DONI
By Silea
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Normandia, decimo secolo dopo
Cristo.
-Non è magnifica?
Disse Leo eccitato
appena raggiunsero la cima della collina.
-Non avrei mai
immaginato fosse così grande.
Replicò con molto
meno entusiasmo Tancredi. L’idea non lo convinceva completamente. Accettare, no
pretendere il pagamento per i loro servizi era sacrosanto, ma accettare un dono
simile lo metteva a disagio. Aveva un cattivo presentimento a riguardo della
faccenda. Nella sua vita nulla di buono era venuto gratuitamente. Aveva sempre
pagato per ottenere qualcosa, che fosse in sudore o sangue od in denaro.
Non poteva fare a
meno di chiedersi quale fosse il ritorno del barone Gher.
La proprietà che aveva assegnato loro era vasta, e per
quanto al momento non fosse nella migliore delle condizioni solo la villa che
si ergeva nella valle di fronte a lui valeva una piccola fortuna.
Non era la
gratitudine dimostrata dal barone ad impensierire Tancredi, era la munificenza.
L’inaspettata munificenza. Il feudatario non era conosciuto per la sua
generosità. Al contrario.
-Come mai è stata
abbandonata?
Chiese dopo aver
studiato la struttura per qualche minuto. Era vecchia ed ovviamente trascurata
ma nel complesso non sembrava eccessivamente decrepita. Ci sarebbe voluto del
lavoro ma non sarebbe stata impossibile da risistemare.
“Basterà
riscuotere il favore che la gilda dei muratori di Rouen ci deve, fornire un po’
di manodopera e altre materie prime…”
Senza contare che
da un punto di vista puramente pratico la villa avrebbe fatto molto comodo alla
propria organizzazione. Dopo qualcosa come un secolo di attività il gruppo
originario di Cacciatori era diventato molto più numeroso, tanto da essersi
organizzato in una gilda, ed coordinare le varie bande senza un quartier
generale adeguato si stava rivelando più difficile del previsto, ed che avere
finalmente un posto stabile dove addestrare i nuovi membri prima di assegnarli
alle diverse bande si sarebbe rivelato molto utile. Il vecchio sistema di
apprendistato direttamente sul campo, in cui le reclute seguivano i Cacciatori
più esperti, senza avere una minima preparazione con le armi, si stava
rivelando letale per molti dei più giovani.
“Colpa
degli incarichi che accettiamo. Sono i più pagati, quello si, ma anche i più
pericolosi. E buttare dei ragazzini inesperti in quelle situazioni è
praticamente un omicidio.”
Naturalmente chi
sopravviveva al primo periodo di servizio diventava più prudente e capace,
nonché esperto, ma il tasso di mortalità iniziale stava cominciando ad sfoltire
le fila della confraternita più velocemente di quanto non riuscissero a
reclutare giovani.
-Le leggende locali dicono che il bosco sia abitato da
demoni.
Disse Leo scrollando
le spalle indifferente alle paure dei contadini. “Storie buone da raccontare
davanti ad un fuoco…” le chiamava. Sapeva che alcune delle bestie che
abbattevano erano strane, ma non credeva affatto fossero innaturali. “Sono
cristiano, non superstizioso”, così aveva risposto una volta ad una domanda su
questa sua incredulità a riguardo della possibilità che i demoni calcassero la
terra degli uomini.
Tancredi studiò il
compagno di viaggio per qualche secondo.
“Sarà anche uno dei
migliori Cacciatori che ho mai conosciuto ma di certo Leo è troppo pronto a
giudicare esagerato quanto gli si dice se non ha mai visto nulla di simile in
precedenza. Non ha mai capito che questo non è un gioco. Che la gente muore a causa della storie da focolare… è sempre stato troppo
bravo per subire gli effetti in prima persona… e probabilmente quando scoprirà
che non è un gioco, sarà troppo tardi.. per lui e per la sua banda…”
-Che genere di
demoni?
