DONI

By Silea

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Normandia, decimo secolo dopo Cristo.

 

 

-Non è magnifica?

Disse Leo eccitato appena raggiunsero la cima della collina.

-Non avrei mai immaginato fosse così grande.

Replicò con molto meno entusiasmo Tancredi. L’idea non lo convinceva completamente. Accettare, no pretendere il pagamento per i loro servizi era sacrosanto, ma accettare un dono simile lo metteva a disagio. Aveva un cattivo presentimento a riguardo della faccenda. Nella sua vita nulla di buono era venuto gratuitamente. Aveva sempre pagato per ottenere qualcosa, che fosse in sudore o sangue od in denaro.

Non poteva fare a meno di chiedersi quale fosse il ritorno del barone Gher. La proprietà che aveva assegnato loro era vasta, e per quanto al momento non fosse nella migliore delle condizioni solo la villa che si ergeva nella valle di fronte a lui valeva una piccola fortuna.

Non era la gratitudine dimostrata dal barone ad impensierire Tancredi, era la munificenza. L’inaspettata munificenza. Il feudatario non era conosciuto per la sua generosità. Al contrario.

-Come mai è stata abbandonata?

Chiese dopo aver studiato la struttura per qualche minuto. Era vecchia ed ovviamente trascurata ma nel complesso non sembrava eccessivamente decrepita. Ci sarebbe voluto del lavoro ma non sarebbe stata impossibile da risistemare.

Basterà riscuotere il favore che la gilda dei muratori di Rouen ci deve, fornire un po’ di manodopera e altre materie prime…

Senza contare che da un punto di vista puramente pratico la villa avrebbe fatto molto comodo alla propria organizzazione. Dopo qualcosa come un secolo di attività il gruppo originario di Cacciatori era diventato molto più numeroso, tanto da essersi organizzato in una gilda, ed coordinare le varie bande senza un quartier generale adeguato si stava rivelando più difficile del previsto, ed che avere finalmente un posto stabile dove addestrare i nuovi membri prima di assegnarli alle diverse bande si sarebbe rivelato molto utile. Il vecchio sistema di apprendistato direttamente sul campo, in cui le reclute seguivano i Cacciatori più esperti, senza avere una minima preparazione con le armi, si stava rivelando letale per molti dei più giovani.

Colpa degli incarichi che accettiamo. Sono i più pagati, quello si, ma anche i più pericolosi. E buttare dei ragazzini inesperti in quelle situazioni è praticamente un omicidio.

Naturalmente chi sopravviveva al primo periodo di servizio diventava più prudente e capace, nonché esperto, ma il tasso di mortalità iniziale stava cominciando ad sfoltire le fila della confraternita più velocemente di quanto non riuscissero a reclutare giovani.

-Le leggende locali dicono che il bosco sia abitato da demoni.

Disse Leo scrollando le spalle indifferente alle paure dei contadini. “Storie buone da raccontare davanti ad un fuoco…” le chiamava. Sapeva che alcune delle bestie che abbattevano erano strane, ma non credeva affatto fossero innaturali. “Sono cristiano, non superstizioso”, così aveva risposto una volta ad una domanda su questa sua incredulità a riguardo della possibilità che i demoni calcassero la terra degli uomini.

Tancredi studiò il compagno di viaggio per qualche secondo.

Sarà anche uno dei migliori Cacciatori che ho mai conosciuto ma di certo Leo è troppo pronto a giudicare esagerato quanto gli si dice se non ha mai visto nulla di simile in precedenza. Non ha mai capito che questo non è un gioco. Che la gente muore a causa della storie da focolare… è sempre stato troppo bravo per subire gli effetti in prima persona… e probabilmente quando scoprirà che non è un gioco, sarà troppo tardi.. per lui e per la sua banda…”

-Che genere di demoni?

Dire che il capo dei Cacciatori non era entusiasta alla notizia era un eufemismo.

Sembra che il caro barone e Leo si siano opportunamente dimenticati di informarmi di alcuni piccoli particolari… non che avrebbe poi fatto molta differenza, considerando che noi semplici plebei non possiamo rifiutare doni fatti da nobili…

-Le solite storie, sputavano fuoco, apparivano dal nulla, mangiavano persone…

Tancredi si trattenne a stento dal sospirare.

