By Silea
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PARTE I
“When I asked her
about it, she said that sometimes surviving was the only justice there was, and
there was no shame in accepting that. But it wasn't going to stop her from
trying for something more”
Al momento Magdalene era occupata a controllare le varie situazioni dei
cacciatori di demoni non convenzionali sparsi per il mondo.
“Non convenzionali”, ovvero tutti quelli che non facevano parte delle
squadre speciali del consiglio e non erano cacciatrici. Suo compito era
monitorare le loro attività e mantenere i contatti con loro per conto del
Concilio stesso.
Non erano bandierine colorate su una mappa o puntini lampeggianti su uno
schermo, giusto una serie di resoconti sugli ultimi avvistamenti, schede che
avrebbero arricchito i dossier che Marlin teneva archiviati. Segretamente dal
Concilio.
Un particolare attrasse l’attenzione di Magdalene mentre scorreva il
conciso elenco.
Uno dei suoi informatori di Los Angeles aveva notificato la scomparsa di
Angel, il vampiro con l’anima, come era conosciuto nel mondo demoniaco, uno dei
locali e migliori cacciatori di demoni in circolazione. L’albergo dove viveva
era stato distrutto da un incendio dalle cause sconosciute e di lui non c’era
più traccia da tre mesi.
Non era insolito perdere le tracce di un cacciatore per giorni interi,
se non settimane, ma lui era uno dei più promettenti esponenti del mondo
demoniaco e Magdalene aveva personalmente detto al suo informatore di tenerla
costantemente aggiornata sulla sua situazione.
Aveva avuto intenzione di contattarlo in tempi brevi e stringere
un’alleanza con lui. Sembrava addirittura che lavorasse in società con un
osservatore espulso. Avrebbe ricontrollato nello schedario per essere certa.
Marlin credeva di avere buone possibilità di portarlo a lavorare per
loro, perché questo era il suo lavoro, la “Negoziatrice”. Ed era la migliore
che il Concilio possedesse.
In pratica si occupava dei rapporti diplomatici che il consiglio
intratteneva con altre potenze mondiali, di qualsiasi genere esse fossero. E
questa era una grande fonte di potere. La sua fonte di potere.
Magdalene archiviò la notizia riguardante il vampiro in un angolo della
sua mente, convinta della sua futura utilità. Quell’informazione,
apparentemente innocua, l’aveva lasciata con un vago senso di inquietudine.
Doveva informarsi se c’erano state vittime nell’incendio.
Marlin era convinta che stesse succedendo qualcosa o che stesse per
succedere, c’erano tanti piccoli indizi sparsi per il mondo, quanto all’interno
del Concilio, che qualcosa negli equilibri di potere stava cambiando, anche se
lei non riusciva ancora a metterli assieme ed a capire cosa stesse per
accadere.
E questo la frustrava.
Anche il Concilio stava per subire modifiche sostanziali, per cercare di
assorbire il colpo di essere stato attaccato direttamente per la prima volta
dopo secoli. Era stato uno shock per così tanti vecchi barbagianni. Così la perfetta macchina della tradizione stava
cercando nuovi equilibri. Il vento di cambiamenti era nell’aria.
Tre mesi prima Magdalene aveva avuto la prova diretta che il primo
osservatore temeva il potere degli altri dirigenti. Il suo in testa. E se
Miller li temeva significava che, per la prima volta, quei poteri erano pericolosi.
Quel giorno, appena gli aveva fatto rapporto, Miller le aveva tolto i
poteri straordinari nonostante non si fosse ancora rintracciato Travers, il
possessore di diritto di quelle facoltà che il primo osservatore le aveva
garantito per poche ore.
Questa improvvisa mancanza di diretto potere esecutivo la lasciava
estremamente vulnerabile, ora che la situazione poteva non essere completamente
sotto controllo. Per questo motivo aveva deciso di rimanere a casa il più
possibile, finché la situazione non si fosse riequilibrata.
Ma Travers ancora non era tornato, e nessuno sapeva dove fosse. La sua
posizione non era ancora chiara. Era stato definito “assente”, non “scomparso”
né “inadempiente”, una via di mezzo che non soddisfava nessuno. Lasciava il considerevole
ammontare di potere che Quentin deteneva vacante, con Jason e Miller come
sostituti illegittimi.
Molti si chiedevano se Travers non fosse diventato l’angelo della morte
di Miller.
Non c’erano state sparizioni od “incidenti” eccellenti ma si erano
insinuati sospetti sul favoritismo con cui Miller, da sempre inflessibile con
chi infrangeva le regole (che fosse per questo che era diventato primo
osservatore?), stava trattando il suo caso.
“Perché lo faceva?”.
Una domanda che rendeva tutti molto nervosi, dirigenti in testa.
Come se questa situazione non bastasse a destabilizzare il sistema, un
dirigente del consiglio era stato nominato delegato speciale dell’Oceania ed
inviato lì a tempo indeterminato con compiti di supervisione, anche se non
c’era niente da supervisionare. Altri due erano stati esautorati perché non più
conformi ai parametri necessari a far parte del consiglio ristretto.
Dei dieci dirigenti iniziali erano rimasti in sette: Travers; Gillison;
Dougan; Brightman, sotto inchiesta disciplinare; Kroskj; Duville e lei .
Jason sedeva all’estremità di una delle due panche imbottite che si
trovavano all’interno della carlinga. Teneva il suo laptop aperto sulle
ginocchia, mentre esaminava alcuni schemi della missione di addestramento
appena svolta. C’erano stati degli errori di coordinamento tra le quattro
squadre impegnate. Nulla di tanto evidente da saltare subito all’occhio, ma
c’erano stati. Alcune incertezze da parte del leader di missione nello spostare
le squadre con l’evolvere della situazione. La velocità di risposta sarebbe
diventata una delle priorità dell’addestramento. Nella rete che doveva
perlustrare l’area in cerca della fuggitiva si era creato un buco di
sorveglianza, del quale Faith aveva approfittato per raggiungere il camper che
ospitava il centro comando ed “uccidere” i coordinatori della missione, per poi
sparire nuovamente nel nulla fino al termine della simulazione.
Una volta alla sede principale del Concilio avrebbe convocato una
riunione con i capi squadra per un’analisi di missione più completa. Non
avrebbe più tollerato che errori così grossolani si ripetessero. Per quanto
riguardava Kelan, il leader di missione, Jason aveva già deciso di mandarlo
assieme alla sua squadra al campo di addestramento che avevano in Africa, dove
definire il tempo come torrido era essere ottimisti, per un mese aggiuntivo di
esercitazioni, oltre a quelli dovuti alla normale rotazione.
Anche se Jason doveva ammettere che Faith era un’ottima avversaria.
Intelligente, praticamente imbattibile nei combattimenti corpo a corpo,
e quasi dotata di un sesto senso per individuare gli inseguitori. Una vera
cacciatrice, non c’era altro da aggiungere. Apparentemente imbattibile per un
normale umano per via della sua forza e della sua velocità. Tutti gli operativi
che l’avevano sfidata erano finiti al tappeto dopo pochi minuti di combattimento,
minuti durante i quali erano riusciti a colpire la loro avversaria solo quando
lei lo aveva permesso. E lo aveva fatto raramente, giusto per dimostrare
l’inefficacia degli attacchi degli operativi o per non farli desistere
completamente. Ed era stato ovvio che Faith non si era espressa nemmeno al
pieno del suo potenziale.
Jason voleva provare in prima
persona a sfidarla, fremeva nel farlo, nell’avere un’avversaria degna di lui,
ma finora non c’era stata la possibilità di ingaggiarla direttamente e dubitava
che sarebbe mai accaduto.
Il direttore degli operativi aveva notato come Faith evitasse sempre di
sfidarlo in qualsiasi cosa, o anche di contraddirlo di fronte agli altri
operativi. Era chiaro che la ragazza stava cercando di evitare uno scontro
diretto con lui. Una linea di azione che non lo seccava affatto, visto che
probabilmente avrebbe perso in uno scontro fisico.
Però il fatto che lei cercasse di non disturbarlo in alcun modo non
poteva fare a meno di incuriosirlo, di spingerlo a cercare di capire le
motivazioni che c’erano dietro al comportamento della cacciatrice. Di certo
nessuno la descriveva come una sostenitrice del quieto vivere, al contrario,
era da tutti creduta una specie di rivoluzionaria. Questo suo atteggiamento
andava contro l’idea che tutti si erano fatti di lei.
Jason la stava osservando anche
ora, mentre rideva e scherzava con il resto dei commando che si trovavano
all’interno dell’aereo, completamente a suo agio anche se
era la più giovane del gruppo di qualche anno. Trucco, abiti e postura erano
studiati apposta, e gli altri sembravano non notarlo.
