L’ULTIMO GIORNO

By Silea

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PARTE I

Libro I: Sangue.

 

 

“When I asked her about it, she said that sometimes surviving was the only justice there was, and there was no shame in accepting that. But it wasn't going to stop her from trying for something more”

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Villa Marlin. Mercoledì 12.

 

 

 

Al momento Magdalene era occupata a controllare le varie situazioni dei cacciatori di demoni non convenzionali sparsi per il mondo.

“Non convenzionali”, ovvero tutti quelli che non facevano parte delle squadre speciali del consiglio e non erano cacciatrici. Suo compito era monitorare le loro attività e mantenere i contatti con loro per conto del Concilio stesso.

Non erano bandierine colorate su una mappa o puntini lampeggianti su uno schermo, giusto una serie di resoconti sugli ultimi avvistamenti, schede che avrebbero arricchito i dossier che Marlin teneva archiviati. Segretamente dal Concilio.

Un particolare attrasse l’attenzione di Magdalene mentre scorreva il conciso elenco.

Uno dei suoi informatori di Los Angeles aveva notificato la scomparsa di Angel, il vampiro con l’anima, come era conosciuto nel mondo demoniaco, uno dei locali e migliori cacciatori di demoni in circolazione. L’albergo dove viveva era stato distrutto da un incendio dalle cause sconosciute e di lui non c’era più traccia da tre mesi.

Non era insolito perdere le tracce di un cacciatore per giorni interi, se non settimane, ma lui era uno dei più promettenti esponenti del mondo demoniaco e Magdalene aveva personalmente detto al suo informatore di tenerla costantemente aggiornata sulla sua situazione.

Aveva avuto intenzione di contattarlo in tempi brevi e stringere un’alleanza con lui. Sembrava addirittura che lavorasse in società con un osservatore espulso. Avrebbe ricontrollato nello schedario per essere certa.

Marlin credeva di avere buone possibilità di portarlo a lavorare per loro, perché questo era il suo lavoro, la “Negoziatrice”. Ed era la migliore che il Concilio possedesse.

In pratica si occupava dei rapporti diplomatici che il consiglio intratteneva con altre potenze mondiali, di qualsiasi genere esse fossero. E questa era una grande fonte di potere. La sua fonte di potere.

Magdalene archiviò la notizia riguardante il vampiro in un angolo della sua mente, convinta della sua futura utilità. Quell’informazione, apparentemente innocua, l’aveva lasciata con un vago senso di inquietudine. Doveva informarsi se c’erano state vittime nell’incendio.

Marlin era convinta che stesse succedendo qualcosa o che stesse per succedere, c’erano tanti piccoli indizi sparsi per il mondo, quanto all’interno del Concilio, che qualcosa negli equilibri di potere stava cambiando, anche se lei non riusciva ancora a metterli assieme ed a capire cosa stesse per accadere.

E questo la frustrava.

Anche il Concilio stava per subire modifiche sostanziali, per cercare di assorbire il colpo di essere stato attaccato direttamente per la prima volta dopo secoli. Era stato uno shock per così tanti vecchi barbagianni. Così la perfetta macchina della tradizione stava cercando nuovi equilibri. Il vento di cambiamenti era nell’aria.

Tre mesi prima Magdalene aveva avuto la prova diretta che il primo osservatore temeva il potere degli altri dirigenti. Il suo in testa. E se Miller li temeva significava che, per la prima volta,  quei poteri erano pericolosi.

Quel giorno, appena gli aveva fatto rapporto, Miller le aveva tolto i poteri straordinari nonostante non si fosse ancora rintracciato Travers, il possessore di diritto di quelle facoltà che il primo osservatore le aveva garantito per poche ore.

Questa improvvisa mancanza di diretto potere esecutivo la lasciava estremamente vulnerabile, ora che la situazione poteva non essere completamente sotto controllo. Per questo motivo aveva deciso di rimanere a casa il più possibile, finché la situazione non si fosse riequilibrata.

Ma Travers ancora non era tornato, e nessuno sapeva dove fosse. La sua posizione non era ancora chiara. Era stato definito “assente”, non “scomparso” né “inadempiente”, una via di mezzo che non soddisfava  nessuno. Lasciava il considerevole ammontare di potere che Quentin deteneva vacante, con Jason e Miller come sostituti illegittimi.

Molti si chiedevano se Travers non fosse diventato l’angelo della morte di Miller.

Non c’erano state sparizioni od “incidenti” eccellenti ma si erano insinuati sospetti sul favoritismo con cui Miller, da sempre inflessibile con chi infrangeva le regole (che fosse per questo che era diventato primo osservatore?), stava trattando il suo caso.

Perché lo faceva?”.

Una domanda che rendeva tutti molto nervosi, dirigenti in testa.

Come se questa situazione non bastasse a destabilizzare il sistema, un dirigente del consiglio era stato nominato delegato speciale dell’Oceania ed inviato lì a tempo indeterminato con compiti di supervisione, anche se non c’era niente da supervisionare. Altri due erano stati esautorati perché non più conformi ai parametri necessari a far parte del consiglio ristretto.

Dei dieci dirigenti iniziali erano rimasti in sette: Travers; Gillison; Dougan; Brightman, sotto inchiesta disciplinare; Kroskj; Duville e lei .

 

 

 

 

Su un aereo diretto in Cornovaglia. Mercoledì, pomeriggio.

 

 

 

Jason sedeva all’estremità di una delle due panche imbottite che si trovavano all’interno della carlinga. Teneva il suo laptop aperto sulle ginocchia, mentre esaminava alcuni schemi della missione di addestramento appena svolta. C’erano stati degli errori di coordinamento tra le quattro squadre impegnate. Nulla di tanto evidente da saltare subito all’occhio, ma c’erano stati. Alcune incertezze da parte del leader di missione nello spostare le squadre con l’evolvere della situazione. La velocità di risposta sarebbe diventata una delle priorità dell’addestramento. Nella rete che doveva perlustrare l’area in cerca della fuggitiva si era creato un buco di sorveglianza, del quale Faith aveva approfittato per raggiungere il camper che ospitava il centro comando ed “uccidere” i coordinatori della missione, per poi sparire nuovamente nel nulla fino al termine della simulazione.

Una volta alla sede principale del Concilio avrebbe convocato una riunione con i capi squadra per un’analisi di missione più completa. Non avrebbe più tollerato che errori così grossolani si ripetessero. Per quanto riguardava Kelan, il leader di missione, Jason aveva già deciso di mandarlo assieme alla sua squadra al campo di addestramento che avevano in Africa, dove definire il tempo come torrido era essere ottimisti, per un mese aggiuntivo di esercitazioni, oltre a quelli dovuti alla normale rotazione.

Anche se Jason doveva ammettere che Faith era un’ottima avversaria.

Intelligente, praticamente imbattibile nei combattimenti corpo a corpo, e quasi dotata di un sesto senso per individuare gli inseguitori. Una vera cacciatrice, non c’era altro da aggiungere. Apparentemente imbattibile per un normale umano per via della sua forza e della sua velocità. Tutti gli operativi che l’avevano sfidata erano finiti al tappeto dopo pochi minuti di combattimento, minuti durante i quali erano riusciti a colpire la loro avversaria solo quando lei lo aveva permesso. E lo aveva fatto raramente, giusto per dimostrare l’inefficacia degli attacchi degli operativi o per non farli desistere completamente. Ed era stato ovvio che Faith non si era espressa nemmeno al pieno del suo potenziale.

 Jason voleva provare in prima persona a sfidarla, fremeva nel farlo, nell’avere un’avversaria degna di lui, ma finora non c’era stata la possibilità di ingaggiarla direttamente e dubitava che sarebbe mai accaduto.

Il direttore degli operativi aveva notato come Faith evitasse sempre di sfidarlo in qualsiasi cosa, o anche di contraddirlo di fronte agli altri operativi. Era chiaro che la ragazza stava cercando di evitare uno scontro diretto con lui. Una linea di azione che non lo seccava affatto, visto che probabilmente avrebbe perso in uno scontro fisico.

Però il fatto che lei cercasse di non disturbarlo in alcun modo non poteva fare a meno di incuriosirlo, di spingerlo a cercare di capire le motivazioni che c’erano dietro al comportamento della cacciatrice. Di certo nessuno la descriveva come una sostenitrice del quieto vivere, al contrario, era da tutti creduta una specie di rivoluzionaria. Questo suo atteggiamento andava contro l’idea che tutti si erano fatti di lei.

 Jason la stava osservando anche ora, mentre rideva e scherzava con il resto dei commando che si trovavano all’interno dell’aereo, completamente a suo agio anche se era la più giovane del gruppo di qualche anno. Trucco, abiti e postura erano studiati apposta, e gli altri sembravano non notarlo.

Ora era una ragazza sulla ventina che si rilassava con degli amici dopo il lavoro. O meglio, sembrava tutto questo. Gli altri vedevano questo. Una innocua amica con cui poter uscire a prendere un drink e fare quattro chiacchiere. Lui no. Per Jason rimaneva qualcuno che poteva spezzarti l’osso del collo in meno di un secondo senza neanche affaticarsi.

Sicuro, a volte gli avevano dato del paranoico, per questa suo ossessione nello studio minuzioso di quello che lo circondava. E forse lo era. Ma al contrario di tanti altri, comportandosi così, Jason era sopravvissuto a missioni ritenute impossibili, diventando una leggenda vivente all’interno del Concilio e prima ancora nell’esercito.

Il comandate degli operativi sapeva che la gente che sedeva e rideva in quell’aereo con lei non la conosceva, non veramente, sebbene credessero il contrario. Vedevano solo una facciata di Faith. La ragazza esuberante, sarcastica e sicura di sé che non mancava mai un’occasione di fare battute, certa di avere garantita l’incolumità. Qualche pugno scherzoso, ma mai una rissa. Inconsciamente tutti evitavano di provocarla eccessivamente, senza neanche rendersene conto. A quanto pareva il loro sub inconscio era molto più intelligente di loro.

Jason l’aveva osservata attentamente durante i tre mesi in cui avevano lavorato insieme, e non aveva avuto bisogno di ricorrere al proprio istinto per capire che la cacciatrice era pericolosa a prescindere dalla situazione. La cosa gli sembrava ovvia ed addirittura lampante in momenti come questo. Era tutto nello sguardo ed in una specie di aurea che sembrava proiettare senza neanche rendersene conto.

Quelle che tutti vedevano erano la Faith che combatteva precisa e mortale e quella rilassata e sarcastica che rideva con loro adesso. Sempre limpida, chiara e senza contraddizioni in tutti e due i casi. Non aveva faticato a conquistarsi la stima e la simpatia di molti degli altri operativi.

Jason avrebbe anche potuto accettare questa assenza di secondi pensieri per quanto riguardava la parte in cui combatteva (anzi, desiderava che tutti gli uomini al suo comando si comportassero così durante uno scontro, con quella rabbia e violenza), ma sapeva che era impossibile che una personalità “normale” fosse così chiara e definita.

Per esclusione, l’unica risposta che rimaneva era che Faith non era, o non era soltanto, la ragazza estroversa e sicura di sé che vedeva ogni giorno.

Ci aveva messo del tempo a capirlo, molto più di quanto aveva mai fatto prima, perché Faith recitava bene ed in maniera convincente la sua parte di ragazza simpatica e affascinante, perfetta fino nel movimento delle mani e nel tono di voce che adoperava. Tanto che Jason ancora non era riuscito a capire che cosa nascondesse. Ma aveva tempo per scoprirlo.

Sorrise fra sé. Era bello avere un mistero da decifrare a portata di mano, qualcosa che impegnasse la sua curiosità ed ingegno e da tempo non gli capitava un rebus così complesso. Spense il portatile e appoggiò la testa contro la paratia di metallo scossa dalle vibrazioni dei motori. Sapeva che mancava ancora un’ora all’atterraggio, tanto valeva mettersi comodi per quanto possibile. Chiuse gli occhi isolandosi dall’ambiente esterno, ma continuando ad ascoltare i discorsi dei suoi compagni di volo che si sovrapponevano l’un l’altro. Discorsi ai quali non aveva mai partecipato. Non lui, non il Solitario.

Sin dalla sua prima missione nessuno lo aveva avvicinato, l’aria di gelido distacco troppo evidente per essere ignorata. Non gli interessavano gli altri come persone e lo aveva messo in chiaro già dalla prima volta. Il perché, aveva risposto a chi aveva avuto abbastanza fegato per chiederglielo, erano solo affari suoi. Era stato il suo caposquadra, e da allora in poi nessun altro si era azzardato a fare domande, tenendosi bene alla larga da lui. Ma tutti sapevano che in campo era il migliore e che non ti avrebbe abbandonato lasciandoti scoperto. Quindi anche se non piaceva a nessuno perché considerato troppo una macchina, tutti si fidavano di Jason.

Il tempo trascorreva lento all’interno della carlinga decisamente troppo piccola perché tutti potessero sistemarsi comodamente. Il gruppetto con cui Faith stava scherzando si era spontaneamente sciolto. Una alla volta i vari agenti si era allontanati per andare a fare qualcos’altro. Chi si era sdraiato a dormire, chi era andato a sistemare l’attrezzatura.

Ormai sola, Faith si era semisdraiata su una delle lunghe panche estraniandosi da tutto quella che la circondava, cercando di rilassarsi. Era nervosa, agitata e stanca. Le ultime quarantotto ore erano state pesanti, aveva dovuto nascondersi alle squadre di ricerca ed era riuscita a dormire giusto un paio di ore, abbastanza da funzionare, ma non sufficienti a farla sentire al cento per cento. In circolo sentiva ancora i residui dell’adrenalina di poche ore prima e la stanchezza conseguente che andava ad aggiungersi alla mancanza di sonno. Era ben oltre il semplice bisogno di sonno, troppo stanca per riuscire ad addormentarsi senza sentirsi del tutto rilassata, il che, su quell’aereo, era impossibile.

Semplicemente Faith non dormiva mai vicino ad altri se poteva evitarlo.

Quel giorno aveva un ulteriore motivo di agitazione però, non riusciva a sottrarsi ad uno strano presentimento di catastrofe imminente. E purtroppo il suo istinto sbagliava raramente a riguardo.

Il che la lasciava stanca, agita e frustrata perché ancora non sapeva quale fosse il problema e non aveva modo di scoprirlo prima di toccare terra. Cominciò a respirare più profondamente e lentamente, fingendo di dormire, mentre coscientemente faceva uno sforzo per rilassare i muscoli. Non sapeva cosa l’aspettava, né se avrebbe avuto modo di riposarsi di nuovo prima che accadesse quel qualcosa.

I movimenti all’interno della carlinga erano diminuiti, mancava solo una mezz’ora alla fine del volo, ma erano tutti stanchi e cercavano di riposarsi alla meglio nell’angusto spazio. Ognuno si teneva impegnato in qualcosa, chi a dormire, chi a parlare a bassa voce con il vicino, chi a sistemare l’attrezzatura usata. Dal fondo dell’aereo, improvvisamente, sopra la confusione di fondo, si sentì il rumore dello scatto di un cane di una pistola. Qualcuno stava pulendo la propria arma, facendo scattare i meccanismi mentre li oliava.

Gli occhi della cacciatrice si spalancarono e furono immediatamente fissati verso la sorgente del rumore, alla ricerca del pericolo, che non c’era. Il corpo teso, pronto a scattare, mentre già una mano era alla guaina del coltello fissato sull’anca. Faith, constatato che non era successo niente,  fece un respiro profondo cercando nuovamente di rilassarsi, sapendo che non ci sarebbe riuscita.

Il suo presentimento continuava a persistere.

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli Osservatori. Alloggi degli operativi. Mercoledì notte.

 

 

 

Faith, con la sua solita borsa nera a tracolla, uscì dall’ascensore e cominciò a camminare lentamente lungo l’ormai familiare corridoio che si stendeva davanti a lei, mentre le porte metalliche le si chiudevano dietro senza fare il minimo rumore. Il Concilio era così, un posto dove la confusione era ritenuta imbarazzante e mortificante come all’interno di una biblioteca e questo valeva anche per il piano degli alloggi dove si trovava ora. La descrizione freddo, asettico e silenzioso rendeva bene l’atmosfera complessiva.

La cacciatrice e i caposquadra impegnati nell’operazione appena conclusa, erano atterrati nel piccolo eliporto che si trovava all’interno del parco della villa, per poi andare a depositare i loro rapporti sulla missione in sala controllo. Tutti gli altri operativi coinvolti nella missione avrebbero raggiunto la sede centrale più tardi, a bordo dei furgoni sui quali erano saliti una volta arrivati all’aeroporto privato dove era atterrato l’aereo che li aveva portati in Inghilterra.

Per una volta Faith era stata la prima a tornare al piano degli alloggi, quando generalmente era sempre l’ultima, quella che si attardava a fare quattro chiacchiere con chiunque. Gli altri caposquadra erano ancora su in sala controllo a discutere i particolari della missione, probabilmente dopo avrebbero proseguito per andare a bere qualcosa assieme in un bar della zona.

Faith, senza dire niente, senza disturbarsi a salutare, se ne era andata appena aveva potuto. Si sentiva stanca. Non fisicamente ma mentalmente. Ancora quel vago presentimento che persisteva appena sul bordo della coscienza. La innervosiva, rendendola guardinga. Forse avrebbe dovuto parlarne con qualcuno. Scartò l’idea rapidamente come le era venuta. Sapeva badare a se stessa, non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno, era sopravvissuta da sola finora e lo avrebbe fatto ancora.

Si fermò davanti alla porta nera perfettamente lucida della sua stanza osservandola per un istante, gliela avevano assegnata permanentemente quando aveva accettato l’incarico che le aveva offerto Marlin. A fianco su una targhetta si leggeva il suo nome e la dicitura “Esperto in tattica e coordinatore di addestramento”. Un bel titolo. Faith sogghignò fra sé. Significava che avrebbe progettato missioni e diretto le squadre durante le esercitazioni. Nessuna operazione sul campo. Non era niente male come lavoro, divertente e ben pagato. Di tanto in tanto giocava anche a fare la preda nelle simulazioni.

La porta era perfettamente chiusa e senza alcun segno di scasso. Mentre la apriva, però, Faith sapeva che c’era qualcosa che non andava. La strana sensazione che provava da qualche ora non faceva che diventare più forte, innervosendola sempre più. Più la sensazione aumentava più cominciava ad allarmarsi, come se si dovesse tenere pronta per qualcosa, non sapendo però a cosa. E Faith odiava quel genere di sensazione. Anche mentre faceva scattare la serratura sapeva che c’era qualcosa che non riusciva pienamente a capire, che le sfuggiva. Spinse l’anta per aprirla completamente davanti a sé.

E capì.

Ferma sulla soglia capì cosa era che la disturbava. Nell’aria c’era odore di sangue e morte. Era forte, anche se aveva cominciato a svanire, e si irritò con se stessa per non averlo notato prima, per non averlo riconosciuto subito. Soppresse la rabbia che provava verso la sua inettitudine, per concentrarsi prima di entrare.

Facendo scivolare la sacca nera a terra, Faith entrò nella stanza cominciando a perlustrarla attentamente con lo sguardo, sapendo che non vi avrebbe trovato altro che un cadavere. Chiunque fosse stato lì dentro se ne era andato da tempo. Nonostante tutto Faith procedé cautamente, pronta ad una eventuale lotta.

Il corpo era stato lasciato sul suo letto, lo vedeva chiaramente anche al buio, una figura immobile sdraiata sulle coperte. Faith lo ignorò ed andò a controllare per prima cosa il bagno, la porta lasciata leggermente socchiusa. Non c’era nessuno neanche lì.

Tornata nella stanza principale, Faith fece scattare l’interruttore vicino alla porta d’ingresso accendendo i neon attaccati al soffitto. La luce fredda illuminò completamente il locale, e la cacciatrice riconobbe subito il cadavere sul proprio letto.

Si avvicinò per avere la conferma di come fosse morto. Il volto esangue e il segno di un morso sul collo non lasciavano molti dubbi. Considerando la rigidità del cadavere doveva essere stato ucciso da almeno dodici ore. Respirando lentamente, sentendo la rabbia montare nuovamente dentro di lei, Faith prese il telefono e compose il numero della sala di controllo.

-Che problema c’è Miss Mars?

L’operatore sapeva perfettamente chi stava chiamando, il numero della stanza ed il nome di chi la occupava apparivano automaticamente sul display della consolle quando veniva inoltrata una telefonata. La sua paura della cacciatrice traspariva chiaramente nella voce bassa e controllata, appena esitante.

Il tecnico non era l’unico ad essere terrorizzato dalla bruna, tutti all’interno del Concilio, tranne gli operativi, ne avevano timore. In sala mensa era facile ascoltare molte delle voci che giravano su di lei, gli avevano raccontato che fosse un’assassina a sangue freddo, ed aveva anche trasentito che si divertisse a torturare le proprie vittime a lungo prima di ucciderle, e che come Jason non provasse alcuna emozione, se non la gioia nel veder soffrire gli altri.

-C’è una falla nella sicurezza di massimo livello. Chiamate il comandante degli operativi e ditegli di venire giù con una squadra. Nessun pericolo immediato.

Il tono era normale, ma conteneva una nota di gelo che terrorizzò l’operatore, facendogli sperare ancora una volta di non incrociare mai quella ragazza.

-Come vuole signora.

La comunicazione fu interrotta e l’operatore si affrettò ad avvisare Jason senza perdere un secondo. Aveva la brutta sensazione e che il suo turno non sarebbe finito tranquillamente come era iniziato.

 

 

 

 

 

New York, Appartamento di Eliza. Lunedì 10.

 

 

 

 

La casa era stata una sorpresa. Chissà perché Angel si era immaginato una cosa completamente diversa. Giusto il rifugio momentaneo di una persona chiusa e pericolosa, che passava la sua esistenza a nascondersi dal Concilio pianificando con attenzione le sue mosse. Un qualcosa di piccolo, isolato e arredato sobriamente per non dire ordinariamente.

Insomma, un posto anonimo ma sicuro, ideale per passarci la notte ma non il massimo del lusso possibile. Un alloggio più che una casa. Il contrario degli open-space arredati con mobili classici dai colori contrastanti, prevalentemente bianchi e neri, che lui tanto amava. Abitazioni dove poteva passare le lunghe giornate d’estate senza sentirsi prigioniero di uno spazio claustrofobico.

Angel sedeva rigidamente nella poltrona in classica pelle nera, sistemata leggermente angolata rispetto al caminetto come la sua gemella. La schiena gli faceva ancora male, non aveva avuto il tempo di guarire completamente, né lui gli aveva potuto prestare molto riguardo nei mesi scorsi. Inoltre il vampiro si sentiva vagamente a disagio per il grossolano errore di giudizio che aveva fatto a riguardo di Liz. Quella che credeva una donna in fuga, braccata dal Concilio giorno e notte, un essere limitato per cui sopravvivere era tutto, si era rivelata prettamente l’opposto.

Anche Liz lo studiava apertamente, negligentemente appoggiata sul bracciolo della sua poltrona, ignorando il libro che teneva aperto sulle ginocchia, quello che stava leggendo prima che lui entrasse nella stanza. La donna non sembrava avere fretta di iniziare un qualsiasi discorso, accontentandosi di portare avanti quella placida stima di forze, iniziata qualche minuto prima, quando il vampiro l’aveva raggiunta in salotto andandosi a sedere di fronte a lei, silenzioso come un’ombra.

Da allora non avevano fatto altro che fissarsi, senza scambiarsi una sola parola.

Angel aveva dormito per più di ventiquattro ore, cadendo quasi subito in una specie di letargia appena messo piede all’interno dell’appartamento dove si trovavano ora, come gli accadeva quando il suo corpo non era più capace di sopportare lo stress accumulato. Quando si era svegliato gli erano stati necessaria una manciata di secondi per ricordare dove si trovasse, si era sentito disorientato ed intontito, un ulteriore residuo dell’eccessivo sforzo a cui si era sottoposto. Una volta ricordato dove si trovasse si era alzato e guardato attorno incuriosito, i ricordi dei minuti precedenti al lungo sonno erano molto confusi, e si era stupito nel trovare sulla sedia vicina al letto un cambio di abiti della sua taglia dal taglio elegante e dal colore scuro.

Passarono altri lunghi minuti prima Eliza abbozzasse un sorriso, decidendosi a parlare. Sembrava proprio che il suo ospite fosse testardo ed orgoglioso come tutti gli irlandesi di pura razza, oltre ad essere oltremodo laconico. Volendo evitare che la conversazione diventasse spiacevole fin dall’inizio, perché sapeva che lo sarebbe diventata, l’immortale gli si rivolse con tono gentile per nulla provocatore .

-Credo che tu abbia delle domande da farmi.

Lui annuì una volta, rimanendo qualche secondo in silenzio prima di parlare.

-Alexandra, – Prese il suo tempo per pronunciare il nome con cui aveva conosciuto Eliza nell’ottocento, aggiungendo deliberatamente un leggero accento ucraino alla sua cadenza ed indurendo appena il tono nel pronunciare il resto. -Cosa c’entri in questa storia? -sembrava che tra la sofferenza della perdita che aveva subito negli ultimi mesi cominciasse a trapelare il rancore che provava verso ciò che era successo. Angel accolse la cosa quasi con gioia. “Nell’ultimo secolo sono diventato un vero esperto nel provare lutti e scomparse ed andare comunque avanti, e preferisco di gran lunga  la rabbia alla disperazione”.

La notte in cui era arrivato, durante il viaggio in macchina verso l’attico, Liz gli aveva chiesto cosa fosse successo a Los Angeles. Angel le aveva raccontato dell’albergo in fiamme, dei commando che lo aspettavano fuori, mitra spianati e fuoco incrociato. Di come si fosse salvato quasi per miracolo passando attraverso un vecchio condotto fognario. Da lì si era trascinato in un canale di scolo praticamente in disuso da anni e si era rintanato nella prima nicchia che aveva trovato.

Era appena riuscito a raggiungere quel rifugio di fortuna quando le gravissime ferite che aveva riportato lo avevano fatto cadere in una specie di coma. Non era la prima volta che gli capitava di cadere in questa profondissima letargia.

I corpi dei vampiri reagivano in questa maniera alla mancanza di nutrimento prolungato o alla presenza di gravi traumi, il loro metabolismo si modificava automaticamente e li faceva cadere in una specie di letargo per risparmiare energie e destinare tutte le risorse alle poche funzioni vitali necessarie.

Angel non sapeva quanto tempo era stato inconscio quella prima volta. Si era risvegliato quando aveva sentito dei ratti passeggiargli sopra, interessati alla sua carcassa. Giusto per pochi istanti.

Il vampiro ricordava il tutto come un brutto sogno. Sprazzi di brevissima lucidità o perlomeno coscienza intervallati a lunghi black-out e deliri causati da febbre e dolori. Non sapeva quanto tempo esattamente aveva passato in quelle condizioni prima di riprendersi abbastanza da pensare coerentemente. Sicuramente settimane, forse mesi.

C’era voluto altro sangue e ancora molto altro tempo perché fosse abbastanza in forza per trascinarsi fuori dalle fogne e raggiungere la prima stazione dei pullman.

Lì, Angel aveva dato fondo ai contanti che aveva con sé al momento dell’attacco e venduto il suo orologio per mettere insieme il denaro sufficiente ad arrivare a New York. Non aveva potuto prelevare il necessario dai suoi conti per lo stesso motivo per cui non aveva chiesto ospitalità e soccorso ai suoi amici. Voleva che chiunque l’avesse assaltato lo credesse morto. Anche il viaggio lo aveva passato per la maggior parte dormendo.

Una volta nell’appartamento, Eliza l’aveva fatto accomodare nella stessa poltrona dove era seduto ora, portandogli da mangiare. Angel non immaginava il perché lei tenesse del sangue fresco in casa, soprattutto sangue umano, ma non lo aveva chiesto. Era stato troppo stanco per farlo e una volta sazio il senso di confusione che provava aveva cominciato ad aumentare. Inutilmente aveva cercato di concentrarsi passandosi più volte le mani sul viso per scacciare la letargia che lo assaliva. Alla fine aveva ceduto, costretto a rimandare una conversazione che considerava estremamente importante.

Mentre lui si era nutrito, Liz gli aveva raccontato quanto sapeva lei. In sostanza nei giorni precedenti, quando i telegiornali avevano dato la notizia che l’Hyperion era andato distrutto in un misterioso incendio, causato da una perdita di gas, Liz si era data da fare con i suoi contatti per scoprire la verità.

Prima di tre ore aveva saputo che c’era stato un morto a causa del crollo dell’edificio. Doyle. Lo avevano trovato sotto un mucchio di macerie, con una pallottola piantata nel petto. Come una perdita di gas avesse causato la formazione della cartuccia che aveva provocato la morte non era stato spiegato. Cordelia era stata ricoverata in ospedale per accertamenti, un trauma cranico di lieve entità, era stata dimessa in pochi giorni. Wesley aveva riportato lesioni permanenti ad una gamba, per colpa di una trave di supporto crollatagli addosso. Aveva davanti a sé un lungo periodo di fisioterapia.

Angel era rimasto all’oscuro di quanto era successo ai suoi amici prima di arrivare da Liz. Una volta uscito dalle fogne e trovato un riparo da occhi indiscreti e dai raggi del sole, aveva visto davanti a sé solo macerie. Si era girato per andarsene senza voltarsi indietro.

Non avrebbe potuto fare altro e lo sapeva.

-Niente. –gli rispose semplicemente. –Ho saputo del crollo dell’hotel dal telegiornale. Poi ho chiamato delle persone… –fece un gesto non curante con le spalle, come se fosse normale avere delle amicizie sparse un po’ ovunque. –…e gli ho chiesto di tenermi informata. In caso tu ti fossi fatto vivo, non ho saputo molto di più fino a quando tu hai chiamato. Il resto lo sai.

Angel annuì pensieroso, poteva credere a questa storia. Poteva. Ma il suo migliore amico era morto. E lui non sapeva ancora a causa di chi. Era su questo che voleva concentrarsi ora. Gli occhi gli si tinsero appena di giallo e le parole furono quasi un sibilo.

-Chi è stato?

-Il mandante? –Era una delle abitudini di Liz specificare sempre quello di cui si stava parlando prima di dare qualsiasi risposta. Il vampiro annuì, per nulla compiaciuto dal fatto che la donna perdesse tempo con un’inutile domanda. -Non lo so. Proprio non lo so. Posso dirti che commando così organizzati, che riescono a sparire senza lasciare traccia dopo uno scontro a fuoco in piena L.A. sono molto probabilmente agenti del Concilio. Il modus operandi è il loro. Incidenti inspiegabili e storie di copertura così fragili da crollare in un solo soffio, ma che nessuno si prende la briga di indagare. Tu non saresti mai dovuto uscire da quell’albergo, esattamente come i tuoi amici. Immagino non sapessero delle fognature, altrimenti avrebbero lasciato qualcuno anche lì.

Angel fece un cenno impaziente con la mano, non gli interessava sapere come o perché fosse successo. A quelli ci arrivava benissimo da solo. “Ma è così difficile per la gente rispondere alle domande che gli sono state fatte e solo a quelle?” Sapeva che era la rabbia e il dolore a renderlo così poco paziente, cercò di frenare l’impazienza e di proseguire il dialogo al passo deciso dall’immortale.

-Come arrivo ad un nome?

Liz scosse la testa in un cenno di diniego. Era un gesto elegante per nulla esagerato, perfetto per la persona impassibile e fredda che stava dimostrando di essere. Vederla così distaccata non fece che irritare di più i nervi di Angel, semplicemente perché sapeva che probabilmente lui in questo momento faceva trapelare molto più di lei sui suoi veri sentimenti e intenzioni rendendolo vulnerabile.

-Non puoi arrivarci. Il Concilio è un’organizzazione segreta. Una che tiene bene i propri segreti. Non potresti mai arrivarci, non ora almeno. Non avresti alcuna speranza, non è che questo tipo di ordini sia dato pubblicamente. Sapendo come lavorano, a parte il capo degli operativi, è possibile che solo una o due persona sappiano chi ha dato l’ordine.

-Tu hai fatto parte del Concilio, devi sapere qualcosa in più.

Cercava di farla crollare con lo sguardo, gli occhi socchiusi e le pupille contratte appena più chiare del normale. Lei semplicemente sorrise di fronte a quegli ovvi segni di ostilità.

-Ma non in questo secolo Angel. Non in questo secolo.

Il vampiro continuava a pressarla. Voleva arrivare ad una soluzione e ci voleva arrivare ora. Questo gioco era durato anche troppo. Non si trovava qui per fare conversazione. Andare da lei ferito e alla fine delle sue forze era stata una scommessa rischiosa. In quel momento sarebbe bastato praticamente un niente per ucciderlo. Non la conosceva assolutamente e l’unica prova che fossero entrambi dalla stessa parte erano le parole della stessa Eliza. Per quanto ne sapeva tre mesi prima, una settimana, ventiquattro ore prima od ora, forse tutto quello che la donna voleva era la sua morte, magari dopo aver giocato per un po’ con lui.

Aveva fatto una cosa simile semplicemente basandosi sull’assenza di prove. Nessuno di chi avesse interpellato sapeva nulla di lei, nessuno la collegava al Concilio, eppure lei aveva previsto quanto sarebbe accaduto. L’aveva avvertito e lui non era riuscito a muoversi abbastanza in fretta da prevenirlo. Delle sue conoscenze lei sembrava l’unica in grado di sapere cosa stesse accadendo realmente all’interno del Concilio.

-E i tuoi contatti? –Scontato che ne avesse, per quanti anni fossero passati. Non era una stupida, Angel lo sapeva, era sopravvissuta per troppo tempo per esserlo. -Cosa possono fare?

-Possono indagare. Ma sarà difficile che arrivino a qualcosa. –Angel fece per interromperla ma lei proseguì, ignorandolo. -Diciamo che si sono messi in moto dei meccanismi, che probabilmente porteranno ad una faida interna. Molte cose saranno sepolte. Altre verranno alla luce. Forse sarai fortunato, forse no.

Scrollò le spalle totalmente noncurante.

-Di che meccanismi stai parlando?

Angel voleva capire a cosa stesse riferendosi. Odiava essere tenuto all’oscuro di qualcosa. Soprattutto qualcosa dall’aria potenzialmente pericolosa.

-Hai mai assistito ad una rivoluzione?

Il vampiro annuì una volta rispondendole, decidendo di seguire la sua linea di pensiero almeno per qualche secondo prima di saltarle addosso e sgozzarla. Era una fantasia molto rilassante.

-A quella francese.

Lei continuò a parlare.

-Bene, allora puoi capire. La tensione che cresceva costantemente, i gesti di riconciliazione che venivano fraintesi. Estremisti che se la prendevano con i moderati della loro stessa fazione, alleandosi a volte con gli estremisti dell’opposizione… in breve… il caos… la voglia e la paura dello scontro. –Oh, eccome se Angel ricordava. Era stato bello. Eccitante anche. Vedere tutte quelle possibilità aprirsi davanti a lui, occasioni su occasioni. Distolse la mente dai ricordi per concentrarsi sul presente. -Molti avevano capito da tempo che sarebbe sfociato tutto in uno scontro sanguinoso, che era inutile tentare di parlare. Che alla fine qualcun altro sarebbe salito al potere e tutto sarebbe tornato normale… -Un riassunto molto conciso e semplicistico ma non lontano dalla verità. -E’ la stessa cosa, ci sono gli stessi segnali.

-Non puoi impedirlo?

Liz rimase in silenzio a fissarlo un istante prima di scoppiare a ridere, veramente divertita. Era sconveniente di fronte  ad una persona in lutto per la perdita del suo migliore amico. Beh, ragionò, se Angel si voleva comportare da idiota, avrebbe avuto una trattamento da idiota, lutto o non lutto.

-Cosa credi? Che possa entrare nella sala principale del Concilio e dire “hey bambini smettete di litigare”? E che loro buoni buoni continuerebbero come facevano prima, come vecchi amici che si sono riconciliati?

Lui non si arrese. Era troppo importante per lui per farlo.

-Hai detto che hai potere, usalo. –scattò, risentito anche dal fatto che lei continuava ad avere un sorriso ben stampato in faccia.

-La mia influenza non sarebbe assolutamente sufficiente a fermare quello che sta succedendo.

Il tono di Eliza fluttuava tra il condiscendente e il seccato.

-E’ soltanto perché non vuoi provare.

Fu la sua tagliente risposta, involontariamente le mani si strinsero sui braccioli della poltrona.

-Esatto Angel. Ci sei arrivato, bravo. –Liz applaudì appena, beffarda.  –Non voglio provare a fermare due o tre fazioni del Concilio mentre si scannano a vicenda. Neanche un po’.

-E perché? Hai paura? Non ti regge lo stomaco a tentare una cosa simile?

Lo fissò negli occhi senza rispondere per lunghi istanti. “Crede veramente di avere a che fare con una ragazzina sprovveduta che seguirebbe il suo orgoglio ferito in qualcosa che va contro ogni logica e suo interesse? Soltanto perché l’hanno accusata di aver paura?”.

-A questo punto sarebbe un suicidio per chiunque tentasse.

L’immortale fece un tentativo di riportare la conversazione ad un tono più civile, inimicarsi il vampiro non era lo scopo della conversazione ma alla sua risposta Angel si trasformò e le ringhiò contro.

-Non pensi che io sia capace di essere altrettanto pericoloso?

Lei lo guardò, rimanendo immobile nella sua posizione, ancora completamente rilassata nella poltrona.

-Assumerò che questa tua reazione sia dovuta al dolore per la perdita che hai subito. E che tu non mi stia minacciando. –il tono era diventato gelido e tagliente, le parole pronunciata con esatta precisione. - Altrimenti dovrei prendere provvedimenti a proposito.

Il volto di Angel tornò umano e lui si lasciò ricadere contro lo schienale sforzandosi di rilassare i propri muscoli. Cercò di ricordare che era qui perché Liz era il suo unico appiglio al Concilio e che una volta morta non gli sarebbe servita a nulla.

-Come posso fidarmi di te? Hai appena detto che non intendi rischiare la tua persona.

C’era risentimento nelle sue parole.

-Mettiamo in chiaro una cosa da subito Angel. Io non rischierò mai la mia vita o quella dei miei per qualche stupida causa. E la tua sete di vendetta, se non la sai controllare è una stupida causa. –Le parole erano dure. – Quanto al fatto che tu possa fidarti o meno di me la risposta è semplice… Non puoi, Angel… Non puoi fidarti di me… Ricorda, ti sto offrendo aiuto quando avrei potuto evitare di farlo, od addirittura approfittarne e cogliere l’occasione per eliminarti… Inoltre le tue chance di entrare dentro al Concilio, trovare tutti i dirigenti, interrogarli, ottenere le tue risposte e poi uccidere il colpevole, contando solo sulle tue forze quante possono essere?

Liz rimase in silenzio per un po’, per dar modo ad Angel di pensare. Non che in realtà avesse poi molta scelta. Lei aveva ragione e lo sapevano entrambi. Ci volle qualche minuto perché il vampiro si calmasse abbastanza da parlare di nuovo.

-Dammi il nome di chi ritieni più probabile come mandante.

Liz rimase a pensare per qualche istante decidendo se informare o meno Angel dei propri sospetti. Non sapeva se era la scelta migliore, non aveva idea di quanto potesse controllare il vampiro una volta che lui avesse avuto un idea di chi cercare.

-Il comandante dei progetti speciali Travers o il primo dirigente Miller. Gli altri sono improbabili.

Angel annuì rimanendo in silenzio. La tentazione di alzarsi ed andare a cercare i due per ammazzarli era forte, ma lui la soppresse accuratamente limitandosi a pensare ad una linea di azione alternativa.

Voleva ucciderli. Avevano attaccato lui, i suoi amici, distrutto la sua casa. Esigere la sua vendetta, la sua stessa natura e la sua educazione lo incitavano a farlo. Era difficile dire di no. Ma aveva ragione Liz. Angel sapeva benissimo che farlo ora, nelle condizioni in cui si trovava, sia fisicamente che mentalmente, era una pazzia. E lui non commetteva pazzie.

No, avrebbe aspettato. L’immortale si era offerta di tenerlo informato in caso nuove notizie le fossero arrivate e gli aveva detto che lo avrebbe aiutato entro certi limiti. “Bene,” decise Angel “questa è una base di partenza”. Senza contare che, anche con la disponibilità di sangue fresco che aveva ora, gli ci sarebbe voluti ancora molti giorni per rimettersi perfettamente in sesto. Avrebbe potuto usare il tempo per sondare i propri canali e riallacciare alcuni, scelti, contatti. Aveva intenzione di raccogliere risorse, prime fra tutte il denaro, senza che si sapesse che lui fosse ancora vivo.

Passarono alcuni minuti prima che l’immortale interrompesse i pensieri del vampiro. Usò una voce gentile e allegra, appositamente regolata per risollevare l’umore della conversazione.

-Cosa ti posso offrire?

Lui scosse la testa. Voleva pensare alle sue varie possibilità piuttosto che mangiare qualcosa. Angel non sapeva cosa potesse guadagnare da questa alleanza e la cosa lo metteva in svantaggio, oltre che renderlo particolarmente nervoso. Doveva decidere in fretta cosa fare, se fidarsi di quella donna che non gli aveva dato un solo motivo per farlo, né d’altra parte uno per non farlo. Inutile anche tentare di chiederle altro ora. L’aveva fatta arrabbiare abbastanza, e per il momento lui non era in grado di portare avanti un’altra conversazione simile alla precedente senza impedirsi di scattare alla prossima provocazione.

Al vampiro non piaceva assolutamente entrare in qualcosa che non conosceva appieno. Chiuse gli occhi per un secondo e sospirò. Non aveva scelta. Per quanto la cosa lo infastidisse doveva mettersi nelle mani di Eliza, almeno per qualche giorno, e affrontare eventuali trabocchetti quando e se si sarebbero presentati. Si rilassò di più nella poltrona ora che aveva preso una decisione definitiva su cosa fare.

Quando rialzò le palpebre vide Liz in piedi a qualche passo da una porta di legno.

-Su, Angel, non farti pregare, prendi un tè, qualsiasi qualità tu preferisca... Colleziono miscele rare, ne ho un’intera dispensa. –continuò in tono scherzoso quando vide che il vampiro non rispondeva ancora. –Scommetto che in duecento e passa anni avrai sviluppato almeno un po’ di gusto, no? Oppure hai sprecato tutto il tuo tempo in massacri e libri polverosi? So dei tuoi viaggi in oriente, quando era… -una pausa mentre batteva leggermente l’indice contro il mento cercando di ricordare o facendo finta di aver bisogno di farlo, Angel non riusciva a dirlo. -…si, giusto, un po’ prima della rivolta dei boxer, e se sei stato così tanto in Cina immagino che qualche volta il tè lo avrai pure bevuto, no? Allora, quale qualità preferisci? Avanti, chiedimi qualcosa e metti alla prova la mia preparazione di anfitrione.

Angel quasi sorrise. Apprezzava la pausa dalle questioni di affari, e sembrava che l’interesse e il buonumore dell’immortale fossero naturali e di sicuro facilmente contagiosi. L’irlandese decise che era venuto il momento di farsi sollevare il morale a prescindere dalla buona fede o meno di chi lo stesse facendo. Inutile stare lì  piangersi addosso per qualcosa che non poteva cambiare.

-Se fosse possibile prenderei volentieri una tazza di Yunnan Silver Hair. –Le rispose con aria di sufficienza e un sogghigno divertito. Era una miscela di tè rarissimo. Solo per il gusto di sfidare Eliza. E dimostrare di aver acquisito buongusto negli ultimi secoli.

–Non è un problema. Dammi dieci minuti.

Quando uscì dalla stanza era lei a sorridere davanti alla faccia stupita del vampiro.

Più tardi, con entrambi una tazza in mano stavano chiacchierando tranquillamente del più e del meno. Qualche volta la voce di Angel si faceva più triste, ma stranamente il vampiro era prodigo di parole, quasi loquace.

I ragazzi di Sunnydale non lo avrebbero riconosciuto. Ma lui non aveva mai avuto argomenti da discutere con loro, parlare si, ma fare un discorso con quegli adolescenti era un’impresa. Senza neanche considerare la limitatezza di vedute di Giles, davanti a cui, a volte, persino i bigotti cattolici dei tempi dell’inquisizione sembravano aperti alle novità.

-E così sei stata un’osservatrice, una nobildonna dai gusti raffinati, il centro pulsante della società bene ucraina della seconda metà dell’ottocento, e che altro?

Liz rise. -Oh, durante la mia vita sono stata tante altre cose. Considera che tu, a soltanto duecentocinquanta anni, hai già cambiato bandiera quattro volte e tentato di dare il via ad un'apocalisse. Pensa se avessi avuto più tempo... ...infinite possibilità... –alzò le dita per enumerare, uno sguardo divertito ai ricordi che doveva aver legato a quelle professione .-Ho fatto l’attrice, il guerriero, persino la storica… -Liz sorrise, ammiccando appena in direzione di Angel. –non potevi immaginare le cose che sapevo del periodo storico che studiavo, rimanevano tutti stupiti, quasi io ci avessi vissuto in quel tempo…

Sorrise anche Angel. Ricoprire per un decennio la carica prima di ricercatore e poi di docente universitaria del rinascimento italiano era stato uno dei periodi più felici della sua vita. Si era divertita molto in quegli anni, nell’ateneo regnava un’aria di emancipazione e pace riflessiva come Eliza non aveva trovato da tempo. Lì aveva conosciuto alcune brillanti persone, ambientandosi praticamente immediatamente nonostante fosse una sconosciuta del circolo dei professori. Ricordava ancora Thomas Dregert, una delle persone più divertenti che avesse mai incontrato e uno dei migliori amici che avesse mai avuto nella sua intera vita.

-E tu?

Angel la richiamò dai suoi ricordi. –Io cosa? –Chiese, colta di sorpresa.

-Quante volte hai tentato di far finire il mondo?

Lo fissò divertita, immaginava avrebbe fatto la domanda.

-Nessuna. Sinceramente devo ancora capire perchè la gente voglia farlo... sono sempre stata ossessionata dalla domanda… e dopo?

Angel si limitò ad alzare la tazza con una scrollata di spalle e l’espressione totalmente vuota, ed a finire il suo tè. Non conosceva la risposta.

 

 

 

 

 

Londra, Inghilterra. Mercoledì notte.

 

 

 

 

La mercedes nera era ben oltre il limite di velocità, ma l’attraente quarantenne dai capelli appena brizzolati che la guidava sapeva che nessuno avrebbe osato fermare un’automobile con targa diplomatica. Anche se lui con l’ambasciata del Nicaragua non aveva alcun rapporto.

Gillison tornava al Concilio dopo una serata decisamente divertente. Aveva vagato senza meta per i club più esclusivi di Londra, passando ore molto piacevoli, con un drink sempre in mano, finendo per conoscere un’attraente modella bulgara che sapeva avrebbe rivisto a qualche altra festa.

Per una serata aveva voluto staccare dal lavoro. Le tensioni interne del Concilio stavano per esplodere in qualcosa di grosso, qualcosa che sarebbe stato difficile superare, praticamente impossibile superalo indenni, di qualsiasi cosa si trattasse. Erano supposizioni infondate, lo sapeva, solo sospetti ed esperienza. Per quello era a Londra. Meglio approfittare del potere, godere della vita, fino a quando le avevi.

Ed andarsi a divertire in quei locali era favoloso. Gillison lo sapeva bene, li frequentava anche per lavoro. Ironicamente, per stringere la maggior parte dei suoi contratti d’affari doveva passare comunque la maggior parte delle sue notti in locali simili se non gli stessi.

Chi aveva mai detto che i demoni non sapessero divertirsi?

Per questo era così rinomato nel giro. Conosceva le persone giuste e aveva tutti i requisiti per rimanere lì. Soldi, fascino, bellezza, potere. E per una volta gli era tornato utile semplicemente per divertirsi.

Sentiva ancora l’odore del fumo, un misto di tabacchi e droghe, nelle narici e il rumore della musica nelle orecchie. Per rilassarsi schiacciò ancora di più il piede sull’acceleratore, volando sulle strade deserte.

Improvvisamente un grosso fuoristrada argento, uscito a tutta velocità  da uno dei vicoli laterali, speronò la mercedes dalla parte del passeggero, mandandola a schiantare contro il muro di una palazzina anni trenta.

Gillison riuscì a registrare l’ombra argentata alla sua sinistra appena prima dell’impatto, prima di perdere il senso dell’orientamento mentre l’automobile carambolava impazzita, completamente priva di controllo.

La mercedes diventò un caos di lamiere contorte e vetri infranti, la macchia bianca dell’airbag che risaltava sul nero dei sedili in pelle e della carrozzeria. Sotto la vettura si stavano già formando pozzanghere di olio e benzina.

Anche se con il cofano completamente deformato ed un fumo grigiastro che usciva dal motore, il fuoristrada proseguì, fino a fermarsi con una brusca frenata a pochi metri dall’altra auto.

Il parabrezza fu spaccato dall’interno con un paio di calci. Poi un corpo fu lanciato fuori dalla vettura, atterrando scompostamente fra i frammenti di vetro sparsi sull’asfalto. Aveva la gola squarciata ed il volto reso irriconoscibile da tagli insanguinati.

Lo sportello del fuoristrada fu aperto ed una figura completamente vestita di nero ne uscì.

Prese a camminare lentamente verso la mercedes nera, i passi pesanti degli anfibi risuonavano sull’asfalto. Non sembrava scosso.

Una volta raggiunta l’altra auto con pochi strappi aprì a forza lo sportello incastrato ed irrimediabilmente deformato. Piegò leggermente la testa di lato e contemplò per un attimo l’uomo che si trovava davanti. Il corpo riverso sull’airbag ormai sgonfio e trattenuto dalla cintura di sicurezza.

Allungò una mano e controllò le pulsazioni della giugulare. Deboli ma presenti.

La mano bianca con le unghie smaltate di nero scivolò dietro al collo dove, con una leggera torsione ed appena un po’ di forza, ruppe la seconda vertebra.

Continuando a guardare il quarantenne, l’uomo in nero scosse leggermente la testa, sorridendo appena. Si stava divertendo un mondo.

-Un vero peccato che tu sia morto, non trovi? Ti eri comportato così bene, la cintura, l’airbag che ha funzionato. Proprio fortunato a sopravvivere all’impatto, anche se la velocità era un po’ alta… Bah... Sono scherzi del destino Gillison. Non si sfugge alla vecchia signora… Soprattutto quando io me ne assumo le funzioni.

Avvolto nel suo lungo spolverino nero si allontanò dalla macchina mentre si accendeva flemmatico una sigaretta, i suoi capelli ossigenati spiccavano nella penombra dei lampioni. Il forte odore di benzina cominciava ad infastidirlo.

Fissò un punto in lontananza dove sapeva esserci un cecchino. Era stato tenuto sott’occhio da lontano per tutta la durata dell’appostamento, lo sapeva.

Finì con comodo la sigaretta e poi si avviò verso quel punto. Aveva ancora tanto lavoro da fare. E lui si era appena cominciato a divertire.

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli Osservatori. Mercoledì notte.

 

 

 

Jason entrò nella stanza esattamente due minuti dopo la chiamata ricevuta dall’operatore. Superò senza esitazioni la soglia da cui proveniva la luce che illuminava vagamente il corridoio, seguito a breve distanza dalla squadra di sorveglianza notturna che si muoveva con cautela, i mitra spianati.

Il locale era identico a tutti quelli che si trovavano a questo piano. Piccolo, impersonale, asettico, arredato spartanamente; il letto, un comodino, una scrivania con telefono e la sedia addossata alla parete, dove era seduta immobile la cacciatrice, sistemata in maniera tale da permettere di sorvegliare la porta d’ingresso e l’intera stanza contemporaneamente. Niente, a parte la sacca nera appoggiata sul piano della scrivania, dimostrava che quell’alloggio fosse stato assegnato a qualcuno.

Il cadavere sul letto era fin troppo appariscente per essere ignorato per più di qualche attimo da qualsiasi persona entrasse in quella stanza. Gli sguardi erano attratti irresistibilmente da quella macabra figura, come incuriositi. A Jason bastò un attimo per riconoscerlo. Si trattava di Dellah, uno degli operativi, lo conosceva di vista, non ci aveva mai lavorato assieme e lui non passava molto tempo libero con gli altri agenti.

Distolse lo sguardo dal cadavere e fissò Faith, ancora seduta sulla sedia, nessuna emozione sul volto e lo sguardo impassibile. Ora non sembrava più una ragazza di venti anni, espansiva e allegra come tante altre, era fredda e spietata, sembrava trasudare pericolo.

Gli altri operativi continuavano a fissare stupidamente il loro collega morto, senza riuscire a rivolgere lo sguardo verso altro, completamente assorbiti dall’orribile spettacolo, come se sperassero che Dellah si alzasse in piedi o forse temendolo. Era una cosa pericolosa da fare in una situazione simile, avrebbero dovuto saperlo. Jason si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto far svolgere esercitazioni in proposito, qualcosa in cui almeno un uomo della squadra rimaneva a terra in una situazione apparente di sicurezza, per evitare che ci fossero reazioni simili in futuro. Far fuori ora la squadra di sorveglianza sarebbe stato estremamente facile.

Infatti anche se avevano visto così tanti morti, corpi mutilati di compagni, che la cosa ormai non li sconvolgeva più, questo era diverso. Morire durante una missione era normale, tutti lo sapevano e tutti lo accettavano. Era un rischio che conoscevano. Ma morire negli alloggi della sede centrale, quello non lo era. Gli operativi faticavano ad accettarlo. Quel posto era sicuro, nulla poteva entrarci. Era così da più anni di quanti loro fossero stati lì.

-Che cosa è successo?

La voce di Jason era quella di sempre, professionale, senza alcuna emozione. Quella di Faith invece suonò a tutti fredda e distante rispetto a quella che usava sempre, riuscendo ad attrarre l’attenzione degli altri operativi.

-Vampiri. Un vampiro. William il sanguinario.

I chiodi piantati nelle mani della vittima non lasciavano molti dubbi sull’autore.

Un istante dopo aver finito di parlare Faith era in piedi davanti a Jason, ben dentro il suo spazio personale, gli occhi rabbiosi piantati nei suoi, apertamente sfidandolo a reagire. Il capo degli operativi non si mosse di un millimetro davanti alla furia della cacciatrice, limitandosi a battere le ciglia calmo come sempre.

-Credevo fosse compito tuo impedire ai vampiri di entrare in questo posto. Lì, - Indicò con la testa il letto. Il portamento ancora aggressivo, pronta a reagire a qualsiasi minaccia. –C’è il risultato del tuo lavoro. –Faith sorrise ironicamente, ma i suoi occhi erano duri come ghiaccio. Il tono era rabbioso. –Ritenta. Scommetto che puoi fare di meglio.

Detto questo la cacciatrice prese la sacca ed uscì dalla stanza. Sul volto di Jason non si era mosso neppure un muscolo. La sua voce era ancora perfettamente normale quando parlò ai suoi uomini, mentre usciva anche lui da lì, per raggiungere la cacciatrice, il passo tranquillo di sempre.

-Sistemate il cadavere e  perlustrate tutto il piano. Chiudete tutte le uscite. Massima allerta.

Raggiunse Faith davanti alle porte dell’ascensore che si stavano aprendo. In completo silenzio entrarono nella cabina di metallo lucido. Sentirono una leggera pressione schiacciarli quando si mise in moto, cominciando a salire verso la sala controllo. Tutti e due fissavano invisibili punti davanti a sé. La cacciatrice furiosa, il suo stato d’animo palesemente evidente dalla forza con cui la sua mandibola era serrata e dalla rigidità delle spalle, come se faticasse a trattenersi. Jason d’altro canto, dietro la sua maschera di indifferenza, appena ingentilita con una cosciente distensione dei lineamenti, in modo da sembrare comprensivo alla situazione di Faith, era perplesso alle motivazioni che potevano esserci dietro quell’atto e quali implicazioni che poteva avere.

-Perché lui?

Gli era necessario conoscere il movente, per riuscire a capire il resto.

-Ci sono andata a letto.

Il display montato sopra la tastiera segnò il raggiungimento del piano desiderato. Un clic avvertì della prossima apertura delle porte scorrevoli. Ancora nessuno dei due aveva voltato il viso per guardare negli occhi l’altro. “Strano che non ne sapessi niente” pensò Jason. In genere era informato di quello che accadeva ai suoi operativi, ed anche se non aveva alcun interesse nel controllare la loro vita privata, in caso questa coinvolgesse dei colleghi, cosa tra l’altro vivamente sconsigliata a tutti, praticamente proibita, diventava di sua competenza.

-Per quale motivo l’hanno ucciso?

Faith non gli rispose. Che ci arrivasse da solo. Non era lì per dargli risposte. Si allontanò da lui senza dire un’altra parola.

 

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli osservatori. Giovedì 13 mattina.

 

 

 

Aveva paura.

Per la prima volta da quando era arrivato al potere aveva paura.

Niente più senso di onnipotenza. La base stessa del suo potere stava vacillando.

Anni prima era stata la scalata verso il successo. Inarrestabile scalata. Così semplice, rischiare qualcosa che non si possedeva.

Si era alleato segretamente all’opposizione di Lybrand, primo osservatore di allora, mentre cercava consensi fra gli Osservatori Anziani più giovani e promettenti, quelli che sarebbero potuti diventare dirigenti alla prossima elezione. Tra loro era spiccata sin dall’inizio Marlin, una mente a dir poco geniale, sufficientemente ambiziosa da sostenerlo ma che usciva da una situazione troppo sfavorevole per poterlo surclassare nella corsa alla prima poltrona.

Ancora oggi Miller, nonostante la grande stima che aveva delle abilità e dell’intelligenza della donna, era all’oscuro che all’epoca Magdalene si era legata anche ad un esponente minore tra i sostenitori di Lybrand, come piano di riserva. In caso fosse saltato il colpo di mano la aspettava la carica di vice dirigente delle finanze.

Poi, appena le cose avevano cominciato a prendere la piega giusta, Miller aveva avuto la certezza di aver scommesso su una vincente. La donna, nonostante l’età relativamente giovane, non aveva ancora quarant’anni, aveva dimostrato tutta la sua abilità nel trattare con i suoi oppositori. Era diventata uno squalo. Il suo squalo.

Aveva silurato decine di personaggi scomodi con efficienza ed eleganza. Molti si stavano ancora chiedendo come o perché. Tanti altri non sapevano neanche chi era stato a farli cadere. Rendendosi indispensabile a Miller.

E così era diventata temuta ed odiata, acquistando potere, consensi e sostenitori.

Abbastanza da rappresentare un pericolo. Miller l’aveva capito tardi, ma non troppo.

Non poteva certo rovesciarlo. Non ne aveva la forza, virtualmente nessuno ha il potere di rovesciare il primo osservatore. E negli ultimi cinque anni Miller aveva portato avanti una politica di divisione del potere fra i suoi collaboratori, arrivando ad affidare importanti compiti anche ad oppositori dichiarati, pur di non creare un solo pretendente che potesse insidiarlo. Era stato per questo motivo che aveva appoggiato più o meno segretamente un personaggio controverso come Travers, su cui da tempo pesavano accuse di corruzione e malversazioni, in maniera che funzionasse da freno per Marlin, certo che la storia tra loro due gli avrebbe impedito di allearsi, facendolo diventare uno dei più potenti dirigenti.

Ma l’ultimo anno era bastato a gettare al vento il lavoro accorto degli ultimi. La bilancia del potere di Marlin e Travers aveva cominciato ad oscillare in maniera imprevista e con essa quella del suo diretto potere. Sembrava che la guerra fra quei due stesse per sfuggire ad ogni controllo. Anche questo doveva essere evitato. Avere un vincitore era contro ogni interesse di Miller.

Quella che aveva in mente lui era una lunga ma silenziosa faida fra i due, che li avrebbe lentamente dissanguati senza ucciderli. Ma sembrava che entrambi mirassero a sgozzare l’avversario nel più breve tempo possibile, riuscendo a volte a scontrarsi nonostante le precauzioni prese dal primo osservatore.

Le cacciatrici erano state un problema. Si erano rivelate il campo di battaglia principale contro ogni sua aspettativa. Non che agli occhi degli osservatori anziani e dei dirigenti contassero veramente, se non per un fatto di prestigio. Ma per i quasi quattrocento osservatori giovani contavano… erano essenziali.

E lui le aveva perse entrambe. Inizialmente si erano sottratte tutte e due al controllo del Concilio ma la cosa non lo aveva preoccupato. Fuori dal quadro non avevano valore ed a lui andavano bene così. Ma ora Miller aveva capito che aveva trattato troppo frettolosamente il tentativo di riportarle entrambe sotto l’ala protettrice del Concilio, o comunque di trovare una soluzione permanente alla situazione. Si era limitato ad accettare i piani di Marlin e di Travers, senza impegnarsi in prima persona o far intervenire terzi, ed al fallimento del dirigente delle operazioni speciali le cacciatrici erano passate entrambe sotto al controllo di Magdalene.

E questo era un problema. Il controllo delle cacciatrici era importante ora. Al momento opportuno ci si sarebbe chiesti chi aveva il controllo delle cacciatrici. E sarebbe stato fondamentale impedire a chiunque non fedele a lui in prima persona di alzarsi e reclamare il controllo di tutte e due. Troppo prestigio.

E quel momento sarebbe arrivato appena Marlin avesse deciso di averne abbastanza di sostenerlo.

E Miller sentiva che la dirigente era vicina a prendere una simile decisione. Doveva ammettere seppure con una smorfia di disgusto che i tempi ora erano maturi.

C’erano state due effrazioni a distanza di neanche quattro mesi, entrambe con perdite di uomini, nella sede del Concilio. Una sede inviolata da più di tre secoli. Effrazioni per le quali non si aveva movente, né colpevoli.

Gli Osservatori Anziani avevano cominciato a borbottare nei corridoi. Scontenti ed impauriti.

Ci si stava chiedendo se lui non stesse perdendo il controllo della situazione. Si facevano previsioni giusto in caso…

L’unica soluzione era quella di accentrare il potere nuovamente nelle sue mani. E di farlo in fretta per evitare che quelle previsioni servissero. Così, Miller aveva cominciato a liberarsi dei dirigenti scomodi, in modo da poter far eleggere i propri candidati alla prossima riunione. Ma questa situazione di passaggio lo rendeva ancora più debole agli occhi di tutti.

Doveva correre ai ripari. Agire con decisione per far vedere che era l’avversario temibile di sempre. Che nulla era cambiato. Aveva bisogno di un po’ di terrore lungo quei corridoi in cui si passava troppo tempo a progettare manovre sovversive. Un esempio.

Chiamò la sua segretaria e le diede ordine di convocare Jason.

Aveva bisogno di un colpevole per le effrazioni del Concilio. E Jason avrebbe fatto bene a trovarne uno se non lo voleva diventare personalmente.

 

 

 

New York, U.S.A. Giovedì 13, mattina.

 

 

 

 

Il volo atterrò in orario al J.F. Kennedy. Faith era stata fortunata. Appena arrivata in aeroporto aveva trovato un posto di business class disponibile sul primo volo in partenza per New York, la cui prenotazione era stata appena disdetta. Il volo trans-oceanico era stato lungo ma ogni minuto le era servito per analizzare la situazione e decidere le prossime mosse.

Il suo comportamento poteva essere definito come una fuga. Qualcuno aveva ucciso una persona importante, o presunta tale, nella tua vita (e quel presunta era stato l’unico errore commesso finora dai suoi avversari) probabilmente per arrivare a lei ed ucciderla. E la temeraria cacciatrice invece di dargli una caccia senza quartiere, prendeva il primo volo disponibile per un altro continente.

Una fuga. Bhè, lo era, soltanto che lei preferiva chiamarla “ritirata strategica”. A Faith non erano serviti gli anni di esperienza che aveva per capire che William il Sanguinario era sulle sue tracce, le era bastato l'istinto, tutto dentro di lei le urlava dicendo che era diventata la preda. Perciò aveva fatto esattamente quello che aveva fatto diversi anni prima, quando era Kakistos ad inseguirla. Era scappata. Senza pensare a quello che gli altri avrebbero pensato di lei. Non le importava affatto. La cosa importante era rimanere viva. E il suo vantaggio oggi era che non era affatto terrorizzata da quanto era accaduto, al contrario di quanto era successo a Boston.

Aveva preso la sua borsa, era salita su una delle macchine del Concilio, aveva guidato a tavoletta verso Londra e il primo aeroporto intercontinentale. Da lì era salita sul primo volo che la portasse da qualcuno di cui si fidasse davvero. Certo, sarebbe potuta andare a chiedere spiegazioni a Marlin o a sentire almeno cosa ne pensasse lei. Oppure appoggiarsi a Jason ed indagare con lui.

Ma Faith non si fidava di loro.

E stavolta scappava per motivi differenti.

Perché quella era una trappola. Così ovvia e grossolana, tanto che ci sarebbe caduta in pieno in altre circostanze, se non fosse stato per quel “presunta”. Accecati dal dolore e dalla rabbia era facile commettere errori.

Era tutta lì la differenza.

Non era scappata terrorizzata alla ricerca di un rifugio dove lui non potesse trovarla.

Se ne era andata per due buoni motivi. Mettere tempo, non spazio, tra loro ed usarlo per raccogliere informazioni utili sul suo avversario. Faith si fece lasciare dal taxi giallo a qualche isolato di distanza dall’appartamento di Liz, pagò in contanti, senza lasciare una mancia importante. Con la borsa in spalla si avviò lungo il marciapiede.

Durante tutto il viaggio dall'aeroporto non aveva parlato, troppo assorta nei suoi pensieri e nel controllare con discrezione che nessuno la seguisse. Era impossibile o quasi risalire a quale dei taxi di New York lei avesse preso per raggiungere il posto, ma non aveva voluto correre rischi inutili.

Durante il volo transcontinentale aveva avuto molto tempo per pensare, troppo stanca per riuscire a dormire più di una mezz’ora, che le era servita solo per avere un po' di lucidità in più. Aveva preso un paio di caffé per tenersi ancora più sveglia e aveva cominciato a riflettere.

Era una delle cose che Liz aveva passato più tempo ad insegnarle. Sempre pensare, mai agire di riflesso o per ripicca. Le aveva ripetuto decine di volte che l'istinto serviva solo nei combattimenti, che per il resto del tempo doveva usare il cervello.

Il che, detto ad una persona impulsiva come Faith, poteva essere sembrato fiato sprecato. Ma la cacciatrice lo aveva capito, ed anche se non era ancora in grado di “pensare” come Liz, Angel o  Magdalene, stava facendo grandi progressi. Del resto lei non era mai stata stupida, giusto irruente.

Aveva passato ore a pensare, riuscendo a chiarirsi pochi punti ma a formulare alcune domande di cui doveva conoscere la risposta. Se lei fosse veramente o meno l’obbiettivo finale, o solo un messaggio per qualcuno. Oppure quale fosse l’interesse di Spike nell’ucciderla, qualcosa la faceva dubitare che fosse soltanto perchè era la cacciatrice. Ce ne erano due di cacciatrici e William aveva dimostrato sempre molto più interesse per Buffy che per lei. Inoltre per essere entrato nel Concilio doveva aver avuto un appoggio dall'interno. Un omicidio su commissione, ecco cos’era. Nuova domanda, chi era il committente?

Qualcuno di molto in alto. Faith non poteva escludere Marlin dalla lista. Anche la donna aveva una lunga lista di motivi per farla fuori.

Rimaneva poi da capire come Spike si fosse liberato del chip che, teoricamente, gli avrebbe dovuto impedire di fare del male ad esseri umani. E questo significava anche che il vampiro era pericoloso, quando quelli di Sunnydale lo credevano ancora innocuo.

Faith aveva prenotato un posto sulla coincidenza per Los Angeles. Se qualcuno al Concilio si fosse preso la briga di controllare i suoi movimenti avrebbe semplicemente assunto che se ne stava tornando di corsa a casa. Se assumevano che lo faceva per scappare o soltanto perchè era una psicotica era affare loro. Era questa la copertura alla visita ad Eliza. Una semplice tappa intermedia di un volo transcontinentale.

Inoltre, durante il volo, le era venuto in mente un modo per divertirsi un po’ a causa di tutta questa faccenda. Avrebbe dovuto avvertire quell'idiota di Buffy che Spike era “tornato”. Non si preoccupava della salute della bionda, ma le faceva comodo che l’altra rimanesse in vita. Al contrario di quello che Buffy si ostinava a pensare.  Meno pressioni su di lei finché c’era la bionda a salvare il mondo e a chiudere la bocca dell’inferno. E nell’avvertirla Faith avrebbe potuto almeno divertirsi, si pregustava già la scena.

La coincidenza per L.A. partiva tra quattro ore. Giusto il tempo di fermarsi da Liz e chiedere informazioni. Senza risentire minimamente del jet-lag Faith percorse i due isolati che le mancavano per arrivare al palazzo di Liz, godendosi la passeggiata. Le strade di New York erano sempre le stesse, illuminate, trafficate e piene di gente.

Entrò nell'ampio androne del palazzo, illuminato dalla luce che filtrava dalle eleganti porte a vetro, dove il portiere la salutò cortesemente con un cenno del capo.

La conosceva e sapeva benissimo che era meglio mostrarle il dovuto rispetto, come gli aveva consigliato la proprietaria dell'ultimo piano, che era anche la più ricca del palazzo, nonché quella che gli dava le mance più sostanziose. Tanti buoni motivi per mostrarsi cortese con quella ragazza dall’aria “dubbia”. Come la sua borsa nera… L'uomo compose un numero al citofono interno ed avvertì la signora dell'arrivo della sua ospite.

Negli ultimi anni quella era diventata una zona molto “in” della città. Faith immaginava che l'immenso attico fosse il frutto di una speculazione edilizia da parte di Liz. Non si sarebbe stupita se da lì ad un paio di anni, od anche meno, l'immortale riuscisse a rivendere tutto per dieci o cento volte il valore a cui aveva acquistato quella casa quando si trattava solo di sobborghi industriali.

Il tempo era il migliore alleato per un certo tipo di investimenti. Faith sorrise all'idea. L'immortalità non gli sarebbe dispiaciuta affatto. Ma non era toccato a lei quel destino. Non questa volta. Le piaceva credere di tanto in tanto a karma e reincarnazione.

“Forse al prossimo giro”.

L'ascensore la portò silenzioso all'ultimo piano.

 

 

 

 

Da qualche parte negli Stati Uniti. Domenica 2.

 

 

 

 

-William il sanguinario o come preferisci negli ultimi anni solamente Spike.

Le catene erano pesanti e ben fissate. Il vampiro non aveva alcuna possibilità di spezzarle, soprattutto ora. Stava sdraiato a terra, cercando di recuperare le forze e di capire cosa gli fosse successo. Malditesta, torpore diffuso, sapore amaro in bocca, senso di nausea. Non erano i postumi di una sbornia, i sintomi somigliavano inquietantemente a quelli che aveva avuto quando il suo organismo cercava di assorbire i rimasugli di anestetico che quei soldatini gli avevano iniettato. 

La luce che arrivava dalla porta gli feriva gli occhi, costringendolo a tenerli socchiusi. Non riusciva a capire se fosse giorno o notte.

Ringhiò verso l’uomo cercando di liberarsi di almeno un po’ della frustrazione che provava, la risposta che ebbe lo fece solo arrabbiare di più.

-Pessimo carattere. Si, le cronache riportano anche questo.

Spike non disse niente, preferendo chiudersi in un testardo silenzio. Che andasse pure al diavolo il diligente scolaretto.

-Sono qui per proporti un affare.

Niente. Sopprimendo perfettamente un sospiro di irritazione l’uomo continuò.

-Ti posso far togliere quel chip dalla testa in cambio di una paio di favori. Oppure mi saresti inutile. –Le implicazioni lasciate in sospeso erano chiare.

Alla menzione del chip Spike si era improvvisamente interessato. Cercò di mettere meglio a fuoco la persona che gli stava davanti, la sua vista non era granché al momento ed il malditesta che voleva spaccargli a metà il cranio non lo aiutava a concentrarsi. Probabilmente era un uomo non troppo alto, piuttosto tarchiato. I capelli erano chiari, forse grigi.

-Di che si tratta?

La voce era rauca a causa della gola secca. Cosa avrebbe dato per una sorsata di sangue umano ancora pulsante in quel momento.

-Qualche essere umano da uccidere. Una cacciatrice da eliminare… so che sei un esperto nel settore.

Lo disse con totale noncuranza. Il vampiro aveva sentito persone recitare la lista della spesa più emotivamente di quanto quest’uomo condannava a morte. Sorrise felice fra sé. Finalmente non era più circondato da gente che si scandalizzava se davi un pugno. Era una sensazione decisamente rinfrescante.

-L’unico esperto. –Precisò Spike mentre si passava la lingua sulle labbra screpolate, deglutendo un paio di volte e finalmente ottenendo una voce vagamente simile alla sua in condizioni normali. Ci teneva a precisarlo. Non tutti si potevano vantare di aver ucciso due cacciatrici. -Ma voglio anche del denaro. Molto denaro. Le cacciatrici sono pericolose.

Travers finse di pensarci. Aveva messo in conto da parecchio tempo il costo monetario dell’accordo, e grazie a certi accorgimenti non avrebbe avuto problemi nell’avere i fondi necessari. I demoni non erano altro che essere corrotti ed immorali, sempre alla ricerca di un facile guadagno, aveva sperato di poter comprare la fedeltà di Spike. Voleva però che fosse il vampiro a proporlo per primo. Così da avere un’arma in più per controllarlo.

-Va bene. Cinquantamila a bersaglio, più centomila per la cacciatrice. Tutto a lavoro finito.

Spike sorrise.

-Hai fatto un affare, amico.

 

 

 

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Il Concilio degli osservatori. Giovedì 13, pomeriggio.

 

 

 

 

Il sistema di sicurezza era uno dei migliori. Non era mai stato perfetto, Jason lo aveva sempre saputo.

Sicuro, la perfezione non esisteva nella realtà, ma ci si poteva avvicinare di più. Avrebbe potuto modificarlo e farlo diventare ancora migliore, “perfetto”, anche se paradossalmente non lo sarebbe mai stato. Per farlo avrebbe dovuto coinvolgere in maniera diversa la componente umana, creare strati di sicurezza di vari livelli, compartimenti stagni. Il tutto sarebbe costato ingenti quantità di denaro e non avrebbe comunque risolto in maniera definitiva il problema. Per la solita incognita, a dir poco annosa, di trovare la risposta alla domanda “chi controlla i controllori?”.

Così aveva lasciato stare, aveva ignorato i punti migliorabili. Una negligenza dettata non dall’incuranza ma dalla prudenza. A lui non era di nessuna utilità il sistema perfetto. In un sistema perfetto tutto è sostituibile e niente è indispensabile. Ed in un posto in cui la speranza di vita non raggiungeva i venti anni, non era salutare essere sostituibili.

Così Jason aveva provveduto a rivedere il sistema di sicurezza rendendolo migliore del precedente, in modo da garantire una buona protezione. Per questo non si era stupito del fatto che un vampiro fosse potuto entrare, fosse riuscito ad uccidere un uomo e fosse uscito indisturbato. Le zone di ombra che aveva lasciato erano poche, difficilmente rintracciabili (anche se qualcuno ci era riuscito, qualcuno che non era lui… e questo non andava bene) e non potevano essere collegate a lui in alcun modo.

Jason non avrebbe voluto mai trovarsi nel lato sbagliato di una fortezza dopo averne costruita una.

Era difficile battersi allo stesso gioco. Come giocare a scacchi contro sé stessi.

Il problema ora era trovare cosa non avesse funzionato e perché. Lui era il capo della sicurezza di quel posto e toccava a lui trovare la soluzione all’enigma. Preferibilmente prima che Miller perdesse completamente la pazienza e lo allontanasse dall’incarico.

E questo era da evitare.

Il capo del Concilio lo aveva già chiamato diverse volte, senza neppure prendersi la briga di nascondere le minacce che gli aveva fatto durante le conversazioni con allusioni o cordiali frasi. Jason aveva una scadenza con cui confrontarsi. Gli aveva dato cinque giorni, non un minuto di più per risolvere tutto.

Cinque giorni, ed erano già passate dieci ore.

Ore in cui non aveva trovato nessuna prova. I video, che erano stati visionati da una squadra di venti uomini (scelti tra gli analisti interni del Concilio, non aveva tempo di trovare uomini altrettanto fidati), erano accatastati sul suo scrittoio. Non si trattava di videocassette, ma di una ordinata pila di dvd a bassa risoluzione. Il Concilio si era convertito da tempo all’uso della tecnologia digitale, migliorie tecniche considerate di una qualche importanza dagli ingegneri preposti a quella roba (di cui lui non si interessava).

Jason aveva appena finito di leggere il rapporto che aveva ricevuto con i dischi, tre pagine scarse, battute in fretta con un carattere piuttosto grande ed una pessima impaginazione.

Parlavano chiaro. Nelle cento ore di nastro (che coprivano un arco di tempo di dieci ore) visionate, non si vedevano entrare nell’edificio persone sconosciute o non rintracciabili. Non c’erano mancanze di ore nelle registrazioni, i dvd contenevano l’esatta quantità di minuti che dovevano contenere e nessuna apparente alterazione era stata rilevata.

Le guardie, interrogate da altre squadre ed i loro comandanti, con cui aveva parlato personalmente, avevano riferito di non aver visto nessuno.

La falla della sicurezza era ancora sconosciuta.

Jason si lasciò andare contro la poltrona di pelle. Questa assenza di tracce poteva significare tante cose. Si grattò pensieroso un sopracciglio. Lo faceva solo quando era solo, si lasciava andare abbastanza da permettersi un’abitudine non necessaria, giusto rilassante.

C’erano tante possibili spiegazioni a quello che era successo.

Uno degli analisti era complice dell’omicidio (dando per scontato che fosse riuscito ad avere assegnata la registrazione dell’ingresso da esaminare), probabilmente assieme ad alcune guardie. Si permise di considerarla una ipotesi marginale. Attuare un piano del genere era pericoloso, perchè mantenerlo segreto era fondamentale. E più persone si coinvolgevano più era probabile una diffusione di indiscrezioni o di un errore.

C’era stata una manomissione delle registrazioni, tale da non essere individuata ad una prima e superficiale verifica. Ed il colpevole, il complice, diventava uno dei tecnici della sala controllo. Oppure una delle persone che lavorava negli archivi con le necessarie conoscenze tecniche. In totale più di quaranta persone da esaminare.

Si poteva ipotizzare anche che uno degli interni fosse stato trasformato in un vampiro, ed usato per l’omicidio. Poteva essere rimasto in casa ad aspettare la chiamata di controllo per poi sparire nel nulla. Non c’era modo di accertarsene. Un nuovo giro di telefonate non avrebbe di nuovo dato l’assoluta certezza in un senso od in un altro. Andare in casa di ognuno a controllare fisicamente era logisticamente impensabile, a causa delle ingenti risorse, sia di uomini che di tempo (e non aveva nessuno dei due), che sarebbero state necessarie.

Oppure si poteva supporre che il vampiro assomigliasse a qualcuno che lavorava lì, qualcuno che entrava ed usciva dall’edificio molto spesso, e fosse stato scelto per questo. Anche se Faith era sicura che si trattasse di William il sanguinario in persona. Non gli aveva spiegato perché lo riteneva così probabile, modus operandi a parte.

Certo, il rituale dell’omicidio era peculiare di quell’individuo, ma poteva essere replicato, lui non aveva i mezzi per saperlo con certezza, non era mica uno della squadra scientifica, né poteva consultare esperti che fossero stati inviati ad indagare in casi di uccisioni con lo stesso modus operandi in cui era certo il coinvolgimento del sanguinario.

Si parlava di casi di decine di anni prima se non cinquanta.  Ed allora non si pensava certo ad analizzare scientificamente il luogo del delitto. E comunque era probabile che le registrazioni e gli incartamenti fossero andati persi.

Quindi Jason non poteva avere alcuna certezza a meno che la ragazza non ne avesse sentito l’odore, o qualcosa del genere (ed ora lei si trovava da qualche parte in America od ancora in volo sull’Atlantico, irraggiungibile telefonicamente), oppure conoscesse fatti che lo individuavano come colpevole certo (che non gli aveva riferito prima di partire).

Trovava tutto questo frustrante, miliardi di “se” e decisamente troppi pochi fatti che potevano essere interpretati in modo opposti e contraddittori.

Ma il capo della sicurezza non  voleva correre rischi. Quella di William il sanguinario era la migliore pista che aveva finora (e se si fermava a riflettere che la sua migliore pista non era sostenuta dal minimo elemento di certezza se non dei chiodi, si sentiva del tutto impotente e di conseguenza rabbioso…). Gli analisti avevano cercato il volto del vampiro con particolare attenzione mentre esaminavano i nastri.

Ancora senza successo.

Un'altra eventualità era che la finestra di orario esaminato, fosse sballata, proprio perché non era stato William il sanguinario a commettere quell’omicidio. Sarebbero bastati pochi minuti di scarto. Un errore nel determinare il momento della morte. Quanto era esperto il medico che aveva fatto la stima, e di quanto poteva essersi sbagliato?

Ed altre ipotesi era possibili, seppure meno probabili. Rimaneva la certezza del fatto che almeno un interno aveva aiutato l’operazione. Altrimenti tutto sarebbe stato impossibile. Ed il suo compito era trovarlo. Per quanto riguardava rintracciare e uccidere il vampiro c’era tempo.

Jason era un esperto tattico, non un investigatore. Lui era abituato ad avere le informazioni prima di stendere un piano. Non che non avesse mai fatto ricerche prima, ma non era un analista dannazione! C’erano altri per quel lavoro. A lui non piaceva affatto svolgerlo. Non amava affrontare decine di possibili “se” e “ma”, lui voleva problemi reali, con incognite possibili in una determinata gamma,  che avrebbe potuto affrontare subito. Che avrebbe dovuto affrontare e risolvere (in un modo od in un altro) immediatamente.

Lui prendeva decisioni in istanti, lavorava su modelli più semplici rispetto a quello a cui si trovava di fronte questa volta. Trovava il problema troppo complesso per essere certo di non dimenticare nulla, un effetto collaterale od una variabile che non riusciva a vedere. Ed il fatto di non essere abituato a quel genere di lavoro implicava che non conosceva i mezzi per poter diminuire drasticamente il numero di quelle opzioni in maniera corretta, poteva ignorale su una base di esperienza ma questo poteva anche non bastare. Per questo era un ottimo tattico ed un mediocre stratega.

E tra gli analisti spiccava una figura diventata ormai mitica. Marlin, Magdalene Marlin.

I suoi successi dentro il Concilio, proprio come capo del settore analisti, e fuori, in campo economico, erano diventati leggendari. Si diceva che fosse in grado di prevedere tutte le eventualità e prevenirle. Era grazie a queste sue capacità che era arrivata così in alto. La prima analista a diventare dirigente.

Jason si alzò. Doveva andare a parlarle, non era il suo superiore diretto, ma per quello che voleva fare era necessario il suo consenso, od almeno doveva informala per una questione di cortesia (che non era affatto cortesia), anche se aveva l’autorizzazione di Miller nel condurre le indagini ai massimi livelli.

 

 

 

New York, appartamento di Eliza Sinless. Giovedì 13.

 

 

 

Faith attraversò l'ampio ingresso dell'appartamento di Liz senza fermarsi. Non sapeva quanto l'immortale avesse speso per arredarlo, sicuramente tanto, ma era riuscita a renderlo un posto davvero speciale. Qualcosa che Faith era andata vicino a chiamare casa. Sentendosi completamente a proprio agio, aveva vissuto lì per alcuni mesi, la cacciatrice si tolse la giacca scura e la ripose assieme alla sua borsa da viaggio nel guardaroba attiguo all’ingresso principale prima di proseguire per il salone.

Dalla porta vide Eliza, sedeva placidamente nella sua poltrona preferita, la più vicina al caminetto e quella da cui si poteva vedere la soglia. Appena entrata nella stanza Faith sentì la presenza di un vampiro. Si tese d’istinto, gli occhi che cercavano discretamente ma velocemente nella stanza fino a notare un braccio poggiato sul bracciolo della seconda poltrona.

A quanto pareva Liz aveva ospiti. La cacciatrice, tra il sorpreso e l’indifferente, alzò un sopracciglio in una muta domanda mentre continuava a camminare. Le fu risposto con un sorriso solo accennato, calmo e rilassato, da parte dell’immortale. Sembrava non ci fossero problemi. Meglio così.

Superata la poltrona e raggiunto il centro della stanza, Faith girò la testa per vedere in faccia l’altro ospite, incuriosita. Non accadeva spesso che trovasse altri nell’appartamento di Eliza. Soprattutto vampiri. Ma Faith non si aspettava certo di vedere proprio “lui” con la sua amica. La sua sorpresa durò un attimo, subito sostituita da l’apparire di un sorriso sarcastico.

Perché, seduto placidamente sulla poltrona, c'era Angel, che la stava fissando intensamente.

-Ma guarda un po’ chi si vede. Il redento… di nuovo redivivo… con questa… quanto fanno? …Tre? …Sta diventando un vizio il tuo, eh? –lo attaccò senza neanche disturbarsi a salutarlo e a fingersi educata per un momento. Vederlo fu sufficiente per ricordarle immediatamente perché si trovava lì. E non era per piacere.  –Sa, si fa un gran parlare della tua morte in certi ambienti. Fiato sprecato sembra. Hanno addirittura tirato fuori profezie, testi sacri. Sono anche state pagate un bel po’ di scommesse.

Angel non si scompose minimamente alle parole.

-Faith. –Replicò condiscendente, salutandola, e lei continuò, beffarda. Era arrabbiata e lui forniva un buon bersaglio, uno decisamente a portata di mano, tra l’altro non del tutto innocente. Quasi la perfezione.

-Loquace come sempre… di sicuro l’ultimo vampiro che mi aspettavo di trovare qui… beh, il penultimo, a dire la verità… Mi dispiace… -Rispose con una scrollata di spalle ed un’aria fintamente malinconica alla domanda silenziosa di Angel. –…ma al primo posto per il momento c’è Spike… -Si notò che il vampiro era sorpreso. –Esatto. –Annuì Faith. –Il childe ti ha rubato la scena. Anche se a pensarci bene credo che sia ancora nella vecchia Europa… Hum…Dellah lo ha ammazzato in Inghilterra meno di ventiquattro ore fa.. Chissà… forse soffriva di nostalgia di casa, e vuole rimanerci per un po’.

La risposta di Angel fu calma e ragionata. Non era la prima volta che una cacciatrice gli sciorinava addosso quella che credeva la verità in un lungo e tedioso monologo. Doveva ammettere però che almeno il sarcasmo di Faith era migliore dell’ultima volta.

-Spike non può uccidere esseri umani. Ha un chip in testa che glielo impedisce.

“Una lezione facile da imparare anche per una cacciatrice stupida come te.” Pensò con disprezzo il vampiro ma non lo aggiunse. La mora non gli era mai stata simpatica. Da subito non aveva potuto fare a meno di pensare che aveva troppa potenzialità di diventare una ribelle anarchica, una vena di imprevedibilità troppo profonda per essere controllata efficacemente. Aveva avuto ragione.

-Strano. Allora il cadavere dissanguato che ho trovato sul mio letto, con tanto di morso sul collo, in bella vista, e chiodi piantati nelle mani deve esserci finito per caso.

-Non puoi sapere se sia stato lui o no.

Le fece notare, con il tono annoiato da professore pedante. “Una testa calda sempre pronta a saltare alle conclusioni, ecco cos’è… non che mi stupisca, visto che la prima volta che mi ha incontrato ha tentato di farmi fuori, basandosi sulle parole di una persona che conosceva da si e no due giorni”.

-No, non lo so… Io lo sento. –Faith sorrise, cattiva, da predatore, una luce strana negli occhi. Angel si fece più attento, raddrizzò schiena e spalle mentre alzava il mento, fissando i suoi occhi nel volto di lei. Stava cominciando ad arrabbiarsi, al momento non aveva voglia di ascoltare le farneticazioni di quest’esaltata. –So che mi sta dando la caccia. E so che Dellah è finito cadavere su quel letto solo perché c’era già stato.

Angel continuò a sostenere il suo punto, certo di avere ragione. Conosceva l’altro vampiro abbastanza da sapere che non poteva essere vero.

-Non è nello stile di Spike.

-Ma è stato lui.

Incalzò ancora Faith.

-Lui non tortura le cacciatrici uccidendo chi gli sta intorno. Le studia, a lungo a volte, poi le affronta direttamente in uno scontro uno contro uno.

Una spiegazione assennata abbastanza da far desistere la maggior parte degli accusatori. Un sorriso apparve appena sulle labbra di Angel, compiaciuto per aver sottolineato così bene il perché avesse ragione e non da ultimo di aver fatto passare l’altra per un’idiota. Faith non fece passare neanche un secondo prima di rispondere.

-Ma tu lo facevi, Angel, vero? –Lui non disse niente, né si mosse. Continuava a fissarla, duro. Ora lo stava davvero seccando. Ci fu un attimo di silenzio e quando proseguì a parlare il tono della cacciatrice era cambiato, diventando improvvisamente serio. –Io non gioco a rimpiattino passeggiando nei cimiteri con un paletto in mano mentre canticchio spensierata, Angel, facendo solo attenzione a non rompermi un’unghia. Io ho voglia di vivere.

Un attimo.

Angel era scattato e ora torreggiava su Faith, superandola di tutta la testa, imponente, il volto trasformato e rabbioso, le dita ad artiglio a pochi centimetri dalla gola scoperta della cacciatrice. Anche lei era in piedi, teneva un pugnale contro il petto del vampiro, esattamente sopra il cuore.

-Sai… -lo disse sibilando. -…anche il mio coltello ha un’anima… La sua è di legno, come la punta. Ironico non trovi?

Rimasero immobili a fronteggiarsi, in stallo.

-Tu non lo ucciderai.

Da poco tempo Angel si era riconciliato con l’idea che neanche dopo un secolo passato con un’anima era diminuita in alcun modo la sua voglia e necessità di proteggere la sua famiglia da attacchi esterni. Certo, avrebbe ucciso uno dei suoi se si fosse sentito minacciato personalmente, oppure se fosse scoppiata una faida interna in famiglia od in caso qualcuno tentasse di porre termine all’esistenza dell’intero pianeta. Altrimenti loro erano una famiglia, e la famiglia andava protetta.

Dopo i decenni passati in solitudine, quando Angel aveva cercato di negare il fatto che considerava tutt’ora vampiri senza anima come parte della sua famiglia, aveva accettato la netta divisione della realtà in buoni e cattivi dettata da una certa bionda. Lo aveva fatto perchè gli aveva che fornito un alibi per semplificare delle scelte difficili. Ma alla fine non era più riuscito a negare qualcosa del genere, qualcosa che gli avevano insegnato fin dall’infanzia e in cui aveva creduto per più di un secolo, ed era tornato ad accettare anche l’esistenza del grigio. Così aveva deciso di seguire il proprio impulso naturale, soprattutto ora che non aveva più determinate persone a ricordargli quanto fosse sbagliato non vedere tutto in bianco e nero.

-A scegliere tra me e lui non esiterei un attimo.

Fu l’immediata risposta della cacciatrice.

Nessuno dei due respirava, completamente concentrato sull’altro. Sarebbe bastato un movimento per farli scattare.

-Angel il tuo tè si sta freddando. Faith accomodati pure sul divano mentre ti porto qualcosa.

La voce di Liz era tranquilla come se gli altri due non stessero che scambiandosi banalità di circostanza, invece di minacciarsi di morte. La tensione che si era creata nella sala cominciò a diminuire.

Lentamente, entrambi si allontanarono, senza smettere di fissarsi. Sapevano che era stupido, che non c’era alcun motivo in realtà nelle attuali circostanze per volersi uccidere, se non il fatto che entrambi si sentivano esposti e non vedevano l’ora di far pagare qualcuno per la loro vulnerabilità.

Faith tornò a sedersi contemporaneamente al vampiro, per poi rilassarsi contro lo schienale e rivolgersi con voce casuale e perfettamente controllata a Liz, facendo però attenzione che Angel rimanesse nella periferia del proprio campo visivo. Erano entrambi ancora piuttosto agitati e lei non avrebbe fatto l’errore di abbassare la guardia ora.

-Hai ancora nella tua riserva di tè rari lo Yin Zhen?

Angel piegò la testa un po’ di lato come per vedere la cacciatrice da un altro punto di vista. Per la prima volta, il vampiro era rimasto stupito da Faith. Non avrebbe creduto che la cacciatrice fosse un’estimatrice di miscele rare. A dire la verità fino a pochi attimi fa era stato certo che Faith non sapesse nemmeno che esistessero diversi tipi di tè.

Eliza sorrise appena all’espressione del vampiro, annuendo impercettibilmente verso la cacciatrice. Si alzò ed uscì tranquilla dalla stanza portando con sé la sua tazza, ora vuota.

L’aveva finita mentre gli altri discutevano, impegnata a riflettere sull’inaspettata situazione che aveva davanti e contemporaneamente a seguire la loro conversazione, o, più correttamente forse, il loro confronto.

Avesse potuto scegliere Eliza avrebbe preferito di gran lunga evitare che quei due si incontrassero, soprattutto così a quel modo, completamente di sorpresa, rendendo palese il fatto che erano entrambi sue strette conoscenze.

“Dannazione fosse per me avrei preferito che non sapessero nemmeno dell’esistenza l’uno dell’altro, tanto meno farli scontrare così in un momento in cui entrambi vogliono il sangue di qualcuno per sentirsi appagati.”.

Per un momento aveva temuto veramente che si sarebbero saltati addosso. Ma con quell’intervento era riuscita a calmare la situazione almeno un po’. Eliza sapeva che in caso estremo aveva una profonda influenza su Faith ma Angel sarebbe stato molto più difficile da controllare.

