VITA A SPICCHI

Di PrincesOfTheUnivers

 

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi sono di proprietà di Joss Whedon, della Mutant Enemy e della Fox. La scrittrice non si vuole appropriare di nulla, tranne dell’originalità della storia. Non scrive a scopo di lucro.

Pairing: ci sono coppie di tutti i tipi.

Rating: per andare sul sicuro metterei un NC-17.

Tipo: AU di genere adolescenziale.

 

Premessa tecnica.

 

Il basket è uno sport che si gioca cinque contro cinque. Lo scopo di ciascuna squadra è quello di segnare nel canestro avversario e di impedire alla squadra avversaria di realizzare punti.

La squadra vincente è quella che ha realizzato il maggior numero di punti alla fine del tempo di gioco.

Il campo di gioco è costituito da una superficie piana, dura, libera da ostacoli avente le dimensioni di m 28 in lunghezza e di m 15 in larghezza, misurate dal bordo interno delle linee perimetrali.

Sono necessarie le seguenti attrezzature:

• Tabelloni

• Canestri, comprendenti gli anelli e le retine posizionati a 3,05 m

• Struttura di sostegno del tabellone, incluse le protezioni

• Palloni

• Cronometro di gara

• Campo di gioco

• Due squadre

La data di nascita della pallacanestro, nota anche con il nome di basket (canestro) o basket ball, é collocata nel 1891.  Il dottor JAMES NAISMITH, insegnante di educazione fisica presso l'Università del Kansas, ideò questo gioco per impegnare in un luogo coperto anche durante il periodo invernale i ragazzi.

Fu lui a varare i principi fondamentali e le regole che grosso modo erano quelle della moderna pallacanestro.  Sono conosciute come le 13 regole di Naismith, anche se nell'evoluzione tecnica del gioco moderno si sono introdotte nuove norme, ed altre sono state abolite, per ottenere un gioco  sempre più dinamico, veloce e spettacolare.

Le basi del basket sono chiamate Fondamentali e sono quattro: palleggio, tiro, passaggio e difesa.

Il palleggio serve al giocatore con la palla in mano per muoversi liberamente nel campo; il tiro serve per fare più canestri degli avversari; il passaggio per dare la palla ad un proprio compagno; la difesa per evitare che la squadra avversaria faccia canestro. *

 

*I regolamenti sono stati ricavati dal vigente Regolamento FIP per i campionati dell’anno 2005/2006

 

 

 

Capitolo Uno

 

La palestra l’accoglieva silenziosa: ben pochi la usavano ad agosto, ma di lì a poco la sua nuova squadra si sarebbe nuovamente allenata in preparazione al nuovo campionato che sarebbe iniziato la prima settimana di ottobre.

Monica sospirò forte: per quanto avesse sempre considerato il campo di basket il suo ambiente naturale, pensò che l’avventura in cui si sarebbe presto imbarcata fosse molto più grande di lei. Le era stato offerto –Gentile offerta! Pensò lei- di allenare gli Under-18 della società dei Red Fox, ragazzi che nessuno voleva allenare. Non che fossero male, avevano una buona tecnica e buona atleticità, ma avevano tutti caratteri impossibili. Erano rare le partite che finivano senza un fallo tecnico per proteste contro gli arbitri e lei non lo tollerava: le cose sarebbero cambiate drasticamente.

Ammirò ancora una volta il bel parquet di legno chiaro, reso lucido dalla vernice, le perfette righe bianche delineanti il campo di gioco, le due aree colorate di blu ed i canestri posti a 3,05 m, si chiese se  sarebbe riuscita a tenerli a bada.

Reprimendo l’ennesimo sospiro si alzò ed andò a cambiarsi: presentarsi ai suoi ragazzi in tailleur, anche se lo aveva usato per una riunione di lavoro, non sarebbe stato il massimo. Mettendosi in tenuta da palestra, ripensò alla sua breve carriera: a diciotto anni aveva iniziato il corso per allenatori, passando subito l’esame, poi era andata ad allenare i bambini del mini-basket, per poi approdare come aiuto nella squadra giovanile femminile. Quella era la sua prima squadra di soli maschi. Prese un pallone dal cesto e cominciò a tirare: uno, due, tre, cinque, dieci canestri e più tirava, più correva e sudava; riusciva così a stemperare la tensione dell’imminente incontro.

Poi, arrivarono.

 

Spike arrivò in palestra imprecando fra sé: amava il basket sopra ogni altra cosa, ma pensava che iniziare gli allenamenti così presto, quando i suoi amici ancora stavano spaparanzati in spiaggia, fosse troppo anche per lui. In più oggi avrebbero conosciuto il nuovo allenatore. Sperava fosse meglio del precedente, che non aveva un minimo di polso. Spike non era uno stupido, sapeva che erano ragazzi difficili da gestire, avevano tutti caratteri forti e non volevano cedere. Eh già, allenare loro non era per nulla facile, se il padre di Andrew non fosse stato assessore allo sport nel comune di Sunnydale, la sua squadra sarebbe già stata sciolta, ne era sicuro.

Entrò in palestra sentendo il familiare rumore della palla che toccava il legno: peccato, non era il primo.

Rimase sorpreso quando vide tirare a canestro una ragazza.

 

“Liam, muoviti! Dobbiamo correre in palestra!” il bel ragazzo moro interpellato guardò l’orologio e dovette ammettere con se stesso che il fratello aveva ragione.

“Arrivo Xander.” Doveva lasciare la sua ragazza ora. “Ehi, Darla, devo andare, ho gli allenamenti. Sì, ci sentiamo dopo.  Ciao.”

Darla Hopkins era la sua ragazza da circa un anno: non l’amava e lo sapeva, ma lei era la ragazza più bella della sua scuola e quindi non poteva chiedere di meglio…o sì? Stancamente si alzò dal letto e buttò le Nike pulite nel borsone. Uscì dalla stanza e trovò Xander già pronto ad uscire.

“Mamma, noi andiamo!”

“Fate attenzione per strada, mi raccomando.” Rispose una donnina di mezz’età.

“Cercate di combinare qualcosa di buono voi due, oggi.” Sbraitò dalla poltrona il padre, birra in mano e canottiera della salute sporca in più punti.

“Ci faremo valere, papà.” Rispose Xander cercando di rabbonirlo.

“Proprio tu parli che non hai mai fatto niente per rendermi orgoglioso.” L’espressione ferita del ragazzo valeva più di mille parole.

“Vieni, andiamo.” Disse Liam circondandogli le spalle per farlo uscire. Non voleva che suo fratello si demoralizzasse il primo giorno di allenamento. Con la macchina di famiglia arrivarono in palestra in un batter d’occhio.

“Spike è già arrivato…” disse Xander indicando la bici.

“È incredibile, vuole essere il primo anche ad arrivare in palestra per un allenamento.” Commentò Liam.

Entrarono anche loro e davanti al parquet di fermarono: Xander rimase a bocca aperta vedendo una ragazza centrare un canestro da tre punti, senza apparente difficoltà.

 

La sveglia suonò, interrompendo Oz mentre stava suonando un pezzo dei Muse. Il suono della corda del basso continuò ancora per qualche istante per poi interrompersi del tutto. Il ragazzo guardò l’orologio e sbuffò. Non aveva tutta questa voglia di andare in palestra, dato che così sarebbero ricominciate le prese in giro. Per una volta ancora imprecò contro la sua altezza: era un tappo e nessuno lo voleva, anche se a palleggiare non era malaccio. L’unico gruppo a cui poteva accedere era quello dei Red Fox, quindi ‘o mangi questa minestra…’

Fece una smorfia guardandosi le unghie: lo smalto nero stava iniziando a scrostarsi.

“Dovrò rimettermelo questa sera.” Disse, calmo.

Aveva pensato di mollare tutto e di darsi esclusivamente alla musica, ma i Dingoes Ate my Baby  non riuscivano a dargli tutte le emozioni del semplice rumore della palla che bucava la retina dopo un tiro da lontano, quindi doveva continuare a giocare con loro. Non riusciva a capire perché tutti ce l’avessero con lui. In sella alla sua Vespa, Oz pensò a quando era iniziata quella manfrina: Darla, sicuramente era stata causa sua. Lui l’aveva rifiutata e lei si era vendicata. E che sadica vendetta, doveva ammetterlo anche lui, in fondo solo un ragazzo deviato poteva scaricare la grande Darla Hopkins, uno normale si sarebbe fiondato su di lei senza aprire bocca. Ma a Oz le ragazze piacevano sveglie e possibilmente un po’ acerbe. Quelle già pronte a dartela su un piatto d’argento non meritavano la conquista che portava avanti lui, solo che era difficile trovarne. Scaricò la Vespa ben lontana dalla bici di Spike: si odiavano cordialmente, i due, forse perché Spike, come capitano, non aveva mai preso le sue difese, prendendo invece le parti della maggioranza dei compagni che lo prendevano in giro. Oz si era sentito veramente un emarginato, ma inghiottiva ogni volta tutto, senza fiatare.

Trovò i suoi compagni che guardavano qualcosa di apparentemente strano in campo, ma non se ne curò. Si diresse direttamente in spogliatoio per cambiarsi. Davanti al piccolo specchio si fece la domanda più importante di tutta la giornata.

“E se mi tingessi i capelli di blu?”

 

“E quindi, suoi antidoti sono l'atropina e la digitalina.” Esclamò soddisfatto Wesley chiudendo il suo libro di anatomia. Doveva essere tutto perfetto per il compito del giorno dopo e lui era sempre stato perfetto negli studi, non poteva certo dare un dispiacere a sua madre. Si accorse di essere in leggero ritardo per il primo allenamento dell’anno, così prese dall’armadio una maglietta grigia da battaglia ed un paio di pantaloncini, da aggiungere alle scarpe di seconda mano ed un liso accappatoio. Doveva risparmiare il più possibile. Aggiunse le lenti a contatto e cercò sua madre.

La trovò in cucina, che fissava un punto lontano sul muro.

“Mamma, io vado in palestra… non ti preoccupare, torno presto, va bene?” ma la signora Pryce non sembrava accorgersi di nulla. Wes scosse la testa ed uscì. Amava sua madre, ma la depressione che l’aveva colta lo stava portando alla pazzia. Per fortuna che la seguivano i servizi sociali. Sospirò ringraziando il cielo di avere quelle due ore in cui non doveva pensare a nulla, se non a ficcare la palla a canestro. Da buon inglese era una chiavica in quel gioco, ma si era appassionato da bambino guardando l’NBA e aveva provato. Non se la cavava malaccio, tutto sommato, anche se segnava pochissimo. Pazienza, preferiva di gran lunga recuperare palloni.

“Cavoli, sono già tutti qui.” Mormorò piano. Mollò la bici dove capitava e corse dentro. Si ritrovò davanti ad uno spettacolo surreale: tutti i suoi compagni, tranne Oz- e come poteva sbagliarsi!- erano ancora vestiti normalmente, presi a guardare qualcuno che già giocava.

“Che ci fate tutti qui? Oggi niente?” chiese a chiunque volesse rispondergli.

“Guarda là.” Disse invece Xander additando Monica che tirava.

Wes seguì il dito, incontrando con lo sguardo una ragazza non molto alta vestita con una t-shirt blu elettrico ed un paio di pantaloncini neri. Ai piedi calzava un paio di Nike bianche e blu, un modello di qualche anno prima. I capelli lunghi erano catturati da una coda alta.

“Qualcuno le ha chiesto che ci fa qui?” chiese Wesley, e gli altri scuoterono la testa. Fu lei a prendere l’iniziativa, infine. Con il pallone in mano si avvicinò al capannello di ragazzi che ancora la fissavano curiosi.

“Beh, non vi siete cambiati ancora? Volete muovervi?” disse con voce ferma, leggermente ansante per il piccolo allenamento extra che si era concessa.

“Credo che lei si sia sbagliata, signorina.” Rispose invece Wes con la sua educata cadenza inglese. Aveva capito che era sicuramente più grande di loro, forse una senior della squadra femminile. Monica alzò un sopracciglio in segno di curiosità. “Non sono neppure sicuro che le ragazze si allenino qui.” Finì lui e lei prese a ridere.

“Mi sa che siete voi a non capire. Io sono qui per allenare… voi in effetti!”

 

La bomba era stata sganciata. Dalle loro facce Monica intuì che nessuno aveva ancora detto niente a quei ragazzi.

“Ok, facciamo così. Andate a cambiarvi, vi aspetto qui per fare una chiacchierata tranquilla, va bene.” Ma sembrava che nessuno volesse ascoltarla, parlavano tra di loro incuranti di tutto e lei capì che ci sarebbero volute le maniere forti. Prese un fischio di quelli in dotazione alle classi arbitrali di tutti gli sport e fischiò: il suono era così forte che tutti i ragazzi portarono istintivamente le mani alle orecchie.

“Bene, ora che ho la vostra attenzione, potete fare come vi ho detto. Su, andate a cambiarvi… vi aspetto dentro.”

Imprecando contro quella pazza, andarono tutti in spogliatoio, trovandovi Oz che già si allacciava le scarpe.

“Ma vi rendete conto? Una donna! Ci hanno mandato una donna!” sbraitò Spike. Cominciarono a spogliarsi in velocità e ben presto ci furono ragazzi nudi in ogni angolo.

“Ehi, deviato, cerca di non eccitarti troppo nel guardarci.” Disse qualcuno rivolto a Oz.

“Tranquillo, non sei il mio tipo.” Rispose lui con la sua solita calma e un sorrisino di superiorità stampato sulla bocca.

“Ma sentitelo…” mormorò Xander infilandosi la canottiera.

“Potremmo lasciarle il beneficio del dubbio.” Continuava intanto a dire Wesley parlando di Monica “magari ci sorprenderà.”

“Se vuoi ti dico io dove mi piacerebbe sorprenderla.” Rispose Spike poco elegante.

“Scherzi a parte, capitano, immagino che dovremmo portare avanti una linea comune.” Disse Liam dal suo angolo.

“Già, voi che ne dite?”

“Io penso che dovremmo ascoltare quello che deve dirci, poi al massimo non la ascoltiamo.” Disse Oz attirandosi addosso tutti gli sguardi.

“Mi secca ammetterlo, ma forse Osborne ha ragione.”

“Bene, allora è deciso.” Decretò Spike e tutti uscirono verso il parquet, trovando Monica che allegramente continuava la sua scarica di tiri, stavolta dalla linea dei liberi.

“Oh, bene, siete qui. Sedetevi pure.” Lei si posizionò sul tavolo degli ufficiali di campo, posto fra le due panchine al livello della riga di centro campo e i ragazzi si accomodarono a terra davanti a lei, che a gambe incrociate li guardava uno ad uno, segnando mentalmente chi già conosceva e chi no.

“Siete una squadra di falliti.” Esordì, attirandosi sguardi di puro odio. “Almeno è quello che credono i capi di questa società. Non hanno tutti i torti, in realtà. L’anno scorso siete stati fermati al nono posto al campionato, su diciotto squadre, avete giocato in tutto 46 partite comprese le amichevoli, e almeno uno di voi è stato buttato fuori per espulsione diretta o per fallo tecnico per 35 volte. Fanno solo undici partite senza un T2 a referto… inammissibile. Siete iscritti al prossimo campionato solo perché il signor Welsh è l’assessore allo sport. Non provate vergogna per questo?” chiese Monica tranquilla e nessuno rispose. “Appunto… io allenavo le ragazze fino all’anno scorso, ma ora sono state mandate in un’altra società, visto che questa vuole puntare solo sul maschile ed io mi sono ritrovata senza lavoro. Siccome voi siete l’unica, e voglio sottolineare la parola unica, squadra che nessuno voleva avere per le mani, eccomi qui. Un modo per sistemare voi e me, una piccola punizione per il vostro rendimento e la mia testardaggine a voler rimanere. Diciamocelo, qui c’è molto da lavorare, ma non dipende esclusivamente da me, anzi, dipende soprattutto da voi. Avete una scelta davanti e io credo che siate abbastanza grandi da poterla fare.”

“E quale sarebbe?” chiese Liam a voce alta.

“Potete fregarvene di me e fare il campionato senza una vera allenatrice, arrivando ai risultati degli scorsi anni con il rischio di vedere la squadra venir sciolta alla fine dell’anno agonistico, oppure potete decidere di lavorare sotto la mia ala e dimostrare a quelli là che c’è del buono in voi. Ma dovete decidere ora, io vi lascio qualche minuto per parlarne. Sappiate che se mi vorrete come vostra allenatrice ci saranno delle regole da rispettare…” Prese di nuovo il pallone per tirare e si avviò verso il canestro.

“Che si fa?”

“Non credo che abbiamo molta scelta.” Disse Andrew piano. “insomma, o lei o nessuno. Meglio avere qualcuno che può comunque coprirci le spalle.”

“Il biondino ha ragione.” Continuò Xander.

“Io non ce la voglio una donna per allenatore…” sbottò Spike.

“Perché? Paura che sminuisca il tuo ruolo?” chiese Oz con un punta di ferocia nella voce.

“Smettetela.” Li interruppe Wesley.

“Già, Pryce ha ragione, non è litigando che sistemeremo le cose. Si vota per alzata di mano. Chi la vuole?” più della metà votarono sì. “È deciso, lei resta.”

“Coach!” urlò Spike a Monica “abbiamo deciso!” e lei capì di essere nel team.

“Ottimo. Quindi ora è tempo di dettare qualche regolina di buona convivenza.” Prese a dire lei, camminando davanti a loro.

“Per prima cosa dovete imparare che con gli arbitri non si parla. Lo può fare solo il capitano, che per inciso non sarà più William Giles, dato che è un po’ troppo irruente. Chi prenderà un fallo tecnico, che voi sapete viene dato solo per comportamenti non adeguati, pagherà multa, oltre a far pagare tutta la squadra l’allenamento dopo. Stessa regola vale per i falli di espulsione diretta, i così detti D2, per i falli tecnici alla panchina B2, quindi dati alle riserve e i falli, rari, di rissa. Se il tecnico lo prendo io, quindi C2 sul referto, pagherò da bere a tutti dopo la partita.” Tutti la stavano guardando sconvolti.

“Vale anche per i falli antisportivi?” chiese Oz.

“No. Quelli sono falli di gioco e sono a descrizione dell’arbitro darli. È una loro valutazione.”

“Uscita per 5 falli?” Chiese Xander, piuttosto avvezzo a quell’ultimo caso.

“Multa di tre dollari da mettere nel fondo cassa per la cena finale.” Rispose lei, tranquilla. “Non so se lo avete capito, ma con me sputerete sangue in difesa. È un fondamentale troppo trascurato. Poi, sono la vostra allenatrice, quello che vi dico di tecnico non voglio che sia messo in discussione per partito preso. Se negli schemi ci sarà qualcosa che non capirete o che vi sembra sbagliato, fatemelo notare con calma e portatemi le vostre argomentazioni: ne parleremo assieme e cercheremo di capirci. Le statistiche dello scorso anno dimostrano che ci sono delle buone individualità: William…”

“Spike. Io mi chiamo Spike, qui.” La corresse immediatamente lui, e lei lo guardò alzando un sopracciglio.

“Spike ha avuto una delle migliori medie realizzative. Wesley è il primo in campionato per palle recuperate e Liam per rimbalzi difensivi. Queste sono cose su cui continuare a lavorare, ma i singoli non portano a vincere niente, è la squadra che conta, quindi vedete di mettervi a giocare per essa e non per voi stessi. Non so se fuori di qui siete amici oppure se neppure vi conoscete, ma quando entrate in palestra dovete tutti essere fissati su un solo obiettivo: fare squadra.”Sperò che quello che aveva detto fosse stato recepito.

“Ed in quest’ottica… potete considerarmi una stronza iper galattica, me ne frego altamente, ma qui voglio, anzi pretendo, rispetto, lo stesso che io darò a voi. Se qualcuno avrà bisogno di me, sono qui a disposizione. Posso darvi uno strappo se non avete i mezzi di trasporto per venire ad allenarvi, vi ascolterò se avrete problemi, ma voglio che sia chiaro che quando vi alleno faccio quello e non sarò la brava e gentile Monica che potrei essere fuori, entiende?”

“Ci farai anche da psicologa?” chiese acido Spike.

“Lungi da me. Non è il mio titolo, ma so per esperienza che parlare dei propri problemi è liberatorio. Poi fate quello che preferite. Ah, ultima cosa. Vorrei che votaste per un capitano, che non sarà Spike. Il ruolo di capitano porta a dover parlare con gli arbitri, è il collante fra il fischietto e il resto della squadra, quindi deve essere bravo a parlare e calmo. Capirete che William non è il massimo in questo ruolo.”

“Beh a vederla in questa ottica non è del tutto sbagliato.” Disse Gunn, un ragazzo di colore, piuttosto giovane.

“Votate e poi ditemi, non è urgente, il campionato inizia solo ad ottobre. In piedi.” Cominciò a fissarli uno dopo l’altro.

“Via la collana, Xander.”

“Daniel, i piercing ti stanno molto bene, ma non in palestra. Potresti farti male e non voglio.”

“Jonathan, meglio le lenti a contatto se puoi, se ti arrivasse una pallonata sugli occhiali potresti farti male seriamente.” Diceva qualcosa ad ognuno di loro.

“Liam, sorridi… saresti più carino.”

“Angel… mi chiami Angel durante l’ allenamento.”

“Ok, Angel.”

“Bei capelli, Spike.” Disse al giovane, sorridendo. Portava una zazzera biondo platino che accecava.

“Devo tagliarli ora?”

“Oh no, tienili, fanno molto Billy Idol… non sono male  e ti stanno bene.” Passò all’ultimo, che era Wes.

“Dovrai cambiare le scarpe. Fallo presto, non voglio che arrivi alla prima di campionato con le scarpe nuove e che ti fanno male.” Lui arrossì un po’, e Monica si chiese il perché.

“Ah, una domanda… chi teneva le statistiche l’anno scorso?”

Una manina si alzò dal fondo del gruppo.

“Io…” disse a voce bassa Andrew.

“Complimenti… un lavoro ottimo, ho dato un’occhiata ai tuoi fogli. Bene, cominciate a correre… quindici minuti per iniziare.” Il gruppo prese lentamente ad eseguire l’ordine. “Aspetta Andrew, voglio chiederti una cosa.”

“Sì?”

“Devi scrivermi un foglio con tutti i nomi dei tuoi compagni e con un numero di telefono per rintracciarvi. Me lo porti il prossimo allenamento, ok?”

“Certo… ma perché?” lei sorrise.

“Ve lo spiegherò la prossima volta. Ora vai a correre anche tu!”

Finita la corsa erano già tutti ansanti, l’estate li aveva un po’ rammolliti.

“Forza, via con lo stretching.”

Continuarono così per tutto l’allenamento: Monica li fece praticamente solo correre e saltare, con qualche pausa per fargli fare allungamenti. La palla la videro con il binocolo, fino a dieci minuti prima del termine.

“Facciamo una piccola partitella, giusto per vedere come siete messi. Allora, maglie dentro: Daniel, Spike, Angel, Gunn, Jonathan. Maglie fuori: Andrew, Wesley, Xander, Robin e Jesse. Iniziamo così, e datevi le marcature da voi. Io farò da arbitro.”

Cominciarono a giocare: Monica lasciava correre molto, fermava il gioco solo sui falli più gravi e le infrazioni, quali i passi. Stava cominciando a pensare a come portare la squadra in alto.  ‘Il potenziale c’è…’ pensò tra sé.

Fece un fischio più forte degli altri, dopo che Spike aveva segnato l’ennesimo canestro in faccia a Jesse.

“Fermi tutti. Xander, Angel, cambiatevi di squadra. Jesse, marca Daniel, Wesley prendi Spike. Robin fai tu il Play delle maglie dentro. Continuate.”

Con le nuove modifiche il gioco diventò più equilibrato e Monica fu soddisfatta. Cinque minuti dopo li fermò con un triplice fischio.

“Mi sembra abbastanza per oggi. Adesso fate tre serie di addominali da dieci e tre di dorsali, poi due tiri liberi segnati di fila e potrete andare a farvi la doccia.”

“Ancora!” si lamentò Jonathan.

“Sì, Levinson, ancora. Dovete fare muscoli, che credete!” e ridacchiò. Altro che solo muscoli, li avrebbe fatti morire, se fosse stato necessario. Nessuno li aveva mai portati al limite… beh, lo avrebbe fatto lei! I suoi superiori sarebbero rimasti a bocca aperta per i loro progressi. Prese a tirare, mentre loro, con i piedi bloccati dalla spalliera, facevano addominali e dorsali.

“Posso tirare?” chiese cortesemente Robin.

“Hai terminato?”

“Sì.”

“Tieni.” E gli passò la palla. Dopo un po’ anche gli altri arrivarono a tirare, ma ben pochi centrarono per due volte di seguito il canestro.

“Su, ormai ci sono sempre due tiri, sono rari i casi di tiro singolo. Dovete riuscire a segnare tutti e due.” Li incitava lei. Si era messa sotto la retina e passava la palla, in modo da essere compresa nell’allenamento, per dimostrare di essere parte della squadra. Dopo una manciata di minuti rimasero solo Wesley ed Andrew.

“Vogliamo fare notte?” li prese un po’ in giro Monica.

“Provaci tu, se è così semplice!” sbottò Wes incazzato più con se stesso che con lei, che, in fondo, faceva solo il suo lavoro.

“Mi sembra giusto. Passami la palla Andrew.”

Si posizionò dietro la linea bianca che delimitava l’area per tirare. Due lanci, due canestri.

“Dai, tocca a te, Andy.” Andrew segnò il primo e si mise in posizione per il secondo.

“Alt, fermo lì.” Intimò Monica. Arrivò da lui e gli fece avvicinare i gomiti, girando la mano sinistra a lato della palla, per poterla mantenere più stabile.

“Tieni paralleli i piedi, fai leva sulle gambe, non sulla spalla, spezza il polso. Ricordati che la mano sinistra serve solo per appoggio, non per dare spinta. Prova, ora.” Il ragazzo tenne a mente i consigli e si ritrovò a fare canestro. “Visto? È più facile così, giusto?” e gli sorrise. “Vai a lavarti. Bene, Wes a noi due!” e sorrise anche a lui.

Lo guardò tirare, ma lui non centrò la retina.

“E che cazzo! Sono impedito!” sbottò. Cavoli, era già tardi e sua madre era sola a casa. Con quel pensiero si rimise in lunetta.

“Piega di più le gambe, Wesley. Tu fai molta leva sulle braccia e le spalle, ma il tiro non funziona. Deve partire dai piedi e portare la forza alle dita. Allunga per bene il braccio.”

Buttò dentro il primo.

“Ehi, è andato!”

“Visto? Vai a lavarti, altrimenti ci buttano fuori a calci!” disse Monica, indicando la squadra di pallavolo che si allenava dopo di loro. Il coach stava segnalando chiaramente l’orologio per far capire il loro ritardo.

“La prossima volta ne faccio tre, allora.”

“Va bene.”

Wesley corse in spogliatoio, dove trovò già i suoi compagni che commentavano le due ore passate.

“Quella ci uccide entro la fine. Ci ha fatto correre da matti!” esclamò Xander stanco morto.

“Beh mi sembra brava. Sono riuscito a segnare i liberi meglio.” Cercò di proteggerla Andrew.

“Un miracolo, Andy. Ringrazia la Madonna, non l’allenatrice.” Rispose Spike da sotto la doccia.

“Non è vero, Andrew ha ragione, non è male. E poi considera che è l’unica che ci allenerà. Siamo solo adolescenti, non possiamo affrontare un campionato da soli.” Analizzò Oz calmo.

“Ozzobuco ha ragione.”

“Vaffanculo Spike!” rispose galantemente Oz all’insulto del platinato, poi prese la borsa e se ne andò ancora sudato. Ringraziò il cielo che fosse ancora estate e che quindi non facesse freddo, altrimenti si sarebbe preso un malanno.

Spike, da sotto la doccia, si pentì un po’ di come aveva trattato Oz: dicevano in giro che Oz fosse gay. Era un problema? Forse no, ma l’anno passato la maggioranza dei suoi compagni, grandi e piccoli, lo avevano preso in giro ed emarginato, da capitano aveva pensato che fosse meglio prendere le parti della maggioranza. Poi le prese in giro erano diventate continue, quotidiane. Forse doveva chiedergli scusa… chiuse l’acqua e si coprì le parti intime con un asciugamano, rimanendo a petto nudo. I fratelli O’Connor erano già pronti per andare a casa.

“Oh, ciao ragazzi!”

“Ciao Will.”

I due mori in macchina presero a parlare tra loro.

“Come ti sembra, sinceramente, la nuova allenatrice?” chiese Xander, mentre Liam faceva un’inversione per uscire dal parcheggio.

“Penso che se ci vuole allenare, deve avere le palle quadrate.” Rispose tranquillo lui.

“E le ha?”

“Chissà… è tutto da vedere quando inizierà il campionato.” Poco dopo suonò il cellulare del fratello maggiore. “Rispondi tu.”

“È Darla.”

“Fa lo stesso, dai.”

“Pronto, ciao Darla… no, sono Xander… Liam guida… ehm, come stai? ...Certo, scusa non sono fatti miei. Devo dirgli qualcosa?... Ok. Ciao.” Chiuse la chiamata con uno schiocco secco.

“Dice di richiamarla e se stasera la puoi passare a prendere.”

“Stasera?  Io sono morto e lei vuole uscire. Si vede che non fa un cazzo tutto il giorno.” Sbottò Liam.

“Beh, dai… è la tua ragazza… dovresti trattarla un po’ meglio.”

Era strano, pensava spesso Liam, Xander prendeva sempre le difese di Darla. Possibile che avesse una cotta per la sua ragazza? Mah. E se così fosse, le cose sarebbero cambiate? Probabilmente no, Xander era troppo nerd per i gusti di Darla. Parcheggiarono in garage svuotando le borse davanti alla lavatrice, così che la madre potesse lavare la roba.

“Siamo a casa!” urlò Liam.

“Com’è il nuovo allenatore?” chiese il padre alzando la voce dalla cucina. I due fratelli si guardarono e alzarono le spalle.

“Allenatrice, in realtà. Sembra capace.”

“Una donna? E ti pareva se a voi due non arrivava una chiavica di allenatore! Non meritate altro.”

“Papà, smettila. Non siamo noi ad averla chiesta.” Disse Liam leggermente spazientito.

“A vostro fratello non sarebbe mai capitato.” Xander andò a chiudersi in camera: non era proprio dell’umore di sentirsi una nuova manfrina su quanto fosse bravo Riley rispetto a loro.

Anche Liam  uscì dalla cucina.

“Non mangi?” chiese la madre.

“No, esco con Darla. Mangerò fuori.” Rispose secco, tirando fuori il cellulare. Certo che la sera si prospettava proprio bella, se quelle di casa erano le premesse.

 

Wesley si trascinò distrutto a casa. Il cancello cigolò, ricordandogli quell’ennesimo problema da sistemare, se solo trovava il grasso per ungerlo a poco prezzo. I soldi stavano per finire e la pensione sarebbe arrivata molto in là. Doveva trovarsi un altro lavoro per il dopo scuola.

“Mamma, sono a casa.” La trovò sulla stessa sedia a guardare lo stesso muro…

 

Capitolo Due

 

La camera di Spike era immersa nell’oscurità. Un fagotto di lenzuola e carne si mosse nel letto, infastidito dal fascio di luce che filtrava dalla porta aperta dal padre.

“William, ti alzi?”

La risposta fu un mugugno soffocato.

“Santo cielo! Come fai a dormire con questo caldo?” il signor Giles aprì di scatto la finestra facendo entrare l’aria esterna.

“Papà!” urlò Spike da sotto il cuscino.

“Niente papà. Sai che ore sono? Le undici e mezza!”

“Sono andato a letto tardi. Lasciami in pace.”

“C’è Willow che ti aspetta da un’ora. La faccio salire. Debosciato di un figlio!” Spike sentì i passi pesanti del padre sulle scale… uhm, Willow? E che ci faceva lei lì? Avevano un appuntamento? Evidentemente sì, altrimenti lei non sarebbe stata qui.

“Ciao Spike.” Disse Willow con voce allegra. Non sembrava arrabbiata per il ritardo di lui, forse perché conoscendolo da un pezzo lo immaginava. Fece capolino nella stanza, rimanendo, come sempre, sconvolta dal disordine che vi regnava: vestiti erano sparsi ovunque, un calzino sporco spuntava dalla libreria. Dal cestino della carta straccia fuoriuscivano cose di tutti i tipi e sulla scrivania i libri erano ammonticchiati alla rinfusa.

“Uhm…ciao. Dovevamo vederci?”

“Sì. Dovevo darti una mano con la matematica.”

“Hai ragione. Adesso arrivo, dai.” Spike si mise seduto facendo diventare Willow dello stesso colore dei suoi capelli, rosso fuoco. “Ma Will, mi hai visto a petto nudo milioni di volte e ancora ti vergogni? Sei un caso disperato.” La prese in giro.

“Va bene, ma tu copriti! Come fai a dormire senza niente, io mi domando.” Willow si girò un attimo in attesa che l’amico si rendesse presentabile.

“Puoi voltarti adesso.” Spike aveva indossato canottiera e pantaloncini che usava per girare per casa. “Ho la possibilità di farmi un caffè o le x2 premono per tormentarmi?”

“Tranquillo, credo che ormai sia troppo tardi per iniziare. E il caffè lo bevo pure io.” I due ragazzi scesero in cucina e si presero da bere.

“Che hai fatto in quest’ora di attesa?” chiese Spike in un attimo di lucidità.

“Sono rimasta in negozio. Almeno così potevo fare qualcosa. Tuo padre ogni dieci minuti mi diceva di venire a svegliarti.”

“Gentile Rupert.” Sbottò lui

“Com’è andato l’allenamento ieri?” chiese Willow addentando un biscotto che Spike le aveva offerto.

“Insomma… ci è arrivata una donna per allenatrice. Io lo trovo scandaloso.”

“Perché?” Willow lo fissava sbigottito.

“Ma come perché? Siamo un gruppo di ragazzi e lei è una femmina! Come farà a tenerci testa? Non ci sono parole.” Spike si girò verso l’amica che la stava guardando con uno sguardo fatto apposta per uccidere.

“Sei un maschilista! Io credo che lei potrà farvi diventare più bravi di quello che siete! Sei solo geloso dell’autorità che lei può avere su di te, che vuoi sempre primeggiare in tutto.”

Colpito e affondato, pensò lui, ma ribattè a tono.

“Non ti conviene continuare con la tua psicologia da brava ragazza, Rossa. Il fatto che io e te siamo vicini di casa fin da quando eravamo piccoli, non ti autorizza a psicanalizzarmi ad ogni piè sospinto. In più, ti faccio notare che se continui così, Xander col cavolo che te lo presento.” A quest’ultima affermazione, Willow divenne color papavero.

“Non è giusto che tu mi ricatti in questa maniera.” Spike rise forte mentre lei prendeva la sua borsa.

“Dai, non fare l’offesa!”

“Non sono offesa, ma mi aspettano a casa tra un po’. Tu a quest’ora fai colazione, ma la gente normale si prepara a pranzare.” Gli lasciò un piccolo bacio sulla guancia e fece per uscire.

“Ci becchiamo dopo il mio allenamento?” le chiese lui.

“Al massimo prima. Accompagno Buffy in palestra. Si allena prima di voi.”

“Buffy? Ah, l’hobbit! Bhe, allora a dopo. Ciao spettacolo!” ridendo, Willow se ne andò e Spike rimase solo a guardare la sua desolante cucina: si capiva che in casa non c’era una donna. Non che il buon Rupert non ci avesse provato, ma la presenza di Spike era sempre stata un repellente per le signorine bene di Sunnydale e i due continuarono a restare soli. Ma si sa, le cose non rimangono mai immutate.

Spike aprì una porticina che dava nel negozio del padre: i Giles erano i proprietari dell’unica libreria della città e, da poco, di una postazione Internet. A Rupert quella novità faceva storcere il naso, ma doveva ammettere che faceva buoni affari con quel trabiccolo. Tutto merito di Jenny, ovviamente, l’unica donna che riusciva a tener testa ad entrambi. Aveva convinto il padre di Spike a comprare un pc, cosa che il figlio tentava di fare da anni, nel suo negozio situato a fianco della libreria. Ci volle poco per invitarlo fuori a cena poi. Spike sogghignò al ricordo: fece vagare lo sguardo per il negozio quasi totalmente vuoto e tornò in camera sua. Matematica era saltata, ma poteva sempre studiare qualcosa di meglio. Prese il libro di letteratura e cominciò a leggere, anche se il pensiero tornava sempre all’allenamento della sera precedente: quella Monica lo incuriosiva. In meno di dieci minuti l’aveva già inquadrato come un grande rompiscatole. La sua decisione di esonerarlo da capitano lo aveva ferito, ma anche sollevato, paradossalmente. Il suo orgoglio aveva urlato, eppure, adesso, la patata bollente sarebbe passata a qualcun altro. Meglio! Lui voleva pensare solo a segnare, il resto era solo una distrazione.

“William, prepara il pranzo, mentre io chiudo la serranda.”

“Ok.” Urlò di risposta a suo padre.

“Ah, prepara per tre, viene anche Jenny.”

Alzandosi dal letto, Spike mormorò:

“E come ti sbagli? Ormai è sempre qui.” Scese le scale sbuffando.

 

La musica tratta dal film “Lezioni di piano” si spandeva nell’aria, mentre una ragazza dai capelli rossi guardava volteggiare la sua amica. Willow aveva sempre invidiato la grazia con cui Buffy scivolava sulle quattro rotelle, lei era sempre stata goffa ed impacciata e sui pattini si era sempre fatta male.

Buffy, invece, pareva una fata: riusciva a fare le figure più difficili nonostante fosse alta solo un metro e sessanta e pesasse cinquanta chili di puri muscoli e nervi. I capelli biondi legati in una stretta coda, seguivano ogni più piccolo spostamento d’aria. Gli occhi verdi brillavano determinati per seguire al meglio la coreografia del suo vecchio programma: di lì a pochi giorni avrebbe partecipato ad un Prix dello Stato e, nonostante fosse solo una rappresentazione amichevole, lei voleva essere perfetta. Quello poteva essere l’anno della sua consacrazione e non voleva sbagliare niente. Aveva letto che la sua maggior rivale, Kate Lockley, si era rotta i legamenti di un ginocchio e che per quell’anno non avrebbe potuto gareggiare ad alti livelli. Strada quasi spianata verso la vittoria del Campionato, ma doveva stare attenta lo stesso.

“Ottimo lavoro, Buffy. Prenditi cinque minuti di pausa. Vi, prova tu.”

Buffy arrivò da Willow, sedendosi poi sulla panca con lei.

“Ti annoi?” chiese Buffy all’amica.

“No, è bello guardarti, sei molto brava. E poi mi sono portata da fare.” Disse Willow tirando fuori dalla borsa un libro di scuola dall’aria minacciosa.

“Ma non avevi finito i compiti a giugno?”

“Sì, ma mi porto in avanti con il programma, per andare sul sicuro!” Esclamò la rossa felice.

“Sei un caso disperato.”

“Uffa, anche Spike me lo dice sempre.”

“Spike? Ah, l’ossigenato. Spero giri al largo da qui, quest’anno.”

“Difficile, si allena oggi dopo di te.”

La smorfia della bionda fu sufficiente a Willow per capire che i suoi due migliori amici, non sarebbero ancora andati d’accordo. Eppure avevano parecchi punti in comune, a partire dal fatto che non si sopportavano.

“Mi piacerebbe litigaste di meno, in fondo entrambi siete miei amici.” Cercò di convincerla Willow.

“Non si può andare d’accordo con uno come lui. Ora scusa, vado a finire l’allenamento.”

Buffy si alzò di scatto e con poche spinte arrivò al centro della pista, zona da cui cominciava il suo programma.

Willow si lisciò la gonna scozzese e prese a studiare: per quanto la sua amica fosse brava, rivedere il ballo per la quinta volta era troppo anche per una ragazza paziente come lei.

Intanto Buffy pensava: conosceva il pezzo così bene, che le sue gambe andavano in automatico. Le ruote frusciavano sul legno e l’aiutavano a concentrarsi. Poteva dirsi contenta di buona parte della sua vita: la sua migliore amica era una secchiona, pronta ad aiutarla quando ne aveva bisogno; era un asso del pattinaggio artistico e aveva un ragazzo che la amava e che, soprattutto, era il numero uno della città. Una come Buffy Summers non poteva volere di più. Eppure qualcosa mancava. Lei voleva la passione, quella vera, sfrenata, quella dei libri e Parker non riusciva a dargliela. Ci aveva provato portandola fuori al ristorante, affittando una limousine con i soldi di papà e facendole tanti regali, ma lei non aveva mai ceduto. La sua prima volta doveva essere qualcosa di non programmato, di improvviso, così lei lo voleva.

Uscì dalla trottola e buttò l’occhio a Willow, notando vicino a lei una donna sui venticinque anni in pantaloncini corti che guardava proprio lei, anzi, i suoi pattini, con profondo disappunto. Chissà chi era.

Monica osservava critica gli allenamenti della biondina: non ci capiva nulla, ma le pareva fosse brava, anzi, molto armoniosa, però quelle maledette rotelle rovinavano il parquet in maniera indecente.

“Ciao!” la voce dietro di lei la fece girare e si ritrovò Wes davanti.

“Ciao Wesley, come va?”

“Bene. Che facciamo oggi?” Monica notò che lui sotto gli occhiali aveva gli occhi rossi e gonfi.

“Correrete e salterete. Avete bisogno di mettere su un po’ di fisico. Vi servirà per la fine dell’anno.” Il ragazzo si buttò in spogliatoio per cambiarsi con i suoi compagni. Erano praticamente tutti pronti.

“Pryce, sei in ritardo!” disse Spike stupito, non accadeva quasi mai.

“Ho avuto un contrattempo.” Già, aveva trovato sua madre riversa a terra in lacrime, proprio un simpatico contrattempo.

“Andiamo va.” Chiamò a raccolta Angel, che faceva valere la sua età maggiore. Dovettero aspettare nell’atrio che le pattinatrici finissero le loro esibizioni, ma Monica tirò fuori da una borsa di plastica delle corde.

“Saltate, fatene duecento.” Ordinò. I ragazzi presero a saltare come canguri, mentre la musica finiva e un’orda di ragazze uscivano dalla pista.

“Oh, guarda! Un Hobbit!” urlò Spike al passaggio di Buffy.

“Non rompere ossigenato!” rispose lei con rabbia correndo via. Non riusciva a capire come una ragazza come Willow potesse sopportarlo. Si cambiò in velocità e ritrovò l’odiato che ancora saltava.

“Andiamo Willow?” chiese Buffy all’amica.

“Sì, aspetta che saluto Spike.” La rossa di avvicinò al ragazzo, in modo da non essere colpita dalla corda che frustava ritmicamente il pavimento.

“Io torno a casa. Guarda che domani vengo per farti matematica, vedi di essere sveglio!”

“Ok, farò il bravo questa sera. A domani, Rossa.” Willow fece un piccolo gesto con la mano, per poi lanciare un’occhiata adorante a Xander che tornava la corda a Monica, i salti completati.

“Bene, fate tre file, palla al centro e treccia!” urlò l’allenatrice. ‘Treccia’ era un classico esercizio di riscaldamento che consisteva nel passare la palla e correre dietro al ragazzo a cui è stata data la palla, finendo con un tiro nel canestro opposto.

L’allenamento era ufficialmente iniziato!

 

Cordelia Chase era seduta sul pavimento del bagno a riprendersi un attimo. I suoi genitori l’avevano fatta mangiare troppo: aveva bisogno di dimagrire, non di diventare una balena, altrimenti Darla l’avrebbe buttata fuori dalle cheerleader e non poteva permetterselo, non lei, non Queen C. Quindi, ora, doveva vomitare. Non le piaceva farlo, ma era obbligata. Lo scroscio della doccia faceva in modo che i suoi rumori non si sentissero al di fuori di quella stanza.

Era stata sempre bella e ricercata, fin da bambina, l’idea di non piacere era intollerabile. La sua popolarità era quasi crollata quando si era messa con Xander O’Connor. Non era splendido come il fratello, ma era simpatico, peccato che la sua fama di sfigato lo perseguitasse. Aveva dovuto lasciarlo e questo la allontanava anche da Liam, per il quale aveva una cotta segreta da anni.

“Cordy, tesoro, stai bene?”

“Sì mamma, sono sotto la doccia!” rispose la giovane alla madre.

“Santo cielo, sei sempre a lavarti!” sbottò la signora allontanandosi.

Cordelia chiuse l’acqua e si guardò allo specchio: le occhiaie erano pronunciate, i capelli una volta lucidi e folti, ora erano rovinati e cadevano di continuo. Un vero straccio, però era magra. Si truccò maniacalmente, in modo da far sparire ogni inestetismo presente sul volto. Doveva uscire con Darla e quindi essere più che perfetta per rivaleggiare con lei.

 

Darla guardava sprezzante la sua immagine riflessa: i jeans attillati e il top corto risaltavano perfettamente il corpo sodo e minuto. I capelli biondo scendevano liberi sul collo su cui spiccava un collarino di velluto nero con la sua iniziale in argento e brillanti. Faceva molto caldo, ma lei non poteva permettersi di sembrare sciatta.

Quella sera Liam sarebbe stato con lei e doveva approfittarne: con gli allenamenti le sue uscite sarebbero diminuite drasticamente. Lei odiava la pallacanestro, ma ogni volta che ne parlava con lui, sorrideva dolce, in modo da tenerselo ben stretto: belli come Liam ce ne stavano veramente pochi.

Si mise un paio di sandali a tacco alto ed uscì immersa in un nuvola di Chanel n° 5, intramontabile. La macchina sfrecciava veloce per le stradine, spaventando qualche gatto randagio, ma Darla non se ne curava: niente poteva far  preoccupare una come Darla Hopkins. Arrivò al Bronze, l’unico locale vagamente decente della città, inchiodando rumorosamente. Liam non era arrivato, ma c’era Cordelia: la trovava ancora più dimagrita e le faceva sorridere il pensiero di cosa la bella mora era disposta a fare per compiacerla.

“Ciao Darla.”

“Ciao. Entriamo!”

Quella sera erano andate lì per un motivo ben preciso, anche se Cordelia non lo sapeva: suonavano i Dingoes Ate my Baby, il gruppo di Oz. Darla odiava ammetterlo, ma il piccolo bassista le era rimasto nel cuore. Era stato il primo a dirle di no per un appuntamento, il primo a considerarla per quello che era, una semplice ragazza come tante. Questo la infiammava ogni volta che lo vedeva.

Si sedettero su un divanetto, mentre la musica iniziava. Oz si era tinto i capelli di verde elettrico e suonava attento il basso. Darla lo adorava, anche per quella palese voglia di anticonformismo che si levava alto da lui.

“Ciao.” La voce calda del suo ragazzo la riscosse dai suoi pensieri.

“Ciao.” Si alzò e lo baciò appassionatamente.

“Mi tocca vedere Oz anche qui.” Sbottò Liam seccato.

“Dai, suonano bene.” Si intromise Cordelia. Liam si voltò verso di lei, scrutandola come se fosse la prima volta che la vedeva.

“Ciao Cordy, come stai?”

“Uhm…bene grazie.”

“Sicura? Ti vedo un po’ pallida.”

“Un po’ di anemia, ogni tanto mi capita.”

“Curati, allora.” Le disse gentilmente.

“La vogliamo smettere con queste smancerie? Andiamo.” Si intromise Darla e Cordelia sospirò: almeno non era più trasparente per Liam.

 

Ormai si allenavano da una decina di giorni. Monica li aveva fatti correre e saltare e la palla l’avevano toccata raramente. Ora si stavano scaldando.

“Venite qui.” Urlò lei. Aveva dei fogli in mano. ”Allora, questi sono i recapiti di tutti noi. Ne avrete una copia a testa.” Disse sventolando la risma di carta “Voglio che se qualcuno non può venire avvisi. Può chiamare direttamente me, oppure uno dei compagni. Adesso che siamo tutti riuniti, mettetevi a coppie.” Ben presto non ci furono ragazzi da soli. “Un palla a coppia e dividetevi nelle due metà campo. Uno attacca, l’altro difende alternandovi. L’azione termina a canestro segnato o a palla recuperata dal difensore. Iniziate.”

Si sedette sul solito tavolo per osservarli. Segnavano tutti troppo facilmente.

“Stop!” urlò e tutti si bloccarono. Camminò verso la coppia formata dai due fratelli O’Connor.

“Angel, tesoro, sembri un pezzo di legno e non in senso buono. Quelle belle gambe le devi piegare. Abbassa il culo, ops, il sedere. Devi scivolare di lato e in piedi non puoi farlo, ti batterà chiunque. Riprendete.”

Angel prese a muoversi un po’ meglio, ma poco dopo tornò a riavere la sua normale posizione. Monica scosse la testa e si tirò su la testa guardando Wesley: lui sapeva difendere veramente alla grande, Spike faceva difficoltà a muoversi.

“Xander, aggregati ad un altro gruppo. Angel, con me.” Il bel moro, con l’aria di chi sta andando al patibolo, la seguì.

“Allora…qui dobbiamo migliorare qualcosa.” Si ritrovarono davanti ad un grande specchio. “Mettiti in posizione di difesa.” Il ragazzo eseguì, portando Monica a sbuffare. ”No, così non va bene. Questa è quella giusta.” Si mise vicino a lui, piegò le gambe tenendo la schiena dritta e le braccia aperte. “Devi piegare le gambe, abbassando il baricentro, perché così hai più stabilità, grazie anche alle braccia che fanno da bilancieri. Provaci.” Liam cercò di imitarlo e per un po’ ci riuscì.

“È scomodo.” Analizzò.

“Ma efficace. Adesso scivola di lato, non incrociare i piedi. Ecco, già meglio.” Disse infine Monica soddisfatta. “Ancora un po’… non alzarti! Sempre basso, per te deve essere naturale. Se riesci, a casa, allenati a farla.”

Angel annuì: le gambe gli facevano male da cani.

“Dai, andiamo a fermare i tuoi amici.”

Monica bloccò tutti quanti.

“Wes, resta in difesa. Spike, attacca. Gli altri guardino.” William prese a palleggiare, pressato in maniera asfissiante da Wesley che non si lasciava staccare di un centimetro. Dopo un po’ che palleggiava, Spike provò a penetrare a canestro, ma Wes chiuse la strada. Alla fine non potè che tirare da lontano, prendendo solo il ferro, così che Wesley riuscì a prendere il rimbalzo, finendo l’azione.

“Cazzo, sei peggio della colla.” Sbottò Spike infuriato e Wes sorrise.

“Se avete notato, Wesley rimane sempre molto basso e scivola velocemente. I suoi piedi non si incrociano mai, altrimenti perderebbe tempo. In più riesce a stare sempre ad una distanza di circa un braccio, distanza ottimale, perché se stesse più vicino, il suo avversario lo batterebbe in palleggio, ma se rimanesse lontano, potrebbe subire un canestro da lontano.” Monica andò davanti a Spike, usandolo some esempio: si abbassò sulle gambe distendendo il braccio in avanti. “Vedete, ora se Spike palleggiasse, io riuscirei a capire dove andrebbe, chiudendo la strada per il canestro, ma anche se fosse fermo, intenzionato a tirare, la mia mano davanti ai suoi occhi, intralcerebbe l’azione. Ovviamente se lui ha già smesso di palleggiare, si deve pressare. Cinque secondi e la palla è a noi.” Si rialzò e contò i ragazzi. “Dividetevi in terzetti. In centro quello di Oz con la palla. Andate.”

I ragazzi si alternarono, ogni tanto Monica li bloccava per correggere o per consigliare scelte migliori, sia d’attacco che di difesa. Poi, mentre stava parlando con Gunn, sentì che i ragazzi non giocavano più. Si girò verso di loro infastidita rimanendo sorpresa nel vedere che tutti stavano guardando verso l’uscita della palestra. Si era materializzata una figura degna di un fumetto dark: era una donna, piuttosto alta, completamente vestita di pelle nera, nonostante la calura di inizio settembre. Il volto era magro e due enormi e freddi occhi azzurro ghiaccio li scannerizzavano da qualche minuto. I capelli erano lasciati sciolti in modo da far risaltare le meches blu che si era fatta sul suo naturale colore castano. Sorrise nel vedere Monica.

“Illyria! Che ci fai qui?” chiese Monica passando in mezzo al campo. “Voi continuate!” disse ai ragazzi. Le due si abbracciarono e si baciarono sulle guance, mentre tutti gli altri lanciavano occhiate curiose.

“È una buona squadra?” chiese Illyria.

“Sì. Secondo me può darmi molte soddisfazioni. Ma torniamo al punto focale: che ci fai qui? Ti credevo a Los Angeles a studiare e a giocare.”

“Ho finito la scuola, sono finalmente diplomata in fisioterapia. E poi le White Star di Sunnydale mi hanno chiesto di giocare con loro e sono arrivata. Volevo vedere che cosa facevi tu ancora qui.”

“Lavoro, alleno, alleno lavoro.” Le due si misero ad osservare i ragazzi e Illyria fece una smorfia quando Jessy perse un pallone.

“E tu con questi dove vorresti arrivare?”

“A grandi cose. Vuoi aiutarmi?” negli occhi della nuova arrivata passò un lampo d’eccitazione.

“Vado a prendere le scarpe. “E Monica sorrise. Adesso poteva confidare in un vero aiuto.

 

Finito l’allenamento, le due amiche si fondarono nel primo locale aperto per bere qualcosa e farsi una chiacchierata. Era da un bel po’ che non si vedevano, in fondo.

“Allora, come mai sei finita qui, Monica?” chiese Illyria mentre beveva un sorso della sua birra chiara.

“Per sbaglio. Ero un esubero per la società e loro non lo voleva allenare nessuno. Credono che li mollerò, così avranno la scusa per sciogliere la squadra e per rompere il contratto che hanno con me, solo che non mi conoscono, io non abbandono di certo!”

Monica si guardò attorno: il locale puntava decisamente allo squallido. Le poltroncine avevano le imbottiture scolorite e macchiate in più punti, alle pareti vecchie foto in bianco e nero che ritraevano sempre il proprietario con una diversa star di serie B che sorrideva di circostanza.

“Fai bene. Fagliela vedere. Ti ricordi quando giocavamo noi? Non ci davano un soldo bucato e siamo arrivati ai Nazionali. Fanculo a loro!” Monica rise forte. “Ma parliamo di cose serie, Monica… non giochi più?” l’interessata si rabbuiò immediatamente.

“No, ho smesso del tutto. Il ginocchio non me lo permette. Hanno sbagliato ad operarmi rovinandomi del tutto. Non ha senso che mi metta ad operarmi adesso. Non ero brava al tempo, figurati ora. Alleno e sono soddisfatta.”

“Non ti manca?”

“Ogni giorno, ma pazienza.” Monica sospirò pesantemente “Ti piace la squadra, Illy?”

La ragazza dai capelli blu ci pensò un po’ bevendo un sorso di bionda.

“È troppo sbilanciata in difesa: puntano all’attacco senza pensare di evitare i canestri, ma per il resto è quasi ok. Un forte quintetto iniziale, ma le riserve scarseggiano. Ne hai di lavoro da fare, amica mia.”

“La prossima settimana ho organizzato una partita amichevole e allora vedremo se sono pronti.”

