I WILL REMEMBER YOU
Di
Patty
CAPITOLO
1
Sunnydale.
“Uffa,
basta. Ci rinuncio: è troppo complicato per me!!!
Willow,
accanto a lei, era arrossita violentemente sotto gli sguardi di biasimo e
rimprovero degli altri studenti che erano stati distolti dai loro studi da quel
rumore improvviso. “Buffy, ti prego: siamo in una biblioteca seria qui”
sussurrò quasi impercettibilmente. “Non puoi fare tutto questo rumore. E
comunque sarebbe difficile scrivere anche la lista della spesa se continui a
guardarti intorno con lo sguardo perso…”.
“Salve
ragazze. Mi sembra di capire che avete qualche problema. Posso aiutarvi?”
chiese una voce gentile, bisbigliando alle loro spalle.
Buffy
si voltò e si trovò faccia a faccia con il giovane assistente della
professoressa Walsh, Riley Finn.
Questa
volta, rendendosi conto della mezza gaffe commessa, fu Buffy ad arrossire. “No
grazie” disse piano. “Il fatto è che, come la mia amica mi ha appena fatto
delicatamente notare, non ci sto proprio con la testa”.
“Insomma
signorina: se non ci sta con la testa può prendere la sua roba ed andarsene.
Qui c’è gente che vuole studiare, senza essere disturbata né dalle sue
esclamazioni né dai suoi bisbigli” disse acidamente uno studente del quinto
anno al quale non sembrava vero di poter infierire su una matricola.
Il
volto di Willow era ormai dello stesso colore dei suoi capelli: in quattro e
quattr’otto raccolse tutta la sua roba e, salutato Riley, trascinò Buffy fuori
dalla biblioteca prima che potesse rispondere allo studente, ripromettendosi di
non permetterle di metterci mai più piede.
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“Insomma
Willow, se mi avessi lasciato lì un attimo avrei rimesso quel rompiscatole al
suo posto! Ma chi si crede di essere?” si lamentava
“Per
quanto scortese possa essere stato, quel tipo aveva ragione. Quella non è la
biblioteca del signor Giles, dove potevamo fare tutto quello che ci passava per
la testa. E comunque ti ho portata via anche perché mi sembravi un animale in
gabbia. Si può sapere che cos’hai? Sei così strana da quando sei tornata da…”.
“Non
ho niente” di affrettò ad interromperla Buffy. “Sto benissimo, è solo che,
tanto per cambiare, non ho troppa voglia di studiare. Cosa tu ci possa trovare
di così strano in questo proprio non riesco a capirlo!!!”.
“Sì,
ma con
Willow
aveva notato benissimo come la sua amica l’avesse interrotta prima che lei
potesse anche solo nominare Los Angeles: aveva fatto finta di niente, ma aveva
registrato nella sua mente quella reazione di Buffy, e ne era preoccupata
perché non lasciava presagire nulla di buono.
Quando
era partita per la città degli angeli era furiosa con Angel dato che questi era
tornato a Sunnydale per aiutarla, ma aveva fatto in modo che lei non sapesse
della sua presenza. A dire il vero era furiosa con tutti loro che, pur sapendo,
non le avevano detto niente. Se a Xander non fosse sfuggita quella informazione
durante la cena del Ringraziamento lei non avrebbe saputo nulla…ma d’altronde
si sapeva benissimo che la lingua del suo migliore amico era fin troppo lunga…
soprattutto quando si trattava di mettere nei guai Angel.
Buffy
era stata via solo una giornata, e probabilmente aveva litigato con il vampiro;
la cosa doveva averla scossa parecchio, perché dal suo ritorno era strana,
distratta, immersa nei suoi pensieri, e tutte le volte che anche solo si
accennava a qualcosa che potesse riguardare anche alla lontana Angel, lei,
nervosamente cambiava discorso in tutta fretta.
Willow
aveva deciso di non forzarle la mano per il momento, anche perché sapeva che,
quando si fosse sentita pronta, sarebbe stata Buffy stessa a spiegarle quello
che era successo durante quell’incontro; tuttavia era preoccupata per la sua
amica…e adesso c’era anche questo problema della relazione di psicologia: non
poteva permettere che Buffy venisse cacciata anche da quel corso…
“Secondo
me dovevi accettare l’aiuto dell’assistente…e bada che non sto assolutamente
dicendo che avresti dovuto farti fare da lui la relazione, ma secondo me
avrebbe potuto darti qualche consiglio” le suggerì la strega.
“No,
so cavarmela da sola” disse orgogliosamente
“Già,
sono alla riunione del circolo delle streghe. A dire il vero non so neanche perché
ci vado visto che quelle ragazze non hanno neanche la più pallida idea di cosa
sia la magia, ma ce n’è una, si chiama Tara, che è veramente in gamba e molto
simpatica. Te la farò conoscere un giorno”.
“Ok,
allora a più tardi” disse Buffy, e le due ragazze si separarono.
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Buffy
aveva liquidato la pratica ronda più velocemente di quanto si aspettasse: i
vampiri nel campus non mancavano di certo, ma evidentemente quella sera erano
tutti a dieta stretta. Non ne aveva incontrato neanche uno e così aveva deciso
di rientrare dopo poco più di un’ora per dedicarsi alla sua relazione.
Tuttavia
dopo aver passato un’altra ora abbondante senza riuscire a scrivere più di una
decina di righe (per lo più prive di senso) decise di chiedere aiuto e quindi
si diresse verso la palazzina che ospitava la sezione maschile del dormitorio.
Quando
Riley Finn aprì la porta della sua camera gli sembrò di sognare: a bussare alla
sua porta, alle undici di sera passate, era Buffy Summers, la più carina delle
matricole di quell’anno.
“E’
ancora valida la tua offerta di aiuto?” gli chiese sorridendo la ragazza.
Riley
era troppo impegnato a badare che il cuore non gli saltasse fuori dal petto per
l’emozione, e in un primo momento non capì di cosa la giovane stesse parlando.
Buffy,
notando la sua confusione, si affrettò ad aggiungere: “La relazione per la
professoressa Walsh”.
Riley
sembrò ricordarsi di tutta la scena in biblioteca e della proposta di aiuto che
aveva offerto a quella studentessa in difficoltà. “Certo che è ancora valida!
Vieni, entra” la invitò, stampandosi in faccia il sorriso più radioso di cui
era capace.
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Lavorarono
ininterrottamente per quasi tre ore, durante le quali Riley le chiarì alcuni
punti delle lezioni degli ultimi giorni che per Buffy erano rimasti degli
autentici misteri, e le diede anche delle interessanti dritte su come stendere
concretamente la relazione in modo da colpire favorevolmente la professoressa.
Buffy
capì più in quelle tre ore che in tutte le lezioni che aveva seguito, e, alla
fine, il suo compito risultò positivamente influenzato da quella nuova e più
profonda comprensione.
Quando
scrisse la parola fine era molto soddisfatta del suo lavoro e anche Riley, che
pure non aveva minimamente partecipato alla sua stesura, convenne sul fatto che
si trattava di una relazione chiara, precisa e abbastanza completa. Con un
caloroso abbraccio si complimentò con Buffy.
Buffy
non si sottrasse a quel contatto: in fondo quel ragazzo biondino e con gli
occhi blu le piaceva. Certo, dopo la brutta esperienza passata con Parker si
era ripromessa di andarci con i piedi di piombo, ma Riley non le sembrava
pericoloso, e così non solo non si sciolse da quell’abbraccio, ma addirittura
lo ricambiò.
E
ricambiò i gesti del ragazzo anche quando, non si sa come, l’abbraccio si
trasformò in un bacio, partito timidamente e proseguito con sempre più audacia.
Buffy
era sconvolta: le sensazioni che provava in quel momento non le dispiacevano,
anche se l’avevano presa completamente alla sprovvista…Riley Finn non le
dispiaceva affatto… e anche il ricordo di Parker, con i conseguenti propositi
di prudenza erano lontani, sepolti chissà dove nella sua mente. Ma…
Proprio
mentre il bacio i faceva più intenso ed appassionato avvenne la trasformazione:
i capelli di Riley divennero più scuri e un po’ più corti; anche gli occhi si
scurirono, passando dall’azzurro al nocciola intenso; le labbra si fecero più
fredde, così come le mani che le cingevano i fianchi…
“Angel…”
mormorò Buffy in un sospiro quasi doloroso, ma nello stesso momento in cui
pronunciava il nome del vampiro si rese conto che il cambiamento era avvenuto
solo nella sua fantasia, che, baciando Riley, aveva immaginato e desiderato di
baciare Angel.
“Mi
dispiace” fu tutto quello che riuscì a dire di fronte all’espressione sorpresa
ed addolorata del ragazzo. “Mi dispiace” ripeté voltandosi ed uscendo di corsa
dalla stanza di Riley.
Il
giovane rimase lì, impalato di fronte alla porta spalancata dalla quale Buffy
si era dileguata. Neanche lui aveva immaginato che la serata potesse prendere
quella piega, ma soprattutto non si era aspettato, mentre le sue labbra erano
saldamente incollate a quelle della ragazza (che ricambiava il suo bacio), un
epilogo così brusco.
Angel…
Lo aveva chiamato Angel…
Riley
non sapeva nulla della vita di Buffy e non aveva la più pallida idea di chi
fosse questo Angel, ma sapeva già di non provare una grande simpatia per lui… e
col tempo quell’istintiva antipatia si sarebbe trasformata in odio puro.
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Los
Angeles.
“Coraggio
uomo” disse Doyle, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla.
Angel,
nonostante tutto, sorrise: quando l’amico usava quell’appellativo, uomo, per
rivolgersi a lui gli sembrava quasi che il cuore gli si scaldasse un po’.
Non
sapeva neanche perché gli avesse raccontato tutto: in fondo gli Oracoli avevano
detto che lui avrebbe dovuto essere l’unico a conservare il ricordo del suo
giorno da essere umano.
Forse
glielo aveva detto perché sentiva il bisogno di confidarsi con qualcuno: non
gli accadeva spesso (non voleva angosciare gli altri con i suoi personali
fantasmi), ma quando succedeva Doyle era sempre accanto a lui, che lo ascoltava
e non lo giudicava…forse addirittura lo comprendeva. E Angel con lui riusciva
ad aprirsi, senza il timore che l’altro cominciasse a guardarlo come un mostro
a dieci teste.
E
poi, in un certo senso, quel mezzo demone era la sua ancora di salvataggio: in
pochi mesi, più o meno consapevolmente, gli aveva impedito di fare sciocchezze
talmente tante volte che Angel ormai aveva perso il conto. E questa era stata
solo l’ennesima volta: il vampiro non riusciva più a tenersi tutto dentro
(stava impazzendo), aveva deciso di parlarne con qualcuno (non poteva certo
parlarne con Cordelia con la lingua lunga che si ritrovava la ragazza) e aveva
deciso che quel qualcuno dovesse essere Buffy. Ma poi era arrivato Doyle, in
meno di trenta secondi aveva capito che c’era qualcosa che non andava e in
ancor minor tempo era riuscito a convincerlo a confidarsi. Una volta sfogatosi
Angel aveva capito che era meglio che la donna che amava continuasse a non
ricordare, anche perché, diversamente, le Alte Sfere avrebbero potuto prenderla
male.
“Probabilmente
neanche se ne è accorto, ma anche questa volta mi ha risparmiato un sacco di
guai” pensò Angel, sorridendo, una volta che Doyle lasciò l’ufficio per
tornarsene a casa.
Il
vampiro era di nuovo solo, ma aveva un peso in meno a gravargli sul cuore.
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Sunnydale,
il giorno dopo.
“Bene
ragazzi, anche oggi la tortura è finita. Lasciate al mio assistente, il signor
Finn, le vostre relazioni: tempo una settimana e saranno corrette e restituite.
Credo sia inutile dirvi che chi non consegna il compito oggi da domani può
anche fare a meno di seguire le lezioni perché tanto è fuori dal corso.
Arrivederci a domani” concluse la professoressa Walsh e, raccolto tutto il suo
materiale, lasciò l’aula.
Nel
consegnare la sua relazione, Buffy non ebbe nemmeno il coraggio di guardare in
faccia Riley, e la cosa non sfuggì alla mente osservatrice della sua amica.
Quando poi fu il turno di Willow per la consegna, Riley le chiese sottovoce:
“Ho bisogno di parlarti, per favore. Quando possiamo incontrarci”.
La
rossa, dopo un attimo di riflessione, rispose: “Al bar nel corpo del campus,
alle cinque”.
“Vorrei
che non ci fosse Buffy” la pregò il ragazzo.
“L’avevo
capito. A quell’ora Buffy è in palestra, quindi non dovrebbero esserci problemi”
lo rassicurò e, lasciandolo, gli fece l’occhiolino.
Per
un attimo Riley temette che la ragazza avesse frainteso le sue parole, ma non
ci sarebbe stato modo di verificarlo fino a quel pomeriggio: fino ad allora non
poteva far altro che sperare nel buon intuito di Willow.
“Io
credo che ci sia qualcuno che deve raccontarmi qualcosa…” disse con fare
malizioso la strega, raggiungendo Buffy fuori dall’aula.
Buffy
per un attimo sembrò non capire a cosa si riferisse l’amica, poi capì, ma
continuò a fingere.
“Insomma
Buffy, si può sapere cos’hai?” chiese Willow notando la completa mancanza di
complicità da parte della Cacciatrice. “Da quando sei tornata da Los Angeles
non sei più la stessa. Possibile che Angel ti faccia ancora questo effetto?”.
“Cara
Willow, temo che Angel mi farà questo effetto finché avrò aria nei polmoni e
sangue che scorre nelle vene” ammise Buffy. “E comunque non è come credi: la
mia visita a Los Angeles è stata la cosa più fredda che io abbia mai fatto”.
“E
allora perché continui a pensarci?” le chiese Willow, abbandonando il tono
accusatorio di poco prima per assumerne uno consolatorio: era evidente che
Buffy avrebbe avuto bisogno di buone parole e di una spalla su cui piangere.
“Il
fatto è che andando là mi sono resa conto che è veramente tutto finito fra noi
due, e, quel che è peggio, mi sono resa conto che a lui sta benissimo così, non
ha neanche più bisogno di me. Voglio dire: una volta noi eravamo una squadra.
Già non stavamo più insieme, già mi aveva detto che se ne sarebbe andato, ma
continuavamo a lavorare fianco a fianco, avendo bisogno l’uno della presenza e
dell’aiuto dell’altro, sostenendoci a vicenda…” Buffy ormai era alle lacrime.
“E invece ora non c’è neanche più quello. Lui vive benissimo senza di me… e
invece io…”.
“Ma
come puoi essere sicura di una cosa del genere? Te lo ha detto lui?” chiese
Willow.
“No,
certo che no, ma certe cose non hanno bisogno di essere dette. Quando sono
entrata nel suo ufficio non ha mostrato la minima emozione…neanche fossi stata
dell’ufficio delle tasse sarebbe stato più distaccato! E poi, mentre
discutevamo, siamo stati attaccati da un demone medioevale: era enorme e aveva
un’aria parecchio minacciosa… e se lo dico io, che di demoni me ne intendo,
puoi star certa che non si trattava di un agnellino. Io non ho neanche avuto il
tempo di reagire che lui l’aveva già fatto fuori. Mi sono sentita talmente
inutile in quel momento… talmente tagliata fuori… Lui non ha più bisogno di me
neanche nelle vesti della Cacciatrice ormai… La sua vita va avanti come se
nulla fosse… mentre la mia…”.
“Ma
dai, lo sai che non è vero… Sarà solo che ormai avrà già ucciso una decina di
quei demoni e quindi ormai sa come eliminarli senza fare neanche troppa
fatica…” cercò di consolarla Willow, ma Buffy la interruppe: “Ho già controllato
Will: demoni di quel genere ne compaiono uno ogni mille anni, e Angel, per
quanto vecchio possa essere, non arriva in quadrupla cifra. Era la prima volta
che ne affrontava uno e non ha avuto alcun bisogno di me per eliminarlo… Mi ha
dimenticata… Mi ha totalmente cancellata dalla sua vita…” e se fino a quel
momento il pianto di Buffy era stato contenuto, ora esplose nei frenetici
singhiozzi di un cuore nuovamente spezzato.
“Buffy,
sono convinta che le cose non stanno così” cercò di consolarla Willow, ma dopo
un istante decise di prendere la palla al balzo: “E se anche fosse dovresti
fartene una ragione. Angel ti ha lasciata e, per quanto possa farti male la
cosa, credo che abbia fatto la scelta giusta. Ora tu devi riprendere la tua
vita e fare il modo che sia il più normale possibile, almeno il vostro
sacrificio non sarà stato inutile. E poi mi sembra che anche tu abbia fatto già
qualche passo in quella direzione…”.
“Se
ti riferisci a Parker, sappi che è tutto fiato sprecato”.
“Parker
è un cretino che non vale neanche un’unghia del mignolo del tuo piede sinistro,
e non è a lui che mi riferivo, ma ad un certo Riley Finn: biondo, occhi
azzurri, alto e ben piazzato, assistente della professoressa Walsh, cotto e
stracotto per te… Ti dice nulla tutto questo?”.
Negli
occhi di Buffy si accese un’impercettibile scintilla di divertimento. “Non
posso proprio nasconderti niente!” esclamò.
“Già,
mi chiamano Sherlock Willow: mi mancano la pipa, il violino e il cappello con
il
para-orecchie e poi sarei perfetta!” sentenziò
orgogliosamente la strega.
Buffy
sorrise ancora, ma poi una patina di tristezza le velò di nuovo gli occhi, e le
raccontò tutto quello che era accaduto la sera prima.
“Capisci
Willow: mentre baciavo Riley era il volto di Angel quello che vedevo… che
volevo. Riley mi piace, inutile che lo neghi, ed è proprio per questo che non
posso prenderlo in giro…ma non è Angel…” aveva aggiunto quelle ultime quattro
parole in un sussurro.
Willow
la abbracciò e la sentì rilassarsi un pochino stretta nel suo abbraccio. Quindi
sospirando le chiese: “E io adesso cosa devo dirgli?”.
Questa
volta Buffy non capiva veramente: “Dire cosa a chi?” chiese all’amica.
“A
Riley. Mi ha chiesto di incontrarlo perché deve parlarmi… e ora credo di sapere
cosa voglia chiedermi. Cosa gli devo dire se mi chiede di Angel?”.
“Digli
la verità… magari tralasciando il piccolo particolare che è un vampiro… ma per
il resto digli la verità”.
Willow
annuì con un’espressione comprensiva; quindi le due ragazze si separarono.
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Erano
già le cinque e un quarto e Willow stava correndo come una disperata per
raggiungere il bar dove aveva appuntamento con Riley. Quando finalmente ci
arrivò, cinque minuti dopo, era completamente senza fiato, tanto da non averne
neanche per tirare un sospiro di sollievo: il ragazzo era ancora lì.
“Scusami
Riley, ma ero in biblioteca e non mi sono proprio accorta che fosse così tardi.
Sono veramente mortificata” si scusò.
“Non
ti preoccupare, Willow, sono arrivato un po’ in ritardo anch’io” mentì
spudoratamente: lui era arrivato con almeno un quarto d’ora d’anticipo, ma non
voleva farlo pesare troppo alla ragazza… in fondo era l’unica che potesse aiutarlo.
“Scusa
se vengo subito al sodo, ma ho una domanda che mi ronza in testa da ieri sera:
chi è Angel?”.
Willow
non gli rispose immediatamente (Buffy aveva detto di dirgli la verità, ma non
era facile), il che diede a Riley il tempo per notare che non c’era delusione
nello sguardo della sua interlocutrice. Prese allora a respirare più
liberamente: Willow non aveva frainteso il motivo di quell’appuntamento.
“Era
il suo ragazzo” disse Willow, distogliendo Riley dai suoi pensieri. “E’ stata
una storia importante, terminata per…cause di forza maggiore. Lei è ancora
piuttosto sofferente per la fine di questa relazione, ma è decisa a voltare
pagina: se Buffy ti interessa veramente devi avere solo un po’ di pazienza. So
che le piaci, me lo ha detto lei stessa, ma… ancora non è riuscita a
dimenticarlo del tutto… Abbi pazienza e sarete felici in due” concluse la
giovane strega.
Riley
aveva ascoltato le sue parole senza mai interromperla, immagazzinando nella sua
mente analitica tutte quelle informazioni. “Mai una cosa semplice!” scherzò
quando Willow finì di parlare; quindi, rifacendosi serio, aggiunse: “Ma le
sfide mi sono sempre piaciute”.
“Se
per te Buffy è solo una sfida, un gioco, un’altra tacca sul tuo personale
palmares, lasciala stare. Ha già sofferto abbastanza senza che ti ci metta
anche tu” lo interruppe sulla difensiva Willow.
“No”
la rassicurò Riley, “Per me Buffy non è nulla di tutto ciò. E’ solo una
splendida ragazza che ha catturato il mio cuore e la mia mente dal primo
istante che l’ho vista, anche se aveva tentato di ammazzarmi a colpi di libri
in testa… Non ho nessuna intenzione di farla soffrire… anzi”.
“Bene,
ma sappi che se stai mentendo poi te la vedi con me…” disse Willow con tono
scherzosamente minaccioso.
“Non
c’è che dire: Buffy è fortunata ad avere amici come te”. Quindi, come colpito
da un’improvvisa folgorazione, aggiunse: “Scusami Willow, sono stato veramente
un maleducato galattico: posso offrirti qualcosa?”.
“Un
cappuccino con molta schiuma, grazie”.
Restarono
a parlare del college ancora per un’altra mezz’ora, quindi i salutarono,
dandosi appuntamento per il giorno dopo alla lezione di psicologia.
“Mi
piace. Non sarà Angel, ma mi piace e credo che lui e Buffy staranno bene
insieme” pensava Willow mentre rientrava al suo dormitorio. Buffy era già in
camera (Giles aveva interrotto prima l’allenamento supplicando pietà) e, cosa
incredibile, stava studiando.
CAPITOLO
2
Sunnydale.
Era
passato un mese da quel loro primo, accidentale, bacio, e la natura dei
loro rapporti era profondamente cambiata.
Ormai
Buffy e Riley stavano insieme a tutti gli effetti e
Riley
era così diverso da Angel...
...
Riley era solare, Angel era la notte...
...
Riley non stava zitto un attimo, Angel non diceva mai più di tra parole di
fila...
...
Riley era istintivo, Angel rifletteva sempre prima di agire...
...i
suoi amici si fidavano di Riley come non si erano mai fidati di Angel...
persino Xander lo aveva accettato di buon grado...
E
soprattutto Riley era vicino, mentre Angel era lontano...molto più lontano
della distanza che separava Sunnydale da Los Angeles.
Non
era stato facile per Riley distruggere, mattone dopo mattone, la muraglia che
Buffy aveva eretto a difesa del suo cuore, ma lui non aveva mai mollato e alla
fine aveva abbattuto ogni sua resistenza.
Neanche
per Buffy era stato semplice fidarsi completamente di lui, consegnare un’altra
volta le chiavi del suo cuore nelle mani di un uomo...di un uomo diverso da
Angel... Ma ora era tutto alle spalle: ora nella sua mente e nel suo cuore
c’era spazio solo per Riley, e questo non la spaventava perché sapeva che il
ragazzo non l’avrebbe mai fatta soffrire...neanche senza volerlo...neanche per
il suo bene...
L’unico
momento veramente complicato della loro giovane storia era venuto quando
avevano scoperto le loro reciproche attività notturne: si erano incontrati una
sera, nel parco del campus, mentre entrambi davano la caccia a Spike o, come lo
chiamava Riley, all’Ostile 17. Si erano guardati in faccia, gli occhi
spalancati e la bocca aperta per la sorpresa, completamente dimentichi della
loro comune preda che così, ancora una volta, era riuscita a fuggire e a
mettersi in salvo in qualche cripta. Non erano riusciti a dirsi neanche una parola
in quella circostanza, e il loro silenzio era proseguito anche nei giorni
successivi. Poi, con l’aiuto di Giles, si erano chiariti e si erano accettati.
Buffy aveva anche provato ad entrare a far parte dell’Iniziativa, ma
l’opposizione della Walsh era stata categorica, e così era stato Riley ad
aggregarsi alla Scooby Gang, pur mantenendo il suo ruolo nell’esercito. Avevano
iniziato così la loro collaborazione e per i vampiri e i demoni di Sunnydale i
tempi si erano fatti ancora più duri che in precedenza.
E
di pari passo con la loro collaborazione, era cresciuta e si era rinsaldata la
loro relazione amorosa, tanto che Buffy ne era ormai completamente coinvolta:
Riley la amava ed era riuscito a cancellare dal suo cuore il dolore per
l’abbandono di Angel. Certo, non era riuscito a cancellare Angel dalla sua
vita, ma Buffy non voleva che questo accadesse: Angel era stato una parte molto
importante della sua esistenza, l’aveva aiutata a crescere e le aveva insegnato
ad amare, a soffrire, a cadere in piedi e a rialzarsi...e tutto questo l’aveva
resa più forte, la più forte Cacciatrice mai esistita, ma anche una semplice
donna che affronta la vita di petto senza lasciarsi annientare. Buffy non
voleva dimenticare Angel, soprattutto non ora che, grazie a Riley, ripensare a
lui non le faceva più sanguinare il cuore. Angel sarebbe rimasto nell’anima di
Buffy finché non fosse morta (di questo
Riley,
dal canto suo, aveva fatto inizialmente una grande fatica ad accettare
l’inequivocabile dato di fatto che una parte di Buffy sarebbe sempre
appartenuta al suo rivale, ma col tempo aveva capito che mettersi a gareggiare
con lui o cercare di screditarlo agli occhi del mondo non sarebbe servito a
guadagnare punti nel cuore di Buffy e quindi aveva deciso di fare buon viso a
cattivo gioco.
E
aveva avuto ragione: ora Buffy era
Ma
i loro rapporti non erano gli unici ad essere cambiati nel corso dell’ultimo
mese: anche per Xander c’erano stati notevoli cambiamenti. La sua relazione con
Anya era andata via via spegnendosi di pari passo con lo scemare della passione
e il subentrare della noia. I due si erano lasciati di comune accordo e questo
aveva permesso loro di rimanere in buoni rapporti, meravigliando persino il
signor Giles per la maturità che dimostrarono in quell’occasione.
Tutto
questo, tuttavia, non impedì a Xander di sentirsi perso e solo (in fondo si era
piacevolmente abituato alla strampalata presenza dell’ex-demone al suo fianco),
e la felicità delle sue amiche, pur rendendolo felice per loro, non faceva
altro che acuire il suo senso di disagio (arrivò persino a comprendere il dolore
di Buffy per la separazione da Angel, mentre fino a quel momento si era chiesto
perché la ragazza piangesse invece che far festa per la partenza del vampiro).
Ma
la svolta era giunta anche per lui, e nella maniera più inaspettata. La svolta
aveva un volto noto, il volto di una ragazza che Xander credeva uscita per
sempre dalla sua vita: la svolta della sua vita aveva avuto il volto e il nome
di Cordelia Chase.
Era
successo tutto molto in fretta, poche settimane prima, quando la ragazza era
tornata a Sunnydale per parlare con Buffy (di Angel, probabilmente...); era
successo tutto talmente in fretta che né Xander né Cordelia avevano
completamente capito quello che stava accadendo loro: qualche schermaglia
verbale conclusasi, proprio come ai tempi del liceo, con un bacio appassionato,
i corpi stretti l’uno nell’abbraccio dell’altro. Ma non per questo i due
ragazzi non si erano resi conto che quella era la svolta che le loro vite
attendevano. Tempo ancora qualche settimana, in modo da dare a Cordelia il
tempo di sistemare i suoi affari a Los Angeles, e la ragazza sarebbe tornata,
definitivamente, a Sunnydale per vivere con Xander. Era semplicemente assurdo,
lo sapevano benissimo entrambi, ma era quello che volevano e non avevano dubbi
in proposito.
In
mezzo a tanti sconvolgimenti (persino Giles aveva una nuova compagna che,
forse, sarebbe riuscita a colmare il vuoto lasciato dalla morte di Jenny),
l’unica coppia che pareva inossidabile erano Willow e Oz che, superato
l’ostacolo Varuca, si erano ritrovati più uniti che mai.
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Los
Angeles.
“Questa
volta tocca a me fare qualcosa per lui” pensava Angel, guardando Doyle e
notando il dolore nascosto negli occhi del mezzo demone.
Angel
aveva sempre intuito i sentimenti che l’amico provava nei confronti di
Cordelia, e pochi meglio di lui avrebbero potuto comprendere il suo stato
d’animo: non era facile vedere la donna amata fra le braccia di un altro; non
era facile essere consapevole che un altro l’avrebbe fatta felice come a lui
non era stato concesso...e soprattutto non era facile abituarsi ad idee del
genere da un giorno all’altro. Ed era stato proprio da un giorno all’altro che
Cordelia li aveva informati che avrebbe lasciato Los Angeles e
Angel
aveva persino provato a parlare, con molta discrezione, a Cordelia per farla
ragionare, badando di non lasciar trapelare nulla di ciò che sapeva, ma era stato
tutto inutile, e alla fine il vampiro aveva dovuto riconoscere che la
determinazione della ragazza era autentica ed incrollabile (oltre che
folle!!!). Non si trattava di un capriccio passeggero e quindi alla fine si era
ritrovato ad augurare con sincerità ogni felicità ai due...salvo poi sentirsi
terribilmente in colpa nei confronti di Doyle che, in un certo senso, aveva
tradito.
“E’
dispiaciuto persino a me che ho sempre considerato Cordelia il mio flagello
(altro che la maledizione degli zingari!!!), figuriamoci quanto possa far male
a lui che ne è innamorato. Ma cosa posso dirgli per farlo star meglio: so per
esperienza che non esistono parole adatte a lenire certi dolori, ma...”.
“Ci
serve qualcun altro” affermò Doyle, strappando Angel dai suoi pensieri.
“Scusa?”
chiese il vampiro che non era per niente sicuro che le suo orecchie avessero
capito bene.
“Cordelia
è andata via e quindi ci vuole qualcuno che la sostituisca: per quanto la sua
efficienza non rasentasse esattamente il 100%, aveva ragione ad affermare che
ti servisse una segretaria. Non ti preoccupare, me ne occupo io e solo quando
sarò convinto di aver trovato la persona giusta la metterò al corrente
di...tutto ciò che deve sapere...”.
Quella
di Doyle non era una proposta, né tanto meno una richiesta di consenso; era un
dato di fatto, una decisione presa, e anche se Angel non fosse stato d’accordo
ci sarebbe stato poco da fare. “E poi non posso certo andarci io a pagare le
bollette...non alle due di notte...” pensò Angel, accettando tacitamente la
decisione dell’amico. E poi gettarsi a capofitto nel lavoro era senza dubbio
uno dei migliori modi per non pensare a tutto il resto, e anche questo il
vampiro lo sapeva benissimo.
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Dopo
un mese di convivenza, Xander propose a Cordelia di diventare la signora
Harris, e la ragazza, convinta e sicura come non mai, aveva accettato.
La
cerimonia ebbe luogo la sera del 14 febbraio, per dare modo anche ad Angel di prendervi
parte. Cordelia a proposito era stata categorica (il vampiro doveva esserci) e
Xander aveva accettato di buon grado: in fondo, in un certo senso, questa volta
aveva vinto lui...Cordelia aveva preferito lui ad Angel...questa volta era
stato lui a portare via una donna al bel vampiro...e questo aveva rimarginato
la ferita all’orgoglio che lo aveva portato ad odiare Angel per tanto tempo.
Angel
e Doyle avevano cercato in tutti i modi di trovare una scusa per evitarsi
quella tortura, ma era stato tutto inutile (quello era un periodo insolitamente
tranquillo a Los Angeles), anche per le insistenze sempre più pressanti della
futura sposa, e quindi la sera prima del matrimonio si erano armati di tutta la
loro pazienza e di tutto il loro self-control ed erano partiti per
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Era
la prima volta che rivedeva Buffy dopo quel suo giorno da essere umano, due
mesi prima, ed era la prima volta che la vedeva insieme a Riley Finn.
Credeva
di essere pronto per quell’incontro. Ma non lo era affatto.
Credeva
di essere pronto a recitare la parte del vecchio amore contento per la nuova felicità
della sua ex-compagna, ma il suo copione era crollato come un castello di carte
al minimo soffio di vento, e persino più velocemente.
Credeva
che sarebbe riuscito a dominare il suo dolore, ma vederla sorridere, scherzare
e guardare con occhi sognanti un altro uomo gli straziava il cuore in maniera
più devastante di quanto avrebbe potuto fare un paletto di legno.
Era
sul punto di fuggire, di congratularsi con gli sposi e di andarsene
frettolosamente e in silenzio a scaricare la sua angoscia su qualche demone
particolarmente sfortunato.
Non
lo fece per due soli motivi.
Il
primo era che non voleva dare alcuna soddisfazione a quel bell’imbusto: lo
stava squadrando con l’aria del vincitore sin da quando era arrivato ed
andarsene avrebbe significato dargliela definitivamente vinta, significava
ammettere la sua sconfitta.
Il
secondo motivo che lo trattenne al ricevimento nuziale fu Willow: Oz era
rimasto bloccato a New York con la sua band per uno sciopero aereo, e quindi la
giovane strega era rimasta da sola...e lo aveva letteralmente sequestrato.
Stavano ballando insieme da tutta la sera, mentre Doyle si distraeva con Anya
(affinità demoniaca...), ed Angel, alla fine, aveva dovuto ammettere che, viste
le premesse, la serata stava andando meno peggio di quanto temesse.
“Non
sapevo che fossi una ballerina provetta!” disse, sorridendo, rivolto alla sua
dama.
“Beh,
sono tante le cose che tu, come tanta altra gente, non sai di me. Io sono
sempre e solo stata Willow, la rossa secchiona che ha per amiche le ragazze più
carine ed ammirate della scuola... il brutto anatroccolo...” disse Willow, con
appena un velo di malinconia nella voce.
“Lo
sai benissimo che questo non è vero...” cercò di dire Angel.
“Ah,
già! Tu una volta ti sei persino chiesto se non avessi sbagliato ragazza
corteggiando Buffy invece che me...”. Willow si interruppe bruscamente,
rendendosi conto della gaffe commessa: Angel in fondo aveva solo voluto farle
un complimento e rinfacciargli le parole che il suo demone aveva pronunciato
tenendola in ostaggio era stato un colpo basso. E Angel aveva visibilmente
accusato il colpo. “Scusami Angel” tentò di rimediare. “Sono veramente una
scema, non volevo ricordarti di lui...”.
Angel
la interruppe dolcemente, sorridendo in maniera triste: “Non ti preoccupare
Willow, va tutto bene. E poi non ho certo bisogno di te, o di chiunque altro
per ricordarmi di Angelus... lui è in me... lui sono io e non posso
dimenticarmene”.
“No,
non è vero: tu sei tu, sei Angel... Lui è Angelus ed è diverso da te... Io non
ballerei mai con Angelus!!!” gli disse la ragazza con convinzione,
interrompendo per un attimo la loro danza.
Il
sorriso di Angel si fece ancora più struggente: “Questo è quello che mi dico da
cent’anni a questa parte per tirare avanti, ma non è la realtà. La verità e
che, mi piaccia o no, io sono lui e lui è me... se così non fosse non avrei mai
avuto bisogno di allontanarmi da Buffy...”.
“Eccomi
qui! Come si dice? Parli del diavolo e spuntano le corna!”. Buffy si era
avvicinata a loro e, per la prima volta nella serata, gli aveva rivolto la
parola. “Will è tutta la sera che balli con Angel: comincio a pensare che dato
che il gatto è a New York, la topolina balla a Sunnydale...”.
Era
chiaro che quella di Buffy era stata una battuta (anche se di dubbio gusto), ma
alla strega diede parecchio fastidio.
“Per
quel che mi riguarda, l’unico topo che conosco è la povera Amy, e non credo che
in questo momento stia ballando” rispose con tono seccato, quindi rivolta ad
Angel: “Scusami, vado a prendere qualcosa da bere. Ci vediamo più tardi” e si
allontanò verso il buffet, lasciando Buffy ed Angel da soli.
“Ma
io stavo solo scherzando…” tentò di giustificarsi
“Beh,
devi ammettere che come scherzo è stato un po’ pesante...” la rimproverò
distrattamente Angel.
“Domani,
quando le sarà passata, le chiederò scusa. Intanto concedi un ballo anche a me
o sei sua proprietà privata per tutta la sera?”. Il tono di Buffy era ancora
scherzoso, ma, se anche poteva ingannare gli altri,
“Io
non credo che sia il caso, Buffy” si costrinse a rifiutare Angel, senza
tuttavia avere il coraggio di guardare la ragazza direttamente negli occhi.
“Certo
che è il caso, invece! Riley sta ballando con la sposa, mentre Xander balla con
Anya: se lo sposo balla con la sua ex e nessuno ha nulla da ridire, vuol dire
che possiamo tranquillamente farlo anche noi” e così dicendo aveva afferrato
una mano di Angel e aveva messo l’altro braccio intorno al suo collo. Avevano
così cominciato a ballare, e per quanto Angel tentasse di rimanere distaccato,
l’avere Buffy fra le sue braccia riaccendeva in lui sentimenti soffocati ma mai
morti.
Riley
osservò quella scena, ma decise che, per quella volta, avrebbe fatto finta di
nulla.
Al
momento del lancio del bouquet fu Buffy che si ritrovò con il delicato mazzo di
roselline bianche e profumate in mano, e tutti i presenti si congratularono con
lei e Riley per le loro imminenti nozze… Solo Cordelia, notando lo sguardo di
Angel non disse nulla, limitandosi a ballare col vampiro un paio di balli.
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Ma
le sorprese a Sunnydale non si esaurirono certo con quel matrimonio lampo.
Erano
infatti passate poco meno di due settimane dalla cerimonia (gli sposi non erano
ancora tornati dal viaggio di nozze) quando Buffy cominciò a non stare troppo
bene. Era una sensazione strana quella che provava
La
sua attività di Cacciatrice, inizialmente, non ne risentì troppo, anche se cacciando
Buffy provava una sensazione diversa dal solito: non si era mai sentita
minacciata da un vampiro appena uscito dalla tomba, ma negli ultimi tempi anche
il più sprovveduto novellino allertava i suoi sensi e il suo istinto neanche
fosse stato il Maestro.
“Cosa
mi sta succedendo, signor Giles? Cammino completamente sola in un cimitero e
quando mi si presenta davanti un vampiro qualunque…un vampiro che normalmente
ridurrei in cenere in meno di trenta secondi, bendata e in equilibrio su una
gamba sola…e io comincio a combattere come se mi trovassi di fronte ad un
incrocio fra il Maestro, Angelus e il Sindaco… Combatto come se dovessi
proteggere qualcuno, ma non so assolutamente chi sia questo qualcuno! Eppure
l’istinto è così forte…”
Giles
la ascoltava attentamente mentre con cura puliva i suoi occhiali. Era un po’
preoccupato…non troppo però dato che, in fondo, la ragazza gli aveva appena
detto che affrontava tutti i vampiri, indistintamente, come se si trattasse di
una questione di vita o di morte, e quindi con molta più attenzione. E comunque
non voleva allarmare Buffy inutilmente, non prima almeno di aver trovato nei
suoi preziosi libri una possibile spiegazione per quella situazione.
“Non
lo so cosa ti sta succedendo, ma non me ne preoccuperei troppo: la tua
efficienza, in fondo, risulta aumentata, e questa non è certo una cosa
negativa. Piuttosto come stai? Poco fa ho sentito Riley e mi ha detto che anche
questa mattina ha avuto qualche piccolo problemino…”
“Se
per ‘piccolo problemino’ lei intende il vomitare fino a rimettere anche
l’anima, allora sì, ho avuto qualche piccolo problemino questa mattina…”
rispose con noncuranza la ragazza. Non dava troppo peso a quei malori, anche se
ultimamente, invece che diminuire, andavano facendosi sempre più frequenti.
“Perché
non ti fai vedere da un medico? Anche se sei
“Ok,
ok. Adesso me ne vado tranquilla a casa e chiamo il medico per fissare un
appuntamento (così la finirete di darmi tutti lo stesso consiglio); poi mi farò
un bel bagno caldo, mi berrò una tazza di fumante the alla vaniglia…”, ignorò
l’espressione di disgusto che si era dipinta sul volto dell’inglese, “…e poi me
ne andrò a letto lasciando che, per una sera, il mio adorato ragazzo e i
suoi amici se la cavino da soli.
“Mi
sembra un’ottima idea: forse sei solo un po’ stanca” convenne Giles.