Ora era una ragazza sulla ventina che si rilassava con degli amici dopo
il lavoro. O meglio, sembrava tutto questo. Gli altri vedevano questo. Una innocua amica con cui poter uscire a prendere un drink e
fare quattro chiacchiere. Lui no. Per Jason rimaneva qualcuno che poteva
spezzarti l’osso del collo in meno di un secondo senza neanche affaticarsi.
Sicuro, a volte gli avevano dato del paranoico, per questa suo ossessione nello studio minuzioso di quello che lo
circondava. E forse lo era. Ma al contrario di tanti altri, comportandosi così,
Jason era sopravvissuto a missioni ritenute impossibili, diventando una
leggenda vivente all’interno del Concilio e prima ancora nell’esercito.
Il comandate degli
operativi sapeva che la gente che sedeva e rideva in quell’aereo con lei non la
conosceva, non veramente, sebbene credessero il contrario. Vedevano solo una
facciata di Faith. La ragazza esuberante, sarcastica e sicura di sé che non mancava
mai un’occasione di fare battute, certa di avere garantita l’incolumità.
Qualche pugno scherzoso, ma mai una rissa. Inconsciamente tutti evitavano di
provocarla eccessivamente, senza neanche rendersene conto. A quanto pareva il
loro sub inconscio era molto più intelligente di loro.
Jason l’aveva osservata attentamente durante i tre mesi in cui avevano
lavorato insieme, e non aveva avuto bisogno di ricorrere al proprio istinto per
capire che la cacciatrice era pericolosa a prescindere dalla situazione. La
cosa gli sembrava ovvia ed addirittura lampante in momenti come questo. Era
tutto nello sguardo ed in una specie di aurea che sembrava proiettare senza
neanche rendersene conto.
Quelle che tutti vedevano erano
Jason avrebbe anche potuto accettare questa assenza di secondi pensieri
per quanto riguardava la parte in cui combatteva (anzi, desiderava che tutti
gli uomini al suo comando si comportassero così durante uno scontro, con quella
rabbia e violenza), ma sapeva che era impossibile che una personalità “normale”
fosse così chiara e definita.
Per esclusione, l’unica risposta che rimaneva era che Faith non era, o
non era soltanto, la ragazza estroversa e sicura di sé che vedeva ogni giorno.
Ci aveva messo del tempo a capirlo, molto più di quanto aveva mai fatto
prima, perché Faith recitava bene ed in maniera convincente la sua parte di
ragazza simpatica e affascinante, perfetta fino nel movimento delle mani e nel
tono di voce che adoperava. Tanto che Jason ancora non era riuscito a capire
che cosa nascondesse. Ma aveva tempo per scoprirlo.
Sorrise fra sé. Era bello avere un mistero da decifrare a portata di
mano, qualcosa che impegnasse la sua curiosità ed ingegno e da tempo non gli
capitava un rebus così complesso. Spense il portatile e appoggiò la testa
contro la paratia di metallo scossa dalle vibrazioni dei motori. Sapeva che
mancava ancora un’ora all’atterraggio, tanto valeva mettersi comodi per quanto
possibile. Chiuse gli occhi isolandosi dall’ambiente esterno, ma continuando ad
ascoltare i discorsi dei suoi compagni di volo che si sovrapponevano l’un
l’altro. Discorsi ai quali non aveva mai partecipato. Non lui, non il
Solitario.
Sin dalla sua prima missione nessuno lo aveva avvicinato, l’aria di
gelido distacco troppo evidente per essere ignorata. Non gli interessavano gli
altri come persone e lo aveva messo in chiaro già dalla prima volta. Il perché,
aveva risposto a chi aveva avuto abbastanza fegato per chiederglielo, erano
solo affari suoi. Era stato il suo caposquadra, e da allora in poi nessun altro
si era azzardato a fare domande, tenendosi bene alla larga da lui. Ma tutti
sapevano che in campo era il migliore e che non ti avrebbe abbandonato
lasciandoti scoperto. Quindi anche se non piaceva a nessuno perché considerato
troppo una macchina, tutti si fidavano di Jason.
Il tempo trascorreva lento all’interno della carlinga decisamente troppo
piccola perché tutti potessero sistemarsi comodamente. Il gruppetto con cui
Faith stava scherzando si era spontaneamente sciolto. Una alla volta i vari agenti
si era allontanati per andare a fare qualcos’altro. Chi si era sdraiato a
dormire, chi era andato a sistemare l’attrezzatura.
Ormai sola, Faith si era semisdraiata su una delle lunghe panche
estraniandosi da tutto quella che la circondava, cercando di rilassarsi. Era
nervosa, agitata e stanca. Le ultime quarantotto ore erano state pesanti, aveva
dovuto nascondersi alle squadre di ricerca ed era riuscita a dormire giusto un
paio di ore, abbastanza da funzionare, ma non sufficienti a farla sentire al cento
per cento. In circolo sentiva ancora i residui dell’adrenalina di poche ore
prima e la stanchezza conseguente che andava ad aggiungersi alla mancanza di
sonno. Era ben oltre il semplice bisogno di sonno, troppo stanca per riuscire
ad addormentarsi senza sentirsi del tutto rilassata, il che, su quell’aereo,
era impossibile.
Semplicemente Faith non dormiva mai vicino ad altri se poteva evitarlo.
Quel giorno aveva un ulteriore motivo di agitazione però, non riusciva a
sottrarsi ad uno strano presentimento di catastrofe imminente. E purtroppo il
suo istinto sbagliava raramente a riguardo.
Il che la lasciava stanca, agita e frustrata perché ancora non sapeva
quale fosse il problema e non aveva modo di scoprirlo prima di toccare terra.
Cominciò a respirare più profondamente e lentamente, fingendo di dormire,
mentre coscientemente faceva uno sforzo per rilassare i muscoli. Non sapeva
cosa l’aspettava, né se avrebbe avuto modo di riposarsi di nuovo prima che
accadesse quel qualcosa.
I movimenti all’interno della carlinga erano diminuiti, mancava solo una
mezz’ora alla fine del volo, ma erano tutti stanchi e cercavano di riposarsi
alla meglio nell’angusto spazio. Ognuno si teneva impegnato in qualcosa, chi a
dormire, chi a parlare a bassa voce con il vicino, chi a sistemare
l’attrezzatura usata. Dal fondo dell’aereo, improvvisamente, sopra la
confusione di fondo, si sentì il rumore dello scatto di un cane di una pistola.
Qualcuno stava pulendo la propria arma, facendo scattare i meccanismi mentre li
oliava.
Gli occhi della cacciatrice si spalancarono e furono immediatamente
fissati verso la sorgente del rumore, alla ricerca del pericolo, che non c’era.
Il corpo teso, pronto a scattare, mentre già una mano era alla guaina del
coltello fissato sull’anca. Faith, constatato che non era successo niente, fece un respiro profondo cercando nuovamente
di rilassarsi, sapendo che non ci sarebbe riuscita.
Il suo presentimento continuava a persistere.
Faith, con la sua solita borsa nera a tracolla, uscì dall’ascensore e
cominciò a camminare lentamente lungo l’ormai familiare corridoio che si
stendeva davanti a lei, mentre le porte metalliche le si chiudevano dietro
senza fare il minimo rumore. Il Concilio era così, un posto dove la confusione
era ritenuta imbarazzante e mortificante come all’interno di una biblioteca e
questo valeva anche per il piano degli alloggi dove si trovava ora. La
descrizione freddo, asettico e silenzioso rendeva bene l’atmosfera complessiva.
La cacciatrice e i caposquadra impegnati nell’operazione appena
conclusa, erano atterrati nel piccolo eliporto che si trovava all’interno del
parco della villa, per poi andare a depositare i loro rapporti sulla missione
in sala controllo. Tutti gli altri operativi coinvolti nella missione avrebbero
raggiunto la sede centrale più tardi, a bordo dei furgoni sui quali erano
saliti una volta arrivati all’aeroporto privato dove era atterrato l’aereo che
li aveva portati in Inghilterra.
Per una volta Faith era stata la prima a tornare al piano degli alloggi,
quando generalmente era sempre l’ultima, quella che si attardava a fare quattro
chiacchiere con chiunque. Gli altri caposquadra erano ancora su in sala
controllo a discutere i particolari della missione, probabilmente dopo
avrebbero proseguito per andare a bere qualcosa assieme in un bar della zona.
Faith, senza dire niente, senza disturbarsi a salutare, se ne era andata
appena aveva potuto. Si sentiva stanca. Non fisicamente ma mentalmente. Ancora
quel vago presentimento che persisteva appena sul bordo della coscienza. La
innervosiva, rendendola guardinga. Forse avrebbe dovuto parlarne con qualcuno.