Continuarono a chiacchierare dei tempi passati: Monica raccontò dei suoi anni da allenatrice e Illyria di quando giocava a Los Angeles.

“Hai già adocchiato qualcuno che merita al di fuori del Parquet?” chiese Illyria guardandola maliziosa.

“Ma figurati! Sono ragazzini, hanno appena diciassette anni, mi prenderebbero per pedofila!” Esclamò Monica, ma Illy non demorse.

“Avranno anche diciassette anni, ma sono già ben che uomini la sotto. Dai, non dirmi che non ci hai fatto un pensierino. Tutti quegli ormoni che svolazzano, il sudore sui loro muscoli guizzanti…”

“Basta! Smettila, lo sai che sono single!” urlò ridendo Monica “Non ci posso pensare.”

Illyria fece un gesto come per scacciare una mosca fastidiosa.

“Bha sciocchezze! Io trovo simpatico Spike, mi piacerebbe tenerlo come un cucciolo!”

“Non cambi mai!”

“Certo che no, ma in confidenza… chi ti piace? Lo so che sei sempre stata attratta dal maschio, non ci credo che sei diventata una santarellina ora.”

Illyria la scrutò, ma Monica non rispose.

 

Capitolo tre

 

Tra i banconi del Mini Market, Monica pensava. La sua amica aveva terribilmente ragione, a lei i maschi piacevano un sacco. Uno dei motivi migliori per allenare era proprio quello, rifarsi gli occhi con della bella fauna, ma il suo ruolo non le permetteva di andare oltre a questo.

Le sue storie serie si potevano contare nelle dita di mezza mano e non erano mai durate tanto: brevi ed intense. E ora? Adesso era felicemente single, poche storielle per nulla interessanti e non cercava di averne una. Aveva in testa talmente tante altre cose, che l’idea di preoccuparsi di un fidanzato le faceva venire l’orticaria.

Passò in rassegna le confezioni colorate di salvaslip, strumenti di tortura, ma utili. Dopo una settimana di perdite, erano arrivate in tutta la loro potenza: odiava essere donna in quella settimana. Saccheggiati gli assorbenti, si dedicò al frigo dei gelati. L’effetto collaterale della tempesta ormonale, era la grande fame che la assaliva ogni volta e poi non doveva farsi strane paranoie, in fondo abitava sola, non aveva l’obbligo di preparare una cena genuina per tutta una famiglia, ergo, poteva strafogarsi di gelato.

‘Uhm… amarena o fragola e limone?” pensò indecisa, la scelta poteva cambiare la sorte della serata. Poco interessata, captò dalla cassa una discussione tra la proprietaria e una cliente.

“Signora, suo figlio sa che è qui?” ma l’altra non rispondeva.

Monica prese la confezione di fragola e limone, aveva voglia di freschezza doppia per evitare di pensare troppo a quel ragazzino. Improvvisamente sentì una voce conosciuta: si voltò e vide Wesley. Rimase di sasso nel vederlo così stravolto, gli occhiali storti sul naso, l’angoscia dipinta sul volto. Stava cercando di portare via una signora sulla cinquantina, i capelli neri con folte striature grigie e dei vestiti logori, che si stava lamentando.

“Mi scusi, signora.” Tentava di dire lui alla commessa.

“Non dire sciocchezze Wes, mica è colpa tua.”

“La metta sul conto, per favore.” La proprietaria sembrava piuttosto imbarazzata. “È un problema signora Gibbs?”

“Un po’. Io conosco i vostri problemi, Wesley, ma non posso più farvi credito. Siete arrivati a 200 dollari, 50 in più dell’usuale.”

“Lo so, ma abbiamo subito spese per la casa e…”

“Non ti chiedo di pagare tutto il tuo debito oggi, ma almeno pagami quello che tua madre ha rotto stasera.”

Wesley prese il portafoglio e vi trovò due dollari.

“Bastano?”

“Sì, grazie.”

“Io non voglio andare a casa, Roger.” Disse la signora Pryce guardando il vuoto.

“E invece, pian pianino, ci andiamo. Coraggio!”

Monica portò al banco le poche cose che le servivano per cena.

“Arrivo subito.” Disse alla commessa mentre usciva per seguire il suo giocatore. Lo trovò nel parcheggio, dove Wes stava letteralmente trascinando via sua madre, che, sembrava, stesse lottando per non muoversi di lì.

“Mamma, sono stanca, all’allenamento quella arpia mi ha ucciso. Collabora, ti prego!” Monica sorrise a sentire cosa pensava Wes di lei, ma andò verso di loro.

“Wesley… Pryce!” urlò quando lui non la sentì la prima volta. Lui si voltò e lei provò una strana compassione nel vederlo così disperato.

“Oh.” Disse solo lui nel vederla.

“Come va?”

“Potrebbe andare sicuramente meglio. Ora, scusami, ma devo andare a casa.” E fece per muoversi di nuovo, ma lei lo fermò.

“Devo essere sincera, l’arpia qui presente pensava di darti un passaggio in macchina, se lo volevi.” Wesley arrossì: lei l’aveva sentita, proprio una bella figuraccia.

“Scusa…”

“Allora, venite?” gli chiese incurante dell’imbarazzo del ragazzo. Lui annuì felice di non dover camminare troppo e cercò di convincere la madre, ma quest’ultima sembrava irremovibile.

“Mamma…” la voce era rotta dalle lacrime che pressavano. Non ce la faceva più a sopportare quella situazione, avrebbe fatto qualsiasi cosa per scrollarsi di dosso la sua vita.

“Signora Pryce, le va di fare un giro in macchina?” chiese Monica dolcemente.

“Un giro in macchina…che bello!” esclamò come una bambina la signora. Monica li guidò fino ad una utilitaria rossa.

“Mettetevi comodi, Wesley, vado in negozio a pagare la mia cena.”

Wes fece sedere sua madre sul sedile posteriore, allacciandole la cintura, poi lui si posizionò a lato del guidatore. La signora stava allegramente canticchiando e lui si mise a pensare. Di sicuro Lei aveva sentito tutto, era dentro al negozio quando erano venuti fuori i problemi di soldi. Sospirò pesantemente guardando fuori. Vedeva la ragazza che pagava al bancone. Che cosa sarebbe successo ora? La vide sorridere alla commessa: riflettè sul fatto che quel sorriso era veramente dolce e molto rassicurante, almeno per lui. I sorrisi di sua madre erano tutti rivolti al cielo. Si rilassò un attimo appoggiandosi allo schienale del sedile chiudendo gli occhi.

Poco dopo ritornò Monica con un sacchetto di carta in mano. Fissò Wes che sembrava addormentato e provò di nuovo quella strana sensazione che aveva provato in precedenza, una specie di compassione, che di sicuro lui non meritava. In negozio la signora le aveva spiegato –beate le chiacchierone, scopri molto e fatichi poco!- che i debiti dei Pryce aumentavano di giorno in giorno, anche perché la madre passava di lì ogni tanto e rompeva puntualmente qualche sacchetto o qualche barattolo. Ora Monica capiva il perché delle scarpe consumate fino alle suole e l’espressione perennemente corrucciata.

“Guidami!” Esclamò lei sedendosi al volante.

Uscirono velocemente dal parcheggio e Wes diede le istruzioni per casa sua. Non era molto lontana dal market, infatti la signora Pryce ci era arrivata a piedi.

“Curioso, abito qui da anni e non ho mai saputo che questa fosse casa tua.” Disse Monica guardando la piccola casetta un po’ trascurata davanti la quale si era fermata. “io abito la dietro.” Finì poi.

“Veramente?” chiese interessato Wes. Stava già rimpiangendo i pochi minuti passati in macchina con lei: per quel poco tempo non aveva pensato neppure ad un attimo a sua madre o ai suoi problemi. Si chiese se la cosa non fosse troppo egoistica, ma scacciò quel pensiero praticamente subito.

“Sì, hai presente quella casa con il giardino da potare e la staccionata rovinata… sono lavori che non so fare.” Lui annuì tranquillo, poi fece per uscire. Aiutò sua madre e mentre la prendeva sottobraccio decise di avere diritto a qualche minuto di pausa.

“Mi aspetti cinque minuti che la porto dentro?” chiese a Monica che lo guardava curiosa.

“Certo.”

“Roger, mi porti dentro? Wesley ci starà aspettando, caro.” Attirò l’attenzione la signora Pryce. Madre e figlio entrarono in casa facendo cigolare il cancello, poco dopo lui uscì tranquillo portando due cucchiai.

“Tieni, quel gelato va mangiato, altrimenti si squaglia.” E sorrise.

“E hai anche ragione, mister Pryce.” Tirò fuori dal sacchetto la vaschetta fredda cercando di evitare che tutti gli assorbenti cadessero fuori, non sarebbe stata una cosa elegante. Appena ebbe tirato via il coperchio, si fiondò sulla fragola.

“Prendi anche tu dai. Altrimenti quel secondo cucchiaio prende ruggine.”

Mangiarono in silenzio completamente assorti dalla fragola e dal limone. Non era un silenzio teso ed imbarazzato, bensì un silenzio complice. Wesley si godeva ogni cucchiaiata che metteva in bocca e trovava Monica molto sexy mentre faceva la stessa cosa. Aveva un modo strano di mettere in bocca il cucchiaio, prima mettendolo dentro, succhiandolo per leccarlo alla fine. Si chiese se lei sapesse che quei gesti potevano portare ad uno scompenso ormonale a qualsiasi uomo etero e Wesley era molto etero.

“Che hai da sorridere?” chiese Monica rompendo, di fatto, il silenzio. Aveva osservato Wesley per tutto quel tempo chiedendosi perché lui fosse lì: certo non per scroccarle il gelato!

“Nulla, non mi ero neppure accorto di farlo.” Rispose lui sincero. Lei non disse niente, facendo smorfie con la bocca, gli occhi e gesticolando con le mani, come un invito a farlo parlare, peccato che lui guardasse divertito quella scena, tanto da scoppiare a ridere. Monica ne fu felice, vederlo così rilassato non era mai successo.

“Volevo scusarmi per il triste spettacolo di cui sei stata testimone.” Eccolo tornare serio, peccato, pensò lei.

“E di cosa ti vuoi scusare? Non hai fatto nulla.”

“Non è stato bello lo stesso.”

Monica sospirò a poggiò il cucchiaio sul coperchio della scatola. Wesley osservava assorto in chissà quali pensieri.

“Senti… Credo che io e te dobbiamo parlare, Wes.” Esordì Monica con la più fatta delle frasi, ma non le era venuto in mente niente di meglio.

“Ok.”

“Io non so quali siano i vostri problemi in casa e sinceramente non mi interessa conoscerli, ma una cosa ho capito: non riesci a comprarti un paio di scarpe decenti, quindi domani mattina io e te andremo al negozio di articoli sportivi e io ti anticiperò l’occorrente.”

“No!” esclamò infuriato Wesley “Non ho bisogno della tua carità!”

“La mia non è carità. Te li presto e basta, con il tempo me li ritornerai.” Rispose lei tranquilla, si era aspettata una reazione del genere.

“No! Le scarpe non sono importanti.”

“Invece sì. Stai parlando con la tua allenatrice ora: ho bisogno che i miei ragazzi siano al loro massimo della forza e non può succedere se non hanno delle scarpe su cui potrei contare. Quando corri o salti, devi avere delle calzature che ti permettano di farlo al 100%, ma tu devi sprecare una parte di te per stare attento a non azzopparti. Ti presterò i soldi e tu me li ritornerai con il tempo, non è un problema.”

“Invece lo è e anche troppo grande! Ma non capisci che io non ho un lavoro? La pensione con cui viviamo ci permette a malapena di comprare da mangiare?” Era arrabbiato, ma non tanto con lei che voleva solo aiutarlo, bensì con se stesso e con la sua vita in generale. “Non riuscirei a ripagarti… non posso.” Finì più tranquillo. Per un attimo aveva pensato a come sarebbe stato con un bel paio di Nike nuove, ma il sogno era svanito allo scontrarsi con la sua situazione.

Monica, intanto rifletteva: gli avrebbe comprato quelle scarpe, fosse l’ultima cosa che facesse e non solo perché lo voleva l’allenatrice che c’era in lei, ma anche,  soprattutto, perché voleva levare dagli occhi almeno per un istante quella sorta di disperazione perenne che vi leggeva. Poi, le venne un’idea.

“Senti, potremmo fare così: io ti prendo le scarpe che ti servono e tu potresti lavorare per me.” Wes la guardò: lei stava sorridendo a lui, con quel sorriso così dolce, così suo, le labbra leggermente alzate verso l’alto, gli occhi socchiusi e le guance in evidenza. Era seria, non lo stava prendendo in giro.

“E come?”

“Bhe la mia casa è vecchia, era dei miei nonni che negli ultimi tempi non la curavano con la dovuta devozione, quindi ora è piena di acciacchi. Io non so come metterla a posto, ma tu potresti.”disse lei felice della prima piccola apertura che proveniva da lui.

“Tipo?”

“Mi servirebbe che qualcuno ridipingesse gli scuri delle finestre, lo steccato e magari anche i muri esterni. Poi c’è la soffitta da mettere in ordine e qualche lavoretto dentro. Un po’ di tutto, insomma.” Finì di elencare lei.

“Faccio questi lavori e poi mi prendi le scarpe?” chiese incredulo lui ancora.

“Prima prendiamo le scarpe e poi lavori. Che ne so, un’oretta al giorno dopo i compiti o la domenica, insomma quando hai qualche ora di libertà.”

Wes soppesò la proposta. Ciò che più lo attirava non era la faccenda delle scarpe nuove, ma la possibilità di stare con lei tanto tempo. La incuriosiva molto e poi avrebbe potuto, per qualche ora, non sentirsi in colpa se lasciava sua madre sola a casa, in fondo andava a lavorare, no?

Prese un profondo respiro e poi disse:

“Va bene, affare fatto!” le diede la mano, per sancire il contratto e lei la prese. Gli fece strano vedere come la sua mano riuscisse a inglobare quasi completamente quella di lei, gli sembrò di avere davanti una bambina.

“Che hai che fai quella faccia strana?” chiese infatti lei.

“Stavo pensando a quanto piccole siano le tue mani.” Monica sorrise.

“Sono piccoline…anche i miei piedi sono piccoli. Indosso il 37-38.” Wesley rimase sorpreso.

“Cavoli, sei una ragazza mignon!” Risero assieme nella piccola macchina e la tensione accumulata per le contrattazioni del loro accordo, andò a svanire.

“Bene, forse è meglio se vado a casa.” Disse infine Wesley.

“Ok, passo a prenderti domani mattina…no, pomeriggio, tu devi andare a scuola. Facciamo per le tre e mezza, così poi andiamo a prendere la vernice per i tuoi lavori… io scelgo il colore e tu il tipo!”

“Va bene, mi sembra giusto.”

Wes scese dalla macchina e prima di chiudere la portiera si affacciò dentro sorridendo.

“Buonanotte, Monica e…uhmmm…. Grazie.”

“Figurati. A domani e notte a te.”

Monica aspettò che lui fosse ben dentro in casa e poi mise in moto. Doveva andare a casa e pensare all’enorme cazzata in cui stava per buttarsi.

 

La vernice era stata comprata, esattamente come le scarpe. Erano andati nel maggior negozio della città in fatto di articoli sportivi e sembrava che Monica conoscesse tutti, come se andare lì fosse cosa comune. Non c’erano stati molto, Wesley aveva provato solo qualche paio di modelli, oltretutto dell’anno precedente, e aveva trovato molto presto le scarpe adatte: un classico della Nike, bianche con il dorso di colore verde. Ok, con la sua divisa rossa e nera sarebbero state un pugno nell’occhio, ma a lui il verde piaceva e i piedi parevano rivivere in quelle scarpe.

Invece, per i lavori di casa che avrebbe dovuto fare, la scelta era stata solo ed esclusivamente di Monica. Aveva deciso che non voleva avere una classica staccionata bianca, troppo banale per lei. Quindi aveva comprato un fusto di vernice giallo sole da usare anche sugli scuri della finestra. Secondo Wes era completamente pazza: aveva deciso di ridipingere le pareti di casa sua di blu elettrico. Aveva provato a farla ragionare, ma lei aveva semplicemente sorriso ed era andata alla cassa a pagare. Aveva anche detto al commesso che se Wesley fosse andato a comprare cose per sistemare la sua casa, non doveva farlo pagare, ma segnare sul suo conto. Si fidava di lui, sapeva che Wes mai avrebbe approfittato per comprarsi qualcosa per se, di questo non dubitava neppure per un secondo.

Quel giorno, in palestra, i ragazzi si trovarono davanti ad una sorpresa: Monica ed Illyria avevano organizzato un’amichevole con tanto di arbitro e ufficiale di campo per il referto. Era la loro prima prova seria.

Le ragazze avevano portato in spogliatoio le divise nuove: erano sempre rosse con i bordi neri, ma dietro ognuno aveva scritto il proprio nome e il numero era stato stampato con un carattere diverso. In generale erano meno seriose delle precedenti.

“Sedetevi.” Ordinò Monica ai ragazzi. “Quella di oggi sarà una prova contro una squadra che l’anno scorso ha fatto meglio di voi. Io non credo che questi siano trascendentali e, credo anche, che potrete avere facilmente la meglio su di loro, se solo giocate alla maniera che sapete. Adesso darò la maglia ad ognuno di voi. Mi raccomando, saranno queste per tutto l’anno e in borsa dovrete mettere sia le rosse che le nere. Ho mantenuto i numeri dello scorso anno, quindi via alle danze: 4, Jonathan. 5, Oz. 6, Andrew. 7, Spike. 8, Jesse. 10, Wesley. 11, Gunn. 13, Robin. 14, Xander. 15, Liam.” Dicendo questo distribuiva magliette e pantaloncini coordinati.

“Sono carine.” Analizzò Spike leggendo il suo nome stampato sul retro.

“Onoratele.” Rispose lapidaria Illyria scrutandoli uno ad uno con i suoi occhi di ghiaccio.

Poco dopo la squadra uscì pronta dallo spogliatoio, trovando la sua allenatrice che chiacchierava con un ragazzo della sua età, alto, spallato e con gli occhiali. Portava i capelli corti castano chiaro e aveva due penetranti occhi grigi: indossava la classica divisa arbitrale con i pantaloni lunghi neri, maglia grigia e scarpe nere. Parlavano animatamente sorridendo e ridendo tra loro.

“E quello chi è?” chiese Wes guardandoli.

“A naso, direi che è l’arbitro e che è pure un suo amico.” Disse Xander prendendo una palla per iniziare a tirare.

“Allora, mi prometti che nessuno di loro mi manderà a fan culo?” domandò il ragazzo a Monica.

“Non lo faranno, altrimenti li uccido, Alex.” Rispose lei ridacchiando “Ora scusami, ma vado a fare il mio lavoro! Andiamo ragazzi, un po’ di entrate di destra!” urlò poi.

I ragazzi presero a correre tirando a canestro: sembravano tranquilli, concentrati, consapevoli di poter far bene. Tre minuti prima dell’inizio ufficiale, Alex, l’arbitro, fischiò, in modo che le squadre si sedessero in panchina.

“Allora, partiamo con la difesa ad uomo: vedete chi entra in campo e datevi le marcature. Oz, fai girare bene la palla, chiama chiaramente i giochi e cerca di smistare palloni a tutti. Dobbiamo avere un gioco fluido. Angel, sotto canestro voglio il tagliafuori. Xander…occhio ai falli. Spike, non cercare di giocare da solo, sei in squadra con altre quattro persone. Wesley, ti voglio aggressivo in difesa.” 

I cinque entrarono in campo sistemandosi maglie e pantaloncini: salutarono gli avversari e l’arbitro che li aspettava con la palla in mano, pronto ad iniziare. La palla a due era fra Angel e un tizio che sembrava ancora più grosso del bel moro, un armadio.

“Che dici? Palla nostra o loro?” chiese Illyria sorridendo.

“Cinque dollari che la becchiamo noi.” Le rispose Monica osservando la disposizione in campo dei suoi ragazzi.

“Solo cinque? Io pensavo a dieci almeno.”

“Fatta.”

La palla fu alzata e la partita iniziò. Monica sorrise vedendo Illyria tirare fuori dalla tasca dei jeans una banconota verde.

Si capì  fin dai primi minuti di gioco che i Red Fox erano migliorati molto: i giochi erano molto ben oliati, scivolando via azione dopo azione. Era in difesa che scricchiolavano un po’ troppo.

“Ah!!! Xander, giù quelle gambe. Scivola…” urlava l’allenatrice dal suo box. “La prossima settimana vi uccido in allenamento, non sentirete più le vostre gambe.” Diceva ai ragazzi seduti in panchina, facendoli gemere pietosamente. Andrew annotò l’ennesimo tiro di Spike andato a segno. Il biondo stava dilagando, lasciando i suoi compagni quasi a secco.

“Gunn, vai e cambia William.”

Alla prima palla morta, cioè a gioco fermo dopo un fischio dell’arbitro, l’ufficiale di campo procedette al cambio.

“Perché mi hai cambiato? Stavo andando alla grande.” Domandò lui a Monica.

“Anche troppo. Te l’ho detto prima, non puoi fare tutto solo.”

“Perché no? Segno!”

“E gli altri? Devono anche loro prendersi le loro responsabilità: che faranno il giorno in cui tu starai male, o avrai una giornata no? Adesso stai seduto e guarda!” il biondo sbuffò, ma non replicò.

Il gioco scivolava via veloce: i Red Fox  sbagliavano veramente poco e macinavano punti in abbondanza. Monica gongolava dentro di se. Ovviamente c’erano ancora cose da sistemare, ma sembravano inezie in confronto a quello che aveva pensato all’inizio.

La sirena finale risuonò nella palestra: la partitella era finita e i tabellone segnava 97-73 per i Red Fox. Un ottimo inizio sicuramente.

“Bene, doccia e poi siete liberi. Ci vediamo qui domani pomeriggio.”  I ragazzi presero le loro cose e si avviarono allo spogliatoio, solo Wes lanciò un’occhiata alle due rimaste in panchina. Entrambe sorridevano: Illyria nel suo modo freddo e distaccato, Monica, invece, era rassicurante e sbarazzina allo stesso tempo. Wesley sospirò vedendo l’arbitro avvicinarsi a lei per parlare come due vecchi amici. Poi smise di pensarci e andò a lavarsi.

 

Capitolo quattro

 

In casa Summers la sveglia prese a suonare martellante. Buffy si girò assonnata fra le lenzuola ancora calde annotandosi mentalmente che cosa avrebbe dovuto fare durante il giorno: scuola, pranzo, telefonata a Parker, allenamento, cena e poi a letto di nuovo. Giornata decisamente normale.

Si alzò stiracchiandosi e prese a vestirsi con un paio di jeans attillatissimi, presi apposta per poter far esaltare le sue curve e una maglietta nera corta che faceva intravedere l’ombelico. Una veloce pettinata e le scarpe da ginnastica e fu pronta per sentire sua madre chiamarla dalla cucina.

“Buffy, tesoro, vieni.”

Scese le scale e appena messo piede in cucina, si ritrovò davanti ad una torre di frittelle.

“Abbiamo l’esercito in giardino?” chiese lei.

“Perché?” domandò Joyce Summers, poi dopo un gesto della figlia al cibo continuò. “Certo che no, Buffy, ho solo pensato che tu debba mangiare un po’ di più, visto che oggi ti alleni.” E le piazzò un piatto con 4 frittelle davanti al naso, affogate nello sciroppo d’acero.

“Io mi alleno tutti i giorni e tu non mi hai mai fatto tutte queste frittelle. Per di più non mi posso permettere di ingrassare, altrimenti i salti come li faccio?” chiese leggermente seccata Buffy.

“Wow, che bontà!” urlò una ragazzina dai fluidi capelli lunghi. “Che è successo?”

“Perché deve essere successo qualcosa? È così strano che io faccia da mangiare alle mie bambine?” e Joyce lasciò la stanza per andare a prepararsi per uscire.

“Tieni, mangia anche le mie Dawn.” Disse Buffy passando il suo piatto alla sorella che già si leccava i baffi.

“Ma perché tutto questo sfoggio di amore materno?” chiese bofonchiando la Summers più giovane mentre ingurgitava i dolci.

“Bho, forse vuole farci evitare di pensare all’assenza di papà. Penserà che la sua partenza sia colpa sua e avanti di queste idee.” Sospirò ripensando a quei ultimi mesi, nei quali i suoi genitori si erano separati, o più propriamente quando suo padre era uscito una mattina per andare in ufficio e non era più tornato. I suoi vestiti erano ancora lì, in attesa di raggiungere il loro proprietario. Sua madre non aveva pianto né inveito contro il marito davanti alle due figlie, ma Buffy sapeva che in privato aveva bagnato il cuscino di lacrime.

“Sono solo sciocchezze!” la voce squillante di Dawn la riscosse dai suoi pensieri.

“Uh?”

“Il fatto che papà se ne sia andato non è colpa di mamma, ma sua.”

“Certo, ma spiegalo a lei. Senti pulce, io vado. Ci vediamo questa sera quando torno.”

Dawn mise il broncio mentre cominciava ad addentare l’ultima frittella.

“Ancora allenamento! Io e te non passiamo un pomeriggio assieme da mesi! Non è giusto.”

“Dai, non fare capricci, sei grande ormai. Lo sai che devo allenarmi seriamente, altrimenti non arriverò ai Campionati. Pensa, se tutto va bene, nel 2008 mi accompagnerai a Pechino!”

“Sì, ma fino al 2008 non ti vedrò.” Misero i piatti nel lavello e presero gli zaini per andare a scuola.

“Facciamo così… sabato non ho niente, né allenamento, né gara. Potremmo uscire assieme, andare al centro commerciale e fare shopping!” propose Buffy e Dawn cominciò a saltellare felice, ma poi si rabbuiò di nuovo.

“Non è che poi mi tiri pacco perché devi uscire con verme-Parker?”

“Smettila di chiamarlo in questo modo. È il mio ragazzo, devi portargli rispetto.” Dawn sbuffò.

“È viscido.”

“Smettila! Comunque ti prometto che uscirò con te.” Si strinsero la mano per suggellare la promessa, poi sentirono la madre che le chiamava per andare a scuola. La giornata iniziava.

 

Willow camminava lentamente fra i corridoi della scuola: aveva appena concluso la lezione supplementare di informatica e doveva raggiungere la classe di storia della signora Finch. Non le dispiaceva come materia, ovviamente, ma prediligeva le materia scientifiche, per questo era riuscita ad entrare al corso avanzato di pc ristretto a quegli studenti brillanti dell’ultimo anno e lei frequentava appena il primo. Era considerata il genio del liceo: ammetteva che la cosa le piaceva parecchio. Vero, la maggior parte dei ragazzi la evitavano come se avesse la peste, ma tanto lei aveva Buffy e Spike, non le servivano altri amici. Certo, avrebbe avuto voglia di un ragazzo, ma non si struggeva molto per questo. La sua speranza consisteva nell’essere presentata a Xander quanto prima.

“Ciao Rossa, sei stata elevata di grado?” Spike l’aveva chiamata dalla porta della classe di letteratura del secondo anno. Gli architetti che avevano progettato quella scuola avevano avuto un senso di elitarietà: quelli del primo anno erano sistemati al primo anno, quelli del secondo anno al secondo piano e quelli del terzo, al terzo piano. L’unico posto dove si potevano mescolare era la mensa, un edificio esterno.

“Sono di ritorno dalla classe di informatica. Sai, il corso in più che faccio!” rispose lei squillante e felice.

“È vero, la mia piccola genietta. Dovrai dare qualche dritta a papà, forse tu ce la fai a fargli capire qualcosa.”

“Credo che Jenny abbia qualche argomento di persuasione migliore dei miei.” Disse maliziosa lei e Spike prese a ridere fragorosamente. “Ora vado, o la signorina Finch sarà felicissima di mettermi in punizione!” e corse via.

Buffy era già seduta al suo posto e lei si mise al suo fianco.

“Come è andata la lezione?” chiese la bionda.

“Bene. I ragazzi del terzo anno non capiscono come io riesca già a programmare in quella maniera!”

“Solo perché non sanno di cosa sei capace…” Will rise modesta. Arrivò l’insegnante e calò il silenzio in aula: per due ore sarebbero stati avvolti nel mondo europeo medioevale.

 

La musica suonava lenta: Buffy stava ascoltando il pezzo per la prima volta in modo da impararla per il nuovo programma che avrebbe dovuto portare ai Campionati. La sua allenatrice voleva fare in modo che ci fossero più difficoltà rispetto al precedente e a lei andava più che bene. Voleva potersi sfidare, vedere fino a dove poteva spingersi. Si vedeva già a saltare: sulla sua bocca sbocciò un sorriso soddisfatto.

“Tutto bene?” chiese l’allenatrice.

“Alla grande, signorina Kennedy.”

“Questo sarà un grande anno per te. Ad aprile ci saranno i trials per i campionati del mondo… mi aspetto grandi cose da te, Elisabeth. L’anno scorso sei rimasta esclusa per poco… non deve ripetersi!”

Prese a pattinare velocemente per tutta la palestra ricordandosi che ancora non aveva chiamato Parker: ‘diavolo, gli avevo promesso che ci saremmo sentiti prima dell’allenamento.’

Non che le cose andassero male tra loro, ma la storia a Buffy sembrava un po’ noiosa, forse era causa sua e alla sua ritrosia riguardo i rapporti sessuali. Eppure credeva che al suo ragazzo non importasse tantissimo di lei, a volte si sentiva come usata. Scrollò la testa, convinta di star pensando solo a delle cazzate senza senso: Parker era intelligente, simpatico e un bravo ragazzo, di meglio non poteva anelare. Chiuse un salto triplo tra gli occhi sgranati delle bambine piccole che seguivano i sui allenamenti e, con la testa ancora tra i fatti suoi mentre andava a fare la doccia, andò a sbattere contro Spike, che, appoggiato allo stipite dell’arco di entrata al parquet, stava aspettando di poter mettersi a tirare.

“Ahi!”

“Ma guarda dove vai!” esclamò lui arrabbiato.

“Si può sapere che ci fai qui??”

“Aspetto semplicemente che voi ve ne usciate da qui e ci lasciate la palestra!”

“Non ti avevo visto… comunque non è il posto giusto dove fermarsi ti pare?” fece lei piccata.

“Tutte scuse… questo è un paese libero, posso stare dove voglio. Non la conosci la tua Costituzione?”

L’imprecazione di Buffy si perse tra il rumore dei primi palleggi dei ragazzi. Quel biondo la faceva infuriare: aveva ovviamente ragione sul fatto che lei avrebbe dovuto guardare dove andare, ma la sua strafottenza la impediva di dargli le sue scuse. Quasi le dispiaceva di non avergli fatto più male!

Prese il cellulare e lo accese, aspettando speranzosa che le arrivasse il messaggio di avvertimento che Parker aveva chiamato, invece restò delusa: di lui nessuna traccia. Mentre si slacciava i pattini bianchi, digitò il numero del suo ragazzo. Dopo solo due squilli, lui rispose.

“Ciao. Dove sei?”

“Ciao Parker, ho appena finito allenamento… stavo per buttarmi in doccia.”

“Mmmmm vengo a darti una mano se vuoi.” Disse lui con una punta di lussuria nella voce, che fece rabbrividire Buffy e non riusciva a capirne il motivo.

“Sei molto gentile, ma credo che riesco ancora a farmela da sola… però potresti venire a prendermi fuori dalla palestra, dico a mamma che non stia a venirmi a prend…”

“Non posso!” la bloccò lui senza lasciarla finire di parlare. “Devo andare ad allenarmi anche io, che pensi. Ci potremmo vedere sabato pomeriggio!”

“Ho detto a Dawn che uscirò con lei.” Parker, dall’altra parte della cornetta, sbuffò pesantemente.

“Che ti importa, è solo una bambina.”

“Bhe, ma io ho promesso!”

“Senti, io devo andare. Ne riparliamo, ok?”

“Va bene.” Capitolò lei “Buona serata allora.”

“Sì… ci sentiamo, ciao.” Non la lasciò replicare che mise giù: Buffy si ritrovò come una scema a fissare il display che le comunicava l’interruzione della chiamata.

“Ma tu guarda questo…” sbottò infine.

Quando stava per buttarsi sotto l’acqua calda, sentì l’inconfondibile suoneria che annunciava l’arrivo di un messaggio: Parker le aveva scritto.

“Scusa amore, non volevo essere scortese, ma mi manchi e tua sorella può vederti quando vuole. T.v.u.c.d.b”

Buffy si chiese se la bambina fosse veramente Dawn, oppure lui, che finiva i SMS sempre con quelle frasi criptate che lei non sopportava. ‘Chissà se un giorno me ne trovo uno che non parla come se dovesse dire il suo codice fiscale!’

Decise di andare ad annegarsi sotto la doccia: in fondo sua madre sarebbe dovuta passare a prenderla di li a poco, non aveva certo voglia di sorbirsi una ramanzina sul fatto che la faceva aspettare. Dopo un quarto d’ora era perfettamente pronta per tornare a casa.

“Sto diventando sempre più brava.” Disse a voce alta al muro. Col borsone sulle spalle uscì, fermandosi un attimo a guardare i ragazzi che tiravano. Si chiese come due ragazze riuscissero a tener testa a quella banda di scatenati, eppure sembrava che tutti le ascoltassero interessati. Erano divisi in due gruppi da cinque e tiravano da oltre l’arco dei 6,25 m che delimitava la zona da tre punti e contavano ogni canestro segnato. La squadra di Monica arrivò a quindici e si fermarono.

“Bravi! E molto bene Spike, ne hai segnate cinque su sette tirate.”

“Mancano due.”

Buffy perse il resto del discorso, perché, in fondo, la cosa non la interessava moltissimo e uscì dalla palestra dove ricevette una cocente delusione: sua madre non c’era.

 

“Mancano due.” Monica lo guardò male, ma non disse nulla. La voglia di primeggiare di quel ragazzo le dava un po’ sui nervi, eppure lui ci metteva veramente l’anima per essere perfetto. Si chiese da dove derivasse quella sua voglia di rivalsa.

“Ok, ragazzi. Buona così. Ormai mancano due settimane all’inizio vero e proprio del Campionato… credo che stiamo lavorando bene. Qualcuno di voi ha qualche cosa da voler approfondire?” chiese. Tutti dissero di no. “Va bene. Angel, Xan, Wesley, Robin e Jessy andate di là con Illyria, gli altri con me da questa parte del campo.”

Lei ed Illyria si appartarono un attimo a parlare.

“Fai con loro lavoro specifico per i pivot, sia difesa che attacco.  Mettiti sulla linea da tre e passa tu la palla. Io lavoro con le guardie e i play.”

“A me gli alti, a te i tappi.”

“Non per nulla tu sei alta e io no.” Divisi ruoli ed esercizi, ripresero a giocare.

Monica aveva deciso di dare una scossa alla sua difesa. Tutti a gambe piagate e leggermente divaricate, pronte a scattare da una parte o all’altra, in modo da chiudere la via d’accesso al canestro.

Le piaceva come si impegnavano Jonathan ed Andrew: nonostante fossero meno bravi degli altri ci mettevano molto impegno a rompere le scatole agli altri. Da lontano vide Wesley rubare l’ennesimo pallone al povero Jesse che non riusciva a fare un canestro neppure pagandolo. Illyria fece fare cambio, in modo che Wes marcasse Angel che era decisamente migliore di Jesse.

“Spike ed Andrew giocate assieme. Oz e Jonathan, voi in difesa…” porse la palla a Spike ed osservò i movimenti dei ragazzi. Su canestro del biondo, si mise a pensare seriamente ad un piccolo cambiamento di tattica.

L’allenamento finalmente finì: i ragazzi erano spompati, senza un grammo di forza. Monica li aveva fatti correre come dei pazzi e la maggior parte di loro non vedeva l’ora di buttarsi sul divano. Spike non faceva eccezione. Si infilò sotto la doccia, assaporando la cascata di acqua calda che lo accarezzava. Avesse potuto, si sarebbe addormentato così. Si riscosse dalla sua apatia e vide che era l’ultimo: classico, era lentissimo a lavarsi. Mentre si infilava le scarpe salutò Gunn e si ritrovò da solo.

In campo i senior stavano giocando e lui, per un attimo, pensò che poteva fermarsi a guardare, magari imparava qualcosa di nuovo, poi ricordò che a casa suo padre lo aspettava: c’era Jenny a cena e non voleva che lui mancasse. Sospirò forte e si andò a prendere la bici. Rimase piuttosto sorpreso quando vide una figura bionda in attesa.

“Hobbit, che fai qui?” notò che la ragazza era seduta sulla sua borsa di allenamento.

“Secondo te che cosa faccio? Ballo il tango?” rispose acida Buffy “sto aspettando mia madre.”

Spike fece mentalmente due conti e si ritrovò allibito.

“Ma sono almeno due ore che sei seduta qui.”

“Lo so.”

“E tornare a casa da sola non sarebbe una brillante idea?”

“Lei viene a prendermi qui, non posso muovermi.” Ed incrociò le braccia decisa.

“Potrebbe essere pericoloso per una ragazza sola stare qui al buio.”

“Mi stai minacciando?” chiese Buffy allarmata.

“Ma figuriamoci! Con una come te non proverei mai!” inforcò la mountain bike con agilità e con uno svolazzo della mano se ne andò. Che cosa poteva importare a lui se una ragazzina era da sola al buio, di sera ad aspettare la madre? Inchiodò poco dopo con uno stridio di freni e si guardò indietro: Buffy sembrava una bambina, seduta davanti la porta della palestra. La zona circostante non era bella, c’erano ben pochi lampioni a rischiarare il parco e tantissimi posti per appartarsi.

Spike immaginò la prima pagina del giornale del giorno dopo: giovane pattinatrice violentata ed uccisa. Mollò qualche parolaccia e tornò indietro, sotto la sguardo diffidente di Buffy.

“Che fai?” gli chiese, infatti.

“Te l’ho già detto. Non è sicuro per una ragazza come te stare qui da sola. Con me vicino non ti disturberà nessuno.”

Lei non disse nulla: non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, ma la sua presenza la rassicurava. Nelle due ore che aveva passato seduta li, era stata costantemente all’erta. Ogni più piccolo rumore proveniente dai cespugli la rendeva inquieta, aveva paura che qualcuno potesse farle qualcosa. Vero era che una pattinata in testa faceva male, ma metti che non fosse riuscita a fermarlo? No, Spike era una garanzia maggiore di incolumità.

Rimasero vicini in silenzio, piuttosto imbarazzati. Nessuno dei due sapeva bene di cosa parlare, non avevano nessun punto in comune, solo l’amicizia con Willow, ma a nessuno dei due la voleva menzionare, una parte di cervello di entrambi non voleva rovinare quella strana atmosfera con le parole, quasi fossero inutili per sentirsi vicini. Per fortuna Joyce arrivò pochi minuti dopo tutta trafelata.

“Alla buon’ora!” la salutò Buffy.

“Scusami tanto, ma un cliente dell’ultim ora… andiamo a casa, Dawn ci starà aspettando preoccupata.”

Buffy si girò per salutare Spike, ma lui se ne era già andato, infatti lo vide che era già oltre il pesante cancello di ferro che delimitava il parco: rimase a fissarlo fino a quando non scomparve dalla sua visuale: quel suo gesto l’aveva commossa, malgrado tutto.

“Carino il tuo amico.” Disse Joyce mettendo in moto.

“Carino? Come fai a dire che è carino con quei capelli assurdi?” sbottò Buffy.

“Fanno molto anni ’80… gli stanno  bene.” La ragazza decise che era meglio non approfondire con la madre il discorso Spike, o , conoscendola, non ne sarebbe venuta fuori. Solo quando buttò la borsa in lavanderia, si accorse di non aver negato l’amicizia con Spike.

“Oh.” Poi evitò di preoccuparsi, tanto dal giorno dopo lo avrebbe di nuovo odiato cordialmente.

Ascoltò piuttosto distratta il racconto della giornata di Dawn e sua madre, intervenendo con collaudate esclamazioni. Non che non le interessasse quello che loro dicevano, ma in fondo era la stessa cosa di ogni giorno e lei era troppo stanca per essere concentrata nella giusta maniera, così fingeva. In fondo le riusciva anche piuttosto bene.

Finalmente in camera sua prese il cellulare, su cui spiccava una chiamata senza risposta: Parker. Non gli aveva ancora risposto al messaggio, nonostante il ragazzo le avesse scritto quattro ore prima. Che dirgli? Digitò in fretta: scusa per il ritardo, lo sai, la mamma… ti voglio bene anche io, a domani. Sì, andava bene, nulla di così troppo mieloso e niente di troppo freddo. Prese Mr. Gordo e si buttò a letto addormentandosi con in mente un paio di occhi azzurro mare che non ricordava dove li aveva visti.

 

“Ti avevo chiesto di arrivare presto, invece, come al solito, non mi hai ascoltato.” Rupert Giles stava cercando di farsi ascoltare dal figlio, che però era piuttosto preso nel tirare a canestro nel retro di casa sua.

“Ti ho già chiesto scusa, ma non è stata colpa mia.” Passò la palla al padre, come a sfidarlo di tirare. Giles ci provò, ma fece cilecca.

“Bha, lasciamo perdere la palla a spicchi. La prossima volta giochiamo a calcio, li vado meglio.” Spike rise fragorosamente.

“Ma dai papà, sei una schiappa anche con i piedi! L’unica cosa in cui puoi sfidarmi è con i libri!” lo prese in giro bruciando la retina da lontano.

“Comunque, perché sei arrivato tardi?” continuò imperterrito il padre.

“Ci siamo allenati un po’ di più del solito. Non potevo dire di no.” Sperò di essere stato abbastanza convincente. Di solito non diceva bugie al padre, ma quella volta non potè fare altro. Voleva tenere per se il tempo passato con Buffy, perché per un momento, vederla la, sola e in attesa, gli aveva stretto il cuore. Certo, la motivazione da cavaliere con la bianca armatura scintillate era piuttosto valida, ma non era la sola. In realtà lui aveva proprio voglia di farle compagnia e stare con lei. Scrollò le spalle, passando di nuovo la palla a suo padre.

“Dai, fammi compagnia, papà!”

I due continuarono a giocare a lungo dimentichi della discussione di poco prima.

 

Capitolo Cinque

 

Il corpo di Darla era minuto sotto il suo, temeva sempre di romperla quando facevano l’amore in macchina. La SUV del padre di Liam era abbastanza comoda, ma lui era bello grande e molto spesso gli sembrava di fare il contorsionista tra il volante, la leva del cambio ed il freno a mano. Senza tener conto di Darla. Lei sì che lì ci stava comoda, piccola com’era. Respirò profondamente mentre sentiva la mano della sua ragazza dargli piacere. ‘È proprio brava…’ pensò tra sé, mentre mugugnava.

“Aspetta…” le intimò e lei, da brava, si fermò. In fondo anche lei voleva divertirsi. Liam la fece salire sopra di lui, in modo da poter terminare. A Darla bastarono pochi movimenti di bacino per far venire il suo ragazzo. Rimasero fermi abbracciati per un bel po’, fino a quando, Liam non si ricordò che doveva andare alla prima partita della stagione. Il Campionato iniziava proprio quel giorno e se arrivava tardi Monica lo avrebbe scorticato.

“Vieni in palestra?” chiese a Darla mentre lei si aggiustava il reggiseno.

“Certo. Voglio vederti vincere.” Rispose lei sorridente. Balle, lo voleva vedere caldo e sexy al massimo. “E poi non sarò da sola… verrà Cordelia.”

“Uhm… Cordelia? Ah, quella ragazza del primo anno, bruna?” chiese Liam alzando la lampo dei jeans.

“Sì, proprio lei.”

“Una ragazza carina. La vuoi far diventare qualcuno?” chiese con sottile ironia il ragazzo.

“Non ha bisogno di me per farlo. Suo padre è l’uomo più ricco di Sunnydale, praticamente.” O almeno il secondo, proprio dopo il suo, pensò Darla. “Però vuole entrare nelle mie grazie, in fondo sono o no la ragazza più cool di tutta la città?”

Liam partì, lasciando alle spalle il boschetto dove da anni gli amanti si appartavano per avere un po’ di privacy, impossibile da trovare in casa. La macchina sfrecciava veloce, lasciando dietro di se solo polvere e detriti.

“Ciao Darla.” Salutò Xander. Prima di andare in palestra, Liam si era fermato a casa sua per caricare il fratello che lo aspettava.

“Ciao. Allora giochi anche tu quest’anno?” chiese lei con poco entusiasmo.

“Certo. Quest’anno ho pure fatto dei grandi progressi, vero Liam?”

“Sì hai ragione.”

La bionda sbuffò un po’ annoiata: non riusciva a tollerare Xander. Non capiva come era possibile che uno bello come Liam si trovasse per fratello uno sfigato come lui. Era umanamente impossibile. Invece la genetica li univa. ‘Bho, misteri della fede.’ Pensò infine, mentre Liam parcheggiava. Alcuni dei loro compagni erano già arrivati, infatti sul muro erano appoggiate delle bici, tra cui spiccava quella nera di Spike.

“Andiamo. Ci vediamo dopo Darla.” Disse Liam lasciando la sua ragazza con un bacio veloce. La sveltina in macchina gli era piaciuta, eppure non lo riusciva ad appagare del tutto. Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì Xander che gli diceva qualcosa.

“Uh?”

“Dicevo, dove siete stati tu e Darla?”

“Alla collina.” Liam osservò che il fratello non era molto felice di quello che gli aveva detto e prima di entrare nello spogliatoio gli posò una mano sulla spalla.

“Xan, te lo dico come consiglio: non sei il ragazzo adatto per Darla, ti userebbe come un fazzoletto e tu non lo meriti.”

“A te non ti usa in questo modo.”

“Io so farmi valere e non sono buono come sei tu. Oltretutto credo che a volte faccia comunque quello che vuole lei.” Scrollò il capo senza capire ed entrarono. Trovarono Spike ed Oz agli antipodi della stanza che si scrutavano torvi già pronti per entrare. I due fratelli si scambiarono un’occhiata e si cambiarono tranquilli.

“Chi credete che sceglierà Monica come capitano?” chiese Spike ad un certo punto.

“Non te di sicuro.” Rispose immediatamente Oz.

“Ha detto che dovevamo sceglierlo noi.” Disse Xander memore del loro primo allenamento.

“Per me uno vale l’altro…” disse Liam “Qui dentro siamo solo noi quattro e due non mi vanno bene. Io non voglio neppure essere preso in considerazione… mi rimani tu, Xander.”

“Sei matto! Io propongo che il prossimo capitano sia il primo che entrerà dalla porta.” Oz alzò gli occhi al cielo, ma, in fondo, poteva essere una soluzione come un’altra.

“Va bene.”

Si sedettero sulle panchine in attesa… sembrava che nessuno volesse arrivare. Poi la maniglia si abbassò.

“Ciao a tutti.”

“Ciao Capitano!” esclamò Spike ad un Wesley piuttosto perplesso.

“Cosa?”

“Abbiamo deciso che sarai il nostro capitano per quest’anno. Buona fortuna.” Disse Xander con un bel sorriso.

“No, no… qui si va a votazione. Quando ci saranno anche gli altri vedremo. Io propongo Liam, è il più vecchio di noi e…”

“… e che quando si incazza prende a pugni il primo che trova…” disse, appunto Liam. “Non sono la persona adatta.”

“Non sono d’accordo!” esclamò veemente Wesley, che voleva fare di tutto per evitare anche quel fardello sulle spalle.

“Di che si discute?” chiese Robin entrando con, dietro di se, il resto della squadra.

“Di Wesley capitano.” Disse Oz tranquillo.

“Ehy, che bella idea!” Continuò Andrew.

“No, no… Liam sarebbe migliore!” disse Wesley ormai disperato, ma i suoi compagni non sembravano della stessa idea. Jonathan prese a dargli tante piccole pacchette sulla schiena per infondergli coraggio. “Su, sarai il nostro grande capitano Kirk.”

“O il nostro Tsubasa.” Rincarò Andrew, subito guardato come se fosse malato “Insomma, Capitan Tsubasa… Holly e Benji vi suona meglio?”

“Ah!” fecero tutti in coro. “Parla come mangi, Andy.” Andrew, sbuffando incompreso, iniziò a cambiarsi. In realtà per lui stare con i vestiti normali non sarebbe stato un problema, tanto non giocava mai. Sarebbe rimasto in panchina a fare lo scorer.

Quando Monica bussò alla porta, tutti erano già pronti.

“Possiamo entrare? Nessun minorenne nudo?” urlò Illyria.

Entrarono e i ragazzi rimasero ad occhi sbarrati: Monica indossava un paio di pantaloni eleganti neri che slanciavano le gambe, una camicetta rosa shocking e un paio di scarpe nere con il tacco. Si era truccata e i suoi occhi sembravano essere ancora più grandi rispetto al normale. Illyria, al contrario, non aveva abbandonato i suoi vestiti di pelle nera, che, però, fasciavano interamente il suo corpo valorizzandolo al massimo. Molti dei ragazzi ebbero un pensiero fugace: forse non sarebbero stata la squadra migliore, ma di sicuro erano quelli con lo staff tecnico più figo di tutto il campionato, se non di tutta la nazione.

“Allora, pronti?” chiese Monica sorridendo e loro annuirono veementi. “Perfetto. Inizieremo con Oz, Spike, Angel, Wes e Xander. Prendete subito l’uomo e cominciate fin dalla prima azione a pressare tutto campo. Mi raccomando, questi sono dei morti di fame, non facciamo brutte figure.” Li guardò uno ad uno e fu piuttosto soddisfatta da quello che aveva letto nei loro occhi. Sembravano piuttosto determinati. “Avete scelto il capitano?”

Un gemito la fece girare: Wesley sembrava disperato.

“Fatemi indovinare…Wes?” si levò un coro di voce affermative. “Mi sembra una bella idea.”

“Come?!? Ma sei impazzita pure tu?” rispose Wesley sconvolto.

“No. Dai andiamo.”

“Avrei dovuto capire che eri pazza vedendoti comprare vernice blu elettrico per i muri di casa.” Borbottò Wes seguendo i suoi compagni.

“Oh su, che vuoi che sia. Io sono stata il capitano della mia squadra per anni, non è mica una cosa così terribile.” Disse Monica ponendogli la mano sulla schiena. “Adesso parliamo di cose serie.” Presero a guardare i loro avversari che avevano iniziato a tirare. Monica sembrava stesse fissando un ragazzo in particolare. “Vedi il numero undici?” Anche Wes lo puntò: era un ragazzo di media statura, ben spallato con le braccia piene di muscoli. Tirava da tutte le zone del campo segnandoli praticamente tutti. “Lo prenderai tu. Non deve prendere palla. Non mi interessa che tu vada ad aiutare gli altri, lo marcherai faccia a faccia.” Lui annuì e raggiunse i suoi compagni che stavano iniziando a scaldarsi con delle tranquille entrare a canestro con la mano destra.

Monica vide che Andrew si era seduto in panchina a scrivere e andò da lui.

“Che fai qui? Vai a correre.” Gli disse.

“Perché? Io tengo le statistiche, non faccio altro.” Disse lui tranquillo.

“Invece ti vai ad allenare con gli altri, perché oggi potresti giocare. Scrivo io qui.” E lo spinse verso il parquet. Andrew era rimasto senza parole.

Mancavano venti minuti all’inizio della partita e fecero la loro comparsa i due arbitri e i due ufficiali di campo con la loro bella maglia rossa. Monica salutò tutti e quattro, visto che li conosceva bene, dato che anche lei aveva il tesserino da ufficiale di campo. Il primo arbitro li chiamò vicino al tavolo per fare il riconoscimento: Monica sentiva dalla voce che li odiavano. Si vede che l’anno prima li avranno fatti penare, pensò lei, per fortuna che non succederà più.

“Poi abbiamo l’allenatrice, Cross.” Sentì che diceva il secondo arbitro.

“Buonasera, Monica.”

“Lo sappiamo… non serviva. Ti tocca sporca quest’anno, Monica. Questi sono tremendi.” Disse uno dei due.

“Non molto. Sono bravi se vogliono.” L’occhiata scettica che ricevette dai due ragazzi era piuttosto eloquente.

“Illyria Burkle è la scorer?”

“Sì. Sono io, eccomi.”

“Bene, direi che qui abbiamo finito.” Toccò all’altra squadra riconoscersi e Monica ed Illyria andarono sedersi sulla panca a guardare i loro che si davano da fare con un classico dai e vai.

“Non prevedo difficoltà in questa gara.” Esordì Illyria.

“Così sembrerebbe… ma è sempre la prima di campionato.” Illy sbuffò facendo un gesto con la mano.

“Non cambia assolutamente niente. I nostri sono più forti.” Monica non rispose, ma dentro di se credeva esattamente la stessa cosa. Vide che gli spalti si stavano riempiendo, soprattutto di ragazze: era evidente che i ragazzi piacevano parecchio. Si alzò sorridente per andare al tavolo: mancavano dieci minuti, doveva dare agli ufficiali di campo le entrate dei primi cinque. Sorrise alle sue colleghe con chiacchierò un po’ prima di segnare i giocatori.

“Allora, entrano: Osborne, i due O’Connor, Giles e Pryce.” Disse guardando Gunn mentre tirava da fuori area segnando.

“Capitano?” chiese la segnapunti.

“Pryce.” Fece una firma a lato e tornò da Illyria che ogni tanto dava i comandi ai ragazzi per fargli cambiare esercizio.

“Non ti ho neppure chiesto come sta Fred.” Domandò Monica alla sua vice.

“Come vuoi che stia? È al MIT che fa quello che le riesce meglio… la secchiona.” E rise. “No, dai, non infieriamo. Sta bene, è l’orgoglio di mamma e papà che vedono già un Nobel per la fisica troneggiare in salotto. Mi ha chiamato l’altra sera, dice che Boston le piace e che i ragazzi sono carini.”

“Cosa certamente non trascurabile.”

“Già. Bhe, in fondo è sempre stata lei la secchiona di casa, io ero la gemella sportiva.”

Gli arbitri fischiarono, tre minuti all’inizio: i ragazzi si sedettero sulla panchina per ascoltare gli ultimi consigli delle due allenatrici.

“Allora, gli arbitri vi odiano, sono pronti a darvi tecnico alla prima parola che spiaccicate, quindi silenzio. Se uno di voi parla con loro, lo tolgo e lo lascio in panchina per settimane, è chiaro?” sperò di essere stata abbastanza dura su questo punto e di risultare convincente. Era fondamentale che non succedesse nulla. “Dai, Oz, Spike, Angel, Wes e Xan. Angel… il salto a due deve essere tuo!” disse rivolta a Liam, che tranquillo annuì come se fosse cosa fatta.

Pronti, attenti, via! Bastarono i primi dieci minuti per capire come girava il vento quel giorno: Spike non ne sbagliava uno, Xander e Liam prendevano qualsiasi rimbalzo passasse dalle loro parti, Oz girava a meraviglia la palla e Wes sembrava colla. L’altra squadra era completamente annichilita.

Darla, dagli spalti, si godette appieno il suo ragazzo in canottiera che troneggiava sugli altri, in più scannerizzava Oz ogni volta che passava sotto di lei. I suo capelli verde elettrico erano spettacolari.