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Quella
sera Riley rientrò dalla caccia più tardi del solito, visto che, ancora una
volta, l’Ostile 17 era riuscito ad eludere tutti i loro piani per catturarlo;
quando infine rientrò stanco, sudato e leggermente ferito, trovò ad attenderlo
una Buffy completamente fuori di sé per la preoccupazione. Il giovane soldato,
completamente sorpreso per lo stato d’animo della sua compagna, ebbe il suo bel
da fare per tranquillizzarla, ma a furia di baci, rassicuranti abbracci e
tenere carezze riuscì a restituirle un po’ di calma.
Fecero
l’amore, come praticamente tutte le sere, ma questa volta Buffy non provò
praticamente alcun piacere. Ovviamente finse di essere in estasi per non ferire
il suo ragazzo, ma dentro di sé non riusciva a spiegarsi il perché di quella
completa mancanza di coinvolgimento. Riley era dolce ed era decisamente un
ottimo amante e un paio di volte insieme a lui era quasi riuscita a raggiungere
quel piacere totale che aveva provato quell’unica volta con…
“NO!!!”
urlò nella sua mente
Si
addormentò, e per la prima volta dopo mesi, sognò Angel. Lo vide che la baciava
appassionatamente in piena luce del sole; lo vide sdraiato accanto a lei, nudo,
che mangiava gelato al cioccolato; lo vide attaccato da un demone come quello
che aveva incontrato nel suo ufficio e lo vide gravemente ferito… L’ultima
immagine che ebbe di lui era quella di un Angel sorridente che teneva qualcosa
fra le braccia con tenerezza infinita… Non fece in tempo a capire cosa avesse
in braccio perché ormai si stava svegliando e le immagini del sogno si facevano
confuse e scappavano dalla sua memoria come i vampiri scappano, quasi senza
lasciare traccia, dalla luce del sole. Quando si svegliò dubitò persino di aver
sognato…solo pochi frammenti rimanevano ancora impressi nella sua mente, e
presto, probabilmente, sarebbero fuggiti anche quelli.
Non
ne parlò, ovviamente, con Riley, neanche quando il ragazzo le chiese cosa
avesse sognato di tanto bello da farla gemere e mugolare per tutta la notte.
“Spero
almeno che stessi sognando me” disse con aria fintamente risentita.
“Veramente
io stavo sognando di farlo contemporaneamente con Brad Pitt, George Clooney e
Mel Gibson… Ma certo che stavo sognando te, scemo!”. Non sapeva perché gli
aveva mentito, non avrebbe voluto farlo: stare zitta sarebbe stata la cosa di
gran lunga migliore. “Non avrebbe neanche potuto accusarmi di avergli mentito.
Comunque ormai è fatta, e lui è contento: ci manca poco che si metta a
scodinzolare!!!” pensò.
“Adesso
devo alzarmi: ho appuntamento col medico questa mattina”.
“Finalmente
ti sei decisa!!!” le disse, baciandola dolcemente. Ma anche questa volta a
Buffy diede fastidio quel contatto con lui e, con la scusa che era in ritardo,
si divincolò velocemente dall’abbraccio del ragazzo. La nausea la stava
assalendo di nuovo, ma fortunatamente quella volta fu meno peggio di tante
altre.
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Due
giorni dopo il telefonò dell’appartamento di Buffy e Riley squillò e fu la
ragazza a rispondere: era il dottor Miller, il medico da cui si era fatta
visitare.
“Tutto
a posto signora Summers…”.
“Signorina”
lo corresse Buffy.
“Oh,
io credevo che…” cercò di dire il medico.
“E
poi come fa a dirmi che va tutto bene: ancora questa mattina sono stata
malissimo ed ora comincio a star male anche tutto il resto della giornata. Mal
di testa, mal di schiena…e poi sono così nervosa ed apprensiva. E adesso che ci
penso ho anche saltato l’ultimo ciclo. E lei viene a dirmi che va tutto
bene!!!” lo interruppe Buffy ancora una volta, quasi aggredendolo.
“Beh
Buffy, credo proprio che salterà ancora sette o otto cicli, ma i malesseri, se
tutto va come deve andare, dovrebbero passare dopo il primo trimestre. Per
quanto invece riguarda l’ansia, beh, temo che a quella dovrà abituarsi: i figli
causano preoccupazioni e paure da quando nascono a quando muoiono”.
“Cosa
diavolo c’entrano i figli ades…”. Buffy si interruppe, incominciando ad intuire
ciò che il medico le stava dicendo.
“Lei
è incinta Buffy” sentenziò il dottor Miller senza lasciare alcuna possibilità
di replica. “Non è stato possibile stabilire di quante settimane sia, per
quello ci vorrà anche un’ecografia, ma credo che lei abbia già un idea di
quando questo bambino possa essere stato concepito. Congratulazioni!”.
“Grazie”
biascicò Buffy ancora scioccata e Riley entrò in cucina giusto in tempo per
evitarle di avere un incontro troppo ravvicinato con le piastrelle del
pavimento. Si sentiva svenire: era incinta!
“Ma
non è possibile, io e Riley siamo sempre stati attenti” diceva una parte di
lei.
Ma
un’altra parte del suo essere controbatteva: “Beh, non proprio sempre attenti:
quella volta, dopo quella terribile caccia, non avete certo badato alle
precauzioni, e neanche quell’altra volta nella vasca da bagno…”.
“Ok,
ok, abbiamo capito. Va bene è possibile, ma è anche bello…?”.
Buffy
sentiva quei pensieri come se tutto il suo essere si fosse scisso in due parti
che adesso “combattevano” fra loro.
Di
fronte a sé vedeva Riley che, preoccupatissimo, muoveva le labbra, ma non
riusciva a sentire i suoni e le parole che uscivano dalla sua bocca. Poi la sua
mente si schiarì un attimo e la sua coscienza tornò ad essere unitaria. Questo
le permise di dire a Riley quelle tre parole che avrebbero radicalmente
cambiato le loro vite: “Aspetto un bambino”.
A
quella dichiarazione Riley ammutolì di colpo, ma all’espressione sorpresa del
primo momento se ne sostituì in brevissimo tempo un’altra che definire estatica
e sognante sarebbe stato riduttivo. L’abbracciò talmente forte che quasi la
soffocò, e coprendola di baci finì per toglierle del tutto il fiato, tanto che
la ragazza dovette allontanarlo per riprendere a respirare.
Riley
sprizzava gioia da tutti i pori e da una mezz’ora non faceva altro che
ripeterle quanto la amava e quanto sarebbero stati perfetti come genitori.
Aveva persino già cominciato a pensare a dove e come sistemare la cameretta del
bambino e a che nome gli avrebbero dato: “Se sarà maschio potremmo chiamarlo
Robert, come mio padre, mentre se sarà una bimba potremmo chiamarla Mary, come
mia madre, o Joyce, come la tua”.
Buffy
storse il naso sorridendo: non intendeva in nessun modo dare a suo figlio il
nome di uno dei suoi cari. Non le piaceva, e dargli il nome di uno significava
scontentarne un altro. L’entusiasmo di Riley però l’aveva contagiata e la
domanda che si era posta, “Lo voglio o no questo bambino?”, aveva ricevuto una
risposta affermativa. Certo, non sarebbe stato semplice, lei era pur sempre
Per
quel giorno decisero di non svelare la lieta notizia ancora a nessuno perché
volevano godersi da soli quella felicità così improvvisa ed inattesa.
Riley
quella sera le preparò una deliziosa cenetta a lume di candela e passarono il
resto della serata a progettare il loro futuro e quello del loro bambino
davanti al caminetto, acceso anche se fuori faceva ancora caldo.
Solo
un pensiero ribelle guastò la gioia di Buffy, proprio un istante prima di
addormentarsi. Nella sua testa continuava a sentire un voce che ripeteva
“…peccato che non sia di Angel…”.
CAPITOLO
3
Sunnydale.
Joyce
era indaffaratissima: aveva già contattato il fiorista per gli addobbi della
chiesa, aveva prenotato il ristorante, aveva preparato le partecipazioni e si
era occupata dei genitori di Riley, che erano venuti apposta dall’Iowa per
conoscere la futura nuora.
Pochi
giorni dopo l’aver saputo della gravidanza di Buffy, infatti, Riley le aveva
chiesto di sposarlo donandole un bellissimo anello con un piccolo diamante.
Buffy ancora stentava a crederci: lei,
Sarebbe
stato un matrimonio perfetto il loro, e in tutti i suoi sogni ad occhi aperti
Buffy si vedeva ormai vecchietta, circondata da una marea di nipotini e con
Riley sempre accanto a lei. L’unica cosa che la disturbava un po’ era il fatto
che, dato che era incinta, tutti (e non solo Riley) la trattavano come se fosse
una bambolina di porcellana che il minimo urto avrebbe potuto mandare in mille
pezzi: sua madre quasi non la lasciava partecipare ai preparativi per la
cerimonia per il timore che si stancasse troppo (“Mamma, vuoi per caso andare
tu a prendere le misure dal sarto al posto mio e magari, già che ci sei, vuoi
sposarti tu con Riley?” le aveva detto una volta, esasperata dall’atteggiamento
iperprotettivo della madre); il signor Giles la dispensava una sera sì e
l’altra pure dalla ronda, costringendo Riley ad un doppio lavoro; Riley e
Willow non la lasciavano un attimo sola e persino Spike, da quando aveva saputo
del bambino, sembrava aver smesso di darle il tormento. Certe volte avrebbe
voluto urlare che lei era incinta, non un’invalida, ma poi pensava che lo
facevano solo perché le volevano bene, e il disappunto le passava in fretta.
Per
quanto sua madre stesse organizzando tutto a puntino, c’erano delle cose che
solamente lei, Buffy, poteva e doveva fare. Chiese pertanto a Willow e Cordelia
di farle da damigelle (la strega quasi scoppiò a piangere dalla commozione
quando glielo chiese, come se non fosse stata la cosa più scontata del mondo) e
quindi si recò dal signor Giles.
Lo
trovò a casa sua, e, tanto per cambiare, era immerso in uno dei suoi soliti
libri di demonologia, con una tazza di the fumante sul tavolino.
“Ma
lei non stacca proprio mai?” gli chiese, divertita, Buffy, continuando a
spostare gli occhi dall’uomo al libro.
“No
se questo significa ridursi a guardare Passioni o altre schifezze del genere
per passare il tempo. Ci ho provato per un paio di giorni, ed è mancato poco
che impazzissi!!!”.
Buffy
scoppiò a ridere di cuore: proprio non ce lo vedeva il suo ex-Osservatore a
guardare quella assurda telenovela!!!
“Cosa
posso fare per te, oltre che chiederti come stai, anzi, come state, e offrirti
una tazza di the?” le chiese.
“Alla
vaniglia?” chiese a sua volta Buffy, per stuzzicarlo.
La
faccia di Giles la fece di nuovo scoppiare a ridere: “Per favore Buffy…” disse
con tono scandalizzato “…sono inglese io!!!”, e cominciò a ridere anche lui.
“Va
bene, allora vada per il the classico, ma almeno del limone ce lo posso
mettere, vero?”.
“Anche
un po’ di latte, se proprio ci tieni a rovinarlo, ma nessun’altra diavoleria o
ti caccio di casa!!!”.
Presero
il the insieme, accompagnandolo con dei deliziosi biscotti al burro (anche
quelli tipicamente inglesi). Quando infine terminarono la loro piccola merenda,
Buffy ricordò il motivo per cui l’aveva cercato.
“In
realtà, signor Giles, non ero venuta per prendere il the. C’è un favore che
vorrei chiederle… E’ piuttosto importante” disse con aria tutto d’un tratto seria.
“Qualsiasi
cosa, Buffy” rispose l’uomo altrettanto seriamente.
“Beh…
ecco signor Giles, io… io sono qui per chiederle di… sì, insomma… sono qui per
chiederle di accompagnarmi all’altare…”.
Giles
quasi si strozzò con l’ultimo boccone di biscotto al burro: era la cosa che più
aveva desiderato al mondo dal momento in cui aveva saputo delle nozze di Buffy.
Buffy per lui non era
Quando
si riebbe dalla splendida sorpresa, si impose tuttavia di ragionare: “E tuo
padre?” le chiese esitante, temendo che la ragazza potesse fraintendere o anche
solo semplicemente cambiare idea.
“Mio
padre mi ha fatto sapere che è felicissimo per me, ma che per il giorno del mio
matrimonio lui dovrà essere a Parigi per il compleanno della nonna della sua
segretaria, una ragazzina forse persino più giovane di me che, al momento, è la
sua compagna. Gli dispiace moltissimo, ma proprio non potrà esserci…” disse con
un sarcasmo tanto forte da mascherare persino il dolore per quell’ennesima
delusione.
“Mi
dispiace tantissimo Buffy…” le disse Giles, carezzandole delicatamente il viso.
Buffy seppe in quel momento che se un giorno le avessero chiesto chi fosse suo
padre, lei avrebbe fatto il nome di quell’adorabile topo da biblioteca inglese.
“A
me no, e quindi non si dispiaccia troppo neanche lei. Quell’uomo è uscito dalla
mia vita tanto tempo fa, nel momento in cui avevo più bisogno di lui, e io l’ho
invitato solo per pura formalità. Il suo abbandono non mi fa più star male,
anche se me ne ha fatto in passato, ma è acqua passata. Provo solo un po’ di
pena per lui… E poi è un altro l’abbandono che non supererò mai
definitivamente…”. Aveva aggiunto quell’ultima frase senza neanche rendersene
conto, ma quando realizzò ciò che aveva detto un attimo di imbarazzatissimo
silenzio calò sulla stanza.
“Gli
hai già parlato del tuo matrimonio?” chiese infine Giles, comprendendo che
l’argomento non avrebbe potuto essere semplicemente ignorato, come avevano
fatto tutti finora, ancora a lungo.
“A
meno che Cordelia, o qualcun altro, non gli abbiano detto qualcosa, Angel non
sa neanche che aspetto un bambino” rispose Buffy, senza capire se quello che
provava era senso di colpa o semplice tristezza per la piega che avevano preso
i rapporti fra lei e il vampiro da quando lui aveva lasciato Sunnydale.
“E…conti
di dirglielo?” chiese con molta cautela l’uomo.
“So
che dovrei farlo, ma non so né quando né soprattutto come: non mi piace l’idea
di dirgli tutto al telefono, senza poter affrontare il suo sguardo o la sua
reazione, ma sono sicura che se lo vedessi di persona non riuscirei a dirgli un
bel niente. Certo, lui capirebbe la situazione al volo…mi leggerebbe l’anima
con un solo sguardo, come ha sempre fatto…ma non sarei stata io a dirglielo…
Non so quale sia la soluzione meno vigliacca!”.
“Se
vuoi posso chiamarlo io” si offrì Giles.
“Ecco,
questa è decisamente la soluzione più vigliacca! No, signor Giles: grazie lo
stesso, ma è una cosa che devo fare io. In fondo è merito suo se ora sono così
felice, se finalmente avrò una vita quasi normale…se ne è andato apposta… Devo
essere io a parlargli” disse
“Allora
chiamalo. Andare sino a Los Angeles per tornare indietro mezz’ora dopo, magari
con il cuore gonfio di pianto, non servirebbe a farlo stare meno peggio…perché
che ci starà male è assicurato…, e inoltre sarebbe uno stress inutile sia per
te che per il bambino” la consigliò Giles, con fare paterno.
Buffy
non era ancora affatto convinta che quella fosse la cosa giusta da fare (come
se ci fosse un modo giusto per fare del male ad una persona cara!!!), ma decise
di dare ascolto al suo ex-Osservatore.
“Grazie”
bisbiglio dandogli un tenero bacio sulla guancia. Quindi fece per andarsene, ma
proprio sulla soglia di casa si voltò di nuovo e disse: “Signor Giles? Non mi
ha dato una risposta…”.
“Sarò
onorato ed orgoglioso di accompagnare la sposa all’altare” disse sorridendo
mentre, a quelle parole, anche dal volto di Buffy scomparve qualsiasi
preoccupazione o velo di tristezza per lasciare spazio al più sincero dei
sorrisi.
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Quello
stesso pomeriggio, a Sunnydale e Los Angeles.
“Mamma,
hai visto la mia agenda?” chiese Buffy, urlando dalla sua camera alla madre
che, in cucina, stava seguendo la sua quotidiana puntata di Passioni.
“No,
tesoro” rispose telegraficamente la donna, anche se Buffy era assolutamente
certa che sua madre non avesse neanche capito quello che le aveva chiesto.
“Maledetto
Passioni, e adesso come facc…”.
“Ma
chi voglio prendere in giro? Non ho bisogno dell’agenda: conosco quel numero a
memoria, anche se non l’ho composto spesso…”
Buffy
allungò una mano quasi tremante verso il suo cordless e compose il numero.
Libero.
“Salve,
qui è
Buffy
restò completamente interdetta quando a risponderle come una segreteria
telefonica era stata una voce femminile del tutto sconosciuta.
“Pronto?
C’è qualcuno in linea?” domandò di nuovo la voce.
In
un gesto istintivo, risentito ed irrazionale, Buffy riattaccò il telefono senza
dire una sola parola.
Furono
momenti di grande confusione per
Quindi
riprese il telefono e, questa volta preparata, attese che quella voce
rispondesse di nuovo. Quando questo, dopo pochi istanti (come se la donna fosse
attaccata all’apparecchio) avvenne, Buffy si affrettò a dire: “Salve, sono
un’amica di Angel e ho bisogno di parlargli: è urgente”.
La
ragazza dall’altra parte del filo le rispose, senza scomporsi minimamente:
“Dubito che lei possa esserlo veramente: se fosse davvero un’amica di Angel
saprebbe che è altamente improbabile, per non dire quasi impossibile, trovarlo
in ufficio a quest’ora del giorno”.
Ancora
una volta Buffy si trovò completamente spiazzata, ma questa volta si riprese subito:
“Se si riferisce al fatto che Angel è un vampiro, mi creda, lo so benissimo;
così come so che abita nell’appartamento sotto l’ufficio e che quindi lei può
tranquillamente andare a chiamarlo... senza che per questo lui debba esporsi
alla luce di quest’ora del giorno” disse
La
ragazza tuttavia non raccolse la provocazione, e con un tono sempre molto
cordiale e affabile le rispose: “Angel in questo momento sta riposando ed io
non ho nessuna intenzione di andare a disturbarlo, fondamentalmente per due
motivi: il primo è che, visto che lavora tutte le notti come un disperato, mi
sembra il minimo che di giorno possa riposare in santa pace; secondo, mi manca
il fegato di andare a svegliarlo... Ma se mi lascia il suo nome e il suo
indirizzo, o un recapito telefonico, la farò contattare non appena arriverà in
ufficio”.
“Io
ho bisogno di parlargli adesso!” disse Buffy, temendo che non avrebbe mai più
trovato il coraggio di fare quello che stava facendo.
“Non
insista signorina: le ho detto che ora non è possibile” ribatté con la consueta
calma la segretaria.
“Ma
non poteva scegliersi una segretaria un po’ meno zelante: Cordelia andava
decisamente meglio”. Buffy fece ancora qualche tentativo per ottenere ciò che
voleva, ma si infransero tutti contro l’inflessibilità della donna. Alla fine
dovette arrendersi: “Bene, allora gli dica che lo ha cercato Buffy Summers e
che ho urgente bisogno di parlargli: gli dica che non è niente di grave, ma che
è importante ugualmente. Il mio indirizzo e il mio numero di telefono li
conosce benissimo. Grazie!” e sbatté il telefono in faccia alla segretaria.
“Maleducata”
fu tutto quello che disse la donna, riagganciando a sua volta la cornetta.
“Chi
è la maleducata?” chiese Doyle, che entrava in ufficio proprio in quel momento.
“Una
ragazza che pretendeva di parlare con Angel a quest’ora! Una certa Biffy...”.
“Chi?”
la interruppe Doyle. “Buffy? Buffy Summers?”.
“Sì,
esattamente. Ma che razza di nome è poi Buffy?”.
Doyle
quasi si mise le mani nei capelli: non c’erano dubbi che fosse la segretaria
più efficiente e zelante del mondo, ma cominciava a nutrire seri dubbi sul
fatto di aver scelto la persona giusta. “Se Buffy lo ha chiamato vuol dire che
aveva sicuramente qualcosa di importante da dirgli: sarà meglio che svegli
Angel!!!” e si avviò verso l’appartamento del vampiro, ignorando del tutto le
proteste della segretaria.
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Sunnydale,
mezz’ora dopo.
Adesso
anche Angel sapeva tutto. Non era stato facile dirgli tutto quando, dieci
minuti dopo la fine del suo colloquio con la sua segretaria, Angel l’aveva
chiamata.
“Alla
fine si è decisa a venirti a svegliare, allora!” gli disse Buffy, senza
riuscire a reprimere una risatina: la stizza che aveva provato fino a pochi
minuti prima si era dissolta quando aveva sentito la voce, ancora leggermente
impastata dal sonno, di Angel.
“Veramente
no: è stato Doyle a chiamarmi. Mi dispiace...”.
“Dispiace
a me averti svegliato, ma non potevo aspettare di più. Spero per te che questa
segretaria sia carina almeno la metà di quanto è rompiscatole, altrimenti...”.
“E’
una ragazza inglese fredda come un iceberg: persino Giles non la sopporterebbe...figurati
il mio ribelle sangue irlandese... Ma Doyle l’ha assunta in prova e non posso
certo licenziarla senza motivo... anche se spero che se ne vada presto...”
disse francamente il vampiro, il che fece ridere ancora Buffy.
“Oh,
povero Angel...” lo canzonò. Non poteva vederlo, ovviamente, ma sapeva che il
quel momento anche il suo ex-ragazzo stava sorridendo. “Peccato che quella che
ho da darti non sarà probabilmente una notizia troppo bella per te” pensò con
rammarico Buffy, che aveva sempre adorato quei rari sorrisi di Angel.
“Cosa
devi dirmi di tanto importante?” le chiese il vampiro.
“Non
è niente di grave, non ti preoccupare, anche se temo che la cosa non ti farà
piacere... quindi ti prego di non interrompermi” cominciò a dirgli Buffy.
Gli
raccontò tutto, in ogni minimo dettaglio, senza che Angel la interrompesse
neanche una volta. Quando terminò di parlare, nessun suono proveniva dall’altro
capo del filo telefonico.
“Angel...”
disse allora Buffy, le cui orecchie erano ferite da quell’assoluto silenzio.
“...ci sei ancora? Dimmi qualcosa, per favore...”.
Angel
dovette raccogliere tutte le sue forze: Buffy si sarebbe sposata con Riley e
gli avrebbe dato un figlio... si sentiva morire un’altra volta... e questa
volta faceva molto più male di quando era morto veramente più di due secoli
prima... “Beh, congratulazioni Buffy: a te e a Riley” fu tutto quello che,
sforzandosi al massimo, riuscì a dirle senza che la sua voce tremasse.
“Il
matrimonio sarà tra due settimane... prima di non riuscire più ad entrare nel
vestito... e ci piacerebbe che tu e Doyle vi partecipaste” disse Buffy,
sentendosi una vigliacca.
“Sei
proprio sicura che lo sposo la pensi come te? Io ho i miei dubbi in
proposito...” chiese Angel, tentando disperatamente di metterla sul ridere: non
voleva che Buffy sentisse quanto quelle notizie lo avessero annientato. “E
comunque, mi dispiace, ma in questo momento non possiamo proprio allontanarci
da Los Angeles: non sono ancora riuscito bene a capire cosa stiano combinando
alla Wolfram & Hart, ma qualunque cosa sia puoi star tranquilla che non è
nulla di buono. E poi Annie non me lo permetterebbe mai...”.
“Annie?”
chiese con curiosità Buffy.
“Sempre
la solita segretaria inglese, fredda e zelante (credo che ormai sia lei a
comandare qui dentro): con la scusa che sono immortale ha riempito la mia
agenda di impegni da qui fino all’eternità... Mi dispiace, ma non potremo
proprio esserci...” le disse e, per la prima e ultima volta in tutta la sua
vita, Angel fu quasi grato a quella maledetta combriccola di avvocati che gli
forniva una scusa più che plausibile per non partecipare a quel matrimonio...
per non partecipare al suo secondo funerale...
Buffy
non si aspettava che avrebbe accettato, ma quel rifiuto la sollevò o ferì allo
stesso tempo: suo padre non ci sarebbe stato, e questo era poco male, ma
pensare di compiere un passo così importante della sua vita senza avere Angel
al suo fianco... “Beh, se cambiate idea o se riuscite a liberarvi per una sera,
sappiate che l’invito è sempre valido... e se proprio quell’arpia della vostra
segretaria rompe, portate anche lei... ma solo se non potete proprio farne a
meno!!!” disse Buffy, mettendola anche lei sullo scherzo.
“Se
sarà appena appena possibile, non mancheremo” le rispose Angel, sperando di essere
riuscito ad assumere un tono credibile. “Altrimenti... tanti auguri ancora...”.
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Buffy
era incredibilmente bella nel suo abito bianco come la neve e vaporoso come una
nuvola di bel tempo. Aveva rose bianche incastrate nell’elaborata acconciatura
e al collo portava un filo di perle purissime, dono di sua madre.
Era
radiosa mentre Giles, l’unico uomo che le aveva veramente voluto bene come un
padre, l’accompagnava all’altare sulle note di una marcia nuziale scritta
appositamente per quella cerimonia da Oz; i suoi occhi brillavano come stelle
mentre, davanti al pastore, pronunciava il fatidico “Sì” e lasciava che Riley
le infilasse al dito la vera nuziale…
Angel,
nascosto dietro un albero, sperò per un attimo che il sole sorgesse a
mezzanotte e ponesse così fine alla sua eterna sofferenza.
Ricordava
quella sera al porto di meno di due anni prima, quando era stato lui a mettere
un anello al dito di Buffy: un anello Claddagh…un anello di matrimonio… Buffy
non aveva capito, non aveva compreso appieno il significato di quel piccolo
cerchietto di metallo…non aveva capito che non era stato solo un semplice
regalo di compleanno… Non aveva capito, ed ora stava giurando amore e fedeltà
eterni ad un altro.
Angel
chiuse un attimo gli occhi ed immaginò di essere al posto di Riley Finn.
“Vuoi
tu, Buffy, prendere il qui presente Angel come tuo legittimo sposo, e
promettere di amarlo e rispettarlo nella ricchezza e nella povertà, nella
salute e nella malattia, nella buona e nella cattiva sorte finché morte non vi
separi?”.
“Sì,
lo voglio”.
“E
allora per l’autorità conferitami vi dichiaro marito e moglie. Angel, puoi
baciare la sposa”.
…Quante
volte lo aveva sognato… Quante volte lo aveva desiderato… Quante volte si era
svegliato pronunciando quella minuscola parolina che lo avrebbe legato a lei
per tutta la vita…finché morte non vi separi…
Un
sorriso amaro si dipinse sulle labbra del vampiro: “Finché morte non ci
separi…già…
Angel
voltò le spalle al bacio degli sposi.
Non
poteva mancare ad un momento così importante nella vita di Buffy, ma l’essere
stato presente gli aveva fatto ancora più male di quanto avesse pensato.
Se
ne andò, lottando disperatamente per trattenere le lacrime e il demone che si
portava dentro e che, in quel momento, urlava e si dimenava per azzannare a
morte Riley e portarsi via Buffy…per renderla simile a lui (Angelus ricordava
ancora il sapore inebriante del sangue della Cacciatrice)… per farla sua per
sempre.
Angel
se ne andò, vincendo la seconda battaglia, ma non la prima: le lacrime fluivano
copiose dai suoi occhi mentre, per l’ultima volta, guidava da Sunnydale a Los
Angeles.
Il
giorno dopo decise di cambiare ufficio e tutti i suoi recapiti telefonici
(litigò persino con la società dei telefoni perché il numero dell’agenzia
scomparisse dall’elenco): aveva tagliato tutti i ponti e, ora che le aveva
assicurato una vita normale, non voleva che Buffy, o chiunque altro, potessero
ricostruirli.
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Il
pastore aveva appena terminato di dichiararli marito e moglie e Riley la stava
baciando con dolcezza. Buffy stava rispondendo al suo bacio, felice come poche
altre volte nella sua vita, quando, tutto d’un tratto, sentì qualcosa rompersi
dentro di sé…come se qualcosa si fosse spezzato. Se avesse potuto ricordare la
sensazione provata al momento della nascita, Buffy avrebbe potuto pensare che
era come se le avessero nuovamente reciso il cordone ombelicale: era stata la
dolorosa sensazione di un distacco netto ed irreparabile, ma
Scioltasi
dal bacio del marito, guardò istintivamente verso un albero non molto distante
da lì (ma abbastanza lontano da rimanere escluso dalle luci della festa). Buffy
non vide nessuno, ma se i suoi occhi non fossero stati abbagliati dai fari
alogeni che illuminavano l’altare, avrebbe forse potuto vedere una figura alta
e slanciata, avvolta in un cappotto nero, che si allontanava per sempre dalla
sua vita a testa bassa.
CAPITOLO
4
Sunnydale,
cinque anni più tardi.
Buffy
era appena arrivata alla galleria d’arte dove lavorava con sua madre: un’altra
estenuante giornata in piedi, a correre dietro ai capricci di clienti
insopportabilmente indecisi, la attendeva. E quella sera ci sarebbe stata la
ronda…le veniva male solo a pensarci… Comunque era sempre meglio che passare la
serata chiusa in casa ad aspettare che Riley si degnasse di rientrare.
Il
suo matrimonio stava andando a rotoli e Buffy non aveva più la forza né la
voglia di lottare per salvarlo.
I
problemi erano iniziati poco dopo sposati, non appena Buffy aveva partorito.
Dopo quell’avvenimento i poteri della Cacciatrice erano aumentati notevolmente,
come se il parto avesse aperto in lei nuovi canali di energia (o per lo meno
questa era la spiegazione che aveva dato Giles; Buffy, dal canto suo, era più
propensa a pensare che quelle nuove forze le derivassero dal fatto che ora
doveva difendere la vita di suo figlio, oltre che il mondo intero…in fondo era
normale che avesse un istinto materno, solo che il suo era ipersviluppato!).
Riley
questo non l’aveva proprio digerito: non lo aveva mai detto esplicitamente, ma,
in cuor suo, aveva sempre dato per scontato che, una volta sposati, Buffy
avrebbe dismesso i panni della Cacciatrice per dedicarsi alla casa e alla
famiglia e avrebbe lasciato a lui il ruolo di eroe di casa. Aveva sempre odiato
i poteri di Buffy, ed aveva sempre intimamente rivaleggiato con lei nel vano
tentativo di dimostrare che era lui il più forte. Si era sentito talmente
realizzato mentre la gravidanza le precludeva la caccia, quando lui rientrava
la sera tardi e la trovava ancora sveglia solo per accogliere l’eroe che
tornava a casa vincitore! Se solo quella situazione fosse durata per sempre
Riley sarebbe stato un uomo felice.
Ma
le cose non erano andate così…non potevano andare così…e Riley non era più
stato in grado di tenere a bada e nascondere la sua crescente frustrazione: non
era lui il super-eroe in famiglia…non era lui a difendere moglie e figlio…non
era lui l’uomo di casa!!!
Tutto
questo, ovviamente, non poteva non ripercuotersi sul suo rapporto con Buffy: di
amore non ce n’era più già da un pezzo (e forse, in realtà, non ce n’era mai
stato), ma ultimamente erano subentrati addirittura l’insofferenza e il
disprezzo…forse addirittura l’odio…
Tutte
le sere Riley usciva, ma non per cacciare (non poteva rischiare di sentirsi
inferiore a sua moglie): si ritrovava a girare per tutta la notte fra i locali
più malfamati di Sunnydale, generalmente ubriaco fradicio, e non si preoccupava
se le donne con cui andava a finire erano umane o demoniache. Non gli
interessava con chi si ritrovava a fare l’amore, l’unica cosa che gli
interessava era di prendersi una rivincita sull’infallibile Cacciatrice…gli
bastava che lei soffrisse quanto soffriva lui.
Per
un po’ questa sua tattica aveva funzionato: all’inizio Buffy veniva a cercarlo
e stava malissimo per quello che lui faceva. Passava le nottate a piangere,
chiedendosi se fosse colpa sua; tentava di tutto per riconquistarlo e si
disperava ulteriormente quando vedeva frustrato ogni suo tentativo di
riavvicinamento. Poi però, col tempo, si era rassegnata: si era resa conto che
Riley godeva delle sue lacrime, e aveva deciso di non versarne mai più, non per
lui almeno.
L’unico
motivo per cui stavano ancora insieme era la loro bimba: Ariel.
Ariel
era la gioia di Buffy, ma persino il Riley più abbrutito, quando era con la
bambina tornava ad essere il ragazzo tenero, dolce e premuroso che
Era
nata con due mesi abbondanti di anticipo nella primavera di quasi cinque anni
prima, ma nonostante fosse prematura non aveva mai avuto nessun tipo di
problema (Giles aveva ipotizzato che forse la sua natura di Cacciatrice poteva
aver accelerato i tempi della gravidanza, e tutti loro avevano accettato quella
spiegazione senza porsi troppe domande).
Era
bionda, come entrambi i genitori, ma aveva dei profondi occhioni scuri che
doveva aver ereditato da chissà quale lontano parente. Aveva quasi cinque anni,
ma il suo carattere timido e riservato era emerso fin da piccolissima. Non era
certo scontrosa, ma non legava facilmente non i suoi compagni dell’asilo:
quando però uno di questi era riuscito ad abbattere il suo muro di timidezza,
Ariel si era dimostrata la compagna di giochi più aperta e divertente che un
bambino potesse desiderare.
Era
particolarmente dotata per il disegno (tanto che la sua maestra d’asilo era
rimasta a bocca aperta quando le aveva consegnato il suo primo lavoro) e per le
lingue, e non le mancava certo la fantasia. L’unica cosa che proprio non
riusciva a fare (e difficilmente avrebbe potuto impararlo crescendo) era
cantare: pur avendo una voce bella e squillante era veramente stonata come una
campana, ma sua madre non se ne meravigliava affatto visto che anche lei, quanto
a canto, non era certo un usignolo.
Buffy
cercava di passare insieme a lei più tempo possibile, ma tra la galleria d’arte
(quanto odiava quel lavoro!) e la caccia, riusciva a starle accanto per tre ore
di fila solo mentre la bimba dormiva.
Le
discussioni con Riley a questo riguardo erano pressoché infinite: l’uomo
pretendeva che Buffy rinunciasse alla caccia per stare con Ariel (anche se lei
sapeva fin troppo bene che i reali motivi di quelle pretese erano altri) e lei
non aveva nemmeno più la voglia di ripetergli fino alla nausea che non faceva
la ronda per divertimento, ma perché era un suo dovere: un dovere che nemmeno
lei desiderava (sognava solo di poter passare tutta la giornata accanto alla
sua bambina invece che doverla mandare all’asilo di giorno e dalla nonna la
sera), ma a cui non poteva ugualmente sottrarsi.
“Solo
morendo potrei essere finalmente libera” aveva urlato in faccia a Riley una
volta che la loro discussione era stata più accesa del solito. “E’ questo che
vuoi? Vuoi che io muoia? Vuoi che mi uccida? O preferisci uccidermi tu come se
fossi un mostro qualunque? Non ho scelto né richiesto io di essere quello che
sono, ma sono
“Magari!
Magari fossi maledetto! Almeno avrei potuto sperare in un briciolo del tuo
amore!!!” le aveva urlato contro Riley di rimando.
Buffy
accusò il colpo, e sentì la rabbia montare velocemente dentro di sé: era lui
che ogni notte la tradiva con una donna (o vampira) diversa, e adesso aveva il
coraggio di accusarla di non amarlo. Era lui che, se solo ci fosse riuscito, le
avrebbe messo le mani addosso e nonostante tutto riusciva a scaricare su di lei
tutte le colpe. Su di lei e su Angel…
In
quell’occasione solo il pensiero del vampiro che non vedeva né sentiva più da
anni l’aveva aiutata a calmarsi e a farle passare la voglia di colpire Riley.
Le
mancava Angel, le mancava da morire. Era sparito nel nulla insieme alla sua
agenzia investigativa: “Chissà se la terribile Annie lavora ancora con loro?”
aveva pensato una volta, sorridendo all’idea di Doyle e del vampiro che
rigavano dritti come due scolaretti impauriti dalla maestra severa.
L’ultima
volta che gli aveva parlato era stato quando gli aveva detto che si sarebbe
sposata, cinque anni prima, e non lo vedeva da ancora più tempo (dal matrimonio
di Cordelia e Xander, quando era stata gelosa del fatto che Willow avesse
ballato insieme a lui per quasi tutta la festa)... Inizialmente, qualche volta,
aveva avuto l’impressione che lui fosse vicino, ma se quella era più di una
semplice sensazione, se lui le fosse veramente accanto, non era mai riuscita a
scoprirlo; comunque da tempo erano sparite anche quelle sensazioni. Sapeva che
era vivo (era sicura che se gli fosse successo qualcosa lei sarebbe stata la
prima a saperlo...a sentirlo... In fondo fra loro c’era un legame di
sangue...era un po’ come se Angel fosse il suo sire... e Spike le aveva
spiegato una volta che il legame che c’è tra un sire e il suo child non è poi
così diverso da quello che lega una madre al proprio figlio e viceversa... con
l’unica differenza che non è l’amore a legarli...). Ma non aveva la più pallida
idea di dove fosse: a Los Angeles? In Irlanda? ... Al polo Nord...? Avrebbe
voluto rivederlo e guardarlo negli occhi, ed essere sicura che, se anche lei
non aveva aperto bocca, lui aveva già capito tutto, aveva già letto in fondo
alla sua anima meglio di quanto persino lei stessa sapesse fare. Le mancava
come amico più che ancora come amante...o per lo meno questo era quello di cui
Buffy cercava di convincersi.
Non
era felice Buffy: aveva avuto quella vita quasi normale che tanto aveva
agognato durante l’adolescenza...quella vita normale in nome della quale Angel
aveva sacrificato il loro amore... ma non era felice...
Aveva
una bella casa con la staccionata bianca, ma era solo un guscio vuoto,
completamente privo di calore.
Aveva
al suo fianco quasi tutti gli amici di sempre (Willow ormai seguiva Oz in tutti
i suoi spostamenti per il mondo), e li amava e loro amavano lei, ma erano tutti
quanti cresciuti e non poteva più esserci fra loro quella totale condivisione
di sogni, desideri ed esperienze che aveva caratterizzato gli anni del liceo.
Persino
con sua madre le cose non andavano benissimo: Buffy non poteva saperlo, ma
Joyce si sentiva tremendamente in colpa per aver chiesto ad Angel di andarsene
e di lasciar vivere a sua figlia una vita normale, accanto ad un ragazzo
normale, ed ora che vedeva lo sfacelo del matrimonio di Buffy...il disastro
della sua vita normale...non faceva che chiedersi se, alla fine, la ragazza non
sarebbe stata più felice accanto al vampiro che aveva amato più di chiunque
altro.
Buffy
si sentiva così terribilmente sola, tanto che aveva persino permesso a Spike,
reso innocuo dal chip impiantatogli dall’Organizzazione, di avvicinarsi a lei
(era addirittura diventato suo amico) nella speranza di sentirsi meno
abbandonata; quando non era con Ariel sentiva la disperazione crescere dentro
di sé. Tuttavia bastava un solo sorriso di sua figlia per farle ritrovare il
suo posto nel mondo, per farla sentire di nuovo indispensabile e a posto con se
stessa.
Ed
ora qualcosa minacciava Ariel...
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Era
cominciato tutto sei mesi prima, quando l’attività demoniaca di Sunnydale era
ripresa con rinnovata foga, dopo il breve periodo di quiete che aveva seguito
l’ennesima (ma solo temporanea) chiusura della Bocca dell’Inferno. Da allora
Buffy aveva dovuto affrontare orde numerosissime di vampiri sempre più
agguerriti e decisi ad appropriarsi di quello che loro chiamavano Il Miracolo.
Poi,
una sera, aveva capito chi fosse Il Miracolo.
Aveva
appena terminato la ronda, che era stata più massacrante del solito, e si stava
recando a casa di sua madre per prendere Ariel. Quando era arrivata alla casa,
la porta era spalancata. Spike, che l’aveva aiutata durante la caccia e
accompagnata fin lì, assunse immediatamente il suo volto demoniaco, e questo
non era certo un buon segno.
Quando
entrarono nel soggiorno trovarono Joyce distesa vicino al divano: non era
morta; era solo svenuta, ma sul suo corpo e sull’arredamento della stanza si
vedevano i chiari segni di una lotta. Di Ariel nessuna traccia.
Buffy
era agitatissima, e quando la madre riprese i sensi non riuscì a fare a meno di
aggredirla: “E’ mai possibile che, dopo tanto tempo, ci caschi ancora? Perché
li hai fatti entrare mamma? Non ti è bastata la volta che Darla ti ha quasi ammazzato
per farti imparare la lezione?”.
“Mi
dispiace Buffy” cercò di scusarsi la donna. “Io non sono come te; io non
riconosco un vampiro con un solo sguardo: per me erano solo una giovane coppia
con la macchina in panne che aveva bisogno di chiamare un carroattrezzi…”.