Il che non faceva che sottolineare ancora una volta quanto ora avrebbe dovuto lavorare per rimediare alla situazione che si era creata in pochi istanti. Praticamente il loro incontro non poteva capitare in un momento peggiore.

“Deve essere una sorta di scherzo cosmico…” decise sospirando Eliza mentre apriva la vetrina dove teneva il servizio da tè per prendere tre nuove tazze. Anche lei aveva bisogno di qualcosa da sorseggiare mentre trovava una soluzione a questo pasticcio. Con un po’ di fortuna la bevanda avrebbe calmato un po’ anche gli altri due.

Imprecò ancora tra sé.

Era stato il giorno in cui Faith se ne era andata a vivere per conto suo, dopo essere rimasta quasi un anno ad abitare lì con lei, che Eliza le aveva detto di tenere le chiavi dell’attico che le aveva dato tempo prima.

Quel giorno le aveva detto che quella era anche casa sua, che poteva venire in qualsiasi momento senza avvertire, che era sempre la benvenuta e lo sarebbe rimasta a prescindere da qualsiasi cosa fosse accaduto. Semplicemente per il fatto che era una di famiglia.

Forse quello era stato uno dei momenti più critici del loro rapporto. Era andato bene.

Era stato così palese, sin dal loro primo incontro a Boston, quanto Faith diffidasse degli altri. Le difficoltà della ragazza erano così tremendamente evidenti che spesso Eliza si era trovata a chiedersi come il resto del mondo potesse non accorgersene. Tutti i segni erano lì. Ma non era quello l’importante. Fortunatamente Faith era stata costretta a fidarsi di lei nelle condizioni fisiche in cui si era trovata. Doveva essere stato un inferno di uno scontro. La ragazza sembrava appena uscita da un tritacarne. La cacciatrice aveva fatto domande all’ipotetica amica di Catherine però, per avere la conferma di quanto affermava la donna. Il fatto che Eliza fosse a conoscenza di alcuni particolari della vita dell’osservatrice probabilmente era stata l’unica cosa a fermarla dal tentare di scappare.

L’immortale aveva comunque atteso più di un mese e fondato le basi di un’amicizia prima di  far leggere a Faith una lettera autografa di Catherine in cui l’osservatrice le chiedeva di badare a sua figlia adottiva in caso le fosse successo qualcosa. Eliza aveva fatto passare ancora più tempo prima di rivelare a Faith il fatto che aveva considerato Catherine una sorella. La cacciatrice non aveva avuto difficoltà a credere che per Eliza non fosse un problema non avere del sangue in comune con qualcuno per considerarlo di famiglia. In fondo, le aveva rivelato la ragazza, era il suo stesso metodo.

L’ovvia conclusione di quella conversazione, quella che nessuna delle due aveva espresso, era che Faith stessa ora faceva parte della famiglia di Eliza. Per questo le aveva dato le chiavi dell’attico. Eppure la cacciatrice le aveva sempre telefonato prima di passare a trovarla, oppure era andata ad aspettarla alla palestra che possedeva per vederla.

Ed oggi, che per la prima volta aveva accettato quell’offerta, che aveva usato quelle chiavi, si era ritrovata davanti il sire del vampiro che aveva ucciso qualcuno che conosceva meno di ventiquattrore fa. “Perfetto, veramente perfetto… qualcuno lassù se la starà ridendo alle mie spalle”. Eliza sperava che la cosa non avrebbe avuto eccessive ripercussioni sul suo rapporto con la cacciatrice. Non si erano mai messe a tavolino a discutere la cosa ma sperava che Faith la considerasse parte della sua famiglia come lei considerava la ragazza.

Tutto per una semplice incuranza poi. “…sempre l’inizio degli errori peggiori”. Eliza non aveva neanche pensato ad avvertire Faith di evitare di passare da lei per i prossimi tempi.

Ed ora aveva perso anche buona parte del proprio vantaggio su Angel.

Il vampiro sapeva che la cacciatrice era almeno una sua alleata, probabilmente che era qualcosa di più. Questo gli dava più potere di quanto piacesse ad Eliza. Sicuramente ora l’immortale avrebbe dovuto trattare molto più cautamente con lui. Sarebbe stato difficile che lui si fidasse ora.

Probabilmente Eliza avrebbe dovuto cambiare completamente tipo di approccio.

Senza considerare il fatto che Spike stesso complicava considerevolmente la situazione. L’immortale non aveva creduto che riuscissero a reclutare qualcuno di simile. Chiunque l’avesse reclutato. Tutta quella faccenda stava precipitando a velocità pazzesca.

 “Ormai è fatta. Cerchiamo di trarre il massimo vantaggio dalla cosa.”

 

 

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Il Concilio degli osservatori. Giovedì 13, pomeriggio.

 

 

 

Jason bussò leggermente sulla porta prima di entrare. La segretaria gli aveva detto che Marlin era disposta a riceverlo subito. Un segno di stima e gentilezza da parte sua. Difficile comunque ignorare un incaricato speciale di Miller, anche se lei avrebbe potuto farlo. I dirigenti erano gli unici a non essere direttamente sottoposti al potere del primo osservatore.

Potevano anche rifiutare di eseguire i suoi ordini, con dovute motivazioni. Il capo del Concilio non poteva intervenire direttamente contro uno di loro, ad esempio uccidendoli o arrestandoli, senza l’approvazione della loro stessa assemblea. Poteva al massimo sollevarli temporaneamente (per un periodo di otto giorni) dalle loro mansioni.

L’ufficio di Marlin era come sempre di qualche grado più caldo del resto del Concilio. Qualcuno sussurrava nei corridoi che la dirigente lo facesse per far sudare di più e più velocemente chiunque vi mettesse piede. Lei, come sempre impeccabilmente vestita con un abito scuro dal taglio classico, sedeva dietro allo scrittoio di ebano intenta a leggere qualcosa.

Gli fece cenno di sedere su una delle due poltroncine mentre chiudeva una cartellina gialla posandola momentaneamente vicino al bordo della scrivania, dimostrandogli chiaramente che aveva tutta la sua attenzione.

-Buongiorno Miss Marlin.

Jason si rilassò sulla sedia. Lo schienale in pelle era morbido ed accogliente.

-Buongiorno a lei, Jason.

Si raccontava anche che quelle fossero le più scomode poltroncine all’interno dell’intero Concilio. Le “infernali sedie elettriche” le chiamavano alcuni. Dovevano diventarlo pochi minuti di colloquio probabilmente, rifletté Jason, visto che al momento le trovava decisamente confortevoli.

-Mi dispiace averla disturbata durante il suo lavoro.

Con un lieve movimento della mano Marlin gli fece cenno di saltare i convenevoli mentre lo fissava negli occhi, come soppesandolo. Il capo degli operativi aveva la netta sensazione che i patologi legali osservassero così i cadaveri dei casi particolarmente interessanti. La cosa non lo turbò particolarmente ma lo rese più attento di prima alle reazioni della donna. Jason fu comunque ben contento di acconsentire alla richiesta inespressa, lui non era mai stato un diplomatico e l’idea di perdere tempo in cortesie lo irritava. Non era il tipo d’uomo da rimanere affascinato di fronte alla prospettiva di saper dire buongiorno in cinquanta modi diversi.

Era anche vero che sotto quello sguardo la poltroncina su cui sedeva cominciava ad essere meno comoda, anche se sapeva perfettamente che Marlin non stava cercando di intimidirlo, non ancora almeno, semplicemente la sua sola figura irradiava qualcosa di indecifrabilmente pericoloso.

Ma era una sensazione abbastanza forte da far avere la certezza a Jason di non voler mai trovarsi ad essere il destinatario di un vero sguardo minaccioso della donna, o a diventarne un diretto nemico. Di certo lei non aveva amici.

-Sono qui per chiederle formale permesso di ingresso ai file bancari di tutti i dipendenti del Concilio.

Non molti sapevano che i propri conti correnti o depositi fossero controllati. Era così da sempre. Motivi di sicurezza. Marlin ne aveva la chiave, era il dirigente delle finanze del Concilio, milioni di dollari passavano nelle sue mani ogni giorno. Controllarne qualche milione in più non poteva fare molta differenza.

-Per quale motivo e per ordine di chi?

Aveva il diritto di chiederlo. La formalità della risposta era dovuta ai rigidi protocolli che vigevano in quel posto.

-Per ordine del Primo Dirigente del Concilio Miller, Primo Osservatore, in veste di incaricato speciale dell’investigazione sull’omicidio avvenuto all’interno di questo edificio. Sospetto la collaborazione di almeno un interno nell’effrazione verificatasi la notte scorsa. Intendo controllare se esistono equivoci movimenti di denaro, in quanto è probabile che il traditore sia stato ricompensato in denaro per la sua collaborazione.

Tante parole per non dire praticamente nulla. Il capo degli operativi non apprezzava i termini burocratici, erano troppo lunghi per lui.

-Capisco. Ovviamente vorrà l’accesso anche ai file dei dirigenti.

Jason si limitò ad annuire. Sembrava che la donna non avesse alcun problema a fornirgli quello che gli serviva. A dire la verità il volto di Magdalene era un’assoluta maschera di neutralità, un’espressione talmente perfetta da essere totalmente vuota. Il capo degli operativi la vedeva praticamente ogni giorno da almeno dieci anni, sempre cesellata ad arte, come quella che indossava lui. In tanti anni di vita Jason non aveva mai incontrato nessun altro capace di nascondere le proprie emozioni come Marlin o se stesso.

Ma al contrario della sua maschera, davvero perfettamente neutrale o meglio ancora fredda, quella della dirigente faceva trapelare una leggera aria di pericolo imminente ma del tutto inafferrabile che lo innervosiva appena. Forse perché Jason non sapeva in cosa lei potesse veramente rivelarsi una minaccia, non certo fisicamente. Oppure tutte quelle che aveva fatto non erano che vuote congetture ed in realtà l’osservatrice si limitava a ritenerlo insignificante.

Marlin si girò per battere qualcosa sulla tastiera incassata in un ripiano a scomparsa della scrivania. Prese un foglietto di carta e vi scrisse sopra una parola prima di passarlo a Jason.

-E’ la password di accesso totale al sistema. Si tratta di accesso passivo alle informazioni. Ovviamente lei ne è responsabile in prima persona.

-La ringrazio della collaborazione.

Jason si alzò dalla sedia, sapeva che non ci sarebbe stato un congedo da parte della donna. Salutò con un cenno del capo prima di uscire.

Magdalene attese qualche secondo per dargli modo di allontanarsi dalla porta. Poi prese la  cartellina gialla che aveva poggiato sul piano della scrivania e la riaprì. Conteneva gli estratti conto e i movimenti finanziari di Travers negli ultimi sei mesi.

Il fatto che non fosse riuscita a capire dove fosse stato durante la sua prolungata assenza dal Concilio (era stato via per più di tre mesi. Letteralmente scomparso, all’interno del Concilio nessuno sapeva niente…non esistevano neanche voci di corridoio a proposito della faccenda) l’aveva spinta a fare altri controlli.

E lei sapeva da tanto tempo che il denaro era sempre la chiave di tutto.

E quello che Travers non sapeva era che lei aveva molti amici tra banchieri ed operatori di mercato. Amici che coltivava da anni, che risalivano al tempo in cui tutto quello che aveva era il patrimonio familiare e l'impiego di analista di primo livello. Persone che aveva aiutato una volta o l’altra, e che le dovevano favori.

Le erano stati necessari alcuni giorni per aver un rapporto completo di tutti i conti, più o meno conosciuti o legali, di Travers. Li aveva nascosti bene, ma non abbastanza. Fortunatamente lui non era mai stato uno del settore.

Magdalene aveva scoperto così che da un conto fantasma, di cui il Concilio non sapeva niente, Travers aveva prelevato più di centomila dollari il giorno stesso della sua scomparsa. La metà della somma in assegno circolare, l’altra metà trasferiti in un conto secondario.

Dell’assegno circolare aveva perso le tracce, ma risalire all’intestatario del conto secondario non era stato difficile. In meno di due settimane vi erano stati versati duecentomila dollari (sempre dal conto cifrato di Travers) e fatti diversi prelievi di minore entità per un totale di quarantamila dollari.

Il conto era intestato a Joe Gray. Che guarda caso era solamente un alias di un certo Henry Levigastone, un mercenario senza scrupoli, che aveva collaborato precedentemente con il Concilio, per conto di Travers. Prima di finire ammazzato in mezzo alla foresta pluviale con due dei suoi.

La cosa più interessante era che parte del denaro era stata utilizzata per prendere in affitto un aereo. Il cui piano di volo recava come aeroporto di destinazione Sunnydale. Era rimasto lì per due giorni prima di ripartire per un insignificante aeroporto nel mezzo del nulla nel midwest degli Stati Uniti. Dove il velivolo era ancora in attesa in uno degli hangar.

Magdalene non sapeva perché quegli uomini fossero in quella città.

Loro non dovevano nemmeno esistere, figurasi andarsi ad immischiare negli affari di una cittadina del midwest, in cui non c’era assolutamente nulla. Non sapeva perché erano lì ma avrebbe potuto scoprirlo.

Dopo Marlin avrebbe fatto in modo che tutto tornasse ad essere come doveva.

Per il Concilio quegli uomini erano morti anni prima.

Avrebbe rettificato l’errore.

 

 

 

 

 

New York, appartamento di Eliza Sinless. Giovedì 13.

 

 

 

 

Angel era seduto alla scrivania del piccolo studio che Liz gli aveva indicato il giorno precedente, quando aveva chiesto di poter avere carta e penna per scrivere una lettera. Non avrebbe mai immaginato di ricevere un tale dono. Sembrava così stupido anche a lui, ma non aveva potuto fare a meno di apprezzare immediatamente quel posto.

Sembrava uno studio ottocentesco miracolosamente sopravvissuto fino ad oggi. Era perfetto, mobili, tappeti, colori, anche gli odori dei legni, era tutto come lo ricordava.

Ma la cosa che Angel aveva adorato subito era la carta da lettera che aveva trovato sulla scrivania. Non quella carta sottile e bianchissima prodotta in fabbrica, ma una dalla sfumatura crema, spessa, appena ruvida al tatto, quasi granulosa. E le penne.

Non la penna, le penne.

Ce ne erano tante, dalla moderna stilografica, a quella con pennino sostituibile, alla vera penna perfettamente appuntita, con affianco gli inchiostri in piccole boccette di vetro.

Era tutto così familiare.

Gli era mancato. Era stato così felice in quel periodo. Aveva studiato e scoperto così tanto, passando in cinquanta anni dal sapere leggere stentatamente ad essere un cultore della letteratura.

Quando aveva finito di sorseggiare il proprio il tè, Angel aveva sostenuto qualche minuto di educata conversazione, parlando amabilmente anche con Faith, che aveva fatto altrettanto, ma la tensione nel salotto era palpabile. Così si era scusato e ritirato nello studio.

Si era calmato quasi subito ed aveva cominciato a scrivere dimenticandosi del tempo. Le tende erano tirate a far filtrare solo il minimo chiarore del sole, segno che dovevano essere passate diverse ore da quando era entrato nella stanza. Si sentiva intorpidito dalla mancanza di sonno.

Aveva appena finito di scrivere l’ultima lettera quando sentì bussare leggermente alla porta.

Invitò ad entrare.

Inaspettatamente era Faith. La cacciatrice si avvicinò tranquillamente alla scrivania e lui colse l’occasione di osservarla. Un felino, pericoloso, ma non qui per attaccare. Strano quanto fosse diversa da Buffy. Strano anche quanto fosse cambiata in così poco tempo. A volte dimenticava che gli esseri umani potessero cambiare così tanto in così poco.

Era cresciuta.

Era diventata sicura di sé. Non era più solo una facciata esteriore. Più pericolosa. Lo sentiva. Probabilmente l’amicizia con Eliza c’entrava qualcosa. Ne era sicuro. Angel sentì improvvisamente la voglia di sfidarla. Aveva voglia di combattere con lei. Di vedere quanto poteva essere forte e veloce. Sì, sicuramente era veloce. La struttura fisica, come si muoveva, tutto lo indicava.

E per lui che si sentiva così furente per quanto era accaduto, combattere sarebbe stata una liberazione. Un modo per scaricare la tensione. Necessaria soprattutto dopo i mesi di inattività forzata.

Soppesò l’idea, mentre piegava la lettera esattamente a metà e la infilava in una busta con metodica attenzione.

Faith stava in piedi dall’altra parte della scrivania, aspettando tranquillamente che lui finisse qualsiasi cosa stesse facendo. Angel non attese che fosse lei a iniziare il discorso. Preferiva dare le risposte prima di ricevere le domande.

-Sono lettere di addio. Eliza ti avrà raccontato.

Faith scosse la testa.

-Non abbiamo parlato di te.

Una sorpresa questa.

-Di Spike allora.

-Anche di Spike, sì, anche di lui.

Faith si mise a sedere sulla poltrona più lontana dalla scrivania. Angel scrisse il nome del destinatario sulla busta per poi sigillarla.

-Lo sai che ha già ucciso altre cacciatrici?

-Non è un segreto. Ho letto i diari. Le cronache.

Sembrava non fosse una sprovveduta.

-Quindi conosci il suo metodo.

-Si, combattimento uno contro uno, sfida diretta. –Angel annuì, sembrava che in fondo Faith sapesse qualcosa e che non stesse lanciando accuse a vanvera. –Eppure Dellah lo ha ucciso lui. Può non essere stata una sua idea, ma l’ha ucciso lui.

Era difficile credere che Spike ricorresse a metodi simile. Quelli erano la firma di Angelus.

-Perché avrebbe dovuto farlo?

La cacciatrice scosse le spalle.

-Quanta voglia aveva di togliersi il chip? Fatichi ad immaginare uno scambio, il suo chip per la mia vita? Sarebbe disposto a diventare un sicario per una cosa simile. Non credi?

Angel annuì una volta prima di parlare, l’ipotesi aveva senso.

-Ammettiamo che sia così. Cosa farai?

Faith aspettò un attimo prima di rispondere. Lo guardò direttamente negli occhi mentre lo faceva.

-Se mi cercherà, combatterò. Se ne avrò l’occasione, lo ucciderò.

Il vampiro rimase un attimo in silenzio studiando la risposta e la persona che gliela aveva data.

-Grazie.

Angel sapeva perfettamente che era una cortesia nei suoi confronti, nulla le impediva di dare la caccia a Spike per quello che aveva fatto. Neanche lui poteva dire che le rimproverava il fatto di volere vendetta. Al suo posto avrebbe fatto lo stesso.

Aveva cercato di fermarla soltanto a causa del soggetto della rappresaglia.

Comunque il vampiro apprezzava il gesto di buona volontà e dallo sguardo che aveva sembrava che la cacciatrice comprendesse il suo punto di vista.

 Faith si alzò dalla poltrona.

-Ricorda però, se soltanto osa avvicinarsi ad una delle persone che sono importanti per me, gli darò la caccia. Senza quartiere.

Angel sorrise di sbieco, non si sarebbe aspettato nulla di meno da Faith. Ma gli rimaneva un dubbio.

-E Dellah?

-Era il divertimento di una notte.

Gli rispose lei mentre si avviava verso la porta. Si fermò sulla soglia e voltandosi gli fece un’altra domanda, semplicemente perché curiosa.

-A cosa dici addio?

Angel sorrise nostalgico. Quella che si era costruita a L.A. non era stata la migliore esistenza che gli fosse capitato di vivere, ma decisamente era stata bella. Non che poi trovasse molte delle sue esperienze disgustose.

-Ad una vita.

Mentre usciva dalla stanza, Faith parlò ancora, senza voltarsi.

-Sai Angel? Non tutti sono fortunati come te. Tu hai ancora lettere da scrivere. E sono lettere che si possono ancora consegnare.

 

 

 

Londra, Inghilterra. In un ristorante. Giovedì 13, pomeriggio.

 

 

 

 

L’ambiente era ricco e raffinato. Ampi saloni luminosi dalle pareti crema. Un vociare discreto.

Ad un angolo della sala si trovava un uomo distinto vicino ai settanta, che mangiava un filetto scelto di pesce spada, accompagnandolo con un buon vino bianco, consigliato dalla casa.

Sembrava assorto nei suoi pensieri, circondato da un’aria di austerità che doveva possedere da molti anni. Qualcuno avrebbe potuto definirlo inquietante quel suo distacco, usava forchetta e coltello con precisione da chirurgo, i bocconi che masticava erano sempre di uguali dimensioni.

L’altra sedia del piccolo tavolo rotondo fu spostata ed un secondo uomo dai capelli grigi, vestito con un completo scuro, si mise a sedere.

Seccato, Dougan alzò lo sguardo dal proprio piatto per vedere chi osava disturbarlo.

Rimase sorpreso nel trovarsi davanti Travers. Prese il tovagliolo e si pulì accuratamente la bocca prima di parlare.

-Credevo che fossi “assente”.

-Ho saputo che durante i miei giorni di assenza sono successe un sacco di cose… cose strane… irruzioni nel Concilio… ancora una volta… omicidi nella sede… una novità questa… e la morte del nostro stimato collega Gillison… una perdita ragguardevole, un lutto che ci ha colpito tutti. Il tuo doloroso compito di riconoscere il cadavere all’obitorio stamattina…

Il tono di Quentin era gelido come sempre.

-Era il suo. Gillison è morto. Un altro guidatore ha perso il controllo della propria vettura, speronandolo.

-Un incidente quindi.

Dougan fissò negli occhi Travers mentre rispondeva, scegliendo accuratamente le parole.

-Così sembra.

-Una così giovane vita spezzata. Lontana quell’età vero? Così lontana… quarantacinque anni… cosa facevamo allora… tu… si, mi ricordo, eri l’osservatore di Praga… bella città… con un mondo tutto suo… i palazzi aristocratici e i paesaggi. E quello scandalo messo a tacere in quel periodo? Te ne ricordi? Come si chiamava, Olsa? Si giusto, Olsa, era un’osservatrice… morta, perché morta… chissà perché poi, non si è mai saputo… nel Concilio si discuteva così tanto in quel periodo… Olsa era stata scelta per essere l’osservatrice della cacciatrice... poi si decise di dare il compito a te, preparato, vicino al posto… si mormorava che un tale Asa Brethour sapesse chi fosse stato, che avesse anche le prove, ma scomparve… -una pausa, Travers osservava attentamente Dougan mentre l’altro piegava accuratamente il proprio tovagliolo, prima a metà poi in quattro.- …si dice che abbiano ritrovato il suo diario. Un piccolo quadernetto nero che lui si portava sempre appresso. Un po’ grafomane non trovi? Magari lì c’è scritto chi sia stato… tutte ipotesi ovviamente.

Dougan deglutì nervosamente.

-Niente altro che dicerie.

-Si, infatti… ma dimentichiamo il passato, il futuro oggi è così nebuloso, chissà cosa potrebbe accadere ora che mancano tanti dirigenti all’appello.

Dougan sembrò riflettere per un attimo. Poi fece cenno al cameriere di avvicinarsi e gli chiese di portare un bicchiere per il suo ospite. Al tavolo il silenzio si prolungava. Il ragazzo tornò con il calice e lo posò di fronte a Travers per poi allontanarsi.

Dougan prese la bottiglia di vino e ne versò in entrambi i bicchieri. Poi sollevò il suo.

-Un brindisi al futuro. Ed al tuo futuro da primo osservatore.

Il vino chiaro era terribilmente amaro. Dougan si sforzò di deglutirlo mentre sorrideva, sconfitto.

 

 

 

 

Sunnydale, Magic Box. Giovedì 13, sera.

 

 

 

 

Giles si tolse gli occhiali per poi pulirseli accuratamente con il fazzoletto. Ci lavorò per alcuni minuti mentre finiva di informare gli altri sul demone della settimana. Un avversario non troppo temibile a dire il vero, di particolare aveva una coda con spuntoni ossei e artigli retrattili. Però non era particolarmente intelligente, ed in effetti l’osservatore si era chiesto se la sua cacciatrice non fosse stata distratta da qualcosa mentre ne aveva incontrato uno la notte scorsa durante una ronda.

Buffy l’aveva affrontato, ma dopo qualche minuto di combattimento il demone era scappato nelle fogne. Pesta, con il labbro inferiore spaccato ed un occhio nero, la cacciatrice aveva deciso di finire lì la serata e se ne era tornata al Magic Box, dove aveva trovato Giles ancora impegnato a discutere assieme a Willow. Come sempre la descrizione del demone fatta dalla cacciatrice aveva lasciato a desiderare. L’osservatore ricordava che aveva detto qualcosa che suonava come “grosso, veloce, brutto e grigiastro”, per questo avevano dovuto chiamare gli altri e passare l’intero giorno sui libri.

Ora i ragazzi stavano più o meno attenti alle sue parole. Meno che più. Erano stanchi ed annoiati. Sul tavolo si trovavano diverse scatole vuote di ciambelle, bicchieri di carta di caffé ammucchiate alla rinfusa in mezzo a libri impilati a testimoniare le lunghe ore passate là dentro. Non si erano neanche presi una pausa per pranzare limitandosi a mangiucchiare qualcosa mentre sfogliavano i tomi. La loro stanchezza era evidente, Xander era stravaccato scompostamente nella sedia vicino ad Anya, un braccio passato intorno alla vita dell’ex demone, e le stava sussurrando qualcosa nell’orecchio cercando di non sbadigliare nel processo. Willow seguiva il discorso mano nella mano con Tara, anche lei così tanto stanca da poggiare la testa sulla spalla della fidanzata senza fare il minimo accenno ad intervenire. E per quanto Giles si sforzasse non riusciva a capire se la bionda stesse seguendo o meno, sul volto aveva un’espressione di un educato interessamento e gli occhi sembravano relativamente vitali, ma come suo solito non interveniva alla discussione e non c’era modo di saperlo con certezza.

Buffy, di fianco a lui, lo guardava fisso senza espressione sul volto. Probabilmente pensava ad altro, per tutto il pomeriggio non aveva fatto che giocare con una graffetta.

-…Quindi, per ucciderlo definitivamente, basta decapitarlo.

Aveva appena chiuso la bocca che tutti sembrarono risvegliarsi dalla loro trance come per magia. Si mossero, si stiracchiarono sorridendo. Un tempismo proveniente da anni di allenamento fatti a scuola, portato ad un livello tale che non c’era più neanche bisogno della campanella per segnalare la fine della spiegazione. Dalle loro reazioni sembrava proprio che fosse appena finita una lezione decisamente noiosa. Giles scosse la testa sconsolato. Ignorandolo completamente i ragazzi cominciarono a fare piani per la serata.

Suonò il campanello della porta. Anya fu subito in piedi, l’aria annoiata scomparsa, per accogliere il cliente ritardatario. Improvvisamente sbilanciato Xander perse l’equilibrio sbattendo la testa contro lo schienale della sedia.

La cliente. Somigliava a qualcuno che aveva già visto, ne era sicura, ma non ricordava bene dove. Che l’avesse incontrata quando era ancora un demone? Sorrise, calcolatrice. A giudicare dagli abiti, giacca lunga fino al ginocchio dal taglio elegante da cui emergeva un maglione dolcevita grigio, sembrava potersi permettere di spendere parecchio ed il passo deciso con cui era entrata le dava l’impressione che stesse cercando qualcosa di preciso. Che avesse qualcosa già in mente, qualcosa che Anya le avrebbe trovato, assieme ad altri, numerosi, piccoli e necessari oggetti.

-In cosa posso esserle utile?

Faith non le rispose. La superò come se non esistesse affatto, fino ad arrivare a poco più di un metro dal tavolo attorno a cui erano seduti gli altri e fermarsi improvvisamente. Lì squadrò per un momento, notando le coppie, i loro atteggiamenti e godendosi il loro stupore a vederla lì, vestita come sempre di pelle nera, evidentemente della migliore qualità, ma questa volta con giacca e pantaloni perfettamente abbinati. Piombata in mezzo a loro senza preavviso, come se nulla fosse cambiato. Si tolse gli occhiali da sole.

-Salve a tutti. Immagino siate felici di rivedermi.

Lo disse sarcastica, con un sorriso sprezzante sulle labbra.

Xander fu il primo a reagire. Afferrò la balestra che aveva vicino, si alzò e la puntò contro la bruna.

Faith si limitò a strappargliela distrattamente di mano, scaricandola a terra mentre lo spingeva quasi gentilmente a sedere. Si sentì un leggero tonfo seguito da un grugnito. Poi posò l’arma sul bancone dietro di lei, ignorandola completamente.

-Ok. Non tanto felici. Sono ferita… -si portò le mani al cuore esagerando i gesti in maniera melodrammatica. -…ma bastava dirlo.

Anche Buffy era in piedi ora e si stava avvicinando a passo di carica. Meno sorpresa degli altri ovviamente, perché già sapeva che era viva e vegeta, ma anche lei per nulla felice di rivederla. Furibonda forse la descriveva meglio. Willow fece per scagliare un incantesimo, le labbra già mimavano le parole necessarie quando Tara le strinse leggermente la mano, fermandola. La rossa obbedì per istinto, anche se non capiva perché la sua ragazza le avesse impedito di finire quanto aveva cominciato. Si voltò a guardarla negli occhi e la vide calma e tranquilla, come se per lei non ci fosse niente da temere e Will si fidò, le bastava coma prova.

-Immagino che non glielo hai detto, vero B? Neanche tu G-man? –nessuno dei due disse niente, limitandosi ad evitare il suo sguardo. Buffy fermò improvvisamente la carica come se fosse andata a sbattere contro un muro invisibile ed anche l’osservatore si immobilizzò, l’aria colpevole. Non sembravano avere nulla da dire e così Faith continuò. -Che cattivo gusto, lasciarli all’oscuro di tutto. L’ultima volta che hai fatto una cosa simile che è successo poi, eh B? Ti ricordi? Se non sbaglio c’ero anch’io allora… oh, i bei tempi andati…

La bionda la squadrava con gli occhi ridotti a due fessure, lo sguardo carico d’odio anche se non si mosse dalla sua posizione. Sembravano avercela incollata su quel punto del pavimento. Pareva che non avesse poi molta voglia di sfidarla direttamente limitandosi a minacciarla da qualche passo di distanza.

-Non osare parlare del passato Faith… Non osare… Cosa stai facendo qui?

-Io? Ma niente B cara, niente di male -le rispose Faith con aria falsamente innocente, le dita delle mani aperte e bene in vista nella caricature di una posa inoffensiva. La mora fece un passo in avanti godendo nel vedere che l’altra non reagiva alla mossa. Sembrava che la cacciatrice più anziana stesse ancora valutando la situazione e si sentisse momentaneamente in svantaggio. – Sono semplicemente un messaggero. –La bruna divenne seria, avevano giocato abbastanza, inutile tirare ancora la corda. Aveva vinto. –Spike non ha più il chip. E’ libero di uccidere. Ha già un morto confermato alle spalle. –fece una pausa, abbassando ostentatamente le mani ed infilandole nelle tasche. Non aveva niente da temere.- Se Giles vuole chiamare il Concilio, glielo confermeranno.

-Si, si, chiamerò, per sapere… loro mi diranno… William il sanguinario senza chip…

Giles era stupito come poche volte in vita sua. Assurdo per un osservatore ma era rimasto senza parole. Si massaggiò il collo per guadagnare tempo e pensare. Non avrebbe mai creduto che Faith avrebbe osato entrare di nuovo in quel negozio mentre erano tutti lì. Immaginava che la cacciatrice avrebbe avuto paura di un confronto, specialmente se fossero stati tutti presenti. Altrimenti avrebbe chiesto di organizzare un incontro, no?

Una riunione per spiegarsi e scusarsi e cercare di fare ammenda con tutti giusto? Sperando che Buffy o Giles si sarebbero schierati dalla sua parte visto che lavorava per il Concilio ora. Certo la cosa sarebbe stata difficile, ma davanti ad abbastanza prove di fiducia forse lui avrebbe potuto evitare di osteggiarla. In fondo doveva guadagnare di nuova la loro approvazione…

Invece si trovava a pochi metri da lui, irriverente, sicura di sé come mai prima. La ragazza sorrise, cattiva, poi fece girare lo lentamente sguardo sugli altri presenti, cogliendoli ancora quasi immobili.

-Willow è un piacere rivederti. Sento sempre grandi cose di te. Il solito genio immagino… Non tutti possono essere stupidi nel mondo del resto… c’è un limite al numero di omicida senza cervello, vero?

Sembrò soppesarla mentre le parlava. Era cambiata dall’ultima volta, sembrava più sicura di sé, specialmente vicino a Tara, ma di certo il suo guardaroba, anche se diverso, non si era assolutamente avvicinato a qualcosa di suo gusto.

-Mi odi ancora. –Proseguì la cacciatrice, costatando semplicemente quello che già sapeva.

-Perché non dovrei?

Willow si era alzata in piedi, la mano ancora stretta attorno a quella di Tara che sedeva tranquilla ma attenta. Forse era quella che sapeva di più di tutti in quella stanza a parte Faith stessa. Gli occhi della cacciatrice si andarono a posare proprio sulle dita intrecciate prima di tornare a guardare in faccia la rossa. Probabilmente neanche si rendeva conto del fatto che quel contatto fisico esistesse e le desse così tanta forza. Una volta non si sarebbe mai alzata ad affrontare la bruna e lo sapevano entrambe.

-Oh, hai tanti motivi. Molti più di quelli che immagini.

Faith le sorrise quasi cortese, ma con l’aria di sapere qualcosa in più della rossa. Un’espressione appena accennata ma abbastanza da far nascere il dubbio nei suoi occhi ed aumentarne la rabbia. La cacciatrice si sarebbe dovuta ricordare di dire a Tara che la sua ragazza era molto bella furibonda.

-E poi… Tara…

Annuì soltanto nella sua direzione e nessuno parve accorgersi dello sguardo amichevole che si scambiarono né del fatto che non aveva fatto alcun sgradevole commento a suo riguardo, di certo gli altri non avevano la presenza di mente di accorgersi di tali particolari. Al momento erano tutti in choc, chi a causa della rabbia, chi a causa della sorpresa.

-…e come dimenticare Anya e Xander… la coppia di innamorati…

Fece ciao con la mano, senza girarsi. Aveva sentito l’ex-demone avvicinarsi a Harris per vedere come si sentisse dopo lo spintone ricevuto. Dolce da parte sua.

-Cosa ne sai tu di Spike?

Era stata Buffy a parlare, la voce quasi un latrato. Stava disperatamente cercando di riprendere in mano la conversazione.

-Pare la domanda del secolo. Tutti non fanno che ripetermela. – Faith sospirò con l’aria un po’ scocciata di chi ha dovuto ripetere troppe volte la stessa cosa, andando ad incidere sulla brevità delle frasi e la crudezza delle parole usate. -Ho trovato un cadavere con un morso al collo e tanto di mani inchiodate ad una parete, Ok? Non un bello spettacolo. Non è stato un lavoro pulito.

Fissava l’altra cacciatrice negli occhi, già sapendo quale sarebbe stata la prossima domanda. Non fu delusa.

-Che cosa vuole da me Spike?

-A me lo chiedi B? –Sgranò gli occhi fingendo sorpresa. –Cos’è? Vuoi un consiglio? Un parere? Sei proprio sicura di volerti fidare di me? La pazza psicotica? Di aver così tanto bisogno di aiuto?

Buffy era furente, contraeva e rilasciava i pugni, tremendamente vicina a perdere il controllo. E Faith si stava divertendo un mondo ad istigarla.

-Comunque non c’è da preoccuparsi. Beh, forse un po’ per il tuo amor proprio. –Una frase aggiunta come se fosse stato un secondo pensiero. –Certo, il tuo ego andrebbe ridimensionato… Eh, si, anche il tuo egocentrismo… magari un giorno mi offrirò volontaria per il lavoro… ma lasciamo perdere… pare che Spike voglia la mia di pelle stavolta. Forse sarà stata l’ultima botta in testa che l’ha fatto rinsanire? Almeno dimostra un po’ più di buon gusto rispetto a prima…

La bionda era sul punto di esplodere. Questa volta ringhiò, i muscoli si tesero percettibilmente. Faith appoggiò il palmo delle mani sul bancone su cui si era messa a sedere poco prima.

-Cosa stai facendo qui?

-Ci ripetiamo B? –Faith passò qualche altro secondo e saltò giù dal bancone sul quale si era seduta, cominciando a camminare esuberante per la stanza. –Hai già fatto questa domanda. E mi pare di aver già risposto. – piegò un po’ la testa e socchiuse gli occhi, come se stesse provando a ricordare. - …Forse sbaglio… – si fermò a meno di un passo da Buffy. Continuava a sorridere e la fissava negli occhi, incitando una reazione. Voleva uno scontro fisico e le sarebbe bastata una scusa qualsiasi per far scoppiare la lite. –Compio il mio dovere di paladina della giustizia, no? Ti avverto di un pericolo mortale… forse mi dovresti ringraziare… - di nuovo seria per un attimo solo… -Spike è pericoloso.

Faith si voltò a fissare Tara per un lungo istante per poi tornare a fronteggiare l’altra cacciatrice, sfidandola a fare qualcosa. La bionda non reagì, rinunciando a portare sul piano fisico lo scontro verbale.

Sorridendo ancora Faith si diresse verso l’uscita soddisfatta. Vincere era bello e la bruna si sentiva leggermente euforica per come le cose erano andate, anche se aggiudicarsi una discussione raramente dava la stessa soddisfazione di una rissa in cui aveva rotto qualche osso e riportato solo un paio di ammaccature. Sulla porta si fermò di nuovo mentre infilava gli occhiali.

-Prima che me ne vada, me ne stavo quasi dimenticando… i miei complimenti Xan, sei diventato veloce…

Gli sorrise sorniona. Uscendo accompagnò con delicatezza la porta e nel negozio si sentì solo il trillo della campanella, per poi salutare con la mano attraverso la vetrina mentre si allontanava a piedi.

Nel silenzio che seguì Willow fu la prima a parlare. La prima a prendersi la briga di analizzare le parole di Faith. Anche se la sua attenzione non si concentrò che un solo momento sul pericolo rappresentato da Spike.

-Cosa intendeva con “non glielo hai detto”? Detto cosa, Buffy?

La bionda sospirò mentre si passava una mano fra i capelli. Avrebbe dovuto tirare fuori una spiegazione convincente ed avrebbe dovuto trovare un modo per scaricare tutta la tensione che aveva appena accumulato assieme alla frustrazione che sapeva già sarebbe seguita a questa discussione.

Tara, dopo che Willow aveva lasciato andare la sua mano per avvicinarsi all’amica, si era andata a sedere un po’ più in disparte del solito. Doveva trovare una scusa per uscire di là ed andare a telefonare a Faith. Era ovvio che era successo qualcosa d’importante ed assistere alle labili scuse di Buffy su come e perché avesse mentito non le interessava affatto.

 

 

 

L’Ultimo Giorno Parte II

By Silea

 

 

Libro II: Caos.

 

 

"I blamed myself for a long time... I don't anymore..."

 

 

Sunnydale. Giovedì 13.

 

 

Il cellulare nella tasca destra della giacca cominciò a squillare, insistente. La cacciatrice lo prese di controvoglia, si stava godendo il ricordo della faccia di Buffy congestionata dall’ira e dall’impotenza e non voleva essere disturbata. Guardò lo schermo per vedere chi la stava chiamando, ancora indecisa se rispondere o meno. Un numero di Sunnydale. Fece scattare lo sportellino.

-Tara.

Non era una domanda ma un’affermazione. La bionda era l’unica a conoscere quel numero. Almeno era l’unica a farlo nella ridente cittadina che sorgeva sulla bocca dell’inferno.

-Ciao Faith.

-Sei ancora al magic box?

Era una domanda di routine, fatta più per sapere dove si trovasse la bionda che per altro.

-No, chiamo da un telefono pubblico.

Tara era sempre prudente nel contattarla, evitando accuratamente di chiamarla da altri posti se non il telefono della propria stanza e gli apparecchi pubblici. Lo era stata fin dall’inizio, quasi per istinto, senza che Faith le avesse mai detto nulla in proposito. Questa attenzione ai particolari era una della qualità che la cacciatrice apprezzava di più nella bionda. Era stupido rischiare che qualcuno componesse per errore il numero riservato della cacciatrice o essere accidentalmente ascoltate.

-Vuoi dire che Buffy ha già finito con le sue spiegazioni?

L’incredulità di Faith era palese nel tono di voce. La bruna sapeva che la discussione, le accuse e le scuse sarebbero andate avanti per ore. Aveva assistito a scene del genere quando li aveva frequentati anni prima e non credeva che fossero cambiati per nulla da quel punto di vista. Tutti erano sempre impegnati a sembrare così innocenti e incolpevoli, a giustificare la minima azione dicendo che non era colpa loro. “Non è mai colpa loro” pensò Faith con un lampo di rabbia. E Buffy era maestra nel parlare tanto a lungo da convincere gli altri che aveva ragione. Se non altro per farla stare zitta o non farla scoppiare in lacrime, aveva sempre sospettato la bruna. Bastava un’espressione ferita sul volto e gli occhi che si riempivano di lacrime davanti agli altri per fare il miracolo. Era sempre stata un’ottima attrice ed una perfetta ipocrita.

-Voglio dire che me ne sono andata. – La voce di Tara suonò per un attimo stanca, anche i suoi pensieri stavano seguendo lo stesso filo di quelli della cacciatrice. -Che io ci sia o meno non fa alcuna differenza. Del resto, Giles mi ha visto un po’ scossa dall’incontro e mi ha consigliato di andare a prendere una boccata d’aria. Ufficialmente sono uscita a prendere caffé e ciambelle per tutti. Pare che sarà una cosa lunga e che poi si dovrà festeggiare. Naturalmente se incontrassi qualcuno mi potrei benissimo fermare a prendere un caffé nel locale, non c’è alcuna fretta. Dubito che anche Buffy riesca a tirarsi fuori da una situazione simile in tempi brevi.

Era un modo gentile per chiedere a Faith di parlare. Era ovvio che Tara fosse preoccupata per quanto era successo nel magic shop poco prima.

-Diciamo tra cinque minuti al solito caffé?

-Sicuro, è sempre la mia prima scelta, fa l’unico espresso decente della città, qualsiasi cosa dicano Buffy o Xander. –“Si,” pensò Faith, “pretendono di conoscere anche quale sia il migliore espresso di Sunnydale oltre a sapere sempre cosa sia ‘giusto’ o ‘sbagliato’ in qualsiasi situazione.” Era stato il primo difetto riguardo l’altra cacciatrice e il ragazzo di cui Tara e Faith avessero mai parlato. –A tra poco.

Il “solito caffé” era un negozietto d’angolo dall’aspetto non troppo maestoso situato in un quartiere tranquillo anche di notte, il che era difficile da dire per Sunnydale. Era miracolosamente  lontano dai vari cimiteri e da tutto il resto che poteva creare problemi, come il porto o il vecchio liceo, ed aveva il pregio di essere oltre che bar anche pasticceria. Si trovava a pochi minuti a piedi sia dall’appartamento di Faith che dal campus universitario, nello stesso quartiere in cui si trovava anche il negozio di alimentari dove si rifornivano sia Tara che lei, e che né Buffy né gli altri frequentavano mai.

A Faith venne da sorridere al pensiero. Per quanto Sunnydale fosse piccola l’altra cacciatrice ed i suoi simpatici amici riuscivano comunque ad evitarne intere zone, come quella del porto o la parte povera della cittadina, dove le villette a schiera diventavano vecchie palazzine tutte uguali. Il confine tra quelle due zone era esattamente dove si trovava il locale ed il suo stesso appartamento. In quei paraggi la gente non era ricca ma neanche povera. Il posto era abitato da quella che si poteva definire la classe medio-bassa. A Faith piaceva come quartiere, i vicini erano persone a posto che però badavano prima di tutto agli affari propri al contrario di quanto accadeva nelle zone residenziali dalle infinite villette a schiera.

Quando Faith entrò Tara la stava già aspettando, seduta ad un tavolo in fondo al locale con due caffé davanti, le spalle rivolte alla porta. La cacciatrice scivolò nell’altro sedile salutando con la mano e sorridendo appena all’amica.

-Meno di cinque minuti. Un nuovo record.

Osservò Tara divertita, non era la prima volta che la bionda sottolineava quanto in fretta l’idea di avere caffé e pasticcini riuscissero a far arrivare Faith, a prescindere dal luogo dove si trovasse al momento. La cacciatrice si limitò a scrollare le spalle, aveva smesso di cercare di negare l’attrazione che provava nei confronti della caffeina con Tara. Sapeva che sarebbe stato inutile protestarsi innocente, anche se oggi la sua passione c’entrava poco con il tempo che ci aveva impiegato ad arrivare. Per una volta si trovava veramente nei paraggi quando aveva ricevuto la chiamata. Era anche vero che una volta aveva attraversato l’intera Sunnydale da capo a capo in meno di dieci minuti per arrivare al caffé per prima. Del resto Tara condivideva la sua attrazione, anche se lo manifestava in maniera meno evidente. Era per questo che avevano cominciato a venire assieme al locale.

La prima volta era capitato per caso, sorprendendole entrambe. Si erano nuovamente incontrate al negozio di alimentari di Floyd, a pochi minuti da lì, alcune settimane dopo il rientro a Sunnydale di Faith. Come la volta precedente si erano incrociate alla cassa e Tara l’aveva invitata a prendere un caffé con lei. Quando la cacciatrice aveva accetto l’inaspettata offerta, la bionda le aveva cominciato a parlare di questo locale, scoprendo con piacere che Faith lo conosceva già e che ne era entusiasta almeno quanto lei.

-Ero nei dintorni.

Rispose blandamente Faith, cercando di non dare importanza alla cosa. Aveva voglia di un buon caffé da quando era uscita dal magic box e l’invito di Tara era caduto a proposito. Probabilmente sarebbe comunque finita qui in capo ad un’ora. Prese la tazza che l’amica le allungò e lasciò che le sue dita si scaldassero per qualche secondo prima di fare il primo sorso.

-Ti ho preso il solito caffé appena macchiato con un po’ di zucchero.

La informò gentilmente Tara. Faith le sorrise di rimando.

Un po’ per caso, senza che nessuna delle due se ne accorgesse veramente, in breve tempo e senza essere stata coltivata con particolare attenzione o cura, l’amicizia fra loro era diventata molto profonda. Faith non poteva fare a meno di apprezzare la naturalezza del loro rapporto. Le ci era voluto poco a capire cosa rendesse Tara così familiare, quali fossero i punti in comune che avevano. Erano delle sopravvissute, ad ostacoli diversi, ma entrambe abbastanza forti da andare avanti da sole quando non c’era nessuno lì per loro, determinate abbastanza da ricostruirsi delle vite per quanto non idilliache dopo aver perso tutto.

-Grazie.

Sorseggiarono per qualche minuto i caffé, in piacevole silenzio. Ben presto Tara cominciò a rilassarsi nell’atmosfera confortevole, cominciando a seguire le venature del legno del tavolo come era suo solito, lo sguardo leggermente sfocato. Amava la sensazione tattile dei polpastrelli sulla superficie levigata intervallata di tanto in tanto da graffi di diversa profondità, era un intero universo da scoprire. Era anche per questo che amava quel posto, le dava la sensazione di calore familiare con il suo arredo di legno, le sedie ben tenute, i pavimenti talmente puliti da risplendere e non appiccicosi come quelli di tanti fast-food in cui era stata.

Inoltre il locale non era mai affollato, e anche quando c’era gente il rumore delle conversazioni era solo un sottofondo, non qualcosa oltre cui dovevi urlare per farti capire. Il che era uno dei pregi che preferiva del bar visto che le aveva sempre dato molto fastidio il chiasso. Tra le cose positive figuravano anche i proprietari del posto. Una coppia gentile del sud, che non raramente si sedeva a parlare con i clienti abituali, che per un qualche motivo anni prima si era trasferita lì, aprendo con discreto successo quel locale.

-Come stai?

Fu la prima cosa che chiese Tara rompendo l’amichevole silenzio. Aveva notato un vaga tensione nella postura della cacciatrice, nelle linee del suo volto, appena sotto la felicità per aver giocato un tiro sporco a Buffy. Era una indefinita aria di inquietudine. Faith fece passare qualche secondo prima di rispondere, pensando attentamente alla risposta da dare. Non trovandone nessuna che volesse veramente dare, usò la più classica risposta.

-Bene.

Tara scosse mentalmente la testa, a volte pensava che la cacciatrice non avrebbe imparato mai che era inutile mentire a persone che avevano abbastanza interesse da cercare la verità. Soprattutto se quel qualcuno era vagamente empatico.

-Raccontami quello che è successo veramente. E non voglio la versione telegrafica.

Aveva aggiunto la seconda parte con un tono scherzoso anche se era seria nella sua richiesta. A volte la cacciatrice, soprattutto quando parlava di cose emotivamente coinvolgenti, diventava laconica, quasi ermetica. Una volta, quando si erano ritrovate a parlare di osservatori, dopo che per prima Faith vi aveva fatto riferimento, Tara aveva chiesto di Catherine. Inutile dire che era particolarmente curiosa di sapere quanto fosse possibile sulla donna. Aveva la sensazione, quasi la certezza in realtà, che, anche se Faith non ne parlava mai, l’osservatrice aveva avuto, ed aveva ancora in parte, una profonda influenza sulla cacciatrice.

Tutto quello che Faith le aveva risposto quel giorno era stato: “sono stata con lei per meno di un anno, una persona a posto.” Tara aveva sentito persone descrivere il proprio giornalaio di fiducia con più parole e più emozione nella voce. Neanche il suo dono si era dimostrato utile, la cacciatrice aveva emanato qualcosa ma la bionda non era riuscita a capirne il significato. Quella era stata la prima ed unica volta che aveva sentito qualcosa di simile da parte di Faith. Era qualcosa di profondo e complesso, decisamente difficile da analizzare e comprendere dopo averlo percepito una volta sola. Non molti ci credevano quando la bionda si prendeva il disturbo di spiegare ma le emozioni, come le loro manifestazioni, cambiavano da persona a persona.

-Quando sono tornata dalla missione. –Visto che Faith le aveva spiegato tempo prima cosa facesse esattamente per il Concilio, Tara sapeva esattamente di cosa la cacciatrice stesse parlando e sapeva anche di non chiedere particolari a riguardo. La bruna le diceva sempre tutto quanto le era possibile sui lavori che accettava, prestando sempre la massima attenzione alla sicurezza sua e della sua amica. Non raramente la bionda l’accompagnava o la andava a prendere all’aeroporto quando partiva od arrivava da uno di questi viaggi. –Sono andata nel mio alloggio e ci ho trovato Dellah morto. Il cadavere era sul letto, mani inchiodate e tutto il resto.

Fece un gesto non curante con la mano come se la cosa non avesse poi molta importanza.

-Quanto brutta era la scena?

Si intromise Tara. Sapeva che sarebbe dovuta intervenire più volte nel racconto se voleva avere una qualche speranza di capire cosa avesse provato veramente Faith durante tutta la situazione. Era strano, per essere più esatti piuttosto angosciante, pensare che entrambe vivevano in una vita in cui si poteva chiedere anche di mettere in scala l’efferatezza degli omicidi a cui assistevano, per capire se l’ultimo fosse brutale abbastanza da sgomentare o terrorizzare anche dopo anni passati a contatto con la violenza più brutale.

-Ne ho viste di peggio. –Si limitò a rispondere la cacciatrice laconica. Ed era vero. Le venivano in mente almeno dieci occasioni in cui le parole mattatoio e macello riuscivano appena a rendere la scena alla quale si riferivano. A volte, nonostante la sua non indifferente esperienza, Faith non era riuscita a controllare le reazioni del suo stomaco. C’erano casi in cui sensi ipersviluppati non erano affatto un dono. Fortunatamente ancora nessuno aveva assistito a quelle scene. Sarebbe stato non poco imbarazzante per la cacciatrice.

-Quanto era importante per te Dellah? –Era ovvio che c’era un perché al motivo che un operativo in particolare fosse stato ritrovato ammazzato sul letto di Faith, in una posizione rituale. Non si uccide un semplice amico in quel modo e Tara sapeva perfettamente quale fosse il comportamento della cacciatrice in fatto di relazioni o semplicemente sesso. Ne avevano parlato spesso in passato. Ma al contrario di altri la bionda non aveva mai condannato Faith per tale comportamento. Non perché non la giudicasse, ma semplicemente perché non ci trovava niente di sbagliato. Sapeva anche che a volte la bruna non si portava in camera solo perfetti sconosciuti. Faith glielo aveva confidato un giorno mentre parlavano del più e del meno sedute sotto al sole.

-Niente di particolare. Era un tipo a simpatico. Ci sono andata a bere assieme un paio di volte. –Tara sapeva che aver passato un paio di serate semplicemente a parlare con una birra in mano o a giocare a biliardo significava molto di più per Faith che tutto il tempo che avevano passato a fare sesso. –Sapeva che la cosa tra noi non significava nulla, anzi, era perfettamente d’accordo sul fatto che non esisteva assolutamente alcun “noi”. Semplicemente quando ci incrociavamo, se ci andava, passavamo la notte assieme. Ha soltanto avuto la sfortuna di trovarsi di fronte qualcuno che credeva che quel “noi” esistesse davvero.

Alzò la tazza semi vuota di caffé in aria in un silenzioso brindisi alla sua memoria. A dire la verità la cacciatrice aveva il sospetto che Dellah fosse davvero un uomo decente. E Faith non poteva fare a meno di trovare terribilmente stupido morire così, per un grossolano errore di valutazione. Tara annuì, comprendendo facilmente il tipo di rapporto che le stava descrivendo la cacciatrice e la tristezza di Faith nell’aver perso qualcuno con cui riusciva a stare bene per alcune ore. Erano rare persone del genere per qualcuno come lei.

-Quindi come è veramente la situazione con Spike? Perché ti da la caccia?

-Sono convinta che qualcuno lo paghi per uccidermi. –Rispose la cacciatrice, improvvisamente pensierosa. Sapeva che era così, ma mancavano ancora troppi pezzi del quadro perché riuscisse a rilassarsi veramente. –E’ l’unica spiegazione sensata. Non ci siamo mai incontrati e non ha alcun motivo di vendetta personale nei miei confronti, di questo sono sicura. Quanto a Dellah, beh, lui poteva essere praticamente tutto… da un avvertimento ad un tentativo di spaventarmi, di farmi perdere l’equilibrio psichico … come se io ne avessi alcuno… -Lanciò un sorrisetto impertinente a Tara. Faith amava scherzare sul fatto che molti l’avessero definita pazza e psicotica quando qualche anno prima aveva cambiato alleanze e che lei lo fosse ancora oggi. “Sono sempre andati per la spiegazione più semplice. C’è qualcosa che non capiscono? Perfetto, allora è pazzia.” –Forse sperava di togliermi una persona cara ed aspettare che la rabbia mi accecasse per rendermi un bersaglio più facile.

-Tu cosa credi?

Volle sapere Tara.

-Che non esistono coincidenze. Che non è stato un caso che Dellah sia finito un ultima volta in quel letto e non un altro. –Tara colse per un attimo una vaga sensazione provenire dalla bruna, senza riuscire a distinguere se fosse paura o apprensione. Con Faith era difficile dirlo, le sue emozioni erano sempre molto controllate. –Mirano a ferirmi. Forse pensano che se ha funzionato con Buffy può funzionare anche con me. –Faith finì il suo caffé e ne ordinò un altro aspettando in silenzio fino a quando non ebbe di nuovo la tazza piena. Margaret, la proprietaria, non si fermò al loro tavolo per parlare come suo solito, limitandosi a salutare con un cenno entrambe mentre le serviva. Tara sapeva che la donna doveva aver capito che si trattava di una conversazione privata e piuttosto delicata ed aveva discretamente deciso di non interromperle. –Sono andata a parlare con Liz. –Proseguì di sua iniziativa Faith, dopo qualche altro secondo di silenzio. –Abbiamo discusso a lungo del problema, ed alla fine siamo arrivate più o meno alle stesse conclusioni.

-Cosa farai ora?

Si informò Tara, certa che la cacciatrice avesse preso già una decisione a riguardo. “Di certo Faith non può essere definita titubante o indecisa in alcuna situazione.”

–Non darò la caccia a Spike, aspetterò la sua prossima mossa, anche se non mi piace particolarmente. –La cosa era terribilmente evidente da come era ridotto il tovagliolo di carta che Faith aveva in mano. Tara non aveva mai visto coriandoli più piccoli in tutta la sua vita. –Ma dovrei avere un po’ di vantaggio su di lui, quanto meno di tempo, e cercherò di mantenerlo il più possibile. Forse tra qualche giorno mi sposterò di nuovo oppure me ne tornerò al Concilio. Non ho ancora deciso. Cercherò di non dargli un bersaglio troppo facile da colpire.

Continuò dopo qualche momento illustrando quanto aveva intenzione di fare. Eppure era chiaro che non era solo aspettare il prossimo attacco del vampiro senza fare niente ad impensierirla.

-Cosa ti preoccupa?

-Niente di certo. Solo vaghe sensazioni.

Sminuì la cacciatrice con una scrollata di spalle. Tara aspettò qualche secondo in silenzio prima di parlare nuovamente.

-Cosa ti preoccupa veramente Faith?

Ripeté la bionda. Glielo chiese con un tono dolce, e Faith la fissò in tralice per qualche secondo prima di rispondere. Aveva quasi sperato che Tara non lo domandasse, che lasciasse cadere la cosa. Eppure era anche felice che l’amica la conoscesse abbastanza da sapere quando ometteva certe verità e spingesse gentilmente per conoscerle.

-Spike è pericoloso. La prossima volta potrebbe colpire qualcuno di cui mi importa veramente.

Era stata questa la sua vera preoccupazione da quando aveva ritrovato il corpo. Era per questo che si trovava a Sunnydale di persona ad avvertire quella che considerava un’idiota egocentrica del pericolo che ora rappresentava Spike. Una cacciatrice rimaneva sempre la miglior difesa contro un vampiro.

-Capisco.

E la bionda capiva veramente. Le faceva piacere che la bruna fosse venuta qui di persona per avvertirla del pericolo invece di farle una semplice telefonata. Era una chiara dimostrazione di quanto Faith valutasse la loro amicizia. Nessuna di loro due era tipo da lanciarsi in lunghi e melodrammatici discorsi per dire quanto contassero l’una per l’altra. La cacciatrice proseguì qualche secondo dopo, con un tono estremamente serio.

-Fai attenzione Tara, sia a Will che a te. Non so cosa abbia in mente di preciso Spike. Non so neanche se è lui a pensare in questa faccenda.

-Non ti preoccupare, terrò gli occhi aperti e cercherò di evitare le uscite serali. Ho qualche idea in proposito su come fare.

Replicò Tara con un sorriso. Faith alzò una mano per fermarla prima che avesse la possibilità di proseguire.

-Ti prego di non dirmi come hai intenzione di tenere Willow in casa. Non senza tutti i particolari almeno. –Risero per qualche secondo, felici di aver spezzato la pesante tensione. –Qualsiasi cosa chiamami, sarò sempre raggiungibile e comunque per qualche giorno rimarrò in città. –lasciò che la voce le si abbassasse di un ottava prima di continuare, il tono roco scherzosamente seducente. -Sono troppo sfacciata se ti chiedo se hai impegni per lunedì sera? Sai potremmo fare una cosa romantica, una cenetta a lume di candele in una  terrazza privata ad esempio…

Tara sorrise appena alla finta seduzione di Faith. Ormai ci si era abituata e non era raro che lei replicasse. Non come il primo giorno. Aveva seriamente pensato di morire di infarto o imbarazzo quella prima volta quando la cacciatrice se ne era uscita del tutto inaspettatamente con una battuta simile.

-No affatto.

Replicò la bionda, anche lei con un tono giocosamente seducente.

-Allora se ti va facciamo una cena a casa mia? Ho un po’ di cose da raccontarti. –Tara accettò e dopo una breve pausa Faith aggiunse con un tono più leggero. –…del resto da queste parti non è che io abbondi di amici, così immagino che tu mi debba sopportare più della media.

La bionda sorrise prima di ribattere.

-Cosa ci posso fare. – la voce era piena di sano vittimismo. -La vita è cattiva con tutti, sarà la punizione del mio karma. –La bionda lanciò un’occhiata all’orologio a parete. –Sarà meglio che torni al negozio prima che spediscano una squadra di soccorso a cercarmi... –si alzarono dal tavolo, Tara prendendo il pacco di ciambelle da riportare al negozio -… sempre che si siano accorti che me ne sia andata. –scrollò le spalle. -Quando facciamo?

-Lunedì alle nove?

-Perfetto. Ci vediamo Faith.

 

 

 

 

Sunnydale, zona del porto. Giovedì 13, notte.

 

 

 

 

Dopo la lunga ed estenuante discussione al Magic Box con i suoi amici Buffy non aveva voglia di andarsene al campus e trovarsi di nuovo di fronte a Willow. La ragazza era stata quella che l’aveva presa peggio. In effetti il grosso della discussione era stato portato avanti solo da loro due, con qualche intervento poco convinto di Xander o di Giles.

Tutta la storia aveva lasciato l’amaro in bocca alla cacciatrice. Non sarebbe dovuto accadere. “Maledetta Faith, se non fosse stato per lei non sarebbe accaduto niente.”

La cacciatrice stava camminando per il porto cercando di tranquillizzarsi, la mano stretta intorno al paletto, giusto in caso.

Vedere Faith nella luce blu del neon di un’insegna fece evaporare quel po’ di calma che le era rimasta. La vide entrare in un bar. Senza pensarci due volte la seguì.

Il posto non era certamente uno splendore, ma dall’esterno Buffy si era aspettata molto di peggio. Immerso nella penombra, una musica irriconoscibile diffusa nell’aria viziata come l’odore di fumo, ma pulito e non eccessivamente affollato anche se i clienti non avevano l’aria esattamente raccomandabile.

Le ci volle un attimo a trovare Faith. Era seduta al bancone, un bicchiere già davanti a sé, intenta a chiacchierare con il barista, un ragazzo sulla trentina. Sorrideva tranquilla, come se non avesse una preoccupazione al mondo.

“Che tu sia maledetta Faith.”

Si andò a sedere sullo sgabello a fianco.

Faith la ignorò, cominciando a bere il proprio drink in silenzio il suo buon umore improvvisamente scomparso, mentre il barista continuava a riordinare i bicchieri dopo aver finito di pulirli con uno straccio.

-Una birra.

Ordinò Buffy. Michael gliela servì in silenzio, per poi continuare il proprio lavoro senza degnare di un altro sguardo la bionda.

-Dobbiamo parlare.

Faith si limitò a scrollare le spalle, disinteressata.

-Non qui però.

Buffy lanciò un’occhiata verso Michael, sospettosa. Lui si limitò a fare una smorfia strana, che Faith sapeva essere di disprezzo. Sorrise appena a vedere la faccia sdegnata dell’amico. Loro due si conoscevano da tempo, anche se Buffy non lo sapeva, ed era meglio che rimanesse così.

Ancora in silenzio, Faith si alzò e condusse la bionda verso il tavolo d’angolo più riservato, portando con sé la sua vodka doppia. Magari il drink l’avrebbe aiutata a mantenere quel poco di buon umore che le era rimasto dopo aver visto l’altra cacciatrice entrare,anche se da allora non aveva fatto che diminuire in maniera esponenziale.

Si erano appena sedute quando Buffy l’assalì verbalmente.

-Cosa cazzo ti è saltato in mente venendo al Magic box?

-Calma B. Non è da te usare queste parole.

Replicò sarcastica Faith con un mezzo sorriso sulle labbra. “Questa conversazione sarà peggio di quanto avrei creduto.”

-Calmarmi? Piombi nel negozio di Giles come se nulla fosse, apparendo dal nulla e annunciando che Spike non ha più il chip nel cervello, che è tornato il vampiro di sempre! Cosa ti aspetti che faccia?

-Speravo in un “grazie”. Sai, sono una ragazza ottimista io.

Faith alzò il bicchiere di vodka salutando le proprie parole a mo’ di brindisi, prima di svuotarlo. Uno non sarebbe bastato a reggere l’intera conversazione. Dannazione, incontrarla di nuovo era sfortuna bella e buona. Quella che doveva essere una serata tranquilla minacciava di diventare decisamente spiacevole.

-E perché mai avrei dovuto? -Buffy le ringhiò contro.

-Perché io ti ho cortesemente avvertito di un pericolo. Ecco perché. Non mi sembra difficile da capire neanche per te.

Faith alzò il proprio bicchiere vuoto verso Michael che si limitò ad annuire prima di prendere la bottiglia di vodka e raggiungere il tavolo delle due. Versò tre dita di liquore nel bicchierino della bruna accolto dal silenzio glaciale che regnava al tavolo. Buffy aspettò che se ne andasse prima di ricominciare a parlare.

-Come hai osato piombare di nuovo nella mia vita? Tu non hai il diritto di fare una cosa simile!

-Io non sono affatto entrata nella tua vita. E sai la novità? Non ci voglio neanche entrare, tienitela pure stretta la tua cazzo di vita normale.

Anche Faith cominciava ad alzare la voce. Il resto degli clienti del locale le ignorava, continuando a badare ai fatti propri. Conoscevano abbastanza la bruna da sapere quando era il momento di lasciarla stare, e nel loro ambiente badare ai fatti propri era sempre una delle cose più salutari da fare.

-Ma ti rendi conto del casino che hai fatto entrando lì dentro? Ho passato le ultime due ore a dare spiegazioni ai miei amici sul perché tu fossi a Sunnydale.

Ringhiò nuovamente Buffy ormai furibonda.

-E ti rendi conto che non me frega nulla? I problemi che hai con i tuoi amichetti non mi riguardano.

Faith scolò il secondo bicchiere in un fiato solo. Meditò sull’opportunità di chiedere un terzo bicchiere. Forse una volta ubriaca avrebbe potuto sopportare meglio la bionda che aveva davanti. Ma sarebbero serviti ben più di tre bicchieri di vodka. Ogni tanto malediva il fatto di saper reggere così bene l’alcool.

-Questa situazione l’hai creata tu! Hai cercato di nuovo di mettermi contro i miei amici! Di nuovo!

La accusò Buffy puntandole l’indice contro mentre la voce diventava sempre più acuta e stridula.

-Io non ho fatto nulla. –Ribatté Faith. –Sei stata tu a non avergli raccontato fin dall’inizio come stavano veramente le cose. Quanto credevi che sarebbe durate, eh? Per quanto tempo ancora credevi che nessuno di loro mi avrebbe incontrato per la strada?

-Tu non dovresti neanche esserci qui! –le sibilò velenosa Buffy.

-Ma io ci sono. –Rispose sarcastica Faith. –Ed ora torna pure dai tuoi amici boy-scout, B. Immagino ti vogliano ancora bene anche se gli hai mentito. Di nuovo.

Aggiunse dopo un attimo.

-Non gli ho mentito.

Replicò l’altra.

-B, loro possono essere tanto stupidi da crederti. Ma io ho smesso da tempo di farlo. Quindi risparmia pure il tuo fiato per le loro orecchie.

-Sai F cara? Tu non conti niente. –Le sputò contro Buffy, piantando entrambi i palmi delle mani sul tavolo. –La tua parola non conta nulla. I miei amici si fidano di me.

-Allora perché sei qui a perdere tempo a raccontarmelo? –Le chiese Faith, ancora una volta sarcastica. –Vattene a godere della loro amicizia incondizionata.

Buffy la fissò senza parole, poi con rabbia le gettò contro la birra. Faith, con la maglietta e i jeans completamente zuppi, non si mosse di un millimetro.

-Non osare mai più forzarmi la mano con i miei amici Faith, altrimenti ti ammazzo. Chiaro?

La bionda si alzò dalla sedia, soddisfatta. Faith le rispose con un tono basso, torvo.

-Ricorda B, non minacciarmi mai se non puoi mantenere quello che prometti o non hai le palle per farlo. La mia pazienza non è infinita.

Buffy lasciò il locale immediatamente, sbattendo la porta mentre usciva.

Faith si alzò dal tavolo per raggiungere lo sgabello dove era seduta prima che quella patetica scenata iniziasse. Senza una parola Michael le porse il proprio straccio. Faith lo accettò di buon grado cominciando ad asciugarsi il viso.

-Bel caratterino. Chi era? Una tua amante delusa o fidanzata tradita a causa tua?

Sorrideva mentre versava un terzo bicchiere a Faith, sapendo che la cacciatrice aveva voglia di bere quella sera. Mentre rispondeva Faith abbozzò un sorriso tirato.

-Magari, almeno avrebbe avuto un buon motivo per sprecare quella birra così…

 

 

 

New York Appartamento di Eliza. Venerdì 14.

 

 

 

La finestra era grande, molto grande, ma non era una di quelle gigantesche vetrate panoramiche grandi quanto l’intera parete, che gli americani amano tanto.

Angel contemplava le luci della strada, i fari delle auto, i lampioni, le insegne colorate con i loro neon luminosi, la confusione del traffico e di masse di gente che camminavano lungo i marciapiedi.

New York era più luminosa della prima volta che l’aveva vista. Forse quella era la più grande differenza tra il passato e il presente. Luce. Gli uomini oramai riuscivano ad illuminare tutto, sempre.

Toglieva fascino alla notte, ma faceva risaltare di più le zone d’ombra.

Sul tappeto persiano risuonarono attutiti i passi leggeri di Eliza.

Angel non dubitava che lei potesse essere completamente silenziosa se voleva. Ne era stranamente sicuro. Ma non riusciva a capire se quel rumore che faceva nell’avvicinarsi era un segno di stima oppure un sottile insulto nei suoi confronti.

Liz si fermò vicino a lui porgendogli una tazza, poi prese a guardare assentemente l’orizzonte e i grattacieli che si stagliavano in lontananza. Non si sentivano rumori da fuori, qualche anno fa Eliza aveva fatto cambiare i vetri con altri insonorizzati.

Strano quel silenzio.

Liz beveva serafica la sua cioccolata bollente anche lei guardando verso la strada. Angel strinse nelle mani la tazza calda per qualche secondo prima di assaggiarne il contenuto. Socchiuse gli occhi al piacere del sapore.

-E’ sangue umano.

Era solo vagamente sorpreso dalla cosa.

-Ho alcune conoscenze. – Liz si voltò e gli sorrise, sorrideva spesso, al contrario di lui. –Credevo fossi più bravo.

Angel inarcò un sopracciglio, aspettandosi che lei ampliasse il suo pensiero. Non lo fece. Passarono diversi minuti in silenzio, fino a quando la curiosità spinse il vampiro a parlare. Angel aveva scoperto qualcuno più paziente di lui per la prima volta in più di un secolo. Lo incuriosiva quella donna. Un mistero che non riusciva ancora a decifrare. Arguta, intelligente e così sicura di sé. Era da tanto tempo che non incontrava qualcuno del genere. Sorrise fra sé, non lo avrebbe mai ammesso, ma avere un simile puzzle da risolvere tra le mani lo divertiva enormemente.

-A cosa ti riferisci?

Chiese infine.

-Da quanto tempo vivi? Duecentocinquanta anni più o meno, giusto? Inferno a parte. –Lo sguardo stupito di lui fu divertente da vedere. Lei sorrise di nuovo, misteriosa. –Le voci girano Angel, soprattutto riguardo i segreti. Non hai idea di quanto. Ed in certi circoli le novità sorprendenti sono così rare. Tu sei stato un buon argomento da salotto per qualche settimana, temo. –Una pausa. –Tutto questo tempo ed ancora non riesci ad aspettare senza sapere di aver fatto tutto quello che era in tuo potere per cambiare le cose.

-E’ che ho un problema con il Destino. Insiste a cercare di farmi fare cose che io non voglio. –Il vampiro non aveva mai capito le persone che si sedevano ed aspettavano in maniera fatalista il corso degli eventi. Non era per lui, affatto, era contro la sua stessa natura. Se una cosa non gli piaceva la cambiava. E Spike solo contro Faith non gli piaceva. –E poi è una cosa tanto grave cercare di forgiare il proprio futuro e quello di quelli che ti stanno attorno? –Gli ci era voluto tempo per domare i propri istinti, decenni, per poterli usare a proprio favore. Eppure ancora oggi a volte era difficile resistere alla propria indole. Cacciare, uccidere. Voleva agire e voleva farlo ora. Ma Liz aveva ragione. Per adesso doveva aspettare. Il che non gli toglieva la possibilità di lanciarle una frecciata più o meno amichevolmente sarcastica. –Come se non lo facessi anche tu.

Eliza non si prese neanche la briga di fingere che non fosse così. Era vero e lo sapevano entrambi. 

-No, non per la maggior parte del tempo. –Angel alzò un sopraciglio perplesso alla risposta. Non amava le persone che lo criticavano. Non le aveva mai amate. E più passava il tempo e meno le amava. “Saranno i primi segni di senilità” pensò divertito. –Certo che se poi cerchi ancora di proteggere un vampiro di più di cento anni da qualsiasi situazione pericolosa, considerando che spesso lui se le va a cercare con gusto, allora è completamente un’altra storia.

Angel scrollò le spalle.

-Ho semplicemente fatto una telefonata. Mi deve un favore. Se il messaggio gli arriverà in tempo lascerà perdere Faith e non succederà nulla.

Il vampiro sperava che quella comunicazione gli arrivasse in tempo. Era l’unico modo che aveva per contattarlo e chiedergli di fare qualcosa senza avere la certezza che avrebbe fatto il contrario. Dannata anima rendeva tutto sempre più complesso.

-Ti deve un favore? –Liz lo stuzzicò tra il serio e il faceto. –Come funzionano esattamente le cose fra voi? Lui cerca di ammazzarti, ed ogni volta che non ci riesce ti deve un favore?

Angel, sapendo di essere più o meno gentilmente preso in giro sorrise, mentre le spiegava la situazione con un tono appena ironico.

-Oh, non lo deve a me, –Lanciò uno sguardo divertito a Liz che continuava a sorridergli di rimando aspettando pazientemente la sua spiegazione. –ma ad una misteriosa quanto affidabile persona che anni fa gli ha fatto una soffiata su quando allontanarsi da un Parigi. All’epoca aveva un cacciatore di demoni piuttosto accanito alle calcagna. Da allora continuano a scambiarsi informazioni, ma Spike gli deve ancora la pelle per quella volta.

Liz continuò il discorso con lo stesso tono leggero anche se quello che voleva dire era serio.

-Ah, ah, ed io dovrei credere che non vorresti essere lì a trattenerlo fisicamente da attaccare Faith? O a trattenere lei?

Angel si girò a guardarla perplesso. Decise di prendere tempo.

-Esattamente cosa ti fa credere che in questo momento io voglia andare a proteggere Spike dalle conseguenze delle sue scelte azzardate?

Liz sorrise.

-Forse semplicemente perché è uno di famiglia…  -Angel la guardò stupito. L’aveva sottovalutata di nuovo. Non era cieca quanto gli altri anche se negli ultimi giorni lui aveva fatto veramente un pessimo lavoro nel nascondere il fatto che teneva a quanto accadesse a Spike. La morte di doyle lo aveva lasciato più “sensibile” di fronte a certi argomenti, gli ci sarebbe voluto un po’ di tempo per tornare ad essere come sempre. La donna scoppiò a ridere alla sua espressione. –Sai, forse passi troppo tempo con gente troppo giovane. Non tutti sono facili da capire e da prevedere quanto loro. Inoltre il tuo attaccamento a lui è piuttosto evidente sai? Insomma per quanta gente al mondo salteresti alla gola di una cacciatrice e rischieresti di inimicarti un’alleata?

Angel rimase in silenzio per qualche secondo, pensieroso. Non sapeva se voleva parlare della cosa con Liz, non sapeva neanche se voleva parlarne del tutto. –Qualche volta la mia famiglia mi manca.

Lo disse a voce bassa, quasi vergognandosene. Per lungo tempo lo aveva fatto.

-E’ naturale. –Lo rassicurò Liz, con uno sguardo negli occhi di chi aveva già provato la cosa in prima persona. –Quanto tempo hai passato con Darla? Cento anni? Cento cinquanta? E lei ti ha insegnato le regole del clan, vero? Le sue gerarchie, le regole da rispettare, i legami di sangue o meno che si potevano stabilire, le tue responsabilità… -Non accadeva spesso ad Angel di sentirsi spiegare cosa poteva motivare le sua azioni che lui stesso considerava del tutto naturali. –E poi tu ovviamente hai trasportato parte di quel modello con te, e visto che non te ne sei mai potuto liberare, lo hai applicato, con differenze senza dubbio, al resto della tua vita… -L’immortale strinse un po’ di più la tazza fra le mani mentre faceva silenzio. –Ed ora… ora rimpiangi quanto hai perduto. –Il suo sguardo divenne sfocato. –Soffri. –La donna si riscosse, prima di continuare. –Credevi davvero che non ne avresti mai provato nostalgia? Darla, ma anche Drusilla, persino Spike. Adesso anche Doyle. Ti stava simpatico. E per tua scelta Cordelia e Wesley. Ma come sempre hai tutta l’intenzione di andare avanti e di vivere. Sei sempre stato quello che è sopravvissuto vero?

Non che Angel lo potesse negare. Dubitava che molti altri vampiri avrebbero resistito con un’anima senza almeno impazzire. E dopo un periodo quasi impassibilmente duro lui si era adatto ed aveva ricominciato a vivere invece di limitarsi a sopravvivere. Era fiero di essere riuscito a rialzarsi ancora una volta, soprattutto quando tutti, compresa la sua famiglia, lo avevano dato per spacciato.

–Ti basterà un po’ di tempo. –Proseguì fredda Eliza. –Ti costruirai una nuova vita. Da qualche altra parte. Magari lontano. Con gente totalmente diversa. Supererai la cosa e vivrai felice. Lo sappiamo entrambi. –Angel avrebbe potuto urlare che era falso, che il dolore non se ne sarebbe mai andato, arrabbiarsi a questa dimostrazione di cinismo. Avrebbe potuto. Ma sapeva che quello che Liz aveva detto era vero. Inutile perdere tempo a negarlo. Lei proseguì imperterrita. Il vampiro non sapeva cosa stesse cercando di ottenere, la sua rabbia? Fargli superare un brutto momento? O semplicemente stava parlando di se stessa? Angel sapeva perfettamente di star ancora soffrendo per la morte di Doyle. Era ben lontano dall’aver elaborato il lutto. Ma lo sapeva solo razionalmente. Si rendeva conto che al momento stava agendo in maniera molto più emotiva del solito ma non poteva farci nulla. Era difficile controllarsi in situazioni come queste. –Ma ricorderai. Ed immagino che qualche volta i ricordi diventino troppi. E tu speri di dimenticare. Te lo auguri. –Un sorriso triste questa volta ed una scrollata delle spalle. –Mi dispiace informarti che non succederà. Certi ricordi non se ne vanno mai, come i rimpianti. –un’altra pausa. Le sue labbra si piegarono in un sorriso. –Sai? Mi ricordi tanto qualcuno.

-Chi?

Angel si stava incuriosendo. Era vero, da tanto tempo non parlava con qualcuno che potesse davvero capire, e quello che ci era andato più vicino, Doyle, ora se ne era andato.

-Faith.

-Chi? Faith? Lei? Quella boriosa insolente?

Angel non sapeva se apprezzava di essere paragonato alla cacciatrice, una scalmanata che al massimo poteva somigliare a Spike, se proprio si voleva cercare una somiglianza. Dopo la loro ultima conversazione aveva guadagnato in considerazione dal suo punto di vista, ma di certo non le stava simpatica.

-Non immagini quante vite abbia vissuto.

La risposta era stata data con un tono piano, appena triste. Finirono di bere e posarono le tazze sul davanzale. Passò qualche minuto, Angel continuò a guardare dalla finestra, riflettendo. Esistevano problemi di cui potevi parlare solo con alcune persone, sebbene l’immenso amore e volontà di comprensione che animavano altre. Lo aveva imparato.

-Mi sono sembrati altri due secoli in quell’inferno. Ho avuto paura. Il dolore, l’angoscia, sono durati così a lungo. Abbastanza da perdermi.

Liz non lo guardò, rispettando il suo bisogno di non essere visto in un momento di debolezza.

-Poi ti sei ritrovato Angel. E smarrirsi per due secoli non è poi cosi grave per chi ha davanti l’eternità. –la risposta lo fece sentire sollevato, era difficile per lui parlare di qualcosa che l’avesse così spaventato. E rischiare di impazzire od essere impazzito, non aveva mai saputo con certezza se era successo o meno, lo aveva terrorizzato. –Conosco persone che si sono smarrite da cinquecento anni. E non si sono ancora ritrovate.

Ed era chiaro che si riferiva a qualcuno di molto importante per lei ed era altrettanto chiaro che non voleva parlarne. Angel rispettò il suo silenzio.

Rimasero a guardare fuori dalla finestra fino all’alba, immobili.

 

 

 

 

In un cimitero di Sunnydale. Venerdì 14, notte.

 

 

 

Lo scontro era uno contro uno, entrambi armati di coltello. Non durò molto. Forse venti secondi. Che bastarono ad una Faith di pessimo umore per parare il primo affondo del vampiro, ferirlo al petto, disarmarlo al secondo, torcergli il braccio dietro la schiena fino a slogarlo e poi impalettarlo con il proprio pugnale mentre gli urlava contro.

-Muori bastardo!

Faith frugò nella cenere rimasta con la punta degli anfibi per vedere se era rimasto qualcosa di utile intatto, amuleti, armi. Chi vinceva aveva diritto alle spoglie. Una buona regola che seguiva da tanto tempo.

-Incredibile, con qualcosa come sedici cimiteri in una sola cittadina immagineresti che gli incontri casuali in posti del genere fossero praticamente impossibili. Eppure continuiamo ad incontrarci. Il mondo sta diventando molto piccolo non trovi, B?

-Passavo di qua, tanto valeva fare un giro.

La bionda lo disse con una scrollata di spalle, già stizzita. Faith le rispose con sarcasmo, non aveva dimenticato le parole dell’ultima volta.

-Giusto, la grande cacciatrice non sprecherebbe mai le sue serate nel cimitero più piccolo della degradata periferia.

Faith l’aveva scelto proprio per questo. Buffy lasciò cadere il commento.

-Tu invece che stavi facendo qui, la ronda?

-No, non la ronda, ma potresti dire che ero a caccia.

Buffy indicò con la testa il suolo, aveva notato che Faith aveva finito di setacciare la cenere prima di voltarsi.

-Trovato qualcosa di interessante?

-Qualche vampiro. Questo era il migliore della serata.

Lo disse scrollando le spalle senza dargli importanza. La conversazione era tornata a toni quasi civili. Stupefacente.

-Perché lo fai Faith? Per te non significa niente.

Era un’accusa. Buffy l’aveva fatta suonare come tale.

-Perché caccio vampiri? La domanda del secolo B. Perché mi fa sentire viva. Perché so che ogni volta che entro in uno di loro nidi io sarò la sola ad uscire oppure non uscirò più. Ed ogni volta che rimango l’unica ad essere in piedi per un istante, per un solo istante, sono onnipotente.

Gli occhi di Buffy si accesero di rabbia a quelle parole.

-Sei soltanto un’insensibile bastarda.

Le ringhiò contro la bionda.

-Non un mio problema, credi pure a quello che vuoi.

Faith si voltò e cominciò ad allontanarsi, per lei quella discussione era chiusa. Voleva andarsene prima che la serata da cattiva si trasformasse in pessima.

-Fermati Faith.

Un altro ordine.

-Cosa vuoi, B? Per essere una che mi odia, cerchi con inquietante frequenza la mia compagnia.

-Fottiti Faith.

La mora sorrise senza replicare.

-Mi fai schifo. Non sei altro che un killer a sangue freddo, una che ama ammazzare gli altri, ecco perché odi tanto l’idea che il tuo destino sia combattere per il bene.

Le urlò contro Buffy, la voce appena più stridula di prima.

-…E morire. Combattere per il Bene e morire in un vicolo buio od in una fogna. Non te ne dimenticare. Quella parte la tralasci sempre. Dannazione B, io ho voglia di vivere! E’ così difficile da capire?

-Voglia di vivere? Tu hai soltanto voglia di sangue Faith. Niente di più. Vuoi uccidere.

La mora ridacchiò prima di replicare.

-Uccidere. Oh B, fingiamo di essere innocenti? O ci credi per davvero? Anche tu hai ucciso. Magari non esseri umani, ma hai ucciso. Esseri viventi. E non mi raccontare la solita storiella che loro sono demoni e vanno uccisi. Perché io ho conosciuto uomini che meritavano di morire molto più di tanti demoni. –Con una mossa stizzita si portò una mano alla cintura. –Cosa credi che si provi nel premere un grilletto? Eh B? Cosa? Devi soltanto piegare un dito.

Faith estrasse la Glock che portava.

-Ecco una pistola. Lucente metallo… così mortale… vero? E tutto quello che devi fare per terminare una vita è premere il grilletto. Una piccola levetta. –la bruna mise l’indice in posizione di tiro ed allineò la pistola contro Buffy. –Un proiettile può uccidere anche te sai? E non credere di essere troppo veloce perché io ti possa colpire.

Si era accesa una luce strana negli occhi di Faith, fuoco vivo, un misto di emozioni tumultuose. La stessa che aveva quando combatteva. Rimasero un attimo così a fissarsi.

Poi Faith tirò il grilletto e Buffy chiuse gli occhi.

La pistola scattò a vuoto. Il caricatore non era inserito.

-Non ci sarebbe voluto niente vero? –Lo disse con voce calma e tranquilla, come se stesse discutendo del tempo. –Non è premere un grilletto che ti cambia. E’quello che provi nel farlo. Quello che provi a distanza di mesi o anni.

La fronte di Buffy era imperlata di sudore.

-Sei pazza.

Bisbigliò appena.

-Oh, ma non lo avevi già capito psicologa? Tutti i segni erano lì: instabile, incurante delle conseguenze, senso di onnipotenza, autodistruttiva… posso continuare.

Faith stava ridendo ora.

-Tu sei completamente pazza.

Buffy lo disse mentre camminava all’indietro, allontanandosi lentamente. Faith la fissava con un lampo omicida, qualcosa che l’altra non le aveva mai visto nello sguardo.

-Sono pericolosa B, io sono solo pericolosa.

La bionda scuoteva la testa, alternando il terrore alla rabbia.

-Sei solo un cane idrofobo che andrebbe abbattuto. Ecco cosa sei.

Faith sogghignò alla descrizione.

-Si, sono aggressiva. Sono un predatore. –Fece un passo verso Buffy, che rimase ferma ma lo fece sussultando. -Che poi tu voglia giocare ad avere una vita normale, a fingerti una tranquilla studentessa sono soltanto affari tuoi. Sei tanto brava a mostrarti innocua, del tutto innocente. Dannazione, prendi in giro così i tuoi amici da anni. La santa e buonissima Buffy. Ottima recita. Complimenti. –Faith la applaudì un paio di volte, prima di continuare. –Io non sono così. Sono una cacciatrice. E posso essere dura e letale. Non mi vergogno di ammetterlo, ed ho smesso di nasconderlo da tanto tempo.

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli osservatori. Venerdì 15.

 

 

 

L’intercom sulla scrivania emise un discreto bip. Senza prestarvi particolare attenzione Miller accettò la chiamata, mentre continuava a leggere.

-Si?

Firmò il foglio che aveva davanti e ne prese un altro dalla piccola pila alla sua sinistra.

-Signore, il capo degli operativi chiede di parlarle.

-Fallo passare. –“Era ora che mi sapesse dire qualcosa di più sull’omicidio dell’operativo”. Pensò Miller mentre girava di nuovo pagina, scorrendo velocemente i rapporti finanziari della chiusura trimestrale. A volte più che di dirigere un’organizzazione come quella del Concilio gli sembrava di essere il presidente di una multinazionale a forza di leggere bilanci e resoconti della produttività del personale. Oh, la loro non era mai stata una fondazione benefica senza scopi di lucro, quello era vero. Nella storia molti degli osservatori si erano arricchiti in un modo o nell’altro e con loro tutto il Concilio. Guerre, merci rare, pregiati manufatti, informazioni. Tante cosa. Ma da quando aveva nominato, anni prima, Marlin come dirigente delle finanze la cosa era diventata, come dire, più “professionale”. Mise un’altra firma in fondo alla pagina sulla riga tratteggiata. Sorrise alla cifra finale. Era stato un ottimo trimestre, con un attivo quasi record.

Un attimo dopo si sentì un educato bussare alla porta.

-Avanti.

Jason entrò e si diresse verso la scrivania del primo osservatore rimanendo in piedi ad una rispetta distanza, aspettando che Miller gli rivolgesse la parola per primo come da protocollo.

Il primo osservatore quasi sogghignò alla dimostrazione di quanto gli anni passati fra i militari fossero fissati nella mente del capo degli operativi. Era stato un ottimo elemento nell’esercito, ricompensato varie volte con medaglie al valore, come del resto lo era stata una buona parte degli altri operativi. Ma, al contrario di molti altri operativi, finiti al Concilio degli osservatori per coincidenza, Jason aveva saputo dal giorno del suo arruolamento che quello non sarebbe stato che l’addestramento necessario per entrare negli osservatori.

Da tempo la sua famiglia forniva militari al braccio armato Concilio, arrivando spesso a comandarlo. Come lui.

-Ci sono progressi nell’indagine?

L’uomo scosse la testa.

-No signore, sono qui per un altro motivo. –Jason era perfettamente consapevole del suo atteggiamento prettamente marziale di fronte al Primo Osservatore. Era voluto, accentuato. Miller aveva prestato servizio e da qualche parte nella sua mente continuava a nutrire un innato rispetto per chiunque si comportasse da militare. –Le devo comunicare la conferma della morte del dirigente Gillison.

Miller lo fissò, evidentemente stupito dalla notizia. “Dougan non deve averlo informato sul rapporto arrivato ieri, sul fatto che una delle nostre auto era rimastra coinvolta in un incidente.” Jason notò con piacere che il primo osservatore non aveva il perfetto controllo delle espressioni facciali che aveva Marlin. “Non vorrei mai giocare a poker contro di lei.”, era stata una decisione che aveva preso subito dopo il loro incontro. Quella donna lo innervosiva. Era ovvio che la sua faccia non era altro che una maschera, era troppo perfetta per non esserlo, ma nonostante questo Jason non riusciva a capire cosa nascondesse.

In questo somigliava a Faith.

-Cosa è successo?

Miller stava nervosamente piegando e poi risistemando l’angolo del foglio che aveva tra le mani. Il capo degli operativi lo notò e registrò l’irrequieta azione in un angolo della sua mente.

-Un incidente stradale mercoledì notte a Londra, signore. –Miller fece per interrompere ma Jason proseguì, intuendo la domanda successiva. –Lo abbiamo saputo così tardi perché aveva con sé documenti di identificazione falsi, signore.

-Si sa qualcosa della dinamica dell’incidente?

“Quante sono le possibilità che un dirigente del Concilio muoia in un incidente stradale in un momento convulso come questo?” si chiese Miller “E proprio uno dei sostenitori di Marlin, in contemporanea con la continuata assenza di Travers?”.

-Un pirata della strada ha speronato l’auto del signor Gillison, lasciandolo agonizzante sulla scena, signore. Anche il pirata è morto nello scontro.

-E’ stato archiviato come incidente?

Jason sapeva che la vera domanda era piuttosto “Ci sono le prove che lo hanno ucciso o no?”.

-Si signore. La dinamica complessiva corrisponde con quella di un normale incidente stradale, signore.

Miller annuì. Se era stato un omicidio era stato un lavoro ben fatto.

-Puoi andare Jason. Fammi sapere al più presto se ci sono novità sulla morte dell’operativo.

-Si signore.

Il capo degli operativi si girò ed uscì dall’ufficio. Miller era convinto che Jason fosse stato and un passo dal salutarlo militarmente prima di voltarsi.

Scosse la testa e dimenticò in fretta il capo degli operativi. Cosa significava la morte di Gillison? Rifletté per quasi un’ora, soppesando tutte le possibilità, completamente dimentico dei documenti che stava esaminando prima della notizia.

Essenzialmente tre cose.

Rimanevano solo sei dei dieci dirigenti ordinari, di cui uno assente ed un altro sotto inchiesta.

Non potevano più porre il veto alle sue decisioni. Per farlo servivano sette voti contrari. Ed ora era matematicamente impossibile che li avessero.

Marlin non aveva più la metà dei voti presenti.

Miller sorrise e si andò a versare un bicchiere di bourbon per festeggiare, sedendosi nella poltrona più comoda che avesse, la bottiglia poggiata sul tavolino vicino. “Sembra che finalmente la fortuna stia girando”. Scolò di un fiato il liquore e se ne versò un’altro.

“Sono solo in sei.”    

Sorrise ancora di più all’idea che aveva appena avuto.

 

 

 

 

Marlin si lasciò ricadere contro la poltrona, inquieta, riflettendo sull’ultima idea proposta dall’uomo stravaccato scompostamente sul divano del suo ufficio. Magdalene era sicura che avrebbe poggiato i piedi sul tavolino, se solo ce ne fosse stato uno. Di certo lo aveva fatto spesso e volentieri durante gli anni in cui lei era stata direttrice degli analisti e lui uno degli uomini forti dell’est Europa.

Quel vecchio ufficio d’angolo Marlin lo aveva ereditato, già sontuosamente arredato con tanto di tavolino in cristallo, dall’uomo a cui aveva facilmente fatto le scarpe per ottenere quel posto. “Lucas non è stato un granché come avversario. Mente brillante ma di sicuro non troppo sveglio con la gente. Farlo cacciare per incompetenza è stato praticamente un gioco.”

-No, non ci siamo Aleksander.

Disse ad alta voce tornando al presente.

