse gli occhi ed aspirò una forte boccata d’aria: vedere Buffy
mentre gemeva e si contorceva sotto di
lui, era un qualcosa che lo mandava pericolosamente vicino al limite. In realtà
non sarebbe durato ancora molto.
“Più forte…” Gemette ad un certo punto Buffy e lui l’accontentò.
“Ti avviso che sto arrivando…”
“Sì…” si baciarono ancora e Spike non resistette più. Con un suono
strozzato venne. Buffy tentò di alzarsi, ma il risultato fu una testata
clamorosa con Spike.
“Ahy!” urlarono in coro. I due si guardarono e si misero a ridere come
pazzi. Sul preservativo e sulle cosce di Buffy c’era il chiaro segno di
qualcosa di perduto, ma a loro interessava veramente poco in quel momento.
“Dobbiamo esercitarci ancora, mi sa.” La buttò lì Buffy come se nulla
fosse, mentre cercava di coprirsi con il lenzuolo.
“Passerotto, è una promessa, vero?” lui tornò verso di lei, andando a
quattro zampe sul materasso, imitando un gatto sensuale.
“Certo, ma solo se smetti di chiamarmi passerotto!”
La musica dei 30 Seconds to Mars si spandeva per la palestra: i vertici
della squadra avevano deciso di organizzare una festa in onore della vittoria
per il Campionato. Erano stati invitati tutti i genitori, gli amici e chiunque
di Sunnydale potesse contare per una eventuale raccolta fondi per la trasferta
a Los Angeles per il campionato dello Stato.
Monica aveva dato loro un paio di giorni di pausa, ma ben presto li
aveva richiamati a raccolta: per quanto avessero scarse possibilità di vittoria,
ci teneva a fare la miglior figura possibile, quindi voleva che i suoi ragazzi
dessero il massimo anche quella volta. Ma almeno per quella sera avrebbero
fatto baldoria.
Aveva notato come il presidente della squadra la fissasse spesso, quasi
a chiedersi come era riuscita in quella impresa.
“Monica, voglio presentarti una persona.” Si voltò e trovò una nuova e
raggiante Illyria che la guardava. Teneva per mano un ragazzo piuttosto alto,
con i capelli che avevano un senso dell’ordine piuttosto impazzito. Aveva la
bocca aperta in un sorriso un po’ imbarazzato, mentre i grandi occhi azzurri
fissavano Illy. “Lui è Knox!”
“Oh, piacere. Ho sentito tanto parlare di te.” Gli porse la mano: la sua
stretta era tranquilla, forte, piacevole, la giudicò lei.
“Spero in buoni termini.”
“Sempre ottimi!”
“Volevo farti i miei complimenti per la vittoria. Illyria mi ha spiegato
ogni partita che avete giocato.”
“Oh poverino, chissà che noia.” Illyria diede un leggero pugno sulla
spalla di Monica che si mise a ridere, attirando su di sé lo sguardo di Wes,
che in lontananza stava bevendo un po’ di the freddo e aiutava sua madre a
scegliere qualcosa da mangiare. Avevano invitato anche lei alla festa, ma
avevano, comunque, preferito tenerla in disparte. C’era con loro l’assistente
sociale che li seguiva da una vita e che li aiutava.
“Wes, vai a divertirti, ci penso io a mamma, ok?”
“Grazie.”
Si guardò in giro e fu molto felice di notare che molte cose sembravano
essersi sistemate per il meglio: Willow ed Oz ormai pronti per qualunque cosa,
erano sempre assieme e tubavano a meraviglia.
Spike non faceva altro che controllare i movimenti della biondina del
pattinaggio, Buffy se non errava. Lei e la rossa parlavano molto, ma sempre
vicino a William: se si allontanavano, lui le seguiva. Era decisamente geloso
marcio della sua ragazza.
“A che pensi, capitano?” La voce di Monica lo riscosse. La guardò in
quei profondi occhi nocciola nei quali adorava perdersi e ritrovarsi. Più
passava il tempo e più sapeva di amarla e di volerla in tutte le maniere del
mondo ed alla luce del sole.
“Che sembra che il mondo sia in pace.” Lei rise piano guardandosi
attorno. Era normale che stesse così bene con un ragazzino affianco? Era
possibile che lui fosse veramente La storia della sua vita? Non poteva
crederlo, avevano vite fin troppo differenti.
“Tieni Cordelia.” Liam pose alla ragazza un piattino: dentro ci aveva
messo di tutto, panini, tramezzini, pizzette, patatine e perfino un pezzo di
dolce al cioccolato.
“È una specie di cura drastica?”
“In realtà non sapevo cosa poteva piacerti, quindi ho preso un po’ di
tutto. Ovviamente scegli quello che preferisci.”
Cordi iniziò a sbocconcellare la torta ringraziandolo con gli occhi.
