PANTA REI

Di Sallybrown

 

 

 

Tutto cambia ...

 

Giles non aveva nemmeno alzato la testa su di lui. Seduto sul suo sofà, nella penombra del salotto, parlò più come un padre che rimprovera il figlio che come un nemico che da un ultimatum. "Ti conosco, Spike. So come ragiona quella tua testa. Sta alla larga da lei".

 

o-o-o

 

La vita di un essere umano è mediocre e senza scopo. Vivi per venire deriso e insultato dai tuoi simili, respinto dalla donna che ami, considerato meno di una nullità e soffocato da una madre apprensiva…

"William? Tesoro, dove sei stato? Hai sentito che cose terribili succedono in giro per la città di notte... William... Stai bene?"

 

 

 

William rimase per qualche istante a terra, ansimante, gocce di sudore si andavano raffreddando sulla sua pelle. Quell'essere che era stato una splendida donna bruna fino a qualche secondo prima, ora lo guardava, come sul punto di dire qualcosa, o fare qualcosa.

William pregava che tutto questo finisse in fretta, l'agonia di quel momento, guardare in quegli occhi gialli e famelici, lo paralizzava; era impietrito dalla paura. Vedeva il suo sangue gocciolarle dall'angolo della bocca.

Un gelo improvviso gli aveva invaso le vene e la testa, gli arti ridotti ad appendici insensibili e inservibili alle estremità del suo corpo che andava perdendo calore.

Sentiva brividi di freddo salirgli come insetti carnivori sulla schiena e il collo, come se volessero entrargli in testa e divorare quel poco che rimaneva della sua mente sopraffatta dall'orrore.

La lucidità veniva meno, pensare diventava sempre più difficile.

Sperava che l'essere lo uccidesse in fretta, prima che fosse impazzito.

Lo squarcio che aveva nel collo pulsava di dolore e vita che gli sfuggiva, scivolava, e lo lasciava terra esangue e svuotato… E quella creatura spaventosa ancora china su di lui, affamata, vorace, sorridente.

In quell'attimo che andava dilatandosi all'infinito, William la studiava, attento e scrupoloso. Era quella l'ultima cosa che avrebbe visto di questo mondo? Una immonda creatura che si cibava di lui estasiata?

Beh, in quale altro modo avrei mai potuto morire io? Pessimo poeta e uomo mediocre. Nessuno sentirà la mia mancanza. Giusto mia madre verserà qualche lacrima.

All'improvviso si sentì invadere da una inspiegabile pace.

Strappami da questo mondo che mi riserva solo dolore e indifferenza! Non vale la pena vivere per essere considerati inferiori.

Ora colmo di gratitudine per quella bestia che gli stava rubando la vita in un momento, William allungò una mano a toccarle il viso deforme. Il contatto con quella pelle dura e fredda lo fece rabbrividire ancora di più. Nonostante questo, non ne era più spaventato.

"Uccidimi".

Un guizzo, un lampo passò negli occhi della creatura. Aveva indietreggiato impercettibilmente, lo guardava, stupefatta. O almeno, così gli sembrava.

Capì in quel momento che il suo scopo non era ucciderlo. Non letteralmente.

"Cosa vuoi?", le chiese; la voce un sussurro, occhi negli occhi, fissi, attenti, all'erta.

"Tu non sei fatto per questo mondo ingrato. Sei destinato ad una esistenza più nobile e superiore a quella di queste povere creature mortali a cui non restano che pochi anni di vita. Io ti posso rendere immortale. Restituirti ciò che la vita ti ha portato via. Tu sei una stella, William, e devi brillare sopra le loro teste fino alla fine del mondo e oltre".

Perso in quelle parole, poco gli importava del resto.

Era tutto così confuso… I rumori nella strada, a pochi metri, la gente che passava, le voci, gli zoccoli dei cavalli, le ruote dei carri. I suoni si attutivano e echeggiavano da qualche parte in quel vicolo o nel suo cervello.