“All’una
di notte!!!” chiese Buffy, esasperata dall’ingenuità di sua madre. “E’ già
tanto che non ti abbiano ammazzata…dovevano avere una gran fretta per non aver
trovato il tempo di farsi uno spuntino… Ma Ariel è sparita”.
Joyce
piangeva disperatamente.
“Buffy”
intervenne Spike, “se quei due hanno preso tua figlia non credi che sia meglio
andarli a cercare piuttosto che perdere tempo prezioso ad urlare contro tua
madre? Chiama il signor Giles e chiedigli di accompagnarla al Pronto Soccorso…quella
ferita alla testa non mi piace per niente…e poi andiamo. Quei due hanno già un
discreto vantaggio, ma se ci muoviamo forse riusciamo ancora a trovare le loro
tracce…e poi avvisa Riley…ci darà una mano…” terminò, anche se non sembrava
molto convinto di quell’ultima affermazione.
Alle
parole di Spike, la mente annebbiata dal panico della Cacciatrice si schiarì.
Il vampiro aveva ragione su tutta la linea e Buffy eseguì tutti i suoi ordini.
Non riuscì però a contattare il marito: “E’ sicuramente troppo ubriaco, o
troppo impegnato a fare qualcos’altro, per non accorgersi del cellulare che
suona!!!” disse Buffy con voce carica di disprezzo e di disgusto. Quindi,
rivolgendosi alla madre, le disse: “Mi dispiace di averti aggredita in quel
modo mamma, ma ero fuori di me. Giles sarà qui tra poco e ti porterà
all’ospedale. Tu comunque non ti preoccupare di nulla: la ritroveremo e la
riporteremo a casa sana e salva. E’ una promessa” e terminò quel breve discorso
abbracciando strettamente la madre.
“Buffy,
andiamo!” la incalzò Spike.
La
ragazza si sciolse dall’abbraccio di Joyce e si apprestò a seguire il vampiro
ossigenato. Sulla porta di casa si fermò ancora un attimo: “Ogni tanto provate
a chiamare Riley: dubito che vi risponderà mai, ma…è pur sempre suo padre…in
fondo…”. Detto ciò venne strattonata via da Spike, ed ebbe così inizio la
caccia più importante della sua vita…la caccia per salvare sua figlia.
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I
vampiri avevano almeno un’ora di vantaggio su di loro, ma, per fortuna, nella
fretta della fuga non si erano preoccupati di non lasciare tracce. Grazie a
questi evidentissimi segni e ai sensi ipersviluppati di Spike i due inseguitori
riuscirono a rintracciare i vampiri che avevano rapito Ariel con relativa
facilità.
Le
tracce li avevano portati ad un vecchio, e norme e fatiscente casolare sulla
strada tra Sunnydale e Los Angeles. L’aspetto di quel luogo era decisamente
lugubre e teatrale, perfetto per le manie di protagonismo e grandezza di quasi
tutti i vampiri.
“Ma
si può sapere perché voi vampiri scegliete sempre spazi enormi? Sembra che
soffriate di claustrofobia, ma poi non credo che avreste problemi a dormire in
una bara chiusa!!!” esclamò Buffy rivolgendosi a Spike.
“Ehi
bellezza, ti devo ricordare che stai parlando con uno che vive in un buco di
quattro metri per quattro…e, personalmente, non ho mai dormito in una bara: per
terra o sotto un ponte sì, ma in una bara no…tranne quando sono morto,
ovviamente…ma non direi che in quella occasione dormissi…”.
Buffy
pensò alla cripta di Spike e poi, per contrasto, alle immense abitazioni di
Angel, e si trovò a sorridere. “Ma come è possibile che due esseri tanto
diversi siano praticamente parenti? E come è possibile che siano riusciti a
vivere insieme senza uccidersi a vicenda per quasi cento anni?”. La ragazza
tuttavia non formulò quelle domande: sapeva che Spike aveva sempre provato
soggezione, e forse anche paura, nei confronti di Angel…o meglio, di Angelus…e
non voleva mettere a disagio quella che ormai, per un bizzarro scherzo della
sorte, era la persona su cui poteva fare più affidamento (e questo era un altro
degli infiniti motivi di attrito con Riley).
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Quando
entrarono nel casolare, si ritrovarono coinvolti in una specie di rito.
Una
bellissima vampira, in abiti di sacerdotessa greca (e Buffy si chiese se
quell’essere esistesse fin dall’antichità), teneva per mano Ariel e la guardava
quasi con dolcezza, come una cosa preziosa.
Nel
salone c’erano almeno un centinaio di vampiri in evidente stato di eccitazione,
e altri continuavano ad arrivarne da una galleria nel sottosuolo.
Ariel
era lì, con la sua piccola manina stretta in quella gelida della sacerdotessa;
non piangeva ed era tranquilla, come se non avesse alcuna paura di quei mostri.
Solo gli occhi e le guance leggermente arrossate tradivano il suo pianto, che
tuttavia era probabilmente stato causato dal trauma dell’interruzione del sonno
(la bimba stava senza dubbio dormendo al momento del rapimento) piuttosto che
da un effettivo spavento. Quello che era chiaro è che non le avevano fatto del
male…non ancora, per lo meno.
Quando
un ultimo gruppo di una trentina di vampiri arrivò (ormai nella sala ce n’erano
quasi duecento), la cerimonia ebbe inizio.
“Miei
cari figli e fratelli” disse la sacerdotessa con una voce che sembrava arrivare
direttamente dal passato. “Finalmente ci siamo. I nostri fratelli Sandor e
Lianna sono finalmente riusciti a trovare Il Miracolo, e adesso lui è qui con
noi”.
A
quelle parole lo stanzone venne riempito da animalesche urla di acclamazione
per i due vampiri che avevano rapito Ariel.
Buffy
e Spike erano nascosti su una balconata sopraelevata e osservavano quella scena
con il cuore in gola:
Il
clamore sottostante cessò di botto ad un solo gesto della sacerdotessa. La
vampira spinse delicatamente in avanti Ariel, in modo che tutti i presenti
potessero vederla: la bimba crollava dal sonno, ma orgogliosamente combatteva
contro la pesantezza delle sue palpebre.
“Ecco
il nostro miracolo. Ecco colei che con il suo spirito risveglierà la nostra
Signora. Ecco colei che ci permetterà di realizzare la prima parte del rito.
Poi verrà il sangue di suo padre per terminare il tutto, ma non precorriamo i
tempi: tutto deve avvenire nel momento destinato e così
Buffy
guardò Spike per un istante e rimase scioccata dal terrore che vide impresso
nei suoi occhi chiari. “Chi è
“E’
l’uomo nero, l’orco, il lupo cattivo dei vampiri.
“Ma
cosa possiamo fare? Più di duecento vampiri tutti insieme sono decisamente
troppi anche per
“Fai
bene a temerla, Buffy. Non l’avevo riconosciuta subito, credevo fosse solo una
leggenda, ma quella è Zara, la madre di tutti i vampiri, la figlia della
Signora... Deve avere qualcosa come diecimila anni...”.
“Insomma
è più vecchia della piramidi!” disse con sarcasmo la ragazza.
“Non
scherzare Buffy. Non c’è nulla di cui scherzare. Quella donna ha poteri che
neanche puoi immaginarti...potrebbe ucciderti anche solo col pensiero...
Facciamo così: tu percorri tutta la balconata fino a trovarti proprio sopra
all’altare; io creerò un po’ di confusione con il fuoco. Se Zara perde d’occhio
anche solo per un istante Ariel tu piombale addosso e porta via la bambina. Non
perdere tempo a cercare di uccidere i vampiri, e soprattutto non pensare
neanche per un istante di colpire Zara: saresti morta prima ancora di riuscire
a muovere un muscolo... Prendi Ariel e scappa dalla galleria dietro l’altare”
le ordinò Spike con un tono che non ammetteva repliche.
“E
tu cosa farai intanto?” chiese Buffy, seriamente preoccupata per lui.
“Io
me la darò a gambe levate esattamente come te e, se il destino lo vorrà, ci
ritroveremo tutti a casa di Giles prima del sorgere del sole. Prendi, queste
sono le chiavi della mia macchina e bada che se trovo anche solo un
piccolissimo graffio sulla carrozzeria, chip o non chip, ti ammazzo io!!!”
disse assumendo il suo volto di demone.
Buffy
prese le chiavi con riluttanza (non le andava di abbandonare Spike a
quell’accozzaglia di mostri).
“Presto,
prima che il rito abbia inizio” la spronò il vampiro.
Buffy
si mosse con silenziosa velocità lungo la balconata e in pochi istanti fu sopra
l’altare.
Spike
la guardava angosciato: sapeva benissimo che quello che aveva appena elaborato
sarebbe stato, con molta probabilità, un piano suicida. C’erano troppe
incognite, troppe cose che dovevano assolutamente andare per il verso giusto.
Per prima cosa era tutto troppo basato sull’effetto sorpresa, ed era molto
improbabile riuscire a prendere di sorpresa qualcuno che, come Zara, poteva
leggerti nel pensiero (quello era solo uno dei poteri più insignificanti di
quella vampira). Sperava solo che, assorta com’era nel suo rito, non avesse
captato quel loro assurdo piano. In secondo luogo non aveva la più pallida idea
di dove conducesse la galleria dietro l’altare da cui erano entrati tutti quei
vampiri... Ma d’altra parte era l’unica idea che gli era venuta in mente:
l’alternativa era lasciare che uccidessero Ariel rubandole lo spirito e quindi
ricorressero al sangue di Riley per terminare l’opera di riportare
Prese
il suo accendino e, il più velocemente possibile, cominciò ad appiccare il
fuoco a tutti i tendaggi vecchi e polverosi che arrivavano fino al pavimento.
Per fortuna le travi che reggevano il tetto erano abbastanza asciutte e quindi,
in pochi minuti, le fiamme sviluppatesi dai tessuti attecchirono alla struttura
rendendo il casolare un immenso forno.
Il
panico nella sale era generale (il fuoco era una delle poche cose per cui i
vampiri nutrivano un vero e proprio terrore) e la confusione che si creò era
senza pari.
Con
la coda dell’occhio Spike sbirciò quello che succedeva sull’altare.
“Magnifico!” urlò nella sua mente quando si rese conto che nemmeno Zara si era
aspettata quell’intrusione e che Buffy, sfruttando l’unico attimo di
distrazione della vampira, era riuscita a riprendersi Ariel e ora, senza
tentennamenti o stupidi tentativi di eroismo, stava scappando lungo la galleria.
La
prima parte del piano aveva incredibilmente funzionato; ora doveva solo sperare
che il cunicolo imboccato dalla Cacciatrice conducesse effettivamente
all’esterno e trovare un modo per riuscire ad uscire lui stesso da
quell’inferno e raggiungere Sunnydale prima che il sole lo incenerisse.
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Buffy
correva disperatamente tenendo Ariel stretta al petto e limitandosi ad uccidere
meccanicamente quei vampiri che, impazziti per il terrore del fuoco, le si
paravano davanti (i due vampiri che avevano rapito sua figlia furono i primi ad
essere ridotti in cenere, ma lei neanche se ne rese conto).
La
galleria sembrava non dovesse terminare mai, ma fortunatamente non c’erano bivi
in cui avrebbe potuto perdersi e così, dopo quelli che le parvero i dieci
minuti più lunghi della sua vita, sbucò finalmente all’aperto, neanche troppo
distante dal luogo nascosto in cui lei e Spike avevano lasciato la macchina.
Aspettò tuttavia qualche minuto prima di mettere in moto per vedere se Spike
fosse riuscito a raggiungerla, ma quando, dalla sua stessa galleria,
cominciarono ad uscire i primi vampiri scampati al rogo del casolare, avviò il
motore e, a tutto gas, si diresse verso la casa del signor Giles, pregando in
cuor suo che Spike riuscisse a salvarsi dalla trappola che lui stesso aveva
creato. Ariel, passato lo spavento per tutto quel trambusto e rassicurata dalla
presenza della madre, smise di piangere e dopo pochi minuti si addormentò,
esausta, sul sedile posteriore dell’auto.
Allontanandosi
a tutta velocità da quel luogo, a Buffy parve, per un attimo, di sentire le
grida inferocite di Zara per la perdita del suo preziosissimo Miracolo.
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Arrivata
a Sunnydale trovò la banda al completo a casa del suo Osservatore che, dopo
essersi preso cura di Joyce, aveva ricominciato a cercare nei suoi libri una
spiegazione per gli avvenimenti di quella notte.
Quando
Buffy varcò la soglia di casa tenendo Ariel fra le braccia, tutti
ricominciarono a respirare più liberamente e le abbracciarono festanti.
Quindi,
una volta messa a dormire la bambina accanto alla nonna (che intanto si era
svegliata ed era impazzita di gioia nel vedere la sua nipotina sana e salva),
venne il momento delle spiegazioni.
Xander
era infine riuscito, dopo mille tentativi, a parlare con Riley e a spiegarli
cos’era successo e così, prima ancora che Buffy potesse aprire bocca, suo
marito, al quale solo la paura aveva snebbiato un po’ la mente dai fumi
dell’alcool, apparve trafelato sulla porta di casa Giles.
“Cos’è
successo? Dov’è Ariel? Quante volte ti ho detto che di devi occupare di lei
invece che andare in giro a divertirti massacrando vampiri e affini! Spero per
te che stia bene, altrimenti...” la minacciò urlando.
“Altrimenti
cosa...patetica larva di essere umano!” sbottò Buffy, che complice la
stanchezza per quella notte infernale, aveva ormai abbondantemente superato il
limite della pazienza e della sopportazione e non era assolutamente disposta a
subire gli insulti del marito. In quel momento Buffy sentì che tutto quello che
si era tenuto dentro in quegli anni stava per venire fuori e, nonostante la
presenza dei suoi amici e della bambina che dormiva nella camera accanto,
decise di non fare nulla per trattenere quella marea traboccante. “Ma guardati,
mi fai schifo! E ogni giorno che passa mi fai schifo un po’ di più. Vivi
eternamente sbronzo, passando da una puttana all’altra. Se fosse per te tua
figlia non avrebbe di che mangiare e di che vestirsi dato che di giorno dormi,
invece che andare a lavorare, e di sera sperperi i soldi che IO guadagno in
quella maledettissima galleria d’arte! Non ci sono parole per descrivere il
ribrezzo che mi fai, e se, dopo cinque anni vissuti in questa maniera, non ti
ho ancora mandato al diavolo è solo perché, per qualche strano ed
incomprensibile motivo, Ariel ti vuole bene. Ma adesso basta, sono esausta, e
di te non voglio neanche più sentirne parlare. Sparisci dalla mia vita e anche
da quella di MIA figlia: non posso permettere che cresca con un esempio come te
sotto gli occhi. Spero solo che non sia troppo tardi!!!”.
Riley,
ormai decisamente fuori di sé, cominciò ad urlare che lei non poteva allontanarlo
da Ariel perché lui era suo padre e non glielo avrebbe permesso, e sarebbe
andato avanti ancora per molto a ricoprire di insulti Buffy se Xander,
spazientito e disgustato da quella scena patetica, non lo avesse preso a pugni
mandandolo KO al primo colpo da quanto era sbronzo, e non lo avesse trascinato
di peso, svenuto e vestito, sotto il getto di una doccia gelida.
Buffy
tremava per la violenza della sua rabbia e piangeva senza ritegno fra le
braccia di Cordelia.
Nessuno
aveva voglia di parlare e l’unico rumore nella stanza erano i singhiozzi della
Cacciatrice.
Alla
fine fu Anya a rompere il silenzio: “Adesso capite perché certe volte desidero
così tanto riavere i miei poteri...se ce li avessi in questo momento Riley non
sarebbe più un problema, e non venite a dirmi che la cosa vi dispiacerebbe
perché non ci credo, vi reputo troppo intelligenti per poter anche solo pensare
di provare pena per lui!!!”.
Nessuno
rispose, ma tutti pensarono che, per quanto in passato avessero sempre
rimproverato Anya per tutti i disastri che aveva combinato, adesso una bella
lezione per quel disgraziato di Riley sarebbe stato proprio quello che ci
voleva.
Quando
infine Buffy sembrò calmarsi un po’, Cordelia si sorprese a pensare che se
Angel fosse stato al corrente della situazione, ciò che Anyanka avrebbe potuto
fare a Riley non sarebbe stato nulla in confronto a quello che gli avrebbe
fatto lui...Angel, non Angelus...
“Coraggio
Buffy, abbiamo cose più importanti da fare che perdere tempo con quell’idiota di
tuo marito: raccontaci quello che è successo e vediamo se, alla luce di questi
nuovi fatti, riusciamo a vedere un po’ più chiaro in tutta questa faccenda. Poi
tu vai a stenderti un po’ insieme a tua madre e a tua figlia...tre generazioni
di Summers nello stesso letto: dovrò tenere su i muri di casa!!!” le disse
Giles, accennando un sorriso.
Buffy
raccontò loro tutto quello che aveva visto e sentito. Quando fece il nome di
Zara il suo Osservatore la guardò a bocca aperta e quando nominò
“
“Aspetti
signor Giles, io non ho capito niente: chi è questa Signora? E cosa le è
successo per aver bisogno di essere risvegliata?” chiese Cordelia, dando voce
alla muta domanda di tutti i presenti.
“
“Ma
tutto questo non ha nessun senso” disse Buffy, asciugandosi con rabbia l’ultima
lacrima che ancora le rigava il volto. “Zara ha detto che il Miracolo era
Ariel, e per quanto Riley si comporti come tale, non è certo un mostro, è solo
un essere umano. La prego signor Giles, non mi dica che il figlio di questa
Signora sono io! Non mi dica che sono anch’io una creatura demoniaca!!!”
terminò con voce supplichevole.
“No
tesoro, non ti preoccupare. Le Cacciatrici, sebbene non siano completamente
umane, sono senza dubbio state generate dalle forze del Bene: non sei un
demonio...anche se in passato, qualche volta, mi hai fatto disperare più di
loro...” rispose l’ex-bibliotecario, cercando nuovamente di smorzare la
tensione. Quindi, rifattosi serio dopo aver ricevuto un accenno di sorriso da
parte di Buffy, continuò: “Però hai ragione sul fatto che tutto ciò non ha
senso. Potrebbe trattarsi di un errore, di uno scambio di persona, ma non ne
sono troppo convinto...dubito che avrebbero messo in piedi tutto questo
apparato se non fossero stati assolutamente certi... Deve esserci una qualche
altra spiegazione. Una cosa però è certa: se questo Frutto dell’Impossibile,
questo Miracolo, esiste veramente è stato generato da un vampiro. Solo il
progenitore della razza di demoni che ha generato il Frutto, Zara nel nostro
caso, può tentare di risvegliare
“Ha
appena detto di mettere Ariel al sicuro, ma dove? Da chi posso mandarla che sia
in grado di proteggerla da un nemico tanto grande e dove non possano trovarla?”
chiese Buffy, angosciata alla sola idea di doversi separare dalla sua bambina,
ma conscia al tempo stesso che quella era l’unica cosa sensata da fare.
“Ariel
non si muove di qui! Resterà con me e sarò io a difenderla” disse Riley,
apparso alle spalle di Buffy con la mente finalmente libera.
“Non
se ne parla neanche!” disse la ragazza, girandosi di scatto verso suo marito.
“Non ti affiderei la vita di una mosca, non ti affiderei nemmeno la vita del
mio peggiore nemico...figuriamoci la vita di mia figlia. Ho commesso l’errore
di affidarti la mia di vita e l’hai distrutta senza ritegno, non ti permetterò
di rovinare anche la sua!”.
Riley,
che in fondo non era ancora completamente sobrio, si fece paonazzo in volto, ma
prima che potesse ribattere fu ancora Giles a precederlo: “Buffy ha ragione, e
poi, Riley, ragiona un attimo se l’alcool te lo permette: loro vogliono sia la
figlia che il padre, e se Ariel fosse con te e veniste catturati entrambi
sarebbe la fine. Sia tu che la bambina dovete mettervi al sicuro, ma lontani
l’uno dall’altra, in modo che se uno dei due viene catturato, la catastrofe può
comunque ancora essere evitata. Resta il problema di dove nascondere Ariel in
modo che qualcuno possa difenderla dai tentativi che Zara, inevitabilmente,
farà per riprendersela”.
“Io
un’idea ce l’avrei” disse Cordelia, attirando su di sé tutti gli sguardi dei
presenti. “Non è esattamente dall’altra parte del mondo, ma di certo verrebbe
protetta a dovere: Los Angeles”.
“Cordy,
a Los Angeles conosco solo mio padre, e dubito che, per quanto affermi di voler
bene alla sua nipotina, sarebbe in grado di difenderla da Zara e i suoi
vampiri. Ed io, per quanto provi un disprezzo enorme per quell’uomo, non potrei
mai esporlo ad un pericolo simil...”. Buffy si interruppe, comprendendo solo in
quel momento quello che Cordelia aveva inteso dire. “Angel... Tu parlavi di
Angel, vero?”.
Cordelia
annuì impercettibilmente.
“Ma
io non so neanche dove sia! Sono cinque anni che non lo vedo e non lo sento,
non saprei neanche dove andarlo a cercare...e Los Angeles non è Sunnydale...”
disse Buffy con il tono di chi ha, per un attimo, intravisto la soluzione di un
problema, ma si è poi dovuto scontrare con l’irrealizzabilità di tale
soluzione.
“Che
tu non lo veda e non lo senta da tanto tempo non vuol dire che lui sia sparito.
Neanche io lo vedo dal giorno del mio matrimonio, ma ogni tanto mi ha chiamata
per sapere come andavano le cose qui a Sunnydale. E’ vero che dopo ogni
chiamata si è sempre fatto cambiare il numero di telefono, ma da quello che mi
ha raccontato, una qualche idea su dove andare a cercarlo io ce l’ho. Potrebbe
non essere sufficiente, ma almeno un tentativo dobbiamo farlo, non trovate?”.
Buffy
non sapeva se essere felice o contrariata: in tutti quegli anni aveva creduto
che Angel fosse completamente uscito dalle loro vite, ed ora scopriva che in
realtà aveva tagliato i ponti solo con lei, continuando a tenersi in contatto con
Cordelia... (anche Xander sembrò un po’ contrariato da quella scoperta. Ma
adesso quel “tradimento” riaccendeva in lei la speranza, e il solo pensiero di
recarsi a Los Angeles per cercarlo...per vederlo...le riempiva il cuore di
gioia.
“Benissimo,
proporrei di riposarci un po’: è praticamente l’alba ormai, e tutti abbiamo
bisogno di qualche ora di sonno. Questo pomeriggio partiremo per
“Possiamo
unirci a voi?” chiese una voce familiare dall’ingresso dove la porta era
rimasta aperta dopo l’arrivo di Riley. Willow e Oz erano sulla soglia, ognuno
con un borsone enorme in mano.
“Se
poi rimandate la partenza di qualche ora mi aggrego anch’io, sempre che questi
due mi facciano entrare in casa prima che la luce del sole mi riduca in
cenere!” disse Spike, da dietro la coppia.
Buffy
scoppiò in lacrime di nuovo, ma questa volta erano lacrime di gioia: sua figlia
era sana e salva e presto sarebbe stata al sicuro; tra poco sarebbe andata a
cercare Angel e qualcosa, dentro il suo cuore, le dava la certezza che lo
avrebbe trovato; sua madre stava bene anche lei; la sua migliore amica era
appena rientrata in città e le offriva il suo aiuto;
Andò
a stendersi, sfinita, accanto a sua madre e l’ulteriore consapevolezza che
Riley non sarebbe partito con loro (se ne sarebbe tornato per un po’ nell’Iowa,
dai suoi) le permise di addormentarsi serenamente, come ormai non le accadeva
più da parecchio tempo.
CAPITOLO
5
Los
Angeles, la sera dopo.
“Ed
infine eccomi di nuovo qui” disse Cordelia inserendo la piccola chiave nella
toppa della porta del suo vecchio appartamento in pieno centro città. La porta
si aprì con qualche cigolio (in fondo era rimasta chiusa per cinque anni) e
permise alla comitiva giunta da Sunnydale di entrare in un ampio appartamento,
arredato in stile moderno con molto buon gusto.
“Ciao
Dennis, sono tornata e resterò qui per qualche giorno. Sei contento? Che
sbadata: questi sono i miei amici e mio marito. Sono un po’ strani forse, ma
non sono niente male” disse Cordelia rivolgendosi all’aria intorno a sé.
Dato
che nulla accadeva, la giovane donna continuò: “Su Dennis, non fare il
permaloso: lo so che sono andata via senza neanche salutarti, ma cerca di
capire…stavo per sposarmi...proprio non ci stavo con la testa! E poi non puoi
tenermi ancora il muso dopo cinque anni!”.
“Tesoro?”
chiese Xander, il cui tono di voce oscillava tra il perplesso e il preoccupato.
“Con chi stai parlando? Non c’è nessuno qui!”.
“Lo
dici tu che non c’è nessuno, e non ripeterlo una seconda volta: non gli piace sentirsi
chiamare nessuno…e avrai notato che è un po’ permaloso…”.
“Chi
è permaloso, Cordy?” chiese ancora Xander che cominciava a chiedersi, come
tutti gli altri d’altronde, quand’è che sua moglie avesse potuto prendere una
botta in testa tanto forte da farla ammattire.
“Dennis!
Il mio coinquilino” rispose candidamente Cordelia.
“Ma
qui non c’è nessuno…” cominciò a dire Xander spazientito, quando si sentì un
pesante tonfo al centro della sala; poco dopo davanti ai loro sguardi increduli
apparve il fantasma di un uomo.
“Ecco
ragazzi, vi presento Dennis. E’ un po’ scontroso, e ha la pessima abitudine di
apparire sempre nei momenti più impensabili e meno adatti, ma in fondo non è
cattivo…” disse la ragazza, presentando il fantasma al resto del gruppo.
Erano
tutti a dir poco sbigottiti: tutto si sarebbero aspettati tranne che fare la
conoscenza di un fantasma.
“Adesso
mi spiego come hai fatto a permetterti un appartamento del genere in pieno
centro di Los Angeles: era infestato!” esclamò Anya.
“Beh…certo
non mi potevo lamentare del mio stipendio, e devo anche ammettere che mi
bastava fare un pochino gli occhi dolci e Angel o Doyle sganciavano qualche
biglietto extra…ma certo non sarebbe bastato il lavoro di due interi anni per
comprare una casa del genere se fosse stata…normale… Certo, quando l’ho
acquistata non sapevo che fosse infestata, e Dennis ha anche concretamente
provato a farmi passare l’idea di abitarci, ma era la casa dei miei sogni, e
non me ne sarei andata nemmeno se ci fosse stata un’intera orda di fantasmi!!!
Questo Dennis lo ha capito e si è rassegnato: alla fine si può quasi dire che
fossimo amici” spiegò con naturalezza la padrona di casa.
“E
tu hai vissuto quasi un anno con un fantasma che andava e veniva per casa a suo
piacimento?” chiese suo marito quasi scandalizzato.
“L’alternativa,
amore mio, era che mi trasferissi in pianta stabile a casa di Angel…avresti
forse preferito questa seconda alternativa…?” chiese Cordelia con malizia.
Xander
ci pensò un attimo su e quindi sentenziò: “Dennis: piacere di fare la tua
conoscenza. Sono sicuro che diventeremo amici!”, al che tutti scoppiarono a
ridere di gusto.
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Dopo
essersi sistemati nel grande appartamento di Cordelia, il gruppo al completo
decise di iniziare a ricercare Angel fin da quella sera.
Gli
indizi forniti da Cordelia non erano molti, e nemmeno troppo precisi, ma erano
comunque il loro unico punto di partenza. Nelle telefonata che le aveva fatto,
Angel aveva parlato di una certa poliziotta, Kate Lockley, di un locale dove si
faceva il karaoke che era gestito da un demone con la faccia verde e
dell’intramontabile Wolfram & Hart. Decisero pertanto che, vista l’ora, per
quella sera si sarebbero occupati del locale.
“Ragazzi,
non vorrei fare il guastafeste, ma avete idea di quanti locali facciano il
karaoke qui a Los Angeles? Non siamo a Sunnydale dove l’unico locale è il
Bronze: qui saranno almeno un migliaio!!!” disse con tono ironico Spike.
“Sì,
caro William, che lo sappiamo...”. Quando Buffy chiamava il vampiro con il suo
nome da umano il messaggio era chiaro: non aveva gradito il tono di Spike e per
questo si rivolgeva a lui nella stessa maniera, ben sapendo quanto poco il
vampiro amasse sentirsi chiamare con il suo vero nome. “...ma non potranno
essere migliaia i locali gestiti da un demone...e per questo adesso io e te
andremo a caccia di qualche malcapitato vampiro o demone affine che, prima di
diventare polvere, avrà senz’altro la cortesia di indicarci questo
locale...oppure di dirci direttamente dove sia Angel”.
“Nient’altro,
sua maestà?” chiese, ancora più ironico, Spike.
“Beh,
se poi volesse anche impalettarsi da solo, evitandomi di sporcare di cenere la
giacca nuova non sarebbe neanche male, ma non bisogna mai pretendere troppo
dalla vita e dalla fortuna!!!”.
Spike
era estasiato: Buffy
Il
solo allontanarsi da quel bamboccio di suo marito le aveva restituito quello
spirito indomito e quella linguaccia tagliente che tanto aveva apprezzato in
lei fin dal momento in cui era arrivato a Sunnydale con il solo scopo di
ucciderla.
Quella
degli ultimi anni era stata una Buffy che combatteva in silenzio: non con meno
efficacia, ma senz’altro con meno verve. I suoi combattimenti erano addirittura
diventati quasi noiosi agli occhi del vampiro, una semplice e meccanica
ripetizione di colpi micidiali dati e qualche volta ricevuti.
Ma
era acqua passata ormai: quella sera era di nuovo la ragazza di sei o sette
anni prima, e la caccia si preannunciava divertente...sempre che quel
noiosissimo del suo sire (o quasi) non avesse già pensato a ripulire per sempre
tutte le strade di Los Angeles.
Il
vampiro e
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Era
un bel locale, ampio e con le luci soffuse quel tanto che bastava per vedere
chi era seduto al proprio tavolo senza essere visti dalla gente che occupava i
tavoli vicini.
Il
proprietario era effettivamente un demone con la faccia verde, un naso molto
pronunciato e due piccole corna che gli spuntavano sopra le tempie. Era anche
vestito in maniera orripilante, ma solo Cordelia sembrò notare quest’ultimo
particolare.
Venne
lui stesso ad accoglierli quando entrarono nel locale. Si presentò come
Lorne e subito li mise in guardia: “Mi piace vedere facce nuove ogni tanto...”
ma intanto squadrava solo Buffy, con stampata in faccia la classica espressione
di chi ha riconosciuto qualcuno senza ricordare tuttavia dove lo avesse già
visto. “...ma sappiate che non voglio disordini qui...” e adesso guardava
Spike, avendone, senza dubbio, riconosciuto la natura. “Quindi se siete qui per
bere qualcosa e farvi una cantatina siete i benvenuti, altrimenti quella è la
porta” disse con tono gentile ma che non ammetteva repliche.
“Non
ti preoccupare: vogliamo solo farci una birra e farti qualche domanda a
proposito di un nostro amico. Si chiama...” fece per dire Buffy.
“Alt!
Le informazioni costano, e io non ho l’abitudine di dare niente per niente: voi
cantate, io parlo” rispose laconico Lorne.
“Ma
se ancora non ti ho fatto la domanda! Magari non sai dirmi niente riguardo
ad...” cercò di protestare Buffy, ma ancora una volta il demone non le diede il
tempo di finire di parlare.
“Se
pensi che non possa risponderti perché domandi? E comunque devi correre il
rischio: una canzone, una domanda. E se poi non ti so dare la risposta che
cerchi...pazienza: ti sei fatta una bella cantata, e non morirai certo per
questo!”.
“No,
ma potremmo morire noi: è stonata come una campana” disse Spike con un ghigno.
“Ma
senti chi parla!” replicò Buffy, offesa.
“Beh,
non potrà mai essere peggio di...un mio amico: se ho sopportato lui, sopporterò
chiunque. E poi non ho detto che debba cantare per forza lei...siete in
tanti...potresti cantare tu!” disse, rivolgendosi di nuovo a Spike.
“Ehi,
ehi, ehi, non scherziamo: sono un vampiro serio io! Io squarcio gole di giovani
donne, non uso la mia per cantare in un karaoke!” rispose il vampiro con aria
indignata, ignorando gli sguardi irrisori e quasi compassionevoli allo stesso
tempo dei suoi compagni di viaggio.
“Uhm...come
vuoi...anche se dubito che con quell’affare in testa tu possa fare del male
anche solo ad una mosca... Ma le regole restano le stesse: una canzone, una
domanda. E comunque adesso andate a sedervi perché comincia lo spettacolo”
disse, guardando con ari soddisfatta una giovane donna che saliva sul palco ed
afferrava il microfono.
Trovarono
un tavolo proprio a ridosso del palco e, sebbene non avessero avuto nessuna
intenzione di farlo (andavano piuttosto di fretta), si godettero veramente lo
spettacolo.
La
ragazza che cantava era eccezionale: non era alta e non era neanche la classica
bellona che gli uomini si voltano a guardare ammirati quando passa per la
strada. Era una ragazza normalissima, più o meno della loro stessa età (Anya e
Spike esclusi, ovviamente); aveva occhi e capelli scuri e un paio di piccoli
occhiali sul naso. Era truccata in modo semplice e leggero, per nulla
appariscente, ed era vestita con dei jeans ed un maglione lungo e largo ancora
più sobri del trucco. Non c’era nulla in lei che attirasse l’attenzione,
eppure, in tutta la sala, nessuno dei presenti riusciva a toglierle gli occhi
di dosso. La sua voce era quasi ipnotica: la voce più chiara, cristallina e
suadente che Buffy avesse mai sentito. Stava cantando My heart will go on e,
ascoltandola, Oz si ritrovò a dare della dilettante a Celine Dion.
A
Buffy invece salirono le lacrime agli occhi:
Every
night in my dreams
I
see you, I feel you...
...e
Buffy ripensò a tutte le notti passate sognando Angel...
...Near,
far, wherever you are
I
believe that the heart does go on
Once
more you open the door
And
you're here in my heart
And
my heart will go on and on...
...e
Buffy ripensò a quanto aveva sempre gelosamente custodito nel suo cuore il
ricordo di ogni bacio, di ogni attimo passato con Angel... a quanto il suo
cuore, nonostante Parker...nonostante Riley... fosse sempre rimasto con lui...
...
Love can touch us one time
And
last for a lifetime...
...
Love was when I loved you
One
true time I hold to...
...e
Buffy capì come ciò che l’aveva legata per tanti anni a Riley non era che
l’ombra di ciò che c’era stato fra lei ed Angel...
...
There is some love that will not go away
You're
here, there's nothing I fear,
And
I know that my heart will go on
We'll
stay forever this way
You
are safe in my heart
And
my heart will go on and on.
...e
Buffy ripensò a come si era sempre sentita al sicuro fra le braccia di Angel,
come se nulla, neanche la più terribile delle creature dell’inferno, avesse
potuto anche solo sfiorarla.
L’ultima
nota di quella canzone si spense e Buffy comprese che non era solo per
proteggere sua figlia che era a Los Angeles in quel momento...si arrese
all’idea di amare Angel ancora come la prima volta...anzi, più della prima
volta...come se nulla fosse successo nel frattempo. In realtà lo aveva sempre
saputo, aveva sentito il lacerante dolore del distacco da lui persino mentre
sposava un altro uomo, ma quella musica, quelle parole di amore eterno e senza
tempo l’avevano messa con le spalle al muro, disarmata, sconfitta e costretta
ad accettare quella resa incondizionata che il suo cuore le imponeva.
C’era
una sola persona in tutta la sala che non era stata rapita dalla voce della
ragazza: Lorne. Il demone era stato troppo impegnato a studiare la giovane
donna bionda che era entrata quella sera per la prima volta nel suo locale, ma
che era sicuro di aver già visto almeno un milione di volte. L’aveva vista ogni
volta che guardava negli occhi Angel. L’aveva vista impressa nell’anima del
vampiro come un marchio a fuoco...un marchio a fuoco che, nonostante fosse
passato ormai del tempo, era ancora doloroso per il suo amico.
Doveva
leggere l’anima di quella ragazza, per capire ciò che provava (anche se le sue
lacrime, in quel momento, parlavano già abbastanza chiaro), per capire se
poteva rispondere alla domanda che era venuta a porgli, per capire se poteva
rivelarle dove trovare Angel senza per questo condannare il vampiro ad una
nuova sofferenza.
Lorne
parlò brevemente con Helen, la ragazza che aveva appena cantato incantando
tutti con la sua voce; le diede le informazioni che le servivano (a lei le
avrebbe data anche se non avesse cantato, ma sentire la sua voce era sempre
così bello...e poi a lei piaceva cantare!), quindi lei gli diede un allegro
bacio sulla guancia e se ne andò. Lorne si avvicinò allora al tavolo di Buffy.
“E’
il vostro turno, ed io ho cambiato idea: in cambio di una sola canzone vi dirò
tutto quello che volete, ma a condizione che sia tu a cantare” disse guardando
Buffy
sostenne lo sguardo del demone per qualche istante; quindi, senza dire una sola
parola, salì sul palco e prese a cantare.
Lo
stridore fra l’angelica voce di Helen e le ripetute stecche di Buffy era
terribile, ma nessuno parve farci caso, e soprattutto la ragazza non se ne
curò: se c’era anche solo una possibilità che quella faccia verde sapesse dirle
qualcosa riguardo ad Angel lei doveva sfruttarla, e se quello era l’unico modo
per farlo...
Mentre
Buffy cantava, Lorne lesse la sua anima con la stessa facilità con cui avrebbe
letto una luce al neon intermittente in una notte buia.
La
sua anima parlava di confusione e rassegnazione per un compito che non aveva
mai richiesto né desiderato; parlava dell’affetto per i suoi amici, per sua
madre, per il suo Osservatore; parlava delle lotte affrontate, delle vittorie
riportate e del prezzo che le era costato per ottenerle; parlava del suo
sconfinato amore per una bimba innocente ed indifesa e del cieco terrore che
aveva di perderla; la sua anima parlava di delusioni e di un matrimonio finito
quasi prima ancora di cominciare; parlava della rabbia, del dolore e della
frustrazione provati in quegli ultimi anni; e soprattutto parlava di
amore...parlava di Angel almeno tanto quanto l’anima del vampiro parlava di
lei. Parlava della loro brevissima felicità, dell’orrore provato nel doverlo
sacrificare per chiudere
Lorne
vide Angel attraverso gli occhi di Buffy e capì che doveva darle ciò che
cercava. Forse Angel non sarebbe stato d’accordo (lui stava ancora tentando di
rifarsi una vita), ma aveva visto quelle due anime e ne aveva provato una tale
pena che persino il suo cuore di demone aveva urlato. “Sì, le dirò dove
trovarlo: se lo meritano entrambi”.
Buffy
terminò di cantare e si diresse verso di lui. Non appena fece per aprire bocca,
Lorne le diede un biglietto: “Lì sopra c’è tutto quello che vuoi sapere...però
non dirgli che te l’ho dato io...” le disse sorridendo con quel suo sorriso
storto, e si allontanò.
Ancora
una volta
Buffy
accettò quegli sfottò (persino la perfida ironia di Spike) con buono spirito,
ribattendo colpo su colpo, e quindi se ne tornarono a casa ridendo e scherzando.
Buffy in realtà avrebbe voluto raggiungere Angel quella sera stessa, ma i suoi
amici le fecero notare che probabilmente a quell’ora non lo avrebbe trovato,
dato che sicuramente era fuori, chissà dove, a caccia. Così, di malavoglia, si
avviò verso casa, continuando però a stringere il piccolo foglio nella mano,
come se fosse la cosa più preziosa che possedesse.
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Il
giorno dopo, tutti si dedicarono a fare qualche ricerca più approfondita su
Zara e
Erano
tutti dunque estremamente indaffarati (compresa Joyce, che si era autoeletta
padrona di casa e quindi si affaccendava nel dare una ripulita
all’appartamento, nel fare la spesa, nel preparare qualcosa da mangiare per
tutti loro…). Tutti indaffarati tranne Buffy: lei era semplicemente uscita per
passare tutta la giornata in giro per Los Angeles insieme a sua figlia. La
portò allo zoo, al parco, al cinema a vedere l’ultimo cartone animato di Walt
Disney, e poi, ancora, a mangiare un gelato gigantesco e a pattinare sul
ghiaccio: sapeva benissimo che in quel modo l’avrebbe viziata, e non avrebbe
voluto farlo, ma sapeva anche che per un po’ avrebbe dovuto lasciarla, e il
solo pensiero la faceva star male…
Sapeva
che era l’unica cosa sensata da fare, che a Sunnydale non sarebbe stata al
sicuro, mentre Angel si sarebbe preso cura di lei (non glielo aveva ancora
chiesto, ma non aveva dubbi su quale sarebbe stata la risposta del vampiro), ma
era ugualmente difficile anche solo pensarci.