Chissà come mai le migliori qualità di Leo sono anche i suoi peggiori difetti. Troppo spesso la sua riluttanza a credere che i mostri con cui ci scontriamo siano di origine soprannaturale lo portano a credere che le storie che si raccontano siano solo frutto di superstizione… e non è sempre così…

-Va bene, appena possibile manderò una squadra ad esplorare il bosco. –Tancredi lanciò uno sguardo verso la boscaglia. Non era esattamente a ridosso della villa, ma neppure sufficientemente lontana da farlo stare tranquillo. Senza considerare che tra il limite degli alberi e la costruzione la sterpaglia era folta e piuttosto alta. “Praticamente perfetta per nascondere perfino un mastino infernale.” –C’è altro che dovrei sapere?

Aggiunse dopo un attimo con un tono appena aspro.

-Nulla di che. –Disse Leo scrollando di nuovo le spalle. –Il barone insiste affinché la cappella costruita nella villa sia rimessa a nuovo. Sembra che il vescovo voglia stanziare un prete o due nella proprietà.

Tancredi girò la testa talmente velocemente da rischiare uno strappo ai muscoli del collo.

-Preti?

Ripeté allibito.

-Già, qualcosa a che fare con la necessità di aumentare la presenza di predicatori in questa regione. Sembra che il vescovo sia preoccupato della reale cristianizzazione di molti tra contadini e pastori. Ci sono diversi villaggi sparsi qui attorno, verso est, che non hanno una chiesa. Il vescovo vuole provvedere a evangelizzare completamente la popolazione.

E tra questa ci sono i Cacciatori ragazzo, anche Cacciatori…

Tancredi era il primo ad ammettere di non essere particolarmente credente.

Difficile esserlo con tutte le cose che ho visto… e la mia infanzia di certo non aiuta…

Come tutti gli orfani cresciuti in un monastero diretto da un abate eccessivamente rigoroso tendeva a far parte di uno di due gruppi ben distinti. Il primo, e più numeroso, era formato da quei ragazzi che diventavano monaci appena in grado di prendere i voti, per poi trasformarsi in religiosi altrettanto rigorosi, il secondo, del quale faceva parte, di quelli che scappava il prima possibile dal monastero.

Avevo solo dodici anni… fortuna ha voluto incontrassi una delle squadre di Cacciatori… e che loro fossero sufficientemente seccati dal raccogliere legna e prepararsi da mangiare da permettermi di seguirli…

-Non ci servono preti.

Disse tagliente. Provava ancora risentimento nei confronti delle crudeli punizioni subite da bambino. Aveva ancora i segni sulla schiena a ricordo di alcune delle lezioni impartite dall’abate stesso.

-Che male vuoi che facciano?

Chiese Leo spensierato ed un po’ incuriosito dalla sua violenta reazione all’idea.

Non lo so e non ho neanche intenzione di scoprirlo.”

Pensò Tancredi.

-Non mi importa. Non voglio dei preti nella mia proprietà.

Ripeté seccato Tancredi.

-Non è aperto alla contrattazione capo. –Disse Leo, fissandolo negli occhi, l’espressione completamente seria. –Il vescovo ha deciso così.

Come se la cosa chiudesse qualsiasi possibilità di replica.

E per lui è sufficiente “l’ha detto il vescovo…” perché sia davvero così…” Pensò tra sé Tancredi infastidito dalla mentalità. “…Leo è un fervente cristiano… e non è l’unico…

Tutti i Cacciatori erano cristiani, anche se la maggior parte tendevano più verso le posizioni di Tancredi stesso che quelle di Leo. “Sembra quasi che in questa gilda entrino solo ferventi fedeli o cinici credenti come me.” Ed il Rettore della gilda sapeva di non poter fare nulla per impedire al vescovo di inviare quanti preti desiderasse nella piccola cappella collegata all’edificio centrale della villa.

Perfetto, passo la mia intera vita senza ricevere un dono degno di nota, a parte la spada datami dal mio mentore, ed in un solo giorno riesco a ottenerne due che mi complicheranno l’esistenza oltre ogni attesa.”

-Forza, andiamo giù a vedere in che condizioni è la villa.

 

 

-Solo storie da focolare, eh? Che tu sia maledetto!

Urlò Tancredi disperatamente, la voce rauca ed il dolore evidente in ogni sua parola. Il suo volto era sporco di terra e sangue, e rigato di lacrime mentre si avvicinava a grandi passi verso Leo con il corpo senza vita del figlio stretto fra le braccia.