Meno di due ore fa, il vice capo delle comunicazioni, subito dopo aver inoltrato il messaggio della morte di Gillison a Jason, l’aveva illecitamente  avvertita di quanto era successo, annullando il vantaggio che Miller poteva avere nel ricevere per primo la notizia.“Non c’è dubbio”, aveva riflettuto Magdalene una volta chiusa la comunicazione con il tecnico, “decidere di far nominare uno dei miei  uomini in quella posizione è stata una scelta azzeccata anche se mi è costata parecchio. E non risolve minimamente il problema che ho ora”.

Non molto divertente da ammettere ma era la verità.

Appena finita la telefonata Marlin si era subito attivata per cercare di rintracciare Kroskj, l’elusivo dirigente dalla battuta sempre pronta ed il sorriso inciso perennemente sulla labbra che lo rendeva simpatico a tutti, chiedendogli di raggiungerla in ufficio al più presto.

Il russo aveva compreso subito l’importanza del problema dal tono di voce della donna, e per una volta invece di presentarsi con il suo ritardo cronico, e del tutto studiato, di mezz’ora, si era presentato immediatamente. Conosceva da troppo tempo Magdalene per ignorare un suo “si tratta di una cosa urgente”.

Di fronte alla situazione sia Marlin che lui avevano tutti i motivi per essere preoccupati. Erano stati messi improvvisamente in minoranza nel consiglio dei dirigenti. Sembrava che tutte le loro scommesse gli si stessero rivoltando contro.

La cosa peggiore era che stavano discutendo di come uscire dalla situazione da più di mezz’ora ed ancora non erano riusciti a trovare un modo per risolvere la faccenda. Nessun problema che avesse una qualsiasi soluzione praticabile era mai riuscito a tenerli in stallo per così tanto tempo ed oramai entrambi disperavano che esistesse una qualche via di uscita che li vedesse vincitori. O perlomeno non perdenti.

Era stato tutto inutile.

Per quanto entrambi si fossero sforzati di trovare un cavillo od un appiglio per riportare il conteggio dei voti in parità non erano riusciti a trovare nulla. Erano arrivati a richiamarsi alle norme di emergenza emanate durante la peste nera che aveva quasi dimezzato la popolazione europea. E lo avevano fatto inutilmente.

Kroskj si passò una mano fra i capelli biondi, riuscendo a scompigliare ancora di più i ciuffi ribelli, non potendo fare a meno di analizzare nuovamente i fatti, trovando la cosa largamente deprimente: Miller poteva contare sul voto di Dougan e Duville, tre in totale, contro solo Kroskj e lei. Gli altri non contavano: Brightman era sotto inchiesta e Travers uccel di bosco da mesi.

Tre contro due.

E per quanto cercassero non riuscivano a trovare un modo per cambiare la cosa.

Tre a due.

Fottuta jella”. Aleksander non accettava di perdere così. -E se cercassimo l’appoggio di Brightman? -Suggerì il russo ancora seduto sul divano in pelle, le gambe accavallate e la giacca posata di fianco, se ne liberava appena poteva.

-Miller lo farà giudicare colpevole alla prima riunione di gabinetto e noi non abbiamo più i voti necessari per farlo assolvere. Anche se ne bastano la metà ora non ci arriviamo più.

Dannazione se non era frustante. Marlin aveva voglia di strangolare qualcuno, giusto per non sentirsi così impotente. Era stata ad un passo dal poter ottenere quattro voti in un gabinetto di sette, ed ora ne aveva solo due su sei.

-Secondo te è stato Miller a farlo ammazzare? –Kroskj non si faceva illusioni sul fatto che quello non fosse stato un incidente. Doveva ammettere che però l’idea lo disturbava.

Non l’omicidio in sé. Lui stesso aveva ammazzato la sua parte di persone durante gli anni, personalmente e a sangue freddo se necessario. Anche se nessuno, a parte Marlin, lo credeva capace di una cosa simile con la faccia d’angelo che aveva e i modi di una ragazzino. A dire la verità Kroskj non ricordava più neanche con precisione quanti fossero quelli che aveva ucciso. Molti. Sicuramente molti. Ad alcune di quelle esecuzioni aveva partecipato anche Marlin. Erano diventati “amici” così.

Piuttosto a disturbare Aleksander era il fatto che la lotta per il potere fosse arrivata a quel punto a causa della mossa di un avversario e non di una sua e che lo avesse fatto in così poco tempo. Era raro che un dirigente fosse assassinato. Nel corso dell’ultimo secolo probabilmente erano stati assassinati, senza che la cosa fosse mai provata, solo tre dirigenti, due dei quali in questo decennio. Dio solo sapeva quanti Osservatori erano stati uccisi per ordine del Concilio o da altri colleghi per un motivo o per un altro nello stesso lasso di tempo. A fare una stima prudente più di cinquanta.

-Non lo so. –Rispose Marlin guardando l’uomo di fronte a sé. Era facile dire dalla luce negli occhi verdi che era preoccupato, e lei condivideva le preoccupazioni di quello che era la cosa più vicina che avesse ad un amico. Erano alleati da anni e la loro sopravvivenza in questo momento era intrecciata indissolubilmente. E si trovavano in bilico. La cosa non piaceva neanche a lei. Neanche un po’. –E non importa. O Travers o Miller non fa differenza ormai.

Sentirono bussare alla porta.

-Avanti.

Era l’assistente personale di Marlin. Una donna sulla cinquantina con l’aria di una perfetta dama di compagnia e gli occhi gelidi della governate inflessibile. Non molti avevano il coraggio di affrontarla anche se era solo una pallida ombra della persona dirigente per cui lavorava.

-Signora Marlin, signor Kroskj –Lui la salutò con un cenno del capo ed un sorriso radioso, mentre come sempre Magdalene si limitò a fissarla aspettando che parlasse. –Il primo osservatore ha appena indetto un Assemblea Plenaria del Concilio degli Osservatori, in data giovedì 20.

Sulla faccia di Kroskj si vedeva la chiara sorpresa alla notizia, non si aspettava una mossa del genere da parte di Miller. Aleksander lanciò uno sguardo a Marlin per giudicare la sua reazione, trovando esattamente quello che si aspettava, niente. Senza scomporsi minimamente di fronte alla novità Magdalene annuì una volta alla sua segretari e lasciò tornare ai suoi compiti.

-Grazie Helen, puoi andare.

La donna salutò con perfetta cortesia ancora una volta i due dirigenti prima di chiudere la porta dietro di sé, lasciandoli entrambi pensierosi.

-Cosa vuol fare? Per liberarsi di Brightman gli sarebbe bastato convocare un gabinetto.

Chiese Kroskj qualche secondo dopo. Non capiva la mossa di Miller.

-Non vorrà fermarsi a questo. –Marlin stava pensando furiosamente. Brightman, che altro poteva ottenere con una riunione plenaria? Forse la testa di Travers… e poi? Possibile che volesse procedere alla nomina di altri dirigenti? Se era così aveva appena commesso un errore. Magdalene sorrise. –Ho trovato il modo di annullare o quasi la differenza voti.

Il russo scosse la testa, per nulla convinto dalle sue parole.

-Anche contando sull’appoggio di Giles durante le votazioni per i candidati al posto di dirigente... –Kroskj aveva seguito il suo stesso ragionamento. Era privilegio dell’osservatore della cacciatrice poter votare durante l’assemblea plenaria, almeno per quanto riguardava la sostituzione degli altri dirigenti. –…non arriveremmo alla maggioranza, lo sai vero?

-Si, -Rispose senza scomporsi troppo Magdalene, sorridendo appena. Un mezzo sorriso sincero che era spesso tutto quello che si concedeva. –Ma ora le cacciatrici sono due.

Kroskj scoppiò a ridere. Era semplicemente assurdo, impensabile, contro ogni tradizione eppure all’interno di ogni regola. Esattamente come Marlin stessa.

“Sarà divertente vedere la faccia di Miller, di fronte a questo.”

Aleksander adorava Magdalene proprio per quello.

 

 

 

New York, appartamento di Eliza Sinless. Sabato 15.

 

 

Liz lasciò squillare il telefono una seconda volta prima di rispondere. L’immortale lo doveva ammettere, per quanto utile e comodo fosse l’apparecchio lo aveva sempre trovato estremamente seccante. Non era mai riuscita ad entusiasmarsi alla novità, al contrario di quanto aveva fatto ad esempio per il cinema o per il treno od anche per il computer. Era stata una delle invenzioni che più aveva cercato di ignorare, ostinandosi a non installarne in caso propria per anni. Senza successo doveva ammettere.

-Con chi parlo?

Doveva decidersi a far installare un display per identificare le chiamate anche sul suo apparecchio fisso. In effetti avrebbe dovuto rinnovare l’intero impianto oltre ai singoli telefoni visto che lo aveva fatto installare più di trenta anni fa, quando aveva acquistato la proprietà. Ancora un po’ e da antiquato sarebbe diventato un pezzo di antiquariato.

-Liz? Sono io Faith.

La donna sorrise, era un po’ che la cacciatrice non si faceva sentire, e con tutta la storia di Spike, la donna si era preoccupata al prolungato silenzio. Non che fosse inusuale, al contrario, visto che Faith sembrava condividere il suo odio nei confronti del telefono oltre ad avere una spiccata tendenza nel non chiamare a meno di avere qualcosa da dire.

Nonostante la preoccupazione Liz aveva evitato di cercarla. Non c’era alcun vero motivo per farlo e sapeva quanto Faith tenesse alla sua indipendenza. Comportamento infantile a volte, d’accordo, ma del resto aveva solo vent’anni e  l’immortale aveva avuto a che fare con gente molto più seccante e cocciuta della cacciatrice durante la sua vita.

-Tutto bene?

E quella sarebbe stata tutta l’espressione della preoccupazione di Liz. Se Faith aveva qualcosa da dire l’avrebbe detta. Eliza aveva dovuto lavorare a lungo per riuscire ad instaurare questo tipo di rapporto con la ragazza. Di certo la cacciatrice non era un soggetto facile, aperto alle nuove persone e pronto a dare fiducia. Tutto il contrario effettivamente. Probabilmente uno psicologo le avrebbe detto che soffriva di gravi problemi emotivi. Ma la donna sapeva di essere riuscita a fare breccia e sperava che in caso di bisogno Faith avrebbe cercato il suo aiuto.

-Si, tutto bene ma ho novità. –Eliza attese pazientemente mentre sentiva in sotto fondo il fischio del bollitore dell’acqua. Ci furono altri rumori, acqua versata, sportelli aperti e richiusi. –Scusa, ma mi sto preparando un tè. –Un attimo di pausa. –Ovviamente è una della miscele che mi hai dato tu, lo Yin Zhen.

-Come al solito. –Era la miscela preferita di Faith. Di tanto in tanto l’immortale si chiedeva se non era anche l’unica che prendesse. Ridendo appena continuò –Lo sapevo. Ho creato un mostro. Non avrei dovuto farti assaggiare quel tè.

-Di certo ti sei scavata la fossa con le tue stesse mani, visto che insiti a regalarmi ogni fornitura. –Disse Faith ridendo a sua volta. –Considerando che te lo fai spedire direttamente dalla piantagione, senza contare il fatto che si tratta di una miscela rara… Ho come il sospetto che le mie colazioni ti costino parecchio.

-Non ti preoccupare, la mia passione per il tè è uno dei pochi vizi che mi concedo. Il recapito e la merce mi costano ma non troppo. Del resto non ti dimenticare che sono inglese.

Aggiunse con un sorriso Liz, anche se sapeva che Faith non la poteva vedere.

-Cambia scusa… tanto lo so che sei inglese da più tempo di quanto non lo sia il tè.

La cacciatrice la stava prendendo in giro e Liz sapeva che si stava divertendo un mondo a farlo.

-Faith è scortese fare osservazioni sull’età di una signora…

La riprese scherzosamente.

-Signora?

Ribatté Faith ironica. Liz rise ed evitò di rispondere, per quanto si stesse divertendo a punzecchiarsi con la ragazza, sapeva che avevano bisogno di parlare di cose serie se la cacciatrice l’aveva chiamata. –Cosa mi volevi dire?

Ci fu un altro attimo di pausa. Probabilmente Faith stava finendo di prepararsi il tè. Liz si fece un appunto mentale di non insegnare mai a Faith tutta la cerimonia del tè giapponese o quella cinese. Se la cacciatrice si fosse entusiasmata all’idea, Eliza aveva la certezza che non sarebbe più riuscita a gustarsi un tè senza tutti quei laboriosi preparativi.

-Mi ha chiamata Marlin.

Il tono di Liz si fece serio come  quello di Faith.

-C’è qualche problema?

-Sembra che le cose si stiano muovendo. –Ci fu una pausa e Liz sentì qualche altro rumore in sottofondo. -E’ stata convocata per giovedì un’assemblea plenaria. Ed io sono gentilmente stata invitata.

Passò qualche attimo prima che Eliza si riprendesse dallo stupore. Una cacciatrice ad un’assemblea del Concilio? Era praticamente inaudito. Più tardi avrebbe dovuto dire a Faith che l’invito non le serviva però. Era diritto della prescelta sedere durante quelle assemblee. Che poche lo sapessero e nessuna lo facesse era un altro conto. Lei stessa si era dimenticata di informare Faith della cosa. Avrebbe rimediato.

-Sul serio?

-Si e apprezzerei se mi spiegassi per filo e per segno tutto quello che posso o non posso fare e quello che mi devo aspettare dai simpatici osservatori.

-Non c’è problema. –Liz non l’avrebbe mai lasciata entrare in quel covo di serpenti senza prima spiegarle tutto filo e per segno. Anche se la cosa implicava che avrebbe dovuto spiegare a Faith tutti e 3259 articoli delle norme di comportamento ed intervento nel Concilio. –Sai per quale motivo è stata convocata?

Quello era il nodo cruciale della questione.

-No, Marlin non l’ha detto ed io non l’ho chiesto.

Una mossa intelligente per quanto credeva Liz. Meno Magdalene si fosse preoccupata di Faith come potenziale rivale, meglio sarebbe stato. Non che l’idea di tenere un profilo basso potesse cambiare le cose poi di molto.

-Ok, non ti preoccupare, ci sentiamo presto e ti darò ogni possibile dettaglio, ok?

“Probabilmente le spiegherò solo i quattro-cinquecento articoli più importanti, ed una manciata di precedenti che possono tornare utili”.

-Ok. Alla prossima Liz.

-Ciao Faith.

Chiusa la conversazione Eliza rimase per un po’ nel suo studio riflettendo su quanto era successo. Avrebbe dovuto chiedere ai suoi informatori di riempire i vuoti che aveva lasciato Faith. Era fondamentale scoprire perché quella assemblea era stata convocata.

La cosa più inquietante era che al momento non aveva idea di quello che era successo per causare la convocazione di un’assemblea plenaria. Sembrava proprio che gli eventi avessero subito un’accelerazione improvvisa a causa di una qualche forza sconosciuta. Non era una buona notizia. Le dava meno tempo per prepararsi e meno controllo su quanto stesse accadendo.

E c’era troppo in gioco per potersi permettere anche un solo errore.

Lasciò la stanza per andarsene nel salotto dove trovò Angel intento a leggere.

-Ma tu non guardi mai la televisione?

Il vampiro alzò gli occhi dalla pagina e li portò per un istante alla padrona di casa per poi andare verso il panello di legno che nascondeva lo schermo al plasma di 52 pollici.

-No, non mi è mai piaciuta.

-Antico.

Angel si rimise puntigliosamente a leggere, fingendosi stizzito, mentre Liz si sedeva sul divano di fronte alla televisione con il telecomando in mano. Aveva voglia di vedere qualcosa. Sempre che ci fosse qualcosa di decente da vedere. “Scommessa molto insicura al momento”.

-Il messaggio è arrivato a Spike?

Chiese l’immortale dopo qualche minuto di infruttuoso zapping.

-No, non ancora. –“…Ed ormai comincio ad essere preoccupato. Pare che Spike sia scomparso dalla faccia della terra, fogne incluse. Nessuno lo riesce a trovare. Se non lo riesco a raggiungere in tempo per fermarlo dall’uccidere Faith…” –Forse ci vorrà qualche altro giorno.

Concluse tranquillo.

-Ok, -lo zapping si interruppe. –Ah, comunque, nel Concilio le cose cominciano a muoversi.

Angel annuì e proseguì la lettura del libro. “…forse sarebbe meglio se andassi a cercare Spike di persona… Mi basta trovare una scusa qualsiasi per rinunciare all’ospitalità di Eliza e non farla insospettire del fatto che non ho la più pallida idea di dove si trovi… e poi potrei sempre liberarmi di lei, se poi non riuscissi a fermarlo in tempo, e lei volesse proprio intervenire per vendicare Faith…” Il vampiro osservò la donna per un istante. “…Liz mi potrebbe ancora essere utile, può darmi il nome di chi ha ordinato l’attacco. Non vale la pena informarla ora delle difficoltà nel rintracciare Spike…può parlare prima che accada qualcosa a Faith in fondo… no, meglio non liberarsi di lei ora, è ancora troppo presto. Sarebbe stupido farlo  ora.”

 

 

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli osservatori. Lunedì 17.

 

 

 

La porta dell’ufficio di Jason si spalancò improvvisamente per poi chiudersi sbattendo rumorosamente dietro ad un furioso Miller, che si precipitò all’interno a passo di carica, praticamente ringhiando contro il capo della sicurezza.

-I tuoi risultati?

Jason si alzò in piedi in segno di rispetto verso il Primo Osservatore quando lo vide entrare. Il suo completo nero, in genere del tutto inappuntabile, era spiegazzato, il colletto della camicia slacciato e la cravatta gettata da qualche parte la scorsa notte. Il capo della sicurezza era appena rientrato da un viaggio per controllare la posizione degli ultimi agenti identificati dai nastri della sorveglianza, uno dei quali era andato in vacanza in una sperduta isola al largo della costa inglese. Tutti erano stati rintracciati ed identificati come umani.

Dopo tutto il lavoro fatto per individuare i potenziali sospettati e gli interminabili voli in elicottero lungo tutto il paese del giorno precedente per dare una mano nel rintracciare una squadra andata in licenza, Jason aveva gli occhi infossati ed arrossati. Non che si stupisse della stanchezza che provava, visto che negli ultimi quattro giorni aveva dormito poco più di dieci ore, la maggior parte delle quali passate su uno scomodo sedile di una elicottero da combattimento. Aveva voglia di sfregarsi gli occhi anche adesso, di fronte a Miller, per far sparire il bruciore e sentirsi appena più sveglio. Ancora poco e sarebbe crollato, presto avrebbe dovuto ritagliarsi almeno otto ore di sonno per rimanere passabilmente lucido.

-Ancora nessuno signore, ma ho limitato i sospetti.

-Hai limitato i sospetti? –Urlò Miller, incapace di trattenere la sua impazienza e trovando sfogo sul capo degli operativi. Il primo osservatore sbatté le mani sul piano della scrivania ingombro di fogli, facendone volare dappertutto. –E  cosa me ne faccio del fatto che hai limitato i sospetti? A me non interessa che ci siano due o tremila sospetti. Io voglio un colpevole. Chiaro?

-Chiaro signore. Lo avrà signore.

L’impronta militare nel tono di Jason era evidente, inconsciamente aveva anche raddrizzato la schiena e le spalle assumendo la posizione di attenti. Sembrava che gli anni passati nell’esercito non fossero poi dimenticati.

-Meglio per te. –Sibilò Miller praticamente ad un millimetro dalla faccia di Jason. –Perché altrimenti sarà la tua di testa che presenterò alla Riunione Plenaria del Concilio di giovedì. Hai ancora ventiquattro ore Jason. Poi sarà troppo tardi.

-Mi basteranno signore.

Senza salutare Miller uscì dall’ufficio, sbattendo di nuovo la porta. Jason si rilassò solo quando i suoi passi pesanti si persero in lontananza.

“Mi dovranno bastare”.

Jason sperava che le banche gli consegnassero i risultati delle ricerche in tempo. Ovviamente il week-end aveva arrestato le ricerche, gli uffici bancari non sarebbero rimasti aperti certo per lui, ed oggi era il primo giorno lavorativo utile per completare il lavoro di controllo che aveva avviato dopo il colloquio con Marlin.

Quella finanziaria era la sua unica traccia ormai, la sua ultima speranza, ora che tutte le altre piste si erano rivelate essere vicoli ciechi. Chiunque fosse entrato non era stato registrato dalle telecamere di sorveglianza, avallando la teoria che si trattasse di un esterno con complici negli operativi o nelle squadre di tecnici.

Se dai tabulati dei conti correnti fossero risultati depositi o movimenti di denaro sospetti, Jason avrebbe trovato il suo colpevole.

Od un adatto capro espiatorio.

 

 

 

 

Sunnydale. Lunedì 17.

 

 

 

 

 

 

 

Psicologia era noiosa. Molto noiosa. Chissà perché l’aveva scelta poi. Non avrebbe dovuto dare retta a Willow. Buffy si sfregò gli occhi con una mano, e rilesse per la terza volta lo stesso paragrafo. Decisamente non era concentrata sul libro.

Aveva troppi altri pensieri per la testa. Quello che era successo al Magic Box, quel terribile, evitabile, litigio con Willow e Xander, la notizia di Spike libero, quanto era accaduto con Faith dopo, al bar.

Le conseguenze di quella discussione, alle quali veramente non voleva pensare, anche se la sua mente non faceva che tornarci sopra.

Quanto successo al Magic Box era serio, molto più di quanto non volesse ammettere. Erano passati anni dall’ultimo litigio di questa portata. Quando aveva nascosto a tutti del ritorno di Angel. C’erano stati altri screzi poi, ma nulla di particolarmente serio.

Almeno questa volta Giles era con lei.

Che fosse una lite fuori dal comune, che i suoi amici fossero davvero arrabbiati con lei, era dolorosamente ovvio dal fatto che dopo tre giorni le cose non erano tornate nemmeno ad assomigliare lontanamente alla normalità. Generalmente dopo qualche ora, un giorno al massimo, Willow si calmava e tornava a parlarle. All’inizio ci sarebbe stato dell’imbarazzo, scomodi silenzi, ma non sarebbe durato per molto.

Invece questa volta niente. Neanche una parola sull’accaduto.

La sua migliore amica la stava ostentatamente evitando, rifiutando di parlarle o quasi.

Incredibilmente con Xander le cose andavano meglio, anche se generalmente era il più ostinato dei due nel portare rancore. Avevano parlato ieri e sebbene il ragazzo fosse stato piuttosto freddo al telefono aveva detto che fintantoché Faith fosse rimasta sufficientemente lontano da lui (abbastanza perché potesse fingere che non fosse affatto in città) la cosa non lo infastidiva più di tanto. Buffy gli aveva garantito immediatamente che l’altra cacciatrice si sarebbe tenuta rigorosamente lontana da lui.

Si erano lasciati così.

Con Willow invece le cose erano ben diverse.

Quella che avevano avuto l’altro giorno era stata una lunga e drenante discussione, Will le aveva urlato contro le sue accuse, dicendole quanto si sentisse ferita nello scoprire che ancora una volta Buffy aveva tradito la sua fiducia. Aveva accusato la cacciatrice di non tenere alla loro amicizia quanto tenesse lei, si starla semplicemente usando.

Buffy non aveva ascoltato in silenzio, niente affatto. Aveva ribattuto dicendo di aver avuto le proprie ragione, che non aveva nascosto niente di importante, niente di pericoloso od altro, di averlo fatto per loro, per risparmiargli di doversi preoccupare anche per Faith, perchè sapeva come avrebbero reagito alla novità.

Ma Willow non ci aveva creduto, non del tutto.

Era diventata silenziosa dopo un po’.

Ed aveva lasciato il Magic box assieme a Tara, tornato solo da qualche momento.

Erano passati tre giorni e l’aria tra loro era ancora molto tesa. La bionda si muoveva con cautela sapendo che sarebbe bastato un minimo accenno per far scattare di nuovo la rossa. L’unica cosa positiva in tutto questo era che almeno Tara non aveva preso posizione contro di lei. Per ora si evitavano, o meglio Willow la evitava, parlandole solo se doveva. La ragazza aveva passato la maggior parte del tempo lontana da lei, con la fidanzata.

Bussarono alla porta. Buffy si alzò per andare ad aprire, felice di avere una scusa per smettere di rileggere la stessa pagina da circa mezz’ora. Era un corriere.

-Summers?

-Si, sono io.

Rispose appoggiandosi allo stipite della porta, un po’ sorpresa dalla cosa.

-C’è un pacchetto per lei. -Le porse l’involucro ed una cartellina con penna. –metta una firma per cortesia.

La cacciatrice salutò e richiuse la porta, fissando l’oggetto che teneva in mano mentre tornava a sedersi.

Guardò il pacco che aveva ancora in mano, riconobbe l’indirizzo, era l’agenzia investigativa, la sede in Inghilterra per essere esatti, girata al suo indirizzo da quella a L.A. Doveva contenere gli ultimi risultati della ricerca che aveva commissionato.

La ricerca della propria famiglia di origine stava cominciando a costarle cara. Da tempo il conto aveva superato i seimila dollari, oramai si avvicinava molto ai diecimila. Fortunatamente il nuovo accordo con il Concilio le permetteva di pagare quelle cifre. Era stata una buona mossa quella di accettare di tornare a lavorare per loro.

Doveva ammettere che essere economicamente indipendente le piaceva. Soprattutto ora che non parlava più da tempo con Joyce. Come del resto le piacevano tutti i nuovi vestiti che si era comprata. Adorava il suo ultimo cappotto di pelle color beige con tanto di frange stile western.

Posò il pacco sul letto davanti a sé e rimase a fissarlo per qualche secondo, mentre ci faceva scorrere le dita sopra, pensierosa. Strappò la carta gialla e poi il cartoncino fino a scoprire un fascicolo di fogli. Li estrasse con cura mentre si accomodava a gambe incrociate, intenta a mordicchiarsi nervosamente un labbro.

Dieci pagine lette in meno di cinque minuti. Il tutto per comunicarle essenzialmente tre cose. L’indirizzo dove abitava sua sorella, a Manchester, il posto dove sua madre aveva lavorato, la “Weston Laboratories” , nella stessa città, ed il saldo finale, di cui duemila dollari ancora da pagare.

Buffy rimase a riflettere a lungo sul letto, non sapeva come sentirsi. Era difficile accettare il fatto che la sorella scomparsa nel nulla quasi venti anni prima, la tua unica sorella, era viva e vegeta, abitava in Inghilterra allevata da zii materni, e a quanto pareva non sapeva nulla di te.

Forse la sua famiglia non aveva mai voluto saperne niente di lei. No, doveva esserci stato un maledetto errore nella burocrazia, che l’aveva tolta ai suoi parenti. Forse sarebbe dovuta tornare a Chigaco per pestare a sangue quell’idiota di Green e rintracciare chiunque si fosse occupato della sua adozione per fare lo stesso. Le avevano tolto la sua famiglia.

“Maledetti infami.”

Buffy aveva voglia di piangere, sentiva le lacrime bruciarle gli occhi, ma le ricacciò indietro con uno sforzo, deglutendo convulsamente. Voleva parlare con qualcuno. Prese il telefono e chiamò la stanza di Tara. Era praticamente certa che Willow si trovasse lì, a quest’ora le lezioni erano tutte finite. Squillò alcune volte prima che qualcuno alzasse il ricevitore.

-Pronto?

Tara era leggermente infastidita dal fatto che aveva dovuto rilasciare Willow dall’abbraccio in cui la teneva per rispondere e non cercò di nasconderlo a chiunque fosse dall’altra parte. Stava parlando alla sua ragazza, cercando confortarla e rassicurarla meglio che poteva, sapendo perfettamente che quanto era accaduto al Magic Box la settimana scorsa la turbava ancora. La rossa si trascinava in giro da giorni, completamente infelice. Che lei e Buffy non avessero ancora fatto pace era tremendamente chiaro, esattamente quanto il fatto che Willow si sentisse tradita, e a ragione, dal comportamento dell’amica. Essere interrotta non piaceva affatto a Tara, soprattutto visto che era la cacciatrice a chiamare.

-C’è Willow?

-Si. Un attimo. –“Ciao anche a te, comunque.” Tara porse la cornetta alla rossa mentre le confermava che si trattava di Buffy con un cenno della testa.

-Cosa c’è?

La voce era un misto tra l’arrabbiato ed il ferito. Willow non sapeva se aveva veramente voglia di sentire la sua supposta amica o meno. Si sentiva tradita dal suo comportamento, veramente tradita. Per una volta perdonarla non le veniva affatto facilmente.

-Puoi venire in camera? Ti vorrei parlare.

Willow rimase indecisa per un istante, alla fine la voce evidentemente tesa di Buffy la convinse che era importante. Raramente la cacciatrice suonava nervosa. Si doveva trattare di qualcosa di grosso. Sarebbe stato meglio non ignorarlo. Guardò Tara che si limitò a sorriderle appena, dandole il suo tacito appoggio qualsiasi fosse la sua decisione

-Dammi qualche minuto.

Cinque minuti dopo la rossa aprì la porta della camera che condivideva con la cacciatrice. Si sentiva vagamente preoccupata ed un po’ arrabbiata, la voce di Buffy era suonata veramente strana al telefono, e lei non capiva per quale motivo l’avesse convocata in camera. Forse voleva finalmente discutere civilmente su quello che era successo e farle le proprie scuse. La trovò sul letto, gli occhi rossi e gonfi, dei fogli sparsi attorno. Era evidente che avesse pianto, e lo avesse fatto da poco. La rabbia di willow sparì istantaneamente rimpiazzata dalla preoccupazione.

-Che è successo? Stanno tutti bene?

Trovare una persona con occhi rossi e gonfi a Sunnydale generalmente significava una cosa sola. Che qualcuno non ce l’aveva fatta.

-Mia sorella. Hanno trovato mia sorella.

Willow si avvicinò all’amica per abbracciarla, ancora incerta se quelle fossero lacrime di gioia o no, sollevata dal fatto che sia Xander che Giles stessero ancora bene. Era perplessa però, aveva visto raramente Buffy più sconvolta di così. qualcosa del genere era accaduta solo dopo l’improvvisa partenza di Angel. Dopo qualche secondo, appena si accorse che la bionda si era calmata leggermente, la rilasciò. Con un sorriso gentile sulle labbra Willow le chiese come stesse la sorella mentre la cacciatrice tentava di ricomporsi un po’, sistemandosi con le mani i capelli scompigliati.

-E’ inglese, ma sta bene.

Risero qualche secondo alla flebile battuta. Buffy si sporse per abbracciare di nuovo Willow, cercando ancora sostegno.

-Sei l’unica di cui mi fidi Will. Nessun altro sa niente di questa storia.

La rossa sorrise di piacere all’affermazione.

Lei era importante per Buffy.

 

 

 

 

Faith sentì il discreto bip che segnalava l’arrivo dell’ascensore al piano e poi il rumore di passi familiari nel corridoio fermarsi davanti al suo ingresso. Senza alzare gli occhi dal bancone della cucina alzò la voce per farsi sentire dalla propria ospite.

-Entra pure è aperto.

Tara entrò nell’appartamento chiudendosi la porta alle spalle, facendo scattare la serratura e reinserendo l’allarme che la cacciatrice aveva disattivato quando aveva risposto al videocitofono. Si tolse la giacca posandola ordinatamente sul divano, a fianco di quella praticamente ammonticchiata di Faith. Degnò appena di uno sguardo lo spolverino in pelle buttato alla rinfusa, abituata ormai alla cosa, lasciandolo così come l’aveva trovata.

Ricordava come Faith le avesse cortesemente spiegato che lasciava apposta il proprio giacchetto in disordine, per una specie di tradizione, quando la bionda si era offerta di sistemarglielo tempo prima. Lasciando stare le giacche, Tara proseguì verso il bancone della cucina dove la cacciatrice era impegnata nella preparazione della loro cena, andandosi a sedere su uno degli sgabelli del piano bar.

-Serve una mano?

Si offrì cortesemente.

-No, non ti preoccupare me la posso cavare da sola. –Replicò Faith senza fermare i preparativi. –Nel frigo c’è del succo alla mela, versatene pure un bicchiere e mettiti comoda, per la cena ci vorrà ancora qualche minuto.

Tara prese quello che cercava dalla dispensa e andò a versarsi da bere prima di accomodarsi di nuovo sullo sgabello. Osservò la cacciatrice muoversi indaffarata lungo il piano della cucina per qualche secondo mentre cercava di capire cosa stesse preparando. Non riuscendo si arrese e lo chiese.

-Ha un buon odore. –Ed era vero. –Cosa prepari?

Scoprire qualche mese prima che Faith era un’abile cuoca era stata una sorpresa.

Una piacevole sorpresa a dire la verità. Di certo la bruna non dava l’aria di una persona che potesse avere alcun interesse in cucina.

Infatti, sebbene tutti sapessero quanto a suo agio la cacciatrice fosse con un coltello in mano, ben pochi avevano mai immaginato che quell’abilità venisse usata regolarmente in maniera perfettamente domestica, come quando sminuzzava le verdure che le servivano per un qualche piatto. Tara doveva ammettere che vederla tagliare i vari ortaggi aveva un qualcosa di straordinario. Il movimento di un coltello nelle sue mani sembrava poesia.

Quella prima volta Faith le aveva chiesto il motivo dell’aria sorpresa alla notizia che sapesse davvero cucinare qualcosa di più che prefritti e surgelati. Tara aveva ammesso che prima di vederla preparare una cena aveva creduto che la cacciatrice fosse si in grado di cucinarsi da sola, magari anche abbastanza bene da sopravvivere per lunghi periodi di tempo senza soffrire troppo, ma che non le piacesse particolarmente farlo. Faith aveva scrollato le spalle senza dire nulla, probabilmente abituata alla reazione

La bionda aveva ammesso di essersi completamente sbagliata una volta assaggiata la cena. Era stupenda ed aveva passato buona parte del resto della serata a fare complimenti a Faith. La cacciatrice le aveva detto che, lontano dall’essere una cuoca eccellente, come Tara insisteva a chiamarla, era semplicemente una appassionata di carni che aveva imparato a cucinarle nelle più svariate maniere. Tara non era del tutto d’accordo con quel giudizio.

A dirla tutta anche Faith era rimasta colpita dal fatto che la bionda fosse una tale degustatrice di carni, inconsciamente l’aveva classificata come una vegetariana, o quantomeno qualcuno a cui il cibo fosse abbastanza indifferente. Aveva dovuto ricredersi nel vederla mangiare. E a giudicare dall’espressione divertita che Tara aveva quando aveva alzato gli occhi dal proprio piatto, vuoto meno di cinque minuti dopo essere stato servito, la bionda aveva seguito perfettamente i pensieri di Faith. “Non è mica colpa mia se tutti credono che una strega gay che si veste con gonne e maglioni dai colori naturali debba per forza essere vegetariana. Chi sono io per correggerli.” Le aveva detto quella sera.

-Per stasera filetto strogonoff.

-Dall’odore promette bene.

La bionda esagerò il tentativo di annusare l’aria. A dire la verità, lo stomaco di Tara stava cominciando a protestare davvero a causa dell’appetito creato dal profumo invitante. Faith si girò un po’ sconvolta verso di lei.

-Vuoi dire che non lo hai mai assaggiato prima? E’ un peccato mortale non averlo fatto!

Tara scrollò le spalle.

-No, mai. Mia madre non ha mai apprezzato la carne e dopo l’unica che si interessava un po’ della cucina era io.

La cacciatrice annuì tornando alla preparazione, rimanendo in silenzio per qualche secondo.

-E considerando il gusto che hanno le tue lasagne poteva capitare di peggio.

-Non sono nata imparata Faith.

Sottolineò scherzando solo a metà Tara. La cacciatrice si accorse facilmente del sottotono tormentato nelle parole della bionda. La strega le aveva raccontato un po’ del suo passato, di come erano diventate le cose in famiglia dopo che la madre era morta, e Faith sapeva perfettamente che si stava riferendo a qualcosa che era successa dopo la scomparsa.

Inoltre per quanto il riferimento fosse appena accennato la bruna sapeva che per mettersi a ricordare il passato più o meno consciamente, Tara doveva essere veramente preoccupata per qualcosa. Entrambe evitavano accuratamente di parlare del proprio passato.

Più esattamente evitavano proprio di parlare di loro stesse in genere, nello specifico di qualsiasi evento traumatico od emotivamente importante.

Era una cosa sana da fare? No, probabilmente no, lo sapevano bene entrambe. Ma era il loro modo di gestire i problemi, gli ingombranti e spiacevoli passati, e per quanto non fosse il migliore, per quanto fosse anni luce dall’essere il metodo migliore, funzionava abbastanza perché loro sopravvivessero ed andassero avanti.

E per loro era sufficiente.

Le uniche cose capaci di farle parlare erano l’estrema stanchezza o la preoccupazione.

Decise di lasciar perdere per il momento e di proseguire lo scherzo per risollevare il morale dell’amica. Ne aveva bisogno. Per le discussioni serie ci sarebbe stato tempo dopo.

-Davvero? avrei potuto giurare il contrario, sai? –Si voltò di nuovo per seguire la carne sul fuoco. Odiava quando per un momento di distrazione il lavoro di ore andava bruciato. Cosa che all’inizio le capitava decisamente spesso. -…neanche io sono nata imparata Tara, ma tra te e la cucina c’è feeling, e si vede. Io mi limito a eseguire ricette già fatte e dopo un po’ mi vengono bene. –Scrollò le spalle. –Nulla di speciale. Tu sperimenti, sei istintiva.

Faith spense i fornelli e servì la carne con il contorno, sistemando sul tavolo anche due bottiglie di birra prima di mettersi seduta. La cacciatrice aspettò curiosa di vedere le reazioni di Tara alla prima forchettata, mentre apriva le bottiglie.

-Eccezionale.

Fu l’unica cosa che disse la bionda. Soddisfatta dalla reazione che il suo piatto aveva avuto, anche Faith cominciò a mangiare con gusto. Non parlarono mentre finivano le loro porzioni, concentrandosi sulla carne. Tara aveva saltato il pranzo a causa dell’orario delle sue lezioni e Faith... beh, Faith aveva sempre fame, o più precisamente mangiava sempre con la stessa voracità.

-Mi devi insegnare la ricetta.

Decretò alla fine Tara mentre si allungava per servirsi una seconda porzione facendo il piatto anche per Faith che aveva allungato il suo verso la pentola. Mentre mangiavano il bis parlarono un po’.

-Nessun problema, è anche abbastanza facile, me l’ha data Liz, quindi ne garantisco l’originalità.

Le assicurò Faith sorridendo.

-E’ stata lei ad insegnarti a cucinare?

Chiese Tara, curiosa.

-Mi ha dato alcune ricette. I rudimenti me li ha insegnati Catherine, lei è stata la prima a investire un po’ di tempo su di me. Ha coperto tutte le basi, e in capo a qualche mese ne sapevo abbastanza da non morire più di fame in caso me la fossi dovuta cavare da sola.

Faith sapeva perfettamente che insegnarle a sopravvivere contando solo su se stessa era esattamente quello che la sua osservatrice aveva cercato di trasmetterle. E la cacciatrice doveva ammettere che aveva fatto un ottimo lavoro, soprattutto considerando il poco tempo che aveva avuto a disposizione. Fosse stata un altro tipo di persona Faith si sarebbe fermata a chiedersi almeno una volta cosa altro le avrebbe insegnato o cosa sarebbe accaduto se Catherine non fosse stata uccisa. Invece si era sempre concentrata sul qui ed ora. Considerava inutile ribellarsi contro qualcosa che non si poteva cambiare.

–Mi sembra ieri la prima volta che ha tentato di insegnarmelo. –Continuò Faith. –Era appena dopo un allenamento ma invece di chiedermi di apparecchiare la tavola come al solito mi disse di aiutarla a preparare il pranzo. Penso seriamente di averle ringhiato contro al suggerimento. Ero dannatamente convinta che cucinare non fosse una delle cose che una “dura” facesse. Come al solito lei non ha mollato, insistendo con gentilezza fino a quando non ho ceduto. –Faith rise al ricordo e notò il sorriso di rimando da parte di Tara. Ultimamente la strega aveva notato che la cacciatrice raccontava più spesso di Catherine. Un buon segno supponeva. –A te invece lo ha insegnato tua madre?

-Si, è stata lei. Fin da quando ero piccola sono sempre stata con lei in cucina. Quando sono diventata grande abbastanza ha cominciato ad insegnarmi a fare qualcosa. Poi ho continuato ad imparare da sola. –Ci fu un attimo di pausa. –Sperimentando, per dirlo a parole tue.

Tara incrociò inconsciamente le braccia al ricordo. Non le piaceva ripensare a quanto era successo anni prima e raramente ricadeva più nelle memorie di quel periodo. Generalmente le immagini rimanevano al loro posto e la lasciavano stare, visto che aveva fatto più o meno pace con il suo passato. No, non lo aveva superato completamente, ma ci stava lavorando. Solo qualche volta, quando era sotto stress per esempio o si sentiva particolarmente vulnerabile tornavano a galla. Come questa sera.

-Tuo padre non sopportava il minimo errore, vero?

Tara aveva raccontato qualcosa della sua adolescenza e della sua infanzia a Faith quando aveva cominciato a sentirsi completamente a suo agio in presenza della bruna. Non era mai scesa nei particolari semplicemente perché non era nel suo stile, ma per Faith non era stato particolarmente difficile comprendere la situazione generale. La situazione aveva semplicemente messo assieme i pezzi, le proprie esperienze fornendole il materiale necessario per riempirei vuoti.

-No, non lo sopportava. Bastava niente per farlo scattare, ma raramente alzava le mani. Si accontentava di prendere la sua soddisfazione da quella che chiamano violenza psicologica. Urlava, quello si, e molto.

Fece un momento di pausa e chiese con un gesto a Faith di riempirle il bicchiere di birra. Stranamente beveva alcolici e mangiava carne quasi esclusivamente quando stava con Faith. Forse lo faceva semplicemente perché la bruna non la guardava stupita ogni volta che faceva un sorso o prendeva un boccone. Dopo un po’ la cosa poteva diventare veramente seccante.

–Dopo la morte di mia madre lui era diventato la mia unica figura di riferimento. Divenne sempre più freddo e distante. Non era mia stato particolarmente espansivo o aperto, sia chiaro… un giorno mi disse anche perché, insomma me lo urlò contro. Lui e mia madre si erano sposati non per amore ma perché lei era rimasta in cinta. –Un sorriso amaro. –Di me. Sarebbe stato uno scandalo a quei tempi. –Scrollò le spalle. –ma con il tempo divenne sempre più gelido nei miei confronti. Ma per quanto freddo e distante volevo la sua approvazione, ne avevo bisogno, ma quello che facevo non era mai buono abbastanza. Volevo il suo affetto, e lo volevo veramente, ma non lo ottenevo mai, quanto facevo non era mai giusto. –Sorrise triste. –Veramente era già raro che non fosse sbagliato.

Faith si stava passando la bottiglia semipiena di birra da una mano all’altra, concentrata sul movimento.

-Non un grande genitore eh?

Disse quasi in soprappensiero.

-No, non particolarmente. –Confermò Tara. –Ma neanche il peggiore. Giusto difficile da avere durante l’adolescenza, quando uno si sente già non abbastanza inadeguato da solo senza avere tuo padre a minare la tua autostima. Una volta, una delle tante, ero appena tornata da scuola sorridendo. Ricordo quel particolare perchè sorridevo raramente allora, semplicemente perché non avevo molto per cui sorridere. Era passato quasi un anno e non avevo ancora superato il lutto per mia madre, mi sentivo sola. Tra l’altro appena dopo la sua morte, mio padre mi obbligò a cambiare scuola in pieno anno scolastico. Per il mio bene disse. –Tara scrollò le spalle. –Quando mi vide rientrare sorridendo mi chiese cosa potesse mai far sorridere un’idiota come me. Gli porsi il tema di letteratura sul quale avevo lavorato per un intero mese e che mi aveva fatto vincere una borsa di studio. Non siamo mai stati ricchi e quei soldi ci avrebbero fatto comodo.

-Quindi sei venuta qui all’università già con una borsa di studio vinta alla superiori?

Si intromise Faith in una pausa del racconto. La cacciatrice sapeva che ora, al terzo anno, Tara aveva una borsa di studio completa, e per conservarla spesso la bionda era indaffarata a studiare, le serviva una media decisamente alta per mantenere la sovvenzione. Faith aveva visto i voti che aveva. Erano impressionanti. Strano che tutti considerassero Willow l’unica geniale della coppia. Se non si considerava il fatto che probabilmente nessuno sapesse quale media avesse Tara.

-Si, è per questo che sono qui a Sunnydale. E’ stato l’unico campus ad offrimi una borsa di studio completa per l’intero ciclo di studio se avessi rispettato precisi standard. Quando ricevetti l’offerta sapevo di avere il biglietto per andarmene di casa.

-E con il tuo lavoro part-time alla biblioteca di lettere dell’università paghi il resto delle spese. –Aggiunse Faith. La bionda si occupava della collocazione dei libri, di controllare lo stato delle collezioni e qualche volta di aiutare i restauratori a sistemare quelli danneggiati. La cacciatrice andava speso trovarla portando caffé e dolci per una pausa di qualche minuto. In biblioteca ormai la conoscevano praticamente tutti.

-Esatto. –Confermò Tara prima di continuare la storia. –Quel giorno tornai a casa felice di essermi classificata terza ed aver vinto il denaro, ma durò poco. Dopo aver letto velocemente il tema mio padre lo gettò da un lato e chiese con sufficienza “tutto qui?”. Penso sia stato in quel momento che il mio sorriso scomparse, ma non ne sono sicura. Gli dissi del terzo posto, lui mi chiese cosa avesse vinto il primo. Risposi che aveva vinto una borsa di studio completa per l’anno in corso e lui mi rimproverò aspramente di non essere arrivata prima. Mi mise in punizione per una settimana.

 -Un completo stronzo. –Tara sorrise ancora, quello era il commento standard da parte di Faith alle storie delle sua adolescenza. –Ed il resto della famiglia volatilizzata. Rivoltante.

-Precisamente. La cosa peggiore è sempre stato il mio essere empatica. Un conto è sapere che tuo padre non ti vuole bene. Un altro è sentirlo. In alcuni giorni sono arrivata ad odiare il mio dono. Ho anche tentato di spegnerlo, di ignorarlo, ma senza alcun successo. –Tara aveva un’espressione lontana carica di tristezza e rimpianto. Il suo detestare le proprie capacità era sempre stato quello che l’aveva fatta più soffrire. –Potevo sentire il suo disprezzo o la sua completa indifferenza nei mie confronti, non soltanto capirli, ma sentirli, provarli. Era orribile.

Rimasero in silenzio per qualche istante. Faith non riusciva ad immaginare cosa potesse essere, ma dubitava che chiunque non fosse empatico potesse. Si risparmiò il banale e falso “ti capisco”.

-Lo sai vero che se mai avrai voglia di andarci a fare un discorsetto sarei felice di accompagnarti. Vero? Dannazione, potrei passare a portare i tuoi saluti se vuoi.

Faith aveva uno sguardo decisamente serio sotto a quello scherzoso, mentre parlava.

-No, lascia stare non è più importante.

Forse un giorno avrebbe accettato la proposta della cacciatrice, a volte Tara ci pensava. Non era fiera di pensare alla vendetta, ma a volte l’idea sembrava decisamente attraente, soprattutto quando si sentiva un’incapace nei confronti degli altri. In quei momenti lo odiava.

-Come vuoi. Ma la mia offerta rimane valida.

La bionda annuì.

-Ok. Me ne ricorderò.

Faith notò che anche Tara aveva finito la propria birra ed aveva poggiato la bottiglia vuota sul tavolo. La cena poteva essere dichiarata conclusa, perciò la cacciatrice si alzò e cominciò a raccogliere i piatti.

-Dai, fammi sistemare la cucina, poi ce ne possiamo andare in terrazzo, è una splendida serata.

Anche Tara si alzò, qualche parte della sua mente ancora intenta a riflettere su quanto era successo anni prima e su quanto avrebbe dovuto o potuto fare ora.

-Vuoi una mano?

Era una domanda pro-forma. Faith non le faceva mai fare niente quando era sua ospite. Non accadeva spessissimo a causa dei loro impegni, ma su quel punto la bruna era inflessibile. Infatti la cacciatrice sollevò un sopracciglio, dicendole di andare a scegliere un cd che le piacesse piuttosto.

Cinque minuti dopo erano sedute sulle poltrone della terrazza con in mano del caffé appena fatto e gli sguardi su Sunnydale. Tara doveva ammettere che dall’attico si godeva di un’ottima vista. La cittadina sembrava addirittura carina da lassù, quasi bella di notte, con tutte le luci accese.

-Willow dove si trova?

Chiese Faith dopo qualche secondo di silenzio.

-Mi ha chiamato poco prima che uscissi. Passerà la serata con Buffy, sembra che il programma sia cena ed un lungo discorso, con tanto di scuse e spiegazioni.

La cacciatrice annuì mentre si sistemava meglio sulla sdraio per godersi meglio la vista delle stelle, particolarmente luminose questa sera.

-Come sono stati gli ultimi giorni?

Faith sospettava che la reazione di Willow a quanto era accaduto al Magic Box fosse ciò che preoccupava così tanto Tara. Ci volle un attimo prima di ottenere una risposta.

-Pesanti a dire la verità. Willow non è stata per nulla bene. Sempre triste e così sfiduciata verso il mondo. Lo sai com’è Will… –Faith annuì, lasciando però proseguire senza interruzioni Tara. –Sempre vitale, qualche volta penso che sia addirittura iperattiva. Invece in questi giorni la parola apatica la descriveva molto meglio.

Tara fece silenzio, tornando a sorseggiare il proprio caffè.

-Sai come divento sono seccata da qualcosa. Il fatto che B continuasse a nascondere la mia presenza qui e le minacce di Spike cominciavano ad irritarmi davvero… e qualcuno deve far vedere un po’ di ragione a B di tanto in tanto …e mi offro sempre volentieri per l’incarico. –Faith abbozzò un sorriso metà tra l’apologetico ed il divertito. –…e se consideri che a volte non penso alle conseguenze… Dannazione, più spesso che di tanto in tanto…

-Lascia stare, non è colpa tua o di nessun altro, è colpa di Buffy. –Tara fece un attimo di pausa per trovare le parole, era un po’ che ragionava sul problema. –Non è più la stessa. E’ scostante, un momento non le interessa nulla poi improvvisamente si concentra con accanimento su una cosa. Sembra quasi che sia ossessionata da qualcosa e che il suo umore cambi a seconda dei risultati che ha. –Fece un altro attimo di silenzio. –Non mi piace. Buffy ha una grande influenza su Willow e se finora era una presenza positiva, ultimamente mi sto cominciando a chiedere se per caso non ne stia diventando una destabilizzante.

Faith doveva ammettere che Tara aveva ragione. L’altra cacciatrice era cambiata e non sapere il perché non le piaceva. Ci aveva ragionato un po’ su, ma non era riuscita  trovare alcun motivo soddisfacente se non quello di un esteso lutto per Riley, con conseguente depressione. Ma non aveva senso. Buffy non reagiva in quel modo.

-Mi sono accorta anche io che B ha un po’ di sbalzi di umore ultimamente. –“Questo è metterla educatamente. Con l’assurdità del suo comportamento fa decisamente impallidire le reazioni di una donna incinta con degli sconvolgimenti ormonali.” -Quanto pensi che sia grave la cosa?

-Non ti saprei neanche dire. Il rapporto tra Willow e Buffy sta diventando sempre più esclusivo. Ormai non parlano quasi più ad altri, non di cose importanti. E la cosa non mi piace, non voglio che Will si ritrovi isolata. –Tara sorseggiò il caffé concentrata nel vedere cosa stesse accadendo in una finestra qualche palazzo più in là. A giudicare dalla gestualità esagerata della coppia sembrava che fosse scoppiato un litigio con i fiocchi. –Da come si comportano non mi stupirei affatto di scoprire che hanno un segreto.

Faith si stava incuriosendo, non aveva pensato alla possibilità. Buffy non era mai stata granchè a tenere i segreti.

-Cosa intendi?

-C’è stata una crisi nei loro rapporti appena dopo la morte di Riley. Willow me ne ha parlato un po’, credeva fosse la reazione di Buffy al lutto. Ma la cosa è proseguita, con Buffy che evitava sempre più gli altri, non si confidava più con lei. –Si era proprio una lite. Tara poteva giurare di aver visto un vaso volare da una parte all’altra della stanza. Chissà quale sarebbe stato il prossimo pezzo di arredo a schiantarsi sul muro. –Willow l’aveva presa molto male. Ha pianto spesso perché la sua migliore amica non le rivolgeva praticamente più la parola. Non è stato un bel periodo. Sapeva che Buffy aveva un problema e che non si voleva confidare con lei.

-Un problema?

Anche Faith aveva notato la scena che si stava svolgendo nell’appartamento. Sorrise divertita quando il ragazzo schivò in successione due cuscini ed un altro oggetto che non riuscì ad identificare. Valutò da come si frantumò contro il muro che doveva trattarsi di porcellana. Era un esperta di crash test.

-Si. Willow ha passato settimane cercando di scoprirlo, cercando di essere sempre presente per Buffy, se per qualsiasi motivo avesse avuto bisogno di un’amica con cui confidarsi.

Tara ricordava come la fidanzata avesse passato buona parte del suo tempo a dividersi fra la disperazione sulla mancanza di confidenze e l’ostentazione di un supporto totale nei confronti dell’amica. Non era stato facile da vedere.

-E poi?

Sembrava che gli oggetti da lanciare fossero finiti, era qualche secondo che non veniva lanciato alcun proiettile. Entrambi i protagonisti si erano ritirati in qualche altra parte della casa rendendosi invisibili, a continuare a litigare od a fare pace. Faith girò lo sguardo verso Tara.

-Tutto è tornato come prima. Willow si è tranquillizzata, non era più insicura dell’amicizia di Buffy.

La trasformazione era avvenuta da un giorno all’altro. La mattina a colazione la rossa le aveva nuovamente confidato come si sentisse esclusa da Buffy, di come avesse paura che la cacciatrice scappasse di nuovo lasciandola (si era corretta dopo un attimo dicendo “lasciandoci”), poi, quella sera stessa, era tornata con un sorriso sulle labbra. Da allora non aveva più accennato al problema.

-Quindi secondo te Buffy le ha confidato un segreto?

Tara rispose dopo un secondo di pausa, aveva dedicato un po’ di tempo a pensare al perché della trasformazione, arrivando a quell’unica conclusione.

-Si, Buffy deve averle confidato un qualche segreto.

Faith si sporse verso di lei, incuriosita. Sapere di cosa si trattasse poteva tornarle utile.

-Willow ti ha detto di cosa si trattava? O che comunque conosceva un segreto?

-No. –Tara rise. –Non tradirebbe mai la fiducia di qualcuno. Non so dirtelo, è un atteggiamento che assume quando nasconde qualcosa. Il fatto stesso che non ne parli è sintomo che stia nascondendo qualcosa. Willow racconta sempre tutto, le piace farlo. Da un giorno all’altro non ha più fatto alcun accenno alla situazione spinosa fra lei e Buffy, né mi ha mai raccontato come si sono riavvicinate. E’ successo e basta.

Scrollò le spalle.

-Quindi la mia comparsa al Magic Box ha creato un nuovo distacco fra loro?

Il che spiegava la reazione esagerata che Willow aveva avuto. Una rottura del genere non c’era stata neanche in occasione del ritorno di Angel.

-Esatto. –Tara annuì. -Willow deve aver creduto che Buffy avesse riposto completa fiducia in lei. Dopo tutti i dubbi che aveva avuto sull’importanza della loro amicizia, qualsiasi cosa le abbia detto doveva averle dimostrato la completa fiducia che Buffy riponeva in lei. Scoprire che comunque Buffy le aveva mentito per tutto il tempo è stato un colpo durissimo... Ma sembra che improvvisamente questa notte sia stato aggiustato di nuovo tutto.

-Un brindisi all’amicizia sincera.

La battuta non era totalmente seria, né del tutto sarcastica. Faith alzò leggermente la propria tazza, imitata da Tara, fingendo un augurio, prima di finirsi il caffé con un paio di sorsate veloci. Poi fu il turno della cacciatrice di lasciarsi andare un attimo alla malinconia.

-Sai? Qualche volta ti invidio Tara. Almeno hai qualcuno di cui preoccuparti.

La bionda rise a fior di labbra e decise che era ora di cambiare il tono serio della conversazione con uno più leggero.

-Solo qualche volta Faith? Ammettilo che vuoi anche tu una ragazza come la mia…

La cacciatrice la fissò con una caricatura di sguardo cattivo che fece scoppiare a ridere Tara.

-Dannazione mi hai scoperta. –fece una pausa drammatica. Avevano bisogno di sollevare l’umore della conversazione. La cosa era già diventata troppo seria per i gusti di Faith. –Immagino che ti dovrò uccidere ora.

Tara finse di pensarci per un po’.

-E se ti presentassi una mia cara, cara, amica? Bionda, non troppo alta né particolarmente sveglia, leggermente egocentrica, ma vabbè, non puoi avere tutto dalla vita…

Faith trovò difficoltà a mantenere una faccia impassibile di fronte alla proposta, ma riuscì a rispondere con tono svogliato, quando sapeva che in realtà si sarebbe più volentieri affogata nel proprio caffé, se quella eventualità fosse diventata anche remotamente possibile.

-Non so, non suona come il mio tipo.

Tara alzò le mani in segno di resa, scuotendo la testa rassegnata.

-Ok, ok...  sempre di gusti difficili eh? …Allora… un mio amico dell’università. Alto, castano, giocatore di football… Che ne pensi?

-E’ un demone?

Chiese Faith usando un tono esaltato con un mezzo sorriso idiota sulle labbra.

-No.

-Vampiro?

Riprovò, adesso un po’ interdetta dalla prima risposta.

-No.

Replicò Tara, cominciando a sorridere alla recita di Faith.

-Non sarà mica uno normale?

Completamente annoiata dalla banalità della cosa. Una fedele riproduzione del tono di una bambina di cinque anni per nulla convinta all’ennesima proposta di mangiare le verdure perchè sono buone.

-Esatto.

-Oddio, troppo noioso. Assolutamente no. Non se ne parla.

Affermò decisa la cacciatrice scuotendo esageratamente la testa. Sorridevano entrambe ora. Faith guardò l’orologio.

-Si sta facendo tardi. Ancora un po’ e manderanno le squadre di salvataggio a cercarti.

Tara annuì con il suo caratteristico mezzo sorriso sulle labbra. Oramai Willow doveva essere rientrata dalla cena con Buffy.

-Riparti presto?

Era da poco che Tara si permetteva di fare una domanda così diretta alla cacciatrice. A dire la verità la prima volta che l’aveva fatta, più per errore che volutamente, era rimasta sorpresa dalla disponibilità con cui Faith le aveva risposto, considerando la sua solita riservatezza.

-Mercoledì. C’è una riunione plenaria del Concilio.

Tara corrugò la fronte. Sapeva che la convocazione dell’assemblea completa era una cosa rara.

-Che sta succedendo Faith?

Lo sguardo della cacciatrice si fece lontano, il tono serio.

-Sta per scoppiare una lotta per il potere. La potenza del primo osservatore ormai è in crisi. Non so esattamente quello che potrà succedere.

-Capisco.

La bionda sapeva che era una cosa pericolosa, aveva ascoltato dei racconti a proposito di una delle faide del Concilio. Aveva fatto qualche altra ricerca oltre alle poche cose che aveva trovato sui libri che aveva letto a riguardo. Quella volta più di un terzo degli osservatori era morto durante quella che poteva essere definita una guerra civile, contro la decina di cadaveri che si avevano quando si aveva un colpo di mano da parte di un qualche dirigente. Se quella attuale era niente di simile alla crisi medievale sarebbe stata piuttosto brutta. Quello che aggiunse Faith non fu rassicurante.

-Tara, fa attenzione. Nessuno dovrebbe interessarsi a te o a Willow ma la cosa è diversa per Giles o Buffy. Sono due pezzi importanti della scacchiera. E potrebbero usarvi contro di loro. –Era logico pensò Tara. E la cosa non la fece sentire per nulla tranquilla. –Se noti qualsiasi cosa fuori dal comune chiamami e se hai bisogno di un rifugio veloce e sicuro vieni qui d’accordo?

Faith le aveva dato le chiavi dell’appartamento qualche settimana prima assieme ai codici di sicurezza. Per innaffiare le piante aveva detto.

Solo che la cacciatrice non ne aveva.

 

 

 

 

Le due di notte. Buffy guardò l’orologio sconsolata. Tre ore di ronda e neanche un vampiro. E lei aveva voglia di cacciare. Voleva rilassarsi. Aveva parlato per alcune ore con Willow. Ora era davvero tutto a posto tra loro. Tutto perdonato.

Willow le aveva detto che capiva, che tutto il problema della scoperta dell’adozione e la ricerca della sua vera famiglia avevano stressato profondamente Buffy, facendole maneggiare così male la situazione con Faith a causa della stanchezza di cui era vittima, e dell’incertezza nella quale viveva.

Buffy le aveva detto di non sapere cosa fare con le informazioni che aveva ricevuto. Lasciarle in un cassetto? Willow le aveva consigliato di andare in Inghilterra a fare ricerche, se non si sentiva ancora pronta per andare ad incontrare la sorella. Ne avevano discusso a lungo, fino a quando la bionda si era lasciata convincere a partire.

Aveva un volo prenotato per il pomeriggio successivo, le valigie erano già pronte, le avevano preparate mentre scherzavano su quello che era successo. L’unico problema rimasto in sospeso era la caccia, oltre alla necessità di avvertire Giles che sarebbe stata via per qualche giorno. Aveva già qualche idea in mente su come fare per superare le sue eventuali opposizioni.

Continuava a camminare senza trovare niente. Dove erano andati a finire tutti i demoni? In fondo questo era il cimitero più attivo della zona, possibile che fossero tutti in ferie? Ancora mezz’ora così e sarebbe andata da Willie’s. Male che potesse andare almeno avrebbe potuto pestare lui.

Sentì un rumore di passi provenire dalla sua sinistra. Forse la sua attesa era finita. Attese immobile mentre prendeva un paletto. Li avvertì chiaramente. Vampiri. Quattro.

Ci sarebbe stato da divertirsi.

Il primo l’attaccò direttamente. Una combinazione veloce all’addome fu sufficiente a darle l’apertura per finirlo con un colpo al cuore. La nuvola di polvere si allargò, prima di ricadere a terra.

Il secondo si rivelò più impegnativo. Troppo a dire la verità. Sembrava avesse una preparazione di base in arti marziali ed almeno qualche decennio di esperienza. Doveva fare attenzione. Non poteva rischiare di essere impegnata in uno scontro a lungo quando c’erano altri due vampiri pronti ad attaccarla.

Durante una pausa del combattimento si guardò velocemente intorno, respirando affannosamente, per vedere cosa stessero facendo gli altri. Era strano che non l’avessero ancora attaccata alle spalle.

L’altro, Buffy si corresse mentalmente, stava fermo ad un paio di metri con un’espressione sorpresa. Uno era scomparso. Che fosse scappato?

Prima che la cacciatrice potesse riflettere sulla cosa, il suo avversario diretto l’attaccò con un calcio. Lo evitò per poco, perdendo l’equilibrio e cadendo sulla schiena. Il vampiro le si gettò contro ringhiando, impalandosi da solo sull’arma della bionda.

Buffy si rialzò in piedi immediatamente, aspettando l’attacco dell’ultimo. “Il vecchio trucco della caduta funziona sempre”. Ne aveva uccisi parecchi fingendo di cadere e poi colpendoli al cuore mentre le si gettavano contro, ansiosi di finirla.

L’attacco non venne.

Si guardò intorno perplessa. Nessun vampiro. Guardò a terra intorno a sé, quattro mucchietti di cenere. In due di loro si trovavano delle frecce.

Buffy tentò di localizzare la provenienza dei dardi mentre inconsciamente si abbassava leggermente, pronta a sdraiarsi a terra o a correre in caso di pericolo. Considerando che non si era accorta di nulla, chiunque avesse tirato, doveva averlo fatto da una buona distanza.

Individuò l’arciere sul tetto di un edificio, in linea d’aria doveva essere a più di quattrocento metri di distanza. Doveva avere una mira eccezionale per colpire da lì dei bersagli in movimento in piena notte.

Faith era ancora sul tetto praticamente immobile, l’arco composto in mano, ma nessuna freccia incoccata. Osservava l’altra cacciatrice realizzare lentamente ciò che era successo. Presto sarebbe riuscita a capire l’identità dell’arciere.

La bruna era lì quasi per caso. Mentre ballava ad un club la sera prima aveva scoperto che un gruppo di vampiri sarebbe passato di lì per certi affari. Non sapeva quali e non le interessava. La notizia le era stata utile.

Era salita qualche ora prima su quel tetto con il preciso scopo di fare pratica con il suo arco. Con un po’ di fortuna qualcuno dei vampiri sarebbe passato di lì. Aveva aspettato immobile per ore le sue prede, dopo aver tirato fuori l’arma dalla custodia ed averla impugnata. La valigetta rigida di pelle piuttosto anonima che lo conteneva se la era fatta fare su misura, come del resto l’arco stesso e le frecce. Il tutto era stato personalizzato apposta per lei da un artigiano specializzato dopo essere stato assemblato partendo dai migliori pezzi sul mercato. Le era costato una fortuna, ma valeva ogni dollaro speso.

Ci si allenava regolarmente, ma un bersaglio mobile veloce come dei vampiri non era facile da trovare. C’era voluta molta concentrazione e velocità per fare quei due tiri, ma era soddisfatta del risultato ottenuto, nonostante l’audience non propriamente gradito che aveva avuto.

A Buffy bastò un altro secondo per riconoscerla.

La bionda non fu eccessivamente sorpresa dalla cosa. La bostoniana era sempre stata più brava di lei con l’arco.

Buffy lo trovava estremamente noioso ed inefficiente, come arma preferiva di gran lunga la balestra, tanta potenza in poco spazio. Quando ancora si allenavano insieme aveva assistito ad un’esercitazione o due e non ricordava che l’altra cacciatrice potesse tirare così bene. A quanto pareva Faith negli ultimi tempi era migliorata ancora.

La mora la fissò, continuando a rimanere immobile per un istante. Ormai era chiaro che Buffy l’avesse riconosciuta. Non avendo particolare voglia di parlarle e sapendo che i bersagli per la serata erano finiti la salutò con un gesto della mano e scomparve dal tetto.

 

 

 

 

Giles si trascinò contro voglia ad aprire la porta, decisamente assonnato. Buffy gli aveva telefonato prima dicendo che sarebbe passata dopo la ronda, un inaspettato gesto di cortesia in realtà. Generalmente la cacciatrice le piombava in casa o bussava alla porta, abbastanza rumorosamente da sembrare volerla sfondare, fino a che lui non le apriva. L’osservatore aveva deciso di aspettarla in piedi ma alla fine si era appisolato sul divano, cullato dalla sua musica preferita.

La cacciatrice entrò senza aspettare di essere invitata, andandosi a mettere direttamente seduta sul divano, il suo posto preferito. Giles scosse la testa, i modi di Buffy non erano esattamente esemplari.

-Buonasera anche a te. –mormorò appena, ancora mezzo addormentato mentre si andava a sedere sulla poltrona. –Come è andata la ronda?

-Tutto tranquillo. Una manciata di vampiri. Li ho polverizzati in fretta.

Giles si sfregò gli occhi, cominciandosi a sentire confuso. Se non c’erano problemi con la caccia perché Buffy era qui? La osservò un attimo, persa nei propri pensieri ma agitata, giocava con le proprie mani, senza stare un attimo ferma. Sospirò.

Era difficile parlare con Buffy, o meglio farle dire qualcosa di sensato, in quanto doveva sempre essere lui a trovare un modo per arrivare al motivo del discorso. Fosse stato per la bionda avrebbero passato ore a parlare di cose che non c’entravano assolutamente nulla.

-Mi volevi parlare?

-Ah? Si, si, le volevo parlare. –poi rimase in silenzio. Giles scosse ancora la testa passandosi la mano fra i capelli, e poi sbadigliando. “Sto diventando troppo vecchio per questo”.

-E cosa volevi dirmi?

Buffy lo fissò un attimo, indecisa su cosa dire e su come dirlo. Si mordicchiò il labbro inferiore per qualche secondo prima di parlare.

-Da dove provengono le cacciatrici?

Per tutta risposta Giles rimase a fissarla, sconvolto dalla domanda, senza dire niente. Passato qualche secondo Buffy agitò una mano davanti al viso dell’osservatore.

-Signor Giles? E’ ancora lì?

Lui si scosse, riprendendosi dalla shock.

-Si, si certo… - “Va bene, lo ammetto, sono confuso…” -Sai benissimo da dove provengono le cacciatrici, sono prescelte che vengono chiamate alla morte della precedente, si ergono per combattere le forze del male ed i vampiri per proteggere l’umanità.

-Sono normali essere umani?

Giles rispose immediatamente, per riflesso.

-Si, fino alla chiamata, si.

Annuì enfatico, stava cominciando a rilassarsi un po’, sembrava che Buffy volesse solo conoscere un po’ di storia. “Ma dove vuole arrivare?”

-E voi come fate sapere chi verrà chiamata?

-Non lo sappiamo.

Beh, era vero.

-Come fate a sapere se una può essere chiamata? Voglio dire, Kendra era stata addestrata fin dall’infanzia, questo significa che voi osservatori dovevate sapere che poteva essere chiamata, no? Come lo sapevate?

Giles si tolse gli occhiali e li pulì con gesti lenti e precisi, per guadagnare tempo e pensare. “Perché Buffy sta facendo queste domande?”.

-Ci sono dei segni, e persone addette a interpretarli.

Di nuovo aveva risposto immediatamente, di riflesso. Glielo avevano insegnato all’accademia.

-Ed i miei di segni?

-Non siamo infallibili Buffy. –sospirò sconsolato. Guardò il volto confuso davanti a sé.“Ok, dare questa risposta è stato un errore” si riprese continuando dopo una pausa spesa a cercare le parole. Nella tua zona non era stato assegnato alcun osservatore, quindi non c’era nessuno che potesse interpretare i segni.

Questa volta la risposta sembrò più accettabile, perché Buffy annuì con comprensione, appena sollevata.

-E la prima cacciatrice come è stata creata?

-Ci sono solo leggende a riguardo. Dicono con un intervento superiore, o con la magia, nessuno lo sa con certezza. – una pausa, non riusciva capire perciò decise di chiedere direttamente. –Perché tutte queste domande?

-Niente.

Detto con un’espressione che diceva l’esatto contrario. Buffy non sapeva mentire, e non aveva la più pallida idea del fatto che non lo sapeva fare. Rimasero in silenzio per qualche minuto. L’osservatore troppo sconvolto ed assonnato per parlare, la cacciatrice immersa in qualche pensiero.

-Giles, domani parto.

Di nuovo l’osservatore la guardò, confuso. L’intero dialogo cominciava a suonare decisamente surreale. “Forse sto sognando, si probabilmente è così”. Ma non si svegliò, quindi decise di proseguire la conversazione.

-Che cosa?

La cacciatrice si bagnò le labbra improvvisamente secche prima di rispondere.

-Parto.

Giles si tolse di nuovo gli occhiali.

-Quale motivo?

-Vado in vacanza.

Buffy lo disse con un mezzo sorriso del tutto falso. Era ovvio che stava mentendo ancora.

-Non puoi.

-Certo che posso! –La fronte le si corrugò. –Perché non potrei?

-La caccia Buffy.

La cacciatrice ci pensò un istante.

-Faith è in città, non vedo alcun problema.

Neanche Giles. Forse.

-E con l’università?

-Ho appena finito di dare gli esami del semestre.

L’osservatore si tolse gli occhiali e li pulì di nuovo, lentamente, più lentamente di prima. Buffy, sempre più nervosa, ormai sedeva sulla punta del divano.

-Per dove sarebbe?

Buffy rispose con voce implorante. – In Europa. Vado in Inghilterra, Manchester… Sono anni che non mi prendo una vacanza Giles… La prego… Starò via solo una settimana.

Lo studiava con occhi ansiosi. L’osservatore continuava a sembrare spaesato. Alla fine, con lentezza annuì. Semplicemente perché non riusciva a trovare un motivo per dirle di no. Giles non ragionava molto bene appena sveglio e neanche alle quattro di notte.

-Va bene. Una settimana.

Buffy lo ringraziò sorridendo.

-Perfetto, grazie. Lei è il migliore. Ci vediamo tra una settimana.

L’intera conversazione era atipica. Buffy non si interessava mai del passato… mai. Neanche delle tradizioni. Quella ragazza viveva solo nel presente, neanche del futuro le interessava qualcosa.

Giles si sfregò ancora gli occhi. Almeno ora non doveva trovare scuse per andare in Inghilterra ad assistere alla riunione plenaria del Concilio. Una volta lì, avrebbe subito parlato con Marlin della situazione con Buffy. C’era qualcosa di strano.

 

 

 

 

 

 

L’Ultimo Giorno Parte III

By Silea

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli Osservatori. Martedì 18.

 

Guardare lo stesso schermo di sorveglianza per dieci ore consecutive era noioso. Molto noioso. Ma per la politica del quieto vivere di Christian, noioso era molto meglio di pericoloso. E del resto questo lavoro non era pagato abbastanza bene per rischiare la propria vita.

Certo, c’era la speranza di fare carriera, ma ormai quarantacinquenne con una calvizie incipiente e ancora semplice turnista ai video, Christian non si faceva più molte illusioni. Le poche sterline che guadagnava gli bastavano appena per pagare l’affitto del suo misero appartamento e per mantenere la sua vecchia auto scassata.

Vide arrivare Jason da lontano. Come sempre aveva il passo fermo, deciso, con l’intera figura a irradiava potere e sicurezza di sé. Anche lui era sulla quarantina, ma aveva un fisico atletico contro il suo in evidente soprappeso, e la posizione più elevata dopo quella di dirigente all’interno del Concilio. Doveva guadagnare almeno tremila sterline la mese. Ne era certo. Un uomo realizzato contro un perdente.

Si, Christian era invidioso di lui. Terribilmente invidioso.

E nonostante quell’uomo non staccasse dal lavoro da cinque giorni si muoveva ancora come se fosse pronto a scattare al minimo accenno di pericolo. Soltanto gli occhi rivelavano un po’ di stanchezza. Persino il suo abito sembrava stare meglio di quello dell’operatore nonostante non fosse stato cambiato da giorni.

Poi, stranamente, per la prima volta, invece di proseguire dritto per il corridoio senza degnare i tecnici di un’occhiata Jason entrò nella sala controllo. Ignorando il capo turno, un ragazzino di neanche trent’anni, un tipo a detta di tutti geniale con i computer, uno che lavorava da meno di tre mesi lì, e che prendeva già più di lui che ci lavorava da quindici, si diresse direttamente alla sua postazione. Il cuore di Christian cominciò a battere più veloce, e l’uomo nervosamente si risistemò i capelli mentre con l’altra mano cercava di allargare il colletto della sua camicia improvvisamente troppo stretto. Perché Jason stava venendo nella sua direzione?

Non aveva alcun motivo di farlo giusto? Si sarebbe fermato prima di raggiungerlo. “Fermati, dai fermati a parlare con il moccioso” l’uomo invece continuò i suoi passi sempre lunghi uguali “no, non lo puoi fare, no, non da me, va da qualcun altro”.

Invece il capo degli operativi si fermò proprio di fronte a lui, a neanche dieci centimetri dalla sua postazione facilmente torreggiando sulla figura seduta. Christian si ritirò ancora di più nella sedia, oramai completamente terrorizzato. Jason lo squadrò e notò come l’uomo tremasse convulsamente. Probabilmente non se ne rendeva neanche conto. La cosa non lo impietosì affatto. Gli si rivolse glaciale.

-Cookson.

-Si, signore?

Quella risposta era un gemito ed uno piuttosto flebile.

-Chi?

Nella sala scese il silenzio, tutti stavano ascoltando il dialogo, senza neanche fingere di non farlo. Nessuno sapeva perché il capo degli operativi era entrato all’interno della sala monitor come se la possedesse, ma tutti si erano ben guardati dal chiedergli spiegazioni, il capo turno per primo. Se Jason voleva entrare nella sua sala giusto per fare una passeggiata era liberissimo di farlo, di certo lui non avrebbe protestato. Del resto, dall’espressione ancora più distante del solito che l’operativo aveva, era ovvio che c’era qualcosa che non andava e tutti i tecnici erano egoisticamente felici e sollevati che non erano stati loro a sbagliare. La domanda di Jason rimase per qualche secondo senza risposta prima che Christian mugolasse qualcosa.

-Signore?

Jason estrasse la sua pistola e gli sparò un colpo alla fronte, giusto in mezzo agli occhi.

L’eco dello sparo si propagò nella sala. Il capo della sicurezza non aveva usato il silenziatore. Nessuno dei presenti si mosse di un millimetro o si mise a protestare in alcun modo, anzi, molti smisero anche di respirare, completamente piantati al loro posto. Jason con tutta calma rinfoderò la pistola, ignorando gli sguardi allibiti degli altri tecnici della sala e placando con un gesto la squadra di sorveglianza pronta ad intervenire appena fuori dalla porta. Lanciò un ultimo sguardo sprezzante al cadavere prima di girarsi ed uscire, lasciandolo ancora lì seduto sulla sedia mentre il sangue colava appena sulla fronte, limitandosi a commentare in tono glaciale con un'unica frase il suo gesto.

-Nessuno vende i miei uomini.

 

 

 

 

Sunnydale. Appartamento di Faith. Martedì 18.

 

 

 

 

Bussarono ancora una volta alla porta, più forte di prima.

-Sto arrivando, sto arrivando.

Faith era sul terrazzo a godersi la giornata di sole sdraiata comodamente su una dei lettini che aveva fuori, cercando di non pensare né a Spike né alla riunione plenaria del Concilio, e riuscendoci decisamente bene, quando aveva sentito per la prima volta i colpi sulla porta. Non aspettava nessuno, così prima di aprire controllò l’immagine del videocitofono.

Dall’altra parte si trovava una cacciatrice dall’aria non infuriata.

Dopo i loro ultimi incontri era una novità. Faith aprì la porta ma non invitò Buffy ad entrare, appoggiandosi con una spalla contro lo stipite della porta, tenendo con una mano l’anta socchiusa.

-Qual buon vento ti porta nella mia umile dimora B?

Sbirciando nello scorcio offerto la bionda notò che la casa era cambiata dall’ultima volta che era stata lì. E molto. I mobili erano stati cambiati con altri, dall’aria più costosa, tutto era in perfetto ordine, nessun fumetto buttato a terra, le casse dello stereo scomparse e la musica spenta.

Nel complesso quel posto dava una sensazione completamente diversa, quasi accogliente.

-Devi fare la ronda al posto mio per la settimana prossima.

Faith la guardò per un lungo istante quasi si aspettasse che l’altra aggiungesse, “scherzo” oppure “per favore”. Non accadde.

-Che cosa B? –l’altra fece per ripetere, ma Faith non si lasciò interrompere e proseguì, alzando la voce. –Sei venuta qui, in casa mia, per chiedermi, anzi no, per ordinarmi di prendere il tuo posto e svolgere il tuo Sacro Dovere? –La bionda annuì con l’espressione di una persa in altri e più importanti pensieri. –Ma quanto sei stupida, eh B? Quanto? Certo che non farò una cosa simile.

“Dannazione a me ed a quando ho aperto quella cazzo di porta. Avrei dovuto fingere di essere in Messico!”.

-Anche tu sei una cacciatrice Faith.

Replicò Buffy a muso duro.

-Una cacciatrice? –Il sarcasmo grondava dalla parola. –Come mai lo divento solo quando fa comodo a te? E cosa credi? Che io sia la sostituta da chiamare quando vai in vacanza? Che io viva in funzione delle tue necessità? Che sono l’ombra scomoda quando sei al centro dei riflettori ma che se vuoi un momento di pausa deve farsi avanti e proteggerti? Hai tenuto nascosto ai tuoi cari amici la mia esistenza, il fatto che lavoro per il Concilio esattamente come te, che vivo di nuovo a Sunnydale, soltanto perché erano argomenti scomodi e poi vieni a casa mia a dirmi che mi devo occupare della tua ridente cittadina mentre tu fai una scampagnata? Cazzo, il tuo egocentrismo è arrivato a livelli patologici.

-E’ tuo dovere Faith.

Buffy cominciava a scaldarsi, non capiva perché Faith avrebbe dovuto rifiutare.

- …Sacro Dovere… -Ripetè lentamente la bruna come se stesse assaporando la parola e la trovasse disgustosa. –Dimmi B, credi anche in Babbo Natale? Fammi capire, basta che la gente venga da te con due righe scritte più di dieci anni prima, ti blateri una filastrocca chiamandola profezia e tu ci credi? Beh, se sei così tanto idiota, per quello che mi riguarda, ti meriti di morire senza neanche raggiungere i venticinque anni. Te lo meriti davvero.

-Ho sempre avuto ragione, non sei altro che una Rinnegata, un errore.

Buffy glielo sputò contro, con i pugni contratti dalla rabbia, il peggiore insulto che avesse mai saputo rivolgere a Faith. La colpì dove sapeva avrebbe fatto più male, solo per il piacere di farlo. Ma la reazione della mora la sorprese.

Faith rise.

Sarcastica e dura, ma rise.

-Sai una cosa B? tieniti pure il tuo ruolo di prescelta. Io ci rinuncio. Te lo regalo. Gioca con il destino e fatti schiacciare dai suoi ingranaggi. Io non ci tengo affatto. Non voglio la gloria, non così. –Scosse la testa prima di proseguire. –Mi chiami Rinnegata? E sarò quello. E mi delizierò ad esserlo.

-Cosa intendi dire Faith?

La bionda la guardava, completamente stupita dalla reazione.

“Quella frase ha sempre funzionato, sempre.”

-Quello che ho detto B. Io non ho intenzione di farmi macellare prima di raggiungere i venticinque anni perché qualcuno ha deciso così per me. Perchè qualcuno sa recitare in versi.

Buffy esasperata, furibonda, passò sulla difensiva, avendo capito che attaccare non sarebbe servito a farle raggiungere niente. Faith stava ancora appoggiata negligentemente allo stipite della porta semiaperta, la mano sulla maniglia.

-E’ così difficile capire che io voglia andare a trovare la mia famiglia?

-La tua cosa?

Chiese la bruna, vagamente sorpresa dalle parole.

-La mia famiglia Faith. –una pausa. –Perché io sono stata adottata. –ora la bruna la guardava in silenzio aspettando che continuasse, incuriosita. –Esatto Faith, sono stata adottata. Ho vissuto la mia intera vita in una bugia. Ed ora che conosco la verità, voglio sapere che fine abbia fatto la mia vera famiglia.

-E cosa avrebbe fatto per te questa vera famiglia oltre che abbandonarti?

Chiese asciutta Faith.

-Non mi hanno abbandonata! …E io non voglio più essere sola…

Lo aggiunse dopo, a voce più bassa. Faith scoppiò a ridere.

-Sola? Ti senti sola? –Buffy annuì, incerta davanti alle risate dell’altra. Non era la risposta che si sarebbe aspettata. “Perché non capisce?E’ necessario per me… perchè non mi vuole aiutare?”. –Tu sei completamente pazza. Dimmi hai mai vissuto in un orfanotrofio? –La bionda scosse la testa, ancora senza riuscire a capire cosa volesse dire l’altra. –Mai. Sei stata la figlia unica di genitori medio-ricchi. Ecco cosa sei stata. Coccolata, viziata. Sempre al centro dell’attenzione. Circondata anche ora, ora che sei cacciatrice e dovresti essere sola con il tuo Destino che ami tanto, da uno stuolo di amici adoranti che darebbero la vita per te. E dici di essere sola?

Faith fece un passo verso Buffy, minacciosa, gli occhi completamente privi di espressione.

-Tu non sai neanche che significa essere soli. Non sai che significa svegliarsi in piena notte da un incubo senza nessuno vicino che ti rassicuri. Non sai cosa significa avere attorno a te solo gente che ti disprezza, che ti odia, che farebbe di tutto pur di umiliarti. Non sei mai stata sola, senza amici né genitori, circondata da gente a cui non gliene frega un cazzo di te. Non sai cosa significa sopravvivere in un posto dove non ci sono regole se non la legge del più forte, ed essere i più piccoli, o gli ultimi arrivati. Non sai cosa si deve fare per arrivare ad avere abbastanza soldi soltanto per riuscire a mangiare il giorno dopo. Non lo sai. Tu sei solo una ragazzina troppo viziata, che annoiata dai suoi costosi giocattoli, ora ne vuole di nuovi.

-Invece si che so cosa significa essere soli! –Gridò Buffy. –Io ho lasciato casa mia ed ho vissuto solo con le mie forze. Ho dovuto uccidere il mio ragazzo per salvare il mondo. Ho perso la mia vita per colpa della caccia.

-Sei davvero così tanto cieca B? -Faith fece un passo ancora verso Buffy, prima di continuare a parlare la voce carica di ira ma senza urlare. –Sono state tutte tue scelte. Tue le scelte, tue le conseguenze. Non mi impietosisci neanche un po’ con la tua storiella strappa lacrime. Hai salvato il mondo? Brava, ma ci vivi anche tu nel mondo, lo avrei fatto anche io sai? Hai “lasciato” casa tua… tu hai scelto di farlo, e quando ti sei stancata di giocare a fare la grande ci sei tornata, perché per tutto il tempo tu ce l’avevi avuta una casa. Le tue forze. –Faith sogghignò a questo. –Non renderti più ridicola di così ti prego… Eri una cacciatrice, una “cacciatrice”, più forte di qualsiasi umano e della maggior parte dei demoni là fuori. Cosa avevi da temere nel passare di notte in un quartiere malfamato? Niente! E tu una vita ce l’hai ancora. Cambiata forse, ma l’hai sempre avuta. E se sei così cogliona da non vederla neppure, meriti di perderla, non di averne un’altra!

Buffy gesticolò scompostamente mentre urlava la sua risposta.

-Tu invece cosa ne sai Faith? A te non è mai importato nulla di nessuno. Una bastarda senza cuore, né anima. Chi sei per dirmi che non so condurre la mia vita? Eh? Una puttana che va con il primo che passa, una buona a nulla che ha lasciato ammazzare la sua osservatrice incapace e che non ha mai avuto un amico, mai nessuno per cui lei contasse qualcosa se non il valore di un corpo da portarsi a letto? Eh?

Faith si mosse rapidamente, estrasse il coltello e lo puntò alla gola di Buffy.

-Tu non sai niente di me. Non immagini neanche come io sia vissuta o perché abbia fatto determinate cose. E non mi metterò qui a raccontartele giusto perché tu le sappia, o per giustificarmi di fronte ai tuoi occhi. Non ti ho mai dato il diritto di giudicarmi, e tu non lo hai mai avuto, è soltanto qualcos’altro che ti sei arrogata dall’alto della tua posizione di Prescelta. – sputò quell’ultima parola come un insulto. –E scommetto che anche se ne venissi a conoscenza della verità, non la capiresti. –Faith aggiunse con sarcasmo, prima di obbligare l’altra a retrocedere fino alla parete opposta del corridoio, il pugnale sempre alla gola. –Te lo avevo detto. La mia pazienza non è infinita. E non sopporto che un verme, vigliacco e viscido come te, osi insultare me, la mia osservatrice ed i miei amici. –Erano arrivate alla porta dell’ascensore, rimasta aperta. Faith costrinse Buffy a superare la soglia. – Perciò se ci tieni alla tua pelle, d’ora in poi evitami, perché oggi hai superato il limite. –La voce era gelida. –Ed ora, prima che me ne dimentichi… –Buffy aveva paura. Gli occhi di Faith non avevano alcuna espressione, niente più emozioni, lampi d’ira, né quella specie di fuoco che Buffy le aveva visto spesso. Avevano litigato di frequente, soprattutto negli ultimi tempi, ma mai così. Aveva creduto che quanto successo al cimitero, le minacce vuote dietro ad un bluff, sarebbero state il massimo che Faith avesse il coraggio di fare.

Aveva sbagliato. Oh, quanto aveva sbagliato.

Nessuno le aveva mai fatto così tanta paura. Era letteralmente terrorizzata. -…Va’ all’inferno.- Concluse Faith, la voce bassa e feroce mentre con un testo faceva chiudere la porta e ritraeva il coltello.

Sulla pelle di Buffy non c’era nemmeno un graffio, ma lei stava tremando senza riuscire a fermarsi.

 

 

 

 

 

 

 

Inghilterra, Manchester. Mercoledì 19.

 

 

 

Il centro commerciale era piuttosto affollato nonostante non fosse il week-end. Non era nulla di speciale, simile a mille altri in cui era stata in america. Un paio di piani di altezza, decine di negozi di vestiti, supermercato, zona ristoro. In un certo senso era rassicurante avere a portata di mano qualcosa di così familiare in un paese in cui non era mai stata.

Buffy camminava lentamente scorrendo lungo i negozi, fermandosi a guardare le vetrine più interessanti, prendendosi il suo tempo, come se non avesse una sola preoccupazione al mondo. Si fermò a guardare per qualche minuto delle borse di pelle. I prezzi non erano esattamente accessibili, ma la linea era sicuramente bella.

“Con il mio stipendio potrei anche permettermele…”

Con una scrollata di spalle al pensiero, riprese il suo giro.

In realtà buffy non aveva alcuna voglia di fare shopping, non era proprio dell’umore adatto, ma girare per negozi senza una meta precisa in mente, semplicemente lasciando passare il tempo, era da sempre la sua attività preferita quando voleva rilassarsi. Od in questo caso rassicurasi.

Qualche ora prima era venuta qui semplicemente perché la sua stanza d’albergo era diventata improvvisamente troppo silenziosa, ed andare a mischiarsi tra la chiassosa ed anonima folla di un centro commerciale era stata la scelta più logica per scacciare la sensazione di malinconia e solitudine che l’aveva assalita. Era scesa immediatamente alla reception, chiedendo come potesse arrivare al più vicino centro commerciale. L’impiegato le aveva cortesemente spiegato la strada, fortunatamente si trovava relativamente vicino all’albergo, abbastanza da raggiungerlo a piedi.

La cacciatrice si fermò ad un fast-food che aveva una fila ragionevole e si prese un gelato, poi sedette ad uno dei tavoli per mangiare, ripensando a tutto quello che era successo ultimamente.

“Decisamente molto.”

Rimandando di un altro po’ il pensiero di quanto la preoccupava si concentrò sulla propria coppa. Finito il gelato, Buffy si mise a giocherellare con il cucchiaino, intenta nell’ascoltare la discussione che stava avvenendo nel tavolo dietro il suo. Un litigio serio tra due ragazze, che aveva tutta l’aria di starsi per trasformare nella fine della loro amicizia. Il motivo sembrava essere un ragazzo conteso. Fidanzato con una delle due, sembrava averla tradita con l’altra.

“Tipico.”

Pensò con una smorfia.

L’intrattenimento non durò a lungo. Qualche minuto dopo una delle due, la tradita, lasciò il tavolo, mandando a quel paese l’altra con il tono alterato ma relativamente basso in cui si era svolta l’intera conversazione. Sembrava che entrambe avessero il buon gusto di non trasformare la cosa in una scenata pubblica.

I pensieri di Buffy tornarono controvoglia ai suoi problemi. Per quanto cercasse di evitarlo sembrava che la sua mente non potesse fare a meno di rimuginare su quanto accaduto, che lei lo volesse o meno.

La cacciatrice doveva ammettere che era preoccupata dall’aver lasciato parecchie cose in sospeso a Sunnydale, parecchie mezze verità che aveva detto o lasciato intendere ai suoi amici. Poteva solo sperare che nessuna di queste fosse scoperta mentre era via. Dopo quanto accaduto al Magic Box la settimana, sapeva di essere in una posizione a dir poco fragile di fronte ai suoi amici.

“Colpa di Faith.”

Ultimamente le sembra che molto di quanto le stesse accadendo fosse causato direttamente o meno dalla bruna. Molte di quelle mezze verità erano state causate proprio dalla sua presenza.

Colpa anche del fatto che l’altra cacciatrice si stava comportando in modo a dir poco anomalo. Non sembrava quasi più la ragazza di due, “quasi tre…”, anni prima.

Le conversazioni che avevano avuto ad esempio.

Quella al cimitero.

“Ho avuto paura.”

E la cosa non le era piaciuta affatto.

La loro discussione seguente non aveva avuto un esito migliore.

“Cosa mi sarà saltato in mente ad andare lì dopo quanto accaduto…”

Ma lo sapeva perfettamente cosa aveva avuto in mente. Il viaggio in Inghilterra. La sua famiglia. Solo quello.

In quel momento di tutto il resto le era importato veramente poco.

Quando si era presentata a casa di Faith era così convinta che l’altra cacciatrice avrebbe preso l’opportunità offerta al volo.

“In fondo essere l’unica è tutto quello che ha mai voluto… eppure….”

Eppure quella conversazione era finita come era finita e Buffy aveva la certezza che Faith avrebbe mantenuto le proprie promesse.

Non aveva detto a nessuno quanto accaduto realmente tra lei e Faith.

“Un altro segreto.”

Quando Giles le aveva chiesto come era andato l’incontro, questa stessa mattina, Buffy si era limitata ad assicurargli che aveva preso tutti gli accordi necessari con la bruna, guardandolo fisso negli occhi mentre parlava.

La cacciatrice sapeva perfettamente che se Giles avesse anche solo sospettato qualcosa a proposito del fatto che Faith si era rifiutata di aiutarla le avrebbe impedito di partire.

E lei voleva andare in Inghilterra.

Lì poteva avere un’altra vita.

“Figurati, non avrei mai perso quest’occasione a causa dell’ottusità di un vecchio e dell’inaffidabilità di una psicotica.”