Scartò l’idea rapidamente come le era venuta. Sapeva badare a se stessa, non
aveva bisogno dell’aiuto di nessuno, era sopravvissuta da sola finora e lo
avrebbe fatto ancora.
Si fermò davanti alla porta nera perfettamente lucida della sua stanza
osservandola per un istante, gliela avevano assegnata permanentemente quando
aveva accettato l’incarico che le aveva offerto Marlin. A fianco su una
targhetta si leggeva il suo nome e la dicitura “Esperto in tattica e
coordinatore di addestramento”. Un bel titolo. Faith sogghignò fra sé.
Significava che avrebbe progettato missioni e diretto le squadre durante le
esercitazioni. Nessuna operazione sul campo. Non era niente male come lavoro,
divertente e ben pagato. Di tanto in tanto giocava anche a fare la preda nelle
simulazioni.
La porta era perfettamente chiusa e senza alcun segno di scasso. Mentre
la apriva, però, Faith sapeva che c’era qualcosa che non andava. La strana
sensazione che provava da qualche ora non faceva che diventare più forte,
innervosendola sempre più. Più la sensazione aumentava più cominciava ad
allarmarsi, come se si dovesse tenere pronta per qualcosa, non sapendo però a
cosa. E Faith odiava quel genere di sensazione. Anche mentre faceva scattare la
serratura sapeva che c’era qualcosa che non riusciva pienamente a capire, che
le sfuggiva. Spinse l’anta per aprirla completamente davanti a sé.
E capì.
Ferma sulla soglia capì cosa era che la disturbava. Nell’aria c’era
odore di sangue e morte. Era forte, anche se aveva cominciato a svanire, e si
irritò con se stessa per non averlo notato prima, per non averlo riconosciuto
subito. Soppresse la rabbia che provava verso la sua inettitudine, per
concentrarsi prima di entrare.
Facendo scivolare la sacca nera a terra, Faith entrò nella stanza
cominciando a perlustrarla attentamente con lo sguardo, sapendo che non vi
avrebbe trovato altro che un cadavere. Chiunque fosse stato lì dentro se ne era
andato da tempo. Nonostante tutto Faith procedé cautamente, pronta ad una
eventuale lotta.
Il corpo era stato lasciato sul suo letto, lo vedeva chiaramente anche
al buio, una figura immobile sdraiata sulle coperte. Faith lo ignorò ed andò a
controllare per prima cosa il bagno, la porta lasciata leggermente socchiusa.
Non c’era nessuno neanche lì.
Tornata nella stanza principale, Faith fece scattare l’interruttore
vicino alla porta d’ingresso accendendo i neon attaccati al soffitto. La luce
fredda illuminò completamente il locale, e la cacciatrice riconobbe subito il
cadavere sul proprio letto.
Si avvicinò per avere la conferma di come fosse morto. Il volto esangue
e il segno di un morso sul collo non lasciavano molti dubbi. Considerando la
rigidità del cadavere doveva essere stato ucciso da almeno dodici ore.
Respirando lentamente, sentendo la rabbia montare nuovamente dentro di lei,
Faith prese il telefono e compose il numero della sala di controllo.
-Che problema c’è Miss Mars?
L’operatore sapeva perfettamente chi stava chiamando, il numero della
stanza ed il nome di chi la occupava apparivano automaticamente sul display
della consolle quando veniva inoltrata una telefonata. La sua paura della cacciatrice
traspariva chiaramente nella voce bassa e controllata, appena esitante.
Il tecnico non era l’unico ad essere terrorizzato dalla bruna, tutti
all’interno del Concilio, tranne gli operativi, ne avevano timore. In sala mensa
era facile ascoltare molte delle voci che giravano su di lei, gli avevano
raccontato che fosse un’assassina a sangue freddo, ed aveva anche trasentito
che si divertisse a torturare le proprie vittime a lungo prima di ucciderle, e
che come Jason non provasse alcuna emozione, se non la gioia nel veder soffrire
gli altri.
-C’è una falla nella sicurezza di massimo livello. Chiamate il
comandante degli operativi e ditegli di venire giù con una squadra. Nessun
pericolo immediato.
Il tono era normale, ma conteneva una nota di gelo che terrorizzò
l’operatore, facendogli sperare ancora una volta di non incrociare mai quella
ragazza.
-Come vuole signora.
La comunicazione fu interrotta e l’operatore si affrettò ad avvisare
Jason senza perdere un secondo. Aveva la brutta sensazione e che il suo turno
non sarebbe finito tranquillamente come era iniziato.
La casa era stata una sorpresa. Chissà perché Angel si era immaginato
una cosa completamente diversa. Giusto il rifugio momentaneo di una persona
chiusa e pericolosa, che passava la sua esistenza a nascondersi dal Concilio
pianificando con attenzione le sue mosse. Un qualcosa di piccolo, isolato e
arredato sobriamente per non dire ordinariamente.
Insomma, un posto anonimo ma sicuro, ideale per passarci la notte ma non
il massimo del lusso possibile. Un alloggio più che una casa. Il contrario
degli open-space arredati con mobili classici dai colori contrastanti,
prevalentemente bianchi e neri, che lui tanto amava. Abitazioni dove poteva
passare le lunghe giornate d’estate senza sentirsi prigioniero di uno spazio
claustrofobico.
Angel sedeva rigidamente nella poltrona in classica pelle nera,
sistemata leggermente angolata rispetto al caminetto come la sua gemella. La schiena
gli faceva ancora male, non aveva avuto il tempo di guarire completamente, né
lui gli aveva potuto prestare molto riguardo nei mesi scorsi. Inoltre il
vampiro si sentiva vagamente a disagio per il grossolano errore di giudizio che
aveva fatto a riguardo di Liz. Quella che credeva una donna in fuga, braccata
dal Concilio giorno e notte, un essere limitato per cui sopravvivere era tutto,
si era rivelata prettamente l’opposto.
Anche Liz lo studiava apertamente, negligentemente appoggiata sul
bracciolo della sua poltrona, ignorando il libro che teneva aperto sulle
ginocchia, quello che stava leggendo prima che lui entrasse nella stanza. La
donna non sembrava avere fretta di iniziare un qualsiasi discorso,
accontentandosi di portare avanti quella placida stima di forze, iniziata
qualche minuto prima, quando il vampiro l’aveva raggiunta in salotto andandosi
a sedere di fronte a lei, silenzioso come un’ombra.
Da allora non avevano fatto altro che fissarsi, senza scambiarsi una
sola parola.
Angel aveva dormito per più di ventiquattro ore, cadendo quasi subito in
una specie di letargia appena messo piede all’interno dell’appartamento dove si
trovavano ora, come gli accadeva quando il suo corpo non era più capace di
sopportare lo stress accumulato. Quando si era svegliato gli erano stati
necessaria una manciata di secondi per ricordare dove si trovasse, si era
sentito disorientato ed intontito, un ulteriore residuo dell’eccessivo sforzo a
cui si era sottoposto. Una volta ricordato dove si trovasse si era alzato e guardato
attorno incuriosito, i ricordi dei minuti precedenti al lungo sonno erano molto
confusi, e si era stupito nel trovare sulla sedia vicina al letto un cambio di
abiti della sua taglia dal taglio elegante e dal colore scuro.
Passarono altri lunghi minuti prima Eliza abbozzasse un sorriso,
decidendosi a parlare. Sembrava proprio che il suo ospite fosse testardo ed
orgoglioso come tutti gli irlandesi di pura razza, oltre ad essere oltremodo
laconico. Volendo evitare che la conversazione diventasse spiacevole fin
dall’inizio, perché sapeva che lo sarebbe diventata, l’immortale gli si rivolse
con tono gentile per nulla provocatore .
-Credo che tu abbia delle domande da farmi.
Lui annuì una volta, rimanendo qualche secondo in silenzio prima di
parlare.
-Alexandra, – Prese il suo tempo per pronunciare il nome con cui aveva
conosciuto Eliza nell’ottocento, aggiungendo deliberatamente un leggero accento
ucraino alla sua cadenza ed indurendo appena il tono nel pronunciare il resto.
-Cosa c’entri in questa storia? -sembrava che tra la sofferenza della perdita
che aveva subito negli ultimi mesi cominciasse a trapelare il rancore che
provava verso ciò che era successo. Angel accolse la cosa quasi con gioia. “Nell’ultimo secolo sono diventato un vero
esperto nel provare lutti e scomparse ed andare comunque avanti, e preferisco
di gran lunga la rabbia alla
disperazione”.