Leo distolse lo sguardo fissandolo sulle proprie mani che stringevano convulsamente un’ascia da guerra tolta ad uno dei morti. Notò che erano graffiate ed insanguinate, come le sue braccia, lasciate scoperte dalla corazza, quella che era stata il suo orgoglio personale e che oramai era ridotta ad una massa deforme e sdrucita, piena di chiazze di sangue rappreso.

I primi sei mesi nella nuova sede erano trascorsi senza grandi eventi. Grazie all’aiuto dei muratori avevano rimesso a nuovo la villa prima della fine della primavera, e per la metà dell’estate cinque frati si erano stabiliti nella cappella. Alla scoperta che i monaci non erano assegnati solo al quartier generale della Gilda ma all’intero territorio Tancredi aveva tirato un sospiro di sollievo. Spesso uno o due di loro si univa alle bande che si allontanavano dalla villa per andare a predicare nei villaggi sparsi lungo la strada maestra. Non c’era una vera e propria chiesa nei paesi nell’arco di due giorni di cammino dalla villa e loro erano gli unici religiosi della zona.

Inizialmente Tancredi era rimasto incredulo davanti alla rapidità con cui la piccola e contemplativa comunità di frati si era unita, senza contrasto apparente, a quella ben più pratica e secolare dei cacciatori. Era stato anche strano ammettere a se stesso che in fondo i cinque frati non erano male, Tancredi aveva scoperto che il capo della comunità era una persona piacevole, ed il fatto che i restanti monaci fossero piuttosto riservati e riuscissero a condurre il proprio lavoro senza interferire nel suo rendeva gli altri più che accettabili.

Poi era arrivata la neve.

Ed i mostri.

I frati li chiamavano demoni, dicevano che erano incarnazioni di Satana. Alla loro prima comparsa si erano messi a pregare affinché Dio li aiutasse a combattere e sconfiggere le bestie del diavolo. Ora, un mese dopo, imploravano e supplicavano Dio di salvarli.

Alla prima avvisaglia di un problema, il ritrovamento del corpo storpiato e fatto a pezzi di uno dei servi della villa, Tancredi aveva immediatamente organizzato una più stretta sorveglianza dei dintorni, aumentando i turni di guardia ed avvisando tutti di non uscire dalle mura della villa da soli.

Avevano atteso due giorni, sperando che gli animali responsabili dell’accaduto si avvicinassero abbastanza alle mura di cinta da poter essere abbattuti senza pericolo per i cacciatori. In molti avevano creduto si trattasse di lupi. Tancredi aveva visto abbastanza vittime di quei predatori da sapere che non era vero. Avrebbe giurato si fosse trattato di volpi, i morsi visibili erano della grandezza giusta, ma il numero di ferite, indice che l’attacco era stato compiuto da più di un solo animale, ed i profondi graffi, più profondi e numerosi di quelli lasciati da un gatto selvatico, erano stati più che sufficienti per farglielo escludere.

Non accadde nulla.

Nessun avvistamento, nessun rumore, nessuna traccia.

Il terzo giorno Tancredi aveva deciso di mandare una delle bande di cacciatori più esperti in esplorazione. Sperava che i cinque riuscissero a trovare tracce delle bestie nei pressi del bosco o comunque sul manto nevoso, così da capire cosa si trovavano ad affrontare, molti tra i più navigati cacciatori condividevano le conclusioni di Tancredi riguardo i veri responsabili dell’attacco.

Tancredi aveva ordinato loro di aspettare mezzogiorno prima di muoversi. Era stato un ordine frutto di una scelta ragionata, qualcosa che avrebbe dovuto dare una protezione aggiuntiva alla banda, od almeno così aveva creduto. Il primo attacco, quello contro il servo, era avvenuto di notte, o comunque vicino al tramonto. Tancredi e gli altri avevano creduto che le bestie che avevano attaccato l’uomo cacciassero solo di notte.

Non era così.

Avevano percorso meno di cinquecento metri quando furono attaccati.

Dal nulla era apparsa un’intera orda di piccole creature grigie che si era riversata sui cinque cacciatori, latrando e ringhiando. Sorpresi, gli uomini erano riusciti solo a tirare fuori i propri coltelli tentando un’inutile quanto disperata difesa. Diverse bestie erano cadute sotto i colpi ed i loro corpi grigi si erano ammucchiati in fretta ai piedi dei cacciatori, ma il loro semplice numero fu sufficiente a sopraffare i cinque in meno di due minuti.