Dire che il capo
dei Cacciatori non era entusiasta alla notizia era un eufemismo.
“Sembra che il
caro barone e Leo si siano opportunamente dimenticati di informarmi di alcuni
piccoli particolari… non che avrebbe poi fatto molta differenza, considerando
che noi semplici plebei non possiamo rifiutare doni fatti da nobili…”
-Le solite storie, sputavano fuoco, apparivano dal
nulla, mangiavano persone…
Tancredi si
trattenne a stento dal sospirare.
“Chissà come mai
le migliori qualità di Leo sono anche i suoi peggiori difetti. Troppo spesso la
sua riluttanza a credere che i mostri con cui ci scontriamo siano di origine
soprannaturale lo portano a credere che le storie che si raccontano siano solo
frutto di superstizione… e non è sempre così…”
-Va bene, appena
possibile manderò una squadra ad esplorare il bosco. –Tancredi lanciò uno
sguardo verso la boscaglia. Non era esattamente a ridosso della villa, ma
neppure sufficientemente lontana da farlo stare tranquillo. Senza considerare
che tra il limite degli alberi e la costruzione la sterpaglia era folta e piuttosto alta. “Praticamente perfetta per
nascondere perfino un mastino infernale.” –C’è altro che dovrei sapere?
Aggiunse dopo un
attimo con un tono appena aspro.
-Nulla di che.
–Disse Leo scrollando di nuovo le spalle. –Il barone insiste affinché la
cappella costruita nella villa sia rimessa a nuovo. Sembra che il vescovo
voglia stanziare un prete o due nella proprietà.
Tancredi girò la
testa talmente velocemente da rischiare uno strappo ai muscoli del collo.
-Preti?
Ripeté allibito.
-Già, qualcosa a
che fare con la necessità di aumentare la presenza di predicatori in questa
regione. Sembra che il vescovo sia preoccupato della reale cristianizzazione di
molti tra contadini e pastori. Ci sono diversi villaggi sparsi qui attorno,
verso est, che non hanno una chiesa. Il vescovo vuole provvedere a
evangelizzare completamente la popolazione.
“E tra questa ci
sono i Cacciatori ragazzo, anche Cacciatori…”
Tancredi era il
primo ad ammettere di non essere particolarmente credente.
“Difficile
esserlo con tutte le cose che ho visto… e la mia infanzia di certo non aiuta…”
Come tutti gli
orfani cresciuti in un monastero diretto da un abate eccessivamente rigoroso
tendeva a far parte di uno di due gruppi ben distinti. Il primo, e più
numeroso, era formato da quei ragazzi che diventavano monaci appena in grado di
prendere i voti, per poi trasformarsi in religiosi altrettanto rigorosi, il
secondo, del quale faceva parte, di quelli che scappava il
prima possibile dal monastero.
“Avevo solo
dodici anni… fortuna ha voluto incontrassi una delle squadre di Cacciatori… e
che loro fossero sufficientemente seccati dal raccogliere legna e prepararsi da
mangiare da permettermi di seguirli…”
-Non ci servono
preti.
Disse tagliente.
Provava ancora risentimento nei confronti delle crudeli punizioni subite da
bambino. Aveva ancora i segni sulla schiena a ricordo di alcune delle lezioni
impartite dall’abate stesso.
-Che male vuoi che
facciano?
Chiese Leo
spensierato ed un po’ incuriosito dalla sua violenta reazione all’idea.
“Non lo so e non
ho neanche intenzione di scoprirlo.”
Pensò Tancredi.
-Non mi importa.
Non voglio dei preti nella mia proprietà.
Ripeté seccato
Tancredi.
-Non è aperto alla
contrattazione capo. –Disse Leo, fissandolo negli occhi, l’espressione completamente
seria. –Il vescovo ha deciso così.
Come se la cosa
chiudesse qualsiasi possibilità di replica.