“Scusa il ritardo.” Si girò e si trovò una Cordelia ansante. “Ma mia madre non voleva schiodarsi dalla tv.”

“La prossima volta vedi di essere puntuale. Qui da sola sembravo una patetica sfigata, un po’ come quelle due là.” Disse ammiccando a due ragazze: Willow ed una annoiatissima Buffy.

“Non è bellissimo?” chiese Willow guardando Xander.

“Insomma, quei capelli biondi sono terribili.” Rispose Buffy senza troppo pensarci su. Le sembrava di aver sentito sua madre.

“Biondi? Ma guarda che io parlavo di Xander, non di Spike.” Buffy arrossì un po’ per la figuraccia che aveva appena fatto. “Ti piace Spike?”

“Willow, ti ha dato di volta il cervello? È solo stato un lapsus. E Xander non è il mio tipo, suo fratello è molto meglio. Comunque io ho già il ragazzo, non me ne serve un altro.”

Ma Willow non sembrava molto convinta.

“Chi è il ragazzo con i capelli verdi? Mi pare di conoscerlo.” Chiese Willow per lasciar cadere il discorso.

“Lo abbiamo visto suonare al Bronze qualche volta. Si chiama Daniel Osburne, o qualcosa del genere. Dicono che sia gay.” Concluse Buffy lanciando un’occhiata a Darla e Cordelia che parlavano. “Ha scaricato la Hopkins.” Gli occhi di Willow si allargarono per la sorpresa.

“E allora non può che essere gay.”

Intanto, Oz, non sapendo di essere stato tirato in ballo, fece un passaggio lungo a Xander che stava correndo in contropiede, terminando con un bel canestro da due.

“Bene, che ne dite di movimentare un po’ i giochi? Gunn, entra al posto di Spike.” Il ragazzo andò a sedersi sul cubo del cambio e Monica prese da parte Jesse. “Allora, hai visto come ha difeso Wes fino ad adesso?” lui annuì. “Dovrai fare la stessa cosa. Dagli il cambio.”

Ovviamente le riserve non avevano la stessa tabella di marcia dei ragazzi del quintetto iniziale, che ora stavano tranquillamente seduti in panchina a fare il tifo per i loro compagni: erano entrati anche Jonathan e Robin, quindi Angel e Xander si stavano riposando.

“Ehy coach…” urlò proprio Xander “Direi che va tutto a meraviglia.”

“Da migliorare sicuramente. Comunque come prima uscita non è male.”

La sirena finale decretò che la gara era finita.

“Dai, forza qui. Facciamo l’urlo, andiamo a salutarli e via in doccia.” Esclamò Monica contenta. L’indomani, ad allenamento, avrebbe avuto poco su cui discutere, ma qualcosa lo avrebbe trovato, se non altro per spronarli a migliorare. Lunga era ancora la strada per la fine del Campionato.

Nel frattempo, Spike stava parlando con Willow che era scesa, insieme ad una Buffy piuttosto di cattivo umore, dagli spalti.

“Siete stati bravissimi! E tu ancora più di tutti!” esclamò la rossa saltellando.

“Grazie Will, ma è solo ordinaria amministrazione.” E sorrise compiaciuto, poi guardò Buffy che batteva a terra un piedino impaziente di andarsene. “A te è piaciuto guardare?”

“Non siete male, ma la squadra del mio ragazzo vi farà neri.” Sentenziò soddisfatta. In realtà non lo sapeva se quello che aveva detto era vero, ma sapeva, grazie alle chiacchiere ininterrotte di Parker e dei suoi compagni, che erano piuttosto bravi, visto che l’anno prima erano arrivati quasi alle finali nazionali.

“Ah, è chi è il disperato che sta con te?” Ribattè acido Spike.

“Stronzo! Parker non è proprio disperato, mi ama e io amo lui.” rispose la bionda con piglio battagliero.  Al nome di Parker, Spike strinse gli occhi, e così facendo sembrò assomigliare ad un serpente velenoso.

“Quindi Parker è il tuo ragazzo…interessante…” sibilò, appunto. “Ah Xander!” urlò cambiando discorso. “Sei stato proprio bravo oggi… sì, sì…” e lo fece avvicinare al gruppetto, dove Willow aveva assunto un acceso colore rosso ciliegia sulle guance. “Non è stato bravo, ragazze?” chiese speranzoso di una risposta. Buffy lo guardava come se fosse un extraterrestre appena sbarcato da Marte e Willow balbettava qualcosa che assomigliava vagamente ad un sì.

“Uhm… grazie?” rispose titubante Xander che non capiva perché Spike sembrasse così… poco Spike.

“Loro sono due mie amiche…” riprese il ‘finto’ Spike “Lei è Willow, piccole genio e ragazza favolosa, mentre lei è Hob…Buffy…sì, Buffy.”

“Piacere mio, io sono Xander.” E fece per andare in spogliatoio, quando Willow, presa da uno strano raptus, gli urlò dietro:

“Magari ci si rivede!” gli occhi dilatati e speranzosi di lei fecero leva su Xander.

“Perché no… sai dove trovarmi.” E andò a lavarsi. Spike rilasciò un sospiro di sollievo, la parte più difficile era stata fatta, ora toccava a loro due e lui si sarebbe potuto lavare le mani con comodo.

“Sei un idiota!” lo apostrofò Willow.

“Prego?” chiede lui con perfetto applombe inglese.

“Presentarmi così… mi prenderà per una stupida adesso!” piagnucolò.

“Ma dai, lascia perdere… ha detto che potreste vedervi, no? Come pensi che avrei potuto presentarvi diversamente? Ora scusa, devo andare. Ciao Hobbit!”

“Smettila di chiamarmi Hobbit!” urlò arrabbiata Buffy mentre lui entrava nello spogliatoio dove tutti i suoi compagni erano già nudi pronti per la doccia. Solo Wes era ancora vestito e seduto in un angolo… sembrava stesse pensando.

“Tutto ok Pryce?” sarà il fatto che erano inglesi entrambi, ma a Spike il moretto faceva simpatia anche se mai erano usciti una sera assieme, anche se non avevamo mai parlato molto.

“Sì, tutto ok. Stavo solo pensando.” Rispose lui alzandosi per cambiarsi.

“Ah… interessante. E a che pensavi?”

“Al fatto che ho giocato bene, meglio del solito.”

“Viva la modestia Wes.” Fece sarcastico il biondo sorridendo. Wesley rispose a quel sorriso.

“Bhe, ogni tanto un po’ di autostima serve. Credo che Monica sappia quello che fa.” L’entrata in scena della allenatrice, spiazzò Spike che non se lo aspettava.

“Che c’entra lei, poi… siamo noi che siamo diventati più bravi.”

“Grazie a lei… perché ti dà così fastidio che lei ci possa insegnare qualcosa?”

“Non mi dà fastidio…” fece Spike punto sul vivo.

“Carina la tua amica.” Disse Xander strofinandosi i capelli bagnati. “Potrei veramente uscirci…”

“Con Willow? Ti conviene, ci guadagneresti parecchio.”

“No, io intendevo Buffy… è proprio una bella ragazza.”

“Lasciala perdere quella, è off limits. Credimi, prova ad uscire con Will, è molto meglio.” Si buttò sotto il getto d’acqua decisamente arrabbiato, nonostante la bella prestazione in campo. Non riusciva a capire se era seccato dal commento di Wes su Monica, o se dal fatto che Buffy stesse con Parker. In fondo a lui che gliene fregava se la biondina stava con quel coglione? Eppure, dentro di lui, gli rodeva parecchio che lei andasse a perdersi con quella faccia da schiaffi di Parker, perché poi? Chiuse il rubinetto con rabbia e andò a cambiarsi. Ci mise cinque minuti lasciando nella stanza solo pochi ragazzi, tra cui Wesley che lo guardava curioso.

Fuori trovò Monica seduta su un tavolo che guardava Illyria tirare a canestro: sembrava che guardasse l’amica con una punta di rimpianto e nostalgia.

“Ciao Spike, ci vediamo domani.” Lui le diede una risposta borbottante che lei non capì. Poi lui tornò indietro e le si mise davanti.

“Tu ti credi brava e forse lo sei, ma non resisterai con noi per più di due mesi!” e se ne andò come una furia lasciando la sua allenatrice a bocca aperta. Da dove arrivava tutta quella furia nei suoi confronti? Fino a due ore prima era tutto contento per l’inizio della partita. Oh no, non l’avrebbe scappata.

“Ti pentirai di quello che mi hai detto William.” Giurò a se stessa Monica meditando vendetta, mentre Illyria centrava un tiro da tre con semplicità.

 

Capitolo Sei

 

L’allenamento stava per iniziare e Monica ancora non era arrivata. Strano, pensava Illyria, non era un gesto da lei, specie visto quello che doveva fare oggi con lui. La sera prima le aveva parlato del suo progetto e lei si era trovata d’accordo. Doveva inculcare un minimo di rispetto in quel ragazzo.

“Ehy, non arriva il Coach?” chiese Angel curioso.

“Avrà avuto problemi al lavoro. Sapevo che aveva una riunione importante, forse è durata più del previsto. Comunque, iniziamo, lei ci raggiungerà. Sedetevi in panca.” Quando i ragazzi, rumorosamente, si sedettero, lei riprese il discorso camminando su e giù. “Ieri è andata bene, non lo si nega, però ci sono alcune cose che vanno perfezionate.” Iniziarono una analisi tecnica dettagliata. Anche questa era stata decisa dalle due allenatrici insieme.

Dopo circa un quarto d’ora dall’inizio, apparve, come materializzata dal nulla Monica, solo che, molti pensarono, non sembrava neppure lei. Indossava un elegante tailleur color pesca, con la gonna che le arrivava fino a sopra il ginocchio, collant neri e scarpe con i tacchi. I capelli erano stati lisciati dal parrucchiere in maniera impeccabile e sul viso spiccava un trucco leggero ed irresistibile. Era bellissima ed elegantissima. E si capiva fin da subito, incazzatissima. Qualche fischio ammirato si levò da alcuni ragazzi, fischi che si zittirono all’istante quando lei gli lanciò un’occhiataccia.

“Sei arrivata a metà discorso. Vuoi continuare tu?” le chiese Illyria.

“No, vado a cambiarmi. Tu vai avanti, stai andando alla grande.” Prima di girarsi per andare in spogliatoio, Monica diede una lunga occhiata a Spike che continuava a fissarla con distacco.

Tornò poco dopo indossando una vecchia divisa, quella che usava per giocare anni addietro: era completamente blu elettrica, con le scritte e gli orli di un colore rosso acceso. Spiccava dietro la schiena il numero dieci, ripetuto sul petto. Si era tirata i lunghi capelli indietro in una ferrea coda di cavallo, si era tolta trucco e aveva preso un pallone, ma la cosa che più si notava in lei era una grossa ginocchiera in tinta con la divisa che le fasciava il ginocchio sinistro. Dai calzini completamente calati sulle scarpe, spuntava una specie di cerotto che fasciava tutto il collo del piede. Illyria, che la conosceva da tempo, aveva perfettamente capito che era in tenuta da battaglia, pronta a sputare sangue per il suo orgoglio.

“Abbiamo finito Monica.”

“Perfetto. Oggi faremo lavoro differenziato. Spike, dall’altra parte, tutti gli altri restano da questo canestro e lavorano con Illy. Andiamo biondo.” Si avviò con cipiglio da guerriero con Spike che la seguiva decisamente incuriosito.

Monica si girò all’altezza della linea di tre punti passandogli con forza la palla a lui che le stava dietro.

“Vai a canestro, se ci riesci.” Lo sfidò lei. Si era messa in posizione di difesa: gambe leggermente divaricate e abbassate, braccia aperte per bilanciarsi ed occhi incatenati ai suoi.

“Che cosa dovrei fare io?” Spike non le credeva e si mise a ridacchiare. Monica si avvicinò in fretta rubandogli la palla e andando in entrata verso canestro segnando.

“Siamo due a zero. Questa è una partita e tu stai perdendo.” Gli rilanciò la palla. Spike aveva appena capito di essere stato sfidato apertamente. Cominciò a palleggiare lentamente per capire se lei potesse aprire la sua difesa per così poco, ma Monica era fermamente posizionata pronta a spostarsi da qualsiasi parte. Con un cambio di mano e di velocità, Spike provò ad cercare il fondo sinistro del campo, ma Monica chiuse bene ogni spazio, facendo in modo, quindi, che lui cambiasse di nuovo direzione usando come perno il piede sinistro, mentre dava le spalle al canestro. Monica si spostò di qualche centimetro, così che potè di nuovo mettersi in posizione giusta. Infatti Spike, non pensando di trovarla lì, sbagliò il tiro e quindi lei potè riprendere la palla ed uscire dall’area dei tre punti, come prevedeva la regola dei campetti che loro stavano usando.

Monica sapeva che l’impresa era ardua: erano anni che non si allenava, ginocchio e caviglie le facevano già male e Spike era, invece, al culmine della sua prestanza atletica. Ma lei aveva alcune marce in più: inizialmente aveva più esperienza di lui e conosceva trucchetti deliziosi, specie in difesa, aveva molta più grinta e voglia di vincere di lui, almeno in quel momento e non ultimo, lei sapeva giocare sporco.

Spike si era messo in difesa: in realtà aveva proprio voglia di dare a lei una bella lezione, quindi muovendosi con rapidità cercò di andare a rubare il pallone, ma lei piantò un gomito per proteggersi.

“Ehy, così non vale.” Le urlò dietro mentre lei segnava.

“Come no? Pensi che i tuoi avversari si faranno molti problemi? Tieni tocca a te.” Come lui prese il pallone tirò e centrò un canestro da tre punti.

“Uhm, complimenti, bel tiro. Siamo quattro a tre per me.” Ripresero a fronteggiarsi senza esclusione di colpi. Continuavano a tirare a canestro uno alla volta sotto gli sguardi allibiti degli altri.

“Che sta facendo Monica?” chiese Wesley ad Illyria che osservava la scena con un sorrisino trionfante sul volto.

“Insegna.” Fu la risposta lapidaria.

“Che cosa?”

“Il rispetto. Guardala bene, Wes, e poi dimmi se non è un mostro in difesa.” In effetti il giovane era piuttosto impressionato per la reattività e la capacità che aveva la sua allenatrice a chiudere ogni spazio libero a Spike. “È un vero peccato che non giochi più. Una come lei è difficile da trovare.” In effetti, pensò Wesley tra se, essere marcata da una come lei doveva essere debilitante.

Monica stava per esplodere… non ce la faceva più, sapeva benissimo che la mattina dopo non sarebbe riuscita a muovere un muscolo senza provare dolore. Erano arrivati alla parità… palla in mano a lei: fece un paio di palleggi verso il canestro, ma Spike chiudeva bene ogni via, così Monica in velocità tornò dietro alla riga da tre punti e tirò. Il fruscio della retina quando la palla entrò, fu l’unico rumore che si sentì in palestra in quel momento.

“Posso dire di aver vinto.” Disse lei tranquilla, come se tutta la fatica fatta non ci fosse.

“Perché?” domandò Spike.

“Perché ho fatto tre punti più di te.”

“No, perché hai fatto questo.” In effetti era una domanda legittima, pensò Monica riprendendo fiato.

“È molto semplice. Io sono la tua allenatrice, devi mettertelo in testa, perché non ne avrai un altro in tutto l’anno. Io so cosa tu devi fare, so cosa insegnarti per poter migliorare, ma se tu non la smetti con il tuo comportamento ti sbatto in panchina per tutto l’anno. Certo, per gli altri sarà difficile vincere senza di te, ma non mi frega proprio niente. Hai l’età che hai e se non lo capisci adesso non lo capirai mai.” Gli lanciò la palla con forza. “Quando tu emettevi il tuo primo vagito io già giocavo con Illyria. Quindi ficcati bene in testa che io di pallacanestro ne so più di te. E la partita serviva solo per fartelo capire meglio… spero di essere stata chiara.”

“Non puoi farlo.”

“Certo che posso e lo farò. Tu sei solo un giocatore, non una squadra. Posso mettere un altro al tuo posto. Magari non segnerà come te, ma non importa. La cosa che pretendo da te, come da loro, è il rispetto, cosa che tu mi hai dato a corrente alternata. Bene, vuoi continuare così? No problema niño, farai il panchinaro a vita e sinceramente, sarebbe un peccato, visto il tuo talento. Sappi che la scelta è solo tua.” Monica andò a sedersi sul tavolo, contenta di non dover muoversi più per un po’.  “Bhe, voi che avete da guardare? Continuate. Dividetevi nelle due metà campo e tirate.” Le due allenatrici sapevano che la sfida tra i due non sarebbe passata inosservata ed era proprio questo, un effetti, quello a cui miravano.

“Come è andata?” chiese Illyria a Monica.

“Distruttivo…ma speriamo che questa fatica sia valsa a qualche cosa. “

Lentamente Monica si tolse la ginocchiera, dando a tutti la vista di una lunga cicatrice che partiva dalla base del ginocchio per scendere di dieci centimetri seguendo l’osso sottostante. Il ginocchio era completamente arrossato, tutti i ragazzi che passavano di lì, l’avevano vista e più di qualcuno si era chiesto che cosa le fosse successo.

Spike, invece, mentre tirava, stava pensando a quello che era appena successo: aveva perso… su tutta la linea. Pensava di essere bravo, ma una semplice ragazza lo aveva battuto. Certo, con difficoltà, ma sempre sconfitto ne usciva. La sua difesa non era mai stata molto asfissiante come quella di lei, ma a lui non piaceva difendere, ma solo attaccare, eppure… era stata con la sua difesa che lei aveva vinto su di lui. Certo, lei si era anche aiutata, ma questo, e lo sapeva anche lui, non era un alibi. Capì che se voleva diventare ancora più bravo, doveva darle un minimo di retta. E poi lo incuriosiva capire come faceva ad avere quell’incredibile gioco di gambe quando era in posizione fondamentale… lui non ci riusciva proprio. In fondo gli altri pur andavano d’accordo con lei, c’era perfino chi voleva innalzarle una statua, per quanto le volevano bene, non ultimo Andrew, che per la prima volta nella sua vita, era entrato in campo in una partita e aveva perfino segnato un tiro libero. Perché anche lui non poteva comportarsi come loro? Si mise in posizione per un tiro e un paio di occhi color nocciola sprezzanti, gli apparvero davanti. La retina che si muoveva, lo riscosse dai suoi ricordi.

Si ritrovò in coppia con Oz: osservandolo mentre gli passava la palla da sotto canestro, si sentì improvvisamente uno schifo. Lo aveva preso in giro per mesi, trattandolo veramente male e la sua unica colpa era stata quella di mandare in bianco la Hopkins… sì, gli avrebbe chiesto scusa presto. La partita con Monica gli aveva fatto crollare certe sicurezze che si era cucito addosso nel tempo e tutte nello stesso momento, ovviamente.

Quando dovette dare il cambio al piccolo play, gli portò la palla in mano, in modo da guardarlo occhi negli occhi.

“Che c’è, Spike?” chiese Oz preoccupato: già credeva che gli sarebbero stati sputati degli insulti.

“Niente, volevo solo scusarmi… per tutto.” Rispose il biondo con una strana sicurezza, poi andò a posizionarsi sotto canestro in attesa di prendere il rimbalzo, con Oz che lo guardava a bocca aperta e occhi sgranati per la sorpresa: William Giles, il capitano che per mesi e mesi lo aveva vessato con le ingiurie più pesanti, che non lo aveva mai degnato di una parola se non per prenderlo in giro, che in campo lo chiamava con un ehy o con un oh… insomma quel William Giles gli stava chiedendo scusa? Oz, frastornato, pensò che, probabilmente, si era aperto un varco interdimensionale che aveva scambiato lo Spike della sua realtà con uno Spike molto più gentile. Non disse nulla, si limitò a tirare a canestro.

“Bene, ragazzi, credo che per oggi possa bastare. Ci vediamo domani.” Urlò Monica ancora seduta sul tavolo. Fuori dal parquet c’era già la squadra seniores che aspettava di entrare per allenarsi. I ragazzi lasciarono a loro i palloni ed andarono in spogliatoio a cambiarsi, tranne Spike che andò da Monica. Lei lo guardava incuriosita e lui sembrava piuttosto deciso.

“Sì?” domandò tranquilla.

“Ho capito.” Rispose solo lui e seguì i suoi compagni senza vedere il sorriso di Monica allargarsi sul volto.

“Ce l’hai fatta, mi sembra.” Analizzò Illyria che aveva seguito tutta la scena.

“Così sembra… speriamo bene.”

“Resti qui?”

“Sì, vorrei guardare un po’ dei loro allenamenti… magari mi vengono nuove idee per qualche esercizio.” Rispose Monica osservando in campo.

“Ok, io vado ai miei di allenamenti… mi aspettano. Ciao.” Illyria uscì correndo: doveva andare velocemente dall’altra parte della città, dove si allenavano le White Star, l’unica squadra femminile di Sunnydale.

Spike uscì dallo spogliatoio lavato e cambiato, lanciò un saluto con la mano a Monica ancora seduta sul tavolo e andò a prendersi la bicicletta. Incredibile, trovò di nuovo Buffy seduta sulla sua borsa ad aspettare qualcuno.

“Ma tua madre sa leggere l’orologio?” le domandò quasi divertendosi.

“Taci, sta lavorando, è impegnata.” Borbottò lei.

Distrutto, invece di mettersi sulla sua bici, si sedette vicino a lei.

“Sarà anche impegnata, però poteva almeno avvisarti. Potevi andare a casa da sola, ti pare?” Buffy si gira verso di lui: era strano, ma le sembra che il suo tono di voce fosse meno irritante del solito, quasi quasi poteva anche rispondergli bene, in fondo era stato gentile a sedersi con lei.

“Mia madre lavora tanto, non lo fa apposta, ma non riesce a staccarsi.” Disse tranquilla.

“Che lavoro fa?”

“Ha una galleria d’arte. Adesso ha in piedi una specie di mostra sulle maschere tribali di non so quale paese sperduto dell’Africa.” Sospirò profondamente. “Vorrei che non fosse così impegnata.” Sussurrò più a se stessa che a Spike.

“In effetti… almeno si ricorderebbe di dover passare a prendere sua figlia. E tuo padre? Lui come mai non è qui a salvare la piccola principessa?” lo sguardo di Buffy si fece duro, serrò la mascella con forza.

“Mio padre se ne è andato.” Spike capì di aver toccato un nervo ben scoperto della biondina, in fondo la capiva benissimo, era successa la stessa cosa a lui.

“Scusa, non lo sapevo.” Disse infatti lui.

“Non fa nulla… non lo potevi sapere.” Strano, pensò Buffy mentalmente, fino a due ore fa lo avrei sbranato se fosse uscito con questo argomento. Spike si trovò leggermente a disagio, era caduto uno speciale velo di ghiaccio a dividerli.

“Sai…” riprese Buffy bisognosa di sfogarsi “…è per questo che mamma lavora così… dice che vuole il meglio per noi… io credo che passi così tanto tempo alla galleria perché a casa avrebbe troppi ricordi che le farebbero pensare a mio padre. È per lei che fa tutti questi straordinari, non certo per me o per Dawn, ma in fondo non gliene faccio una colpa… mi basterebbe che mi avvisasse prima.”

Spike non rispose, in fondo non aveva proprio nulla da dire. Vide in lontananza un paio di fanali e capì che la signora Summers era arrivata. Si alzarono insieme, lui prese la bici e la inforcò.

“Ciao Buffy.” Disse lui.

“Ciao Spike.” Rispose lei mentre metteva il borsone nel bagagliaio.

In macchina ripensò che quello era stato il primo discorso che i due avevano fatto senza insultarsi e per la prima volta l’aveva chiamata con il suo nome, invece che con quel insopportabile nomignolo… e cosa ancora più incredibile, lei aveva fatto lo stesso! Qualcosa si mosse nel suo stomaco, senza che lei riuscisse a capire che cosa fosse.

 

In realtà a Monica degli allenamenti dei senior non poteva importare di meno. Il problema è che aveva una certa difficoltà ad alzarsi e camminare. Ci aveva provato qualche minuto prima e stava per crollare a terra. Aveva sforzato troppo il suo ginocchio debilitato e pure le sue caviglie non aveva fatto un bagno di salute. Le pareva di aver visto tutti uscire dagli spogliatoi, quindi poteva essere il momento giusto per scendere da quel trespolo e cercare di avviarsi, strisciando, verso l’auto.

Prese a camminare lentissima, cercando di zoppicare il meno possibile, mentre attorno a lei i ragazzi si allenavano. Doveva ancora andare a prendere la sua roba… non aveva voglia di rimettersi il tailleur e men che meno le scarpe con i tacchi. Aprì la porta e vide che seduto ad allacciarsi le scarpe c’era ancora Wesley. Sospirò afflitta.

“Ancora qui?” gli chiese.

“Diciamo che me la prendo spesso comoda. Io e Spike facciamo a gara a chi è più lento, a meno che non debba scappare a casa.” Lei annuì: poteva facilmente immaginare che per Wesley non fosse facile ritrovarsi una madre persa nel suo mondo. Con lentezza quasi esasperante, riuscì ad arrivare davanti alla sua borsa. Piegò la gonna, la camicetta e la giacca, mise le scarpe in un sacchetto e gettò alla rinfusa la ginocchiera. Era stravolta e non era ancora arrivata alla macchina. Si sedette sul lettino per massaggi presente nello spogliatoio.

“Stai bene?” le chiese Wesley che non l’aveva persa di vista un solo istante. Gli pareva che Monica non fosse al top della forma.

“Certo, non si vede?” sperò di essere stata un minimo convincente. In verità le interessava solo di arrivare al suo letto, con una bella borsa del ghiaccio che le facesse sgonfiare ginocchia e caviglie.

“No… sembri piuttosto stravolta.” Rispose lui sincero. Le si avvicinò e si fermò a vedere la lunga cicatrice. “Che ti è successo?” domandò indicandola.

“Mi sono rotta il legamento crociato anteriore ed i menischi. Non un bel affare.”

“È per questo che non giochi più?”

“Sì.” Lo disse con voce bassa, piena di malinconia e a Wes fece tenerezza.

“È tanto distrutto anche ora? In fondo ti sei operata.”

“Vieni qui e dammi la mano.” Gli disse lei invece di rispondergli. Lui, sorpreso, le si avvicinò cauto si fece prendere la mano in quella sua mignon e se la ritrovò appoggiata sul ginocchio malato. “Senti bene.” Disse lei e poco dopo iniziò ad alzare la gamba in orizzontale e poi piegarla di nuovo a novanta gradi verso il basso. Wesley rimase scioccato nel sentire che, ad ogni movimento, il suo ginocchio scricchiolava, sembrava quasi una vecchia porta che faceva difficoltà ad aprirsi. Tolse la mano e la guardò: se la ritrovò che gli sorrideva mesta.

“Non posso più giocare, ne va della mia salute generale, almeno così posso camminare. Quello che ho fatto oggi è un optional che non devo più osare mettere in pratica.” Sembrava si fosse fatta una ragione, lui ci rimase un po’ male.

“Illyria dice che eri brava.” Lei ridacchiò.

“Ero discreta. Non sapevo fare molto: ero bassa, non sapevo palleggiare bene, a tirare ero una frana in partita. Avevo dalla mia solo una cosa: la voglia. Io mi divertivo un sacco a giocare, non mollavo mai, ero l’ultima ad arrendersi, per questo mi hanno fatto capitano. Ero un po’ come te: molto brava a difendere. Per questo voglio che voi siate imbattibili in questo fondamentale.” Disse convinta guardandolo dritto negli occhi azzurri di lui, perdendosi un attimo. “Ma da sola, non potevo far nulla. Illyria è molto brava, magari un giorno potremmo andare a vederla giocare.”

“Perché no.” Wesley prese la borsa e si girò verso di lei. “Ti aiuto.”

“Non serve, faccio da me.” Saltò giù dal lettino reprimendo una serie di parolacce che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto e con fatica prese il borsone, rischiando di crollare. Wes ammirò per un istante la tenacia che lei dimostrava: era molto probabile che lei non volesse farsi vedere così debole davanti ad uno dei suoi giocatori, dopo che con tanta fatica si era guadagnata il rispetto di uno come Spike. Si riscosse e le prese senza sforzo anche la sua di borsa, incurante delle sue proteste.

“Andiamo.” Le disse perentorio “Sono o no il Capitano, a qualcosa servirò pure.” Fece ridendo. Si mise le due borse sulla spalla sinistra, mentre con il braccio destro arpionò il fianco di Monica, in modo che lei potesse appoggiarsi.

Lei non disse nulla, ma dentro di se era decisamente contenta: era veramente stanca e anche se Wesley di lì a poco l’avrebbe lasciata, era riuscito a darle un minimo di sollievo. Quando riuscì ad infilarsi in macchina, quasi le venne un colpo vedendo Wes che si sedeva sul posto a lato. Ad un suo sguardo interrogativo, lui disse:

“Ti accompagno a casa.”

“E la bici?” lui alzò le spalle incurante di tutto.

“La prenderò domani, tanto fa talmente schifo che nessuno la ruberebbe.”

In silenzio Monica guidò fino a casa di Wes, ma lui non scese.

“Guarda che ti porto a casa tua. Poi qui ci arrivo a piedi senza troppi problemi.” Monica non si prese nemmeno la briga di protestare, tanto aveva capito che era inutile.

Parcheggiò l’auto davanti a casa e scese zoppicando, con Wes che corse a sostenerla.

“Lascia stare, tanto sono arrivata.”

“Gli scalini…” disse lui come se non avesse neppure sentito. La strinse un po’ più a se e potè sentire al meglio le sue forme femminili aderirgli al fianco: prese improvvisamente a sudare freddo.

Entrarono e per la prima volta Wesley vide la sua casa. Si vedeva che c’era ancora l’impronta dei suoi nonni: i divani erano tappezzati con dei plaid a fiorellini leggermente stinti, il muro coperto da listarelle di legno al naturale e quadri di tramonti erano appesi ad ogni parete. Di moderno c’era solo un televisore con il lettore DVD ed un grosso stereo. A fianco faceva bella mostra di se un mobiletto stracarico di cd musicali e vicino uno pieno di film. Monica si distese sul primo divano a portata di mano e sospirò: la parte più difficile era stata completata.

“Bene, me ne vado. A domani Monica.” Le disse lui facendo pure un cenno con la mano.

“Ciao Wes… e grazie per tutto.”

“Figurati.”

Monica sentì chiudersi la porta e potè finalmente rilassarsi. Maledetta Illyria e le sue parole su quanto i maschi diciassettenni potessero essere affascinanti!!

 

Wesley stava tornando a casa fischiettando. Non sapeva perché ma si sentiva felice: quella giornata era finita in una maniera decisamente inusuale. Stringere Monica a se, come se fosse una piccola fragile bambola di porcellana, lo aveva fatto sentire importante. Lui sapeva che erano ben poche le occasioni di rivalsa che poteva prendersi rispetto alla sua vita generale. Almeno fino a quando non sarebbe riuscito a vincere una borsa di studio per andare a vivere lontano da Sunnydale, ma per almeno due anni non ci avrebbe neppure pensato.

Dopo quasi due mesi di allenamenti continui passati fianco a fianco a lei, senza contare che lei lo aveva visto in uno dei suoi momenti peggiori, aveva capito che lei gli piaceva. Sì, Wesley Whindam-Pryce si stava prendendo una colossale cotta per la sua allenatrice. All’inizio si era veramente preoccupato di ciò e aveva anche tentato di smettere- neanche fosse un vizio- solo che aveva capito che era tempo perso, allora si era fatto forza ed aveva continuato ad andare avanti esattamente come faceva sempre: teneva tutto dentro e gongolava tra se tornando a casa.

“Mamma, sono tornato.” Urlò appena aprì la porta.

“Ciao tesoro, hai fatto tardi.” Lo rimbeccò la signora.

“Hai ragione, scusa.” Ecco un altro motivo per essere felice: sua madre sembrava stesse bene. Ogni tanto la depressione la lasciava e questo le permetteva di vivere dei momenti di lucidità.

“Vieni, è in tavola.” Gli mise sul piatto una fettina di carne e del purè di contorno. “È andato tutto bene oggi ad allenamento?” Wesley sorrise a quaranta denti.

“Perfettamente.” E ripensò a quanto fosse stata morbida Monica sotto di lui.

 

Capitolo sette

 

Nonostante fosse ottobre inoltrato, la giornata era ancora calda. Xander stava tranquillamente camminando per le vie del centro. Aveva ancora un bel po’ di tempo prima di andare in palestra, quindi faceva un po’ di spese.

Gli piaceva gironzolare per nulla in città, da solo, senza Liam o qualsiasi altra persona che di solito stava con lui. Senza contare che così facendo se ne stava ben lontano da casa sua e questa non era una brutta cosa. Cuffie in testa, musica sparata a palla e fischiettando piano, Xander prese a guardare la vetrina della libreria Giles, sperando di beccarci Spike, che, però, non sembrava essere in negozio. Pazienza, pensò Xander, sarebbe stato per la volta successiva. Girandosi per tornare verso casa per prendere il borsone di pallacanestro, andò a sbattere piano contro una ragazza che usciva dalla libreria.

“Ahi!” la sentì esclamare

“Scusa, non l’ho fatto apposta. Ehi, ma tu non sei l’amica di Spike?” in effetti davanti a se si ritrovò Willow che lo guardava a bocca aperta arrossendo furiosamente.

“Io… bhe, sì sono amica di William.”

“Tutto bene?”

“Uhm… bene. Se cerchi Spike è su a casa.”

“No, stavo bighellonando, in realtà.” Risponde Xander sorridente. “Hai voglia di far due passi con me?” le chiede. Willow non capì se è serio o se la stava prendendo in giro.

“Dici a me?”

“Certo, non ci sono altre simpatiche ragazze vicino a me.” Willow si riscosse da un leggero torpore nato dalla frase del ragazzo e gli sorrise contenta.

“Ok, dove andiamo?”

“In giro, non importa dove. Allora, che mi dici di bello di te?”

Willow si sentiva come se la vita le stesse tornando qualcosa dopo tutte le cattiverie che le erano state sputate in passato dai compagni di scuola. Si sentiva veramente felice lì, in città con Xander che, molto gentilmente, le aveva anche preso i libri dalle mani.

“Io non lo so…” in effetti solo adesso si era resa conto che la sua vita era sempre stata piuttosto piatta e oltre a studiare non faceva altro.

“Spike mi ha detto che sei una specie di genio informatico. Sei un’hacker?” domandò Xander per ravvivare la conversazione.

“No, nel senso che potrei esserlo, ma gli hacker si divertono a scardinare sistemi anche di sicurezza nazionale… io non sono così. Potrei farlo, ma non ne vedo l’utilità.” Rispose lei alzando le spalle.

“Non ne vedi l’utilità? Potresti scoprire tutto quello che c’è nel Pentagono e non ti interessa?” Xander sembrava allibito.

“Infatti. Metti anche che io scopra che tutti alla CIA, FBI o chi per loro, sappiano chi ha ucciso Kennedy… poi che succederebbero? Io potrei fare una denuncia, ma non credo che mi lascerebbero vivere tranquilla. Magari potrei essere rapita  e la mia famiglia con me. E questo solo se tutto va bene… no, nessuno crederebbe ad una ragazzina, senza contare che la cosa sarebbe quanto meno illegale…” incredibilmente, Willow si sentiva molto a suo agio con Xander, ma forse solo perché stavano parlando di una cosa che a lei piaceva molto.

“Sai, Spike ha proprio ragione, sei un vero genietto.” Rise il ragazzo.

“Grazie. E tu che mi dici?” Ormai si sentiva piuttosto intraprendente.

“Io a scuola sono una mezza frana, insomma mi arrangio ad arrivare al sei, ma a parte questo, io la odio la scuola. Mi piace il basket però.”

“Sei bravo!” lo complimentò lei.

“Te ne intendi? O lo dici per farmi piacere?”

“Dopo che hai abitato per quattordici anni vicino ad uno come William, per forza che impari a conoscere la pallacanestro. Ti ho visto alla partita della scorsa settimana e ti sei mosso piuttosto bene.”

“Oh, è sempre una bella cosa parlare con una ragazza che se ne intende di queste cose. Sono rare in effetti.” Willow sorrise, questo poteva essere un ottimo punto a suo vantaggio.

Xander ripensò, a tradimento a Darla: certo la piccola Willow era una ragazza deliziosa e parlare con lei era quasi liberatorio, visto che lei non sembrava giudicarlo, ma le mancava il fascino freddo e algido della bella bionda. Però come dire di no ad un sorriso solare come quello di Willow?

“Senti, io adesso devo andare, mi aspettano in palestra… però, ti piacerebbe uscire assieme qualche volta? Magari sabato pomeriggio, dato che non gioco, si potrebbe andare al cinema…sempre che ti piaccia.”

Willow si ritrovò con gli occhi sgranati dallo stupore: un appuntamento di quelli veri!! E con Xander, addirittura! Si sentì svenire…

“Volentieri. Mi piace molto il cinema…”

“Ok, allora ci vediamo sabato alle quattro. Ci troviamo davanti al cinema, va bene?”

“Perfetto.” Risponse lei felice, mentre lui le stava tornando i libri contento.

 

 

Il cinema era mezzo vuoto e i due ragazzi stavano allegramente chiacchierando. Il film non gli interessava poi molto, si era dimostrato veramente un fiasco. I pop-corn erano già finiti e i due ridacchiavano in silenzio a qualsiasi battuta veniva detta dagli attori sul video.

Willow non si era mai sentita così bene: Xander non era come se lo era immaginato per mezza vita, ma era un sacco simpatico. Sembrava apprezzarla nonostante fosse uno zero sociale, forse perché anche lui non era molto popolare. Faceva battute a raffica e le sembrava molto più calmo dell’ultima volta che lo aveva visto. Willow si inorgoglì, in fondo quello era il suo primo vero appuntamento con un ragazzo e lui sembrava contento da come si stava comportando.

Finito il film si fermarono in un piccolo caffè. Era molto carino il posto scelto: le pareti erano colorate di giallo tenue, con delle rifiniture rosa pastello pure imbottite. I divani richiamavano, ovviamente, le imbottiture del muro. I tavolini erano tutti tondi e piccoli, e aiutavano a creare una certa intimità.

“Allora, Willow… che mi dici di bello di te? È vero che non festeggi il Natale?” lei rimase un po’ sorpresa… non ricordava di avergli parlato della sua religione.

“Come lo sai?” Xander parve leggermente imbarazzato.

“Ho chiesto alcune informazioni a Spike. Non volevo fare delle brutte figure già alla prima uscita… forse non è servito molto.” Lei rise improvvisamente contenta dentro. Cioè, lui si era preparato per uscire con lei, Willow Rosemberg, piccolo genio e nerd della scuola. Fantastico!

“È vero, noi preferiamo festeggiare Hannukà, ma in famiglia non siamo molto credenti, quindi, nonostante tutto, ci scambiamo qualche regalo e facciamo pure l’albero. Questo, poi, mi piace tantissimo! Tutto colorato, pieno di luci… è la cosa più bella del Natale.”

“Pensavo che voi ci teneste alle vostre tradizioni.”

“Noi ebrei? La maggior parte sì, ma come ci sono cattolici credenti e non praticanti, così ci sono ebrei credente, ma che non praticano. La mia famiglia è più portata… al sociale. I miei non sono mai a casa.” Disse lei sorridendo quasi mesta.

“Non sembri molto felice… io non aspetto altro! Vorrei che i miei non fossero sempre e ostinatamente in casa.”

“Io ammiro i miei genitori: combattono con tutti i loro mezzi per i loro sogni e sono loro ad avermi insegnato questo, però vorrei tanto poterli vedere di più. Su sette giorni, li vedrò per una cena sì o no…”

“Riformulo: beata te.” Sospirò Xander guardando fuori la vetrina del caffè.

“È così dura da te?” chiese Willow curiosa. Non sapeva praticamente niente della vita di Xander, tranne quelle poche cose conosciute da tutta Sunnydale.

“Troppo dura. Mia madre è sempre a casa ed è sempre a pulire quella dannata foto di mio fratello e mio padre, quando torna da lavoro, è solo a bere in poltrona davanti alla televisione, maledicendo il cielo perché i suoi figli sono dei falliti… sei fortunata tu.” Sospirò infine.

“Ma tu e Liam non siete dei falliti, siete bravi a giocare e anche molto popolari.” Ribattè lei convinta.

“Liam è quello popolare, io sono lo sfigato e, comunque, per quanto Liam ed io possiamo essere bravi, non sarà mai abbastanza.” Rise, di una risata amara “Se a scuola prendo un brutto voto, me le sento, ma se prendo una A, divento subito uno sfigato secchione, questo per mio padre. Se in una partita segno 30 punti perché sono al top, non arriverò mai ai livelli di mio fratello, perché lui era quello perfetto, quello che non ne sbagliava uno, quello che rendeva tutta la famiglia orgogliosa!”

“Liam?” Willow si stava perdendo un attimo.

“No, Riley. Lui era quello imbattibile, lui era il primo, l’unico degno di portare avanti la stirpe degli O’Connor.” L’amarezza era palpabile e Willow non sapeva in realtà cosa dire. Non si aspettava questa sua uscita. “Sai Rossa, a volte provo disgusto per me stesso: spesso mi ritrovo ad odiare Riley nonostante quello che gli è successo e senza che lui abbia fatto nulla per meritarselo. Quando eravamo ancora tutti assieme io mi divertivo molto con lui, molto più che con Liam… ma immagino che ti sto annoiando con i miei discorsi di famiglia.” E sorrise.

“No, no, tranquillo, insomma, so che fa bene parlarne.” Cercò di tranquillizzarlo lei “Comunque non è colpa tua se Riley non c’è più.”

“No, ovviamente no, ma credo che papà e forse anche mamma, avrebbero preferito che a morire fossi io o Liam, piuttosto che Riley.” E dicendo questo finì la sua coca.

Calò su di loro un silenzio teso: Willow non aveva nulla da obiettare a Xander, specie se il ragazzo diceva quelle cose con tutta quella sicurezza. Prese ad osservare una zucca già intagliata sulla finestra di fronte.

“Ehm… che fai per Halloween?” chiese lei per mitigare quella situazione.

“Sarei invitato ad una festa… è invitato Liam, in realtà, ma per cortesia hanno esteso l’invito anche a me. Vorresti venirci con me?” Xander ci aveva pensato tutto il pomeriggio: era solo da un po’, cioè da quando Cordelia lo aveva lasciato per entrare nelle cheerleader quasi un anno prima, e non aveva voglia di andare ad una festa senza una accompagnatrice. Sapeva anche, però, che nessuna ragazza di una certa levatura si sarebbe presentata con lui. Willow gli sembrava abbastanza carina ed era anche molto simpatica: sì, lei era la persona giusta.

Willow era rimasta a bocca aperta: un pomeriggio al cinema era una cosa, ma una festa di sera… cavoli, questa era una cosa seria!

“Ok… come devo vestirmi?” chiese balbettante.

“Come vuoi, non è a tema.” Xander era proprio contento, era uscito per passare un sabato con una persona diversa da suo fratello e si era ritrovato con una ragazza per Halloween. Meglio di così non sarebbe potuto andare.

“Perfetto! Allora, possiamo fare così. Io ho allenamento quella sera, ma potresti passare a prendermi in palestra, tanto sai dove ci alleniamo. Così io mi faccio la doccia e poi andiamo direttamente là. Ti pare un buon programma?” chiese con lo sguardo luccicante.

“Certo, trovo che sia perfetto!”

 

Halloween arrivò più in fretta di quanto non volle Willow: la ragazza era completamente presa dal panico, visto che non aveva ancora trovato un vestito adatto a lei.

Chiamò subito Buffy al cellulare.

“Ciao Buffy, ho bisogno di te! Sono invitata ad una festa di Halloween e non so cosa mettermi!” urlò isterica.

“Stai calma Willow, adesso ci pensiamo.”

“Ho solo un vestito da fantasma…potrei mettermi quello, così nessuno potrà capire che sono io.” Buffy sospirò pesantemente.

“Willow, Halloween serve per essere qualcosa che di solito non si è. Quindi ora cerco un bel vestitino per te e più tardi vieni da me.” Poi le due amiche presero a parlare di tutte altre cose, ma Willow continuava ad essere preoccupata.

Mezz'ora dopo era a casa di Buffy, davanti ad un armadio stracolmo di vestito con Dawn che le guardava curiosa e invidiosa che loro andassero ad una festa, mentre lei sarebbe dovuta restare in casa con sua madre. Non vedeva l'ora di avere un'età decente per uscire senza troppi problemi.

"Che te ne pare di questa?" chiese Buffy alla sua amica mostrandole una minigonna di pelle nera abbinata ad una maglietta a maniche lunghe bordeaux che le lasciava l'ombelico scoperto. "Se metti un paio di stivali, sari fighissima."

"Buffy, non mi sembra il vestito giusto per me." Piagnucolò Willow. Non si era mai messa dei vestiti che mostrassero le gambe, ad eccezzione delle sue gonne scozzesi

"Per te qui niente è giusto, ma se vuoi veramente conquistare Xander, devi rischiare. Se ti acconci i capelli come Dio comanda e ti metti un po' di trucco, nessuno ti riconoscerà."

"Appunto, solo che sotto continuerò ad essere la solita nerd che viene snobbata da tutti." Buffy sospirò guardando l'amica.

"Ok, adesso non buttiamoci giù. Hai detto che devi stupire, stupisci fino in fondo! Vieni dopo il mio allenamento, così ci prepariamo assieme. Pure io devo andare ad una festa...Mi tocca vestirmi da damina dell'ottocento e tutto perchè Parker si veste da capitano della marina Inglese. A volte non lo capisco."

"Io non capisco te, sorellona." Si intromise Dawn dal suo angolo "Stai con un ragazzo che continui a criticare...mollalo no?" Willow pensò che la ragazzina non avesse poi tutti i torti, ma evitò di dirlo così palesemente a Buffy, visto che stava lanciando una occhiataccia all'inidizzo della sorella.

"Non sono fatti tuoi pulce, tu non puoi capire."

 

Xander stava difendendo più che poteva su suo fratello, ma lo sapeva bene che Liam era più forte di lui. Sperò di finire al più presto quella tortura: Monica non era rimasta molto contenta dell'ultima partita che avevano giocato, nonostante avessero vinto, dicendo che le erano sembrati delle amebe in campo. E ora gliela stava facendo pagare cara. Probabilmente alla festa non sarebbe neppure riuscito a stare in piedi. Si chiese sfuggevolmente come si sarebbe vestita Willow: l'aveva vista arrivare e chiudersi in spogliatoio con la sua amica bionda, ma poi..chissà...era proprio curioso.

"Xander, torniamo con i piedi per terra?" gli urlò furiosa Monica. Niente, quella sera non gli voleva proprio dare tregua.

"Sì, scusa." Le rispose ansimando. Lanciò un'occhiata a Liam che scosse il capo.

Avevano corso talmente tanto che neppure Spike, di solito amabile chiacchierone, riusciva a dire una parola. Non ce la faceva più, l'unica cosa che voleva fare in quel momento, era buttarsi sul divano ed agonizzare felice. Si chiese, di sfuggita, se Monica avesse il ciclo, solo così si poteva spiegare la rabbia che aveva nel corpo.

Invece Monica, ciclo o meno, era arrabbiata solo perchè i suoi ragazzi avevano dato per scontato la vittoria nell'ultima gara: era vero, avevano vinto e pure di una ventina di punti, ma contro i loro avversari, avrebbero dovuto dare di più, invece i primi due quarti avevano giochicchiato come se fossero in campetto d'estate. Non l'avrebbero passata liscia, infatti ora li stava lentamente, ma inesorabilmente, uccidendo. Li aveva fatti correre mezz'ora secca, poi scatti, suicidio e poi esercizi di difesa. Si sarebbe stupita se alla fine qualcuno sarebbe riuscito a camminare tranquillo. Decise che per quella sera fosse abbastanza, anche perchè a breve i senior avrebbero iniziato il loro di allenamento.

"Potete andare. Ci vediamo dopodomani." Sospiri di sollievo si levarono da ogni parte del campo, facendo sorridere Illyria. Non ricordava la sua amica così vendicativa, ma ammetteva che aveva decisamente fatto bene.

Wesley si stiracchiò lanciando un'occhiata alla sua allenatrice: le piaceva quel suo cipiglio di comando, poi si voltò sentendo un po' di schiamazzo provenire dall'entrata. Xander e Oz stavano discutendo un po' troppo animatamente.

"Non toccarmi, capito?" Dise Xander al suo play.

"Come se avessi voluto farlo, non mi ero accorto che eri lì, bestione." Rispose il rosso. Già era stanco per l'allenamento estenuante che gli era stato toccato, ci mancava solo una discussione con un povero demente come Xan.

"Sono stufo di giocare con un deviato come te." Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso della sopportazione di Oz. Lo guardò furioso negli occhi.

"Te lo faccio vedere io chi è il deviato." I ragazzi non sapevano che fare, Angel semplicemente se ne fregò ed andò a cambiarsi, mentre Wesley cercava di tenerli buoni prima che arrivasse Monica. Un altro allenamento del genere e non sarebbe sopravvissuto, solo che le ragazze avevano assistito a tutta la scena, un po' confuse in verità, ma di sicuro non erano contente di quello che era successo.

In quell'istante uscirono dallo spogliatoio Buffy e Willow: la bionda non si era ancora preparata perchè Parker la passava a prendere a casa, ma Willow sembrava trasformata. Si era infine messa la gonna nera di pelle e la maglia rossa, in completo con le calze velate e gli stivali. Si era raccolta i capelli in un bel chignon con alcune ciocche che scendevano libere sul bel volto. Buffy l'aveva truccata con maestria, rendendole i penetranti occhi grigi ancora più grandi con un po' di ombretto appena accennato e l'eye liner nero. Un velo di rossetto scuro completava il tutto. Xander ed Oz rimasero a bocca aperta, poi il play sorrise malizioso. Si avvicinò a Willow e la prese per le braccia trasportandola verso il muro. Lei non capì nulla, dato che si era persa tutta la scena di poco prima, quindi lo guardò confuso con le labbra leggermente aperte. Oz la poggiò al muro bianco dietro di  e le mise la mani a palmi aperti vicino al volto, le sorrise dolcemente e la baciò. La sala attorno a loro ammutolì. Xander sembrava una statua di sale.

Willow non sapeva che cosa fare, sentiva solo le labbra calde del ragazzo premute sulle sue, mentre nel suo cervello lampeggiava una scritta al neon che diceva "Primo bacio!" di continuo. Si sentì sopraffatta da lui, specie quando sentì la sua lingua intrecciarsi con la sua. Sapeva che avrebbe dovuto spingerlo via, allontanarsi da quel tipo che, non era gay? Eppure le piaceva troppo, quindi senza neppure accorgersi, rispose al bacio.

La risata di Monica li fece tornare tutti con i piedi per terra. Xander stava trattenendosi a stento da prendere a pugni Oz, Spike non credeva di aver assistito alla sua migliore amica mentre baciava un ragazzo, che oltretutto doveva essere Gay. Decise di andare a farsi la doccia con l'interrogativo che forse Oz era etero. Wesley scosse il capo, intuendo per primo che questa poteva essere una cosa decisamente imprevista per i loro fragili rapporti all'interno della squadra.

Oz si staccò da Willow: Gli era piaciuto baciarla, aveva un buonissimo sapore, sicuramente dovuto al lucidalabbra usato. Willow era rossa come i suoi capelli, aveva gli occhi lucidi per l'emozione, anche se dall'espressione non si capiva se era felice oppure furiosa. Le prese in mano una delle ciocche ribelli e sorridendo le parlò all'orecchio.

"Buona serata Fragolina, a presto." e se ne andò sorridendo vincente. Era nata come una sfida e si era trasformata in uno splendido momento. Decise che avrebbe conquistato Willow, fosse l'ultima cosa che faceva.

"Bastardo..." sibilò Xander, con Wes che tentava di tenerlo fermo.

"Xander.."Mormorò Willow. Si era completamente dimenticata di lui. Ma che mostro era? Guardò Buffy che scosse le spalle: neppure lei sapeva cosa fare. Xander la guardò ferito e se ne andò senza rivolgerle una parola.

"Ehy, non voglio casini Xander o sei fuori squadra." Disse Monica per cercare di tenerlo buono. Aveva deciso di parlare con Oz nel momento stesso che fosse uscito di lì, cosa che avvenne pochi minuti dopo. Evidentemente aveva scelto di farsi la doccia a casa per non far venire fuori troppo bordello.

"Daniel, vini con me." Oz se lo aspettava, quindi con Monica ed Illyria si avviò verso una panchina a bordo campo e aspettò che la sua allenatrice prendesse la parola. "La vostra squadra è un continuo di problemi. Speravo che tu non me ne creassi troppi, sei sempre così bravo. Si può sapere perchè hai così deliberatamente stuzzicato Xander?" domanda legittima, pensò Oz.

"In realtà non volevo farlo, ma sono scoppiato." Rispose con voce atona e tranquilla.

"Perchè?" lui sospirò e, guardando un punto fisso del parquet, iniziò a spiegare i fatti.

"Ho toccato Xander per sbaglio prima e lui mi ha detto che non vuole che lo tocchi, perchè....perchè è fissato che io sia gay." Ecco, fuori il dente, fuori il dolore.

"E quindi?" chiese Monica che non capiva quale era il punto focale del problema.

"E quindi mi emarginano da un anno con questa storia." Monica non era stupida, aveva ben visto che Oz stava sempre per i fatti suoi, parlava giusto con Wesley qualche volta, ma per il resto era muto come un pesce. "Mi prendono in giro, mi sbeffeggiano e questo da sempre, solo che oggi non ce l'ho fatta più e ho cercato di prendermi una rivincita. Sapevo che la ragazza, Willow, doveva uscire con Xander e quindi ho pensato che vederla baciare un altro gli avrebbe chiarito che non sono gay e gli avrebbe pure dato fastidio." Una rabbia sorda prese a nascere nello stomaco di Monica.

"Poverina, non le hai neppure chiesto il permesso."

"Ok, mi spiace per lei, ma se ci provavo con la bionda mi arrivava una pattinata. E poi devo dire che mi piace... Willow, intendo."

"Senti, capisco quello che hai provato e vedrai che si pentiranno di quello che ti hanno fatto, ma evita di fare di nuovo queste cose. Vorrei finire l'anno cestistico con tutti voi integri." Oz la guardò impaurito.

"Non ci farai fare un allenamento come quello di oggi, vero?" chiese.

"Peggiore."

"Allora al prossimo non vengo." Lei sorrise ma non disse nulla. Ora, almeno, aveva capito un sacco di cose in più.  Lasciò andare via Daniel che corse a prendersi la vespa, lanciando un'ultima occhiata a Willow che piangeva tra le braccia di Buffy. Un profondo senso di colpa prese forma in lui.

"Mercoledì sputeranno sangue." Promise a se stessa Monica.

"Ti do una mano, ci stai? si offrì Illyria.

Le due amiche sorrisero maligne.