Anche gli uomini caddero, urlando torturati mentre le loro carni venivano straziate da decine di piccoli artigli e di bocche piene di denti aguzzi, ed il loro sangue rosso era andato a macchiare irregolarmente la neve, così diverso da quello azzurro delle bestie, ma ugualmente vivido contro il bianco del terreno.

Le sentinelle sulle mura non avevano potuto che assistere allibite ed orripilante alla scena. Avevano suonato l’allarme, più per disperazione che nella speranza di ricevere aiuto, attirando l’attenzione di molti nel cortile. All’inaspettato suono diverse persone erano salite velocemente sui parapetti solo per assistere impotenti anche loro alla morte dei propri amici, realizzando immediatamente che non ci sarebbe stato abbastanza tempo per organizzare un qualsiasi tentativo di soccorso. Molti avevano distolto lo sguardo dalla fine dei cinque uomini, altri non erano riusciti a controllare il proprio stomaco di fronte all’evidenza.

Quando anche l’ultimo urlo, un gemito ormai, si era spento nell’aria, era calato un silenzio irreale nella villa. Tancredi era rimasto a lungo sul parapetto, immobile, lo sguardo fisso su quanto rimaneva dei cinque che aveva mandato in ricognizione.

Non ci volle molto perché gli abitanti della villa si rendessero conto che quello delle bestie era un vero e proprio assedio e non una serie di sporadici attacchi.

Qualsiasi persona uscisse dalla villa o cercasse di entrare veniva attaccata, e brutalmente uccisa, a prescindere dall’ora a cui si facesse il tentativo. Avevano perso un altro servo, un ragazzo giovane che dopo il quinto giorno di attesa non aveva deciso di dimostrare il proprio coraggio avventurandosi fuori dalle mura, ignorando gli appelli delle sentinelle, certo che le bestie se ne fossero andate. Non arrivò a percorrere trecento metri.

Poi era stata la volta di una seconda banda.

Era stata solo una tragica fatalità.

Invece di svernare a nord, come programmato, Amadeo aveva deciso di portare i suoi uomini nel nuovo quartier generale.

Una scelta che si rivelò fatale.

La banda era riuscita appena ad arrivare all’imboccatura della valle prima di essere sbranata.

Le sentinelle che assistettero alla scena lo fecero con una sorta di distacco misto a rassegnazione. Ormai nessuno di loro credeva veramente di uscire vivo da quella villa.

Dopo una settimana dopo il terzo attacco un altro dei servi aveva lasciato le mura appena calata la notte, la nervosa attesa gli aveva fatto cedere i nervi e troppo terrorizzato per ragionare aveva abbandonato la protezione della villa. Di lui non si seppe neppure quanta strada avesse fatto prima di cadere preda degli animali.

Le bestie rinunciarono alla paziente attesa in favore di un approccio più diretto il ventesimo giorno. Dopo di allora fu un ininterrotto susseguirsi di attacchi, di giorno e di notte, attuati ad intervalli irregolari, sempre in un punto diverso delle mura. Ben presto Tancredi e gli altri si accorsero con orrore che tale punto era sempre il meno sorvegliato o quello presidiato dalle sentinelle meno esperte o più stanche.

Ebbero la prova che le bestie erano intelligenti.

Riorganizzarono i turni di sorveglianza con attenzione, le bande di cacciatori furono smembrate, i più esperti vennero divisi in turni in modo da coprire l’intera giornata e poi accoppiati con servi armati, ai più giovani venne dato il compito di pattugliare le mura ad intervalli regolari.

Dieci giorni dopo erano tutti esausti.

I continui turni di guardia erano massacranti, molti tra gli uomini non avevano potuto dormire per più di una manciata di ore consecutivamente da tempo, e le attese tra gli attacchi erano diventate sempre più snervanti mentre lo stillicidio di morti e feriti continuava, tanto che diversi cacciatori avevano cominciato ad accogliere con sollievo gli assalti delle bestie.

Fu in uno di questi, uguale alla dozzina precedente ed a quella successiva, che uno degli animali riuscì ad azzannare alla gola il figlio di Tancredi, che in quel momento si trovava sul parapetto orientale per portare acqua alle sentinelle.

 

 

La scoperta, come molte, avvenne per caso.