“E per lui è
sufficiente “l’ha detto il vescovo…” perché sia davvero così…” Pensò tra sé
Tancredi infastidito dalla mentalità. “…Leo è un fervente cristiano… e non è
l’unico…”
Tutti i Cacciatori
erano cristiani, anche se la maggior parte tendevano più verso le posizioni di
Tancredi stesso che quelle di Leo. “Sembra quasi che in questa gilda entrino
solo ferventi fedeli o cinici credenti come me.” Ed il Rettore della gilda
sapeva di non poter fare nulla per impedire al vescovo di inviare quanti preti
desiderasse nella piccola cappella collegata all’edificio centrale della villa.
“Perfetto, passo
la mia intera vita senza ricevere un dono degno di nota, a parte la spada
datami dal mio mentore, ed in un solo giorno riesco a ottenerne due che mi
complicheranno l’esistenza oltre ogni attesa.”
-Forza, andiamo giù
a vedere in che condizioni è la villa.
-Solo storie da
focolare, eh? Che tu sia maledetto!
Urlò Tancredi
disperatamente, la voce rauca ed il dolore evidente in ogni sua parola. Il suo
volto era sporco di terra e sangue, e rigato di lacrime mentre si avvicinava a
grandi passi verso Leo con il corpo senza vita del figlio stretto fra le
braccia.
Leo distolse lo
sguardo fissandolo sulle proprie mani che stringevano convulsamente un’ascia da
guerra tolta ad uno dei morti. Notò che erano graffiate ed insanguinate, come
le sue braccia, lasciate scoperte dalla corazza, quella che era stata il suo
orgoglio personale e che oramai era ridotta ad una massa deforme e sdrucita,
piena di chiazze di sangue rappreso.
I primi sei mesi
nella nuova sede erano trascorsi senza grandi eventi. Grazie all’aiuto dei
muratori avevano rimesso a nuovo la villa prima della fine della primavera, e
per la metà dell’estate cinque frati si erano stabiliti nella cappella. Alla
scoperta che i monaci non erano assegnati solo al quartier generale della Gilda
ma all’intero territorio Tancredi aveva tirato un sospiro di sollievo. Spesso uno
o due di loro si univa alle bande che si allontanavano dalla villa per andare a
predicare nei villaggi sparsi lungo la strada maestra. Non c’era una vera e
propria chiesa nei paesi nell’arco di due giorni di cammino dalla villa e loro
erano gli unici religiosi della zona.
Inizialmente
Tancredi era rimasto incredulo davanti alla rapidità con cui la piccola e
contemplativa comunità di frati si era unita, senza contrasto apparente, a
quella ben più pratica e secolare dei cacciatori. Era stato anche strano ammettere
a se stesso che in fondo i cinque frati non erano male, Tancredi aveva scoperto
che il capo della comunità era una persona piacevole, ed il fatto che i
restanti monaci fossero piuttosto riservati e riuscissero a condurre il proprio
lavoro senza interferire nel suo rendeva gli altri più che accettabili.
Poi era arrivata la
neve.
Ed i mostri.
I frati li
chiamavano demoni, dicevano che erano incarnazioni di Satana. Alla loro prima
comparsa si erano messi a pregare affinché Dio li aiutasse a combattere e
sconfiggere le bestie del diavolo. Ora, un mese dopo, imploravano e
supplicavano Dio di salvarli.
Alla prima
avvisaglia di un problema, il ritrovamento del corpo storpiato e fatto a pezzi
di uno dei servi della villa, Tancredi aveva immediatamente organizzato una più
stretta sorveglianza dei dintorni, aumentando i turni di guardia ed avvisando
tutti di non uscire dalle mura della villa da soli.