La notte in cui era arrivato, durante il viaggio in macchina verso
l’attico, Liz gli aveva chiesto cosa fosse successo a Los Angeles. Angel le
aveva raccontato dell’albergo in fiamme, dei commando che lo aspettavano fuori,
mitra spianati e fuoco incrociato. Di come si fosse salvato quasi per miracolo
passando attraverso un vecchio condotto fognario. Da lì si era trascinato in un
canale di scolo praticamente in disuso da anni e si era rintanato nella prima
nicchia che aveva trovato.
Era appena riuscito a raggiungere quel rifugio di fortuna quando le
gravissime ferite che aveva riportato lo avevano fatto cadere in una specie di
coma. Non era la prima volta che gli capitava di cadere in questa profondissima
letargia.
I corpi dei vampiri reagivano in questa maniera alla mancanza di
nutrimento prolungato o alla presenza di gravi traumi, il loro metabolismo si modificava
automaticamente e li faceva cadere in una specie di letargo per risparmiare
energie e destinare tutte le risorse alle poche funzioni vitali necessarie.
Angel non sapeva quanto tempo era stato inconscio quella prima volta. Si
era risvegliato quando aveva sentito dei ratti passeggiargli sopra, interessati
alla sua carcassa. Giusto per pochi istanti.
Il vampiro ricordava il tutto come un brutto sogno. Sprazzi di
brevissima lucidità o perlomeno coscienza intervallati a lunghi black-out e
deliri causati da febbre e dolori. Non sapeva quanto tempo esattamente aveva
passato in quelle condizioni prima di riprendersi abbastanza da pensare
coerentemente. Sicuramente settimane, forse mesi.
C’era voluto altro sangue e ancora molto altro tempo perché fosse abbastanza
in forza per trascinarsi fuori dalle fogne e raggiungere la prima stazione dei
pullman.
Lì, Angel aveva dato fondo ai contanti che aveva con sé al momento
dell’attacco e venduto il suo orologio per mettere insieme il denaro
sufficiente ad arrivare a New York. Non aveva potuto prelevare il necessario
dai suoi conti per lo stesso motivo per cui non aveva chiesto ospitalità e
soccorso ai suoi amici. Voleva che chiunque l’avesse assaltato lo credesse
morto. Anche il viaggio lo aveva passato per la maggior parte dormendo.
Una volta nell’appartamento, Eliza l’aveva fatto accomodare nella stessa
poltrona dove era seduto ora, portandogli da mangiare. Angel non immaginava il
perché lei tenesse del sangue fresco in casa, soprattutto sangue umano, ma non
lo aveva chiesto. Era stato troppo stanco per farlo e una volta sazio il senso
di confusione che provava aveva cominciato ad aumentare. Inutilmente aveva
cercato di concentrarsi passandosi più volte le mani sul viso per scacciare la
letargia che lo assaliva. Alla fine aveva ceduto, costretto a rimandare una
conversazione che considerava estremamente importante.
Mentre lui si era nutrito, Liz gli aveva raccontato quanto sapeva lei.
In sostanza nei giorni precedenti, quando i telegiornali avevano dato la
notizia che l’Hyperion era andato distrutto in un misterioso incendio, causato
da una perdita di gas, Liz si era data da fare con i suoi contatti per scoprire
la verità.
Prima di tre ore aveva saputo che c’era stato un morto a causa del
crollo dell’edificio. Doyle. Lo avevano trovato sotto un mucchio di macerie,
con una pallottola piantata nel petto. Come una perdita di gas avesse causato
la formazione della cartuccia che aveva provocato la morte non era stato
spiegato. Cordelia era stata ricoverata in ospedale per accertamenti, un trauma
cranico di lieve entità, era stata dimessa in pochi giorni. Wesley aveva
riportato lesioni permanenti ad una gamba, per colpa di una trave di supporto
crollatagli addosso. Aveva davanti a sé un lungo periodo di fisioterapia.
Angel era rimasto all’oscuro di quanto era successo ai suoi amici prima
di arrivare da Liz. Una volta uscito dalle fogne e trovato un riparo da occhi
indiscreti e dai raggi del sole, aveva visto davanti a sé solo macerie. Si era
girato per andarsene senza voltarsi indietro.
Non avrebbe potuto fare altro e lo sapeva.
-Niente. –gli rispose semplicemente. –Ho saputo del crollo dell’hotel
dal telegiornale. Poi ho chiamato delle persone… –fece un gesto non curante con
le spalle, come se fosse normale avere delle amicizie sparse un po’ ovunque.
–…e gli ho chiesto di tenermi informata. In caso tu ti fossi fatto vivo, non ho
saputo molto di più fino a quando tu hai chiamato. Il resto lo sai.
Angel annuì pensieroso, poteva credere a questa storia. Poteva. Ma il
suo migliore amico era morto. E lui non sapeva ancora a causa di chi. Era su
questo che voleva concentrarsi ora. Gli occhi gli si tinsero appena di giallo e
le parole furono quasi un sibilo.
-Chi è stato?
-Il mandante? –Era una delle abitudini di Liz specificare sempre quello
di cui si stava parlando prima di dare qualsiasi risposta. Il vampiro annuì,
per nulla compiaciuto dal fatto che la donna perdesse tempo con un’inutile
domanda. -Non lo so. Proprio non lo so. Posso dirti che commando così
organizzati, che riescono a sparire senza lasciare traccia dopo uno scontro a
fuoco in piena L.A. sono molto probabilmente agenti del Concilio. Il modus
operandi è il loro. Incidenti inspiegabili e storie di copertura così fragili
da crollare in un solo soffio, ma che nessuno si prende la briga di indagare.
Tu non saresti mai dovuto uscire da quell’albergo, esattamente come i tuoi
amici. Immagino non sapessero delle fognature, altrimenti avrebbero lasciato
qualcuno anche lì.
Angel fece un cenno impaziente con la mano, non gli interessava sapere
come o perché fosse successo. A quelli ci arrivava benissimo da solo. “Ma è così difficile per la gente rispondere
alle domande che gli sono state fatte e solo a quelle?” Sapeva che era la rabbia
e il dolore a renderlo così poco paziente, cercò di frenare l’impazienza e di
proseguire il dialogo al passo deciso dall’immortale.
-Come arrivo ad un nome?
Liz scosse la testa in un cenno di diniego. Era un gesto elegante per
nulla esagerato, perfetto per la persona impassibile e fredda che stava
dimostrando di essere. Vederla così distaccata non fece che irritare di più i
nervi di Angel, semplicemente perché sapeva che probabilmente lui in questo
momento faceva trapelare molto più di lei sui suoi veri sentimenti e intenzioni
rendendolo vulnerabile.
-Non puoi arrivarci. Il Concilio è un’organizzazione segreta. Una che
tiene bene i propri segreti. Non potresti mai arrivarci, non ora almeno. Non
avresti alcuna speranza, non è che questo tipo di ordini sia dato
pubblicamente. Sapendo come lavorano, a parte il capo degli operativi, è
possibile che solo una o due persona sappiano chi ha dato l’ordine.
-Tu hai fatto parte del Concilio, devi sapere qualcosa in più.
Cercava di farla crollare con lo sguardo, gli occhi socchiusi e le
pupille contratte appena più chiare del normale. Lei semplicemente sorrise di
fronte a quegli ovvi segni di ostilità.
-Ma non in questo secolo Angel. Non in questo secolo.
Il vampiro continuava a pressarla. Voleva arrivare ad una soluzione e ci
voleva arrivare ora. Questo gioco era durato anche troppo. Non si trovava qui
per fare conversazione. Andare da lei ferito e alla fine delle sue forze era
stata una scommessa rischiosa. In quel momento sarebbe bastato praticamente un
niente per ucciderlo. Non la conosceva assolutamente e l’unica prova che
fossero entrambi dalla stessa parte erano le parole della stessa Eliza. Per
quanto ne sapeva tre mesi prima, una settimana, ventiquattro ore prima od ora,
forse tutto quello che la donna voleva era la sua morte, magari dopo aver
giocato per un po’ con lui.
Aveva fatto una cosa simile semplicemente basandosi sull’assenza di
prove. Nessuno di chi avesse interpellato sapeva nulla di lei, nessuno la
collegava al Concilio, eppure lei aveva previsto quanto sarebbe accaduto.
L’aveva avvertito e lui non era riuscito a muoversi abbastanza in fretta da
prevenirlo. Delle sue conoscenze lei sembrava l’unica in grado di sapere cosa
stesse accadendo realmente all’interno del Concilio.
-E i tuoi contatti? –Scontato che ne avesse, per quanti anni fossero
passati. Non era una stupida, Angel lo sapeva, era sopravvissuta per troppo
tempo per esserlo. -Cosa possono fare?
-Possono indagare. Ma sarà difficile che arrivino a qualcosa. –Angel
fece per interromperla ma lei proseguì, ignorandolo. -Diciamo che si sono messi
in moto dei meccanismi, che probabilmente porteranno ad una faida interna.