 

Capitolo otto

 

Scappare. Ecco, quella era l'unica cosa che desiderava sul serio Liam. Casa sua era un inferno: suo padre e sua madre continuavano ad essere terribilmente attaccati alla memoria di Riley, tanto da dimenticarsi che avevano altri due figli a cui badare. Quasi odiava suo fratello per quello, poi se ne pentiva sempre, perchè non era certo colpa sua se era morto due anni addietro. Come se non bastasse, dalla sera di Halloween suo fratello sembrava uno zombi. Mugugnava sempre frasi senza senso, si chiudeva in camera sua e ad allenamento picchiava di più. Non che quest'ultima cose fosse male, anzi, all'ultima gara nessun avversario era riuscito a fermarlo, ma a Liam stava cominciando a stare decisamente sulle palle. Sentì il telefono che squillava da qualche parte e lo prese: Darla. Sospirò nuovamente.

"Ciao."

"Ciao Amore." Sentì dall'altra parte del telefono. Alzò un sopracciglio incuriosito suo malgrado. Darla di rado lo chiamava amore e solo per chiedergli qualcosa.

"Che ti serve, amore." Rispose sarcastico.

"Non prendermi in giro. Senti, ci sarebbe una festa a cui sono stata invitata con Cordelia. Ti va di accompagnarci?" Liam pensò un secondo. Aveva voglia sul serio di buttarsi a casa di un solito figlio di papà che dava una mega festa nel suo villone? Sentì le urla provenire dalla cucina e si diede mentalmente dello scemo.

"Certo che mi va. Quando?"

"Sabato."

 

Il campetto era completamente immerso nel sole. Non faceva molto freddo, nonostante stessero avvicinandosi al Natale, quindi Spike stava tranquillamente in maglietta a maniche corte e pantaloncini  a tirare a canestro. Fino a poco prima c'erano stati alcuni ragazzi con cui aveva fatto qualche partitella, dimostrandosi talmente superiore per bravura, che se ne erano andati mugugnando. Ora ne approfittava per esercitarsi nei tiri.

Monica ultimamente li aveva spremuti come dei limoni maturi sul fondamentale più  palloso, la difesa. Solo Wesley sembrava sguazzarci come un bambino al mare, ma lui la odiava. Li aveva fatti correre e piegare così tanto, che sentiva ogni giorno un indolenzimento da acido lattico continuo. Perfino indossare i pantaloni alla mattina diventava un problema. L'allenamento dopo quello in cui Oz aveva baciato Willow, Monica era stata spietata, perfino con Andrew e con Jonathan a cui di solito, per evidenti motivi fisici, ogni tanto dava l'ok per un riposino. Era assai probabile che il play le avesse detto il perchè del suo gesto e lei non era stata contenta, lo si capiva subito. Stava imparando a conoscerla e doveva ammettere che cominciava a provare un profondo rispetto per lei.

"Oh, ma guardalo, un perdente." La voce decisamente antipatica che gli aveva parlato, lo fece girare. Si trovò davanti una delle persone più odiose che avesse mai conosciuto sui campi di basket.

"Parker." Alto poco più di lui, longilineo con i muscoli ben delineati, capelli scuri e occhi celesti slavati. All'apparenza sembrava un bravo ragazzo, ma Spike sapeva che era un viscido verme sempre pronto a riompere le scatole e attaccar briga con i più deboli. Peccato che con lui avesse completamente sbagliato. Dietro il ragazzo venivano alcuni suoi compagni e, sorpresa delle sorprese,  una riottosa Buffy che lo guardava sopresa.

"Sai, anche se ti alleni tanto non ce la farai a passare. Tu e la tua squadra siete una barzelletta." Buffy guardò il suo ragazzo: di solito non era così acido, chissà come mai si sfogava con Spike, poi ricordò, che in fondo, anche a lei stava antipatico. Guardò William e si rese conto che non gli stava poi così antipatico.

"Dai, lascialo stare." Disse a Parker, ma lui le lanciò un'occhiataccia intimandole di stare zitta.

"Dovresti ascoltare la Barbie della tua fidanzata."

I gorilla che accompagnavano la coppi, si misero a grugnire, proprio come delle scimmie, pensò Spike, ma Parker si mise a ridere.

"Sarà una Barbie, ma almeno io la ragazza ce l'ho, sfigato." Buffy lo guardò malissimo e senza dire niente altro, girò i tacchi e se ne andò: l'aveva veramente fatta incazzare. Parker fece spallucce, ma non la inseguì.

"Non per molto, vedo."

"Quella è già mia."

"Sei solo un fottuto bastardo, Parker!" Esclamò Spike dimenticandosi di essere stato il primo a non parlare benissimo di Buffy. L'interpellato esplose in una risata leggere, prese il pallone da sotto il canestro e glilo lanciò.

"Uno contro uno. Vediamo chi vince." E si mise in posizione di difesa, pronto a contrastare William. I suoi due compari si spostarono a lato del campo per non intralciare le manovre dei ragazzi.

Iniziarono una partitella senza esclusione di colpi, fatta di punti, artoppate, entrate spettacolari e palle perse. Nessuno dei due voleva perdere, anche se la posta in gioco era solo il proprio orgoglio. Ansanti e sudati, si presero a fissare in cagnesco. Parker aveva pensato che battere Spike fosse una bazzeccola, invece si era dovuto ricredere: era migliorato molto rispetto l'anno precedente nel quale lo aveva affrontato.

Anche Spike era piuttosto sorpreso: sapeva che gli allenamenti di Monica lo avevano aiutato a diventare più bravo, ma non credeva di essere arrivato a quel punto. Già gongolava al pensiero di dove poteva arrivare a fine anno.

"Bella prova Giles, ma un solo uomo non fa una squadra...in Campionato sarà tutta un'altra musica." Disse Parker andandosene.

Spike lo vide andar via senza sapere cosa rispondergli: la sua squadra era forte, se ne stavano trendendo tutti conto partita dopo partita, ma i Black Panters di Parker erano su un altro livello. Era piuttosto preoccupato per quello che sarebbe potuto succedere in campo. Raccolse il suo pallone e la bici e lentamente tornò verso casa, fermandosi, sorpreso, poco più avanti in un  piccolo parco giochi. Seduta, mesta, su una altalena, stava Buffy. Come guidato da una volontà a se stante, si avvicinò a lei che lo guardò con odio malcelato. In lei bruciavano ancora le parole che lui le aveva rivolto in campetto.

"Che vuoi, ossigenato?"

"Che fai qui? Aspetti tua madre?" la rimbeccò lui.

"No, aspetto Parker." Spike si sedette nella seconda altalena sospirando.

"E' andato via da un po'. Sei una ragazza destinata a rimanere ad aspettare da sola." Buffy lo osservò meglio: era stanco, coperto di sudore e polvere. Si accorse per la prima volta di quanto blu e profondi fossero i suoi occhi.

"Non capisco perchè tu dovresti far compagnia ad una Barbie come me." Lui sogghignò.

"Scusa, non volevo offenderti, ma è stata la prima cosa che ho pensato contro Parker." Lei sospirò pesantemente.

"Anche lui mi ha chiamata Barbie. A volte non riesco proprio a capirlo." Disse tutto ad un fiato Buffy come a volersi sfogare con qualcuno. Spike non sapeva molto bene cosa dirle. Già si odiavano, dire la cosa sbagliata in quel momento poteva causare la morte di qualcuno. Solo ora Buffy si accorse di aver parlato a voce alta. Si alzò dalla altalena con uno scatto. "E' meglio se vado a casa, non credo che lui verrà a prendermi." Si alzò anche Spike per prendere la bici e iniziò a seguirla.

"Che fai?" gli chiese lei curiosa.

"Ti accompagno a casa. Non vorrei che ti succedesse qualcosa." Buffy non disse nulla, ma si assaporò solo la sua compagnia. Le faceva molto strano: non erano mai stati amici, anzi, non perdevamo un minuto per potersi insultare un po'. Eppure, in quelle ultime settimane, sempre a distanza, qualcosa tra loro si era incrinato...a volte lo sentiva più vicino rispetto al suo ragazzo. E la cosa le sembrava incredibilmente sbagliata.

"Grazie del passaggio, Ossigenato." Gli disse quando arrivò in Revello Drive. Spike montò sulla sua fedele mountain bike nera e le urlò:

"Ciao, Hobbit."

 

Scappare. Era l'unica cosa che voleva fare Liam in quel momento. Al pomeriggio la festa in cui era stata invitata Darla, gli era parsa una bella cosa per evaderte da casa, ma ora voleva solo urlare. E scappare.

La casa era enorme ed era completamente invasa dai ragazzi bene di tutta Sunnydale. Darla ci si ritrovava perfettamente, specie quando riusciva a mettere in mostra il suo fedele ragazzo. Sembrava che le sue amiche lo apprezzassero e lui non poteva che sorridere falsamente e sperare che la festa finisse quanto prima.

"Ehy, ciao amico. Quanto tempo!" Angel si girò e si ritrovò davanti un ragazzo che non conosceva assolutamente, completamente ubriaco che barcollava con un bicchiere in mano di birra, che in un secondo tempo, finì tutta sulla camicia nera di Liam. "Oh scusa." Disse l'altro ridendo come uno scemo.

Liam lo guardò male e prese a pulirsi la macchia con dei fazzolettini trovati sul tavolino.

"Amore, sei tutto bagnato..." Iniziò Darla annusando la camicia del suo ragazzo "...di birra."

"Forse è meglio se vai a darti una lavata in bagno. Lo trovi su per le scale." Gli disse la padrona di casa, una graziosa brunetta dai capelli corti.

"Grazie." Salì le scale lentamente, con la voglia insana di spaccare la testa alla prima persona che osava rompergli le scatole. Era stufo: in quei giorni Monica li stava massacrando e sicuramente a causa di Oz. Non se l'aspettava proprio un gesto così plateale da parte del piccolo play, però, lo doveva ammettere, aveva dimostrato molto di più rispetto al fatto di non essere gay, ma anche di avere le vere e proprie metaforice palle. E a lui piacevano le persone così. Adesso doveva solo cercare di cambiare completamente la sua vita. A parte il basket non aveva nulla: la scuola andava abbastanza bene, ma non era un secchione. Il basket gli piaceva, ma di sicuro non era l'unica cosa che poteva fare nella sua esistenza. Gli piaceva disegnare e lo faceva di continuo, appena aveva un minuto libero. Solo che a casa doveva stare attento a non farsi beccare da suo padre, che considerava il disegno, qualcosa di sbagliato, qualcosa di non abbastanza virile per uno dei suoi figli. Quindi il blocco era finito in un cassetto nascosto della sua scrivania. In realtà voleva fare qualcosa che potesse aiutare la gente, magari entrare in Polizia...chissà a casa che cosa avrebbero detto?

Trovò il bagno e abbassò la maniglia, rimanendo di sale, visto che la porta non si aprì. Sentì dal di dentro una voce che gli urlava.

"E' occupato."  Sospirò decisamente infastidito: possibile che non gli andasse bene nulla? Sentì che qualcuno di ubriaco e decisamente su di giri, stava arrivando e Liam non aveva proprio voglia di sorbirsi altre parole biascicate e cose simili. Entrò nella prima stanza disponibile: era la camera da letto padronale, con il letto matrimoniale ricolmo di giacche. Si sedette sul bordo passandosi le mani sugli occhi stanchi. Voleva scappare. Chissà se avesse lasciato Darla lì, che gli avrebbe detto.

Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì un rumore provenire dalla stanza a lato, il bagno. Sembrava che qualcuno stesse male. Bussò ad una porta che metteva in comunicazione le due stanze.

"Ehy, tutto ok?"

"Sì." sentì una voce da donna soffocata. Liam si preoccupò un po'. Provò lentamente ad abbassare la maniglia e mise la testa dentro. Quello che vide lo fece rimanere di sasso. Cordelia era seduta sul pavimento, davanti alla tazza del gabinetto, pallida come un cencio, mentre il vestito bordeaux era aperto davanti a lei. Aveva il volto stravolto e scioccato per essere stata beccata da qualcuno in quella posizione. Inorridì maggiormente quando si rese conto che la testa castana spuntata dalla porta di servizio era quella di Liam.

"Cordelia....che stai facendo?" domandò lui.

"Nulla. Ho bevuto un po' troppo..." cercò di salvarsi in corner lei.

"Sicura? Non sento odore di alcol e credimi, io ne so qualcosa in materia." Liam entrò del tutto sovrastando la ragazza che guardava ovunque tranne che il ragazzo. L'aiutò ad alzarsi rimanendo stupito da quanto lei fosse fragile. I capelli gli sembravano meno lucenti, lo sguardo perso, le mani secche. Per un attimo ebbe paura che la bella brunetta soffrisse di qualcosa di più serio di una sbronza. "sai...dovresti mangiare un po' di più. Di te ci sono solo le ossa." Le disse infine, quando, preso il braccio, non sentì la tenera carne sotto le dita.

"Sto benissimo Liam e mangio anche troppo."rispose piccata la ragazza.

Lui non disse nulla, la vide uscire tranquilla, solo un po' barcollante, fuori dalla porta principale, lasciandolo davanti ad uno specchio con mille dubbi.

Cordelia si diede della scema: sarebbe dovuta essere più attenta. Avrebbe dovuto chiudere a chiave anche la seconda porta, non solo la principale. Come aveva potuto farsi vedere in quel momento proprio da Liam? Sperò che il moro non ne facesse parola con Darla. La ragazza avrebbe potuto buttarla fuori dalla squadra per quel comportamento così poco di classe. Rabbrividì al solo pensiero.

"Io torno a casa." Disse alla sua amica bionda. Aveva l'auto, poteva andarsene quando le faceva più comodo e quello era il momento migliore.

"Ok, ci vediamo domani Cordy." Rispose Darla stupita: non era da lei andarsene nel bel mezzo di una festa.

Cordy prese la macchina e se ne andò arrabbiata per la piega inaspettata delle serata, proprio mentre Liam scendeva dal bagno, non molto sicuro del risultato ottenuto con la sua camicia. La macchia si era allargata a causa dell'acqua, ma sentiva ancora di puzzare di alcool. Voleva andarsene da lì. Cercò con lo sguardo Cordelia: non era molto sicuro che la moretta stesse bene e lui voleva indagare a fondo. Non sapeva perchè ma averla vista riversa così in un bagno, con gli occhi castani così profondi di disperazione, gli aveva fatto male. Giurò a se stesso che l'avrebbe aiutata.

"Tutto ok amore?" Darla lo guardava con il suo sorriso malizioso, come a chieergli un dopo festa soddisfacente. Liam pensò che  Cordy poteva aspettare ancora una notte.

 

Il pc della scuola ronzava monotono, mentre Liam sfogliava frenetico decine di pagine Web. Tornando dalla festa aveva buttato lì, innocentemente, il discorso cibo con Darla. Sapeva che la sua ragazza era perfetta così, ma da piccola aveva avuto qualche problema di sovrappeso. Era un discorso che lei affrontava poco e sempre controvoglia. Però, tra la descrizione di una dieta e l'altra, aveva fatto accendere una lucetta nel cervello di Laim. E ora stava cercando di dare adito alla sua idea, trovando notizie sconvolgenti che gli stavano facendo diventare quella luce, un incendio di dimensioni colossali.

La secchezza della pelle, i capelli rovinati, la leggera lanugine sul braccio di Cordy...tutto gli sembrava presupporre una crisi di anoressia nervosa, almeno così la descriveva quel particolare sito. Gli stava montando del panico...Non sapeva cosa fare ora. Una parte di lui, quella più indolente, gli diceva che doveva lasciar perdere tutto, che Cordy doveva arrangiarsi, che lui, in fondo, non era il salvatore degli oppressi. Quel ruolo in casa O'Connor si salvatore della patria era già stato occupato da Riley, nessuno avrebbe potuto rivaleggiare con lui. Eppure l'altra parte di se, l'angelo custode, gli urlava che quella povera ragazza aveva bisogno di qualcuno e che, quindi, doveva mettersi in moto. Il problema che gli montava addosso, però, era come parlarne a lei. Liam non era uno che parlava molto, era un taciturno, spesso ombroso, evitava i discorsi troppo lunghi perchè altrimenti rischiava di innervosirsi...come avrebbe potuto parlare ad una ragazza vulcanica come Cordelia? E soprattutto senza esserne del tutto sicuro. Più leggeva sullo schermo e più si convinceva di avere ragione.

Decise di spegnere tutto, prese i vari fogli stampati e tornò verso la sua classe per la lezione giornaliera di letteratura. Beccò in corridoio suo fratello che camminava con il muso fin per terra depresso.

"Ehy Xan, dammi un consiglio." iniziò nascondendo il suo materiale.

"Che vuoi?"

"Se tu dovessi parlare di una cosa importante con una persona..." Cominciò imbarazzato. "A chi ti rivolgeresti?" Suo fratello prese a guardarlo curioso.

"Stai bene Liam?"

"Certo!"

"Ah, ok...Bho, dipende...Riguardo a cosa?" Liam alzò gli occhi al cielo: gli aveva fatto una domanda, non voleva essere sottoposto ad un terzo grado.

"Fatti miei Xander. Mamma e papà sono esclusi. Mi servirebbe qualcuno di sensibile e che capisca bene le cose senza fare troppe domande." Xander prese a pensarci: lui a chi avrebbe chiesto aiuto? I genitori erano fuori discussioni. Se era una cosa serie, escludeva anche i suoi fantomatici amici...Forse proprio a Liam ne avrebbe parlato, ma era lui a chiedere aiuto. E Xander non si sentiva uno molto sensibile.

"Perchè non Wes? E' il ragazzo più intelligente che io conosca."

"Uhm...ci penserò." Lo salutò e si avviò in classe. Sì, Wesley era un amico, ma non sapeva bene se fidarsi o meno, cioè, lui di malattie del cibo ne avrebbe capito?

"Signor O'Connor, è con noi o è a far canestro in palestra?" Domandò sarcastico il professor Smith prima di chiudere la porta della classe.

 

"Posso parlare con una di voi?" Monica ed Illirya si girarono verso Liam che le guardava con uno sguardo da cucciolo abbandonato. Come dire di no?

"Io vado ai miei allenamenti, ci pensi tu e poi mi dici?" Chiese l'aiuto allenatrice e Monica annuì.

Alla fine, dopo lunghi rimuginamenti in classe e a casa, Liam aveva capito che solo una donna adulta poteva aiutarlo: sicuramente una donna lo avrebbe ascoltato, sarebbe stata discreta e sensibile. Certo, c'era da chiedersi Chi potesse essere la donna giusta, visto che sua madre era l'unica donna adulta che conosceva abbastanza, ma che di sicuro non era sensibile a lui, figurarsi per un problema di una sua amica. No, ci voleva una strategia migliore e quindi aveva puntato sulle due figure femminili che più gli erano state vicino durante quel periodo: le sue allenatrici. Oh Dio, non che loro lo conoscessero molto di più rispetto a sua madre, ma erano di sicuro molto più alla mano.

"Ok, Angel, dimmi tutto. C'è qualcosa che non ti è chiaro dello schema di oggi?" lui scosse il capo in senso di diniego.

"No, è qualcosa di personale." Monica lo guardò ancora più interessata. Di rado aveva scambiato due parole con il moro, aveva capito che era un tipo taciturno.

"Sono qui."

"C'è una persona...una amica in realtà..." Iniziò lui passandosi una mano sul collo un po' a disagio. "...una ragazza che credo non stia bene." Sì, pensò Liam tra sè, così andava bene.

"Che tipo di malattia ha?"

"Ehm...io credo...ma solo credo...che si tratti di qualche malattia legata all'alimentazione." Sospirò, prendendo coraggio per continuare "L'ho trovata seduta davanti alla tazza del Water." disse infine. Monica prese a pensare: non era propriamente il suo campo e non aveva mai sofferto di anoressia o bulimia, perchè questo, in soldoni, gli aveva detto il suo pivot. Però nel passato alcune sue amiche erano passate per quell'inferno.

"Quindi?"

"Vorrei aiutarla."

"Ah." Esclamò lei sorpresa.

"Come le parlo?"

"Come stai facendo a me. Senti, Liam, non è una cosa facile. Come prima cosa è lei a dover capire di star male. Se proprio vuoi aiutarla, fa che sia questa la sua prima consapevolezza. Poi credo che dovrà parlarne con uno psicologo e quindi andare da qualche medico. C'è sempre bisogno di un supporto per queste cose."Lui annuì.

"Qualcosa di pratico?"

"Parlale, stalle vicino, falle capire che è già bella come è." Prese dalla sua borsa una risma di CD e si mise a cercarne uno in particolare. "Ecco, prendi questo. Traccia 9, secondo me riflette bene la situazione. Fagliela ascoltare, magari vi aiuta."

"Grazie Monica."

Liam andò a farsi una doccia, incurante degli sguardi incuriositi di Xander che non aveva perso i movimenti del fratello. Non voleva parlarne a lui, per quanto dalla morte di Riley avessero legato parecchio, non gli andava che Xan sapesse di questo suo slancio di umanità.

Tornò a casa e lasciò borsa e fratello senza neppure entrare a salutare i giocatori: mise nel lettore il cd che gli aveva dato Monica e prese, fermo in una piazzola di sosta, ad ascoltare la canzone da lei consigliata.

 

Si sveglia che fa buio ormai d'abitudine
La notte le regala un'aria più complice
Detesta il vuoto dei rumori della realtà (aurora sogna)
Ma col volume a stecca può sopravvire (aurora sogna)
Sogna una carne sintetica
Nuovi attributi e un microchip emozionale
Sogna di un bisturi amico che faccia di lei
Qualcosa fuori dal normale
Qualche gelato al giorno forse la nutrirà
Non crede nell'amore in cio' è molto semplice
Come si chiama questa voglia di vivere (aurora sogna)
Che nel suo corpo ha bisogno di espandere (aurora sogna)
Sogna una carne sintetica
Nuovi attributi e un microchip emozionale
Occhi bionici più adrenalina
Sensori e ciberbenetica neurale
Sogna una carne sintetica
Nuovi attributi e un microchip emozionale
Labbra cromate ricordi seriali
Emozioni e un nuovo impianto sessuale


Aurora Sogna- Subsonica

 

Si, decisamente ci azzeccava. Tornò a guidare ascoltanto di continuo quella canzone, con l'immagine di Cordelia stampata nel cervello. Arrivò a casa Chase e suonò il campanello.
"Desidera?" chiese con voce educata il cameriere di casa.
"Sono un amico di Cordelia, vorrei parlare con lei."
"Attenda, la chiamo." Sentì il click del termine conversazione e si mise ad aspettare tambureggiando il volante con le dite.
"Chi è?" La voce di Cordy uscì chiara dall'interfono.
"Sono Liam O'Connor...il ragazzo di Darla. "Disse pentendosene subito. "Ti ricordi di me, vero?" Cordelia, dentro casa, pensò che fosse una cosa assolutamente impossibile dimenticarsi di uno come lui.
"Certo. Che c'è?" Liam prese un profondo respiro.
"Vieni fuori, dobbiamo parlare."

CAPITOLO NOVE

La "Questione bacio" fra Willow ed Oz si era allargata a macchia d'olio: ormai tutta la scuola sapeva quello che era successo in palestra. Persone che prima neppure sapevano chi lui fosse, ora lo salutavano tranquille. Oz pensò che fosse incredibile come potevi passare da essere uno zero assoluto a mito scolastico in poco tempo. C'era perfino gente che ora gli chiedeva notizie sui concerti.
Scambiò un'occhiata provocatoria con Spike che passava in corridoio, ma questo non sembrò impressionarlo. Il biondo era perso in tutti altri pensieri, popolati da una certa pattinatrice che di solito si divertiva a stuzzicarlo.
Oz si stupì di questa insolità tranquillità, anche perchè Spike era solito rompergli parecchio le palle. Scrollò le spalle ed iniziò a scendere in giardino. Davanti allo sgabuzzino delle scope, si scontrò con Willow. La ragazza fece cadere i libri a terra, spaventata ad avere davanti il maledetto "ruba primi baci". Aveva fantasticato su quel momento così a lungo e sempre con Xander come cavaliere, che quando aveva sentito le sue labbra addosso quasi si era illusa che fosse così. Invece, aprendo gli occhi, si era accorto di avere davanti due penetranti pupille grigie invece di quelle castani tanto agognate. Non si accorse neppure che Oz le stava porgendo le sue cose.
"Ciao!" esclamò lui felice. Rivederla gli faceva piacere. Lei balbettò qualcosa di poco chiaro. "Tranquilla, mica ti mangio."
"Mi sembra che lo hai già fatto." Rispose lei mettendo il broncio. Lui la fissò sorridendo e appoggiandosi al muro.
"E la cosa ti è piaciuta così poco?" Willow diventò dello stesso colore dei suoi capelli. Poteva ammettere a lui e a se stessa che il bacio le era piaciuto? No, non poteva e decise di mantenere il silenzio. Oz vide due ragazze che, guardandoli, ridacchiavano, così, quando scomparvero, prese Willow e la portò dentro lo sgabuzzino.
“Ehy!” protestò lei.
“Non vorrai che tutta la scuola ci veda assieme, no?” Willow si sentì in trappola. Lo sgabuzzino era piccolo e lui bloccava l'unica uscita.
“Che vuoi, Oz?” Domandò tremante e lui ne ebbe un po' pensa e sospirò.
“Volevo chiederti scusa. Quello che ti ho fatto non è stato un bel gesto, lo ammetto, ma è stato più forte di me.”
“Perchè?”
“Perchè? Bella domanda...perchè Xander ci guardava e sapevo che doveva uscire con te, per...”
“Quindi è solo per vendetta.” Lo interruppe.
“Anche e non solo. Forse l'ho fatto perchè tu sei molto carina anche se non indossi quella minigonna. Forse perchè sei piuttosto invitante.” Finì Oz sorridendole dolcemente.
“Potevi almeno chiedermelo.” Borbottò Willow. Era rimasta frastornata dalla strana dichiarazione del ragazzo, anche perchè era stato il primo a dirle di essere invitante.
“Dai, stiamo parlando di un bacio, solo un bacio.”
“Non era solo un bacio, era qualcosa di più.” E a quel punto Oz capì che era stato il suo primo vero bacio e lui glielo aveva praticamente rubato. Si sentì veramente in colpa, ma le cose non potevano essere cambiate.
“Scusami, Willow.” Le accarezzò la guancia e si sorprese dato che lei non si era spostata. “Purtroppo non posso far tornare indietro il tempo, quello che ho fatto non si può cancellare, ma farò tutto quello che vuoi per farmi perdonare.” Willow lo guardò fisso, per la prima volta senza tremare.
“Tutto?”
“Tutto!”
“Allora non farti più vedere.” Esclamò dura, tanto che Oz ne rimase sospreso. Quella ragazza sapeva stupirlo.
“Sicura? Perchè sarebbe un bel problema. A me piaci e mi sarebbe anche piaciuto conoscerti meglio.” Ma Willow non mostrò cenni di cedimento. “Ok, come vuoi. Vorrà dire che ci vedremo in giro, Fragolina.” E così dicendo le prese in mano una ciocca di capelli ribelli e gliela mise dietro l'orecchio sorridendole dolce. Poi uscì, lasciando Willow confusa. Quel gesto così tenero le aveva scaldato il cuore e quel sorriso aperto le era piaciuto. No! Lei doveva riuscire a tornare amica di Xander, non doveva importarle che ancora agognava le labbra di Oz sulle sue, quella sensazione sarebbe sparita presto.

William stava tranquillamente disteso sul suo letto a leggere.  Molti lo sfottevano per quell'hobbie, ma per anni suo padre gli aveva rifilati libri sotto il braccio, un po' per tenerlo a bada e un po' perchè leggere faceva bene. E lui si era abituato. Gli piaceva, gli permetteva di staccare il cervello per delle ore, così da non pensare ai mille problemi che gli passavano per la testa.
Si accorse del padre solo quando questo fu davanti a lui.
“Ti dovrò portare a fare un controllo dell'udito. Sono due ore che ti chiamo.”
“Scusa, non ero presente. Che c'è?”
“Scendi. Jenny è già giù e la cena è pronta.” William guardò l'orologio e si sorprese nel constartare che in effetti, erano passate le otto. Non se ne era proprio accorto.
“Ok, adesso arrivo.”
Jenny era una bella donna, a William faceva molta simpatia. Portava meglio la sua età rispetto a Rupert: era di origini gitane, con pelle olivastra, i capelli neri e lucenti e due occhi scintillanti. Avevano in comune la passione per la musica punk, cosa che il padre non capiva. Ma William sapeva che i due si amavano molto e lui era felice di questo, perchè Rupert se lo meritava. Aver cresciuto un figlio di indole così ribelle da solo, portava solo rispetto agli occhi di Spike. E ora era giunto il tempo che si godesse la vita, magari con una bella donna accanto.
“Ciao Jenny.” Notò che i due adulti erano piuttosto eleganti. Lei aveva optato per un completo giacca e pantalone di color azzurro, mentre suo padre sembrava uscito da un the con la Regina.
“Ciao
William, come stai?”
“Bene, e tu?”
“Anche. Ottimi affari oggi!” E cominciarono a parlare di dati tecnici di computer, cose che per Giles Senior era complesso come una traduzione dall'aramaico antico, anzi, forse anche di più.
La cena scivolò tranquilla, tra una risata e una disquisizione sulla scuola e la pallacanestro.
"Dovete uscire che siete vestiti così eleganti? La porti a teatro?" Chiese William mentre bevevano il classico the del dopo cena, cosa che a casa Giles non mancava mai. I due adulti si scambiarono un'occhiata complice che non sfuggì al ragazzo. Rupert poò la tazza sul piattino e guardò negli occhi suo figlio. Si sorprese ancora una volta di quanto fosse cresciuto: ricordava ancora quando da piccolo gli faceva da destriero. Sorrise, tornando alla realtà.
"No, William. Questa sera resteremo a casa. Siamo vestiti così perchè è una giornata importante, questa." E così dicendo prese la mano di Jenny. "Io e te abbiamo vissuto molti anni assieme e da soli. E' stato difficile per me, ma anche per te e io sono fiero di come sei diventato." William li osservò con attenzione: non capiva dove volesse arrivare suo padre.
"Stai bene, vero?" Domandò a bruciapelo.
"Certo..." Rispose imparpagliato Rupert, mentre Jenny ridacchiava sotto i baffi. "Noi volevamo dirti che a giugno ci sposiamo."
L’espressione di William fu da manuale: bocca spalancata in un cerchio perfetto, occhi sbarrati e sopracciglie alzate. Questo cambiava un sacco di cose.
"Questo, ovviamente, se tu sei d'accordo." Concluse Jenny per aiutare i due che sembravano due statue di sale.
"Certo che mi va bene." Si riscosse William e Rupert esalò il sospiro di sollievo che tratteneva da tutto il giorno e tornò pure del suo colorito naturale, dopo essere variato verso il rosso. "E' giusto e sono felice per voi." Il padre prese una bottiglia di spumante della California e la aprì con il botto, così da festeggiare. William pensò di non averlo mai visto così felice.
"Per Natale verrà a vivere qui mia figlia e mi piacerebbe che voi diventiaste buoni amici."
"Nessun problema." Spike sapeva che la figlia di Jenny viveva in Europa e frequentava un college privato svizzero e che era anche una bella ragazza.
"Quindi vivremo tutti assieme." Terminò Rupert al settimo cielo.
'Tutti assieme?' Pensò William tra se. 'Oh, oh.' Spike decise che era meglio lasciare i due piccioncini in pace a festeggiare.
"Bhe, io esco."
"Non fare troppo tardi, domani hai scuola."
"Sì, papà." In realtà non sapeva bene dove andare, quindi decise di bussare alla porta dei suoi vicini.
"Buonasera signora Rosemberg. C'è Willow?" La signora gli sorrise, lo conosceva da anni.
"No, è uscita con Buffy. Sono al Bronze." Lui ringraziò e si avviò al locale. Aveva proprio voglia di stare un po' con le due ragazze, specie con una.

Il Bronze era pieno di gente. Vide parecchie conoscenze, ma da uno dei divanetti spuntava una familiare testa rossa. Con fare baldanzoso si sedette vicino a lei.

“Ciao Willow!”

“Mi hai fatto prendere un colpo.” Rispose lei. Aveva gli occhi gonfi di una che aveva appena pianto.

“Che ti succede?”

“Nulla, ho solo tentato di parlare con Xander.” Spike la guardò come a chiedere chiarimenti. “Dopo il bacio con Oz non mi parla più.”

“Forza Rossa, vedrai che capirà, devi solo avere un po’ di pazienza. Xander è un po’ lento su certe cose.” La abbracciò forte, in modo da farle capire di esserle vicino.

“Tu che mi dici di bello, invece?” Spike rubò quello che restava della menta della sua amica.

“Mio padre si sposa!” Buttò fuori. Willow sgranò gli occhi e prese a battere le mani felice, per poi abbracciarlo. “Ehy, non mi sposo io!”

“Anche perchè, povera ragazza altrimenti.” Buffy era davanti a loro. Indossava un paio di jeans a vita bassa azzurri, scarpe con i tacchi che la slanciavano e un’eterea canottiera nera, poco trucco e la coda alta.

“Ah, ah, hobbit. Io credo che, invece, ti piacerebbe essere la ragazza in questione.” Buffy rise senza rispondergli e si sedette vicino a Willow, all’opposto rispetto a dove stava Spike.

“Tu sogni ossigenato. Allora, chi è che si sposa?”

“Mio padre con Jenny.”

“E tu sei d’accordo?” domandò Buffy seria. Era rimasta stupita dalla tranquillità che aveva dimostrato William dando l’annuncio. Provò ad immaginarsi lei nella stessa situazione e rabbrividì. Willow si alzò per andare a prendere da bere, visto che il suo amico le aveva finito la bibita.

“Certo che sono d’accordo! Mio padre se lo merita!” Spike non riusciva a capire cosa passasse nella testa della biondina.

“Sì, lo so, ma...insomma....e tua madre? Quella vera, intendo, non Jenny.” William si irrigidì. Stava per mandarla poco elegantemente a quel paese, ma poi ricordò la chiacchierata che avevano fatto fuori dalla palestra, quando lei aspettava sua madre e stranamente, non se la sentì di trattarla male.

“Mia mamma non c’entra. Lei non è qui.” Vide la confusione di Buffy e sospirò. “I miei hanno divorziato ormai da dodici anni. Mio padre mi ha cresciuto da solo e ha aspettato che io diventassi grande per poter essere felice, per fare in modo che io non stessi male. Mia madre ha perso il diritto su di noi quando ci ha lasciato, quando ha smesso di guardarmi negli occhi. Quindi sono più che d’accordo che si sposino.” Senza accorgersene i due si erano avvicinati uno all’altra. Buffy non replicò, ma si ritrovò a pensare che si sentiva molto vicina a Spike, intimamente vicini. Provò un moto di simpatia per lui.

“Allora alla salute di tuo padre!” alzò il bicchiere sorridendogli e lui non potè fare a meno di risponderle.

 

“Mi devi lasciare perdere!” Cordelia non aveva mai pensato che avere Liam tra i piedi fosse così stressante. Dalla sera in cui si era presentato a casa sua, non l’aveva mai lasciata. Era arrivato dicendole che doveva cominciare ad amarsi di più, che era una bella ragazza già così e avanti di questo passo. Si era sentita lusingata, dato quello che provava per lui, ma quando aveva iniziato a parlarle di bulimia e malattie legate all’alimentazione, si era scandalizzata. Lei non era quel tipo di ragazza, lui non era malata, aveva solo bisogno di rigettare quando mangiava un po’ più del solito. Aveva una linea da mantenere.

“No, voglio aiutarti.” Rispose tranquillo lui.

“Perchè?” Cordy si girò per affrontarlo: nonostante fosse una ragazza slanciata, Liam troneggiava su di lei. Ogni volta annegava in quelle due pozze di pece che erano i suoi occhi

“Come sarebbe a dire, perchè?”

“Perchè proprio io? Ci sono un sacco di innocenti da salvare, perchè vieni proprio da me che non ne ho bisogno?” Liam sospirò pesantemente. Già, perchè?

“Perchè sei una mia amica.” Ecco, abbastanza tranquilla come motivazione, niente di troppo compromettente.

“Sono una tua amica?” domandò sorpresa Cordelia.

“Certo!” esclamò in risposta Liam. Forse era la volta buona che l’ascoltasse.

“Ti ringrazio, Liam, ma io sto benissimo. E poi non credo che Darla sarebbe felice di vederci sempre assieme, quindi è meglio se tu te ne vai.”

“Darla? Ah sì, Darla.” Era grave, pensò Liam, che si fosse dimenticato della sua ragazza? Sì, era grave. “Senti, io so che tu hai bisogno di una mano. E io sono qui per dartela, ma tu devi essere la prima a volerlo.”

“Esatto! E io non lo voglio!” così dicendo cambiò direzione lasciandolo solo.

Liam sbattè la testa contro il muro: non era possibile che avesse sbagliato in quella maniera così grande. Insomma, aveva seguito tutti i consigli che Monica gli aveva dato, quindi perchè le cose non erano andate come voleva lui? Nelle sue fantasie, Cordelia lo ringraziava ed insieme o anche da sola, iniziava a curarsi. Invece no, la ragazza stava facendo di tutto per metterlo in difficoltà.

“Dovrei veramente smetterla di provarci e lasciarla che si arrangi.” Disse sbattendo le mani sul volante.

“Che si arrangi chi?” Darla era entrata nel SUV con un sorriso smagliante.

“Mia madre...mi ha chiesto un favore, ma che palle.” Bugia perfetta.

“Allora, andiamo?”

“Devo aspettare Xander.” Darla sbuffò, ma evitò di dire alcunchè, fino a quando non apparì.

“Era ora, sei sempre lento.”

“Stai zitta.” Due paia di occhi si voltarono verso Xander: non era da lui rispondere in questo modo, men che meno a Darla.

“Ehy, tu lasci che mi tratti in questa maniera?” chiese Darla a Liam completamente scioccata da quello che era successo. Xander prese a guardare fuori dal finestrino, apparentemente disinteressato a quello che accadeva nell’abitacolo.

“Lascialo perdere, non sta passando un bel periodo.”

“Solo perchè la Rossiccia ha baciato il gay.”

“È Successo il contrario e smettetela di parlare come se io non ci fossi.” Xander era arrabbiato con il mondo. Aveva sperato che dopo la rottura con Cordy, di trovare una ragazza che gli volesse bene. Invece nulla, la sua popolarità era sempre stata molto bassa e puntare a Darla non lo aveva aiutato. Con Willow stava proprio bene, lei lo faceva sentire brillante e desiderato. E ci era rimasto male quando l’aveva vista collaborare al bacio di Oz. Non si era neppure accorta che lui fosse lì. Era tornato ad essere lo Zeppo della squadra.

 

Lacrime copiose stavano bagnando il divano e Wesley non ce la faceva proprio a tollerarle ancora. Aveva allenamento appena da lì a due ore, ma stava progettando la fuga. Non voleva continuare a veder sua madre in quello stato. Ogni anno, sotto le feste natalizie, dava di matto. Continuava a blaterare che doveva essere la festa della famiglia e si disperava perchè suo marito non c’era più. La cosa che più faceva male a Wes era a Natale stesso: suo madre preparava la cena della vigilia e poi metteva tre piatti ed iniziava a parlare ad un fantasma. E parlava di cose che lui neppure ricordava. No, era troppo tempo che subiva queste cose, quindi si preparò in fretta, mise le scarpe  da basket in borsa e se ne andò. Sperò in cuor suo di trovare sua madre dove l’aveva lasciata, cioè a piangere sul divano.

Non era molto contento: quello sarebbe stato l’ultimo allenamento, poi le vacanze di Natale e lui non voleva smettere. La pallacanestro era l’unica cosa decente che gli rimaneva. Senza contare che per due settimane e mezzo non avrebbe visto Monica...no, questa era la tortura peggiore che potesse ricevere. Si era divertito molto con lei mentre dipingeva gli scuri della casa e poi quando insieme avevano cercato di mettere ordine nella soffitta dei nonni. Avevano spulciato tutti gli album fotografici, l’aveva vista da piccola e anche in divisa. Non gli era sfuggita la piccola lacrima di commozione che era scesa sulla guancia della ragazza, ma non aveva fatto nulla per togliergliela...anche se era stato molto tentato di farlo. Lei gli aveva detto che poteva lasciar perdere ulteriori lavori fino a dopo la Befana, eppure lui si sarebbe volentieri trasferito a casa sua per tutto il tempo.

Arrivò in palestra che ancora i bambini del minibasket stavano giocando. Si sorprese ulteriormente a trovarci Monica che li allenava, anzi, li faceva giocare. Aveva un sorriso smagliante, mentre passava la palla ad una bambina con le treccie. Mollò la borsa e prese ad osservarli. Stavano giocando a palleggiare seguendo i comandi della ragazza e si divertivano pure. Ricordava anche lui i bei momenti che passava da piccolo in palestra: certe cose non cambiavano proprio mai.

“Ehy, che ci fai qui?” Domandò Monica appena lo vide.

“Sono scappato di casa.” Lei perse un po’ del suo sorriso.

“Mi spiace, so che non è facile.” Nei momenti passati assieme, lui le aveva detto che sua madre stava di nuovo male e anche un po’ del suo passato. Non si era sbottonato troppo e lei non aveva chiesto. Se ne avesse voluto parlare dettagliatamente lei sarebbe stata lì ad ascoltarlo, esattamente come aveva fatto con Oz.

Lui fece spallucce e sorrise.

“Fa nulla, ora sono qui. Vuoi una mano?” chiese indicando i bambini.

“Magari! Sono peggio di voi.”

Continuarono l’allenamento e Wes si trovò sudato semplicemente a segiurli, erano veramente dei diavoletti.

Vide che fuori i genitori arrivati, stavano preprando un tavolo pieno di cose da mangiare: evidentemente finito in campo avrebbero festeggiato il Natale.

“Allora, adesso chi vuole aspettare babbo Natale?” domandò Monica quando tutti furono seduti. Decine di mani si alzarono in alto, seguite da un coro di ‘io’. “Bene. Andiamo a mangiare qualcosa e poi chissà che se non fate i bravi, arrivi lui con un regalo.” L’orda di bambini si alzò e correndo arrivò al tavolo dove i genitori li aspettavano sorridendo. “Per fortuna è finita.” E così dicendo si sedette sul tavolo.

“Ti hanno appioppato anche i bambini oltre a noi?” domandò Wes sedendosi vicino a lei.

“No. Ho solo sostituito il loro maestro per oggi: si sono ritrovati senza nessuno per un’epidemia di influenza ed eccomi qui. Mi seccava fargli perdere la festa di Natale. Poi babbo Natale come avrebbe fatto a distruibuire i regali?” Guardarono verso l’atrio, dove uno dei papà in completo rosso e bianco e con la pancia finta, aveva appena fatto la sua comparsa trasportando un sacco ricolmo di regali. “Bei tempi quelli in cui si aveva così tanta fede.”mormorò Monica.

“Che ci fai fare oggi?” cambiò argomento lui.

“Credo solo una partitella. Voglio arrivare alla festa tranquilla. E poi è l’ultimo allenamento.” Ripose stiracchiandosi. “Non ho voglia di arrabbiarmi, quindi di ai tuoi amici di fare i bravi, ok?”

“Mi farò valere, sono o no il capitano della squadra?” si voltò verso un bambino che correva tutto felice con il suo nuovo regalo in mano, poi prese un pallone dalla cesta e andò a tirare mentre Monica lo osservava e gli dava suggerimenti quando sbagliava.

Era strano per lei: quel ragazzo le piaceva molto. Di solito era pacato, tranquillo, un gran lavoratore. Aveva indubbiamente una sensibilità parecchio spiccata, visto i casini che aveva a casa, senza contare che era pure carino. Ogni tanto arrivava a casa sua non ancora sbarbato dalla notte appena passata e sembrava molto più grande di lei. E quando si alzava la canottiera per togliersi il sudore, rivalava un bel torace con una leggera peluria che dall’ombelico scendeva sotto i pantaloncini e Monica doveva distogliere lo sguardo (NDS mi succede davvero e non con Wesley, purtroppo). Definitivamente doveva smettere di pensare a lui, solo che risultava quantomeno difficile.

“Già qui?” la voce di Illyria interruppe i suoi pensieri.

“Ciao! Allenamento extra, oggi.” La nuova arrivata lanciò uno sguardo a Wes e poi tornò su di lei. A Monica incuteva timore, a volte. I suoi occhi erano così freddi e ti scrutavano così in profondità, che si sentiva quasi nuda davanti a lei, senza contare gli anni passati a condividere vittorie, gioie e dolori.

“Che allenamento avete fatto voi due?”

“Illy...è minorenne, te lo ripeto per la cinquantesima volta. Non c’è nessuna possibilità che succeda qualcosa.” Rispose con veemenza Monica.

“Tenti di convincere me o te stessa?” domandò Illyria scrutandola, ma l’interpellata non rispose.

Pian piano arrivarono in palestra tutti i ragazzi della squadra. Sembravano piuttosto scazzati, forse perchè sapevano che quello sarebbe stato l’ultimo allenamento prima delle feste e quindi non erano particolamente portati a fare del loro meglio. E dato che Monica ed Illyria lo sapevano benissimo, li lasciarono giocare senza intervenire troppo, mentre loro chiacchieravano di tutto e niente, ma entrambe videro la gomitata che Xander tirò ad Oz proprio a livello delle costole. Il play si tenette il torace guardandolo male, mentre Xan scrolleva la spalle. Voleva semplicemente prendersi la sua rivincita.

“Cercate di non farvi male.” Urlò l’allenatrice.

Wesley scosse il capo, sentiva che i problemi stavano aumentando. Però sembrava che solo lui si stesse preoccupando per quello che stava avvenendo in campo.

“Andate pure a bere.”

I ragazzi corsero verso i lavandini degli spogliatoi ridendo e cominciando ad avere l’acquolina in bocca: sul tavolo dell’atrio c’erano dei vassoi pieni di pizzette, pop-corn, patatine, stuzzichini. Illy e Monica li avevano preparati e comprati apposta per festeggiare.

“La prossima volta cerca di stare più attento. Potevi rompermi qualcosa.” Esordì Oz. Aveva deciso di uscire allo scoperto e non farsi mettere più i piedi in testa da nessuno.

“Sai quanto me ne frega.” Fu la risposta completamente disinteressata di Xander.

“Bhe, adesso lo sai. Quindi vacci cauto.”

“In realtà quasi ci speravo di romperti qualcosa...te lo saresti meritato.”

“Andiamoci piano con le affermazioni, ok?” Si intromise Wesley.

“Stai zitto Pryce, questa è una cosa nostra.” Gli altri compagni si fermarono tutti a vedere quello che stava accadendo in quel momento.

“Che ti rode, O’Connel? Che non sono più gay e disponibile per te, oppure che la tua quasi ragazza abbia accettato di baciarmi?” Oz glissò elegantemente il fatto che Willow non lo volesse più vedere, ma non gli sembrava il momento giusto per dirlo. Xander, intanto, aveva socchiuso gli occhi, contratto i muscoli del viso in una espressione di pura rabbia. Non ci volle molto perchè si avventasse sul Daniel.

“Oh cazzo!” Fu l’unica frase che riuscì a dire Liam. Cercò di mettersi tra i due riuscendo ad evitare che suo fratello spaccasse il naso ad Oz.

“Ma siete impazziti!” Urlò Spike uscendo dal gabinetto. “Lo sapete che di la ci sono le due iene?”

“Evidentemente no.” Disse Illyria entrando. Come mise piede nella stanza il tempo sembrò fermarsi, quella ragazza li congelava. Dietro di lei una Monica depressa.

“Iena 1 a branco: che cazzo succede qui?”

“Uhm...nulla.” Monica guardò Wesley che arrossì subito.

“Sei un pessimo bugiardo Wes. Allora?”

“Non è successo niente, solo un piccolo scambio di opinione.” Cercò di rimediare Liam, mentre tutti gli altri annuivano.

Le due adulte scrutarono Oz e Xander che non avevano ancora smesso di guardarsi in cagnesco e sospirarono.

“Per questa volta va bene, ma se vi becco a mettervi le mani addosso non giocherete fino al prossimo anno.” Uscì lasciando un sorriso a tutti.

I ragazzi, appena uscite le due, rilasciarono un sospiro di sollievo: se l’erano vista proprio brutta.

 

CAPITOLO DIECI

 

La festa era scivolata via abbastanza tranquilla. Le due teste calde di quella serata avevano deciso, saggiamente, di stare lontani uno dell’altra e di andare a prendersi da mangiare e da bere in momenti separati. La musica sembrava allietare tutti quanti, anche chi, come Cordelia, era venuta senza molta voglia.

Darla l’aveva praticamente obbligata ad accompagnarla, in modo che la bionda non si ritrovasse da sola in mezzo a quella marmaglia, Liam escluso, ovviamente. Il problema di Cordy, in realtà, era proprio lui. Non aveva la nessunissima voglia di sorbirsi un’altra delle sue paternali su quanto male le faceva la sua dieta ferrea e il suo continuo andare al bagno. No, decisamente non era il suo miglior regalo di Natale. Adesso era lì che moriva dalla voglia di assaggiare una di quelle pizzette, ma non lo poteva fare.

“Cordy, come mai sei venuta qui?”

“Per farmi del male,  a quanto pare.” Rispose e Xander sorrise. Non era uno stupido, aveva capito benissimo che la cheerleader era dimagrita un sacco in quel periodo e che la cosa non era del tutto normale, ma come era sempre stato nella sua indole, non ne aveva parlato. “sai, è strano...” continuò lei “Ho sempre visto tuo fratello come uno schivo e uno a cui del mondo fregava relativamente. Era sempre uno che sapeva il fatto suo ed era ammirato per questo. Invece ora...sembra così diverso.”scrollò il capo, anche lei sorpresa di questa confessione.

“Liam è come il giorno e la notte assieme. Sa sorprenderti sempre.”

Dall’altra parte della stanza, altre due ragazze avevano un conciliabolo.

“Ecco, vedi? Mi sta di nuovo guardando. Ma non la potrebbe smettere?” chiese Willow voltando la schiena ad Oz che le aveva appena rivolto un sorriso malizioso. Buffy  roteò per l’ennesima volta gli occhi.

“Forse se anche tu la smettessi di cercarlo con lo sguardo ogni momento sarebbe meglio. Ogni volta...non è possibile che ogni volta mi faccio fregare da te.”

“È perchè mi vuoi bene, raggio di sole, e cerchi ogni motivo per vedermi.” Spike porse loro due bicchieri ricolmi di Coca e Buffy fece una smorfia.

“Tu sogni.”

“Guarda che basta che tu me lo chieda gentilmente ed io uscirò con te più che volentieri. Gli Hobbit sono creature piuttosto ricercate.” Lui rise mentre passò di nuovo lo sguardo su quel corpo minuto. Quella sera aveva indossato un paio di jeans neri e un maglione di lana per combattere l’inatteso freddo dell’inverno. I capelli raccolti in una coda di cavallo, le davano meno di anni di quelli che aveva in realtà. Sembrava proprio una bambolina e William aveva proprio voglia di giocarci assieme. Non aveva ancora capito quando era successo, ma aveva iniziato a provare una forte attrazione per lei.

“Coglione.” Fu la sola risposta di Buffy.

“Dio, ragazzi, litigate come una coppietta sposata da anni.” Disse Willow, facendo sputare a Buffy quello che aveva appena bevuto. “Bhe, che hai? Sempre meglio di Parker.”

“Ok, Will, torniamo a discutere di Oz e di come lo segui?” Willow arrossì, borbottò qualcosa di incomprensibile e andò a nascondersi dietro William che rideva di gusto.

“Sembra che si stiano divertendo tutti... o quasi.” Disse Monica ad Illyria.

“Per fortuna...avevo un po’ di timore sulla riuscita di questa festa.”rispose mentre leggeva un messaggio sul cellulare.

“Buone nuove stella? Hai un sorriso così smagliante che illumineresti un albero di Natale, giusto per stare in tema.”

“No, niente...solo che... diciamo che...” Monica la guardò stranita: da quando la sua amica, da sempre fredda, controllata ed algida, mugugnava frasi senza senzo?

“Illyria...”

“Oh cavoli. C’è un ragazzo che mi piace...e mi ha chiesto se stasera possiamo uscire assieme.”

“Favoloso amica mia!”

“Mica tanto. Dovrò declinare, altrimenti chi pulisce qui?”

“Ovviamente la sottoscritta che non ha una vita sociale di cui tener conto. Molla qui e vai, tanto non ho nessuno che mi aspetta a casa.” Rispose Monica tranquilla. Tanto, pensò, non era così sporco lì.

“Veramente? Cioè...sei sicura.”

“Chiunque ti faccia ridere così lo merita.” Illyria non rispose, si limitò a regalarle uno dei suoi rari sorrisi dolci.

“Questo è per te.” Cordelia sussultò: dietro di lei si era materializzato Liam, silenzioso come un vampiro. Le stava porgendo un piccolo pacchetto quadrato, chiaramente fatto a mano, visto la carta spiegazzata.

“Non dovevi farlo.”

“Lascia perdere, l’ho fatto con piacere, spero che piaccia anche a te.” Lei scartò in fretta il pacchettino, ormai presa dalla curiosità, e vi ritrovò dentro un cd masterizzato. In copertina Liam aveva scritto meglio possibile, visto la sua grafia, tutti i titoli delle canzoni che ci aveva messo dentro e sottolineato una. Aprì la custodia e trovò un foglio di carta ripiegato, lo aprì e rimase senza parole. Liam le aveva fatto un ritratto: riconosceva la posa, era di una vecchia foto che si era fatta con Xander durante uno del ballo di Homecoming a cui avevano partecipato assieme. Era molto più in carne di ora e lei odiava rivedere quelle foto, eppure, guardando quel disegno, si vide bellissima. Decise di far sparire il regalo immediatamente nella borsetta, in modo che Darla non lo vedesse. Non voleva che si rovinasse il momento, voleva godersi quel regalo. Vide che da lontano Liam la stava guardando e lei mimò un muto grazie che lui intercettò: il primo ghiccio era stato rotto.

 

“Dovresti essere già a casa, Wes.” Monica stava iniziando a pulire quello che restava della festa. La sua amica era scappata a casa per farsi una doccia ed uscire con questo fantomatico Knox, tecnico di laboratorio dell’ospedale cittadino, e i ragazzi era tutti tornati alle loro dimore, tutti tranne Wesley.

“Non ho voglia di andare a casa, oggi non era giornata buona.”

“L’ho capito, ma tua madre si starà preoccupando, sei via da questo pomeriggio.” Lui fece spallucce e non rispose.

Sapeva benissimo che Monica aveva ragione: erano le dieci passate e aveva lasciato casa alle tre. Sperava, sinceramente, che sua mamma fosse troppo presa a lamentarsi con il mondo da pensare al fatto che lui non ci fosse. E poi, onestamente, avrebbe potuto sprecare la possibilità di stare assieme a lei? Assolutamente no, quindi sarebbe rimasto fino all’ultimo.

“Ok, resta allora.” Borbottò lei infilando in un sacco nero tutti i piatti di carta sporchi che trovava in giro.Non voleva ammetterlo, ma la sua vicinanza la turbava. Sentì che era andato a tirare a canestro...meglio così, pensò.

Una mezz’ora dopo aveva riordinato tutta la saletta. Doveva solo portare i rimasugli in macchina e le immondizie nel cassonetti.

“Wesley, è ora di chiudere.”