Il pensiero la fece fermare per un attimo.

Era la prima volta che si ritrovava a pensare così di Giles.

“Eppure…”

Per quanto del tutto estraneo alla sua natura quel pensiero non le suonava per nulla sbagliato.

Scosse la testa per scacciare la scomoda osservazione.

Riflettendo a freddo si rendeva che ultimamente stava reagendo in maniera un po’ strana. Quelle conversazioni con Faith erano un esempio. La prontezza nel mentire a Giles ed ai suoi amici. Le sembrava di oscillare tra momenti di apatia estrema e attività frenetica. E non sapeva il perché. Doveva ammettere che la cosa la disturbava.

“Stress probabilmente…”

Con pratica di anni, accantonò il problema.

Quella stessa mattina, per evitare ulteriori domande, Buffy aveva salutato frettolosamente Giles dicendogli che doveva andare a prendere l’aereo. Aveva deciso di evitare di rispondere alle sue chiamate una volta oltre oceano per non dover subire ulteriori interrogatori. Per questo gli aveva chiesto di non chiamarla a meno che non ci fosse stata un’emergenza. L’osservatore aveva acconsentito.

Più di un’ora dopo aver lasciato l’appartamento di Giles, entusiasta per il viaggio, Buffy era stata accompagnata all’aeroporto da una Willow sorridente quasi quanto lei. Poi c’era stato lo scalo a Los Angeles, la coincidenza a New York, il volo transatlantico fino a Londra e da lì con un altro aereo a Manchester. Il continuo sali e scendi, le attese interminabili in sala d’aspetto e i voli durante i quali non era riuscita a dormire l’avevano stancata più di quanto avesse pensato.

Inoltre, da qualche parte sopra l’Atlantico, l’entusiasmo per l’avventura che stava intraprendendo si era trasformato in nervosismo, quasi arrivando a sfiorare l’isterismo quando aveva rischiato di perdere la coincidenza per Manchester. Un inserviente idiota l’aveva mandata al gate da dove partiva il volo per Manila invece che il suo.

Buffy sapeva che in realtà non era stato il lungo viaggio il problema.

Aveva paura.

Improvvisamente era diventato tutto troppo reale. L’eccitante idea che avesse un’intera famiglia ad attenderla oltre l’oceano, di avere un altro posto oltre Sunnydale da poter chiamare casa. Di essere qualcun altro…

Ora era tutto troppo reale.

Il fatto che fosse stata adottata, semplicemente un’orfana, che esistesse un’altra famiglia, inglese, che sua sorella abitasse poco distante da lì. Il quartiere si trovava ad un quarto d’ora in taxi, le aveva detto il ragazzo della reception. Abbastanza vicina da poterla incontrare per strada, senza neanche riconoscerla.

Non aveva una sua foto.

“Non ho neanche una sua foto. Sono patetica…”

Si sentiva sola, abbandonata da tutti e da tutto.

“Magari mi hanno data via volutamente, mi hanno lasciata in un orfanotrofio perché non mi volevano… forse Faith ha ragione, non c’è nessuno qui per me…”

Quanto avrebbe pagato al momento per avere un volto amico vicino, qualcuno che la rassicurasse, che le dicesse che sarebbe andato tutto bene, che la sua vera famiglia la stava aspettando.

Invece non c’era nessuno lì con lei.

Provò un’istintiva ed irrazionale rabbia.

Nei confronti di Riley per primo.

Perché Buffy immaginava che questo tipo di viaggi andasse fatto con il proprio fidanzato a fianco, pronto a sostenerla in caso di necessità, ma Riley non era più con lei, proprio quando aveva più bisogno di lui.

“Mi ha abbandonata anche lui…”

Nei confronti di Willow.

Perché neanche la sua migliore amica era lì. Senza veramente volerlo le tornò in mente il fatto che Willow non le aveva chiesto neanche se voleva compagnia.

Ricacciò indietro i dubbi con forza, costringendosi a fare un respiro profondo per calmarsi.

“Andrà tutto bene. Faith stava mentendo come sempre…”

Buffy si passò la mano sugli occhi, razionalizzando il fatto che vedeva tutto così nero semplicemente perché era stremata e per nessun altro motivo.

Non era neanche il fuso orario a farla sentire così stanca, quanto piuttosto, lo stress del volo. Aveva scoperto che odiava volare con passione, e la sua giornata durava da più di venti ore.

Quasi sorrise all’idea.

Al momento l’unico sollievo per Buffy era sapere che era troppo tardi per fare qualsiasi cosa, e che per questo le decisioni potevano essere rimandate a cuor leggero, senza avere la sensazione di star evitando dei problemi. Gli uffici erano chiusi da ore, così doveva essere anche per i Weston Laboratories, ed era un orario sicuramente improbabile per presentarsi a casa di qualcuno, ammesso che lo volesse fare.

Tutto quello che doveva fare questa sera era tornare alla metro, scendere alla prima fermata, andare al ristorante dell’albergo dove aveva già fatto la prenotazione per la cena, glielo avevano consigliato anche se per lei non aveva molta importanza. Per mangiare un posto valeva l’altro.

Poi sarebbe salita in camera, si sarebbe fatta una lunga doccia bollente e avrebbe telefonato a Willow.

Sentirla le avrebbe fatto bene.

Poi avrebbe anche deciso cosa fare domani.

Soddisfatta nell’avere finalmente un piano Buffy si alzò dal tavolino del fast-food e si diresse verso l’uscita del centro commerciale.

 

 

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli Osservatori. Mercoledì 19.

 

 

 

La moto sfrecciava lungo le strade quasi deserte superando in fretta le rare auto, il motore al massimo, ad una velocità più che doppia rispetto ai limiti inglesi, senza sentire, o quasi, fastidiose vibrazioni. Era liberatorio. Dopo le ore di volo transoceanico passate quasi immobile, essere effettivamente impegnata in qualcosa oltre che dormire, mangiare e guardare la televisione entusiasmava Faith.

Ormai era convinta di aver stabilito il nuovo record di percorso su strada tra Londra e la sede del Concilio degli osservatori. Non che avesse fretta di raggiungere il Concilio per qualche motivo in particolare. Non aveva sonno, né particolare voglia di essere lì prima dell’inizio della riunione, semplicemente odiava perdere tempo mentre viaggiava. Era un tipo impaziente, intollerante ed insofferente. E lo sapeva benissimo.

“E la cosa mi ha sempre cacciata in un mare di guai…”

Sogghignò tra sé al pensiero.

Arrivata in vista della villa, Faith rallentò leggermente prima di imboccare il viale di accesso, sapeva che altrimenti il cancello automatico non si sarebbe aperto in tempo. E considerando che le moto avevano la capacità di spiccare improvvisamente il volo solo nei film d’azione, non nella realtà, l’idea di schiantarsi contro del ferro battuto vecchio di qualche decennio, ed appositamente rinforzato per evitare gli sfondamenti, non le sembrava il modo migliore di concludere la serata. Scalò rapidamente marcia e con perfetto sincronismo si infilò nell’apertura appena fu sufficientemente larga per far passare la sua Honda Blackbird.

Parcheggiò nella rimessa sotterranea un minuto dopo.

Faith doveva ammettere che trovava la Blackbird una moto quasi perfetta, veloce, velocissima, ed anche se la definivano un po’ troppo pesante per una cacciatrice non era affatto difficile da controllare. Le piaceva immensamente guidare quel gioiello, non per niente aveva fatto ricerche per trovare posti sparsi per il sud d’Inghilterra dove poteva portala a fare una corsa in santa pace. Faith tolse la chiave dall’accensione e sfilandosi il casco mentre scendeva si incamminò verso l’ingresso, il solito borsone nero portato negligentemente a tracolla.

La cacciatrice sapeva che giravano voci a proposito di quella borsa fra gli operativi.

Sul fatto che non se ne separava mai, che portava sempre quella in ogni missione, ed ogni volta che partiva od arrivava. Giravano varie ipotesi: che fosse un regalo del suo unico amore, tragicamente morto, l’unica cosa che le ricordasse di lui; oppure che fosse un cimelio preso a qualche avversario davvero difficile da uccidere, una volta fatto fuori; od anche che all’interno ci tenesse i soldi ed i gioielli che aveva rubato o guadagnato nel corso della sua professione.

La diffusione di quelle voci non interessava minimamente Faith.

Quelle storie non venivano mai ripetute in sua presenza, perché tutti gli operativi avevano un sano rispetto nei suoi confronti e gli osservatori erano praticamente terrorizzati da lei.

Del resto le battute sul contenuto del borsone non erano le peggiori che circolavano sul suo conto.

Sogghignò nuovamente al ricordo delle peggiori.

“Certa gente ha veramente una fantasia molto sviluppata e troppo tempo a sua disposizione.”

Faith era a pochi metri dall’ascensore quando le porte di aprirono e Jason ne uscì.

Il capo degli operativi si guardò intorno un attimo, come cercando qualcuno, ed appena la individuò nella penombra della rimessa e si diresse verso di lei. Faith si fermò, aspettandolo. “Strano comitato di accoglienza”.

Non che i due fossero in cattivi rapporti. Ma Jason non usciva mai dalla propria strada per una semplice visita di cortesia. La cacciatrice piegò appena la testa guardando attentamente il volto del capo degli operativi. Impassibile come sempre. Ma gli occhi si muovevano troppo velocemente e i muscoli della mascella erano serrati. Era nervoso per qualcosa.

-Buonasera Faith.

-‘Sera Jason.

In realtà erano in ottimi rapporti, per quanto due persone del genere lo potessero essere. Entrambi molto competitivi e decisamente letali, nessuno dei due lavorava bene come secondo. Avevano sempre evitato di battersi direttamente, anche in allenamento. Sapevano che la cosa sarebbe potuta andare a finire male. Non ci sarebbe voluto molto perché un tirato scontro di allenamento diventasse un combattimento all’ultimo sangue.

C’era altro oltre all’orgoglio in gioco, era quello che li fermava veramente.

Perdere non sarebbe convenuto a nessuno dei due, e considerando che entrambi non avevano un vero motivo per cercare di affermarsi sull’altro, si evitavano con accortezza, limitandosi a controllarsi indirettamente.

Il fatto che lei fosse ripetutamente sfuggita alle squadre di operativi inviate a cercarla non aiutava a calmare la situazione, fortunatamente nessuna di quelle operazioni, sia di addestramento che non,  era mai stata comandata o direttamente coordinata da Jason.

Faith sospettava che la cosa non fosse assolutamente casuale.

Del resto come capo degli operativi lui poteva scegliere se dirigere o meno un addestramento a sua discrezione.

Tra loro rimaneva quindi una vaga tensione che nasceva dalla voglia di pestarsi di santa ragione e finalmente decidere chi fosse il migliore, ma senza avere scomodi conti precedenti da saldare che la facessero diventare ostilità, come tra lei e Buffy ad esempio.

Non era un comportamento maturo. Sapevano anche quello. Non che la cosa li fermasse minimamente.

In un modo o nell’altro riuscivano a tenere la tensione appena sotto la superficie. Giusto quanto bastava per evitare che sfuggisse al loro controllo.

Ma tutti gli operativi la percepivano facilmente e Jason sapeva che da tempo c’erano scommesse su modalità e risultato del confronto. Immaginava lo sapesse anche la cacciatrice.

-Ti vorrei parlare.

La cacciatrice annuì. Lui non era il suo capo. Lo sapevano entrambi. Era stata la prima ed unica cosa che avevano chiarito quando erano rimasti soli una volta che Marlin e Travers li avevano presentati.

Faith gli aveva detto che non avrebbe mai accettato di prendere ordini diretti, ma che avrebbe rispettato la sua autorità senza metterla in discussione davanti agli altri. Il capo degli operativi aveva accettato le condizioni, sapendo che quella situazione era frutto solo delle manovre politiche dei due dirigenti e che loro come persone c’entravano ben poco nella faccenda. Erano due pedine.

Inoltre Jason sapeva benissimo che se avesse voluto Faith avrebbe potuto tranquillamente minare il suo potere. Il fatto che la cosa non le interessasse minimamente lo solleva.

La cacciatrice era forte, sicuramente più di lui, bella ed insolente, e sospettava in fondo che avesse un carattere da leader naturale. Non un avversario semplice da battere.

Così avevano deciso di collaborare, Jason sempre chiedendo e Faith evitando di fare domande.

-Vieni, andiamo in città.

Era una richiesta relativamente strana, il capo degli operativi non socializzava mai con i suoi collaboratori e Faith si chiese il motivo dell’invito. Jason non era il tipo da agire alla leggera.

Lo seguì mentre si allontanavano dagli ascensori, la sacca sempre sulle spalle.

-Sono arrivati tutti?

Chiese la bruna.

-Si, il posto è pieno di osservatori. –la voce di Jason era piana, ma si capiva che la cosa non lo rendeva entusiasta. –Raramente ne ho visti così tanti, anche alle precedenti riunioni plenarie. Gli ultimi sono arrivati un’ora fa circa, dal sud america. E’ un inferno per la sicurezza. In tutto ne saranno rimasti solo una ventina in giro per il mondo. Quelli che non potevano assolutamente fare a meno di sorvegliare la zona in cui si trovavano. Probabilmente ci saranno non poche crisi in cui dovremo intervenire all’ultimo minuto per scongiurare una catastrofe perché chi doveva controllare l’evolvere della situazione è qui a parlare.

La linea delle sue labbra era tirata. Forse era il lavoro straordinario che gli sarebbe toccato a seccarlo.

-Aria insopportabile?

-Decisamente. Si sono precipitati tutti qui. Hanno sentito l’odore di carogne e sono venuti a banchettare. –Jason si voltò a guardare Faith, che si limitò ad annuire. Non si aspettava altro dagli osservatori. –Non sapendo cosa fare nell’attesa vanno in giro diffondendo voci gli uni sugli altri, giocando a rimpiattino. Formano alleanze, ne disfano altre... Hanno preso d’assalto la sala mensa, è diventata una bolgia piena di voci basse in doppio petto e sguardi in tralice. E vederli così indaffarati a cercare un boccone di carne da addentare diventa noioso dopo i primi dieci minuti.

Ora aveva quasi un espressione nauseata. Sicuramente non aveva alcun rispetto per la maggior parte di quelli che si trovavano lì dentro.

-Me le immagino, cinquecento persone che si credono le migliori del mondo tutte chiuse in un solo palazzo. Deve essere uno spasso.

Faith aveva appena deciso che sarebbe direttamente andata in camera sua al rientro. Che parlassero pure a piacere, lei sarebbe apparsa soltanto all’inizio della riunione, quando sarebbe contato veramente.

Erano arrivati all’automobile di lui, un mercedes nero dai vetri antiproiettile. Probabilmente era anche corazzato, pensò Faith. Il capo degli operativi non le sembravi il tipo da rischiare. Jason l’aprì con il telecomando e le fece cenno di entrare. Due minuti dopo erano usciti dal Concilio.

-Che vento tira?

Chiese Faith nel silenzio dell’abitacolo, non c’era niente aria sul volto, niente rumore del motore. Sentì improvvisamente la voglia di essere di nuovo sulla sua moto. A parte il paesaggio che cambiava non sembrava neanche che si stessero muovendo. Non era sicura che le piacesse come sensazione.

-Ufficialmente?

-No, non mi interessa. –Le labbra di Faith si tirarono in una specie di sorriso. Non lo trovava poi così divertente. –Lascia che con i paroloni giochino quei bambolotti di pezza. Cosa sta succedendo veramente.

Jason annuì e decise di essere sincero. O di esserlo abbastanza. Questa non era una gita di piacere in fondo.

-Il castello di carte sta cominciando a crollare. –Fece un attimo di pausa mentre scalava marcia per fare una curva. –Hanno cominciato a tremare anche le fondamenta. Per la prima volta in secoli qualcuno ha deciso di non seguire più le regole. Non di piegarle un po’, ma proprio di ignorarle. E tutti se ne sono accorti. Omicidi, sparizioni misteriose… non che non fosse accaduto prima, al contrario, non è un evento affatto raro. Ma questa volta gli omicidi non sono stati altrettanto coperti, e Miller sta addirittura coprendo l’assenza ingiustificata di un dirigente. Apertamente contro le regole. Senza contare la presenza di una cacciatrice al Concilio… parlano tutti di te. I commenti spaziano…

-Fammi indovinare… -Interruppe Faith. -“l’assassina”, la “cacciatrice psicotica”, la “rinnegata”…

Jason annuì ed aggiunse con tono distaccato.

-…hai dimenticato la “traditrice”, la “giovane carnefice” ma anche la “ragazzina incapace” e la “poppante”.

Dal sedile del passeggero si levò un brontolio incredulo.

-Uno avrebbe almeno creduto che dopo averli traditi, congiurato per la distruzione di una città, battuto ripetutamente i loro squadroni della morte, ucciso decine di persone ed essere tornata a far parte del Concilio, almeno tutti sarebbero stati d’accordo sul fatto che non sono esattamente una bambina. –una scrollata di spalle. –Comunque la giovane carnefice mi piace. Ha un bel suono.

Faith era completamente rilassata nel sedile di pelle. Oramai si stava godendo il viaggio, aveva quasi sonno. In effetti viaggiare come passeggero in un’auto era parecchio rilassante.

-Dicono che tu stia preparando un golpe per prendere il potere utilizzando gli operativi ed obbligarli ad accettarti come primo osservatore. Dopo averne ammazzati un bel po’. –una pausa. -Hanno paura. Sono decenni che non hanno a che fare con una cacciatrice con della spina dorsale. Abbastanza sveglia da capire che il vero potere lo tengono loro.

Faith scoppiò a ridere nonostante si fosse sforzata di non farlo. Quando riprese abbastanza fiato mormorò qualche parola appena udibile scuotendo la testa.

-Che razza di idioti.

Jason non disse niente limitandosi ad osservarla attentamente. Stava cercando di capire quanto fosse sincera la reazione di Faith. Anche lei era una brava attrice, ma Jason non sapeva ancora quanto buona. Lo scopo della serata era proprio quello. Capire quanto delle reazioni della cacciatrice fossero solo una sceneggiata.

A lui serviva sapere esattamente dove Faith si sarebbe schierata in caso, e quanto di vero ci fosse nelle voci di golpe che giravano.

In realtà dubitava fortemente che la ragazza volesse guidare davvero una rivolta ma voleva sapere il perché e soprattutto quanto propensa fosse ad unirsi ad una qualsiasi sommossa.

Asciugandosi le lacrime che le erano uscite dagli occhi dal tanto ridere, Faith continuò.

-Erano secoli che non ridevo così. –fece un respiro profondo e tornò seria. –Sono una massa di idioti che non riescono neanche a capire dove si trova il loro avversario. Mi immagino quanto potranno essere in grado di combatterlo.

-Davvero?

Faith annuì convinta sistemandosi un po’ meglio sul sedile e socchiudendo gli occhi. Doveva essere il riscaldamento che la rendeva così insonnolita, il caldo le faceva sempre venire voglia di dormire.

-Davvero. Sono l’ultima arrivata ed hanno paura di me. Questo quando Miller è lontano dall’essere sconfitto, Travers e Marlin si preparano per questa occasione da anni e c’è almeno un’altra fazione di minoranza che per ora tiene un profilo basso. –Faith si girò a guardarlo senza fare movimenti bruschi. Sapeva istintivamente che Jason era pronto a reagire alla minima minaccia, anche se la loro conversazione era stata fino al momento del tutto civile. Semplicemente il capo degli operativi non si rilassava mai. “E dire che chiamano me paranoica.” –Delle quindici squadre di operativi forse quattro o cinque mi sosterrebbero. Le altre aspetterebbero di vedere da che parte ti schiereresti tu. Tutti gli agenti indipendenti mi guarderebbero con sospetto e si limiterebbero ad essere neutrali se non a combattermi apertamente. –Tornò a fissare la strada davanti a sé. –Dovrebbero temere te, non me. Chiunque sarebbe incerto a  sostenere una cacciatrice ex-rinnegata e molti di quelli contrari a me per un motivo o per un altro starebbero dalla tua parte.

Jason non rispose, continuando a guidare. Dopo qualche altro secondo di silenzio, notando l’assenza di risposta da parte del capo degli operativi, Faith riprese a parlare.

-Del resto il vero problema per noi sarebbe il dopo, no? Non potremmo mai occupare militarmente il Concilio per sempre. E tutti gli osservatori tramerebbero contro di noi. La nostra unica speranza sarebbe che le vari fazioni si ostacolassero a vicenda, troppo impegnati a pensare al dopo per conquistare il presente... Ma potrebbero anche essere abbastanza intelligenti da unirsi e rovesciarci. Troverebbero un qualche operativo che li sostenga, un nuovo capo della loro milizia personale… qualche scontro armato e sarebbe finita. Un dittatore deve essere accettato ad un qualche livello, tu ed io non lo saremmo mai.... –scrollò le spalle. –Un coltello nella schiena e la storia sarebbe finita.

Jason continuava a guidare in silenzio lasciando che fosse Faith a parlare.

-Ed ora ti dispiace spiegarmi perché mi hai fatto sprecare fiato per dire cose che sai benissimo?

Neanche Faith era stupida e sapeva perfettamente che Jason le aveva fatto quel tipo di domande per un motivo ben preciso.

La stava valutando, questo era chiaro, ma non sapeva esattamente per quale motivo.

-Volevo semplicemente vedere se le sapevi anche tu. –Una pausa, come per decidere quanto dire ancora. –Hai passato del tempo a rifletterci.

Faith sorrise tra il triste e l’indeciso.

-Non sono stupida Jason. E lo sai benissimo, altrimenti non staremmo facendo questa conversazione. Altrimenti sarei morta da un pezzo con qualche pallottola nel cranio in fondo a qualche vicolo buio.

Erano arrivati ad un pub della zona. Jason aveva fermato la macchina nel parcheggio quasi completo ed erano entrati in silenzio. Scelsero uno dei tavolini vuoti di comune accordo, senza scambiarsi una parola. Una volta arrivate le birre e la cena di Faith, ripresero a parlare.

-L’indagine interna sull’omicidio Dellah è conclusa. Ho raccolto prove a sufficienza per incastrare l’interno che aveva passato le informazioni al vampiro. Martedì l’ho ucciso. –Faith trovò interessante il fatto che Jason non disse “giustiziato”. –La versione ufficiale sarà che lui era l’unico collaboratore del vampiro, l’organizzatore di un attentato isolato allo scopo di intimidirti.

Faith annuì, senza particolare significato.

-Hai trovato tracce che portavano al vampiro stesso?

Jason scosse la testa.

-Nessuna. La tua idea è buona quanto un’altra. Ho controllato, nessun altro caso sospetto nella regione, o nel Concilio. Né persone scomparse né omicidi. E Spike è scomparso dalla circolazione da mesi. Non che questo significhi necessariamente qualcosa.

Non era raro che i vampiri sparissero senza lasciare tracce. Alcuni di loro riuscivano facilmente ad eludere la sorveglianza del Concilio per decenni interi.

-Non ne ho trovata nessuna neanche io. –Non aveva smesso di cercarle, neanche dopo la conversazione con Angel. Aveva promesso di non dare la caccia a Spike in fondo, non di non cercare di capire per conto di chi lavorasse. I risultati non avevano portato a nulla di conclusivo. –Tutti i miei informatori non ne sanno niente. –Jason annuì, aveva immaginato che anche Faith avrebbe fatto una sua indagine. –Quante sono le possibilità che sia un’idea partita dall’interno?

Il capo degli operativi si prese un attimo prima di rispondere. Non sapeva quanto dire.

-Alte. Non sarebbe la prima volta che fanno fuori qualcuno. E l’obbiettivo sei tu.

-Pensi si tratti di qualcuno degli idioti del golpe?

Jason scosse la testa, convinto.

-Idioti con troppo poco cervello e coraggio per organizzare la cosa. –Fece una pausa. Voleva che Faith capisse la serietà delle sue prossime parole. –La prossima volta è probabile che mirino direttamente a te.

Con sua sorpresa Faith non sembrava poi così turbata dalla cosa. Interessata, quello si, vagamente seccata, anche, ma no, non spaventata. Non si sarebbe mai aspettato che fosse terrorizzata dalla notizia, ma impaurita si, quello si. Jason la studiò meglio, concentrandosi sui particolari della sua figura.

Le mani erano ferme e rilassate come le spalle, il respiro regolare. Nella penombra non riusciva a vedere gli occhi. Non sembrava una persona che stesse nascondendo del nervosismo.

Prima di parlare la cacciatrice finì di masticare il boccone, con calma, pensando.

-Quanto in alto possono essere gli organizzatori?

-Abbastanza da impedire qualsiasi ulteriore ricerca da parte mia, e da nascondere qualsiasi prova. –Jason si sentì improvvisamente gli occhi di lei addosso, come se solo ora avesse la sua completa attenzione. –Non esiste alcun collegamento. Ho cercato.

Faith continuò a mangiare in silenzio per qualche altro minuto.

Jason non aveva trovato alcun indizio concreto, soltanto dato conferma ai suoi sospetti.

E più in alto di Jason si trovavano solo dirigenti e primo osservatore. E lei non aveva alcun amico fra loro. Inutile stare a pensarci ancora, non che poi avesse così tante opzioni tra cui scegliere. Avrebbe continuato per la sua strada facendo la massima attenzione. I suoi canali di informazione l’avevano portata a niente e quelli di Jason ugualmente.

Od almeno così le aveva detto. Anche se Faith non era a conoscenza di un motivo per cui Jason potesse volerla ingannare, non poteva essere sicura che le stesse dicendo la verità.

“Ah, la gioia di far parte di un’organizzazione con più supposti segreti che ani alle spalle.”

Dopo queste notizie non rimaneva molto altro Faith che potesse fare. “Affidarmi ad un vampiro…”.

Il pensiero non la rendeva felice.

-Perché mi aiuti?

Faith si stava attentamente pulendo con il tovagliolo. “…ed affidarmi ad un agente del Concilio… non la mano migliore che mi sono mai trovata a giocare… Quanto di quello che ha detto è solo un’esca?”.

Appena Jason cominciò a parlare fu la sua volta di concentrarsi sull’interlocutore per spiarne il linguaggio corporeo. E sul capo degli operativi aveva il vantaggio di vedere perfettamente al buio.

-Non sei un pericolo per me. –Faith doveva ammettere che Jason aveva dei begli occhi. Ma erano completamente freddi ed inespressivi. Molte donne sarebbe cascate nella trappola del bello e tenebroso, non avendo la minimo idea in quale situazione si stessero in realtà cacciando. “Stupide”. –Non hai intenzione di distruggere il Concilio né di uccidere i miei uomini, inoltre non hai mai voluto occupare il mio posto, altrimenti ci avresti provato già da tempo. –Faith alzò il boccale di birra, concentrandosi sull’intera postura dell’uomo di fronte a sé piuttosto che sui particolari. –Quindi non ho nulla contro di te e nulla da temere. E la tua collaborazione si è dimostrata decisamente utile. –Una pausa. L’istinto di Faith le diceva che quello di fronte a lei era un potenziale pericolo, non un amico. E lei dava sempre ascolto al suo istinto. L’aveva salvata troppe volte per non farlo. –Non è tutto. La settimana scorsa è morto anche Gillison. Un incidente stradale, la cui dinamica non è chiara. Lo abbiamo saputo quasi una settimana fa.

-Un incidente?

Il tono era scettico.

-Non ci sono prove del contrario.

Faith sorseggiò un po’ la birra imitata dall’altro. C’era poco altro da dire sull’argomento. La bruna decise di andare a caccia di un po’ di informazioni.

-Di Travers se ne sa niente?

-No, nessuno lo ha visto. –Jason poggiò il boccale vuoto sul tavolo studiandolo attentamente con le dita per qualche secondo, prima di alzare gli occhi per incrociare lo sguardo di Faith. Era un uomo attraente, il fisico scultoreo ed un bel sorriso quando voleva, soprattutto con quella sua aria da bello e dannato. Ricco di quel mistero che molte donne trovavano irresistibile. La cacciatrice lo ammetteva, era affascinante. Ma si guardava bene anche solo dall’avvicinarglisi, l’idea di lasciarsi sedurre ed avere una storia con lui non la sfiorava nemmeno. Primo, lei non aveva nessuna voglia di avere una storia di qualsiasi genere. Secondo, trovava molto stupido cercare di avere un rapporto con qualcuno proprio perché quel qualcuno non voleva avere un rapporto. –Faith, sono quindici anni che lavoro lì dentro e non sono mai arrivati a questo punto, neanche al precedente cambio della guardia. I dirigenti sono sempre stati intoccabili. Se loro non lo sono più, non lo è più nessuno. –Rimase in silenzio per un attimo. Questa sera, con uno sguardo più dolce ed un mezzo sorriso, intento nell’avvisarla da amico non sembrava pericoloso e proprio per quello lo era molto di più. Cercava un contatto. –Se vuoi un consiglio, trova un modo e vattene. Potrebbe crollarti tutto sulla testa.

Anche Faith sorrise piacevolmente.

-Potrebbe accaderti la stessa cosa.

Replicò la bruna senza perdere un colpo.

-Prima dovrei trovarmi sotto quel tetto.

Jason sorrise freddamente.

 

 

 

 

Inghilterra, Londra. Mercoledì 19.

 

 

 

La musica che si diffondeva discretamente nella sala del piano bar era jazz d’autore. Buona parte degli investitori della city si ritrovava lì dopo le estenuanti giornate passate o alla borsa o nelle banche trattando ingenti somme di denaro che spesso non erano neppure loro. Costituivano una folla multicolore anche se distribuita soltanto nella gamma dei colori classici, dal beige-crema al blu-nero. Avevano indosso gli eleganti e professionali abiti con cui andavano a lavoro ogni mattina, ma qui i nodi alle cravatte erano allentati, uno od due bottoni slacciati le giacche tenute sugli schienali delle sedie o appoggiate su altri sgabelli. Ovviamente non si trovavano lì solo per divertimento, molti concludevano affari in quel locale, ma il codice di abbigliamento rimaneva lo stesso, che stessero lavorando o meno.

Lì tutti conoscevano Marlin, tempo addietro era stata una cliente abituale del locale.

I più anziani la conoscevano per esperienza diretta, quanto agli altri, sebbene si fosse ritirata da dieci anni dal diretto controllo dei propri affari, sapevano esattamente chi era. E la sua fama di squalo della finanza la precedeva ovunque. Trasmessa ed amplificata da quanto raccontava chi l’aveva conosciuta. Del resto, il suo era un volto che si vedeva ancora spesso nei loro ambienti. Semplicemente la sua non era più la presenza costante, qualcuno l’aveva definita onnipresenza, che era stata anni prima.

Che avesse affidato gli investimenti del suo patrimonio in mani non sue non significava che lei non lo gestisse. I manager e i broker alle sue dipendenze erano famosi per tre cose: le loro giornate di lavoro di venticinque ore; l’ammontare del loro stipendio e la loro onestà; perché nessuno sano di mente avrebbe mai tentato di truffare quella donna. Praticamente era stata lei a scrivere il libro sui trucchi del mesterei, su come far apparire o sparire somme principesche, per evitare grane con il fisco o bancarotte. Aveva tanti agganci e persone che le dovevano un favore, o molti, che con un battito di ciglia avrebbe potuto rovinare te, la tua famiglia e i tuoi amici.

E non erano vuote minacce.

Lo aveva fatto. Un suo avversario non aveva preso bene una sconfitta, la perdita di un appalto statale. Ed aveva commesso l’errore di minacciarla. Lì, in quello stesso locale, a quello stesso tavolo dove sedeva ora.

Quell’uomo, creduto anche lui un affarista senza scrupoli, qualcuno sosteneva anche che fosse agganciato con la malavita locale, meno di un anno dopo, si era ritrovato sul lastrico. Misteriosamente i suoi tre migliori clienti avevano rescisso i contratti che avevano con lui, uno pagando anche un’ingente somma di penalità per farlo. Cinque cause di molestie sessuali sul luogo di lavoro erano state intentate contro la sua società. Le prove presentate del tutto inattaccabili i giudizi tutti in suo sfavore. I risarcimenti avevano avuto molti zeri. L’ufficio delle imposte lo aveva tenuto sotto controllo per via di una denuncia anonima che poi era stata riscontrata come esatta.

 La sua ditta aveva fallito e lui venne incriminato per frode fiscale. Dopo aver patteggiato, aveva scontato tre anni di galera. Nessuno ne sapeva niente da allora.

Magdalene sedeva, sorseggiando un aperitivo. Stava aspettando Harry Gilbert, il dirigente bancario che si occupava della gestione di alcuni suoi conti. Lo vide entrare nel locale, spiccava facilmente tra la folla con i suoi due metri d’altezza. Decisamente più alto della media dei presenti.

Si sedé di fronte a lei, togliendosi la giacca già sbottonata e sistemandola sullo schienale prima di accomodarsi.

-Buonasera Miss Marlin.

La salutò con un mezzo sorriso. Non era certamente la cliente più facile da avere, ma sicuramente portava con sé abbastanza denaro per ignorare la cosa.

-Buonasera, Harry.

Il cameriere si avvicinò per portare il solito drink a Gilbert, anche lui era uno degli habituè del locale. Ringraziando con un cenno del capo, l’uomo cominciò subito a sorseggiare il liquido ambrato nel suo bicchiere. Era stata una giornata piuttosto lunga ed aveva voglia di rilassarsi-

-Hai le informazioni che ti ho chiesto?

Esordì Magdalene, come sempre diretta e concisa.

Era stato più che difficile. Illegale prima di tutto. Lungo e laborioso in secondo luogo. C’erano volute due settimane di intenso lavoro per procurarsi quanto chiesto. E considerando quanto valeva il suo tempo era stato un investimento non da poco.

Per riuscire a farlo era anche stato costretto a contrarre alcuni debiti oltre che a riscuotere i diversi crediti che aveva accumulato negli anni. Ed una delle cose che Harry odiava di più era proprio trovarsi in debito con qualcuno. Ma per poter fare un favore del genere a Magdalene ne era valsa la pena.

Erano le persone come le i che facevano la fortuna di individui come lui.

-Si, è stato difficile, ma ce le ho.

Le passò un foglio piegato.

Marlin lo aprì e lo lesse in fretta. Riguardava  movimenti di uno dei conti cifrati di Travers. Uno dei due che aveva. Il rendiconto dell’altro l’aveva già ottenuto attraverso altri canali. Oramai Travers non poteva più prelevare un centesimo senza che lei lo venisse a sapere Avere quelle informazioni era illegale, e passibile di persecuzione penale, il che non l’aveva fermata per un attimo, o le aveva impedito di ottenerle.

Non era certo la prima cosa illegale che avesse mai fatto né di gran lunga la più “grave”.

“Sempre che non abbiano abrogato l’omicidio come reato e nessuno mi abbia informata.”

Gli ultimi due prelievi, uno del dodici e uno del sedici, erano stati effettuati da filiali in Inghilterra, allo sportello, dall’intestatario del conto. Per essere più precisi il primo era stato fatto a Londra il secondo da York, entrambi dall’importo piuttosto consistente. Dal sedici in poi non c’erano stati più prelievi.

Così ora Magdalene aveva la conferma che Travers era rientrato in Inghilterra. Per quale motivo e dove si trovasse ora, era ancora un mistero. Uno che avrebbe dovuto essere risolto. Ed in fretta. E per farlo Magdalene avrebbe dovuto cercare altri contatti, questi rendiconto bancari erano il massimo che poteva ottenere dai suoi amici del mondo della finanza. Si sarebbe dovuta rivolgere ad altre persone. Fortunatamente sapeva già a chi.

-Perfetto. Il bonus ti sarà accreditato a tempo debito. –Harry sorrise apertamente a quelle parole. Sapeva per esperienza personale, avendone pagati alcuni, quanto Marlin intendesse per bonus. Informami immediatamente in caso di nuove operazioni.

-Come vuole.

Disse Gilbert una volta finito il proprio drink.

Notando il bicchiere vuoto di Harry, Magdalene prese il soprabito dalla sedia e si alzò, imitata dall’uomo.

-Ed ora, qualche preferenza su dove andare a cenare? Dobbiamo ancora discutere di affari.

 

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli osservatori. Giovedì 20.

 

 

 

Sheridan si fermò appena superate le imponenti porte di noce intarsiato. Gettò una rapida occhiata all’immenso salone, vasto abbastanza da contenere un campo da calcio, attrezzato con gradinate digradanti attorno a tre delle pareti ed un enorme tavolo rettangolare al centro.

Del resto quella sala era stata costruita per accogliere qualcosa come cinquecento persone, anche se al momento non ne erano presenti più di una ventina. Era quello che veniva definito il cuore del Concilio degli Osservatori. In realtà oggi era solo un simbolo.

Con l’andare dei secoli i poteri dell’assemblea erano lentamente ma inesorabilmente diminuiti. Prima aveva il compito di eleggere dirigenti e tra loro scegliere il Primo Osservatore. Quella prerogativa gli era stata tolta intorno al quattordicesimo secolo. Aveva avuto il poterei appuntare l’Osservatore della cacciatrice, cioè di avere il controllo di chi poteva divenire Osservatore Anziano. Quello gli era stato tolto nel sedicesimo secolo.

Oramai non gli rimanevano che pochi poteri, la maggior parte dei quali erano di semplice controllo od addirittura solo formali. Oggi nessuna delle vere decisioni veniva presa lì, soprattutto non con così tanti presenti.

L’unico vero potere che gli era rimasto era l’elezione dei dirigenti.

Tra candidati già decisi dai dirigenti già in carica.

“Bene, sono tra i primi.”

Quella di oggi era una giornata estremamente importante. Molto degli equilibri e dei rapporti di potere dei prossimi anni si sarebbe deciso qui, proprio a questa riunione plenaria. E lui voleva essere presente fin dall’inizio, pronto a vedere finalmente uno scontro tra titani come Miller e Marlin.

“Peccato solo per l’assenza di Travers.”

Altrimenti avrebbero veramente assistito ad uno scontro epico.

Senza degnare di una sola occhiata i tre o quattro uomini seduti sulle gradinate vicine all’ingresso, semplici osservatori, probabilmente appena usciti dall’addestramento a giudicare dalle facce innocenti, Sheridan si diresse verso l’estremità del tavolo più vicina, dove si erano già radunati una decina di Osservatori Anziani. Erano intenti a parlottare tra loro, un po’ più animatamente del solito a dire il vero.

Sheridan salutò con un cenno del capo e qualche parola cordiale i colleghi che superava, tra Osservatori Anziani ci si conosceva a vicenda, fosse anche solo di nome. L’ultimo arrivato si fermò a scambiare due parole con Morgan, il responsabile delle risorse umane, suo diretto superiore.

-Kirk, ti porterò il rapporto sulle ombre dell’Oceania lunedì.

-Perfetto Sheridan, non ti preoccupare, non sei in ritardo, sono un po’ indietro e sto ancora finendo i conteggi semestrali per l’Africa, non sono ancora arrivato all’Oceania, la lascio sempre per ultima.

Replicò Morgan sorridendo leggermente.

-D’accordo, ci vediamo dopo la riunione? Penso di doverti uno sherry per la cortesia.

Disse Sheridan salutando Kirk e proseguando fino ad arrivare al posto riservatogli da Joandra e Dwayne, due suoi cari amici dai tempi dell’accademia. In un modo o nell’altro loro tre erano andati avanti assieme nella scala gerarchica del Concilio, a volte giocando sporco per accaparrarsi quanto serviva, facendo trapelare informazioni che sarebbero dovute rimanere segrete per aiutarsi ad ottenere qualcosa, sabotando altri per eliminare la concorrenza.

Era stato così che erano riusciti a diventare Osservatori Anziani nonostante nessuno di loro riuscisse a spiccare in alcun modo in una folla; avevano sopperito alla loro mancanza di capacità personali unendosi ed a volte ignorando le regole che tutti gli altri seguivano pedissequamente.

Questo era quanto erano riusciti a tirare fuori da carte mediocri che gli erano state servite e Sheridan sapeva che non sarebbero andati più in là nella loro carriera. I loro non brillantissimi esami di fine corso all’accademia, i non splendidi primi incarichi che erano seguiti, il non avere famiglie altamente blasonate dietro di sé, il modesto lavoro che ognuno aveva fatto con la propria cacciatrice, tutte e tre definite di “transizione”, tutto pesava alla fine nell’impedire che potessero sognare di diventare dirigenti.

Il metodo stesso di elezione gli dava poche speranze.

Erano gli osservatori giovani a scegliere i dirigenti tra i vari candidati loro proposti ed erano quei risultati che prendevano in considerazione per decidere chi votare. Difficilmente qualcuno con una pessima esperienza come responsabile della cacciatrice veniva scelto come dirigente.

La stessa Marlin era riuscita a farsi eleggere solo grazie al suo carisma personale, all’ineguagliabile lavoro fatto come analista e responsabile economico della regione russa, oltre alla fama secolare della sua famiglia. Quanto accaduto alla sua cacciatrice aveva deposto in maniera orrenda contro di lei, era stato il pettegolezzo del giorno per anni interi, alimentato magistralmente dai suoi nemici appena accennava a spegnersi.

La sua situazione, quella in cui la propria cacciatrice veniva giudicata “inabile” era l’incubo peggiore di un osservatore. Dopo una cosa del genere era praticamente impossibile essere eletti come dirigenti a meno di avere il sostegno dell’Osservatore Anziano mandato a giudicare la cacciatrice.

La decisone di Marlin di contrastare l’opinione del proprio supervisore, quando Travers l’aveva assolta da qualsiasi responsabilità riguardo l’incapacità della cacciatrice, non era stato altro che un suicidio dal punto di vista della carriera.

Quando lo avevano saputo la maggior parte degli Osservatori aveva scosso la testa, qualcuno con un mezzo sorriso sulle labbra.

Magdalene era riuscita a trasformarla in una vittoria.

Le ci erano voluti anni, ma c’era riuscita.

La cosa lasciava molti ancora stupiti. Certo, il suo contrastare Travers apertamente le aveva portato le simpatie di qualcuno, ma non del blocco conservatore del concilio.

Sheridan si accomodò sulla sedia che i suoi due amici avevano tenuto per lui, non proprio all’estremità opposta del tavolo rispetto al Primo Osservatore ma neanche vicino alla parte del tavolo riservata ai dirigenti, anche se i posti non erano assegnati si tendeva ad accomodarsi per anzianità e prestigio.

-Allora Dwayne, saputo qualcosa di nuovo?

Chiese Sheridan accomodandosi.

Quello che all’accademia era sempre stato il ragazzo smilzo che conosceva tutti i pettegolezzi, spesso prima ancora dei diretti interessati, era diventato un uomo in soprappeso che continuava a sapere tutte le ultime novità. Hillting si passò una mano fra i radi capelli che aveva prima di parlare.

-Si, pare che Giles sia arrivato. Sembra proprio che Marlin ne voglia utilizzare il voto speciale per decidere i candidati al ruolo di dirigenti.

Sheridan annuì. Era tra i privilegi dell’osservatore della cacciatrice votare come un dirigente per l’approvazione dei candidati alla carica, un privilegio che a lui non era mai capitato di esercitare. Un’altra regola del Concilio stabiliva che, soltanto per candidarsi, un Osservatore Anziano doveva avere l’approvazione della maggioranza dei suoi futuri colleghi.

A volte Sheridan aveva l’impressione che le regole del Concilio fossero infinite.

Inutile negarlo, era profondamente geloso di Giles. Lo aveva conosciuto all’accademia e non gli aveva fatto affatto una buona impressione, era un mediocre, proprio come loro. Non particolarmente intelligente, non particolarmente determinato. Ma aveva avuto alle spalle una famiglia. Come quell’idiota di Whindam-Price. Sapere che era diventato l’Osservatore della cacciatrice più longeva della storia, che era stato capace di far alzare non pochi sopraccigli stupiti in certi ambienti, lo mandava veramente in bestia.

Non era stato per merito che gli avevano assegnato la Summers e non una di quelle cacciatrici di “transizione”, era stato perché era un Giles. Non che il Concilio fosse chiuso ai non appartenenti alle famiglie storiche. Semplicemente non era aperto.

-E’ una mossa inutile.

Era stata Joandra a parlare.

Sheridan si voltò a guardarla, sorpreso. Non era abitudine della minuta donna bionda commentare così apertamente una notizia, dando la sua opinione senza che altri avessero chiesto prima. Generalmente la si doveva pregare solo per dire si o no a qualcosa. La parola taciturno acquisiva una nuova definizione se applicata a lei.

-Perché?

Chiese Sheridan sorpreso ed incuriosito.

-Non avrà la maggioranza comunque in questo modo.

Dwayne la guardò un po’ accigliato.

-Stai scherzando spero. Con lui e Brightman, Marlin avrà quattro voti contro tre, quattro considerando il valore doppio di quello di Miller. –Sorrise perplesso. Con i suoi amici ed altri osservatori anziani aveva fatto una scommessa qualche giorno prima. E lui, assieme a Joandra, che si era giocata non poco, aveva puntato su Marlin vincente in questo scontro. Non capiva il disfattismo della donna. Avevano fatto una scommessa sicura, ne era certo. -E’ una mossa geniale.

-Brightman verrà fatto fuori prima di raggiungere la votazione stessa.

Dwayne perse il sorriso mentre Sheridan sembrava improvvisamente pensoso.

-Hai ragione, è sotto inchiesta.

A volte l’uomo si chiedeva come mai Joandra non avesse fatto più carriera di loro due. Di certo era più intelligente ed astuta, lavorava duro e con una determinazione estrema. Se si metteva in testa di fare qualcosa era una forza ragguardevole da fermare.

Adesso come adesso sarebbe almeno dovuto essere supervisore capo del reparto di cui si occupava ed una dei possibili candidati alle poltrone di dirigente. Invece era supervisore di una delle sottosezioni del proprio dipartimento, e neanche di una delle più ambite.

Sheridan avrebbe tanto voluto sapere se non aveva fatto carriera perché aveva fatto qualcosa di troppo grosso per essere ignorato o semplicemente per sfortuna. La donna era un’analista e per un periodo aveva lavorato sotto la supervisione diretta di Marlin. Se avesse voluto avrebbe potuto farsi notare dalla futura dirigente. Aveva le carte in regola per farlo.

Ma Joandra non era il tipo di donna che rispondeva ad interrogativi simili per quanto fossero curiosi o per quanto si accanissero i suoi amici. E nonostante la conoscesse da trent’anni la metà delle volte Sheridan non riusciva ancora a capire il suo atteggiamento.

Rimasero in silenzio per qualche istante, osservando come la sala si stesse riempiendo velocemente. La riunione vera e propria sarebbe cominciata in mezz’ora, ma, dalle porte spalancate, entrava un flusso di persone quasi ininterrotto. Gruppi di tre o quattro, od osservatori da soli, entravano e prendevano posto sui vari ordini di scalinate.

Era uno spettacolo imponente vedere quei sedili vuoti riempirsi piano piano fino a quando un intero mare di persone era seduto lì nel salone, gli occhi rivolti verso il tavolo dove loro sedevano, perché era lì che le persone importanti si sarebbero trovate.

Solo gli Osservatori Anziani e i dirigenti avevano il diritto di sedere a quel tavolo, e la cosa rendeva fiero Sheridan.

“Ci sono arrivato, alla fine ci sono arrivato.”

Mano a mano che arrivavano gli altri Osservatori Anziani e si accomodavano più o meno vicino a lui, Sheridan li salutava, continuando a parlare del più e del meno con Joandra e Dwayne e godendo appieno della soddisfazione di sapere di essere finalmente arrivato.

Era un qualcosa di veramente unico.

Scambiò uno sguardo veloce con Dwayne, quando, qualche minuto dopo Brightman, entrò nella gigantesca sala.

“Joandra aveva ragione.”

Quello che era stato un temuto e rispettato dirigente ora era solo uno sconfitto in attesa del verdetto. Non era nulla di troppo evidente ma neppure qualcosa che un occhio esperto potesse perdere.

Per prima cosa nessuno degli Osservatori Anziani si avvicinò per salutarlo, qualcuno gli fece un cenno del capo, pochi gli rivolsero qualche parola mentre li superava, la maggior parte lo guardava, come si guarda la bestia più debole del branco, la prossima che sai che cadrà.

Il suo stesso portamento era cambiato. Niente più potere, niente più sicurezza di sé. Era un uomo evidentemente sconfitto. A fermarsi a pensare che quanto stava accadendo a lui sarebbe potuto accadere a chiunque altro di loro la cosa diventava veramente deprimente.

Sheridan continuò a studiare il dirigente, evitando di immedesimarsi. Non aveva alcun senso farlo, non era toccato a lui.

Era ovvio da come si muoveva e da come agiva che a Brightman rimanevano solo un impeccabile autocontrollo e la dignità.

Sheridan era sicuro che l’uomo avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per non perdere almeno questi ultimi due.

-Così pare che alla fine Miller avrà la maggioranza. Il suo voto vale doppio.

Disse Sheridan, oramai completamente convinto di quanto avesse detto la donna all’inizio.

-Non è ancora detto. –Ancora una volta Joandra aveva parlato senza essere stata prima coinvolta nella conversazione. Questo inusuale comportamento stava cominciando a spaventare Dwayne. Se la situazione poteva influenzare a quel modo qualcuno di indifferente come Joandra cosa poteva fare agli altri? –Probabilmente Marlin sarà riuscita ad accaparrarsi un miracolo per spuntarla oggi.

Lo disse con un mezzo sorrisetto sulle labbra mentre si appoggiava più comodamente contro lo schienale della sua sedia come per godersi uno spettacolo che stava per cominciare.

Per la prima volta Sheridan si chiese perché quella donna non avesse voluto fare carriera.

 

 

 

Circa dieci minuti prima dell’inizio ufficiale della riunione entrarono nel salone anche Marlin e Kroskj, fianco a fianco, le loro falcate lunghe e decise come se fossero i padroni del Concilio. Erano tanto intenti a parlare tra loro, da rivolgere solo cenni distratti della testa a chi superavano, non un comportamento inusuale per loro.

All’ingresso del dirigente russo l’intero auditorio sembrò rasserenarsi. Il volume delle voci diminuì un po’, molti degli osservatori si sentirono improvvisamente meno nervosi, meno spaventati da cosa li attendeva, nonostante la compagnia inquietante che l’uomo teneva. Molti erano convinti che se il russo era così tranquillo non c’era nulla di cui preoccuparsi, il fatto poi che anche Marlin si stesse comportando come se non avesse una sola preoccupazione al mondo rafforzava questa sensazione. 

Questo ebbe l’effetto di rilassare molti tra i presenti. Del resto molti osservatori erano convinti che se i due dirigenti stavano ridendo, non poteva star per accadere qualcosa di irreparabile.

Kroskj aveva quell’effetto all’interno del Concilio.

Tra tutti i dirigenti era il più accessibile, non si prendeva mai troppo sul serio ed anche come persona era uno degli uomini più spiritosi che avesse mai calcato i pavimenti di quegli immensi saloni. Aveva la capacità di far ridere tutti, Marlin compresa. Il che gli aveva procurato una grande popolarità tra gli osservatori più giovani e anche tra molti di quelli anziani.

Anche adesso i due entrarono con due mezzi sorrisi sulle loro labbra.

Infatti, nonostante la tensione dell’assemblea, l’importanza di quanto stava per venire discusso, Kroskj e Marlin sembravano rilassati, addirittura divertiti da qualcosa.

C’erano due cose che l’intera platea non sapeva e neanche immaginava possibile, cose che avrebbero fatto cambiare radicalmente l’idea che si erano appena fatti: la prima era che la battuta per la quale i due stavano ridendo, l’aveva fatta Marlin e non Kroskj; la seconda e ben più importante, era che entrambi avevano abbastanza sangue freddo da essere capaci di ridere anche un attimo prima della loro esecuzione annunciata se trovavano divertente qualcosa.

-Un giorno mi dovrai dire come fai ad avere un effetto simile su una platea.

Disse Marlin riferendosi alla reazione generale al loro ingresso, sapendo perfettamente che non era la sua presenza a dare quell’effetto. Generalmente quando entrava lei sembrava che la sala, e chiunque vi si trovasse al momento, congelasse improvvisamente. Non un rumore troppo forte, non un gesto avventato che avrebbe potuto attirare l’attenzione della dirigente. A dire la verità Marlin sospettava che alcuni trattenessero anche il respiro.

-Esattamente come te. Solo che tu ti diverti a terrorizzarli. E quello che fai tu è molto più facile, credimi. –Replicò lui, ancora con un mezzo sorriso sulle labbra. –Ma dovevo mostrare in qualche modo di essere migliore di te, no?

Marlin sorrise alla battuta, scuotendo leggermente la testa, stupita per l’ennesima volta di fronte alla reazione che tutti avevano sempre alla presenza di Kroskj.

“Se soltanto sapessero un decimo di quello di cui è capace e di cui io sono stata testimone andrebbero tutti a correre nell’angolo più lontano da lui, cercando di non farsi vedere.”

Quando raggiunsero il tavolo i due si separarono momentaneamente, rivolgendosi un cenno del capo come saluto. Avevano del lavoro da fare ora. Kroskj si fermò a parlare con alcuni Osservatori Anziani, possibili candidati a dirigente, e Marlin andò verso Brightman. Fu una delle poche quel giorno a fermarsi a parlare con lui. Gli porse la mano e gliela strinse amichevolmente.

-Voterò a tuo favore.

Lo informò. L’uomo quasi sorrise alle sue parole.

-Grazie, anche se non servirà a nulla.

Lo disse sinceramente grato che almeno qualcuno non si fosse già dimenticato di lui. Di certo i suoi presunti amici si stavano tenendo alla larga da lui al momento. Marlin annuì.

-Lo so. –La donna non si prese la briga di nascondere che la sua era una posizione indifendibile. –Mi dispiace, con un po’ di fortuna le cose sarebbero potute andare diversamente.

Brightman annuì a sua volta. Se Travers o Gillison fossero stati presenti oggi le cose forse sarebbero andate diversamente. Ma non era stato così.

-Mi godrò una pensione anticipata.

Replicò con un sorriso tirato. Era finito e lo sapeva. Non poteva fare nulla per evitarlo. Gli rimaneva solo la possibilità di uscire di scena con un minimo di onore.

-E’ stato un piacere averti come collega.

In effetti tra gli altri dirigenti Brightman era uno di quelli che Marlin stimava di più. L’uomo era il rappresentante di una corrente indipendente molto forte. L’unico sopravvissuto dell’era precedente a Miller, era riuscito a superare brillantemente il cambio di potere, senza perdere l’imparzialità per cui si era sempre distinto. Da sempre non votava per alleanze ma mozione per mozione secondo quanto ritenesse giusto fare per il benessere del concilio. Era uno dei pochi a cui non si sarebbe potuta dare l’etichetta di conservatore o moderato, i due schieramenti in cui si divedevano gli Osservatori. Marlin era un’altra, anche se per arrivare al potere si era alleata con Miller, capo storico dei conservatori.

 In un posto in cui l’affiliazione ad una delle due parti segnava quasi per la vita, oppure faide e collusioni dettavano le scelte, era dire molto.

Marlin si allontanò da lui dopo avergli stretto la mano un’altra volta. Salutò diversi osservatori Anziani prima di andarsi a sedere, direttamente alla sinistra della poltrona del Primo Osservatore. Un paio di posti più giù si trovava Kroskj.

Di rimpetto a loro sedevano Dougan, Duville e Brightman, diversi posti vuoti anche tra di loro. Delle normali dodici persone che avevano diritto di sedere in quella che veniva considerata la parte alta del tavolo quest’oggi ne sarebbero state presenti solo sette.

Le assenze si facevano sentire.

Dei dieci posti riservati ai dirigenti solo cinque erano stati occupati.

Marlin guardò con rimpianto alla sedia vuota lasciata per Gillison.

“La mia carta vincente.”

Peccato l’avesse persa.

“…o me l’abbiano tolta.”

L’avevano derubata della vittoria quando era ad un solo passo dal raggiungerla. Con Gillison dalla sua parte ed una temporanea alleanza con Brightman, Marlin avrebbe avuto il potere di decidere la totalità dei candidati alla dirigenza.

E la cosa non le piaceva affatto.

“Ma non mi hanno ancora sconfitto.”

Magdalene si limitò a lanciare un’occhiata distratta al sedile vuoto evitando accuratamente di mostrare qualsiasi segno di rabbia. Non strinse i denti, le sue labbra non si tirarono, le sue mani non si strinsero. Non sembrava che le importasse della perdita di Gillison. Ed anche se era vero che non lo rimpiangeva come persona, di certo non era suo amico, né lo stimava quanto Brightman, la sua scomparsa le aveva creato non pochi problemi.

Con lo sguardo superò la sedia vuota e continuò ad osservare i presenti per giudicarne le emozioni. Era evidente che in molti erano preoccupati da quanto stava per accadere, non che lei gli desse torto. Altri erano semplicemente ansiosi di sapere se avrebbero guadagnato qualcosa da questa assemblea o meno. Altri che Marlin non si sentiva di criticare.

Negli ultimi minuti la sala si era completamente riempita, mancavano solo una manciata di ritardatari oltre al Primo Osservatore. L’ansia ed il nervosismo erano palpabili assieme all’eccitazione di molti di partecipare per la prima volta ad una riunione plenaria, questi ultimi erano affascinati e quasi messi in soggezione dalla presenza di così tante persone “importanti” nella sala.

Alla spicciolata gli ultimi ritardatari si accomodarono al tavolo, tra di loro si trovavano anche gli ultimi due dei dodici.

“Sembra che alla fine si siano decisi a degnarci della loro presenza.”

Salutò il primo, Jason, con un cenno del capo. Non avevano mai avuto grandi rapporti e le cose non erano cambiate, neanche dopo la loro collaborazione forzata riguardo al caso di omicidio di un operativo. Era presente come capo degli operativi, e sarebbe stato anche l’unico non-osservatore ad assistere alla riunione. Anni prima il suo posto sarebbe stato occupato dalla guardia del corpo personale del Primo Osservatore. C’era stato un periodo, secoli prima, in cui le Assemblee del Concilio erano decisamente più “movimentate”.

L’altro, Giles, lo salutò con un lieve cenno della mano. L’osservatore sembrava decisamente lusingato e pieno di meraviglia a sedere a quel tavolo per la prima volta. Le ricordava un bambino circondato di regali il giorno di Natale. Come da tradizione la sedia alla sua destra era rimasta libera, riservata alla cacciatrice.

“Speriamo che non si sia messo in testa di tradirmi e che si ricordi quale è il suo ruolo tra uno sguardo di stupore ed un altro.”

Pensò con un sospiro irritato Magdalene. Non si fidava di lui. Neanche un po’. Tra l’altro la irritava l’espressione di gioia infantile che aveva nel trovarsi seduto attorno al tavolo e non sulle gradinate.

In fondo si trattava solo di una sedia attorno ad un tavolo, nulla di cui essere particolarmente eccitati, soprattutto considerando il fatto che non vi sedeva ancora per merito. Da sempre Marlin non poteva fare a meno di disprezzare le persone facilmente impressionabili.

Stava concludendo il suo giro quando gli occhi le caddero anche sulla sedia di Travers.

Quella era una storia completamente diversa.

Oggi era lì per votare contro di lui e finalmente togliergli la carica di dirigente, bandirlo dal concilio. La sua assenza prolungata ed ingiustificata era un motivo sufficiente per farlo decadere.

Aveva la vittoria contro Travers a portata di mano.

Sorrise al pensiero.

E questa volta avrebbe fatto in modo che nessuno potesse togliergliela.

Qualche minuto dopo, quando entrò Miller, la sala era completamente piena. All’ingresso del primo osservatore, vestito con un elegante e severo gessato nero, si fece silenzio. I pesanti battenti di legno intarsiato furono chiusi alle sue spalle da due operativi. L’Assemblea era in sessione.

 L’uomo attraversò l’intero salone senza degnare alcuno di uno sguardo o di un saluto. Era il più importante e non mancava mai di sottolinearlo più o meno apertamente.

Andò a sedersi a capotavola e si preparò a dare inizio alla riunione.

“Sembra un re pronto a dare udienza dal modo in cui si comporta.”

Pensò fra sé Magdalene.

Ci fu un improvviso rumore, seguito da una leggera corrente d’aria.

Le porte erano nuovamente state aperte.

Sorpresi, tutti i presenti si girarono a guardare chi avesse osato interrompere la riunione, nei loro sguardi un misto tra irritazione e stupore di fronte al coraggio e alla stupidità necessarie per tentare una simile azione.

Quando riconobbero l’intruso, se possibile, il silenzio diventò ancora più profondo.

Faith, in un completo due pezzi nero, con camicia nera ed eleganti tacchi a spillo, che le davano qualche altro centimetro di impressionante presenza, era appena entrata nella sala grande.

Duecento anni dopo l’ultima cacciatrice che vi aveva posto piede e la prima ad entravi senza osservatore al proprio fianco.

Magdalene sorrise fra sé alla vista della cacciatrice. Non aveva pensato neanche per un attimo che Faith si sarebbe presentata con un elegante tailleur nero dal taglio classico, in fondo lei era molto più tipo da jeans e stivali. “Eppure lo avrei dovuto immaginare, considerando la sua voglia di stupire sempre e fare l’esatto contrario di quello che ci si aspetta da lei.” Pensò ironica.

Tutti gli occhi la seguirono mentre camminava a passo lento e regolare verso la parte alta del tavolo, con calma Faith fece contatto con quanti più sguardi possibile, incrociandoli mostrandosi sicura di sé ed appena arrogante, come chi sa di avere ragione.

Quando incontrò lo sguardo di Giles lo fissò per qualche istante più degli altri. C’era rabbia negli occhi dell’osservatore, disprezzo misto ad una nota di biasimo. Non sapendo il motivo di tale atteggiamento nei suoi confronti, Faith lasciò che un altro po’ della sua strafottenza trapelasse assieme a parte della ferocia e della spietatezza di cui era capace.

Giles distolse il suo sguardo mentre i suoi pensieri si accavallavano cercando di capire cosa ci stesse facendo lì la cacciatrice invece di trovarsi a Sunnydale a fare la ronda.

“Piccola imbecille irresponsabile, sarebbe dovuta rimanere a proteggere la bocca dell’inferno invece di essere qui. Aveva dato la sua parola. Invece eccola a giocare alla piccola donna. Sapevo che non mi sarei dovuto fidare di lei.”

L’Osservatore praticamente tremava di rabbia mista a paura, mentre contemplava le possibili ripercussioni che potevano esserci se la cosa si veniva a sapere. Deglutì un paio di volte cercando di ignorare l’improvvisa nausea che lo aveva colto.

“Dannazione! E non posso neanche dire niente, mi riterrebbero responsabile dell’abbandono del posto, visto che dovrei spiegare loro che Buffy non è lì. Non c’è soluzione. Devo solo sperare che non accada niente e ripartire al più presto. Non mi sarei mai dovuto fidare di lei.”

Cercando di riguadagnare un minimo di padronanza di sé Giles fece un respiro profondo e riprese a seguire i progressi di Faith. La bruna si fermò una volta raggiunta Marlin, a meno di un metro di distanza dal Primo Osservatore, gli occhi dell’intera sala ancora fissi su di lei ed il silenzio completo.

-Reclamo che la presenza della Cacciatrice, Prescelta del Destino, Difensore dell’umanità, Baluardo contro le Tenebre e Favorita del Concilio all’Assemblea Plenaria, sia riconosciuta dal Primo Osservatore e dall’Assemblea tutta.

Appena aveva riconosciuto Faith Miller si era dato dello stupido per non aver pensato a questa possibilità. Era ovvio che Marlin avrebbe cercato di ottenere il più possibile dal fatto che entrambe le cacciatrici la sostenevano. Anche se avere due cacciatrici attive allo stesso momento era qualcosa di completamente inaudito, ed averne una partecipare ad un’assemblea senza osservatore era contro ogni tradizione, si sarebbe dovuto aspettare che Marlin sfruttasse fino in fondo ogni cosa a suo favore. Quella donna non aveva mai fatto sconti a nessuno.

Di certo non avrebbe cominciato a farne per lui.

Faith era un voto in più a favore di Marlin per la scelta dei candidati alla dirigenza, ma la cosa non era disastrosa per Miller. Con un po’ di fortuna le cose sarebbero ancora andate come voleva lui ed il voto di Faith non avrebbe significato nulla.

Questo pensiero permise a Miller di riprendersi abbastanza da rivolgere alla cacciatrice le parole di rito.

-Il Primo Osservatore riconosce la Presenza della Guerriera. Assemblea in piedi.

Tutti gli osservatori scattarono in piedi per mostrare il loro rispetto verso la cacciatrice.

“Di certo non ne provano realmente, considerando gli sguardi che mi stanno rivolgendo. Soprattutto Giles. Di certo non mai stato un mio fan sfegatato, ma dallo sguardo che mi ha rivolto ora sembra che gli ho appena ucciso il gatto… Inoltre ho come l’impressione che se venissi fulminata in questo momento esattamente dove mi trovo, visto che ho osato dissacrare il loro tempio, scoppierebbero in un’entusiastica ovazione.”

 Rifletté sarcastica Faith. La constatazione dell’odio e del disprezzo che gli Osservatori provavano per lei non la rese che più decisa a mostrarsi calma ed in pieno controllo sia di sé che della situazione. Che in realtà tutto quello che avrebbe voluto fare sarebbe stato uccidere chiunque avesse osato squadrarla male non era importante, né lo era il fatto che avrebbe preferito trovarsi nel bel mezzo di un nido di vampiri piuttosto che essere qui ora.

-Accomodatevi Osservatori e Dirigenti.

Era stata la voce di Faith a dare l’ordine invece che quella di Miller.

Era l’unica a poter ordinare all’intera assemblea di sedere una volta presente. E Faith doveva ammettere che vedere tutte quelle persone che così a lungo l’avevano disprezzata e che per così tanto tempo avevano reso la sua vita un vero inferno, ubbidire ad un suo comando le dava un’immensa soddisfazione.

In silenzio il Primo Osservatore e tutti gli altri si sederono, aspettandosi che Faith si accomodasse alla destra di Marlin per darle il formale riconoscimento di osservatrice. In fondo era a lei che la cacciatrice doveva rispondere, anche se Magdalene non era mai stata ufficialmente appuntata come sua osservatrice.

Invece la cacciatrice si sedette alla sinistra dell’osservatrice.

Marlin sarebbe volentieri scoppiata a ridere all’espressione di stupore sul volto di Miller e di tutti gli altri e la stessa Faith stentava a reprimere un sorriso sarcastico.

“La riunione comincia bene. E proseguirà meglio.”

Pensò Kroskj mentre nascondeva la bocca dietro ad una mano per evitare che si vedesse il suo sorriso, era l’unico che sembrava trovare divertente la scena a parte le due donne alla sua sinistra.

“Mi sarei dovuto aspettare una cosa del genere da parte di Marlin. Dannazione, è bello stare dalla sua parte solo per questi colpi di scena”.

Miller fu il primo a riprendersi dalla sorpresa.

Ira e disgusto presero il posto dello stupore sul suo volto.

Magdalene guardò con interesse l’espressione del Primo Osservatore.

La sorpresa doveva averlo stupito tanto da fargli dimenticare momentaneamente di nascondere i suoi pensieri più profondi al resto dell’Assemblea. Fortunatamente per lui quasi nessuno era concentrato a guardarlo. Tutti gli occhi erano puntati su Faith, compostamente seduta al suo fianco con un’espressione blanda sul volto, come se non avesse una sola preoccupazione.

Ma quella sincera espressione di Miller confermò a Marlin quanto sapeva già da tempo.

Si, perché al momento lo sguardo del Primo Osservatore diceva molto a proposito delle sue convinzioni più nascoste, o perlomeno meno note.

C’era un odio infinito, irrazionale in quegli occhi, misto ad un’incommensurabile paura.

Se in quel momento qualcun altro si fosse fermato a guardarlo con attenzione, avrebbe facilmente capito quali erano le posizioni che il primo osservatore aveva nei confronti dei non umani.

E di certo una cacciatrice non era umana, per quanto molti potessero dire o pensare.

“Così da reazionario nei confronti dell’apertura ad altri, Miller è diventato un fanatico estremista. Fobico di qualsiasi cosa non sia umana. Non inaspettato, ma sarebbe divertente sapere dove mette il confine tra umani dotati di potere e non-umani.”

La cosa non le piaceva affatto. Da sempre Magdalene aveva un odio radicato contro gli estremisti di ogni genere. Generalmente attorno a loro la gente tendeva a morire stupidamente.

-Dichiaro la Riunione Plenaria aperta.

La voce stentorea di Miller richiamò i presenti all’attenzione.

Gli sguardi cessarono di essere puntati solo sulla cacciatrice ed un brusio si levò tra gli osservatori giovani ed attorno al tavolo, mentre ognuno si consultava con il proprio vicino, il volume delle conversazioni, incontrollato, aumentava sempre più.

L’improvvisa presenza della cacciatrice in quel salone era una cosa troppo eccezionale per non commentarla immediatamente, nonostante il fatto che alle riunioni si era tenuti a rimanere in silenzio a meno che non fosse il proprio turno di parlare.

Furono in pochi a rispettar quella regola.

Sheridan e Dwayne si riscossero e cominciarono a fare supposizioni sul motivo della presenza di Faith. Joandra quasi sorrise mentre i due amici arrivarono alla sua stessa conclusione qualche istante dopo. La cacciatrice era il voto necessario a Marlin per riottenere la maggioranza o perlomeno la parità durante la scelta dei candidati al concilio.

-Silenzio!

Tuonò il Primo Osservatore  cercando di riportare ordine all’interno del salone.

Ci volle qualche secondo perché il silenzio e una qualche parvenza di calma tornasse tra i presenti. Gli ultimi a quietarsi furono i sussurri su quanto fosse scriteriato e del tutto fuori luogo far assistere una cacciatrice, un’assassina dissero alcuni, ad una riunione plenaria.

Buona parte della platea era sconvolta dall’insolenza che Faith aveva dimostrato nel venire qui oggi. Senza osservatore per giunta. Era una cosa completamente inaudita.

Mentre gli ultimi sussurri si spegnevano, Miller lancio un’occhiata carica di odio a Marlin. La donna non reagì minimamente alla cosa, se non con un mezzo sorriso quasi impercettibile.

“Ci vuole ben altro per farmi scattare Miller. E quella in vantaggio ora sono io.”

Non riuscendo ad ottenere la benché minima soddisfazione da Magdalene, Miller fissò allora la cacciatrice, sperando di intimidirla o quanto meno di provocarla ed avere una scusa per cacciarla dalla riunione.

Faith gli restituì lo sguardo, con uno carico di odio quanto il suo, schiudendo appena le labbra e mostrando i denti. Non era un sorriso, era una minaccia. Poco e gli avrebbe ringhiato contro. Anche se non sembrava era pronta a scattare e a farlo fuori, i suoi muscoli erano tesi e con gli occhi stava valutando Miller, non ne rimase impressionata. Le sarebbe bastato un attimo.

“Solo un attimo.”

Al contrario di molti dei presenti Faith aveva visto chiaramente la precedente espressione di Miller. E per quanto non sapesse dire se era un odio personale o meno, non le piaceva affatto che qualcuno la guardasse a quel modo. L’ultimo ad averlo fatto era stato Giles. E lo aveva fatto senza un valido motivo. Di certo la cosa non lo aveva reso una delle persone favorite della bruna.

Se c’era una cosa che Faith non sopportava era le persone che si credevano migliori di lei. Era una delle cose che le ispiravano violenza.

“Bastardi. Pagherei per pestare Miller o Giles al momento.”

Pensò, stringendo di riflesso le mani. Resasene conto Faith fece un paio di respiri profondi per calmarsi.

“Non devo lasciarmi provocare.”

Generalmente la cosa portava un mare di guai. Un infinito mare di guai. Il pensiero la indusse a fermarsi un attimo a riflettere sulla situazione prima di agire. Assurdamente, sapere di poterlo uccidere prima ancora che lui potesse rendersi conto di quanto stesse accadendo, la calmò.

“Non ne vale la pena.”

Si disse. Con uno sforzo, Faith si costrinse a rilassarsi nella sua poltroncina, mentre con gesti lenti e precisi incrociava le mani davanti a sé. Per ultimo rivolse un vero sorriso al Primo Osservatore.

Fu quello a fermare Miller dal continuare quel duello di sguardi. Sapeva ormai che non sarebbe riuscito a far scattare la cacciatrice ed era inutile continuare ed attrarre l’attenzione degli altri su quanto stava accadendo.

 

 

 

Il rito di apertura dell’assemblea plenaria durò ancora qualche minuto. Finalmente, sbrigate le ultime formalità, Miller iniziò la seduta vera e propria. Quando parlò la sua voce era calma e controllata. I pochi minuti necessari a completare la procedura gli avevano dato il tempo di calmarsi completamente.

-La prima voce dell’ordine del giorno è la discussione sui risultati dell’inchiesta sul dirigente Brightman. –Sentendo il suo nome, l’uomo si drizzò quanto possibile e rivolse uno sguardo di fredda indifferenza verso Miller. Il Primo Osservatore lo guardò di rimando, lasciando trasparire un po’ della soddisfazione nel vederlo finalmente sconfitto. –Dirigente, vuole aggiungere qualcosa?

Brightman avrebbe potuto dire molte cose. Urlare che era solo una manovra politica per liberarsi di lui, che le prove presentate erano state fabbricate, che i testimoni ascoltati erano stati corrotti. E sarebbe stato comunque del tutto inutile. Quello cose già si sapevano e non aveva fatto alcuna differenza.

Il suo verdetto era stato scritto prima ancora di essere pronunciato.

-Mi dichiaro estraneo ai fatti Primo Osservatore.

“Puoi condannarmi ma non puoi umiliarmi Miller.”

Brightman continuò a sostenere lo sguardo del Primo Osservatore. Non aveva nulla da nascondere.

-Bene. –La voce di Miller era arrogante e quasi sprezzante. –Signori dirigenti, votiamo. Chi ritiene il signor Brightman colpevole alzi la mano. –Si alzarono le mani. Prima quella di Miller, poi fu la volta di Dougan e Duville. Marlin lo guardò freddamente negli occhi mentre si procedeva alla votazione. Il divertimento dell’uomo era ovvio e lui non stava facendo nulla per dissimularlo. –Con tre voti a sfavore dichiaro il dirigente Brightman colpevole dei reati ascritti. E’ pertanto sollevato dal suo incarico ed espulso dal Concilio degli Osservatori.

Anche se tutti si aspettavano questo risultato, l’annuncio del Primo Osservatore gelò l’intera sala. Nessuno osava respirare.

 “E così siamo rimasti solo in cinque, di cui uno beatamente assente.”

Pensò Magdalene. Non sapeva esattamente perchè, ma la cosa la disturbava.

Con un mezzo sorriso sulle labbra Miller si rivolse al resto dell’Assemblea per illustrare il successivo punto all’ordine del giorno. Per qualcosa come due ore e quaranta minuti il Primo Osservatore continuò ad affrontare un punto alla volta l’ordine del giorno. Le azioni disciplinari da prendere contro questo o quello, i premi e gli elogi da distribuire, le nuove spedizioni di ricerca dei manufatti e dei manoscritti. Lanciando lo sguardo più volte nella direzione della cacciatrice Miller si rese conto che per tutto il tempo, Faith aveva seguito le discussioni con una perfetta espressione di educato interesse sul volto. Talmente perfetta da risultare totalmente falsa.

Ogni volta che voltava lo sguardo e la notava con la stessa identica espressione il Primo Osservatore sentiva la rabbia montargli dentro. Molti dagli spalti cominciarono a trovare la cosa divertente. Non erano pochi tra gli Osservatori giovani, e qualcuno anche tra gli anziani, a trovare mortalmente noiosa questa parte della riunione.

Poi, una volta finito il programma ufficiale, a sorpresa Miller puntò la sua attenzione su uno dei temi più controversi del momento.

-Accuso ufficialmente il dirigente Travers di assenza ingiustificata e chiedo sia rimosso dal’incarico.

L’improvviso cambiamento di rotta nel comportamento di Miller attirò immediatamente l’interesse di Marlin. Mentre il resto dei presenti discuteva dello status di Travers, di se e perché era colpevole di assenza ingiustificata, Magdalene rifletteva.

Questa decisione di Miller di andare contro Travers non aveva alcun senso. Marlin aveva pensato che sarebbe stata necessaria una petizione personale per far affrontare l’argomento all’assemblea, non che il Primo Osservatore le fornisse l’occasione perfetta per eliminare Quentin.

Non gli avrebbe portato alcun vantaggio nella scelta dei candidati a dirigenti che si stava per tenere. I voti sarebbero ancora rimasti quattro a tre a favore di Marlin.

Inoltre silurare a questo modo Travers gli avrebbe fatto perdere l’ultimo spauracchio che aveva contro di lei. Da molto tempo Quentin funzionava da cane da guardia nei suoi confronti.

Attorno a lei il dibattito continuava.

Marlin si girò a guardare Miller cercando di valutare cosa potesse ottenere da questa nuova espulsione.

Il Primo Osservatore incrociò il suo sguardo e le sorrise.

“E’ una trappola.”

Avrebbe potuto dirglielo per quanto era chiaro. Ma non era mai stato difficile per Marlin capire quando Miller stava per attuare qualche piano. Il problema era capire quale fosse e la donna aveva la sgradevole sensazione di avere veramente poco tempo per farlo e solo una possibilità di indovinare.

Le discussioni continuarono per circa mezz’ora senza che Magdalene riuscisse a capire a cosa  mirava il Primo Osservatore. Furono in molti a parlare. Equamente suddivisi tra favorevoli e contrari a dire la verità, ma tutti sapevano che la posizione di Travers era del tutto indifendibile.

Alla fine dell’ultimo intervento Miller le rivolse un mezzo sorriso prima di parlare.

-Abbiamo sentito le opinioni di stimati colleghi ed osservatore. Ora, signori dirigenti, vi prego di votare.

La mano di Duville fu la prima ad alzarsi.

Poi, lo sguardo di Miller si posò nuovamente su Marlin sfidandola a dare il proprio voto. Dopo anni di lotte infruttuose le aveva appena servito la possibilità di liberarsi del suo più antico nemico. Senza contropartita, senza motivo.

Avrebbe solo dovuto alzare la mano, Kroskj avrebbe votato come lei, ed assieme a Duville avrebbero raggiunto la maggioranza.

Niente più Travers.

Magdalene scrutò ancora una volta nello sguardo di Miller.

La stava guardando come un predatore che sa già da che parte scapperà la sua preda.

La tentazione di alzare la mano era forte.

Venti anni di faida chiusi.

Vittoria su Travers.

Un nuovo posto da riempire per un candidato.

“Un nuovo posto di dirigente libero.”

In quel momento capì.

Marlin scosse la testa e parlò.

-Ritengo il dirigente Travers del tutto innocente.

Ma era troppo poco troppo tardi. Non avrebbe più potuto chiedere la parola e tentare di convincere Dougan o Duville a votare contro la mozione ormai, sempre ammesso che fosse stato possibile convincerli a farlo.

Marlin sapeva che era un gesto inutile ma lo fece ugualmente. Anche con il voto contrario di Kroskj la mozione sarebbe passata esattamente come la precedente.

Troppo tardi si era resa conto di quanto stava architettando Miller. Non c’era nulla che potesse fare.

Era tutto perso.

Kroskj la stava guardando come se avesse perso la ragione. Il sorriso soddisfatto e felice, perché la sua amica finalmente era arrivata alla propria vendetta si dissolse. Allo sguardo di Miller anche lui scosse la testa per votare in favore di Travers, anche se non riusciva a capire il motivo del gesto di Marlin.

Il sorriso del Primo Osservatore non si spense nel notare i due voti sfavorevoli.

Al contrario il suo sorriso si fece ancora più largo. “Anche se non si distruggerà con le sue mani, sarà comunque distrutta.” Votò contro Travers, fissando intensamente Marlin.

Sapeva che la dirigente aveva capito quale era il suo piano.

Arrivare ad avere un concilio con solo quattro dirigenti.

Il numero necessario perché il Primo Osservatore potesse dichiarare lo stato di emergenza. E con esso assumere pieno potere di destituire o nominare i candidati al posto di dirigente.

Sia Miller che Marlin si voltarono a guardare Dougan.

Mancava solo il suo voto.

-Dichiaro il dirigente Travers, innocente.

Lo sguardo sbalordito di Miller era quasi divertente da vedere. La stessa Marlin era stupita dall’improvviso voltafaccia di Dougan.

L’uomo se ne stava lì, seduto come niente fosse. Aveva appena impedito che l’intero concilio cadesse nelle mani del Primo Osservatore e se ne stava seduto lì come se nulla fosse. Non era una decisione dell’ultimo secondo. Doveva essere stata una mossa premeditata.

“Questa volta è Miller ad aver perso quando aveva la vittoria in pugno.”

Marlin doveva ammetterlo. Era estremamente divertente come cosa.

 

 

 

 

 

Inghilterra, Manchester. Giovedì 20.

 

 

 

Era un piccolo quartiere residenziale ben tenuto, appena decentrato, costruito da non più di una ventina di anni. Non particolarmente lussuoso, anche se le villette a schiera erano abbastanza grandi da testimoniare il benessere delle famiglie che ci abitavano.

Così la sua famiglia, almeno il ramo materno, era benestante.

La cosa le fece piacere, sollevandola in qualche modo.

Buffy si era fatta lasciare dal taxi un paio di isolati prima, decisa a fare a piedi l’ultimo tratto di strada. Per schiarirsi le idee, si era detta. Era stata una passeggiata piacevole, l’aria fresca ma non fredda, il sole coperto da qualche nuvola sparsa.

“E’ una giornata incantevole.”

Una parte del cervello della bionda aveva registrato questa notizia in un piccolo cantuccio, relegandola tra le cose non importanti. Nello stato in cui era ora Buffy faticava molto ad accorgersi di quanto le stava attorno se non della distanza che la separava dalla sua meta. Tutto il resto non era altro che un contorno sfocato. Intellettualmente sapeva che se non fosse stato per il motivo per cui era qui si sarebbe goduta quella passeggiata molto di più, ma praticamente della cosa non le importava assolutamente nulla.

A mano a mano che si avvicinava all’indirizzo che l’agenzia investigativa le aveva dato, i suoi pensieri caotici improvvisamente rallentarono, come trovando finalmente pace, per la prima volta da quando aveva avuto tra le mani i risultati delle ricerche. Di sicuro l’idea della passeggiata aveva funzionato.

“Dio, le ho fin troppo chiare le idee”.

Era arrivata davanti al numero civico 23, lei cercava il 30. Rallentò il passo, cominciando a guardare con più attenzione le case dall’altra parte della strada, fino a trovare quella che le interessava.

Davanti era parcheggiata una berlina nera, un B.M.W. vecchio di qualche anno, le finestre coperte da tendine bianche, il giardino ben tenuto con alcune aiuole piene di fiori. Dovevano essere in casa. Aveva aspettato apposto quasi l’ora di cena per venire, per essere certa di trovarli.

Buffy raggiunse la casa e si fermò incerta se attraversare o meno la strada. Una macchina la superò lenta, svoltando a destra all’incrocio successivo. Sembrava un buon posto per crescere. Poco rumore, traffico limitato, una zona sicura. Alcuni ragazzini stavano giocando a pallone assieme, in un cortile diverse case più avanti. La gente camminava pigramente lungo i marciapiedi, ovviamente passeggiando, senza dover necessariamente arrivare da nessuna parte.

Un posto idilliaco.

In tasca Buffy si stava tormentando le mani con le unghie, le tremavano leggermente. Non riusciva a fermarle.

Fece un respiro profondo per calmarsi e ripensò alla conversazione che aveva avuto il giorno prima con Willow.

Ma durante la notte, mentre si girava insonne nel proprio letto, la cacciatrice non aveva potuto fare a meno di notare una certa mancanza di sostegno da parte di Willow, non che non l’avesse confortata, ma era sembrata piuttosto distaccata e sbrigativa prima della partenza. Il che non aveva fatto che aumentare i dubbi nati prima. Buffy aveva cercato di ignorare la cosa, ripetendosi che non era altro che paranoia dovuta all’insicurezza che provava in quel periodo. Che ci potevano essere migliaia di ragioni per la azioni di Willow, sempre supposto che fossero vere. Ed oltre a dubitare di quell’amicizia, Buffy cominciava ad avere dubbi sul continuare o meno quella ricerca.

Così, a metà della notte aveva rinunciato a dormire ed aveva chiamato Sunnydale.

 “In fondo una famiglia l’ho già.” Aveva detto all’amica durante la telefonata. “E noi ci saremo sempre.” Aveva risposto immediatamente Willow. In quel momento la cacciatrice si era sentita veramente meschina all’aver dubitato dell’amicizia della ragazza.

Aveva fatto bene a telefonare, sentire l’amica l’aveva tranquillizzata non poco e quando finalmente aveva rimesso a posto la cornetta, Buffy si era sentita meglio, più sicura di voler andare avanti con la sua ricerca.

Ricacciò gli ultimi dubbi indietro e guardò la casa di fronte a sé con più attenzione. Cercando di notare i particolari che la caratterizzavano. I vasi appesi ai balconi del secondo piano ad esempio, le tendine colorate di quella che doveva essere la cucina, in contrasto con quelle crema del salone, l’abbaino della soffitta socchiuso.

Non sembrava muoversi niente, non sentiva nessuno rumore provenire dall’interno.

Si passò le mani tremanti fra i capelli, cercando di aggiustarli meglio, poi risistemò anche i vestiti, un abbigliamento quasi elegante, pantaloni da pomeriggio, camicetta e un cardigan. Ci aveva messo due ore per scegliere cosa mettersi. Lo stomaco le dava strane sensazioni, neanche fosse sulle montagne russe, deglutì nervosamente. Doveva decidersi, era troppo tempo che stava ferma lì, se fosse rimasta ancora avrebbe attirato la curiosità della gente.

Dieci metri. Doveva fare soltanto dieci metri. La porta marrone con la maniglia in ottone laccato era direttamente davanti a lei.

Poi si girò e tornò da dove era venuta. Prima aveva superato una fermata dell’autobus, lo ricordava, altrimenti avrebbe chiamato un taxi.

“E’ un errore, è tutto un stupido errore. Io non c’entro niente qui.”

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli osservatori, giovedì 20.

 

 

 

Bussarono alla porta, tre colpi leggeri ma decisi. Faith squadrò l’ingresso indecisa sul da farsi. Aveva sentito i passi, che aveva riconosciuto come maschili, avvicinarsi lungo il corridoio ed aveva sperato che proseguissero oltre, senza fermarsi.

Ovviamente non era successo.

E qualcosa le diceva che non ne sarebbe venuto nulla di buono.

“Perfetto, semplicemente perfetto.”

Dopo le cinque ore di riunione plenaria Faith era decisamente stanca oltre che essere veramente di malumore. Troppo parlare e poco agire, minacce velate e giochi d’attesa per i suoi gusti. Aveva fatto la sua parte, il killer duro ed efficiente ma anche capace di pensare, e l’aveva interpretata decisamente bene, del resto capire quei discorsi non le era mai stato difficile, semplicemente le risultava mortalmente noioso giusto noioso.

“E scommetto che molti di quelli lì dentro non arrivano ad afferrare neanche la metà di quanto è successo tra Marlin e Miller.”

Quindi il pensiero di ignorare l’uomo dall’altra parte della porta la tentava molto.

Bussarono di nuovo. Faith si mise a sedere sul letto, decidendo di rinunciare al suo tentativo di sonnecchiare per qualche altro minuto.

-Avanti.

Non aveva voglia di chiedere chi fosse.

Entrò un ragazzo sulla trentina, capelli biondi ed una faccia lentigginosa slavata, del tutto privo di espressione.

Perfetto mi ci mancava proprio una chiacchierata con l’automa senza cervello”.

Pensò sarcastica già rimpiangendo la decisione di farlo entrare.

“Del resto tutti noi commettiamo imperdonabili  errori nella nostra vita, a cui non possiamo rimediare…”

L’uomo si fermò sulla soglia senza muoversi, una mano sulla maniglia della porta, l’altra che si muoveva nervosamente, senza fermarsi un attimo, passando dalla tasca dei pantaloni di velluto a coste ai capelli. La cacciatrice avrebbe detto che stava tremando leggermente.

Faith avrebbe potuto metterlo a suo agio, offrirgli qualcosa, oppure alzarsi ad accoglierlo.

Rimase seduta sul letto, squadrandolo, misurandolo, facendo passare lunghi secondi prima di ringhiargli contro la successiva domanda.

-Cosa vuoi?

Faith non ne era sicura, ma il tipo doveva essere uno degli osservatori giovani, o come cavolo li chiamavano. Le sembrava di averlo visto alla riunione, prima, sulle gradinate di fronte a sé, tra le prime fila. Lui alzò lo sguardo dal pavimento, che aveva improvvisamente attratto il suo interesse non appena gli occhi di Faith avevano sfiorato i suoi, incrociando solo per un attimo quello della cacciatrice prima di vagare per la stanza. La cacciatrice notò che gli occhi del ragazzo erano piccoli, troppo per quel viso. Di certo non contribuivano a dare una buona prima impressione dell’osservatore.

Mentre il suo sguardo girovagava per la stanza, l’uomo si ritrovò a pensare che l’alloggio non somigliava per niente a come se lo era immaginato.

Di certo non lo aveva supposto così spoglio. Si era aspettato qualcosa di lussuosamente arredato, a testimonianza della posizione che Faith aveva raggiunto, e pieno di armi, magari antiche, per via del ruolo della ragazza.

Ma soprattutto lo aveva immaginato più grande. In fondo Faith era, come il vice capo degli operativi, una delle persone più influenti del concilio. Se non un intero appartamento l’osservatore si era aspettato almeno una suite, con un paio di camere. Non una stanza.

E di sicuro non una stanza simile. Doveva essere uno di quegli alloggi temporanei assegnati agli osservatori di passaggio per qualche giorno, e da quello che vedeva probabilmente l’intero arredamento era quello standard fornito dal concilio.

Persino lui nella propria stanza aveva appeso stampe alle pareti, aggiunto mobili, liberandosi appena possibile dell’orrida scrivania che vi aveva trovato. Insomma, per quanto possibile, l’aveva resa accogliente.

Questo posto invece era freddo.

Non più anonimo nella sua ordinaria uguaglianza a tutti gli altri alloggi temporanei, ma ostile.

-Piuttosto spartano come alloggio.

Lo disse mentre faceva un insicuro passo avanti, per aprire il discorso, spezzare un po’ della tensione che sentiva nell’aria. Quella stanza lo metteva a disagio. Quella ragazza lo metteva a disagio. “Santo cielo, ed ancora non ha detto una sola parola..” Sinceramente avrebbe voluto essere in un qualsiasi altro posto piuttosto che in questo alloggio.

La cacciatrice non rispose, limitandosi a fissarlo.

-Non che sia brutto, per carità, molto… spartano ecco.

Faith continuò a rimanere in silenzio. Non era qui per fare la baby-sitter di uno che a trent’anni non sapeva neanche cominciare un discorso. Soprattutto non quando era di cattivo umore. Ed al momento era di pessimo umore.

“Tanto peggio per lui se ha un pessimo tempismo…”

-Se hai qualcosa da dirmi, dilla, altrimenti usa quella dannata porta per sparire di qui.

La frase sembrò toglierlo d’impaccio, almeno un po’. Gli occhi tornarono sul volto di Faith, senza guardarla direttamente, mentre muoveva qualche altro passo in avanti. Non era sicuro di sé, assolutamente no, ma almeno non era più completamente paralizzato.

-Posso sedermi?

Indicò la sedia della scrivania.

Faith fu tentata di dire di no, molto tentata. Ma voleva anche liberarsi dell’idiota in un tempo decente, quindi annuì.

“Magari me ne riuscirò anche a liberare in tempo per potermi riposare un po’…”

-Io sono… un rappresentante… diciamo… potrebbe esserci un gruppo di individui, che in caso di un vuoto di… come dire… potere… potrebbero… in linea del tutto teorica… arrivare ad essere… il nuovo consiglio degli osservatori…

-Cosa volete da me?

Lo interruppe. Le ci mancava solo qualcuno che le proponesse un bell’omicidio su commissione quest’oggi. Non che fosse contraria all’idea di principio, e sul resto si poteva discutere. Era il tipo che parlava che non le piaceva.

-Ecco… noi… insomma… non crediamo che il primo osservatore… sia esattamente… il migliore che si sia mai avuto…

“Come diplomatico avrebbe potuto anche fare carriera, tremolio nella voce a parte.”

Rifletté la cacciatrice.

Era spaventato per bene, le mani ancora gli tremavano leggermente, anche se le teneva incrociate, i gomiti poggiati sulle gambe. Probabilmente si aspettava che lei gli saltasse addosso e lo sgozzasse per il puro piacere di sporcarsi le mani di sangue.

Faith gli sorrise cattiva.

Solo per vedere la reazione che ci sarebbe stata.

“Mi diverto con poco di questi tempi…”

Pensò fra sé sarcastica.

Di fronte a quel sorriso, il ragazzo smise di parlare e deglutì visibilmente, allargandosi nervosamente il colletto della camicia, prima di proseguire.

“E’ quasi divertente vederlo tremare di terrore…”

-….ecco… in cambio del posto… per me… e … per altre persone… come dirigenti… noi… ti sosterremmo come capo del Concilio.

“ok, questo è sorprendente.”

Faith scoppiò a ridere in maniera incontrollabile. Il ragazzone se ne risentì, ed il suo volto si piegò in una smorfia ma senza riuscire a decidersi se offendersi, oppure rilassarsi di fronte alla reazione della bruna. In fondo se rideva era improbabile che lo ammazzasse.

-E chi sareste?

Chiese la bruna un paio di secondi dopo, ripresasi dalla risata, ma con ancora un mezzo sorriso sulle labbra.

-Siamo quaranta osservatori, tre anziani, più un dirigente. Non posso fare i nomi.