Avevano atteso due
giorni, sperando che gli animali responsabili dell’accaduto si avvicinassero
abbastanza alle mura di cinta da poter essere
abbattuti senza pericolo per i cacciatori. In molti avevano creduto si
trattasse di lupi. Tancredi aveva visto abbastanza vittime di quei predatori da
sapere che non era vero. Avrebbe giurato si fosse trattato di volpi, i morsi
visibili erano della grandezza giusta, ma il numero di ferite, indice che
l’attacco era stato compiuto da più di un solo animale, ed i profondi graffi,
più profondi e numerosi di quelli lasciati da un gatto selvatico, erano stati
più che sufficienti per farglielo escludere.
Non accadde nulla.
Nessun
avvistamento, nessun rumore, nessuna traccia.
Il terzo giorno
Tancredi aveva deciso di mandare una delle bande di cacciatori più esperti in
esplorazione. Sperava che i cinque riuscissero a trovare tracce delle bestie
nei pressi del bosco o comunque sul manto nevoso, così da capire cosa si
trovavano ad affrontare, molti tra i più navigati cacciatori condividevano le
conclusioni di Tancredi riguardo i veri responsabili
dell’attacco.
Tancredi aveva
ordinato loro di aspettare mezzogiorno prima di muoversi. Era stato un ordine
frutto di una scelta ragionata, qualcosa che avrebbe dovuto dare una protezione
aggiuntiva alla banda, od almeno così aveva creduto. Il primo attacco, quello
contro il servo, era avvenuto di notte, o comunque vicino al tramonto. Tancredi
e gli altri avevano creduto che le bestie che avevano attaccato l’uomo
cacciassero solo di notte.
Non era così.
Avevano percorso
meno di cinquecento metri quando furono attaccati.
Dal nulla era
apparsa un’intera orda di piccole creature grigie che si era riversata sui
cinque cacciatori, latrando e ringhiando. Sorpresi, gli uomini erano riusciti
solo a tirare fuori i propri coltelli tentando un’inutile
quanto disperata difesa. Diverse bestie erano cadute sotto i colpi ed i
loro corpi grigi si erano ammucchiati in fretta ai piedi dei cacciatori, ma il
loro semplice numero fu sufficiente a sopraffare i cinque in meno di due
minuti.
Anche gli uomini
caddero, urlando torturati mentre le loro carni venivano straziate da decine di
piccoli artigli e di bocche piene di denti aguzzi, ed il loro sangue rosso era
andato a macchiare irregolarmente la neve, così diverso
da quello azzurro delle bestie, ma ugualmente vivido contro il bianco del
terreno.
Le sentinelle sulle
mura non avevano potuto che assistere allibite ed orripilante alla scena.
Avevano suonato l’allarme, più per disperazione che nella speranza di ricevere
aiuto, attirando l’attenzione di molti nel cortile. All’inaspettato suono
diverse persone erano salite velocemente sui parapetti solo per assistere
impotenti anche loro alla morte dei propri amici, realizzando
immediatamente che non ci sarebbe stato abbastanza tempo per organizzare un
qualsiasi tentativo di soccorso. Molti avevano distolto lo sguardo dalla fine dei
cinque uomini, altri non erano riusciti a controllare il proprio stomaco di
fronte all’evidenza.
Quando anche
l’ultimo urlo, un gemito ormai, si era spento nell’aria, era calato un silenzio
irreale nella villa. Tancredi era rimasto a lungo sul parapetto, immobile, lo
sguardo fisso su quanto rimaneva dei cinque che aveva mandato in ricognizione.
Non ci volle molto
perché gli abitanti della villa si rendessero conto che quello delle bestie era
un vero e proprio assedio e non una serie di sporadici attacchi.
Qualsiasi persona
uscisse dalla villa o cercasse di entrare veniva attaccata, e brutalmente
uccisa, a prescindere dall’ora a cui si facesse il tentativo. Avevano perso un
altro servo, un ragazzo giovane che dopo il quinto giorno di attesa non aveva
deciso di dimostrare il proprio coraggio avventurandosi fuori dalle mura,
ignorando gli appelli delle sentinelle, certo che le bestie se ne fossero
andate. Non arrivò a percorrere trecento metri.