A
dire il vero si era sentita anche piuttosto in colpa per aver abbandonato i
suoi amici al lavoro per andarsi a divertire, ma Willow era stata categorica e
l’aveva spedita fuori di casa insieme ad Ariel quasi con le cattive…e Buffy non
poteva far altro che essergliene ancora una volta infinitamente grata.
Oltretutto
passare il tempo con la bimba le impediva di guardare continuamente l’orologio
per scoprire quante ore, minuti e secondi mancavano ancora al momento in cui
avrebbe rivisto Angel: ora probabilmente il vampiro stava riposando, e Buffy
non aveva nessuna intenzione di disturbarlo, ma non appena il sole avesse
cominciato a tramontare sarebbe andata da lui. “Chissà se è cambiato in
questi cinque anni…? No, Buffy, non essere sciocca: non sarà cambiato di una
virgola…sarà il solito Angel di sempre, il solito Angel capace di mozzarti il
respiro in gola al solo guardarlo. Chissà piuttosto se lui troverà cambiata te:
non sei più la ragazzina che lui ha lasciato, sei una donna ormai…chissà se se
ne accorgerà…?” diceva una vocina dentro al sua testa. Ma questi pensieri
sfiorarono Buffy solo verso metà pomeriggio, quando il momento dell’incontro
cominciava ad avvicinarsi sensibilmente.
Per
tutto il resto della giornata madre e figlia si erano divertite insieme come
forse non erano mai riuscite a fare dacché Ariel era nata. Quando alla fine
rientrarono, la bimba aveva un’aria stanca (non era stata ferma neanche per un
secondo in tutta la giornata, neanche al cinema), ma era visibilmente contenta
ed eccitata, tanto che nonna Joyce ebbe il suo bel da fare per farle un bagno
senza allagare tutta la stanza.
Purtroppo
però né il signor Giles né Willow né gli altri ragazzi erano riusciti a
scoprire nulla di più di quanto già sapessero. Gli stessi Spike ed Anya, che
pure avrebbero potuto e dovuto saperne qualcosa di più, avevano le idee
piuttosto confuse.
“Perfetto”
esclamò Xander, sconsolato. “Abbiamo buttato via un’intera giornata senza
cavare un ragno dal buco e Dio solo sa se a causa di questa giornata persa non
perderemo anche la nostra battaglia…senza contare poi che, non sapendo ancora
praticamente nulla su questa Signora, dovremmo perdere ancora altro di tempo…”.
“Beh”
intervenne Oz, “magari Angel saprà dirci qualcosa di più: già che dobbiamo
vederlo potremmo chiedergli aiuto”.
“Questo
è fuori discussione” intervenne Buffy con decisione. “Angel deve restare il più
lontano possibile da tutta questa storia. Se Zara sapesse che anche lui è
implicato in questa faccenda, Los Angeles sarebbe il primo posto in cui
verrebbe a cercare Ariel”.
“Sì,
in parte hai ragione” cercò di farla ragionare il signor Giles, “Ma se vuoi che
possa difenderla come si deve, senza farsi cogliere impreparato, dovremo
spiegargli la situazione e dubito che, a quel punto, accetterà di restarsene
con le mani in mano a fare da balia…lo sai come è fatto…”.
“Già,
le sue solite manie di protagonismo…Se fosse un attore vorrebbe sempre la parte
principale, quella dell’eroe...altrimenti niente...” sentenziò Xander,
ricevendo in cambio una gran gomitata in un fianco da parte di Cordelia che
proprio non sopportava quando suo marito si accaniva ancora contro Angel: a
parte che lei voleva bene e rispettava Angel, ma soprattutto quell’antipatia
nei confronti del vampiro era nata in Xander perché lui era stato il suo rivale
in amore, e il fatto che ancora oggi, dopo che tanto tempo era passato e tante
cose cambiate, lui non perdesse occasione di stuzzicarlo dava alla donna
l’impressione (del tutto errata) che il suo sposo fosse ancora interessato a
Buffy e vedesse, di conseguenza, Angel ancora come un rivale…
Fu
con questa convinzione in testa e con il cuore che le batteva talmente forte
nel petto che sembrava volesse schizzare fuori dalla sua sede, che si diresse insieme
ai suoi amici, al tramonto, verso l’agenzia di Angel.
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L’indirizzo
che Lorne aveva dato loro corrispondeva ad uno dei più grandi e antichi hotel
di tutta Los Angeles, l’Hyperion, e non era in fin dei conti molto distante
dalla precedente sede della Angel Investigation e dall’appartamento di Cordelia
(ma distante abbastanza per non essere trovato da chi lo cercasse senza
informazioni).
“Certo
che non si può dire che quel rompiscatole del mio sire se la passi male: io
vivo chiuso in una cripta elemosinando qualche bigliettone al topo da
biblioteca, e lui si stabilisce addirittura al Grand Hotel” disse Spike
guardando la bella facciata dell’albergo.
“La
differenza fra te e lui è che lui lavora e non ha le mani bucate come te…e poi
ha avuto almeno un centinaio di anni in più per mettere da parte qualcosa…”
disse Willow, non resistendo alla tentazione di prendere un po’ in giro il
vampiro ossigenato.
Appena
entrati nell’hotel, la loro attenzione venne immediatamente catturata da una
porta che dava su un’ampia stanza dalla quale provenivano i rumori di una
festa; vicino a quella stessa porta c’era una piccola targa con sopra scritto
Angel Investigation.
Buffy
rimase per un attimo pietrificata, senza avere il coraggio di muovere un solo
passo in avanti verso quella porta. Pochi metri la dividevano ormai da Angel
(le sembrava addirittura di aver già sentito la sua voce provenire dalla
stanza, anche se non ci avrebbe giurato) e d’un tratto non sapeva più come
comportarsi.
Fu
solo quando sentirono una voce nota (la stessa che li aveva incantati la sera
prima al locale) intonare le note di Happy birthday to you che si fecero
sulla soglia: nell’ampia stanza, tutti con in testa i cappellini di carta,
c’erano la ragazza della sera prima, un bel ragazzo di colore, una donna bionda
che, a prima vista, stonava terribilmente con quella allegra combriccola e, di
spalle alla porta, tre uomini. Buffy non ci mise neanche una frazione di
secondo per riconoscere Angel in uno dei tre, mentre gli altri dovevano essere
Doyle e qualcuno che, anche se non lo vedeva in faccia, le dava un’impressione
di familiarità.
Terminata
la canzoncina, Helen gettò le braccia al collo di Angel e cominciò a dargli un
sacco di baci sulle guance.
“Pensi
di dargliene uno per ogni anno?” chiese Doyle con malizia.
“Beh,
se preferisce gli tiro le orecchie…” rispose la ragazza con aria furba.
Angel
finse di pensarci su un attimo e poi disse: “Credo che i baci vadano benissimo”
e tutti scoppiarono in una sonora risata.
Nessuno
si era ancora accorto dei visitatori sulla porta e Buffy guardava la scena a
bocca aperta. “Il compleanno di Angel! Io gli ho chiesto un sacco di volte
quando fosse, ma lui non mi ha mai risposto. Con me non ha mai voluto
festeggiarlo, e invece guardalo ora…”.
“Tanti
auguri Angel” fece la donna bionda rivolgendosi con aria divertita al vampiro.
“Per
favore Kate non ti ci mettere anche tu! Non dar corda a questa gabbia di matti,
altrimenti non si sa cosa potrebbero combinare la prossima volta!!! Sai
benissimo anche tu che oggi non è il mio compleanno…” fece per dire Angel, ma
Helen lo interruppe.
“Oh,
insomma, non essere noioso. Certo che se tu ci dicessi quando sei nato potremmo
evitare di festeggiare il tuo compleanno ogni anno in un giorno diverso, ma
visto che sei il peggior testone irlandese che io abbia mai conosciuto… Quindi
non ti lamentare e non sperare neanche che per un anno me ne dimentichi: i
compleanni mi piacciono troppo, quasi quanto il Natale!”.
Angel
rise di nuovo di gusto: quello era un rituale che si ripeteva ormai da tre
anni, da quando avevano assunto Helen per sostituire la terribile Annie, e dato
che non sapeva mai esattamente quando la ragazza avrebbe deciso di festeggiare,
era tutte le volte un’autentica sorpresa, anche perché doveva ammettere che lei
era abilissima a non fargli venire il minimo sospetto. Anche quel giorno lo
aveva colto completamente alla sprovvista, tanto che per Angel festeggiare il
suo compleanno stava quasi diventando piacevole, e la cosa era veramente strana
visto che, neanche da umano, lo aveva mai voluto festeggiare. Era sereno, e per
una serata l’agenzia sarebbe rimasta chiusa (Helen sceglieva sempre per quelle
feste periodi di relativa calma), tuttavia Angel sentiva una specie di
formicolio alla base del collo.
Proprio
mentre Angel era impegnato ad analizzare le sue sensazioni e a ricevere grandi
pacche sulle spalle da parte dei suoi amici, Gunn, finalmente, si accorse degli
spettatori sulla soglia e disse: “Mi dispiace, ma questa sera l’agenzia è
chiusa”, ma poi, vedendo le espressioni incredule degli sconosciuti, e
fraintendendole, si affrettò ad aggiungere: “…a meno che non sia un caso di
vita o di morte…”.
A
quelle parole tutti si voltarono verso la porta, dando modo a Buffy di
riconoscere nel terzo uomo di spalle Wesley Windham Price, l’Osservatore che,
per qualche tempo, aveva sostituito Giles.
Il
primo che riuscì a parlare fu Doyle: “Cordelia…”, al che la ragazza si lanciò
verso il mezzo demone e lo abbracciò come mai aveva fatto prima.
Angel
non aveva ancora detto una parola: era lì, immobile in mezzo alla stanza con
negli occhi un’espressione indecifrabile. Sentimenti contrastanti si
affollavano nella sua mente, anche se non si riflettevano sul suo viso talmente
compassato da sembrare quasi inespressivo a chi non sapesse leggerlo. Gioia, ma
anche confusione; meraviglia, ma anche un sottile senso di fastidio; imbarazzo
per la situazione che si era venuta a creare (Buffy e Kate nella stessa stanza…),
ma anche la consapevolezza che quello era solo ciò che aveva sempre desiderato.
“Ciao
Angel” disse per prima Buffy, per spezzare la tensione che si era creata fra di
loro non appena i loro sguardi si erano incrociati.
“Ciao
Buf…” fece per rispondere Angel quando uno sguardo di dolorosissima meraviglia
si fece strada nei suoi occhi. Il vampiro lasciò cadere il calice di champagne
che teneva in mano, che, ovviamente, andò in mille pezzi nello schianto contro
il suolo, lasciando che il suo contenuto dorato si spargesse sulle piastrelle
di ceramica.
Buffy
non capì quella reazione (certo non si aspettava che le gettasse le braccia al
collo e la baciasse come se fosse Clark Gable…in fondo lei era ancora, a tutti
gli effetti, la signora Finn), ma si rese immediatamente conto che non era lei
che Angel stava guardando, bensì Ariel che aveva fatto capolino fra le sue
gambe.
Angel
stava fissando la bambina come se fosse un fantasma e io suoi occhi si erano
riempiti di un dolore talmente grande che il vampiro non riuscì a reggere. Una
sola parola gli sfuggì di bocca, “Katie”, e quindi scappò dalla sala,
ritirandosi nel suo appartamento adiacente.
“Incominciamo
bene” fu il commento ironico di Spike di fronte a quella scena, anche se non
poté nascondere a se stesso che ciò che era accaduto lo aveva scosso un po’:
non aveva mai visto il suo sire così sconvolto, soprattutto non di fronte ad
una semplice bambina…
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Fu
Helen la prima a correre dietro ad Angel, ma inutilmente visto che il vampiro
si era chiuso la porta alle spalle con doppia mandata.
“Ci
dispiace: non avevamo intenzione di rovinare la vostra festa” disse Cordelia,
incredula di fronte a quella reazione così plateale del vampiro. Quindi,
rivolgendosi a Doyle, chiese: “Ma cosa gli ha preso?”, ma il mezzo demone,
ancora più incredulo di lei, si limitò ad alzare le spalle.
Non
dovettero aspettare tuttavia molto prima che Angel rifacesse capolino nella
stanza.
“Mi
dispiace, non so cosa mi abbia preso”, ma era evidente che mentiva. “Benvenuti
a Los Angeles… anche se francamente non so come abbiate fatto a trovarci” disse
il vampiro.
“Lorne”
disse Helen. “Erano ieri sera al locale di Lorne e deve essere stato lui a dirgli
dove trovarci, vero?”.
“Beh,
lui avrebbe voluto che io negassi, ma a questo punto…” fece Buffy, sforzandosi
di sorridere.
Angel
tornò a guardare Ariel, e Buffy trattenne il fiato. Il vampiro questa volta si
chinò, in modo da mettersi alla stessa altezza della bimba; la guardò ancora
negli occhi per un istante e le disse: “Mi dispiace se prima ti ho spaventata.
Come ti chiami?”.
“Ariel”
rispose dopo un attimo la bambina sfoggiando uno dei suoi sorrisi più belli ed
andando a dare un bacio ad Angel. “Io mi chiamo Ariel. Buon compleanno signor
Angel”.
Buffy
osservò la scena a bocca aperta: sua figlia, di natura così timida e chiusa,
non solo aveva risposto alla domanda di Angel (di solito prima che dicesse
anche una sola parola a qualcuno che non conosceva bene passava del tempo), ma
addirittura lo aveva baciato come se lo conoscesse da una vita e si fidasse
ciecamente di lui. E Buffy non fu l’unica a notare quel comportamento e a
meravigliarsi fortemente.
“Grazie
mille, signorina Ariel” disse in tono solenne Angel. “Qualcuno mi ha detto che
qui in giro c’è una torta enorme, tanto enorme che io da solo non riuscirò mai
a finirla: mi vuole dare una mano lei?”.
Alla
bimba brillarono gli occhi e, senza lasciarsi ripetere due volte l’invito, si
fiondò sul piattino che Helen aveva preparato apposta per lei nel frattempo.
“Come
si dice Ariel?” la rimproverò bonariamente la nonna.
“Grazie”
farfugliò la bambina con già un enorme pezzo di torta in bocca.
Angel
si era rialzato, ma la stava guardando ancora, e i suoi occhi gli erano tornati
a farsi lucidi. Quando Buffy gli si avvicinò di un passo, le disse:
“Complimenti: tu e Riley avete una figlia bellissima. A proposito, lui dov’è?”
chiese, rendendosi conto solo in quel momento dell’assenza dell’uomo.
Per
un attimo Buffy si chiese se Angel si stesse divertendo a rigirare il coltello
nella piaga, ma poi ricordò che Cordelia le aveva detto di non avergli
accennato nulla riguardo al loro disastroso matrimonio, e, guardandolo negli
occhi, si rese conto che il vampiro era veramente all’oscuro di tutto e che
quindi la sua domanda era dettata solo dal puro interesse…o almeno dalla pura
cortesia… “E’ una storia lunga, e neanche particolarmente bella, e adesso non
ho voglia di parlarne… Piuttosto, cosa è successo prima?”.
“E’
una storia lunga, e neanche particolarmente bella, e adesso non ho voglia di
parlarne…” le rispose Angel, canzonandola e facendola sorridere, e quella fu la
risposta che diede anche a tutti coloro che, durante la festa, tentarono di
prenderlo in disparte per capire cosa fosse successo. Solo Spike aveva capito,
ma aveva deciso di non parlare.
La
festa andò avanti per tutta la sera e Buffy dovette sudare le fatidiche sette
camice per riuscire a mettere a dormire Ariel nella stanza di Angel. Intanto
nell’ufficio della Angel Investigation il gruppo di Sunnydale e quello di Los
Angeles socializzavano abbastanza facilmente.
“Come
mai un membro del Consiglio degli Osservatori si trova qui a Los Angeles senza
una Cacciatrice?” chiese Giles a Wesley.
“Un
membro del Consiglio degli Osservatori…” ripeté sorridendo l’uomo più giovane.
“Sono almeno cinque anni che non ne faccio più parte, e da tre lavoro qui con
Angel. Non lo avrebbe mai detto, vero? Quando sono arrivato da voi sono
inorridito all’idea che
“Acqua
passata, Wesley. Acqua passata: non serbo più rancore verso Angel da tempo,
anche se all’inizio non è stato facile…”.
E
mentre i due ex-Osservatori parlavano, Oz faceva i complimenti a Helen per la
sua splendida voce, Anya approfondiva la conoscenza di Gunn, Spike e Kate si
studiavano da lontano mentre Cordelia e Doyle parlavano dei vecchi tempi e
Xander saccheggiava il tavolo del rinfresco.
Joyce,
invece, prese in disparte Angel e lo condusse fuori dalla sala della festa.
“Scusa
se ti ho portato via per un attimo alla festa, ma volevo solo chiederti
perdono” disse la donna, senza avere il coraggio di guardare il festeggiato
negli occhi.
Angel
sembrò cadere letteralmente dalle nuvole: “Perdono per cosa, signora Summers?”.
“Perdono
per aver rovinato la tua vita e quella di mia figlia. Solo adesso che la vedo
finalmente serena accanto a te, e lontana da quel maledetto disgraziato, mi
rendo conto di quanto io mi sia sbagliata a volervi dividere a tutti i costi.
Tutto quello che ho ottenuto è stato di rendere un inferno la vita di Buffy…una
NORMALE vita d’inferno….”.
“Joyce,
si può sapere cosa è successo? Dov’è Riley? Perché non è accanto a Buffy?”
chiese Angel, ormai seriamente preoccupato.
Anche
se non erano state quelle le sue intenzioni iniziali, Joyce raccontò al vampiro
tutta la storia di quegli ultimi cinque anni, senza far niente per trattenere
le lacrime. “Capisci, è tutta colpa mia: se non mi fossi messa in mezzo, se non
ti avessi chiesto di lasciare Sunnydale, ora probabilmente stareste ancora
insieme e Buffy sarebbe felice…non si sarebbe mai legata a quel…mostro…”.
Angel
dovette lottare per trattenersi: non gli era mai piaciuto Riley, ma aveva
sempre creduto che avrebbe potuto rendere Buffy felice. Adesso quelle notizie,
il venire a conoscenza di tutto ciò che Buffy aveva patito per causa sua, gli
facevano montare dentro una rabbia indescrivibile. Ma poi guardò Joyce, in
lacrime, e tutto quello che riuscì a fare fu un tentativo di consolarla:
“Joyce, non è colpa sua. Lei certo ha agito in buona fede, pensando di fare il
bene di Buffy. Non è colpa sua se Riley si è dimostrato un verme…”. Ma quelle
parole non sembravano riuscire a consolare la donna. “E poi, ci rifletta un
attimo: questo matrimonio è stato un incubo, ma qualcosa di buono ne è venuto.
Ariel. Se lei non fosse intervenuta, non solo Ariel non sarebbe mai nata, ma
Buffy non avrebbe probabilmente mai conosciuto la gioia di essere madre. E io
sono convinto che, per quanto quello schifoso possa averla fatta soffrire, lei
non rimpianga di averlo conosciuto, perché da tutto ciò è nata sua figlia…”.
Questa
seconda affermazione sembrò avere decisamente più successo della prima: Joyce
smise di piangere ed accettò il fazzoletto che Angel le porgeva. Quindi guardò
per un attimo Angel e disse: “Se anche hai ragione, a te delle scuse le devo lo
stesso: ti ho sempre mal giudicato, e solo adesso me ne rendo conto…”.
Angel
le sorrise, quindi le passò un braccio intorno alle spalle e la ricondusse
verso l’ufficio: “Non si preoccupi Joyce”.
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La
serata stava volgendo al termine, quando Angel prese in disparte Buffy: “Non
credo che siate venuti a Los Angeles per festeggiare il mio non-compleanno…
Cosa succede?”.
“Credimi
Angel, se non fosse una cosa della massima importanza non sarei venuta a
disturbarti…” fece per dire Buffy.
“E
chi ha parlato di disturbo! Buffy io…sono sparito perché pensavo che così ti
avrei reso le cose più facili, ma se sei venuta fin qui a cercare il mio aiuto
vuol dire che la situazione è davvero grave. Allora, di cosa si tratta?”.
“Cosa
sai dirmi riguardo a Zara e alla Signora?” chiese seriamente Buffy.
Angel
sgranò gli occhi: “Che solo lo spirito del Frutto e il sangue del Padre
potrebbero riportare
“Perché
Ariel è in pericolo”.
“Ma
cosa c’entra tua figlia in tutta questa storia. Il Frutto è figlio di un
demone, e Riley, per quanto possa comportarsi anche peggio di uno di noi…tua
madre mi ha raccontato tutto…non lo è di certo…e non lo sei neanche tu!”.
“Lo
so che la cosa non ha alcun senso, ma Zara ha già rapito una volta Ariel e Dio
solo sa come, in quella circostanza, io e Spike siamo riusciti a salvarla! Non
so se si tratti di un semplice errore di Zara, non so se lo spirito di Ariel
potrebbe risvegliare
“Buffy,
non ti lascio affrontare da sola quel mostro: io vengo con te!” disse infatti
Angel.
“No,
ti prego Angel. Se tu venissi con me non saprei a chi affidare Ariel. Se è qui
con te io sono tranquilla perché so che è fuori pericolo e che in qualsiasi
momento, se ce ne fosse bisogno, tu la difenderesti con ogni mezzo; ma se non
la sapessi al sicuro non sarei tranquilla neanche io e allora nemmeno la tua
presenza al mio fianco potrebbe salvarmi da una fine certa. Certo, ti chiederai
dove sia Riley in questo momento: se anche mi fidassi di lui, e non mi fido,
non gli affiderei
Un
lungo brivido scosse la spina dorsale del vampiro. Ad Angel quella situazione
non piaceva per nulla: l’idea di lasciare Buffy sola nelle mani di Zara era
un’assurdità. In tutta la sua vita aveva visto quella donna una sola volta,
quando ancora era Angelus, e in quella occasione il suo demone aveva urlato di
gioia nell’avvertire tutta la potenza furiosa e distruttiva della madre di
tutti i vampiri…persino in quel momento poteva sentirlo agitarsi dentro di sé.
Sapeva che possedeva poteri incredibili e tremava alla sola idea del confronto
tra quel mostro ed una sola Buffy. Ma era esattamente quello che la ragazza gli
stava chiedendo: lo stava supplicando di lasciarla al suo destino per occuparsi
di sua figlia, e lo stava facendo con una tale determinazione e una tale fermezza
che Angel non riusciva ad opporsi alla sua volontà. Gli stava chiedendo solo
quello, e, nonostante tutto, Angel capì che era tutto quello di cui lei aveva
veramente bisogno e che era tutto ciò che lui le avrebbe dato: “Dovranno
ridurmi in cenere e ammazzare tutti i membri della Angel Investigation prima di
arrivare a torcere anche un solo capello ad Ariel. Te lo prometto Buffy!”.
Buffy
lo guardò sorpresa: si era già preparata ad una “lotta” con Angel che non
sapeva se era in grado di vincere, e invece, proprio come ai vecchi tempi, il
suo “avversario” aveva capito al volo la situazione e non aveva insistito.
Istintivamente
lo abbracciò, sollevata e riconoscente, e solo dopo un attimo si accorse che lo
stava stringendo disperatamente, mentre anche lui la stava abbracciando, solo
con più delicatezza…quasi temesse di romperla.
Si
sciolse da quell’abbraccio, imbarazzatissima. “Oh, insomma, in passato ci siamo
scambiati qualcosa di più di un semplice abbraccio…e senza arrossire… Possibile
che io torni a sentirmi ancora una ragazzina del liceo ogni volta che sono con
lui…” si rimproverò mentalmente. Ma Buffy scacciò presto dalla sua mente quei
pensieri: aveva cose più importanti a cui pensare che fermarsi ad analizzare le
reazioni che la presenza di Angel scatenava in lei.
Mentre
però si riavvicinavano agli altri, Buffy lo trattenne ancora un attimo,
prendendolo per un braccio: “Angel posso farti due domande?”.
“Spara”
disse Angel, sorridendole.
“Tu
c’eri vero?” chiese, e notando lo sguardo interrogativo del vampiro si affrettò
ad aggiungere. “Al mio matrimonio intendo…tu c’eri al mio matrimonio, vero?
Io…ti ho…sentito…”.
Il
vampiro abbassò gli occhi per non incontrare quelli di lei; per un attimo non
disse ne fece nulla, come se ricordare quel giorno gli facesse ancora male,
quindi annuì impercettibilmente con la testa.
“E
la seconda domanda?” chiese in un sussurro, continuando a guardarsi la punta
dei piedi.
“Cosa
è successo prima, quando hai visto Ariel? Chi è Katie?”.
Questa
volta Angel alzò lo sguardo per incrociare il suo e Buffy poté leggervi una
sofferenza incredibile.
“E’
solo che tua figlia assomiglia molto a Katie, una persona a cui ho voluto molto
bene… l’unica che mi abbia mai veramente amato quando ero vivo…e io…io…l’ho
uccisa… Scusa Buffy, ma non mi sento ancora pronto per parlarne… Ma non ti
preoccupare, non accadrà mai più e Ariel sarà al sicuro qui con me: te l’ho
promesso!”.
Buffy
gli sorrise calorosamente (in fondo non si era neanche aspettata che Angel
rispondesse ad entrambe le sue domande, e invece…), e quindi si unirono
nuovamente agli altri.
Si
era fatto tardi ormai e la festa era finita: Buffy chiese a Xander di andare a
prendere Ariel già profondamente addormentata nel letto di Angel, quindi la
comitiva di Sunnydale se ne tornò all’appartamento di Cordelia.
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Si
fermarono a Los Angeles ancora per qualche giorno, giusto il tempo che il
signor Giles, Wesley e Angel raccogliessero qualche nuova informazione e di
spiegare ad Ariel che lei sarebbe rimasta dallo zio Angel per qualche tempo.
Per fortuna la bimba, nonostante il vampiro fosse ancora poco più che un
estraneo per lei, aveva subito provato un’istintiva simpatia per il lui e i
suoi amici e così quando era giunto il momento di separarsi da sua madre, il
dolore più grande fu senza dubbio quello di Buffy. Anche perché la bimba non
poteva certo sapere che quella avrebbe potuto essere l’ultima volta che vedeva
la sua mamma…
CAPITOLO
6
Sunnydale,
tre settimane dopo.
“Beh,
magari si è trattato veramente di un errore…” provò a dire Xander.
“Magari!
Sarebbe bellissimo…ma non ci credo: c’è qualcosa che non va” disse Buffy
scoraggiata.
L’oggetto
di quella riunione che vedeva tutta
“Buffy,
fondamentalmente sarei d’accordo con te…” prese a dire Giles, “…ma devi
ammettere che in tutta questa storia non c’è proprio nulla di logico… L’ipotesi
di Xander non è da scartare: hanno preso un abbaglio. Hanno creduto di vedere
in tua figlia quello che probabilmente cercano da un’eternità…nel senso
letterale del termine…e si sono lasciati prendere dall’entusiasmo. Poi però si
sono accorti che stavano facendo solo l’ennesimo buco nell’acqua e ci hanno
rinunciato… Riconosco che sarebbe strano, ma non più strano di tutto il resto”
concluse l’ex-Osservatore, anche se non sembrava completamente convinto neppure
lui.
“No”
disse Spike, che per la prima volta in tutta la serata prendeva la parola. “Voi
reputate noi vampiri degli stupidi: mediamente non ho nulla da ridire…il solo
fatto di esserci fatti vampirizzare non depone a nostro favore…ma non Zara…non
lei… Non si sarebbe scomodata se non fosse stata più che certa di aver trovato
il Frutto…o Miracolo…o come diavolo si chiama… E soprattutto non si sarebbe
arresa così, limitandosi ad uscire di scena dopo che Buffy l’ha ridicolizzata
portandole via la bambina proprio da sotto il naso…e davanti a tutti i suoi
seguaci!!! Quel demonio ha in mente qualcosa, anche se non ho la più pallida
idea di cosa stia tramando. Una cosa è certa: non dobbiamo assolutamente
abbassare la guardia, anzi, penso che dovremmo passare all’attacco…e al più
presto possibile”.
Spike
concluse di esporre la sua opinione e sul gruppo calò il silenzio: tutti
stavano riflettendo sulle parole del vampiro.
“Vendicarsi
è il minimo che avrebbe fatto…e invece… E’ ovvio che se non l’ha ancora fatto è
perché ha cose più importanti da fare… E poi se anche si trattasse tutto di uno
sbaglio e se anche avessero rinunciato a dare la caccia ad Ariel e Riley
sarebbe comunque mio preciso dovere uccidere Zara: non posso permettere che
trovi il Frutto…chiunque esso sia… Non posso permettere che risvegli
“Domani
sera attaccheremo: cominceremo dal casolare sulla strada per Los Angeles. Non
mi aspetto di trovarli lì, ma spero di trovare qualcosa che ci possa mettere
sulle loro tracce. Willow e Tara, voi intanto cercate se esiste un qualche
incantesimo che possa limitare i poteri di quel mostro… o, se proprio non è
possibile, accrescere i miei. Tu Spike verrai con me: potrei aver bisogno di un
aiuto. Voi altri continuate a spluciare: ma questa volta niente Frutto, quello
che mi interessa è ottenere più informazioni possibili riguardo a Zara” ordinò
Buffy, con una determinazione che nemmeno lei credeva di avere.
“Com’è
che a noi toccano sempre i compiti più divertenti?!?” chiese Xander con tono
sarcastico.
“Tesoro,
se hai aspirazioni suicide fai pure…ma non chiedermi di seguirti… Prima di
andare con loro però assicurati di aver fatto testamento: giusto per essere
sicura di ereditare tutti i tuoi debiti!” gli rispose sua moglie, mettendoci
anche un bel pizzico di involontaria cattiveria.
“Bene,
ora che siamo tutti d’accordo propongo di andarcene a casa a riposare un pochino”
propose Buffy infilandosi la giacca, imitata da tutti gli altri.
Pochi
minuti dopo era a casa sua: un’immensa casa vuota. Aveva paura per quello che
l’aspettava e i locali ampi che formavano il suo appartamento invece che darle
un senso di protezione e tranquillità non facevano altro che amplificare il suo
stato d’animo. Quasi senza neanche accorgersene prese il telefono e chiamò
Angel: a quell’ora Ariel di certo dormiva e così anche la principale scusa che
Buffy adduceva per le sue numerose telefonate giornaliere a Los Angeles veniva
a cadere; ma a Buffy non importava: voleva sentire una voce amica, voleva che
Angel alleviasse il suo tormento…voleva parlare con lui, non con sua figlia.
Quando,
dopo pochi istanti, Angel rispose al telefono, Buffy sentì che un peso dallo
stomaco le veniva tolto.
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Los
Angeles, quella stessa notte.
“Ho
bisogno del tuo aiuto” disse Zara, e Darla non riuscì a staccare il suo sguardo
da quello della madre di tutti i vampiri.
“E
cosa potrei fare io che tu stessa non potresti fare?” chiese sfrontatamente il
sire di Angel.
“Assolutamente
nulla. Ma potresti fare qualcosa che io non ho il tempo di fare… E poi non
credo che la cosa ti dispiacerebbe…”.
“E
cosa dovrei fare?” chiese ancora Darla, questa volta con aria più remissiva.
“Far
tornare un nostro caro amico che si è…smarrito…: Angelus”.
Darla
sgranò gli occhi a quella richiesta: in fondo, anche se aveva fatto la
sfrontata, era stata onorata dell’interessamento di Zara nei suoi confronti…se
la madre di tutti i vampiri ti…chiedeva un favore…voleva dire che qualcosa
valevi come vampiro. Si era sentita quasi offesa quando aveva compreso che Zara
si era rivolta a lei solo come mezzo per giungere ad Angelus.
“Angelus,
sempre Angelus, solo Angelus: possibile che quel maledetto sia sempre al centro
dell’universo, sempre a farmi ombra invece che venerarmi e rispettarmi come suo
sire. Adesso perché anche Zara lo vuole? Cosa può fare lui che non posso fare
anch’io?”.
“Darla,
in tutta la tua non-vita hai collezionato un sacco di fiaschi e solo un
successo, Angelus appunto: se non fossi stata il suo sire ti avrei già
eliminata da un pezzo. E’ solo grazie a lui che sei ancora viva, quindi non
rimpiangere di averlo creato” disse in tono gelido la vampira più antica che
aveva seguito il filo dei pensieri di Darla con la stessa facilità con cui un
bambino avrebbe scartato una caramella.
Se
Darla fosse stata umana il suo volto si sarebbe acceso di rabbia. Nessuno
l’aveva mai insultata così (davanti a Drusilla poi, che in un angolo se la
sghignazzava sottovoce): non lei, non la favorita del Maestro…non senza restare
impunito. Ma questa volta c’era poco da fare, Zara avrebbe potuto incenerirla
con un solo sguardo senza neanche che lei avesse il tempo di accorgersene, e
così si limitò a dire sfrontatamente: “Credi che io non ci abbia mai provato…ma
pare che solo la nostra cara Cacciatrice sia in grado di liberare l’amato
Angelus… Chiedi a lei!”.
Un
lampo di collera passò negli occhi di Zara e Darla pensò di essere morta
un’altra volta. Ma fu solo un attimo e la madre di tutti vampiri si ricompose.
“Decido io a chi chiedere: e l’ho chiesto a te! Sono fiduciosa dei tuoi mezzi e
delle tue…arti di seduttrice ed amante. Non mi deludere Darla o per te sarà
veramente l’ultima volta...” e detto questo lasciò l’appartamento di Darla e
Drusilla.
Non
appena Zara fu uscita dalla stanza, Drusilla commentò: “Certo che io passo per
la pazza del gruppo, ma a te Darla mancano decisamente più rotelle di me: la
madre di tutti i vampiri ti concede l’onore di farle un favore e tu per poco
non la fai infuriare…per un attimo ho davvero creduto che ti incenerisse. Cosa
conti di fare adesso?”.
“E’
molto semplice Dru: ora ho solo un motivo in più per far tornare Angelus…”.
“Beh,
allora impegnati, perché se fallisci anche questa volta dubito che avrai modo
di riprovarci… Comunque sappi che sul tuo epitaffio non mancherò di far
rimarcare il tuo stupidissimo coraggio…” disse Drusilla, soffocando di nuovo
una risatina maligna.
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Sunnydale,
la sera dopo.
Buffy
e Spike si aggiravano come due spettri nel casolare deserto, o per lo meno in quel
che ne era rimasto dopo l’incendio provocato da Spike. Sul terreno era sparsa
ovunque una sottile coltre di cenere e stabilire se quelli fossero i resti dei
vampiri bruciati lì dentro o semplicemente quelli delle travi di legno del
soffitto era assolutamente impossibile. Su tutto regnava un silenzio spettrale:
persino il rumore dei loro passi era attutito dalla cenere e dunque l’unico
suono che si avvertiva era quello del respiro profondo e regolare di Buffy.
“Cacciatrice,
qui non c’è proprio un bel niente!” disse tutto d’un tratto Spike.
Le
parole del vampiro avevano rotto in maniera del tutto inaspettata quel silenzio
innaturale, tanto che Buffy fece un balzo in avanti per lo spavento: “Spike, se
aspiri tanto a farti impalettare basta che lo dici: non c’è bisogno che
mi fai prendere un accidente!” disse mentre ancora il suo cuore non aveva
ripreso il battito normale.
“Ehi,
ehi...siamo nervosette eh...!?!” rispose inarcando un sopracciglio con fare
irridente Spike.
Buffy
ignorò quel suo commento (non era quello il momento di concedere a Spike il
beneficio di farle saltare i nervi) e continuò, sempre con tono piuttosto
acido: “E poi non mi aspettavo certo di trovarci Zara pronta ad offrirmi un
caffè!!! Tutto quello che cerco è qualcosa che possa mettermi sulla strada
giusta...qualcosa che potrebbero aver lasciato nella fretta della fuga...
Mentre fuggivo con Ariel ho visto dei vampiri imboccare uno strano passaggio:
allora non ci ho fatto caso perché ero troppo impegnata a correre e perché
passandoci davanti non ho visto alcuna apertura, ma adesso, con un po’ di
calma, voglio trovare quel passaggio e scoprire dove porta...”.
“Sempre
che il passaggio esista e tu non abbia avuto delle allucinazioni...” insinuò
Spike che da qualche tempo non riusciva a trattenere l’impulso di stuzzicare
Buffy
si limitò a squadrarlo con fare feroce e a chiedersi, per l’ennesima volta, per
quale motivo non avesse ancora eliminato quel vampiro; quindi si diresse verso
quello che era stato l’altare e imboccò la galleria da cui era scappata.
Nell’addentrarsi nel cunicolo Buffy accese la sua torcia elettrica, il che
provocò le proteste di Spike i cui occhi vennero feriti da quella luce così
improvvisa.
“Scusa
tanto, ma io non posso trascurare il piccolo particolare che non ci vedo niente
solo per fare un piacere a te!!!” ribatté spazientita
Questa
volta Spike incredibilmente non fece commenti e si mise al lavoro tastando
centimetro per centimetro tutta la parete.
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Passarono
più di due ore a cercare il passaggio. In realtà già dopo un quarto d’ora Spike
lo aveva trovato, ma era chiuso da un blocco di pietra talmente spesso che
neanche le forze di un vampiro e della Cacciatrice messe insieme avevano potuto
spostarlo di un solo centimetro. Quello che cercarono per tutto il resto del
tempo fu quindi il meccanismo che permettesse di aprire la porta, e, come
sempre accade in questi casi, fu solo quando si arresero frustrati che lo
trovarono per un puro colpo di fortuna.
“Insomma
bellezza, mi fanno male le mani a furia di tastare pareti...preferirei tastare
qualcosa di più morbido e caldo...” aggiunse guardando di sbieco le curve di
Buffy, anche se il buio parziale che regnava nella galleria celò quello sguardo
agli occhi della ragazza. “E poi se perdiamo un altro po’ di tempo qui si fa
giorno, e io gradirei essere al sicuro nella mia cripta per quell’ora...”.
“Uffa
Spike, oggi sei veramente una piaga: non hai fatto altro che stuzzicarmi e
lagnarti da quando siamo arrivati...”.
“E
trovare il tuo prezioso passaggio...” si affrettò a puntualizzare Spike.
Buffy
ci pensò un attimo e poi continuò: “Concesso... E pensare che stiamo solo
facendo quello che tu stesso hai proposto: siamo passati all’offensiva...” .
L’espressione
che si dipinse sul volto del vampiro era un misto di sorpresa, ironia e
disappunto, ma neanche questa volta Buffy poté vederla, anche se il tono che
Spike utilizzò per ribattere non lasciava molti dubbi sull’espressione
corredata: “Scusami tanto bellezza, ma non è esattamente questo il mio concetto
di passare all’offensiva: hai presente le lotte, gli schizzi di sangue che
macchiano le pareti, i pezzi di corpi che volano da tutte le parti...una mano
qui, un pezzo di cervello là...la furia cieca che ti prende quando meni le
mani...ecco, quando dicevo di passare all’attacco era questo che intendevo. Non
certo il perdere un’intera nottata in una galleria umida e piena di cenere
peggio della mia cripta a cercare neanche sappiamo che cosa!!! Senza contare
poi che oggi era il giorno della replica notturna di Passioni, e che io l’ho
persa per stare dietro a te!!! ” disse, e per la frustrazione batté con
violenza un piede contro il pavimento.
“E,
sentiamo, dove avresti voluto menare le mani se non sappiamo neanche dove di
trovino quelli che dobbiamo picchia...”.
Buffy
non terminò di parlare: esasperata, stava gridando talmente forte che le sue
parole avevano nascosto il rumore del pesante blocco di roccia che si spostava,
ma quando aveva visto aprirsi il varco era rimasta senza parole.
Spike
guardò Buffy, poi guardò il varco e infine guardò verso il basso dove il suo
pestare di piedi aveva azionato il meccanismo di apertura della porta.
“Cacciatrice, aggiungi anche questa al mio contributo: sono venuto SOLO per
stuzzicarti, per lagnarmi, per trovare il tuo passaggio e per aprirlo...serve
qualcos’altro mademoiselle?”.
Buffy
fece una smorfia: detestava doverlo ammettere, ma era vero che finora, anche
solo per fortuna, aveva fatto tutto Spike. “Beh, mi sembra il minimo...” disse
con tono difensivo. “Ti lascio vivere apposta perché tu faccia quello che non
ho voglia di fare io...altrimenti ti avrei già impalettato da un pezzo,
tesoro...”, ma sapeva di non essere stata per nulla convincente.