“No dai...non mi va di andare a casa.” Rispose tirando a canestro. Monica sospirò e spense tutte le luci. Le uniche cose che rischiaravano l’ambiente erano le luci di emergenza. Il freddo del neon dava al parquet una strana intimità mai avuta in precedenza. Monica vide il ragazzo mentre cercava di tirare a canestro un po’ a casaccio e scosse il capo avvicinandosi.

“Certo che la odi proprio casa tua, eh?” lui gli passò la palla in modo che lei potesse tirare.

“Non è che la odio, solo che...oggi è difficile...ok, non solo oggi. Quando si avvicina Natale mia madre entra nella più cupa depressione. Inveisce come uno scaricatore di porto, si sbaglia maggiormente di chiamarmi, crede ancora che mio padre sia via... insomma, preferisco starci lontano.”Sbottò tirando ancora a canestro.

Monica non se la sentì di risponde...per dire cosa poi? Ok, neppure casa sua era mai stata un lido del tutto felice, i suoi erano stati tra i primi a Sunnydale a divorziare e per lei, piccola, era stata una cosa strana. Con suo padre ci parlava pochissimo e con sua madre ogni tanto ci litigava. Però Wesley viveva una situazione molto peggiore della sua. Lui il padre non ce lo aveva proprio. E sua madre non aveva tutti i venerdì in testa. Come facesse lui ad essere così equilibrato, lei non lo capiva proprio. Sperava avesse qualcosa che lo facesse sfogare e non la pallacanestro.

“Ok, ma magari potevi andare a dormire da qualche tuo amico, no?”

“E perchè?”

Già, perchè? Si chiese Monica. Poteva dirgli che rimanere vicino a lui era problematico? Poteva dirgli che quella barba sfatta lo faceva sembrare più adulto e che i suoi occhi azzurri la richiamavano come una calamita? No, non poteva.

“Così...sai con qualche amico forse ti divertiresti di più” scusa patetica, ma aveva dovuto improvvisare.

Wes mise di palleggiare e lentamente si avvicinò a lei. Era strano, stare al buio gli aveva portato una consapevolezza in più. Solo in quel momento aveva realizzato di essere da solo con lei in una enorme stanza vuota dove nessuno sarebbe venuto a disturbare. Aveva il cuore a mille, le mani leggermente sudate e una voglia impellente di abbracciarla. E ammetteva di avere anche un sacco di paura: come avrebbe reagito lei? No, ora non doveva pensarci, doveva solo fare quello che si sentiva di fare.

“Wes?” Ormai il ragazzo aveva coperto tutta la distanza che li separava, c’era solo il pallone tra loro. Lui troneggiava su di lei con i venti centimetri di altezza che li differenziavano e per la prima volta Monica si sentì veramente molto piccola ed indifesa. Nel suo cervello lampeggiava un “pericolo” costante, eppure non riusciva a muoversi da lì.

“Io...” Iniziò tentennando Wesley “Io preferisco stare qui...solo con te.” Lei deglutì sonoramente, spezzando un po’ la tensione che si era creata.

“Wesley...ok, è meglio che andiamo adesso.” Fece per girarsi e voltargli le spalle, ma sentì, in sequenza, la palla che cadeva a terra e la mano del ragazzo prenderla per un braccio e attirarla a se. Monica era completamente consapevole che erano fin troppo vicini, ma non riusciva a muoversi, anzi fissava con crescente voracità le labbra di Wes, che, capito il messaggio silenzioso, si fiondò su di lei.

E fu veloce, un tocco soltanto. Quello che bastava a lei per rendersi conto dell’errore appena fatto.

“No, non va...” Non riuscì a finire la frase che Wesley riprese a baciarla, questa volta più intensamente. E questa volta Monica non si oppose. Come farlo quando intimamente lei voleva la stessa cosa? Mise in cassetto le sue precedenti proteste e il fatto che quello che stavano facendo fosse estremamente sbagliato.

La bocca di lei sapeva di vino, quello che aveva bevuto poco prima, mentre puliva la stanza, e per Wesley non c’era sapore migliore per un bacio. E che bacio: era meglio di quello che si era sempre immaginato durante le sue sessioni solitarie. La portò ancora più vicino a se, così da poter sentire tutte le sue forme su di lui. Si sentiva volteggiare in paradiso: fosse morto in quel istante sarebbe stato felice.

E Monica? Monica si stava dando mentalmente della stupida: sapeva di dover smettere immediatamente, ma il modo così focoso in cui lui la stava baciando, l’infiammava troppo, non riusciva a staccarsi. E si accorse che ne voleva di più. Non riuscì a fermare la sua mano che si insinuò nei capelli di lui accarezzandoli. Wes cercò di toglierle la maglia, sentiva di avere un estremo bisogno di fare l’amore con lei.

Ma lei lo bloccò e si staccarono.

“Cosa...?” fece lui confuso, mentre lei scuoteva la testa frenetica.

“No...no...cazzo, no!”

“Monica, che diavolo fai?”

“Come che diavolo faccio? Pongo fine a questa follia.” Per Wes parve uno schiaffo in pieno volto.

“Ma...ma... il bacio...”

“Niente bacio. Abbiamo sbagliato Wes, non deve accadere mai più.”

“Io non capisco.” Monica sospirò cercando di mettere più distanza possibile tra loro.

“Wes, quanti anni hai?”

“Diciassette.”

“Appunto. Quanti anni ho io? Ventiquattro. A casa mia questo è reato. Se io e te andiamo avanti non solo perdo il posto di allenatrice, ma vado anche in galera. Non si può.” Finì gesticolando.

“Vorresti dire che per te questo non è esistito?”

“Non ho detto questo. Mi è piaciuto e molto... ma non posso andare avanti. Non posso coinvolgermi di più. Sarebbe la mia fine. Wes, trovati una della tua età.”

Wesley sapeva che il discorso di lei non faceva una piega, eppure si sentiva frustrato. Non doveva finire così, lei doveva essere ancora tra le sue braccia. Si sistemò i pantaloni per cercare di diminuire l’erezione che aveva cominciato a crescergli quando le due lingue avevano iniziato a duellare e se ne andò. Sentì che lei sospirò e lui si girò un’ultima volta.

“Tornerò quando sarò maggiorenne.” E uscì dalla palestra lasciandola sola nell’oscurità.

“Cazzo!” esclamò lei. Monica si sentiva una stupida. Era lei l’adulta della situazione, non avrebbe dovuto cedere in quella maniera. Doveva controllarsi.

Certo, come se fosse facile: mesi di astinenza e finalmente la luce in fondo al tunnel. Perchè Wesley era così piccolo? Non poteva avere qualche anno di più? Sarebbe stato il ragazzo perfetto. Invece no, era minorenne.

Imprecò prima di prendere il cellulare e digitare poche e veloci parole.

 

Tornato a casa, Wes trovò la madre addormentata sul divano. Meglio così, pensò, non era proprio dell’umore di una discussione semi filosofica su quanto il Natale facesse schifo. No, voleva solo distendersi a letto e morire.

Aveva baciato la sua allenatrice. Ed era stata la cosa più bella della sua vita, migliore perfino della sua estate al campo con Lilah. Con lei c’era stato sesso favoloso ed una grande scuola di vita, ma quel bacio racchiudeva tutto l’amore che provava per Monica. Lui sapeva di amarla, anche se non glielo aveva detto. Non c’era nessun’altra per lui, solo lei. E lei voleva.

Doveva fare qualcosa, ma non sapeva cosa. Lui non era molto ferrato in queste situazioni. Decise che il giorno dopo avrebbe chiesto consiglio a qualcuno.

Poi, cercando di addormentarsi, ripensò alle morbide labbra di lei, alla sua lingua che giocava con la sua, alla sua mano che lo aveva accarezzato con dolcezza e non riuscì a reprimere una lacrima: aveva rovinato tutto.

 

“Che è successo?” erano le due di notte ed Illyria era arrivata a casa di Monica in tutta furia. Appena il suo cavaliere l’aveva lasciata davanti alla porta di casa, si era accorta che aveva un messaggio da leggere. Visto i toni allarmistici della sua amica, aveva pensato di andare subito a vedere che cosa era accaduto.

“Ho combinato un casino di dimensioni cosmiche.” Rispose Monica facendole cenno di entrare e sedersi sul divano. Illyria non era scema e si era subito accorta che qualcosa non andava. “Dimmi che sono un’idiota...dimmelo!”

“Sei un’idiota. Ma adesso mi dici che diavolo è successo?”

Monica si sedette di peso sulla poltrona mettendosi la meni nei capelli.

“Ero lì che pulivo la palestra, tutto normale, dirai tu, invece no. Wesley decide di rimanere li con me perchè non vuole andare a casa. Io non mi sentivo molto a mio agio e tu lo sai, mi conosci.”

“Ci sei andata a letto?” la interruppe bruscamente Illy, stanca delle sue continue girandole di parole.

“No!” rispose scandalizzata Monica. “Anche se ti giuro che ci siamo andati assai vicino. C’è stato solo un bacio, ma uno di quei baci da favola. Cazzo, non doveva succedere.”

“Ok, ma è successo, quindi ora che farai?”

“Che vuoi che faccia...dovrò cercare di guardarlo in faccia come facevo prima facendo finta di aver dimenticato che quel bacio è stata la cosa più eccitante che ho provato da quando sono stata lasciata dal mio ex...anzi pure da prima. Sono un’idiota.”

“No, non lo sei. Dai, è stata l’atmosfera. Voi due soli, magari a stuzzicarvi... Lui ha quell’aria da pulcino bagnato e tu la sindrome della crocerossina...”

“Senza dimenticare che le luci erano spente.”

“Pure? Ecco, magari la prossima volta lo vedi alla luce del giorno e non ti verrà di nuovo voglia. Capirai che la cosa non è giusta...” Illyria si bloccò, come a pensare qualcosa di importante, mentre Monica la guardava in maniera strana. “...spiegami perchè una vostra storia sarebbe sbagliata.”

“Illy, stai scherzando, vero?”

“No, io non riesco a capire. Se vi piacete tanto dove sta il problema?” Monica sbuffò.

“Wesley ha diciassette anni. Mi mettono in galera se mi scoprono.”

“Ok, questo è una buona ragione. Ma a breve ne compirà diciotto, quindi...”

“É anche uno dei miei giocatori... qualcuno potrebbe lamentarsi di favoritismo e non sarebbe giusto nei suoi confronti...dove mi sono imbucata?”

Monica si era rannicchiata sulla poltrona come una bambina e sembrava veramente spaurita.

“Ma lo ami?” L’interpellata alzo la testa di scatto, come fulminata.

“No! Ovvio che no. Mi piace molto, ma l’amore...è un ragazzino, io cerco un uomo, non un bambino.”

“Però ti è piaciuto baciarlo.”

“...sì, pure tanto. Lui sembrava affamato di me...era una sensazione bellissima. Mi sono sentita dopo tanti anni di nuovo splendida e solo perchè lui mi baciava come se non ci fosse un domani. Mi sento improvvisamente patetica. E la sai la cosa più triste di tutte? Vorrei che fosse ancora qui con me a baciarmi di nuovo.”

“Bhe, abbiamo scoperto che Pryce non è solo bravo a difendere...Evedentemente certi attacchi gli vengono bene.” E sorrise maliziosa, facendo ridere di gusto Monica. “Senti, dormici su, sono sicura che domani tutta la faccenda ti sembrerà meno caotica di come è adesso.”

“Hai ragione, la notte porta consiglio. Ok...abbiamo parlato fin troppo di me. Raccontami di questo Knox.”

Illyria sorrise ed iniziò a descrivere all’amica tutta la serata passato con l’uomo.

 

Il mattino dopo Wesley si svegliò più distrutto di come era andato a dormire. Sentiva gli occhi gonfi e le braccia pesanti e gli sembrava anche di sentire in bocca il sapore di vino che aveva rubato dalle labbra di Monica. Sapeva che non era possibile, eppure il suo profumo ero ovunque intorno a lui. Scacciò dalla mente i ricordi della sera precedente ed andò in cucina. Sua madre era seduta sulla sua sedia con davanti al naso una tazza di the fumante.

“Dove sei stato ieri?”

“In palestra.” Rispose laconico prendendosi i pochi biscotti rimasti in dispensa.

“Ci sei stato per troppo tempo. Tuo padre non sarà felice di saperlo quando tornerà.” Lui sospirò e sbottò, ormai stufo di tutto.

“Mamma, papà è morto, te ne vuoi rendere conto sì o no? Non tornerà mai a casa, mai più.” Sua madre lo guardò con occhi sgranati pieni di lacrime e lui, incapace di resistere, uscì da casa sbattendo la porta. Che giornata di Merda che si prospetta, pensò.

Prese la bici e cominciò a girovagare per Sunnydale, cercando di evitare accuratamente la casa della sua allenatrice. Eppure... l’istinto l’aveva portato esattamente la. Le tende di casa erano tutte tirate, quindi lui non riusciva a vedere se Monica era già sveglia o meno. Voleva poter entrare la dentro, in quello che per mesi era stato il suo rifugio. Deglutì pesantemente ed andò in centro.

Aveva deciso che doveva far qualcosa per conquistarla, perchè lui sapeva, lui aveva sentito, che Monica provava qualcosa per lui. Si capiva da come lo aveva baciato, da come lo aveva accarezzato, da come era rimasta ansimante alla fine. No, sarebbe stata sua...doveva solo capire come. E doveva chiedere consiglio a qualcuno più ferrato in materia rispetto a lui.

“Buongiorno, posso esserti d’aiuto?”

“Buongiorno signor Giles. Cercavo William...c’è?”

“Oh sì, Wes. È di sopra. Spero tu lo trovi già sveglio... di solito preferisce dormire quando è in vacanza.”

Wes salì le scale e bussò alla porta della camera di Spike che lo invitò dentro. Evidentemente era sveglio.

“Ehy Wes, che ci fai qui?” William era seduto mollemente sul letto, con le gambe allungate che leggeva un libro.

“Devo chiederti un favore. Ovviamente, quello di cui parleremo ora rimarrà top secret, guai a te se lo racconti in giro.” Il biondo alzò un sopracciglio incuriosito, ma annuì.

“Spara.” Wes prese un respiro profondo ed iniziò.

“C’è una ragazza...che mi piace molto. Io credo di amarla...”

“È una buona cosa.” Disse Spike tentando di far continuare l’amico che si era bloccato.

“Sì, abbastanza. Il problema è che questa donna, diciamo...non è molto convinta. Ci siamo baciati, ma poi mi ha rifiutato. Vedi, io so che lei mi vuole, che io a lei piaccio, ma credo che abbia bisogno di avere una spinta...e io voglio dargliela, solo che non so come.”

Spike si alzò dal letto e prese a camminare su e giù per la stanza borbottando tra se. Stava cercando di trovare una buona soluzione valida per l’amico. Fosse stato per lui avrebbe preso la donna in questione e l’avrebbe baciata a morte, ma non vedeva il tranquillo Wes a fare una cosa del genere.

“Potresti...” iniziò quando gli venne l’illuminazione.

“Sì?”

“Potresti prenderla per gelosia. Le donne in genere sono come gatte selvatiche. Se tu fai gli occhi dolci ad un’altra mentre lei ti guarda...vedrai che le darà fastidio e forse capirà di volerti.”

“Forse? Io ho bisogno della certezza assoluta.”

“Non puoi averla quella. Stiamo parlando di ragazze, non di matematica Pryce.” Wes fece una smorfia, ma dovette darla vinta all’amico.

E aveva già una mezza idea.

 

CAPITOLO UNDICI

 

L’aereo era planato all’aeroporto di Los Angeles senza nessun problema. Il capitano aveva salutato e ringraziato tutti colore che avevano scelto di volare con la loro compagnia ed una bella ragazza diciasettenne stava scendendo dalla scaletta ripida. Finalmente riuscì a mettere piede sulla terra ferma. Aveva proprio bisogno di sgranchirsi le gambe dopo le ore passate in volo. Si spazzolò le con le mani la gonna lunga nera e guardò con aria critica la pista di atterraggio. Era una bella ragazza dai capelli biondi che le cadevano in voluttuose onde sulle spalle ereditati dal padre nordico, ma i grandi e profondi occhi scuri della madre. Il seno procace era coperto da un bel maglioncino di cotone.

Lei non voleva venirci in America, Ginevra le piaceva tantissimo e la scuola era perfetta. Senza contare tutte le amiche che aveva dovuto lasciare. Ma sua madre era stata categorica: ti trasferisci a Sunnydale. E la cosa peggiore era che adesso avrebbe dovuto vivere in una piccolissima città e di sicuro avrebbe dovuto frequentare la scuola pubblica. No, questo per Anya era un affronto bello e buono e non intendeva piegarsi a quella dittatura tanto facilmente.

Prese le valigie al tapin roulant e pregò che il resto dei suoi libri e vestiti arrivasse sano e salvo con il corriere. Varcò le porte automatiche e si ritrovò nell’atrio dell’enorme aeroporto. Decine di persone erano poste davanti a lei con cartelli o con il telefono all’orecchio per cercare i loro cari. Vide spuntare la testa di sua madre che si sbracciava: ok, forse non apprezzava del tutto il doversi trasferire, ma doveva ammettere che sua mamma le era mancata molto.

“Anya!! Anya....e si sposti, non vede che devo passare?” fece Jenny con cipiglio da generale ad un uomo in giacca e cravatta che la guardava con indolenza.

“Mamma!”  le due si abbracciarono e una sfuggevole lacrima scivolò sulla guancia di Jenny. Amava sua figlia ed averla lontana per tanti mesi le faceva male. Averla di nuovo tra le sua braccia era una benedizione.

“Oh piccola, quanto mi sei mancata.”

“Anche tu, Ma, ma smettila di stringere, mi stai soffocando.” Fece Anya cercando di districarsi dalla donna. In fondo aveva una dignità di figlia di diciassette anni da mantenere, troppe effusioni potevano dare un’immagine sbagliata di lei. “Bene. Andiamo?”

“Certo. Ci stanno aspettando.” Anya aggrottò la fronte.

“Chi?” Jenny arrossì leggermente e sorrise.

“Il mio fidanzato e suo figlio. Te ne ho parlato, no? Avevi detto che eri d’accordo in un mio secondo matrimonio.” Finì leggermente timorosa. Sapeva benissimo che sua figlia aveva un caratterino niente male, ovviamente ereditato da lei, più che dal padre, e quindi cambiava spesso opinione sulle cose. Non voleva che proprio adesso che Anya era di nuovo con lei, avesse da ridire su Rupert.

“Certo che sono d’accordo, solo che non pensavo che venissero addirittura a prendermi.”

“Oh, Rupert si è offerto volontario per venire...Ok, William un po’ meno, ma in fondo anche lui era curioso di conoscere la sua futura sorella.” Anya fece una smorfia: va bene che sua madre si voleva risposare, ma tutto questo sentimentalismo famigliare le sembrava troppo, specie visto che fino a quel momento le due ne avevano avuto ben poco. I suoi genitori avevano deciso di divorziare quando lei aveva appena sette anni. Era stata male all’inizio, ma con il senno di poi doveva ammettere che era stata la decisione più saggia. Per qualche anno lei e Jenny avevano vissuto in Svizzera assieme, mentre suo padre, un ricco industriale svedese, girava il mondo per i suoi affari. Anya lo vedeva molto di rado, di solito durante qualche week end in collegio, ma non le importava poi molto.

Raggiunsero una macchina in sosta, dove due uomini stavano attendendo: Spike era annoiato e si stava fumando una sigaretta. Suo padre era così nervoso per l’arrivo di Anya, che non gli aveva neppure rifilato la solita ramanzina su quanto il fumo danneggiasse i suoi preziosi polmoni.

“Oh, eccole.” Esclamò Rupert, incespicando sulle parole.

“Papà, vuoi stare calmo, è solo una ragazza...” Guardò Anya che trasportava una valigia. “...una bella ragazza. Ciao Sorellina!” Urlò. Rupert sbiancò, mentre Jenny soffocò una risata.

“Ciao. Tu devi essere William.” Rispose Anya per nulla turbata. Si diedero la mano soppesandosi. Lei dovette ammettere che era proprio un bel pezzo di maschio. Gli occhi poi... i più belli che avesse mai visto.

“Per te solo Spike, bellezza.”

“William, ti prego.” Mugugnò il padre. “Ciao Anya, io sono Rupert Giles. Come stai?”

“Buongiorno. Io sto bene, un po’ annoiata. Il viaggio è stato lungo.” Entrarono in macchina dopo che i baldi uomini avevano caricato le valigie nel bagagliaio.  I due ragazzi si sedettero nei posti dietro e Rupert partì alla volta di Sunnydale. Il traffico Losangeliano li rallentava parecchio, ma nessuno sembrava accorgersene. Anya parlava per tutti e quattro, raccontando aneddoti divertenti ed imbarazzanti che le erano capitati in Europa, sembrava un pozzo senza fondo, ma almeno la strada così scivolò via senza intoppi.

Arrivarono a casa di Jenny che stava iniziando a far buio.

“Vi aspettiamo per cena, allora?”

“Sa anche cucinare?” domandò Anya a Rupert.

“Sì, abbastanza. Sai, quando devi badare ad un figlio onnivoro come William lo si deve fare per forza.”

“Wow, mamma, ti sei trovato un gran bel pezzo di uomo. Brava!”

Giles e Jenny arrossirono violentemente, mentre Spike scoppiò in una grassa risata. Ci sarebbe stato assai da divertirsi con una del genere che girava per casa.

 

La festa si stava dimostrando come tutte le altre a cui aveva partecipato: una noia mortale. Liam odiava con tutto il suo cuore doverci partecipare, ma Darla ci sguazzava come una trota in un fresco ruscello di montagna. Poteva deluderla? In realtà stava veramente pensando di mollare tutto.

Lanciò una lunga occhiata a Cordelia: era circondata da un campanello di ragazzi, tutti facente parte della squadra di football e sembrava raggiante. Sembrava soltanto. Gli dispiaque vederla in quello stato, ma lei faceva di tutto per non farsi aiutare. Era frustrante.

“Tu guarda quella quante arie si da.” Sibilò Darla al suo orecchio. Liam si voltò verso l’oggetto del momentaneo disprezzo della sua ragazza e si ritrovò a fissare una biondina che declamava a voce alta senza nessun ritegno, di quanto lungo fosse il pene del suo ex...anzi, corto, a sentir dire lei.

“Chi è quella?”

“La nuova sorellina di Spike. Viene dall’Europa.” Liam sorrise: non gli dispiaceva per nulla.

“...e così gli ho detto: tutto lì? Chissà come mai non l’ha presa molto bene.” Finì di declamare Anya ad una ragazza che la guardava male. Lei e le sue amiche parlavano spesso di queste cose, ma sembrava che a Sunnydale fossero tutte troppo serie. Scrollò il capo e buttò giù un sorso di birra: sperava ardentemente che la mezzanotte arrivasse il più presto possibile.

“Allora, sorellina, ti annoi?” domandò sarcastico William. Quella sera si era vestito al suo meglio: jeans neri strappati al ginocchio, anfibi di pelle in coordinato con il lungo spolverino nero che lo faceva assomigliare ad un voluttuoso pipisterello, e la sua camicia rossa, la preferita, anche perchè così restava in tema, visto il Capodanno.

“Qui è una palla. Non pensavo avessi amici del genere.”

“Questi non sono i miei amici, ma Willow è andata a trovare sua zia, quindi sono finito qui. Dio solo sa perchè ho accettato.” E sospirò pesantemente.

“Ovviamente perchè volevi mostrare a me cosa dovrò evitare nei prossimi mesi che passerò in questo buco. Dannazione, Ginevra era uno spasso.” E se ne andò sculattando leggera. Aveva voglia di staccare e di parlare con qualcuno a cui interessasse veramente quello di cui parlava.

Prese una Haineken e se ne andò verso un piccolo terrazzino che dava sul giardino. Si sedette sul cornicione sperando solo di non cadere di sotto e fissò la sala piena di ragazzi: sui divanetti c’erano già le coppiette intente a sbaciucchiarsi, mentre alcuni si davano direttamente da fare sul muro. Che poca classe questi americani, loro, in Europa, almeno, cercavano di appartarsi. La musica faceva schifo e l’unico divertimento era notare come William venisse quasi schifato per come si era vestito. A lei piaceva pure cosa aveva indossato, trovava che lo valorizzasse al meglio.

“Ciao.” Dall’oscurità, dietro la pianta secca o quasi di gelsomino, era apparso Xander. Si era nascosto lì per evitare Darla e le sue battute cattive e si era ritrovato una bella bionda che beveva birra a collo: buffo come la vita potesse prendere interessanti varianti.

“E tu chi sei? L’uomo dalle grandi entrate?” Lo osservò bene: ben piazzato, spalle larghe, fisico che sembrava meritare. E poi quei due occhi scuri che la chiamavano... Anya iniziò a farci un pensierino.

“Se vuoi. Io sono Xander O’Connor.”

“Anya Jenkins.”

“Come mai sei venuta qui fuori invece di startene al caldo dentro?” Domandò lui ondeggiando sui piedi. Se ci avesse pensato un po’, si sarebbe ricordato che quello era un gesto tipico di suo fratello Liam.

“Mi piace il freddo. Non sono abituata ai posti caldi. Sai, mio padre è svedese  e io ho abitato per anni a Ginevra.” Lui aggrottò la fronte.

“In Svezia ancora ci arrivo, ma Ginevra...” Anya rise.

“È in Svizzera. È uno stato incastrato tra i monti. Famoso per le banche... lì ci sono i soldi, un po’ come le Cayman.”

“Ah, un paradiso fiscale.”

“Esatto... forse è per questo che ci stavo così bene!” i due risero assieme: il primo ghiaccio era stato rotto.

“Senti, secondo te, se noi ce ne andassimo per starcene tra noi, qualcuno ne avrebbe a male?” domandò Anya ingollando un po’ della sua bionda.

“Per andare dove?”

“Non lo so, in qualsiasi posto carino possa esserci in città. Una birra, un ballo... qualcosa.”

“Io e te?” chiese Xander incuriosito.

“Io e te. Allora, si può fare?” Anya lo fissò mentre scendeva tranquilla dal balconcino.

“Potremmo andare al Bronze. È l’unico locale vagamente decente in città.”

“Perfetto! Andiamoci allora, di sicuro sarà meglio di questo mortorio.”

Anya e Xander se ne andarono senza troppe cerimonie, la ragazza si premunì soltanto di avvertire Spike, visto che erano arrivati assieme e il biondo non poteva non ammettere che la sua sorellina non fosse intelligente.

“Ringrazio il cielo, mezzanotte è alle porte.” Mormorò Liam.

“Sì, così poi potremmo appartarci un attimo al piano di sopra.” Rispose sensuale Darla strusciandosi su di lui.

“Sarebbe la prima cosa decente della notte.”

La musica si spandeva alta nella stanza. Ragazzi ballavano in salotto facendo di tutto per farsi notare, mentre chi già aveva un compagno si premuniva di non perderlo.  Cordelia era una di quelle ragazze che aveva trovato un buon accompagnatore per la serata: Scott Hope era il classico ragazzo che ai suoi sarebbe piaciuto. Pulito, educato, elegante. E mortalmente noioso, ma per quella notte andava bene. Lui sorrideva ad ogni battuta che lei lanciava e poi la riempiva di mille complimenti. Non era di certo Liam, ma era passabile.

“Allora lei mi dice: ‘Cordy, ma come ti sei fatta la coda?’ è stato molto imbarazante.” E rise civettuola, mentre Scott le accarezzava il braccio.

“Attenzione... ormai manca poco!” Urlò Darla che era la padrona di casa e della festa. Aveva in mano un bicchiere, pronto da riempire con champagne di ottima annata. Liam era, ovviamente, a fianco a lei con la bottiglia da stappare ed un’espressione da fucilato. Pregò che finisse tutto velocemente.

“Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due uno....” tappi saltarono in aria e tutti urlarono un ‘Auguri’ che si sarebbe sentito fino a Los Angeles. Darla e Liam si baciarono e così fecero anche Cordelia e Scott. Alla ragazza sembrava di star a perdere il respiro e sapeva che non era dovuto al bacio e tantomeno al ragazzo a cui lo stava dando. Non si sentiva molto bene, ma stava cercando di resistere fino alla fine. Aveva fame, non aveva praticamente toccato cibo tutta la sera, in più sentiva che il corsetto del vestito nero che stava indossando, la stava  stringendo un po’ troppo.

Iniziò la girandola del baci e dei saluti, sperando che il nuovo anno fosse stato migliore di quello passato. Quasi nessuno si accorse di Cordelia che stava cercando di arrancare verso una sedia: tutti la fermavano per farle gli auguri e darle da bere qualcosa, visto che in mano non aveva nulla.

Cordelia stava impazzendo: il suo corpo era scosso da brividi che lei non riusciva a fermare e si sentiva piuttosto sudata, cosa che la fece rabbrividire ancora di più. Il suo unico pensiero era quello di non farsi vedere da Darla in quello stato. Si appoggiò allo stipite di una parte e prese dei profondi respiri: che diavolo le stava accadendo?

“Cordy, stai bene?” la ragazza si girò di scatto e si trovò davanti Liam, con delle tracce di rosseto ancora sulle labbra. Doveva averci dato dentro parecchio, pensò lei. “Ti ho visto che camminavi tutta storta.” Cordelia cercò di sorridere, ma con scarsi risultati.

“Troppo bere... devo stare più attenta con l’alcool.” Ma Liam la guardò scettico: non credeva ad una sola parola.

“Cerchiamo un posto dove puoi sederti. Poi ti porto qualcosa da mangiare.”

“No! Non mi serve nulla. Non hai ancora capito che devi lasciarmi in pace? Non posso essere vista con te, Darla è la tua ragazza e potrebbe crearmi terribili casini...” Non riuscì a finire la frase che il mondo prese a girarle attorno, le gambe le cedettero e svenne senza un gemito tra le braccia di Liam: prima che il buio la inghiottisse, si sentì protetta, perchè venne avvolta dal profumo potente e muschiato del ragazzo.

Ragazzo che si sentì preso dai turchi: e adesso che faceva?

“Qualcuno chiami un’ambulanza!” urlò per farsi sentire oltre la coltre della musica, del fumo e, perchè no, degli ormoni impazziti, ma sembrava che a nessuno importasse. Anche le persone che erano attorno a loro facevano finta di nulla. Liam cercò di creare un po’ di spazio attorno a sé, come per proteggere Cordelia. Un fiotto di paura lo attraversò: la ragazza sembrava una piuma fra le sue mani, era pallida come un lenzuolo e sembrava che tremasse. Doveva assolutamente portarla in ospedale.

“Che succede Liam?” finalmente qualcuno che poteva dargli una mano.

“Chiama un’ambulanza, Darla.” La bionda lasciò un’occhiata strana.

“Portala di sopra, avrà solo bevuto un po’ troppo.” Liam prese un profondo respiro per evitare di risponderle troppo male.

“Darla, una buona volta, non potresti fare qualcosa che ti chiedo? Cordy non sta bene, ha bisogno di un medico.”

“Da quando siete entrati così in confidenza da chiamarla Cordy?” rispose invece la bionda inviperita: non sopportava di essere messa in secondo piano, figuriamoci se a farlo fosse stato il suo ragazzo ufficiale.

“Smetti di fare la bambina.”

“Fottiti Liam.”

Il ragazzo la fissò e per la prima volta la vide per quello che era: una ragazzotta viziata che dalla vita aveva avuto tutto quello che aveva chiesto. Ripensò anche a quello che era successo con Oz e si sentì veramente uno stupido per tutto il tempo che aveva perso con lei.

“Lo farò, stanne certo, ma non pensare che sarà con te.” Darla lo guardò stralunata, che voleva dire con quella frase? “Ah, se non l’hai capito, ti lascio.” Un mormorio sommesso iniziò a girare per la casa: quella era la migliore notizia della notte.

Liam prese Cordy in braccio e corse verso la sua macchina. Bestemmiò sonoramente quando non la trovò: Xander gliela aveva presa.

“Di qua, amico.” Spike aveva le chiavi della macchina di suo padre in mano. “Andiamo, è meglio.”

“Grazie.”

“Figurati.” Spike guidava velocemente per le strade semivuote di Sunnydale. Ovunque si sentivano scoppi di petardi e fuochi d’artificio. Il cielo sembrava quasi rischiarato a giorno dalle mille luci della città. Evitarono di striscio qualche ubriaco: Liam teneva stretta a sé nel sedile posteriore Cordelia e pregava che arrivassero in fretta.

Arrivati al nosocomio, Liam scese in velocità e la portò nel Pronto Soccorso.

“Che succede?” si era avvicinato un dottore dall’aria gioviale, i capelli corti neri e il camice bianco lindo e pulito.

“Eravamo ad una festa e mentre stavamo parlando è svenuta.” Posarono Cordelia su una barella e presero a conteggiare i ritmi vitali

“Pressione 80/60, battito irregolare.”

“È disidratata.” E sparirono dietro delle porte a vetro. Liam non sapeva che cosa sarebbe successo, ma decise che sarebbe rimasto lì fino a quando Cordy non si fosse svegliata.

“Scusi.” Una infermiera lo stava guardando con un foglio in mano.

“Prego?”

“Abbiamo bisogno di alcune informazioni e lei mi sembra l’unico capace di darcele. Il suo amico biondo mi ha guardato male.” Liam sorrise pensando a Spike.

“Si riprenderà, vero?”

“Stiamo facendo il possibile per lei.Ma avremmo bisogno di rintracciare i suoi genitori.”

“Mi pare che siano ad Aspen.”

“Questo non ci aiuta per nulla. La signorina si chiama?”

“Cordelia Chase.” L’infermiera impallidì leggermente a sentire il nome della paziente.

“Chase? Cavoli.” Mormorò la donna sorpresa.

Liam andò a sedersi in saletta d’attesa liberando la mente da ogni pensiero, fino a quando Spike non gli porse una tazza di caffè bollente.

“Credo che questo ti servirà. La notte è ancora lunga.” Si sedette vicino all’amico per fargli compagnia.

“Grazie.” Rimasero in silenzio alcuni minuti, mentre osservavano il via vai dei medici e delle infermiere. Sembrava che metà Sunnydale si fosse fatta male, le salette erano tutte piene. “Sai, William, mi devi spiegare come mai stasera sei venuto alla festa di Darla, invece di uscire con gente più... consona a te.”Spike rise cercando di inventare una buona scusa.

“Beh, sai... la mia migliore amica Willow è da sua zia. E poi volevo far vedere ad Anya chi governa la città.” In realtà non voleva dire a Liam che era andato alla festa di Darla perchè sperava di trovarci Buffy, magari anche con Parker. Si sentiva un idiota per la strana cotta che si era preso, ma non riusciva a togliersela dalla mente: aveva perfino sognato di baciarla. Si era svegliato ansante e sudato, pregando che non fosse vero. Invece era tutto vero. Quindi si sentiva di volerla inseguire un po’ ovunque. “E tu, Angel...è vero che hai lasciato Darla?”

“Sì, è vero.”

“Cazzo, tutta Sunnydale già vi vedeva sposati e felici.”  Liam rise fragorosamente attirandosi occhiate curiose delle altre persone presenti nella saletta. Spike aveva alzato un sopracciglio stralunato: che cavolo aveva da ridere?

“Ci manca solo questo. No, per Darla io ero soltanto un bel ragazzo da esibire alle feste e a scuola, per far vedere che lei era la migliore. E per me... per me lei era un soprammobile. Qualcuno per divertirmi alla collina, ma nulla di più. Non c’è mai stato amore tra di noi. E oggi l’ho capito: una sua amica è stata male e lei non si è neppure interessata. Evidentemente Cordy non è una sua amica... ma è una mia amica e io resterò ad aiutarla.” Spike lo fissò negli occhi e vide in lui una consapevolezza che prima non aveva mai visto.

“Mi scusi.” L’infermiera di prima era di nuovo davanti a loro.

“La signorina Chase si è svegliata e chiedeva di lei.” Liam corse letteramente e trovò Cordelia con due canule che le entravano nelle braccia. Ma nel complesso sembrava stesse bene.

“Liam...che è successo?”

“Sei svenuta alla festa.” Si sedette sul bordo del letto e le sorrise. “Sei stata male.” Due lacrime scesero sulle guance pallide della ragazza.

“Che sarà adesso di me?” Lui la guardò stranita.

“In che senso?”

“Sono svenuta in un festa dove c’era tutta la Sunnydale che contava. Sarò trattata come una appestata.” Liam le prese una mano e la fissò con affetto.

“Non importa degli altri. Tu devi uscirne vincente e devi guarire. E io resterò qui con te ad aiutarti... sempre.”

 

CAPITOLO DODICI

 

La città era in fermento, o almeno lo era la comunità del basket. Quel sabato era in programma una delle partite più attese della stagione: i Red Fox e i Black Panthers si giocavano il primo posto in classifica. Il caso aveva voluto che le due squadre si affrontassero all’ultima giornata del girone che si svolgeva al ritorno dalle vacanze natalizie. Era solo il girone d’andata, ma la sfida stava richiamando interesse in ogni angolo di Sunnydale e dintorni.

Perfino a casa Chase erano arrivate le urla dell’importante avvenimento, se non altro perchè Liam ne stava parlando a Cordelia. La ragazza era stata dimessa poche giorni dopo il ricovero, giusto il tempo di farla reidratare al meglio e decidere insieme allo psicologo dell’ospedale una linea da portare avanti per fare in modo che lei non ricadesse in brutti vizi. I genitori erano tornati in fretta e furia da Aspen, preoccupati come non mai, tanto che Cordelia se ne meravigliò parecchio. 

Liam si era offerto di fare da supporto extra familiare per la terapia di recupero, o anche semplicemente di starle vicina se avesse voluto sfogarsi e proprio quello stava succedendo in quel momento. Cordy era ancora distesa a letto per ordine dei suoi che la volevano recuperata, almeno fisicamente, ma lei si stava annoiando a morte. Quasi quasi preferiva andare a scuola che stare lì coperta di effusioni parentali.

“Vedrai che presto uscirai di qui.” Le disse Liam sorridendo. Anche lui doveva ammettere con sé stesso che stava piuttosto bene. Aver mollato Darla era una liberazione: niente più capricci isterici, niente corse notturne per andare a recuperarla a delle feste orrende. E la libertà di essere quello che era senza costrizioni. Si sentiva un uomo nuovo.

“Lo spero. Mi sto veramente annoiando.”

“Magari potresti venire alla palestra dei Black per la partita.” Cordy si rabbuiò.

“Ci venivo sempre con Darla, ora chi vuoi che mi accetti? Con chi potrei venire?”

“Ci sarebbe l’amica di Spike...Willow si chiama. E poi anche la sorella di Spike. Cavoli, quel ragazzo ha attorno a sé una specie di harem.” Cordy lo guardò sorpresa: da quando si metteva a fare battute di spirito? “ok, scherzavo.”

“No, non ti scusare, anzi...è divertente vederti in questa veste nuova. Ti ho sempre immaginato come nero, oscuro, imperscrutabile. Credevo che solo Darla potesse capirti sul serio, invece noto che sei completamente diverso da come ti idealizzavo.” Liam la guardò stupito. Lei lo aveva idealizzato?

“Darla non credo che mi abbia mai veramente compreso. E direi che ora non mi interessa neppure che lo faccia.”

“Due settimane fa avrei riso a chi mi avesse detto che Liam O’Connor si sarebbe lasciato da Darla Hopkins e che lui sarebbe stato in camera mia a chiacchierare.”

“I tempi cambiano e le persone pure. Comunque...” Liam guardò l’orologio e si alzò “... adesso vado ad allenarmi per la partita... spero di vederti sabato a fare il tifo per noi, ovviamente.”

“Ci sarò, puoi scommetterci.”

Cordy sorrise mentre vedeva il ragazzo uscire dalla stanza: strano come la vita stava girando per entrambi.

 

La palestra dei Black Panthers era quasi ricolma. Con lo sguardo fiero di chi era riuscita ad uscire, o stava tentando di farlo, da un tunnel più grande di lei, Cordelia stava cercando di setacciare gli spalti alla ricerca di una familiare testa rossa. Io suo usuale gruppo l’aveva snobbata, dato che Darla comandava e visto lo smacco di Capodanno... beh, lei era decisamente fuori da tutto, o quasi. In fondo le restava Liam che era di sicuro una cosa ottima.

Si accorse che moltissimi ragazzi si voltavano a guardarla e la indicavano ridacchiando, ma Cordelia fece finta di nulla con la classe che le era solita e si sedette vicino a Willow.

“Ciao.” La rossa si girò e la guardò ad occhi sbarrati: e da quando la ragazza più popolare della scuola le rivolgeva la parola? Ah, certo, da quando il trono era stato perso. Spike le aveva raccontato tutto quello che era successo durante il suo soggiorno dalla zia a Los Angeles e per questo aveva meledetto i suoi genitori per averla portata via. Però doveva ammettere che Cordelia riusciva ad essere sé stessa anche se aveva tutti contro e questa era una cosa che meritava rispetto.

“Ciao. Come mai qui?” Cordelia alzò un sopracciglio.

“Volevo vedere la partita... con chi forse può accettarmi.” E arrossì leggermente per la confessione che aveva appena fatto. Willow annuì e le passò un po’ del suo pop corn.  Cordelia ne prese uno tentennando: non voleva mangiare, ma pensò che fosse brutto rifiutare subito qualcosa.

Vicino a loro si sedette Buffy: non sembrava sorpresa di vedere Cordelia o forse, semplicemente non ci faceva caso, ma si mise a mangiarsi le unghie.

“Nervosa?”

“Certo, da questa partita dipenderà l’umore di Parker per la prossima settimana.” E sbuffò. Guardò verso il parquet: le due squadre si stavano riscaldando. Il suo ragazzo stava facendo streching a bordo campo con un’espressione abbastanza rilassata. Sorrideva sprezzante mentre guardava i suoi avversari. Buffy non potè non girare lo sguardo verso Spike: i suoi capelli ossigenati erano come un cartello al neon in piena notte. A differenza di Parker, lui sembrava molto più concentrato e nervoso per la partita. Si chiese come stava in realtà e si perse a seguire ogni suo più piccolo movimento, senza accorgersi che il suo ragazzo la stava fissando arrabbiato.

“Per chi tiferai?” le domandò Willow, che non staccava gli occhi dalla minuta figura di Oz.

“Per Parker, ovviamente. Che razza di domande fai?”

“Allora mi sa che sei nella curva sbagliata.” Si intromise Cordelia. In fondo in qualche modo doveva iniziare a relazionarsi.

“Tifi per il biondo o il rosso, Will?” domandò maliziosa Buffy, facendo arrossire completamente Willow.

“Tifo per i Red Fox, no?” e si rituffò nel pop corn, sperando di essere risultata almeno credibile, con Cordy e Buffy che sghignazzavano tra di loro.

In campo, invece, c’era chi era piuttosto nervosa per il fischio finale. Monica si stava mangiando le unghie in attesa di dover dare le entrate al tavolo. Quella settimana di preparazione alla gara era stata stressante: i ragazzi avevano ancora la testa al Natale, sembravano appesantiti. In più rivedere Wesley dopo il bacio scambiato, l’aveva sconbussolata per bene. La cosa buona era che sembrava che il ragazzo avesse ripreso a guardarla semplicemente come allenatrice e non come possibile amore della sua vita. Lo fissò mentre tirava concentrato a canestro. Lo voleva? Forse, non poteva non ammettere che il maschio meritava, ma era veramente troppo giovane. Sospirò per l’ennesima volta e fece cambiare esercizio ai ragazzi.

“Sempre gelo tra di voi?” domandò Illyria ben conscia della situazioni in atto e del carattere di Monica.

“Sempre. Mi ha a malapena rivolto il saluto. Forse è meglio così.” Si avvicinò al tavolo confusa per come si stava evolvendo la situazione con Wes.

“Buongiorno. Entrano Osbourne, Giles, i due O’Connor e Pryce.”  Firmò e andò a stringere la mano all’allenatore dell’altra squadra, che la squadrò critico.

“Che vinca il migliore.” Disse Monica sportiva.

“Sicuramente. Devo dire che mi avete stupito ad arrivare fino a qui.” Monica aggrottò la fronte, capendo benissimo l’allusione.

“Beh, la palestra è segnata, non credo che ci saremmo mai persi.” Rispose sorridendo soddisfatta, per poi tornarsene alla sua panchina. “Stronzo.” Mormorò all’indirizzo del muro.

“Tutto ok?” Wes era davanti a lei serio e Monica meditò se poteva baciarlo in quel preciso istante. Con rammarico evitò di farlo, ma la voglia le restò.

“Se non date il meglio di voi, vi faccio sputare sangue lunedì. Credono di poterci battere usando soltanto la mano sinistra.”

“Gli faremo capire che non sarà per nulla così.” Rispose determinato Wesley. In realtà anche per lui non era facile stare così vicino alla ragazza, ma stava facendo il suo massimo sforzo per evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo.

L’arbitro fischiò a segnalare che ormai mancavano solo tre minuti all’inizio della gara. Sugli spalti le varie tifoserie facevano parecchio rumore, soprattutto quelle di casa.

“Allora, siamo venuti qui con la voglia di vincere. Loro sono i campioni in carica, ma noi abbiamo vinto esattamente le loro stesse gare. Credono di poterci battere come niente, ma io sono sicura che noi gli dimostreremo che siamo migliori di quello che eravamo lo scorso anno. Fategli vedere chi siete. Entrano i soliti cinque. Datevi le marcature: l’unica cosa certa è che Parker lo marca Wes.”

“No, lo voglio prendere io.” Disse Spike di scatto.

“Parker è il loro miglior giocatore e realizzatore. Wes il nostro miglior difensore. Lo marca lui.” Spike inghiottì la sua voglia di rivalsa, capendo che le mosse di Monica non erano per fare uno sgarro a lui, ma per il bene di tutta la squadra e quindi si accinse a marcare Lindsey McDonald, una guardia massiccia, ma molto agile.
Liam si posizionò al centro del campo ed alzò lo sguardo: sorrise quando vide che Cordelia era seduta vicino a Willow, vederla ridere così gli scaldò il cuore. Poi dimenticò tutto e tornò concentrato per la partita. Scoccò un’occhiata a suo fratello che lo guardò con intesa: da Capodanno anche Xander sembrava cambiato e questa era decisamente una bella novità.

Il tipo davanti a lui, Marcus Hamilton, lo guardò e gli scoccò un cenno di saluto: marcarlo sarebbe stato molto duro, sembrava un armadio a muro a due ante ed era uno dei migliori pivot dello stato.

L’arbitro alzò la palla e i quaranta minuti di fuoco iniziarono.

Subito per i Red Fox si mise male: gli altri erano molto più gasati, sia per dover giocare in casa, che per il fatto di essere comunque i campioni in carica. Presero un margine secco di dieci punti, senza che Spike e compagni riuscissero a segnare. Nonostante Parker non riuscisse a fare un tiro, data la presenza asfissiante di Wes, i suoi compagni segnarono per lui.

“Merda.” Sussurrò Monica mentre Lindsey bucava nuovamente la retina. Chiamò immediatamente il time out che le era concesso e fece sedere tutti i suoi ragazzi: niente tattica, in quel momento serviva solo spronarli.

“Siete degli imbecilli.” Ok, pensò tra sé, questo non è il modo migliore forse... “Vi state facendo mettere sotto come delle donnicciole inutili. Cosa volete, che entriamo io ed Illy? Magari, la smetteremo di vedere sto strazio. Quelli sugli spalti si stanno già annoiando e i vostri avversari ridono di voi. Fantastico, proprio quello che ci serviva, vero?” li guardò uno ad uno sperando di dar loro una scossa. “Adesso voglio che entriate in campo con la vostra solita voglia, sennò me ne vado anche io da qui.”

“Ok.” Mormorò un afflitto Oz.

“Allora, Angel, Xander, avete due bestioni lenti a muoversi. Cercate di fregarli in velocità, specie tu, Xan. Oz, muovi quella palla. Spike, cerca di svegliarti, ci servono i tuoi tiri. Wes, continua così a difendere, ma cerca di farti vedere anche in attacco.”

Il tavolo fischiò il termine del minuto e i cinque si posizionarono in cerchio per fare un urlo di incoraggiamento, con Monica che aveva messo la sua mano come base.

“Mi raccomando.” Vide che Wesley la stava fissando dritto negli occhi  e lei ricambiò, mentre si sentiva accarezzare il dorso della mano dal ragazzo.

La riscossa prese inizio da subito: Oz riuscì a rubare palla quasi a metà campo grazie alla difesa forte di Wes su Parker, che gli impediva anche di ricevere i passaggi più semplici. Il piccolo play, velocissimo, portò a termine un perfetto contropiede, facendo saltare di felicità Willow sugli spalti.

“Bravissimo!” urlò incurante di tutto e tutti.

“E per fortuna che tifava solo per i Red Fox.” Mormorò Buffy mentre applaudiva per la bella azione.

Finalmente i nostri iniziarono a rimontare, restando, però, sempre due punti sotto. Il primo tempo terminò 47 a 45 per i Black Panthers.

“Bravi, così vi voglio. In spogliatoio, forza.” Monica era esaltata: aveva finalmente visto la voglia di fare e vincere sul volto dei suoi ragazzi e questa era la cosa che più si aspettava da loro. Sapeva anche lei che era molto difficile quel match, ma almeno sperava che i suoi si impegnassero fino in fondo, a costo di sputare sangua al termine. Vide che i cinque protagonisti erano completamente spompati: diede ad ognuno di loro una borraccia piena di integratore salino e tirò fuori dalla borsetta una stecca di cioccolato fondente, ottima per carburare velocemente.

“Bene, siamo riusciti a bloccarli abbastanza bene, nonostante il gap iniziale. Dovete continuare a giocare esattamente alla stessa maniera, senza risparmiarvi: purtroppo per voi, questa è una partita che non potete vincere giocando a meno del 100%. Se mollate, vi seppelliscono.”

Andrew passò la lavagnetta delle statistiche a Monica e lei prese ad analizzarle. Non erano per nulla male: sorrise dopo aver contato quante palle recuperate aveva già in saccoccia Wesley.

“Riposatevi per bene, poi, quando sentite il fischio dell’arbitro, tornate in panchina.” Uscite le due ragazze, Spike sparò a freddo su Angel.

“Ho visto Cordelia, sta meglio?”

“Sembrerebbe di sì. È seduta vicino a Willow: forse così si farà delle nuove amiche. A quanto pare Darla la evita come se avesse la peste.”

“Grande sgarro quello di stare male durante una sua festa... e pure portarle via il ragazzo.”

“Cordy non ha portato via niente a nessuno.” Spike alzò il sopracciglio malizioso.

“Ah no? Ma guarda, e io che ero convinto del contrario. Mi sarò sbagliato.” E così dicendo andò a buttare la testa nel lavandino per bagnarsi. Liam lo guardò iniziando a rimuginare.

Sentirono che l’arbitro fischiava dal campo e diligentemente si avviarono alla panchina: mancava ancora mezza gara e dovevano cercare di vincere.

“Tua sorella viene?” chiese Xander a Spike prendendolo in contropiede. “Beh, perchè mi guardi così? La trovo carina.”

“L’ho invitata, ma è sempre in ritardo. Tra lei e Jenny io non so chi sia più ritardataria.”

Monica si avvicinò a Wes preoccupata: vedeva il suo capitano decisamente stravolto.

“Ehy, ce la fai a giocare o devo cambiarti?”

“Secondo te?”

“Lo chiedo a te. Io mi fido.” Lui la fissò intensamente.

“Sono pronto.” Lei annuì e gli diede una pacca sulla spalla.

“Ok, ragazzi, dovete stare attenti solo a non fare troppi falli: non voglio concedergli tiri liberi gratuiti, quindi piegate le gambe e datevi da fare.”

La partita ricominciò da dove era stata interrotta, cioè sul totale equilibrio. I Black Panthers si erano ritrovati inguaiati a causa della marcatura su Parker, cosa che di fatto limitava il loro uomo migliore, ma così altri giocatori avevano avuto la possibilità di far uscire il proprio talento. Nei Red Fox, invece, tutto il gruppo stava facendo fortino, ognuno di loro metteva un piccolo mattone per portare avanti la partita nei binari giusti. Spike finalmente aveva scaldato la mano e riusciva ad infilare canestri da ogni zona periferica del campo, mentre, grazie alle penetrazioni di Oz in mezzo all’area, Xander ed Angel riuscivano sempre a trovare una zona libera da dove poter ricevere un passaggio e tirare. In definitiva nessuno riusciva a prevalere sull’altro.

Monica si sgolava cercando di aiutare i suoi, più incitandoli che dandogli dei consigli tecnici: ormai non era quello il momento giusto. Rischiò quasi una discussione con il primo arbitro perchè era uscita dal box, ma lo mandò mentalmente a quel paese e continuò con le sue urla.

Sugli spalti le tifoserie facevano a gara a chi faceva più rumore. Vicino a Willow si era seduta ormai anche una trafelatissima Anya, che, in ritardo come al suo solito, prese a tifare per il fratello e per Xander. La rossa la fissò ed incredibilmente si accorse che non le dava fastidio. Solo Buffy sembrava rimanere più quieta: lei per metà tifava per Parker, che, in fondo, era il suo ragazzo. Eppure dall’altra parte c’era Spike, lo stesso Spike che le aveva fatto compagnia quando sua madre si dimenticava di passarla a prendere, o lo stesso Spike con cui aveva parlato di suo padre e del suo abbandono. Dentro di sé sapeva che aveva iniziato a provare qualcosa di positivo per l’irritante biondo, qualcosa che poteva sicuramente avvicinarsi all’amicizia. Quindi decise di rimanere ferma e tranquilla.

Cordelia, invece, si stava veramente trovando molto bene con le tre ragazze, anche la nuova arrivata: con Darla doveva sempre contenersi, darsi un’aria di ragazza vissuta, invece lì si sentiva molto più sé stessa. Sorrise splendida quando Liam prese un rimbalzo in attacco e segnò il canestro della parità. Videro Monica saltare sulla panchina: quella partita sarebbe rimasta negli annali.

In campo, nel frattempo, un frustratissimo Parker, fermo ancora in singola cifra, cercò di attaccare briga con Spike.

“Hai paura di batterti con me, Giles? Per questo mi fai marcare da Pryce?”

“Ti marca Wes perchè così ha deciso la mia allenatrice.” Spike battè le mani quando vide Oz segnare il primo dei due tiri liberi che aveva a sua disposizione.

“Una puttana per allenatrice. Bella squadra.” Wes, che aveva sentito tutto, si avvicinò a Parker, pronto per marcarlo, guardandolo decisamente male.

“Tu te la sogni una così, Parker.” Gli disse, scattando per seguirlo. Giurò a sé stesso che non gli avrebbe fatto più toccare palla per il resto del tempo, avrebbero dovuto richiamarlo in panchina: non poteva pensare di offendere Monica e di rimanere impunito. E così successe.

L’allenatore dei Black Panthers, stufo che il suo MVP non riuscisse a fare nulla, lo cambiò, tra i sorrisi di scherno di Wes, Spike e Monica, che si affrettò a cambiare il suo difensore, prima che stramazzasse a terra di stanchezza.

“Ottimo lavoro, Wes. Riposati e tieniti pronto a rientrare nel momento in cui tornerà in campo Parker.” Lui annuì sorridendo, contento di averla fatta felice.