-All’armi! All’armi! Assalto! Ci assaltano!

Urlò Pel alzando da terra l’ascia che ormai gli apparteneva e preparandosi a difendere se stesso e la gente della villa.

Un gruppo di demoni, sempre più persone li chiamavano così, era difficile stimare il numero alla luce incerta delle torce, aveva cominciato a scalare le mura.

Quella era stata un’altra sorpresa.

Le bestie, per la loro mole, non erano più grandi di un cani di media taglia, si erano dimostrate subito avversari ostici. Erano veloci, abbastanza da scartare con facilità le frecce scagliategli contro, agili, sufficientemente da scalare le mura in una manciata di secondi, e spietatamente determinate una volta superati i parapetti. Non smembrava che nulla le intimorisse, non i morti, non le urla, solo del fuoco erano leggermente allarmate.

Leo, il cacciatore appaiato con Pel, accorse immediatamente, anche lui armato di ascia. Fino a quel momento si stava dimostrando una delle armi migliori per uccidere i demoni, pesante abbastanza da ucciderli con un colpo solo, ma ancora facile da maneggiare in spazi ristretti.

In quelle sei settimane di assedio era cambiato drammaticamente.

L’arrogante cacciatore convinto di poter abbattere qualsiasi animale era scomparso, la suo posto c’era un uomo stanco, talmente stanco da addormentarsi non appena fermo per più di qualche secondo e tanto teso da svegliarsi di soprassalto al minimo rumore o movimento, le armi già impugnate. Ogni giorno di più si sentiva una preda in preda in trappola. Non sapeva quanto ancora sarebbe potuto durare sia fisicamente che mentalmente.

Era allo stremo.

Come tutti.

Leo socchiuse gli occhi per riuscire ad individuare i demoni, trasalendo al dolore provocato dall’azione. Le tre ferite parallele, frutto degli artigli di una bestia arrivata veramente troppo vicina, gli attraversavano il volto dal sopraciglio destro alle labbra, erano ancora fresche, abbastanza da far male ogni volta che muoveva un singolo muscolo della faccia.

Appena una piccola, triangolare testa si sporse oltre il parapetto Leo sferrò un colpo, tagliandola di netto. Sentì il rumore del corpo cadere ed i guaiti degli altri demoni colpiti.

Sorrise con fredda soddisfazione.

Ma quello era solo il primo demone a raggiungere il parapetto. Ne seguirono altri. Molti altri.

A volte sembrava che quelle bestie fossero infinite, che per ognuno abbattuto due ne prendessero il posto. Era stata questa realtà, constatata solo una manciata di giorni dopo l’inizio degli attacchi, a togliere definitivamente la speranza al gruppo di Cacciatori.

Ben presto il mondo di Leo si ridusse ad un continuo sferrare di colpi, di spintoni, di passi guadagnati e poi persi in una direzione in un'altra e di ringhi, animaleschi o meno, misti ad urla, mentre le ferite venivano registrate in un angolo del cervello per essere sentite dopo.

Se ci fosse stato un dopo.

Uno dei demoni gli saltò addosso mentre Leo era ancora sbilanciato dal colpo precedente, quello che aveva spacciato una delle bestie. L’impeto dell’animale fu sufficiente perché l’uomo cadesse all’indietro, con il demone ringhiante ancora sopra. L’impatto con le assi di legno gli fece perdere il fiato e la sua testa andò a sbattere contro qualcosa di duro e metallico con forza sufficiente a stordirlo per un attimo.

Istintivamente Leo alzò un braccio fermando le fauci della bestia prima che si potessero chiudere sulla usa gola. Il dolore fu improvviso, intenso e lancinante.

Tentando disperatamente di non perdere conoscenza a causa dell’intesa sofferenza, sapendo che se sarebbe accaduto avrebbe perso anche la vita, il Cacciatore distolse lo sguardo dagli ipnotici occhi azzurri dell’animale sopra di lui per cercare la sua ascia, persa durante la caduta.

Era finita contro il muro del parapetto a meno di un metro da lui.

Goffamente cercò di raggiungerla a tentoni con il braccio sinistro cercando al contempo di sfuggire ai tentativi del demone, il quale aveva apparentemente deciso che accecarlo con gli artigli delle zampe anteriori sarebbe stato più utile che tenere le unghie piantate nel suo petto.