Poi era stata la
volta di una seconda banda.
Era stata solo una
tragica fatalità.
Invece di svernare
a nord, come programmato, Amadeo aveva deciso di
portare i suoi uomini nel nuovo quartier generale.
Una scelta che si
rivelò fatale.
La banda era
riuscita appena ad arrivare all’imboccatura della valle prima di essere
sbranata.
Le sentinelle che
assistettero alla scena lo fecero con una sorta di distacco misto a
rassegnazione. Ormai nessuno di loro credeva veramente di uscire vivo da quella
villa.
Dopo una settimana
dopo il terzo attacco un altro dei servi aveva lasciato le mura appena calata
la notte, la nervosa attesa gli aveva fatto cedere i nervi e troppo
terrorizzato per ragionare aveva abbandonato la protezione della villa. Di lui
non si seppe neppure quanta strada avesse fatto prima di cadere preda degli
animali.
Le bestie
rinunciarono alla paziente attesa in favore di un approccio più diretto il
ventesimo giorno. Dopo di allora fu un ininterrotto susseguirsi di attacchi, di
giorno e di notte, attuati ad intervalli irregolari, sempre in un punto diverso
delle mura. Ben presto Tancredi e gli altri si accorsero con orrore che tale
punto era sempre il meno sorvegliato o quello presidiato dalle sentinelle meno
esperte o più stanche.
Ebbero la prova che
le bestie erano intelligenti.
Riorganizzarono i
turni di sorveglianza con attenzione, le bande di cacciatori furono smembrate,
i più esperti vennero divisi in turni in modo da coprire l’intera giornata e
poi accoppiati con servi armati, ai più giovani venne dato il compito di
pattugliare le mura ad intervalli regolari.
Dieci giorni dopo
erano tutti esausti.
I continui turni di
guardia erano massacranti, molti tra gli uomini non avevano potuto dormire per
più di una manciata di ore consecutivamente da tempo, e le attese tra gli
attacchi erano diventate sempre più snervanti mentre lo stillicidio di morti e feriti continuava, tanto che diversi cacciatori
avevano cominciato ad accogliere con sollievo gli assalti delle bestie.
Fu in uno di
questi, uguale alla dozzina precedente ed a quella successiva, che uno degli
animali riuscì ad azzannare alla gola il figlio di Tancredi, che in quel
momento si trovava sul parapetto orientale per portare acqua alle sentinelle.
La scoperta, come
molte, avvenne per caso.
-All’armi! All’armi! Assalto! Ci
assaltano!
Urlò Pel alzando da
terra l’ascia che ormai gli apparteneva e preparandosi a difendere se stesso e
la gente della villa.
Un gruppo di
demoni, sempre più persone li chiamavano così, era difficile stimare il numero
alla luce incerta delle torce, aveva cominciato a scalare le mura.
Quella era stata
un’altra sorpresa.
Le bestie, per la
loro mole, non erano più grandi di un cani di media
taglia, si erano dimostrate subito avversari ostici. Erano veloci, abbastanza
da scartare con facilità le frecce scagliategli contro, agili, sufficientemente
da scalare le mura in una manciata di secondi, e spietatamente determinate una
volta superati i parapetti. Non smembrava che nulla le intimorisse, non i
morti, non le urla, solo del fuoco erano leggermente allarmate.
Leo, il cacciatore
appaiato con Pel, accorse immediatamente, anche lui
armato di ascia. Fino a quel momento si stava dimostrando una delle armi
migliori per uccidere i demoni, pesante abbastanza da
ucciderli con un colpo solo, ma ancora facile da maneggiare in spazi ristretti.
In quelle sei
settimane di assedio era cambiato drammaticamente.