Ormai mancavano pochi minuti al termine: Oz aveva la palla in mano e veniva marcato dal player avversario, Penn. Decise di provare ad entrare, così da scaricare il pallone a Spike, o ad uno dei pivot. Sfruttò il blocco di Xander, ma venne praticamente atterrato da Adam Walsh, l’ala dei Black Panthers. L’arbitro fischiò immediatamente il fallo, ma Oz, nel frattempo, era volato a terra. Monica era furiosa: questo, per lei, meritava un fallo antisportivo, non solo un personale, ma le sue proteste non vennero ascoltate.

Liam, capitano in campo al momento dell’uscita di Wes, si avvicinò al rosso.

“Che succede?”

“La caviglia...credo che sia slogata.” Monica entrò in campo e fece alzare Oz: di certo non poteva giocare messo così.

Sugli spalti Willow osservava il tutto preoccupata ed arrabbiata: quando aveva visto il fallo si era messa ad urlare come una pazza per la scorrettezza appena vista.

“Wes, torna dentro e segna i liberi, ti prego.” Fece l’allenatrice e lui lo fece. Mentre tirava e segnava, si divertì al pensiero che per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche segnare da tre di continuo, bastava glielo chiedesse. Si sentiva veramente innamorato di lei.

Le lancette presero a correre il loro ultimo giro. Il punteggio era pari, ormai i supplementari sembravano cosa quasi fatta, fino a quando l’arbitro non fischiò un fallo a Xander. Il moro prese a protestare, seguito da Wesley che cercava di tenerlo buono: ci mancava solo che gli dessero un tecnico per proteste.

In panchina Monica si stava mordendo quasi a sangue la lingua per evitare di insultare l’arbritro, ma a lei quel fallo sembrava proprio un regalo agli altri. Guardò il timer: sette secondi e pochi decimi. Segnare sarebbe stato difficile.

Lindsey con freddezza segnò entrambi i liberi: erano sopra di due.

Liam da sotto canestro passò la palla a Spike che riuscì a dribblare due giocatori con alcune difficoltà, ma lui sapeva che la palla finale spettava a lui, era lui il tiratore. I suoi compagni pregarono dentro di loro che la fortuna li aiutasse almeno un attimo. Spike fece un arresto. Era parecchio lontano ma ci provò. Durante il volo suonò la sirena della conclusione: Monica incrociò le dita, mentre anche Illyria si alzava in piedi in barba al regolamento. La palla toccò il ferro esterno impennandosi verso l’alto e ricadendo tornò a rimbalzare sul ferro che la fece uscire definitivamente.

I Red Fox avevano perso.

La panchina dei Black Panthers esplose di felicità, mentre l’altra si affossò. Monica guardò il tabellone: 85 a 83. Sorrise lo stesso ed andò a rincuorare uno stremato Spike che si era disteso sul parquet.

“Sei stato bravo.”

“Ho sbagliato l’ultimo tiro, quello che importava.” Monica si sedette vicino a lui.

“Ogni tiro è importante. Durante la gara ne hai segnati molti altri, va bene comunque. Adesso andiamo in spogliatoio e poi una buona pizza tutti assieme. Forza, Spike.” Si alzarono assieme e il biondo eseguì il consiglio della sua allenatrice, seguito dai suoi compagni.

Nella hall della palestra, prima degli spogliatoi, c’erano ad aspettarli Willow e compagnia.

“Complimenti lo stesso.” Fece Buffy sorridendo dolcemente a Spike.

“Vieni qui Elisabeth, lascia stare quel perdente.” Parker prese Buffy per il braccio e la allontanò da Spike.

“Ehy, se ce l’hai con me lascia stare lei.”

“Fatti i cazzi tuoi, Giles.”

“Parker, mollami mi fai male.” Disse Buffy strattonandosi. “ Spike non è un perdente, ha giocato bene e meritava i miei complimenti.”

“Tu sei la mia ragazza, te lo ricordi sì o no? O ti fa solo comodo?”

“Stronzo!” Buffy se ne corse via, seguita da una Willow furiosa con la guardia.

“Guai qui?” Gli arbitri, seguiti dalle tre ufficiali di campo, erano giunti per andare a cambiarsi. I ragazzi si calmarono e Parker andò nel suo spogliatoio senza rispondere.

“Nulla che non si sia sistemato.” Rispose diplomatico Wesley.

“Nonostante tutto siete stati bravissimi. Fratellino, Rupert non mi aveva mai detto che segni così tanto.” Eslcamò Anya senza accorgersi che così facendo era riuscita a stemperare la situazione.

“Grazie. Ah, ragazzi, lei è Anya Jenkins, la mia sorellastra.”

“Sorellastra...che brutto, sembra qualcosa di poco voluto. Sorella dai! Senti Xander, ti aspetto, ok? Ho voglia di ancora un po’ di sesso, ho bisogno di qualche orgasmo.”

Decine di paia di occhi si girarono verso il moro che era variato ad una interessante sfumatura rosso pomodoro.

“Ok, Anya, ricordi il discorso sul fatto che vorrei che evitassi questi discorsi davanti ai miei amici?”

“Io non sono tuo amico, continua.” Rispose Oz divertito, mentre ancora saltellava su un piede a causa dell’infortunio

“Taci, nano.”

“Xan, finalmente qualcuno che non è Faith! Bravo.” Xander gemette disperato al nome che aveva tirato fuori suo fratello.

Fanno talmente tanta confusione, che neppure si capisce che sono loro ad aver perso, pensò soddisfatta Monica.

 

CAPITOLO TREDICI

 

Oz maledì per la centesima volta quel giorno, quel maledetto di Penn. La caviglia gli faceva un male d’inferno solo appoggiandola a terra, figurarsi girare per i corridoi con la borsa a tracolla. Si teneva con una mano al muro per evitare di cadere, ma al posto suo, a finire sul pavimento, ci pensarono i libri.

“Fanculo!” borbottò con poca grazia. Sospirando pensantemente, cercò di poggiare a terra la borsa per poi, lentamente, abbassarsi a riprendere i libri, ma vide, con sorpresa, quelli che si alzavano davanti ai suoi occhi. Seguì la linea dei tomi e si ritrovò davanti una tranquilla Willow. Oz si guardò intorno per capire se era al piano giusto o semplicemente per vedere se c’era gente attorno a loro.

“Ti sei persa?” chiese mentre cercava di alzarsi da quella spinosa posizione.

“Certo che no.”

“E allora che ci fai sul piano del secondo anno?”

“Sono di ritorno dalla classe avanzata di informatica. “ Oz la guardò strabiliato.

“Complimenti. Ora se vuoi scusarmi, devo cercare di zompettare allegramente fino alla mia splendida ed innovativa classe di matematica.” E tese la mano per prendere i libri.

“Io pensavo di aiutarti, visto che sei messo così male... ma forse... “E lasciò di nuovo cadere i volumi a terra, sotto lo sguardo shockato del ragazzo “...preferisci fare da solo.” E fece per andarsene. Ma guarda, lei faceva la gentile e lui osava pure trattarla male: maledetto ruba primi baci!

“No, Willow, per favore, fermati.” La ragazza si girò e lo vide completamente spalmato sulò muro per cercare di non cadere. “Per favore, dolce ed intelligente signorina, mi potresti aiutare?”

“Così va meglio.” Riprese i libri e seguì Oz che, nel frattempo, aveva ripreso a saltallare su un piede solo. Pensò che se si fosse slogata anche quella caviglia, per lui sarebbe stata la fine.

“Sei stato bravo alla partita di sabato.” Gli disse per tirargli su il morale.

“Peccato non sia servito a molto. Abbiamo perso e così facendo siamo scivolati al secondo posto. Senza contare che verremo sfottuti da Parker e company per tutto il tempo. Fantastico...” Willow li lanciò un’occhiata scettica.

“Guarda che l’importante è giocare bene. Scommetto che la vostra allenatrice la penserà alla stessa maniera.”

“Da quando sei tu stessa una allenatrice?” le domandò dolcemente.

“Sai, per anni ho giocato a basket con Spike dietro casa sua. Ormai un po’ me ne intendo. E nonostante quello che lui per anni mi ha ripeturo, cioè che bisogna vincere per essere qualcuno, io credo che per essere il migliore bisogna giocare al meglio, al massimo delle proprie possibilità e voi sabato lo avete fatto.” Oz la guardò ammirato.

“Mi piaci perchè sai sorprendermi sempre.”Willow sorrise compiaciuta e gli passò i libri, dato che ormai erano arrivati alla classe di matematica. Oz si avvicinò a prenderli e, in velocità, le lasciò un leggerò bacio a lato della bocca, poi scappò via. “Ciao, Fragolina.”

Willow lo osservò entrare, mentre alcuni ragazzi li guardavano ridacchiando. Sorrise fugace, mentre con la punta delle dita si accarezzava le labbra.

 

Monica osservava scettica le rotelle delle pattinatrici che solcavano il parquet. Odiava il fatto che qualcuno potesse rovinare in quella maniera la palestra, ma di sicuro non si poteva mettere a discutere con le ragazzine di quello che stavano facendo. Rimase impressionata da un salto piuttosto alto che aveva fatto Buffy. La biondina stava pensando a come lasciare il suo ragazzo. Era decisamente furiosa per il comportamento che aveva tenuto lui nel dopo partita. Si erano sentiti per telefono e lui l’aveva accusata di averlo quasi tradito, solo perchè si era messa a parlare con Spike. Ma che razza di ragionamento era quello? Perse momentaneamente il controllo di uno dei pattini e rischiò di cadere: quel passaggio le risultava ancora piuttosto ostico.

“Signorina Kennedy, vado un attimo in spogliatoio.” Disse alla sua allenatrice che annuì. Sorpassò Monica e ripetè mentalmente il discorso da fargli. “Sì, può andare bene.” Mormorò prima di bere.

Nel frattempo, nell’atrio, erano arrivati i primi ragazzi del basket. Monica chiacchierava tranquilla con Illyria di schemi di gioco o di uomini, visto l’evolversi della storia dell’aiuto allenatrice. Si voltarono quando la porta si aprì rivelando una coppia. Una coppia che fece strabuzzare gli occhi a Monica: Wes teneva per mano una ragazza dai folti capelli rossi e ricci che sorrideva contenta, mentre lui, sembrava lo stesso di sempre. Scoccò un’intensa occhiata a Monica cercando di capire le sue reazione, ma la donna si voltò di nuovo verso la sua amica. Wes sospirò e lasciò la mano della sua accompagnatrice.

“Ci vediamo domani a casa tua, Virginia.” Lei focalizzò l’attenzione su di lui, dopo che aveva lanciato sguardi interessanti sugli altri presenti della hall: bei maschi in pantaloncini...mica male come cosa.

“Ok, Wes. Ricordati, devo migliorare in letteratura.”

”Sì, ho capito, non sono scemo.” Lei gli sorrise falsa e se ne andò svolazzando la mano felice. Forse poteva guadagnarci qualcosa da quella strana offerta.

“E tu da quando esci con la Bryce?” chiese Spike decisamente sorpreso da quella visione.

“Da oggi. È la mia...maschera d’ingelosimento.” Spiegò a bassa voce per evitare di farsi sentire da Monica.

“Come hai fatto a convincerla?” i due indossarono le scarpe tranquilli.

“Prima delle vacanze di Natale mi aveva chiesto se potevo darle delle ripetizioni di letteratura, dato che deve entrare ad Harvard e con i suoi voti non ce la farebbe. Inizialmente avevo tentennato, ma poi...bhe, io avevo bisogno di soldi, dato che ho finito i lavori da Monica.” Represse una smorfia a quel pensiero. In realtà avrebbe dovuto fare ancora qualcosa, ma la situazione non lo permetteva. “Solo che, visto quello che mi è successo, ho pensato di sostituire i pagamenti con delle uscite assieme.” Spike alzò un sopracciglio decisamente incuriosito.

“E come mai te la sei portata in palestra? La tua bella è una pattinatrice?” Gli era venuto il dubbio che potesse essere Buffy la ragazza in questione.

“No, ma dobbiamo provare, prima dello spettacolo, no?” wow, so mentire perfettamente ormai, pensò tra sé Wes e così facendo entrarono nella palestra lasciata finalmente libera.

Nel frattempo, Monica aveva deciso di tirare un po’ a canestro: Wesley aveva una ragazza nuova, molto carina per giunta. I capelli ricci erano curati con cura maniacale, i vestiti tutti griffati e sembrava molto sicura di sé. Che cosa stava a significare? Che l’aveva già dimenticata? Eppure...l’occhiata che lui le aveva dato era uguale a quella che si erano scambiati in partita, qualcosa di molto caldo. Erano occhi che la guardavano con ammirazione e anche una punta d’amore. Erano occhi che volevano lei. Ma alla fine, non aveva fatto quello che gli aveva chiesto lei? Gli aveva chiaramente fatto capire che doveva trovarsene una più adatta ed era chiaro che lui avesse eseguito il suo volere, allora perchè adesso la cosa le sembrava così sbagliata? Era perchè lui le interessava, oppure perchè non sopportava di essere stata messa in secondo piano? Ragionò fino a quando non decise che era meglio mettere da parte i suoi problemi personali per mettersi a discutere con i suoi ragazzi. Li aveva visti ancora piuttosto abbacchiati per sabato e voleve che si riscuotessero quanto prima.

“Ok, sedetevi qui davanti e ascoltatemi.” Ordinò prendendo il suo solito posto, seduta sul tavolo delle ufficiali di campo a gambe incrociate. Illyria le diede un foglio in cui aveva elaborato tutti i numeri tirati giù durante la gara da Andrew. Il ragazzo era veramente bravo in statistica.

“Dunque... ciao, intanto, come va?” un mugnio indistinto si levò dai ragazzi. “Lo prendo come un: va tutto alla grande, siamo bravissimi, ma grazie alla tua splendida ed inimitabile guida arriveremo a traguardi ancora più alti.” La guardarono tutti come se avessero davanti un’ubriaca. “Ok, ragazzi, cosa non vi è chiaro?”

“Come fai ad essere così contenta? Abbiamo perso.” Disse Xander senza mezzi termini. Da quando aveva iniziato la sua strampalata relazione con Anya, si sentiva meglio ed era tornato ad essere il tipico Xander dalla battuta facile e giocherellone. Un bel sospiro di sollievo per Monica che non sapeva più come prenderlo, a parte a schiaffi.

“Avete perso con onore e credo che sia stata un’ottima dimostrazione di forza la nostra.” Siccome i suoi giocatori le sembravano poco convinti da quel discorso, scese dal tavolo e si mise a camminare davanti a loro. “Wes sa che sabato l’allenatore dei Black Panthers aveva fatto commenti poco simpatici su di noi.” Il ragazzo annuì, memore della discussione avuta prima della partita con lei. “Lui non credeva possibile che noi riuscissimo ad arrivare all’ultima giornata di andata del campionato con gli stessi punti dei suoi ragazzi. E in fondo, non aveva neppure tutti i torti.” E così dicendo sventolò il foglio “ Questi numeri parlano chiaro. Siete migliorati, tutti quanti. L’anno scorso dal doppio confronto con loro avete preso circa 25 punti di media. Loro vi hanno battuti di 25 punti a gara.” Disse con enfasi. “Sabato erano solo due. Ed è solo metà Campionato. Vi rendete conto cosa potrete fare alla fine? Alla partita di ritorno potrete essere voi i vincitori. Voi siete quelli con i margini più ampi di miglioramento, non loro.”

“Ma anche loro avranno lo stesso tempo per migliorare, gli stessi mesi.” Obiettò lucidamente Oz. Nonostante non potesse correre a causa della caviglia, era andato là lo stesso, per poter ascoltare l’analisi tecnica e anche perchè amava stare in palestra.

“È vero, ma voi siete quelli che partivano più indietro. Loro sono quasi tutti chiamati alla selezioni per la Nazionale, loro sono già in alto, voi dovete ancora arrivarci, vi manca uno scalino. Scalino che cercherò di farvi superare in questi mesi.” Esclamò sorridendo felice. Wes pensò, in quel preciso istante, di non averla mai visto così bella. “Le valutazioni parlano chiaro. Spike sei il nostro MVP quindi devi imparare a capire che gli ultimi tiri spetteranno a te. Faremo allenamenti specifici per i tiri sulla sirena. Liam, ottimo lavoro a rimbalzo, meno meglio quello in difesa su Hamilton. Xander... devi smettere di fare falli o anche dare solo l’idea che tu voglia farli.” Così dicendo si inchinava davanti ad ognuno di loro per poterli guardare negli occhi. “Oz, le tue penetrazioni sono ottime, ma se non ti decidi a tirare anche tu non ce ne facciamo nulla. I difensori non ci mettono nulla a capire che se marcono Angel e Xan tu non sai dove sbattere la testa. Vanno bene i contropiedi, ma non sono l’unica arma di un play.” Il rosso annuì. “Mi raccomando, cammina il meno possibile, acqua fredda, ghiaccio e bagni di acqua e sale. Ti aiuteranno a perdere un po’ di gonfiore. Poi fatti dare da Illy degli esercizi appositi per ristabilirti al più presto, così mettiamo a frutto la sua laurea.” E così dicendo sorrise all’amica che ricambiò. Poi Monica si mise davanti a Wes: i suoi occhi grandi e azzurri la stavano chiamando come una calamita, ma stoicamente resistette “Wes, inutile dirti che il tuo lavoro su Parker è stato splendido. Solo tu hai dieci palloni recuperati... no, dico, dieci. Sono un’infinità.”

“Beh, grazie.” Borbottò lui leggermente rosso.

“Ammettiamolo, colpa anche del loro allenatore: avrebbe dovuto cambiare Parker prima, ma pazienza. Tu sei stato bravissimo nel tuo ruolo, ma devi cercare di essere più attivo in attacco, qualche canestro lo devi infilare anche tu, non possimo basarci solo su quattro elementi. Se i difensori non ti credono pericoloso, preferiranno andare a marcare chi lo è maggiormente, indi su Spike, od Oz. Anche tu devi provare ad osare qualche tiro, siamo intesi.”

“Sì.” Si fissarono pochi istanti e Monica rimase ancora più confusa di quanto non lo fosse. Che cosa le stava silenziosamente chiedendo? Si alzò in piedi, prendendogli la palla da per terra.

“Ovviamente non possiamo non ringraziare per questa bella prova anche chi vi ha supportato per tutta la gara: ragazzi come Andrew, Jonathan, Gunn, Robin e Jesse, che entrano poco, sono indispensabili per noi, perchè vengono sempre ad allenamento, ci permettono di poter allenarci sugli schemi cinque contro cinque. E sono in panchina a tifare per noi.” I diretti interessati sorrisero compiaciuti ed imbarazzati da quelle parole così gentili. Non erano abituati a sentirsi lodati in quella maniera.

“Sei troppo buona.” Mormorò Andrew timidamente, ma lei scosse il capo.

“Avete capito finalmente che cosa avete creato, ragazzi miei?” loro si guardarono cercando di capire dall’altro che cosa lei intendesse, ma si limitarono a scrollare il capo. “Voi siete finalmente diventati una squadra. Lavorate tutti per ottenere lo stesso risultato. Correte e sudate per poter dire di aver dato tutti voi stessi sempre e lo fate insieme. Siete una squadra. E ora, come una perfetta squadra, vi metterete a correre un po’, in modo da iniziare questo allenamento!” i ragazzi si alzarono e presero a correre in fila palleggiando. Oz si accomodò in panchina, leggermente invidioso dei suoi amici: anche lui aveva voglia di giocare.

Wes si avvicinò a Monica.

“Il pallone.”

“Certo, eccolo qui.” Rispose lei passandoglielo.

“Splendido discorso. Sei stata grande.” E seguì i suoi compagni. Monica lo osservò a lungo, tentando di fare chiarezza dentro di sé, mentre Illyria, sorrideva maliziosa. Altro che ragazzino, pensò, quella è già cotta a puntino.

 

Il giorno dopo Spike era curiosamente in ritardo agli allenamenti. Di solito era uno dei primi a presentarsi, data la sua smania di vincere e di voler comunque essere il migliore, ma suo padre quel giorno aveva deciso di iniziare i preparativi del matrimonio, quindi con Anya e Jenny si erano persi tra inviti e vestiti. Aveva mollato un paio di parolacce che avevano fatto andare di traverso il the al padre ed era scappato con ancora una fetta di pane in bocca e il succo per mandarlo giù. Sperò ardentemente che Monica non si incazzasse a morte con lui.

Oltretutto grazie al suo ritardo non avrebbe potuto vedere Buffy: ormai quelli erano i suoi unici momenti per stuzzicarla e provarci. Sapeva che lei stava con Parker, ma di sicuro si meritava molto di più e lui voleva essere proprio quel di più.

Lasciò una frenata sull’asfalto facendo schizzare via un’onda di sassolini, rischiando pure di cadere dalla bici, ma almeno era arrivato sano e salvo in palestra. Ok, in ritardo, ma solo di pochi minuti. Scese dalla sella e mise il lucchetto, pronto a sentirsi la lavata di capo che si meritava, invece qualcosa lo fece fermare. Una voce, anzi due, una maschile ed una femminile. Rimase fermo per capire quello che si stavano dicendo, ma era tutto confuso. Incuriosito mise la testa oltre l’angolo del muro per spiare e rimase a bocca aperta: c’erano Buffy e Parker che discutevano animatamente.

“Devi lasciarmi in pace. Mi hai trattato come una pezza da piedi.”

“Tu non puoi lasciarmi, Summers!” sbraitò Parker strattonandola.

“Uno, sono Buffy, non Summers e basta, due: sì, ti lascio. É più che evidente che io non ti interesso, o che semplicemente mi vedi come un oggetto. Ed è evidente che non mi sta bene.”

“Sei solo una stupida ragazzina. Che cosa pensi di ottenere da questo? Sarai sola e sputtanata.”

“Sarò sola e pronta a trovare qualcuno migliore di te.” Lui continuò a strattonarla e la sbattè sul muro con poca grazia.

“Tu sei una nullità, Buffy e sei diventata qualcuno solo perchè uscivi con me.”

“Lasciami!” ordinò lei cercando di divincolarsi, ma Parker era troppo forte per lei.

“Tu sei mia e voglio che tu te lo possa ricordare per sempre.” Le mollò uno schiaffo in pieno viso lasciando una macchia rossa sulla guancia.

“Ehy, bastardo!” Entrambi si fermarono stupiti e sollevati da quella intrusione.

“Spike!” Per Buffy fu come se qualcosa di pesante si fosse sgretolato nel suo petto. Quando Parker la aveva presa e strattonata aveva avuto un sacco di paura che le facesse del male. Lo schiaffo, poi, era stato qualcosa di incredibilmente inaspettato. Il volto bruciava come fuoco.

William arrivò come una furia: all’inizio voleva lasciarli stare, anche perchè è sempre meglio evitare di mettersi in mezzo, ma quando lui l’aveva colpita non ci aveva visto più. Nessuno poteva permettersi di toccarla in quel modo.

“Che cazz...” Parker non riuscì a finire la frase che Spike lo prese per la maglia e lo sbattè per terra.

“Ti conviene lasciarla perdere, damerino.” Parker sputò per terra, mentre Buffy osservava la scena in trance.

“Non sono fatti tuoi. Vedi tu di lasciarla perdere, lei è solo mia.”

“Lei non è di nessuno.” Il moro si alzò e si avventò su William con un pugno, ma il biondo era ben allenato alle risse, quindi lo schivò e rispose a tema, lasciando il suo avversario senza fiato, dato il colpo ricevuto allo stomaco. Con fatica si rimise in piedi e ripresa alla carica: centrò Spike al volto spaccandogli il labbro.

“Smettetela idioti!” la voce di Buffy riecheggiò per il giardino. Parker si fermò e si mise a ridere.

“Ma sì, lasciami pure puttanella, tanto una come te non può che meritarsi uno zero come Giles.” Prese la sua borsa e voltò le spalle ridendo malignamente. “Te ne pentirai amaramente, Summers.” Sparì nell’oscurità senza smettere di ridere, più per il nervoso che per una vera ilarità della scena. Iniziò a meditare vendetta: Spike lo avrebbe umiliato nella loro prossima sfida, mentre la ragazzina si sarebbe resa presto conto di cosa volesse dire lasciare uno come lui.

“Fottiti, stronzo!” Furono le parole di Spike mentre si toccava il labbro malridotto, poi si girò verso Elisabeth. “Come stai?” la risposta fu uno schiaffo a cinque dita sul volto. “Ehy!”

“Sei uno stupido? Non sai che avresti potuto farti male sul serio? Parker non è uno che ci va giù leggero di solito.” Lui la squadrò malizioso.

“Eri preoccupata per me, passerotto?” Buffy alzò lo sguardo al cielo con un leggero broncio.

“Non esageriamo. Non poi così tanto.” Lei si guardò le mani leggermente imbarazzata “Grazie, però. Se non fossi arrivato tu non so che sarebbe successo. Non l’avevo mai visto perdere così il controllo.”

“Figurati, non sopporto chi se la prende con una donna. Gli avrei fatto volentieri un occhio nero sabato, ma oggi è meglio.” Le raccolse la borsa con i pattini e si accorse che ormai era veramente troppo tardi . “Tieni.” Le disse porgendole la sua roba. “È meglio che torniamo a casa ora.”

“Aspetta.” Lo bloccò Buffy, mentre trafugava nella sacca. “Ma dove diavolo sono...uhm, eppure ero sicura che fossero qui... Oh eccole!” tirò fuori un barattolo contenente delle salviettine umidificate. Si avvicinò a Spike scrutandolo minuziosamente e poi iniziò a pulirgli il viso con un fazzoletto, mentre lui la guardava stupito. Sapeva di essere diventato rosso ed imbarazzato, aveva i palmi sudati e il cuore batteva troppo per resistere a lungo. Lei, invece, incurante di ciò che sentiva il ragazzo, continuò la sua opera di crocerossina. Era il minimo che poteva fargli, visto il suo gesto. Iniziò a pensare che cosa poteva accadere se Spike non si fosse intromesso: Parker poteva arrivare a volere qualcosa di più di un semplice schiaffo? Ricordò le occhiate decisamente lussuriose che le lanciava ogni volta che osava mettersi un vestitino scollato o più corto di altri. Rabbrividì alla sola idea che le era venuta: non sarebbe mai arrivato a farle quel tipo di violenza, almeno ci sperava.

“Ecco fatto, adesso sei a posto.”

“Grazie. Mormorò lui, poi riprese un po’ della sua baldanza “Bhe, il minimo dopo lo schiaffo. Potevi tranquillamente stenderlo tu il tuo ragazzo.”

“Ex ragazzo. L’ho lasciato... è per questo che discutevamo.” Spike lo aveva già intuito, ma sentirlo direttamente dalle sue labbra era ancora meglio.

“Senti, ti va di bere qualcosa assieme? Io sono troppo in ritardo per presentarmi in palestra e conoscendo tua madre, non sarà qui per almeno un’oretta.” Lei sorrise.

“Bhe, oggi vado a casa sola, quindi, sì, mi piacerebbe. Aspetta solo che avviso Dawn, non vorrei che si preoccupasse.” Tirò fuori il cellulare e digitò velocemente il numero di casa. Osservò William sorridendo: i capelli ossigenati spiccavano nell’oscurità grazie alla piccola lampadina che illuminava la zona. Le faceva strano vederlo così tranquillo e rilassato dopo la scazzottata. Ringraziò il cielo che fosse stato vicino e si rese conto che era, in fondo, veramente un bravo ragazzo.

Terminata la conversazione con la sorella, i due si avviarono verso il centro. L’aria era fredda, ma non molto, nonostante fosse gennaio inoltrato. Entrarono in una elegante pasticceria ordinando due cioccolate calde. Buffy volle anche un pezzo di torta alla crema e se ne fece incartare una intera da portare a casa.

“Ehy, passerotto, così ingrassi troppo.”

“Non scherziamo, ho solo promesso alla mamma che quest’anno ci pensavo io alla torta. Lei ha troppe cose per la testa.” Spike aggrottò la fronte.

“Perchè?”

“Perchè mio padre ci ha abbandonate e...”

“No!” la interruppe lui “Perchè la torta? Tua sorella compie gli anni?” lei sorrise a trenta denti scintillanti.

“No, io li compio! Oggi, in effetti.”

“Auguri allora. Diciassette, vero? Come Willow.”

“Sì, divento grande.”

“Allora, brindiamo ad Elisabeth Summers!” Fece Spike alzando in aria la tazza piena di cioccolata.

“E al tuo papà che si sposa con la Calendar. Dio, ancora faccio fatica a crederci.”

“Pure io. Eppure succederà. È perfino arrivata la figlia di Jenny.”

“Anya, vero?” domandò Buffy. “è simpatica, l’ho conosciuta alla partita.” Lui annuì soddisfatto.

“É una vera pazza! Favolosa!!!” Gli si illuminarono gli occhi. Aveva scoperto che andava parecchio d’accordo con la sorellastra, forse il fatto di essere entrambi europei li aiutava. Buffy si seccò di vederlo così... se si fosse sforzata almeno un po’ di capire che cosa provava, avrebbe capito di essere gelosa. “Inoltre mi pare di aver velatamente capito che ha una storia con Xander e questo non può che essere una buona cosa: finalmente lui è tornato quello di un tempo.”

“E tu che ne pensi... insomma, avrai di nuovo una madre.”

Cadde un leggero silenzio: in effetti William non aveva mai visto quella parte della faccenda. Non riusciva a vedere Jenny come la sua nuova mamma, per lui lei sarebbe rimasta sempre e solo Jenny. Buffy intuì la sua confusione e si diede mentalmente della scema: perchè era andava a rivangare il suo passato? “Cioè, non che sarà tua madre, però sposa tuo padre e il risultato è quello e... diamine sto incasinando le cose ancora di più.” Arrossì, mentre lui sorrideva.

“No, tranquilla... in realtà non so come saranno le cose. Lei non potrà mai prendere il posto di mia madre, grazie al cielo mi viene da dire. Le vorrò bene e sono sicura che si preoccuperà per me, come mio padre fa per Anya, ma... non è la stessa cosa. È buffo, non ho idea di cosa significhi avere una madre.”

“Era così tremenda?” domandò seria Elisabeth. William sospirò, poggiando sul piattino la tazza.

“Non lo so, non me lo ricordo bene. Di lei ho immagine confuse. Ricordo che quando se ne è andata via, non mi ha neppure salutato, è andata via e basta. L’unica cosa che ricordo nitidamente è il viaggio che io e papà abbiamo fatto per arrivare qui e l’incontro con Willow. Mia madre è qualcosa di nebuloso, lontano e poco chiaro. Senti, che ne dici se parliamo di altro?”

“Certo, anzi, scusa se ho tirato fuori l’argomento, non dovevo.” Cercò di scusarsi lei con voce piccola, ma lui fece un gesto della mano, come a scacciare una mosca.

“Non è questo, è che proprio non saprei bene che cosa dirti. La odio perchè mi ha lasciato, ma alla fine non la riesco ad odiare fino in fondo e sono sicuro che se me la ritrovassi davanti alla fine l’abbraccerei.” Guardò verso l’esterno dove c’era una piccola cartoleria. “Mi aspetti un secondo qui?” domanò infine a Buffy, che non poté che annuire confusa.

Finì la sua torta e la cioccolata, decisamente soddisfatta: buon cibo, buona bevuta e ottima compagnia, che poteva chiedere di più una ragazza nel giorno del suo compleanno?

“Ecco qui, per te.” Un regalo, a quanto pareva. Spike la guardava sorridendo diabolico: quasi aveva paura di aprire il piccolo pacchetto che aveva davanti a sé. Era stato incartato con cura, in una busta blu con i brillantini. C’era un grosso fiocco argentato sulla sommità.

Con dita improvvisamente tremanti, prese a scartalo, ritrovandosi davanti ad un piccolo pupazzo: era un piccolo troll di pezza, con il naso grosso e bitorzoluto, ma lo sguardo gentile. Aveva i pantaloni rossi ed una camicetta blu con delle brettelle. Aveva tra le mani una bella margherita ed era posizionato come se volesse donargliela.

“Porta fortuna.” Spiegò William “Ah, leggi il biglietto.” Elisabeth incredula trovò il piccolo cartoncino biano e lo lesse sbuffando.

“Auguri di buon compleanno, Hobbit. Vedrai che tra nanetti vi intenderete benissimo. Spike.”lui si mise a sghignazzare. “Molto simpatico, ossigenato. Certe cose proprio non cambiano mai.” Eppure Buffy non riusciva a ricordarsi regalo più bello di quello. Sorrise nuovamente, mentre faceva in modo di infilare il nuovo piccolo amico nella borsa di pattinaggio: se davvero portava fortuna, era lì che doveva stare.

William sospirò dentro di sé: quando aveva preso il piccolo pupazzo aveva avuto paura che lei non lo apprezzasse. Aveva sperato che con il suo tono, allontanasse eventuali strane idee che si era potuta fare la ragazza: in fondo si era appena lasciata dal suo ragazzo, lui non voleva che lei capisse così presto il suo interesse per lei. Sarebbe stato veramente troppo presto. Invece tornando al suo solito modo di fare, cioè prendendola un po’ in giro, le cose sarebbero rimaste esattamente come erano.

Nessuno dei due voleva ammettere con sé stesso che le cose erano veramente cambiate.

 

CAPITOLO QUATTORDICI

 

Per due uomini abituati a vivere sempre da soli, sentire due donne litigare, era qualcosa di assolutamente intimidente. William e Rupert erano seduti cercando di non fare un solo rumore, in cucina, attorno al tavolo, completamente immersi nei giornali matrimoniali comprati da Jenny. Neppure loro, che erano stati presenti, avevano ben capito come mai dal discorso “che vestiti metteranno le damigelle?” adesso si parlava su quanto schifosa potesse esse Sunnydale per una ragazza di 17 anni.

I due si guardarono negli occhi quando sentirono sbattere una porta da Anya.

“Pensi che sia finita qui?” domandò Spike a bassa voce.

“Temo di no figliolo.”

Nella stanza entrò una infuriatissima Jenny: il ragazzo, senza dire una parola, se ne uscì a gambe levate: che se la vedesse suo padre, lui non voleva essere messo di mezzo.

“Come va?”

“Tutto ok, Rupert, tranquillo. Andrà tutto bene.” E prese un profondo respiro mentre fissava l’oscurità fuori la finestra. “Hai trovato qualche vestito interessante?” gli chiese sorridendo. Giles, che ormai la conosceva, aveva già notato la patina di lacrime che velavano gli occhi profondi della sua fidanzata. Le pose le braccia aperte, come a volerla abbracciare.

“Vieni qui a sederti.” Lei lo raggiunse e si sedette sulle sue gambe, iniziando quietamente a piangere, mentre lui le accarezzava la testa teneramente.

“Mia figlia mi odia.” Mormorò al suo petto.

“Ma no che non ti odia, non pensarlo nemmeno. Semplicemente Anya si è ritrovata da un giorno all’altro a vivere in due posti completamente diversi. Non si è ancora ambientata perfettamente.”

“Vede questo posto come una prigione.”  Giles le prese il volto tra le mani e le baciò il naso.

“E noi le faremo capire che qui non ci sono sbarre a tenerla. Non sei tu a tenerla qui, sono le tue finanze e sono sicura che lei lo capirà perfettamente.”

“No, non voglio dirle nulla. Già suo padre si fa vivo una volta ogni morte del Papa, non voglio che lei sappia che ha perfino rinunciato a pagarle la scuola. No, Anya non saprà nulla.”

“Sei tu sua madre e spetta a te decidere, amore, ma sappi che secondo me stai sbagliando.” Jenny si alzò e prese un fazzoletto per pulirsi gli occhi e soffiarsi il naso.

“Come hai fatto con William? Hai un rapporto così bello con lui.” Giles sgranò gli occhi sorpreso.

“Un bel rapporto? Quando era piccolo, forse, adesso non ho idea quasi di chi sia. Non mi racconta più nulla, tranne un po’ di Willow, ma... il resto? Non so neppure se ha una ragazza.”

“Eppure state così bene. Vorrei che il miorapporto con Anya fosse così.” E sconsolata fissò la porta dietro la quale si era nascosta una arrabbiatissima figlia.

Figlia che con cipiglio da guerriera, borbottava la sua rabbia.

“Ero a Ginevra e ora sono relegata in questo buco terribile. Ah no, mia madre non mi terrà qui.” Prese il suo cellulare e fece il numero. “Dai papà, rispondi.” Ma il telefono suonava a vuoto, nessuno le rispondeva.

“Toc, toc.” Dalla porta fece capolino Ropert con una tazza in mano. “Posso entrare?”

“Certo.” Rispose Anya, spegnendo il cellulare. Tentò di sorridere all’uomo: doveva dare atto che sua madre aveva un ottimo gusto. Sembrava fosse un uomo tranquillo sempre vestito di tweed e con gli occhiali perennemente scintillanti, eppure Anya era completamente sicura che dietro questa facciata si nascondeva un uomo con la U maiuscola.

Sospirò e si rallegrò pensando che quella sera sarebbe uscita con Xander.

“Ti ho portato una tazza di ottimo the. Lo do sempre a William quando è nervoso.” E gliela appoggiò sul comò.

“Scusa, Rupert, non volevo urlare così forte, ma io e mamma abbiamo esagerato. Prometto non succederà più.” Lui sorrise.

“Non fare promesse vane, Anya, sappiamo entrambi che a volte le cose succedono e tra voi le cose girano in questo modo.” Con cautela si sedette sul ciglio del letto. “Sono qui anche per chiederti una cosa importante.” Si sfregò le mani tra loro leggermente nervoso.

“Ok, spara.”

“Io amo tua madre, sul serio e ci tengo molto a sposarla, ma per lei tu vieni di sicuro al primo posto. Tu sei sua figlia e io sarei il primo a farmi da parte perchè lei possa essere felice. E lei può essere felice solo se anche tu lo sei. Anya... io ti chiedo seriamente: sei contenta se tua madre si risposa con me? Puoi accettare che nella tua vita entrino a far parte due sconosciuti come me e William?”

Anya lo fissò ad occhi sbarrati: non si era aspettata una chiacchierata padre/figlia con un uomo che conosceva da poco più di un mese. Neppure con il suo vero padre era mai successo, di solito le discussione, serie o meno, le faceva con sua madre. Si rese immediatamente conto di quanto lui amasse veramente sua mamma se addirittura veniva a parlare con lei.

“Ma certo! Signor Giles...Rupert, io non ho nulla in contrario al vostro matrimonio, anzi, se devo essere sincera sono contenta che mamma abbia trovato qualcuno che ama sul serio. E lei mi sta molto simpatico, è un brav’uomo. E anche William mi piace: magari ogni tanto ascolta musica un po’ strana, ma è un difetto sul quale posso soprassedere.” Disse velocemente lei. “Non è per lei che mi sono messa a litigare.”

“Ti prego, dammi del tu, se mi dai del lei mi fai capire quanto sono vecchio.”

“Ok... allora, non è per te che mi sono messa a litigare con lei. Se a mamma piace stare qui nessuno le vieta di viverci, ma perchè deve mettere in mezzo me? Io venivo volentieri al suo matrimonio, ma poi volevo tornarmente a casa mia, a Ginevra, invece mi tocca restare qui.” Giles prese un respiro profondo e la guardò. Di certo non poteva dirle quale era la vera realtà dei fatti.

“Hai mai pensato che forse non c’è altra possibilità?” dicendo questo, si alzò dal letto. Anya lo guardò confusa: che voleva dire con quelle parole? “Comunque ricorda che la cena sarà servita a breve. Ti aspettiamo di la.” Ed uscì chiudendosi la porta alle spalle.

“Questo è proprio stano.” Mormorò la ragazza.

 

“Buongiorno signorina Chase.” Cordelia entrò per la sua seduta psicologica nello studio del suo analista. All’inizio ci era andata molto di controvoglia, ma ora si era abituata e non le dispiaceva molto il lavoro che stava portando avanti con lui. Con lui riusciva a parlare di praticamente tutto senza vergognarsi e, in fondo, non era questo il suo lavoro?

“Buongiorno dottor Webster.” Lo salutò sorridendo. Lo psicologo non era molto vecchio, aveva circa trentacinque anni, ma molti dei suoi articoli sul disagio giovanile erano stati pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche nazionali e questo lo avevano fatto diventare uno dei terapisti più ricercati di California.

“Allora, è pronta per la sua ora di inferno?” le chiese ridendo e Cordelia non potè che sorridere con lui.

“Certo, sono venuta qui volontariamente, pensi. Sto diventando brava. O masochista.”

“E sicuramente con la risposta pronta. Bene, come va a scuola?”

Ed iniziarono così la loro seduta: Cordelia parlava a ruota libera, solo ogni tanto veniva interrotta dall’uomo incuriosito su piccoli particolari che lei riteneva superflui, ma che per lui erano piuttosto rilevanti. E più parlava e più Cordelia si sentiva svuotata, sentiva la sua testa farsi più leggera, riusciva a capire delle cose che prima le erano sembrate intraducibili. Vedeva meglio i fili che la legavano al mondo esterno, ai suoi genitori ed ai suoi amici. Si sentiva rinfrancata, nonostante la difficoltà che provava ogni volta nel capire di aver sbagliato nelle cose. Doveva distruggersi, prima di potersi ricostruire.

“Stai facendo degli enormi passi in avanti, Cordelia, brava.” La elogiò il dottore. Anche lui sapeva che in quella fase del lavoro doveva darle degli stimoli e farla sentire bene con le parole era la cosa migliore. Elogiarla era fondamentale per stimolare il suo ego.

“La ringrazio, ma è tutto merito suo.”

“Oh no, è merito tuo. Le cose da sistemare le hai dentro di te, io ti do una mano solo a trovare il bandolo iniziale, la matassa, poi, la srotoli da sola e te la cavi alla grande.” Non erano ancora arrivato al punto focale, ma tutto andava fatto passo per passo.

Cordelia arrossì al complimenti, poi gli strinse la mano e lo lasciò al suo prossimo paziente, che attendeva in sala d’aspetto.

Si sorprese nel trovarci anche Liam: era seduto a leggere una rivista senza perderci troppo tempo. Indossava il suo classico cappotto nero e lungo e aveva la sua tipica aria da pensatore. A Cordelia venne da ridere.

“È proprio vero allora che tu rimugini sempre.” Gli disse per prenderlo in giro. Liam alzò lo sguardo su di lei e le sorrise piano. Le piaceva vederla dopo le sedute, era sempre radiosa e gli dava l’idea di stare veramente bene.

“Non sono tutte leggende metropolitane.”

“Sai, sei proprio buffo.”

“Buffo? Non scherziamo troppo, ho una credibilità da proteggere.” Si misero a ridere così forte che la segretaria del dottor Webster li zittì con un ‘ssst’ seccato. I due decisero che era decisamente meglio se uscissero fuori.

“Hai visto che faccia che aveva?” Cordelia trascinò Liam in un a piccola caffetteria e ordinò due cioccolate: non era ancora riuscita a riprendere a mangiare regolarmente, ma aveva scoperto che le cose liquide riusciva a non vomitarle. Ottimo punto d’inizio.

“Allora, il dottore è bravo?” Domandò Liam.

“Il migliore per questo genere di cose. È ovvio che lo sia, altrimenti papà non mi ci avrebbe mai portato.”

“I tuoi non hanno nulla da ridire sul fatto che ogni tanto ti vengo a prendere io?”

“Non più. Il dottor Webster li ha convinti che i faccia bene uscire e parlare con una persona che mi è amico e non solo un familiare.” E gli sorrise.

“Bhe, mi piace come cosa. Mi sarebbe seccato uscire dalla tua vita.” Disse con tranquillità Liam mentre sorseggiava la scura bevanda. Cordy lo guardò stupita: in quei giorni di terapia non aveva mai pensato a se stessa senza Liam vicino, ormai era diventato essenziale.

“Non riusciresti mai ad uscire dalla vita di nessuno. Quando ci entri diventi un faro, la luce per uscire dal tunnel...almeno dal mio tunnel di sicuro.”

Finita la chiacchierata al bar, Liam la accompagnò a casa con l’auto di famiglia. Arrivarono davanti al cancello di casa Chase.

“Grazie di tutto Liam. Non so che farei adesso, se non ci fossi tu.”

“Il piacere è tutto mio, Cordelia.” Si grattò il collo leggermente a disagio “Senti, ti va di venire con me ad una festa? Nulla di esagerato... qualcosa per uscire assieme.”

“Ma certo! Volentieri.” Cordelia sentì il cuore gonfiarsi di felicità: un’uscita ufficiale con Liam O’Connor... wow!

“Perfetto, ok, ti passo a prendere domani sera per le nove.”

“Certo.”

Liam si abbassò su di lei per baciarle la guancia, ma alla fine optò per qualcosa di diverso. Le labbra si toccarono leggermente, giusto il tempo per assaporare l’aria attorno a loro. Poi Cordelia, con un sorriso, scese dall’auto.

 

Finalmente la caviglia era ritornata alla normale funzionalità o almeno c’era molto vicino. Illyria gli aveva insegnato come fasciarsela in modo tale che non si slogasse facilmente ed Oz praticamente stava girando da un pio di giorni con metri di scotch a proteggere l’articolazione. Ovviamente non dimenticava di spalmarsi l’anti-infiammatorio e i bagni di acqua e sale come gli era stato consigliato: voleva poter guarire al più presto, gli mancava troppo giocare.

Non l’avrebbe mai immaginato, ma giocare con i Red Fox stava veramente diventando divertente. Monica gli aveva finalmente dato un’identità di squadra, nessuno più giocava per se stesso, ma tutti lottavano per il medesimo scopo, la vittoria. E doveva ammettere che gli veniva piuttosto bene. Nonostante la battuta d’arresto esterno, si erano ripresi in fretta e già le due gare sucessive avevano sbaragliato gli avversari, anche senza di lui in campo.

Monica stava insegnando a Wesley a dirigere la squadra, in modo che se Oz fosse stato fuori uso di nuovo, qualcuno di abbastanza intelligente tatticamente, potesse prendere il suo posto. Il rosso aveva osservato il povero Wesley cercare di fare qualcosa che non aveva mai fatto prima, e, risate a parte, era rimasto molto sopreso da come il ragazzo seguisse gli ordini della loro allenatrice senza fiatare. Del resto anche gli altri aveva capito che lei ed Illyria non erano due persone da prendere in giro ed erano veramente degne del rispetto che avevano richiesto ad inizio anno. Era facile, per i ragazzi, darglielo: non li avevano mai trattati come degli imbecilli senza spina dorsale come facevano tutti gli altri coach in generale, ma si erano date da fare per far emergere tutta la loro potenzialità.

E anche per questo Oz non vedeva l’ora di poter di nuovo allenarsi come tutti gli altri e non solo a fare esercizi specifici di rinforzamento per l’articolazione.

Camminò senza troppi sforzi fino alla sua vespa ed iniziò a guidare per la città: aveva sempre adorato gironzolare in solitario pensando alla sua musica o agli schemi di gioco, quindi ora, che poteva beneficiare di qualche ora di riposo prima dell’allenamento, prese a sfrecciare libero per le strade di Sunnydale. Decise di andare alla biblioteca cittadina: doveva ancora iniziare un tema di storia sulla rivoluzione industriale e doveva farlo bene, ne andava di metà voto del trimestre. Si perse tra gli scaffali di libri, indeciso su quale portarsi a casa: non gli dispiaceva leggere di tanto in tanto, ma preferiva sicuramente buttarsi sulle biografie dei cantanti famosi.

Prese due volumi di storia e poi andò nella sua sezione: trovò proprio quello che cercava. Vita e Musica di Bono Vox. Sorrise e andò dalla bibliotecaria a registrare le sue scelte. Mentre la donna giocava con i codici a barre delle etichette, Oz si guardò in giro, alla ricerca di qualcuno che poteva conoscere. Sapeva, in realtà che i suoi amici preferivano star molto lontani dai libri, manco fossero una malattia,  ma, nonostante tutto, in lontananza scorse una chioma rossa ben nota. Sorrise felice e le si avvicinò.

“Ciao, Willow.” Lei sobbalzò.

“Oh... Oz, che ci fai qui?”

“Prendo dei libri, ti sembra una cosa strana?” e si sedette vicino a lei.

“Visto quanto è affollata di solito, sì, mi sembra strano.” Chiuse il libro da cui stava traendo informazioni di algebra e lo guardò: le stava sorridendo, come se aspettasse qualcosa che non stava arrivando. “Vuoi dirmi qualcosa?”

“Sì, una cosa ci sarebbe... hai voglia di prendere un gelato con me?” quella richiesta la spiazzò. Un gelato? Cosa voleva Oz veramente? Un’altro bacio... le sue rotelline si misero in moto frenetiche.

“Uhmmm...ok?” Oz si mise a ridere così forte che la bibliotecaria lo zittì severa.

“Non voglio obbligarti, quindi me ne vado da solo.”

“No!” Esclamò Willow. Ora che lo aveva rivisto aveva voglia di passare un po’ di tempo con lui. Si diede mentalmente una serie di calci al cervello: non poteva continuare ad essere così insicura sui propri sentimenti. “Cioè, mi farebbe piacere un gelato.” Ecco, pensò, così va meglio. Non fargli pensare che lui ti può interessare.

“Perfetto, allora uscimo da questo posto tetro... o la strega ci impedirà di divertirci.” Fece lui indicando la bibliotecaria che continuava a guardarli in cagnesco per il tono di voce poco consono al luogo.

I due si avviarono in fretta verso l’aria aperta, fermandosi davanti alla vespa bianca di Oz. Willow stava guardando il motociclo con sguardo poco convinto.

“Bella vero? Originale italiana, mio zio ha fatto carte false per farmela arrivare qui.” Disse lui con gli occhi che gli brillavano d’amore.

“Splendida...” fece laconica Willow.

“Tieni, questo è meglio se lo metti tu.” E le porse il casco integrale rosso. “Non ne ho due e sarebbe un peccato che se, cadendo, ti rovinassi quel bel faccino.” Willow arrossì a quel complimenti e si allacciò il casco sul mento: era la prima volta che saliva su una Vespa e non sapeva come mettersi. Vide Oz che faceva smontare il mezzo al cavalletto e l’accendeva.

“Forza, salta su.” Willow posizionò lo zaino dietro le spalle e, con le gambe divaricate, si sedette impacciata dietro al ragazzo, afferrandolo forte per la vita, tanto che le dita sembravano penetrare la carne.

“Così mi fai male. Cerca di stare calma, sono bravo a guidare.” Willow lasciò leggermente la presa, riprendendola nel momento stesso in cui Oz diede gas per partire.

Il ragazzo fu favorevolmente colpito nel sentire il corpo di Willow completamente appoggiato alla sua schiena: il dolce profumo di lei, gli arrivò chiaro e nitido direttamente al cervello. La sua voglia di baciarla crebbe esponenzialmente.

Prese velocità nelle strade principali, guizzava senza nessuna paura tra le auto ferme al semaforo, con Willow che ogni tanto lanciava qualche urletto. Aveva paura quando passavano vicinissimi ad i veicoli in sosta. Eppure anche lei sentiva l’eccitazione crescere, la velocità non sembrava spaventarla troppo e il vento che entrava nel casco la faceva sentire libera. Sorrise durante una curva  che Oz si divertì a fare a tutta.

Willow scoprì in quel momento il mondo delle due ruote.

Il ragazzo si fermò davanti alla spiaggia della città.

“Allora, tutto ok?” le domandò.

“Sì, non male. Non pensavo fosse così divertente.” Rispose sorridendo radiosa. Voleva rifarlo.

“Ma se urlavi...” la prese in giro Oz.

“All’inizio ero veramente spaventata, mi sentivo in un equilibrio piuttosto precario, però poi ho capito quali posizioni dovevo tenere a seconda della strada e di come tu guidavi e mi è sembrata una cosa così naturale.” E gli porse il casco. Oz la guardava sorpreso: aveva creduto che le si mettesse ad urlare perchè era andato troppo forte, invece sembrava fosse tutto il contrario. Lo apprezzò.

Iniziarono a camminare lentamente per il lungo mare: non c’era nessuno in spiaggia, ovviamente, dato che era febbraio e faceva ancora freddo, ma il sole splendeva e rendeva il pomeriggio scintillante per quelle ultime poche ore di luce.

“Allora, come stai? Intendo, la caviglia.”

“Bene, si sta riprendendo. Se tutto va per il meglio, la prossima gara dovrei giocarla.”

“Meglio, senza di te in regia sono leggermente persi.”

“Non è vero. Stanno andando bene lo stesso.” Protestò lui, anche se si sentiva veramente contento che Willow lo stimasse così tanto.

“Mi sono spiegata male. Wesley sta facendo del suo meglio, anche aiutato da Spike, ma non è un play di natura, lo sta diventando e con molte difficoltà. Non ha quella proprietà di palleggio che ti contraddistingue. È bravo a leggere la difesa, ma... non è un play.” Oz annuì: non avrebbe potuto spiegare meglio la situazione.

“Hai ragione, ma è bravo, si può migliorare certamente, ma sta facendo il possibile.”

Continuarono a chiacchierare tranquilli, avvicinandosi sempre di più. Si sentivano bene, come se fossero amici da sempre.

Oz le parlava del suo gruppo, di come gli piaceva suonare, delle serate al Bronze, mentre Willow ascoltava attentamente. Le piaceva ascoltarlo, parlava così bene, in maniera così fluida. Sì, a Willow, Oz piaceva veramente tanto.

Presero il gelato nel piccolo baracchino della spiaggia, poi andarono a sedersi uno di fronte all’altra sul bordo di una fontana, che in quel momento non stava spruzzando acqua. Oz aveva le gambe distese, mentre Willow le aveva incrociate. Stavano semplicemente lì, a guardarsi ed a ridere e scherzare, non si toccarono neppure una volta, restando comunque sempre molto vicini.

Non si erano mai sentiti così uniti.

Restarono lì fino a quando il sole non sparì oltre l’orizzonte: il vento si era alzato e cominciava a fare fin troppo freddo per stare fermi seduti. Quasi corsero, praticamente rincorrendosi. Alla Vespa, Oz si coprì il più possibile con la pesante sciarpa di lana che sua madre gli aveva fatto a mano, mise i guanti e accese il motore, mentre Willow si allacciava il casco con attenzione.

Ripresero la strada per casa, sempre andando piuttosto veloce: Oz si divertiva a misurare i suoi riflessi e Willow si sentiva sempre più eccitata. Si stringeva al ragazzo sempre di più contenta di aver deciso di aver fatto quel giro con Oz. Mentre stavano per parcheggiare davanti alla biblioteca, dove la ragazza aveva lasciato la sua bicicletta, Willow appoggiò la guancia, coperta dal casco, sulla schiena di Oz e lo abbracciò forte.

“Grazie del giro, mi sono divertita moltissimo.” Gli disse porgendogli il casco sorridendo.

“Mi sono divertito anhe io, bisognerebbe rifarlo, che ne dici?”

“Va bene.” Si guardarono senza nulla da dire: Willow si sentì leggermente imbarazzata, quindi sorrise e se ne andò.

Oz si sedette sulla Vespa e prese a seguirla con lo sguardo. Sperava ardentemente di poter uscire di nuovo con lei molto presto. Sentirla dietro di se, aggrapparsi ai suoi fianchi ed aspirare il suo profumo era stato qualcosa di veramente mitico. Si passò la lingua sulle labbra, come se avesse assaggiato qualcosa di buono ed avesse il suo gusto ancora in bocca.