Molte cose saranno sepolte. Altre verranno alla luce. Forse sarai fortunato,
forse no.
Scrollò le spalle totalmente noncurante.
-Di che meccanismi stai parlando?
Angel voleva capire a cosa stesse riferendosi. Odiava essere tenuto
all’oscuro di qualcosa. Soprattutto qualcosa dall’aria potenzialmente
pericolosa.
-Hai mai assistito ad una rivoluzione?
Il vampiro annuì una volta rispondendole, decidendo di seguire la sua
linea di pensiero almeno per qualche secondo prima di saltarle addosso e
sgozzarla. Era una fantasia molto rilassante.
-A quella francese.
Lei continuò a parlare.
-Bene, allora puoi capire. La tensione che cresceva costantemente, i
gesti di riconciliazione che venivano fraintesi. Estremisti che se la
prendevano con i moderati della loro stessa fazione, alleandosi a volte con gli
estremisti dell’opposizione… in breve… il caos… la voglia e la paura dello
scontro. –Oh, eccome se Angel ricordava. Era stato bello. Eccitante anche.
Vedere tutte quelle possibilità aprirsi davanti a lui, occasioni su occasioni.
Distolse la mente dai ricordi per concentrarsi sul presente. -Molti avevano
capito da tempo che sarebbe sfociato tutto in uno scontro sanguinoso, che era
inutile tentare di parlare. Che alla fine qualcun altro sarebbe salito al
potere e tutto sarebbe tornato normale… -Un riassunto molto conciso e
semplicistico ma non lontano dalla verità. -E’ la stessa cosa, ci sono gli
stessi segnali.
-Non puoi impedirlo?
Liz rimase in silenzio a fissarlo un istante prima di scoppiare a
ridere, veramente divertita. Era sconveniente di fronte ad una persona in lutto per la perdita del
suo migliore amico. Beh, ragionò, se Angel si voleva comportare da idiota,
avrebbe avuto una trattamento da idiota, lutto o non lutto.
-Cosa credi? Che possa entrare nella sala principale del Concilio e dire
“hey bambini smettete di litigare”? E che loro buoni buoni continuerebbero come
facevano prima, come vecchi amici che si sono riconciliati?
Lui non si arrese. Era troppo importante per lui per farlo.
-Hai detto che hai potere, usalo. –scattò, risentito anche dal fatto che
lei continuava ad avere un sorriso ben stampato in faccia.
-La mia influenza non sarebbe assolutamente sufficiente a fermare quello
che sta succedendo.
Il tono di Eliza fluttuava tra il condiscendente e il seccato.
-E’ soltanto perché non vuoi provare.
Fu la sua tagliente risposta, involontariamente le mani si strinsero sui
braccioli della poltrona.
-Esatto Angel. Ci sei arrivato, bravo. –Liz applaudì appena,
beffarda. –Non voglio provare a fermare
due o tre fazioni del Concilio mentre si scannano a vicenda. Neanche un po’.
-E perché? Hai paura? Non ti regge lo stomaco a tentare una cosa simile?
Lo fissò negli occhi senza rispondere per lunghi istanti. “Crede veramente di avere a che fare con una
ragazzina sprovveduta che seguirebbe il suo orgoglio ferito in qualcosa che va
contro ogni logica e suo interesse? Soltanto perché l’hanno accusata di aver
paura?”.
-A questo punto sarebbe un suicidio per chiunque tentasse.
L’immortale fece un tentativo di riportare la conversazione ad un tono
più civile, inimicarsi il vampiro non era lo scopo della conversazione ma alla
sua risposta Angel si trasformò e le ringhiò contro.
-Non pensi che io sia capace di essere altrettanto pericoloso?
Lei lo guardò, rimanendo immobile nella sua posizione, ancora
completamente rilassata nella poltrona.
-Assumerò che questa tua reazione sia dovuta al dolore per la perdita
che hai subito. E che tu non mi stia minacciando. –il tono era diventato gelido
e tagliente, le parole pronunciata con esatta precisione. - Altrimenti dovrei
prendere provvedimenti a proposito.
Il volto di Angel tornò umano e lui si lasciò ricadere contro lo
schienale sforzandosi di rilassare i propri muscoli. Cercò di ricordare che era
qui perché Liz era il suo unico appiglio al Concilio e che una volta morta non
gli sarebbe servita a nulla.
-Come posso fidarmi di te? Hai appena detto che non intendi rischiare la
tua persona.
C’era risentimento nelle sue parole.
-Mettiamo in chiaro una cosa da subito Angel. Io non rischierò mai la
mia vita o quella dei miei per qualche stupida causa. E la tua sete di
vendetta, se non la sai controllare è una stupida causa. –Le parole erano dure.
– Quanto al fatto che tu possa fidarti o meno di me la risposta è semplice… Non
puoi, Angel… Non puoi fidarti di me… Ricorda, ti sto offrendo aiuto quando
avrei potuto evitare di farlo, od addirittura approfittarne e cogliere
l’occasione per eliminarti… Inoltre le tue chance di entrare dentro al
Concilio, trovare tutti i dirigenti, interrogarli, ottenere le tue risposte e
poi uccidere il colpevole, contando solo sulle tue forze quante possono essere?
Liz rimase in silenzio per un po’, per dar modo ad Angel di pensare. Non
che in realtà avesse poi molta scelta. Lei aveva ragione e lo sapevano
entrambi. Ci volle qualche minuto perché il vampiro si calmasse abbastanza da
parlare di nuovo.
-Dammi il nome di chi ritieni più probabile come mandante.
Liz rimase a pensare per qualche istante decidendo se informare o meno
Angel dei propri sospetti. Non sapeva se era la scelta migliore, non aveva idea
di quanto potesse controllare il vampiro una volta che lui avesse avuto un idea
di chi cercare.
-Il comandante dei progetti speciali Travers o il primo dirigente
Miller. Gli altri sono improbabili.
Angel annuì rimanendo in silenzio. La tentazione di alzarsi ed andare a
cercare i due per ammazzarli era forte, ma lui la soppresse accuratamente
limitandosi a pensare ad una linea di azione alternativa.
Voleva ucciderli. Avevano attaccato lui, i suoi amici, distrutto la sua
casa. Esigere la sua vendetta, la sua stessa natura e la sua educazione lo
incitavano a farlo. Era difficile dire di no. Ma aveva ragione Liz. Angel
sapeva benissimo che farlo ora, nelle condizioni in cui si trovava, sia
fisicamente che mentalmente, era una pazzia. E lui non commetteva pazzie.
No, avrebbe aspettato. L’immortale si era offerta di tenerlo informato
in caso nuove notizie le fossero arrivate e gli aveva detto che lo avrebbe
aiutato entro certi limiti. “Bene,”
decise Angel “questa è una base di
partenza”. Senza contare che, anche con la disponibilità di sangue fresco
che aveva ora, gli ci sarebbe voluti ancora molti giorni per rimettersi
perfettamente in sesto. Avrebbe potuto usare il tempo per sondare i propri
canali e riallacciare alcuni, scelti, contatti. Aveva intenzione di raccogliere
risorse, prime fra tutte il denaro, senza che si sapesse che lui fosse ancora
vivo.
Passarono alcuni minuti prima che l’immortale interrompesse i pensieri
del vampiro. Usò una voce gentile e allegra, appositamente regolata per
risollevare l’umore della conversazione.
-Cosa ti posso offrire?
Lui scosse la testa. Voleva pensare alle sue varie possibilità piuttosto
che mangiare qualcosa. Angel non sapeva cosa potesse guadagnare da questa
alleanza e la cosa lo metteva in svantaggio, oltre che renderlo particolarmente
nervoso. Doveva decidere in fretta cosa fare, se fidarsi di quella donna che
non gli aveva dato un solo motivo per farlo, né d’altra parte uno per non
farlo. Inutile anche tentare di chiederle altro ora. L’aveva fatta arrabbiare
abbastanza, e per il momento lui non era in grado di portare avanti un’altra
conversazione simile alla precedente senza impedirsi di scattare alla prossima
provocazione.
Al vampiro non piaceva assolutamente entrare in qualcosa che non
conosceva appieno. Chiuse gli occhi per un secondo e sospirò. Non aveva scelta.
Per quanto la cosa lo infastidisse doveva mettersi nelle mani di Eliza, almeno
per qualche giorno, e affrontare eventuali trabocchetti quando e se si
sarebbero presentati. Si rilassò di più nella poltrona ora che aveva preso una
decisione definitiva su cosa fare.
Quando rialzò le palpebre vide Liz in piedi a qualche passo da una porta
di legno.