Cercando di arrivare a tastoni all’ascia Leo andò a sbattere contro uno dei sostegni delle torce. La fiaccola, già fissata precariamente si staccò e cadde dal suo sostegno.

Non appena la fiamma sfiorò il pelo del demone, la pelliccia prese fuoco.

Fu un attimo.

Terrorizzato l’animale emise un lamento straziato, mollò la presa e scappò.

Non andò lontano.

Due metri appena, forse tre, e tutto quello che era rimasto della bestia era una carcassa annerita ed una puzza nauseante.

Incredulo Leo si alzò sui gomiti.

Per lunghi istanti osservò la scena, incapace di accettare quanto era accaduto di fronte ai suoi occhi.

Poi sorrise.

Per la prima volta dalla morte del figlio di Tancredi, Leo sorrise.

Si alzò in piedi, afferrò la torcia, rotolata a qualche passo appena ed ancora accesa, ed andò a caccia.

 

 

-E’ permesso?

Tancredi alzò lo sguardo dal fuoco per andarlo a fissare sulla figura che si trovava alla porta.

-Entra pure padre Martino e vieni vicino al camino.

Il frate sorrise e si andò a sedere nella sedia di fronte a quella del capo dei Cacciatori. Lo osservò per un momento prima di parlare. Era cambiato molto, tutti erano cambiati molto dopo quanto accaduto quell’inverno di tre anni prima.

Tancredi era invecchiato. I capelli non erano più brizzolati, ma grigi, le sue spalle erano appena incurvate ed il volto era segnato da rughe. Aveva rinunciato ad andare a caccia a favore di un lavoro solo amministrativo.

E da quando aveva perso il figlio nessuno lo aveva più visto sorridere sinceramente.

-Saputo nulla della banda di Leo?

Anche il giovane caposquadra era cambiato durante quell’inverno. Per mancanza di un termine migliore era maturato. Prima era un buon comandante, ora era diventato il migliore comandante possibile oltre ad essere già il miglior cacciatore.

La sua banda era stata aumentata a dieci uomini e sistematicamente si prendeva cura delle missioni più pericolose e particolari affidate ai Cacciatori.

-Si dovrebbero rientrare entro una decina di giorni. Hanno già un'altra missione in programma per dopo.

Replicò piuttosto indifferente ed appena incurante il cacciatore.

La cosa che non era sopravvissuta a qual fatidico inverno era stata l’amicizia che aveva legato proprio Leo e Tancredi, nata quando il primo era stato allievo nel secondo e cresciuta velocemente e stabilmente nel tempo. Ora fra loro c’era giusto la cortesia professionale necessaria al capo dei Cacciatori nel trattare con il suo capo banda migliore, e probabile successore, e un tocco appena di stima, mista a così tante altre emozioni negative, come rabbia e senso di colpa, da risultare al meglio difficoltosa ed incerta. Così i due si evitavano per quanto possibile, la banda di Leo era quella che lavorava di più sul campo, e per via della loro posizione entrambi si erano ritrovati soli.

Entrambi avevano trovato consolazione in altro. Tancredi nelle memorie del figlio e della moglie, morta qualche mese dopo il ragazzo, Leo nella fede cristiana e nell’amicizia proprio di Martino.

-Ho un dono per te.

Disse il frate dopo un attimo di silenzio, porgendo a Tancredi un libro.

-Forse non ti farà piacere, non subito almeno. –Continuò Martino. –Ma è la cronaca di quanto accaduto tre anni fa. Parla dei demoni e di come li abbiamo sconfitti.

L’idea gli era venuta per caso. Una sera Leo aveva cominciato a raccontargli quanto accadeva durante le cacce ai demoni. Lo aveva fatto per cercare conforto. Ascoltando le storie, talvolta raccapriccianti, altre incredibili. Martino aveva realizzato che ben presto il mondo si sarebbe dimenticato di quelle bestie di satana, e di come sconfiggerle. Così aveva deciso di trascriverle.

Tancredi osservò a lungo il libro che aveva tra le mani, incerto su come sentirsi. Arrabbiato e ferito forse, oppure felice e grato. Non lo sapeva, al momento era solo tanto stanco.

-Forse un giorno ti ringrazierò per questo, ma per ora posso solo accettarlo.

Martino annuì e si alzò dalla sedia, lasciando Tancredi a contemplare il volume rilegato in pelle.

Cronaca.”

Si intitolava.