Stava perdendo lucidità e i colori sparivano, tutti si faceva grigio, lontano, sfocato.

Roteò gli occhi all'indietro senza vedere niente. Si accorse di una pressione contro le sue labbra, abbastanza forte e decisa da fargliele socchiudere. Un liquido denso e freddo gli scivolò sulla lingua, tra i denti, nella gola.

Ancora la voce della creatura, vicina, talmente vicina da sentirla dentro la sua testa.

"Bevi, William, dissetati e unisciti a me".

Nero. All'improvviso. Tutto. Divenne...

 

o-o-o

 

Spike non se ne andò. Conosceva Giles, sapeva capire quando diventava pericoloso. E in quel momento non lo era. Non ancora.

Si sedette sulla poltrona di fronte a lui, percependolo più che vedendolo attraverso l'oscurità.§

"Li ho uccisi tutti. Prima Cecily, poi quegli stupidi piccolo borghesi che avevano riso di me e dei miei sentimenti. E poi mia madre, piagnucolosa e opprimente".

Giles alzò la testa, un flebile raggio di luna penetrante dalle persiane abbassate si rifletteva sulle lenti dei suoi occhiali. I sensi di Spike si fecero più acuti e attenti. Per un attimo si irrigidì contro lo schienale. Ma la voce dell'uomo era stanca, frustrata, quasi implorante.

"Sei venuto qui per vantarti?". Spike, mascella contratta, non rispose.

Un sospiro, quindi: "...e poi è storia vecchia, Spike. Me lo hai già raccontato venti anni fa, ricordi?".

Ora si sentiva offeso.

"Non sono venuto qui per farti un riassunto, Rupert. E nemmeno per darti giustificazioni delle mie azioni. Non sto cercando la tua approvazione. Non sei suo padre".

Quell'ultima frase detta freddamente, a bruciapelo, fece scattare qualcosa nell'uomo. Prima pacato e stanco, ora furioso e offeso.

"Lei è sotto la mia responsabilità. Sono il suo Osservatore. Non servono legami di sangue per provare quello che provo".

"Sono commosso". Sembrava deriderlo.

"Non farlo, Spike, non rifarti sulla mia pelle per tutti i rifiuti che hai ricevuto. Vattene e lasciaci in pace".

Spike sogghignò, invisibile agli occhi di Giles, con la luce della luna alle sue spalle.

"Non le hai detto perché hai lasciato l' Inghilterra, vero? Dico, prima di diventare un Osservatore, prima di sapere che dovevi unirti a lei".

Giles sollevò per l'ennesima volta lo sguardo su di lui, fulmineo. Ancora quella lama di luce sulle lenti. E ancora Spike avvertiva la minaccia. La respirava, nell'aria, quell'odore acre e pungente dell'adrenalina. Lo trovava divertente. Talmente divertente che non poté fare a meno di uscire con una risatina acida.

Giles corrugò le sopracciglia; ora era lui a sentirsi offeso.

“Sei l’ultimo che può ridere di me!”.

Spike riprese fiato. “Non sto ridendo di te, ma di questa strana situazione, Rupert. Non vedi quanto siamo simili?”.

Giles sembrava non seguirlo. Chinò la testa d’un lato, avvicinandosi al vampiro.

“Cosa vuoi dirmi, Spike? Fallo e poi vattene”.

Spike prese una penna dal contenitore di latta sul tavolino da the; se la rigirò tra le dita, apparentemente soprappensiero. Giles si faceva sempre più nervoso.

“Spike…”, sibilò, avvicinandosi ancora di più.

Spike finalmente tornò a guardarlo. Lo sguardo compiaciuto, le labbra leggermente piegate da una parte, una smorfia appena accennata.

“Credi di essere cambiato? Credi davvero che lei ti abbia cambiato?”

“E’ la stessa cosa che sostieni tu, mi pare”.

“Tu non hai un chip nella testa”.

“E tu non hai l’anima”.