-Su, Angel, non farti pregare, prendi un tè, qualsiasi qualità tu
preferisca... Colleziono miscele rare, ne ho un’intera dispensa. –continuò in
tono scherzoso quando vide che il vampiro non rispondeva ancora. –Scommetto che
in duecento e passa anni avrai sviluppato almeno un po’ di gusto, no? Oppure
hai sprecato tutto il tuo tempo in massacri e libri polverosi? So dei tuoi
viaggi in oriente, quando era… -una pausa mentre batteva leggermente l’indice
contro il mento cercando di ricordare o facendo finta di aver bisogno di farlo,
Angel non riusciva a dirlo. -…si, giusto, un po’ prima della rivolta dei boxer,
e se sei stato così tanto in Cina immagino che qualche volta il tè lo avrai
pure bevuto, no? Allora, quale qualità preferisci? Avanti, chiedimi qualcosa e
metti alla prova la mia preparazione di anfitrione.
Angel quasi sorrise. Apprezzava la pausa dalle questioni di affari, e
sembrava che l’interesse e il buonumore dell’immortale fossero naturali e di
sicuro facilmente contagiosi. L’irlandese decise che era venuto il momento di
farsi sollevare il morale a prescindere dalla buona fede o meno di chi lo
stesse facendo. Inutile stare lì
piangersi addosso per qualcosa che non poteva cambiare.
-Se fosse possibile prenderei volentieri una tazza di Yunnan Silver
Hair. –Le rispose con aria di sufficienza e un sogghigno divertito. Era una
miscela di tè rarissimo. Solo per il gusto di sfidare Eliza. E dimostrare di
aver acquisito buongusto negli ultimi secoli.
–Non è un problema. Dammi dieci minuti.
Quando uscì dalla stanza era lei a sorridere davanti alla faccia stupita
del vampiro.
Più tardi, con entrambi una tazza in mano stavano chiacchierando
tranquillamente del più e del meno. Qualche volta la voce di Angel si faceva
più triste, ma stranamente il vampiro era prodigo di parole, quasi loquace.
I ragazzi di Sunnydale non lo avrebbero riconosciuto. Ma lui non aveva
mai avuto argomenti da discutere con loro, parlare si, ma fare un discorso con
quegli adolescenti era un’impresa. Senza neanche considerare la limitatezza di
vedute di Giles, davanti a cui, a volte, persino i bigotti cattolici dei tempi
dell’inquisizione sembravano aperti alle novità.
-E così sei stata un’osservatrice, una nobildonna dai gusti raffinati,
il centro pulsante della società bene ucraina della seconda metà
dell’ottocento, e che altro?
Liz rise. -Oh, durante la mia vita sono stata tante altre cose.
Considera che tu, a soltanto duecentocinquanta anni, hai già cambiato bandiera
quattro volte e tentato di dare il via ad un'apocalisse. Pensa se avessi avuto
più tempo... ...infinite possibilità... –alzò le dita per enumerare, uno
sguardo divertito ai ricordi che doveva aver legato a quelle professione .-Ho
fatto l’attrice, il guerriero, persino la storica… -Liz sorrise, ammiccando
appena in direzione di Angel. –non potevi immaginare le cose che sapevo del
periodo storico che studiavo, rimanevano tutti stupiti, quasi io ci avessi
vissuto in quel tempo…
Sorrise anche Angel. Ricoprire per un decennio la carica prima di
ricercatore e poi di docente universitaria del rinascimento italiano era stato
uno dei periodi più felici della sua vita. Si era divertita molto in quegli anni,
nell’ateneo regnava un’aria di emancipazione e pace riflessiva come Eliza non
aveva trovato da tempo. Lì aveva conosciuto alcune brillanti persone,
ambientandosi praticamente immediatamente nonostante fosse una sconosciuta del
circolo dei professori. Ricordava ancora Thomas Dregert, una delle persone più
divertenti che avesse mai incontrato e uno dei migliori amici che avesse mai
avuto nella sua intera vita.
-E tu?
Angel la richiamò dai suoi ricordi. –Io cosa? –Chiese, colta di
sorpresa.
-Quante volte hai tentato di far finire il mondo?
Lo fissò divertita, immaginava avrebbe fatto la domanda.
-Nessuna. Sinceramente devo ancora capire perchè la gente voglia
farlo... sono sempre stata ossessionata dalla domanda… e dopo?
Angel si limitò ad alzare la tazza con una scrollata di spalle e
l’espressione totalmente vuota, ed a finire il suo tè. Non conosceva la
risposta.
La mercedes nera era ben oltre il limite di velocità, ma l’attraente quarantenne
dai capelli appena brizzolati che la guidava sapeva che nessuno avrebbe osato
fermare un’automobile con targa diplomatica. Anche se lui con l’ambasciata del
Nicaragua non aveva alcun rapporto.
Gillison tornava al Concilio dopo una serata decisamente divertente.
Aveva vagato senza meta per i club più esclusivi di Londra, passando ore molto
piacevoli, con un drink sempre in mano, finendo per conoscere un’attraente
modella bulgara che sapeva avrebbe rivisto a qualche altra festa.
Per una serata aveva voluto staccare dal lavoro. Le tensioni interne del
Concilio stavano per esplodere in qualcosa di grosso, qualcosa che sarebbe
stato difficile superare, praticamente impossibile superalo indenni, di
qualsiasi cosa si trattasse. Erano supposizioni infondate, lo sapeva, solo
sospetti ed esperienza. Per quello era a Londra. Meglio approfittare del
potere, godere della vita, fino a quando le avevi.
Ed andarsi a divertire in quei locali era favoloso. Gillison lo sapeva
bene, li frequentava anche per lavoro. Ironicamente, per stringere la maggior
parte dei suoi contratti d’affari doveva passare comunque la maggior parte
delle sue notti in locali simili se non gli stessi.
Chi aveva mai detto che i demoni non
sapessero divertirsi?
Per questo era così rinomato nel giro. Conosceva le persone giuste e
aveva tutti i requisiti per rimanere lì. Soldi, fascino, bellezza, potere. E
per una volta gli era tornato utile semplicemente per divertirsi.
Sentiva ancora l’odore del fumo, un misto di tabacchi e droghe, nelle
narici e il rumore della musica nelle orecchie. Per rilassarsi schiacciò ancora
di più il piede sull’acceleratore, volando sulle strade deserte.
Improvvisamente un grosso fuoristrada argento, uscito a tutta
velocità da uno dei vicoli laterali,
speronò la mercedes dalla parte del passeggero, mandandola a schiantare contro
il muro di una palazzina anni trenta.
Gillison riuscì a registrare l’ombra argentata alla sua sinistra appena
prima dell’impatto, prima di perdere il senso dell’orientamento mentre
l’automobile carambolava impazzita, completamente priva di controllo.
La mercedes diventò un caos di lamiere contorte e vetri infranti, la
macchia bianca dell’airbag che risaltava sul nero dei sedili in pelle e della
carrozzeria. Sotto la vettura si stavano già formando pozzanghere di olio e
benzina.
Anche se con il cofano completamente deformato ed un fumo grigiastro che
usciva dal motore, il fuoristrada proseguì, fino a fermarsi con una brusca
frenata a pochi metri dall’altra auto.
Il parabrezza fu spaccato dall’interno con un paio di calci. Poi un
corpo fu lanciato fuori dalla vettura, atterrando scompostamente fra i
frammenti di vetro sparsi sull’asfalto. Aveva la gola squarciata ed il volto
reso irriconoscibile da tagli insanguinati.
Lo sportello del fuoristrada fu aperto ed una figura completamente
vestita di nero ne uscì.
Prese a camminare lentamente verso la mercedes nera, i passi pesanti
degli anfibi risuonavano sull’asfalto. Non sembrava scosso.
Una volta raggiunta l’altra auto con pochi strappi aprì a forza lo sportello
incastrato ed irrimediabilmente deformato. Piegò leggermente la testa di lato e
contemplò per un attimo l’uomo che si trovava davanti. Il corpo riverso
sull’airbag ormai sgonfio e trattenuto dalla cintura di sicurezza.
Allungò una mano e controllò le pulsazioni della giugulare. Deboli ma
presenti.
La mano bianca con le unghie smaltate di nero scivolò dietro al collo
dove, con una leggera torsione ed appena un po’ di forza, ruppe la seconda
vertebra.
Continuando a guardare il quarantenne, l’uomo in nero scosse leggermente
la testa, sorridendo appena. Si stava divertendo un mondo.
-Un vero peccato che tu sia morto, non trovi? Ti eri comportato così
bene, la cintura, l’airbag che ha funzionato. Proprio fortunato a sopravvivere
all’impatto, anche se la velocità era un po’ alta… Bah... Sono scherzi del
destino Gillison. Non si sfugge alla vecchia signora… Soprattutto quando io me
ne assumo le funzioni.