L’arrogante
cacciatore convinto di poter abbattere qualsiasi animale era scomparso, la suo posto c’era un uomo stanco, talmente stanco da addormentarsi
non appena fermo per più di qualche secondo e tanto teso da svegliarsi di
soprassalto al minimo rumore o movimento, le armi già impugnate. Ogni giorno di
più si sentiva una preda in preda in trappola. Non sapeva quanto ancora sarebbe
potuto durare sia fisicamente che mentalmente.
Era allo stremo.
Come tutti.
Leo socchiuse gli
occhi per riuscire ad individuare i demoni, trasalendo al dolore provocato
dall’azione. Le tre ferite parallele, frutto degli artigli di una bestia arrivata
veramente troppo vicina, gli attraversavano il volto dal sopraciglio destro
alle labbra, erano ancora fresche, abbastanza da far male ogni volta che
muoveva un singolo muscolo della faccia.
Appena una piccola,
triangolare testa si sporse oltre il parapetto Leo sferrò un colpo, tagliandola
di netto. Sentì il rumore del corpo cadere ed i guaiti degli altri demoni
colpiti.
Sorrise con fredda
soddisfazione.
Ma quello era solo
il primo demone a raggiungere il parapetto. Ne seguirono altri. Molti altri.
A volte sembrava
che quelle bestie fossero infinite, che per ognuno abbattuto
due ne prendessero il posto. Era stata questa realtà, constatata solo
una manciata di giorni dopo l’inizio degli attacchi, a togliere definitivamente
la speranza al gruppo di Cacciatori.
Ben presto il mondo
di Leo si ridusse ad un continuo sferrare di colpi, di spintoni, di passi
guadagnati e poi persi in una direzione in un'altra e di ringhi, animaleschi o
meno, misti ad urla, mentre le ferite venivano registrate in un angolo del
cervello per essere sentite dopo.
Se ci fosse stato
un dopo.
Uno dei demoni gli
saltò addosso mentre Leo era ancora sbilanciato dal colpo precedente, quello
che aveva spacciato una delle bestie. L’impeto dell’animale fu sufficiente
perché l’uomo cadesse all’indietro, con il demone ringhiante ancora sopra.
L’impatto con le assi di legno gli fece perdere il fiato e la sua testa andò a
sbattere contro qualcosa di duro e metallico con forza sufficiente a stordirlo
per un attimo.
Istintivamente Leo
alzò un braccio fermando le fauci della bestia prima che si potessero chiudere
sulla usa gola. Il dolore fu improvviso, intenso e
lancinante.
Tentando
disperatamente di non perdere conoscenza a causa dell’intesa sofferenza,
sapendo che se sarebbe accaduto avrebbe perso anche la vita, il Cacciatore
distolse lo sguardo dagli ipnotici occhi azzurri dell’animale sopra di lui per
cercare la sua ascia, persa durante la caduta.
Era finita contro
il muro del parapetto a meno di un metro da lui.
Goffamente cercò di
raggiungerla a tentoni con il braccio sinistro
cercando al contempo di sfuggire ai tentativi del demone, il quale aveva
apparentemente deciso che accecarlo con gli artigli delle zampe anteriori
sarebbe stato più utile che tenere le unghie piantate nel suo petto.
Cercando di
arrivare a tastoni all’ascia Leo andò a sbattere
contro uno dei sostegni delle torce. La fiaccola, già fissata precariamente si
staccò e cadde dal suo sostegno.
Non appena la
fiamma sfiorò il pelo del demone, la pelliccia prese fuoco.
Fu un attimo.
Terrorizzato
l’animale emise un lamento straziato, mollò la presa e scappò.
Non andò lontano.
Due metri appena,
forse tre, e tutto quello che era rimasto della bestia era una carcassa
annerita ed una puzza nauseante.
Incredulo Leo si
alzò sui gomiti.