Si
avvicinò al varco che ormai era spalancato, ma quando fece per oltrepassarlo
Spike la fermò ancora un attimo posandole una mano sul braccio: “Cacciatrice è
una promessa: se dopo aver perso tutto questo tempo per aprirlo non troviamo
nulla in questo altro cunicolo io ti ammazzo, anche a costo di avere mal di
testa per il resto dell’eternità!”.
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Il
cunicolo procedeva in discesa ed era stretto e lungo e l’aria era invasa da un
odore di muffa che dava a Buffy il voltastomaco. Non c’era più cenere sul
pavimento, segno che il fuoco non era giunto sin lì, ma l’aria sapeva di chiuso
e la luce della torcia non illuminava ormai che pochi passi davanti ai piedi della
Cacciatrice.
Poi,
improvvisamente la galleria si allargò in un’ampia sala sotterranea, anche
questa immersa nelle tenebre. C’erano tuttavia delle torce alle pareti anche se
Buffy dovette faticare non poco per riuscire ad accenderne un paio.
“Zara
è stata qui, la sua malvagità permea ancora l’aria” disse Spike che aveva perso
l’ironia di poco prima.
Buffy
nel frattempo si era avvicinata alla scrivania nel lato nord. “Già...” disse
frugando fra i fogli sparsi sul ripiano. Poi un foglio più sgualcito e decisamente
più antico degli altri attirò la sua attenzione. Una parte era mancante e
riportava numerosi danni da fuoco, ma una buona parte si leggeva ancora
abbastanza chiaramente. Buffy lo prese in mano con estrema cautela, ma dopo
averlo guardato per un po’ chiamò Spike: “Spike vieni a vedere se ci capisci
qualcosa”.
Il
vampiro si avvicinò e osservò a sua volta la pergamena con molta attenzione.
Quindi disse: “Posso dirti che se fosse stato arabo scritto in ideogrammi cinesi
ci avrei capito di più. Mi dispiace Buffy, ma non potrai aggiungere ai miei
meriti di questa sera anche quello di essere riuscito a tradurre questi
scarabocchi. Portiamola a Giles, lui è l’unico che potrebbe
riuscirci...forse... C’è nient’altro in giro?”.
“No,
nulla di interessante” disse Buffy senza accorgersi, a causa della luce fioca,
che ai piedi della scrivania, poco distante da lei, c’era una cartina di Los
Angeles, con un grosso cerchio rosso che circondava l’indirizzo dell’Hyperion.
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Nel
frattempo a Los Angeles.
“Ma
è mai possibile che una bambina tanto piccola non abbia mai sonno!” affermò
sconsolata Helen.
Quella
sera le aveva provate veramente tutte per fare addormentare Ariel, ma era stato
tutto inutile. Le aveva cantato un’infinità di ninne nanne, ma ogni volta che
ne aveva terminata una la bimba le aveva chiesto di cantargliene un’altra; le
aveva raccontato un sacco di storie e letto una marea di favole, ma gli occhi
della bimba erano costantemente sbarrati e birichini.
In
quei giorni Ariel aveva visto alcuni dei disegni di Angel e quel pomeriggio ne
aveva fatto uno anche lei, ed ora era decisa a non andare a letto finché non
fosse riuscita a mostrarlo allo zio Angel.
Helen
alla fine aveva tentato l’ultima disperata carta, quella della minaccia velata:
“Ma tesoro lo sai che lo zio rientra sempre tardi, e tu non puoi aspettarlo
sveglia: ti prometto che domani mattina, non appena ti sveglierai, gli faremo
vedere il bellissimo ritratto che hai fatto della tua mamma, ma adesso devi
andare a dormire o lo zio si arrabbierà sia con me che con te”. Ma neanche
questo aveva funzionato: Ariel ci aveva pensato un attimo e aveva consentito ad
Helen di metterle il pigiama, ma una volta sotto le coperte non aveva comunque
accennato ad addormentarsi. Helen alla fine dovette arrendersi e chiamare
Angel.
“Cosa
c’è Helen? E’ successo qualcosa ad Ariel?” chiese Angel allarmatissimo non
appena rispose al suo cellulare.
“Nulla
di drammatico Angel...” lo rassicurò subito la ragazza, “...a meno che tu non
reputi una cosa drammatica il fatto che una bambina di meno di cinque anni non
sia ancora nel mondo dei sogni all’una di notte... Non so più cosa fare né cosa
inventarmi per farla dormire: questa sera ha deciso che deve aspettarti sveglia
finché non rientri perché deve farti vedere un disegno che ha fatto...è
piccola, ma quanto a testa dura quasi ti batte...mi chiedo come facciate ad
andare tanto d’accordo...”.
Dall’altra
parte del telefono Angel le rispose con una risata.
“Sì,
sì, tu ridi, ma intanto sono io che devo cercare di farla addormentare: mi si è
seccata la gola a furia di cantare ninne nanne e raccontare storie...”.
“Adesso
torno a casa: la serata è piuttosto fiacca, stavo già pensando di rientrare e a
quanto pare c’è più bisogno di aiuto lì che per le strade di Los Angeles...”, e
giù con un’altra risata.
“Ti
ho mai detto che quando ti ci metti non sei per nulla divertente!” disse con
tono fintamente offeso Helen. “Muoviti invece di ridere o io esco pazza”.
Passò
meno di un quarto d’ora dal termine della loro telefonata al momento in cui
Angel bussò alla porta della Angel Investigation. Quando Helen andò ad aprire
quello che si trovò davanti era un Angel sorridente e divertito, ma stanco: da
quando Buffy aveva lasciato loro la bambina le sue preoccupazioni erano
quadruplicate e oltretutto non riposava abbastanza. La notte girava fino
all’alba per uccidere vampiri e mostri vari e tenere d’occhio
contemporaneamente
Ma
Helen non era stata l’unica a sentire Angel che bussava: Ariel era di nuovo
schizzata fuori dal letto al primo colpo sulla porta (come poi avesse fatto a
sentirlo questo Helen proprio non se lo spiegava) e si era precipitata
nell’ufficio; appena aveva visto Angel apparire sulla soglia gli era corsa
incontro e, complice il movimento del vampiro che si era chinato, gli era
saltata con le braccia al collo.
“Signorina,
mi ha detto Helen che questa sera l’hai fatta disperare: si può sapere cosa ci
fai ancora in piedi a quest’ora?” disse Angel con tono severo, anche se i suoi
occhi tradivano ancora il divertimento per tutta quella situazione.
La
bimba si rabbuiò un attimo, sinceramente dispiaciuta per quel rimprovero, ma il
bacione che Angel le stampò sulla guancia paffutella e le sue seguenti parole
di perdono (“Per questa volta passi, ma che non capiti più, intesi?”) contribuirono
a farle tornare immediatamente il sorriso.
Angel
poggiò la bambina a terra e subito questa gli prese la mano e lo tirò verso la
sua scrivania. Quindi aprì l’ultimo cassetto, ne tirò fuori un foglio di carta
e lo porse con orgoglio ad Angel.
“Ti
piace?” chiese Ariel prima ancora che Angel potesse vedere il disegno. “E’ la
mamma”.
Angel
rimase a bocca aperta: era pur sempre il disegno di una bimba di neanche cinque
anni ma era decisamente bello e ben fatto; certo molti particolari non
corrispondevano alla realtà, ma considerando che l’aveva disegnato senza avere
davanti agli occhi la madre, era decisamente sorprendente: Buffy era
riconoscibilissima.
“Ariel
è bellissimo” disse Angel, ed era decisamente sincero.
“Sì,
ma i tuoi sono più belli: mi insegni a disegnare come te zio?”.
Angel
sorrise: “Tesoro mio, tu non hai bisogno che io ti insegni nulla, devi solo
crescere un po’. Io alla tua età non sapevo certo disegnare come disegni
tu...se mai sei tu che dovresti insegnare qualcosa a me...”.
Gli
occhi della bimba si illuminarono. “Zio, facciamo un disegno insieme?”.
Angel
la prese di nuovo in braccio e si mise a sedere sul piccolo divanetto
dell’ufficio. Helen si allontanò dalla stanza per andarsi a preparare una tazza
di the.
“Certo
Ariel, ma domani, ora sia tu che io dobbiamo andare a letto a riposare”.
“No,
no, non ho sonno. Facciamolo adesso” insistette la bimba, eccitatissima.
“Ariel...”
si limitò a dire Angel guardandola di traverso.
Ad
Helen non era servito sgolarsi per tutta la sera per convincere la bambina, ad
Angel era bastata solo una parola.
“E
va bene, ma prima mi devi raccontare una storia”.
“Una
sola però, e se non ti addormenti lo zio si arrabbia...” e prese a raccontare
una storia che si inventò lì sul momento.
Quando,
dopo cinque minuti, Helen tornò nell’ufficio con una tazza di the fumante in
mano gli si presentò agli occhi una scena dolcissima: sia Ariel che Angel si
erano addormentati sul divanetto e la bimba era completamente abbandonata sul
petto del vampiro, con le braccine strette intorno al suo collo, mentre lui,
anche nel sonno, la abbracciava dolcemente con fare protettivo.
Ad
Helen venne in mente la scena di qualche pomeriggio prima, quando Ariel aveva
deciso di essere abbastanza grande per fare una torta e aveva coinvolto lei ed
Angel nel piano: il solo ripensare alle condizioni della cucina di Angel al
termine di quell’operazione e all’immagine del vampiro reso ancora più bianco
dalla farina che volava dappertutto la fece sorridere teneramente, e con quella
immagine negli occhi uscì dall’ufficio per dirigersi verso casa.
CAPITOLO
7
Il
signor Giles esaminava attentamente la pergamena che Buffy gli aveva portato.
Era
scritta in aramaico antico ed era fortemente incompleta: il tempo e il fuoco
avevano distrutto o anche solo scolorito quelle parole e la traduzione
risultava oltremodo difficoltosa anche per lui che conosceva la lingua.
Si
trattava senza dubbio di una profezia antichissima in cui veniva menzionata la
nascita del Frutto. Quello che Giles non riusciva a comprendere era il
riferimento al demone che lo avrebbe generato, che veniva definito come colui
che cammina nelle tenebre con un cuore colmo di luce. A dire il vero Giles non
era troppo convinto di quella traduzione, soprattutto perché non vedeva poi
tutta questa luce nel cuore di Riley.
“Le
cose incomprensibili in tutta questa storia stanno cominciando a diventare un
po’ troppe: qui il Padre è descritto piuttosto bene, e non ha proprio nulla a
che fare con Riley. Mi sembra quasi di vedere... ANGEL!!! Ma come ho fatto a
non pensarci prima: questa è la descrizione di Angel!!! Ma anche questo non ha
nessun senso! Lui e Buffy sono stati insieme solo una volta e sfortunatamente
le conseguenze non si sono limitate ad una gravidanza fuori programma... Ariel
non può essere figlia di Angel...anche se potesse avere dei figli non
basterebbe il pensiero per concepirne uno... A meno che Buffy... Devo parlare
con lei immediatamente: se solo tutto questo fosse possibile avremmo fatto un
terribile sbaglio a lasciare Ariel proprio con lui...”.
Giles
non aveva quasi neanche finito di formulare quei pensieri che già aveva
telefonato a Buffy.
“Signor
Giles ha idea di che ore siano? Cosa è successo di così grave da svegliarmi
alle quattro del mattino dopo un’intensa serata di ronda?” chiese Buffy con
voce assonnata.
“Potremmo
aver commesso un errore madornale Buffy: ma prima di allarmarti inutilmente
devi rispondere ad una domanda... Mi rendo conto di chiederti una cosa molto
personale, ma ti prego di rispondermi ugualmente: dopo quella prima e
stramaledettissima volta tu ed Angel siete stati ancora insieme...voglio
dire...avete fatto ancora l’amore insieme...?”.
A
quella domanda il cervello di Buffy si schiarì di botto dal sonno: “NO!”
esclamò con veemenza. “Ma per chi ci ha preso, per dei pazzi irresponsabili?!?
La prima volta non sapevamo, ed è successo un disastro; ne abbiamo fatto tesoro
e ci siamo sempre comportati di conseguenza. Non dico che sia stato facile, non
dico che non abbia mai desiderato di mandare tutto al diavolo per essere di
nuovo felice, anche solo per un attimo, con lui; arrivo quasi a dirle che se
Angel non se ne fosse andato la situazione avrebbe anche potuto degenerare, ma
non lo abbiamo mai più fatto. Ma perché me lo chiede? E che errore potremmo
aver commesso?”.
“No
Buffy, se quello che mi dici è vero non abbiamo commesso nessun errore...è solo
che le cose che non quadrano in questa faccenda diventano sempre di più...”
disse Giles.
“Certo
che le ho detto la verità. E poi quali sono queste novità che sballano i conti
ancora di più di quanto non lo siano già?” chiese Buffy ormai spazientita dalla
vaghezza del suo Osservatore.
“Si
tratta della pergamena che mi hai portato: è una profezia antica poco meno
della Signora e parla della nascita del Frutto e di suo Padre. Viene definito
come colui che cammina nelle tenebre con un cuore colmo di luce...ti dice
niente tutto ciò...”.
“Signor
Giles, sono le quattro di mattina e non so proprio cosa dovrebbero dirmi le sue
parole. Io conosco una sola persona che potrebbe corrispondere a quella
definizione e...” Buffy non terminò immediatamente la frase, riflettendo sulle
implicazioni di quanto le era appena stato detto. “Lei sta insinuando che sia
Angel il padre di Ariel?!? Lei crede veramente che avrei sposato Riley andando
a letto con Angel fino alla sera prima del matrimonio!?!”. Buffy era furiosa.
“No,
no Buffy, non ho mai pensato una cosa del genere...” tentò di scusarsi Giles.
“Ma
si può sapere che razza di opinione ha di me? Oltre che un’irresponsabile mi
reputa anche una sgualdrina!” ora Buffy stava urlando e piangendo al tempo
stesso.
“No
Buffy, non avevo intenzione di insinuare un bel niente: sto solo cercando di
venire a capo di questa storia, e devi ammettere che se il padre di Ariel fosse
Angel molte cose si chiarirebbero. Ma se mi dici che tra voi non c’è mai stato
più niente dopo quella volta io ti credo, e quindi il problema non si pone. Io
ho una stima di te che forse è addirittura più grande dell’affetto che provo
nei tuoi confronti e la cosa era apparsa strana anche a me fin dall’inizio. Ti
chiedo quindi di perdonarmi se ti ho offesa, non è stato mia intenzione farlo
neanche per un istante”.
Buffy
aveva smesso di singhiozzare, ma piangeva ancora sommessamente. “Mi dispiace
signor Giles, non volevo alzare la voce e neanche attaccarla...è che lei non
può neanche immaginare quante volte, in questi anni, io abbia desiderato che
Ariel non fosse figlia di Riley ma di Angel. Mi sono sempre sentita in colpa
per questi miei assurdi desideri, mi sono sempre data io stessa della poco di
buono per questo, e quando lei ha ventilato questa ipotesi l’ho subito presa
come un’accusa. Comunque glielo ripeto: non è successo nulla fra me ed Angel
dopo la sera del mio diciassettesimo compleanno...e anche se fosse successo
qualcosa non avrei comunque potuto restare incinta; una volta, quando ancora
stavamo insieme e Angelus non era che uno spettro lontano, io e lui ne abbiamo
parlato, ed Angel è stato molto chiaro in proposito: lui non può avere figli, i
vampiri non possono avere figli; quindi, come vede, non è proprio possibile che
Ariel sia figlia di Angel...”, “...purtroppo...” terminò le sue scuse,
soffocando all’ultimo istante l’impulso di aggiungere anche ad alta voce
quell’ultima parola.
“Va
bene Buffy, e tutto sommato è meglio così: se lui fosse veramente suo padre
avremmo rischiato di servire Frutto e Padre su uno stesso piatto da
portata...un bel regalo veramente per Zara, non trovi? Ora torna a dormire
ancora un po’: la cosa più probabile è che io abbia sbagliato la traduzione.
Tra la pergamena rovinata, la lingua impossibile e l’ora tarda è decisamente
possibile”.
“Perché
non chiede il parere di Wesley? Lui forse potrebbe aiutarci” disse Buffy che
ora aveva definitivamente smesso di piangere.
“Anche
se il mio orgoglio ne esce ferito, devo ammettere che è un’ottima idea: domani
lo chiamerò, e se potrà aiutarmi dovrò proprio andare a Los Angeles a portargli
la pergamena. Non è che ti andrebbe di accompagnarmi: sai, il viaggio non è
lunghissimo, ma un po’ di compagnia fa sempre piacere...” disse Giles con fare
complice.
Buffy
rise. “Le voglio bene signor Giles...le voglio un mare di bene... E adesso se
ne vada a dormire un po’ anche lei: buon riposo!”.
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Los
Angeles, il pomeriggio successivo.
“Certo
Giles, la aspetto questa sera qui alla Angel Investigation: è meglio vederci
chiaro in questa storia e se posso aiutare lo faccio più che volentieri. A più
tardi allora” disse Wesley e riagganciò la cornetta.
Helen
era indaffaratissima nel tentativo di infiltrarsi nel computer della Wolfram
& Hart: quella calma così prolungata di Lindsey e compagni cominciava a
preoccupare seriamente Angel che era ormai quasi certo che, in combutta con
Darla e Drusilla, stessero tramando qualcosa di pericoloso.
Doyle
era invece immerso nel suo ruolo di balia di Ariel (quel giorno era il suo
turno), ma questo non gli aveva impedito di prestare un orecchio alla
conversazione telefonica dei due ex-Osservatori.
“Così
questa sera avremo visite” disse il mezzo demone.
“Già,
e sembra essere una cosa piuttosto assurda: Giles pare aver trovato una
pergamena in cui si accenna alla possibilità che Angel sia suo padre…” disse
indicando con un gesto della testa la bimba ai piedi di Doyle, che, ignara di
essere l’oggetto dei loro discorsi, trafficava tranquillamente con la scatola
di colori che il vampiro le aveva regalato.
“Mi
rendo conto benissimo che sia una cosa impossibile” disse notando l’espressione
stupita ed ironica di Helen che a quelle parole aveva alzato la testa dal suo
PC per tornare nel mondo dei vivi, “…e se ne rende conto anche Giles, tanto che
verrà qui proprio questa sera per vedere come interpreto io questa benedetta
pergamena”.
Doyle
non fece alcun commento; si limitò a guardare per un attimo Ariel, come se la
studiasse, quindi riprese a giocare con lei.
“Il
signor Giles viene da solo o si porta dietro tutta la banda?” chiese Helen con
noncuranza.
“Non
lo so, ma non credo proprio: probabilmente verrà solo Buffy, il che mi sembra il
minimo visto che sua figlia è qui da più di tre settimane e immagino quindi che
vorrà vederla. Ma perché lo chiedi?” rispose Wesley.
“Beh…devo
sapere se fare la spesa per tremila persone in più o solo per due…” disse Helen
con naturalezza, anche se qualcosa nella sua voce tradì un certo nervosismo e
un certo imbarazzo. “Anzi è meglio che vada, tanto qui non vengo a capo di
niente: come hacker non valgo proprio una cicca! E poi è già quasi buio e tra
un po’ sarà ora di punta. Ariel vieni con me?”.
La
bimba annuì immediatamente: adorava andare al supermercato e mettere nel
carrello tutto quello che le passava per la testa, e quegli zii di Los Angeles
le lasciavano passare molti più sfizi che la nonna a Sunnydale. Prima però di
avviarsi insieme ad Helen mise a posto con attenzione quasi maniacale tutti i
suoi colori, come fossero stati i gioielli più preziosi del mondo. Quindi le
due “donne” uscirono insieme mano nella mano.
“Ah,
dite ad Angel che h preso la sua auto” disse Helen sulla soglia dell’agenzia.
“Doyle
io faccio un salto a casa a prendere un paio di libri sulla lingua aramaica che
potrebbero servirmi per la traduzione. Ci vediamo più tardi” disse Wesley, e
pochi istanti dopo lasciò anche lui
Il
mezzo demone restò solo nell’ufficio ormai silenzioso e fu estremamente
contento per quella situazione: tra poco Angel si sarebbe svegliato e lui aveva
voglia di fare quattro chiacchiere con il suo amico.
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“Così
hai intenzione di sferrare l’attacco questa sera…” disse con voce melliflua
Drusilla.
“Già,
ma visto che con i metodi tradizionali non funziona…ho trovato un altro metodo:
questa volta Angelus tornerà di sicuro e se non fosse per quello sciagurato di
Spike saremmo di nuovo una famiglia” disse Darla con un sorriso maligno.
Drusilla
non accusò minimamente il colpo che l’altra vampira le aveva voluto infliggere
con quell’ultima affermazione, limitandosi a chiederle sinceramente incuriosita:
“E quali sarebbero i tuoi metodi alternativi?”.
“Lindsey
mi ha procurato un globo di Thesula e un interessante libro di incantesimi: il
globo può conservare e restituire l’anima a un vampiro, ma con un altro
incantesimo potrebbe rubargliela ed imprigionarla, e una volta distrutto il
globo anche l’anima imprigionata sarebbe distrutta definitivamente, senza più
nessuna speranza…senza più nessuna maledizione…”.
“E
il tuo cagnolino Lindsey è consapevole di tutti questi dettagli o la sola idea
di compiacerti gli ha annebbiato il cervello…?”.
“E
cosa vuoi che mi interessi: Lindsey è stato un piacevole…e utile…passatempo, ma
qui stiamo parlando di riavere Angelus…il mio Angelus di nuovo tutto e solo per
me, come ai vecchi tempi…e per sempre…” lo sguardo di Darla era già sognante
mentre immaginava il suo nuovo futuro insieme all’unica vera ossessione della
sua vita.
“Povera
illusa: davvero credi che Zara rivoglia Angelus perché tu possa goderne… Lo
stai condannando a morte e neanche te ne sei resa conto… Povera, povera Darla…”
pensò Drusilla che, grazie alla sua chiaroveggenza, aveva già perfettamente
capito quale fosse la situazione e quali fossero i piani di Zara, anche se si
guardò bene dal dirlo al sire di Angelus.
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“Ben
svegliato” disse Doyle quando, una decina di minuti più tardi, Angel fece la
sua apparizione sulla soglia del suo appartamento.
“Ma
dove sono finiti tutti quanti? Ormai non sono più abituato a tutto questo
silenzio!” disse Angel con voce ancora impastata.
“Non
ti preoccupare tra poco saranno di nuovo tutti qui e ci sarà anche Rupert Giles
e probabilmente anche Buffy…”.
Angel
si svegliò immediatamente a quella notizia.
“Prima
che tu faccia mille domande, ti spiego perché vengono”. Doyle spiegò al vampiro
della pergamena e della traduzione di Giles; Angel ascoltò senza una sola
reazione sino ad un certo punto, poi cominciò ad agitarsi.
“Ma
tutto questo è impossibile: Giles deve essersi veramente sbagliato questa
volta…” fece per dire Angel, ma Doyle lo interruppe.
“Ne
sei proprio convinto? Pensaci bene Angel, in fondo non è poi così
impossibile…”.
Angel
davvero non capiva dove l’amico volesse andare a parare. “Doyle io sono un vampiro
e se anche io e Buffy potessimo…amarci liberamente…non potrei comunque avere
dei figli…”.
“Il
tuo giorno da umano…” si limitò a dire il mezzo demone, interrompendolo
un’altra volta. “Voi siete stati insieme quando tu eri umano e quindi
perfettamente in grado di concepire un figlio. Ragiona un attimo: io non so se
Ariel somigli a tua sorella, ma di sicuro assomiglia a te…ha i tuoi stessi
occhi, e anche il vostro rapporto così stretto non ha altre spiegazioni. Non ne
posso essere certo, è ovvio, ma credo che l’idea che Ariel sia tua figlia non
sia poi così assurda…”.
“Doyle,
hai bevuto o ti sei drogato! Ti devo ricordare che quel giorno è come se non
fosse mai esistito?” disse Angel, visibilmente fuori di sé.
“Bravo
Angel, hai usato il termine giusto: è COME se non fosse mai esistito, ma in
realtà è successo. Gli Oracoli hanno riportato indietro il tempo e hanno
cancellato le memorie di tutti noi, tranne che la tua. Ma se fosse andato
storto qualcosa in questo ritorno al passato? Se non proprio tutto fosse stato
cancellato? Devi ammettere che è una possibilità…”.
Angel
lo guardava con un’espressione pressoché inebetita: il contrasto tra ciò che
voleva e ciò che pensava, tra ciò che sentiva e ciò che la sua ragione gli
imponeva era fortissimo. La sola idea di avere di nuovo un figlio, e per di più
un figlio avuto da Buffy, lo faceva impazzire dalla gioia; ma nello stesso
tempo la sua testa gli diceva che ciò che Doyle sosteneva, seppure non fosse
del tutto impossibile, era altamente improbabile.
“A
meno che la cosa non sia stata fatta apposta!”: quell’idea gli balenò nella
mente come un lampo a ciel sereno. Angel prese una decisione, afferrò il suo
cappotto dall’attaccapanni e si diresse con passo deciso verso la porta.
“Dove
stai andando adesso?” gli chiese Doyle.
“Vado
a scoprire se quello che sostieni è anche solo lontanamente possibile: in quel
caso le Alte Sfere mi devono delle risposte” e afferrata una preziosa statuina
che faceva bella mostra di sé vicino all’ingresso si diresse dagli Oracoli per
ottenere le risposte che cercava.
Doyle
per un istante pensò di seguirlo, ma poi capì che quella era una cosa che il
suo amico avrebbe dovuto e voluto affrontare da solo; e poi erano in arrivo
ospiti e non sarebbe stato bello far trovar loro l’ufficio chiuso e deserto. Si
risedette dunque sul divanetto e aspettò l’arrivo del signor Giles,
sorprendendosi più volte a cercare senza successo di immaginare quello che
Angel stesse provando in quel momento.
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“E’
possibile!”.
Il
sintetico responso degli Oracoli rimbombava nella testa di Angel lasciandolo
stordito.
“E’
possibile che io sia il padre di Ariel…è possibile che sia stato commesso un
errore nel riportare indietro il tempo… Ariel…mia figlia…”.
La
mente di Angel era un groviglio intricato di pensieri sconnessi. Le Alte Sfere
non gli avevano detto che la bambina era sua figlia, ma solo che era possibile
che lo fosse… Non gli avevano dato nessuna certezza, ma avevano fatto fiorire
la speranza nel suo cuore; e quella speranza ora lo rendeva incredibilmente
felice, ma anche incredibilmente spaventato…anzi, terrorizzato era il temine
più adatto.
“E
adesso come lo spiego a Buffy…? Probabilmente andrà su tutte le furie quando saprà
quello che è successo e quando capirà che ancora una volta ho deciso io per
tutti e due! Mi accuserà di averle rovinato la vita, e in fondo non avrebbe
neanche torto: se fossi rimasto umano probabilmente non avrebbe mai sposato
quel…quel…non avrebbe mai sposato Riley e non avrebbe passato i cinque anni di
inferno che invece ha dovuto sopportare! Come posso farle capire che anche
questa volta l’ho fatto per il suo bene, per non abbandonarla da sola alla sua
lotta… Cosa posso dirle per farle capire che stare con lei era, anzi è la cosa
che desidero di più al mondo…con lei e con nostra figlia… Ariel…”.
Angel
sapeva di dover rientrare: Doyle gli aveva detto che probabilmente Buffy
sarebbe venuta a Los Angeles quella sera stessa e, al di là del fatto che moriva
dalla voglia di vederla, doveva ormai parlarle, dirle tutta la verità e
chiarire le cose.
Tuttavia
non ne aveva la forza: sentiva ancora quel formicolio nelle gambe e nelle
braccia tipico dell’alcool in circolo o di una forte emozione. E poi doveva ancora
riorganizzare le idee: trovare le parole da dirle non sarebbe stato il problema
più grosso (anche se non parlava molto era sempre stato piuttosto abile con le
parole e soprattutto con Buffy il più delle volte non c’era bisogno di
esprimere quello che provava e pensava: lei lo capiva senza bisogno che lui
aprisse bocca), ma non era ancora pronto ad affrontare la sua reazione (per la
prima volta da quando la conosceva non sapeva davvero come avrebbe potuto
reagire).
E
poi doveva ancora riprendere il controllo su se stesso: l’idea di poter essere
padre lo aveva inebriato; aveva paura, ma al tempo gli sembrava di camminare
dieci centimetri sollevato da terra. Si sentiva leggero, come se le sue ossa
non avessero peso. Gli era stata concessa l’ennesima possibilità (Angel
cominciò a chiedersi se si meritasse tante seconde chance), e questa volta non
avrebbe permesso a niente e nessuno di rovinargliela: non avrebbe permesso a
nessuno di fare del male a sua figlia…non un’altra volta...
Nel
rientrare, stava passando per il parco. Decise di fermarsi per un attimo su una
panchina per riprendere il controllo prima di incontrare Buffy, e durante
quella breve sosta venne sommerso dai dolorosi ricordi della sua vita da
mortale.
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Galway,
1747.
“Non
voglio obbligarti a sposarmi, non voglio niente da te o dalla tua famiglia,
Liam. Ho solo pensato che dovessi saperlo. So benissimo di essere stata solo la
distrazione di una notte e non ti chiederò di riconoscerlo, ma ho solo creduto
che fosse mio dovere farti sapere che qualcosa è nato in me quella notte. E poi
volevo chiederti cos’è che vuoi che gli dica quando, cresciuto, mi chiederà di
parlargli di suo padre…”.
Liam
aveva poco più di vent’anni, e guardava quella piccola e graziosa ragazza sua
coetanea con aria sbalordita. Gli stava dicendo che presto gli avrebbe dato un
figlio, ma che da lui non voleva nulla. Liam avrebbe potuto elencare almeno un
centinaio di donne che trovandosi nella stessa situazione l’avrebbero sfruttata
a loro tornaconto: l’avrebbero costretto a riempirle d’oro per comprare il loro
silenzio se non addirittura a sposarle. Ma non lei: lei non chiedeva gioielli,
non chiedeva potere, non accampava nessuna pretesa, né per lei né per suo
figlio… Glielo aveva detto solo perché lui sapesse…
Liam
non ricordava neanche il suo nome, e quasi non ricordava neanche di essere
stato nel suo letto, ma il pensiero che quella ragazza potesse stargli mentendo
non lo sfiorò neanche per un istante…sentiva che gli stava dicendo la verità…
Le
sorrise quasi senza accorgersene e le accarezzò il volto: era la prima volta
che qualcuno si guadagnava il suo rispetto e la sua ammirazione con un semplice
gesto. Non era più solo una delle tante ragazze con cui aveva fatto l’amore
ubriaco fradicio, era la prima donna che sentì di non disprezzare, la prima
donna che gli fece desiderare di mettere la testa a posto.
“Tutto
questo è pazzesco: sto addirittura pensando di sposarla… Mio padre non lo
permetterà mai: il nostro nobile sangue mischiato, anzi, contaminato da quello
di una ragazza qualsiasi senza un briciolo di nobiltà in tutto il suo albero
genealogico!!! Piuttosto mi ammazza!!!” pensò Liam scherzando amaramente.
Nonostante
tutto diede appuntamento alla ragazza per il giorno successivo; quella sera
avrebbe affrontato suo padre.
Andò
anche peggio di quanto Liam avesse potuto immaginare: suo padre andò su tutte
le furie quando, senza far nulla per indorargli la pillola, gli disse che
aspettava un figlio da una ragazza che abitava appena fuori dalla città.
“Una
contadina! Capisci Isabel cosa combina quello sciagurato di tuo figlio: una
contadina!” disse urlando rivolto verso sua moglie che piangeva e tremava come
una foglia. Poi, rivolto a Liam, continuò: “Cosa ti abbiamo fatto perché tu ci
odi così tanto? Cosa ti abbiamo fatto per decidere di gettare fango sulla
nostra onorata famiglia? E adesso la vuoi anche sposare! Ma sei pazzo o stai
semplicemente cercando di far morire me e tua madre di crepacuore!!!”.
Liam
teneva gli occhi abbassati, in segno di formale rispetto, ma avrebbe voluto
alzare lo sguardo e affrontare quello del padre; avrebbe voluto elencargli uno
per uno i motivi per cui lo detestava, per cui avrebbe fatto di tutto pur di
dargli dei dispiaceri. E avrebbe voluto urlare a sua madre di ribellarsi a quel
tiranno: avrebbe voluto scuoterla per le spalle e dirle di smetterla di
piangere e tremare ogni volta che alzava la voce. Avrebbe voluto rinfacciarle
che se per lui ormai era tardi, aveva comunque ancora una figlia a cui
dimostrare tutto il suo amore invece di ingabbiarlo solo perché quel despota
voleva così.
“Non
ti permetterò di farlo, Liam. Non posso diseredarti perché lo scandalo sarebbe
troppo grosso…”.
“Già,
sarebbe come ammettere pubblicamente che non siete stato neanche in grado di
tenere a bada un figlio: che disonore…che vergogna!” lo interruppe Liam, senza
riuscire più ad arginare l’odio e il risentimento che covava dentro per
quell’uomo fin da quando potesse ricordarsi.
Suo
padre lo schiaffeggiò con tanta violenza che Liam dovette, suo malgrado,
retrocedere di un passo. Quindi riprese il controllo di sé e si limitò ad
aggiungere: “Dovessi ucciderti con le mie stesse mani, Liam, tu non rivedrai
mai più quella ragazza”. Quindi si allontanò dalla stanza.
Prima
che tuttavia potesse uscire, con una calma glaciale Liam gli disse: “Allora
dovrete farlo, padre. Diversamente al più tardi fra una settimana io sposerò
Sarah, che a voi piaccia oppure no”.
Una
cosa è certa: se Liam avesse potuto anche solo lontanamente immaginare le
conseguenze di quelle sue parole, si sarebbe morso la lingua prima di
pronunciarle.
Il
giorno dopo, la ragazza non si presentò all’appuntamento. Liam era nervoso, ma
più deciso che mai a sposarla (se non altro per fare un dispetto a suo padre),
e quell’assenza lo inquietava in maniera quasi angosciosa. Andò a cercarla fino
a casa sua, una modesta abitazione appena fuori dalle mura di Galway, ma la
trovò deserta.
Fece
la stessa cosa per una settimana, ma ottenne sempre lo stesso risultato: Sarah
sembrava sparita nel nulla, senza lasciare traccia.
Qualche
giorno dopo ritrovarono il suo corpo privo di vita nelle acque del porto. La
ragazza si era ufficialmente suicidata dopo aver scoperto di essere rimasta
incinta: la gente la bollò come una sbandata, una poco di buono, e in breve
tempo si dimenticò di lei.
Liam
però non credeva ad una sola parola della versione ufficiale: aveva intuito che
Sarah era felicissima di star aspettando un figlio, e non per le opportunità
che questo le poteva procurare quanto solo per la gioia di diventare madre;
sapeva che non si sarebbe mai uccisa e qualcosa nella sua testa gli diceva che
suo padre non era estraneo a tutta quella faccenda. Aveva giurato di ucciderlo
se solo avesse provato a sposarla: evidentemente aveva trovato una maniera
alternativa per risolvere il problema. Aveva eliminato la ragazza.
Suo
padre, dal canto suo, non provò neanche a negare il suo coinvolgimento quando
Liam decise di affrontarlo. “E’ solo colpa tua, Liam. Era una brava ragazza, in
fondo, ed è morta solo per colpa tua. Non accusarmi di colpe che gravano sulle
tue spalle: io ho fatto solo ciò che era indispensabile fare per salvare il
buon nome della nostra famiglia e rimediare a quello che è stato un tuo errore.
Avrei forse potuto uccidere te, ma questo avrebbe sollevato un polverone e
avrebbe fatto soffrire quella povera donna di tua madre, e non volevo
aggiungere questo dolore a quelli che le causi già tu in abbondanza. Spero solo
che questo ti serva di lezione”.
“Voi
per darmi una lezione avete fatto uccidere una ragazza innocente e un bambino
ancora più innocente di lei…?!? Ma si può sapere che razza di uomo siete? Si
può sapere che cosa avete al posto del cuore? Non potete neanche immaginare il
disgusto che io provo nei vostri confronti: arrivo a dirvi che mi vergogno di
essere vostro figlio, che avrei preferito nascere da un maiale piuttosto che da
voi…”.
Suo
padre si voltò con uno sguardo furibondo negli occhi (mai nessuno aveva osato
insultarlo così tanto), ma Liam non gli diede tempo di aprir bocca: “Questa è
una promessa padre: finche avrò vita non cesserò per un solo istante di darvi
il tormento, e se il Signore me lo permetterà, sarò il vostro incubo peggiore
anche una volta che sarò morto…”.
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Angel
rabbrividì nel ricordare quelle ultime parole: sembravano una profezia…una
profezia che si era purtroppo avverata quando Angelus aveva sterminato tutta la
sua famiglia davanti agli occhi imploranti pietà di quell’uomo.
CAPITOLO
8
“Bene,
bene, bene: questa deve essere la mia serata fortunata! Ti stavo cercando amore
mio: …è ora di tornare quello di una volta” disse Darla, distogliendo Angel dai
suoi ricordi.
Angel
si alzò di scatto, maledicendosi per la sua stupidità: immerso com’era nei suoi
ricordi e nei suoi pensieri aveva dimenticato tutto il resto e si era lasciato
cogliere impreparato da quello che sembrava un attacco in piena regola da parte
del suo sire.
Si
guardò freneticamente intorno, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo o
anche solo di una via di fuga, ma era troppo tardi: Darla non era venuta da
sola; si era portata dietro una quarantina di vampiri che lo avevano circondato
precludendogli ogni via di scampo.
“Mi
segui da solo tesoro mio o devo accontentare i miei ragazzi dando loro il
permesso di menare un po’ le mani? Sai, non vorrei che rovinassero neanche per
un istante il tuo bel faccino…lo sai quanto mi piace…, ma se proprio non vuoi
collaborare sarò costretta a farlo: per fortuna che i lividi spariscono presto
a noi vampiri…”.
“Passare
troppo tempo con Drusilla ti ha fatto male mia cara: ormai mi sembri più pazza
di lei!” rispose sprezzante Angel, attaccando e riducendo in cenere i primi due
vampiri, troppo sorpresi da quella repentina reazione per potersi anche solo
difendere.
La
lotta che ne seguì fu breve ma intensissima: Darla aveva munito i suoi vampiri
di spranghe di ferro e catene (aveva evitato accuratamente il legno: doveva
catturare Angel per far tornare Angelus, non ucciderlo), ma la sua creatura era
piuttosto resistente…resistente e micidiale… Aveva incassato quasi senza colpo
ferire colpi che avrebbero mandato al tappeto un elefante, e al tempo stesso aveva
già eliminato una decina abbondante di nemici.
Per
qualche istante Darla credette di non aver portato un esercito sufficiente a
fermarlo, ma ben presto si lasciò affascinare dalla furia mortale di Angel. “Può
anche avere un’anima, ma resta pur sempre uno di noi: una macchina per
uccidere…una PERFETTA macchina per uccidere… E io non vedo l’ora di riaverlo al
mio fianco… Ancora poco e tutto sarà di nuovo come prima…”.
Dopo
aver polverizzato un’altra decina di vampiri, Angel dovette soccombere
all’attacco portato contemporaneamente da cinque di loro: ricevette un colpo
alla nuca talmente forte che non fosse già stato morto lo avrebbe senz’altro
ucciso. La sua vista si annerì e sentì in bocca il sapore acido del suo stesso
sangue; le orecchie presero a ronzargli in maniera spaventosa e il suo corpo,
che poco prima gli era parso tanto leggero, sembrava ora fatto di pesantissimi
blocchi di granito: si accasciò al suolo stordito e vinto, perdendo del tutto
conoscenza prima ancora dell’impatto del suo volto con il terreno soffice.
Darla,
in un lampo di irrazionalità, temette per un attimo che fosse morto sul serio:
gli si avvicinò e lo fece rotolare dolcemente fra le sue braccia; quindi prese
a pulirgli le ferite sul volto. “Vi avevo detto di non esagerare…” disse
guardando con occhi feroci quello che rimaneva del suo manipolo. “Con voi
faremo i conti più tardi. Adesso portiamolo a casa dove potrà riposarsi e
riprendersi”. “Con delicatezza” ringhiò nuovamente, mostrando il suo volto
demoniaco, quando un vampiro si accinse a sollevare bruscamente Angel da terra.
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Alla
Angel Investigation intanto erano arrivato il signor Giles e Buffy.
Mentre
il suo Osservatore e Wesley si rompevano la testa sulla pergamena della
profezia,
Non
era tuttavia quella l’opera di cui Ariel andava più fiera: con una solennità
buffissima in una bambina così piccola, le mostrò per ultimo un ritratto di
Helen. Sul foglio erano riconoscibilissimi due tratti ben definiti e distinti,
ma ben amalgamati l’uno con l’altro: il ritratto era infatti stato fatto da
Ariel ed Angel insieme e per la bimba rappresentava il suo tesoro più prezioso,
al pari della scatola di colori.