Avvolto nel suo lungo spolverino nero si allontanò dalla macchina mentre
si accendeva flemmatico una sigaretta, i suoi capelli ossigenati spiccavano
nella penombra dei lampioni. Il forte odore di benzina cominciava ad
infastidirlo.
Fissò un punto in lontananza dove sapeva esserci un cecchino. Era stato
tenuto sott’occhio da lontano per tutta la durata dell’appostamento, lo sapeva.
Finì con comodo la sigaretta e poi si avviò verso quel punto. Aveva
ancora tanto lavoro da fare. E lui si era appena cominciato a divertire.
Jason entrò nella stanza esattamente due minuti dopo la chiamata
ricevuta dall’operatore. Superò senza esitazioni la soglia da cui proveniva la
luce che illuminava vagamente il corridoio, seguito a breve distanza dalla
squadra di sorveglianza notturna che si muoveva con cautela, i mitra spianati.
Il locale era identico a tutti quelli che si trovavano a questo piano.
Piccolo, impersonale, asettico, arredato spartanamente; il letto, un comodino,
una scrivania con telefono e la sedia addossata alla parete, dove era seduta
immobile la cacciatrice, sistemata in maniera tale da permettere di sorvegliare
la porta d’ingresso e l’intera stanza contemporaneamente. Niente, a parte la
sacca nera appoggiata sul piano della scrivania, dimostrava che quell’alloggio
fosse stato assegnato a qualcuno.
Il cadavere sul letto era fin troppo appariscente per essere ignorato
per più di qualche attimo da qualsiasi persona entrasse in quella stanza. Gli
sguardi erano attratti irresistibilmente da quella macabra figura, come
incuriositi. A Jason bastò un attimo per riconoscerlo. Si trattava di Dellah,
uno degli operativi, lo conosceva di vista, non ci aveva mai lavorato assieme e
lui non passava molto tempo libero con gli altri agenti.
Distolse lo sguardo dal cadavere e fissò Faith, ancora seduta sulla
sedia, nessuna emozione sul volto e lo sguardo impassibile. Ora non sembrava
più una ragazza di venti anni, espansiva e allegra come tante altre, era fredda
e spietata, sembrava trasudare pericolo.
Gli altri operativi continuavano a fissare stupidamente il loro collega
morto, senza riuscire a rivolgere lo sguardo verso altro, completamente
assorbiti dall’orribile spettacolo, come se sperassero che Dellah si alzasse in
piedi o forse temendolo. Era una cosa pericolosa da fare in una situazione
simile, avrebbero dovuto saperlo. Jason si appuntò mentalmente che avrebbe
dovuto far svolgere esercitazioni in proposito, qualcosa in cui almeno un uomo
della squadra rimaneva a terra in una situazione apparente di sicurezza, per
evitare che ci fossero reazioni simili in futuro. Far fuori ora la squadra di
sorveglianza sarebbe stato estremamente facile.
Infatti anche se avevano visto così tanti morti, corpi mutilati di
compagni, che la cosa ormai non li sconvolgeva più, questo era diverso. Morire
durante una missione era normale, tutti lo sapevano e tutti lo accettavano. Era
un rischio che conoscevano. Ma morire negli alloggi della sede centrale, quello
non lo era. Gli operativi faticavano ad accettarlo. Quel posto era sicuro,
nulla poteva entrarci. Era così da più anni di quanti loro fossero stati lì.
-Che cosa è successo?
La voce di Jason era quella di sempre, professionale, senza alcuna
emozione. Quella di Faith invece suonò a tutti fredda e distante rispetto a
quella che usava sempre, riuscendo ad attrarre l’attenzione degli altri
operativi.
-Vampiri. Un vampiro. William il sanguinario.
I chiodi piantati nelle mani della vittima non lasciavano molti dubbi
sull’autore.
Un istante dopo aver finito di parlare Faith era in piedi davanti a Jason,
ben dentro il suo spazio personale, gli occhi rabbiosi piantati nei suoi,
apertamente sfidandolo a reagire. Il capo degli operativi non si mosse di un
millimetro davanti alla furia della cacciatrice, limitandosi a battere le
ciglia calmo come sempre.
-Credevo fosse compito tuo impedire ai vampiri di entrare in questo
posto. Lì, - Indicò con la testa il letto. Il portamento ancora aggressivo,
pronta a reagire a qualsiasi minaccia. –C’è il risultato del tuo lavoro. –Faith
sorrise ironicamente, ma i suoi occhi erano duri come ghiaccio. Il tono era
rabbioso. –Ritenta. Scommetto che puoi fare di meglio.
Detto questo la cacciatrice prese la sacca ed uscì dalla stanza. Sul
volto di Jason non si era mosso neppure un muscolo. La sua voce era ancora
perfettamente normale quando parlò ai suoi uomini, mentre usciva anche lui da
lì, per raggiungere la cacciatrice, il passo tranquillo di sempre.
-Sistemate il cadavere e
perlustrate tutto il piano. Chiudete tutte le uscite. Massima allerta.
Raggiunse Faith davanti alle porte dell’ascensore che si stavano
aprendo. In completo silenzio entrarono nella cabina di metallo lucido.
Sentirono una leggera pressione schiacciarli quando si mise in moto,
cominciando a salire verso la sala controllo. Tutti e due fissavano invisibili
punti davanti a sé. La cacciatrice furiosa, il suo stato d’animo palesemente
evidente dalla forza con cui la sua mandibola era serrata e dalla rigidità
delle spalle, come se faticasse a trattenersi. Jason d’altro canto, dietro la
sua maschera di indifferenza, appena ingentilita con una cosciente distensione
dei lineamenti, in modo da sembrare comprensivo alla situazione di Faith, era
perplesso alle motivazioni che potevano esserci dietro quell’atto e quali
implicazioni che poteva avere.
-Perché lui?
Gli era necessario conoscere il movente, per riuscire a capire il resto.
-Ci sono andata a letto.
Il display montato sopra la tastiera segnò il raggiungimento del piano
desiderato. Un clic avvertì della prossima apertura delle porte scorrevoli. Ancora
nessuno dei due aveva voltato il viso per guardare negli occhi l’altro. “Strano che non ne sapessi niente” pensò
Jason. In genere era informato di quello che accadeva ai suoi operativi, ed
anche se non aveva alcun interesse nel controllare la loro vita privata, in
caso questa coinvolgesse dei colleghi, cosa tra l’altro vivamente sconsigliata
a tutti, praticamente proibita, diventava di sua competenza.
-Per quale motivo l’hanno ucciso?
Faith non gli rispose. Che ci arrivasse da solo. Non era lì per dargli
risposte. Si allontanò da lui senza dire un’altra parola.
Aveva paura.
Per la prima volta da quando era arrivato al potere aveva paura.
Niente più senso di onnipotenza. La base stessa del suo potere stava
vacillando.
Anni prima era stata la scalata verso il successo. Inarrestabile
scalata. Così semplice, rischiare qualcosa che non si possedeva.
Si era alleato segretamente all’opposizione di Lybrand, primo
osservatore di allora, mentre cercava consensi fra gli Osservatori Anziani più
giovani e promettenti, quelli che sarebbero potuti diventare dirigenti alla
prossima elezione. Tra loro era spiccata sin dall’inizio Marlin, una mente a
dir poco geniale, sufficientemente ambiziosa da sostenerlo ma che usciva da una
situazione troppo sfavorevole per poterlo surclassare nella corsa alla prima
poltrona.
Ancora oggi Miller, nonostante la grande stima che aveva delle abilità e
dell’intelligenza della donna, era all’oscuro che all’epoca Magdalene si era
legata anche ad un esponente minore tra i sostenitori di Lybrand, come piano di
riserva. In caso fosse saltato il colpo di mano la aspettava la carica di vice
dirigente delle finanze.
Poi, appena le cose avevano cominciato a prendere la piega giusta,
Miller aveva avuto la certezza di aver scommesso su una vincente. La donna,
nonostante l’età relativamente giovane, non aveva ancora quarant’anni, aveva
dimostrato tutta la sua abilità nel trattare con i suoi oppositori. Era
diventata uno squalo. Il suo squalo.
Aveva silurato decine di personaggi scomodi con efficienza ed eleganza.
Molti si stavano ancora chiedendo come o perché. Tanti altri non sapevano
neanche chi era stato a farli cadere. Rendendosi indispensabile a Miller.
E così era diventata temuta ed odiata, acquistando potere, consensi e
sostenitori.
Abbastanza da rappresentare un pericolo. Miller l’aveva capito tardi, ma
non troppo.