Per lunghi istanti
osservò la scena, incapace di accettare quanto era accaduto di fronte ai suoi
occhi.
Poi sorrise.
Per la prima volta
dalla morte del figlio di Tancredi, Leo sorrise.
Si alzò in piedi,
afferrò la torcia, rotolata a qualche passo appena ed ancora accesa, ed andò a
caccia.
-E’ permesso?
Tancredi alzò lo
sguardo dal fuoco per andarlo a fissare sulla figura che si trovava alla porta.
-Entra pure padre
Martino e vieni vicino al camino.
Il frate sorrise e si
andò a sedere nella sedia di fronte a quella del capo dei Cacciatori. Lo
osservò per un momento prima di parlare. Era cambiato molto, tutti erano
cambiati molto dopo quanto accaduto quell’inverno di tre anni prima.
Tancredi era
invecchiato. I capelli non erano più brizzolati, ma
grigi, le sue spalle erano appena incurvate ed il volto era segnato da rughe.
Aveva rinunciato ad andare a caccia a favore di un lavoro solo amministrativo.
E da quando aveva
perso il figlio nessuno lo aveva più visto sorridere sinceramente.
-Saputo nulla della
banda di Leo?
Anche il giovane
caposquadra era cambiato durante quell’inverno. Per mancanza di un termine
migliore era maturato. Prima era un buon comandante, ora era diventato il
migliore comandante possibile oltre ad essere già il miglior cacciatore.
La sua banda era
stata aumentata a dieci uomini e sistematicamente si prendeva cura delle
missioni più pericolose e particolari affidate ai Cacciatori.
-Si dovrebbero
rientrare entro una decina di giorni. Hanno già un'altra missione in programma
per dopo.
Replicò piuttosto
indifferente ed appena incurante il cacciatore.
La cosa che non era
sopravvissuta a qual fatidico inverno era stata l’amicizia che aveva legato
proprio Leo e Tancredi, nata quando il primo era stato allievo nel secondo e
cresciuta velocemente e stabilmente nel tempo. Ora fra loro c’era giusto la
cortesia professionale necessaria al capo dei Cacciatori nel trattare con il suo capo banda migliore, e probabile successore, e un
tocco appena di stima, mista a così tante altre emozioni negative, come rabbia
e senso di colpa, da risultare al meglio difficoltosa ed incerta. Così i due si
evitavano per quanto possibile, la banda di Leo era quella che lavorava di più
sul campo, e per via della loro posizione entrambi si
erano ritrovati soli.
Entrambi avevano
trovato consolazione in altro. Tancredi nelle memorie del figlio e della
moglie, morta qualche mese dopo il ragazzo, Leo nella fede cristiana e
nell’amicizia proprio di Martino.
-Ho un dono per te.
Disse il frate dopo
un attimo di silenzio, porgendo a Tancredi un libro.
-Forse non ti farà
piacere, non subito almeno. –Continuò Martino. –Ma è la cronaca di quanto
accaduto tre anni fa. Parla dei demoni e di come li abbiamo sconfitti.
L’idea gli era
venuta per caso. Una sera Leo aveva cominciato a raccontargli quanto accadeva
durante le cacce ai demoni. Lo aveva fatto per cercare conforto. Ascoltando le
storie, talvolta raccapriccianti, altre incredibili. Martino aveva realizzato che ben presto il mondo si sarebbe dimenticato di
quelle bestie di satana, e di come sconfiggerle. Così aveva deciso di
trascriverle.
Tancredi osservò a
lungo il libro che aveva tra le mani, incerto su come sentirsi. Arrabbiato e
ferito forse, oppure felice e grato. Non lo sapeva, al momento era solo tanto
stanco.
-Forse un giorno ti
ringrazierò per questo, ma per ora posso solo accettarlo.
Martino annuì e si
alzò dalla sedia, lasciando Tancredi a contemplare il volume rilegato in pelle.
“Cronaca.”
Si intitolava.