Faith inarcò un sopracciglio alle parole.

“La cosa è più seria del previsto.”

Sempre che fosse vero.

La bruna si passò distrattamente una mano sul collo, massaggiandoselo appena. Se mandavano gente così a contattare il capo della supposta fazione, non doveva esserci niente di sicuro, e se c’era qualcosa di sicuro, con questo genere di organizzazione alle spalle, sarebbe stato molto meglio non averlo.

-La risposta è no. Non farò parte della vostra piccola cospirazione.

Replicò semplicemente.

-Perché mai?

L’osservatore sembrava offeso dal semplice e immediato rifiuto.

Faith si asciugò le lacrime che le erano uscite dagli occhi a causa delle risate, e rispose, completamente seria ora. L’unica cosa buona della faccenda era che, nel giro di due giorni, la storia del golpe le aveva procurato grandiose risate.

-Perché io non vado in giro a guidare concili. Non mi interessa comandare qualche centinaia di ricercatori ed un pugno di mercenari. Io bado ai miei interessi e non ho alcuna intenzione di cacciarmi in un vespaio simile.

La sua espressione ora ricordava quella di un cuccioletto smarrito. Faith sospirò mentalmente prima di risistemarsi i capelli con una mano.

-Ora ragazzo, vedi la porta? Usala.

Non gentile, per nulla cordiale, dal tono decisamente definitivo e quasi minaccioso. Ma una frase perfetta per liberarsi del ragazzo che scattò in piedi dalla sedia e si precipitò fuori dalla stanza senza neanche chiudere la porta dietro di sé.

Faith si alzò, indolente, raggiungendo l’ingresso e chiudendolo a chiave. La serratura l’aveva montata lei stessa tempo prima, uno dei pochi cambiamenti che aveva apportato alla stanza. Non era certo a prova di scasso, ma almeno obbligava chi volesse entrare a forzarla. Serviva giusto per affermare la sua proprietà di quel luogo. Quanto al caso in cui fosse stata presente al momento del tentativo di effrazione, il rumore dei movimenti dei supposti intrusi l’avrebbero svegliata di gran lunga prima che chiunque riuscisse ad entrare nella stanza.

Se ne tornò a letto, decisa a dormire.

Le cose non andavano affatto bene. Si era formata un’altra fazione. Ma non era questo a preoccuparla davvero. Era la facilità e la chiarezza con cui l’avevano contattata. Se la gente andava in giro a progettare tradimenti con i primi venuti, di cui non conosceva niente, e lo faceva  senza alcun timore, non era affatto buon segno.

Doveva trovare un modo per andarsene da lì.

 

 

L’Ultimo Giorno Parte IV

By Silea

 

New York. U.S.A. Venerdì 21.

 

 

 

Angel era seduto dietro la scrivania dello studio, immerso in lugubri pensieri.

Era uno di quei momenti in cui tutti i fatti negativi della tua vita ti si ripresentano alla mente e ti fanno chiedere se era valsa veramente la pena di soffrire così tanto per poter vivere. Angel sapeva che la risposta era si, aveva detto si anche quando era stato all’inferno, ma qualche volta diventava malinconico, e si sentiva oppresso dalla cappa dei ricordi.

Perché, nonostante quello che dicevano gli altri di lui, della sua tendenza la masochismo, del suo essere sempre depresso, spesso Angel era solo riflessivo. Pensava a quello che era avvenuto decine di volte, quello si, ma non erano sempre pensieri tristi o pieni di rimpianto. Spesso era soltanto la sua assenza di vocalizzazione che lo rendeva così malinconico agli occhi degli altri.

Sarebbe passato. Lo sapeva. Ma al momento faceva veramente male. Lui non trovava spesso amici, e perderli aveva sempre significato molto per lui. Anche prima di essere maledetto, perché di certo gli zingari non gli avevano restituito l’anima per fargli una cortesia, ma per farlo soffrire e rovinargli la vita, erano stati pochi e rari gli esseri che aveva mai definito come amici.

Doyle, lui era stato il suo unico vero amico in quasi un secolo.

“Tre, se considero il ‘soggiorno’ all’inferno…”

Angel sprofondò un po’ di più nella poltrona, rilassandosi completamente. Si abbondò al filo dei ricordi, passò in rassegna i suoi migliori e ne scelse uno, semplice, per nulla complesso senza forti e contrastanti emozioni collegate, per tirarsi fuori da quella specie di depressione in cui era caduto.

Ricordò un dialogo avuto con una ragazzina qualche dopo l’inizio del ventesimo secolo.

Non ricordava esattamente neanche in che anno era successo, né il luogo, ma gli piaceva richiamare alla mente gli occhi di lei, nocciola chiaro, appena sfumati nei contorni, la sua risata, ne aveva sentite poche di così belle. In effetti, per quanto assurdo lo avrebbero creduto gli osservatori, Angel aveva sempre amato le risate.

Quella sera loro due non avevano parlato di nulla di profondo, trascendentale, avevano osservato il gattino della ragazza fare acrobazie e poi si erano messi a discutere sui felini in genere. Era intelligente quella ragazzina, fin troppo per l’epoca in cui era vissuta. Avevano passato una serata splendida accanto al fuoco, raccontandosi storie. Dopo tanti anni di vita e massacri, Angel era rimasto affascinato dalla giovinezza della ragazza, dalla sua curiosità. Le persone curiose avevano sempre avuto la sua innata simpatia.

Era stato un incontro inaspettato ma decisamente piacevole. Angel ricordava che non era stata una cosa programmata, più una serie di circostanze a portarli a dividere quella serata, prima di tutto in quel periodo era lui stesso ad evitare per quanto possibile il contatto con gli umani.

Quella serata era stata un’eccezione in tante cose.

Sentì un leggero bussare alla porta.

-Prego.

Liz entrò nello studio, vestita elegantemente, con i capelli acconciati.

-Hai superato la fase “oddio, sono terribilmente depresso e addolorato, la vita non ha più senso, c’è troppo dolore in essa”?

-Si, ma da poco. Ero in pieno “rivanghiamo memorie di gioventù e speranze di vita”.

Eliza sorrise sollevata, se scherzava Angel doveva stare meglio.

-Perfetto, quindi possiamo procedere ad una serata di divertimenti, giusto?

Angel sorrise un po’ di sbieco.

-Non sono sicuro di essere ancora pronto all’idea.

-Lo sai? Sei uno che pensa troppo anche per chi ha l’eternità davanti.

Non che lei avesse torto. Non gli avrebbe fatto male almeno informarsi educatamente.

-E dove dovremmo andare?

Angel era sospettoso, non la conosceva abbastanza da sapere cosa intendesse lei per divertimento.

-Proporrei una discoteca metallara, piena di gente con piercing, tatuaggi e coltelli. Poi non so, qualche locale illegale di lotta….hum… ora che ci penso non mi sembri il tipo.

Il sopracciglio alzato sul volto del vampiro era molto eloquente.

-L’idea era una cena in un piccolo ristorante qui vicino, dove preparano zuppe fantastiche, poi una serata ad un concerto.

-Che musica?

Chiese il vampiro senza sbilanciarsi.

-Classica.

Ora era davvero interessato. Era da parecchi anni che non ascoltava musica classica dal vivo. Il vampiro sorrise, era quasi convinto.

-Accetto con piacere. Ma ti dovrai accontentare di un accompagnatore piuttosto miserabile. -Indicò i suoi abiti informali. –Non so se vorrai rovinarti la reputazione con un derelitto simile al tuo braccio. –Aggiunse con un sorriso.

Angel non ricordava quanto fosse passato dall’ultima volta che aveva scherzato a quel modo con una donna.

-La scusa non regge. In camera tua si trovano uno smoking ed un abito scuro. Scegli quello che preferisci, ti aspetto in salone.

 

 

 

 

All’uscita dalla sala concerti stavano ridendo allegramente braccio sotto braccio. Angel aveva scoperto di avere molte cose in comune con Liz, senso dell’humor compreso. Era tanto che non rideva così. Dall’ultima volta che lo aveva fatto con Doyle.

-Non male come concerto, ma una volta avevano tutto un altro fascino.

Liz scrollò le spalle.

-Cosa vuoi farci, l’epoca moderna è quella che è. Molto meglio di sicuro della musica del quattrocento.

Un brivido corse lungo la spina dorsale di Angel. Aveva assistito ad un concerto di quel genere di musica. Era stata Darla ad insistere, gli aveva elencato una serie di motivi allora validi, tra l’altro quella sera all’esibizione avrebbe assistito il fior fiore della società e la vampira aveva bisogno di fare la conoscenza di alcuni dei presenti. Alla fine lui aveva ceduto.

Lo avrebbe rimpianto

Per l’eternità.

Era stata davvero una delle esperienze peggiori della sua vita. Dopo la prima ora avrebbe sbattuto la testa contro un muro, ce ne fosse stato uno disponibile. Invece aveva stretto i denti e sopportato tutto il concerto.

Fare una scenata in quel posto sarebbe stata una pessima idea. Lui e Darla stavano lavorando ad un progetto da mesi, facendosi passare per umani, un gesto simile in un posto pubblico era l’unica cosa che non potevano davvero permettersi.

Giunse anche la fine del concerto, quando Angel era quasi disperato. Si era alzato ed aveva lasciato la sala in fretta fermandosi solo all’ingresso per parlare con altri spettatori. Alcuni erano stati entusiasti.

Poi, quella notte stessa, aveva ucciso direttore ed orchestra. Dolorosamente.

Non si pentiva di averlo fatto neanche oggi. Assolutamente.

I due camminarono per un po’ in silenzio. Stavano bene.

Angel era diventato da tempo un cultore dei silenzi. Adorava semplicemente passare tempo con i suoi amici, senza niente da dire, senza niente da fare.

I silenzi erano anche l’unica cosa in grado di farlo parlare.

-Sai, la sua amicizia mi manca.

Liz annuì. Naturalmente era capitato anche a lei di perdere qualcuno. E già altre volte a lui. Ma Angel semplicemente ne voleva parlare. Ne aveva bisogno. Liz non gli avrebbe negato un po’ di attenzione ed un minimo di supporto.

-Per noi non è mai facile trovare un amico. Con il tempo la nostra personalità diventa più complessa, e non tutti sono in grado di capire o perlomeno accettare tutto le sfaccettature che abbiamo…e nell’amicizia la comprensione è essenziale. E quindi significano sempre molto per noi.

Il vampiro annuì.

-Mi sento solo ora che non c’è più. Non immaginavo…

“Chissà cosa non immaginavo, io che penso sempre a tutto.”

-Non immaginavi… ma lo sapevi, lo hai sempre saputo. –Replicò Liz. –Nella nostra vita gli umani vanno e vengono, anche quelli che vorremmo restassero.

“Soprattutto loro”. Quanti ne aveva visti morire. I primi anni, le prime volte che qualcuno di loro non c’era stato più, era stato un vero inferno per Eliza. In quei tempi trovare un vero amico, per lei, una donna in un universo maschile, era stato praticamente impossibile.

-Speravo in più tempo.

La voce di Angel si era fatta triste.

-Uno, dieci o cento anni sarebbero sempre troppo pochi. Non cambierebbe nulla, lo sai. Per noi, loro stanno sempre per morire.

Angel la fissò ma Liz guardava per terra, assorta nei suoi pensieri. Sembrava anche lei preda dei ricordi. Il vampiro decise di non disturbarla, aspettando qualche secondo prima di parlare nuovamente.

-Questo non ti ferma dall’avere amici mortali, come Faith…

-Faith è brava con le sfaccettature… -Disse Liz con un mezzo sorriso ed una scrollata di spalle. –Ed io so in ogni momento che un giorno lei e gli altri non ci saranno più.

Non le piaceva parlarne. Era ancora un inferno ogni volta che perdeva qualcuno. Solo sapeva che poi il dolore sarebbe diminuito.

Ed era la verità, inutile sprecare tempo ed energia a negarla.

-E allora perché continui a fare una cosa simile?

Non era curiosità, lui conosceva gia la risposta, ma la voleva sentire detta da qualcun altro. Voleva essere rassicurato che stava soffrendo per un motivo valido.

“Un comportamento molto umano per essere un vampiro…o perlomeno un comportamento che gli umani si arrogano con diritto esclusivo…”

Pensò fra sé Liz.

-Si chiama vivere Angel, e la morte ne fa parte. E’ un gioco crudele a volte. Lo sai bene quanto me. –Liz lo fissò negli occhi per un attimo prima di proseguire. –Anche se in questo momento vorresti ignorarlo, e semplicemente urlare fino a che finisca la tua voce… e scendere fino all’inferno per far tornare il tuo amico.

Continuarono a camminare in silenzio.

 

 

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli osservatori. Venerdì 21.

 

 

 

Piegò l’ultima camicia e la ripose sopra ai completi, e poi, dopo aver aggiunto le ultime cose che aveva lasciato in bagno, chiuse il bagaglio.

Ora era pronto a partire, impermeabile in una mano, la valigia nell’altra, vestito perfettamente stirato e cravatta impeccabile. Giles si sentiva completamente inglese e non poté evitare di guardarsi allo specchio ed ammirarsi con un po’ di nostalgia. Gli era mancata questa sensazione.

Uscì dalla stanza, metodico, e si incamminò flemmatico verso l’ascensore. Il suo volo per l’America sarebbe partito tra tre ore, tra venti minuti sarebbe dovuto andare a prendere l’elicottero che lo avrebbe portato all’aeroporto.

Non andò direttamente alla piattaforma di atterraggio, si diresse invece verso gli uffici dei dirigenti, la valigia visibile a tutti quanti. Se ne stava andando e lo voleva far sapere a tutti. Prima però sarebbe dovuto andare a parlare con Marlin.

Si fermò davanti alla porta della sua segretaria, aspettando educatamente che finisse la telefonata che stava facendo prima di rivolgerle la parola. L’assistente sapeva chi era e si dimostrò gentile e disponibile nei suoi confronti. La cosa gli fece un enorme piacere. La carica di osservatore della cacciatrice conferiva molto prestigio ed era bello essere finalmente in un ambiente dove questo rispetto ed ammirazione erano ritenuti completamente naturali ed espressi pienamente.

-Signor Giles è un piacere rivederla. Credo che Miss Marlin la riceverà subito, mi faccia controllare. Intanto, la prego, si accomodi.

Dopo un colpo educato alla porta, la donna si affacciò un attimo nell’ufficio, scambiando un paio di frasi con Marlin, prima di tornare nell’anticamera con un sorriso rilassato sulle labbra.

-Prego, può entrare. Se vuole lasciare la valigia qui…

Gli indicò il divanetto dove era seduto. Giles annuì sorridendo gentilmente a sua volta.

-La ringrazio signorina, non avrei voluto disturbarla chiedendole questa cortesia.

La segretaria fece un gesto della mano ad indicare che non era affatto un disturbo e con un ultimo cenno del capo Rupert si avvicinò alla porta, entrando poi nell’ufficio.

Come sempre, trovò Magdalene seduta dietro alla propria scrivania impegnata a leggere una qualche pratica. Completamente ignorando l’angolo ammobiliato tipo salotto all’interno della stanza, Rupert si diresse verso le sedie davanti alla scrivania, chiedendosi se mai qualcuno si fosse seduto sull’immacolato divano di pelle nera.

-Buongiorno Miss Marlin.

Lei alzò la testa per seguirne l’ingresso.

-Buongiorno Mister Giles. Prego si accomodi. Cosa la porta nel mio ufficio?

-Volevo salutarla prima della mia partenza.

Replicò l’uomo.

-Capisco.

Magdalene sapeva perfettamente che Giles stava per tornare in America, e che il fatto di salutarla di persona era soltanto una scusa per qualsiasi motivo l’avesse spinto lì.

Non intrattenevano rapporti amichevoli, e per quanto lei fosse il suo diretto supervisore, nessuno si aspettava che qualsiasi forma di controllo sulle sue azioni fosse realmente esercitata. L’intervento di un dirigente sulle questioni dell’osservatore della cacciatrice era del tutto eccezionale, generalmente i due si limitavano a parlare e il supervisore dava al massimo consigli o indicazioni all’altro.

-La riunione plenaria è finita, ed a meno che la mia presenza non sia richiesta ulteriormente, preferisco tornare a Sunnydale. L’attività demoniaca potrebbe essere aumentata durante a mia assenza.

-La sua cacciatrice l’ha informata di aver problemi?

Magdalene sperava non si trattasse di un’altra apocalissi, in quegli ultimi anni ce ne erano state fin troppe per i suoi gusti. Erano eventi sempre molto incerti, che cambiavano troppo spesso le carte in tavola, alterando i rapporti all’interno del Concilio. E questo al momento sarebbe solamente tornato a suo svantaggio.

-Al contrario. –Rispose l’osservatore. –E’ tutto perfettamente tranquillo ma la mia cacciatrice non è presente sul luogo. E’ andata in vacanza, non c’era particolare attività ed ho approfittato per darle una settimana di libertà. Le serviva una pausa. Si trova a Manchester ora. In città sono rimaste due persone di cui mi fido pienamente, perfettamente in grado di sorvegliare la bocca dell’inferno e chiamarmi in caso accada qualcosa. Si tratta di persone capaci ed informate. –Giles si obbligò a smettere di parlare. Stava dicendo troppo. “Ancora un po’ e sarà chiaro che non è stata una mia idea lasciare Sunnydale in mano a gente non qualificata a sufficienza e poi ci sarà l’inferno da pagare.” –Ovviamente Buffy è reperibile in qualsiasi momento, dovesse esserci in caso di emergenza.

Magdalene si limitò ad annuire. Non aveva saputo prima dell’assenza della cacciatrice, e la cosa l’aveva colta di sorpresa, la Summers non prendeva mai vacanze, ma non era il caso di sottolinearlo. La stessa meta di vacanze la coglieva alla sprovvista, di certo la città inglese non era una delle località turistiche per eccellenza. Le ci volle solo un attimo a decidere che la notizia poteva avere interessanti risvolti. Appena Giles se ne fosse andato, avrebbe dovuto prendere accordi, per sfruttare il vantaggio di essere l’unica a conoscenza della cosa.

-Voglio sapere cosa succederà dopo. –Sembrava che l’osservatore avesse raccolto le idee durante quei pochi secondi di silenzio e finalmente avesse deciso di fare la domanda per cui era venuto. Aveva alzato appena il mento e squadrato le spalle per darsi inconsciamente più forza.

-Un nuovo capo del Concilio, nomina di dirigenti diversi.

Magdalene gli rispose blandamente, rimanendo volutamente vaga, aveva del lavoro da fare e nessuna voglia di discutere con lui sul futuro. Non ne valeva il tempo impiegato.

-Cosa ci sarà in cambio del mio appoggio? Sa benissimo che potrei schierarmi altrove.

Era un dilettante. Decisamente un dilettante. Marlin scosse mentalmente la testa. Giles mancava completamente di grazia ed intelligenza nel portare avanti argomenti e minacce. A meno che la nomina ad osservatore anziano non facesse un miracolo, e ne dubitava, non si sarebbe affatto stupita di trovarlo da lì a dieci anni Custode della Biblioteca, carica certamente onorifica ma vuota di qualsiasi reale potere.

E probabilmente ne sarebbe stato anche soddisfatto.

Magdalene sorrise, completamente a proprio agio, come se la provocazione di Giles non contasse nulla. Non contava nulla in realtà, ma l’uomo non lo sapeva e le sembrava crudele deluderlo così presto. Appena possibile avrebbe provveduto personalmente a fargli ottenere la nomina a vita di Custode della Biblioteca.

-Cosa vorrebbe?

Chiese, sondando il terreno.

-Più denaro per me. Cinquemila dollari la mese. Una squadra di cinque osservatori ai miei diretti ordini, stanziati qui, di mia scelta. Il ritiro di qualsiasi ombra, operativo od agente da Sunnydale.

Cinquemila dollari al mese e cinque osservatori, le veniva da ridere alle richieste sapendo cosa era veramente in palio. Qui si discuteva nell’ordine di milioni e centinaia di migliaia.

-Pensavo avessimo già un accordo.

Marlin continuava a sorridere, era leggermente divertita dal vedere questa formica sforzarsi di mettere da parte quante più briciole possibile. Lei era in una posizione di vantaggio e lo sapevano entrambi. Con questo dialogo Giles rischiava il tutto per tutto, mentre per lei si trattava solo di un dettaglio. I secondi scorrevano lenti senza una risposta e Rupert sentì il sudore colargli alla base del collo, e le dita delle mani, rilassate sue braccioli, diventare sempre più fredde.

-Pensava male.

Era divertente vederlo seduto nella poltroncina di fronte a lei a dettarle condizioni. La rigidità di busto e spalle tradivano il suo nervosismo nonostante la completa inespressività del volto. Marlin glielo doveva concedere, aveva una buona  faccia da poker. Ma l’illuso credeva che lei non avesse il potere di spazzarlo via. Od il coraggio di farlo. O la voglia.

Magdalene si concesse il lusso di immaginarsi prendere la pistola che teneva nel cassetto vicino a sé e di freddarlo con un colpo in mezzo agli occhi, godendosi il suo sguardo scioccato per qualche attimo prima di premere il grilletto. Poi di chiamare una riunione straordinaria e dichiarare traditrice la cacciatrice, che sarebbe risultata irreperibile, avvalorando la sua tesi. Sarebbero partite delle indagini, un paio di versamenti su conti alle Cayman per spiegare il voltafaccia, e delle squadre di operativi le avrebbero dato la caccia. E togliere così un giocatore alla partita.

E dando un jolly a Travers o Miller in caso riuscissero a rintracciare la Summers e a farla scagionare.

Sorrise ancora. Come se avesse già deciso da tempo di dargli quelle concessioni.

-Ha un accordo Signor Giles. Un nuovo accordo.

Riaprì la pratica su cui stava lavorando prima dell’ingresso dell’osservatore, informandolo che il colloquio era finito. Poteva vedere nel suo sguardo la soddisfazione di aver vinto ma ancora di più il sollievo e la sorpresa di essere ancora vivo.

-Perfetto Miss Marlin. Arrivederla.

-Arrivederla, chiuda la porta quando esce.

Giles si alzò ed uscì dall’ufficio. Recuperò la valigia rivolgendo un cenno di saluto alla segretaria e andò all’ascensore. Si sentiva straordinariamente bene, anche se le gambe gli tremavano leggermente, aveva passato dei lunghissimi secondi seduto là dentro.

“Dannazione quella poltroncina è la cosa più scomoda sulla quale mi sono mai seduto, ho a schiena a pezzi, non vedo l’ora di rilassarmi sul sedile dell’aereo…”

Guardò l’orologio e vide che ormai era ora di andare a prendere l’elicottero. Sorrise apertamente. Era riuscito a strappare un accordo favorevole a Magdalene.

Un accordo molto favorevole per lui.

Ma aveva rischiato molto per farlo. Si asciugò il sudore delle mani sui pantaloni di tweed mentre aspettava l’arrivo dell’ascensore.

Le porte scorrevoli si aprirono. All’interno si trovava Faith, negligentemente appoggiata alla parete di fondo, un borsone nero tra le gambe. Irrigidendosi nuovamente l’osservatore entrò, alzando il mento ed allargando le spalle di fronte alla ragazza, in un gesto nuovamente del tutto inconscio. Aveva scambiato una belva per un'altra. E di questa non conosceva la distanza di sicurezza da tenere.

“Almeno sapevo che Miss Marlin non mi avrebbe sparato di punto in bianco un colpo in mezzo agli occhi, soltanto perché magari si annoiava”.

La ragazza non gli rivolse la parola, un’espressione completamente disinteressata sul volto come se stesse pensando ad altro.

Rimasero in silenzio mentre l’ascensore ripartiva e si fermava. Scesero allo stesso piano e si avviarono nella medesima direzione. La cosa cominciava a diventare inquietante. Proseguirono così per alcuni minuti mentre la paura dell’osservatore cominciava a montare ad ondate sempre più alte, il silenzio sempre più opprimente.

Più andavano avanti, più i corridoi diventavano deserti.

Ormai Giles sentiva il cuore battergli nelle orecchie ed i palmi delle mani ricominciare a sudare, il respiro si stava facendo affannoso. Era sull’orlo di un attacco di panico e si odiò per questo. Non voleva dimostrare alcuna debolezza alla cacciatrice, avendo paura che avvertendolo vulnerabile lei lo avrebbe attaccato.

Un'altra svolta, Faith ancora dietro di lui.

Si asciugò le mani sui pantaloni, mentre, oltre alla paura, cominciava a formarsi un’irrazionale irritazione al pensiero di morire in un corridoio buio dopo essere sopravissuto a Magdalene. Aveva scambiato una belva per un'altra.

“…Ho solo scambiato una belva per un'altra…”

Ma era sopravvissuto a Marlin o questa era la sua vera risposta all’accordo che Giles aveva forzato per farle accettare? No, non era possibile, Magdalene non era mai sembrata arrabbiata in tutta la loro conversazione.

“Sarebbe sembrata arrabbiata se pensava di farmi fuori giusto?” pensò con disperazione “non uccidi uno che non ti fa perdere le staffe, no…” e lei non era mai sembrata arrabbiata, “…solo un attimo forse, troppo poco per decidere una cosa del genere… e poi ha bisogno di me, lei ha bisogno di me!”

Deglutì, sempre più irritato e spaventato dal comportamento della cacciatrice che lo seguiva silenziosa a qualche passo di distanza. Quasi non sentiva più il rumore delle sue scarpe contro il pavimento tanto era diventato affannoso il suo respiro. Cominciava a trovare difficoltà a pensare lucidamente, che diavolo a pensare del tutto, aveva voglia di scappare, di correre fino a non trovare una stanza in cui chiudersi. Se soltanto le gambe avessero smesso di tremare.

Giles si bloccò all’improvviso, girandosi per affrontarla. Una soluzione, questa faccenda doveva avere una soluzione. Se ne sarebbe tirato fuori ragionando, parlando alla cacciatrice. E poi non voleva morire colpito alle spalle, il suo orgoglio gli impediva di accettare di essere accoltellato alle spalle nei corridoi del Concilio.

Non poteva morire lì, non così.

Giles non voleva morire affatto.

-Si può sapere cosa vuoi?!

Quasi urlò, c’era dell’isterismo mal trattenuto nel tono di voce. Lei non si fermò, limitandosi a girargli intorno ed a continuare a camminare imperturbata, come se lui non fosse altro che una cassetta delle lettere da evitare su un comune marciapiede. Lo sfiorò con il borsone che portava senza arrivare neanche a toccarlo veramente.

-Raggiungere il mio elicottero.

Gli rispose continuando ad allontanarsi.

Giles si sentiva la testa leggera e le gambe deboli. Si appoggiò con una mano contro la parete cercando un appiglio solido, aveva paura di svenire. La vista gli si annebbiò, per poi schiarirsi poco dopo. Dopo aver fatto qualche respiro profondo per calmarsi un po’, Rupert ricominciò a camminare, ancora scosso dall’esperienza. Una volta raggiunto lo spiazzale si era calmato abbastanza, anche se il suo volto era ancora abbastanza pallido. Notò che il velivolo non era ancora arrivato e cercò con lo sguardo la cacciatrice. Faith era semisdraiata sull’asfalto caldo, il borsone dietro la testa come cuscino.

L’osservatore le arrivò al fianco, godendo del fatto di sovrastarla completamente, di averla sdraiata ai suoi piedi, sentendosi forte e sicuro, ora che era fuori da quei corridoi semi bui e deserti.

-Mi stai coprendo il sole. Spostati.

La voce era remota. Sorpreso Giles fece come gli era stato detto, spostandosi un po’ di lato, prima ancora che pensasse ad ignorare l’ordine. Se ne accorse e se ne risentì, sentendo accrescersi la rabbia che provava per quanto era accaduto solo minuti prima. Le rivolse parole brusche e rauche.

-Cosa stai facendo tu qui?

-Aspetto un elicottero?

Sarcastica.

-Perché?

-Tu e la tua cacciatrice vi assomigliata sai?... - Giles non colse il riferimento, così scelse di ignorarlo aspettando che l’altra riprendesse parlare.

-Perché cosa? –continuò Faith dopo qualche attimo.

-Cosa ci stai facendo al Concilio.

-Ci lavoro.

Giles emise grugnito divertito, del tutto scettico alla veridicità della risposta. Sapeva che Faith lavorava per il Concilio, ma di certo non nella sede centrale, non aveva una qualifica per esserci. Lei sarebbe dovuta essere stanziata in una qualche remota ed insignificante postazione nel pieno dell’Asia centrale. Un posto dove non potesse fare danni. 

-Tagli teste?

La provocò. Faith non reagì minimamente alle parole.

In quel momento sulla piattaforma arrivò Vivien, una delle caposquadra impegnate nella stessa missione di addestramento a cui partecipava anche la cacciatrice, giusto in tempo per sentire le ultime battute scambiate dai due.

“Strano che il tipo sia ancora in piedi senza neanche un naso rotto… idiota… gioca con il fuoco e non se ne rende neanche conto…”

Pensò avvicinandosi.

-Si, e sono decisamente comode come cuscino. La borsa ne è piena, sai?

Alla battuta della cacciatrice la donna sorrise. Uscendo dall’ombra proiettata dell’edificio, Vivien si schermò con una mano gli occhi per ripararli dal sole e li raggiunse, interrompendo la discussione.

-Hey Faith, sempre la prima. –Indicò con un cenno la sacca, completamente seria. –E così sono teste quelle che tieni li dentro? Alla fine il mistero è stato risolto.

-Ciao Vivien. Esatto, mistero risolto. Ovviamente ora che lo sai ti dovrò uccidere… –Faith sorrise di rimando all’espressione fintamente sconvolta e spaventata della caposquadra. –Come al solito è l’elicottero che è in ritardo, non io in anticipo.

-E’ arrivata una comunicazione in sala controllo, dieci minuti di ritardo. Turbolenze hanno detto. –Vivien aveva un’espressione piuttosto scettica. –Ma con questo sole è più probabile che sia stato Frederik ad alzarsi tardi.

La donna era vestita in tuta da commando nera, anche con uno zaino sulle spalle che buttò poco cerimoniosamente vicino a quello di Faith, ed un sorriso disteso e amichevole sulle labbra. Sembrava stesse per andare ad un pic-nic tanto era rilassata.

Si mise a sedere anche lei sull’asfalto, gettando solo un’occhiata distratta a Giles, valutandolo velocemente. “Osservatore, seccato, impaurito…”  Faith era nella sua visuale, completamente tranquilla “…innocuo…” . Se la cacciatrice non aveva problemi né nel farlo rimanere ad ascoltare la conversazione, né nell’ignorarlo palesemente, l’operativo avrebbe fatto la stessa identica cosa.

-Pronta all’azione?

La cacciatrice si girò con un sorrisetto sulle labbra, lontano dal poter essere definito rassicurante.

-Io vivo per l’azione.

Vivien rise appena, scuotendo la testa. Faith le era stata simpatica dal primo momento. Dannazione, a dire la verità, quella ragazza era una delle poche ad apprezzare il suo sarcasmo graffiante e a saper tirare fuori risposte altrettanto dure. Andavano d’accordo abbastanza da bersi un paio di birre assieme dopo qualche missione di addestramento assieme al resto della squadra di Vivien.

-Sempre la solita.

Per Giles quella aveva tutta l’aria si essere una conversazione fatta già decine di volte, che le due si conoscessero e si fidassero l’uno dell’altra era chiaro.

-Jason rimane qui?

-Si, trattenuto dai dirigenti per un qualche motivo. Tanto peggio per lui. –La donna scrollò le spalle. Tutti gli operativi avevano un odio per i saccenti e logorroici osservatori e per le lunghe, infinite riunioni di de-briefing. Vivien non faceva eccezione. Erano capaci di tenerti tre ore a spiegare perché, appena sopraggiunta sulla scena, dopo una corsa di dieci minuti, avevi sparato da un angolo di trentacinque gradi e non trentasette durante uno scontro a fuoco con mitragliatori. Lo sapeva per esperienza personale. –Quindi ti tocca il posto di capo supremo. Ave Cesare.

Il tono di Faith diventò serio, ma non smise di sorridere mostrandosi completamente a suo agio alla notizia. Giles si limitò a togliersi gli occhiali e a cominciare a pulirli perplesso da quanto stava osservando. Il movimento attirò gli occhi di Vivien che si fissarono su di lui, finché a disagio, l’osservatore rinunciò alla familiare routine e li rimise.

-Le squadre?

-Già partite, venti minuti fa, in perfetto orario, almeno loro.

Faith annuì soddisfatta, prima di fare un’altra domanda.

-Li accompagna Richard?

-Esatto, almeno ci risparmiamo la sua acqua di colonia durante il primo volo.

Fu il turno di Faith di ridere. Il profumo del caposquadra di York era famoso, si diceva che l’inglese ci facesse la doccia con quella roba. Lei personalmente lo poteva fiutare a qualcosa come due o trecento metri in assenza di vento, e da vicino rasentava il nauseabondo. Era uno di quei momenti in cui malediva il fatto che fosse impossibile spegnere i suoi sensi a piacere.

-Devon e Carlos?

Si riferiva agli altri due comandanti della missione. Vivien fece un vago cenno della mano verso l’imponente edificio dietro di loro.

-Dovrebbero arrivare a minuti. Finivano i controlli dell’armeria.

Faith annuì facendo passare qualche secondo mentre si spostava appena per trovare una posizione migliore per prendere il sole.

-La squadra di cui faceva parte Dellah è stata esentata dal servizio?

Vivien annuì, sarebbe stato il loro turno di addestramento.

-Come avevi chiesto. Sono in licenza per tutta la settimana.

-Perfetto. Questa volta sarai tu il capocaccia. Sull’aereo decideremo la zona e i parametri di missione. Non ci dovrebbero essere molte variazioni rispetto a quella che abbiamo fatto il mese scorso, neve a parte.

L’addestramento aveva avuto luogo a nord di Mosca, in una cittadina anonima con una vecchia base militare abbandonata nei dintorni e circondata di foreste. Avevano simulato un’infiltrazione in una base allo scopo di distruggerla, con Faith nel ruolo dell’aggressore. Per riuscire ad entrare prima nella cittadina e poi nel perimetro della base, partendo da un punto imprecisato della foresta, le ci erano voluti tre giorni, passati all’esterno, con una temperatura di meno cinque gradi. Quel freddo le era rimasto nelle ossa per giorni una volta tornata a casa. La cacciatrice ancora rabbrividiva al pensiero.

-Dirigo io? –Vivien sorrise, divertita, generalmente erano sempre Faith o Jason a dirigere le operazioni di una certa entità. –E se ti agguanto, cosa vinco?

-Tanto lo sai di non avere alcuna speranza. –Faith sorrise alla faccia fintamente delusa di Vivien.  In nessuna delle missioni di addestramento in cui la cacciatrice aveva fatto da preda gli operativi avevano riportato una vittoria. Come del resto quando lei era veramente una fuggitiva. Aveva realmente combattuto ed era sfuggita realmente alla maggior parte degli uomini con cui si addestrava. Loro lo sapevano e non c’era risentimento.

Per la maggior parte di loro quello era solo un lavoro e gli altri operativi erano solo colleghi. Ora lei era loro alleata ed a loro stava bene così. La voce che girava suonava come un “meglio che stia dalla nostra parte che dall’altra” ed aveva raccolto grandi consensi. –Comunque che ne pensi del mio coltello da caccia che ti piace tanto? Con una contro scommessa di cinquanta dollari, però.

Si strinsero la mano. Si scommetteva spesso sui risultati degli addestramenti, quanto sull’esito delle missioni del resto, e la cacciatrice era presto diventata famosa per il gusto che dimostrava nel gioco. Nonché per l’abilità nel piazzare la puntata vincente. Per la gioia degli altri operativi generalmente usava il denaro vinto per offrire da bere una volta tornati al Concilio.

-Affare fatto. –La donna si girò a guardare lo spazio oltre Giles, notando due sagome avvicinarsi. –Arrivano gli altri. A dopo Faith. –Vivien si alzò per andarli a salutare. Era ovvio che l’osservatore che era vicino alla cacciatrice volesse parlarle da solo. Per tutta la durata della conversazione non aveva fatto altro che guadare stupito ed impaziente. Infatti, l’operativa non si era allontanata di tre passi, prima che Giles ricominciasse il suo interrogatorio.

-Sei il vice capo degli operativi?

-No, sono esperto tattico e coordinatore di addestramento.

L’osservatore rimase in silenzio per qualche minuto, digerendo le notizie. Sembrava che Faith fosse cambiata veramente, anche le risposte un volta polemiche ed animose erano diventate brevi e sarcastiche.

-Non lo sapevo. –Disse banalmente alla fine.

-Non c’era alcun motivo per fartelo sapere.

Faith aveva chiuso di nuovo gli occhi godendosi il sole. Non era il tipo da andare in spiaggia e passare ore sotto il sole, ma poltrire per una decina di minuti sotto i suoi raggi non le era mai dispiaciuto. Soprattutto se si ritrovava a non far niente in attesa di un passaggio aereo.

-Non immaginavo che fosse possibile…

Non terminò la frase, e fu meglio così, la pazienza di Faith non era affatto infinita come lei stessa aveva ripetutamente detto a Buffy. La cacciatrice riaprì gli occhi e lo guardò arrabbiata per la prima volta dall’inizio della conversazione.

-La gente cresce sai? Anche se mi sembra proprio che a Sunnydale non succeda. Probabilmente ci sarà una maledizione. Sono passati più di due anni ed io sono andata avanti. Vi consiglio caldamente di farlo anche a voi. Ed ora, se hai finito di battibeccare come un adolescente frustrato, puoi anche levarti dai piedi. Ho una missione da organizzare.

 

 

 

 

 

Inghilterra, Manchester. Weston Laboratories. Venerdì 21.

 

 

 

Era un palazzo di una decina di piani, tutto in acciaio e vetro, costruito da non più di una decina di anni. L’atrio di rappresentanza era stato organizzato ammirevolmente, anche se era rimasta nell’ambiente una vaga aria di impersonalità. Era spazioso, con un soffitto altissimo, finestre gigantesche e pavimenti di lucido marmo.

Imponente.

Buffy si avvicinò al banco delle informazioni al centro dell’atrio. Dall’altra parte si trovavano delle indaffarate centraliniste, impegnate a rispondere ai telefoni squillanti. La cacciatrice dovette attendere per qualche minuto prima che una delle impiegate riuscisse a liberarsi e le chiedesse in cosa potesse esserle utile. Sul volto indossava un pratico sorriso professionale, abbastanza caloroso da non mettere a disagio Buffy.

-Salve, volevo informazioni su Janet Tisred, è stata una vostra dipendente, circa venti anni fa.

“Ok, suona assurdo anche a me chiedere informazioni su mia madre a una perfetta sconosciuta, relative a più di  venti anni fa, il tutto con un sorriso ancora più idiota di quello che a lei.”

La ragazza allargò ancora di più il sorriso mentre scuoteva leggermente la testa, come deliziata da qualcosa che la cacciatrice avesse detto.

-Mi dispiace ma non possiamo esserli utili. E’ politica aziendale della Weston non divulgare informazioni riguardo i dipendenti.

-Capisco. –No, non era vero, Buffy non voleva assolutamente capire. -Ma vede, si tratta di un caso particolare… immagino si possa fare un’eccezione… sa… lei era mia madre… io non l’ho mai conosciuta… tutto quello che so è che lavorava qui… inoltre è morta… quindi non vedo problemi… non può infrangere la privacy di una persona morta, no? Non crede anche lei?

-Mi dispiace. –Il sorriso si era fatto ancora più largo, impassibilmente grande, ma almeno la testa non si muoveva più. – Proprio non posso aiutarla. E’ la politica dell’azienda.

-Ho capito che è la politica dell’azienda. - “Brutta idiota, ma dietro il sorriso ce l’hai un cervello?” –Ma io sono la figlia di Janet Tisred e gradirei avere informazioni su di lei. MIA MADRE. –Buffy stava cominciando a perdere la pazienza ed ad alzare la voce di conseguenza.

La ragazza la guardò preoccupata, senza parlare per un attimo, incerta. Non voleva che questa biondina le creasse problemi o si mettesse a fare scenate nella hall.

-E’ al di fuori delle mie competenze darle queste informazioni.

Meglio scaricare la responsabilità.

-E di chi è la competenza allora?

Buffy aveva cominciato a battere nervosamente un piede a terra. Intorno al bancone della reception alcune teste curiose si erano voltate un attimo per vedere quello che stava succedendo, notando l’evidente stato di agitazione della ragazza ma poi tornando a seguire i loro affari disinteressanti.

-Non lo so, - la centralinista rimase a pensare per qualche secondo. -forse del direttore del personale.

-Allora lo chiami. Ci voglio parlare.

Soltanto una delle persone continuava a seguire la conversazione, un po’ perplessa ma chiaramente incuriosita. Era un uomo paffuto, con i capelli completamente grigi e i baffi che gli nascondevano completamente il labbro superiore.

La centralinista provò ancora ad obbiettare, senza molta convinzione. Poteva disturbare il direttore del personale per una biondina esaltata?

-Sono venuta per quelle informazioni e non me ne andrò fin quando le avrò ottenute.

Rassegnata la ragazza alzò la cornetta del telefono, le avevano raccomandato di evitare sempre e comunque qualsiasi scenata. Contemporaneamente l’uomo lasciò il suo posto per avvicinarsi a Buffy, face cenno alla centralinista di lasciar perdere la telefonata mentre arrivava davanti alla cacciatrice. Fin troppo felice di obbedire la giovane passò ad occuparsi di altro.

La cacciatrice guardò arrabbiata verso l’uomo che aveva appena nullificato i suoi sforzi con un semplice gesto della mano. Lo sguardo adirato della ragazza non sembrò intimidirlo per nulla mentre si fermava a pochi passi da lei, sorridendo affettuosamente.

-E lei sarebbe?

-Daniel Guillory. E’ un piacere conoscerti.

Buffy si limitò ad alzare un sopracciglio, perplessa. Il tono con cui le si era rivolto era estremamente cordiale. Le offrì la mano, lei non si mosse.

-Ero un amico di tua madre.

Soggiunse come spiegazione davanti alla sue evidente confusione. La guardava con cordialità, ed un leggero divertimento a causa della situazione improbabile in cui si erano incontrati. La cacciatrice gli rispose sorridendo, le stava simpatico.

-Non sperare di ottenere niente da loro, anche se riuscissi a superare la protezione della “privacy” non ti sciorinerebbero che una manciata di date senza alcuna importanza per te. Ed immagino invece che ci siano molte cose di cui tu voglia sapere. –Buffy annuì e Daniel gli posò una mano sulla spalla, in un gesto affezionato. –Ho appena staccato e conosco un pub qui vicino. Andiamo lì, si parla meglio seduti, che non in piedi in mezzo ad una atrio. Ho parecchie cose da raccontarti… ah, comunque chiamami Danny.

Dieci minuti dopo se ne stavano seduti in un tavolino del pub, lei davanti ad un succo di frutta, lui con una pinta di birra scura. Buffy gli raccontò della scoperta di essere stata adottata, di come avesse vissuto all’oscuro di tutto in precedenza, delle ricerche che aveva fatto e di come l’avessero condotta lì.

-Hai scoperto molte cose per essere una che cerca la verità da pochi mesi.

Buffy arrossì imbarazzata. Danny le sorrise leggermente.

-Fortuna. Sono addirittura arrivata all’indirizzo di mia sorella, vive qui.

-Le hai già parlato?

Chiese Daniel incuriosito.

-No, non ancora. Non so come reagirebbe alla notizia. Io stessa ho avuto, e ho ancora molte difficoltà a comprendere quello che è successo. E non sono quella che improvvisamente ritrova una sorella dimenticata, se non addirittura sconosciuta.

Scosse la testa sconsolata.

-Capisco. Così hai deciso di scoprire qualcosa in più su tua madre prima di parlare con lei. Per avere almeno un’idea di cosa dire.

Buffy sorrise ancora, felice che il suo comportamento fosse stato compreso dall’uomo. Danny passò la successiva ora a parlarle di Janet, l’aveva conosciuta bene, anni addietro.

Inizialmente erano solo descrizioni, piuttosto scarne di particolari, di quello che era successo. Dopo, quando erano passati a cenare al ristornate dell’albergo, visto che si era fatto tardi, le raccontò decine di aneddoti e storielle divertenti su quello che loro due avevano combinato anni prima, appena usciti dal college. Risero molto e di tanto in tanto sul volto di Danny si poteva vedere la nostalgia per quegli anni.

Verso la fine della cena il discorso tornò serio.

-Poi, durante l’ultimo progetto, aveva cominciato a sembrarmi preoccupata, come se qualcosa la turbasse. Tua sorella era appena nata, e qualcosa sembrò cambiare. Un miracolo, o meglio il secondo, le era stato detto che era molto improbabile che riuscisse mai a concepire… Comunque non mi ha mai voluto parlare dei suoi problemi nonostante fossimo ottimi amici. Quando accennavo alla cosa cambiava discorso… o mi diceva che non ne voleva parlare, non in quel momento almeno… –Danny scosse la testa con rammarico. -Ho sempre sospettato che il suo comportamento avesse a che fare con il progetto che seguiva. Prima di partire per il viaggio in America mi aveva detto che lo faceva per staccare, per rilassarsi un po’ con voi, che quel progetto aveva avuto effetti imprevisti, di cui lei non era a conoscenza. E’ stato l’ultima volta che l’ho vista.

Fece un attimo di pausa, mentre sorseggiava il vino, sbatteva le palpebre velocemente come a scacciare le lacrime.

-Quale progetto seguiva?

Danny si guardò attorno, come a controllare che nessuno si interessasse a loro nel grande ristorante.

-Era top secret. Qualcosa che aveva a che fare con la genetica umana, non so di preciso. Era lei la ricercatrice, io sono solo uno dell’amministrazione.

Scrollò le spalle, non era il suo campo, non lo era mai stato.

-E per saperne di più come dovrei fare?

Danny la guardò come se fosse impazzita, e, per la prima volta, preoccupato.

-Non puoi. Dovresti entrare nei laboratori e raggiungere gli archivi e tutto il resto. E’ impossibile.

Buffy era decisa.

-Posso. Tu dimmi soltanto come.

-E’ assurdo! Dovresti superare il recinto esterno, entrare nel laboratorio, superare la sorveglianza interna e poi trovare nell’archivio esattamente quello che cerchi. E non è un piccolo archivio. E’ una pazzia.

Buffy continuò ad insistere. Quelle poche ore trascorse insieme le erano bastate per farsi un’idea di come convincerlo ad aiutarla, oltre a farla decidere di arrivare in fondo a quella storia.

-Non ti preoccupare, Danny. So quello che faccio. Puoi semplicemente darmi le informazioni necessarie?

Danny la guardò, per la prima volta soppesandola attentamente.

-Assolutamente no. Non ti aiuterò a cacciarti nei guai. Se venissi presa e andassi a finire in galera? Non me lo perdonerei mai. Non se ne parla. Cosa direbbe Janet?

-Danny, ma io devo saper quello che è successo a mia madre. So che mi capisci. –Lo guardò speranzosa. –Anche tu in tutti questi anni non hai mai smesso di pensare a lei. Si vede che qualcosa non ti convince nella faccenda. Di come sia andata a finire. Altrimenti non staremmo qui a parlare no? –Danny continuava a scuotere la testa deciso. -Fallo in sua memoria. Le devi di trovare la verità.

-Se facessi una cosa simile ti rendi conto che rischierei il licenziamento magari anche di andare in galera per spionaggio industriale o roba simile, inoltre tu rischieresti di finire arrestata per furto con scasso?

Era un’apertura, stavolta non aveva detto subito no.

-Nessuno saprebbe che sei stato tu. Se mi prendessero, e non lo faranno, stai tranquillo, non direi nulla. Non potrei mai farti una cosa simile.

Buffy lo guardava speranzosa un sorriso dolce sulle labbra.

-Ci penserò su. Ma non ti prometto niente sia ben chiaro. Lasciami il numero della tua stanza. Vedrò quello che si può fare. Non ci contare però eh…

Usò una specie di tono burbero senza molto successo. La cacciatrice annotò frettolosamente il numero della camera su un foglietto e lo passò a Danny.

-Rimarrò in città per al massimo una settimana, Danny.

Lui annuì pensieroso.

-Sei la mia unica speranza. Lo sai. E questa è la tua, la nostra, unica possibilità di sapere cosa sia successo veramente a Janet.

Le sorrise gentilmente mentre si toglieva il tovagliolo dalle gambe e lo ripiegava sul tavolo.

-Aspetta che io mi faccia nuovamente vivo prima di prendere qualsiasi iniziativa chiaro? Rimani in albergo il più possibile. Niente pazzie, d’accordo? Dammi qualche giorno.

-D’accordo.

Danny si alzò dalla sedia, Buffy fece altrettanto per salutarlo porgendogli la mano. Lui la ignorò preferendo invece abbracciarla.

-Abbi cura di te. E’ stato bello conoscerti.

-Anche a me ha fatto piacere. Chissà, magari ci rincontreremo.

 

 

Spagna, Malaga. Da qualche parte nella periferia della città. Sabato 22.

 

 

 

Appena superato l’angolo Faith poggiò la schiena contro la parete, respirando regolarmente e a fondo, cercando di pensare alla sua prossima mossa.

Sapeva che erano vicini. Erano lì anche loro, da qualche parte tra quei vicoli caotici di Malaga. L’avevano quasi raggiunta cinque minuti prima, dopo una caccia, lei lo sapeva, che era durata più di tre ore. Avevano fatto irruzione nel piccolo appartamento che lei aveva occupato, ovviamente in modo del tutto abusivo,  al terzo piano di un anonimo palazzo, uno dei tanti edifici di quel quartiere che si riempiva solo d’estate, con l’arrivo dei turisti. Probabilmente gli operativi del Concilio che avevano partecipato al blitz erano stati più di venti, quasi tutto il loro potenziale disponibile sul luogo, ma non erano stati abbastanza da bloccare tutte le possibili via di fuga.

La cacciatrice aveva prestato particolare attenzione a trovare un rifugio da cui sarebbe potuta uscire anche se ogni singolo operativo impegnato nella missione avesse partecipato direttamente all’azione. Una precauzione che si poteva prendere solo conoscendo esattamente il numero di avversari di fronte a cui uno si trovava, questo era vero, ma Faith non si faceva problemi nell’utilizzare qualsiasi informazione avesse sugli uomini del Concilio per vincere in queste simulazioni. E se significava barare, beh, non aveva importanza. Del resto lei non aveva mai creduto nella cavalleria.

Così per uscire da lì aveva usato una delle vie di uscita rimasta aperta.

Faith doveva ammettere che c’era mancato poco, mentre gli operativi facevano irruzione all’interno dell’appartamento, la cacciatrice aveva appena avuto il tempo di uscire sul proprio balcone, controllare che non ci fosse nessuno a sorvegliare quella facciata e saltare sul terrazzo vicino per entrare nel locale a fianco, vuoto.

Una volta dentro il nuovo appartamento aveva forzato la porta ed era uscita su un corridoio deserto del palazzo adiacente al suo. Da qui era scesa per le scale fino ad una porta che sapeva dare tra i vicoli labirintici di quella zona della città. Poi aveva preso a correre tra quelle stradine intricate, in cui perdersi era così facile.

Mentre rimaneva appoggiata contro il muro a progettare la sua prossima mossa, Faith si ritrovò ad ammettere che gli uomini delle squadre speciali del Concilio erano diventati davvero bravi. Vivien le stava dando del filo da torcere. Come aveva sostenuto qualche giorno prima, discutendo con Jason dei preparativi della missione, la donna aveva una mente tattica veramente brillante ed una capacità di imparare dagli esempi e dai propri errori quasi incredibile. Fino ad un mese prima per trovarla ed organizzare quell’assalto ci avrebbe messo più di cinque ore, oggi ne aveva impiegate tre.

Brava, ma non a sufficienza per prenderla.

Rimase appoggiata a quella parete di mattoni, ancora caldi dopo il sole della giornata, per un altro minuto, cercando di sentire arrivare i suoi avversari, ma era una cosa difficile da fare in un posto simile.

Sentire, seppure in lontananza il rumore del traffico, sostenuto anche a quell’ora di notte, e la risacca del mare, lontano poche centinaia di metri, le confondevano l’udito, rendendolo impreciso, senza contare le distorsioni dei suoni causati dalle amplificazioni e dagli echi irregolari che quei vicoli creavano.

La stessa visuale era compromessa a causa di quelle curve a gomito e degli infiniti muri che apparivano come dal nulla a bloccare passaggi che non esistevano, ma che logicamente sarebbero dovuti essere lì, tra quei vicoli labirintici che si estendevano attorno a lei. Erano condizioni sfavorevoli anche ad i suoi avversari, ma lei era quella che perdeva di più.

Ma non sarebbe bastato neanche questo a farla prendere.

Faith cominciò a fare più attenzione agli odori che la circondavano. Quello era qualcosa a cui gli uomini non pensavano quasi mai. Gli odori. Lei stessa non aveva l’olfatto acuto che caratterizzava i vampiri, i cani o decine di altri esseri, anche se sentiva molto meglio degli esseri umani. Quello che contava di più era che lei sapeva usare quel senso, percependo gli odori che la circondavano ed usandoli a proprio vantaggio meglio di quanto un qualsiasi uomo potesse immaginare o prevedere.

C’era una leggera brezza che spirava dal mare, la salsedine si sentiva forte, come un costante e fastidioso brusio di sottofondo. Poi c’erano i rifiuti, i cassonetti persi tra quei vicoli che non erano stati ancora svuotati. Odore di cibo in lontananza, probabilmente qualche ristorante. Si trattava degli odori ambientali di quel quartiere, così li eliminò, concentrandosi su quello che non ci sarebbe dovuto essere nell’aria quella notte.

Acqua di colonia. Una fragranza che riconobbe subito. Con il passare dei secondi diventava rapidamente più forte. Faith sorrise soddisfatta mentre, scivolando per un paio di metri lungo la parete, raggiungeva ed apriva una porta arrugginita, ma accuratamente oliata soltanto qualche giorno prima, che dava in un piccolo magazzino pieno di scatoloni.

Un’altra via di uscita che si era preparata.

La richiuse senza fare rumore e cominciò ad attendere che la squadra di ricerca la superasse, senza far caso alla porta arrugginita in fondo ad un vicolo cieco completamente buio.

Non si sarebbero fatti attendere molto, l’uomo che usava quell’acqua di colonia era un tipo irruente, alla perenne ricerca di combattimenti. Lo conosceva bene, quanto l’acqua di colonia dalla singolare fragranza che si faceva preparare su ordinazione. Sarebbero bastati una manciata di secondi, al massimo un minuto, perché arrivassero.

Un’altra presenza.

Ora, in quel magazzino con lei, c’era un vampiro. Un imprevisto pericoloso. Faith sapeva che doveva sbrigarsi ad ucciderlo senza fare rumore per evitare di essere individuata dagli operativi. Non voleva che la sua copertura saltasse per colpa di un succhiasangue senza importanza. Il suo piano di lasciar sfilare la squadra di operativi e poi di infiltrarsi dietro le loro linee e cominciare ad eliminarli dal centro verso l’esterno sarebbe fallito miseramente e la missione sarebbe diventata dieci volte più difficile. Non voleva neanche considerare la possibilità di farsi prendere da Richard. Non avrebbe mai sentito la fine delle prese in giro.

-Mostrati.

Non lo disse con voce esattamente cortese.

Ci furono dei movimenti alla sua sinistra ed un’ombra si mosse fra gli scatoloni, scivolando silenziosa fino a portarsi a circa quattro metri da lei. Faith poteva vederne i contorni umanoidi muoversi nell’oscurità, senza riuscire a identificare altri particolari. Sembrava veloce, probabilmente era anche forte, quasi scontato considerando che era un vampiro. Si fermò quasi di fronte a lei, ad un paio di metri di distanza completamente avvolto nell’ombra.

-Non sei affatto male Cacciatrice.

Sembrava che sorridesse mentre lo diceva, anche se Faith non lo poteva vedere in volto. In quel magazzino la luce era completamente assente, la stessa faccia della bruna era completamente invisibile. Non erano altro che due sagome dai contorni indefiniti.

-Chi sei?

Non le andava di giocare, stasera, non con un vampiro, già lo stava facendo con una manciata di squadre di operativi. Non aveva bisogno di altre complicazioni.

L’altro rise apertamente questa volta.

-Spike.

Replicò senza farsi pregare oltre.

-William il “Sanguinario”… -Disse Faith, lasciando in sospeso le parole. Non era completamente stupita di vederlo qui, ma la visita non le faceva di certo piacere, né comodo. Aveva sperato che Liz od Angel avessero risolto la cosa. –E’ un piacere incontrarti Billy, ci hai messo parecchio a farti vedere.

Aggiunse dopo un attimo, mentre cercava di richiamare tutto quanto sapesse sul vampiro che aveva di fronte. La sua osservatrice le aveva parlato di Spike, descrivendoglielo come un avversario molto pericoloso. Astuto e veloce. Del resto era così conosciuto proprio perché aveva ucciso due cacciatrici in meno di cento anni.

Faith non era particolarmente entusiasta di averlo incontrato qui ed ora, anche se le cose avrebbero potuto mettersi meglio per lei con l’evolversi della situazione.

Lo sperava almeno.

Al meglio la presenza di Spike poteva permetterle di uscire come vincitrice dalla guerra che si stava per scatenare al Concilio, al peggio si sarebbe dimostrato uno scontro impegnativo con un vero avversario. Non aveva alcuna intenzione di lasciarsi ammazzare da un tipo simile. Ed un combattimento era pur sempre il miglior modo per liberarsi dell’adrenalina che si sentiva scorrere proprio ora nelle vene, risvegliata poco prima dagli operativi del Concilio.

-Tutto mio Cacciatrice, tutto mio. –Sussurrò lui. –…dimmi da quanto tempo giochi a guardia e ladri con gli uomini del Concilio? E tutto per… fare cosa?... addestrarli? Si, addestrarli… un’ottima idea cacciatrice… addestra i segugi… addestrali e spera che non ti mordano mai. Perché un giorno potrebbero dare la caccia a te Cacciatrice. Lo sai vero? E non credo che si fermerebbero per dirti grazie… -Il tono malizioso divenne sprezzante. –Spero che tu non gli stia insegnando troppo.

-Non gli sto insegnando tutto. –Rispose con una scrollata di spalle Faith, più divertita che arrabbiata alle parole. Per qualche strano motivo quel vampiro le piaceva. –…comunque cominci a suonare come Drusilla. Fa’ attenzione, non vorrei che tu impazzissi proprio ora. Non sarebbe così divertente spaccarti la faccia sapendo di avere un tale vantaggio.

-Oh, su questo siamo d’accordo. –Approvò Spike mentre entrambi si immobilizzavano sentendo avvicinarsi al magazzino il rumore di passi e di ordini latrati da una voce brusca. Dovevano essere cinque o sei uomini, e dal caos che producevano stavano correndo come impazziti lungo il vicolo, avanti ed indietro, imprecando ad alta voce per la scomparsa del bersaglio che credevano di aver raggiunto. Perlustrarono velocemente i dintorni senza trovare alcuna traccia da seguire. Nessuno di loro notò la porta.

Ci furono altre imprecazioni da parte della voce brusca ed i rumori durarono ancora qualche decina di secondi prima di allontanarsi, affievolendosi sempre più, per poi sparire.

-A volte sono quasi penosi. –Commentò Spike, quel sorriso ancora nella voce. Fece una pausa, ma non inspirò. –Da quanto tempo non affronti un avversario alla tua altezza Cacciatrice?

Fu Faith a ridere questa volta. Se fosse stata una risata sincera o no, Spike non avrebbe saputo dirlo. Non la conosceva abbastanza bene. A dire la verità non la conosceva e basta. Questo scontro era un salto nel buio, ma la tentazione di misurasi ancora con una cacciatrice era troppo forte per rinunciare senza contare il bonus dovuto all’estrazione del chip.

-Perché, tu credi di esserlo?

Il vampiro rispose con il tono leggero di prima, anche se quella ragazzina gli cominciava a dare sui nervi, cacciatrice o meno. Aveva la lingua troppo veloce.

-So di esserlo.

Le rispose pungente, appena sulla difensiva.

-Se lo dici tu, ossigenato. –Lei scrollò ancora le spalle noncurante. Spike annusò con attenzione l’aria e non trovò segni di paura. La cosa lo mise in guardia prima ancora delle successive parole di Faith. –Devi sapere però che io non gioco secondo le regole.

Ora in mano la cacciatrice stringeva due pistole puntate contro di lui, che si limitò a sorriderle, sornione.

-Non ti hanno mai insegnato che a noi non ci fanno niente le pallottole? … -Scosse teatralmente la testa, l’aria afflitta. –Non credevo che fossi così principiante.

Faith gli rispose con lo stesso tono d’insulto.

-Non hai pensato che forse sono di legno? Oppure che te ne pianterò una in ogni occhio. –Gli sorrise cattiva, anche sapendo che lui non poteva vederla. –Mi piacerebbe vederti combattere alla cieca, con il cervello ridotto in una pappa… -Fece una pausa. -…non che tu lo usi poi molto. Oppure vivere per l’eternità cieco. Dopo un po’ potrebbe diventare noioso, non credi?

Il corpo di Spike si tese percettibilmente, pronto a scattare al riparo delle casse, per evitare le pallottole. Non sapeva quanto brava la cacciatrice fosse come tiratrice ma non aveva alcuna voglia di rischiare. Passare l’intera eternità cieco non lo attirava particolarmente.

Sentirono dei passi avvicinarsi nuovamente al vicolo. Fecero silenzio entrambi, quasi contemporaneamente. Non volevano essere interrotti da un branco di ragazzini inesperti. Fu Faith la prima a parlare una volta che i rumori si allontanarono nuovamente.

-Spiegami perché vorresti rischiare di essere ammazzato Spike, che non lo capisco proprio.

Il vampiro piegò appena la testa di lato, studiandola. Forse era davvero curiosa, ma più che altro Spike era convinto che lo volesse portare a una qualche conclusione. Decise di seguire il suo gioco, non aveva nulla da perdere al momento, e tutto da guadagnare.

-Perché uccido cacciatrici? E mi diverto a farlo? Hey… non per stupirti ma… -Si indicò con l’indice. -…vampiro qui... sai uccidiamo gli esseri umani… anche le cacciatrici quando capita… si… -Annuì esageratamente.- …si, anche le cacciatrici. Non sei esattamente il tipo geniale, vero?

Di nuovo il tono insolente di qualcuno che cerca di spiegare per l’ennesima volta un concetto ovvio ad un bambino ritardato.

-E te ne vai a cercare una con qualcosa come venti o trenta operativi del consiglio ai suoi ordini, con due pistole in mano e nessuna remora ad usarle, ed altri trucchi nel suo arsenale non esattamente corretti, da uccidere? –Chiese lei, sarcastica. –Quando ce ne è una che gioca alla paladina della giustizia? Tutta precisa, corretta, che non attaccherebbe mai alle spalle, con solo un paletto di legno in mano? Ma sei così tanto scemo?

Spike si limitò a scrollare le spalle, come se la cosa non avesse importanza.

-Uno potrà anche voler cambiare genere di tanto in tanto, no? Le bionde sono così insipide…

Sorrise mostrando i canini. Faith sospirò fintamente sconsolata, mentre la sua postura cambiava leggermente ed i suoi occhi andavano affissarsi in quelli gialli di Spike, appena visibili nell’oscurità.

-Senti, lasciamo perdere per un attimo le battute cretine, e mettiamo in chiaro qualcosa, ok? Dopo di che se ci tieni tanto, possiamo benissimo massacrarci di botte.

Lui annuì, non aveva niente da perdere nell’ascoltarla, mentre aspettava che abbassasse la guardia, e quelle sue dannate pistole, per un solo istante. Non sapeva se quanto avesse detto fosse vero o meno, sia a riguardo delle pallottole di legno sia della sua capacità di piantargliene veramente due negli occhi, ma veramente non voleva rischiare.

-So che lavori per uno dei dirigenti del Concilio.

Spike scrollò le spalle, come se fosse irrilevante.

-Anche tu. E quindi? Infrange qualche regola che non conosco e di cui non mi frega nulla?

-E quindi trovo molto stupido che uno di noi due, o più probabilmente entrambi, morisse per colpa di un lavoro che entrambi svolgiamo solo perché pagati e non per interesse personale.

Spike cominciava ad essere interessato. Le fece cenno di proseguire. Cominciava a tornarle simpatica questa cacciatrice. E del resto avrebbe sempre potuto sempre farla fuori più in avanti.

-Io non ho alcun motivo di uccidere te, e tu nessuno di uccidere me. Tralasciamo tutta la storia io cacciatrice, tu vampiro. Siamo svegli abbastanza da ignorarla.

Lui annuì. –Si, esatta analisi della situazione. –Una pausa. –Ti dispiace se mi accendo una sigaretta? -“Inutile rischiare una pallottola, no?”

-Fai pure.

Spike rovistò nelle tasche della giacca tirando fuori pacchetto e fiammiferi. Accese una sigaretta e ne aspirò una lunga boccata.

-Mi fanno pensare meglio. –Spiegò mentre faceva un altro tiro. –Ne vuoi una?

-Non fumo.

La cacciatrice non aveva abbassato la guardia di un millimetro, una delle pistole puntate al cuore, l’altra alla testa. Non aveva distolto gli occhi né per seguire il fiammifero che Spike aveva gettato ancora acceso, né mentre lui buttava un po’ di cenere a terra. Ci sapeva fare. Il vampiro scrollò le spalle, esteriormente noncurante, mentre cercava una via d’uscita alla situazione di stallo.

-Peggio per te. Quindi non hai alcun motivo per farmi fuori? Nemmeno uno?

Il tono alludeva a qualcosa in particolare.

-Di quel tipo che hai ammazzato non mi importava nulla. Informazioni e conclusioni inesatte. Tutto tempo sprecato. Altrimenti, fidati, non staremmo chiacchierando ora.

La luce della sigaretta era abbastanza forte da permettere a Spike di vedere appena gli occhi della cacciatrice. Ma il tono della voce era sufficiente a capire che non stava scherzando.

-Chiacchierare lo chiami. Mi stai minacciando con una pistola.

Faith scrollò le spalle.

-Mica l’ho usata.

Spike rise, accettando la sconfitta.

-Travers sta usando te per liberasi dei suoi avversari alla poltrona di primo consigliere. Io sostengo Marlin. –Faith riprese il filo della conversazione principale, come se non si fosse mai interrotta. Il vampiro si limitò ad acconsentire con un gesto della mano, facendole segno d’andare avanti. –A loro due non frega niente di noi, ci ammazzeranno appena possibile, e la cosa per quanto mi riguarda è reciproca.

Spike annuì, convinto dal suo ragionamento.

“La ragazzina lo sa usare il cervello.”

-Cosa proponi allora?

-Sbaglio o Travers ti ha affidato qualcuno come sostegno?

Spike gettò il mozzicone di sigaretta per terra. –Si, un paio di mercenari. –Lo schiacciò con attenzione con la suola degli anfibi.

-E dove sono ora?

Lui scosse la testa.

-Non ne ho la più pallida idea.

Era vero, li aveva persi di vista un paio di isolati prima di arrivare al vecchio magazzino. Aveva cercato di tenerli sotto controllo mentre seguiva a distanza la cacciatrice, non gli piaceva essere seguito. Soprattutto quando i suoi suddetti collaboratori portavano uno un lanciafiamme ed un altro un fucile di precisione. Cose del genere lo rendevano nervoso.

-E non credi che dopo una battaglia con una cacciatrice saresti stato abbastanza vulnerabile ai loro attacchi?

Spike scrollò di nuovo le spalle, non aveva considerato l’idea in quei termini esatti ma di certo non lo avrebbe ammesso.

-Forse si, forse no.

-E non pensi che Travers ti ha mandato a cercare di farmi fuori proprio qui, ed ora, durante una missione di addestramento, con la zona che brulica di operativi, per un motivo? Così magari i due simpatici mercenari si potrebbero limitare ad indicarti agli operativi ed aspettare che di te non rimanga che un mucchietto di cenere. Oppure che io stessa potrei chiamarli?

In effetti alle altre squadre Spike non aveva proprio pensato. Non ne aveva saputo nulla della loro presenza fino a quando non li aveva visti. Non era stata una sorpresa piacevole ma non li aveva ritenuti una minaccia, era sicuro che si sarebbe potuto allontanare senza che loro si accorgessero di niente. Ora non ne era poi così tanto certo. Quanto al far fuori solo i due mercenari, avrebbe potuto avere ottime probabilità di successo, anche dopo lo scontro con la cacciatrice.

Ma affrontarne altri venti…

“E’ decisamente più intelligente di quello che sembra.

Spike scrollò ancora una volte le spalle e pensò di accendersi una seconda sigaretta. La situazione si stava rivelando più spinosa del previsto. E la cacciatrice continuava a tenerlo sottomira.

-Ci avrei pensato dopo.

Faith sogghignò.

-Bel piano davvero.

-Grazie. –Le rispose il vampiro con una caricatura di inchino, era seccato che una ventenne gli facesse notare cose simili. E soprattutto era seccato dal fatto che probabilmente aveva anche ragione.

“In fondo me la sono sempre cavata con l’improvvisazione.”

Ci fu un attimo di pausa.

-Ma forse c’è un altro modo…

La bruna lasciò le parole in sospeso, attendendo una qualche reazione. Faith sapeva che Spike avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per decidere se accettare o meno la sua proposta. Ma se era abbastanza furbo…

-Illuminami.

Le disse sarcastico. Faith sorrise.

-Che ne pensi di inscenare la mia morte? Poi io ti aiuto a far fuori i tuoi simpatici amici, ti prendi il denaro che Travers ti deve dare ed ognuno felice per la sua strada?

Spike rifletté per qualche minuto. Una volta ammazzata la cacciatrice aveva progettato semplicemente di sparire senza riscuotere i soldi che gli avevano promesso. Giusto per minimizzare il rischio di essere fatto fuori da Travers. Così invece avrebbe potuto prendersi il denaro.

-Cosa ci guadagni tu, cacciatrice?

-Mi libero del Concilio. Tutti mi crederanno morta. Nuova vita da qualche altra parte. Magari le Bahamas. Non rischio di uscire storpiata da questo scontro né di finire ammazzata per mano dei tuoi piccoli aiutanti.

Spike fece un gesto con la mano verso la tasca dove aveva riposto il pacchetto di sigarette. Faith annuì.

Il vampiro aspirò un paio di boccate di fumo prima di rispondere.

-Non mi sembra male come piano. –Non lo era affatto, lo doveva riconoscere. E gli piaceva l’idea di prendere in giro il Concilio e Travers stesso. Aveva sempre amato fare scherzi. –Motivi speciali per cui poi mi dovresti lasciare in vita?

Oramai era chiaro che la cacciatrice era fedele solo a se stessa. Non che la cosa disturbasse minimamente Spike, semplicemente non era salutare fidarsi di tipi del genere. Dannazione, lui era un tipo del genere.

Stavolta fu lei a scrollare le spalle.

-Non ho niente da guadagnare dalla tua morte.

Lui annuì. Gli sarebbe dovuto bastare.

-Dammi un motivo per cui non dovrei ucciderti io.

Chiese allora.

-Non ti darò occasione di farlo.

Si sorrisero.

Dopo un ultimo tiro Spike gettò la sigaretta lontano da sé.

-Allora, qualche idea su come vuoi morire?

 

 

 

 

 

Londra, Inghilterra. Sabato 22.

 

 

 

Il locale era poco più di uno scantinato di un palazzo lontano dai quartieri bene. Era piccolo, sovraffollato e maleodorante, pieno di un’accozzaglia informe di umani, dall’aria molto poco civilizzata. Criminali da strada, avanzi di galera della malavita organizzata e un forte presidio di narcotrafficanti.

Magdalene aprì la porta del locale, lasciandola andare a sbattere nel chiudersi, e scese lentamente i quattro gradini d’ingresso mentre cercava tra i frequentatori del posto il suo contatto. Tutti gli avventori si girarono per fissarla. Il suo completo panna Dolce e Gabbana e la sua area da manager in carriera risaltavano notevolmente tra la folla di uomini in maglietta e jeans e di donne molto poco vestite.

Lei ignorò completamente gli sguardi curiosi, i sussurri e si diresse verso il bancone, camminando tranquillamente tra la folla, come se si trovasse nel pieno della city, nello stesso locale dove aveva incontrato qualche giorno prima i suoi amministratori delegati.

Una volta arrivata al bancone evitò di poggiare le mani sulla superficie macchiata e incrostata limitandosi a fissare il barista in attesa che l’uomo si decidesse a rivolgerle la parola. Attorno a lei si era fatto il silenzio, rotto solo da qualche bisbiglio e da alcune risatine.

Il primo a riprendersi fu un energumeno di quasi due metri per più di cento dieci chili, nessuno dei quali era grasso. Aveva le braccia completamente tatuate e da come si muoveva era difficile capire se si trattava di un ex appartenente all’esercito, magari congedato con disonore, o di uno scaricatore di porto che era cresciuto nelle strade.

Le si avvicinò fino a quando non fu a meno di venti centimetri da lei.

-Dolcezza hai sbagliato bar. –Rise. –Quello delle bamboline è più avanti. O forse vuoi unirti a noi? Eh?

Magdalene lo ignorò completamente limitandosi a continuare a fissare il barista che guardava la scena immobile, un ghigno divertito sulla faccia. Passò un intero minuto, poi l’uomo si stancò di aspettare ancora per avere la sua risposta.

-Hey, sto parlando con te puttana. –l’apostrofò mentre allungava il braccio per afferrarla alla spalla, in modo da farla voltare.

Marlin non lasciò che l’energumeno la toccasse. Rapida, sfruttò la sua totale ingenuità sull’assumere con chi stava trattando. Di certo lei non era la fragile e svampita donna che tutti avevano automaticamente creduto che fosse, nonostante fosse decisamente gracile rispetto al suo avversario e non gli arrivasse neppure alla spalla.

Un attimo dopo l’uomo si ritrovò in ginocchio, la faccia pressata contro il bancone ed una pistola puntata alla tempia. Il medio e l’indice del braccio stretto dietro la schiena ad un angolo innaturale, rotti.

Durante l’anno che aveva passato a Mosca assieme a Kroskj, l’altro dirigente le aveva insegnato diversi trucchi di lotta corpo a corpo. “Il minimo necessario per sopravvivere” le aveva detto. Essenzialmente le aveva insegnato due cose. A colpire con facendo il maggior danno possibile con il minimo numero di colpi ed ad usare la forza degli altri contro se stessi. E considerando che per affari entrambi lavoravano spesso con esponenti della mafia russa, quei trucchi l’avevano aiutata non poche volte.

Era stato un bell’anno quello. Interessante se non addirittura esaltante. Dopo l’iniziale diffidenza reciproca lei e Kroskj avevano stretto qualcosa di simile ad un’amicizia. Era stato un caso più che altro. Magdalene in quel periodo si era ritrovata a fare affari con mafiosi russi in una lunga serie di speculazioni edilizie, immobiliari, forniture militari e non, e su qualsiasi altra cosa si potesse speculare. Kroskj frequentava quegli stessi circoli per altri motivi. Armi, stupefacenti estorsioni. Non era esattamente un mafioso ma ci andava abbastanza vicino. Aveva capito da tempo che per controllare i demoni in una zona simile ed avere informazioni precise e veloci, avrebbe dovuto far parte del sistema. E gli incentivi che provenivano da quella vita non gli avevano mai fatto schifo.

La sera a cena quando rispettivi conoscenti li avevano “presentati” nei ruoli che rispettivamente avevano nella mafia, aveva la potenzialità di essere una scena veramente comica. Sembrava di essere all’interno di una commedia con i tipici scambi di identità. Se non per il piccolo particolare che una parola sbagliata da parte di uno dei due avrebbe potuto comportare la morte dell’altro o per mano della mafia o per volere del Concilio.

C’era voluto dell’altro tempo perché scoprissero di potersi fidare a vicenda, nessuno di loro due era vissuto così a lungo ponendo la propria fiducia nel primo che passava, sia per quanto riguardava la mafia che per quanto riguardava il Concilio. Era stata quella comunanza di interessi il nucleo iniziale della loro amicizia.

Nel bar la folla si riprese dallo stupore quando un amico del primo uomo fece un passo avanti per intervenire. Cadde a terra prima di farne un secondo, una pallottola piantata nel ginocchio, urlando di dolore. Magdalene tenne la pistola puntata contro di lui, mirando però alla testa, mentre continuava a tenere immobilizzato l’altro.

-O fai silenzio o ti uccido.

La voce completamente atona. L’uomo a terra smise immediatamente di urlare, mordendosi a sangue il labbro pur di non emettere un singolo suono, mentre l’intera sala seguiva il suo esempio. Magdalene fissò il proprio sguardo su ognuno dei presenti, uno dopo l’altro, a dimostrare le sue intenzioni. L’ultimo fu il barista.

-Dove si trova Adàn?

Il barman si limitò ad accennare con il capo ad uno dei tavoli in fondo alla sala. Magdalene lasciò andare il proprio prigioniero dopo avergli spaccato il naso contro il bancone, poi si girò e raggiunse l’ultimo tavolo in fondo camminando con la stessa tranquillità di quando era entrata.

In realtà tutti i suoi sensi erano tesi allo spasimo, intenta come era a focalizzare la sua attenzione su qualsiasi movimento brusco o rumore improvviso che l’avrebbe avvertita nel caso qualcuno decidesse di attaccarla nuovamente. Dopo la dimostrazione appena data e l’aver saputo che era qui a parlare con una della persone più importanti all’interno del bar era un’eventualità improbabile, ma non del tutto impossibile.

L’uomo al tavolo era un ispanico, magro, la pelle del volto tirata e lucidi capelli neri. Fece un cenno di saluto a Magdalene mentre lei si sedeva sulla sedia opposta alla sua senza chiedergli il permesso.

-Dove?

Il sudamericano rispose ridendo.

-Hai il denaro?

Si pentì subito di quello che aveva detto. Un attimo dopo una pistola era puntata contro di lui. Ridurre in soggezione quel bestione aveva provocato un fastidioso dolore al braccio a Magdalene, per quanto brava potesse essere tecnicamente il suo fisico era pur sempre quello che era, il che la rendeva anche meno paziente e conciliante del suo solito.

-Ti facevo più intelligente Adàn.

Il sudamericano si sbrigò a rispondere alla prima domanda, maledicendo la sua lingua.

-Domani a Bristol. –Scrisse su un foglietto l’indirizzo esatto e si accorse che la mano gli tremava leggermente. Aveva paura. Lo avevano avvisato che lei era oltre la portata della famiglia. E lui l’aveva fatta arrabbiare. Non la garanzia migliore per uscire tutto di un pezzo da un incontro con la donna che aveva davanti.

Magdalene mise sul tavolo un grosso fascio di banconote da mille dollari. Adàn era abbastanza svelto da capire di non provare a prenderli o contarli prima che lei glielo permettesse. Non si commettevano mai due errori con lei.

Marlin gli lanciò il denaro dopo essersi presa il foglietto direttamente tra le sue dita. Adàn prese il fascio di dollari al volo mentre la donna usciva dal locale, indisturbata. La porta si era appena chiusa quando il barista gli urlò da una parte all’altra parte della sala, la domanda che si stavano facendo tutti in quel momento.

-Ma chi era quella, signore?

Adàn scosse la testa e rise sollevato di essere ancora vivo. Quando gli avevano spiegato chi doveva andare ad incontrare aveva creduto che qualcuno della famiglia lo volesse morto. Su quella donna giravano leggende veramente terrificanti.

-Non ne ho la più pallida idea. Ma se siete abbastanza fortunati non dovrete mai fare affari con lei.

Gli altri clienti lo guardarono perplessi. Tutti sapevano che Adàn era un pezzo grosso di una delle famiglie sud americane e che si trovava qui a Londra per concludere affari per conto del suo clan. Tutti lo rispettavano e gli stessi boss locali con cui trattava lo temevano.

Lui si limitò a scrollare le spalle, indicando i due che stavano ancora a terra, trascurati da tutti.

-Stasera era estremamente di buon’umore. Mi hanno raccontato che ha tagliato la mano dell’ultimo che aveva provato a toccarla...

-Chi era il fesso?

Chiese una voce tra la folla.

Adàn non si girò a guardare chi avesse parlato, finì il suo gin in un solo sorso prima di rispondere.

-Mio zio Alejandro.

Che era il capo del clan.

 

 

 

Malaga, Spagna. Sabato 22, notte.

 

 

 

-A tutte le unità, qui Red Hawk, simulazione abortita. Ripeto, procedura di addestramento annullata. Codice di emergenza. Richiesta di assistenza e recupero, sono sotto attacco. Raggiungerò il punto di raccolta A tra cinque minuti.

La comunicazione radio cessò.

Nel furgone di controllo seguirono diversi secondi di stupito silenzio. L’operatore delle trasmissioni  si rivolse verso Vivien, l’espressione perplessa. Non era mai accaduto nelle simulazioni precedenti che la cacciatrice contattasse il centro comando prima della fine dell’addestramento, soprattutto non usando quel codice.

-Cosa è? Un bluff per farci uscire allo scoperto? Cosa dobbiamo fare?

Vivien lo ignorò, stava già studiando la carta della zona dell’esercitazione, individuando sia il punto di uscita A, che si trovava ad appena due isolati dal furgone, che la posizione attuale di tutte le altre squadre. Gli uomini di Richard erano abbastanza vicini da intervenire in tempo utile, non si poteva dire altrettanto di quelle di Devon e Carlos. Attivò con una mano la cuffia che portava.

-Comandante?

Infuriata dall’interruzione che le fece perdere istanti preziosi, la donna incenerì con lo sguardo l’operatore, un ragazzone biondo di neanche venticinque anni, completamente idiota a quanto pareva, facendolo immediatamente tacere. Era un idiota per cui non aveva tempo ora. Doveva organizzare un’operazione di recupero, e lo doveva fare in fretta. Gli latrò contro mentre prendeva il proprio mitra dal tavolo e si dirigeva verso il portellone del furgone aprendolo con un colpo secco.

-Red Hawk è il codice di identificazione di Faith, cretino! E’ nei guai. Avverti le squadre di Carlos e Devon della situazione e digli di convergere nel punto A il più in fretta possibile. E cerca di contattare di nuovo Faith.

Appena raggiunta la sua squadra, appostata a difesa del centro di comando, fece cenno agli uomini di seguirla mentre continuava a correre verso il punto di raccolta A, che si trovava a circa tre o quattro minuti di distanza a passo di corsa. Vivien li aveva posizionati lì per evitare l’imbarazzante ripetersi dell’infiltrazione di Faith al centro comando, e del seguente annientamento dei coordinatori dell’operazione, avvenuta durante una delle precedenti simulazioni. Era una fortuna. Significava che ora Vivien aveva non una ma due squadre di operativi in zona. Senza esitare i commando scattarono andando a posizionarsi ordinatamente dietro il loro caposquadra, immediatamente imitandone l’andatura.

Non capivano cosa stesse succedendo, ma non era importante. Avevano degli ordini da eseguire.

Vivien sentì il clic che segnalava l’inizio delle trasmissioni in cuffia.

-Qui Squadra Alfa.

La voce era sussurrata. Richard non capiva perché la donna lo avesse chiamato. Aveva perso il contatto con Faith da più di due ore, era vero, ma era ancora in piena caccia e non voleva essere disturbato. Sapeva che questa volta avrebbe potuto prendere la cacciatrice.

-Squadra Alfa, qui comando.

Replicò Vivien.

-Positivo comando.

Confermò l’uomo, ancora perplesso.

-Dirigetevi verso il punto d’uscita A, immediatamente. L’addestramento è annullato, operazione assistenza e recupero, oggetto Red Hawk.

-Positivo, assistenza e recupero Red Hawk. –Richard chiuse la trasmissione. Rimase in silenzio per un attimo, prima di imprecare sonoramente. –Oh cazzo. –Qualsiasi cosa potesse mettere nei guai una cacciatrice era un brutto affare. Imprecò ancora tra sé “Cazzo, cazzo…”. Alzò la mano, segnalando ai suoi uomini di fermarsi. –Alt. Operazione annullata.

Gli uomini si bloccarono disponendosi in semicerchio di fronte a lui, aspettando i nuovi ordini, mentre il caposquadra consultava la piccola carta che aveva nella tasca della mimetica usando la torcia tascabile che aveva per illuminarla.

Richard fece cenno agli operativi di muoversi e mentre correvano verso sud, in direzione del punto di estrazione, ricapitolò rapidamente quello che sapeva al resto della squadra. Non fu l’unico ad imprecare appena appresa le novità. Venti secondi dagli ordini di Vivien e l’intero gruppo si dirigeva ad andatura rapida verso il punto A.

 

 

 

 

-Contatto visivo ad ore tre.

Vivien girò il suo visore notturno nella direzione in cui le era stato indicato. Stava facendo respiri profondi, cercando di riprendere fiato. La corsa non l’aveva stancata, ma doveva recuperare il più possibile prima dell’eventuale scontro che avrebbero dovuto affrontare.

-Contatto confermato ed identificato.

In fondo alla strada, circa trecento metri più in là, si trovavano due figure. La distanza e la bassa luminosità ne rendeva impossibile l’identificazione a meno di usare un visore notturno come il suo. Ci mise un solo momento per mettere a fuoco i due individui, riconobbe subito Faith e quello che doveva essere un vampiro, almeno a giudicare dall’aspetto umanoide e dalla forza che dimostrava.

I due si stavano scontrando corpo a corpo, in una lotta serrata, alla base di un palazzo fatiscente alto qualche piano. Poco distante da loro, qualche metro sulla destra, si trovavano una macchina completamente sventrata dall’impatto contro la facciata dell’edificio ed una seconda auto abbandonata poco distante, il parabrezza fracassato e lo sportello lasciato aperto. Non era difficile credere che quelle vetture sfasciate fossero il risultato di un inseguimento automobilistico.

Il combattimento tra i due era tanto serrato da impedire agli operativi di avere una linea di tiro pulita, senza il rischio di colpire la cacciatrice. Imprecando tra sé all’impossibilità di aprire il fuoco, Vivien ordinò di continuare l’avanzata verso gli obbiettivi. Via radio comunicò l’avvenuta identificazione a Richard e diede ordine di sparare solo a colpo certo, altrimenti di ingaggiare il vampiro in uno scontro ravvicinato.

Non voleva correre rischi, troppe volte degli operativi erano caduti a causa di fuoco amico.

Quando la squadra di Vivien era a meno di duecento metri dall’edificio, il vampiro, con un calcio ben assestato, riuscì a scagliare la cacciatrice all’interno del palazzo, dove la seguì immediatamente impedendo agli operativi di ottenere una finestra di tempo sufficiente ad aprire il fuoco contro di lui.

Una manciata di secondi dopo, quando gli agenti del Concilio erano ancora relativamente lontani dall’edificio, l’auto fracassata contro la facciata dell’edificio esplose scagliando frammenti di metallo e detriti roventi in tutte le direzioni.

I commando si gettarono a terra per ripararsi dalla pioggia di pezzi incandescenti.

-Feriti?

Chiese Vivien al resto della squadra mentre si rialzava in piedi, controllando di non avere tagli di una qualche importanza oltre a qualche abrasione a causa dell’asfalto. Sentì dei brontolii indistinti ed un paio gemiti prima di avere la propria risposta.

-Nessuno signora.

Annuendo la donna si voltò verso l’edificio. Di fronte a quella vista le labbra le si piegarono in una smorfia impotente.

La situazione si era improvvisamente volta a loro sfavore.

Le fiamme che si alzavano dal serbatoio della vettura e che cominciavano a espandersi sulla facciata, rendevano difficile un ulteriore avvicinamento, e la stessa forza dell’esplosione aveva fatto crollare parzialmente l’ingresso dell’edificio, rendendolo di fatto impraticabile.

Vivien ed i suoi uomini rimasero in piedi, gli sguardi rivolti verso il palazzo, scrollandosi svogliatamente di dosso i detriti che gli erano caduti sopra. Dopo qualche istante la caposquadra si voltò verso di loro per dare i nuovi ordini, vedendo in quel momento sopraggiungere la seconda squadra da un vicolo.

Richard le si fermò di fianco, guardandola con espressione accigliata dopo aver lanciato un’occhiata verso la costruzione in fiamme, ancora ansante dalla corsa. La cosa non si metteva bene e lo sapeva.

-Ed ora?

Vivien scosse la testa, osservando per un attimo ancora l’edificio in fiamme e la strada coperta di detriti.

-L’ingresso principale è bloccato. Non so quanto quella vecchia struttura possa reggere al fuoco prima di crollare come un castello di carte. Faith e quello che sembrava un vampiro sono dentro, impegnati in un combattimento. –Scosse le testa. L’ingresso principale, e probabilmente l’unico, era bloccato e l’intera costruzione poco più di una trappola mortale. Per quanto volesse non poteva rischiare i suoi uomini in quell’inferno. Maledì la sua sfortuna prima di continuare a parlare. –Non possiamo essere di diretto aiuto, dovrà cavarsela. Tutto quello che possiamo fare è riuscire a crearle una via di fuga. –L’uomo annuì. La situazione non piaceva neppure a lui ma c’era poco da fare. –Prendi la tua squadra e gira intorno all’edificio…

-Comandante!

Vivien si girò, seccata dall’interruzione.

-Che c’è Douglas?

-Il tetto dell’edificio, guardi!

Vivien fece come le era stato detto. Sul tetto del palazzo si potevano vedere due figure, una delle quali teneva tra le braccia l’altra. Sconcertati gli operativi videro la testa della figura più alta piegarsi verso la seconda.

Tutti sapevano che era il vampiro che si nutriva.

Ci fu una seconda esplosione all’interno dell’edificio.

Un attimo dopo le due figure erano scomparse, nascoste da alti muri di fiamme. Ora l’intera costruzione era avvolta da lingue di fuoco e si sentiva la struttura cominciare a scricchiolare mentre cedeva.

-Richard, porta la tua squadra dall’altra parte, controlla che non ci siano uscite posteriori. Voglio la certezza che nessuno esca di lì senza che io lo sappia, chiaro? Se riconoscete Faith intervenite, tiratela fuori a qualsiasi costo, se invece si tratta di quel maledetto vampiro lasciatelo pure bruciare vivo, oppure sparategli, quello che preferite. Lo voglio morto, chiaro? –Il caposquadra annuì e con lui tutti gli altri operativi. –All’arrivo di esterni ritiratevi. Non voglio casini, la serata fa già abbastanza schifo ora.

La voce era bassa e piena di emozioni contenute e soppresse. Richard si limitò ad annuire di nuovo, facendo segno alla sua squadra di seguirlo.

Vivien fissò ancora il palazzo in fiamme, assistendo al primo crollo ed alla cascata di scintille che provocò. Non erano sicuri che il vampiro avesse ucciso realmente la cacciatrice, ma quello spettacolo lasciava poche speranze. Scuotendo la testa la donna mormorò piano qualche parola, senza che nessuno la sentisse.

-Dannazione Faith! Ti dovevi proprio andare a cacciare nell’unica situazione da cui non posso tirarti fuori…

 

 

 

-Pop-corn?

-No, passami la birra per favore.

Erano appoggiati al cornicione di mattoni e si godevano lo spettacolo dall’alto dei quindici piani di altezza dell’edificio sul quale si trovavano, il più alto della zona.

Faith e Spike osservavano interessati e divertiti la scena che si svolgeva sotto di loro. I piccoli omini in nero che circondavano la catapecchia a cui avevano dato fuoco e l’edificio, che cominciava lentamente a crollare.

-Bel rogo. –Gli fece lei, annuendo in approvazione mentre mangiava un’altra manciata di pop-corn, pescata dal sacchetto che aveva lì vicino.

-Anni di esperienza. –Rispose Spike scuotendo le spalle. –Comunque complimenti per come hai piazzato le bombe, senza di quelle distrarli abbastanza da andarmene, tutto sarebbe stato più difficile… sai, non ti facevo esperta di esplosivi.

Faith scrollò le spalle.

-Cosa ci vuoi fare, dovevo scegliermi un hobby, e mica tutti vogliono diventare piromani.

Lui annuì solennemente.

Mangiarono ancora qualche manciata di pop-corn prima di riprendere la conversazione. Sotto le fiamme stavano diventando più alte. Sarebbero bastati pochi minuti per far crollare l’edificio, già c’erano stati i primi cedimenti strutturali.

-Carino, a pensare che tutti credono che io stia rosolando lì dentro.

Commentò Faith, piegando la testa un po’ di lato mentre osservava la scena.

-Beh, almeno te ne vai con stile, una gigantesca pira tutta tua. Sono secoli che nessuno ha più avuta una.

Le fece notare Spike.

 -Un bello show, eh?

Spike annuì prima di bere un sorso di birra. Il palazzo crollò con un boato, alzando nubi di scintille e detriti. Gli operativi si misero al riparo mentre in lontananza si cominciavano a sentire le sirene delle autopompe.

-Incredibile che ci siano cascati.

-Nah, semplice trucco da prestigiatore, prepari l’illusione, li distrai ed il gioco è fatto. –Disse il vampiro allungando la mano per prendere l’ultima manciata di pop-corn. –Il risultato non è perfetto, ma se cercano bene troveranno resti umani lì dentro. Maschili, è questo il problema.

Il fatto che lui fosse ultra centenario non gli aveva impedito di tenersi aggiornato con le ultime tecniche di riconoscimento dei cadaveri. Erano cose utili da sapere considerando le sua attività.

-Non doveva mica essere perfetto, giusto togliermi dalle scatole per un po’ quelli del Concilio. E del resto che ci potevamo fare se il tipo che Travers ti ha messo alle calcagna era un uomo?