Dopo il loro leggero bacio in macchina non c’era stato altro. Lei si dedicava
corpo e soprattutto anima, nel riprendersi dal suo brutto male e lui voleva
lasciarle tutto il tempo di riprendersi. Non voleva sembrarle troppo
opprimente, quindi si teneva ai margini della sua vita, inconsapevole di
quanto, in realtà, ne facesse incredibilmente parte.
“Sei molto gentile. Io non so che dire per ringraziarti.” Gli mormorò.
“Figurati, per un pezzo di torta? Non è niente.” Lei scosse il capo.
“No, Liam, è per tutto quanto…se non fosse per te, io…” prese un
profondo respiro “Io non so che cosa sarebbe di me adesso.” Lui le si avvicinò
e la prese per le spalle abbracciandola: nonostante Cordelia fosse una delle
ragazze più alte della città, fra le braccia del pivot sembrava una piccola
bambolina di porcellana, terribilmente fragile.
“È stato un piacere.”
“Ehm, scusateci.” Il presidente della squadre, più il padre di Andrew,
assessore allo sport di Sunnydale, li stavano chiamando. Erano entrambi vestiti
in giacca e cravatta, proprio per far capire che in quel preciso istante loro
erano le autorità. Tutti i presenti ammutolirono e prestarono loro attenzione.
“Bene, so che questo è un giorno di festa, anche se gli allenamenti sono già
ripresi per il Campionato dello Stato. Tutta la società dei Red Fox è estremamente sorpresa e contenta dei
risultati ottenuti…” e via di questo passo. Monica sbadigliò senza ritegno, ma
quelle parole vuote e per lei senza senso, la annoiavano a morte. E le parevano
pure ipocrite: all’inizio dell’anno lo stesso uomo che stava parlando in quel
momento le aveva detto a chiare lettere che le dava in mano la squadra solo per
levarsela di torno, quindi con che faccia adesso la elogiava e diceva che fin
dall’inizio aveva puntato su di lei? Bella faccia di culo che si ritrovava,
pensò mentalmente. Ma non tutti sembravano pensarla come lei: molti dei
genitori annuivano soddisfatti e ascoltavano attenti. Si guardò in giro e notò
come i suoi ragazzi fossero attenti a mille altre cose. Provò una fitta al
cuore: si era veramente affezionata a loro. Si ricordò il primo giorno passato
assieme, quando lei si presentò tutta carica a decretare le regole per una
giusta convivenza pacifica, cosa che non sempre era stata recepita.
Si voltò verso Spike: teneva nella mano quella della sua ragazza e
continuava ad accarezzarle il dorso con lenti gesti circolari. Sembrava un
altro rispetto a quando l’aveva conosciuto. Era cresciuto come giocatore che
come persona. Tutti loro erano diventati migliori, almeno per quanto volesse
crederci. Certo, molti di loro erano e continuavano ad essere dei ragazzini, ma
almeno come giocatori di pallacanestro ormai se la cavavano tutti, anche
Jonathan ed Andrew che all’inizio erano decisamente pietosi.
Guardò Wesley e si perse a seguirne il profilo, lo sguardo
apparentemente attento a quello che accadeva attorno a lui. Non era rasato di
fresco e questo gli dava un’aria decisamente da uomo più vissuto. Sospirò: in
realtà non sapeva proprio come la loro storia sarebbe potuta evolvere. Come sua
allenatrice tutto sarebbe dovuto restare nascosto, anche se lei, in fondo,
avrebbe tanto voluto urlare alla luce del sole il suo affetto per lui. Ma di
certo non voleva perdere la guida della sua squadra solo per togliersi una
voglia con un ragazzo che aveva appena diciotto anni.
Prese la parola anche il signor Welsh e le chiacchiere continuarono
ancora per una eternità: rinnovamento, fare del proprio meglio, bla bla bla…
un’infinità di tempo perso.
“Ma veniamo al vero argomento scottante della serata.” L’attenzione
tornò almeno in parte. “La signorina Cross è stata eccezionale a portarvi fino
a qui. Adesso vedremo quello che riuscirete a fare a Los Angeles.
Indipendentemente dal vostro risultato, il consiglio di amministrazione ha
scelto che per la prossima stagione sarà il signor Patterson ad allenarvi.” Un
coro di proteste si levò dai ragazzi e pure la diretta interessata si ritrovò
senza parole: quei fetenti non le avevano detto nulla.
“Tu lo sapevi?” chiese Illyria ignara.
“Ovviamente no.”
“Non potete mandarla via!”
“Non la stiamo mandando via, solo che ora è giusto cambiare rotta. C’è
un’altra squadra che la aspetta e cercherà di raggiungere gli stessi risultati
che avete ottenuto voi. E voi dovete crescere ulteriormente per raggiungere
vette maggiori.” La cacofonia continuò: c’erano genitori contenti ed altri a
cui la cosa interessava ben poco, ma erano i ragazzi a fare più baccano.