Mentre si avvicinava allsua bicicletta ancora legata davanti alla biblioteca, Willow pensava solo ed esclusivamente a quello che provava. Il pensiero di Xander era ormai sbiadito: ci aveva parlato pochissimo, lui si era trovato una ragazza che lo faceva stare bene, quindi era il suo momento di voltare pagina ed Oz era lì pronto ad aspettarla. Quel pomeriggio si era comportato da perfetto gentiluomo, non aveva provato a forzare nulla, tutto quello che poteva essere successo era partito da lei stessa. E a lei piaceva: quello strano ragazzo dai capelli verdi e la Vespa da collezione stava diventando importante, anzi, lo era già da un po’.

Ne aveva parlato anche con Buffy, che nelle storie con i ragazzi ci navigava molto meglio di lei, ed erano giunte assieme alla conclusione che Willow era ben che cotta e che la sua ritrosia nel confronti del ragazzo era dovuta semplicemente all’increscioso primo bacio rubato. In fondo Oz si era dimostrato pentito e paziente con lei.

Willow si fermò a metà strada e si voltò a fissarlo: i capelli corti erano sparati da tutte le parti grazie alll’aria presa sul motorino, le labbra socchiuse in un sensuale sorriso e gli occhi che la guardavano scintillanti. Decise di fare la sua mossa: ritornò sui suoi passi, facendolo sorprendere e quando si ritrovò a pochi centimetri da lui, inclinò leggermente il capo e lo baciò sulle labbra, tenendole strette, in modo che semplicemente si toccassero. Oz rimase incredibilmente sorpreso dall’intraprendenza di Willow: aveva pensato che riuscire a farla capitolare fosse un’impresa molto più ardua, invece... quella volta era stato fregato alla grande, ovviamente non che se ne lamentasse.

Si staccarono guardandosi negli occhi intensamente.

“Ok... è stato... uhmmm è stato?” domandò Oz che fu il primo a riprendersi.

“Qualcosa di bello?”

“Anche di più... e potrebbe essere ancora meglio...” e così dicendo la abbracciò e la portò più vicino a sè. La baciò con passione passandole una mano dietro al collo, cercando di insinuare la lingua nella bocca di lei per poterla assaggiare al meglio. Willow rimase leggermente spiazzata, ma si arrese pochi secondi dopo permettendo l’entrata. Quello che ne seguì fu per entrambi piuttosto esplosivo: Willow, che non aveva mai baciato in quella maniera prima d’ora, si sentiva volteggiare a dieci centimetri da terra. Il sapore di lui era qualcosa di assolutamente piacevole, il suo profumo intossicante e decise che le piaceva. Sì, avrebbe tranquillamente potuto rifarlo.

Oz, dal canto suo, capiva che per lei erano i primi approcci, quindi cercava di guidare la cosa il meglio possibile. Lei gli stava dietro e pure con favoloso entusiasmo, quindi continuò. Sentì che Willow cercava di aggrapparsi a lui, come per non cadere, quindi la strinse maggiormente.

Fu lei a staccarsi: la mancanza di ossigeno cominciava a farsi sentire, dato che non era molto abituata a baciare e la perfezione avviene con la pratica.

“Wow... questo è stato... Wow.”

“Non avrei potuto dirlo con parole migliori.” Rispose Oz prendendole una ciocca rossa e portandogliela dietro l’orecchio. “Sei splendida, Willow.” Lei arrossì al complimento e prese a balbettare qualcosa di poco chiaro all’indirizzo del ragazzo che si mise a ridere.

“Non prendermi in giro, ti prego.”

“Non mi permetterei mai. Senti... che te ne pare se stasera ti invito ad uscire al Bronze? Io suono con la mia band dopo l’allenamento, sai ci faccio un po’ di dollari... magari ti piacerebbe sentirmi suonare.”

“Certamente!!” Esclamò felice lei. Un appuntamento, di quelli veri, per lei, Willow Rosemberg, nerd sociale e sempre costretta a rimenere ai margini. Fu la cosa migliore per concludere degnamente il pomeriggio.

Si baciarono ancora, fino quando non finirono tutta l’aria a loro disposizione.

 

CAPITOLO QUINDICI

 

La ragazza non ci era proprio portata. La letteratura inglese stava a Virginia, come l’olio stava all’acqua, cioè male. Wesley alzò gli occhi per la centesima volta, mentre lei diceva qualcosa di assolutamente improbabile.

“Ma tu mi ascolti quando parlo?”

“Certo...solo che non ti capisco. Avanti Pryce, sono cose assurde, a cosa mi serviranno in futuro queste cose?”

“Vuoi andare ad Harvard? Allora è meglio se le sai queste cose.”

“Ma io voglio studiare chimica, non letteratura!” Wes ammetteva di capirla perfettamente, ma non potreva certo darle ragione.

“Senti, basta solo che arrivi al sette, per il resto che ti importa. Il prossimo anno non dovrai più a che fare con Whitmann e cose affini.”

Virginia sbuffò, ma tornò ad immergersi nei libri.

Per una buona ora, la ragazza riuscì a resistere, ripetendo dietro Wesley, date ed autori, con le loro opere più significative, ma alla fine decise che una pausa fosse d’obbligo.

Andò in cucina e ordinò del succo per lei e del the per lui, insieme a dei deliziosi biscotti al burro. Wes si sentì intimorito da questo sfoggio di potere, soprattutto quando la cameriera entrò in camera portando il vassoio con le cibarie.

“Avanti Pryce, goditi la vita finchè puoi.” Lui non disse nulla, si limitò a sorseggiare dalla sua tazza: non aveva mai avuto una cameriera tutta per sè. Si immaginò Monica con la divisa nera e la crestina bianca tra i capelli e sorrise. Virginia, che ignorava il tutto, annuì soddisfatta: non era poi tanto male quel inglese.

“Senti un po’, lo so che non sono fatti miei, ma la curiosità mi sta ucciedendo.” Iniziò Virginia. Wes la osservò da dietro gli occhiali.”Chi è lei?”

“Prego?!” Si imparpagliò lui non capendo del tutto, dato che stava ancora pensando a Monica in grembiulino. Virginia sbuffò leggermente spazientita.

“Ma sì, la ragazza in questione, quella che devi ingelosire. Avanti, non sono scema, a te servo per fare pratica.” Wesley la fulminò con lo sguardo.

“Ti avevo già detto che non è un argomento di discussione.” Lei ridacchiò.

“Ogni giorno faccio la parte della brava fidanzatina. Non che la cosa faccia così schifo, si intende, a baciare sei molto bravo, ma mi sembra di essere affittata...” e lasciò in sospeso la frase, mentre sbocconcellava un biscotto.

Wes la fissò pensieroso: non aveva mai messo in conto il fatto che alla ragazza l’accordo potesse pesare. Virginia, un po’ come Darla, era una persona che si divertiva parecchio in giro. Molti ragazzi declamavano le sue qualità e lui era andato in automatico, ma a questa specie di compravendita non aveva proprio pensato.

“Scusa, hai ragione.” Le disse poggiando la tazza sul piatto. “Forse è meglio se torno a farmi pagare e lasciamo stare questo accordo.” Lei fece spallucce.

“Come preferisci. Io mi diverto abbastanza, specie quando vengo in palestra...” e gli scoccò un’occhiata maliziosa. Non era un’oca senza cervello, nonostante la sua nomea, aveva capito che era lì che Wes dava il suo meglio per essere il fidanzato ideale. Lui arrossì leggermente e lei sorrise vittoriosa. “...con tutti quei bei ragazzi. Che tu sappia, Robin è single?”

“Ehm...non lo so, dovrei chiedere.”

“Lo faresti per me? Adoro la cioccolata.”

Wes sorrise a rimando: stava iniziando a stargli simpatica.

 

“Anya, devi smetterla. Il matrimonio sarà tra tre mesi e tu no puoi continuare per tutto questo tempo a stressarmi l’anima che vuoi tornare in Europa. Non ci torni fino a quando non avrai finito scuola, questo è quanto.” Terminò Jenny brandendo un mestolo, mentre stava sistemando i piatti.

“Ma vorrei capire il perchè. Io a che ti servo?”

“Sei mia figlia, è ovvio che voglio averti vicino a me.” Anya non demorse.

“E per tutto questo tempo? Non ero tua figlia?” Jenny la fissò con dolore evidente. Sentiva che stavano allontanandosi sempre di più e che sarebbe stato sempre più difficile riavvicinarsi.

“Anya, le cose cambiano e non sempre ci si può far qualcosa.” La ragazza stava per protestare, ma il campanello della porta le inturruppe.

“Vado io, sarà Xander.” Mormorò Anya ancora imbronciata. Infatti il ragazzo apparve e venne immediatamente dirottato nella sua stanza, senza che lui riuscisse a salutare i padroni di casa.

“Aspettami, vado a prendere qualcosa da bere.” Gli disse Anya lasciandolo un po’ interdetto. Xander si mise a gironzolare per guardarsi intorno.

La ragazza tornò in cucina dove c’era ancora sua madre che finiva di pulire. Non si dissero nulla, si lanciarono solo un’occhiata nervosa, e il povero Giles che era nel mezzo, non sapeva veramente più che fare. L’aria di casa stava diventando troppo irrespirabile, erano tutti nervosi: lui per il matrimonio, Jenny per Anya e Anya per Jenny...e poi c’era William. Lui era un bel mistero: ultimamente sembravameno scavezzacollo del solito, si allenava un sacco e alla sera tornava a casa sempre distrutto, ma sembrava felice e decisamente incurante dello stato d’animo del resto della familia.

“Beato lui...” Sospirò Rupert, girando la pagina del giornale, senza accorgersi dell’occhiata mesta della futura moglie che aveva già capito tutto.

Jenny maledì per la centesima volta in quel giorno il suo ex marito: era tutta colpa sua se il rapporto con la figlia si era deteriorato in quella maniera. Lui non aveva mai fatto parola con la ragazza del fatto che avesse smesso di pagarle gli alimenti, ma, soprattutto, erano mesi che non si faceva sentire. Anya credeva che fosse a causa sua ed era nervosa anche per quello: un motivo in più per litigare con Jenny, perchè era ovvio che se papà non si faceva sentire, era stata mamma a fare qualcosa di male. Lo avrebbe ucciso se avesse potuto.

Finito di riempire due bicchieri di Coca, Anya tornò in camera e trovò il suo ragazzo che osservava qualcosa.

“Che carina che sei qui!” esclamò Xander mentre guardava una foto. Aveva aperto una scatola a fiori che Anya teneva sopra la scrivania. La ragazza si avvicinò a lui e sorrise.

“Sono a scuola con le mie compagne.” Era raggiante mentre guardava l’obiettivo, con, sullo sfondo, il lago di Ginevra. Era con altre tre ragazze vestite tutte uguali. “Questa l’ho scattata a settembre e ancora non sapevo che mi sarei dovuta trasferire qui.” Finì con una punta di amarezza.

“Bhe, considera che se fossi ancora in Svizzera non ci saremmo conosciuti.” Anya non disse nulla, ma dentro di sé si stava chiedendo se conoscerlo valeva il saldo pagato lasciando le sue amiche. Non le sembrava giusto dare una risposta a quella domanda.

I due si sedettero sul letto continuando a guardare le foto della giovane: molte erano state scattate con le sue compagne di scuola, in diversi momenti della sua carriera scolastica, con i professori anche lontano dalla Svizzera. In altre si vedeva una piccolissima Anya in compagnia di Jenny ed un uomo alto e biondo, che evidentemente doveva essere suo padre, anche perché si assomigliavano un sacco.

“La prossima volta mi farai vedere tu le tue foto.” Fece Anya al termine dello show, ma Xander fece una smorfia.

“Io ne ho molto poche. I miei hanno fotografato soprattutto Riley e Liam. Io sono il terzo e più sfigato… diciamo che in famiglia conto di meno che il due di picche.”

“Scusa se te lo chiedo…ma…”

“Ma…”

“Sì, insomma… sono curiosa…”

“Spara senza paura.” Cercò di incoraggiarla lui sorridendo.

“ Cosa è successo a tuo fratello Riley?” Xander perse solo una piccola parte del suo sorriso tranquillo. Ormai era una storia talmente vecchia che non gli faceva più male, almeno non troppo.

“Quando Riley finì la scuola, decise di non andare al college, ma di onorare la famiglia andando a West Point, l’accademia militare. Lì ha fatto grandi cose: era bravo, obbediva ed imparava decisamente in fretta. In pratica è diventato il soldato perfetto. A ventitrè anni lo hanno spedito in Kosovo, durante la guerra e la è saltato insieme al suo convoglio su una mina anticarro ed è morto.” Il silenzio cadde pesante nella stanza: Anya sapeva che il primo fratello O’Connor non c’era più, ma sentirselo raccontare in quella maniera l’aveva gelata.

“Mi spiace.” Mormorò lei.

“Già, anche a me. Mi manca molto, più che a Liam, credo. Quando Riley era a casa…” prese un profondo respiro “quando lui c’era, mamma e soprattutto papà amavano di più anche me, credo per riflesso. Tutti dicevano che io crescendo sarei diventato come lui, invece ora sono solo una delusione per tutti.”

“Non è vero!” si inalberò Anya “Non sei una delusione per tutti, almeno, non lo sei per me. A me tu piaci molto, sei simpatico e il sesso va alla grande.” Xander divenne rosso a sentir declamare la sua… capacità, ma apprezzò il complimento. “E poi hai molti amici che si trovano bene con te, una squadra alla quale non puoi mancare. Sono sicura che se tuo fratello fosse qui, te le direbbe lui queste cose. Devi avere più fiducia in te e nei tuoi mezzi.”

Xander la abbracciò: avere una ragazza che lo coccolava così era decisamente gratificante. Tutto completamente diverso dal primo tenero ed innocente rapporto avuto anni prima con Cordy, ma proprio per questo assolutamente più completo.

“Uhhh, guard qui, le tue pagelle.” Fece lui tirando fuori dalla scatola di Anya un mucchio di fogli. Voleva cercare di stemperare l’aria pesante che si era creata.

“Oh, non mi ricordavo di aver messo lì dentro i documenti della scuola. E mia madre che li cercava ovunque… dovrò darglieli.”

“Però, andavi abbastanza bene.” Fece lui sfogliando i diversi fogli. Non capiva del tutto le varie meterie, dato che erano scritti in francese e tedesco, ma i numeri erano internazionali, quindi quelli li interpretava giustamente.

“Diciamo che non mi sono mai sbattuta troppo a studiare, ma neppure facevo schifo.”

“Dovrò prendere ripetizioni da te, almeno in francese.”

“Quando vuoi. Pagamento anticipato, però.” Lui la fissò stralunato… si era dimenticato che la sua ragazza era piuttosto venale.

“Va bene… posso pagare in natura?” chiese scherzando, ma lei rispose seria.

“Con quello non si compra niente. Il sesso è divertimento, non pagamento.”

“Stavo scherzando, tesoro.”

“Io non scherzo mai sui soldi, sono importanti. Me lo ha insegnato mio padre… in effetti è un dei primi ricordi che ho di lui.” E chissà come mai è diventata così. Pensò Xander senza dirlo, ma gli venne da ridere.

“Aspetta un po’… quelle non sono pagelle.” Fece Anya facendo fuoriuscire dal plico di carte alcuni fogli. Erano scritti in francese, quindi Xander non riusciva a capire che cosa fossero, ma c’era l’intestazione di una banca in alto, quindi immaginò che si trattasse di pagamenti. “Sono fatture… intestate alla scuola.” Continuò lei senza badare a niente altro. “Devono essere le rate della mia iscrizione.”

“Wow, tutti questi soldi?”

“Bhe, era una prestigiosa scuola privata, è ovvio che si paga tanto.” Spiegò lei paziente, come se stesse spiegando ad un bambino.

“Non credevo che Jenny avesse tutte queste possibilità.”

“Infatti era papà che pagava. Faceva parte del loro divorzio, da quanto ho capito. Vedi, qui c’è il nome di mio padre.” Disse lei indicando il foglio.

“Qui no, però… “

“Come sarebbe a dire?” fece Anya allarmata: questo per lei era una novità.

“Bhe, l’intestataria è Jennifer Calendar, residente a Sunnydale, California. È tua madre.” Anya, non ancora convinta, strappò la cedola di mano e Xander e prese a fissarla inebetita: il ragazzo aveva ragione, era decisamente sua madre, ma non poteva essere, doveva trattarsi di un errore. Diede un’occhiata alla cifra e quasi le mancò il terreno sotto i piedi: erano troppi zero per sua madre.

“E qui si ripete.” Disse Xander passando un secondo foglio ad una Anya sempre incredula: erano le ultime due rate scolastiche, poi lei era ritornata in America.

“Deve trattarsi di un errore, mia mamma non ha mai avuto tutti questi soldi, è impossibile.” Sussurrò più a sé stessa che a Xander.

“Forse dovresti parlarne con lei… è l’unica che può dirti come stanno le cose.” Suggerì saggiamente lui. La ragazza lo guardò come se non capisse, ma annuì.

“Sì, hai ragione, lo farò.”

“Ok, allora io vado. Mi aspettano ad allenamento.” E così dicendo si alzò dal letto, poi la abbracciò e le diede un bacio sulle labbra. “Chiamami se hai bisogno, va bene?” Anya annuì e lo accompagnò alla porta.

“Arrivederci signor Giles, arrivederci signorina Calendar.” Ed uscì.

Anya fissò per qualche secondo la porta d’uscita pensando a come affrontare sua madre, poi, con le cedole della banca in mano, andò in soggiorno. Jenny e Rupert erano seduti sul divano che discutevano sulla disposizione degli invitati durante il banchetto.

“Mamma, devo parlarti.” E addio al mio piano sulla circospezione, si disse Anya. Non era riuscita a stare calma: vedendo il genitore tranquillo e rilassato, era partita senza pensare.

“Dimmi tutto.” Fece Jenny sorpresa: aveva creduto che, essendo sua figlia piuttosto arrabbiata, le stesse lontano, invece voleva parlare.

“Si tratta di queste.” E così dicendo le passò i fogli della scuola. Jenny, quando capì di che si trattava, sbiancò di colpo facendo preoccupare Rupert.

“Amore, che c’è?” lei non rispose, si limitò a passargli il malloppo e lui capì.

“Ci lasci sole, per favore?” gli chiese lei e lui se ne andò in cucina, in attesa dell’inevitabile scoppio. “Quindi?”

“E’ tutto quello che mi sai dire? Quindi? Cazzo, mamma, hai tagliato fuori papà dalla mia vita fino a questo punto! Lo odi così tanto?” le urlò senza remore.

“Ah, questo pensi? Che io lo abbia tagliato fuori dalla tua vita? Non è possibile per te, Anya, che sia lui quello che si è defilato senza troppi rimorsi? Ovviamente no, è sempre la mamma quella cattiva, papà è quello buono, quello che mi paga la scuola, quello che non mi porta via da Ginevra… la vuoi vedere così? Fallo,  tanto ormai già mi detesti, che vuoi che sia per me.” Nei profondi occhi castani di Jenny si stavano formando pesanti lacrime di rabbia. “Ma sappi, giusto perché sono stufa di passare sempre per stronza, che la direttrice della tua scuola, mi ha chiamato a settembre per dirmi che era evidente che ci doveva essere un errore nei pagamenti perché il signor Jenkins non aveva saldato il nuovo anno e che se volevo che mia figlia continuasse a studiare, dovevo saldare io. Ho saldato e tuo padre non mi ha ancora restituito nulla… due rate. E tutti i miei sudati risparmi, che volevo consumare per il matrimonio o anche per un bel viaggio con mia figlia dopo anni di separazione, sono volati nelle casse svizzere.” Finì Jenny piangendo, ma con il mento alto.

“Non ha pagato? Papà non ha pagato la scuola?”

“No.” Rispose più quieta la madre. Ora che si era sfogata, stava meglio. “Ho cercato di parlargli, ma a me si è sempre negato, cosa che credo faccia anche con te, se non sbaglio. Non so neppure dove sia ora…” E rise amaramente.

Anya crollò sul divano vicino a lei.

“Io ho sempre creduto che fossi stata tu a non volermi più mandare in collegio, invece…”

“Invece ho finito i liquidi.”

“Ma perché non me lo hai detto subito?”

“Credo perché me ne vergognavo.” E sospirò. “Insomma, sei mia figlia e il mio dovere è quello di fare il massimo per te. Andavi in una scuola splendida che ti avrebbe aperto qualsiasi porta senza troppi sforzi e non riuscivo a fartela frequentare. Ho fatto del mio meglio, ma chiedere prestiti non è nella mia natura. Speravo che tu fossi meno testarda e…” si mangiucchiò un’unghia per il nervoso “… e in fondo speravo che tuo padre si dimostrasse meno stronzo, cosa che purtroppo non è stato.”

Nella stanza cadde il silenzio: Anya rimuginava su tutte le informazioni che aveva ricevuto in quella manciata di minuti. Aveva sempre idealizzato molto suo padre: era un uomo rispettato nella comunità internazionale e si era sempre dimostrato piuttosto attento con lei, non riusciva a crederlo capace di averla, in effetti, abbandonata in quella maniera, eppure, secondo le carte e sua madre, era quello che era successo in realtà. Inoltre ora riusciva a capire perché da mesi il suo cellulare squillava sempre a vuoto oppure era perennemente spento: suo padre non voleva parlare con lei, era evidente. Due lacrime silenziose scesero sulle guance della ragazza.

“Mi dispiace, Anya, avrei voluto che tu non lo scoprissi in questa maniera, ma non sapevo come fare per dirtelo.” Lei annuì, senza riuscire a rispondere: aveva un nodo alla gola che le impediva di parlare e prese a fissare il piccolo tavolino su cui erano sparsi gli elenchi di invitati e la loro posizione nella sala.

“Sai, mamma, non credo che William sarà felice di essere sistemato nel tavolo degli amici di famiglia.” La voce era tremolante, ma almeno era riuscita a ridere.

“No? Eppure il signor Rosemberg gli vuole bene.”

“Secondo me dovreste metterci con gli altri ragazzi… insomma, i bacucchi li lasciamo a voi.”

Le due si guardarono e senza dirsi nulla si abbracciarono con un calore che da molto tempo non erano riuscite a dimostrare.

 

Capitolo sedici

 

Guardando la neve che continuava a cadere, Monica sospirò: era mai possibile che in California nevicasse a febbraio? Anzi, nevicasse e basta? Alla faccia dei cambiamenti climatici globali.

Quella mattina si era svegliata presto a causa della mancanza del solito rumore di sottofondo. La sorpresa bianca che aveva trovato fuori la finestra attutiva qualsiasi cosa.

"Una buona domenica per stare a casa." Mormorò impastando acqua e farina. Aveva deciso di darsi ai lavori di casa e alla cucina. Ogni tanto le piaceva viziarsi con il cibo e trasformava casa sua in un bel ristorante per lei e le sue amiche, ma scommetteva che quella sera non sarebbe passato nessuno da lei. Quindi avrebbe congelato il surplus. Dal forno cominciava già a spandersi il profumino dei dolcetti di sfoglia e mele e dei bignè che si alzavano lentamente. Sul fuoco si stava cucinando l'arrosto e la pasta fresca era sul tavolo ad asciugarsi. Insomma, era pronta per prepararsi a pranzare, ma mancava ancora una buona oretta per mettersi a tavola.

In tutta onestà Monica sapeva benissimo il perchè si era messa di buona lena fin dall'alba con dei lavori che di solito non si sarebbe degnata di fare per le settimane avvenire: non voleva pensare troppo a Wes. Quel ragazzino le stava facendo andare fuori orbita tutti gli ormoni che le erano rimasti. Quando lo vedeva o peggio, quando lui le si avvicinava e sentiva il suo odore, si ritrovava con una voglia pazzesca di saltargli addosso. Ma doveva assolutamente contenersi, quindi di norma, non si spostava di un millimetro e contava fino a centomila per calmarsi.

Si chiese se era normale questa fissazione per un ragazzino. Ragazzino che, oltretutto, si faceva vedere sempre più spesso con quella bella rossa al fianco. A quanto pare l'aveva ben che bene dimenticata. Maledizione, pensò, prima ci prova e poi mi lascia. Tipico di ogni uomo che ho incontrato. Sospirò per l'ennesima volta e cambiò disco nel lettore. Mise "Origin of Simmetry" dei Muse ed iniziò a saltellare per casa sulle note di "New Born" : Per lo meno si scatenava, visto che uscire e fare due tiri a canestro era escluso. Solo dei pazzi sarebbero usciti di casa quel giorno. Si chiese fuggevolemente se il giorno dopo sarebbe riuscita a restare a casa dal lavoro. Le strade erano completamente ricoperte di neve e che lei sapesse, il comune di Sunnydale non aveva spazzaneve adatti...come qualsiasi comune normale di tutta la California meridionale. La neve era sempre stata vista come qualcosa di esotico, di mondi lontani. Lei si era divertita sulla neve solo durante una settimana bianca ad Aspen con gli zii. A casa, mai era caduta.

Il forno trillò la fine del programma e lei sfornò i primi manicaretti sorridendo: la sfoglia aveva un bellissimo colore dorato e si era sviluppata perfettamente ed i bignè erano ben gonfi. Insomma, tutto preciso! Infornò il pane e si mise a pulire il piano di lavoro.

Mattew Bellamy era arrivato a "Plug in Baby" quando Monica sentì bussare alla posta di casa. Ci mise un paio di secondi a capire che c'era qualcuno fuori che attendeva di entrare.

"Chi cavolo è così pazzo?" si chiese piano, asciugandosi le mani sul grembiule. Aprì la porta e rimase a bocca aperta: davanti a lei stava Wes. Era riuscita a riconoscerlo dall'unica cosa che spuntava fuori dai vestiti, i suoi occhi azzurri come il cielo. Ai piedi indossava un paio di Moon Booth d'annata neri, un paio di pantaloni pesanti ed una giacca a vento di seconda mano verde smeraldo. Completava il tutto una sciarpa di lana fatta a mano ed un berretto ben calcato blu. Non c'era un colore che intonasse con un altro, ma Monica immaginò che Wes non avesse mai potuto fare una cernita di vestiti per essere coordinato, specie per cose così invernali che di solito lì non si usavano. Le mani erano completamente arrossate, visto che non aveva i guanti.

"Che diavolo ci fai qui? Entra o ti prenderai un malanno, sei pieno di neve." Lo fece entrare in modo che si scaldasse. "Ma sei completamente suonato? Con che criterio hai deciso di uscire oggi? Non vedi che tempo infame?" continuò imperterrita lei. Adesso che era entrato, si era ritrovata leggermente nervosa. Averlo troppo vicino era rischioso. Lui la fissò per qualche secondo. In realtà quella mattina si era svegliato con in mente un solo programma: andare da lei e baciarla. Solo che ora che era lì, gli sembrava che lei non fosse molto contenta di vederla. Le stava urlando contro di tutto perchè era uscito. Insomma, si era vestito a mille strati, qual'era il vero problema? Aveva immaginato mille e mille modi per approcciarsi in maniera perfetta, ma tutto stava svenendo. La seguì in cucina come un automa, ancora non aveva proferito verbo.

"Wes, ma sei vivo?" Domandò lei.

Wesley si tolse la giacca, rivelando un maglione pesante di lana, la sciarpa e il berretto. I capelli erano sparati da tutte le parti ed aveva il naso rosso per il freddo, eppure a Monica sembrava bellissimo.

Lui si avvicinò a lei, guardandola fissa negli occhi, le prese la testa dietro al collo e la baciò. Aveva deciso che non gli servivano parole, ma solo fatti. Monica, invece, si era sentita sopraffatta. Voleva continuare a baciarlo per ore, ma una parte di se stava protestando. Eppure il calore di quelle labbra, in contrasto con il gelo della mano che la teneva incollata a lui, non la faceva smettere. Ok, chi voleva smettere? Lei non di certo. Fu il timer del forno a riportarli alla realtà.

"Cazzo..." Sussurrò lei.

"Ho diciotto anni, adesso." rispose semplicemente lui, facendo andare in tilt il sistema cerebrale di Monica.

"Ah..." Si staccò da Wesley e chiuse il forno. "Cioè...oh mio Dio."

"Compio gli anni oggi. Sono maggiorenne, niente prigione per te." Wes le tornò vicino, praticamente non lascandole spazio per muoversi, visto che dietro di lei c'era solo il piano di cottura.

"Ma ci sono altre cose per il quale io e te...non si può." esalò lei, mentre Wesley l'accarezzava.

"Vediamo se ne trovi una." Senza esitare si fiondò su di lei a labbra aperte. Si aspettava molta più resistenza, ma a quanto pareva anche lei aveva voglia di lui.

Monica mise in soffitta i suoi buoni propositi di rimanere casta e pura e si preparò mentalmente a fare l'amore con lui, perchè sapeva benissimo che lì sarebbero giunti.

"Ma non qui, camera mia." Riuscì a borbottare nonostante lui le stesse stuzzicando il collo con la lingua. Lo prese per mano e lo accompagnò su per le scale. Arrivati nella sua stanza, Monica chiuse gli scuri, facendo piombare nella semi oscurità Wesley.

"Nessuno dovrà sapere. Almeno fino alla fine del Campionato." Decretò Monica e lui annuì. Capiva, in fondo, i suoi timori. Lei gli tolse il maglione senza esitare rivelando una camicia azzurra. Con lentezza gli aprì ogni singolo bottone. Le mani lavoravano con sicurezza, ogni dubbio era svanito. Gli accarezzò con dolcezza il petto sodo e muscoloso, ricordando quante volte aveva voluto farglielo durante allenamento. Scosse il capo, ora lo poteva fare sul serio. Wesley fece lo stesso con lei: prima le tolse il grembiule che aveva usato in cucina e poi la leggera maglia della tuta, lasciandola solo con il reggiseno nero.

Si baciarono di nuovo, questa volta con dolcezza e lentezza, in modo da poter assaporare ogni piccolo gesto. Monica gli accarezzò la schiena facendolo respirare più a fondo, mentre lui continuava l'esplorazione del corpo di lei con la bocca affamata. Si stava contenendo, se fosse stato per lui, l'avrebbe  prese e gettata sul letto quasi con violenza. Con entrambi le mani le slacciò il gancio del reggiseno, così da poterle mordicchiare i capezzoli induriti. La sentì mugolare e continuò, insinuando le mani dentro i pantaloni della tuta. Le accarezzò le natiche scoperte.

"O ti dai una mossa, o ti violento io." Gli mormorò Monica all'orecchio. Wesley si mise a ridere e la fece distendere sul letto. Lui troneggiava su di lei e, mentre la fissava, si tolse la cintura e fece scendere i pantaloni. Fu Monica a togliergli i boxer per poter vedere finalmente la sua virilità pronta per lei. Wes le accarezzò le gambe  e si posizionò fra di loro aprendogliele il più possibile. Monica attese praticamente senza respirare: era da mesi che non faceva sesso, specie con un uomo che le piaceva così tanto come lui. Era una sensazione molto strana, come se non aspettasse altro da tempo immemore. Da quanto lo voleva? Smise di farsi domande quando lui la penetrò senza sforzo: era così eccitata da non avere problemi n quello.

"Cazzo, è perfetto." Si ritrovò a dirgli.

"Già. Meglio di qualsiasi cosa abbia mai pensato." Wes prese a muoversi dentro di lei lasciandole delle spinte vigorose: non aveva voglia di andare piano, voleva possederla fino in fondo il prima possibile. E Monica si stava stupendo di quanta capacità avesse lui, non se lo era proprio immaginata.

L'orgasmo si stava formando in lei. Lo prese di nuovo per le labbra, aveva troppo voglia di baciarlo ancora. Strinse le gambe attorno alle sue anche permettendo un'angolazione ancora più stimolante. Si sentivano completi, perfetti, uniti finalmente.

Wesley capì che il rilascio era imminente, così insinuò una mano tra di loro, in modo da andare ad accarezzare la piccola clitoride sensibile di Monica. Voleva venire assieme a lei, voleva sentirla urlare il suo nome. Prese a picchiettarlo e, così facendo, sentì che il corpo di lei reagiva, stritolandogli il membro ancora duro. Con una stimolazione del genere perse completamente il controllo e prese a muoversi ancora più veloce.

Monica urlò: troppo tempo era passato da quando si era scatenata in quella maniera e ne aveva assolutamente voglia. Fu Wes a farla smettere, rapendole la bocca per un bacio profondo ed intimo.

Smisero solo per riprendere fiato.

"Però, mica male..." rantolò lei, mentre Wesley rotolava al suo fianco. Aveva di nuovo voglia, ma non voleva fare la parte dell'ossesso. Le baciò le spalle e lei miagolò soddisfatta, tanto che lui la guardò spiazzato.

"Miaooooo! Mi ci voleva proprio." Si girò verso di lui e gli sorrise. "Sei contento?"

"Parecchio." Monica perse il sorriso e si rabbuiò. "Che hai?"

"Mi domandavo... La tua ragazza?"

"Chi? Io non ho nessuno."

"E quella Rossa?" Lui rise quando capì di chi lei stava parlando.

"Quella è solo Virginia. E' una mia amica." Lei lo guardò scettico e quindi Wes si spiegò. "Lei mi serviva solo per farti ingelosire. Sai, farmi vedere da te con un’altra donna doveva farti capire quanto io ti piacessi." Monica lo fissò incredula.

"E di chi è questa idea geniale?"

"Di Spike."

"Hai parlato di me a Spike?" la voce le era uscita di una tonalità più alta.

"No, ovviamente no. Era tutto in senso lato. Gli ho solo detto che ero innamorato e che mi serviva conquistare questa donna fantomatica. Lui ha proposto di far leva sulla gelosia, ma mi sa che ha funzionato poco." Monica decise di non dar soddisfazione a Wes dicendogli che in parte il loro progetto aveva anche funzionato: in effetti vederlo con quella Virginia le dava fastidio.

Sentì sulla coscia che Wes era ben pronto ad un secondo Round e decise che lo era anche lei.

 

Era pomeriggio inoltrato e la luce si stava affievolendo ad ovest. La neve aveva smesso di scendere e loro erano ancora mollemente distesi a letto a parlare e coccolarsi. Era parecchio strano, per Monica, confidarsi con un ragazzo giovane come lui, ma doveva ammettere a se stessa che lui era decisamente più adulto rispetto a molti uomini che aveva conosciuto in precedenza e che per età avrebbero dovuto essere più grandi. Sospirò al pensiero.

"Che succede ora? Nuovi ripensamenti?" domandò Wesley. Per lui quella giornata era stata perfetta, non importava che sarebbe dovuto tornare a casa da sua madre, da quella mattina stava facendo l'amore con la donna che amava. Si sentiva il re del mondo.

"No, tranquillo. Tanto ormai che ripensamento posso avere? E con che diritto potrei parlarne, visto che sono nuda e placidamente distesa a fianco a te. Sarebbe come minimo ipocrita e io non lo sono. Stavo semplicemente pensando."

"A cosa?"

"A te."

"Oh, e a cosa sei giunta?" Monica rise.

"A nulla. Cioè, ho capito che sei un ragazzo pieno di doti..." E così dicendo fece guizzare malandrina la lingua fra i denti.

"Ti ringrazio."

"Sono io che ringrazio te...infatti mi chiedevo proprio dove hai imparato a farlo così bene. Insomma, sei piuttosto giovane."

"Diciamo che ho avuto una brava insegnante." Monica lo fissò incuriosita. Quella parte di Wesley era decisamente intrigante.

"Parlamene!"

"Avanti... che ti interessa?" L'occhiata di lei fu più che sufficiente: le interessava! "Dunque, lei si chiama Lilah. E' una studentessa dell'UCLA a Los Angeles, giurisprudenza."

"Sempre più grandi di te."

"Che vuoi che ti dica, mi piacciono le vecchie." Monica gli diede un pungo e lui si mise a ridere forte. "Lo sai che scherzo. Comunque, ogni estate, da quando mio padre è morto, venivo mandato ad un campus estivo di due settimane. Ero sempre con ragazzi che avevano i miei stessi problemi e quindi puoi immaginare che aria felice si respirava laggiù. Ognuno di noi veniva accompagnato da un tutor. La mia tutor era una simpatica signora che ad un certo punto, non venne più. Era rimasta incinta." Wes si perse un attimo nei suoi pensieri. "Mi voleva bene, credo che mi vedesse un po' come quel figlio che cercava di avere. Quell'anno arrivò Lilah: lei aveva vent'anni, io sedici. Era stata mandata lì perchè aveva bevuto qualcosa di troppo al campus: in definitiva doveva fare del lavoro socialmente utile e quale maggior utilità se non badare ad un ragazzo stufo del mondo?"

"Bhe, almeno è stata fortunata: ha guardato le spalle ad un bel ragazzo." e lo baciò all'incavo della clavicola.

"Grazie. All'inizio lei non sopportava me e io non tolleravo lei...poi le cose sono cambiate. Il tutto si è ripetuto un anno dopo."

"Di nuovo problemi di alcool? Dovrebbe farsi vedere la ragazza." Fu Wes a ridere.

"No, la seconda volta è entrata come volontaria. Ci siamo messi d'accordo di vederci di nuovo. Ci troviamo bene assieme, ci sentiamo qualche volta... anzi, ora che ci penso, la chiamerò. Devo avvisarla che questa estate non ci sarò al campo. Se Dio vuole, non ho più l'età per farmi trascinare la."

Monica si stiracchiò lasciando intravedere la parte superiore del seno dal lenzuolo.

"Quindi dobbiamo ringraziare Lilah. Bhe, grazie cara."

"E tu che mi dici di te? Nelle nostre chiacchierate non mi hai mai raccontato dei tuoi uomini e delle tue storie."

Monica si voltò verso di lui e lo osservò: in effetti aveva ragione.

"Non c'è molto da dire. Di storie serie ne ho avuta solo una e mi è bastata per lungo tempo. Ho avuto qualche scopata passeggera, ma nulla di più. Sto aspettando il grande amore, quello che sconvolge e cambia la vita, quello che non torna mai nel tempo. Insomma, il grande amore."

"Ci sono io qui." Monica rise, lasciando il ragazzo di stucco.

"Wesley, non puoi essere tu."

"E perchè no?

"Tu quest'anno finisci la scuola e poi? Non volevi andartene ad Harvard? Con le tue doti e le tue capacità puoi avere qualsiasi borsa di studio per qualsiasi college della Nazione. E tu ti fermeresti qui a Sunnydale? Non farmi ridere."

"Potrei farlo." mormorò lui serio. Monica lo guardò con dolcezza e gli accarezzò il mento.

"Non lo puoi fare. Non sarebbe giusto. Non c'è donna al mondo che mai dovrà farti cambiare le tue priorità. Nè io, nè qualsiasi altra, siamo intesi?"

"Io ti amo, lo faccio ben che volentieri se tu resti con me." Si fissarono a lungo: Wes era arrossito a quella confessione e Monica si era sentita splendida in quel momento: ok, Wesley era un ragazzo di diciotto anni, ma era meglio di qualsiasi altro uomo avesse incontrato.

"Wes, stammi bene ad ascoltare, questa è una cosa seria. La situazione a casa tua è quella che è. Ed è logico, quindi, che tu voglia andartene da lì. Ma se tu ti leghi a questo posto, non te ne potrai mai andare veramente. Sono lusingata dalle tue parole, veramente, ma non puoi basare la tua vita su di me."

"Dimmi solo una cosa e poi non torno più sull'argomento." Fece lui "Tu mi ami?"

"Ti voglio bene, ma l'amore è qualcosa di più. Chissà, forse un giorno mi innamorerò di te, ma fino ad allora..."

"Me lo farò bastare." Finì filosoficamente Wesley. In fondo quella rimaneva lo stesso la cosa migliore della sua vita.

Quello che Monica gli aveva detto era vero, in effetti. Lui voleva andarsene dalla California. Aveva fatto domanda ad Harvard ed era stato accettato con una borsa di studio per merito da far girare la testa. Nulla lo poteva fermare, nulla, eccetto lei. L'idea di non vederla lo faceva stare male, come se non riuscisse più a respirare. L'aveva voluta, la voleva e l'avrebbe voluta ancora. In fondo lo sapeva che anche lei lo amava, doveva solo rendersene conto. La parte razionale stava avendo il sopravvento su quella emotiva, ma lui sapeva, anzi sperava, di riuscire a farle cambiare idea.

Nel frattempo le prese in bocca un capezzolo per farla gemere senza esitazione, tornarono a fare l'amore. Di discorsi seri, c'era tempo in futuro.

 

CAPITOLO DICIASSETTE

 

Ormai tutta la città era in fermento. Quel sabato pomeriggio si sarebbe giocata l'ultima fatidica giornata del campionato Juniores maschile. Il derby di Sunnydale tra i Red Fox e i Black Panters avrebbe decretato quale delle due squadre sarebbe arrivata prima e avrebbe così avuto il diritto di partecipare alla fase finale del campionato di stato della California.

Fin da lunedì Monica aveva intensificato gli allenamenti, in modo che i ragazzi non arrivassero a quel grande appuntamento impreparati. La ragazza aveva avuto paura che loro non la prendessero molto sul serio, invece sembrava che tutti quanti volessero cancellare la sconfitta dell'andata. E lei ne era enormemente contenta. Voleva che dessero il massimo per non pentirsi di nulla alla fine dei quaranta minuti. Tutti loro erano concentrati al massimo, anzi, spesso era lei che vagava con la mente. Non riusciva a fare a meno di seguire Wes in ogni suo più piccolo movimento.

Ormai la loro presunta storia continuava clandestina da più di due mesi. Si incontravano quasi sempre da Monica, dato che viveva da sola e abbastanza isolata rispetto al loro quartiere. Parlavano per ore, lui si sfogava dopo che passava a casa e trovava sua madre che farneticava. Wesley non riusciva a capire che cosa le stava accadendo: c'era stato un periodo in cui sembrava che le cose andassero finalmente per il verso giusto, poi era peggiorata così tanto che i servizi sociali stavano discutendo di portarla direttamente in istituto. E lui? Come avrebbe fatto a pagarla questa casa di cura? Monica lo stava aiutando, almeno psicologicamente, a non pensarci troppo, ma i problemi rimanevano e nessuno sapeva dargli una risposta.

Chi invece faceva un sacco di progressi, era Cordelia: il lavoro del dottor Webster era ancora lungo, ma lui era piuttosto soddisfatto. C'erano delle volte in cui la ragazza urlava e piangeva di rabbia, altre in cui sembrava decisamente felice: erano le sedute in cui Cordelia si sbottonava su Liam. Era contenta che il ragazzo le stesse vicino, tanto che ormai alle feste facevano coppia fissa. Entrambi si affrettavano a dire che non stavano assieme e in effetti non si erano mai palesati i loro sentimenti, ma di certo le cose funzionavano sempre meglio.

"Perchè tu e lui non state assieme? Cosa vi frena?" Chiese Willow a Cordy, mentre mangiavano in mensa. La rossa aveva il vassoio stracarico di cibo, mentre Cordelia si dedicava ad una scarna insalata con il tonno o con qualcosa che doveva assomigliare al tonno per il cuoco. Doveva ricominciare a mangiare, ma lo voleva farlo con calma.

"Non è una questione di essere frenata..." iniziò a spiegare la mora "...è che noi siamo solo amici." Willow la guardò scettica: lei a questa storia dell'essere amici ci credeva veramente poco. "Lui si è appena lasciato da Darla, è ancora in fase di stallo."

"Ma quale stallo! Quello ha dimenticato la Hopkins appena l'ha scaricata. Siete solo due ciechi e vi rincorrete l'un con l'altra." Cordy la fissò strabiliata.

"Scusami, ma tu da quando sei diventata una specialista in questioni di cuore?"

"Bhe, una cresce...una cambia." Si difese lei.

Mangiarono un po' in silenzio, fregandosene delle occhiate di scherno che le lanciavano alcune ragazze.

"Sai, in realtà sono anche io molto frenata sulla questione Liam." cominciò Cordelia, smettendo di sgranocchiare una foglia di insalata. Willow non fiatò per non far perdere alla sua amica il filo del discorso. "E non è Darla a frenarmi. Lei non può farmi proprio nulla, tanto sono già abbastanza caduta in disgrazia a scuola... ma ho capito che non mi interessa poi così tanto la popolarità, visto che le persone che avevo vicino sono risultate parecchio false. Ciò che veramente mi blocca con Liam, è la mia situazione. Non sono sicuramente a posto, mi sto ricostruendo ed averlo vicino è veramente..."

"Rassicurante?" Finì Willow per lei e Cordy annuì.

"Decisamente. Però lui...noi, non abbiamo mai parlato di sentimenti. Ci lega l'amicizia e questo è palese, ma lui non mi ha mai dimostrato un altro tipo di interesse. Io ho paura di legarmi troppo a lui. Se poi io ci provo e lui mi dice di no? Poi ci resto di merda e...non vorrei rischiare una ricaduta."

"E se invece ti dice di sì? Hai mai pensato a questa possibilità?" Cordelia arrossì leggermente e sorrise.

"Certo che ci ho pensato, ma non posso permettermi di fare strani sogni ad occhi aperti."

Willow annuì finendo di bere il suo succo, senza accorgersi che da dietro arrivava Oz, che in velocità la cinse per i fianchi lasciandole un bacio sul collo.

"Daniel! Mi fai sollettico." Rise lei, con Cordy che alzava gli occhi al cielo: ormai i due rossi erano diventati la coppia d'oro della scuola. Erano quasi sempre insieme e sembravano veramente ben assortiti. Provò una punta di invidia per loro, perchè le mancava un sacco una sensazione del genere.

"Buongiorno belle ragazze." Disse Oz guardando anche la mora che decideva di smettere di mangiare.

"Ciao Oz. Come mai così tardi? Di solito non sei qui prima degli altri a preparare il posto per la tua principessa?" Fece lei scherzando.

"Avrei voluto, ma Andrew mi ha bloccato."

"Che voleva?" domandò Willow.

"Oltre a giocare a pallacanestro, lui è anche uno degli organizzatori del ballo di fine anno. Mi ha domandato se potevo suonare durante il ballo. Devo parlarne con i miei compagni di gruppo, ma potrebbe essere una buona idea per fare qualche soldo."

I tre restarono insieme a parlare di scuola e partita ancora per un po', poi la campanella suonò e si avviarono verso le loro rispettive classi.

 

Spike era ormai distrutto: mancavano solo due giorni alla partita più importante per lui, non solo per la questione "Campionato", ma, soprattutto, per la sua rivincita personale contro Parker. Non si era assolutamente dimenticato il canestro finale che non era riuscito a segnare e questa volta voleva assolutamente infilarlo.

Prese il pallone che era finito sul ferro dell'anello del canestro del campetto dietro casa e si fermò: Monica gli stava facendo fare allenamenti molto serrati. Gli piaceva molto, la stanchezza l'aiutava a farsi passare il nervosismo che ora dopo ora gli cresceva nello stomaco. Solo che quando si fermava a fare altro, la sua mente andava direttamente alla partita e tornava ad essere nervoso. Proprio per quel motivo, in quel momento stava dando l'anima a tirare praticamente da tutto l'arco dei 6,25*. Sospirò sperando che il giorno della verità arrivasse quanto prima. A casa sua, poi, erano tutti in frenetica attività per preparare il matrimonio, ormai si avvicinava anche quello. Lui e suo padre erano andati già a prendersi i vestiti, quindi per lui tutto ciò che era importante, era terminato. Sorrise ripensando alla particolare offerta che gli era stata fatta: fare da testimone a Rupert. Ormai aveva diciotto anni compiuti, quindi nessuno poteva opporsi, solo che a lui faceva strano fare da testimone alle nozze del proprio padre. Aveva, ovviamente, accettato.

Ma ora doveva pensare a sabato e alla sua benedetta gara. Riprese a correre, senza accorgersi di un paio di occhi che lo fissavano incuriositi: Buffy lo guardava molto interessata. Conosceva un po' di pallacanestro, magari non come Willow, ma Parker le aveva insegnato qualcosa. Spike aveva un tiro che rasentava la perfezione: era leggiadro, si appoggiava quasi solamente sulle punte dei piedi e piegava le gambe al minimo per darsi potenza. E poi aveva la mano che ormai si incollava al pallone, il polso si spezzava perfettamente dando alla palla la parabola migliore per entrare nel cerchio. Insomma, anche per lei che ci capiva poco, la tecnica di Spike era bellissima.

Non sapeva più cosa pensare riguardo ai suoi sentimenti per l'ossigenato: lo trovava intollerabile, eppure molto spesso si ritrovava a ridere e scherzare con lui, oppure semplicemente a parlare di cose serie. Aveva imparato che Spike era, sotto la superficie di rompiscatole sarcastico che lui cercava di dimostrare appieno, un ragazzo molto sensibile e per alcune cose, molto più adulto. A casa sua stava passando un uragano di cambiamenti grazie all'abbandono di suo padre. Joyce aveva iniziato a dare un po' di matto e Buffy non sapeva dove sbattere la testa. In quei momenti si ritrovava a telefonare a Spike o incontrarlo da qualche parte e tempestarlo con i suoi dubbi e paure e lui rispondeva tranquillo come se già sapesse di cosa si parlava. In effetti lui lo aveva passato parecchi anni prima con suo padre e per fortuna era tutto finito.

Lo vide fare una schiacciata poderosa e lo applaudì.

"Complimenti, sei proprio bravo." gli disse e lui sorrise.

"Lo so, non sono male. E sarò ancora meglio sabato." Spike bevette un lungo sorso d'acqua dalla sua bottiglietta e si sedette a terra per riposare.

"Lo spero. Ho proprio voglia di vedere un grande spettacolo."

"Vieni?"

"Certo, sarò vicino a Willow e immagino Cordelia. Ormai lei fa terzetto con noi." Spike sorrise dolcemente.

"E' una brava ragazza, in fondo, solo che girava con brutte compagnie...un po' come una biondina di mia conoscenza." Buffy gli diede un leggero pugnetto sulla spalla, sentendosi interpellata. "Eheheh, coda di paglia, eh Hobbit?"

"Zitto Ossigenato! Solo perchè ho sbagliato una volta sarò tormentata a vita."

"Ovviamente."

I due restarono in silenzio per un po', immersi nei loro pensieri, contenti di essere così vicini, fino a quando meno di qualche mese prima non si sopportavano neppure.

Fu Buffy a rompere il silenzio.

"Senti...a breve c'è il ballo della scuola."

"Sì, lo so, Willow non fa che ripetermelo, dato che ci va con Oz.. è un disco rotto ormai." Buffy rise pensando alla sua amica e non invidiava per nulla il ragazzo.

"Che ne dici se ci andiamo assieme?"

Spike la fissò ad occhi spalancati: ci aveva sperato così tanto di andare in una situazione mondana con lei, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo, in barba alla sua solita baldanza. Invece ora era lei ad aver preso l'iniziativa.

"Il gatto ti ha mangiato la lingua?" domandò lei, sfottendolo. Non voleva ammetterlo, ma per chiedergli quella piccola cosa, aveva dato fondo a tutta la sua intraprendenza. sentiva che le tremavano le gambe e non riusciva a capire il vero perchè.

"Certo che no, passerotto, solo che mi hai stupito. Ti ci porterò volentieri e ti stupirò con effetti speciali." Risero assieme e lui si alzò aiutando anche lei. Tirandola verso di sè, finirono uno addosso all'altro. Buffy arrossì leggermente mentre si ritrovava incatenata agli occhi blu di lui che la guardava affamato. La ragazza si ritrovò con il cuore che batteva all'impazzata e le gambe di ricotta. Con la gola secca mormorò:

"E' meglio che vada...ho....uhmm... gli allenamenti."

"Ok" Fece lui lasciandola andare. "Ci vediamo sabato alla partita, allora."

"Preciso!" rispose Buffy, che quasi scappò da lui e, in definitiva, dai suoi sentimenti, come una lepre.

Spike sorrise malizioso guardandola: le cose sarebbero diventare interessanti.

 

La palestra l'accoglieva silenziosa: Monica era arrivata parecchio in anticipo all'appuntamento con i suoi ragazzi ed ora era seduta sulla panchina a guardare gli spalti ancora tristemente vuoti. Sapeva benissimo che a breve si sarebbero riempiti di ragazzine urlanti e genitori che avrebbero tifato allo spasimo, forse pure troppo.

Si tormentò per l'ennesima volta le unghie ormai distrutte dai suoi denti: non riusciva a ricordare un momento più nervoso di quello. Praticamente quasi tutta la sua stagione agonistica si sarebbe giocata di li a un'ora. Bhe, non poteva di sicuro rimproverarsi di nulla, aveva allenato quei ragazzi in maniera egregia, li aveva fatti crescere, sportivamente, a livelli cui nessuno immaginava.  Era molto soddisfatta.

Si alzò dalla sua panchina ed iniziò a collegare i fili per il tabellone centrale e gli strumenti dei ventiquattro secondi, in modo che quando gli arbitri sarebbero arrivati, avrebbero trovato tutto in perfetto ordine. Riuscì anche a collegare l'impianto stereo gentilmente prestato dalla signorina Kennedy del pattinaggio, agli autoparlanti della palestra, così da poter far ascoltare a pubblico e giocatori della musica pre gara. Aveva fatto scegliere ad ognuno dei membri della squadra una canzone tra le loro preferite per fare quella compilation. Voleva che ascoltassero qualcosa che gli desse la carica ed erano venute fuori cose dell'altro mondo: Andrew e Jonathan si erano buttati su colonne sonore di film e cartoni animati, mentre Spike aveva scelto un classico del punk inglese con i Sex Pistols. Rap da strada per Gunn e raggae per Robin. Oz e Xander, più classici nelle scelte, erano caduti su un rock melodico con U2 e Pearl Jam; Liam, in onore alle sue radici irlandesi, aveva richiesto gli Ash e Wesley qualcosa del suo gruppo preferito, i Nirvana. Insomma un bel pur-pourrite musicale che alla fine soddisfaceva tutti, inframmezzando qualcosa di metal duro per Illyria e di elettronico per Monica. Insomma, ottima musica. Ora mancava solo un'ottima partita.

Si stupì quando si ritrovò davanti alla sua amica e collega: di solito non arrivava mai puntuale.

"Ciao Illy."

"Ciao. Che c'è? Mi sembri quasi delusa dal vedermi. Pensavi che non venissi?" Chiese lei aiutandola a portare la cesta dei palloni in campo.

"Ma figurati, non mi aspettavo di vederti così presto, altrochè." Lei fece spallucce.

"Che vuoi, a casa mi annoiavo da morire ed ero troppo nervosa: meglio venire qui e fare due interessanti chiacchiere con te, visto che è una vita che non ne facciamo come si deve. Sei sempre di corsa, ultimamente." Monica scosse il capo sospirando.

"C'è un casino che non ti dico al lavoro. L'azienda rischia di chiudere e noi siamo piuttosto in agitazione."

Le due si sedettero tranquille per parlare meglio.

"La cosa peggiore è l'incertezza. Se almeno devono chiudere, che almeno ce lo dicano, così intanto mi cerco qualcosa di altro da fare, invece ogni mattina mi presento la e spesso non so che devo fare. Ma parliamo d'altro, ti prego."

"Giusto, avevo proprio voglia di chiederti qualcosa..." Fece Illyria scrutandola con i suoi occhi di ghiaccio.

"Spara."

"Ti vedi con qualcuno!" Esclamò sicura. Monica la fissò a bocca aperta.