Buffy
non avrebbe smesso neanche per un attimo di abbracciarla, di baciarla e di
guardarla per riempirsi gli occhi e il cuore di lei. Non era passato nemmeno un
mese dall’ultima volta che l’aveva vista, ma le sembrava cambiata in maniera
impressionante: le sembrava più alta, un po’ più paffutella e meno indifesa di
quando l’aveva lasciata. Rideva in continuazione ed era un fiume di parole in
piena: in meno di un’ora le aveva raccontato praticamente già tutti gli
avvenimenti di quelle settimane.
Helen
osservava madre e figlia con un sorriso malinconico sul volto: in realtà
invidiava
Solo
Doyle sembrava nervoso: neanche lui aveva potuto evitare di sorridere nel
vedere l’espressione di gioia che si era dipinta sul volto di Ariel quando
aveva visto la sua mamma comparire sulla soglia dell’agenzia, ma questo non gli
aveva tolto di dosso quel senso di ansia che lo aveva colto da una mezz’ora a
quella parte.
“Insomma
Doyle vuoi stare fermo un attimo: come faccio a concentrarmi su questa
maledetta pergamena se continui a fare avanti e indietro proprio sotto il mio
naso!” disse Wesley.
“Scusa,
ma ho un brutto presentimento…” disse il mezzo demone.
“Una
visione?” chiese Helen, preoccupata per quello che potevano voler dire i
presentimenti del suo amico.
“No,
non si tratta di una visione: non ho visto niente, ma so che è successo
qualcosa…”.
“Dov’è
Angel?” chiese Buffy improvvisamente. Appena arrivata aveva immediatamente
notato l’assenza del vampiro, ma poi la sua attenzione si era focalizzata
completamente su Ariel e tutto il resto le era sfuggito di mente; ma ora le
parole di Doyle e l’assenza del vampiro le avevano messo addosso un’agitazione
che non provava più da tanto tempo…da quando Faith lo aveva ferito e lei, per
salvarlo, l’aveva costretto a morderla…
“E’
uscito per incontrare delle persone, ma è stato più di due ore fa e ormai
avrebbe dovuto essere già tornato…”. Doyle si interruppe bruscamente. Era stato
un lampo, uno squarcio che gli aveva mostrato un Angel ancora svenuto e
incatenato mentre Darla attendeva pazientemente che si riprendesse
carezzandogli il volto con una mano e tenendo nell’altra un globo di Thesula.
“Darla!” fu tutto quello che Doyle riuscì a dire in un sussurro strozzato,
attirando su di sé quattro paia di occhi allarmati. “Lo ha rapito” continuò il
mezzo demone non appena si fu ripreso un po’ dalla visione. “E non credo che
abbia buone intenzioni: ha un globo di Thesula con sé, e non credo che intenda
usarlo come fermacarte!”.
“Cosa
può fare con quel globo?” chiese Buffy spaventata.
Anche
Ariel, che aveva capito che qualcosa era successo al suo adorato zio, aveva
smesso di sorridere e stringeva forte a mano della sua mamma.
Giles
e Wesley si guardarono negli occhi per un istante, come per verificare che i
timori dell’uno coincidessero con quelli dell’altro: “Temo che voglia far
tornare Angelus…” disse il più giovane, senza avere il coraggio di guardare
Buffy negli occhi. “Non so come possa farlo con un globo di Thesula, ma temo
che lei lo sappia…” concluse.
Buffy
non disse niente: registrò quell’informazione ed agì di conseguenza.
Automaticamente estrasse dalla sua borsa il suo cellulare e compose il numero
di Willow.
“Ciao
Will, scusa se ti disturbo, ma ho bisogno del tuo aiuto” disse una volta che la
sua amica le rispose.
“Non
ti preoccupare. Piuttosto, cosa è successo?” chiese la strega.
“Voglio
sapere se un globo di Thesula può essere usato in qualche modo per rubare
l’anima di un non-morto” disse
Dall’altro
capo del telefono Willow impallidì. “Sì. E’ un incantesimo potentissimo e molto
difficile…più di quello per restituire un’anima…e una volta che l’anima è
imprigionata nel globo se questo viene distrutto anche l’anima si perde…per
sempre! Ma perché me lo chiedi? Cosa è successo Buffy?” chiese quasi sull’orlo
delle lacrime.
“Adesso
non ho tempo di spiegarti, mi dispiace. Non puoi fare nulla anche solo per
disturbare la realizzazione di questo incantesimo? Ti prego Willow, è una
questione di vita o di morte: crediamo che Darla voglia eseguirlo per far
tornare Angelus”.
“Così
a distanza non posso fare granché, ma ti assicuro che farò tutto quello che
posso, anche se potrebbe essere rischioso. Comunque Darla deve essere veramente
impazzita: non ha le forze e le capacità per eseguire un simile incantesimo e
io non so quali potrebbero essere le conseguenze se fallisse nel suo tentativo.
Non può essere tanto folle…”.
“A
parte che sulla pazzia di Darla non ci sono dubbi, e comunque neanche tu eri in
grado di restituire l’anima ad Angel eppure ci hai tentato lo stesso…e ci sei
riuscita… Non posso permettere che quella pazza ottenga il tuo stesso
risultato, neanche per sbaglio. Quindi non ti preoccupare delle possibili
conseguenze e fai tutto quello che puoi…fatti aiutare da Tara se
necessario...ti prego Willow” disse Buffy supplicando l’amica.
“Va
bene, stai tranquilla che non ti abbandono proprio adesso. Però, per favore,
stai attenta a quello che potrebbe succedere” la rassicurò Willow.
“Grazie
Willow: sei veramente un’amica!” disse infine
“Willow
e Tara si preoccuperanno di disturbare l’incantesimo. Noi invece andremo a fare
una visitina alla cara Darla: già una volta l’ho vista ridotta in cenere, ma
questa volta la concerò talmente male che non potrebbe più tornare neanche se
tutti i demoni dell’inferno si riunissero per resuscitarla” disse Buffy
rivolgendosi ai presenti con aria truce.
“Hai
visto dove l’ha portato?” chiese Wesley a Doyle.
“Alla
Wolfram & Hart: credo che anche Lindsey e Drusilla siano implicati in
questa faccenda” rispose il mezzo demone irlandese.
“Benissimo:
vorrà dire che elimineremo tutta la famiglia al gran completo. Ma non possiamo
andare tutti: uno di noi deve restare qui con Ariel. Helen?” chiese Buffy.
La
ragazza provò un attimo di irritazione:
Sistemata
la faccenda Ariel, Buffy e gli altri si armarono di paletti, balestre ed acqua
santa fino ai denti e si mossero alla volta della Wolfram & Hart.
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“Darla,
per favore, ragiona” disse Angel con un filo di voce. Le catene erano talmente
strette da mordergli le carni e nella sua testa tutto, persino la sua stessa
voce, rimbombava in maniera insopportabile.
Lindsey
gli si avvicinò e alzò il volto prendendolo per i capelli intimandogli di
tacere; solo la sua forza di volontà impedì ad Angel di svenire un’altra volta
per quel brusco movimento della testa.
“Stai
buono Lindsey: se sviene un’altra volta dovremo aspettare ancora che si
riprenda. Lo sai che deve essere cosciente durante l’incantesimo perché questo
abbia effetto. E io voglio iniziare e finire tutto nel più breve tempo
possibile…sono impaziente di riavere il mio Angelus…” disse Darla, rigirando
distrattamente fra le mani il globo di Thesula.
“Allora
perché non iniziate?” chiese Drusilla, tradendo una grande impazienza. “Pensate
forse di aspettare che recuperi le forze e possa opporsi al vostro incantesimo!
Forza, cosa state aspettando!!!”.
“Ma
sentila!” disse Darla con tono di scherno. “Fino a quattro ore fa mi dava della
folle e riteneva che non sarei neanche stata in grado di portarlo qui, e adesso
è più impaziente di me di riavere il suo sire…”.
“Adesso
basta. Drusilla ha ragione: più forze recupera e più riuscirà ad opporsi all’incantesimo.
Noi non possiamo sostenere lo sforzo necessario troppo a lungo quindi è meglio
fare questo incantesimo fino a che è ancora debole. Non c’è tempo per i vostri
bisticci!!!” disse Lindsey.
“Scordatelo
tesoro: tu non farai proprio un bel niente. Hai trovato il globo e
l’incantesimo, e di questo ti sono grata, ma il tuo ruolo finisce qui. Sai
benissimo che, dopo, Angelus sarà totalmente devoto a colui che lo ha liberato,
è un effetto dell’incantesimo, e quel qualcuno voglio essere io: io e nessun altro.
Quindi ora vattene”.
Lindsey
non si era aspettato un simile trattamento. Amava Darla e per lei avrebbe fatto
qualsiasi cosa e per un attimo si era illuso che la vampira ricambiasse i suoi
sentimenti (sapeva bene che, con o senza anima, i vampiri erano in grado di
provare sentimenti travolgenti); in quel momento si rese conto che Darla lo
aveva solo ed esclusivamente usato per arrivare al suo obiettivo: Angelus. Lui
non le serviva più e quindi lo scaricava come un peso inutile. Lindsey sentì
nascere la rabbia dalla delusione, e l’odio che già provava per Angel, il suo
rivale, crebbe a dismisura. Se ne andò sbattendo a porta talmente forte da far
tremare i mobili della stanza per qualche secondo, non prima però di aver
ricoperto i tre vampiri di insulti e di aver giurato vendetta.
“Beh…in
fondo l’ha presa bene…io credevo che avrebbe tentato di impalettarti…” disse
Drusilla con un sorriso cattivo sulle labbra.
“Non
avrebbe mai avuto il fegato di farlo…” commentò distrattamente Darla. “Ma
adesso veniamo a noi, mio adorato: è ora di risvegliarsi e di risorgere”
continuò rivolta ad Angel, mentre accendeva una per una le sette candele
disposte a cerchio intorno al vampiro. Quindi si posizionò proprio di fronte a
lui reggendo davanti al suo volto il globo di Thesula.
“Darla,
ti prego…” tentò di dire Angel.
“No,
no, no, no tesoro, così non va: devi fare silenzio perché altrimenti perdo la
concentrazione e non riesco a salvarti” disse con voce dolcissima. Quindi con
tono molto più secco si rivolse a Drusilla: “Imbavaglialo!”.
Quando
l’altra vampira terminò di imbavagliare Angel, Darla chiuse gli occhi e
cominciò a salmodiare versi incomprensibili. Nelle sue mani, il globo cominciò
a pulsare: prima debolmente, una luce appena accennata nel centro; poi la luce
prese ad intensificarsi, ad espandersi, a contorcersi su sé stessa. Il globo
cominciava a scottare fra le mani di Darla, ma la vampira era ormai in trance e
non sembrava accorgersene.
Non
appena la luce all’interno del globo si stabilizzò, Angel cominciò a sentirsi
dilaniato: era la stessa sensazione che aveva provato la notte in cui la
maledizione si era spezzata, ma elevata all’ennesima potenza. Sentiva il demone
dentro di sé che ruggiva come un leone che, rimasto chiuso in gabbia per tanto
tempo, vedeva ormai la possibilità della fuga e della libertà. Angelus si
dimenava e tentava in tutti i modi di fare a brandelli quell’anima che per più
di un secolo era stata la sua aguzzina; si faceva ogni istante più forte a
discapito proprio di quell’anima. Angel sentiva le poche forze venirgli meno;
tentava disperatamente di opporsi a quella forza terribile, ma sentiva che
presto non ce l’avrebbe più fatta.
Anche
Darla stava compiendo uno sforzo disumano: si era cimentata in qualcosa che era
decisamente troppo più grande di lei e ne stava pagando lo scotto. La sua
fronte era imperlata di gocce di sudore, le sue labbra erano letteralmente
sbiancate e tutto il suo corpo tremava come in preda alla febbre più divorante.
Solo le sue mani erano, per magia, salde: il corpo della vampira era scosso da
tremiti incontrollabili, ma il globo era saldo nelle sue mani.
Darla
non avrebbe potuto reggere a quella situazione ancora troppo a lungo e questo
Angel lo sapeva, ma sapeva anche che lui era pesantemente ferito e che quindi
le sue energie sarebbero finite molto prima di quelle del suo sire. Sentiva che
la sua anima e la sua volontà erano ancora disperatamente aggrappate a lui, ma
sentiva la prima allentare la sua presa man mano che la seconda si indeboliva.
Ormai il dolore era giunto ad un livello talmente elevato che Angel, nonostante
fosse ancora perfettamente cosciente, non riusciva neanche più a sentirlo.
Il
vampiro si costrinse allora a cercare di pensare a tutto ciò per cui valeva la
pena di lottare, per cercare di trarre da quei pensieri quelle forze che il suo
corpo ormai non poteva più dargli: il volto di Buffy si materializzò nella sua
mente e per qualche istante ad Angel sembrò che nulla potesse sconfiggerli; ma
fu un’illusione di breve durata; l’incantesimo aveva una potenza mostruosa e
stava lentamente cancellando l’immagine della Cacciatrice dalla mente di Angel.
In
un ultimo guizzo di vitalità la sua mente riuscì tuttavia a materializzare
un’altra figura, piccola, sorridente e paffutella: Ariel.
Ancora
una volta Angel sentì rinascere in sé la speranza e la forza, e questa volta
non fu solo un’illusione passeggera.
“Non
posso permettere ad Angelus di tornare: Ariel sarebbe la prima persona che
tenterebbe di uccidere, proprio come Katie è stata la sua prima vittima… Io
devo proteggerla…l’ho promesso a Buffy…non posso lasciare quel mostro libero
un’altra volta… Ariel, ti prego, aiutami tu…dammi tu la forza per
resistere…dammi tu la forza di poter essere un buon padre per te…dammi tu la
forza per salvare te, tua madre e tanti altri innocenti… Ariel… Ariel…”.
Angel
era ormai allo stremo quando sentì la morsa su di lui allentare per un istante
la sua presa.
Darla
urlò in maniera selvaggia; un urlo che non aveva niente di umano; un urlo che
non era di questo mondo. Il globo nelle sue mani prese a brillare ancora di
più, tanto che Drusilla, che fino a quel momento aveva osservato a bocca aperta
tutta la scena, fu costretta a distogliere lo sguardo, gli occhi feriti da
quella luce abbacinante. Ormai il globo fumava nelle mani della vampira.
Angel
avvertì molto distintamente accanto a sé la presenza di due figure. Due figure
che stavano interferendo con l’incantesimo di Darla; due figure che gli stavano
dando il tempo di riprendersi un attimo.
“Non
resisteremo ancora a lungo Angel, ma Buffy sta arrivando: non mollare Angel.
Coraggio, non mollare!”.
Angel
sentì quella voce insinuarsi con dolcezza nella sua mente confortandolo e
rinfrancandolo come un bicchiere d’acqua ristora un assetato; riconobbe quella
voce come la voce di Willow.
“Non
sono solo…non sono solo…” prese a ripetersi, mentre sentiva che lo scudo eretto
a sua difesa da Willow e dalla sua amica Tara (la seconda presenza non poteva
che essere lei) ancora lo proteggeva ma cominciava a vacillare.
In
un ultimo disperato tentativo Angel aprì gli occhi un istante, giusto il tempo
per vedere che le mani di Darla cominciavano a bruciare e per vedere la porta
del sotterraneo balzare fuori dal cardini sotto i colpi della Cacciatrice.
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Buffy
fece irruzione nella stanza.
Si
guardò intorno per una frazione di secondo e lo spettacolo che le si parò
davanti era terrificante: Drusilla urlava come una pazza in un angolo cercando
di ripararsi gli occhi dalla luce accecante per i suoi occhi di vampiro; nel
centro della stanza Darla aveva ormai preso fuoco e di fronte a lei Angel,
incatenato ed imbavagliato, non dava cenni di vita, protetto ormai solo da un
debolissimo scudo di luce tenue e delicata, opera di Willow. Ma ciò che era più
terrificante era il globo che ormai levitava tra i due vampiri: la luce che vi
emanava era intensissima e il globo pulsava oscenamente, come animato di vita
propria. Non era più Darla a recitare l’incantesimo: il globo ormai era vivo e
privo di controllo e conduceva lui stesso le danze.
Tra
le urla di Drusilla sentì la voce di Giles alle sue spalle: “Il globo! Bisogna
distruggere il globo di Thesula prima che sia troppo tardi: è l’unico modo per
far finire tutto questo!”.
Anche
Drusilla sentì quelle parole e perdendo quel briciolo di sanità mentale che
ancora le rimaneva si scagliò contro Buffy per impedirle di portare a termine
quell’operazione.
La
battaglia fu sostenutissima: Buffy si rese conto che non aveva mai affrontato
la creatura di Angel e che l’aveva sempre ritenuta una vampira debole e malata,
come quando l’aveva conosciuta. In quell’occasione dovette ricredersi: i suoi
colpi erano precisi e pesanti, e la follia li intensificava ancora di più.
Oltretutto l’aveva presa completamente alla sprovvista e quindi fu costretta ad
incassare i primi colpi senza neanche riuscire a reagire.
Tuttavia,
per quanto forte potesse Drusilla, Buffy era
Durante
la breve lotta fra Drusilla e Buffy, Giles, Wesley e Doyle si erano avvicinati
al globo il più possibile e brandivano tutti e tre delle pesanti spranghe di
ferro trovate in un angolo della stanza (le stesse con cui Darla aveva armato i
vampiri che avevano catturato Angel). Le loro intenzioni erano chiare: volevano
distruggere il globo di Thesula per fermare quell’inferno.
“…e
una volta che l’anima è imprigionata nel globo se questo viene distrutto anche
l’anima si perde…per sempre!”: le parole di Willow rimbombarono violentemente
nella testa di Buffy.
“NO!!!”
urlò disperatamente. “Non possiamo sapere a che punto è giunto l’incantesimo:
se l’anima di Angel fosse già intrappolata nel globo e se noi lo distruggessimo
sarebbe persa per sempre ed Angelus libero per l’eternità!”.
“Già,
ma se per caso la sua anima è ancora al suo posto, non è detto che lo sarà
anche fra qualche istante, e se ancora non abbiamo perso Angel lo perderemo
allora. Dobbiamo fermare tutto questo: dobbiamo distruggere il globo” le
rispose Wesley.
Buffy
era terrorizzata: non voleva rischiare di perdere di nuovo Angel distruggendo
il globo, ma doveva ammettere che Wesley aveva ragione. Non sapeva quale fosse
la decisione giusta da prendere, ma doveva scegliere in fretta perché ormai lo
scudo che proteggeva Angel era sparito e il vampiro aveva ripreso ad urlare
violentemente.
Angel
sentì tutta la furia dell’incantesimo reinvestirlo in pieno, come un corso
d’acqua che avesse rotto l’argine di una diga. Di nuovo si sentì dilaniato, ma
trovò chissà dove la forza per compiere un ultimo gesto. Alzò la testa e aprì
gli occhi, e il suo sguardo si incrociò con quello della Cacciatrice.
Nel
preciso istante in cui incontrò gli occhi di Angel, Buffy seppe che lui era
ancora padrone del suo corpo, ma seppe anche che era allo stremo delle forze.
Strappò allora di mano la spranga al signor Giles e, incurante della luce e del
calore che lo circondavano, si avvicinò al globo e lo colpì con tutta la forza
che aveva in corpo.
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Un
boato pauroso riempì l’aria nel momento in cui il globo andò in frantumi. Un
boato talmente forte da coprire persino le urla straziate di Angel.
Poi
il silenzio. E il buio.
Non
si sentiva nemmeno il rumore del respiro dei tre umani all’interno della
stanza.
“Angel?”
provò a chiamare Doyle, ma non ricevette alcuna risposta da parte del vampiro.
Wesley
si mosse nel buio più assoluto alla ricerca dell’interruttore della luce e
quando lo trovò Buffy era già china sul corpo di Angel e, senza riuscire a dire
una sola parola, tentava di liberarlo dalle catene ancora bollenti.
Sembrava
morto.
Giles
e Doyle fecero per aiutare Buffy a slegarlo completamente, ma Wesley li
trattenne: “Aspettate. Aspettate a slegarlo: non possiamo essere certi che sia
davvero ancora Angel… potremmo aver aspettato un secondo di troppo…”.
Nessuno,
nemmeno Buffy, fiatò: rifiutavano categoricamente l’idea, ma sapevano al tempo
stesso che Wesley aveva ragione e che non potevano rischiare di trovarsi di
fronte ad un Angelus libero e desideroso di vendetta.
Wesley
prese in braccio Angel ancora incatenato, senza che un solo gemito uscisse
dalla bocca del vampiro, e quindi tutti ritornarono in silenzio alla Angel
Investigation.
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Angel
passò a letto i due giorni successivi senza mai muovere neanche un singolo muscolo
e senza che nessuna delle ferite che aveva riportato guarisse. Era sorvegliato
24 ore su 24 da tutti i suoi amici che ormai cominciavano a perdere le
speranze.
“Come
sta?” chiese per l’ennesima volta Cordelia da Sunnydale.
“E’
sempre il solito: non si risveglia. Buffy dice che sta peggio di quando Faith
lo avvelenò… Figurati che è ancora tutto incatenato perché non sappiamo se
quello che si sveglierà sarà Angel o Angelus…” le rispose la voce stanca e
preoccupata di Doyle. Dall’altra parte della cornetta le rispose un singhiozzo
della ragazza che una volta aveva amato. “Adesso ti devo lasciare Cordy perché
con Angel fuori uso dobbiamo occuparci noi della caccia, ma non ti preoccupare
c’è sempre qualcuno accanto a lui, e se ci dovessero essere novità ti faremo
sapere immediatamente. Salutami Xander”.
“Grazie
Doyle” sussurrò Cordelia riagganciando il telefono.
Passarono
altri due giorni senza alcun cenno di ripresa, e più il tempo passava e più
Buffy si sentiva prendere dalla disperazione: ormai non mangiava e non cacciava
più; si staccava dal letto di Angel solo per passare qualche ora insieme ad
Ariel. La bambina aveva ormai capito che era successo qualcosa di brutto e, non
vedendolo da un po’ di tempo (erano sempre stati tutti molto attenti per evitare
che la bimba vedesse Angel ridotto in quelle condizioni), doveva certamente
aver intuito che questo qualcosa di brutto doveva essere capitato proprio al
suo adorato zio, tanto che quel giorno cominciò a fare delle domande.
“Dov’è
lo zio Angel, mamma?” chiese con un faccino serio che strinse il cuore della
Cacciatrice.
“Tesoro,
lo zio non sta bene e ha bisogno di riposare, ma vedrai che presto si
riprenderà e voi tornerete a giocare e a disegnare insieme” tentò di
rassicurarla Buffy.
“Perché
non posso vederlo?” chiese ancora Ariel.
“Perché
adesso sta veramente male e se lo disturbiamo potremmo farlo stare ancora
peggio”: era una scusa assurda, e Buffy lo sapeva benissimo, ma si augurò che
bastasse come giustificazione per sua figlia.
La
bambina tacque per un po’, come se stesse pensando a qualcosa. Dopo qualche
minuto disse ancora: “Mamma?”.
“Che
c’è amore mio?”.
“Credi
che se dico una preghierina questa sera prima di addormentarmi poi lo zio starà
meglio?”.
A
Buffy vennero le lacrime agli occhi: pregare per Angel, per un vampiro, era
l’ultima cosa che avrebbe pensato di fare, ma adesso che Ariel glielo aveva
fatto pensare non le sembrava più un’idea tanto assurda. “Beh, Ariel, non so se
potrà aiutarlo, ma di certo non gli farà male… Anzi, sai cosa ti dico, questa
sera quella preghierina la faremo insieme così magari funziona di più…”.
E
così fecero quella sera, prima di addormentarsi l’una nella braccia dell’altra.
CAPITOLO
9
Passarono
altri tre giorni, ma alla fine Angel si svegliò.
C’era
Helen accanto a lui che quasi cadde dalla sedia quando posando lo sguardo sul
volto del vampiro trovò i suoi occhi aperti.
“Ben
svegliato dormiglione” disse con tono allegro per mascherare le lacrime che le
erano salite agli occhi. “Lo sai che ci hai fatto prendere veramente un bello
spavento!”.
“Per
quanto son rimasto incosciente?” chiese Angel con un filo di voce.
“Per
una settimana intera! Una settimana passata a chiederci se ti saresti mai
svegliato e se, in quel caso, ci saremmo trovati di fronte te o il tuo
simpatico coinquilino” continuò la ragazza con tono scherzosamente accusatorio.
“Ma credo di poter dire che ce l’hai fatta ragazzo mio. Detto per inciso: io
non ho mai avuto dubbi sul fatto che Angelus non avesse vinto. Hai la testa
troppo dura per lasciarti sopraffare da lui… Eh sì, l’ho sempre detto che sei
un gran testone… Aspetta che adesso vado a riscuotere i cento bigliettoni che
avevo scommesso con Wesley: se non paga giuro che questa volta me lo mangio
vivo…” disse Helen allontanandosi per un attimo dalla stanza per andare a dare
a tutti la buona notizia.
Di
fronte a tutto quel buonumore Angel non poté fare a meno di accennare ad un
sorriso: sapeva che era una messa in scena e che fino a pochi istanti prima
Helen stava piangendo (aveva sentito i suoi singhiozzi e gli occhi gonfi la
tradivano in maniera inequivocabile), ma apprezzava il tentativo della ragazza
di sdrammatizzare la situazione.
In
men che non si dica erano tutti in camera sua per abbracciarlo e congratularsi
per il suo “ritorno”.
“Potreste
slegarmi adesso? Avete fatto benissimo a non fidarvi fino ad ora, ma ormai non
ci sono più pericoli e io non mi sento più le articolazioni delle braccia e
delle spalle…” disse Angel quando si rese conto che nella gioia per il suo
risveglio nessuno sembrava prestare attenzione al fatto che lui era ancora
legato come un salame.
Wesley
lo studiò per un istante, ma quando incrociò lo sguardo di Angel tutto quello
che ci vide fu una sincera supplica e quindi, ridendo, lo liberò finalmente
dalle catene.
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Zara
guardava con disgusto lo sfacelo della stanza.
“Sono
stata davvero una stupida anche solo a pensare di potermi fidare di Darla. Quell’inetta
non era buona neanche a portarsi a letto un uomo…e in compenso lo ha quasi
ammazzato…!!! Beh, almeno mi ha evitato il fastidio di doverla eliminare…”
disse tirando un calcio al mucchietto di ceneri che una volta erano state il
sire di Angel, disperdendolo nell’aria. “Ora però devo pensare ad un altro
piano: Angelus mi serve, e mi serve vivo fino al giorno del rituale…”.
La
vampira rimase immobile al centro della stanza, riflettendo sul da farsi. Poi
un lampo diabolico passò nei suoi occhi e un sorriso maligno le affiorò sulle
labbra. “Chi l’ha detto che rendere felice Angel sia l’unico modo per far
riaffiorare Angelus… Basta fargli incontrare la persona sbagliata, qualcuno
che, nonostante la sua anima, Angel odi profondamente…qualcuno che sia in grado
di risvegliare il demone che è in lui… E io so chi potrebbe essere questo
qualcuno…”.
Zara
scoppiò in una risata che avrebbe fatto accapponare la pelle persino ad un
elefante.
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Qualche
giorno più tardi, Angel era ancora a letto, ma ormai tutte le sue ferite erano
in via di guarigione e il vampiro recuperava velocemente le forze.
Ariel
passava tutta la giornata nella stanza del vampiro riempiendolo con un fiume di
parole, di risate e di giochi infantili. Buffy aveva tentato qualche volta di
allontanarla, in modo che Angel potesse riposare un po’, ma la bimba non ne
aveva mai voluto sentire neanche parlare, e a lui, in fondo, tutta quella
pacifica confusione non dispiaceva affatto.
Solo
un pensiero lo turbava: non aveva ancora trovato né il modo né il momento per
rivelare la verità a Buffy. Eppure doveva farlo. Non poteva continuare ad
ingannarla. Certo, se la sarebbe presa, ma poi forse sarebbe stata felice di
quella nuova consapevolezza. Angel ci sperava con tutto il cuore, ma non
riusciva a trovare il coraggio di parlare con la madre di sua figlia. Non aveva
detto nulla nemmeno a Doyle, che pure sapeva della sua visita agli Oracoli.
Quella
sera Angel si era svegliato deciso più che mai a far chiarezza: approfittando
di un momento in cui Ariel era fuori con Helen, aveva fatto chiamare Buffy che,
al pari di Giles, non aveva più lasciato Los Angeles.
Le
parole gli morivano in bocca, e nessuna gli sembrava abbastanza appropriata per
dire quello che doveva dire. Non voleva fare troppi giri di parole (quella era
una prerogativa di Angelus, che aveva sempre fatto della dialettica una delle
sue armi), voleva andare dritto al sodo…ma non ci riusciva.
Buffy
lo guardava con aria interrogativa: aveva capito che qualcosa lo tormentava;
aveva capito che non l’aveva fatta chiamare solo per godere della sua
compagnia; quello che non capiva era perché Angel stentasse così tanto a venire
al sodo, perché fosse così…imbarazzato…
“Possibile
che dopo tanto tempo io ti faccia ancora così tanta paura?!?” pensò per un
attimo, divertita. Tuttavia si limitò ad incoraggiarlo: “Cosa c’è Angel? Cos’è
che mi devi dire di tanto importante? Coraggio, lo sai che non mordo…magari
picchio un po’, ma non mordo… E dovresti sapere anche che, qualunque cosa sia,
noi saremo sempre e comunque dalla stessa parte”.
Angel
fissò per un istante gli occhi verdi della ragazza, e in essi trovò la forza
per dirle: “E’ una cosa che riguarda noi due… Una cosa che è successa tempo fa,
anche se tu non te ne ricordi…”. Angel a quel punto abbassò gli occhi, non
riuscendo più a sostenere lo sguardo di Buffy. “Ed è una cosa che riguarda
Ariel…”.
Buffy
sgranò gli occhi: proprio non riusciva ad immaginare cosa potesse sapere Angel
di tanto importante riguardo a sua figlia. Tuttavia non fece in tempo a
chiedere alcuna spiegazione ed Angel non fece in tempo a continuare perché la
bimba era comparsa sulla porta della stanza ed era saltata sul letto accanto ad
Angel.
Angel
non seppe se benedire o maledire quell’interruzione, ma una cosa era evidente:
la loro conversazione era rimandata al prossimo momento di tranquillità.
“Angel?”
disse Buffy che ormai voleva sapere di cosa si trattasse.
“Continuiamo
dopo Buffy, quando questa piccola peste si sarà messa a dormire” disse il
vampiro, cominciando a stuzzicare la bimba facendole il solletico e
strappandole una risata dopo l’altra.
Buffy
avrebbe voluto continuare a parlare, ma davanti a quella scena si arrese:
vedere Angel comportarsi come uno di quegli uomini che, una volta padri,
rimbecilliscono talmente dalla gioia tanto da tornare bambini anche loro, la
riempì di tenerezza e di voglia di tornare bambina anche lei. E così prese le
difese di sua figlia cominciando a fare a sua volta il solletico ad Angel.
“Brutto mostro lascia stare la mia bambina!” disse al culmine della
concitazione, chiedendosi un istante dopo se non aveva esagerato e ferito
Angel, ma il vampiro era talmente impegnato a giocare con Ariel che sembrava
non avesse neanche sentito le sue parole.
Le
grida della loro lotta si sentivano fino in ufficio, tanto da costringere
Wesley, ancora impegnato nella traduzione della pergamena che Giles aveva
portato, ad alzare gli occhi al cielo.
Ma
più che dalle grida che provenivano dalla camera da letto di Angel, a
disturbare il lavoro del giovane ex-Osservatore fu la comparsa sulla soglia
dell’ufficio di uno sconosciuto. Un ragazzotto biondino, poco più grande di
Buffy con stampata sul volto un’espressione non esattamente amichevole.
“Desidera?”
chiese Wesley, educatamente.
Il
ragazzo non gli prestò la minima attenzione, e si mosse nella direzione da cui
provenivano le voci. “Non si disturbi, ho già trovato quello che cerco!”.
Wesley
rimase spiazzato da quell’atteggiamento arrogante e maleducato del ragazzo che,
senza lo straccio di un invito stava entrando in casa di Angel. Fece per
protestare e cercò di impedire al ragazzo di entrare nell’appartamento, ma
quello lo scansò con le brutte maniere ed entrò in casa. Pochi istanti dopo era
sulla soglia della camera di Angel.
“Papà!!!”
urlò Ariel, che fu la prima ad accorgersi della sua presenza.
“Vieni
qui, piccola peste” disse Riley allungando in avanti le braccia per accogliere
nel suo abbraccio la bimba che gli correva incontro.
Il
volto di Angel si rabbuiò all’istante, e il sorriso morì sulle labbra di Buffy.
“Cosa
ci fai qui Riley” gli chiese, senza neanche far finta di nascondere il suo
disappunto.
“Sì
tesoro, anche io sono felice di rivederti!” le rispose il marito con tono
ironicamente tagliente.
“Bussare
prima di entrare in casa mia ti sembrava una cosa troppo educata?” chiese Angel
innervosito dalla sola presenza del ragazzo.
“Non
ho bisogno dell’invito, IO. Io posso entrare dove mi pare e piace, posso
camminare alla luce del sole e posso innamorarmi ed avere dei figli. Comunque non
ti preoccupare, toglierò presto il disturbo: sono venuto solo a riprendermi mia
figlia e mia moglie, poi spariremo e tu non dovrai più preoccuparti di
nulla...così forse riuscirai a rimetterti in piedi...” affermò Riley con un
tono tale che Angelus si dimenò furiosamente.
“Scordatelo
Riley: io non verrò con te da nessuna parte, e altrettanto farà Ariel. Non so
perché tu sia tornato e non so chi ti abbia detto che eravamo qui, ma adesso
farai armi e bagagli e te ne andrai, da solo!!!” disse Buffy con tono deciso.
“Amore
mio, se tu non vuoi venire con me io non posso né voglio costringerti, ma Ariel
è mia figlia e verrà via con me, soprattutto adesso che so che quello che
avrebbe dovuto proteggerla è ridotto a letto da più di una settimana...” disse,
guardando Angel con aria di scherno. “Non puoi impedirmi di portarla via, al
sicuro: quindi se vuoi venire anche tu tanto meglio, altrimenti pazienza...”
terminò, alzando le spalle.
“Chi
ti ha informato dell’accaduto?” chiese ancora Buffy, che non poteva credere che
qualcuno dei suoi amici l’avesse “tradita” informandolo dei fatti.
“E’
stata una telefonata anonima...era una donna dalla voce molto suadente...
Quanto poi all’immaginare dove foste non è stato difficile... sei talmente
prevedibile oltre che di pessimi gusti...”.
Fu
solo la presenza di Ariel ad impedire ad Angel di perdere il controllo. Odiava
quel ragazzo con tutte le sue forze; la sua sola presenza era in grado di
scatenare in lui quei sentimenti che tanto detestava e che di solito cercava di
combattere. Riley era venuto lì con il principale scopo di prendersi gioco di
lui e di fare del male a Buffy...di Ariel e della sua sicurezza non si curava
affatto. E quello che era peggio è che se Angel odiava Riley, Angelus lo odiava
ancora di più: quell’imbecille era colui che aveva osato portargli via la sua
donna, quella stessa donna che aveva marchiato come sua per l’eternità
attraverso un morso: era un affronto che il demone non poteva sopportare, e la
fatica che Angel doveva fare per tenerlo buono e per impedirgli di fare ciò che
in fondo persino lui avrebbe desiderato fare, era veramente tantissima. Chiuse
gli occhi per un attimo, nel tentativo di riprendere il pieno controllo di sé.
“Scusa
Angel, vedo che sei stanco e quindi non resteremo qui a darti ulteriormente
fastidio. Se vuoi uscendo dico al tuo amico là fuori di scaldarti una bella
tazza di sangue e di venire ad imboccarti... sai, non vorrei che ti stancassi
per niente...” aggiunse ridacchiando.
“Adesso
stai veramente esagerando Riley!”. Le guance di Buffy erano rosse per la
collera e dai suoi occhi sembravano scaturire fulmini. Si avvicinò a lui con
fare minaccioso ed allungò le braccia per riprendersi Ariel: la sola idea che
la bambina potesse passare un po’ di tempo con lui, la sola idea che ne potesse
subire l’influenza anche solo per qualche ora le faceva venire il voltastomaco.
Al
suo gesto Riley fece un passo indietro, aumentando la stretta intorno ad Ariel.
“Ho detto che la bambina viene con me! Sono suo padre e saprò difenderla molto
meglio di quanto possa fare quella sottospecie di paralitico!” disse quasi
ringhiando.
“Lei
non verrà con te neanche se dovessi morire per impedirtelo! Devo ricordarti che
Zara sta cercando anche te e che non possiamo permettere che vi trovino
entrambi?”.
Quelle
parole fecero riflettere Angel: Buffy aveva ragione, non potevano permettere
che Zara trovasse il Frutto e il Padre in un colpo solo...doveva allontanare la
bambina da lui, anche perché cominciava a temere che il tentativo di Darla non
fosse stato del tutto spontaneo: qualcuno l’aveva spinta a quel gesto assurdo e
questo qualcuno avrebbe anche potuto essere Zara, ormai sulle loro tracce.
“Senti
tesoro questa storia non attacca più: mi hai tenuto lontano da lei per un mese
abbondante...un mese in cui non ho visto neanche l’ombra di un vampiro! Quindi
cambia musica perché questo disco mi ha veramente stufato!”.
Per
un attimo Angel provò l’irrefrenabile impulso di ridere di fronte alla
stupidità di Riley: se la situazione non fosse stata tanto grave ci sarebbe veramente
stato da ridere.
“Tu
sei pazzo, un pazzo scatenato. E pretendi che ti affidi la vita di mia
figlia...” fece per dire Buffy, ma Angel la interruppe:
“Ha
ragione lui! Ha diritto di passare un po’ di tempo con sua figlia. Ora vattene
Riley, prima che cambi idea, ma prova a sparire insieme alla bambina e ti giuro
che, dovessi cercarti in tutto il mondo e per il resto dell’eternità, io ti
scoverò e allora per te sarà la fine”.
Questa
volta fu Angel che venne fulminato dallo sguardo della Cacciatrice: certo Buffy
non si era aspettata quel tradimento da parte del vampiro.
Anche
Riley rimase alquanto sorpreso da quella affermazione, ma era troppo convinto
di aver vinto per sospettare qualcosa. “Beh, forse in fondo la degenza a letto
ti ha restituito un po’ di buon senso!!!”. Riley se ne andò, impedendo persino
ad Ariel di salutare Angel e Buffy e di recuperare la sua preziosissima scatola
di colori. La bimba pianse per tutto il tragitto fino allo squallido motel in
cui suo padre aveva affittato una stanza.
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“Spero
che tu abbia una spiegazione plausibile per quello che hai appena fatto” disse
Buffy con tono glaciale, senza neanche guardare Angel in faccia.
“Non
credere che la cosa mi faccia piacere, sai benissimo come la penso riguardo a
quell’idiota…e il solo pensiero di Ariel insieme a lui fa venire i brividi
anche a me…molto di più di quanto tu possa immaginare…”.
“Ma
si può sapere perché lo hai spalleggiato allora?” chiese Buffy sull’orlo delle
lacrime.
“Perché
i giochi sono iniziati e Riley ha ragione: Ariel sarà più al sicuro con lui che
con me…”. Buffy fece per replicare chiedendogli se fosse impazzito, ma Angel
non glielo permise. “Aspetta Buffy, prima di aggredirmi lascia che ti spieghi.
Però promettimi di non interrompermi: è già abbastanza difficile dirti quello
che devo dirti”. Angel si interruppe un istante, come per valutare la reazione
di Buffy. La ragazza aveva ancora un’espressione dura e accusatoria negli
occhi, ma aveva deciso di lasciarlo parlare…voleva lasciarlo parlare… Quando fu
sicuro che
Buffy
non resistette: “Ma perché Zara dovrebbe volere il ritorno di Angelus? Cosa
c’entra quel demonio in tutta questa storia?”.
Angel
abbassò lo sguardo e in un sussurro rispose: “Perché se Ariel è il Frutto,
Angelus è il Padre…”.
Buffy
rimase in silenzio per tentare di dare un senso alle parole del vampiro. Dopo
attimi che parvero eterni disse: “I casi sono due: o Zara è ancora più folle di
quanto pensassi oppure tu ti sei completamente bevuto il cervello!”. Poi però
le tornarono in mente le parole del signor Giles, della profezia: colui che
cammina nel buio con il cuore pieno di luce…certo non sembrava la descrizione
di Riley. “Non è possibile: Angel è un vampiro e siamo stati insieme una sola
volta…”. “Cosa stai cercando di dirmi Angel?”.