Per inscenare la loro piccola illusione del “pasto del vampiro”, avevano usato l’uomo che pedinava Spike più da vicino. Lo avevano trovato nascosto nell’edificio di fronte al magazzino dove si erano incontrati, con una ricetrasmittente in mano, in attesa di avvertire le squadre e di farle intervenire ad eliminare Spike, una volta che il lavoro fosse stato completato.

-Aveva pure un cattivo sapore, sai?

Il vampiro fece una faccia disgustata mentre masticava l’ultima manciata di pop-corn. Sotto di loro la zona si era riempita di autopompe, pompieri e curiosi. I lampeggianti blu ed i fari illuminava la zona a tratti mentre i vigili del fuoco stendevano le manichette e cominciavano a spegnere le fiamme.

Faith finì la sua birra e appallottolò la busta dei pop-corn prima di rivolgersi a Spike.

-Vogliamo andare? Qui si sta facendo troppo affollato.

 

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Villa Marlin. Sabato 22, notte.

 

 

 

Il telefono squillò esattamente due volte prima che lei rispose.

Con uno sguardo Magdalene si accertò di che ore fossero. Le quattro di mattina.

-Si.

La donna non si presentava mai al telefono. Del resto il suo non era un numero che si componeva per errore.

-Miss Marlin, sono Alphonse. –Non ci fu nessun saluto. L’uomo sapeva di non aspettarselo, lavorava da anni per conto di Magdalene e non era la prima volta che le telefonava, quindi proseguì. –La chiamo per informarla della morte della cacciatrice Faith Mars, signora. E’ stata uccisa da un vampiro non identificato.

-Il cadavere?

Chiese freddamente Marlin. Doveva essere certa che fosse morta veramente. Il decesso di una cacciatrice non era il genere di informazioni sulle quali ci si potesse sbagliare.

-E’ tra le macerie del palazzo dove si sono scontrati lei ed il vampiro. –Riferì Alphonse. –Nessuno dei due è sopravvissuto al fuoco od al crollo che è seguito. Circa venti operativi erano presenti sulla scena ed avevano circondato l’edificio durante lo scontro. Le loro versioni coincidono.

Rispose preciso l’altro, sapeva che la donna voleva solamente un rapporto completo senza particolari irrilevanti. In caso avesse voluto sapere qualcosa di specifico lo avrebbe chiesto.

-Tienimi informata sull’evoluzione della cosa.

-Si signora.

L’informatore chiuse la comunicazione lasciando Magdalene sola con i suoi pensieri.

“Così Travers, Miller o chi altro alla fine sono riusciti ad ucciderla… Strano, credevo ce l’avrebbe fatta ad evitare i sicari che aveva alle spalle… meglio così, ormai aveva terminato la propria utilità…ed almeno non dovrò ucciderla personalmente… è sempre pericoloso far fuori una cacciatrice… si devono fidare di te prima che tu le possa eliminare e dubito che Faith si sarebbe mai fidata di me. Catherine le ha insegnato bene nel poco tempo che ha avuto…” Si mise a sedere dopo essersi sistemata il cuscino dietro la schiena. “Ho qualche ora di vantaggio sul resto del Concilio, forse un giorno intero, mandante dell’omicidio a parte. E’ l’occasione giusta per alterare gli equilibri e spingere finalmente per l’elezione dei dirigenti mancanti, che la maggioranza dei candidati mi sostenga non significa molto a meno che non riesca farli entrare in carica. E per farlo dovrò trovare un modo per screditare la fazione di Miller ed il Primo osservatore stesso…”

Allungò nuovamente la mano e riprese il telefono era inutile perdere tempo. Ebbe due brevi conversazioni. Una piuttosto interessante con Kroskj, durante la quale lo informò della novità, per poi scambiarsi le proprie idee su come comportarsi e su cosa fare al momento. Si lasciarono dopo aver deciso di risentirsi più tardi, non appena fossero arrivate nuove informazioni. L’altra conversazione la ebbe con uno degli osservatori anziani della cui lealtà era certa, se non altro perché l’uomo era indebitato per centinaia di migliaia di dollari a causa della vita che conduceva, e lei era il suo garante con gli strozzini a cui li doveva. Gli diede alcune istruzioni veloci prima di riattaccare. Quell’uomo sapeva che era meglio non deluderla.

“Domattina vedrò di prendere il resto delle misure adeguate a dare seguito alla cosa…”

Meno di cinque minuti dopo aver attaccato il telefono, Magdalene stava nuovamente dormendo.

 

 

 

Inghilterra, Manchester. Domenica 23, mattina.

 

 

 

Appena rientrata in albergo dalla suo giro per negozi, Buffy attraversò velocemente la hall e si diresse verso il bancone della reception posizionato a lato dell’immensa sala. Non dovette aspettare molto perché l’unico impiegato finisse di registrare l’anziana coppia che stava servendo al momento e rivolgesse la sua attenzione a lei.

-Le posso essere utile?

Chiese educatamente seppure in maniera del tutto impersonale.

-Ci sono messaggi per me? Buffy Summers stanza 322.

Chiese la cacciatrice mentre muoveva nervosamente le mani, giocherellando con la chiave della stanza. Non era esattamente sicura di quale risposta volesse sentire. Per quanto volesse veramente sapere la verità sulla madre aveva paura di scoprire cose spiacevoli a riguardo. Era terrorizzata dall’idea. C’era una parte di lei, una larga parte, che la spingeva a rinunciare a tutto ed a tornarsene a casa. Perché era la cosa più sicura da fare.

Nessun rischio.

Era una sensazione che era cresciuta esponenzialmente con il proseguire della ricerca. All’inizio non erano che pochi dubbi, poi qualche ripensamento. Era anche per questo che ci aveva messo tanto a decidere se proseguire o meno. Poi era diventata esitazione ed infine questa voglia scarsamente controllabile, che la prendeva inaspettatamente per un secondo o due, di piantare tutto e tornare a casa.

Strinse il pugno intorno alla chiave della camera, tanto da sentire il metallo cedere appena. Accorgendosi di quanto stesse facendo, fece un respiro profondo e si impose di ignorare il pensiero.

-Un attimo.

L’impiegato andò al terminale sistemato dietro il bancone e controllò quanto richiesto.

-No, mi dispiace nessun messaggio. –Replicò senza alzare lo sguardo e perdendosi così l’espressione di Buffy, un misto tra delusione, orrore ed esultanza. L’uomo digitò qualcos’altro sulla tastiera ed osservò una nuova schermata per qualche secondo. –C’è un pacco da ritirare però.

Messa una firma sull’apposito modulo, la cacciatrice prese una busta gialla piuttosto pesante dalle mani dell’impiegato. Era un pacchetto del tutto anonimo, il suo nome e numero della stanza scritto su un lato a macchina, niente mittente od altre informazioni.

-Chi l’ha portata?

Lo chiese mentre faceva scorrere le mani lungo il bordo incollato, impaziente ma al contempo timorosa di aprirla.

-Non lo so signorina. Vuole che mi informi?

Annuì, quasi sorridendo. Quasi.

-La prego.

L’uomo lasciò momentaneamente il bancone per andare ad informarsi negli uffici. Tornò qualche minuto dopo con un sorriso apologetico. Buffy nel frattempo aveva aperto il pacchetto. Dentro aveva trovato un blocco di fogli stampati e una nota scritta a mano. Lesse il bigliettino, poche righe:

 

“E’ tutto quello che ho potuto trovare in così poco tempo. Spero sia abbastanza. Se devi fare qualcosa che sia questa sera. La domenica è il giorno migliore, l’edificio sarà deserto, nessuno dei ricercatori o degli amministrativi lavora.

Fa attenzione e buona fortuna, Buffy.

 

Con affetto,

Danny”.

 

L’impiegato si schiarì la gola per attrarre l’attenzione della cacciatrice che non lo aveva ancora notato, persa nei suoi pensieri. Riportando l’attenzione sull’uomo di fronte a sé Buffy, piegò la nota e la infilò in tasca mentre richiudeva la busta, guardando l’impiegato per avere notizie, anche se ormai sapeva già la risposta.

-E’ stato un fattorino, il mio collega non si ricorda di quale compagnia facesse parte, mi dispiace signorina.

-Non fa nulla, non si preoccupi. – Buffy tirò fuori una banconota e la lasciò sul piano del bancone. –la ringrazio comunque per l’aiuto.

-Dovere signorina.

Buffy salì in camera, il pacchetto ben stretto tra le braccia, custodito come un tesoro.

 

 

 

Buffy stava osservando la costruzione da più di un’ora. Le informazioni che Danny le aveva fatto recapitare erano esatte al minuto. Cancelli, posti di controllo, cambi di guardia, orari di pattuglia, posizione di telecamere e recinzioni elettrificate. Tutto come era descritto nei fogli che aveva ricevuto. Tra di essi era allegata una mappa dettagliata dell’interno dell’edificio, con segnato l’accesso all’archivio e il numero del progetto che stava cercando. Li aveva memorizzati durante il pomeriggio.

Soltanto che dopo un’ora di appostamento Buffy sapeva che non sarebbe mai potuta entrare lì dentro. Era certa di non poter superare quella sorveglianza, non tanto la parte umana, evitare gli umani era fin troppo semplice, quanto la parte tecnologica. Non sapeva come evitare telecamere o superare codici di sicurezza. Si fermava a saper forzare le porte, sfondarle più che altro. Vampiri e demoni non usavano mai i moderni mezzi di sorveglianza e lei di certo non sapeva come evitarli, né tanto meno disattivarli.

Con sentinelle, ingressi nascosti, porte rinforzate sapeva trattare. Con fotocellule, sensori e telecamere, no.

Correva il rischio di essere scoperta, e non era molto ansiosa di vedere come fosse un carcere inglese. In fondo questa non era Sunnydale e qui la polizia non avrebbe preso molto bene un’infrazione simile.

“Non so cosa mi sia preso, non sono mai stata un’esperta in questo genere di operazioni chirurgiche, sono più un tipo da “entro, ammazzo, spacco tutto e poi esco tranquillamente, come se nulla fosse.” … un’illusa, ecco quello che sono. Nient’altro che un’illusa. Stupida che non sono altro. Cosa mi aspettavo? Un miracolo? Che improvvisamente fossi in grado di infiltrarmi in un centro così sorvegliato? Neanche la base militare di Sunnydale è tanto controllata…”

Così tutte le sue speranze e i suoi preparativi non erano serviti a nulla.

Tutta quella storia si era rivelata una beffa colossale.

Aveva voglia di piangere per la frustrazione. Gli occhi le bruciavano tremendamente e se li sfregò rabbiosamente cercando di controllarsi. Fece un paio di respiri profondi per calmarsi. Le ci volle un po’, ma alla fine ci riuscì. Qualche istante dopo realizzò di avere ancora una speranza di raggiungere il suo passato.

Sua sorella.

Buffy quasi sorrise al pensiero.

Era stata una mossa stupida venire qui invece di andare da lei.

Domattina sarebbe andata a trovarla, le avrebbe parlato, le avrebbe raccontato tutto. Di come la loro madre aveva avuto un incidente in America, di come i suoi documenti erano stati smarriti dall’ufficio minori persi in un qualche spiraglio burocratico, di come fosse stata adottata.

Lei avrebbe dovuto crederci.

Avrebbe dovuto.

Del resto era tutto vero, no?

“E la verità non può essere negata, giusto?...Basta che domattina rifaccia quella strada, la attraversi, arrivi a quella porta, per poi bussare. Lei mi aprirà…lei? Forse mia zia… o mio zio… chissà? Un cugino… non ho idea se loro abbiano figli…poi mia sorella ed io parleremo, e lei capirà…sì… andrà esattamente così… sarà come tornare a casa dopo un’assenza troppo lunga…”

Sorrise appena, sollevata. Non tutto era perduto.

Improvvisamente le luci del complesso si spensero. I sorveglianti, colti di sorpresa, cominciarono a urlarsi a vicenda che la corrente era saltata, che si doveva trattare di un problema della centrale stessa, non del loro contatore, e che tutti i sistemi di sorveglianza erano saltati, compresi quelli di emergenza.

Era l’occasione in cui Buffy non credeva più.

La cacciatrice sorrise apertamente.

La fortuna era dalla sua, ora poteva farcela.

Era una tentazione troppo forte da ignorare, considerando che le risposte che cercava erano lì dentro.

Si avvicinò di soppiatto alla recinzione, era tutto buio ora, ci si arrampicò e la superò facilmente. Niente più corrente ai sensori di movimento. Un gioco da ragazzi. “Ora posso farcela”. Corse verso il complesso tenendosi bassa, evitando agevolmente i fasci di luce delle torce dei sorveglianti.

Entrare nell’edificio fu altrettanto facile, ed evitare le guardie interne non si dimostrò un problema. I fasci di luce delle torce erano visibili ben prima che gli uomini superassero gli angoli dei vari corridoi. Inoltre con l’emergenza sembrava che tutte le porte si fossero automaticamente sbloccate.

Meglio così.

Buffy arrivò in fretta all’archivio, piano meno uno, giusto due rampe di scale fatte di corsa. Quando si accostò la porta dietro le spalle non aveva neanche il fiatone, il sorriso ancora stampato in faccia.

Per cercare tra i vari schedari fino a trovare il file che cercava, le ci volle qualche minuto, dato che le mani le tremavano leggermente dall’emozione e la luce non era delle migliori. Alla fine lo trovò e lo estrasse con cautela.

Si accorse di essere tanto nervosa da avere la nausea.

Deglutì un paio di volte cercando di cacciare la sensazione. Le ci volle qualche secondo per avere ragione del proprio stomaco ed evitare conati di vomito.

Ripreso il controllo illuminò il file con la torcia che si era portata e cominciò a leggere.

“Progetto 168, sezione scientifica L”, poco più sotto la dicitura “riservato” e “concluso” . Il tutto era una cartelletta blu abbastanza spessa.

Buffy l’aprì, pagina uno:

 

“Sezione genetica, Weston Laboratories.

Scopo dell’esperimento: creazione in laboratorio di feto a partire da cellule adulte.

Direttore esecutivo del progetto: professore G. Herte;

Ricercatori:  dottore J. Tisred, …”

 

Seguivano altri nomi. Buffy li ignorò, non le importavano, la scoperta che la madre facesse parte di un progetto per cosa? Clonazione, o qualcosa di simile. Lo ripeté tra sé, incredula “…clonazione…”. Suonava strano. Uno choc scoprirlo così. Un brivido gelido le corse lungo tutta la schiena. Il pensiero che altri esseri umani potessero creare “cose” l’aveva sempre disturbata molto. Buffy semplicemente credeva che non fosse naturale. Quanto ai frutti di quegli esperimenti, di certo non potevano essere considerati “normali” a tutti gli effetti.

Scosse la testa e saltò qualche altra pagina, piene di dettagliate descrizioni tecniche che non capiva e che non le interessavano. Perché quel progetto era così pericoloso per sua madre?

Proseguì la lettura…

 

“Provenienza campioni;

 

Dati soggetto di partenza:

 

-Sesso: Femminile.

-Età: Approssimativamente diciotto anni.

-Razza: Caucasica.

-Identità: Sconosciuta.

 

-Stato: Deceduta. Causa massicce perdite di sangue originate da estese lesioni interne.

 

Note: Un testimone oculare riferisce straordinarie capacità atletiche del soggetto, forza fuori dal comune, riflessi al di sopra della media.”

 

Capacità atletiche straordinarie, forza fuori dal comune, riflessi al di sopra della media.

Cosa significava?

“Capacità atletiche straordinarie, forza fuori dal comune, riflessi al di sopra della media, già sentita come definizione, l’ho già sentita come definizione… ma dove?”

Questo rispondeva cosa stessero cercando di clonare. Esseri umani.

Un altro brivido.

Buffy saltò altre pagine, doveva fare in fretta. Prima o poi la corrente sarebbe tornata.

Una sorta di diario con segnati i progressi raggiunti.

C’erano registrati anni di studi, li sfogliò in fretta, disinteressata. Decine di tabelle di raccolte Arrivò all’ultima pagina del fascicolo scritta a mano.

 

“Conclusioni finali:

 

L’esperimento si è rivelato un successo. Il feto impiantato nell’utero della dottoressa Tisred, si è sviluppato senza malformazioni. Il soggetto è nato oggi, vivo. Sarà affidato alle cure della dottoressa per monitorarne i progressi, ufficialmente registrata come sua figlia naturale.

 

 

In fede,

Professore Geremy Herte

20 Gennaio 1981

 

 

 

 “…impiantato NELLA dottoressa Tisred… mamma… perché?…che è successo? …come sua figlia… come?… impossibile… venti anni fa… perché? …nessuno può clonare esseri umani…no, è impossibile clonare…20 gennaio 1981… soggetto nato oggi…vivo… mamma, perchè?…  nell’utero… cosa… non capisco…il feto…sua figlia… 20 gennaio… no…perché? …figlia …cosa significa? … 20…”

Sua figlia?

La mente di Buffy si stava rifiutando di capire qualcosa.

Cosa?

Cosa?

La cartella blu le cadde dalle mani tremanti assieme alla torcia. Non fecero rumore mentre toccavano il pavimento di linoleum.

Strano.

“No, è impossibile… no, no… NO… NOOOOOOOOOO!!  Assurdo…allucinatamente assurdo… sbaglio… sto sbagliando vero? … vero? …questo non può essere accaduto… è un errore… c’è un errore… sono solo parole… no… no… impossibile… ”

Perché?

Buffy scuoteva la testa, negando, ma l’ultimo foglio era caduto lì a terra, davanti ai suoi piedi, visibile, illuminato sinistramente dal fascio di luce della torcia.

Non capiva cosa stesse succedendo, non sapeva neanche se stesse respirando o meno, né se qualche suono stesse uscendo dalla sua bocca distorta da un’espressione che non era né stupita né nauseata.

Quel carattere piccolo, minuto e straordinariamente ordinato, perfettamente leggibile, e lo sguardo che tornava su quelle poche cifre in fondo a destra.

“Non il 20 gennaio… no… no…”

Buffy si voltò.

Corse verso l’uscita.

Senza guardarsi indietro.

Buffy era nata nel 1981.

Il 20 gennaio.

 

 

 

L’Ultimo Giorno Parte V

By Silea

 

 

Libro III: Omnia mutantur, nihil interit.

 

 

Isabel Archer: “I always want to know the things one shouldn't do”.

Her aunt Touchett: “As to do them?”

Isabel:“So as to choose”

“The portrait of a lady”  H. James.

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli osservatori. Domenica 23.

 

La notizia si sparse come un fulmine.

Voci di corridoio avevano cominciato a circolare dalla mattina presto. All’inizio erano solo sussurri indistinti. Qualcosa era andato storto in una delle missioni degli operativi, l’entità del danno e secondariamente delle perdite subite dal Concilio variava. Si diceva che ci fosse stato quasi un massacro.

In poco meno di due ore, quello che doveva essere un segreto, era sulla bocca di tutti. In un posto così piccolo ed in cui di vere novità ce ne erano poche, qualsiasi nuova informazione, per quanto improbabile nella sua esattezza o raccapricciante nel suo contenuto, diventava oggetto di infinite speculazioni.

Al momento Dwayne, con un leggero sorriso sul volto a dimostrazione di quanto un simile evento lo potesse divertire, si stava dirigendo verso l’ufficio del suo migliore amico. L’uomo aveva avuto una mattinata veramente interessante. Non accadeva tutti i giorni che un simile argomento di discussione fosse disponibile. Era stato impegnato a lungo nella diffusione e nell’accertamento di quanto accaduto.

Senza bussare, erano amici da troppi anni perché rispettassero simili formalità, entrò nell’ufficio di Sheridan, trovandolo impegnato a lavorare su un file o cos’altro aveva sulla scrivania al momento. “Figurarsi, tipico. Probabilmente è l’unico in questo edificio che attualmente sta lavorando, visto che Marlin non è qui…” pensò Dwayne chiudendosi la porta alle spalle ed avanzando verso la scrivania. Era meglio che quanto aveva da dire non fosse ascoltato per caso dalla persona sbagliata. Che oggi tutti parlassero di questo argomento era scontato, ma non era ugualmente il caso di farsi sentire mentre lo si faceva.

-Buongiorno amico mio. Sentito le ultime novità?

Esordì Dwayne con un sorriso sempre più largo. Sheridan era sempre interessato all’ultimo gossip del momento, ma non ne era ossessionato, e visto che le sue fonti dirette non erano buone quanto le sue, molto spesso Hillting si trovava nell’adorata posizione di informarlo più esaurientemente su quanto accaduto.

-Ho sentito che ci sono stati problemi con una delle missioni degli operativi. Si dice ci siano stati dei morti.

Replicò senza sbilanciarsi Sheridan. Dal sorriso di Dwayne sapeva che quanto accaduto doveva essere più importante di un qualche incidente di percorso simile a cento altri. Ma era anche istintivamente cauto di fronte a tanto interesse da parte del suo amico. Generalmente Hillting non si curava dell’effettivo significato di quanto riportava, piuttosto si concentrava sul sensazionalismo della notizia. Da sempre Sheridan era convinto che Dwayne sarebbe stato un ottimo reporter, se mai avesse deciso di intraprendere quella professione invece di diventare un osservatore.

La cosa che disturbava di più Sheridan, era che le diverse voci che giravano non erano affatto rassicuranti, a prescindere dalla quantità di verità che c’era in ciascuna. Alcune dicevano che tra gli operativi feriti, per altre erano tra i morti, si contassero almeno due capo squadra e il comandante della missione. Chi fosse quest’ultimo non era noto e diverse persone potevano aver ricoperto quell’incarico, ma Sheridan sapeva che se avevano colpito il comandante della missione niente e nessuno si era salvato in quel disastro. Probabilmente si doveva essere trattato di un massacro.

-Morti? Al plurale?

Insistette Dwayne con un sorriso sornione e la faccia di qualcuno che sa qualcosa più di te.

-Si morti. Ho sentito di un massacro, con tanto di morte del comandante esecutivo.

-Oh no, proprio no. Non ci siamo affatto, amico mio. –Disse Hillting scuotendo la testa alla risposta ricevuta. –Dovresti proprio cambiare fonti. Sei in alto mare…

-Un solo morto quindi.

Sheridan ipotizzò, riflettendo su quanto gli era stato appena detto.

-Esatto.

Confermò Dwayne senza aggiungere altre informazioni. Sheridan lasciò passare qualche secondo prima di fare la domanda che il suo amico aspettava per continuare. Hillting aveva sempre amato quando gli altri gli chiedevano di condividere con loro quanto sapesse, e per sua fortuna Sheridan non si faceva problemi nel chiedere.

-Chi?

-La cacciatrice.

Replicò con un sorriso enorme Dwayne.

Sheridan lo guardò senza riuscire a parlare per un attimo, sconvolto dalla notizia.

-Mars?

Chiese per conferma. Non che la Summers fosse coinvolta con degli operativi ma era sempre meglio non assumere nulla.

“Gli incidenti accadono…”

-Si, la rinnegata… od ex-rinnegata…

Disse Hillting facendo un vago cenno della mano per sottolineare la scarsa importanza della correttezza o meno della definizione.

-Sei sicuro?

Dwayne lo guardò, offeso.

-Certo che sono sicuro! Pensi che io sia uno di quegli idioti che vanno in giro a ripetere cose sentite per caso in corridoio? –L’uomo era veramente seccato dall’insinuazione. –L’ho saputo da una fonte certa. E considera che il resto del concilio si sta ancora chiedendo quanti operativi sono morti e soprattutto se fra di loro c’era o meno una delle cacciatrici. La mancanza di un qualsiasi commento ufficiale ha attirato parecchia attenzione sulla cosa. Se i dirigenti non avessero nulla da nascondere parlerebbero, è questo il ragionamento che va per la maggiore. –Si fermò un attimo, colpito da un’idea. –Sai? Penso proprio che approfitterò dell’informazione per una volta…

Aggiunse un po’ pensieroso.

-Vuoi dire che hanno già aperto le scommesse?

Non era una cosa rara. Ad ogni nuova notizia si facevano speculazioni per poi passare ad amichevoli scommesse sui risultati di tali considerazioni. L’ipotesi che una cacciatrice avesse perso la vita era un incentivo sicuro perché molta attenzione fosse dedicata alla cosa. E maggiore l’attenzione, maggiore il numero di scommesse relativo.

Senza contare che era la prima occasione da anni che gli osservatori avessero mai avuto per fare una scommessa simile. La morte di Kendra era stata comunicata in tempo quasi reale e non avevano potuto scommettere, mentre ora… Era troppo ghiotta come opportunità per non coglierla, dovevano solo fare attenzione che i vari supervisori non ne venissero a conoscenza.

-Si, da ore. Si scommette sull’identità dei morti e sul loro numero. Penso proprio che andrò a puntare su Mars, le quotazioni dovrebbero essere ancora buone. –Si interruppe ed il sorriso gli si gelò. –Dannazione, devo andare a trovare Joandra. Le piace scommettere e non l’ho ancora avvertita. Potremo divertirci a piazzare un paio di scommesse assieme, di sicuro lei sa chi le accetterebbe, e guadagnarci anche qualcosa.

Sheridan si limitò ad annuire distratto.

-Ci vediamo dopo amico mio.

Disse Hillting salutando ed uscendo dall’ufficio, lasciandosi un pensieroso Sheridan alle spalle.

“No, no... A volte Dwayne non capisce quanto siano importanti le notizie che ha. Dubito che gli equilibri di potere siano ancora intatti… Speriamo solo che questo non sia l’inizio della fine.”

 

 

 

Tutti avevano notato come gli operativi presenti nel Concilio erano improvvisamente diventati taciturni e decisamente arrabbiati. Gli osservatori, quelli più cauti o più intelligenti, ritennero opportuno evitare di fare domande di sorta e limitarsi a scambiare qualche parola con i vari tecnici. Era ovvio che qualcosa fosse andato tremendamente male.

Dwayne ebbe occasione di vedere in prima persona esattamente quanto gli operativi fossero tesi.

Aveva appena superato un corridoio per andare a cercare Joandra nel proprio ufficio quando notò la scena. Non intervenne subito, anche se come osservatore anziano era suo dovere farlo.

Uno degli operativi, una montagna d’uomo di quasi due metri, aveva intrappolato una osservatrice contro la parete e non sembrava particolarmente felice con la donna in questione.

Dall’estremità del corridoio in cui si trovava Dwayne non ebbe alcuna difficoltà a sentire le parola che l’uomo le stava rivolgendo, anche se non erano più di un basso ringhio.

-Non sono affari tuoi cosa sia accaduto. E prova ad insinuare nuovamente che un operativo si meritava di morire e per ritrovare i tuoi denti servirà il lavoro tutti i ricercatori del Concilio per almeno dieci anni… chiaro?

Hillting sorrise alla minaccia. Era divertente, posto che non fossi stato tu quello appena minacciato da un energumeno di quella grandezza.

La donna ebbe il buon senso di annuire, senza spiccicare parola. Il commando continuò a tenerla ferma contro la parete senza dare alcun accenno a muoversi.

Sospirando Dwayne fece un passo avanti per intervenire, sebbene la cosa non lo ispirasse particolarmente. A prescindere da chi avesse torto o ragione non gli piaceva l’idea di mettersi in mezzo.

Non aveva fatto tre passi quando notò l’altra figura all’altra estremità del corridoio, la più vicina ai due. Non poté fare a meno di sorridere, era appena stato salvato dall’intervenire.

“Molto coraggioso da parte mia essere sollevato di vedere una donna che non arriva nemmeno alla spalla dell’energumeno.”

Pensò ironicamente Dwayne.

Ma era la verità, era sollevato di vedere Joandra e sapeva che la donna aveva tutte le carte in regola per gestire la situazione.

La vide arrivare alle spalle dell’operativo senza fare il minimo rumore. Come riuscisse nell’impresa portando tacchi a spillo con un pavimento in marmo, era un mistero che ancora sfuggiva alla comprensione di Hillting.

-Suppongo che non ci sia nessun problema.

Esordì Joandra a meno di mezzo metro dall’uomo.

Fu divertente vederlo saltare dalla sorpresa ed allontanarsi contemporaneamente dalla parete.

L’operativo lanciò una rapida occhiata verso la donna ancora incollata al muro e poi tornò a fissare gli occhi su quella che ora era di fronte a se.

-Nessun problema.

Joandra annuì, senza rivolgere alcuno sguardo all’osservatrice, la sua completa attenzione sull’operativo.

-Perfetto. –Replicò con tono piano. –Allora puoi tornare al tuo lavoro mentre la signorina Coldwell torna al proprio in archivio.

Entrambi annuirono e si allontanarono, l’osservatrice un po’ instabile sulle proprie gambe sulle prime. Se l’era vista brutta fino all’arrivo dell’altra donna.

Quando rimasero solo i due amici Joandra rivolse un mezzo sorriso a Dwayne.

-Suppongo che la scenetta di abbia divertito.

-Si, in effetti si.

Replicò lui senza tentare nemmeno di nascondere il suo sorriso.

-Comunque è una fortuna incontrarti. –Proseguì avvicinandosi all’amica. –Ti stavo cercando…

-Qualcosa mi dice che non ha nulla a che fare con il lavoro.

Osservò lapidaria lei ma non senza un po’ di divertimento.

-E’ il tuo buon senso. –Replicò Dwayne con un sorriso più grande mentre si incamminavano assieme verso l’ufficio della donna, il più vicino. –Sono venuto a proporti un affare.

-Un affare?

Ripeté Joandra, fintamente scettica.

-Già, mi interessava piazzare un paio di scommesse, piuttosto sostanziose e piuttosto rapidamente… -Spiegò Dwayne. –Ovviamente le mie informazioni diventerebbero anche le tue… se ne potrebbe ricavare qualche sterlina…

Il sorriso divertito di Joandra assicurava la sua collaborazione all’idea…

 

 

 

Joandra era in mensa quando finalmente, poco dopo mezzogiorno, il Primo Osservatore diramò un comunicato ufficiale su quanto accaduto. In quella mattinata gli osservatori e tecnici in servizio avevano lavorato ben poco, impiegando la maggior parte del tempo in speculazioni. Quello doveva essere il tentativo di Miller di riportare un po’ di ordine nel Concilio, decisero i vari supervisori di dipartimento, i più alti in grado oggi che nessuno dei dirigenti era presente.

Il comunicato era giusto poche righe.

“Faith Mars, Cacciatrice di vampiri, Prescelta del Concilio degli Osservatori, Esperto in tattica e coordinatore di addestramento delle forze speciali operative, è deceduta a seguito di un tentativo di neutralizzazione di un vampiro dopo un’eroica battaglia.

Onore alla sua morte, avvenuta durante il compimento del proprio dovere.”

Non si faceva riferimento all’osservatore incaricato della cacciatrice. Non c’era, lo sapevano tutti. Creava un problema di etichetta non indifferente oltre a rompere tradizioni secolari.

Non c’era nessuna persona a cui spedire le condoglianze e le congratulazioni per essere diventato Osservatore Anziano in caso di sopravvivenza, e nessuna famiglia a cui spedire le condoglianze per la perdita di un rampollo così dotato nel caso peggiore.

Tra l’agitazione generale pochi ci fecero caso.

Il problema sarebbe stato probabilmente esaminato nella sede adatta e diventato prima o poi argomento di conversazione e dibattito tra gli osservatori. Ma non oggi.

Appena gli altoparlanti diffusero la notizia e si fu quietata la prima ondata di commenti e di urla, Joandra cercò con lo sguardo Fernando Mateer. Era seduto al suo solito tavolo con un paio di altri osservatori anziani.

Anche lui si era girato a cercarla. Di fronte alla sua espressione leggermente angosciata, Joandra sorrise. L’uomo scosse la testa, provò un accenno di sorriso, piuttosto tirato, e poi si limitò ad annuire nella sua direzione.

Avevano fatto una scommessa e l’avrebbe onorata, per quanto gli costasse farlo.

E gli sarebbe costato parecchio.

Settantacinquemila sterline.

Fernando scosse la testa di fronte alla cifra. Era stato uno stupido ad accettare la scommessa di cinquemila sterline di Joandra quando dava quindici ad uno la sola morte della cacciatrice rinnegata.

La donna nel frattempo stava parlando con i suoi due amici.

-Abbiamo appena guadagnato trentacinquemila sterline a testa, escluso il capitale iniziale che abbiamo scommesso, Dwayne. Ottima dritta.

-Già.

Replicò Hillting, soddisfatto dalla cosa. Era stata una buona idea puntare duemilacinquecento sterline a testa, le quotazioni avevano fatto il resto.

Sheridan scosse appena la testa sorridendo alle espressioni degli altri due. Probabilmente avrebbe dovuto puntare anche lui un migliaio di sterline, giusto per avere  un po’ di denaro da spendere.

Scrollò appena le spalle e si concentrò nel cercare di capire di cosa stesse parlando il resto della sala.

“Del resto non sono in molti ad aver vinto le proprie scommesse…”

Non dovette sforzarsi affatto nel cercare di capire di cosa stessero parlando gli altri. In meno di cinque minuti la mensa si ritrovò ad ospitare una conferenza illegittima sulla discendenza delle prescelte, l’argomento del momento.

Non era una riunione particolarmente ordinata o con idee troppo originali ma in breve la maggior parte degli osservatori presenti si appassionarono alla discussione.

Diverse voci si sovrapposero portando alla luce, senza rendersi conto, quello che più li spaventava, cioè il caos che negli ultimi anni aveva investito la linea delle cacciatrici. Furono in molti, e piuttosto chiassosi, a chiedersi ed a chiedere se una nuova prescelta sarebbe stata chiamata o meno.

-Mi sembra chiaro che non verrà chiamata nessuna nuova cacciatrice. Quella… quella rinnegata che è stata ammazzata non è la Detentrice della Linea!

Urlò accalorata ad un certo punto una delle osservatrici anziane da uno dei tavoli al centro della sala.

- Lakeesha ha ragione! Era solo una patetica scusa di cacciatrice buona neanche ad uccidere un vampiro!

Fece eco una seconda voce dall’estremità opposta della sala. Sheridan osservò con sufficienza l’uomo che aveva parlato. Forse era meglio dire ragazzo, considerato il volto senza barba.

Si aggiunsero altri a sostenere, sebbene a volte con modi più educati e ragionamenti più sensati, che essendoci ancora una cacciatrice in vita, nominalmente la Summers, non sarebbe stata chiamata una seconda. Affermando più o meno implicitamente che Kendra e Faith non erano altro che aberrazioni della linea originale.

Errori.

Il gioco al massacro riguardo l’utilità, la bravura ed il diritto ad esistere delle ultime due prescelte terminò quando si udì il baritono di Neil Podesta portare avanti una diversa ipotesi.

-Mars era la Detentrice. Quindi ci sarà una nuova cacciatrice.

L’uomo non ebbe neanche bisogno di urlare per ottenere l’attenzione generale della sala.

Una decina di altre voci si aggiunsero alla sua a sostenere che Faith Mars fosse la detentrice della legittima “linea di sangue” e che la sua morte avrebbe quindi attivato una sostituta. In questo caso era Buffy a diventare l’anomalia nella discendenza.

La discussione, anche se potevano essere definite urla, andò avanti lungo queste due linee guida.

-Sembrano bambini.

Commentò Dwayne dopo che era passato qualche minuto senza che alcuna idea espressa cambiasse se non nel tono a cui era formulata.

-Già.

Gli fece eco Sheridan, un’espressione vagamente disgustata sul volto.

-Non capiscono neanche che la cosa più importante al momento non è sapere se ci sarà una nuova ragazzina a girare con un paletto in mano. –Proseguì dopo un attimo. –La cosa più importante è sapere cosa accadrà ora a noi, al Concilio.

-Probabilmente Miller starà facendo i salti di gioia. Come tutti i conservatori non ha mai apprezzato l’idea di una cacciatrice senza osservatore. E di certo non era entusiasta dell’idea di averla all’Assemblea Plenaria…

Rifletté ad alta voce Dwayne.

-Senza contare che è stato il suo appoggio a Marlin a darle così tanto potere nella decisione dei candidati. Non mi stupirei di scoprire che quel vampiro non era lì casualmente.

Aggiunse Sheridan abbassando la voce ma certo che nessuno potesse sentire la loro conversazione, considerando la posizione defilata del loro tavolo ed il tono degli altri.

-Marlin non sarà per nulla contenta quando scoprirà che fine ha fatto la sua alleata…

Replicò Dwayne aggiungendo alle considerazioni dell’amico.

Durante tutta questa conversazione Joandra era rimasta silenziosa. Sheridan le aveva lanciato uno sguardo un paio di volte per vedere se aveva intenzione di intervenire o meno, ancora sconcertato dall’inusuale comportamento che la donna aveva avuto durante la riunione plenaria del giovedì appena passato.

L’osservatrice invece sembrava essere tornata perfettamente in carattere ed era rimasta seduta in silenzio ascoltando le loro idee senza intervenire in alcun modo né mostrare alcuna reazione, come se gli altri due stessero parlando di futili cose.

Sheridan si trovò stranamente confortato da questo ritorno ai vecchi comportamenti.

-Tu cosa pensi accadrà, Joandra?

Chiese alla fine, per sentire la sua opinione.

-Non lo so. Proprio non lo so.

E questa risposta tornò in un attimo a far sentire preoccupato Sheridan.

 

 

 

In poche ore il problema della successione e della linea di sangue divenne un problema molto sentito, soprattutto fra gli osservatori giovanissimi.

Dietro insistenza del Custode degli Archivi e del Sommo Sapiente era stata così creata una commissione per esaminare la questione e giungere ad una spiegazione univoca. Gli esperti avevano anche il compito di rintracciare la nuova cacciatrice, se si fosse deciso che una nuova prescelta era stata risvegliata.

Agli osservatori sparsi per il mondo era stato mandato il comunicato della morte di Faith, assieme alla richiesta di prestare attenzione alle potenziali cacciatrici della zona, ed a qualsiasi altra anomalia.

Non era raro che ci fossero fenomeni atipici in queste occasioni.

E mentre gli studiosi teorici assistevano affascinati ed entusiasti alla particolarissima situazione, scambiandosi teorie sul come e perché ci sarebbe stata o meno una nuova cacciatrice, gli osservatori anziani assieme ad alcuni responsabili giovani erano terrorizzati dal nuovo sviluppo.

Di certo loro erano anche più confusi dei loro colleghi, impegnati nella convulsa significato mistico di questa morte. Loro almeno avevano fatti certi, la morte di una cacciatrice, e secoli di osservazioni alle spalle a cui rimandarsi ed in cui cercare conferma.

Le conseguenze puramente politiche erano altrettanto ramificate e ben più misteriose.

Nessuno sapeva come i giocatori principali avrebbero reagito alla notizia, né quali reali responsabilità ognuno di loro avesse nella situazione.

In effetti gli osservatori anziani non sapevano quello che la scomparsa di Mars significasse.

Si, molti di loro erano sollevati che quella pazza assassina abbastanza arrogante da presentarsi ad un’Assemblea Plenaria fosse morta.

Aveva commesso reati capitali come l’aver ucciso esseri umani. Eppure aveva ricevuto un’amnistia quando era tornata a militare nelle file del Concilio.

Era stato lo stesso Primo Osservatore a firmarla. Per questo era irrevocabile da qualsiasi altro individuo, compreso il successore di Miller.

Quindi in realtà non c’era nulla che potessero rimproverarle. Era stata perdonata.

E come agente del Concilio degli osservatori era stata a dir poco preziosa nel limitato tempo in cui li aveva serviti, sia come free-lance che come operativo. Non si contavano i demoni che era riuscita a bloccare.

Demoni molto pericolosi.

Ma era anche odiata.

Profondamente odiata perché aveva rotto le tradizioni. Aveva rifiutato un osservatore. Si era presentata ad un’assemblea plenaria.

E lo aveva fatto da sola.

Ma gli osservatori anziani sapevano che la sua scomparsa aveva alterato definitivamente gli equilibri. Era un segnale. Solo per questo avrebbero desiderato che quel cane sciolto fosse ancora vivo e vegeto.

Cosa sarebbe scattato a quel segnale non riuscivano a capirlo.

Un grande punto interrogativo sarebbe stata la reazione di Marlin, in fondo quella cacciatrice era stata affidata a lei, no? Molto del suo carattere diceva che non avrebbe fatto passare liscia a nessuno l’ingerenza nei suoi affari. E Faith era decisamente affar suo. Non propriamente vendetta. Più difesa del territorio. Probabilmente non le importava granché della cacciatrice in se stessa, era l’offesa personale che l’avrebbe spinta ad agire.

 

 

 

Miller era seduto nel proprio ufficio intento a seguire dallo schermo sul suo computer quello che accadeva nei corridoi e nelle sale del Concilio attraverso le telecamere del circuito chiuso. Di certo non si poteva aspettare che la gente agisse naturalmente davanti a lui, o sapendo che lui li osservava, ed aveva scoperto anni prima che la visione riportata da un informatore era spesso sbagliata. Perlomeno inesatta.

Era quasi divertente vedere come tutti si muovessero furtivamente, in maniera nervosa, soprattutto gli osservatori anziani e i sostenitori di Marlin. Il primo osservatore non si sarebbe stupito di sapere che parlavano a voce bassa, in sussurri. Avevano paura, e si vedeva anche attraverso semplici registrazioni video.

Miller si sistemò meglio contro lo schienale della sua poltrona per godersi lo spettacolo un altro po’. Doveva ammettere che quella era stata una meravigliosa giornata fino ad ora, tanto che non riusciva a smettere di sorridere.

Glielo avessero detto una settimana prima non avrebbe mai creduto che la morte di una cacciatrice gli avrebbe procurato tanto piacere. Ma dopo quanto era accaduto giovedì…

Quant’era dolce il sapore della vendetta. “No, non è neanche una vendetta. Non l’ho fatta uccidere io. Semplicemente sto assaporando il piacere della sua sconfitta. Ed è una splendida sensazione”.

Si sentiva soddisfatto.

Questa morte non avrebbe cambiato nulla di quanto successo giovedì, ma la cosa non gli importava.

La notizia che Jason gli aveva comunicato verso le nove era stata comunque bellissima.

Aveva quasi riso quando il Custode degli Archivi e un prostrato Sommo Sapiente erano venuti da lui per chiedergli il permesso di istituire un gruppo di ricerca per determinare cosa significasse la morte di Mars. Ad essere sincero sospettava che anche al Custode degli Archivi non interessasse niente della cosa. Che facesse tanto rumore solo per dare fastidio al suo collega, che odiava, per nulla cordialmente, da più di trenta anni. La cosa che Miller trovava più divertente della situazione era che ben pochi si erano mai resi conto della cosa ed ancor meno si rendevano conto di quanto intelligente e sprezzante potesse essere il custode, all’età di ormai ottanta anni.

A Miller dispiaceva solo che Magdalene non fosse venuta al Concilio oggi. Era scontato che ormai qualcuno l’avesse avvertita di quanto era successo. Sicuramente la dirigente non sarebbe venuta. “Peccato l’avrei invitata con piacere per un tè”. Solo per vederla in faccia a poche ore dall’aver saputo della perdita di una sua alleata.

Di certo ora Miller si sentiva bene. In grado di affrontare Marlin e sconfiggerla senza alcun problema. Era lui il Primo Osservatore e ci sarebbe rimasto. Ad opporsi contro di lui Magdalene aveva firmato la sua condanna. Solo che non se ne rendeva ancora conto.

Continuò a sorridere per il resto della giornata, godendosi lo sconcerto che correva tra le file degli osservatori.

Li avrebbe tenuti troppo impegnati dal tramare contro di lui.

 

 

 

Spagna, Barcellona. Domenica 23.

 

 

 

Il magazzino in cui si trovavano era tutto quello che ci si poteva aspettare da un magazzino abbandonato vicino ad uno scalo.

Vuoto se non per dei detriti e dei rifiuti sparsi, vernici scrostate dai muri, pavimenti in cemento armato lasciato grezzo, porte cigolanti che si chiudevano male, intere colonie di topi ed altri animaletti non proprio da grembo, con tanto di recinzione con più buchi che maglie intere.

-E’ una reggia.

Disse sarcastico Spike, rivolgendosi alla sua compagna di viaggio ed al loro “bagaglio”.

-E non sai neanche quanto l’ho pagata. –Rispose per le rime Faith. –Vicinato inesistente o quasi, polizia che si tiene bene alla larga, nessun coinquilino umano di cui qualcuno possa sentire la mancanza. E’ difficile trovare abitazioni simili oggigiorno.

-E se mi servisse dello zucchero? Dove la trovo la simpatica vicina che me lo presti?

-Se avesse un po’ di sale in zucca la vicina non aprirebbe proprio la porta ad uno come te. –Faith si interruppe un attimo per spintonare in avanti il suo bagaglio, che a quanto pareva si era improvvisamente ricordato che non voleva stare in loro compagnia. –E se proprio vuoi lo zucchero scegliti una vittima con la glicemia alta…

Spike rise.

-Sei sicura di non voler diventare un vampiro?

La cacciatrice di certo aveva l’umorismo adatto.

-Si, sono certa che prima o poi inciamperò in un modo per diventare immortali e continuare a potersi prendere l’abbronzatura. –Fece sedere l’uomo che stava trascinando sui gradini mezzo sfondati che portavano ad un altro piano del magazzino. Il mercenario al soldo di Travers non sembrava convinto della cosa, cercò di resistere divincolandosi. Non che avesse poi importanza cosa voleva lui. Faith lo “convinse” facilmente a sedersi. –Se vuoi, quando lo trovo, ti faccio una telefonata.

-Grazie.

Replicò lui, sarcastico.

Lei gli sorrise caustica di rimando.

-Vogliamo fare quella telefonata? Il sole è quasi tramontato. –Il vampiro indicò con la testa una delle vetrate rotte da cui entrava una luce rossastra.

Faith annuì.

Con eleganza Spike estrasse dalla tasca del suo spolverino nero il cellulare che aveva preso all’uomo poco dopo la sua cattura, assieme ai sigari che fumava sempre ed all’accendino intarsiato in argento e madreperla. Era un ottimo lavoro di intarsio, un pezzo di antiquariato di discreto valore. Il vampiro aveva deciso che lo avrebbe tenuto come ricordo.

-Il numero.

Richiese al prigioniero.

L’uomo non rispose.

Fu Faith a parlare rivolgendosi al mercenario.

-Senti, sai perfettamente che te lo potremmo tirare fuori comunque. Siamo in un magazzino isolato. Potremmo torturarti per ore senza il minimo disturbo. E fallito quello potremmo sempre vampirizzarti. –Fece una pausa per rafforzare il significato delle parole. Nessuno apprezzava dover lasciare il proprio corpo ad un demone perché ne facesse quello che voleva. –Tu scegli semplicemente quanto soffrire prima di dirci quello che ci serve.

“Impressionante discorsetto. Non mi stupirebbe sapere che Faith ha esperienza nel campo”. Pensò il vampiro. Qualche secondo di tesissimo silenzio e l’uomo parlò. Doveva morire. Questo lo sapeva. Se possibile avrebbe preferito non soffrire.

Spike compose il numero.

Solo uno squillo.

-Perché ci hai messo tanto?

-Era piuttosto legato.

Rispose ridacchiando Spike. Ci fu silenzio dall’altra parte.

-Spike.

-L’unico. –Replicò il vampiro. Aspettò un attimo prima di proseguire. –Suppongo che tu sappia ormai che la mia missione è compiuta e che i tuoi uomini sono più o meno morti.

Altro silenzio.

-Cosa vuoi?

-Abbiamo un accordo. Voglio solo il denaro che mi spetta. Versalo nel conto che ti ho dato. E fa in modo che io lo trovi. Altrimenti potrei scoprire di avere voglia di farti una visitina.

-Domattina sarà lì.

Rispose la voce.

-Hai dodici ore Travers, non di più.

Ci fu un silenzio seccato e turbato dall’altra parte. Quentin aveva fatto molta attenzione ad evitare che Spike avesse un nome da collegare con la sua faccia. Inutilmente a quanto sembrava. Ora che era al corrente che lui era il mandante il vampiro poteva effettivamente esigere la sua vendetta. E l’osservatore lo sapeva. Non era una bella sensazione.

-Ti verserò i duecentocinquantamila dollari entro dodici ore.

Confermò Travers. La cosa non gli piaceva, ma era meglio regolare i propri conti, non aveva bisogno di altre complicazioni. Aveva sperato che i due mercenari riuscissero ad eliminare Spike proprio per evitare di versare quel denaro. Da quando il Concilio, “…forse dovrei dire Marlin…” pensò sarcastico, gli aveva congelato i conti ufficiali doveva stare attento alle spese. Di certo i conti che aveva predisposto per occasioni simili non erano ricchi quanto gli altri.

“Prima o poi il denaro diventerà un serio problema…”

Quanto aveva in mente di fare gli sarebbe costato molto anche se tutto fosse andato secondo i piani. Le parole di Spike lo fecero tornare al presente.

-Perfetto. Il nostro affare può dirsi concluso. E con quello tutti i nostri contatti.

Il vampiro chiuse la comunicazione e spaccò il cellulare a terra.

-Piuttosto teatrale…

Osservò la cacciatrice, sarcastica. Il vampiro si limitò a sorriderle.

-Tutto a posto. Domani avrò i soldi.

Spike studiò Faith per qualche secondo. Era seduta su gradini, un po’ più su del prigioniero, la sacca nera vicina a sé e una tranquilla espressione sul volto.

-Come neanche una domanda?

La stuzzicò un po’ il vampiro, Faith parve pensarci su, prima di scegliere quale fare.

-Quanto ti hanno pagato per me?

-Non credo che un gentiluomo possa rivelare ad una signora quanto è stata valutata la sua vita…

Sorrise sornione Spike. Non aveva creduto che la domanda di Faith sarebbe stata quella. Si aspettava qualcosa più sul tipo “che farai ora?”, oppure una proposta per fare affari assieme. In fondo lavoravano bene assieme. Ci aveva quasi sperato in quella. Probabilmente avrebbe anche preso in considerazione dire di si.

-Non c’è problema. –Rispose la cacciatrice, con tono annoiato. –Tanto tu non sei un gentiluomo, né io una signora.

Spike rise ancora.

-Centomila.

Rispose secco, guardandola negli occhi mentre lo faceva. Voleva godersi la sua reazione. Non molti avevano veramente lo stomaco per sapere quanto la loro vita era stata valutata.

Non ebbe la reazione aspettata.

Faith non sembrava particolarmente stupita o sconcertata dalla cosa.

La cacciatrice parve solo pensarci un po’ su.

-Speravo in qualcosa di più in effetti, ma Travers è sempre stato un taccagno. Anche per questo lavoro con Marlin. Lavoravo. –Sorrise e fece una piccola pausa dopo essersi corretta. –La prossima volta chiedi almeno duecentomila. All’incirca è quello il prezzo di mercato.

-Prezzo di mercato?

Ora era Spike ad essere curioso, mentre aspettava la risposta pescò dalla tasca sigari ed accendino.

-Cosa credi che faccia per vivere un “cacciatrice di demoni free-lance”? Come si divertono a chiamarmi gli osservatori. Dopo qualche lavoro non è difficile conoscere il prezzo di qualsiasi cosa.

-Devo assolutamente rientrare nel giro. –Decise Spike un mezzo sorriso ed un sigaro acceso fra le labbra. Prese una lunga boccata di fumo, assaporandolo. Era una buona qualità di sigaro. Non il migliore che avesse mai fumato, ma non era male.  –Non sapevo che la tua valutazione fosse così alta.

Faith scrollò le spalle.

-Ho lavorato un po’ in quest’ultimo anno, anno e mezzo. Buoni affari. –Il vampiro annuì. –Beh,  anche questo ora è concluso. E’ arrivato il tempo di togliere il disturbo. –Faith si alzò in piedi e prese la sua sacca. –Le chiavi della macchina le hai tu, tieniti pure il resto.

-E lui?

Chiese Spike accennando all’uomo sulle scale. Era curioso.

-Lui cosa?

-Non vuoi portarlo con te? Liberarlo?

Le chiese lui quasi stupito. Non era ancora convinto che fosse così “diversa” dalle altre che aveva incontrato. Le abitudini di più di un secolo erano difficili da rompere.

Lei sorrise senza che ci fosse una traccia di divertimento su tutto il suo volto.

-E’ tuo Spike. Facci quello che preferisci. Non mi riguarda.

Proseguì a salire le scale.

-Faith.

La chiamò ancora una volta Spike.

-Si?

Rispose la cacciatrice fermandosi senza girarsi.

-L’uscita è dall’altra parte. –Le disse accennando con la testa alla porta da cui erano entrati, anche se lei non poteva vederlo.

-C’è ne è una altra.

Questa volta mentre proseguiva a camminare Faith sorrise.

 

 

 

Inghilterra, Bristol. Domenica 23. Notte.

 

 

 

Anche di notte il porto non era deserto. L’unica differenza era che se di giorno ci si trovavano soggetti non troppo raccomandabili misti a semplici lavoratori, di notte era il regno di persone che non erano mai state raccomandabili e di altri che non erano neanche umani.

 Non che Magdalene avesse paura. Per essere un capitano di industria e un analista aveva passato enormi quantità di tempo in circoli decisamente molto illegali. Li aveva sempre frequentati per affari, mai per divertimento come troppi altri dell’alta società, ed aveva imparato in fretta a trattare con i vari capo mafia di turno. Proprio lì aveva trovato molte delle informazioni che le avevano permesso il successo che aveva avuto.

Era arrivata al luogo dell’appuntamento in perfetto orario, senza essere accompagnata da altri come le era stato detto. In fondo si fidava che le indicazioni che le avevano date fossero sicure. Del resto la persona che stava per incontrare viveva sulla compravendita delle informazioni, se un cliente usciva morto da uno di questi incontri non sarebbe stata una buona pubblicità.

Ovviamente era armata. E bene armata.

Si guardò attorno per vedere se il suo contatto fosse arrivato o meno.

Tra le ombre che la circondavano non vide nessuno, né sentì rumori in lontananza a parte la risacca delle onde.

Quando aveva letto il posto dell’appuntamento sul biglietto che le aveva dato Adàn aveva quasi sospirato.

Sembrava di essere in un brutto film di serie B.

A mezzanotte in un deposito container vicino ad un molo. Ed ora lei si trovava in mezzo a muri colorati in lamiere con fantasmi di gru e muletti in lontananza.

Se quello non era un clichè.

Sentì il rumore di passi che echeggiavano attorno a lei per qualche istante prima di vedere l’altra persona spuntare da un passaggio tra due container, che prima non aveva notato.

Era vestita con colori scuri, Marlin non avrebbe saputo dire se neri o meno, si muoveva con grazia quasi furtiva, scivolando fra le ombre con facilità. “Probabilmente è stata un ladro…” rifletté soppesando chi aveva di fronte “…di certo l’agilità per togliersi da situazioni spinose può tornare utile nella sua linea di lavoro.”

Si fermò di fronte a lei a uno o due metri di distanza, ben al di fuori dello spazio personale di Magdalene, avvolta per la maggior parte nell’ombra.

-E’ un piacere incontrarla alla fine, Miss Marlin. –Dalla voce si capiva facilmente che era una donna piuttosto che un uomo esile. Singolare ma non impossibile. Magdalene aveva sentito qualcuno ipotizzare che il Messaggero, come era conosciuto nei circoli bene informati, fosse una donna. –Si fa molto parlare di lei, soprattutto ultimamente. –La nuova arrivata sorrise. Marlin non batté ciglio. In fondo lei era un pesce grosso della finanza, non era insolito che molti la tenessero sotto controllo. –Alejandro mi ha raccontato di lei. Ha garantito completamente in suo favore. Strano, è la prima volta che lo fa con qualcuno non di famiglia.

Magdalene annuì una volta, per nulla impressionata dall’altra. Si diceva fosse una della migliori, se non la migliore, fonte di notizie in tutta Inghilterra, la più informata sui movimenti illeciti di uomini e merci. Era tanto famosa nell’underground quanto era costosa ed anche se lavorava solo su personali raccomandazioni di precedenti clienti non rimaneva mai a corto di lavoro.

Ma di certo non aveva una figura autorevole. Marlin poteva notare nella penombra le spalle appena incurvate e l’accurata attenzione con cui la donna evitata il suo sguardo. Qualcuno aveva paura qui e quella non era lei.

-Ho bisogno di trovare una persona.

Dopo quanto era successo oggi Marlin aveva ancora più necessità di trovare quella persona e di trovarla in fretta. Miller aveva voluto creare di proposito confusione e caos all’interno del Concilio. I tre quarti degli osservatori pensanti erano praticamente terrorizzati ora che non sapevano cosa sarebbe successo dopo. Ora che non sapevano da quale parte schierarsi.

L’altra donna annuì continuando a far rimanere il proprio volto nell’ombra, teneva le mani rigidamente lungo i fianchi come se non sapesse cosa farne.

-Immagino sappia già il prezzo.

Magdalene notò che la voce dell’altra aveva improvvisamente acquisito vita. “Bene, è facile fare affari con persone avide. Sono semplici da controllare.”

-Duecentomila dollari. Centomila ora, gli altri alla consegna dell’informazione.

Marlin posò la valigia con il denaro a terra. Gli occhi della suo interlocutrice si fissarono per qualche istante sulla borsa.

-Chi è?

Chiese qualche attimo dopo.

-Quentin Travers. Mi serve un incontro con lui.

Il Messaggero annuì una volta e rimase in silenzio per qualche secondo a riflettere.

Marlin notò qualche minuscolo cambiamento nella sua figura, come se improvvisamente si fosse ricordata chi fosse, o lo avesse dimenticato. Erano troppo piccoli per distinguerli, ma le bastò incrociare un secondo lo sguardo dell’altra per vederne un lampo che le fece capire che il Messaggero era in effetti molto abile e decisamente brillante nel suo mestiere.

-Martedì notte, di nuovo qui alla stessa ora. Avrò l’informazione.

Magdalene annuì e se ne andò facendo comunque attenzione a non voltare le spalle alla donna che aveva appena incontrato. Non era il tipo di compagnia con cui si poteva abbassare la guardia, per quanto innocua potesse sembrare. Non la conosceva e solo questo già la rendeva pericolosa. Prestando particolarmente attenzione ai rumori della notte ed alle ombre che la circondavano Marlin arrivò indenne alla macchina.

Entrò nella berlina e solo allora tolse la mano dal calcio della pistola, dove l’aveva discretamente tenuta per quasi tutti l’incontro. Mise in moto il motore ed essersi avviata a fari spenti verso l’uscita del deposito mentre un pensiero si consolidava nella sua mente, aveva passato parte della giornata a capire a cosa mirasse il primo osservatore con quel comportamento destabilizzante. Alla fine era arrivata alla conclusione di forzargli la mano, giusto per tenerlo sbilanciato. “Miller non è l’unico a saper giocare con il panico della gente.” Pensò soddisfatta. “Se vuole il caos nel Concilio lo avrà. Vedremo chi ne uscirà vittorioso.”

Prima di muoversi verso la borsa del denaro il Messaggero aspettò che il rumore del motore della macchina si confondesse con quello della risacca delle onde. Non voleva che la donna che aveva appena incontrato vedesse il gesto come una sfida od un atto di sfiducia nei suoi confronti.

La donna era già sicura che dall’inizio del loro incontro Marlin l’avesse già rivalutata da “insignificante” a “potenzialmente pericolosa”. Incrociare il suo sguardo, anche per un solo istante, era stato un errore. Sapeva che quello non lo poteva modificare abbastanza da sembrare un’inerme e nervosa commerciante di informazioni a chiunque avesse incontrato una persona pericolosa in vita sua.

“Così quella è Magdalene. Alejandro aveva ragione, un osso duro,tutta di un pezzo. Di certo non vorrei averla come nemica. Quasi mi dispiace per questo Travers, come lo vedo male. Per fortuna non devo giocare nel suo campo.”

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli Osservatori. Lunedì 24.

 

 

 

Il prete finì l’omelia e benedì la bara in noce chiaro.

Dalla prima fila Miller fece segno agli osservatori scelti per rendere l’ultimo servizio alla cacciatrice, di calare il feretro nella terra. In realtà la cassa era vuota. L’incendio aveva fatto crollare il palazzo ed era stato impossibile recuperare qualsiasi resto umano.

“Almeno questa è fatta” pensò soddisfatto, “un problema in meno da sistemare”. L’uomo sarebbe estremamente stupito a sapere quanto simili ai suoi fossero i pensieri di Marlin.

Tutto quello che Miller poteva percepire dalla donna vicino a sé era freddezza e pragmatico distacco dalla situazione. Nulla che potesse far trasparire la moderata soddisfazione che provava alla morte di Faith, né la supposta preoccupazione mista ad irritazione che il Primo Osservatore immaginava provasse.

Come reazione quel freddo distacco della donna lasciava Miller estremamente insoddisfatto.

Il Primo osservatore sospettava che Magdalene stesse controllando con estrema attenzione le proprie emozioni proprio perché sapeva che lui amava vedere i suoi avversari soffrire ed avere paura. Ed anche se sapeva che questa era una reazione molto più degna di Marlin che non un torrente di lacrime o rapidi sguardi nervosi tra la folla a cercare appoggio, la cosa lo infastidiva.

Aveva sperato che un simile colpo di fortuna, per lui almeno, la scuotesse almeno un po’.

Senza contare che se il fatto di averla probabilmente sottovalutata non gli piaceva, era un errore pericoloso da fare con Magdalene. Molti erano caduti perché l’avevano sottovalutata. E lui non ci teneva ad essere annoverato nel numero.

Miller doveva anche ammettere che se la dirigente che ora se ne stava dritta ed eretta al suo fianco si fosse comportata in maniera diversa, disperandosi e mostrandosi debole di fronte a tutti, avrebbe seriamente sospettato che lei stesse architettando un qualche piano. Che stesse simulando debolezza per spingere i suoi avversari ad affrontarla.

“Preferivo di gran lunga quando era dalla mia parte ed avevo Travers per controllarla…”

Momentaneamente lasciando fuori Magdalene dai suoi pensieri, Miller rivolse cautamente il suo sguardo sulla numerosa folla che era intervenuta al funerale.

In effetti la partecipazione era stata più numerosa di quella che aveva pensato, c’erano quasi cento osservatori dei circa duecento al momento presenti alla sede del Concilio, oltre a tutti i dirigenti ed agli osservatori anziani che potevano lasciare il loro dovere quella mattina, anche se la loro presenza alla cerimonia era stata aspettata. Guardò i loro volti e le loro posture con attenzione, seppure rapidamente. Nessuno sembrava dispiaciuto od addolorato particolarmente dalla morte di Faith. Più che altro sembravano sollevati di seppellire quella cacciatrice anomala sotto tre metri buoni di terra.

Aveva osato sfidare troppe tradizioni perché la sua mancanza fosse sentita da chicchessia.

Miller non poteva essere che felice che la visione dei conservatori fosse stata adottata dalla stragrande maggioranza degli osservatori. Non per niente aveva richiesto, a tutti quelli che potevano solo essere definiti come osservatori anziani reazionari, di presentarsi immediatamente al Concilio non appena avuta la conferma della morte di Faith. Giusto in tempo per la pausa pranzo.

In maniera non sorprendente entro sera le loro idee sulla cacciatrice si erano sparse e fissate nel cervello di ognuno, e grazie alla sua più o meno tacita convalida erano diventate l’idea dominante all’interno del Concilio.

“Proprio come avevo desiderato. Se riesco a scuotere i giovani osservatori abbastanza da impaurirli, a fargli temere che il Concilio possa essere in pericolo perché le tradizioni sono state spezzare, voteranno per i conservatori…”

Nettamente separati dagli osservatori, dalla parte opposta del feretro, si trovavano tutti gli operativi non in servizio presenti in Inghilterra.

Loro erano stati una sorpresa.

In prima fila Miller sapeva che si trovavano le squadra impegnate nella missione di Malaga. Molti avevano facce contrite, qualcuno sembrava addirittura dispiaciuto della morte della cacciatrice.

Strano, il Primo Osservatore non avrebbe mai pensato che quei soldati, i suoi soldati, avrebbero fraternizzato con il nemico, per quanto tempo potessero averci passato assieme. In fondo lei non era neanche umana.

L’idea non gli piaceva affatto…

“Non ho bisogno di truppe ammutinate… mi servono incertezza ed un po’ di paura, che faranno naturalmente protendere gli osservatori verso la sicurezza delle tradizioni… una lotta intestina è l’ultima delle cose che mi possono tornare utili… situazioni estreme tendono ad avere risultati inaspettati…”

Miller cercò lo sguardo di Jason per essere rassicurato che almeno il suo comandante fosse ancora al cento per cento con lui. Incontrò solo un paio di inespressive lenti scure e una figura rigidamente sull’attenti.

“Che la stimasse? Dannazione se fosse cose e  se lui volesse potrebbe facilmente ottenere il controllo della maggioranza degli operativi…”

Un lieve colpo alla spalla lo distolse dal suo studio.

Si girò e si trovò davanti la faccia un po’ ansiosa di un giovane osservatore, probabilmente appena uscito dall’accademia.

-Signore,una cattiva notizia.

Miller gli fece un cenno impaziente di continuare. Non voleva che una cattiva notizia rovinasse la celebrazione della sua vittoria su Marlin.

-La Summers non è rintracciabile.

-Cosa?

Sussurrò ringhiando il Primo Osservatore. Il novellino deglutì a disagio, sperando con tutto il cuore di essere mille migli più lontano od almeno non il relatore di notizie simili.

-La cacciatrice signore, non riusciamo a rintracciarla. E’ scomparsa, sappiamo per certo che non si trova a Sunnydale.

“Cosa diavolo sta accadendo…”

Girandosi nuovamente verso la fossa ormai quasi completamente coperta di terra Miller poté giurare di aver visto, con la coda dell’occhio, Marlin sorridere soddisfatta, come se la donna sapesse esattamente quale notizia gli era appena stata riferita. Anche se non poteva essere, visto che il ragazzo gli stava praticamente sussurrando nell’orecchio.

“No, non è possibile… stai diventano paranoico…calmati…” Il primo osservatore lanciò un’occhiata veloce anche a Jason e lo vide impassibile, gli occhi ancora sul cumulo di terra, come se tutto fosse a posto. “Forse anche lui…mi potrebbe tradire…in fondo non mi ha mai dimostrato la sua fedeltà…”

 

 

 

La notizia possibilmente si era sparsa ancora più velocemente di quella della morte dell’altra cacciatrice.

Entrando nel grande atrio Miller si sentì tutti gli occhi dei presenti addosso.

Diede una veloce occhiata in giro, ma nessuno accettò di guardarlo negli occhi. Non una cosa completamente insolita, ma oggi evitavano palesemente il suo sguardo e Miller non riusciva a capire se era per paura o per insolenza. E di certo lui non si poteva mettere ad urlare in mezzo a questa folla, che di minuto in minuto si faceva più numerosa, per avere l’attenzione indiscussa di tutti e cercare di controllare la situazione in qualche modo.

Al momento tutti i presenti sembravano più preoccupati di vedere chi stava arrivando dietro di lui piuttosto che conoscere la sua reazione all’evento. Questo non andava bene, “Dovrebbero star cercando la mia guida invece di quella di… di…” Miller si girò e vide arrivare dietro di sé un gruppo di persone, tra loro si trovava Dougan “…del traditore”.

Il primo osservatore non si era dimenticato affatto di come l’uomo avesse cambiato posizione durante la Riunione Plenaria. Era a causa sua che non era riuscito a portare a termine il suo piano e Marlin rappresentava ancora un pericolo. Non si trattava di una cosa che si poteva perdonare.

Dietro i dirigenti stavano arrivando alla spicciolata tutti gli altri osservatori, andando ad ingrossare la già numerosa folla all’ingresso della villa. Ben presto si creò una specie di ostruzione, difficile da far smaltire in pochi secondi e capace soltanto di bloccare i nuovi venuti nell’atrio.

Il volume delle voci si alzò percettibilmente mentre gli osservatori appena arrivati venivano velocemente messi al corrente da altri su quanto accaduto.

Ignorando tutti il primo osservatore si diresse direttamente nel suo ufficio per cercare di rintracciare Giles. Era preoccupato. Questa nuova scossa non gli ci voleva affatto, soprattutto quando era lui a condurre il gioco.

La scomparsa di una cacciatrice, non avrebbe che aumentato l’incertezza generale, spingendo molti, invece che a dubitare della forza e della capacità di Marlin, visto che Mars era collegata solo a lei, a dubitare della sua direzione del Concilio. Perché se la perdita di una cacciatrice era un problema di un osservatore, in questo caso di un dirigente, la scomparsa di due in così rapida successione non poteva che significare un’incapacità ad un livello più alto.

Senza contare il fatto che non si era ancora riusciti a trovare la sostituta di Faith, né a dimostrare che non ne sarebbe stata chiamata una.

La segretaria, notato il suo umore, non tentò neanche di parlargli. Fu il primo osservatore a lanciarle un ordine, praticamente ringhiato, mentre si affrettava ad entrare nell’ufficio, sbattendo rumorosamente la porta dietro di sé, come sua abitudine ogni volta che si sentiva profondamente irritato.

-Mi chiami direttamente quell’idiota di Giles.

La donna annuì cominciando subito a cercare il numero dell’osservatore nella corposa rubrica che aveva di fronte a sé. Quando il primo osservatore era di quell’umore, bisognava eseguire i suoi ordini ancora più velocemente e silenziosamente del solito.

Con il rumore della porta ancora nell’aria Miller entrò a grandi passi nel suo ufficio e si diresse subito verso il telefono della sua scrivania. Non si mise seduto, afferrò la cornetta e cominciò a camminare nervosamente avanti ed indietro. Lo aveva sempre fatto quando stressato, gli serviva per concentrarsi.

Uno squillo, “non riesco a capire come sia potuto succedere… non ora… non così presto… dannazione… perché ora?”, due squilli.

-Parla Rupert Giles.

La voce che rispose era stanca, quella di Miller infuriata. Aveva bisogno di una capro espiatorio per come si sentiva. E quell’osservatore gliene forniva uno perfetto.

-Cosa significa che ti sei perso la cacciatrice, buono a nulla!

Ci fu un attimo di pausa dall’altra parte della cornetta, un silenzio stupito.

-Con chi parlo?

Chiese Giles per guadagnare tempo e decidere cosa rispondere. Non riusciva a capire chi potesse sapere della scomparsa di Buffy.

-Con Miller ecco con chi stai parlando, idiota!

Rupert ebbe paura. Cosa dire? Che non vedeva la cacciatrice da quasi una settimana? Che lei non era neanche a Sunnydale ma per quanto ne sapeva si trovava da qualche parte in Inghilterra? E poi, di nuovo, come faceva il primo osservatore a sapere che Buffy non si faceva sentire da due giorni ed era completamente irrintracciabile? Giles si era ben guardato dal dirlo anche a Marlin. Quello sarebbe dovuto essere un segreto. A parte lui e Willow nessun altro sapeva qualcosa. Come se non bastasse Rupert non sapeva quanto Magdalene aveva riferito al primo osservatore sugli spostamenti di Buffy.

Troppe domande e nessuna dannata risposta. Giles si tolse gli occhiali con una mano improvvisamente tremante.

-Signore, la cacciatrice non mi ha fatto rapporto negli ultimi due giorni.

“Non mentire, non mentire, ma non dire nulla che potrebbe non sapere… calma… calma…”. Gli occhiali gli caddero dalle mani, atterrando fortunatamente sui cuscini del divano senza rompersi. Si passò una mano sugli occhi, agitato.

-Dove è quella mocciosa?

Ringhiò il primo osservatore nella cornetta mentre il suo passo diventava sempre più veloce.

-Non so signore. –“attenersi ai fatti… sono tutti confermabili…” -La sto cercando al massimo delle mie possibilità. –“nessuno lo può negare tranne me…” -Ho cominciato non appena ha saltato il primo rapporto. –“nessuno può contraddirmi…”.

Ci fu silenzio per qualche secondo sulla linea. Giles si risistemò il colletto della camicia mentre aspettava che Miller pronunciasse la sua sentenza.

“Non può farti nulla, nulla se non convocarti di fronte alla disciplinare… ma non può provare nulla… la mia carriera è praticamente distrutta se ho perso nuovamente la cacciatrice…” si ripeteva Giles. Furono alcuni dei secondi più lunghi della sua vita.

Miller si costrinse a fare un respiro profondo ed pensare a sangue freddo. “Devo controllare i danni, fare in modo che questa situazione non mi sfugga… evitare che Marlin ne possa trarre qualsiasi vantaggio…”

-Va bene. Continui la sua ricerca. Ma non si muova da Sunnydale, dirò ad altri di tenere gli occhi aperti per quanto riguarda le altre zone. E non parli della cosa con nessuno chiaro?

Giles si sentì quasi svenire dal sollievo, un’altra possibilità, aveva un’altra possibilità…

-Si signore. Non parlerò con nessuno signore.

A metà frase Rupert sentì il rumore della linea interrotta.

L’osservatore posò la cornetta con la mani ancora tremanti. Le dovette utilizzare entrambe per riuscire a posarla al posto giusto, riuscendoci solo al terzo tentativo.

Si lasciò cadere anche lui sul divano e si prese la testa fra le mani.

“Un informatore, un informatore deve avergli comunicato che non trovo più la mia cacciatrice. Se è scappata di nuovo questa volta mi solleveranno dall’incarico… non posso dirgli che è scappata di nuovo durante una vacanza a Manchester…”.

Rimase qualche minuto così, scuotendo lentamente la testa e facendo respiri profondi.

“Devo chiamare Marlin…anche se non posso avvertire nessuno devo chiamarla… è l’unica che mi può aiutare a ritrovare Buffy… l’unica di cui mi possa fidare al momento…”

 

 

 

Jason entrò nell’atrio.

Si guardò attorno cercando il Primo Osservatore. Esaminò velocemente la sala senza trovarlo, notando mentalmente la presenza di tutti gli altri.

Una manciata di minuti prima uno degli operativi gli aveva comunicato la riportata scomparsa della Cacciatrice.

Strano usare di nuovo il singolare dopo tanto tempo. Ma con Faith morta e nessuna chiamata a rimpiazzarla, od almeno trovata, rimaneva solo una prescelta. Per la prima volta in qualcosa come cinque anni. Poco tempo e tanto tempo assieme.

Ormai sembrava inutile negare che gli eventi stessero precipitando in maniera del tutto incontrollata. Dubitava che esistesse un’unica persona dietro tutto questo, capace di orchestrare il tutto. Erano una serie di schegge impazzite che colpivano bersagli casuali sulla loro rotta.

Jason non poteva fare a meno di pensare di non aver avvertito Faith abbastanza presto. O di non essere riuscito a farle capire veramente che il pericolo che correva era tremendamente reale.

In un certo qual modo non lo aveva creduto neanche lui mercoledì. Sapeva che era possibile, senza dubbio, solo che credeva fosse improbabile.

Beh, si era sbagliato.

Una cacciatrice era morta per questo.

E a lui dispiaceva.

Non che si sentisse responsabile. Assolutamente. O colpevole. Di cosa poi, avrebbe voluto sapere.

Anzi, la morte di Faith era una cosa quasi gradita per lui. Sicuramente era comoda, gli semplificava i problemi enormemente. Era solo “quasi gradita”, perché l’avrebbe preferita come alleata piuttosto che morta. Ed in un mondo perfetto lo sarebbe stata, perché Jason sospettava che in fondo loro due si somigliassero. Anche se non aveva prove a dimostrarlo quanto una sensazione.

Ma questo non era un mondo perfetto, tutt’altro, e Jason sapeva che la cacciatrice non era assolutamente una persona di cui si sarebbe potuto mai fidare. Troppo indipendente e troppo indurita da quello che aveva superato per sopravvivere.

Del resto la scomparsa di Faith lo lasciava con un rebus non risolto.

Ora che era morta Jason non avrebbe più potuto sapere cosa si nascondesse dietro quella maschera, cosa l’avrebbe fatta incrinare e cosa cadere. Il capo degli operativi avrebbe potuto passare mesi, anni interi d osservarla e poi a sondarla cautamente per saperlo. Perché lui era una persona curiosa, molto curiosa, lo doveva ammettere, e Faith era uno dei rompicapi più interessanti che gli fosse mai capitato nella vita.

Averlo perso lo scocciava enormemente.

Jason odiava quando un rebus gli veniva strappato di mano prima che riuscisse a risolverlo.

Certo, la voleva fuori dal Concilio, fuori dalle sue squadre di operativi, perché alla lunga lei sarebbe diventata un problema, che lo volesse e lo intendesse o meno. Ma sarebbero passati anni prima che lo fosse davvero. Perché sotto sotto Faith era una leader naturale anche se odiava lavorare con altre persone. Posta in un ambiente tendeva automaticamente a porsi come comandante. E prima o poi se ne sarebbe accorta. O forse lo sapeva già e prima o poi lo avrebbe sfruttato, avrebbe imparato a farlo.

Jason sapeva che non era stupida.

Inetta, si, quello si. Almeno ad un certo grado. Lui l’aveva avvertita ma comunque ora Faith era poco più di un mucchietto di cenere.

Che fosse stato perché aveva deciso di ignorare i suoi avvertimenti o semplicemente perché lei aveva incontrato qualcuno più forte e più deciso, il risultato era il medesimo.

Jason stava pensando proprio a questo durante il funerale.

Prima che gli comunicassero che l’altra cacciatrice era scomparsa.

Non morta, ma scomparsa.

La cosa lo aveva riportato alla presente situazione del Concilio. C’era così tanto in gioco, non da ultimo la sua stessa vita.

L’unica cosa per cui Jason avrebbe sacrificato la propria esistenza, l’istituzione del Concilio degli Osservatori, non le persone che ne facevano parte, non era in pericolo. Conosceva la storia e sapeva che c’erano stati altri vuoti di potere, altre guerre civili ed alcune ben più tragiche di questa, e nonostante tutto il Concilio era ancora lì. E questo significava che tutto quello a cui lui mirava in questo momento era semplicemente essere lì per vedere l’alba del prossimo periodo.

La situazione al momento era grave. Non irrimediabile ma grave.

Doveva trovare una soluzione. La cosa difficile era che non conosceva esattamente il problema. Prima di tutto quindi avrebbe dovuto cercare informazioni.

Miller sarebbe stata la logica scelta per farlo, ma non era presente al momento. Avrebbe dovuto trovare un sostituto.

Jason si guardò attorno.

A qualche metro da lui, vicino ad un ascensore c’era Vivien. La donna era praticamente distrutta dal dolore e dal senso di colpa per non essere riuscita a salvare Faith. E così molti altri degli operativi che avevano partecipato a quell’addestramento.

Ora come ora Jason non poteva contare sulla maggior parte di quelli che aveva partecipato all’esercitazione di Malaga. Sembrava che in questi mesi Faith fosse veramente diventata una loro camerata.

Poco aiuto su quel fronte quindi, senza considerare la squadra di Dellah, ancora sconvolta per la scomparsa del loro compagno. Avrebbero dovuto lavorare a ranghi ridotti per un po’, sarebbe stato difficile coprire un’eventuale crisi.

Il capo degli operativi mise da parte quella considerazione tecnica e proseguì a scrutare i capannelli di osservatori sparsi nell’atrio e nei corridoi. Era palesemente ovvio che questa la notizia della scomparsa della cacciatrice si era diffusa. Ormai probabilmente era incontrollabile.

Gli osservatori erano tutti nervosi e sempre più impauriti dagli ultimi eventi accaduti, e, a giudicare dal numero di presenti, probabilmente la maggioranza delle postazioni era rimasta scoperta al momento. Il capo degli operativi poteva riconoscere tra la folla un buon numero di supervisori, tutti intenti nel cercare di attrarre l’attenzione del proprio dirigente di riferimento. Cercavano una guida, implicitamente ammettendo di non sapere assolutamente come comportarsi e cosa fare.

La situazione era praticamente sull’orlo della catastrofe.

Jason scandagliò ancora con gli occhi l’atrio cercando qualche personalità non sconvolta da quanto accaduto, per capire quanto grave fosse la situazione. Una persona in preda al panico od alla paranoia era del tutto inutile.

Non era il fatto in sé che fosse scomparsa una cacciatrice ad essere destabilizzante, questo Jason e tutti gli altri lo sapevano. Era che era accaduto a due giorni dalla morta dell’altra, all’assenza di una erede alla carica, in un momento in cui nel Concilio c’erano si e no sei dirigenti e l’aria di una guerra per la successione.

“Momento fottutamente fantastico perchè accada una cosa simile.”

Il suo sguardo si posò su una Marlin serena e composta come sempre.

“La seconda migliore da cui avere informazioni  in questa situazione, dopo il primo osservatore”.

Le si avvicinò alle spalle, facendo attenzione a non essere notato. Il suo interesse era scoprire cosa stava dicendo ai suoi sostenitori, che al momento le si stavano affollando attorno. Almeno avrebbe saputo se c’era lei dietro questa storia o se perlomeno stava cercando di diffondere il panico per utilizzarlo.

-Signora ha saputo?

Chiese uno dei supervisori, Magdalene gli rispose con un cortese cenno del capo in assenso. Jason rallentò ancora di più il proprio passo per poter ascoltare per qualche secondo in più.

-Si, ho sentito. Anche se non mi è ancora stato confermato. Aspetto una nota dal Primo Osservatore per chiarire la faccenda.

“Come da regolamento, da come si comporta sembrerebbe che non abbia mai infranto una regola in vita sua. Anzi, che non abbia mai pensato di farlo.” Vicino a lei anche Kroskj annuì, in supporto alla sua risposta.

Jason non poté fare a meno di notare che erano gli unici dirigenti a reagire con così tanta calma alla notizia. Poteva chiaramente vedere la folla che circondava Dougan agitarsi alle parole dell’uomo dall’altra parte della sala.

Il silenzio si prolungò per qualche altro istante nel gruppetto.

Il comandante degli operativi aspettò per quanto possibile nei limiti dell’educazione prima di parlare ed annunciare la propria presenza, per darle la possibilità di aggiungere qualcosa, una vaga indicazione, un commento distratto.

Silenzio.

Oramai era chiaro che Marlin non avrebbe offerto alcuna notizia né supposizione su quanto accaduto. Se sapeva qualcosa l’avrebbe tenuta per sé.

Jason si avvicinò di una altro passo prima di rivolgerle la parola, mettendosi leggermente al suo fianco, per non arrivarle direttamente alle spalle.

 -Sa per caso dove posso trovare il Primo Osservatore, signora?

Jason sapeva che non c’era molto altro che avrebbe potuto sapere in quest’atrio, già qualcuno cominciava a tornare al suo posto, sebbene lo facesse senza smettere di speculare con i propri colleghi. Era meglio andare direttamente dal proprio comandante per capire quanto fosse stato scosso dalla notizia. In fondo molto di questa situazione dipendeva dalle sue risposte agli eventi.

“Se soltanto anche lui se ne rendesse conto…”

Era stata quasi una sorpresa rendersi conto esattamente quanto forte ed importante fosse stata l’influenza di Marlin nel comportamento del Primo Osservatore. Da quando la donna aveva ritirato il suo appoggio Miller era diventato più lento nelle sue risposte e certamente meno capace di prevedere le reazioni delle persone attorno a lui, ma soprattutto si era dimostrato quasi incapace a comprendere come una sua mancata azione potesse avere allarmare l’intero Concilio.

Non era nulla di troppo evidente.

Una somma di dettagli più che altro.

La mancanza di un comunicato, l’assenza di questo o quel personaggio durante una cena od un pranzo nella mensa. Alcuni ordini su cosa fare dati troppo direttamente invece di consigliare linee di azione.

Oh, le crisi e le situazioni erano affrontate con la solita, brutale, efficacia.

I problemi venivano affrontati e risolti. In caso eliminati.

Come sempre.

L’unica differenza era che con il consiglio di Marlin, molte di queste crisi erano risolte ancora prima che nascessero.

Era una finezza nel trattare con le persone che Jason sapeva essere del tutto istintiva. Non la imparavi.

E Miller non l’aveva.

Marlin annuì, mentre girava leggermente la testa per guardarlo negli occhi. Se era sorpresa dalla sua improvvisa presenza al suo fianco o meno, non lo dava a vedere.

-Probabilmente il Primo Osservatore è nel suo ufficio. E’ entrato prima di me.

Jason annuì ancora una volta prima di allontanarsi dalla donna. Doveva trovare informazioni.

 

 

 

Il telefono squillò.

-Con chi parlo?

Chiese Marlin comodamente seduta nel proprio ufficio. Era soddisfatta di come il resto del Concilio aveva preso la notizia della scomparsa della Summers. Doveva ammettere che fomentare disordine era facile. Soprattutto in una massa tale di superstiziosi. In molti stavano già parlando di maledizioni e congiunture astrali negative.

“Ancora un po’ e chiameranno la cartomante di fiducia…”

-Sono Giles… Ho un problema.

Magdalene avrebbe scommesso che l’osservatore stava tremendo dall’altra parte della cornetta. Di certo la voce non era controllata come al solito. Probabilmente aveva già ricevuto una telefonata di Miller.

-Il Primo Osservatore mi ha chiamato. –Ecco la conferma. “La nota ufficiale non dovrebbe tardare troppo…”. –Sa che Buffy è scomparsa. –Marlin sentì una specie di singhiozzo dall’altro lato.  –Mi ha detto di non parlare con nessuno. –Questo lasciò perplessa Magdalene. “Perché nascondere il fatto? Non gli conviene…” –Devo ritrovarla Miss Marlin. Non gli ho detto che si trovava in Inghilterra quando è scomparsa e non posso dire di aver perso nuovamente una cacciatrice.

Alla donna venne quasi voglia di ridere. “Abbiamo paura eh?”. Si accontentò di un sorriso soddisfatto, quello non lo poteva vedere.

-Cosa le serve Giles?

Sempre meglio che fosse l’altro a chiedere che tu ad offrire.

-Non può essere scappata. Non lo rifarebbe di nuovo, non ha motivo. Ho bisogno del suo aiuto per ritrovarla. Può esserle accaduto qualcosa…

Rupert rimase in attesa della risposta, trepidante. Questa era la sua ultima chance.

-Sia. La cercherò. –Magdalene fece una pausa. Il sospiro di sollievo dell’uomo fu evidente. –Mi dovrà un favore decisamente grande per questo però. Rischio a mentire a Miller.

Poteva sentirlo annuire tramite la linea telefonica.

-Naturalmente naturalmente, qualsiasi cosa. Basta che la ritrovi.

Probabilmente era troppo felice per rendersi conto di quello che diceva. Un giorno probabilmente avrebbe ripensato a queste parole con orrore. Di certo Marlin avrebbe fatto in modo che non le dimenticasse.

-Arrivederci Giles.

-Arrivederci e grazie Miss Marlin.

Era quasi patetico sentire quanta gratitudine aveva nella voce.

Chiusa la conversazione, Marlin incrociò le mani e vi poggiò sopra il mento.

“Cosa stai progettando Miller?”

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli osservatori. Martedì 25.

 

 

Le cose da ieri non erano migliorate. Se possibile erano peggiorate. L’assenza di un qualsiasi commento diretto da parte del Primo Osservatore alle voci che si erano diffuse sulla scomparsa della seconda cacciatrice, non avevano fatto altro che aumentare la tensione.

“Come se prima la situazione fosse stata calma e tranquilla.”

Jason doveva ammettere di non aver mai assistito ad una tale dimostrazione di panico all’interno del Concilio. Tutti gli osservatori si muovevano da stanza a stanza in maniera furtiva, cercando di passare il meno tempo possibile nei corridoi, guardandosi continuamente le spalle e trasalendo al minimo rumore che sentivano. Stavano rintanati il più possibile nei propri uffici, sbrigando il loro lavoro ed evitando di farsi notare.

Da ieri c’era un silenzio irreale ed un tantino inquietante nel Concilio.

“Un piacevole cambiamento per lo meno.”

Tra il rumore di porte che si chiudevano e cigolavano, le voci soffocate ed i mormorii che si sentivano, sembrava di essere in una villa infestata dai fantasmi piuttosto che nella sede centrale di un’organizzazione con più di un centinaio di dipendenti presenti.

Sarebbe stata una situazione comica se non per il fatto che il pericolo che temevano gli osservatori era in qualche modo reale.

Jason sapeva che anche i suoi operativi erano nervosi, tesi per qualsiasi cosa si stesse preparando. Il fatto poi che, delle quindici squadre esistenti, ben tredici fossero nella sede centrale invece che impiegate in missione non rendeva le cose più facili.

Tale concentrazione di truppe era stata necessaria per proteggere l’assemblea plenaria da qualsiasi eventualità di attacco. Era stato lo stesso Primo Osservatore ad ordinargli poi di tenerle tutte a disposizione fino all’assemblea necessaria per eleggere i nuovi dirigenti. Legittima come precauzione dopo gli eventi degli ultimi mesi, alla sequela di incidenti e di morti che ne era derivata.

L’unica eccezione era stata la missione di addestramento diretta da Faith, in cui erano state coinvolte quattro squadre. Non era stata annullata semplicemente perchè non sarebbe dovuta durare più di una manciata di giorni ed era in programma già da molto tempo.

“E per come è andata a finire sarebbe stato meglio cancellarla.”

Ma questo ordine del Primo Osservatore costringeva anche ad un’inattività forzata ed una vicinanza coatta dei commando dai nervi logori e dai riflessi fulminei. Prima o poi ci sarebbero stati incidenti, per quanto gli uomini potessero essere ben addestrati e per quante precauzioni si prendessero. Non fosse stato per quell’ordine Jason avrebbe già provveduto a dividere le squadre, facendo rimanere solo cinque nella sede, il normale numero, e dividendo le altre tra campi di addestramento e licenze.

La cosa che preoccupava di più il comandante era però il fatto che diverse squadre avevano cominciato a guardarsi con sospetto.

Jason temeva sinceramente che alcuni caposquadra avrebbero dato il via ad una faida interna.

“Ci mancherebbe solo questa per completare questa settimana infernale…”

Spesso tra le varie squadre c’era competizione, simpatia od avversione, ma era raro arrivare all’ostilità venata dall’odio che aleggiava ora. La politica di far nominare i caposquadra ai dirigenti e non al comandante stesso non si dimostrava esattamente saggia in momenti come questo, in cui “guerra civile” non era poi un pensiero così alieno. Rendeva difficile che il capo degli operativi occupasse o minacciasse seriamente l’esistenza del Concilio, questo si, ma apriva tutta un’altra serie di problemi, basati sui conflitti di interesse e sui giochi di potere che si svolgevano tra dirigenti.

Problemi che non si era mai neanche tentato di risolvere.

Il pericolo che per un caposquadra la fedeltà individuale alla persona a cui dovevano la loro nomina prevalesse sul rispetto dovuto alla catena di comando, non era da prendere alla leggera.

Era quello il problema principale con il fatto che i caposquadra fossero scelti dai dirigenti.

Oltre al piccolo, non trascurabile particolare, che a volte, erano stati idioti incapaci ad aver avuto la nomina.

Probabilmente l’unica cosa che aveva impedito fino a quel momento che scoppiasse un regolamento di conti simile, pur con tutto quello accaduto, era proprio il fatto che lui stesso aveva evitato di schierarsi apertamente da un lato o da un altro. I vari capi fazione avrebbero aspettato fino all’ultimo per vedere dove era la sua fedeltà, considerando che con lui si sarebbero mosse almeno tre squadre.

“Almeno fino a quando qualcuno non perderà la pazienza. Come con Faith…”

Sinceramente Jason non avrebbe mai creduto che un attacco nei confronti della cacciatrice avvenisse così presto.

Solo due giorni dopo il suo avvertimento.

A volte odiava avere ragione.

Il lungo ed ininterrotto suono di un allarme lo richiamò bruscamente al presente. Accedendo velocemente ai video di sorveglianza ed alle piante del palazzo notò l’avvertimento di un’intrusione ostile nel settore est.

Diede ordine a tutte le squadre non impegnate nella sicurezza del perimetro esterno di convergere in quel punto.

Oggi Jason non aveva nessuna voglia di intraprendere operazioni chirurgiche. Se avesse avuto una qualche superiorità numerica l’avrebbe sfruttata fino in fondo.

“Un altro attacco in meno di un mese. Non ha senso, non ha senso farlo ora…la riunione plenaria c’è già stata, l’altra ci sarà venerdì… perché ora?”

Senza perdere tempo Jason prese la pistola dal cassetto e controllò caricatore e sicura prima di correre anche lui in quella direzione. Da tempo sapeva che il modo per dare gli ordini migliori era essere presenti in prima persona sulla scena dove si svolgeva l’azione.

Gli ci vollero meno di due minuti per raggiungere il punto esatto segnalato dal sistema informatico.

Si fermò dietro l’ultimo angolo, ascoltando cosa accadeva nel corridoio. Nessun colpo di arma da fuoco. Strinse meglio la propria Sig-sauer P-229, fece un respiro profondo, e si mosse.

Era già tutto finito.

Jason analizzò rapidamente la scena davanti a sé, la pistola ancora pronta.

A terra, a pochi metri da lui, spostato appena sulla destra, giaceva il corpo, evidentemente senza vita, del dirigente Dougan. Nessuno sopravvive a quello che sembrava un proiettile calibro nove piantato in mezzo agli occhi.

Attorno, disposta in un approssimativo semicerchio, si trovava la squadra di Devon, i mitra puntati nella direzione opposta a quella da cui era arrivato lui. Una dozzina di altri osservatori si trovavano sul posto, alcuni sdraiati a terra, altri in piedi, erano in silenzio, con i volti cinerei. A meno di due metri, un po’ spostato sulla sinistra, c’era il Primo Osservatore con una pistola ancora in mano, l’unico calmo e pienamente padrone di sé nel corridoio oltre agli operativi.

Gli bastò quella rapida occhiata per capire cosa fosse successo.

Ignorando momentaneamente Miller, Jason si rivolse verso il caposquadra, già sapendo cosa avrebbe scoperto. O meglio cosa non avrebbe trovato. Odiava profondamente capitare in situazioni simili senza saperne nulla in anticipo.