“Silenzio!” l’urlo di Monica riportò la calma nella piccola sala. Tutti
gli sguardi erano puntati su di lei. “Scusate, ma avete mai pensato di farmene
parola?”
“Signorina Cross, il suo contratto termina a breve e lei lo sa.
Semplicemente le diamo la possibilità di allenare qualcun altro.”
“Io non voglio nessuna altra squadra, ma solo loro.” Ed indicò i ragazzi
con un ampio gesto della mano.
“Mi spiace, ma questo non è possibile.” Monica rimase imbambolata, non
sapeva veramente che cosa dire.
“Signor presidente?” la voce educata di Wesley li fece girare.
“Sì, Pryce?”
“Non ha pensato che forse noi non vogliamo un altro allenatore al di
fuori di Monica ed Illyria?”
“Non è a voi che deve interessare chi vi allena.”
“Allora noi smetteremo di allenarci.” La determinazione che Liam aveva
dimostrato fece sorridere Monica.
“Voi non potete fare questo. Avrete un titolo da difendere, diventerete
lo zimbello della città.”
La situazione stava diventando imbarazzante per tutti.
“Ragazzi, per favore, state calmi.” Cercò di tranquillizzarli. “Sarà una
mia scelta, non preoccupatevi. Continuate ancora la festa… “ prese il bicchiere
e se lo svuotò tutto d’un fiato, dimenticandosi che c’era birra. Fece una
smorfia e si mise a canticchiare camminando in giro per la palestra. Tutti i
suoi ragazzi ed Illyria, la fissarono senza capire: stranamente Monica sembrava
calma, come se avesse metabolizzato ogni parola e già avesse preso una
decisione.
Cosa assolutamente falsa: Monica aveva il cervello in completo
subbuglio. Davanti a lei si erano aperte due strade: se sceglieva di allenare
ancora i ragazzi, avrebbe dovuto definitivamente dire addio alla storia con
Wesley, poco ma sicuro. Invece, se decideva di lasciare la squadra, la sua
storia sarebbe potuta uscire allo scoperto. Si sedette sulla panchina e prese a
rimuginare.
Dopo poco scoppiò a ridere: le sembrava di essere Angel, anche lui
quando qualcosa non andava, si ammutoliva e pensava. Certo, ridere di ciò non
aiutava a risolvere il suo piccolo problema. Quei maledetti le avevano proprio
dato una bella gatta da pelare.
“Pensa a quello che è meglio per entrambi, non solo per te.” La voce di
Illyria la fece sobbalzare: le si era avvicinata silenziosa come un felino.
“E perché credi che ci stia così tanto a pensare su? Se fosse solo per
me saprei già che scegliere.” Illy annuì.
“Ti piace Knox?” meglio far cadere il discorso scottante.
“Perché me lo chiedi? Deve piacere a te, mica a me. Sei tu a fartelo.”
“Ma tu sei una mia amica…una delle mie più care amiche. Ci tengo al tuo
parere, non mi va che il mio potenziale fidanzato non vada d’accordo con le mie
amiche.” A Monica parve che stesse arrossendo: in effetti non era proprio da
lei, sempre molto fredda e controllata, lasciarsi andare a quelle confessioni
così intime e tenere.
“Trovo che sia molto carino e non solo d’aspetto. Non molti sarebbero
venuti allo sbaraglio ad una festa dove, praticamente, non conosce nessuno.
Insomma, si è preso un bel impegno.”
“Quindi pollice su?”
“Più che su, stella!”
Si alzò dalla panchina, decidendo che per lei la serata era ben che
finita: aveva soltanto tanta voglia di buttarsi sul suo divano, accendere lo
stereo e urlare le canzoni che passavano senza curarsi di nessuno. Voleva
proprio staccare.
“Vado a casa. Pensa tu a chiudere tutto…oppure lascia che si arrangino,
in fondo ormai la stagione è terminata!” Risero assieme, poi Monica si andò a
prendere la borsa, sempre tra gli sguardi preoccupati dei ragazzi.
“Darò la mia risposta domani. Buonanotte.” Fece al presidente, poi prese
la via della porta.
“Ma se ne va così?” chiese Spike fissando gli altri.
“Tu riesci a capirla?”
Wesley mollò il suo bicchiere sul tavolo, non accorgendosi che si era
rovesciato facendo spandere tutta
“Aspetta! Monica.” Andò quasi a sbattere contro la porta aperta. Anche
lui non sapeva bene cosa pensare: non voleva che lei lasciasse la squadra,
eppure voleva tanto poterla amare davanti al mondo. Che caos che aveva per i
neuroni! La vide che stava aprendo la portiera della macchina: da lontano
sembrava calma e serena.
“Monica!” Wesley le mise la mano sulla spalla e la fece girare: lei lo
fissava seriamente. “Che hai deciso per la squadra? E per noi?”
Monica sorrise.
FINE