“Buffy,
ti prego, non interrompermi: quello che ti sto dicendo è che ho buoni motivi
per ritenere che non sia Riley il padre di Ariel… Zara tuttavia si sbaglia: non
è Angelus il Padre…sono io… No, aspetta, non sono impazzito, è che ci sono cose
che tu non sai…o meglio, che non ricordi…ed è giunto il momento di fare luce su
tutta questa storia”.
Angel
le raccontò tutto, tutto d’un fiato, senza il coraggio di guardarla negli
occhi.
Le
raccontò del demone medioevale e delle Alte Sfere; le raccontò della sua
umanità ritrovata, della loro passeggiata sulla spiaggia e del loro bacio alla
luce del sole; le raccontò della loro nottata, del gelato al cioccolato e del
momento in cui lei si era addormentata fra le sue braccia cullata dal battito
del suo cuore; le disse del nuovo attacco del demone e di come lei era dovuta
intervenire per salvarlo, di come aveva realizzato di non poterla più aiutare e
di come aveva deciso di tornare un vampiro per non abbandonarla al suo destino.
Non
tralasciò nemmeno un dettaglio, neanche di quegli ultimi attimi scanditi dallo
scatto regolare delle lancette dell’orologio; le raccontò di come avessero
approfittato fino all’ultimo secondo per stare insieme, e mentre raccontava
Angel non riuscì a trattenere una lacrima ribelle.
“Capisci
Buffy, se non ricordi niente è solo perché il tempo è stato riportato indietro,
come se tutto questo non fosse mai successo. Solo che qualcosa potrebbe essere
andato storto in questo ritorno al passato, me lo hanno confermato le Alte
Sfere proprio la sera che Darla mi ha attaccato… Buffy quella notte noi siamo
stati insieme, felici come non lo ero mai stato né mai lo sarò più, ed io ero
umano, con tutti gli annessi e i connessi… E questo spiegherebbe molti punti
oscuri di tutta questa storia: quando Ariel è stata concepita io ero umano, ma
ora sono di nuovo un vampiro e lei è la figlia di un vampiro…lei è il Frutto…”.
“Tu
sapevi tutto questo e non mi hai detto niente…” cominciò a dire Buffy.
“No,
io non lo sapevo. L’ho scoperto solo poco più di una settimana fa, quando Doyle
mi ha parlato della profezia e mi ha fatto notare che le coincidenze erano un
po’ troppe per essere tali…”.
“Non
stavo parlando di Ariel!” lo interruppe bruscamente la ragazza. “Tu ricordavi
tutto e per tutti questi anni non mi hai detto niente! Non solo hai deciso per
entrambi un’altra volta, ma questa volta non hai neanche avuto il coraggio di
dirmelo! Lo sapeva Doyle, magari anche Cordelia, ma non io: eh già, che cosa
c’entravo io, perché dirmelo?!? Ma come hai potuto Angel! Ho sposato Riley
chiudendo gli occhi e immaginando che accanto a me, sull’altare, ci fossi tu;
l’ho sopportato per cinque anni solo perché lo ritenevo il padre di mia figlia,
ma la notte non potevo fare a meno di piangere e farmi schifo da sola perché
desideravo che non fosse lui il padre di Ariel… Io non potevo far altro che
sognare di mangiare gelato distesa sul tuo letto con addosso solo le tue
lenzuola, e vergognarmi come una ladra per quei sogni… E tu, tu invece sapevi
tutto e non mi hai detto niente…perché Angel?…Dimmi solo il perché…perché Doyle
sapeva e io no?…perché…?”.
Angel
bevve tutta quella rabbia senza dire una sola parola. Avrebbe tanto voluto
abbracciarla, ma sapeva che Buffy non glielo avrebbe permesso. Avrebbe voluto
spiegarle che non era stata una sua scelta, che era stato obbligato a tacere,
ma poi si rese conto che sarebbe parsa solo come una scusa ipocrita dato che in
realtà a Doyle lo aveva detto. Avrebbe voluto baciarla per farle capire quanto
fosse stato male al suo matrimonio e quanto gli fosse costato uscire dalla sua
vita di soppiatto, senza avere neanche il coraggio di affrontarla, ma sapeva
che non era il momento giusto per farlo. Avrebbe voluto che la ragazza
continuasse a rovesciargli addosso tutto il suo rancore, avrebbe voluto che si
sfogasse ancora, che liberasse tutto quello che sentiva, anche se sapeva che
non avrebbe retto a tutto quel disprezzo. Avrebbe anche voluto alzare gli occhi
per affrontare il suo sguardo, ma non aveva la forza di farlo.
Angel
non fece nulla di tutto quello che avrebbe voluto fare, e fu così Buffy ad
agire, lasciandolo metaforicamente senza fiato per quello che fece. “Perché?”
gli aveva chiesto ancora, ma senza neanche attendere la sua risposta gli aveva
gettato le braccia al collo e aveva cominciato a piangere poggiando la testa
nell’incavo della sua spalla. “Saremmo stati così felici insieme: io ti amo
ancora alla follia ed Ariel ti ama forse anche più di me… Saremmo stati una
famiglia, sì, forse non una famiglia del tutto normale, ma comunque una
famiglia…molto di più di quello che siamo stati io e Riley, anche nei momenti
in cui tutto andava bene… Ma non è troppo tardi, vero? Potremo ancora averla
questa vita insieme Angel, non è vero? Non mi abbandonerai di nuovo, vero? Io
non desidero altro e adesso vado da quell’idiota, mi riprendo nostra figlia e
cominciamo da questa sera stessa la nostra nuova vita insieme, la nostra vita
come una famiglia vera. Lo vuoi anche tu, vero Angel…?”.
Non
era una domanda, era una supplica in pieno stile ed Angel la strinse più forte
fra le sue braccia. “E’ quello che desidero più di ogni altra cosa al mondo,
ma…”.
“No,
non esistono i ma, non esiste nessun maledettissimo ma: non mi importa se fra
noi ci sarà sempre lo spettro di Angelus, non mi importa se dovremo lottare
contro tutto il mondo e contro tutto l’inferno per stare insieme, non mi
importa nulla…io voglio solo stare con te, con te e con Ariel…con voi…con la
mia famiglia… Ti prego Angel, non metterci nessun odiosissimo ma…”.
“Buffy,
ascoltami, noi avremo tutto questo, te lo prometto, ma non adesso, non prima di
esserci liberati di Zara. Se ho lasciato che Riley portasse via con sé Ariel è
solo perché non volevo che Zara ci trovasse insieme. Ormai siamo in guerra e
voglio che Ariel sia il più lontano possibile da tutto questo. Domani
chiederemo a tua madre di venire a prenderla…ti ho già detto che neanche a me
piace l’idea che passi troppo tempo con lui…e poi ci concentreremo sulla nostra
battaglia. La vinceremo Buffy, non ti preoccupare, non permetterò a nessun di
farvi del male…e poi staremo insieme…come una famiglia…”, e detto questo la
baciò con tutto l’ardore, la passione e la disperazione di quegli anni che
aveva rubato loro.
Angel
quasi non credeva a quella reazione, ma Buffy era ormai addormentata accanto a
lui ed era reale, non solo uno dei suoi tanti sogni. Sarebbero stati insieme:
la cosa gli faceva paura, ma lo desiderava più di quanto desiderasse rivedere i
raggi del sole che batteva sulle scogliere della sua Irlanda e sentirne il
tepore sulla pelle. Sarebbero stati insieme, ma non sarebbero stati soli: c’era
anche Ariel…sua figlia…la sua bimba… Era felice, ma senza che questo fosse un
pericolo: non si sarebbe mai più permesso di dimenticare ciò che aveva fatto,
ma ora aveva accanto una famiglia e il dolore sarebbe stato più sopportabile.
Chiamò
Joyce a Sunnydale, chiedendole di raggiungere Los Angeles il giorno dopo
insieme a tutti gli altri e infine si addormentò anche lui, continuando a
stringere Buffy fra le sue braccia.
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Los
Angeles, la mattina dopo.
“Signor
Giles, non so che dirle: ho trovato anche un libro in cui è riportata l’intera
profezia; l’ho tradotta tutta nella sua interezza, anche le parti mancanti
sulla pergamena, e sono giunto al suo stesso risultato. La descrizione pare
essere proprio quella di Angel”.
L’Osservatore
più anziano non sembrò per nulla sorpreso: “Me lo immaginavo. Ma tutto questo
continua a non avere senso: non può essere Angel il padre di Ariel”.
“E
invece sì” li interruppe Buffy, comparendo sulla porta dell’appartamento di
Angel.
Wesley
quasi cadde dalla sedia, mentre Giles si lasciò sfuggire di mano la tazza di
the che Helen gli aveva offerto.
“E’
una storia lunga e un po’ complicata, ma mette ordine a tutta questa storia”.
Buffy raccontò in poche parole quello che da poco aveva appreso. “Ora scusatemi
ma devo chiamare mia madre per chiederle di raggiungerci: Riley ancora non sa
nulla di questa storia, ma non voglio che Ariel passi ancora solo un’altra ora
insieme a quell’idiota. Tornerà a Sunnydale con la mamma, anche perché sembra
che in questo momento Zara abbia focalizzato la sua attenzione su Angel
piuttosto che su di lei”.
“Veramente
io sono già qui. Anzi, ci siamo tutti: Angel mi ha chiamata ieri sera. Manca
solo Spike che arriverà stasera” disse Joyce, giunta in quel momento alla Angel
Investigation.
“Tutti
insieme come ai tempi del liceo” disse Willow, correndo ad abbracciare Buffy
con aria complice. Era evidente che la rossa strega doveva saper già
qualcosa…anzi, più probabilmente sapeva già tutto.
“Non
ti ho ancora ringraziato per l’incantesimo che hai fatto per aiutare Angel…”
disse
“E
allora continua a non farlo. Ho fatto il minimo indispensabile e a quanto pare
non lo ho fatto neanche troppo bene visto che a più da una settimana Angel
ancora non si è ripreso del tutto…”.
“Credimi
Willow, senza l’aiuto tuo e di Tara adesso avreste un grosso problema in più”
disse Angel.
“Beh,
lo sai Angel che ho sempre avuto una cotta colossale per te… Certo che se vado
avanti così Angelus finirà per odiarmi sul serio: una volta l’ho maledetto e
l’altra gli ho impedito di rispuntare fuori. Ti prego Angel, assicurami che non
tornerà o dovrò emigrare sulla Luna!!!” disse scoppiando a ridere e andando ad
abbracciare il vampiro.
“Bene,
allora vado subito a prendere Ariel. Mamma, per favore, verresti con me? Non mi
va di vedere Riley da sola” chiese Buffy alla madre.
“Certo,
andiamo” rispose allegramente Joyce che non vedeva l’ora di rivedere la
nipotina.
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Quando
bussarono alla porta del fatiscente motel nessuno rispose. Provarono diverse
volte e alla fine chiesero al custode di aprire la stanza.
Un
velo rosso sangue calò sugli occhi di Buffy alla vista di quello che era successo
nella stanza: Riley era a letto con una sconosciuta e sparse sul pavimento
c’erano due bottiglie di whisky completamente vuote, una da ogni parte de
letto.
Per
la prima volta Buffy provò fortissimo l’istinto di uccidere un essere umano:
solo il pensiero che Ariel doveva essere da qualche parte in quello schifo la
trattenne dal commettere quello sproposito.
“Ariel?”
chiamò cercando di non far tremare la voce: in realtà aveva il terrore che Zara
avesse scoperto dove si nascondeva e ne avesse approfittato.
“Mamma”
le rispose la vocina della bimba da dietro la porta chiusa del bagno. Il cuore
di Buffy tornò a battere.
Quando
Joyce fece per aprire la porta la trovò chiusa a chiave. Inorridite la aprirono
immediatamente e videro un materasso vecchio di secoli buttato per terra con un
solo asciugamano a fare da coperta. Ariel era lì, seduta sul materasso con
l’aria stravolta di chi non ha chiuso occhio per tutta la notte: stringeva in
mano l’unica matita che era riuscita a portarsi dietro e scarabocchiava sulla
carta igienica. Non appena vide anche la nonna scoppiò a piangere .
Joyce
corse ad abbracciarla stretta stretta e cercò di tranquillizzarla: “Adesso
andiamo via e poi la nonna ti porta a fare un bel giro nel parco: andiamo
sull’altalena e ti spingerò così in alto che ti sembrerà di volare”.
I
singhiozzi della bimba cominciarono a scemare e pochi minuti dopo riuscì
finalmente ad addormentarsi fra le braccia della nonna.
“Andiamo
Buffy. Non voglio restare in questo porcile per trenta secondi di più”.
“Sì
mamma, tu vai avanti con Ariel in macchina, io ti raggiungo tra un attimo”
disse Buffy, senza staccare neanche per un istante gli occhi furibondi dalla
figura del marito che doveva essere in preda ai postumi di una sbronza
colossale per non essersi ancora svegliato nonostante l’irruzione nella stanza
(e la donna accanto a lui non era conciata meglio).
“Buffy,
per favore, vieni via anche tu” disse Joyce preoccupata.
“Stai
tranquilla mamma, non ho intenzione di commettere nessuna sciocchezza, anche se
non posso negare di averci pensato. Non ne vale la pena, ma non posso neanche
lasciargliela passare liscia… Vi raggiungo al massimo fra cinque minuti”.
Riluttante
Joyce uscì dalla stanza e si avviò verso la macchina.
Buffy
fece scorrere l’acqua per qualche minuto, in modo che fosse gelata, quindi
riempì fino all’orlo un secchio trovato sotto il lavabo. Trenta secondi dopo
l’intero contenuto del recipiente venne rovesciato sulla testa di Riley al
quale quasi venne un infarto per quel brusco risveglio.
“Se
non ti denuncio è solo perché non voglio avere altro a che fare con te.
Sparisci dalla mia vita, da quella di Ariel e da quella di tutti i miei cari.
Sparisci e non provare mai più a farti rivedere o giuro che ti ammazzo”. Detto
questo girò sui tacchi e se ne andò, lasciando un Riley che probabilmente
ancora non si era reso conto di quanto era successo.
Quando
ormai erano lontane dal motel, Buffy chiese alla madre di non dire niente
dell’accaduto ad Angel. “Fa sempre tanta fatica a tenere a bada Angelus quando
c’è di mezzo Riley e non voglio sottoporlo a quest’altra prova”. Buffy in
realtà temeva che l’accaduto avrebbe potuto risvegliare, anche se solo per
poco, il demone che covava dentro di lui. Joyce comprese al volo e assicurò
alla figlia che non una sola parola sarebbe uscita dalla sua bocca.
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Quel
pomeriggio giunse per Ariel il momento di salutare tutti i suoi zii di Los
Angeles e fare ritorno a Sunnydale.
Angel,
che solo quel giorno si era rimesso in piedi, provava sentimenti che mai prima
d’ora aveva immaginato: non voleva che la bambina se ne andasse, tutto il suo
essere gridava per tenerla accanto a sé. Si era abituato a quella allegra e
confusionaria presenza e sapeva che farne a meno sarebbe stato difficile.
“Neanche lasciare Buffy è stato tanto doloroso…” pensò per un attimo,
rendendosi tuttavia conto che lasciare
Tuttavia
c’era qualcosa di più grande del suo dolore: c’era l’istinto, l’istinto che
porta tutti gli esseri a proteggere quello che amano. Non sapeva se
quell’istinto fosse tutto suo o se il suo demone si facesse sentire; non
riusciva a capire se Angelus rivendicasse Ariel come sua proprietà e di
conseguenza facesse di tutto perché nessuno gliela portasse via, anche se
questo voleva dire separarsi per qualche tempo da lei. Non riusciva a capire se
era l’istinto dell’uomo o quello del demone a prevalere, ma dato che, per una
volta, volere di uomo e demone coincidevano, Angel non si preoccupò di
analizzare più a fondo quei sentimenti.
Neanche
per Ariel fu facile lasciare quelle persone alle quali si era ormai
affezionata: “Io non voglio andare via, io voglio restare qui con te e con la
mamma, zio” disse mentre salutava Angel. Il vampiro si sentì stringere il
cuore, come gli accadeva ogni volta che la bambina lo chiamava zio. Prima era
stata una sensazione piacevole, ma ora che sapeva di essere qualcosa di più di
uno zio, provava ogni volta l’impulso irrefrenabile di dirle che non era suo
zio, ma suo padre. Solo l’idea di poter sconvolgere il suo piccolo mondo fatto
di poche ma fondamentali certezze lo aveva sempre trattenuto. Ora però si
chiedeva se rivelarle la verità ora che era così piccola non sarebbe stato
meglio che svelargliela più avanti, quando fosse cresciuta, e quando sul serio
avrebbe potuto sconvolgerla… Non era tuttavia quello il momento per farlo, non
era quello il momento della verità. Ora voleva solo stringere fra le braccia la
bambina. “Vedrai che sarà solo per poco tempo, e poi torneremo di nuovo a
divertirci come abbiamo fatto i questi giorni… Abbiamo sempre il nostro disegno
da finire…”. La bimba gli strinse le braccia intorno al collo, e poi fece la
stessa cosa con sua madre; per tutti gli altri ci furono tanti baci e qualche
lacrima, dopodiché partì insieme a sua nonna alla volta di Sunnydale.
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Zara
era incredibilmente nervosa: il momento propizio per versare il sangue del
Padre stava arrivando, ma non era ancora riuscita a far tornare Angelus, e
soprattutto non aveva ancora liberato lo spirito del Frutto. Doveva passare
all’azione senza perdere più tempo di quello che le era già fuggito dalle mani
a causa degli incapaci dei quali si era circondata e fidata. Doveva scendere in
campo lei, in prima persona. Doveva prima di tutto trovare la bambina e per
quello non ci sarebbero stati troppi problemi (sarebbero stati i pensieri dei
suoi stessi cari ad indicarle il suo nascondiglio), e poi dedicarsi al suo caro
papà. “Sei un osso duro Angel, devo ammetterlo, ma non potrai nulla contro di
me… Mi dispiace solo di dover sacrificare quel magnifico esemplare di demone
che è Angelus… sì, è un vero peccato…”.
Zara
aveva creduto, per un attimo, che Angelus fosse tornato: lo aveva sentito
ruggire con tutte le forze la sera prima, e quel ruggito era giunto alla sua
mente come una agognata melodia. Aveva avuto ragione a scaraventare
quell’idiota che si credeva il padre della bambina sulla strada del vampiro:
quella telefonata anonima che aveva fatto nell’Iowa, per avvisarlo che sua
figlia a Los Angeles non era al sicuro dato che Angel era fuori uso, lo aveva
fatto precipitare nella città degli Angeli e la sua sola presenza era riuscita
a stuzzicare il demone segregato in Angel.
Era
stato solo un attimo però, poi quel maledetto era riuscito a riprendere il
controllo della sua mente e dei suoi istinti e Angelus era stato violentemente
risbattuto nella sua prigione di carne.
Se
ora però avesse dato al ragazzo un nuovo motivo per rientrare nella vita di
Angel questa volta era sicura che il vampiro non sarebbe riuscito a
controllarsi: Angelus sarebbe tornato, solo per pochi attimi forse, ma
sarebbero stati quei pochi attimi necessari a versarne il sangue e risvegliare
Il
sole era ormai tramontato, e Zara uscì con una determinazione tanto terribile
quando incrollabile. Due compiti la attendevano quella sera: ritrovare Ariel e
scatenare Riley contro Angel. Poi avrebbe solo dovuto aspettare il momento
giusto e portare a compimento la sua opera.
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Trovare
Riley non fu impresa facile: sapeva che, nonostante fosse ancora presto, lo
avrebbe già trovato in qualche bar ad ubriacarsi, ma il numero di bettole di
Los Angeles non era piccolo e dovette girarne quasi una decina nella sola zona
del motel prima di trovarlo.
“Mi
offri qualcosa, soldato?” chiese Zara con un tono suadente, anche se le sue
parole suonavano decisamente più come un ordine che come una richiesta.
“Certo,
ma posso almeno sapere a chi ho l’onore di offrire una birra?” le rispose il
ragazzo che già non era più completamente lucido.
“Una
birra? Beh, io veramente avrei preferito un calice di champagne…” rispose Zara,
contrariata.
“Beh
madame, se vuole lo champagne credo che abbia sbagliato locale… Qui dentro
l’unica cosa che conviene comprare è la birra: fa schifo ed è calda, ma almeno
non è mortale e soprattutto costa poco”.
Zara
si guardò intorno con un’espressione a metà fra il disgusto e il divertimento:
“Già…immagino che tu abbia ragione… Comunque, tornando alla tua domanda, io
sono un’amica: ci siamo già sentiti per telefono…sono io che ti ho avvisato che
tua figlia non era al sicuro…”.
“Così
sei stata tu… toglimi una curiosità: perché lo hai fatto? E come fai a sapere
di Ariel?” chiese Riley, incuriosito e certo attratto dall’avvenenza della
vampira.
“Beh,
diciamo che ultimamente ho dovuto tenere d’occhio Angel…che delusione… Dovevo
valutare se era degno di ottenere il perdono, ma quello che ho visto mi ha
fatto rabbrividire: altro che perdono quell’essere dovrebbe soffrire pene ben
peggiori di quelle che soffre ora per come si è comportato con tua figlia. Ti
ho chiamato perché proprio non potevo farne a meno: ha messo a rischio la sua
vita in mille occasione e l’ha talmente terrorizzata che lei con gli altri
finge di adorarlo perché altrimenti… So che non erano affari miei, ma non ho proprio
potuto fare a meno di chiamarti…” disse Zara, cominciando a tessere le trame
della sua trappola. “Ora che lei è con te io sono molto più tranquilla, però vi
consiglio di non farvi trovare da quel mostro troppo facilmente perché non so
proprio immaginare quello che sarebbe in grado di fare… Ho un’idea: perché non
vi nascondete a casa mia per qualche notte…giusto il tempo per fargli perdere
le vostre tracce… sono piuttosto influente e a me non avrebbe mai il coraggio
di fare del male”.
Riley
la guardò a bocca aperta, con lo sguardo pieno di gratitudine: “Io non sapevo
niente di tutto questo…avevo capito solo che essendo bloccato a letto non
poteva proteggerla… Ma ora quel maledetto me la paga…” disse sferrando un
violento pugno contro lo schienale della sua sedia e brandendo il pezzo di
legno appuntito che se ne staccò come un paletto.
“NO!”
si lasciò sfuggire involontariamente Zara; vedendo però lo sguardo
interrogativo che si dipingeva sul volto del ragazzo, si affrettò a rimediare:
“Se tu lo uccidi le sue pene finiranno…e invece deve vivere per l’eternità in
questo mondo e soffrirvi le pene dell’inferno… Questa è la punizione che hanno
decretato per lui i miei superiori. Piuttosto andiamo a prendere la bambina e
andiamo a casa mia; anche perché quello che ti ho appena detto non è ancora
tutto quello che devi sapere…”.
“Lei
non è più con me. E’ venuta questa mattina Buffy a riprendersela…o almeno credo
che fosse lei… Ma lei di sicuro non sa che Angel non è quello che
sembra…dobbiamo avvisarla e allontanare anche lei da quel mostro… O lei sa
tutto? E poi cos’è che dovrei sapere ancora?”.
Zara
era irritata: non poteva perdere tempo con quell’idiota, soprattutto ora che le
aveva appena detto che il Frutto non era con lui. Però doveva ancora aprirgli
la mente, in modo che il suo odio nei confronti di Angel diventasse
inarrestabile. Con calcolata tranquillità gli disse quindi che non sapeva se
Buffy fosse a conoscenza di quello che Angel aveva fatto, e poi si avvicinò a
Riley e gli passò una mano sugli occhi.
Una
marea di immagini si affollò nella mente di Riley: un demone spaventoso, la
caccia nelle fogne, il suo sangue…e poi una cucina messa sottosopra
e…Buffy…Buffy e Angel…stretti, avvinghiati l’uno all’altro, i respiri che si
mescolano e si fondono…sì, anche Angel respira…Angel è umano; poi ancora il
letto, i loro corpi uniti in uno solo…la passione…quella passione che Buffy non
hai mai dimostrato di provare per lui, nemmeno ai bei tempi; e ancora una
lotta, Angel mezzo morto (un sorriso si dipinse sul volto di Riley a
quell’immagine) salvato da Buffy…e alla fine Angel che torna vampiro per poter
continuare ad aiutare Buffy.
Quando
quelle scene si spensero nella sua mente, Riley guardò con occhi follemente
angosciati Zara: “Cosa significa tutto questo?” chiese finalmente lucido,
temendo la risposta che avrebbe ottenuto.
Con
aria dispiaciuta, Zara gli rispose: “Che dopo tua moglie, quell’essere ti ha
portato via anche la cosa più importante della tua vita: tua figlia…o meglio,
quella che fino ad ora hai sempre considerato tua figlia… Mi dispiace Riley, e
soprattutto mi dispiace che tu l’abbia saputo in questo modo, ma Ariel non è
tua figlia… Ariel è figlia di Angel…”.
Riley
rimase come pietrificato, uno sguardo allucinato negli occhi.
“Riley,
ascoltami, lo so che tu adesso sei sconvolto, ma prova a ragionare: Ariel non
ha nessuna colpa per tutta questa situazione e io so per certo che le vuoi un
bene immenso. Quindi adesso va’ a riprendertela prima che sia troppo tardi e
poi ritroviamoci al motel, così vi metterò al sicuro…”.
“Sì,
hai ragione: quella poveretta non ha colpe e non si merita un padre come quello
che ha. Ci vediamo tra un po’ al motel” disse Riley, alzandosi dalla sedia e
precipitandosi all’uscita del locale. Sulla soglia si fermò ancora un istante:
“Non so proprio come ringraziarti…”.
Zara
gli sorrise, ma dovette costringersi a non scoppiargli a ridere in faccia per
la sua stupidità.
In
realtà la madre di tutti i vampiri non sperava di trovare la bambina ancora
alla Angel Investigation, ma almeno lo scontro tra Riley ed Angel sarebbe
avvenuto e questa volta, ne era sicura, Angelus sarebbe tornato. Il primo
compito era stato assolto, ora doveva trovare il Frutto.
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Dopo
la partenza di Ariel erano usciti tutti: Angel e Buffy si stavano allenando;
Giles e Wesley, dopo aver consultato tutti i libri a loro disposizione, ne
stavano ora cercando degli altri; Xander, Gunn, Helen e Cordelia si aggiravano
per i vicoli più stretti d Los Angeles alla ricerca di qualsiasi tipo di
informazione, mentre Tara, Willow ed Anya si erano recate al negozio di magia
per fare rifornimenti e prepararsi all’ormai imminente scontro.
Fu
per questo che Riley, sconvolto dalle rivelazioni appena svelategli e
dall’alcool che ancora circolava nel suo corpo, non trovò nessuno quando giunse
alla Angel Investigation. Picchiò talmente forte che quasi demolì la porta, ma
quando si rese conto che nessuno sarebbe venuto ad aprirgli decise di ingannare
l’attesa del ritorno di Angel affogando il suo dolore nel locale all’angolo
della strada. Prima ancora di arrivare al quarto whisky il ragazzo era riverso
sul suo tavolino, piangendo come un bambino disperato per quello che gli era
successo e per quello che era diventato. Nella sua mente sconvolta c’era spazio
per una sola certezza: “Lo sfacelo della mia vita, questo sfacelo di uomo che
sono io stesso hanno una causa dal nome preciso: Angel. Se solo non fosse mai
esistito io sarei stato un uomo felice: Buffy mi avrebbe amato, e avrebbe fatto
di tutto per me, compreso rinunciare al suo ruolo di Cacciatrice…se non lo ha
fatto è solo perché quella era l’unica cosa che ancora la tenesse legata a lui…
Lui me l’ha portata via, mi ha portato via mia moglie ed ora vuole fare lo
stesso con mia figlia… NO, non glielo permetterò: non mi importa se Ariel è
davvero sua figlia…ma se non posso averle io non le avrà nemmeno lui… Altro che
dannazione eterna, io ti ucciderò Angel, dovesse essere l’ultima cosa che
faccio…”.
Poco
dopo, dopo un altro whisky, Riley perdette completamente coscienza e rimase lì,
riverso su quel lurido tavolino di quel misero locale per parecchie ore.
CAPITOLO
10
Spike
spalancò la porta dell’agenzia, facendo saltare tutti in aria per lo spavento.
“Ma
sei impazzito!” urlò subito Buffy, aggredendolo come al solito. Qualcosa però
nell’aspetto del vampiro la indusse a non continuare: Spike sembrava sconvolto
e nei suoi occhi di ghiaccio aleggiava una profonda preoccupazione.
“Cosa
è successo Spike?” chiese Angel che, di fronte a quell’agitazione tanto
innaturale per il vampiro biondo, si sentì stringere la bocca dello stomaco.
“Dov’è
Ariel?” chiese Spike e fu immediatamente chiaro per tutti che il vampiro
conosceva già la risposta a quella domanda, ma l’aveva posta ugualmente nella
speranza di ottenere una risposta diversa da quella che già conosceva.
“Sta
tornando a Sunnydale con Joyce” rispose Angel sempre più guardingo.
Un
moto di disperazione comparve sul volto del Sanguinario.
“Te
lo chiedo di nuovo: cos’è successo?” disse ancora Angel, lasciandosi sfuggire
un ringhio involontario.
“Venendo
qui, a pochi chilometri da Los Angeles, ho visto un auto abbandonata sulla
carreggiata opposta: era vuota e praticamente distrutta…più che di un incidente
sembrava rimasta vittima di un attacco…e il modello dell’auto era lo stesso di
quella di Joyce…” rispose Spike, senza riuscire a mascherare la paura che
provava in quel momento.
Buffy
si avventò sul suo cellulare, tentando di mettersi in contatto con sua madre.
Lasciò che l’apparecchio squillasse per una ventina di volte prima di
riattaccare e lasciarsi prendere dallo sconforto. Angel le si fece
immediatamente vicino, le circondò le spalle con un braccio e le disse
dolcemente: “Non è il momento di farsi prendere dal panico. Se Joyce ed Ariel
sono nelle mani di Zara dobbiamo agire, non piangere. Signor Giles, Wesley, c’è
qualche indizio che ci possa aiutare a localizzare il luogo del rituale?”
chiese il vampiro rivolgendosi ai due ex-Osservatori.
“No
Angel, il rito può essere svolto ovunque”.
“Doyle?”
chiese ancora Angel, nella speranza che almeno una delle visioni del mezzo
demone potesse aiutarli a localizzare Zara.
“Mi
dispiace uomo, ma il potere di quel mostro è talmente devastante da inibire persino
le mie visioni. Posso però avvertire il potere di una rinnovata attività
vampirica, dalle parti della Wolfram & Hart…era da un po’ che non lo
avvertivo più…dalla scomparsa di Darla e Drusilla…” gli rispose l’irlandese.
“Cosa?!?”
intervenne Spike. “Darla e Drusilla sono…”.
“Morte”
rispose seccamente Angel, terminando la frase dell’altro vampiro. “Morte,
incenerite e disperse nel vento a causa della loro follia. Credimi Spike, so
quello che provi perché è quello che provo io, ma non è questo il momento per
pensarci. C’è nuova attività alla Wolfram & Hart: non è detto che sia
Zara…mi sembra strano che si sia anche solo alleata con degli umani visto
quanto li disprezza…ma vale la pena di fare un tentativo” concluse Angel,
infilandosi la lunga giacca di pelle nera.
Ma
Buffy lo fermò: “No Angel, tu non vieni…e non guardarmi come se fossi
un’extraterrestre!” aggiunse notando l’espressione stralunata del vampiro che
amava. “Non vieni primo perché non ti sei ancora completamente ripreso e
secondo, ma non meno importante, perché Zara sta cercando anche te e quindi non
mi sembra proprio il caso che sia tu stesso ad offrirti a lei!”.
“Buffy,
per favore, non scherzare. Non me ne starò qui buono buono, con le mani in
mano, mentre quella pazza tenta di uccidere te e nostra figlia. Scordatelo, io
vengo con voi” replicò Angel con il tono di colui che non ammette obiezioni.
“Angel,
Buffy ha ragione…” intervenne Xander, che si tappò tuttavia la bocca quando
incontrò lo sguardo fulminante del vampiro.
“No,
ha ragione Angel: abbiamo bisogno di tutte le forze disponibili o non
sconfiggeremo
“Adesso
basta ragazzi!” intervenne Giles per troncare quella discussione. “Buffy e
Xander hanno ragione: è un azzardo enorme che tu venga con noi, ma è
altrettanto vero che è un azzardo che non possiamo evitare. Cordelia non
sbaglia nell’affermare che abbiamo bisogno di tutte le forze possibili: tutti
insieme abbiamo, forse, qualche possibilità di riuscire a sconfiggere Zara, ma
se non ci unissimo non ne avremmo proprio nessuna…sarebbe un massacro
inutile…senza contare poi che se non ce la facessimo Angel si ritroverebbe a
doverla affrontare da solo e, senza offese, non credo che potrebbe farcela.
Ritengo quindi che il male minore sia che venga anche lui, anche se mi rendo
conto che potremmo star facendo proprio un grosso favore a quel mostro”
concluse l’Osservatore più anziano.
“Bene,
ora che abbiamo preso una decisione sarà meglio muoverci: non abbiamo altro
tempo da perdere! Io intanto chiamo Kate: le pallottole non uccidono i vampiri,
ma li tengono buoni per un po’!!!” disse Helen, chiudendo definitivamente la
questione.
Buffy
si rassegnò: non era per nulla convinta che quella fosse la soluzione migliore,
ma aveva anche notato lo sguardo risoluto e categorico di Angel (qualsiasi cosa
lei avesse potuto dirgli il vampiro sarebbe comunque sceso in prima persona sul
campo di battaglia) e anche tutti gli altri sembravano d’accordo con lui…a
parte Xander ovviamente, ma questo non faceva notizia! E poi Helen aveva
ragione: non avevano tempo da perdere in sterili discussioni. Si accodò quindi
al gruppo che si stava precipitando compatto fuori dalla Angel Investigation.
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Non
fecero in tempo a mettere piede fuori dall’hotel e si ritrovarono accerchiati.
“Cercavi
me, Angelus?” chiese la voce calda di Zara.
Il
demone era raggiante: uno dei suoi vampiri (finalmente qualcuno che si rendeva
utile!) aveva scoperto la fuga del Frutto verso Sunnydale e ne aveva
immediatamente informato la sua signora. Attaccare l’auto e catturare la
bambina era stato un gioco da ragazzi, nonostante gli strenui tentativi di sua
nonna per salvarla e per non soccombere.
Ora
il Frutto era di nuovo nelle sue mani e presto vi sarebbe stato anche il Padre:
avrebbe liberato lo Spirito e contemporaneamente versato il Sangue, e così
Angel
rimase pietrificato: pochi passi dietro la madre di tutti i vampiri erano stesi
i corpi abbandonati di Ariel e Joyce. Il vampiro era talmente agitato da non
riuscire neanche a capire se i due corpi fossero solo privi di sensi o invece
privi di vita.
Tuttavia
anche in Zara l’espressione trionfante lasciò il posto alla sorpresa: si era
spettata di incontrare Angelus…era sicura di trovare Angelus…e invece sentiva
l’odore dell’anima che lo imprigionava provando per questa lo stesso disgusto
che un umano proverebbe per la puzza di uova marce.
“Maledizione
a quell’idiota!” ringhiò furiosamente fra i denti.
Quel
moto di insofferenza della vampira ridiede vigore e speranza ad Angel: non
tutto stava andando secondo i piani di quel mostro…c’era ancora qualche
speranza di vittoria…neanche Zara era infallibile…
Attaccò
la vampira a testa bassa, il volto trasfigurato in quello del demone.
“Volevi
Angelus? Eccotelo!” urlò mentre si avventava su di lei con controllata ferocia.
Zara
era furente: avvertiva distintamente il demone di cui aveva bisogno, ne
avvertiva la furia e la forza; ma Angel aveva solo allentato le catene che lo
imprigionavano; nonostante le sue parole, non era stato tanto stupido da
lasciare che, neanche per un istante, Angelus prendesse il sopravvento. La
violenza dei colpi che la centravano era dettata dalla volontà di Angel, la
furia di un padre che lotta per difendere sua figlia, la determinazione di un
uomo pronto a tutto. Angel si stava servendo di Angelus, lo stava sfruttando,
ma non lo avrebbe lasciato libero nemmeno per un istante.
A
quell’attacco, la vampira rispose con colpi altrettanto micidiali: gli umani
non sarebbero neanche riusciti a scorgere la velocità dei suoi movimenti,
neanche se fossero stati attenti al combattimento invece che impegnati a
combattere contro una nutritissima schiera di vampiri.
Quando
vide Angel volare dall’altra parte della strada, apparentemente senza che Zara
lo avesse neanche toccato, Spike si avventò su di lei e Buffy fece altrettanto.
Cordelia,
Xander, Giles, Wesley, Helen, Doyle e Gunn avevano il loro bel da fare ad
impalettare un vampiro dopo l’altro, ma tanti anni ad aiutare
Nel
mezzo di tutta quella confusione Willow, Anya e Tara, strette mano nella mano,
recitavano un incantesimo dopo l’altro nel tentativo di difendere i loro amici
e soprattutto nel tentativo di indebolire Zara.
E
fu proprio grazie ad uno di questi incantesimi che Spike ebbe salva la vita:
chi rischiava di più in quello scontro era proprio lui. La progenitrice della
sua stirpe avrebbe potuto incenerire lui ed Angel con un solo sguardo, e se il
sire del suo sire era protetto dal fatto che le serviva vivo, nulla avrebbe
potuto impedire a Zara di ridurre lui in un misero mucchietto di cenere. Nulla
a parte la magia delle tre streghe che, forse al di là delle loro stesse
aspettative, stavano riuscendo ad inibire i poteri del demone in maniera molto
efficace.
Zara
ora urlava furiosamente per la frustrazione: sapeva che delle streghe facevano
parte del gruppo, ma non vi aveva mai dato molto peso perché mai nessuno,
tantomeno tre insulse umane, era riuscito ad opporsi a lei.
Anche
se privata della sua magia, Zara restava comunque una vampira straordinaria,
dotata di una forza, di una rapidità e di una precisione eccezionale anche per
quelli della sua specie, e Buffy e Spike avvertirono ben presto la pesantezza
dei suoi colpi sui loro corpi.
Ma
non era solo per un sacro dovere che Buffy stava combattendo; non era solo per
salvare per l’ennesima volta il mondo dalla distruzione che aveva ingaggiato
quella folle lotta. Buffy stava combattendo per sua figlia e per sua madre, per
salvare le loro vite, e soprattutto stava combattendo per se stessa: appena il
giorno prima Angel le aveva promesso che, quando tutto fosse finito, sarebbero
stati una famiglia, che sarebbero stati insieme per tutta la vita. Buffy non
aveva nessuna intenzione di rinunciare a quel sogno che stava diventando
realtà, non aveva intenzione di permettere a nessuno, nemmeno a Zara, di
impedire la realizzazione di quel progetto. Ed era da questo che traeva la
forza per continuare a colpire, per continuare ad ignorare i terribili colpi
che sembravano ferirla da tutte le parti. Aveva smesso di pensare, aveva smesso
di ragionare, aveva addirittura chiuso gli occhi: era l’istinto a guidarla,
l’istinto della Cacciatrice, l’istinto di un essere drammaticamente vicino a
quello che combatteva. Non riusciva a distinguere quello che la circondava, la
sua mente era completamente focalizzata sul suo unico obiettivo, tutto il
contorno non la riguardava più.
Dall’angolo
della strada dove era stato scaraventato, Angel si rimise presto in piedi. Per
qualche attimo rimase immobile ad osservare Buffy: non l’aveva mai vista così,
non l’aveva mai vista trasformarsi in una macchina per uccidere. Sapeva che
prima o poi sarebbe successo, sapeva che prima o poi la vera essenza della
Cacciatrice sarebbe venuta a galla e avrebbe preso il sopravvento, ma ora che
vedeva quella forza primordiale all’opera si sentì terrorizzato: quella che
stava combattendo non era la sua Buffy e da quel momento in poi lei avrebbe
dovuto fare i conti con questo nuovo aspetto del suo essere, proprio come lui
doveva fare i conti con Angelus. Sapeva per esperienza che non sarebbe stato
facile, e una profonda tristezza calò sulla sua anima.
Fu
solo un attimo però, perché Angel realizzò che quello era il momento per
allontanare dal campo di battaglia e soprattutto da Zara, sia Ariel che Joyce.
La vampira era completamente assorta dalla lotta e non poteva prestare
attenzione ai suoi movimenti. Mentre allontanava Joyce, che era la più vicina
(il sollievo che provò Angel nell’avvertire il sangue scorrere ancora nel corpo
della donna fu indescrivibile), il vampiro non poté fare a meno di augurarsi
che Buffy e Spike riuscissero a resistere fino a quando sarebbe potuto correre
in loro aiuto. Una volta portata in salvo la madre di Buffy si precipitò a
mettere in salvo anche Ariel.