-Rapporto Devon!

Ringhiò al caposquadra. Sarebbe stato il suo parafulmine per il momento. Ed avrebbe fatto bene ad accettarlo, visto che era coinvolto nella scena che si trovava davanti.

-Siamo intervenuti non appena abbiamo sentito l’allarme signore. –Rispose immediatamente l’interpellato, scattando sull’attenti senza esitare. –Quando siamo arrivati sul posto un soggetto ostile non identificato si stava allontanando in direzione sud, signore. Il Primo Osservatore aveva già aperto il fuoco contro l’intruso costringendolo a ritirarsi, signore.

Tutto estremamente lineare. Un nemico introvabile, un incidente durante un convulso scontro, diversi testimoni pronti a sostenere la tua versione. La situazione perfetta per commettere un omicidio.

“E’ un po’ troppo facile cavarsela con qualche riga mandata a memoria, Devon. Spero tanto per te che tu abbia pronta qualche risposta in più…”

-E dove si trova ora l’ostile?

Non che Jason sperasse di trovarlo, considerando che non esisteva. Ma non aveva intenzione di rendere le cose più facili al caposquadra. Che si fabbricasse le scuse da solo e che fossero buone, altrimenti tutto sarebbe crollato sulle sue spalle. Ci sarebbero stati rapporti da riempire in seguito e commissioni di inchiesta da affrontare. Di certo lui non lo avrebbe aiutato e glielo voleva rendere chiaro dal primo momento.

-Non lo so signore. Il Primo Osservatore ci ha ordinato di rimanere qui, signore.

“Ed ovviamente il potere di lasciare “scappare” chiunque sia entrato, risulta estremamente comodo in queste situazioni.”

Dopo una risposta simile, del tutto inattaccabile, non c’era molto che Jason potesse fare oltre che portare avanti questa recita idiota e ribollire di rabbia.

Nel frattempo erano arrivate altre quattro squadre.

Decisamente furibondo ma tentando di celarlo, senza particolare successo, il comandante chiamò a raccolta i caposquadra con un cenno della mano.

-Vivien, -Si rivolse per primo alla donna, fissandola un attimo negli occhi. Anche lei sembrava stupita ed arrabbiata quanto lui per essere incappata in una situazione simile. “Non piace a nessuno capitare in una farsa di cui non si conoscono le battute e per la quale non si è stati scritturati.” –Tu rimani qui. Voglio il Primo Osservatore e il dirigente protetti chiaro?

“Non che Dougan debba essere protetto poi molto ora.”

-Si signore!

Rispose Vivien girandosi e cominciando a dare ordini alla sua squadra senza perdere un secondo. Il comandante era ovviamente furibondo, e lei sapeva quindi che bisognava eseguire gli ordini almeno due volte più velocemente del normale per evitare di averlo addosso.

-Voi quattro. –Si rivolse agli altri. –Andate a cercare quell’ostile. Rivoltate l’intero Concilio se necessario. –Jason fissò i suoi occhi in quelli di Devon, comunicandogli silenziosamente che non era affatto contento con lui e che avrebbe fatto meglio a fare un lavoro perfetto d’ora in poi, perché lo avrebbe rovinato alla prima occasione utile. Il caposquadra deglutì nervosamente mentre annuiva. –Lo voglio chiaro?

-Si signore!

Urlarono contemporaneamente i quattro e si dispersero, le loro squadre subito dietro di loro, cominciando quella che tutti sapevano essere una caccia ai fantasmi. Perlomeno gli dava la possibilità di allontanarsi il più presto possibile da un furioso comandante, il che era un bonus da non trascurare.

Qualche secondo e nel corridoio erano rimasti solo i testimoni dell’”attacco” e la squadra di Vivien, i mitra in posizione di riposo. Piano piano i vari osservatori sembravano riprendere colore e con quello la parola.

Il vocio stava già raggiungendo livelli seccanti per quanto riguardava i gusti del comandante della sicurezza.

Jason rimase sulla scena qualche minuto ancora.

Chiese agli osservatori anziani presenti cosa fosse esattamente successo.

Le versioni coincidevano al millesimo.

Un intruso, di altezza media, corporatura media, con volto coperto e quella che era stata descritta come una pistola “grande e nera” era entrato nel corridoio, aveva puntato l’arma contro i passanti, tra cui il Primo Osservatore. Per reazione Miller aveva estratto la propria pistola ed aveva aperto il fuoco, mettendo in fuga l’uomo.

“Si, ed io sono un casco blu dell’ONU”.

In tutta la sua vita Jason aveva sentito poche storie di copertura peggiori di questa.

Raccolte le deposizioni degli altri osservatori presenti, e chiesto a tutti di presentarsi nei prossimi giorni nel suo ufficio per firmare le loro dichiarazioni, il comandante degli operativi si avvicinò al cadavere di Dougan.

Si inginocchiò ed osservò per un attimo il corpo. Diversi colpi di pistola lo avevano raggiunto al torace oltre al colpo alla testa. Per abitudine poggiò le dita sulla carotide, che non ci fossero pulsazioni era chiaro dall’estensione della pozzanghera di sangue sul pavimento. Probabilmente il proiettile che lo aveva colpito in mezzo agli occhi era stato l’ultimo ad essere esploso.

Ci sarebbe stata un’inchiesta su quanto accaduto ovviamente.

La morte di un dirigente non poteva essere archiviata come una disgrazia senza un minimo di indagine dietro.

“Un’altra caccia ai fantasmi.”

Jason alzò la testa ed incrociò lo sguardo del Primo Osservatore. L’operativo annuì una volta prima di alzarsi ed avvicinarglisi.

-Signore.

Lo salutò.

-Jason.

Fu la replica, il capo della sicurezza non poté fare a meno di notare che era piuttosto fredda. Non un buon segno. L’unica cosa incerta del caso era se Miller o altri, uno dei dirigenti rimasti ad esempio, avessero voluto o meno la sua testa per l’incidente.

In fondo era la seconda volta in meno di un mese che qualcuno penetrava nel Concilio. E qualcuno moriva.

E se la morte di un operativo poteva essere ignorata, quella di un dirigente non lo poteva essere.

-Potrei avere la sua versione dei fatti, signore?

L’idea di chiedergli di consegnare la pistola non lo sfiorò neanche. Per qualche motivo il Primo Osservatore era improvvisamente diventato diffidente nei suoi confronti. Jason non ne conosceva il motivo, ma avrebbe fatto tutto il possibile per evitare di inimicarselo di più. Forse la folla avrebbe voluto un capro espiatorio e ben pochi l’avrebbero soddisfatta quanto la testa del capo della sicurezza.

Era per quello che odiava essere stato costretto a recitare una parte in questa farsa senza esserne informato prima. In questo modo non aveva potuto prepararsi nessun alibi, nessuna spiegazione. Gli era stata negata la minima possibilità di ripararsi da eventuali contraccolpi.

-Certamente Jason. –Ancora gelida cortesia nella voce del Primo Osservatore.

Miller ripeté effettivamente la stessa storia di tutti gli altri, particolari compresi. Con lo sguardo sfidò il capo della sicurezza a contestarlo. Jason se ne guardò bene, limitandosi ad annuire in tutti i giusti punti.

-La ringrazio per il suo tempo, signore.

-Ho fiducia che condurrà l’inchiesta al meglio delle sue possibilità.

Detto questo il Primo Osservatore si allontanò senza salutare, limitandosi a mostrare un mezzo sorriso calcolatore che la diceva lunga su quanto in realtà non si fidasse di lui.

In quel momento Jason decise che se si fosse arrivati ad un punto tale in cui fosse servito un capro espiatorio, sarebbe stato Devon a pagare per tutti. Se volevano una testa gli avrebbe dato la sua. Senza rimpianti. E se pure fosse caduto lui in prima persona avrebbe fatto in modo da trascinare con sé il caposquadra.

Inutile vendetta, ma comunque vendetta.

Jason se ne tornò nel proprio ufficio e si chiuse la porta dietro di sé.

Si mise a sedere e rimise la sicura alla Sig sauer. Questa volta però non la ripose nel cassetto della scrivania, la infilò nella fondina sul fianco. Scomoda, ma più rapida da prendere in caso di necessità.

Il Primo Osservatore non si fidava più di lui.

“Perché?”

Non ne aveva veramente idea.

Senza saperlo si ritrovò a grattarsi il sopracciglio.

Era preoccupato.

Quanto successo nell’ultima ora rendeva la sua posizione più difficile di prima. Ora sembrava che anche per i dirigenti fosse caccia aperta. Jason non si faceva molte illusioni al momento sulla sua vulnerabilità.

La sua vita era in pericolo.

Miller non aveva tentato neanche di nascondere lo sguardo indagatore che gli aveva rivolto in quel corridoio, né di camuffare la sua totale assenza di fiducia, aveva il potere e glielo aveva ricordato senza essere sottile.

Il fatto che si fosse rivolto a Devon per inscenare quella farsa la diceva lunga su quanto si fossero deteriorati i loro rapporti.

Jason sapeva che sarebbe accaduto prima o poi. La cosa non lo stupiva, presto o tardi Miller si sarebbe accorto che non gli era fedele, non personalmente almeno.

Il comandante degli operativi non era mai stato fedele alle persone, ma all’istituzione del Concilio. Un giorno la cosa sarebbe risultata evidente. Il problema è che sembrava che quel giorno fosse già arrivato, e passato, e lui non se ne era accorto.

E non si poteva negare che emeriti idioti avevano ricoperto posizioni di potere lì dentro, più pericolosi per il Concilio di mille vampiri. Tradirli non gli avrebbe fatto perdere un minuto di sonno.

Il che lo rendeva pericoloso.

Ed in qualche modo Miller doveva essere arrivato a questa conclusione, anche se Jason non lo riteneva esattamente il più brillante dei Primi Osservatori mai esistiti. Non sapeva come ci fosse arrivato, e per il quando poteva solo fare un educato pensiero sulla giornata di ieri.

Eppure ieri non aveva fatto nulla di particolare…

“Non importa neanche come sia arrivato ad una conclusione simile. Il problema è che l’ha fatto…”

Ragionò, preoccupato ed irritato, Jason, concludendo quella linea di pensiero che non lo stava portando da nessuna parte.

La sua linea etica non era esattamente la più comune, e la cosa lo metteva in svantaggio. Il comandante degli operativi era convinto che il Concilio fosse necessario al bilancio di forze su scala mondiale. Ed anche se non era giusto, se usava mezzi discutibili, Jason non si era mai fatto illusioni sul contrario, oppure non era guidato da persone degne, rimaneva un’istituzione necessaria.

Ma non lo credeva divino ed imperituro.

In conclusione, Primo Osservatore non era felice con lui.

“Constatazione del secolo…Fosse almeno l’unico…”

Inutile credere che Travers si sarebbe mai schierato dalla sua parte durante una guerra civile.

Il dirigente non era nemmeno presente e quindi il solo considerarlo era un semplice esercizio mentale. Ma Quentin doveva vedere la collaborazione tra Miller e Jason come un tradimento nei suoi confronti e non era il tipo di uomo da perdonare per una cosa simile. Avrebbe dato poca importanza al fatto che in assenza del capo delle operazioni speciali, il suo diretto superiore diventava il Primo Osservatore.

Del resto la loro collaborazione era antecedente alla scomparsa di Travers.

Se lo avesse scoperto ci sarebbe stato ben poco da contestare a riguardo di buona fede o meno.

Marlin poi… sembrava che oramai nessuno dei dirigenti fosse dalla sua parte.

Che Jason fosse una creatura di Miller o di Travers a lei non faceva differenza. Erano entrambi suoi nemici, quindi per estensione lo era lui. Il fatto poi che avesse perso la sua migliore pedina nella catena di comando degli operativi non la doveva rendere felice.

“Che schifo di posizione, nemico di tutti ed amico di nessuno.”

Continuò a sfregarsi il sopracciglio.

Rimase così per qualche minuto prima di allungare la mano a prendere uno dei rapporti arrivati il giorno precedente dallo schedario.

Una piccola etichetta recitava la parola “Ashken”, il nome di una località piuttosto sperduta vicino ai confini dell’Assam, nella parte settentrionale dell’India.

Sfogliò il rapporto.

Sembrava che un gruppo di demoni Escelo avesse fatto il nido nei dintorni. L’osservatore che aveva compilato il rapporto non era astato nella zona in prima persona. Tutto quello che aveva riportato erano le voci che giravano tra gli abitanti della zona e che avevano raggiunto il suo orecchio.

Sembrava proprio che quella comunità di demoni fosse abbastanza grande.

La stima dell’osservatore valutava  tale popolazione tra i tre e i quindici individui.

Considerando che gli Escelo si riproducevano rapidamente e crescevano altrettanto velocemente una popolazione base di quindici demoni poteva diventare in meno di due anni una imponente forza di circa un centinaio di individui.

Certamente gli Escelo non erano i demoni più pericolosi in circolazione, ma in numero consistente potevano creare non pochi danni.

“Forse è il caso di organizzare un’operazione per eliminare il problema ora, invece che dopo. Certo che considerando le informazioni frammentarie probabilmente ci vorranno molti giorni, forse settimane per perlustrare la zona ed essere sicuri di aver soppresso l’intera comunità.”

Allungò una mano verso il telefono.

-Si comandante?

Rispose la voce di Vivien.

-Organizza un viaggio per Ashken, si tratta di un covo di Escelo. Ti invio le informazioni complete con il fax. Tre squadre: Charlotte, Carlos e la tua. Partenza questa sera stessa alle ore ventuno massimo. Chiaro?

Vivien replicò immediatamente, abituata alla mancanza di preavviso nell’organizzare missioni. Già stava facendo una lista mentale delle cose da fare. Prima chiamata a Charlotte, che avrebbe dovuto organizzare la distribuzione delle armi, la seconda a Carlos con il compito di radunare tutti gli uomini e controllare l’equipaggiamento base, poi si sarebbe occupata personalmente dei trasporti necessari per raggiungere il posto. La parte tattica sarebbe stata decisa in volo, o sul posto.

-Si signore. Provvedo subito. Ventuno al più tardi.

 

 

 

Alle venti l’elicottero si staccò da terra.

Le squadre erano già all’aeroporto privato in attesa dei loro comandanti. Con loro si trovava Carlos intento a sovrintendere al carico dell’equipaggiamento e delle armi sul C-130 pronto a partire sulla pista.

Vivien allungò un palmare verso Jason. Il comandante degli operativi accettò l’apparecchio con un cenno del capo, esaminando velocemente le liste di carico della missione e l’elenco del personale assegnato alla missione.

-E con un’ora di anticipo. Buon lavoro.

Vivien si limitò ad annuire, apprezzando il raro complimento da parte di Jason. Era stata dura, ma era riuscita ad organizzare tutto con un ottimo anticipo. Fortunatamente nessuna delle squadre richieste era stata in libera uscita.

Il capo degli operativi restituì il palmare a Vivien e si rivolse a Charlotte.

-Problemi ad ottenere sufficienti coltelli di rame?

Uno dei punti deboli degli Escelo era proprio l’intolleranza a quel metallo.

-No signore. L’armeria ne aveva giusto a sufficienza.

Jason annuì e si chiuse nel suo solito silenzio. Le due donne cominciarono a parlare a bassa voce, mettendo a punto gli ultimi particolari, attente a non disturbarlo.

Il capo degli operativi guardò il cielo oltre il finestrino.

Una volta raggiunta Ashken avrebbe fatto in modo da essere irraggiungibile. Lui e la sua squadra sarebbero entrati in silenzio radio per tutta la durata della missione. Pensava di rimanere lì almeno per qualche settimana.

Organizzare questa spedizione, tutto sommato inutile, certamente esagerata da un punto di vista di forze impiegate, era il modo migliore per proteggere gli operativi a lui fedeli dal caos che stava per scoppiare nel Concilio. Era suo dovere farlo.

Ed ovviamente la cosa avrebbe protetto anche lui.

Inutile essere ipocriti. La sua vita veniva prima di tutto ed organizzare missioni inutili non sfiorava nemmeno il limite che aveva raggiunto per farlo.

Ne sapeva qualcosa Christian Cookson. In realtà l’analista non c’entrava nulla con quanto accaduto a Dellah. I soldi sul conto corrente dell’uomo, sebbene ricavati in modo illegale, non erano il pagamento per il tradimento costato la vita all’operativo. Erano soldi ricavati dal contrabbando di hardware appartenente al Concilio. Toglierlo di mezzo aveva eliminato una fastidiosa pulce, ma non era mai stato più una  innocua seccatura, diventando un comodo capro espiatorio al momento opportuno. La vera talpa, quella che aveva permesso ad un vampiro di entrare nella sede centrale, era ancora irrintracciabile.

E la sua esperienza gli diceva che lo sarebbe rimasta.

Ora, il viaggio ad Ashken era la soluzione perfetta agli ultimi sviluppi.

In effetti era il fatto che Faith fosse morta, che fosse stata uccisa, ad essere stato decisivo per la scelta della sua prossima mossa. Scomparsa lei, non esisteva nessuno abbastanza qualificato per prendere il suo posto. La migliore rimasta, Vivien, era con lui. Devon per quanto bravo e sostenuto dal Primo Osservatore era semplicemente troppo giovane per aspirare alla carica di comandante degli operativi. Le sue spalle erano coperte.

Quando sarebbe tornato il suo posto sarebbe stato ancora lì.

Jason si permise di sorridere soddisfatto.

 

 

 

 

Inghilterra, Bristol. Martedì 25. Notte.

 

 

 

 

Marlin si trovava nello stesso deposito container in cui aveva incontrato il Messaggero soltanto domenica scorsa. Era strano. Il fatto che si dovesse trovare a Bristol questa sera, per essere più precisi la sua decisione di recarsi in città alcune ore prima dell’appuntamento per fare un precauzionale sopraluogo del posto, probabilmente le aveva salvato la vita.

Mentre guidava per raggiungere Bristol infatti il vice capo delle comunicazioni del Concilio l’aveva chiamata sul cellulare. Stranamente per quell’uomo calmo e meticoloso, quasi eccessivamente timido ed arrendevole, le sue parole erano state agitate e le frasi completamente spezzate, come se non avesse saputo cosa dirle o come farlo. Le ci erano voluti quasi tre minuti per calmarlo abbastanza da capire cosa fosse successo.

La risposta l’aveva spaventata.

Miller aveva ucciso un dirigente.

Ovviamente quella non era la versione ufficiale.

Quella spiegava come un dirigente del Concilio degli osservatori, in data odierna, era rimasto vittima di fuoco amico per un tragico errore.

“Non abbastanza veloce a schivare, eh Dougan? Ragazzo, ragazzo…dopo la presa di posizione di giovedì cos’altro ti aspettavi? Un peccato, davvero un peccato…”

Pensò sarcastica ma senza alcun divertimento.

Fuoco amico all’interno del Concilio stesso. C’erano testimoni a proposito. Una dozzina di osservatori ed alcuni osservatori anziani oltre agli operativi. “Affollato quel corridoio”. Sembrava che chiunque avesse ucciso Dellah, fosse tornato ed avesse minacciato Dougan, le squadre di sicurezza erano intervenute ma era nato un conflitto a fuoco e il dirigente era morto a causa di un colpo diretto all’intruso. Proiettile partito dalla pistola del primo osservatore. Nel caos che era seguito lo sconosciuto era scomparso. Volatilizzato.

“Miller ha freddato un dirigente.”

Ecco quello che era successo.

Ridefiniva nuovamente i parametri di ingaggio per questa battaglia, come avrebbe detto Kroskj dall’alto della sua educazione all’accademia navale russa. Marlin invece si chiese cosa avesse spinto Miller ad un gesto del genere. Non era solo avventato, era praticamente un suicidio. Le regole al Concilio si potevano piegare, ignorare a volte, ma non sbriciolare.

Quello mai.

“Eppure lo ha fatto… e non è uno stupido…”

Per un momento si chiese anche se il primo osservatore fosse caduto in un tale stato di panico da reagire in maniera inconsulta. Oppure c’era qualcos’altro dietro il suo comportamento apparentemente inspiegabile, qualcosa che non riusciva a capire.

“A cosa miri veramente Miller?”

Comunque Magdalene era felice di non essere in Cornovaglia in quel momento. Estremamente felice.

Appena chiuso il telefono con il suo informatore, aveva chiamato Kroskj per dirgli di andarsene dal Concilio il più in fretta possibile e di trovarsi un posto sicuro in cui trascorrere qualche giorno. Trovandosi pienamente d’accordo con la donna, il russo aveva sgomberato velocemente la sua scrivania, afferrando solo i file più importanti, e, togliendo la sicura alla propria pistola ,era uscito in fretta dal Concilio.

Marlin era estremamente felice anche di non essersi trovata in prima persona nel primo pomeriggio al Concilio, avendo scelto di partire per Bristol appena finito di pranzare. Non poteva sapere se il primo osservatore aveva sempre mirato ad assassinare Dougan o lui era solo un bersaglio casuale od anche uno di ripiego.

Quando era arrivata a Bristol aveva deciso di evitare completamente l’albergo in cui aveva prenotato una stanza, anche se aveva preso precauzioni nel farlo. Per evitare di attrarre attenzione era andata direttamente al deposito con più di sei ore di anticipo rispetto all’orario datole. Lì aveva ispezionato il posto palmo a palmo e poi si era messa in modo tale da poter sorvegliare le vie d’accesso dell’intera zona. Non aveva senso correre dei rischi. Non ora che ignorava se Miller volesse morta anche lei assieme a Dougan.

Il sole era tramontato lentamente con lo scorrere del tempo. Era stato un crepuscolo del tutto ordinario, lontano dall’essere romantico, la luce era gradualmente scomparsa senza spettacoli di colori né estrema bellezza nella cosa. A mano a mano che si faceva tardi gli operai staccavano dal lavoro e lasciavano il deposito per tornarsene a casa, senza prestare particolare attenzione all’auto dai vetri oscurati parcheggiata lì vicino. Con il buio la zona era deserta.

Qualche ora dopo Marlin scese dall’auto per andare ad incontrare il Messaggero. Si inoltrò tra i muri di container guardinga. L’idea di un Miller alla caccia della sua testa, non la rendeva particolarmente pronta ad abbassare la guardia ed in un posto simile c’erano fin troppe possibilità di tendere un agguato. Mentre camminava aveva la pistola a portata di mano, il colpo già in canna e la sicura tolta (si, pericoloso, ma necessario) e una valigia metallica grigia con il saldo per il lavoro appena svolto.

Magdalene non dovette aspettare. Quando raggiunse il posto prefissato l’altra donna era già là.

La salutò con un cenno del capo. Questa volta non si persero in altri convenevoli.

Magdalene notò come gli occhi del Messaggero la seguivano attenti mentre lei si avvicinava, mentre il resto della sua figura rimaneva immobile vicino ad uno dei container, quasi nascosta. L’osservatrice non sapeva dire se era tesa, magari perché l’aveva venduta, oppure solo attenta, del resto vendere informazioni a varie famiglie mafiose, e probabilmente anche a qualche servizio segreto, non era esattamente un’attività da svolgere in maniera imprudente. Non se si voleva sopravvivere.

 La donna alzò una mano per bloccarla quando si trovarono a circa tre metri di distanza.

Marlin si fermò ed attese.

-Non è stato particolarmente difficile rintracciarlo. –Il Messaggero non lo disse con arroganza, ma come semplice constatazione di un fatto, quasi una spiegazione. –Si è mosso parecchio in certi circoli, e le sue attività sono state semplici da rintracciare.

-Attività?

Marlin non era affatto stupita del fatto che la donna avesse altre informazioni per lei oltre ad una semplice locazione. Niente di estremamente preciso, o fuori luogo, giusto un back-ground, che avrebbe potuto fornire spunti all’acquirente per la commissione di nuove indagini o soltanto per avere un’idea migliore del quadro generale.

Il Messaggero non era la migliore del suo campo per nulla.

-Arruola mercenari. Ne ha parecchi ai suoi ordini ora. Probabilmente qualche decina, di discreta qualità.

Marlin annuì.

La cosa non la stupiva eccessivamente. Se Travers aveva abbandonato il Concilio, per agire dall’esterno avrebbe dovuto necessariamente avere una base militare. E data la usa precedente posizione aveva la fedeltà di non pochi capi-squadra.

Il Messaggero proseguì con il resto delle informazioni.

-Sta operando a Londra. Ho avuto la conferma che Travers si troverà al ristorante “Remus” domani sera alle nove. Sa di quale locale sto parlando?

Magdalene annuì con la testa, non aveva voglia di fare conversazione. Inoltre sapeva esattamente di quale ristorante stesse parlando l’informatrice, eccome se lo sapeva. Poggiò la valigetta con il denaro a terra osservando come gli occhi del Messaggero seguivano i suoi movimenti, prestando particolare attenzione alle mani.

-Qui c’è il saldo.

Il Messaggero si limitò ad annuire ma non si mosse dalla sua posizione, né si lasciò distrarre dalla valigetta, continuando a controllare la posizione di entrambe le mani di Marlin e rimando accuratamente nelle vicinanze di una copertura, dovessero le cose precipitare.

“Avida, ma non stupida.”

Fu costretta a riconoscere Magdalene. A quanto pareva appena comunicate le informazioni le misure di sicurezza venivano aumentate. L’osservatrice aveva quasi creduto che durante il pagamento tutta l’attenzione del Messaggero sarebbe stata rivolta verso il denaro. “E quello sarebbe stato il momento perfetto per farla fuori.”

Ma il Messaggero non aveva dato alcuna finestra utile per colpirla in modo rapido e pulito, a partire dalla posizione scelta, arrivando all’estrema attenzione con sui la stava studiando, per evitare che il mercenario sopravvisse o soltanto reagisse.

E ci aveva pensato, Marlin, ad ucciderla.

Aveva pensato a molte cose durante quelle lunghe ore d’attesa.

Eliminare il Messaggero una volta avute le informazioni era stata una di queste.

E non lo avrebbe fatto per risparmiare denaro, non per quello, quanto per evitare una possibile fuga di notizie. In fondo la donna che le stava davanti avrebbe saputo dove trovarla domani sera. O perlomeno dove sarebbe stato probabile trovarla.

Alla fine aveva deciso di non agire.

Anche se la cosa non le piaceva particolarmente.

In fondo il Messaggero era sempre un rischio per la sua sicurezza personale e Marlin non prendeva alla leggera tali pericoli.

Aveva deciso che non lo avrebbe fatto, neanche se si fosse presentata una buona occasione, e stasera non era capitato. E non soltanto perché era altamente improbabile che Miller rintracciasse e riuscisse ad avere informazioni dal Messaggero. Ma anche perché molti personaggi non troppo raccomandabili, ma decisamente potenti, si sarebbero potuti risentire alla scomparsa di una delle loro fonti migliori.

E sarebbe bastato solo il sospetto che Marlin c’entrasse qualcosa con la morte del Messaggero perché la cosa le procurasse una condanna a morte. Senza appello.

Non erano persone che andavano per il sottile.

E Magdalene aveva deciso di avere abbastanza sul proprio piatto al momento, senza andarsi a cacciare in altri guai gratuiti.

-Se mi deve contattare ancora, sul Times, ogni mercoledì, ci sarà la pubblicità di una compagnia di intermediari finanziari, chiamata “Ermes”. Chiami il numero e lasci il proprio nome ed il modo per rintracciarla.

Disse il mercenario dopo lunghi secondi di silenzioso studio dell’osservatrice.

Sembrava che negli istanti in cui Marlin aveva riesaminato la propria decisione, l’altra donna ne avesse raggiunta una.

“A quanto sembra mi sono appena guadagnata la carta di credito d’oro, se non platino.”

La cosa fece un enorme piacere a Marlin. I servizi resi dal mercenario si sarebbero potuti rivelare indispensabili anche un altro giorno.

“No, non è per niente stupida “Messaggero”, sa giudicare le persone bene ed in fretta.”

Con un altro cenno della testa  Marlin salutò il Messaggero e si allontanò verso la propria auto.

 

 

 

 

 

Inghilterra, Manchester. Mercoledì 26.

 

 

 

Eric entrò in casa, chiedendo educatamente il permesso di farlo alla signora grassottella, sulla quarantina, che aveva aperto la porta. Lei gli fece segno di entrare nell’ingresso, rivolgendogli la parole mentre chiudeva la porta.

-Immagino che tu sia qui per vedere Amethist, vero caro?

Appena a disagio, Eric si tolse gli occhiali da sole limitandosi ad annuire.

-La trovo nella sua camera signora Reger?

-Si, sali pure caro.

La donna gli fece gesto di andare con la mano, sorridendo dolcemente.

Il ragazzo salì il piano di scale lentamente, mentre con una mano si grattava distrattamente la testa sotto i capelli corti. La porta della cameretta della sua fidanzata era aperta. Erano quasi sei mesi che stavano insieme e ancora non credeva alla sua fortuna.

Lei, bellissima, era sul letto, con i capelli neri che le coprivano il volto, nascondendo gli occhi marroni. Erano stati quegli occhi marroni a fargliela notare dal primo giorno in cui si erano conosciuti.

-Amethist?

Lei alzò lo sguardo e poi corse ad abbracciarlo, baciandolo entusiasticamente. Rimasero così per qualche minuto.

-Cosa facevi? Ti ho disturbata?

-Lo sai che non mi disturbi mai, vero?

Lui si limitò ad annuire. Con il suo metro e ottanta la superava di tutta la testa. Dolcemente la accompagnò verso il letto sempre tenendola abbracciata. Eric gettò uno sguardo sulle coperte e vide un album di foto. Sulla pagina aperta al momento, vide l’immagine quella di una donna giovane, molto somigliante ad Amethist, con in braccio una bambina piccola, vestita tutta di rosa.

Prima di portarlo a cenare a casa per la prima volta, la ragazza gli aveva raccontato che lei viveva con gli zii da quando era rimasta orfana. Lo zio era il fratello della madre, morta quando lei era piccola in uno spaventoso, quanto inatteso, incidente d’auto avvenuto in America. Sopravvissuta  ma rimasta essenzialmente senza i genitori, il padre aveva rinunciato alla paternità alla nascita, era stata affidata agli zii materni.

-Tua madre?

-Si è lei. Bellissima vero?

Eric guardò la foto con più attenzione.

-Ha i tuoi stessi capelli. –Folti, lunghi capelli nero corvino. –E tu sei la bambina che tiene in braccio?

La piccola aveva i capelli castani, quasi biondi. Ma Eric sapeva che a volte i capelli dei bambini cambiano. Lui stesso era stato biondo da piccolo invece del cenere sporco che era ora. Si rese conto di aver detto qualcosa di sbagliato, anche se non sapeva cosa, quando alle sue parole Amethist sprofondò ancora di più nell’abbraccio.

-No. Lei è mia sorella. –Il ragazzo sollevò il sopracciglio perplesso. Non aveva mai saputo che Amethist avesse una sorella, di certo non la aveva mai incontrata. –O meglio, era mia sorella. E’ morta anche lei nell’incidente con la mamma. Si chiamava Anne. Praticamente era la copia del padre. Stessi capelli, stessi occhi, stesso naso, anche la forma del viso. Ho visto le foto di entrambi alla stessa età. Sembravano gemelli. –La ragazza sorrise al ricordo. –E’ morto qualche mese dopo la sua nascita, infarto, anche se era giovane. –Il sorriso scomparve per un istante, per tornare subito dopo. –Comunque, la famiglia di suo padre… non avevamo lo stesso padre, sai? …Mi fa ancora dei regali. Insistono che li consideri miei parenti, e si sono sempre comportati come fossero i miei nonni paterni. Zia mi ha raccontato che quando mio padre rinunciò alla paternità, si assunsero il compito, anche se la loro vera nipote era morta.

-Mi dispiace amore.

Disse lui, consolandola come poteva.

-Non fa niente, è passato tanto tempo.

Ma la voce di Amethist era triste.

 

 

 

 

Sunnydale. Appartamento di Giles. Mercoledì 26.

 

 

 

-Ci sono novità, signor Giles?

Chiese ansiosa Willow, appena accomodatasi sul divano dell’osservatore.

-No, non ancora.

L’uomo scosse la testa sconsolato. Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse Buffy. Miss Marlin non si era fatta sentire da lunedì, quando aveva chiamato per chiederle aiuto. Sinceramente Rupert non sapeva cosa fare. Aveva chiesto aiuto a chiunque conoscesse, anche a persone di cui non si fidava, pur di rintracciare la cacciatrice. “Maledizione, questo sembra il ripetersi di quella dannata estate dopo Angelus. Il mio peggior incubo tornato realtà.” Era anche peggio a dire il vero. Incredibilmente non esistevano avvistamenti di nessun essere dai poteri apparentemente soprannaturali in Inghilterra o America. “Che sia morta?” non lo voleva neanche pensare, ma per un attimo si concesse di accettare che sarebbe stata la soluzione migliore. “No, no, è viva.”

Giles si riscosse un po’ decidendo di abbandonare quei morbosi pensieri. “Devo aver fiducia in Marlin”. Cercò di sorridere alle due ragazze sedute sul divano, e le sue labbra si stirarono abbastanza da abbozzare quello che poteva essere definito un sorriso.

-Volete qualcosa da bere? Un tè? Bibite?

Willow annuì, chiedendo per sé una soda, mentre Tara scosse semplicemente la testa intenta ad osservare l’uomo di fronte a sé. Era nervoso, spaventato e qualcos’altro che l’empate non riusciva a distinguere.

Solo sedere nella stessa stanza in cui si trovava lui le faceva venire la pelle d’oca. Le emozioni che provava dovevano essere fortissime. Deglutì e cercò la mano di Willow per trovare un po’ di conforto, sospirando sollevata quando Giles si ritirò in cucina per preparare i drink necessari. Essere un’empate aveva degli inevitabili effetti collaterali per nulla piacevoli.

-Sono preoccupata Tara. Pensi che le sia successo qualcosa?

Chiese la rossa stringendo quasi spasmodicamente la mano della fidanzata.

-No, non è successo niente a Buffy. Probabilmente avrà solo fatto tardi facendo shopping al duty-free ed ha perso il volo.

Rispose la bionda con un mezzo sorriso finto quanto quello di Giles, stringendo un po’ di più la mano che teneva fra le sue. Giustificazione stupida? Certo, ma al momento metterla sullo scherzo era l’unica cosa che Tara poteva fare per cercare di sdrammatizzare la situazione. “Considerando quanto sta accadendo al momento nel Concilio, ci sono veramente poche probabilità che la quasi contemporanea ‘morte’ di Faith e scomparsa di Buffy siano solo coincidenze.”

Aspettarono in silenzio il ritorno dell’osservatore.

Con una certa pratica Giles passò una lattina di soda a Willow ed una tazza di tè, non richiesto, a Tara, tenendo per sé l’ultima ed accomodandosi sulla poltrona di fronte al divano. Sorseggiarono le rispettive bibite per qualche minuto prima che Rupert si schiarisse la gola, attirando la loro attenzione.

-Dovremmo discutere di come dividere la ronda.

Willow annuì pensierosa. Negli ultimi giorni le cose erano state lasciate al caso, ma considerando la prolungata assenza di Buffy, era necessario fare qualche piano, prima che la comunità demoniaca si accorgesse dell’assenza della cacciatrice.

 -Potremmo chiamare Faith.

Propose la rossa. L’idea la ripugnava, ma era meglio di niente. Si trattava pur sempre di una cacciatrice e loro sarebbero stati lì con lei a sorvegliarla, per accertarsi che non fosse ancora dalla parte del Male, ragionò la ragazza.

Alla proposta Tara alzò un sopracciglio, sorpresa da Willow ed incuriosita a come avrebbe risposto Giles al suggerimento.

-Inutile, tanto non verrebbe.

L’osservatore liquidò velocemente ed indiscutibilmente la cosa. La bionda si trattenne a stento dal ridere alle sue parole.

“Considerando che è ufficialmente morta da domenica, è un po’ difficile contare sulla sua presenza. E sinceramente non credo che qualcuno dei suoi “amici” non glielo abbia comunicato…sta mentendo. Non so neanche perchè lo stia facendo, ma non mi piacciono le persone che mentono. Soprattutto quelle che lo sanno fare con la nonchalance che ha Giles…”

-L’avrei dovuto immaginare. –Replicò sarcastica Willow. –Non che ci si potesse aspettare qualcosa di diverso da quella scansafatiche.

La rossa si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli più che sistemandoli.

-Dovremo divederci le ronde tra di noi allora.

Giles annuì.

Sperava che Willow si offrisse.

Era molto meglio accettare una proposta fatta di loro spontanea volontà che chiedere di fare qualcosa. Lo faceva apparire in una luce migliore. Per questo non aveva comunicato loro che Faith era morta, lo sdegno ed in una certa misura la rabbia nei confronti dell’altra cacciatrice li avrebbe fatti occupare anima e corpo alla cosa. Li avrebbe fatti sentire migliori.

-Allora faremo cos…

Cominciò a dire Giles mentre si alzava. L’improvviso rumore di una finestra rotta lo interruppe. Ci fu un quasi contemporaneo impatto, come un ciottolo lanciato contro un cuscino, contro l’imbottitura della poltrona dove era seduto Rupert.

Di riflesso, non appena sentito il rumore di vetri infranti, Tara aveva spinto Willow a terra coprendola con il proprio corpo. La bionda girò la testa, l’adrenalina a mille, notando la finestra rotta e poi i piedi di Giles, che spuntavano da dietro il tavolo. “Deve tenersi in forma…” fu un indolente pensiero di Tara.

-Che sta succedendo?

Chiese spaventata Willow tentando di muoversi ma non riuscendoci a causa del peso che la teneva schiacciata a terra. Prima che la bionda potesse rispondere ci fu un altro impatto, questa volta spostato un po’ più a destra e decisamente più distinto. “Che stiano sparando contro il tavolo?”. Il rumore era diverso da prima. Senza perdere altro tempo a riflettere Tara chiuse le tende delle finestre con un gesto della mano, effettivamente impedendo a chiunque fosse là fuori di prendere di nuovo la mira.

Passò qualche attimo in completo silenzio.

-Stai bene?

Chiese a Willow, ancora immobilizzata sotto di sé.

-Si, sto bene… almeno credo. –Ci fu un attimo di pausa come se la rossa stesse facendo l’inventario del proprio corpo per vedere se quello che aveva detto fosse vero. Poi repentinamente girò la testa per quanto possibile cercando di guardare in faccia Tara chiedendo ansiosa. –Tu come stai?

-Tutto bene. –Willow annuì alla risposta, rilassandosi un po’. –Tra poco mi alzo, d’accordo? –Altro cenno di assenso. –Non fare movimenti bruschi e tieniti il più bassa possibile, ok?

Tara si alzò leggermente sulle braccia, togliendo un po’ del suo peso da Willow e notando con la coda dell’occhio le scarpe dell’osservatore, ricordandosi improvvisamente che non erano sole nella stanza.

-Signor Giles tutto bene?

-Si, tutto bene.

Rispose l’osservatore senza il minimo accenno a muoversi.

-Signor Giles ho chiuso le tende, può alzarsi.

Silenzio.

-Signor Giles?

Chiese ancora Tara.

-Potrebbero usare i rivelatori di calore.

Replicò l’osservatore con tono di certezza misto a paura, implicando che conosceva i metodi di chi avevano di fronte. “Devo essere stato dichiarato decaduto. La scomparsa di Buffy deve essere stata dichiarata come fuga… eppure Marlin, almeno lei, mi avrebbe dovuto avvertire…”

-Chi sono signor Giles?

Chiese Willow, dopo essersi accucciata vicino a Tara, cercando di rimanere il più possibile al riparo del divano.

L’osservatore non rispose. “Mi hanno condannato a morte senza neanche permettermi di presentarmi alla commissione… sono stato dichiarato incapace e decaduto…”

-Signor Giles?

Chiese ancora la rossa.

-Non lo so.

Rispose l’uomo, ancora steso dietro il tavolo, immobile.

-Dobbiamo chiamare la polizia.

Decise Willow, guardando Tara, che semplicemente annuì alla proposta.

-Avranno tagliato le linee telefoniche.

Sussurrò abbattuto Giles. “Sono un uomo morto… è finita…”. Le due ragazze riuscirono a sentirlo ugualmente nel completo silenzio in cui era avvolta la stanza.

-Inutile rischiare. –disse Willow dopo qualche secondo. –Il telefono è completamente allo scoperto. –Indicò l’apparecchio, posto in bella vista su un tavolinetto. –Se hanno veramente i rivelatori di calore od hanno tagliato la linea…

Tara annuì e senza aspettare altro tirò fuori dalla tasca della sua giacca un cellulare.

-Usa questo.

Willow la guardò sorpresa. Era la prima volta che vedeva quel telefono e la cosa la stupiva non poco. Generalmente la bionda si rivolgeva a lei per avere consigli su tutto ciò che era tecnologico ma questa volta non le aveva neanche detto che si sarebbe comprata il cellulare.

-Tara! Ma tu non puoi permetterti…

La bionda scosse la testa, con un mezzo sorriso.

-Non l’ho comprato. E’ un regalo. –Gli occhi della rossa si spalancarono ancora di più, ed un po’ di insicurezza e dubbio si fece strada in loro. L’altra ragazza se ne accorse e proseguì rassicurante. –Da parte di mia cugina.

-Tua cugina? Ma tu non parli con la tua famiglia da anni…

Il sorriso di Tara si allargò un po’. Il regalo glielo aveva fatto Faith. Era arrivato con una consegna della Fed. Express domenica mattina, già acceso. Pochi minuti dopo aveva squillato. Faith le aveva spiegato di essere “morta” il giorno prima e d’ora in poi di usare solo quel cellulare per chiamarla e di portarlo sempre con sé. “Chissà quando potrebbe servirti.” Aveva detto.

-E’ dalla parte di famiglia di mia madre. –Spiegò. –Ci siamo incrociate praticamente per sbaglio. Erano anni che avevamo perso i contatti.

Willow annuì, rassicurata dalla risposta e dal sorriso di Tara. Era felice che la ragazza avesse instaurato nuovamente un minimo di contatto con la sua famiglia. “Con la parte della sua famiglia che non le ha fatto male,” si corresse mentalmente.

-Come mai non la conosco?

Chiese semplicemente incuriosita, da come ne parlava Tara, la parte materna della sua famiglia era composta da persone abbastanza speciali da volerle conoscere.

-Fa un lavoro piuttosto riservato… -Al sopracciglio alzato di Willow proseguì. –…è un poliziotto sotto copertura… e lei stessa è una persona privata.

-Me la dovrai presentare prima o poi.

Disse sorridendo Willow mentre già faceva scattare lo sportellino del cellulare e componeva il numero della polizia. “Incrociamo le dita che la polizia di Sunnydale sia abbastanza in gamba da risolvere almeno questo di problema”.

 

 

 

Erano alla centrale di polizia da più di tre ore.

In effetti Tara era rimasta stupita a quanto velocemente ed a quanto professionalmente il dipartimento di Sunnydale avesse risposto alla loro chiamata. Probabilmente la denuncia che in un tranquillo quartiere residenziale un cecchino aveva cominciato a sparare senza motivo contro l’appartamento di un ex-bibliotecario doveva essere suonato normale e rassicurante per loro. Non si sarebbe stupita di scoprire che gli agenti che avevano risposto alla chiamata avevano tirato un sospiro di sollievo scoprendo che pallottole e luce del giorno erano coinvolte nel caso.

Qualche minuto dopo la telefonata le autopattuglie erano già arrivate nel cortile. In fretta si erano posizionati attorno alla casa assicurandosi che tutto fosse sotto controllo prima di far uscire loro tre dai ripari. Un paio di detective erano entrati ed avevano velocemente notato le finestre rotte e le pallottole piantate nel mobilio.

Era stata una prova sufficiente della veridicità della chiamata.

Così avevano deciso di aprire un’indagine ed avevano portato tutti e tre in centrale, per chiedere cosa fosse esattamente successo oltre che per proteggerli. Sinceramente Tara non ricordava quante volte avesse dovuto raccontare nei minimi particolari quanto fosse accaduto nell’appartamento di Giles né quante tazze di tè avesse sorseggiato nel frattempo.

Ecco, il tè era una sorpresa, era decisamente migliore di quello preparato dall’osservatore qualche ora prima. Era alla sua quarta tazza quando Tara si decise a domandare come questo potesse essere al detective con cui stava parlando.

-Jim? –Chiese durante una pausa della conversazione. Il poliziotto, un gentile signore sulla cinquantina che l’aveva subito messa a proprio agio, anche chiedendole di chiamarlo per nome “per evitare di farmi sentire troppo anziano, ok?” –Ma come mai avete del tè così buono? Insomma, le stazioni di polizia non sono esattamente conosciute per questo…

Il detective rise alla domanda, a quanto pareva per nulla seccato dalla curiosità della bionda. Tara rispose sorridendo appena.

-Il nostro tenente… beh, lui è un patito del tè. –L’uomo scrollò le spalle, con un’espressione perplessa. –Non chiedermi come mai… così abbiamo sempre una delle migliori qualità disponibile. –Chiuse il taccuino su cui aveva preso appunti durante la loro conversazione. –Bene, penso possa bastare per il momento Tara. Ed ora se non ti dispiace…

Scusandosi l’uomo si alzò dalla sedia lasciandola sola. Tara tirò un mezzo sospiro di sollievo e sorseggiò ancora un po’ del suo tè. La gola le faceva male per quanto a lungo aveva parlato. “Non ci sono abituata…” . Per fortuna sembrava che il detective avesse deciso che ne sapeva abbastanza. Probabilmente ormai lui stesso sapeva recitare a memoria le sue risposte.

Tara tirò un sospiro di sollievo. L’unico punto difficile da spiegare era stato come mai un cecchino avesse sparato attraverso le tende chiuse. Di certo non poteva dire di averle chiuse grazie a delle capacità in qualcosa che non sarebbe neppure dovuto esistere per la scienza, né di essersi alzata per farlo a mano.

Si era attenuta ad un rigoroso “non saprei…”, declinato in ogni possibile modo.

Jim l’aveva lasciata nella scomoda sedia di legno che le aveva procurato appena entrata all’interno della centrale ed era andato ad unirsi ai suoi colleghi, ancora intenti a parlare con Giles. La bionda colse l’occasione per guardarsi intorno.

Incrociò lo sguardo dell’osservatore. Un errore.

L’uomo colse l’occasione per lanciarle un’occhiata carica di risentimento per averlo messo in quella posizione. Non era stato particolarmente felice di vedere la polizia sulla soglia di casa sua.

“Problemi suoi, se voleva farsi ammazzare avrebbe dovuto farlo lontano da Will e da me…”

Anche la direzione che avevano preso le domande stava contribuendo a renderlo seccato dell’intervento della polizia.

“Nonostante ci abbiano possibilmente salvato al vita…”

Sembrava che le indagini si stessero concentrando sul passato di Rupert, un qualcosa che lui voleva e doveva tenere disperatamente segreto. Lo stress di rispondere alle domande per ore lo aveva reso nervoso e scattante. Il fatto che l’osservatore stesse bevendo solo caffé, non fidandosi della qualità del tè della stazione, lo rendeva ancora più agitato ed irritabile.

Sicuramente le insistenti domande che gli stavano rivolgendo gli investigatori non gli dovevano fare piacere.

“Tanto peggio per lui.”

Al momento la bionda non aveva voglia di preoccuparsi di lui, nonostante il suo comportamento non le andasse particolarmente a genio. Anche le sue reazioni all’intera esperienza erano state strane e le stesse emozioni che aveva provato durante la faccenda erano confusionarie e spesso inspiegabili.

Sinceramente non le piaceva. Non che avesse mai adorato particolarmente Giles, ma da qualche mese a questa parte le cose stavano cambiando. Con lui, con Buffy, anche con Xander.

I problemi erano cominciati da più tempo, ma alla fine stavano facendo vedere i propri effetti.

Sinceramente Tara dubitava che il loro gruppo potesse durare per sempre malgrado tutti all’interno di esso credesse il contrario, o volessero disperatamente credere il contrario. Non dava più di qualche anno al loro gruppo, qualche mese se ci fosse stato un qualche importante variazione.

Nonostante i quattro fossero legati da qualcosa di più profondo di un’amicizia al massimo erano una famiglia disfunzionale.

Erano state situazioni di abbandono ed abuso, più o meno importanti, più o meno fisici, a portarli assieme.

Ma a quanto aveva osservato Tara le relazioni tra di loro, possibilmente, anzi probabilmente, nate per supportarsi a vicenda e mutuamente beneficiarie erano degenerate in qualcosa di non totalmente sano.

“Non sarà mai troppo presto quando Willow si libererà di loro. A prescindere dal fatto che li considera la propria famiglia, più di quanto non consideri tale la sua vera famiglia, dubito che la loro influenza le possa fare ancora del bene.”

Cinico come ragionamento? Si, probabilmente si. Ma Tara sapeva per esperienza personale che a volte la famiglia danneggia gli individui più che aiutarli e proteggerli.

La bionda fissò lo sguardo su Willow.

Sembrava che anche il colloquio della rossa stesse continuando, con qualche breve interruzione da una parte o dall’altra per sorseggiare un po’ di caffé, ma tutto sommato la ragazza sembrava stare bene. Stanca ed un po’ spaventata, ma teneva duro.

Jim tornò a sedersi.

-Allora Tara, abbiamo quasi finito.

La bionda annuì, sorridendo appena. Doveva ammettere che per quanto si sentisse al sicuro lì dentro dopo le tre ore che ci aveva passato ne aveva ufficialmente abbastanza.

-Ovviamente capisci che siete stati tremendamente fortunati, vero? –Il detective fece un attimo di pausa prima di continuare. –So che avete rinunciato alla protezione. –Altro cenno di assenso da parte di Tara. –Beh, per quello che mi riguarda è una colossale idiozia. –“Non solo per te…” pensò sarcastica la ragazza. Ma Giles e Willow avevano deciso che era meglio non immischiare troppo la polizia in affari “demoniaci”. “Si, demoni con un fucile di precisione quando ieri andavano in giro con artigli e clave…quando si parla di evoluzioni a salti…” –Voglio però la promessa che non andrete a casa vostra, ok? Prendete una stanza di un motel, oppure andate a dormire da conoscenti. Cercate di fare attenzione d’accordo?

Tara guardò negli occhi Jim. Era preoccupato sinceramente per loro. Probabilmente era solo un brav’uomo con un lavoro difficile.

-Hai la mia parola, Jim. Non torneremo nel dormitorio questa sera. Farò subito delle telefonate e mi metterò d’accordo per andare a passare la notte da qualche altra parte, va bene?

-Prima di lasciare la stazione, però. Voglio essere sicuro che tutto sia sistemato prima che usciate.

Mercanteggiò Jim.

Dei tre, Tara gli sembrava quella con un po’ più di senso pratico. Gli altri due erano eccessivamente privi di paura per quanto lo riguardava. “Saranno ancora in shock” decise. “Oppure sanno più di quello che dicono…”. Il detective sospettava la seconda. Non gli piaceva il bibliotecario, a prescindere dal fatto che gli inglesi non gli erano mai andati a genio per principio.

-Affare fatto. –Gli rispose Tara. –Dove posso avere un po’ di privacy?

Jim si alzò e la portò nella stanza dove si trovavano le macchinette del caffé e quella degli snack.

-Qui dovresti avere qualche minuto di pace.

Tara annuì aspettando che il detective uscisse per tirare fuori il proprio cellulare. Compose in fretta il numero di Faith. Aveva notato che il software del cellulare era stato modificato, sembrava che non ci fosse alcun registro per le chiamate in entrata od in uscita, qualcosa che credeva standard.

-Ciao Tara.

Quando la cacciatrice rispose, il primo squillo non era neanche finito. Sembrava allegra e rilassata. La bionda sperò che si trovasse abbastanza vicino da arrivare prima che succedesse qualcosa di irreparabile.

-Faith, ho un problema.

La serietà della voce della bionda sorprese la cacciatrice, che immediatamente tornò seria.

-Cosa posso fare?

Fu la replica immediata, data senza neanche pensare.

-Non lo so… proprio non lo so… –Improvvisamente Tara si rese conto di essere stanca. Molto stanca ed anche impaurita. Lì fuori c’era un cecchino che forse la voleva morta. Si passò la mano sulla fronte massaggiandosi le tempie.

Ci fu silenzio per un paio di secondi, poi Faith prese in mano la situazione.

-Ok, cominciamo dal principio, raccontami tutto quello che è successo.

Chiese con voce rassicurante. Tara ripeté la storia per l’ennesima volta, ma adesso lo fece senza tralasciare alcun particolare però. Le tende, le risposte di Giles. Disse tutto.

Il primo e unico pensiero di Faith fu “Operativi del Concilio”, ormai li conosceva troppo bene per non riconoscere i loro protocolli d’azione. Non perse tempo a chiedersi il perché stessero dando la caccia al gruppo di Sunnydale. Quello non era importante. Non ora.

-Tara?

Disse infine. La prima cosa da fare era mettere tutti al sicuro.

-Si?

-Probabilmente so di chi si tratta. –La cosa era stranamente confortante per Tara. Almeno qualcuno sapeva quello che stava succedendo. “…ed è disposto a dirmelo…” aggiunse sarcastica. –Domani sera al massimo sarò lì, d’accordo? E risolverò la faccenda, ok?

-Va bene.

“Quarata ore, dobbiamo sopravvivere solo quaranta ore”. Erano tante per Tara.

Faith temeva fossero troppe.

-Nel frattempo… dove si trova Buffy?

L’altra cacciatrice probabilmente era la loro migliore speranza per uscire vivi dall’esperienza. Oppure il loro più grande intralcio. “Se riesco a trovare un modo per farle capire quello che deve fare…”

-Non è qui. Buffy è scomparsa da giorni. Era in Inghilterra ed ora non sappiamo più dove si trova. E’ completamente irraggiungibile, come se fosse scomparsa dalla faccia della terra.

-Dannazione. –La novità colpì Faith. “Deve aver creato un casino al Concilio… più tardi chiamerò Liz… non importa ora…comunque mai che ci fosse quando ti serve.” –Parto immediatamente. Con un po’ di fortuna riesco a prendere il prossimo aereo per L.A. Se riesco a trovare le coincidenze necessarie, arriverò con qualche ora di anticipo. Magari domani in mattinata.

Tara sentì dei rumori in sottofondo, come se Faith si stesse vestendo in fretta e furia, raccogliendo quanto serviva mentre si muoveva. Di certo la cacciatrice non stava perdendo tempo.

-Avete un posto sicuro dove passare la notte?

Chiese Faith mentre si sistemava il colletto della giacca e controllava di avere chiavi e portafoglio. Si allungò per prendere la sacca nera da viaggio, sempre pronta. Certe abitudini erano dure a morire.

-No, pensavo di andare in un qualche motel. Xander ed Anya sono fuori città, andare dai genitori di Will sarebbe troppo pericoloso, se stanno cercando lei.

Rispose la strega.

-No, no, lascia perdere. Quelle sono trappole mortali. –Ci fu un attimo di pausa quando si sentì il rumore di una porta chiudersi e poi quello del traffico in strada. –Ti direi di andare a casa mia. L’allarme è a regola d’arte e non penserebbero mai di andarvi a cercare lì, ma la cosa sarebbe un po’ troppo difficile da spiegare…ok, facciamo così…vai a questo indirizzo... –Faith diede rapidamente un numero a Tara, mentre cominciava a correre per raggiungere la prima fermata utile della metro. Meglio uscire dal centro città prima di prendere un taxi. Non aveva tempo di aspettare i comodi del traffico convulso di N.Y. –Parla con Michael, è il barista. Digli che sei mia amica, che sei lì per estinguere il suo debito. Ti darà un indirizzo. E’ un casa sicura. Andate lì d’accordo? Ti chiamo appena atterro per sapere l’indirizzo. Fate attenzione che nessuno vi segua, ok? Entrate e rimanete lì chiaro?

Faith si fermò di fronte all’ingresso della stazione.

-D’accordo. Ci vediamo domani.

Si sentì il rumore del treno appena arrivato.

-A domani Tara.

La cacciatrice chiuse la comunicazione e corse per riuscire a salire sul convoglio appena arrivato. Si infilò mentre le porte si chiudevano.

Sperava di riuscire a fare in tempo.

 

 

L’Ultimo Giorno Parte VI

By Silea

 

 

Inghilterra, Londra. Ristorante Remus. Mercoledì 26.

 

 

 

L’atmosfera dell’esclusivo ristorante era particolarmente elegante anche se estremamente sobria. I toni di colore predominanti variavano sul tema del crema, dalla tinta più carica a quella più delicata. I clienti erano distinti, elegantemente vestiti e con modi perfetti di chi era cresciuto nella ricchezza od era venuto a trovarcisi da parecchio tempo. Le conversazioni erano portate avanti a voce bassa tanto da non dare fastidio seppure la sala era piena al massimo delle sue capacità.

Nella cerchia “bene” di Londra era un fatto risaputo che per ottenere un tavolo in quel ristorante si doveva prenotare minimo tre settimane prima od avere alternativamente ottime conoscenze ai piani alti della finanza o della politica. Anche per questo i prezzi non erano esattamente alla portata di tutti.

Magdalene sapeva però che Travers non doveva usare nessuno dei due metodi per ottenere una prenotazione.  Difatti aveva un tavolo perennemente riservato da circa quindici anni, in qualità di comproprietario del locale.

All’epoca si era detto che quella quota gli era costata parecchio, ma alla luce del volume d’affari che ristorante aveva, Marlin non dubitava che si fosse rivelato un investimento decisamente redditizio. Ma Magdalene sapeva anche che c’erano altri motivi oltre a quelli economici che lo avevano spinto all’acquisto. Non l’avrebbe stupita sapere che la maggioranza di essi era puramente personale.

“Anzi, sono praticamente certa che gli aspetti economici dell’accordo non lo abbiamo sfiorato se non per un attimo.”

Superò l’ingresso sfarzosamente arredato degnando il responsabile di sala solo di un cenno del capo. L’uomo fece per fermarla ma appena la riconobbe si immobilizzò, lasciandola passare e tornando come se niente fosse  al proprio lavoro. Se Magdalene Marlin superva la soglia del loro locale con quel passo che urlava determinazione, di certo lui non sarebbe stato la persona tanto stupida da cercare di fermarla.

Marlin attraversò l’intero salone dirigendosi senza esitare verso un tavolo appartato, spostato leggermente sulla destra, nascosto dalla vista di chi si trovava all’ingresso del ristorante e da quella della maggior parte degli avventori.

Mentre camminava controllò discretamente gli altri clienti, per vedere se e quanti gorilla si fosse portato Travers all’incontro, notando senza molta sorpresa come molte persone la riconoscessero, stupendosi della sua presenza nel ristorante.

Non vide alcuna guardia del corpo.

“Una cosa a mio favore.”

Il suo passaggio venne commentato da molti, a voce bassa, discreta.

Era un fatto noto nel piccolo circolo di quelli che contavano che Marlin non aveva mai messo piede prima di allora in quel ristorante e conoscendo questa sua avversità al posto nessuno si era mai arrischiato ad invitarla lì.

Il suo abito nero dal taglio rigoroso ma estremamente elegante era perfetto per l’ambiente. Dichiarava “cena di affari”, ed era per quello che si trovava qui.

Magdalene notò come alcuni clienti continuassero a seguire prudentemente i suoi movimenti, cercando di capire a quale tavolo stesse per unirsi, gli uni con curiosità, gli altri con avidità od invidia. Negli occhi di qualcuno c’era anche paura.

Sorrise a questi ultimi.

E non era un sorriso rassicurante.

Raggiunse il tavolo che le interessava senza esitare neanche una volta, riconoscendo dalla distanza l’uomo vestito di grigio. Anche lui stava osservando il suo ingresso.

Nel notare dove si era fermata buona parte della sala si scambiò sguardi sorpresi. Travers non era conosciuto nell’ambiente della finanza, noto appena per essere comproprietario del ristorante stesso. Molti dei presenti si chiesero quali potessero essere gli affari che li collegassero.

La tavola era apparecchiata per uno solo, ma appena si accostò al tavolo, un cameriere si avvicinò in fretta. Ricevuto un cenno di assenso da parte di Travers, l’uomo preparò in fretta un secondo posto e poi scostò la sedia. Quando Magdalene lo raggiunse, Quentin si alzò in piedi e la salutò con un cenno del capo. Marlin si mise a sedere con tranquillità, accettando con perfetta grazia l’aiuto offertole nell’accomodarsi.

-Signor Travers, buonasera.

Disse formale.

-Buonasera, Magdalene. –Rispose l’uomo con perfetta cortesia ma più calore. Quentin fece un gesto verso un cameriere a qualche metro di distanza. –Mi sono permesso di scegliere il vino prima del tuo arrivo. Spero non ti dispiaccia.

-Assolutamente.

Fu la risposta di Marlin mentre il cameriere cominciava a versare nel suo bicchiere, dopo averle mostrato l’annata della bottiglia con un gesto elegante. Il ragazzo si allontanò subito dopo aver servito entrambi.

-Infine ci troviamo a cena qui, insieme. –Le labbra di Travers si piegarono in un sorriso, o quasi. –Non credevo che questa occasione si sarebbe mai presentata. Soprattutto non venti anni dopo.

-Anche io dubitavo che sarebbe mai successo, Quentin.

Replicò Marlin mentre sistemava il tovagliolo sulle proprie gambe senza distogliere lo sguardo dagli occhi dell’uomo.

-Non sotto le condizioni che desideravo però.

Continuò Travers. Marlin non rispose, limitandosi a sorseggiare il proprio vino. Non c’era molto che potesse dire senza riaprire vecchie diatribe e ferite che non erano mai esattamente guarite. E questa sera Magdalene era qui per parlare del futuro e non del passato.

Dopo qualche secondo, apprezzando sinceramente la raffinata qualità della bottiglia scelta, posò il bicchiere sul tavolo. Marlin doveva ammettere che Quentin aveva buon gusto per quanto riguardava i vini rari e costosi. In verità sapeva per esperienza personale che l’altro osservatore era un profondo conoscitore di qualsiasi cosa lui decretasse raffinata. Il vino ed il cibo erano tra queste.

Venti anni prima, l’occasione per cui Quentin aveva invitato Magdalene in questo stesso ristorante era stato di natura molto più romantica. Doveva essere la loro prima uscita ufficiale una volta tornati in Inghilterra, la sera in cui il loro fidanzamento sarebbe stato reso pubblico. Avevano progettato il modo in cui comunicare la loro promessa alle rispettive famiglie e pensato a come fare per coordinare i loro lavori per il Concilio.

L’unica cosa che mancava da decidere era la data.

Era stato solo una settimana prima della morte di Lene.

Ad un cenno di Magdalene il cameriere tornò per prendere le loro ordinazioni.

I due osservatori studiarono i menù per qualche minuto, scambiando con il ragazzo chiacchiere poco importanti, prima di decidere cosa prendere. Marlin riprese la loro conversazione solo dopo che erano rimasti soli.

-Questa mattina Miller ha dichiarato lo Stato di Emergenza. Il Concilio è completamente in mano sua. Niente più opposizione.

Lo disse in tono asciutto, per aprire il discorso. Non si faceva illusioni sul fatto che Travers non fosse già informato. Ed al momento Magdalene non aveva molta voglia di perdere tempo in stupidi convenevoli. Non era proprio dell’umore adatto.

-Deve essere stato il suo scopo fin dalla morte di Gillison.

Replicò Travers. Il dirigente doveva ammettere che non aveva pensato a quella eventualità quando aveva fatto uccidere l’alleato di Magdalene. Stava semplicemente cercando di pareggiare i mezzi di cui disponevano per lo scontro finale contro Marlin, con quei numeri era stupido anche soltanto cercare di sfidarla. E sperava che con lei fuorigioco cadesse anche Miller.

-Si, probabilmente si.

Concordò Magdalene.

-Una linea di condotta sorprendente. Non avrei mai creduto che Miller scegliesse di prendere una posizione così forte.

Rifletté ad alta voce Travers.

-Si, considerando soprattutto che se qualcuno riuscisse a dimostrare che ha dichiarato impropriamente lo stato di emergenza sarebbe esonerato con ignominia dall’incarico. –Rincarò Marlin con una strana luce negli occhi. –Tra l’altro aveva già tentato la stessa cosa all’assemblea plenaria. Per fortuna Dougan ha votato contro la tua espulsione dal consiglio ristretto

Lo aggiunse con un mezzo sorriso, del tutto privo di umorismo.

-Già. Un ripensamento dell’ultimo minuto probabilmente. Si sarà reso conto di quanto volesse fare Miller.

Quentin replicò in tono del tutto serio. Sapeva perfettamente di non averla ingannata neanche per un attimo, anche se lei scelse di non sottolineare la menzogna. Magdalene lo conosceva da tanto tempo ed in qualche modo aveva sempre saputo quando stava mentendo e quando non lo stava facendo. Era una cosa che Travers trovava estremamente seccante. Lui, dopo la Norvegia, non era più riuscito a capire se Magdalene gli stesse dicendo o meno la verità.

“Anche prima era estremamente difficile.” Ammise a se stesso. “Ma lei allora non aveva un motivo per mentirmi, né uno per nascondere le proprie emozioni da me.”

Marlin studiò con attenzione l‘uomo che aveva davanti. Aveva sospettato dall’Assemblea Plenaria che dietro al voltafaccia di Dougan ci fosse la mano di Travers. Questa risposta non era che la conferma. Non sapeva cosa avesse usato per fare leva sull’altro dirigente ma certamente aveva avuto il suo effetto.

-Gli è costata cara la realizzazione.

Sottolineò Marlin.

-Non mi aspettavo che lo uccidesse.

Replicò Travers dopo un momento di riflessione. In effetti era stata un’azione decisamente drastica da parte di Miller e del tutto fuori carattere.

“Questo deve essere vero. Non deve averci pensato. Né lui né Dougan devono averci pensato. Altrimenti Jack non avrebbe messo a rischio la sua vita a quel modo.” decise Magdalene.

Oppure Travers, il suo sfuggente ed imbattibile avversario di anni, si era improvvisamente istupidito ed aveva creduto nel codice di onore di Miller, nel fatto che non avrebbe dichiarato lo stato di emergenza subito dopo l’omicidio ma affrontato la giustizia.

Marlin sogghignò tra sé.

“Piuttosto improbabile.”

Quentin non avrebbe mai agito come aveva fatto se avesse saputo che si sarebbe giunti ad una situazione simile. Al momento la sua vita era in grave pericolo e il suo incarico praticamente perso. Bastava soltanto che Miller lo annunciasse pubblicamente perché avesse valore.

“Dubito che Travers abbia lavorato così assiduamente per anni interi per ottenere risultati simili. Se una cosa è certa è che non si tratta di un pazzo con manie suicide. E come me è fautore della politica, meglio la metà di qualcosa che il tutto di niente…”

-Neanche io.

Ammise francamente Marlin, con un altro cenno della mano chiese al cameriere di riempire nuovamente i due bicchieri.

“Giocare questa partita per il potere a due è pericoloso. Farlo in tre somiglia tremendamente ad una partita a roulette russa.”

Anni prima, non le ci era voluto molto a Marlin per capire a cosa mirava Miller quando aveva cominciato a dare sempre più potere e responsabilità a Travers. La loro faida non era esattamente pubblica ma certamente non era un segreto. Era difficile tenere segreta una cosa simile in un posto come il Concilio, se poi tutto aveva avuto origine con uno scandalo che venti anni dopo era ancora nei pensieri di tutti, se non sulla loro bocca, diventava impossibile.

Allora Quentin era solo la soluzione di Miller al continuo crescere dell’importanza che lei stava ottenendo svolgendo i lavori sporchi che lo stesso Primo Osservatore gli affidava. Ogni volta che Travers veniva avanzato di grado, significava che lei era in una posizione un po’ più forte di prima e viceversa.

Era stato un sistema molto comodo per misurare quanto il Primo Osservatore avesse paura di loro.

Ma aveva funzionato. Dio solo sapeva se l’idea di Miller aveva funzionato. Probabilmente era stata la migliore che avesse mai avuto. Tra alti e bassi quella faida continuava da venti anni e Magdalene doveva ammettere che buona parte delle sue risorse e del suo tempo era andata nel combatterla.

“E non rimpiango una singola scelta.”

Nell’ultimo anno però le cose aveva preso una piega improvvisa quanto inaspettata.

Del resto era ovvio quello status quo non sarebbe neanche potuto durare in eterno.

C’erano state delle sorprese. Per lui, per loro, per tutti.

Cose del tutto imprevedibili.

La morte di Gillison e Faith ad esempio.

Incidenti, o quasi.

E l’omicidio di Dougan.

A sangue freddo di fronte a una dozzina di testimoni che aveva visto tutt’altro.

In effetti Marlin non avrebbe mai creduto che il Primo Osservatore fosse capace di un’azione simile. Certamente con quel singolo gesto aveva vanificato tutti i progetti di Magdalene, effettivamente impedendole di avere la minima chance di contrastare qualsiasi decisione prendesse. E doveva avere fatto altrettanto con quelli di Travers.

Una mossa geniale se Miller l’aveva compiuta con lo scopo di neutralizzare i suoi due avversari principali.

Incredibilmente stupida e fortunata se era stata lo sfogo della rabbia per il “tradimento” di Dougan durante l’Assemblea Plenaria.

Marlin non sapeva esattamente per quale delle ipotesi propendere.

Con il Primo Osservatore a volte era difficile da dire. Era una persona molto intelligente, spietata e determinata nel raggiungere i propri scopi. Ma non era raro che fossero le emozioni a dirigerne le azioni. A volte oscurando completamente la razionalità e la capacità di obiettività che l’uomo aveva.

In quei momenti era al vertice della sua pericolosità.

Nulla era troppo allora.

Magdalene lo sapeva bene, lo aveva visto completamente sconvolto.

In quelle occasioni era sempre una scommessa sapere chi sarebbe rimasto in piedi alla fine.

Al momento non importava quale fosse il motivo per cui il Primo Osservatore aveva agito. Non realmente.

Oramai, con lo stato di emergenza dichiarato, Miller aveva il potere di nominare arbitrariamente i nuovi dirigenti e destituire chiunque ritenesse non adeguato alla particolare situazione di pericolo in cui versava il Concilio.

A prescindere dal fatto che era stato lui in prima persona a crearlo.

Con questo incontro Marlin non faceva che aggrapparsi all’ultima speranza che aveva di uscire da una situazione apparentemente senza uscite.

“La mia specialità, creare soluzioni dal nulla…e per avere un incontro simile dobbiamo essere sufficientemente disperati entrambi…”

-Penso sia il momento di mettere da parte le nostre rivalità personali.

Disse infine Magdalene, fissando negli occhi Quentin per giudicarne le reazioni. Non era stato poi difficile da dire. Una sola frase per seppellire una guerra di vent’anni.

“…Come se potesse essere…”

Ma dovevano farlo.

Né la forza di Travers, né la sua, potevano far nulla contro Miller.

Ogni cosa sarebbe stata persa. Per entrambi.

E nessuno dei due poteva accettare una cosa simile.

Forse, anzi probabilmente sarebbero riusciti ad uscirne con la loro pelle intatta, ma avrebbero perso il frutto di anni di lavoro. Erano abbastanza forti e scaltri per riuscire in un trucco simile. Ma nessuno di loro due era pronto a rinunciare alla propria carica di dirigente, non dopo aver sacrificato praticamente tutta la loro vita per raggiungerla. Di certo Marlin sapeva di preferire di gran lunga far parte del Concilio degli Osservatori assieme a Travers che esserne esclusa come lui. La rovina di Quentin non valeva il suo successo. Lo aveva capito da anni.

Ma dovevano agire assieme ed in fretta se volevano ribaltare questa situazione.

Era ovvio che tra qualche giorno al massimo il Primo Osservatore avrebbe provveduto a destituirli entrambi.

Poi li avrebbe fatti uccidere.

“O tentato di fare.”

Miller non era mai stato misericordioso e non lo sarebbe diventato in ventiquattro ore. Magdalene aveva portato a termine abbastanza omicidi su sua commissione per saperlo. Vere e proprie sentenze di morte. Non per nulla qualcuno al Concilio la chiamavano l’angelo della morte.

C’era quasi da ridere.

Venti anni a sognare la vendetta contro Travers, altrettanti a combattere una guerra silenziosa contro di lui, posizione contro posizione, ed ora, dopo essere stata solo ad un passo dalla vittoria finale, Marlin era qui a cercare la sua alleanza, nel locale in cui si sarebbero dovuti fidanzare due decenni prima.

Il silenzio durò qualche minuto, durante il quale il cameriere portò loro i primi che avevano ordinato. Comprendendo velocemente la tensione nell’aria il ragazzo li servì e si allontanò in perfetto silenzio. Non per niente era bravo nel suo mestiere. Raccoglieva abbastanza mance da dimostrarlo.

Magdalene cominciò a mangiare, sorseggiando di tanto in tanto il suo vino. Ora doveva essere una scelta di Quentin.

-Lo penso anche io.

Disse infine Travers.

“Il destino è decisamente ironico.”

Pensò Marlin con un sorriso sarcastico già sulle labbra.

 

 

 

 

Sunnydale. Giovedì 27.

 

 

 

 

Il suono continuava, basso e fastidioso. Tara aprì un occhio, accorgendosi che alla fine si era assopita sul divano dopo le ore passate con Willow tra le braccia. Ore in cui aveva cercato di rassicurarla che tutto sarebbe andato bene. Gli eventi della giornata scorsa l’avevano scossa più di quanto avesse creduto o ammesso a chiunque.

Era stato bello trovare conforto fra le braccia della fidanzata.

Il cellulare continuò a squillare. Allungò la mano e lo raccolse da terra, dove doveva essere finito durante la notte, dopo che entrambe si erano addormentate. Lanciò uno sguardo verso la finestra e notò che era ancora buio.

-Pronto Faith?

Aveva la voce rauca ed insonnolita. Non si era ancora completamente svegliata e non sapeva se lo voleva fare. Aveva sonno e tornare a dormire era un’idea allettante.

-Suppongo di averti svegliata.

Replicò la cacciatrice un po’ divertita e completamente vigile.

-Ti odio. Come fai ad essere così sveglia alle… -Tara si sforzò di mettere a fuoco il proprio orologio. –…Due del mattino?

La bionda gemette disperata quando si rese conto di aver dormito solo per poco più di un’ora.

“Almeno si spiega perché sono così stordita.”

-State tutti bene?

-Si, tutto bene. Giles è nella camera a fianco, Will è qui con me… -Tara si prese un attimo per guardare la fidanzata, ancora placidamente addormentata. Delle due era sempre stata quella con il sonno più profondo. –Michael è stato gentilissimo con me, si è subito messo a scrivere l’indirizzo su un tovagliolo e me lo ha passato augurandomi buona fortuna. Nessuna domanda sul perché o roba simile. Mentre uscivo mi ha detto che gli dispiaceva tantissimo che fossi morta così a quel modo, ma che se avessi potuto avresti scelto di andartene combattendo.

-Mike è una brava persona ed è stato un buon amico. Ma dovrebbe aggiornarsi. Preferisco di gran lunga essere in vita che andarmene in quel modo. –Ma le parole del barista fecero piacere a Faith, più di quanto avrebbe voluto ammettere. “Dopo tutto questo tempo ancora mi stupisce che ci sia qualcuno di decente là fuori”. –Dovrei essere a Sunnydale tra qualche ora, ok? Tu tieni duro. So per esperienza che non è bello sapere che c’è qualcuno lì fuori pronto a farti la pelle. Ma per domani sera al massimo non avrai più problemi. Hai la mia parola. Ed ora se mi dai l’indirizzo…

 

Erano da poco passate le sei del mattino quando Faith arrivò alla periferia di Sunnydale.

Passò oltre il segnale di benvenuto a molto di più di quanto i limiti consentissero, degnandolo solo di un’occhiata torva.

“Fottuto cartello.”

 Volgarità del tutto gratuita. Ma l’aveva fatta sentire meglio ed al momento andava bene così. Oltre ad essere preoccupata, era stanca e nervosa dopo aver viaggiato tutta la notte tra aerei, aeroporti e sorridenti hostess con il cervello ormai fossilizzato a forza di ripetere le stesse frasi.

“Sempre che l’avessero avuto in partenza un cervello.”

Anche l’impiegato dell’autonoleggio non era esattamente quello che si poteva definire un esemplare brillante della razza umana. Personalmente Faith credeva lo avessero lobotomizzato. Solo quello poteva spiegare l’aria sperduta da pesce bollito che aveva. Scalò marcia e rallentò appena dopo aver passato le prime costruzioni. Sarebbe stato stupido fare un incidente proprio ora.

Davanti a lei il sole stava sorgendo abbastanza velocemente all’orizzonte. Con quella luce Sunnydale sembrava quasi bella.

“Bene, a quest’ora i vampiri sono rientrati e gli umani devono ancora uscire.”

Era un rischio per lei tornare così presto a Sunnydale senza neanche avuto il tempo di farsi una stupida tinta per alterare un po’ il suo aspetto. Non che avesse avuto molta altra scelta poi, considerando che Eliza era ancora in Inghilterra impegnata con gli osservatori e che non si fidava di nessun altro abbastanza da chiedere una cosa simile.

Di certo non sarebbe potuta andare in giro con un passamontagna, cosa che contava di fare davanti agli amici di Buffy, mentre era alla guida. I poliziotti non avrebbero reagito bene alla cosa, e se possibile, avrebbe attratto solo più sguardi con un turbante o roba simile. Aveva preso qualche altra precauzione però. Minime cose, ma sperava che bastassero. Come gli stivali con una soletta interna per alzare di qualche centimetro la sua altezza e la giacca imbottita per alterare la sua fisionomia. Aveva raccolto i capelli sotto un berretto da baseball, facendo attenzione che non ne uscisse nessuno ed indossato un paio di pantaloni molto larghi. Trucchi banali, ma nel panico della situazione forse sarebbero bastati ad ingannare Giles e Willow.

“Altrimenti…”

Avrebbe affrontato la cosa solo se e quando se ne fosse reso necessario.

Attraversò un altro quartiere residenziale e superò uno dei vecchi cimiteri ormai caduto in disuso. Le case vennero sostituite da palazzi alti qualche piano e, proseguendo oltre, sarebbero cominciati i caseggiati ed i capannoni che circondavano la zona del porto.

Tutto sommato la zona dove Michael aveva mandato Tara era dimessa e modesta ma non pericolosa.

“Una buona scelta.”

Ancora qualche secondo e sarebbe arrivata.

Superò un angolo ed un lampo di luce attrasse la sua attenzione.

Sollevò gli occhi e notò la canna di un fucile sporgere dal tetto di uno dei palazzi che si allineavano lungo la strada.

“Merda!”

Volgarità del tutto giustificata stavolta.

“Ecco che i miei piani vanno a finire nel cesso. Come hanno fatto a trovarli?”

La possibilità che gli operativi si trovassero a meno di un isolato dall’appartamento in cui erano nascosti Tara e gli altri, per una pura coincidenza, non era neanche divertente da prendere in considerazione. Qualcuno li aveva fatti individuare.

“Se è stato Michael, lo ammazzo.”

Faith non lo credeva veramente ma si guardava bene dall’escluderlo. Non era tipo da dare fiducia alla leggera.

Senza alterare la velocità dell’auto, svoltò nella prima strada che trovò, facendo un giro abbastanza largo da non essere sospetto, per poi tornare vicino al punto in cui aveva visto il cecchino. Odiava con intensità ogni secondo che stava perdendo ma non poteva fare altrimenti.

Se soltanto avesse accelerato per sbrigarsi, gli uomini del Concilio l’avrebbero notata e Faith avrebbe perso il fattore sorpresa o peggio ancora gli operativi avrebbero attaccato immediatamente Tara e gli altri, prima che lei riuscisse ad intervenire.

Accostò l’auto nel parcheggio di un supermercato ancora chiuso, del tutto invisibile al cecchino sul tetto. Spense il motore e scese, alzando contemporaneamente il cappuccio della giacca che portava. Non forniva la protezione di un passamontagna ma non poteva rischiare di indossarlo così allo scoperto. Già andare in giro con un cappuccio in piena California era strano, farlo con un passamontagna era qualcosa di veramente anormale, senza considerare il fatto che portava anche dei guanti.

“Del resto gli operativi non andranno in giro a raccontare quanto successo.”

Controllò caricatore ed efficienza della sua Glock e la posizione di tutti e tre i suoi coltelli. Il loro peso era estremamente familiare e confortante per Faith. Negli ultimi tempi ormai non andava più da nessuna parte senza averne uno o due con sé. Fece i preparativi con calma, sapendo che l’aspettava uno scontro in inferiorità numerica e con mezzi ridotti, in cui il minimo errore sarebbe stato fatale.

Infilò qualche caricatore di riserva nelle tasche e si allontanò, chiudendo l’auto dietro di sé.

Superò l’angolo e cominciò a camminare a passo tranquillo lungo il marciapiede, intenta a studiare il palazzo di quattro piani in cima a cui si trovava il cecchino. Doveva trattarsi di un condominio. Purtroppo il portone era chiuso e forzarlo era fuori discussione, visto che tra qualche minuto al massimo gli inquilini avrebbero cominciato ad uscire per andare a lavoro.

Già la strada cominciava a popolarsi un po’ di più.

Ignorando completamente l’ingresso principale, Faith continuò a camminare fino a raggiungere il vicolo su cui dava l’altra facciata dell’edificio. Si tese, togliendo la sicura alla Glock, pronta a reagire a qualsiasi minaccia. Non era da escludere che ci fosse un operativo a sorvegliare questo accesso secondario.

“Vediamo quanto sono fortunata.”

Nessuno.

Il vicolo era deserto.

Non basandosi solo sulla prima occhiata, Faith studiò attentamente le finestre e i cornicioni dei palazzi che si affacciavano sulla stradina. Niente. Controllò anche i cassonetti e le immondizie malamente accumulate.

Soddisfatta, rimise la sicura alla pistola.

Dopo essersi assicurata di avere campo libero cominciò a studiare un modo per arrivare in cima al tetto.

“In fondo non so ancora volare.”

C’era una scala antincendio ma era tirata su, fino al secondo piano.

La scartò. Anche se fosse riuscita ad arrivarci od a farla allungare il rumore avrebbe avvertito chiunque della sua presenza.

Anche usare l’altro palazzo era escluso visto che arrivava solo al terzo piano.

“Ovviamente niente porta di servizio. Ed inferiate alle finestre di piano terra e primo piano.”

Cosa che escludeva usare la scala interna dello stabile.

Il che lasciava solo un’alternativa in fondo.

“Scalata.”

Non che la cosa rendesse Faith particolarmente felice.

Cercare di scalare uno stabile non era mai una cosa divertente. Al contrario delle pareti rocciose che generalmente avevano la buona educazione di offrire degli appigli.

“Almeno questo è rifinito in mattoncini.”

Il che le dava qualche millimetro di appiglio.

C’era quasi da ridere alla cosa.

Faith si avvicinò un po’ di più studiando da vicino il muro. Allungò la mano e fece una piacevole scoperta. Dopo decenni di esposizione agli agenti atmosferici i mattoncini della facciata erano appena friabili.

Tirò fuori uno dei suoi coltelli e fece una prova.

Dovette esercitare molta forza ma riuscì a piantarlo nel mattone di fronte a sé. Ci caricò del peso e notò con soddisfazione che il pugnale non cedeva. Puntellò un piede contro il muro e lo estrasse. Il filo era completamente rovinato, ma non importava.

Faith si avvicinò alla scala antincendio. Salì agilmente sul davanzale della finestra al piano terra e si sporse il più possibile prima piantare il coltello. Ne piazzò un secondo spostato leggermente sulla sinistra, un po’ più in basso, anche questo infisso fino all’elsa o quasi.

“Dannazione, se rinasco voglio essere l’uomo ragno.”

Afferrò il primo con la mano e si tirò su a peso morto fino a puntellarsi con il piede contro il secondo. La contorsione necessaria fece male, per quanto agile fosse Faith non era una contorsionista.

Dopodichè usò il primo coltello per puntellare il piede e allungò le mani fino a raggiungere l’ inferriata della finestra del primo piano. Provò a caricarci del peso e, notandone la stabilità, si issò fino a raggiungere il davanzale, dopo aver controllato che nessun inquilino fosse nella stanza.

Da lì mancavano meno di tre metri alla piattaforma inferiore della scala antincendio.

Prese con cura le misure e saltò. Afferrò la grata e dopo un attimo si issò oltre la ringhiera metallica.

“Se improvvisamente mi ritroverò con solo un top e pantaloncini corti striminziti, oltre ad una quantità smodata di armi, avrò finalmente la certezza di essermi reincarnata in Lara Croft.”

Raggiunta la piattaforma Faith rimase un attimo immobile a riprendere fiato. Non era stato divertante ma era l’unico modo. Per quanto volesse, ancora non riusciva a saltare sei metri da ferma.

“Dopo devo tornare a riprendere i coltelli.”

Estrasse la Glock e cominciò a salire la scala con estrema cautela, la pistola puntata davanti a sé.

Arrivata all’ultimo piano, si sporse lentamente dal parapetto. Purtroppo non aveva con sé uno di quegli utilissimi specchietti per vedere oltre gli angoli morti. Avrebbe dovuto fare alla vecchia maniera, alzandosi millimetro dopo millimetro, attenta a qualsiasi rumore che indicasse che l’avevano individuata.

Riuscì a vedere che il tetto era sgombro, se non per quelli che sembravano abbaini chiusi e qualche gigantesco tubo che doveva avere a che fare con condizionatori più che riscaldamenti. Nulla che potesse offrire un riparo completo dalla sua visuale in modo da poterle tendere un’imboscata.

Dal lato opposto c’era il cecchino.

Le dava le spalle, completamente ignaro di essere spiato. Era già pronto dietro al mirino, la custodia dell’arma poggiata a fianco, aperta, altra attrezzatura vicino a sé.

Faith si alzò in piedi per superare il cornicione, la pistola ancora in pugno puntata sull’operativo. Un attimo prima di mettere i piedi a terra notò che l’intera superficie del tetto era cosparsa di ghiaia e pietrisco.

Imprecò fra sé.

“Oggi non è proprio il mio giorno fortunato.”

 Praticamente non c’era modo di arrivare al cecchino senza fare rumore. Di certo non nei suoi anfibi.

Tornò nuovamente sulla piattaforma antincendio e si accucciò dietro al cornicione sparendo dalla vista di chiunque potesse essere sul tetto. In fretta si slacciò le scarpe e se le tolse, posandole di fianco a sé. Si rialzò, ma decise di usare il coltello piuttosto che la pistola in caso ci fossero stati dei problemi. Sarebbe stato più facile evitare che il corpo cadesse in avanti.

Di nuovo sul tetto, Faith cominciò ad avvicinarsi al cecchino lentamente, facendo attenzione a come mettere i piedi. I sassolini le davano fastidio sotto i calzini, ma la cacciatrice non se ne curò, limitandosi a registrare il fatto ed ad escluderlo.

Meno di quindici metri.

Estrasse il coltello e continuò ad avanzare.

Dieci.

-Qui squadra alfa. Abbiamo raggiunta la posizione. Conferma Striker.

Sentì la conversazione radio provenire dall’auricolare dell’operativo. Una copertura in più.

Ma doveva fare in fretta. Rifoderò il coltello, ormai era abbastanza vicina da farne a meno.

-Leader, qui Striker. Vi vedo. Visuale dell’obbiettivo confermata.

-Ricevuto Striker, qui Leader, chiudo.

Con una mossa rapida Faith ruppe il collo all’operativo.

Sentì distintamente lo scricchiolio delle ossa. L’uomo non fece un lamento accasciandosi senza vita fra le sua braccia.

Faith lo adagiò a terra e gli si chinò a fianco, perquisendolo velocemente. Nullo di straordinario, nessun effetto personale. Erano tutti dei professionisti. Gli prese il coltello e lo infilò in uno dei foderi liberi, poi gli tolse la pistola regolamentare, una Beretta, allacciandosi la fondina alla coscia. Avrebbe usato quella in caso di necessità. Meglio non lasciare tracce della sua Glock.

Rapidamente gli tolse anche auricolare e passamontagna. Indossò entrambi. Guardò il volto e lo riconobbe. Era uno degli operativi della squadra di Frederik. Sui quaranta, abitudinario e per questo decisamente prevedibile. Un buon avversario da avere al momento. Sostenitore quasi fanatico di Miller se non ricordava male. Ma per questo ci sarebbe stato tempo dopo.

Faith prese posizione dietro al fucile di precisione e cominciò a cercare gli altri attraverso il mirino.

“Uno andato. Nove da trovare.”

 

 

 

 

 

Aveva individuato due operativi di fianco al vecchio edificio semi abbandonato che si trovava poco più giù lungo la strada. Loro avrebbero coperto le uscite laterali in caso qualcuno fosse uscito dal palazzo. Erano armati di mitraglietta, con il volto coperto e una giacca con su scritto “polizia”. Nessuno dei passanti gli avrebbe detto niente.

Dentro l’edificio sarebbero andate due squadre, una di quattro persone, l’altra di tre persone. La prima entrando dall’ingresso posteriore, la seconda da quello anteriore. Frederik sarebbe stato il leader della più numerosa. Le due sentinelle e il cecchino coprivano la parte esterna, pronti ad intervenire in caso di necessità.

Era lo schema standard usato per assaltare un edificio con due accessi principali di pericolo medio-basso. Ed un osservatore ed un paio di ragazze di certo non potevano essere definiti bersagli altamente rischiosi.

In tutte le missioni di addestramento a cui la cacciatrice aveva partecipato assieme a Frederik non una volta il caposquadra aveva variato gli schemi applicati da quelli standard prefissati. Nonostante Jason stesso gli avesse fatto notare più volte la stessa cosa l’uomo si era limitato a sostenere che se quegli schemi erano utilizzati da più di vent’anni senza alcuna variazione era perché erano efficaci.

Il caposquadra aveva continuato a fare di testa sua. Jason aveva rinunciato a parlargli limitandosi ad assegnarlo il più delle volte a missioni a basso pericolo od in settori in cui non potesse fare danni durante le operazioni congiunte.

Faith non aveva neanche perso tempo a parlargli. Conosceva il tipo e lei odiava sprecare il fiato.

“Fred è sempre stato troppo prevedibile, davvero troppo per il suo stesso bene…”

Sapendo esattamente dove cercare, Faith individuò la squadra che doveva penetrare da davanti in una manciata di secondi. Erano raggruppato dentro un furgone nero senza segni distintivi parcheggiato di fronte all’ingresso. Gli altri quattro le erano invisibili, nascosti dall’edificio.

Purtroppo benché i tre fossero nella sua linea di tiro Faith non sarebbe riuscita a farli fuori. Era impossibile ucciderli tutti senza che dessero l’allarme o si mettessero a riparo, semplicemente non era abbastanza brava con un fucile di precisione per farlo. Probabilmente un tiratore più esperto ci sarebbe riuscito, con un po’ di fortuna dalla sua.

Ed anche se Faith aveva utilizzato in precedenza questo stesso modello di arma, sia in missione che in addestramento con gli altri operativi, non aveva cercato la velocità di esecuzione durante la pratica ma la precisione. Non le interessava neutralizzare un gran numero di soggetti. Saper eliminare uno o due bersagli a grande distanza, quello si, lo sapeva fare con la stessa perizia di un qualsiasi altro tiratore scelto.

Faith aveva quindi sufficiente capacità per uccidere le due sentinelle, comodamente posizionate in modo da risultare invisibili l’uno all’altra ai lati opposti dello stabile. Per farlo avrebbe solo dovuto aspettare che le due squadra entrassero in azione.

Passò del tempo.

Faith non avrebbe saputo dire quanto con precisione. Comunque il sole non era ancora completamente sorto. In quel genere di situazione la cacciatrice non contava gli intervalli in minuti od ore. Rimaneva concentrata sul proprio bersaglio, aspettando pazientemente, senza permettersi la minima distrazione.

 Poi scattarono.

-Ora! via, via.

Niente conto alla rovescia od altro. Solo l’ordine secco di Frederik nell’auricolare a sostituire il silenzio radio imposto qualche tempo prima. La squadra due entrò dal portone principale, praticamente spalancato, con un operativo in testa e gli altri leggermente spostati sui fianchi. Correvano tenendosi bassi per offrire il minimo bersaglio.

Appena i tre superarono la soglia scomparendo dalla visuale di Faith, la prima sentinella rimasta fuori cadde a terra, morta. Un colpo alla testa.

La seconda la raggiunse una manciata di secondi dopo, anche questa volta colpita alla tempia. Il cranio era l’unica zona sicura in cui colpire, tutti gli operativi indossavano un giubbotto antiproiettile in missione.

Dopo aver visto crollare a terra l’ultimo dei due senza alcuna grazia, semplicemente accasciandosi, Faith si alzò in piedi immediatamente abbandonando il fucile di precisione ed estrasse la Beretta. Scattò di corsa verso le scale antincendio, cominciando a scenderle precipitosamente senza curarsi di rimettersi le scarpe.

Doveva fare presto.

Raggiunse il secondo piano e si aggrappò all’ultimo gradino della scaletta senza rallentare. Non aspettò che la rampa si allungasse completamente, saltò direttamente nel vicolo quando ancora si trovava a tre metri da terra.

Atterrò agilmente e rotolò un paio di volte per assorbire la forza dell’impatto prima di rialzarsi e ricominciare a correre verso il palazzo in cui erano appena entrati gli operativi.

 

 

 

“Uno, due, tre!”

Contò con le dita Sasha.

Leaman annuì all’ultimo numero e sfondò la porta con un calcio. Si ritrasse immediatamente e si accucciò muovendo la canna del mitra da destra a sinistra lungo un arco, per coprire gli altri due operativi permettendogli di entrare nell’appartamento in sicurezza.

-Fermi polizia!