"E tu co...cioè, che cavolo dici?"

"Avanti, come se non ti conoscessi. Ormai ti fisso da un po' e mi sembri più rilassata, più radiosa, quindi o la vita è perfetta, oppure ti sei trovata un ragazzo...o almeno fai abbastanza sesso per sentirti bene." Monica arrossì furiosamente. "Oddio, ti ho fatto arrossire? E da quando? Mi sa che questa è una cosa seria."

"Ma quale seria, figurati!" Si lasciò scappare l'interpellata. Illyria alzò un sopracciglio e Monica si arrese.

"Ok, ho una specie di storia, contenta?"

"Parlamene, sono curiosa."

"Come va con Knox?" cercò di glissare la mora, sapendo che questo era un argomento su cui Illyria era ben felice di discutere, non questa volta.

"Splendidamente, ma non ci casco. Chi è lui?"

"Non mollerai, vero?"

"Mai, lo sai, ma ho una certa idea su chi sia il fortunato." e così dicendo fece vagare lo sguardo verso l'entrata, dove Wesley e Spike stavano discutendo prima di entrare in spogliatoio. Wes le salutò sorridendo a Monica.

"Che non lo sappia nessuno, per favore." fece Monica.

"Certo, per chi mi hai preso? Comunque, come vanno le cose con lui?"

"Direi bene, anche se a breve credo che finirà. Abbiamo due vite troppo differenti per poter far funzionare questa cosa." e sospirò.

"E a te non dispiace?"

"Da morire, ma che ci posso fare?" le due si guardarono e decisero di accantonare quei discorsi per il momento: presero un pallone a testa ed iniziarono a tirare per scaricare i nervi, mentre i loro avversari facevano il loro ingresso. In testa c'era Parker che guardava la palestra con il suo solito sguardo arrogante. L'allenatore, con poche parole, gli ordinò di andarsene in spogliatoi e di cambiarsi in fretta. Andò anche da Monica per salutarla come si doveva.

"Bene, siamo arrivati alla fine."

"Già, che vincano i migliori."

"Buona gara."

Monica ed Illyria decisero che era il momento di andare a parlare con i loro ragazzi. Li trovarono praticamente tutti pronti, solo alcuni si stavano ancora allacciando le scarpe.

"Sedetevi tutti." Ordinò Monica. "Non credo di potervi insegnare nulla nel tempo che manca alla gara. Ognuno di voi ha dato il meglio di sè in quest'anno e in questa settimana avete decisamente sputato sangue, cosa che mi ha reso felice, perchè mi ha fatto capire che ci tenete molto a vincere. Onestamente non so se vinceremo, ma di una cosa sono sicura: darete tutto in campo, perchè è per questo che siamo qui." li guardò uno ad uno, sorridendo leggermente a Wesley. "Partiranno i soliti cinque. Voglio che Parker sia marcato faccia a faccia come all'andata da Wes. Gli altri dovranno contare che lui non aiuterà in difesa perchè si occuperà solo del loro MVP. L'altra volta non è arrivato neppure in doppia cifra e ci tengo che accada esattamente la stessa cosa." Lui annuì.

"Gli altri mantengano tranquillamente le stesse marcature, eventualmente le cambiamo a partita iniziata." Prese un respiro profondo. "Per quanto riguarda l'attacco... allora, mi aspetto molto dagli esterni. Hamilton e Walsh sono due bestioni di razza. Per Liam e Xander sarà difficile giocare, quindi toccherà a Spike ed Oz pungere da lontano. Ovviamente sarebbe un bel aiuto se anche tu, Wes, provassi qualche tiro, giusto per far capire che anche tu sai essere pericoloso." Guardò Illyria che fissava, invece, i ragazzi davanti a lei. Anche quel giorno aveva indossato il suo completo da battaglia, cioè pantaloni e giacca nera di pelle con Doc's Martins ai piedi. Monica si chiedeva sempre se lo faceva perchè stava comoda o se perchè voleva darsi un'aria da dura. Di certo intimoriva parecchio la gente. "Comunque noi dalla panchina faremo di tutto per aiutarvi al massimo. Cercate di non attaccar briga con gli altri, dato che è risaputo che non sono mai molto gentili con gli avversari e, per l'amor del Cielo, non discutete neppure una volta con gli arbitri. Per questa gara non ci sono andati male, ma Steve è piuttosto severo. Bravo, ma a volte fin troppo puntiglioso. Alex, invece, è buono, ma non stuzzicatelo troppo, ok?"

Fecero insieme l'urlo di incoraggiamento e poi scesero sul parquet a scaldarsi. Le tifoserie erano arrivate e quelle di casa erano già scatenate: avevano portato decine di striscioni e già cantavano urlavano per incoraggiarli.

"Arrivo subito, vado in bagno." Disse Monica alla sua vice. Era la centesima volta che ci andava, tutta colpa del nervosismo. Quando uscì si trovò Davanti Wesley che la guardava sorridendo.

"Tutto ok?"

"Dipenderà dal risultato di questa partita." Rispose lei lavandosi le mani. Wesley, stando attento che nessuno lo vedesse, la abbracciò da dietro e la girò verso di sè.

"Andrà tutto bene, vedrai."

"Lo spero, mio Capitano." e gli diede un leggero bacio sulle labbra. "E ora a correre!"

Intanto, sulle gradinate, arrivò Anya in tutta fretta. Salutò in velocità Xander che l'aveva vista da sotto canestro e si andò a sedere vicino a Willow

"E io che pensavo di essere tardi." Borbottò la bionda.

"Tranquilla, sei giusta." rispose Cordelia. Come aveva previsto Buffy, si erano trovate tutte assieme a tifare per i Red Fox. All'entrata si erano scontrate con Darla che non aveva perso tempo a screditarle il più possibile: quella volta non avrebbe tifato per Liam, bensì per Parker, visto che ormai stavano assieme. Entrambi si erano consolati assai in fretta dalla loro rottura. Cordelia non aveva battuto ciglio, mentre Buffy si era diretta senza esitazioni al suo posto. Sperava proprio che Spike desse una bella lezione al suo ex.

Guardandolo in campo, non riuscì a trattenere un sorriso dolce: i capelli ossigenati scintillavano quasi di luce propria, mentre tirava a canestro con facilità. Era incredibilmente concentrato e serio e non ricordava di averlo mai visto in quello stato. Le sarebbe piaciuto molto aiutarlo a distendersi un po'... Arrossì violentemente quando si rese conto che tipo di pensieri stava facendo.

"Buffy stai bene?" domandò Willow vedendola.

"No. Credo di aver appena realizzato che mi piace Spike, ma questo so che deve essere impossibile, dato che è il ragazzo più irritante che io abbia mai conosciuto." Cordelia si mise a ridere di gusto, senza rendersi conto che due occhi scuri e profondi la osservavano dal basso. Liam per la prima volta si sentiva come realizzato: vedeva la sua amica stare così bene che nulla in quella giornata poteva farlo stare male. Si rese immediatamente conto che avrebbe giocato la sua partita migliore, del resto con Cordy così sorridente come poteva andare male?

Monica fece fare loro ancora qualche esercizio di riscaldamento: sperava vivamente che tutto quello servisse per la gara. Fissò Parker che tirava da tre punti e si augurò che Wesley tirasse fuori dal cilindro la prestazione perfetta per fermarlo: era un ragazzino insopportabile, ma purtroppo per loro era anche un vero campione. Era bravo, ma lei poteva sperare che la sua baldanza lo facesse sentire abbastanza pieno di se da sbagliare. Poi scrollò il capo: era inutile in quel momento fare tattiche, poteva solo giocare. In quel momento il primo arbitro, Steve un suo amico, fischiò i tre minuti.

La partita era ufficialmente iniziata.

 

*Per chi non lo so, l'arco dei 6,25 m è la linea da cui il tiro è di tre punti.

 

Capitolo diciotto

 

Il primo canestro di Xander aveva fatto esplodere tutto il palazzetto: Liam, sul salto a due, aveva spedito la palla direttamente in mano ad Oz che, visto lo scatto repentino di Xander dal cerchio di centro campo all’area,  aveva fatto un passaggio telecomandato, in modo che l’ala potesse segnare senza difficoltà. Era stato qualcosa di beneaugurante, almeno così sperava Monica.

Certo, la tecnica degli avversari rendeva tutto molto difficoltoso. I Black non si erano persi d’animo ed avevano immediatamente imbastito un’ottima azione di contrattacco.

“Santo cielo, sono così nervosa…” fece Willow nervosa mentre si torceva le dita.

“A chi lo dici.” Mormorò Cordy intenta ad osservare Liam  che difendeva su Hamilton cercando di non farsi battere nel gioco a spalle a canestro.

Buffy era così agitata che non riusciva neppure a parlare. Aveva visto come Parker l’aveva squadrata e sperava che non provasse a fare qualche scherzetto a Spike, visto che era stato proprio il biondo ad aiutarla nel retro della palestra quando lei aveva voluto troncare.

Oz segnò un tiro da tre facendo saltellare felice la sua ragazza. I Panthers avevano adottato la stessa strategia dei Fox, marcare alla morte l’MVP, cioè Spike, che per ora non era ancora riuscito a trovare la via del canestro. Stessa sorte era accaduta a Parker che iniziava già ad innervosirsi con Wes: Monica non aveva perso una gomitata sotto canestro dall’uscita da un blocco che il play avversario aveva rifilato al suo ragazzo. In quel momento si era voltato verso l’arbitro di competenza, ma lui non sembrava essersi accorto di nulla. Monica ragionò sul fatto che Parker era veramente una brava carogna: fare fallo senza essere visti non era cosa da poco.

“Ti conviene lasciarmi strada Pryce, o ti farò molto male.” Sibilò Parker a Wes.

“Devi solo provarci.” Rispose lui mettendosi in posizione.

Parker, ritrovatosi senza possibilità di avanzamento, passò la palla a Lindsay che fece ripartire il gioco.

Entrambi i play stavano dando delle ottime direttive, ma Oz aveva tirato fuori dal suo cilindro personale un paio di passaggi eccezionali che erano riusciti a sbilanciare completamente la difesa, permettendo prima a Liam e poi a Xander di segnare da sotto.

L’allenatore dei Panthers chiamò minuto.

“Ok, ragazzi, state andando benissimo.” Iniziò Monica facendo sedere i suoi giocatori. “state attenti ora, è probabile che cambieranno difesa.”

“La sfoggiamo ora l’arma segreta?” Domandò Spike temendo quello che Monica gli aveva chiesto di fare durante l’allenamento.

“Non ancora, è troppo presto. La useremo se e quando saremo in svantaggio e tutto il resto non funzionerà. Voglio tenerla proprio come carta finale. Allora, ricordatevi, se fanno pressing tutto campo, Liam ti voglio nel cerchio di centro campo pronto a fare da ponte. Rimessa di Wes. Tu e Spike dovrete aiutare Daniel a portare su la palla. Xander, bello largo sotto canestro, pronto a prendere i passaggi lunghi. Se, invece, si mettono a zona, ricordatevi le posizione: cercate di coprire i buchi, penetrazione e scarico chi ha la palla.” L’ufficiale di campo fischiò la fine del minuto. “Chi è senza palla deve cercare di muoversi per mandare in confusione gli avversari.” I ragazzi si alzarono e tornarono in campo fra gli applausi dei loro compagni in panchina: Andrew, Robin, Jess e gli altri, stavano urlando come dei pazzi. Quel giorno nessuno si era preso l’onere di tenere un scout, volevano tutti godersi la partita fino all’ultimo secondo.

Ritornando in campo, come Monica aveva previsto, l’altra squadra aveva deciso di cambiare difesa: dato che l’allenatore si era ritrovato alcuni giocatori gravati di troppi falli, aveva deciso di metterli a zona pari, 2-3*, sperando così, di limitare i danni. Fu grazie a quel cambio, che finalmente Spike riuscì a segnare il suo primo canestro da tre, dall’angolo. Esultò indicando gli spalti verso Buffy che si ritrovò con qualche paio di occhi maliziosi che la fissavano: quella dichiarazione così esplicita l’aveva fatta arrossire.

“Oh, a quanto pare le cose tra hobbit e ossigenato sono cambiate.” Fece Anya schiettamente. “Avete già fatto sesso?”
La bionda strabuzzò gli occhi diventando ancora più fucxia.

“Ma tu sei pazza? Tra me e lui ancora non c’è nulla.”

“Ancora?” Rincarò la dose Cordy sorridendo. Boffy scosse la testa e cercò di ritornare a concentrarsi nella partita.

Poco distante una scatenata Jenny stava urlando per il suo futuro figlioccio con un sorpreso Rupert che non si aspettava questa esplosione da parte sua.

“Cavoli, non mi avevi detto che era così bravo!” fece lei sedendosi.

“Devo ammettere che dall’ultima volta che l’ho visto giocare è migliorato nettamente. Bhe, con tutto quello che si è allenato quest’anno, non mi stupisce per nulla.”

Il cronometro decretò la fine dei primi venti minuti di gara: tutti i giocatori andarono negli spogliatoi per riposarsi un po’. Negli ultimi due minuti i Panthers avevano preso un vantaggio di una decina di punti, approfittando di un paio di errori. Monica li vide tutti avviliti e si morsicò un labbro pensando.

“Forza, dai. Non va male. Dobbiamo solo cercare di non fare più quegli errori del finale. Adesso torniamo in campo con determinazione e arriviamo alla parità.” Non era quello il momento per fare discorsi tattici e tecnici, serviva soltanto cercare di non farli cadere troppo nel baratro. Dieci punti in venti minuti erano una bazzecola e recuperare sarebbe stato facile, serviva solo non deprimersi e non abbandonare le speranze.

“Spike, so che non è facile, marcandoti faccia a faccia così forte ti hanno tolto il ritmo, ma abbiamo bisogno dei tuoi canestri. Oz da solo non può fare miracoli, anche se i suoi 15 punti in metà gara sono qualcosa di notevole.” Il diretto interessato sorrise orgoglioso del suo lavoro: non sapeva cosa gli era successo, ma in quella partita stava facendo tutto il suo lavoro al meglio e pure qualcosa di più di quello che era il suo solito. “Wesley, lo sai che il lavoro in difesa è perfetto, ma ti prego…tira!” gli disse Monica guardandolo severo. Lui non potè che annuire e cercò di mettersi in testa di provare a segnare.

“Farò del mio meglio.” Le rispose.

“Bene. Rientrate in campo, abbiamo una partita da vincere.”

Uscendo dallo spogliatoio, Monica si ritrovò faccia a faccia con Parker. Lui prese a guardarla sorridendo beffardo.

“Ti sei perso, bambino?” Fece Monica prendendolo in giro: aveva chiesto ai suoi di non provare il benché minimo disturbo agli altri, non voleva alcun pretesto per risse o nervosismo, ma questo non voleva certo dire che non poteva farlo lei.

“Oh no, io la conosco la strada per la vittoria.”

“Lo vedremo.” E così dicendo, Monica lo superò entrando in campo. Lei aveva una fiducia totale in Wes: sapeva che lui avrebbe continuato a marcarlo stretto come aveva fatto fino in quel momento. Parker la fissò a lungo, soffermandosi sulle gambe fasciate dai jeans e quando passò Wesley lo provocò.

“Sono sicuro che se le chiedo di scopare mi dice di sì. Tu che ne pensi Pryce? Quanto dovrei pagarla per un lavoretto fatto come si deve?”

Wesley sentì un’incredibile voglia di menare le mani. Respirò profondamente e andò verso la sua panchina senza accorgersi dello sguardo preoccupato di Liam che lo fissava.

“Tutto ok, Wes?”

“Sì, Angel, solo Parker che fa lo stronzo.”

“Ah…E da cosa è diverso dal solito?” Liam guardò verso l’alto e vide Cordelia che stava parlando felice con Anya e Willow.

Tornarono a giocare, ma i Panthers segnarono ancora. Per fortuna anche Spike riuscì a fare canestro con una bella entrata. Monica aveva capito che doveva scuotere un po’ le cose se voleva che il risultato tornasse a loro vantaggio: ci voleva un cambio radicale in difesa. Durante dei liberi di Xander, chiamò vicino a se Wesley.

“Chiama la difesa nuova.” Il ragazzo annuì e lei potè leggere nei suoi occhi un luccichio di anticipazione: per un giocatore innamorato della difesa come lui, una sfida nuova era la cosa più esaltante che gli si potesse far fare.

“Ragazzi…” urlò il capitano. “…Monica in difesa.” Gli altri annuirono e, dopo il secondo libero di Xander, si posizionarono in difesa. Avevano dato il nome della loro allenatrice per la nuova zona, in suo onore e per votazione democratica.

Lindsay rimase un po’ interdetto davanti alla 1-3-1* che si ritrovò davanti e perse il primo pallone grazie al raddoppio di marcatura portato da Oz e Spike. Il contropiede partì rapido e Wes segnò i suoi primi due punti.  Cominciò così la rimonta che riportò in parità il punteggio. La squadra dei Panthers non riusciva a sbrogliare la matassa di quella zona così pressante, anche perché in coda si trovava il miglior Wesley di stagione che riusciva a non far passare nessuno. Quando la rincorsa finì, Monica ordinò loro di passare di nuovo alla zona: la 1-3-1 era stata fenomenale, ma era un’azione molto dispendiosa in termini energetici. Doveva permettere ai suoi di riposarsi, se la difesa a uomo poteva essere definita un riposo.

E cosa fondamentale, finalmente Spike iniziò a prendere il suo ritmo usuale: riusciva di nuovo a segnare un po’ da tutto l’arco dei tre punti. In pratica il punteggio sul tabellone lievitò, con il disappunto di Monica, visto che era evidente che la difesa non lavorava così bene come doveva. Avrebbe protestato per questo un altro giorno, in quel momento doveva solo incoraggiarli…certo, anche urlare che difendessero un po’ meglio.

In quel momento Oz passò la palla a Liam sotto canestro, dove lui era posizionato con le spalle al tabellone. Il play scese verso l’angolo del campo, in modo da poter fare da sponda se il moro non fosse riuscito a segnare, ma Liam passò la palla ad uno smarcatissimo Wesley che si era avvicinato per aiutarlo. Siccome Wes non tirava mai, il suo difensore, Warren, aveva preferito aiutare Hamilton con Angel, lasciandolo così libero. Onestamente il suo primo istinto fu quello di dare la palla a Spike, ma lui era alle prese con Parker che lo marcava stretto. Quindi Wes ci provò: in tutto l’anno forse aveva tirato due volte, ma in quel momento tutta la sua squadra contava su di lui. Piegò le gambe leggermente, poi saltò alzando il braccio verso il canestro, spezzando il polso in modo da dare alla palla la rotazione giusta. Monica ed Illyria dalla panchina trattennero inconsapevolmente il fiato, fino ad urlare di gioia quando il pallone usciva tranquillo dalla rete. Wes si girò verso di loro e, sentendo il tavolo** che fischiava la richiesta di minuto dei Panthers, andò ad abbracciare felice Monica

“Ehy, stai calmo, non abbiamo ancora vinto.” Cercò di frenarlo Monica. Insomma, nulla era ancora successo in realtà.

“È il primo canestro da tre che segno!” esclamò lui sedendosi in panchina, mentre un esaltato Jesse gli passava una borraccia. Guardò verso gli spalti gremiti e sorrise riconoscendo una familiare testa rossa e riccioluta che gli faceva il segno della vittoria: Virginia era venuta a fare il tifo per lui e per cercare di imbastire una storia con Robin. Anche se Wes l’aveva semplicemente usata per i suoi scopi, lei non se l’era presa e ci aveva riso su.

“Forza e coraggio, siamo pari a un minuto e mezzo. Giocate con calma e tranquillità, al limite dei 24”…cerchiamo di non dover buttar via palloni fondamentali.” Li educò Monica anche lei al limite del nervosismo. L’arbitro li richiamò in campo.

I Panthers segnarono quando mancava un minuto, ma grazie ad un perfetto sfrutto di un blocco di Liam da parte di Oz, i Fox riportarono in parità il punteggio. Trenta secondi, palla in mano a Parker che palleggiava sicuro cercando una via d’uscita dalla marcatura di Wesley, ma Oz, con velocità, gli rubò la palla. Spike, accortosi di quello che stava succedendo, scattò verso il canestro. Dieci secondi, passaggio di Oz a Spike che si ritrovò davanti Lindsey a bloccarlo. Fece un palleggio verso il canestro, ma il play avversario lo bloccò, così decise di tirare da lontano. Fece un passo indietro e quando  oltrepassò la linea dei tre punti, tirò. Fu un’azione fulminea che prese in contropiede tutti. Nel frastuono del tifo, la palla volò verso il cerchio del canestro: per Buffy che guardava tutto dall’alto sembrava che il tempo si fosse fermato. Intorno a lei non esisteva niente, solo Spike che tirava. Il “ciuf” della retina era troppo silenzioso per sovrastare i rumori del campo, ma la palla che entrava era una cosa che tutti avevano visto. E tutti avevano sentito la sirena suonare la fine della partita.

Ci fu un secondo di silezio, poi il boato: la tifoseria dei Red Fox aveva capito che la loro squadra aveva vinto.

I ragazzi dalla panchina si erano fiondati in campo per abbracciare i loro compagni, che, nonostante fossero esausti, stavano saltando e correndo. Monica ed Illyria, completamente sopraffatte dall’emozione, sorridevano come delle ebeti e se per Monica sorridere era normale, per Illy era qualcosa di assolutamente nuovo.

“Abbiamo vinto!!!” urlò Monica alzando le braccia al cielo. Poi si ricordò le buone maniere ed andò a salutare l’allenatore dei Panthers, le sue colleghe ufficiali e gli arbitri.

“Complimenti, ce l’avete fatta.” Le disse Steve dandole la mano.

“Già. È stata veramente dura.”

I ragazzi erano ancora che saltavano in mezzo al campo. Spike si sentiva il re del mondo: finalmente dopo mesi era riuscito a infilare il canestro della vittoria, quello che valeva la stagione. E proprio davanti alla donna della sua vita.

Monica andò dai suoi ragazzi e si mise a festeggiare con loro: tutti l’abbracciarono a turno, Wes le baciò il collo sperando di non essere vista da nessuno. Poi, per terminare, andarono sotto gli spalti a saltare con i loro amici e tifosi. Tutta la palestra stava festeggiando con loro.

 

La gioia continuò rumorosamente in spogliatoio, dove fin sotto la doccia, i ragazzi urlavano e schernivano i loro avversari. Ormai a giochi finiti, potevano permettersi di fare gli sbruffoni. Erano consapevoli che avevano rischiato: la partita era praticamente finita in parità, i tre punti significavano solo un pizzico di fortuna in più. Ma a loro non importava assolutamente nulla, avevano vinto e solo questo contava.

Quando uscirono tutti lavati e cambiati, furono accolti da un boato: davanti a loro c’erano quasi tutti i loro amici pronti a saltare ancora un po’.  Avevano portato i loro striscioni e fischiavano, urlavano e cantavano cori di sfottò contro gli avversari; insomma una vera bolgia infernale, che tutti, però, apprezzarono immensamente.

“Sei stato grande, lupacchiotto.” Esclamò una raggiante Willow ad Oz, mentre gli si aggrappava alle spalle.

“Lupacchiotto?” ribattè con una smorfia Xander.

Oz non rispose, ma divenne leggermente più rosso del normale. Willow lo spiazzava in ogni momento e la cosa poteva essere terribilmente eccitante, ma anche tanto rischioso.

“Ti ringrazio fragolina…Senti, che ne dici di andare a berci qualcosa fuori?”

“Ma come, non avete una festa con la squadra?”

“No. Per volere di Monica, festeggeremo la prossima settimana. Adesso vuole darci un po’ di libertà. Allora, giro in vespa?” Gli occhi della ragazza iniziarono a luccicare di impazienza: andare su due ruote le piaceva una cifra.

“Certo!” Will salutò Buffy, che era alle prese con Spike. Stavano, come al solito, litigando.

“Vedrai, ossigenato, riuscirò a farcela anche io!” sbottò infine la biondina. Lui sorrise dolcemente e si acquietò.

“Ci conto e allora mi offrirai la cena.”

“Ci sto!” e così dicendo gli diede la mano. “Senti, Spike, mi accompagni a casa? Se aspetto mia mamma finisce che facciamo notte.”

“Va bene.” Così dicendo salutò tutti e prese il suo borsone. Vide in lontananza Wesley che abbracciava Monica in maniera diversa dal solito. Che cosa stava succedendo a quel benedetto ragazzo? Virginia si era allontanata dalla palestra con al braccio uno spaventato Robin che si era sentito preso dai Turchi quando la rossa ci aveva provato. Quindi Wesley cosa faceva con la loro allenatrice? Accantonò quel pensiero, dato che voleva essere ben concentrato su Buffy.

Lei era a piedi, mentre lui montava la sua fedele bici nera. Suo padre non gli aveva lasciato la macchina, dato che la doveva usare lui per portare Jenny a vederlo.

“Vuoi provare l’ebbrezza dello stangone?” Chiese con un doppio senso per nulla velato e sorridendo maliziosamente.

“Che bello, ho sempre desiderato farlo.” Rispose Buffy con ingenuità, per poi diventare rossa e prendere a balbettare quando lui la fissò con un sorriso da predatore e la lingua tra i denti.

“Perfetto, allora salta su!” Buffy scosse il capo: stava quasi per declinare la gentile offerta, ma non poteva permettersi di dargliela vinta così facilmente e poi, in effetti, aveva proprio voglia di un piccolo randez-voux con William. Ci aveva pensato per tutta la gara ed era giunta alla conclusione che quando lui si impegnava e dava tutto per qualcosa che gli piaceva, era veramente sexy. Lo sguardo determinato che aveva poco prima del canestro finale, era stato qualcosa di assolutamente nuovo per lei e le aveva fatto capire che lo voleva.

Con una certa cautela, si sedette sullo stangone della mountain bike e prese il manubrio tra le mani.

“Pronta a partire?” Fece lui mettendo le sue mani sui suoi fianchi. Buffy perse un battito a quel contatto.

“Si, capitano.” Gli rispose.

Spike iniziò a pedalare e, dopo una lieve incertezza di Buffy, la loro corsa divenne piuttosto regolare. La ragazza sorrideva contenta e lui ne era felice. Aveva molta voglia di poggiare la testa sulla sua ed aspirare il suo profumo, ma aveva paura che potesse essere frainteso. I loro capelli biondi scintillavano al sole e quelli di Buffy volteggiavano grazie all’aria. Per Spike quella era un’immagine da paradiso.

In meno di dieci minuti, prendendo mille scorciatoie per le viuzze di Sunnydale, i due arrivarono a casa di Buffy.

“Wow! Fantastico…lo potremmo rifare un giorno, vero?” domandò lei quando fu scesa.

“Certo passerotto, quando preferisci. Io sono sempre ben disponibile per un po’ di allenamento extra e portare tutto il tuo mastodontico peso mi aiuterà di certo.”

“Idiota. Guarda che io non peso nulla!” Fece lei stizzita e mettendo il broncio.

“Dai, lo sai che scherzo. Sei leggera come una coccinella.”

“Uhmm…e va bene, per questa volta soprassiedo. Non ho voglia di litigare. Senti…vuoi qualcosa da bere?” la buttò lì lei. Non aveva voglia che lui se ne andasse così presto, voleva stare con lui ancora un po’.

“Perché no. Devo ancora riprendermi dalla partita.” Entrarono in casa e Spike si ritrovò in un piccolo atrio dove si permise di lasciare il suo borsone. Davanti a lui c’era una rampa di scale che portava al piano di sopra, mentre a sinistra si apriva un ordinato soggiorno dove spiccava un bel divano rosso e un tavolo di legno con un lampadario che troneggiava.

“Accomodati, fai come se fossi a casa tua.”

Buffy sparì dietro una porta e Spike osservò curioso. Sul mobiletto c’erano diverse foto di lei con una ragazzina più piccola che doveva essere sua sorella, ed una bella signora con il dolce sorriso che era sua madre. Di foto del padre neppure una. Evidentemente l’abbandono era stato totale.

“Ecco qui. Ho pensato che un bel bicchiere di the freddo ti dovrebbe andar bene.” Buffy sbucò con un piccolo vassoio con sopra una bottiglia e due bicchieri.

“Ottimo.” I due bevettero insieme in silenzio. Ora che Buffy lo aveva in casa si sentiva innervosita: Parker non era mai andato oltre il piccolo portico. Le sembrava strano avere un uomo che non fosse suo padre in salotto.

“Tua madre e tua sorella?”

“Dawn aveva una gara di balletto a Los Angeles e quindi l’ha portata là. Dovrebbero tornare questa notte sul tardi.”

“Ah.” Ritornò il silenzio imbarazzato: entrambi avevano appena realizzato che sarebbero potuti restare da soli in quella casa per un sacco di ore.

“Ti andrebbe di venire al matrimonio di mio padre?” sparò lì Spike. Era la prima cosa che gli era passata per la mente: aveva bisogno di spezzare il silenzio.

“Ma…non gli seccherà?”

“No, figurati. Viene anche Willow e comunque lui mi ha detto che se volevo potevo portare un’accompagnatrice. Ho pensato che visto che mi avevi chiesto per il ballo potesse piacerti andare da qualche altra parte insieme.”

“O..ok…” balbettò in risposta lei. William battè le mani risollevato.

“Bene, credo che ora sarebbe meglio che io andassi a casa, che te ne pare?”

“Momento giusto, stavi diventando di troppo, Ossigenato.” Fece lei in tono scherzoso.

“Ah, ah, ah, hobbit.” Prese la borsa e fece per aprire la porta. “Ci vediamo presto.”

Buffy osservò le spalle guizzanti, la vita stretta sotto i suoi jeans neri, per poi scendere di poco per fissargli le natiche e prese una decisione.

“Aspetta!” quasi urlò. William si girò incuriosito e si ritrovò a spalancare gli occhi: Buffy lo aveva preso per la maglietta ed avvicinato a sé. Le sue dolci labbra che sapevano di lampone grazie al lucidalabbra, gli si erano incollate addosso. Lasciò cadere il borsone a terra con un tonfo leggero e la prese per i fianchi, in modo da farla aderire meglio a se. Il corpo piccolo e minuto di lei gli sembrava caldo e morbido.

Approfondirono il bacio aprendo leggermente le labbra, in modo che le loro lingue potessero danzare assieme. Buffy gli mise la mano dietro il collo e prese ad accarezzargli i capelli ancora leggermente umidi per la doccia.

Si staccarono per guardarsi negli occhi: gemme verdi in perle blu.

“Wow, raggio di sole….questo è stato…cos’è stato questo?” domandò Spike un po’ confuso: certo, dall’inizio si erano avvicinati moltissimo, ma credeva di dover aspettare un sacco prima di arrivare a quel bacio. Ovvio, non che la cosa gli dispiacesse.

“Io spero sia il primo bacio di tanti futuri.” Mormorò un po’ intimidita Buffy: non amava mettere a nudo i suoi sentimenti in quella maniera.

“Trovo che sia un’idea magnifica.”

Si ripresero a baciare e lentamente si spostarono dalla porta d’ingresso: non era proprio il posto più romantico del mondo. Buffy, che conosceva meglio la casa, lo portò verso le scale e gli sussurrò a fior di labbra.

“Siamo soli.”

 

*Nella pallacanestro esistono due grandi tipi di difesa, quella ad uomo e quella a zona.

In quella a uomo ogni giocatore è designato a marcarne uno dell’altra squadra.

In quella a zona, invece, ogni giocatore ha il compito di presiedere un piccolo pezzo dell’area di gioco. Le difese a zona, a questo punto, di dividono in due ulteriori categorie, quelle pari e quelle dispari.

In quella pari, di solito, il play che porta su la palla si ritrova due difensori davanti a lui, che difendono, più o meno, sulla linea di tre punti.

Nella dispari, invece, i difensori sono uno o tre, posti, di norma, intorno alla linea di tre punti, per evitare canestri da lontano.

 

** la Zona 1-3-1 è una difesa a zona dispari che prevede di far posizionare i difensori a croce. È una difesa molto aggressiva perché di solito si cerca di raddoppiare sul portatore di palla nei vari angoli ciechi del campo. In Italia è diventata famosa grazie a Dan Peterson che la fece usare alle famose Scarpette Rosse di Milano quando lui allenava.

 

Per ulteriori chiarimenti, chiedete pure.

 

 

CAPITOLO DICIANNOVE

 

La stanza era immersa nella penombra. Spike sorrise: era la tipica camera di una ragazza di sedici anni. Sulla scrivania erano aperti i libri di scuola e c’era anche un quaderno pieno di sottolineature, evidentemente il quaderno degli appunti. Sulle mensole facevano bella mostra di loro decine di pupazzi di peluche di tutte le forme e dimensioni. Sul muro era appesa una grande cornice che conteneva tutte le medaglie che la ragazza aveva vinto nel tempo e sulla libreria c’erano anche alcune coppe molto belle. Dei vestiti erano stati gettati alla rinfusa sul letto e Buffy si premunì di appallottolarli tutti su una sedia.

“Scusa, c’è un po’ di disordine.” William si mise a ridere.

“Non hai mai visto camera mia, amore.” Notò che lei era piuttosto nervosa: continuava a mordicchiarsi il labbro insistentemente e lui sospirò. Forse era normale che ci ripensasse e in effetti anche lui non sapeva bene da dove iniziare. Non aveva mai avuto rapporti con nessuna ragazza tranne qualche bacio ed un leggero petting. Si sedette sul letto e le allungò le mani. Lei le prese e si sedette sulle sue ginocchia.

“Non dobbiamo fare nulla che non vogliamo, sai?”

“È che io voglio farlo. Solo che…non so come farlo. Cioè…” fece parlando velocemente ed arrossendo “…so come si fa, ma…non l’ho mai provato.” Terminò con un sussurro.

“Di questo non ti devi preoccupare. Intanto cerchiamo di rilassarci.”

“Sei nervoso anche tu?”

“Un po’…non vorrei fare figuracce con la più bella ragazza che conosco.”

Si baciarono ancora, ma con più lentezza e dolcezza di prima. Buffy adorava succhiare il labbro di William, dato che era carnoso e succulento. Si divertiva parecchio e sembrava che lui apprezzasse. Sentiva la sua bella mano che le accarezzava la schiena dove il vestito la lasciava nuda. Una serie di brividi le partì dal collo per arrivare fino ai piedi e non riuscì a reprimere un piccolo gemito.

“Tutto bene, passerotto?”

“Odio quando mi chiami così, ma sto benissimo.” Con delicatezza fece scendere le spalline del suo vestitino corto e fecero la loro apparizione i piccoli seni. William li sfiorò appena, come se fosse completamente rapito da essi.

“È la prima volta anche per te?” gli chiese.

“Già…” Buffy lo guardò stranita “Bhe, che c’è?”

“No, è che io credevo che…insomma, pensavo…”

“Che avessi più esperienza?”

“Sì… Willow dice che hai avuto parecchie tresche…”

“Nulla di serio. Mi sono fermato al petting. Non guardarmi in quella maniera: non sembra, ma io credo nei sentimenti.” Buffy lo spinse verso il cuscino, così si ritrovarono una sopra l’altro.

“Mi piaci un sacco, Ossigenato.”

“Neppure tu sei male, Hobbit.” Il vestito finì definitivamente sul pavimento, facendo restare Buffy solo con delle semplici mutandine bianche.

William aveva fatto in modo di averla sotto di sé, per poter assaltare al meglio il piccolo corpo. Le baciò il viso con deferenza, mentre lei, leggermente impacciata, cercava di togliergli la maglietta, ma questa non voleva saperne di uscire dal collo.

“Ahy, amore, mi fai male.”

“Scusa, ma questa cosa non esce!” Esclamò esasperata lei. Spike si mise a ridere e fece da solo, rivelando il torace scolpito. Buffy si mordicchiò il labbro.

“Posso toccarlo?”

“Puoi fare tutto quello che vuoi. Il mio corpo è a tua disposizione.” Buffy iniziò a passargli un dito dalle clavicole, per scendere verso l’addome. Sembrava stesse studiando ogni minimo dettaglio di lui. “Ti piace quel che vedi?”

“Decisamente.” E per dimostrarglielo, passò la lingua sui capezzoli rendendoli duri. William per contrattaccare, si fiondò sul collo di Buffy e prese a lasciarle marchi decisamente visibili.

“Smettila!” Urlò lei ridendo “Mi fai il solletico così.”

“È questa la cosa bella.” Ma così dicendo, scese sui seni che reclamavano le sue attenzioni. Iniziò piano, leccandone uno lentamente. Su incoraggiamento della ragazza, osò di più mordicchiando la soffice carne. Buffy si inarcò leggermente e gli accarezzò i capelli, perdendosi in un mondo fatto di nuove sensazioni.

Anche per Spike era tutto nuovo e decisamente strano, ma indubbiamente molto bello. Fosse per lui l’avrebbe già presa: sentiva il suo membro che spingeva per uscire, ma non voleva fare la parte dell’assatanato, sapeva che le ragazze avevano bisogno di qualche gioco in più per renderle pronte. E lui ci teneva che Buffy fosse più che soddisfatta di lui.

Si dedicò con solerzia anche all’altro seno, contento dei suoni beati che uscivano dalla sua bocca: tutto sommato non se la stava cavando male. Infilò la lingua nell’ombelico e Buffy fece un salto: era stato un gesto estremamente sensuale per lei.

“Spike!” William chiuse gli occhi e si assaporò quel momento.

“Dillo ancora… sei splendida.”

“Uhm…Spike?” lui sorrise. “Scusa, sono imbranata?”

“No, ma quando mi hai chiamato in preda alla passione…Wow, quello è stato un momento di estasi.”

“Veramente? Per così poco?”

“Non hai idea di che effetto hai su di me.” Buffy guardò verso il cavallo dei pantaloni ed ammiccò.

“Forse un po’ me ne rendo conto.”

“Direi che sono stato smascherato.” Si alzò in piedi e si tolse i jeans rivelando un paio di boxer neri che sembravano scoppiare. Buffy non riusciva a staccare gli occhi di dosso dal pacco in esposizione e lui se ne accorse. “Scusalo, è un esibizionista.”

“Sei un idiota.”

Spike tornò su di lei e la baciò, questa volta con più urgenza, con passione devastante. Aveva troppo bisogno di lei per fare con calma. Insinuò una mano sotto l’elastico dei suoi slip, in modo da toglierglieli. Buffy lo lasciò fare, anche perché ormai era chiaro quello che sarebbe successo. Ne era spaventata, ma lo voleva in una maniera tale che nulla l’avrebbe fermata. Le faceva strano, dato che con Parker non aveva mai avuto una passione così profonda. Forse sua sorella aveva ragione: non lo aveva mai amato. Ma con William era diverso, ogni sua singola cellula lo voleva e lo chiamava a sé.

Spike la accarezzò in mezzo alle gambe, in modo che lei le aprisse almeno un po’. Capiva benissimo che le tenesse serrate, ma non era la maniera giusta per iniziare. Con dedizione profonda, mentre le baciava il corpo, insinuava le dita sempre più vicino alla sua femminilità, facendola sospirare e gemere, fino a quando riuscì a sfiorare qualcosa di umido e caldo. Il leggero salto che fece lei, gli diede l’esatta concezione di quello che aveva fra le dita. La accarezzò dall’alto verso il basso e al contrario per un paio di volte, constatando che Buffy sembrava chiederne sempre di più

Impaziente si alzò e tornò verso i suoi jeans: dalla tasca prese il portafoglio e ve ne cavò un preservativo.

“Ho una voglia matta di te, Raggio di sole, ma le precauzioni sono d’obbligo alla nostra età!”

“Hai perfettamente ragione.” Buffy ringraziò il cielo che ci avesse pensato lui, dato che lei era troppo presa dalle sue carezze per pensare a qualcosa. Scrutò William, arrossendo, ma troppo incuriosita, mentre lui si toglieva i boxer. Il suo pene balzò fuori senza esitare, dritto, apparentemente enorme e decisamente pronto all’uso. Il ragazzo armeggiò un po’ con il condom e tornò da lei.

“Pronta?”

“Diciamo di sì.” Lui deglutì pesantemente.

“Guarda che siamo ancora in tempo per fermarci” L’occhiataccia di Buffy gli fece capire tutto.

Tornò a distendersi su di lei, che questa volta aveva tenuto le gambe preventivamente aperte. Il ragazzo prese in mano il proprio membro e lo guidò verso il canale intatto di Buffy. Ci dovette riprovare tre volte, dato che la plastica del preservativo scivolava sulla carne di lei, facendola ridacchiare. Aveva temuto di fare la figura della pivella, ma non aveva tenuto in conto che Spike era alle prime armi come lei.

Lo sentì entrare tutto, millimetro per millimetro, lentamente, delicatamente, per non farle male. E il dolore non arrivò: certo, l’intrusione le stava provocando qualche fastidio, ma si era aspettata di peggio.

“È tutto ok?” Spike stava cercando di muoversi il meno possibile, proprio perché non sapeva cosa poteva provare lei. Per lui era tutto magnifico: si sentiva stretto dolcemente da quei muscoli e l’unica cosa che voleva fare era andare su e giù assieme, ma si stava trattenendo.

“Sì… “ mormorò Buffy. Le pareva strano: tutto quel casino per quella roba lì? Non le pareva chissà poi cosa. Dovette ricredersi quando lui iniziò a muoversi dentro di lei: ad ogni spinta sentiva crescere qualcosa di caldo e potente proprio nel suo utero. Non riuscì a non urlare, quando lui spinse maggiormente. Inarcò le pelvi per poterlo inglobare, inconsciamente, ancora di più. William chiuse gli occhi ed aspirò una forte boccata d’aria: vedere Buffy mentre gemeva  e si contorceva sotto di lui, era un qualcosa che lo mandava pericolosamente vicino al limite. In realtà non sarebbe durato ancora molto.

“Più forte…” Gemette ad un certo punto Buffy e lui l’accontentò.

“Ti avviso che sto arrivando…”

“Sì…” si baciarono ancora e Spike non resistette più. Con un suono strozzato venne. Buffy tentò di alzarsi, ma il risultato fu una testata clamorosa con Spike.

“Ahy!” urlarono in coro. I due si guardarono e si misero a ridere come pazzi. Sul preservativo e sulle cosce di Buffy c’era il chiaro segno di qualcosa di perduto, ma a loro interessava veramente poco in quel momento.

“Dobbiamo esercitarci ancora, mi sa.” La buttò lì Buffy come se nulla fosse, mentre cercava di coprirsi con il lenzuolo.

“Passerotto, è una promessa, vero?” lui tornò verso di lei, andando a quattro zampe sul materasso, imitando un gatto sensuale.

“Certo, ma solo se smetti di chiamarmi passerotto!”

 

La musica dei 30 Seconds to Mars si spandeva per la palestra: i vertici della squadra avevano deciso di organizzare una festa in onore della vittoria per il Campionato. Erano stati invitati tutti i genitori, gli amici e chiunque di Sunnydale potesse contare per una eventuale raccolta fondi per la trasferta a Los Angeles per il campionato dello Stato.

Monica aveva dato loro un paio di giorni di pausa, ma ben presto li aveva richiamati a raccolta: per quanto avessero scarse possibilità di vittoria, ci teneva a fare la miglior figura possibile, quindi voleva che i suoi ragazzi dessero il massimo anche quella volta. Ma almeno per quella sera avrebbero fatto baldoria.

Aveva notato come il presidente della squadra la fissasse spesso, quasi a chiedersi come era riuscita in quella impresa.

“Monica, voglio presentarti una persona.” Si voltò e trovò una nuova e raggiante Illyria che la guardava. Teneva per mano un ragazzo piuttosto alto, con i capelli che avevano un senso dell’ordine piuttosto impazzito. Aveva la bocca aperta in un sorriso un po’ imbarazzato, mentre i grandi occhi azzurri fissavano Illy. “Lui è Knox!”

“Oh, piacere. Ho sentito tanto parlare di te.” Gli porse la mano: la sua stretta era tranquilla, forte, piacevole, la giudicò lei.

“Spero in buoni termini.”

“Sempre ottimi!”

“Volevo farti i miei complimenti per la vittoria. Illyria mi ha spiegato ogni partita che avete giocato.”

“Oh poverino, chissà che noia.” Illyria diede un leggero pugno sulla spalla di Monica che si mise a ridere, attirando su di sé lo sguardo di Wes, che in lontananza stava bevendo un po’ di the freddo e aiutava sua madre a scegliere qualcosa da mangiare. Avevano invitato anche lei alla festa, ma avevano, comunque, preferito tenerla in disparte. C’era con loro l’assistente sociale che li seguiva da una vita e che li aiutava.

“Wes, vai a divertirti, ci penso io a mamma, ok?”

“Grazie.”

Si guardò in giro e fu molto felice di notare che molte cose sembravano essersi sistemate per il meglio: Willow ed Oz ormai pronti per qualunque cosa, erano sempre assieme e tubavano a meraviglia.

Spike non faceva altro che controllare i movimenti della biondina del pattinaggio, Buffy se non errava. Lei e la rossa parlavano molto, ma sempre vicino a William: se si allontanavano, lui le seguiva. Era decisamente geloso marcio della sua ragazza.

“A che pensi, capitano?” La voce di Monica lo riscosse. La guardò in quei profondi occhi nocciola nei quali adorava perdersi e ritrovarsi. Più passava il tempo e più sapeva di amarla e di volerla in tutte le maniere del mondo ed alla luce del sole.

“Che sembra che il mondo sia in pace.” Lei rise piano guardandosi attorno. Era normale che stesse così bene con un ragazzino affianco? Era possibile che lui fosse veramente La storia della sua vita? Non poteva crederlo, avevano vite fin troppo differenti.

 

“Tieni Cordelia.” Liam pose alla ragazza un piattino: dentro ci aveva messo di tutto, panini, tramezzini, pizzette, patatine e perfino un pezzo di dolce al cioccolato.

“È una specie di cura drastica?”

“In realtà non sapevo cosa poteva piacerti, quindi ho preso un po’ di tutto. Ovviamente scegli quello che preferisci.”

Cordi iniziò a sbocconcellare la torta ringraziandolo con gli occhi. Dopo il loro leggero bacio in macchina non c’era stato altro. Lei si dedicava corpo e soprattutto anima, nel riprendersi dal suo brutto male e lui voleva lasciarle tutto il tempo di riprendersi. Non voleva sembrarle troppo opprimente, quindi si teneva ai margini della sua vita, inconsapevole di quanto, in realtà, ne facesse incredibilmente parte.

“Sei molto gentile. Io non so che dire per ringraziarti.” Gli mormorò.

“Figurati, per un pezzo di torta? Non è niente.” Lei scosse il capo.

“No, Liam, è per tutto quanto…se non fosse per te, io…” prese un profondo respiro “Io non so che cosa sarebbe di me adesso.” Lui le si avvicinò e la prese per le spalle abbracciandola: nonostante Cordelia fosse una delle ragazze più alte della città, fra le braccia del pivot sembrava una piccola bambolina di porcellana, terribilmente fragile.

“È stato un piacere.”

“Ehm, scusateci.” Il presidente della squadre, più il padre di Andrew, assessore allo sport di Sunnydale, li stavano chiamando. Erano entrambi vestiti in giacca e cravatta, proprio per far capire che in quel preciso istante loro erano le autorità. Tutti i presenti ammutolirono e prestarono loro attenzione. “Bene, so che questo è un giorno di festa, anche se gli allenamenti sono già ripresi per il Campionato dello Stato. Tutta la società dei Red Fox  è estremamente sorpresa e contenta dei risultati ottenuti…” e via di questo passo. Monica sbadigliò senza ritegno, ma quelle parole vuote e per lei senza senso, la annoiavano a morte. E le parevano pure ipocrite: all’inizio dell’anno lo stesso uomo che stava parlando in quel momento le aveva detto a chiare lettere che le dava in mano la squadra solo per levarsela di torno, quindi con che faccia adesso la elogiava e diceva che fin dall’inizio aveva puntato su di lei? Bella faccia di culo che si ritrovava, pensò mentalmente. Ma non tutti sembravano pensarla come lei: molti dei genitori annuivano soddisfatti e ascoltavano attenti. Si guardò in giro e notò come i suoi ragazzi fossero attenti a mille altre cose. Provò una fitta al cuore: si era veramente affezionata a loro. Si ricordò il primo giorno passato assieme, quando lei si presentò tutta carica a decretare le regole per una giusta convivenza pacifica, cosa che non sempre era stata recepita.

Si voltò verso Spike: teneva nella mano quella della sua ragazza e continuava ad accarezzarle il dorso con lenti gesti circolari. Sembrava un altro rispetto a quando l’aveva conosciuto. Era cresciuto come giocatore che come persona. Tutti loro erano diventati migliori, almeno per quanto volesse crederci. Certo, molti di loro erano e continuavano ad essere dei ragazzini, ma almeno come giocatori di pallacanestro ormai se la cavavano tutti, anche Jonathan ed Andrew che all’inizio erano decisamente pietosi.

Guardò Wesley e si perse a seguirne il profilo, lo sguardo apparentemente attento a quello che accadeva attorno a lui. Non era rasato di fresco e questo gli dava un’aria decisamente da uomo più vissuto. Sospirò: in realtà non sapeva proprio come la loro storia sarebbe potuta evolvere. Come sua allenatrice tutto sarebbe dovuto restare nascosto, anche se lei, in fondo, avrebbe tanto voluto urlare alla luce del sole il suo affetto per lui. Ma di certo non voleva perdere la guida della sua squadra solo per togliersi una voglia con un ragazzo che aveva appena diciotto anni.

Prese la parola anche il signor Welsh e le chiacchiere continuarono ancora per una eternità: rinnovamento, fare del proprio meglio, bla bla bla… un’infinità di tempo perso.

“Ma veniamo al vero argomento scottante della serata.” L’attenzione tornò almeno in parte. “La signorina Cross è stata eccezionale a portarvi fino a qui. Adesso vedremo quello che riuscirete a fare a Los Angeles. Indipendentemente dal vostro risultato, il consiglio di amministrazione ha scelto che per la prossima stagione sarà il signor Patterson ad allenarvi.” Un coro di proteste si levò dai ragazzi e pure la diretta interessata si ritrovò senza parole: quei fetenti non le avevano detto nulla.

“Tu lo sapevi?” chiese Illyria ignara.

“Ovviamente no.”

“Non potete mandarla via!”

“Non la stiamo mandando via, solo che ora è giusto cambiare rotta. C’è un’altra squadra che la aspetta e cercherà di raggiungere gli stessi risultati che avete ottenuto voi. E voi dovete crescere ulteriormente per raggiungere vette maggiori.” La cacofonia continuò: c’erano genitori contenti ed altri a cui la cosa interessava ben poco, ma erano i ragazzi a fare più baccano.

“Silenzio!” l’urlo di Monica riportò la calma nella piccola sala. Tutti gli sguardi erano puntati su di lei. “Scusate, ma avete mai pensato di farmene parola?”

“Signorina Cross, il suo contratto termina a breve e lei lo sa. Semplicemente le diamo la possibilità di allenare qualcun altro.”

“Io non voglio nessuna altra squadra, ma solo loro.” Ed indicò i ragazzi con un ampio gesto della mano.

“Mi spiace, ma questo non è possibile.” Monica rimase imbambolata, non sapeva veramente che cosa dire.

“Signor presidente?” la voce educata di Wesley li fece girare.

“Sì, Pryce?”

“Non ha pensato che forse noi non vogliamo un altro allenatore al di fuori di Monica ed Illyria?”

“Non è a voi che deve interessare chi vi allena.”

“Allora noi smetteremo di allenarci.” La determinazione che Liam aveva dimostrato fece sorridere Monica.

“Voi non potete fare questo. Avrete un titolo da difendere, diventerete lo zimbello della città.”

La situazione stava diventando imbarazzante per tutti.

“Ragazzi, per favore, state calmi.” Cercò di tranquillizzarli. “Sarà una mia scelta, non preoccupatevi. Continuate ancora la festa… “ prese il bicchiere e se lo svuotò tutto d’un fiato, dimenticandosi che c’era birra. Fece una smorfia e si mise a canticchiare camminando in giro per la palestra. Tutti i suoi ragazzi ed Illyria, la fissarono senza capire: stranamente Monica sembrava calma, come se avesse metabolizzato ogni parola e già avesse preso una decisione.

Cosa assolutamente falsa: Monica aveva il cervello in completo subbuglio. Davanti a lei si erano aperte due strade: se sceglieva di allenare ancora i ragazzi, avrebbe dovuto definitivamente dire addio alla storia con Wesley, poco ma sicuro. Invece, se decideva di lasciare la squadra, la sua storia sarebbe potuta uscire allo scoperto. Si sedette sulla panchina e prese a rimuginare.

Dopo poco scoppiò a ridere: le sembrava di essere Angel, anche lui quando qualcosa non andava, si ammutoliva e pensava. Certo, ridere di ciò non aiutava a risolvere il suo piccolo problema. Quei maledetti le avevano proprio dato una bella gatta da pelare.

 

“Pensa a quello che è meglio per entrambi, non solo per te.” La voce di Illyria la fece sobbalzare: le si era avvicinata silenziosa come un felino.

“E perché credi che ci stia così tanto a pensare su? Se fosse solo per me saprei già che scegliere.” Illy annuì.

“Ti piace Knox?” meglio far cadere il discorso scottante.

“Perché me lo chiedi? Deve piacere a te, mica a me. Sei tu a fartelo.”

“Ma tu sei una mia amica…una delle mie più care amiche. Ci tengo al tuo parere, non mi va che il mio potenziale fidanzato non vada d’accordo con le mie amiche.” A Monica parve che stesse arrossendo: in effetti non era proprio da lei, sempre molto fredda e controllata, lasciarsi andare a quelle confessioni così intime e tenere.

“Trovo che sia molto carino e non solo d’aspetto. Non molti sarebbero venuti allo sbaraglio ad una festa dove, praticamente, non conosce nessuno. Insomma, si è preso un bel impegno.”

“Quindi pollice su?”

“Più che su, stella!”

Si alzò dalla panchina, decidendo che per lei la serata era ben che finita: aveva soltanto tanta voglia di buttarsi sul suo divano, accendere lo stereo e urlare le canzoni che passavano senza curarsi di nessuno. Voleva proprio staccare.

“Vado a casa. Pensa tu a chiudere tutto…oppure lascia che si arrangino, in fondo ormai la stagione è terminata!” Risero assieme, poi Monica si andò a prendere la borsa, sempre tra gli sguardi preoccupati dei ragazzi.

“Darò la mia risposta domani. Buonanotte.” Fece al presidente, poi prese la via della porta.

“Ma se ne va così?” chiese Spike fissando gli altri.

“Tu riesci a capirla?”

Wesley mollò il suo bicchiere sul tavolo, non accorgendosi che si era rovesciato facendo spandere tutta la Coca, e si mise a correre verso Monica.

“Aspetta! Monica.” Andò quasi a sbattere contro la porta aperta. Anche lui non sapeva bene cosa pensare: non voleva che lei lasciasse la squadra, eppure voleva tanto poterla amare davanti al mondo. Che caos che aveva per i neuroni! La vide che stava aprendo la portiera della macchina: da lontano sembrava calma e serena.

“Monica!” Wesley le mise la mano sulla spalla e la fece girare: lei lo fissava seriamente. “Che hai deciso per la squadra? E per noi?”

Monica sorrise.

 

FINE