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Riley
venne svegliato di soprassalto dal barista che gli frugava in tasca alla
ricerca del portafoglio.
“Stai
buono amico. Non prenderò un centesimo in più di quello che mi devi, ma bada
che se non hai da pagare sono guai per te” gli disse il proprietario del locale
quando fece per protestare.
Aveva
passato un’ora riverso sul tavolino del bar e stentava a ricordare quello che
era successo in quella giornata. Come un lampo però il nome di Angel squarciò
le nebbie della sua testa e, anche se ancora non ricordava bene il perché,
seppe che voleva uccidere il vampiro.
Strappò
il portafoglio dalle mani del barista senza neanche rendersi conto che questi
aveva provveduto a svuotarlo ben bene, uscì, barcollando, dal locale e si
diresse verso il motel dove alloggiava per armarsi. Sapeva che non poteva
sperare di battere Angel in un combattimento corpo a corpo e quindi lasciò
perdere i paletti e optò per una balestra e un abbondante numero di dardi di
legno dato che, ancora praticamente sbronzo fradicio com’era, non si illudeva
di riuscire a colpire il vampiro al primo colpo. Si diede una lavata alla
faccia, nel vano tentativo di riaversi un po’ e quindi mosse deciso in
direzione dell’Hyperion con l’unico obiettivo di liberarsi una volta per tutte
del suo rivale.
Giunse
sulla strada antistante l’albergo nel momento in cui Angel si chinava sul corpo
esanime di Ariel per portarla in salvo. A quella vista anche quel minimo di
lucidità che aveva riacquistato durante il tragitto venne a mancargli. Le
parole che gli aveva detto Zara poche ore prima tornarono ad affollargli la
mente in maniera caotica. Quello che vide fu Ariel, apparentemente morta, fra
le braccia di Angel e fu impossibile per lui non dare al vampiro la colpa dello
stato della bambina.
“Prima
l’hai uccisa e ora vuoi portarti via anche il suo corpo…! Ma io non te lo
permetterò, maledetto bastardo. Me la pagherai, me la pagherai per tutto
quanto. Vai all’inferno e restaci per sempre!!!”.
Solo
tre persone si accorsero della presenza di Riley che aveva ormai caricato il
primo dardo nella balestra e che la puntava ora contro Angel: Wesley, Kate ed
Helen. Ma se la poliziotta era troppo distante per intervenire, non altrettanto
accadde ai due membri della Angel Investigation.
Non
appena comprese che l’odioso ragazzo che aveva conosciuto il giorno prima non
era venuto per dare una mano, ma che anzi aveva tutte le intenzioni di uccidere
Angel, il giovane ex-Osservatore si disinteressò completamente del vampiro che
gli stava arrivando addosso e mirò con la sua balestra ad una gamba di Riley.
Purtroppo però il dardo scoccato dal soldato partì una frazione di secondo
prima che la freccia di Wesley riuscisse a colpire il ragazzo.
Helen
era la più vicina ad Angel, giunta lottando a pochi metri da lui. Quando vide
la freccia partire dalla balestra di Riley, istintivamente, si buttò addosso al
vampiro per allontanarlo dalla traiettoria del proiettile. “Attento Angel!”
avrebbe voluto gridare, ma la voce le morì in gola quando la freccia la colpì
vicinissima al cuore, entrando dalla schiena.
Attirato
da quell’improvviso trambusto alle sue spalle, Angel si girò giusto in tempo
per sostenere il corpo ormai morente della ragazza. Angel non si rese
immediatamente conto di quanto fosse successo, ma quando sentì il sangue caldo
e viscoso di Helen scorrergli lungo il braccio con cui reggeva il suo corpo,
quando vide Riley a terra con una freccia impiantata in un ginocchio e quando
vide l’espressione incredula e allucinata di Wesley, capì ogni cosa.
“Helen
non ti preoccupare, andrà tutto bene. Stai tranquilla, ora ti portiamo in
ospedale e tutto si sistemerà” disse tra le lacrime, sapendo di mentire
spudoratamente.
Il
colorito aveva già abbandonato il volto della ragazza e le sue labbra erano
bianche e tirate per il dolore; ciononostante Helen socchiuse gli occhi e
sorrise: “Non ti preoccupare per me, ormai sono arrivata al capolinea. Occupati
di Ariel…e di Buffy…e sii felice Angel, perché te lo meriti”. Un’ultima lacrima
le scese dagli occhi, a tradire il sorriso che ancora aveva sulle labbra. Un
istante dopo Helen morì, senza aver avuto neanche il tempo per dichiarare ad
Angel il suo amore per lui.
Angel
estrasse la freccia dalla schiena della ragazza, la adagiò delicatamente a
terra e si asciugò le lacrime; quindi fece per allontanarsi per portare in
salvo Ariel.
Proprio
in quel momento però la forza degli incantesimi di Anya, Willow e Tara si
interruppe (le tre ragazze erano ormai allo stremo delle forze) e Zara riuscì
così a liberarsi di Buffy e Spike. In un batter d’occhio la madre di tutti i
vampiri fu addosso ad Angel, scaraventandolo per terra.
“Finalmente
il momento è arrivato madre! Finalmente ho qui davanti a me il Frutto e il
Padre e tra pochissimo il loro Spirito e il loro Sangue ti riapriranno le porte
per tornare in questo mondo, tra pochissimo sarai nuovamente sveglia e fra noi”
urlò trionfante rivolta al cielo. Quindi guardando Angel continuò: “Ho sempre
pensato che avrebbe dovuto esserci Angelus in questo momento, ma solo ora
capisco che non aveva importanza: tu, Angel sei un vampiro esattamente come
lui. Anzi, sei tu il Padre, non lui!!!”.
Nel
dire questo estrasse da una della tasche interne del suo mantello un lungo
pugnale sacrificale, col manico in madreperla purissima rifinito in oro e con
la lama lunga, lucente ed affilatissima, e con un movimento fulmineo lo piantò nel
petto di Angel.
Il
vampiro urlò con tutta la voce che aveva in gola e nemmeno la risata
raccapricciante di Zara riuscì a coprire il suo grido. Il suo sangue fluiva
scuro dalla ferita spandendosi prima sugli abiti di Angel e poi sull’asfalto di
Los Angeles.
Buffy
stesa a terra, incapace di muoversi, si tappò le orecchie per non sentire le
grida straziate del suo amore. A causa probabilmente di uno degli incantesimi
di Zara, non una sola fibra muscolare rispondeva più ai comandi del suo
cervello: era come paralizzata, del tutto incapace di agire. Tutto quello che
poté fare fu cominciare a piangere disperatamente. E nemmeno gli altri poterono
fare diversamente.
Il
coltello nel petto di Angel sembrava animato da vita propria: senza più alcuna
pressione da parte di Zara continuava a conficcarsi sempre più profondamente
nella carne di Angel, impedendo al suo corpo di rimarginare la ferita. La
macchia di sangue intorno al suo corpo continuava ad espandersi, ma nulla di
più sembrava accadere.
Le
grida di giubilo della vampira andarono gradualmente scemando, poco a poco che
la donna si rendeva conto che il prezioso sangue del Padre non stava producendo
alcun effetto: il Sangue sgorgato dal pugnale sacrificale avrebbe dovuto aprire
il portale attraverso cui
“NO!!!”
urlò Zara che si stava facendo prendere dall’isterismo. “No, non è possibile!
Non posso essermi sbagliata! Non questa volta! Lei è sua figlia…lei è la figlia
di un vampiro…lei è il Frutto e lui è il Padre… Loro DEVONO ESSERE il Frutto e
il Padre!!! Non posso aver fallito un’altra volta…non questa volta…”.
Zara
aveva ormai perso il controllo della situazione e di se stessa, di conseguenza
anche i suoi incantesimi vennero spezzati e Buffy, sebbene a pezzi, fu di nuovo
in grado di muoversi.
La
vampira sembrava letteralmente impazzita: continuava a gridare come un’isterica
e a dimenarsi oscenamente. Come in preda ad un raptus afferrò l’impugnatura del
pugnale e lo estrasse in un sol colpo dal petto di Angel che cacciò un urlo di
dolore indescrivibile a quel movimento.
“Adesso
io libero anche lo Spirito e allora sono sicura che apriranno le porte
dell’inferno e tu, madre mia, sarai libera di tornare fra noi” urlava Zara,
cercando di convincere se stessa che tutto stava andando bene.
Fece
per calare il pugnale sul piccolo cuoricino di Ariel quando, alle sue spalle,
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Passò
qualche minuto, senza che nessuno avesse né il coraggio né la forza di
muoversi.
Su
Los Angeles, sempre tanto caotica e rumorosa, sembrava calato il silenzio. Si
alzò un sottile filo di vento e l’aria si riempì dell’odore di cenere, misero
resto della banda di vampiri che li avevano attaccati.
Tutto
era finito e Buffy quasi stentava a rendersene conto. Aveva appena ucciso Zara,
la sua ultima, terribile nemica, quella che nessuna Cacciatrice prima di lei
aveva anche solo potuto vedere; aveva appena salvato il mondo intero, ancora
una volta, e con esso anche sua figlia, ma ancora una volta, come dopo la
vittoria contro il Sindaco, il sapore amaro che le attanagliava la bocca le impediva
di assaporare il gusto del trionfo. Allora Angel se ne era andato, ora…
Non
aveva ancora ben chiaro quello che era successo, ma le sensazioni che provava
non le piacevano affatto.
Dal
canto suo Angel era distrutto. La ferita al petto gli faceva ancora un male
terribile e si sentiva addosso una stanchezza indescrivibile, aveva le
vertigini anche restando sdraiato a terra e aveva la vista annebbiata. Ma a
tormentarlo maggiormente erano due immagini: il sorriso di Helen e i suoi occhi
che, istante dopo istante, perdevano luce e la follia che aveva colto Zara nel
momento in cui si era resa conto di aver sbagliato tutto, un’altra volta… La
sua mente si rifiutava categoricamente di elaborare quello che era successo
traendone così quelle conclusioni che tanto rifiutava: non voleva neanche
pensare che Ariel potesse non essere sua figlia…non ora che sentiva di non
poter più fare a meno di lei.
La
prima a reagire concretamente fu Kate. Senza dire una sola parola la poliziotta
si avvicinò ad Angel, ma ignorò completamente il vampiro concentrando la sua
attenzione sul corpo della donna che gli aveva salvato la vita. Una volta
appurata la morte di Helen prese il suo cellulare e chiamò la centrale di
polizia: “Sono l’agente Lockley. Mandate un paio di ambulanze all’Hyperion: c’è
stato uno scontro con diversi feriti e un morto. Uno dei feriti è l’aggressore,
quindi mandate anche qualcuno che lo scorti all’ospedale. Io intanto provvedo a
notificargli l’arresto”.
Kate
ricompose con delicatezza il corpo di Helen, quindi si diresse verso Riley,
ancora riverso a terra e impossibilitato a muoversi a causa della ferita al
ginocchio.
“Lei
è Riley Finn?” gli chiese con voce piatta. Non lo aveva mai visto prima, ma lo
aveva riconosciuto dalla descrizione che gliene aveva fatto Angel.
Il
ragazzo annuì, sofferente.
“Signor
Finn, è sufficientemente sobrio per comprendere quello che le sto dicendo?”
chiese ancora la poliziotta, e ancora una volta Riley annuì. “Bene, Riley Finn,
allora io la dichiaro in arresto per l’omicidio di Helen Guerin. Ha il diritto
di non parlare se non in presenza del su avvocato, e se rinuncia a questo
diritto tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei. Se non è in
grado di permettersi un avvocato gliene verrà assegnato uno d’ufficio. Ora
verrà trasportato in ospedale dove le verranno prestate le cure mediche del
caso e una volta guarito verrà condotto in carcere sino al giorno del processo”
e detto questo l’ammanettò, sequestrando la balestra come arma del delitto.
Nel
frattempo Wesley le si era avvicinato.
“Tu
dovresti venire in centrale con me Wesley. E’ una pura formalità visto che sono
stata io stessa testimone del fatto che la tua è stata solo una legittima
difesa, ma purtroppo è necessario…” disse Kate all’ex-Osservatore, quasi
scusandosi per il disturbo.
Wesley
le sorrise, un sorriso triste, stanco e tirato: “Non ti preoccupare Kate: è la
procedura ed è tuo compito far sì che venga rispettata. Dammi solo il tempo di
rendermi conto di quanto è successo e ti seguirò in centrale”.
Quando
arrivarono le ambulanze portarono via il corpo di Helen, prestarono soccorso
sul campo a Willow, Cordelia e Xander che erano rimasti lievemente feriti
durante la lotta e trasportarono all’ospedale Buffy, Riley, Ariel e Joyce. Gunn
e Doyle si presero cura rispettivamente di Spike ed Angel, conducendoli
nell’appartamento del vampiro più anziano prima dell’arrivo dei soccorsi. Tara,
Willow ed Anya accompagnarono Buffy all’ospedale. Anche Cordelia e Xander
avrebbero voluto andare con loro, ma la ragazza era stravolta e suo marito
preferì dunque accompagnarla al suo appartamento in modo che potesse riposare;
Giles, assicuratosi che Buffy fosse in buone mani, accompagnò Wesley e Kate
alla centrale di polizia.
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Los
Angeles, quattro giorni dopo.
I
medici non riuscivano a capacitarsi della rapidità di ripresa di Buffy. La
ragazza era giunta all’ospedale piena di lividi, escoriazioni e persino qualche
frattura, e a meno di una settimana dal ricovero sembrava rimessa a nuovo, e
scalpitava per poter essere dimessa (tutti i suoi amici sapevano bene quanto
Anche
Ariel e Joyce stavano bene, anche se la donna sembrava ancora piuttosto
sconvolta, mentre, fortunatamente, quella brutta avventura non sembrava aver
lasciato strascichi sulla bambina.
Alla
Angel Investigation Spike ed Angel si erano ripresi in fretta, almeno dal punto
di vista fisico.
Angel,
in realtà non aveva detto più una sola parola dalla sera dello scontro. Parlava
solo nel sonno, quando i suoi sogni venivano tormentati dalle immagini della
morte di Helen.
Wesley
cominciava a preoccuparsi seriamente per lui: l’allegria e il sorriso della
ragazza mancavano anche a lui e si sentiva stringere il cuore ogni volta che il
suo sguardo si posava sul PC che Helen aveva tante volte maledetto e minacciato
di far volare fuori dalla finestra, e sapeva per certo che mancava anche a
Doyle e Gunn; ma Angel si sentiva in colpa. Angel sapeva che Helen era morta
per salvare lui e si sentiva responsabile.
“Lo
sai che è fatto così: sempre pronto ad addossarsi tutti i mali del mondo! Se
non si sentisse in colpa non sarebbe Angel…!!!” disse Gunn, in risposta alle
preoccupazioni dell’ex-Osservatore.
“Ma
tu credi che sia facile!?!” lo aggredì Spike.
Gunn
aveva solo voluto smorzare un po’ la tensione e non si era nemmeno reso conto
della presenza del vampiro biondo.
“Tu
credi davvero che sia facile affrontare, giorno dopo giorno, …per l’eternità…,
quello che deve affrontare Angel?” rincarò Spike che probabilmente non aveva
colto il tono scherzoso del ragazzo, o, se anche lo aveva colto, non lo aveva
apprezzato. “Tu credi che sia facile vivere ricordando tutto quello che hai
combinato dal momento che un demone si è impossessato del tuo corpo? Credi che
gli zingari lo abbiano maledetto solo per tenerlo buono? Solo perché non fosse
più un pericolo? No tesoro: lo hanno maledetto perché soffrisse, lo hanno
maledetto perché si sentisse in colpa per tutte le disgrazie del mondo e perché
questo senso di colpa lo annientasse. Solo ora comincio a capirlo…e ad
ammirarlo! Non credere che si diverta a rimuginare. Io stesso comincio ad avere
qualche problema con il mio passato, e io ho solo un chip in testa! Io non ho un’anima!
Io non ho una coscienza sempre vigile ed accusatoria! Ti confesso che non so
come Angel possa aver tirato avanti in questa maniera per più di un secolo: io
credo che al suo posto mi sarei fatto un bel bagno di sole già da un pezzo! Non
mi chiedere perché lo stia difendendo…è la prima volta da che lo conosco che
faccio una cosa del genere: forse è solo perché, dopo la morte di Darla e
Drusilla lui è l’unico che mi è rimasto, forse è solo perché il chip che ho in
testa oltre che rendermi inoffensivo mi sta anche facendo impazzire, o forse,
più semplicemente, perché se lo merita… Non lo so nemmeno io perché lo sto
difendendo, ma la prossima volta, prima di ironizzare sui suoi atteggiamenti,
anche se solo per smorzare la tensione, tappati la bocca e conta fino a dieci e
nel frattempo pensa a quello che ti ho detto. Detto questo…” e ora si rivolse
Wesley, lasciando senza parole un attonito Gunn, “…non mi starei a preoccupare
troppo per lui: ha le spalle larghe e supererà anche questo brutto colpo”.
Doyle
guardava Spike a bocca aperta: il vampiro biondo era veramente l’ultima persona
al mondo che si sarebbe immaginato di vedere come avvocato difensore di Angel,
e ciononostante tutto quello che aveva appena detto era terribilmente vero e
soprattutto incredibilmente sentito. Il mezzo demone non disse nulla, ma, dopo
Wesley e Giles, il suo cuore irlandese imparò ad apprezzare un altro inglese.
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I
coniugi Guerin, ovviamente ignari della natura di Angel, aveva fissato il
funerale della loro unica figlia per le due di quel pomeriggio. Wesley e Doyle
avevano tentato invano di convincerli a spostarlo in serata, ma non c’era stato
modo di far sentir loro ragioni: dovevano tornare a New York e ai loro affari
al più presto e quindi quel “fastidioso inconveniente” creato da quella figlia
che quasi non ricordavano neanche di avere doveva finire il più presto
possibile.
L’unica
cosa “positiva” di quel loro atteggiamento fu quella di far finalmente reagire
Angel che, per la prima volta dacché aveva riavuto la sua anima, provò il
desiderio di sbranare quei due individui senza che questo gli causasse nessun
rimorso.
Restò
dunque a casa con Spike mentre tutti gli altri assistevano alla funzione, ma
non appena il sole tramontò si precipitò fuori.
“Non
li sbranerai, vero?” chiese Spike con un sorriso sardonico sulle labbra poco
prima che il suo sire uscisse.
“Prega
solo che il volo per New York sia partito in orario e con loro a bordo…”
rispose Angel seriamente.
Quando
giunse al cimitero posò sul cumulo di terra appena smosso un’unica rosa bianca:
sapeva che Helen non ne avrebbe gradita neanche una di più, così come sapeva
che non esisteva fiore che avrebbe apprezzato maggiormente.
Ma
non era il solo a sapere tutto ciò: Lorne lo raggiunse poco più tardi e anche
lui le portava una sola rosa bianca.
“Io
le leggevo l’anima, ma tu come sapevi che non ne avrebbe volute due?” gli
chiese il demone. Angel si limitò a guardarlo, senza rispondere, ma con un
lieve accenno di sorriso sulle labbra. “Mancherà anche a me, soprattutto se
penso che quando vi servirà qualche nuova informazione sarai di nuovo tu a
venire a cantare…senza offesa!” continuò il demone con la faccia verde, e
questa volta al vampiro sfuggì addirittura un abbozzo di risata. “Per fortuna
però che non ho più bisogno di sentirti cantare per leggerti l’anima: va’ da
lei Angel; qui c’è poco che tu possa fare ormai, ma in ospedale ci sono non
una, ma addirittura due persone che ti aspettano e che hanno bisogno di te”. Il
mezzo sorriso sulle labbra di Angel morì all’istante. “Non è tua figlia, e
allora?” chiese Lorne notando la tristezza dello sguardo di Angel. “Tu la ami
come se fosse tua figlia e questa è l’unica cosa che conta. Senza poi
trascurare il fatto che ami anche Buffy Summers con ogni fibra del tuo
essere…umano e demoniaco…e che sia lei che la bambina contraccambiano
pienamente i tuoi sentimenti. Un figlio non è di chi gli dà la vita, ma di chi
lo cresce, lo ama e lo guida. Questa persona, mi sembra chiaro, non può essere
Riley Finn, anche perché chissà fra quanto uscirà di galera. Non sei stato tu a
darle la vita, anche se ti è piaciuto crederlo, ma credi veramente che questo
piccolo, e relativamente insignificante particolare possa mandare a monte tutto
quello che tu e Buffy avete sempre sognato? Vuoi veramente permettere che
questo accada, Angel?”.
Angel
sapeva che Lorne aveva ragione ed era perfettamente d’accordo con lui: amava
Ariel proprio come un padre amerebbe la propria figlia e amava Buffy più della
sua stessa vita, ma…ancora una volta avvertiva quel dolore pungente e amaro che
Liam aveva conosciuto quando aveva saputo della morte di Sarah…era proprio come
se avesse di nuovo perso un figlio.
“Non
l’hai perso, Angel: è solo all’ospedale che ti aspetta” gli disse ancora Lorne,
spingendolo via dalla tomba di Helen, in direzione della sua auto.
Angel
lo ringraziò con lo sguardo e meno di un quarto d’ora dopo era nella stanza di
ospedale in cui era ricoverata Buffy.
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Inconsapevolmente
si ritrovò a giocherellare con il suo anello Claddagh: lo ruotava attorno al
dito, se lo sfilava e tornava ad infilarselo in continuazione, ripensando a
quello che aveva detto a Buffy quando gliene aveva regalato uno simile.
Istintivamente
il suo sguardo si posò sulla mano sinistra di Buffy: all’anulare portava solo
un cerchietto di freddo e vuoto oro, nessuna traccia dell’anello che le aveva
donato.
Un
sorriso amaro gli si dipinse sul volto: era ovvio che Buffy non portasse il
Claddagh, anche se forse non era altrettanto logico, visto tutto quello che era
successo, che portasse ancora la fede nuziale. Erano passati tanti anni da
quando glielo aveva regalato e tante, troppe cose erano successe tra loro e
attorno a loro, eppure… Eppure non poté fare a meno di notare che, nonostante
tutto quello che era accaduto e nonostante il fatto che in quegli anni di
lontananza avesse trovato delle donne che gli avevano fatto metaforicamente
battere il cuore (Darla, Kate, …Helen?), lui non aveva mai smesso di portare
quell’anello, e soprattutto non aveva mai smesso di portarlo con la punta del
cuore rivolta verso di lui, a marchiare inequivocabilmente come il suo essere
appartenesse già a qualcuno. Non aveva mai pensato, neanche per un istante, di
toglierlo…neanche per un istante…
Buffy
aprì gli occhi e lo vide lì, accasciato sulla sedia, silenzioso ed
incredibilmente bello, talmente assorto nei suoi pensieri da non accorgersi
nemmeno del suo risveglio.
“Un
penny per i tuoi pensieri” gli disse, distogliendolo dalle sue riflessioni.
“Mi
chiedevo se per te cambia qualcosa?” le rispose Angel.
“Il
fatto che Ariel sia figlia di Riley?” chiese Buffy, come se gli avesse letto
nel pensiero. “No Angel, per me non cambia assolutamente nulla. Io so solo che
ti amo e che Ariel ti ama, e credo che anche tu ami noi due, anche se non è tua
figlia. Lei ha bisogno di un padre e io so che tu saresti perfetto…senz’altro
meglio di Riley. E se Ariel ha bisogno di te, io ne ho bisogno ancora di più:
io ti amo Angel e non voglio mai più dovermi separare da te. Non la voglio più
una vita normale: l’ho avuta, ed è stato un disastro. E lo sai perché? Perché
quella che ho avuto non è stata in realtà una vita normale: la mia vita
normale…la vita normale che voglio…è con te Angel…solo ed esclusivamente con
te…. Ti prego, dimmi che non hai cambiato idea…” chiese Buffy quasi piangendo:
cominciava a temere che il vampiro fosse lì solo per l’ennesimo, dolorosissimo
addio.
Angel
comprese al volo i suoi timori, ed immediatamente le sorrise per rassicurarla:
“No, amore mio, non ho affatto cambiato idea: non dico che sarà facile…io non
posso lasciare Los Angeles e tu non puoi abbandonare Sunnydale…ma vedrai che
troveremo una soluzione per stare insieme, noi due e…nostra figlia…”. Gli occhi
di Buffy si illuminarono a quelle parole. “Anch’io ti amo Buffy, e questa
volta, cadesse il mondo, nulla ci potrà dividere”. Detto questo prese a
baciarla con una tale dolce passione da lasciarla senza fiato, tanto che, suo
malgrado, la ragazza ad un certo punto fu obbligata ad allontanarlo.
“Aspetta”
gli disse, e quindi gli fece segno di aiutarla a sganciare la catenina che
portava al collo. Quando la sfilò da sotto il camice dell’ospedale, Angel poté
notare che vi erano appesi la piccola croce d’argento che le aveva regalato la
prima volta che si erano incontrati, nel vicolo dietro al Bronze, e il suo
anello Claddagh. Buffy sfilò quest’ultimo dalla catenina e quindi si tolse la
fede nuziale. “Com’era la storia? Portalo con la punta del cuore rivolta verso
di te e significherà che appartieni a qualcuno?” disse infilandosi al dito il
piccolo anello, proprio con la punta del cuore rivolta verso il suo.
Angel
sorrise, e a sorridere fu tutta la sua anima. Si riavventò su Buffy riprendendo
a baciarla ogni volta come se fosse la prima volta.
Ancora
una volta Buffy lo fermò e, facendosi sospettosamente seria, gli chiese: “Dici
che gli avvocati della Wolfram & Hart si occupano di pratiche di
divorzio?”.
Angel
ringhiò minacciosamente e Buffy scoppiò a ridere; questa volta fu lei che prese
a baciarlo.
Quando,
poco prima dell’alba, Angel se ne andò, passò davanti alla stanza in cui Ariel,
insieme ad altri tre bambini, dormiva tranquillamente. Si limitò a guardarla
dalla finestra sulla porta, temendo di svegliare quegli angioletti entrando
nella stanza.
“Sì,
questa sera verrò a prendervi e saremo una famiglia” pensò Angel, con il cuore
colmo di gioia ed emozione.
EPILOGO
Angel
sbuffò bonariamente: quel Natale lo avrebbe ucciso!
I
bambini correvano eccitatissimi da tutte le parti, riempiendo di urla e di
bisticci l’aria. Buffy era indaffaratissima in cucina e così il compito di
impacchettare tutti i regali era capitato a lui: ed ora era semplicemente
disperato visto che ogni volta che cominciava ad impacchettare il regalo di uno
dei nipoti questo faceva capolino nella stanza costringendolo bruscamente ad
interrompere e a nascondere il tutto per non rovinare la sorpresa a quelle
cinque piccole pesti. Ovviamente, allo stesso tempo doveva anche badare loro,
assicurandosi che non si facessero male giocando, ed era solo in queste
circostanze che rimpiangeva di non poter più fare affidamento su un fisico
giovane e forte.
La
casa era calda ed accogliente, e l’atmosfera natalizia sembrava entrargli in
corpo da ogni poro della pelle, da ogni respiro: Buffy aveva sempre adorato il
Natale e ci teneva che fosse sempre tutto perfetto.
Per
lui invece era diverso: aveva sempre odiato quella festa. Non perché fosse
fondamentalmente contrario a quello che significava, ma perché da umano l’aveva
sempre vista come la sagra dell’ipocrisia: suo padre, sempre completamente
immerso nei suoi affari, sempre attento ad arricchirsi tanto da dimenticarsi di
avere una famiglia, a Natale, per un giorno, sembrava ricordarsi di loro e del
fatto che il mondo non si limitasse ai suoi dannatissimi affari. Da bambino
Liam aveva gioito per quel giorno in cui suo padre sembrava accorgersi della
sua esistenza, ma crescendo aveva compreso tutta la falsità di quei gesti e
l’insofferenza con cui venivano compiuti. In fondo erano iniziate proprio così,
a causa del Natale, la sua incomprensione nei confronti di suo padre e la sua
ribellione, che era sfociata poi in una guerra aperta. A quell’epoca c’era solo
una persona che gli facesse regali, e c’era solo una persona a cui lui
desiderasse farne uno: sua sorella Katie…lei era il suo Natale.
Poi
era venuto Angelus, che certo non aveva bisogno che fosse Natale per
“festeggiare”, e quando aveva riavuto la sua anima, quella notte che per tutti
era tanto magica, era diventata per lui una notte d’inferno. Ancora non poteva
dimenticare che se non fosse stato per Buffy una volta si sarebbe lasciato
bruciare dai raggi del sole a Natale!
Ma
poi tutto era cambiato.
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Era
successo tutto molto in fretta, due anni dopo il loro scontro con Zara.
Era
successo tutto talmente in fretta che Angel quasi non se ne era reso conto.
Era
sera e, come al solito, stava girando per le strade di Los Angeles, contando i
minuti e i secondi che lo separavano dal ritorno a casa, a Sunnydale, dove
sarebbe giunto giusto in tempo per svegliare Ariel. Era una serata piuttosto
fiacca, e già stava pensando di anticipare un po’ il rientro; poi però sentì
delle urla provenire da un vicolo: si precipitò e salvò un uomo e la sua
compagna da un gruppo di suoi simili particolarmente affamati. Fu una lotta
piuttosto semplice, anche perché i vampiri erano completamente sbronzi, tanto
che si sbarazzò di loro in pochi minuti.
L’uomo
e la donna erano forse più spaventati da lui che da tutto il resto della banda
di vampiri, ma nonostante tutto, quando Angel aveva riassunto le sue fattezze
umane, trovarono il coraggio di ringraziarlo: “Io non so chi o cosa tu sia…”
gli aveva detto l’uomo una volta assicuratosi che il vampiro non avesse
eliminato i suoi simili solo per farsi uno spuntino da solo, “…ma ci hai
salvato la vita e noi non potremo mai ringraziarti abbastanza per questo, ma se
ci dici cosa potremmo fare per sdebitarci noi saremo lietissimi di farlo”.
“L’unica
cosa che potete fare è stare più attenti la prossima volta, ed evitare certe
zone a quest’ora” rispose Angel con un sorriso benevolo.
“Qual
è il tuo nome?” chiese la ragazza.
Angel
si sentiva in imbarazzo, come ogni volta che qualcuno tentava di ringraziarlo per
l’aiuto che gli aveva prestato…sentiva di non meritare tali ringraziamenti…
Abbassando gli occhi a terra mormorò il suo nome.
“Che
Dio ti benedica, Angel. Grazie” disse la ragazza.
Angel
alzò immediatamente lo sguardo, in modo da incontrare quello della donna. Per
un istante i loro occhi si incrociarono e al vampiro parve di conoscere quegli
occhi; poi però i due si erano allontanati nel vicolo, lasciandolo lì, immobile
in mezzo alla strada, ancora con la bocca aperta: lui, Angelus, il vampiro
maledetto, era appena stato benedetto da una sconosciuta in mezzo ad una
strada.
Nessuno
lo aveva mai fatto. In tanti lo avevano ringraziato, ma nessuno era mai giunto
a benedirlo. Certo, quella donna non sapeva nulla di lui, di chi fosse e di
cosa si fosse macchiato; per lei benedirlo era stato semplice: non aveva dovuto
conoscere le sue torture e non aveva dovuto neanche solo immaginarle. Quella
donna era semplicemente una donna che aveva salvato e che quindi, per
ringraziarlo, lo aveva benedetto, probabilmente senza neanche pensarci. La sua
benedizione non contava molto… Eppure era la prima volta che qualcuno lo
benediva…
Angel
si era sentito scaldare il cuore a quelle parole: per quanto distrattamente
potessero essere state pronunciate (ma la donna, a dire il vero, sembrava
piuttosto convinta di ciò che diceva), quelle poche parole erano riuscite a
giungere al suo cuore e alla sua anima. Per la seconda volta da quando era
diventato un mostro, il vampiro si sentì completamente in pace con se stesso.
La
prima reazione era stata quella di farsi prendere dal terrore: l’unica volta
che si era sentito bene, l’unica volta che la sua anima non lo aveva tormentato
anche per un solo istante era stato un mezzo disastro…anzi, era stato un
disastro tutto intero…e il solo pensiero di poter tornare a scatenare Angelus
nel mondo lo terrorizzava. Così quando sentì il demone agitarsi furiosamente
dentro di lui, quando lo sentì ruggire selvaggiamente rivolse verso il suo
cuore il paletto di legno con il quale aveva polverizzato i suoi simili poco
prima.
Fu
la donna che lo aveva benedetto a fermare la sua mano, proprio un istante prima
che la punta di legno penetrasse nella sua carne. Angel non capiva come lei
potesse essere lì dato che l’aveva vista allontanarsi insieme al suo compagno,
ma era una cosa che non aveva importanza in quel momento.
Le
si rivoltò contro disperatamente: quella donna non poteva sapere cosa sarebbe
successo se non si fosse ucciso…Angelus sarebbe tornato e non si sarebbe
lasciato maledire una terza volta: anni prima aveva ucciso Jenny Calendar,
questa volta sarebbe probabilmente toccato a Willow e Tara, e poi a Buffy…e ad
Ariel.
“Va’
via e lascia che faccia ciò che va fatto…non ho molto tempo ancora” disse
angosciato, rivolgendosi alla donna che ancora tratteneva la sua mano.
Ancora
una volta i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza, e in quello sguardo
Angel vide una pace ed una serenità assolute.
Senza
allontanare la sua mano dal braccio di Angel, la donna gli sorrise.
“E’
tutto finito Angel. E’ tutto finito…” si limitò a dirgli dolcemente, lasciando
finalmente la presa sul suo braccio.
Ancora
una volta il vampiro rimase a bocca aperta. Dentro di lui Angelus aveva smesso
di agitarsi, di combattere. Dentro di lui sentì che Angelus non c’era più,
sentì che il demone era stato sconfitto…definitivamente sconfitto… Dentro di
lui sentiva il vuoto, un vuoto enorme, un vuoto spaventoso…
Guardò
ancora la donna, come se lei potesse spiegargli cosa stava succedendo, ma
ancora una volta lei si limitò a sorridergli, e quel sorriso sembrò riempire il
vuoto dentro di lui.
“Ora
anche tu hai diritto alla vita e soprattutto alla felicità” disse, e quindi
svanì nel nulla, proprio davanti agli occhi di Angel.
Prima
ancora di riuscire a comprendere ciò che era accaduto, Angel sentì esplodere
dentro di sé un rumore cupo e ritmico, un rumore ormai quasi dimenticato che
riempiva il vuoto che aveva lasciato Angelus.
Ascoltò
il suo battito cardiaco per qualche istante, senza muovere un solo muscolo nel
terrore che quel rumore cessasse, e perso com’era in quel battito non si rese
neanche conto del fatto che anche la sua respirazione era ripresa e che le sue
mani si stavano scaldando.
Senza
riuscire a formulare nemmeno un pensiero che fosse vagamente coerente, risalì
in macchina e, quasi come un automa, guidò fino a Sunnydale, fino a casa. E fu
solo fra le mura domestiche che riuscì finalmente a realizzare di aver ottenuto
il perdono che gli era stato promesso e di essere tornato umano.
Era
più presto del solito, e anche Buffy stava ancora dormendo tranquillamente.
Staccò la sveglia, in modo che potesse essere lui a svegliarla invece che
quell’aggeggio infernale…in modo che la donna che amava fosse la prima persona
a sapere…
Scese
in cucina e le preparò la colazione, e per la prima volta dopo tanto tempo
provò il desiderio di preparare un caffè e una brioche calda anche per se
stesso, e così fece. Mise tutto u un vassoio e, mentre le prime luci del giorno
entravano in casa, andò a svegliare Buffy.
La
ragazza sorrise dolcemente per quella gradita sorpresa, ma quando vide il
vassoio apparecchiato per due disse: “Va bene che sono una golosa
indescrivibile, ma di solito mi basta una sola brioche… e Ariel ha sette anni:
credo che sia un po’ troppo presto perché beva il caf…”. Buffy non riuscì a
terminare la frase: solo in quell’istante, guardandolo negli occhi per
canzonarlo, si era resa conto del raggio di luce che gli si posava proprio sul
volto.
Questa
volta fu
“Angel…”
fu tutto quello che riuscì a mormorare.
Il
ragazzo le sorrise, e fu quella la prima volta che lo vide sorridere
completamente, senza nessun’ombra negli occhi.
“Il
caffè non è per Ariel…” disse, prendendola in giro, “…e soprattutto la seconda
brioche non è per te… Comunque è meglio mangiarle, altrimenti si raffreddano e
non sono più buone”. Dicendo questo si avvicinò al vassoio poggiato sul letto,
prese uno dei due dolci e, sotto gli occhi esterrefatti della sua ragazza, la
addentò con gusto.
“Angel,
ma tu sei…” fece per chiedere Buffy.
“Umano?”
la interruppe Angel, quasi strozzandosi con il boccone che ancora aveva in
bocca. “Sì, Buffy, il mio più grande desiderio è stato avverato: sono umano,
umano a tutti gli effetti. Non chiedermi come sia successo…non chiedermelo
ancora…perché non ho ancora avuto il tempo di capirlo, ma è così: il mio cuore
batte, i miei polmoni respirano e, porca miseria, ho una fame da non vederci…”
disse afferrando anche l’altra brioche, quella di Buffy, e facendo finta di
addentarla.
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“Quella
mattina è nato Adrian” pensò Angel sorridendo, mentre impacchettava il suo
regalo per la moglie. Era un maglione di calda e morbida lana bianca: non molto
originale forse, ma ormai era da trent’anni che erano sposati, e i regali
originali li avevano esauriti entrambi già da un pezzo. L’unica cosa che era rimasta
immutata in tutti quel tempo era l’amore con cui si scambiavano quei doni e con
cui conducevano la loro vita insieme.
Buffy
aveva quasi sessant’anni ormai, ed Angel, contando solo quelli vissuti come
essere umano, ne aveva cinquantasei (lei diceva spesso che il fatto che lui
fosse più “giovane” di lei non le piaceva affatto), ma si amavano ancora come
la prima volta che si erano incontrati nel vicoletto dietro il Bronze, e
probabilmente anche di più.
Poco
dopo il loro matrimonio, il Consiglio degli Osservatori aveva addestrato una
nuova Cacciatrice, ma aveva chiesto a Buffy di istruirla fin quando non
avessero trovato un Osservatore adatto per lei. La donna sulle prime ci era
rimasta male: lei era stata senz’altro
Solo
con il passare del tempo si era resa conto che, in realtà, il ruolo di
Cacciatrice non le mancava affatto, e soprattutto si rese conto che quello di
ammazzare vampiri non era l’unico modo per essere utile alla gente. Si dedicò
così più serenamente alla sua famiglia, continuando ad occuparsi della galleria
d’arte di sua madre (credeva di odiare quel lavoro, ma da quando aveva preso a
lavorare con sé Cordelia, che con il suo sorriso sarebbe riuscita a vendere
anche Piazza San Pietro al Papa, scoprì che poteva anche essere molto
divertente), mentre Angel, ceduto a Spike il suo ruolo alla Angel
Investigation, aveva aperto una piccola palestra in cui insegnava agli abitanti
della Bocca dell’Inferno a tenersi in forma e a difendersi.
Insieme
avevano cresciuto due figli splendidi: Ariel, sostenuta da tutti quanti, aveva
coltivato il suo dono per il disegno ed era ormai una pittrice affermata (suoi
quadri non mancavano mai alla galleria d’arte, e Buffy diceva che Cordelia non
si divertiva a venderli perché erano talmente belli che non doveva neanche
convincere i clienti ad acquistarli: li vedevano e li volevano). Si era sposata
con uno splendido ragazzo, Robert, da cui aveva avuto due figli: Michael e
Sheryl.
Adrian
era invece un chirurgo neonatale molto affermato ed era il padre di Chris, Joey
e Liz.
Quella
sera erano tutti riuniti in casa per festeggiare il Natale, e presto sarebbero
arrivati anche tutti i loro amici più cari: Cordelia e Xander, che, nonostante
i tentativi non erano mai riusciti ad avere dei figli e che quindi ne avevano
adottato uno che viveva con loro, Jaime, e altri tre a distanza; Willow e Oz,
che invece avevano tre figli sparsi per il mondo, Wesley, Kate, Doyle, Anya,
Gunn e Tara, tutti con i rispettivi consorti; ci sarebbe stato persino Giles
che, ormai vicino ai novanta, non aveva tuttavia perso neanche un briciolo
della sua lucidità e della sua voglia di vivere e di imparare. Sarebbe mancata
solo Joyce, morta pochi mesi prima, ma il dolore era stato superato e il suo
ricordo non suscitava ormai altro che dolci sorrisi.
Sì,
forse quella festa lo avrebbe ucciso, ma una cosa era certa: Angel ormai non
odiava più il Natale.