Urlò Sasha mentre entrava nell’appartamento, il mitra pronto a fare fuoco. Esaminò con lo sguardo la stanza muovendosi velocemente dal vano della porta per evitare di coprire la linea di fuoco dei due dietro a lui.

Nel salone non c’era nessuno.

-Libero.

Disse continuando ad avanzare verso l’ingresso della prossima camera, procedendo sempre con la massima cautela ed il mitra spianato davanti a sé. Velocemente Leaman entrò nella stanza e si diresse verso destra mentre Paul si fermava di fianco alla porta per offrire copertura ai compagni.

-Pulito.

Disse Leaman mentre controllava che nella vecchia cabina armadio e poi dietro un divano letto sgangherato non si nascondesse nessuno.

-Libera anche questa.

Riportò Sasha, riferendosi alla cucina. L’uomo si affacciò rapidamente alla finestra con il vetro sfondato. Un cortile chiuso, nessuna possibilità di fuga da quella parte.

-E’ vuoto anche il bagno signore.

Comunicò Leaman mentre rientravano tutti e tre nel salone semispoglio. La cosa non li stupiva affatto. All’interno dell’appartamento non c’erano che vecchi mobili oltre a pile di immondizie e scarti. Era ovvio che era passato parecchio tempo dall’ultima volta che il posto era stato abitato.

-Passiamo al prossimo.

Avevano già controllato due dei sei appartamenti del piano terra senza migliore fortuna, del resto l’aspetto fatiscente dell’edificio non li spingeva a credere che fosse poi abitato da così tante persone. In realtà Sasha dubitava che chiunque vivesse a questo modo fosse ancora un essere umano.

-Team Beta, qui Alfa. Seminterrato pulito. Saliamo al primo piano.

Comunicò attraverso il canale radio Frederik mentre con i suoi saliva per raggiungere il piano terra.

-Qui Team Beta. Ricevuto signore.

Replicò Sasha, facendo cenno ai suoi uomini di aspettare ad uscire in corridoio. Prima di muoversi voleva chiudere la trasmissione.

-Rapporto Beta.

Chiese il caposquadra mentre con i suoi cominciava a salire la prima rampa di scale, notando distrattamente come in diversi punti la ringhiera fosse arrugginita e la moquette consumata o macchiata.

Le scale, posizionate di fronte all’ingresso dell’edificio, al centro del corridoio a T su cui si aprivano i vari appartamenti, erano l’unica via d’accesso ai piani superiori, visto che all’interno dell’edificio non c’erano ascensori.

Assicuratosi che non ci fossero presenze ostili, Frederik fece cenno agli operativi di avanzare alla prossima rampa mentre riceveva il rapporto dell’altra squadra nell’auricolare.

-I primi tre appartamenti sono puliti, Alfa. Procediamo agli altri.

-Ricevuto Beta. Qui Alfa, chiudo.

Il caposquadra annuì una volta verso Luise indicandole di andare a coprire l’angolo che la scala faceva con il corridoio. La donna scattò di corsa, accucciandosi appena presa posizione. Indicò che tutto era pulito al primo piano.

Il resto della squadra la seguì.

Chiusa la trasmissione con il proprio superiore Sasha fece di nuovo cenno agli altri di procedere verso la porta. Sapeva che dovevano finire la perlustrazione dell’edificio in fretta per evitare che qualcuno scappasse dalla loro trappola.

Non potevano contare sulla fortuna di rintracciarli nuovamente in caso riuscissero a prendere il largo. I fuggitivi non avrebbero fatto di nuovo lo stesso errore ne era certo. Ormai dovevano aver capito che la loro telefonata della sera precedente al Concilio degli Osservatori era stata rintracciata e che era stata quella a portare la squadra di operativi nel quartiere. Una volta sul posto era stato facile individuarli grazie alle divise della polizia ed a qualche dollaro ben speso. Le facce nuove venivano sempre notate in zone simili.

Sasha si permise un mezzo sorriso mentre superava la porta.

Era sempre pericoloso, molto pericoloso, agire ai diretti ordini del Primo Osservatore, perché se fallivi non c’erano prove di appello e poteva andare a finire in un solo modo, ma ti dava accesso anche a vastissime risorse. Come il controllo di tutte le linee telefoniche da e per il Concilio.

Gli altri due operativi annuirono, avviandosi anche loro verso la porta per raggiungere il prossimo appartamento, il primo dell’altro braccio della T. Al momento si trovavano all’estremità del corridoio di destra.

Avevano appena fatto qualche passo quando si sentirono dei rumori, simile a due bassi colpi di tosse. Istintivamente Leaman e Sasha si gettarono a terra, cercando il minimo di copertura che i muri potevano offrire, mentalmente imprecando la sfortuna che li aveva fatti capitare proprio a metà tra due degli appartamenti durante l’attacco, effettivamente impedendogli di trovare immediato rifugio in uno dei locali. Appena a terra aprirono il fuoco, individuando facilmente la posizione dell’aggressore. Si trovava alla fine del corridoio, dove faceva angolo con l’androne dell’ingresso.

Paul non fu altrettanto fortunato. I due colpi erano stati entrambi diretti a lui ed ora giaceva a terra a meno di un metro da Sasha, privo di vita.

Istintivamente, il comandante del Team Beta aprì la comunicazione con il proprio superiore, mentre cercava di schiacciarsi contro il pavimento lurido ancora di più per offrire meno bersaglio. Le pallottole continuavano a fischiare pericolosamente vicino a lui.

-Qui Beta. Alfa, siamo sotto fuoco nemico. Ripeto, siamo sotto fuoco nemico. Paul è caduto. Richiediamo aiuto immediato.

Con la coda dell’occhio Sasha notò che Leaman si era improvvisamente alzato in piedi, continuando a fare fuoco contro l’aggressore mentre arretrava velocemente, cercando di trovare copertura nell’appartamento che avevano appena lasciato.

Prima ancora che Sasha potesse dire qualcosa od aprire del fuoco di copertura, i colpi dello sconosciuto assalitore si concentrarono sull’altro operativo. Arrivava una vera e propria grandinata di pallottole. Chiunque fosse ad attaccarli aveva con sé un’arma automatica e la sapeva usare egregiamente, impiegando perfettamente l’intero volume di fuoco di cui era capace.

Leaman non raggiunse la porta.

Cadde a terra afferrandosi la gamba ed urlando dal dolore. Tre colpi lo avevano raggiunto alla coscia destra. Per riflesso il mitra gli scivolò dalle mani mentre le prime fitte raggiungevano il cervello.

Altri proiettili lo raggiunsero alla testa e completarono il lavoro.

-Ricevuto Beta. Interveniamo.

Sasha sentì la voce di Frederik in lontananza.

Era passato solo un secondo, forse due.

Approfittando dell’attimo di distrazione dell’operativo Faith superò l’angolo e cominciò a correre verso di lui mantenendo un fuoco costante diretto alla testa, usando fino all’estremo le sue capacità di cacciatrice per acquisire rapidità.

Si poteva muovere più velocemente di qualsiasi umano e sfruttò appieno la cosa, sapendo che l’operativo di fronte a sé non avrebbe avuto tempo di mirare una volta perso il bersaglio. L’unico modo che aveva per colpirla era averla nella sua linea di fuoco da prima e quell’attimo di distrazione gli aveva fatto perdere quella sola chance che aveva.

Vedendo quella figura scura correre verso di sé inondandolo di pallottole l’operativo seppe che era finita. Non c’era via di scampo. La sua mente però non accettava come questo fosse possibile.

“Non può muoversi così velocemente. Solo…”

Sasha era morto.

 

 

 

 

Appena la voce di Sasha raggiunse le orecchie degli operativi della squadra Alfa l’ordinaria concentrazione con cui stavano svolgendo la perlustrazione si trasformò diventando mortale efficienza. Gli occhi dei quattro si socchiusero appena e le mandibole si serrarono. I loro compagni avevano bisogno di aiuto.

A Frederik bastò un segno per farli muovere mentre rispondeva a Sasha. Immediatamente il Team si raccolse attorno al proprio comandante. Senza bisogno di ulteriori ordini tornarono nel corridoio principale facendo ancora più attenzione di prima.

Arrivati alla tromba delle scale si fermarono per un attimo. Due si sistemarono in modo da controllare sia la rampa che scendeva che quella che saliva mentre Luise e Frederik controllavano il corridoio del piano a cui si trovavano. Il caposquadra portò una mano all’orecchio per riaprire il canale con la squadra Beta.

-Rapporto Sasha.

Prima di intervenire doveva conoscere la posizione e il numero degli aggressori. Non avrebbe permesso che la squadra Alfa cadesse in un’imboscata. Passo un secondo. Poi due. Non gli rispose nessuno. Ritentò. Inutilmente.

-Rapporto Leaman.

Solo statica sul canale radio a seguito della richiesta.

Gli altri tre operativi guardarono Frederik aspettando il prossimo ordine. La squadra Beta era stata annientata. Strinsero un po’ di più le loro armi. Luise deglutì scioccata, aveva conosciuto Sasha da più di dieci anni. Era il suo migliore amico, praticamente un fratello. Non ricordava neppure quante volte le avesse salvato la vita o quante volte lo avesse fatto lei. Ed ora non c’era più. Deglutì di nuovo ma il groppo alla gola non passò. Avrebbe preso i figli di puttana che avevano fatto questo e li avrebbe fatti pagare.

-Supporto Uno e Due, rapporto.

Altra statica.

Frederik ripeté la richiesta. I due operativi non risposero. Il caposquadra chiuse per un attimo gli occhi sospirando silenziosamente. Il fatto che non avesse ricevuto notizie della scomparsa della squadra di supporto poteva solo significare una cosa

-Striker qui Leader. Rapporto.

Ancora nessuna risposta.

Erano rimasti solo loro quattro. Il resto della sua squadra era morto. “E’ una fottuta trappola!” Si ritrovò a pensare improvvisamente. Aveva senso. Gli operativi all’esterno dell’edificio erano stati i primi ad essere eliminati. Era l’unico modo possibile. Perché, per come aveva disposto gli uomini all’esterno, chiunque uscisse dall’edificio sarebbe stato visibile ad almeno due di loro.

“Una fottuta trappola. Ecco cos’è!” si ripeté Frederik anche se c’era qualcosa che non lo convinceva, nessuno tranne Miller sapeva che erano lì. E il primo osservatore non aveva motivo di ucciderli prima che avessero fatto fuori Giles. “…eppure… chi c’è là fuori?”

La terribile sensazione di essere appena diventato una preda lo assalì. Sembrava un incubo. Ed uno dei suoi peggiori. Sei dei suoi erano morti prima ancora che lui sapesse che c’era un problema. Dai primi tre non un lamento od una comunicazione. Dovevano averli fatti fuori simultaneamente. “Quanti sono?” Ebbe paura. Qualcosa stava dando la caccia alla sua squadra e lui non aveva la più pallida idea di chi o cosa fosse.

Era snervante. Ricacciò indietro l’istintiva voglia di scappare ed andare a rifugiarsi al piano superiore od in uno degli appartamenti.

Rimase in silenzio per qualche altro istante a pensare. Impossibile perlustrare l’intero edificio con solo quattro uomini a disposizione senza lasciare buchi macroscopici di cui chiunque fosse là fuori avrebbe approfittato.

-In formazione. –Ordinò con la voce sicura di sempre. Doveva trovare un terreno adatto ad affrontare i loro avversari. Non conosceva la pianta esatta di questo edificio ma da quello che aveva visto poteva trasformarsi in una trappola mortale, c’erano infiniti corridoi e stanze e pochissime uscite. L’ideale per un’imboscata. Inoltre poteva vedere come anche gli altri tre operativi fossero nervosi, stringevano le loro armi in modo spasmodico. I loro pensieri dovevano essere simili ai suoi. –Ci ritiriamo.

Annuirono e si disposero in una stretta formazione difensiva.

Erano felici che Frederik non avesse deciso di mandarli al macello senza sapere chi o cosa stessero affrontando. Si sarebbero ritirati e riorganizzati.

Poi sarebbero tornati e avrebbero fatto pagare il responsabile.

 

 

 

I mitra si muovevano nervosi da destra a sinistra e viceversa mentre i quattro operativi superstiti si muovevano lungo il vicolo rivolti due in avanti e due in dietro. Erano usciti dalla porta posteriore dell’edificio, la stessa da cui erano entrati poco prima, dovevano raggiungere il SUV che avevano lasciato parcheggiato ad un isolato.

Scrutavano nervosamente finestre e cassonetti mentre procedevano verso l’auto. Frederik si sporse appena oltre un angolo controllando che non ci fosse nessuno.

-Pulito.

La squadra, o quanto ne rimaneva, proseguì a passo regolare appena ricevuto il via libero. Avevano fatto attenzione a parcheggiare in modo tale da poter tornare passando da strade secondarie in modo da non essere notati.

Difatti non c’era nessuno nei vicoli che stavano percorrendo ora se non mucchi di immondizia maleodoranti. Nessun essere umano. Una particolarità di Sunnydale era la quasi completa assenza di barboni per le strade. Non duravano mai a lungo.

Luise notò un movimento con la coda dell’occhio. Girò la testa in quella direzione e fece un passo verso sinistra, appena fuori dalla formazione per controllare meglio. Qualcosa si era mosso dietro un vecchio scatolone in mezzo ad un mucchio di rifiuti.

Gli occhi dell’operativo rimasero un attimo ancora fissi in quel punto. Un altro movimento ed un gatto apparve in cima al cartone. Falso allarme. Luise riprese a sorvegliare il resto del perimetro, era tutto pulito, nessuna presenza.

Sentì un leggero tonfo alle sue spalle.

Non riuscì a capire cosa fosse. Lo ignorò credendo che uno dei suoi colleghi avesse messo un piede in fallo ed avesse caricato pesantemente il proprio peso sull’altro. Quel vicolo era pieno di tombini e non era difficile inciampare soprattutto se si stava procedendo a ritroso.

Poi ci fu un leggero gorgoglio.

Il particolare rumore la allarmò.

Si voltò verso il centro del gruppo.

“Non può essere…”

Lì in mezzo a loro c’era qualcuno.

La figura incappucciata aveva una mano sotto al mento di Kurt e nell’altra un coltello. Lasciò andare l’uomo che cadde a terra agonizzante la gola squarciata.

Un battito di ciglia.

Glen, la più vicina, tentò di puntare il proprio mitra contro Faith. Fu troppo lenta.

La cacciatrice fece due rapidissimi passi verso di lei e le afferrò la testa con entrambe le mani lasciando momentaneamente la presa sul coltello che aveva legato al polso con una corda prima di assalire i quattro superstiti.

Le spezzò il collo ed immediatamente si girò verso Fredrik.

Il caposquadra la teneva sotto mira con la propria arma ma era impossibilitato a fare fuoco perché sulla stessa linea di tiro si trovava anche Luise. Senza dargli il tempo di decidere se l’altro operativo fosse o meno sacrificabile Faith gli strappò il mitra dalle mani e lo usò come una clava per colpirlo alla tempia.

La cacciatrice si voltò verso l’ultima superstite.

Al contrario del proprio caposquadra Luise, appena compreso che il tipo di minaccia, aveva lasciato il proprio mitra per prendere il coltello d’ordinanza, sapendo che era la sua chance migliore.

L’operativo riuscì a cogliere di sorpresa Faith mentre stava ancora girandosi. Le piantò il pugnale nella spalla fino all’elsa ritrovandoselo strappato dalle mani mentre la cacciatrice finiva di voltarsi.

Luise sorrise soddisfatta facendo un passo in avanti per colpire Faith con un pugno al volto.

Il dolore fu improvviso.

Dalla spalla dritto fino al cervello. Digrignando i denti, la cacciatrice lasciò cadere il mitra preso a Frederik, inutile ora che l’operativa era a pochi centimetri di distanza. Con una torsione del polso riprese il coltello in mano riuscendo a piantarlo nel collo di Luise.

In un raptus l’operativo la colpì nuovamente, strappandole dal volto il passamontagna.

La fissò per un istante negli occhi.

Non voleva credere a quanto vedeva.

Quel tanto era chiaro. Faith abbozzò un sorriso amaro mentre Luise si accasciava contro di lei.

Morta.

Adagiò il cadavere a terra e si girò verso gli altri tre, controllando che fossero effettivamente morti.

Dopo essersene assicurata, slacciò la giacca di Glen su cui era scritto polizia e gliela sfilò, perché era l’unica a non essere sporca di sangue. Rialzatasi, Faith si controllò la ferita alla spalla, mosse il braccio e la mano stringendo i denti al dolore. Non era particolarmente grave.

La lama si era piantata nel muscolo senza recide tendini od altro. Sfilò il coltello, il sangue fluì dal taglio. Niente zampilli. Almeno non aveva reciso delle arterie.

Slegando l’altro coltello e riponendolo in tasca assieme a quello estratto, usò la corda come laccio emostatico. Il braccio le sarebbe servito ancora per un po’ ed preferiva non perdere troppo sangue.

Si infilò la giacca e la allacciò accuratamente.

Era di tessuto impermeabile ed il sangue non sarebbe filtrato dalla manica.

“Bene. Ed ora finiamo il lavoro.”

 

 

 

 

David imprecò ancora una volta contro la sua sfortuna.

Quella mattina era cominciata veramente male. Già dalle cinque quando aveva ricevuto la telefonata che lo aveva svegliato. “Alle cinque! Ma quelli lì in Inghilterra non conoscono le meraviglie del fuso orario!” Protestare era inutile e lo sapeva, lo faceva solo per sentirsi un po’ meglio.

Con il suo lavoro venire svegliati ad orari del tutto indecenti era frequente, ed all’inizio si era sempre costretti a fare il turno notturno. Ricordava un sacco di ore passate in buchi malfamati a tremare di freddo e non solo. Anche troppe per i suoi gusti. Quando aveva accettato, aveva saputo che gli orari sarebbero stati infami e che si trattava di un impiego ad alto rischio, per questo pagato decentemente, ma David aveva creduto che una volta arrivato ad essere il capo zona non lo avrebbero più disturbato alle cinque del mattino.

“Ok, lo ammetto non sono più abbastanza giovane per fare queste alzatacce…”

Aveva quasi quarantacinque anni in fondo e se li sentiva tutti sulle spalle, profonde rughe gli segnavano il volto, senza contare che ormai i capelli erano solo un ricordo. Sperava veramente di riuscire nei prossimi cinque anni a guadagnarsi un posto in una sede distaccata od addirittura in quella centrale ed abbandonare una volta per tutte le strada.

Era per questo che aveva deciso di andare personalmente a controllare cosa stesse succedendo. Non aveva avvertito nessuno dei suoi subordinati. Il merito di quell’impresa non lo voleva condividere con nessuno e non lo avrebbe fatto.

“Se il vice capo delle comunicazioni della sede centrale ti sveglia dicendoti che probabilmente nella tua zona stava per succedere qualcosa di grosso e ti dà un indirizzo, l’unica cosa che puoi fare è ringraziarlo… e sono colpi come questi che fanno guadagnare posti sicuri in un ufficio… ed io la voglio quella maledetta scrivania.”

Così si era alzato ed era uscito dal proprio appartamento quando fuori era ancora buio, qualcosa di per sé già pericoloso a Sunnydale.

Solo per scoprire che la propria auto era rotta.

Ed ovviamente non c’era una sola compagnia di taxi in quello schifo di cittadina che avesse il coraggio di fare corse notturne.

Così si era dovuto rassegnare ad aspettare l’alba per muoversi mentre camminava nervosamente avanti ed indietro nel proprio salottino, temendo di star perdendo la sua possibilità di ottenere un incarico d’ufficio.

Si sentiva nelle ossa che quello che stava succedendo era qualcosa di importante. Del resto l’altro giorno un suo amico all’aeroporto “Un caro, caro amico…” gli aveva detto che un volo privato era arrivato dall’Inghilterra e ne erano sbarcati una decina di persone. “Ovviamente una squadra di operativi, il che significa che c’è veramente qualcosa di grosso in ballo” pensò con una smorfia a metà tra l’invidia ed il disprezzo.

Gli operativi erano l’elite dei non osservatori nel Concilio. Le Ombre a confronto erano poco più che informatori prezzolati facili da sostituire. E lo stipendio sottolineava la differenza. Ma del resto se l’aspettativa media di vita di un’Ombra non superava i cinque anni quella degli operativi non arrivava ai due.

Il taxi era arrivato dieci minuti dopo l’alba.

Altri cinque erano bastati a raggiungere il posto indicatogli. Sunnydale era piccola e a quell’ora non si trovava certo traffico. E la mancia promessa aveva fatto aumentare non poco la pressione sull’acceleratore.

David si fece lasciare due isolati prima di raggiungere l’indirizzo.

“Meglio avvicinarsi a piedi.”

Dopo vent’anni di questo lavoro aveva imparato molto sulla sorveglianza e su come trovare le persone.

Ad un isolato dall’indirizzo in questione aveva trovato un SUV nero con finestrini oscurati, del preciso modello utilizzato dal Concilio.

Era vicino.

Si affacciò con prudenza oltre l’angolo del vicolo dove era parcheggiata l’auto. Una squadra di operativi era nelle vicinanze e quei ragazzi avevano il grilletto facile. Era meglio muoversi con cautela.

Tirò fuori uno specchietto che usava da anni per vedere oltre gli angoli morti e che più di una volta gli aveva salvato la pelle. Si avvicinò allo spigolo del muro ed allungò il braccio per posizionare lo specchio in modo da vedere cosa stesse succedendo nel vicolo. Per quanto lo riguardava era meglio vedere male che ritrovarsi con un buco adatto ad un terzo occhio in mezzo alla fronte.

Un attimo dopo notò un gruppetto di persone superare l’angolo opposto del vicolo. Erano operativi.

Quattro per l’esattezza e si muovevano come se stessero aspettandosi un attacco.

“O merda!”

Qualsiasi cosa potesse attaccare quattro operativi armati di mitra era pericolosa.

“Giusto la mia fortuna.”

David si chiese se fosse meglio allontanarsi il prima possibile. Che quella sorveglianza fosse terribilmente pericolosa era ovvio. Ma l’Ombra non voleva scappare così, a mani vuote. Odiava il pensiero di dover rinunciare al comodo e caldo ufficio.

Rimase un attimo immobile a contemplare le sue possibilità.

Poi l’inferno scoppiò in terra.

Un’ombra nera apparve dal nulla tra gli operativi, apparentemente cadendo dal cielo.

David seguì la scena con un misto di orrore, paura e strana attrazione.

Durò meno di cinque secondi. Vide cadere i quattro operativi come se fossero stati burattini ai quali avevano tagliato i fili.

La cosa più spaventosa era la completa assenza di rumori.

Non un urlo, non un lamento.

La cosa, perché chiunque potesse muoversi così velocemente non poteva essere umano, si abbassò verso i cadaveri sfilando ad uno di essi la giacca.

Per la prima volta David la vide in faccia, il passamontagna stracciato attorno al collo, effettivamente inutilizzabile.

Fu difficile credere ai propri occhi.

Quella era la cacciatrice.

La cacciatrice morta.

“Oh cazzo.”

Non era sicuramente questo il genere di informazioni che David era venuto a cercare oggi. Lui voleva una bomba per assicurarsi un posto dietro una scrivania, non un dannato ordigno nucleare fra le mani.

Lo specchio cominciò a tremare incrollabilmente fino a che gli cadde dalle mani, l’uomo ne seguì il volo, affascinato, fino a quando non si infranse sul marciapiede.

“Sette anni di sfortuna.”

David scosse la testa per schiarirsi le idee.

“Prima cosa: mi devo allontanare da qui.”

Si incamminò senza voltarsi indietro. Quando raggiunse la fine dell’isolato aveva deciso il da farsi. Arrivato a casa avrebbe contattato il direttamente l’osservatore anziano responsabile delle ombre e gli avrebbe venduto l’informazione per un posto come capo ufficio di una qualche inutile sezione dove potesse aspettare comodamente la pensione. Quello che avrebbe fatto od ottenuto lui con la notizia non gli interessava affatto.

Sorrise.

Alla fine quella mattinata non era andata a finire poi così male.

Senza accorgersene andò a sbattere contro un altro passante appena uscito da un vicolo.

-Mi scusi.

Disse a bassa voce proseguendo per la sua strada.

-Ma si figuri.

Gli venne risposto cortesemente anche se un po’ freddamente.

Poi David si ritrovò schiacciato contro la parete di un edificio a qualche centimetro da terra con una mano stretta attorno alla gola. Si sentiva soffocare.

Tentò di dibattersi ancora scioccato dal ritrovarsi in una tale posizione, mentre il cervello gli mandava i primi disperati segnali che l’ossigeno non stava più arrivando ai polmoni. Portò entrambe le mani alla gola facendo forza sulle dita che erano piantate nella sua carne per cercare di liberarsi.

La presa non cedette di un millimetro.

Sembrava acciaio.

Finalmente, dopo interminabili attimi di puro panico, David riuscì a mettere a fuoco il volto di chi lo aveva aggredito.

Sbiancò.

Le pupille gli si allargarono quasi a coprire l’intera iride quando riconobbe l’aggressore.

La cacciatrice.

“Sono morto.”

Fu il suo ultimo pensiero coerente. Faith stava lì, davanti a lui, con un freddo sorrisino sulle labbra, completamente calma. David non voleva crederci, lei non lo aveva visto. Come aveva potuto raggiungerlo allora?

-Shh, è inutile che ti dibatti, ok?

Lo disse come se dovesse essere rassicurante. David si immobilizzò ma lo fece a causa del terrore, più per la supposta assicurazione che dovevano essere le parole.

Sentì le forze che lo abbandonavano e riprese istintivamente a scalciare tentando ancora di liberarsi.

Inutilmente.

Faith lo vide perdere conoscenza e poi morire.

Non poteva lasciarlo andare, non dopo che l’aveva vista commettere quattro omicidi senza passamontagna. Era troppo pericoloso.

Si era accorta della sua presenza quando aveva sentito un rumore all’estremità del vicolo, una volta finito di neutralizzare gli operativi. Aveva dovuto decidere in fretta se rischiare o no di essere scoperta.

Non ci aveva dovuto pensare troppo.

Aveva notato lo specchio infranto a terra ed aveva saputo da subito che non era stata un cosa casuale. La sorvegliavano, o sorvegliavano gli operativi. Il che faceva lo stesso.

Lo perquisì.

Con sé aveva giusto chiavi, portafoglio e cellulare.

Qualche banconota, una carta di credito ed i documenti di identità che lo dichiaravano un cittadino americano, nulla di interessante. Se li mise in tasca.

Il cellulare al contrario era ricco di sorprese.

Il registro delle chiamate fu illuminante.

Faith conosceva a memoria molti di quei numeri. Si trattava di linee del Concilio degli osservatori. Erano facili da riconoscere, per qualche motivo gli osservatori si erano fatti riservare una serie di numeri speciali con un prefisso a cui andavano aggiunte le estensioni dei vari dipartimenti ed uffici. Facili da ricordare per chi li componeva e ma anche facili da riconoscere.

La cacciatrice controllò le chiamate in uscita, nell’ultima ora non ne erano state fatte.

“Perfetto. Il segreto di quello che ha visto  muore qui.”

 

 

Il cellulare di Tara squillò nuovamente, svegliando Willow prima che la bionda riuscisse a rispondere.

-Si?

Disse una volta fatto scattare lo sportellino. Willow si mise a sedere ancora mezza addormentata passandosi le mani fra i capelli.

-Tara sono io. –Replicò Faith. –Senti, mi trovo sulle scale... vieni da sola per cortesia, dobbiamo parlare.

La bionda chiuse la telefonata e rivolse un sorriso alla propria ragazza e all’osservatore che la stava guardando con interesse malcelato da oltre il tavolo della cucina a qualche metro di distanza.

-E’ mia cugina. E’ qui fuori sul pianerottolo. Vado a parlarle.

Disse Tara mentre si alzava dal divano e si dava una sistemata a pantaloni e maglione abbondantemente spiegazzati dopo la notte passata alla meno peggio, in una posizione non troppo confortevole come la sua schiena le ricordò non appena fu in piedi.

-Vengo con te.

Si offrirono contemporaneamente gli altri due.

Tara li guardò con un mezzo sorriso sulle labbra mentre rifiutava cortesemente.

-Nah, non c’è bisogno, arrivo solo fino al pianerottolo, niente di particolare.

Willow annuì un po’ scontenta alla risposta ma accentandola comunque. Aveva veramente voglia di conoscere la misteriosa cugina della bionda e sapere qualcosa di più su di lei visto che Tara ne aveva parlato così poco.

-Magari la posso incontrare un'altra volta? Insomma è l’unico membro della tua famiglia… l’unico membro a cui parli intendo dire… e la voglio conoscere… va bene? …insomma per te lei è importante… è di famiglia…

Chiese confusamente Willow. Tara annuì e sorrise alle parole della ragazza.

-Certamente. Probabilmente vorrà solo evitare di conoscerti in questo momento mentre qualcuno ci da la caccia, lei è fatta così. –Aggiunse con una scrollata di spalle. –Ok?

-Ok.

Rispose Willow convinta e rassicurata dalle parole della bionda.

Ma durante la breve conversazione con la fidanzata Tara non aveva potuto fare a meno di notare come Giles avesse smesso di tentare di preparare il tè e la stesse fissando quasi sospettoso alle sue parole. Non sembrava convinto della cosa. Ancora una volta Tara ebbe la netta sensazione che l’osservatore sapeva più di quanto avesse detto di questa storia. E la bionda non apprezzava la gente che le mentiva. Soprattutto in qualcosa di così serio che avrebbe potuto tranquillamente portare alla loro morte.

-Ma possiamo fidarci?

Chiese scettico Giles, chiaramente intendendo che non potevano farlo. Era nervoso e Tara aveva sempre più la certezza che stesse nascondendo qualcosa. Ma sapendo che chiedergli qualcosa non avrebbe fatto altro che renderlo ancora più paranoico sulla questione, non disse nulla, limitandosi a replicare in modo cortese alle sue insinuazioni.

-E’ mia cugina.

-Sarà…

Disse l’osservatore, riprendendo a trafficare nella cucina stizzito. Era spaventato. Cosa sarebbe successo se questa supposta amica li avesse traditi? Le squadre del Concilio gli sarebbero state addosso in meno di un’ora.

“E ieri sera, quando ho chiamato alla sede centrale mi hanno detto che Miss Marlin non c’era e che non sapevano quando sarebbe tornata.”

Non c’erano altri a cui si potesse rivolgere e sinceramente non sapeva che altro fare oltre ad aspettare e a pregare che la dirigente o Buffy tornassero. Lo irritava pensare che una ragazzina incapace come Tara credesse di poter risolvere questa faccenda, coinvolgendo per di più altri che non c’entravano niente. Erano in pochi quelli che potevano battere una squadra di operativi, e l’unico modo per fermarli era appunto ucciderli, perché non rispettavano altra autorità se non quella degli osservatori.

Era una cosa pericolosa da fare coinvolgere degli ‘esterni’ negli affari del Concilio. C’erano delle ferree regole contro questa linea di condotta, regole che se non rispettate non procuravano al trasgressore nient’altro che più problemi di quanti ne avesse prima.

“Maledetta idiota.”

Proprio non avevano bisogno di altri problemi al momento.

Seccata dalla risposta dell’uomo quanto dl suo atteggiamento, Tara andò alla porta e uscì sul pianerottolo, lanciando un’occhiata significativa a Giles quando l’uomo, seguendola, raggiunse la soglia dell’appartamento, presto raggiunto da Willow.

Ignorando i due spettatori, la bionda raggiunse Faith, che si era fermata in cima alla tromba delle scale.

La cacciatrice fece un cenno di saluto con la mano a Giles e a Willow, che aspettavano ansiosi sulla soglia dell’appartamento in fondo la corridoio, prima di augurare il buongiorno a Tara che replicò alle parole con un sorriso.

-E’ tutto sistemato.

Esordì Faith a bassa voce quando la bionda si fermò a qualche passo, effettivamente mantenendo la loro conversazione privata.

La cacciatrice notò come l’osservatore la stesse studiando attentamente, con insistenza, a partire dal passamontagna sul volto, per passare alle grandi spalle, arrivare alla giacca con la scritta della polizia e proseguire notando la fondina per la Beretta.

-Sei ferita. –Replicò Tara, sapendo perfettamente di non chiedere cosa fosse accaduto a chiunque li avesse attaccati. Era facile immaginarlo del resto e non le interessava affatto. La cosa le stava bene. Al momento era ben più importate sapere se Faith avesse bisogno di aiuto o meno che quale tipo di morte avessero incontrato un gruppo di sconosciuti. Egoista? Certo, ma Tara non si faceva molte remore quando si trattava di proteggere sé o la sua famiglia. Vero non avrebbe mai ucciso se non come ultima risorsa, ma se si fosse reso necessario non si sarebbe tirata indietro. –Come stai?

-Niente di grave, un taglio al braccio. Guarirà in qualche giorno.

La bionda annuì accettando la risposta. Faith non avrebbe potuto nasconderle il dolore procurato da una ferita grave.

-Cosa dico a Giles? E’ sospettoso nei tuoi confronti.

Faith lanciò un’altra occhiata alla porta. Willow la guardava con curiosità, uno sguardo sinceramente amichevole. “Strano vederle rivolgere uno sguardo del genere a me”. D’altra parte Giles la guarda con sospetto misto a paura dopo aver notato la pistola.

-Cosa gli hai detto per spiegare la mia presenza qui?

Si informò la cacciatrice.

-Beh, che sei un agente sottocopertura della polizia…oltre ad essere mia cugina, ovviamente. –Tara rivolse un sorriso divertito a Faith immaginando la faccia che doveva avere sotto il passamontagna. “Un peccato non vederla… le espressioni sconvolte di Faith sono veramente esilaranti.”

-Cugine, eh?

Ripeté Faith, divertita.

-Già, cugine. –Confermò Tara, sorridendo. –Da parte di madre ovviamente…

Continuò, rassicurando scherzosamente la mora.

-Ovviamente…

Replicò la cacciatrice.

-Sembra che avessi ragione alla fine.

Osservò la bionda indicando il travestimento di Faith. La cacciatrice annuì, sollevata alla buona copertura inventata da Tara.

-Continua la cosa e digli che sono stati arrestati e che saranno interrogati.

-Ok. –Ci fu un attimo di pausa mentre la bionda dava un’altra occhiata ai vestiti della cacciatrice. –Faith? –Chiese poi, perplessa.

-Si?

Tara indicò verso il basso, trattenendo a stento una risata.

-Perché sei in calzini?

Faith scoppiò a ridere scaricando la tensione della mattinata.

“E che inferno di mattinata.”

Doveva fare proprio un’impressione con passamontagna, giubbotto antiproiettile, giacca della polizia e pistola ma senza scarpe.

Non ci aveva proprio pensato a rimettersi le scarpe prima di venire qui a parlare con Tara. Aveva pensato a far scomparire tutte le tracce della lotta nel vicolo e nel corridoio assieme ai cadaveri. Era stato un lavoro pesante sistemare tutto con la spalla ferita, ma lo aveva dovuto fare ugualmente in fretta. Il pericolo di essere vista, o che qualcuno notasse finalmente qualcosa, aumentava esponenzialmente a mano a mano che la gente si svegliava per andare in ufficio. E visto che si era trovata nell’edificio, era andata ad avvertire i tre che tutto era a posto.

-E’ una lunga storia. Comunque andrò a riprendermi le scarpe, non ti preoccupare. Ci tengo a quegli anfibi… –Tra l’altro doveva ancora sistemare il tetto e recuperare i propri coltelli. Lo aveva lasciato per ultimo. Era il posto in cui era meno probabile che la gente sarebbe capitata per errore. –E tra l’altro fa decisamente troppo freddo per andare scalzi.

Ora che lo aveva detto notò che in effetti i piedi erano indolenziti oltre ad essere praticamente congelati. Anche Tara scoppiò a ridere non riuscendo più a trattenersi. Giles e Willow le guardarono incuriositi, non sapendo perché fossero improvvisamente scoppiate a ridere, visto che da dove si trovavano loro non si potevano vedere i piedi della cacciatrice.

-Non ci voglio neanche credere che sei andata in giro per tutta la mattinata scalza, girando chissà dove... –Scosse la testa, un po’ incredula e ricominciò a ridere. Avevano bisogno entrambe di scaricare la tensione ed anche una cosa così stupida al momento era abbastanza divertente da farle ridere. trmbe possibile da Giles, almeno fino a che non ritorna Buffy. della polizia. di più su come avrebbe fatto a tQualche secondo dopo essersi calmate, Tara proseguì. –Suppongo che tu debba andare. Prenditi cura di te Faith. D’accordo?

-D’accordo. –Replicò Faith, non disturbandosi a negare il fatto che doveva andarsene in fretta da lì. Tara sapeva i rischi che stava correndo l’altra semplicemente nell’essere tornata a Sunnydale. –Tu fa attenzione a Willow e a te, ok? E tieniti lontana il più possibile da Giles, almeno fino a che non ritorna Buffy o fino a quando questa faccenda non sia risolta.

Tara abbracciò Faith, facendo attenzione a non stringerla troppo, non sapendo quale delle due spalle fosse ferita.

-Ci sentiamo presto.

Le disse mentre la lasciava andare.

-Chiamami quando vuoi. –Replicò la cacciatrice, facendo per allontanarsi. –Sono ufficialmente in ferie…

Aggiunse scherzando.

-Faith.

La richiamò dopo un attimo Tara.

-Si?

Disse la cacciatrice girandosi nuovamente verso la bionda. Si fissarono per qualche secondo senza dire niente.

-Grazie.

Replicò sinceramente Tara. Faith fece un mezzo sorriso, rispondendo altrettanto seriamente.

-Per la famiglia questo ed altro. A presto cugina.

Con questo Faith si girò e cominciò a scendere le scale mentre Tara tornava dalla sua ragazza per darle le buone notizie, con un sorriso in faccia che non se ne sarebbe andato abbastanza presto.

 

 

 

In volo sull’Atlantico. Venerdì 28.

 

 

 

 

Buffy non ricordava.

Appoggiò la nuca contro il poggiatesta del sedie e sprofondò un po’ di più nello schienale. Chiuse gli occhi e rimase a pensare per lunghi minuti.

Non ricordava come fosse salita su quell’aereo, non ricordava la fila all’imbarco, né quella al check-in, non aveva neppure la più pallida idea di come fosse arrivata all’aeroporto. Degli ultimi giorni non aveva ricordi, assolutamente nessuno.

Non sapeva neppure che giorno fosse oggi, in realtà.

Si passò la mano sugli occhi. Era stanca, molto stanca, ma non fisicamente, almeno non solo.

Era una stanchezza, una spossatezza interiore.

Come se avesse perso qualcosa di importante.

Anche se al momento non ricordava cosa.

Era come se si fosse appena svegliata da un sonno troppo profondo e senza sogni, di quelli che uno ha durante una malattia, quando ti svegli senza capire dove sei o cosa sia successo, completamente spaesato. La sensazione era proprio quella.

Buffy dubitava di aver mangiato recentemente, il suo stomaco era decisamente vuoto e dava la sensazione di esserlo da parecchio tempo. Quanto… quanto, dovevano essere passati giorni, due, forse tre.

Le tornarono in mente vaghi ricordi di lei piegata sul pavimento del bagno, “che fosse la mia camera d’albergo?”, vomitando convulsamente per poi rimanere lì immobile, sdraiata sulle piastrelle fredde e lucide, le mani contratte da spasmi.

Poi un altro flash di lei seduta sul letto a fissare la parete di una stanza per quello che poteva essere stato un minuto od ore. “Giorni forse?” Il riecheggiare lontano, irrilevante, del trillo del telefono, a lungo, insistente, fastidioso senza un motivo per esserlo.

 La sua prima memoria chiara era quella della tazza di caffé che teneva stretta nelle mani.

Come se si fosse risvegliata in quel momento. Buffy l’aveva osservata con curiosità per qualche secondo, chiedendosi perché fosse lì, e da quanto. L’aveva bevuta, giusto perché non sapeva cosa altro farne. Aveva avuto la sensazione di non voler ricordare quanto era accaduto, che fosse meglio così.

Così si era concentrata sul presente, cercando di focalizzare dove si trovasse. La cabina di un aereo. Quello non era stato difficile da capire. Aveva chiesto al vicino dove si trovassero, accorgendosi con sorpresa di quanto roca fosse la sua voce.

“Troppo uso o troppo poco?”.

L’uomo le aveva risposto che erano sull’Atlantico a due ore da New York, poi era tornato a leggere il giornale.

Sembrava che stesse tornando a casa.

“Casa? Io non ho più una casa”.

Strano pensiero che si era affacciato improvviso. Quasi alieno.

Si sarebbe dovuta chiedere perché, ma si sentiva stanca e svuotata. Non voleva saperlo. “Probabilmente non sarà neppure importante….” Il suo cervello ragionava come se immerso nella melassa. Erano pensieri oziosi, irrilevanti, quasi inconsci. Seguiva tutto con distaccata serenità.

“Ormai non ha più importanza. Seguirò la corrente, mi porterà da qualche parte”.

Non le importava. Non più. Sarebbe sbarcata a Sunnydale, tornata nella sua stanza del campus ed aspettato il seguente evento. Senza preoccupazioni.

Nessuna preoccupazione.

Sorrise, ora non aveva più preoccupazioni.

 

Cornovaglia, Inghilterra. Concilio degli Osservatori. Venerdì 28.

 

 

 

Marlin superò la soglia del Concilio con il solito passo deciso, vestita impeccabilmente e con la solita valigetta porta documenti. Si girò verso il posto di guardia, dove erano stazionati ventiquattro ore su ventiquattro due operativi, alla scopo di sorvegliare l’ingresso principale. Nessuno di loro fu stupito dal suo arrivo all’improbabile orario, quando ormai la maggior parte degli Osservatori era appena andata a casa per il week-end o stava per farlo. Magdalene era nota a tutti per i suoi orari estremamente flessibili e le sue lunghe giornate di lavoro.

Si diceva in giro che lavorasse più a lungo dei nuovi associati degli studi legali di New York. Per lei una settimana lavorativa di settanta ora era la norma più che l’eccezione.

Invece di salutarli con un cenno del capo, od un gesto della mano, come al solito, Marlin alzò la pistola automatica che teneva al fianco e li freddò con due colpi precisi alla testa. Le ore passate al poligono di tiro ogni settimana, per allenarsi e distendersi dallo stress accumulato, avevano dato i lori frutti più di una volta.

-Libero.

Disse al microfono.

Alla sua comunicazione, un gruppo di commando vestiti di nero, armati di uzi compatte e protetti da giubbotti antiproiettile, la circondò, comparendo dal nulla o quasi.

Marlin scambiò un cenno di intesa con il comandante dell’unità, che fece segno ai suoi uomini di distribuirsi nei punti di accesso della sala, deserta come previsto.

Come era normale per le otto del venerdì sera.

Magdalene osservò con soddisfazione la professionalità e la rapidità che i mercenari mostrarono. Ingaggiarli le era costato molto, una cifra con veramente moli zeri, ma erano tra i migliori nel loro campo, e per un’azione simile Marlin non aveva voluto badare a spese.

Non accadeva tutti i giorni di assaltare ed occupare la sede centrale del Concilio degli Osservatori.

“Un’occasione speciale.”

Pensò con sarcasmo.

Per Quentin lo era sicuramente. Non smetteva di sorridere da quando aveva stretto il loro accordo.

“Sorridere per quanto ne è capace, la maggior parte della gente la definirebbe una smorfia di dolore, od un rictus più che un sorriso.”

C’erano volute ore di contrattazione, decine di compromessi per formulare una linea di azione che li soddisfacesse entrambi. Avevano scoperto con piacere, di essere ben assortiti per organizzare una cosa simile. Travers poteva contare su buona parte degli operativi oltre che sui suoi contatti, mentre Magdalene aveva il denaro necessario a finanziare l’impresa oltre ad alcune, fondamentali perché strategiche, amicizie, che sarebbero state necessarie dopo.

Il denaro era stato indispensabile per assoldare efficienti squadre di mercenari e lo sarebbe stato per convincere gli osservatori indecisi a schierarsi dalla loro parte una volta acquisito il potere de facto sul Concilio.

Senza bisogno di altri ordini da parte del loro comandante, due commando si piazzarono davanti agli ascensori. Quattro si divisero il compito di sorvegliare i corridoi che si aprivano sulla destra, altrettanti si disposero sulla sinistra.

Qualche secondo e furono raggiunti da un’altra gruppo, seguito da Travers.

L’unico a non avere una pistola in mano. Non che Marlin dubitasse che l’altro ne avesse una o che indossasse anche lui un giubbotto antiproiettile, semplicemente l’aveva lasciata nella fondina. Del resto Quentin preferiva ordinare o causare una morte, non gli era mai piaciuto uccidere di propria mano.

Anche se la cosa non gli creava il minimo problema, come aveva detto lui stesso a Magdalene anni prima, quando si era reso conto che lei avrebbe veramente reclamato la sua vendetta.

Era stata una minaccia, e aveva voluto essere una rivelazione scioccante.

Marlin lo aveva fissato per un istante negli occhi e gli aveva detto che era stata sicura che lui fosse capace di cose simile il giorno stesso in cui aveva dichiarato inabile la sua cacciatrice, Lene. Dopo, sorridendo, lo aveva informato che neanche lei aveva il minimo problema ad uccidere a sangue freddo.

Le era quasi venuto da ridere, e non sarebbe stata una risata divertita, ricordando che era stata lei stessa ad uccidere Lene, con un colpo di pistola alla nuca.

Il suo primo omicidio a sangue freddo.

Dirgli quanto era successo veramente in Norvegia venti anni prima, non le aveva neanche sfiorato la mente.

Marlin non aveva mai confessato un crimine commesso. E non avrebbe iniziato soltanto per avere l’ultima parola in un inutile scambio di battute, per mostrare che anche lei aveva il fegato di macellare delle persone. Era un gioco pericoloso oltre ad essere stupido.

Del resto, allora come oggi, era convinta che essere sottovalutata da un avversario fosse quanto di meglio potesse capitare in uno scontro.

Magdalene accantonò la linea di pensiero per girarsi ed incrociare lo sguardo di Travers.

Si scambiarono un cenno del capo prima di avvicinarsi per fare il punto della situazione.

A Marlin era capitato il compito di accompagnare la prima squadra all’interno dell’edificio, e di liberarsi delle guardie in prima persona, mentre Quentin rimaneva dietro, con la seconda, al sicuro all’interno del perimetro che già controllavano assieme ad una squadra di mercenari per assicurarsi l’effettiva fedeltà degli operati che erano passati dalla loro parte.

La cosa non aveva disturbato particolarmente Magdalene nonostante le fosse capitata la parte più pericolosa.

Era stata la scelta più logica.

L’improvvisa comparsa di Travers avrebbe potuto destare sospetti nelle guardie. La sua no. E del resto le persone con cui stava lavorando le aveva scelte ed assoldate lei stessa. Le erano fedeli.

“Almeno fino al termine del contratto.”

Di comune accordo, per formare i due gruppi che avrebbero dovuto concretamente irrompere all’interno del Concilio, Marlin e Travers avevano deciso di utilizzare i mercenari assoldati, piuttosto che gli operativi delle squadre fedeli ad uno di loro due. Ordinargli di uccidere quelli che erano stati loro colleghi, a volte anche per anni, se non amici, era sembrato ad entrambi un rischio inutile.

Facendo qualche pressione, usando i loro contatti e riscuotendo alcuni favori, le quattro squadre loro fedeli erano state opportunamente assegnate tra quelle in servizio quest’oggi.

Così, un’unità fidata di Quentin aveva preso la sala controllo. Le altre tre stavano al momento sorvegliando il perimetro esterno per evitare sia irruzioni che fughe.

La rimanente, di quelle assegnate all’esterno per il pattugliamento notturno non avrebbe più potuto creare problemi. Era stata eliminata in fretta e con efficacia dai mercenari assoldati da Travers.

-Un buon lavoro.

Commentò Travers, notando le due guardie. Una di loro era riversa sul bancone che aveva di fronte, in una posa drammatica, quasi ad effetto,con un braccio sotto il torace ed il secondo allungato verso terra. La seconda non aveva neanche fatto in tempo ad alzarsi dalla sedia.

Marlin ignorò il commento e si limitò a ricordare la loro prossima mossa.

-Dobbiamo eliminare ancora le altre squadre rimanenti.

Quelle che non erano di turno quella notte ma che comunque si trovavano nella sede. Era insieme una benedizione ed una maledizione il fatto che la maggior parte delle squadre fosse presente. Da una parte le squadre loro fedeli erano tutte lì, dall’altra il numero di operativi capaci di reagire ad un tale assalto era alto, tanto che un minimo errore sarebbe potuto essere fatale alla forza attaccante.

-D’accordo. Manderò i miei mercenari.

Propose Travers.

-Non basteranno se qualcosa va storto. –Gli fece notare Marlin. Quelli che dovevano affrontare erano soldati esperti, che, anche se presi di sorpresa, al minimo errore avrebbero opposto una strenue resistenza agli invasori. –Prendi anche i miei e fagli presidiare le uscite degli alloggiamenti. Saranno pronti in caso ti servissero dei rinforzi.

-Va bene, Magdalene.

Travers fece cenno ai mercenari di seguirlo verso gli alloggi degli operativi. Qualche secondo e il gruppo di persone scomparve silenziosamente in uno dei corridoi.

Rimasta sola, Marlin pensò a quanto dovevano fare una volta acquisito il controllo del concilio. Lì sarebbe cominciato il vero lavoro. In realtà più che lavoro saprebbe stato meglio dire miracolo. Perché dove la loro pianificazione della arte puramente logistica e militare di questa azione era stata a dir poco perfetta, quella politica era molto, molto, lontana dall’esserlo.

“Diavolo, dire che la nostra motivazione per questa invasione è una buffonata è un blando eufemismo.”

Erano lì per appellarsi ad un cavillo scritto più di cinquecento anni fa.

Qualcosa di piuttosto nebuloso, e soggetto a miriadi di possibili interpretazioni, a riguardo del ruolo che i Supervisori di Zona poteva assumere come sostituti dirigenti.

 “Probabilmente avremmo più fortuna e credibilità nel sostenere che il documento con cui Miller ha nominato Delegato Speciale per l’Oceania Delmundo non è valido a causa di una firma mal posta.”

L’unica vera forza dietro le loro affermazioni erano due gruppi di mercenari e quattro squadre di operativi. Lo sapevano loro, e lo avrebbero saputo tutti gli altri.

Non era una situazione ideale.

Affatto.

Una volta acquisito il controllo del Concilio, avrebbero dovuto cercare Custode degli Archivi o meglio ancora Sommo Sapiente e depositare tale denuncia. Effettivamente destituendo immediatamente Miller per illecito.

In caso fosse stata accettata.

Eventualità assicurata grazie al piccolo particolare costituito dal fatto che avevano di fatto occupato militarmente l’intero concilio. Non c’era molto che gli altri osservatori non avrebbero concesso a Marlin e Travers in una situazione tale.

Quello che avevano fatto era ne più ne meno di un colpo di stato.

“Od almeno stiamo tentando di farlo.”

Erano pericolosamente vicini allo scatenare una guerra civile totale nel Concilio, quanto meno una faida. Se fosse accaduto si sarebbe veramente scatenato il caos. Le varie fazioni si sarebbero alleate con una parte o con l’altra, formando degli schieramenti più o meno stabili. Altri mercenari sarebbero stati assoldati e gli operativi superstiti sarebbero stati rintracciati e “arruolati” da una delle due parti. Gli osservatori comuni, sia Giovani che Anziani, avrebbero cominciato a morire, uccisi sia per terrorizzare la parte avversa che per indebolirla, mentre i capo fazione sarebbero stati troppo protetti per essere colpiti ed in caso prontamente sostituiti da altre persone avide di potere.

E alla fine di questo massacro interno, vecchi nemici ed avvoltoi si sarebbero avvicinati alla carcassa di quello che era stato il Concilio degli Osservatori, ormai incapace di difendersi, ed avrebbero provveduto a spolparlo.

Al meglio da una situazione simile sarebbe uscito un Concilio fortemente ridimensionato, al peggio non ne sarebbe più esistito alcuno.

Questa faida non sarebbe convenuta a nessuno, ma ugualmente nessuno avrebbe rinunciato sorridendo alla propria posizione ed al proprio potere. Di certo non era né negli interessi né nei piani di Marlin e Travers. Loro volevano solo cambiare i capofila, non dare vita ad una guerra.

Per questo la parte più importante di questa azione si sarebbe svolta dopo l’azione.

“Come capita spesso…”

Avrebbero dovuto far attenzione ed evitare che le cose degenerassero.

Sarebbe bastato poco a scatenare una guerra. Ma con un po’ di fortuna la transizione sarebbe andata a buon fine e soltanto poche teste sarebbero rotolate. Marlin era moderatamente fiduciosa della possibilità di ricomprare il favore o la neutralità degli altri, con denaro, incarichi o favori.

Un movimento improvviso, appena all’estremità del suo campo visivo, attirò l’attenzione di Marlin sottraendola ai suoi pensieri.

La donna si voltò.

Ora, di fronte a lei, all’estremità del corridoio che conduceva in biblioteca si trovava Elinore Maranda, un’Osservatrice Anziana, strenua sostenitrice di Miller. Una cinquantenne Conservatrice fanatica, con un incarico noioso senza alcuno sbocco di carriera e senza la minima possibilità di diventare dirigente.

E l’occasione della sua vita davanti a sé.

Il problema era che si trovava lì con una pistola in mano, Magdalene nella sua linea di tiro ed un sorriso sul volto e Marlin non aveva abbastanza tempo per alzare al sua pistola prima che l’altra sparasse almeno uno o due colpi.

Se avesse deciso di sparare alla testa, Magdalene non avrebbe avuto scampo.

-Sei stata destituita. –Il sorriso le si allargò. –Giusto qualche ora fa. –Ci tenne ad informarla Elinore. –Il che significa che non sei più ospite gradita qui. Che non sei più nessuno. E che ho il diritto di ucciderti… e di certo non sei qui per raccogliere la tua roba, non con quella pistola…

Era stato sempre uno dei grandi difetti di Maranda il volersi sentire parlare, il dire troppo. Amava il suono della sua voce. Di certo la cosa non l’aveva resa popolare con Marlin. Primo perché non sopportava le persone prolisse e logorroiche, poi perché trovava la sua voce particolarmente sgradevole, simile com’era ad un gracchiare sgraziato.

Improvvisamente la donna cadde in ginocchio.

Si portò le mani al petto, lasciando cadere la propria arma mentre Marlin, cogliendo l’occasione, alzava la sua, sparandole una volta alla fronte, proprio tra gli occhi.

Maranda morì sul pavimento di marmo senza un lamento.

Dalla semioscurità del corridoio da cui era venuta Elinore apparve una seconda ombra, anch’essa armata di pistola.

Che così tanti osservatori girassero armati era il segno di quanto deteriorata fosse la situazione.

“La cosa può avere i suoi vantaggi.” Rifletté Marlin.“Nei periodi di crisi può essere sentita la necessità di una guida forte.”

Avrebbe dedicato più tempo a seguire quella linea di pensiero, per ora Magdalene si concentrò a tenere sottotiro l’ultima arrivata. Per quanto avesse sparato Maranda, in effetti salvandole la vita, la cosa non la faceva automaticamente sua amica.

Poteva aver eliminato Elinore tanto per interesse personale, quanto per aiutarla o per avere il piacere di far fuori in prima persona la famosa Marlin.

La riconobbe un istante dopo, non appena il suo volto uscì dalla penombra del corridoi per essere illuminato pienamente dalle luci della sala.

Joandra Degenhart.

La donna si limitò ad annuire una volta nella sua direzione mentre rimetteva la sua Smith & Wesson nella fondina che portava dietro la schiena.

Marlin la fissò, per un istante, senza dire nulla.

Annuì anche lei, una sola volta.

Il fantasma di un sorriso apparve sulle labbra di Joandra, poi la donna si girò e se ne andò, senza dire una parola, lasciando Marlin sola.

“Il suo sorriso non è cambiato.”

Pensò Magdalene, riponendo la propria pistola ed avviandosi verso l’ufficio di Miller, senza degnare di un altro sguardo il cadavere che giaceva scompostamente sul pavimento di marmo.

 

 

 

Aeroporto di Sunnydale. Venerdì 28.

 

 

 

Buffy superò i nastri dei bagagli senza degnarli nemmeno di un’occhiata. Non sapeva se avesse avuto con sé delle valigie al suo imbarco, ma di certo non le importava di riprendersele ora.

Voleva uscire di qui.

Semplicemente quello. Non sapeva neanche dove volesse andare, solo che non voleva più rimanere qui dentro. Le pareti cominciavano a soffocarla, anche se non provava più quel senso di claustrofobia opprimente che l’aveva assalita in aereo. I soffitti alti, gli spaziosi interni dell’aeroporto e l’uso massiccio di vetrate e pannelli trasparanti erano sufficienti a farla sentire meglio.

Superò l’area bagagli e si diresse verso l’uscita, mescolandosi con i primi passeggeri, persa nel proprio stupore. Durante le ultime ore di viaggio aveva cominciato a ricordare più in dettaglio quanto accaduto. Al momento nella sua memoria c’erano buchi, punti oscuri che non sapeva riempire, che non sapeva neppure se voleva riempire, ma era riuscita a ricordare abbastanza da capire cosa fosse successo, almeno a grandi linee.

Faceva ancora fatica a crederci.

No. No. Non voleva crederci.

Si sentiva emotivamente annichilita.

Pensava, ed anche razionalmente, ma non provava nulla.

La cosa la disturbava.

C’era quasi da ridere ad essere disturbati perché qualcosa, qualcosa di sconvolgente, non disturbava affatto.

Buffy sapeva che doveva provare qualcosa, qualche emozione forte, rabbia probabilmente, dolore, forse, certamente sorpresa, magari paura. Certamente incertezza.

Invece non sentiva niente.

Appena superato i cancelli dell’area di arrivo, varie persone salutarono parenti ed amici venuti a prenderli, dirigendosi verso di loro il più velocemente possibile, lasciando libero un corridoio centrale tra loro.

Buffy continuava a camminare.

Improvvisamente sentì qualcosa circondarla.

Si tese, stupita, immobilizzandosi.

Non era una minaccia, no, non la percepiva come tale, qualcosa dentro di lei riconobbe istintivamente che si trattava di una cosa perfettamente sicura. Nonostante questo la cacciatrice non sapeva bene cosa pensare delle due braccia che le cingevano il torso.

Al momento non voleva affrontare questa situazione, né alcun’altra se per questo. Se ne voleva andare, da tutto e da tutti, possibilmente anche da se stessa.

-Sei tornata! Si sei tornata!

Qualcuno la stava abbracciando festosamente come se fosse… ‘contenta’ di vederla. Buffy non sapeva come reagire alla cosa. Si sentiva leggermente infastidita dall’improvvisa limitazione della propria mobilità e dal fatto che non si stava più avvicinando all’uscita.

Willow la strinse un po’ di più, felice di rivedere la propria amica, presto raggiunta anche da Xander che abbracciò a propria volta con entusiasmo la cacciatrice. Giles, Tara e Anya stavano camminando verso il gruppo, ad un passo più sedato con dei sorrisi accondiscendenti sui loro volti.

“Devo uscire di qui, devo uscire di qui.”

Buffy non era spaventata dalle effusioni dei due. Non realmente, ma non le faceva piacere che le stessero così vicino. Non riusciva a capire perché non si allontanassero.

“Cosa vogliono da me?”

Li spinse indietro, non rudemente ma neppure gentilmente.

“Così va meglio.”

Adesso almeno riusciva a respirare liberamente ed a muoversi senza intralci.

-E’ bello rivederti Buff.

Disse Xander con un sorriso enorme sul viso mentre la lasciava andare dopo essere stato spinto via. “Probabilmente dovrà respirare anche lei.” Pensò, facendo un passo indietro contemporaneamente a Willow per lasciare alla cacciatrice un po’ di spazio.

-Ci sei mancata.

Aggiunse la rossa. Ed era vero. Sopravvivere alla terrorizzante esperienza di ieri senza sapere che Buffy era lì per salvarli, che anzi poteva essere in pericolo lei stessa era stato terribile. Non le era mai capitato una cosa simile, in qualsiasi situazione si fosse trovata, per quanto brutta, aveva sempre saputo che l’amica era lì fuori a cercarla. Lei, Xander e Giles.

Ed aveva fatto tutta la differenza.

Invece negli ultimi due giorni i suoi migliori amici non erano stati neppure in città, e Giles, sempre calmo, padrone della situazione, con una soluzione per tutto, era rimasto impietrito, oscillando tra l’essere aggressivo e l’essere reticente, quando Willow gli aveva chiesto indicazioni su cosa fare o spiegazioni su quanto stesse accadendo.

Era stata sconvolgente come esperienza.

“Fortunatamente Tara sapeva cosa fare.”

Pensò con un sorriso Willow, mentre stringeva una mano della cacciatrice per assicurarsi che fosse veramente lì. Era rassicurante la sua presenza.

-Eravamo preoccupati.

Disse Giles con un sorriso raggiungendoli. Non abbracciò Buffy, anche se voleva farlo. Inutile negarlo. Prima, quando aveva ricevuto la telefonata di Marlin, era stato uno dei momenti più felici della sua vita. Una delle persone che contavano di più per lui era sulla strada del ritorno. La sua stessa vita non era più in pericolo, glielo aveva assicurato Magdalene stessa.

L’osservatore sorrise. Non sapeva come la dirigente fosse riuscita a farlo reintegrare né come avesse ritrovato Buffy ma non gli importava. Era in profondo debito con Marlin e lo sapeva, ma non se ne preoccupava.

Era troppo felice e sollevato per farlo.

Nessuno fece caso al fatto che Buffy non aveva detto una parola da quando li aveva incontrati, né che non avesse un sorriso in faccia.

Nessuno tranne Tara.

Arrivata a meno di due metri dalla cacciatrice la bionda si fermò improvvisamente come se fosse andata a sbattere contro un muro. “E’… è terribile.” L’aura di Buffy praticamente assalì i suoi sensi, effettivamente respingendola con la sua violenza.

Tara rabbrividì. La cacciatrice non stava provando un’emozione, no, nulla di lontanamente simile. La bionda non sapeva esattamente cosa fosse. Non aveva mai “sentito” nulla del genere prima. Era come andare a sbattere contro una lastra di ghiaccio. Fredda, dura ed impenetrabile.

Dopo qualche attimo si accorse che c’era qualcosa sotto quella superficie. Rabbia, disperazione, paura.

Non riusciva a capire quanto profondi, quanto importanti potessero essere.

Queste emozioni erano state brutalmente intrappolate sotto questa superficie.

Ed alla prima crepa…

No, non voleva neppure immaginare cosa sarebbe potuto accadere.

Una cacciatrice in preda ad emozioni simili?

Un comportamento totalmente imprevedibile era il meglio che potesse scaturire da una situazione del genere.

Un cieca furia omicida, un’ipotesi non improbabile.

Tara sapeva solo una cosa per certo:

Era inquietante.

Veramente inquietante.

Rabbrividì nuovamente e non riuscì a costringersi a fare un passo oltre. Non voleva avvicinarsi a Buffy.

Non ora.

Né mai più se per questo.

Tara si chiese come gli altri non se ne accorgessero. Per quanto nessuno di loro fosse empatico tutti gli altri segnali che Buffy emanava erano terribilmente chiari. Tara notò con facilità la rigida postura del corpo e la tensione, la mancanza di sorriso e di parole. Quello che le piegava le labbra era più un rictus che altro. Il suo linguaggio corporeo gridava “lasciatemi stare” e tutti loro le si affollavano intorno.

La cacciatrice non era felice di vederli.

Affatto felice.

La bionda sentì qualcuno sfiorarla mentre le passava avanti.

“Anya.”

La ragazza si fece più avanti fino a raggiungere il gruppo di amici. Ora i quattro circondavano completamente Buffy festeggiandone il ritorno, dicendole quanto gli era mancata e contemporaneamente raccontandole quanto fosse accaduto in sua assenza. Le voci si sovrapponevano l’un l’altra in un allegro vociare.

Solo Tara rimaneva in disparte, gli occhi spalancati, terrorizzata da quanto potesse accadere. “Vorrei che Faith fosse qui...”

Il modo migliore per fermare una cacciatrice era un’altra cacciatrice.

“Od un proiettile al cervello…” come le aveva detto una volte la bruna.“…ma Faith non è qui, ed è stupido rimpiangere qualcosa che non posso cambiare.” Deglutendo nervosamente la bionda si avvicinò al gruppo fino a raggiungere Willow.

Aveva paura, molta paura.

Non c’era molto che potesse essere più pericoloso di una cacciatrice senza controllo.

E la bionda non sapeva cosa avrebbe potuto farla scattare.

Tra l’altro non credeva che al momento a Buffy importasse minimamente di uccidere o menomare chi le stava attorno se per qualche motivo lo avesse ritenuto necessario, o solamente comodo.

Tara aveva veramente paura che la sua vita terminasse lì, in un momento, il proprio corpo spezzato ed abbandonato con noncuranza sul linoleum di un aeroporto senza alcun motivo apparente.

Sapeva per certo di non voler fare una fine simile.

Tutti i suoi istinti primordiali, le dicevano di scappare ed allontanarsi immediatamente dal predatore che aveva di fronte, e di farlo il più velocemente possibile. Una piccola, razionale, parte la tenne immobile al suo posto. Non voleva allarmare la cacciatrice e certamente non avrebbe abbandonato lì Willow.

Deglutì nervosamente e fece un passo in avanti sentendosi una completa pazza per averlo fatto. Ma doveva portare in salvo anche la propria ragazza oltre se stessa.

Fece un altro passo.

Il suo istinto di sopravvivenza le urlava di scappare. Riuscì a controllarlo ancora per un momento.

Mentre si avvicinava Tara non si faceva illusioni. Non aveva alcun modo di fermare il predatore. Sapeva che se Buffy scattava non avrebbe potuto fare nulla. La cacciatrice era troppo veloce. E loro erano ampiamente nella sua portata.

Era nella sua portata da prima che cominciasse ad avvicinarsi.

Sarebbero morti tutti prima ancora di rendersene conto, se solo lei avesse voluto.

Tara sapeva fin troppo bene di cosa Faith potesse essere capace.

E così doveva essere Buffy.

Passando un braccio attorno alla vita della fidanzata, e poi un altro, la tirò gentilmente indietro, costringendo Willow a lasciare la mano della cacciatrice.

-Dai Will, lasciamo un po’ di spazio a Buffy, così la soffochiamo.

Riuscì a dirlo con un tono di voce vagamente normale nonostante la paura e la tensione. Sentiva l’adrenalina a mille scorrerle nelle vene.

La cacciatrice continuava a rimanere tesa, ma stranamente non allerta, notò con stupore Tara. Non volendo comunque rischiare fece un altro passo indietro tirandosi dietro la fidanzata. Voleva che Buffy avesse una via di fuga libera in caso si volesse allontanare. Forse in quel caso non si sarebbe aperta la strada con la forza.

Forse.

Nessuno degli altri si accorse di nulla. Willow si voltò verso di lei e sorrise felice. Tara non riuscì a restituire il gesto ma fortunatamente la rossa si era già nuovamente girata, lasciandosi trascinare un altro paio di passi indietro.

-Si, hai ragione. Meglio lasciarle un po’ di spazio.

Anche Anya tirò indietro Xander, approvando l’idea. Anche se non sapeva sulla situazione quanto ne sapeva Tara, aveva notato il comportamento della bionda, la sua cautela, e la conosceva abbastanza da fare quanto stava dicendo. Del resto al momento la cacciatrice non le sembrava particolarmente di buon’umore.

Incurante o ignorante di quanto stava accadendo attorno a lui, Giles condusse gentilmente Buffy a qualche metro di distanza in un luogo relativamente appartato, chiedendo con lo sguardo a tutti gli altri di dargli un attimo di privacy.

Vedendo i due allontanarsi Tara lasciò appena la presa attorno a Willow, stringendola nuovamente non appena si accorse che le mani le tremavano. Gentilmente piegò la testa in modo da poter sussurrare nell’orecchio della fidanzata la proposta di andare a prendere in un bar caffè per tutti. Un bisbiglio era tutto quello che era in grado di produrre ora che l’adrenalina stava scomparendo.

Il suggerimento trovò il completo accordo della rossa.

Questa volta, mentre le due ragazze si allontanavano verso il bar, il sorriso di Tara era sincero.

La cacciatrice seguì senza problemi l’osservatore, un po’ più rilassata ora che le altre persone si erano allontanate. Si fermò davanti a lui e lo guardò mentre si toglieva gli occhiali e li puliva nervosamente senza accennare a parlare.

Buffy lo osservava con moderata curiosità, come si osservano gli insetti fare qualcosa di interessante ma non particolarmente stupefacente. L’accoglienza che aveva ricevuto non l’aveva minimamente scossa dal suo torpore. Le sembrava ancora di star fluttuando in un accogliente nulla.

-Ti devo parlare. –Giles finì di ripulire i suoi occhiali con particolare cura, evitando di guardare negli occhi la cacciatrice. –Non so come dirtelo… veramente… vorrei ci fosse un altro modo…

Buffy lo guardava inespressiva, ma l’osservatore era troppo preso dalle lenti per notarlo. Temeva che la notizia che stava per dare l’avrebbe sconvolta e non voleva assistere alla scena.

-Non c’è un buon modo per dirlo… Faith è morta. –La ragazza sapeva vagamente che questo l’avrebbe resa felice fino a qualche giorno fa. Non riusciva a capire o a ricordare perché ma ora non aveva più quest’effetto. Lasciò che l’uomo proseguisse senza interromperlo. –Non è stata… non ne è stata chiamata un’altra… la linea di discendenza risiede nuovamente con te, Buffy. Sei la Prescelta. L’unica Prescelta.

Buffy lo guardò a lungo senza reagire. Giles immaginava fosse lo shock della notizia che le aveva appena dato. Attese paziente, aspettando che la ragazza assorbisse la novità.

“L’unica… una ragione… forse c’è una ragione… la mia esistenza non è solo un esperimento… ho un motivo di essere...  sono l’unica… nessuna altra… quindi…quindi… non posso essere un errore… non posso… la Prescelta… sono la Prescelta…”

Buffy sorrise al suo osservatore.

-Sono la Prescelta?

C’era un tono di stupore nella sua voce constatò Giles.

-Si, si Buffy. Sei di nuovo l’unica cacciatrice. Il mondo ha ancora bisogno d te. Sei l’unica che può proteggere l’umanità ora.

La ragazza si limitò ad annuire.

 

 

 

Cornovaglia, Inghilterra. Venerdì 28.

 

 

Angel si accostò alla parete silenzioso, aspettando pazientemente.

Se gli avessero detto anche solo la settimana prima, dove si sarebbe trovato oggi, non ci avrebbe creduto.

Del resto non avrebbe neanche immaginato che così tante cose potessero andare male in così poco tempo.

“Sembra quasi che io sia stato maledetto.”

Pensò sarcastico.

Sabato scorso, aveva lasciato l’appartamento di Eliza spiegandole che doveva andarsi ad incontrare a Marsiglia con l’intermediario che aveva parlato a nome suo con Spike, per regolare alcuni affari.

Tra le righe si intendeva ricompensa.

Si erano salutati da amici e si erano messi d’accordo per rimanere in contatto, in modo tale che l’immortale gli potesse comunicare il nome del responsabile dell’attacco a L.A. non appena avesse saputo qualcosa di  nuovo in proposito.

Tra le righe si intendeva ricompensa.

In realtà, Angel era andato immediatamente in Inghilterra per cercare di rintracciare personalmente Spike, visto che era ancora uccel di bosco e tutti i contatti del vampiro erano tornati una volta ancora a mani vuote.

Così, giovedì notte era andato nuovamente in uno dei pub demoniaci più “in” di Londra, per cercare informazioni sul suo childe, fortunatamente Spike non aveva mai creduto nella filosofia di tenere un basso profilo. Se era nei paraggi le “persone giuste”, lo sapevano. Il che era un’immensa fortuna. Perchè l’unico modo per controllare l’andirivieni di vampiri e creature demoniache era chiedere ad altri se li avessero visti od in casi particolari seguire le piste lasciate da stragi e distruzioni.

Questo perché, per ovvi motivi, nessuno o quasi di loro viaggiava con mezzi di trasporto umani, era improbabile che un demone di due metri con pelle blu e squame riuscisse a salire a bordo di un aereo. Inoltre la mancanza di vere identità, troppi ne si poteva e doveva assumere di alias, rendeva difficile rintracciare chiunque potesse passare per umano.

Il problema aggiuntivo del cercare un vampiro era proprio il fatto che erano una delle poche razze demoniache a poter passare per umani. Il che aggiungevano alle possibili residenze in zone  demoniache o comunque deserte o quasi, la maggior parte delle possibilità di ricovero aperte agli umani.

Probabilmente seguire le tracce di morte, distruzione, fama e denaro erano gli unici modi per trovare un vampiro.

Probabilmente questo diceva molto della loro razza e della loro cultura e di come si fosse sviluppata.

Angel non aveva né il tempo né la voglia di riflettere sull’argomento.

Senza fare domande era entrato nel pub, pagando un giro di birra a tutto il locale. Ci fu un applauso in suo onore. Che si trattasse di uomini o demoni quello era sempre il miglior modo per essere accettati.

Scolò il proprio bicchiere in meno di un minuto. Boccale vuoto, Angel aveva ordinato al bancone uno shot di Jack Daniel. Quello lo finì in un solo fiato. Era nervoso e preoccupato.

Non era riuscito a trovare Spike, nonostante avesse chiesto informazioni a tutte le sue solite fonti, senza contare che stava lavorando contro una scadenza che non conosceva. Ed in tutti gli anni che lo aveva conosciuto Angel aveva notato la straordinaria capacità del suo childe di andarsi a cacciare in enormi guai proprio durante questi suoi momenti di assenza.

Con un gesto chiese un secondo shot al barista e ne offrì un altro al demone Feres che gli stava seduto di fianco. Era una razza amichevole e probabilmente gli avrebbe dato le informazioni che cercava.

Attaccò discorso e gli ci volle solo una manciata di secondi per scoprire che Spike non era nei paraggi.

Generalmente era facile rintracciarlo.

Tra i capelli ossigenati, l’abitudine a frequentare assiduamente pub e locali ed il suo bisogno quasi patologi di essere il centro dell’attenzione, era facile che venisse notato e ricordato.

Eppure proprio ora, ora che era necessario rintracciarlo prima che potesse commetter un’enorme sciocchezza, Spike sembrava essere diventato invisibile.

“Hai fatto proprio un bel casino questa volta William. E neanche sai in che guai ci hai cacciato…”

Angel era rimasto ancora qualche minuto in quel locale prima di uscire e tornarsene in albergo. L’ennesimo vicolo cieco. Ormai aveva battuto a tappeto l’intera Londra, oltre all’aver messo in allerta tutti quelli che gli dovevano un favore nell’intera Inghilterra, senza contare tutti i mercenari a cui aveva promesso una ricompensa. Eppure non aveva avuto neppure un singolo risultato.

Il rumore di passi lo riportò al presente.

Se possibile si nascose ancora più nell’ombra.

Erano in due. Lo superarono chiacchierando senza accorgersi della sua presenza.

Angel allungò una mano e con una mossa esperta ruppe il collo dell’uomo più vicino a sé. Raggiunse l’altro prima ancora che il suo compagno cadesse a terra, avvertendolo che qualcosa non andava. Si trasformò e lo morse, mettendogli una mano sulla bocca per impedirgli di urlare. Qualche secondo ed anche lui era un cadavere.

“E con questi sono dieci… Non dovrei incontrarne molti altri prima di arrivare allo studio…”

Aveva deciso di fare una visita al Primo Osservatore appena uscito da quel pub.

Giovedì mattina Eliza lo aveva chiamato per fornirgli l’identità del mandante dell’attacco all’hotel. Non sorprendentemente era stato proprio Miller a dare l’ordine. Angel aveva ringraziato l’immortale per l’aiuto, dicendole che probabilmente non avrebbe agito prima di qualche giorno, un paio di settimane al massimo.

In fondo, le aveva spiegato, doveva prendere informazioni sul conto del Primo Osservatore, della sua dimora e del suo servizio di sicurezza prima di poter progettare un’impresa simile. In realtà, per raccogliere quelle informazioni ad Angel erano bastate due telefonate. Le ultime osservazioni le avrebbe fatte personalmente una volta sul posto.

Angel aveva detto a Eliza che gli ci sarebbero voluti giorni per progettare l’attacco semplicemente perché doveva ancora rintracciare Spike, e “convincerlo” a lasciare stare Faith. Quella era la sua priorità al momento. Impedire che si aprisse un’altra interminabile faida. Del resto, il vampiro era sicuro che il Primo Osservatore sarebbe rimasto esattamente dove si trovava anche se avesse dovuto rimandare tutto di settimane.

“Gli Osservatori non sono  mai stati granché con i cambiamenti.”

L’ennesimo insuccesso nel rintracciare Spike gli aveva fatto cambiare idea. Più tempo passava dall’ultimo avvistamento senza utili informazioni, o tracce da seguire, più diventava improbabile trovarlo.

E più tempo aveva di uccidere Faith e farli precipitare in quella che prometteva di essere una lunga faida.

Angel aveva realizzato che gli conveniva agire fintanto che Eliza era ancora dalla sua parte.

Così aveva cambiato le sue priorità, mettendo in cima alla lista il Primo Osservatore. Lo avrebbe eliminato il più presto possibile per poi potersi dedicare completamente alla ricerca di Spike. E prepararsi ad un’eventuale faida contro Eliza in caso non lo avesse fermato in tempo. In entrambi i casi per il prossimo futuro Spike sarebbe stato al sicuro, del resto se non era riuscito a trovarlo lui, era improbabile che ci riuscisse l’immortale.

Il che dava ad Angel qualche giorno per risolvere la situazione riguardo l’attacco di L.A.

Era stata una fortuna che Eliza gli avesse dato il nome del mandante e la zona in cui si trovava la residenza del Primo Osservatore, senza neanche un nome da cui cominciare sarebbe stato difficile per Angel riuscire a fare quanto voleva.

In effetti la segretezza attorno ai propri membri era una delle cose che rendevano più difficile l’eliminazione completa del Concilio degli Osservatori. Era raro che nel mondo demoniaco si sapessero i nomi, e tantomeno gli indirizzi, dei dirigenti. In realtà non si sapeva neanche quanti fossero esattamente. Molti, non troppi.

Si sapeva però che in caso di attacco ad uno di questi dirigenti l’intero Concilio si sarebbe adoperato per distruggere completamente il gruppo che aveva osato tanto. E gli operativi dell’organizzazione, quanto i cacciatori di demoni, erano cattivi clienti da avere. Soprattutto se si rivolgevano in massa contro di te. Eliminare una o due squadre di operativi non era impossibile. Avere l’intero esercito del Concilio contro di te era un’altra cosa. Il messaggio ai demoni era chiaro e lo era da secoli, era accettata la perdita di un osservatore, od anche di un buon numero di essi, bastava non toccare i dirigenti.

Il fatto che le loro identità fossero segrete non rendeva facile la cosa.

Angel, quando ancora era senza un’anima, aveva pensato a lungo alla questione.

L’unico modo per togliere di mezzo il Concilio probabilmente sarebbe stato quello di eliminare tutti i dirigenti e chiunque altro contasse, oltre a diminuire sensibilmente il numero di osservatori ed operativi rimasti, il tutto nel più breve tempo possibile. In quel caso, e solo in quel caso, il fatto che gli osservatori fossero notoriamente dispersi nel mondo sarebbe stato un vantaggio. Niente rapide reazioni, con un po’ di fortuna il disgregamento completo del Concilio, anche se questa era una remota possibilità secondo Angel.

 Insomma per riuscire nella cosa si sarebbero dovute avere molte informazioni dall’interno e una perfetta organizzazione nel portare avanti almeno una decina di attacchi diversi in maniera quasi contemporanea, alcuni dei quali con obbiettivi esatti, altri solo per mietere il numero più alto di vittime.

Non era una cosa facilissima.

E quando il Concilio aveva decretato che tentare di dare la caccia a lui ed alla sua famiglia era troppo pericoloso, Angel aveva accettato la tregua. E così era rimasto per secoli.

Con un po’ di fortuna, questo omicidio non sarebbe stato attribuito a lui, considerando la sua presunta morte e la distruzione di qualsiasi sistema di allarme e sorveglianza che aveva trovato fino ad ora.

Sarebbe rimasto un “caso irrisolto”.

Probabilmente gli Osservatori avrebbero rintracciato un qualche capro espiatorio e si sarebbero vendicati su esso.

Eliminate le due guardie, il vampiro continuò l’esplorazione della villa senza preoccuparsi di nascondere i cadaveri.

Probabilmente la doppia porta in mogano in fondo al corridoio in cui si trovava, era quella dello studio del Primo Osservatore. La luce filtrava da sotto, illuminando qualche centimetro di pavimento.

Angel si diresse da quella parte.

Entrando nella stanza notò immediatamente l’uomo dai capelli bianchi intento nel suo lavoro. L’altro non si accorse della sua presenza, continuando tranquillamente a leggere qualsiasi documento avesse davanti a sé. Il vampiro sorrise mentre si avvicinava, sfruttando con naturale facilità il riparo fornito dalle vaste zone d’ombra lasciate dalla luce prodotta dalla lampada sul piano della scrivania.

-Buonasera.

Miller alzò la testa di scatto, sorpreso.

-E lei chi sarebbe? E come si è permesso di entrare qui?

 L’uomo guardò irritato l’intruso improvvisamente comparso nel suo studio, senza avere idea di chi fosse. Angel si limitò a sorridergli senza rispondere alle domande mentre si avvicinava ancora di più verso di lui. Bastarono un paio di secondi perché il Primo Osservatore perdesse completamente la pazienza davanti a questo comportamento. La gente lo rispettava, lo temeva. Il vampiro non lo stava facendo e la cosa lo irritava enormemente.

-O mi risponde immediatamente o chiamo la sorveglianza.

-Sono tutti morti… -Lo informò lieve il vampiro continuando a sorridere come se stesse parlando del tempo.

Miller scattò in piedi, sempre più irritato ed un po’ spaventato ora. “Possibile che sia…”. Sapeva che prima o poi avrebbe pagato le sue scelte, ma perché doveva essere proprio questa sera e non magari tra uno o dieci anni?

-E così è finita.

Osservò con voce piatta l’uomo, cercando di controllare le proprie emozioni. Aveva paura ma non voleva mostrarlo. Per uscire da questa situazione, se c’era una speranza per farlo, doveva rimanere lucido.

-Si, probabilmente si.

Rispose il vampiro.

Miller annuì, come se la cosa non lo stupisse affatto. In un certo senso non lo faceva. Erano in molti a volerlo morto. Negli ultimi tempi molti di più.

-Immagino sia lei che ti mandi.

Il sopracciglio di Angel si inarcò.

-Lei?

“Che si riferisca a Eliza?”

L’idea lo disturbava. Odiava il pensiero di essere una marionetta inconsapevole di altri. Decise di scoprire di chi stesse parlando Miller prima di fare qualsiasi cosa.

-Si, lei. Non avrei mai dovuto dare a quella maledetta donna il posto di dirigente. Sapevo che prima o poi non sarei più riuscito a contenerla.

Replicò con voce atona il Primo Osservatore.

Angel si limitò a continuare a sorridere anche se quanto aveva detto l’osservatore l’aveva incuriosito e sollevato dal fatto che non stesse parlando di Eliza. Dubitava che l’immortale avrebbe rischiato ad infiltrasi nuovamente in una organizzazione come il Concilio. Anche se per escluderla del tutto avrebbe avuto bisogno di qualche elemento in più. Era interessante comunque sapere che Miller era convinto che esistesse un’eminenza grigia nel Concilio, qualcuno abbastanza forte da farlo fuori e scamparla. Decise di non parlare per dare al Primo Osservatore al possibilità di continuare.

-Anni fa, Marlin è apparsa dal nulla nel mio studio, in una notte come centinaia di altre… Un po’ come te. –Miller sorrise senza divertimento. –Mi disse che aveva la capacità di farmi diventare Primo Osservatore se soltanto avessi seguito le sue indicazioni, che conosceva persone che le dovevano favori. Mi spiegò che sarebbe stata un’ottima alleata da avere per la scalata al potere. Disse che le piacevo, che avevo le carte in regola per diventare Primo Osservatore. Non le credetti ovviamente. –Lo sguardo dell’uomo si fece remoto mentre si perdeva nei ricordi. –Quando le dissi molto poco gentilmente di andarsene, non fece altro che scuotere la testa. “Credevo che fossi più intelligente per essere arrivato fino a dove sei arrivato” mi disse, ed aggiunse che se non volevo il suo aiuto potevo sempre morire dirigente, senza mai arrivare alla carica suprema, che la cosa non faceva alcuna differenza per lei, che avrebbe scelto un altro. Qualcuno migliore.

Miller fece una pausa.

-La fissai per alcuni minuti penso, soppesando le sue parole, studiandone l’atteggiamento. Era lì davanti a me, arrogante e sicura di sé, come se quell’incontro non fosse per lei che una formalità, qualcosa che avesse già fatto decine di volte e già conoscesse il risultato finale. Le chiesi allora di dimostrarmi che quanto diceva fosse vero. –Il primo osservatore si alzò in piedi e fece qualche passo, sempre tenendosi tra la scrivania e la poltrona. –Mi disse che le andava bene. Me le diede, lì subito, senza un attimo di esitazione. Erano informazioni confidenziali, cose che solo i dirigenti avrebbero dovuto sapere. Lei che non era altro che una osservatrice anziana, addetta a qualcosa di inutile come il reparto finanze ed analisi, al massimo buona per essere una giocatrice di secondo piano. Qualcuno da mettere in una posizione utile ma non troppo illustre per potere poi scambiare favori con altri. –Angel seguiva la storia con crescente interesse. –Da allora seguii i suoi consigli. Senza più domande. Mi aiutò. Arrivai alla carica di Primo Osservatore. Le chiese come potessi fidarmi di lei, per avere quelle informazioni doveva aver tradito la fiducia di qualcuno. E certo non si è mai fermata davanti all’idea di dover fare del lavoro sporco. Mi rispose che sarebbe stata dalla mia parte fintanto che il rapporto tra noi fosse mutamente beneficiario. Lo è stato per anni. –Ci fu un’altra pausa. –Suppongo però che non le abbia fatto piacere scoprire che qualche ora fa l’ho destituita dalla carica di dirigente. Soprattutto non dopo quanto accaduto alla riunione di giovedì scorso. Dovevo immaginare che non avendo più nulla da perdere avrebbe agito così. Sembra che finalmente l’abbia sottovalutata.

Miller, notando l’aria pensierosa di Angel e confondendola con disattenzione, tentò di premere il pulsante d’allarme posto sulla scrivania per chiedere aiuto. Era una mossa disperata, soprattutto se chi aveva di fronte era stato veramente mandato da chi credeva. Ma non aveva molta scelta.

Si ritrovò con un polso spezzato come ricompensa per lo sforzo.

Soffocò un urlo di dolore.

-Suvvia Miller, stiamo chiacchierando da buoni amici, non interrompiamo la cosa chiamando altri. Sarebbe un peccato. –Disse il vampiro con un tono di gentile rimprovero adatto ad un bambino piccolo. L’osservatore annuì. –Bene, ora che siamo d’accordo, possiamo passare ad argomenti un po’ più seri. –Il vampiro fissò Miller fino ad ottenere un altro assenso. Ormai sapeva che Eliza non era Marlin, il giovedì precedente lo avevano passato assieme, da mattina a sera inoltrata. –Perfetto. Dunque, cominciando dal principio: mi dispiace dirtelo, ma non sono qui per ordine di nessuno.

La cosa sembrò stupire sinceramente Miller.

-Se non sei qui per suo ordine, allora chi sei?

-Angel, od Angelus se preferisci.

Rispose il vampiro vagamente seccato dal fatto che l’osservatore non lo riconoscesse. Lui aveva sempre considerato buona educazione conoscere il nome ed il volto delle proprie vittime. L’uomo di fronte a lui sbiancò.

-Tu sei morto.

-Non che lo possa negare, Osservatore.

Rispose Angel sarcastico. Miller rimase in silenzio cercando una via di uscita a questa situazione, improvvisamente ancora più pericolosa della precedente. Questo non era un mercenario che potesse essere comprato.

-Ma tu non uccidi esseri umani.

Il Primo Osservatore si aggrappò disperatamente a questa ultima speranza. Non voleva morire.

-Mai detta una cosa del genere. Voi osservatori assumete sempre quello che vi pare. Ho semplicemente un’anima, come tutti voi. E la cosa non vi ha mai impedito di uccidere.

In effetti la prima volta che aveva ucciso dopo aver avuto l’anima, per Angel era stato… difficile.

Lo ricordava bene.

Aveva avuto paura, una tremenda paura.

Si era guardato le mani, accorgendosi solo in quel momento di quanto fossero forti o grandi, e si era chiesto se ne sarebbe stato capace.

Un omicidio e tutto sarebbe cambiato.

Aveva avuto la tremenda paura di cambiare, di tornare ad essere quello che era prima, un demone assetato solo di sangue.

Ed anche se non si sapeva spiegare perché quell’idea lo ripugnasse tanto, non voleva farlo. Lo aveva trovato curioso. In fondo avrebbe dovuto voler tornare ad essere quello di prima, no? Era stato tutto più semplice allora, era stato tutto chiaro e semplice.

Ma non aveva voluto.

E dentro di lui, da qualche parte, c’era qualcosa che non smetteva di ripetergli che non voleva dannarsi l’anima nuovamente.

Angel si era infilato le mani in tasca per togliersi la tentazione.

Poi lo fece.

Durò solo un attimo.

Tempo di sfilare le mani dalle tasche e di compiere un veloce movimento, non impiegando neppure un decimo della propria forza. Una torsione brusca del collo, vertebre rotte.

L’uomo si era accasciato a terra, ai suoi piedi, esanime.

Angel lo aveva guardato a lungo.

Fissandolo riconobbe la familiare immobilità delle membra, il vago odore della morte. Non erano sensazioni estranee. Piuttosto erano quasi familiari.

Rimase lì a lungo.

Non accadde niente.

Non ci furono improvvise illuminazioni o dannazioni.

Era stato strano.

 Passarono alcuni lunghi secondi prima che il vampiro ricominciasse a parlare, perso momentaneamente nei suoi ricordi. Il nuovo sorriso che rivolse al Primo Osservatore non era per nulla piacevole. Miller cercò di deglutire, mentre la sua mente andava a mille, cercando un modo per scappare da qui.

E non trovandone.

–Tornando al discorso di poco fa… -Riprese Angel. –Visto che sei tanto certo della mia morte, suppongo sia stato tu ad ordinarla.

-No, io non c’entro niente.

Negò istintivamente Miller. Angel scattò nuovamente. Sollevò di peso il Primo Osservatore e lo schiacciò contro la parete, soffocandolo parzialmente con la mano che gli teneva attorno alla gola. Continuò a sorridere mentre parlava.

-Non cercare di prendermi in giro Miller. Ti spiego come funziona così non sbagli più, va bene?

L’osservatore annuì o tentò di farlo nella stretta.

-Io ti chiedo una cosa e tu mi rispondi. Puoi essere molto gentile con me, non farmi perdere tempo ed avere una chance di sopravvivere. Ovviamente, se penso che mi stai mentendo abbiamo altre due possibilità. Ti torturo fino a quando non mi riveli la verità oppure ti trasformo e mi racconti tutto per filo e per segno visto che diventi un mio Childe. Oppure possiamo fare tutte e due le cose se preferisci.

Rilasciò la mano per permettere a Miller di respirare un po’ meglio. L’uomo annuì ancora una volta mentre riempiva i polmoni di aria.

-Chi ha ordinato la mia morte?

-Io, sono stato io.

-Bene, hai fatto un’ottima scelta. –Angel gli sorrise ancora, con quello che doveva essere un sorriso incoraggiante. In realtà agghiacciò ancora di più l’osservatore. –Seconda domanda. Perché lo hai fatto?

-Perché sei un pericolo, tu e tutti quelli come te. –Miller prese un po’ di coraggio, la rassegnazione di sapere di star per morire e di non volersene andare senza infliggere almeno un ultimo colpo a chi gli stava davanti. –Andreste sterminati tutti, io ho solo cominciato il lavoro. Non siete degni di esistere!

-I vampiri?

Chiese Angel, il sorriso ora completamente congelato. Non amava sentire altri progettare lo sterminio della sua razza.

-No, non solo i vampiri ma i lupi mannari, gli altri demoni e qualsiasi cosa non sia umana… -continuò Miller prendendo forza. –Non siete degni di esistere…solo gli umani pos…

Angel lo schiaffeggiò prima che potesse continuare. Odiava gli idioti. E quello che aveva davanti ne era uno splendido esemplare.

-Stai zitto. Quindi mi volevi uccidere solo perché non ero umano? Anche se non ero un pericolo per altre persone? E così uccideresti qualsiasi cosa tu non definisca umana, semplicemente perché non umana? Anche se aiutano gli umani, li proteggono?

-Si certo. –Miller si portò una mano al volto, dove Angel l’aveva colpito. Usciva del sangue. Si doveva essere tagliato la guancia con i denti. –Solo gli umani hanno il diritto di vivere!

-Perfetto, davvero, se questa è la tua scelta…

Disse blandamente Angel.

Inutile ragionare con dei bigotti.

Miller lo fissò senza capire. Lo vide trasformarsi nuovamente ed avvicinare le zanne al suo collo.

-Aspetta, aspetta! –Protestò Miller. –Avevi detto che se ti dicevo la verità mi avresti lasciato andare!

Angel sogghignò mentre gli rispondeva, ormai a pochi millimetri dalla carotide. Già poteva pregustare il sangue.

-Beh, ho mentito.