Non poteva certo rovesciarlo. Non ne aveva la forza, virtualmente
nessuno ha il potere di rovesciare il primo osservatore. E negli ultimi cinque
anni Miller aveva portato avanti una politica di divisione del potere fra i
suoi collaboratori, arrivando ad affidare importanti compiti anche ad
oppositori dichiarati, pur di non creare un solo pretendente che potesse
insidiarlo. Era stato per questo motivo che aveva appoggiato più o meno
segretamente un personaggio controverso come Travers, su cui da tempo pesavano
accuse di corruzione e malversazioni, in maniera che funzionasse da freno per
Marlin, certo che la storia tra loro due gli avrebbe impedito di allearsi,
facendolo diventare uno dei più potenti dirigenti.
Ma l’ultimo anno era bastato a gettare al vento il lavoro accorto degli
ultimi. La bilancia del potere di Marlin e Travers aveva cominciato ad oscillare
in maniera imprevista e con essa quella del suo diretto potere. Sembrava che la
guerra fra quei due stesse per sfuggire ad ogni controllo. Anche questo doveva
essere evitato. Avere un vincitore era contro ogni interesse di Miller.
Quella che aveva in mente lui era una lunga ma silenziosa faida fra i
due, che li avrebbe lentamente dissanguati senza ucciderli. Ma sembrava che
entrambi mirassero a sgozzare l’avversario nel più breve tempo possibile,
riuscendo a volte a scontrarsi nonostante le precauzioni prese dal primo
osservatore.
Le cacciatrici erano state un problema. Si erano rivelate il campo di
battaglia principale contro ogni sua aspettativa. Non che agli occhi degli
osservatori anziani e dei dirigenti contassero veramente, se non per un fatto
di prestigio. Ma per i quasi quattrocento osservatori giovani contavano… erano
essenziali.
E lui le aveva perse entrambe. Inizialmente si erano sottratte tutte e
due al controllo del Concilio ma la cosa non lo aveva preoccupato. Fuori dal
quadro non avevano valore ed a lui andavano bene così. Ma ora Miller aveva
capito che aveva trattato troppo frettolosamente il tentativo di riportarle
entrambe sotto l’ala protettrice del Concilio, o comunque di trovare una
soluzione permanente alla situazione. Si era limitato ad accettare i piani di
Marlin e di Travers, senza impegnarsi in prima persona o far intervenire terzi,
ed al fallimento del dirigente delle operazioni speciali le cacciatrici erano
passate entrambe sotto al controllo di Magdalene.
E questo era un problema. Il controllo delle cacciatrici era importante
ora. Al momento opportuno ci si sarebbe chiesti chi aveva il controllo delle
cacciatrici. E sarebbe stato fondamentale impedire a chiunque non fedele a lui
in prima persona di alzarsi e reclamare il controllo di tutte e due. Troppo
prestigio.
E quel momento sarebbe arrivato appena Marlin avesse deciso di averne
abbastanza di sostenerlo.
E Miller sentiva che la dirigente era vicina a prendere una simile decisione.
Doveva ammettere seppure con una smorfia di disgusto che i tempi ora erano
maturi.
C’erano state due effrazioni a distanza di neanche quattro mesi,
entrambe con perdite di uomini, nella sede del Concilio. Una sede inviolata da
più di tre secoli. Effrazioni per le quali non si aveva movente, né colpevoli.
Gli Osservatori Anziani avevano cominciato a borbottare nei corridoi.
Scontenti ed impauriti.
Ci si stava chiedendo se lui non stesse perdendo il controllo della
situazione. Si facevano previsioni giusto in caso…
L’unica soluzione era quella di accentrare il potere nuovamente nelle
sue mani. E di farlo in fretta per evitare che quelle previsioni servissero.
Così, Miller aveva cominciato a liberarsi dei dirigenti scomodi, in modo da
poter far eleggere i propri candidati alla prossima riunione. Ma questa
situazione di passaggio lo rendeva ancora più debole agli occhi di tutti.
Doveva correre ai ripari. Agire con decisione per far vedere che era
l’avversario temibile di sempre. Che nulla era cambiato. Aveva bisogno di un
po’ di terrore lungo quei corridoi in cui si passava troppo tempo a progettare
manovre sovversive. Un esempio.
Chiamò la sua segretaria e le diede ordine di convocare Jason.
Aveva bisogno di un colpevole per le effrazioni del Concilio. E Jason
avrebbe fatto bene a trovarne uno se non lo voleva diventare personalmente.
Il volo atterrò in orario al J.F. Kennedy. Faith era stata fortunata.
Appena arrivata in aeroporto aveva trovato un posto di business class
disponibile sul primo volo in partenza per New York, la cui prenotazione era
stata appena disdetta. Il volo trans-oceanico era stato lungo ma ogni minuto le
era servito per analizzare la situazione e decidere le prossime mosse.
Il suo comportamento poteva essere definito come una fuga. Qualcuno
aveva ucciso una persona importante, o presunta tale, nella tua vita (e quel presunta era stato l’unico errore
commesso finora dai suoi avversari) probabilmente per arrivare a lei ed
ucciderla. E la temeraria cacciatrice invece di dargli una caccia senza
quartiere, prendeva il primo volo disponibile per un altro continente.
Una fuga. Bhè, lo era, soltanto che lei preferiva chiamarla “ritirata
strategica”. A Faith non erano serviti gli anni di esperienza che aveva per
capire che William il Sanguinario era sulle sue tracce, le era bastato
l'istinto, tutto dentro di lei le urlava dicendo che era diventata la preda.
Perciò aveva fatto esattamente quello che aveva fatto diversi anni prima,
quando era Kakistos ad inseguirla. Era scappata. Senza pensare a quello che gli
altri avrebbero pensato di lei. Non le importava affatto. La cosa importante
era rimanere viva. E il suo vantaggio oggi era che non era affatto terrorizzata
da quanto era accaduto, al contrario di quanto era successo a Boston.
Aveva preso la sua borsa, era salita su una delle macchine del Concilio,
aveva guidato a tavoletta verso Londra e il primo aeroporto intercontinentale.
Da lì era salita sul primo volo che la portasse da qualcuno di cui si fidasse
davvero. Certo, sarebbe potuta andare a chiedere spiegazioni a Marlin o a
sentire almeno cosa ne pensasse lei. Oppure appoggiarsi a Jason ed indagare con
lui.
Ma Faith non si fidava di loro.
E stavolta scappava per motivi differenti.
Perché quella era una trappola. Così ovvia e grossolana, tanto che ci
sarebbe caduta in pieno in altre circostanze, se non fosse stato per quel
“presunta”. Accecati dal dolore e dalla rabbia era facile commettere errori.
Era tutta lì la differenza.
Non era scappata terrorizzata alla ricerca di un rifugio dove lui non
potesse trovarla.
Se ne era andata per due buoni motivi. Mettere tempo, non spazio, tra
loro ed usarlo per raccogliere informazioni utili sul suo avversario. Faith si
fece lasciare dal taxi giallo a qualche isolato di distanza dall’appartamento
di Liz, pagò in contanti, senza lasciare una mancia importante. Con la borsa in
spalla si avviò lungo il marciapiede.
Durante tutto il viaggio dall'aeroporto non aveva parlato, troppo assorta
nei suoi pensieri e nel controllare con discrezione che nessuno la seguisse.
Era impossibile o quasi risalire a quale dei taxi di New York lei avesse preso
per raggiungere il posto, ma non aveva voluto correre rischi inutili.
Durante il volo transcontinentale aveva avuto molto tempo per pensare,
troppo stanca per riuscire a dormire più di una mezz’ora, che le era servita
solo per avere un po' di lucidità in più. Aveva preso un paio di caffé per
tenersi ancora più sveglia e aveva cominciato a riflettere.
Era una delle cose che Liz aveva passato più tempo ad insegnarle. Sempre
pensare, mai agire di riflesso o per ripicca. Le aveva ripetuto decine di volte
che l'istinto serviva solo nei combattimenti, che per il resto del tempo doveva
usare il cervello.
Il che, detto ad una persona impulsiva come Faith, poteva essere
sembrato fiato sprecato. Ma la cacciatrice lo aveva capito, ed anche se non era
ancora in grado di “pensare” come Liz, Angel o
Magdalene, stava facendo grandi progressi. Del resto lei non era mai
stata stupida, giusto irruente.
Aveva passato ore a pensare, riuscendo a chiarirsi pochi punti ma a
formulare alcune domande di cui doveva conoscere la risposta. Se lei fosse
veramente o meno l’obbiettivo finale, o solo un messaggio per qualcuno. Oppure
quale fosse l’interesse di Spike nell’ucciderla, qualcosa la faceva dubitare
che fosse soltanto perchè era la cacciatrice. Ce ne erano due di cacciatrici e
William aveva dimostrato sempre molto più interesse per Buffy che per lei.
Inoltre per essere entrato nel Concilio doveva aver avuto un appoggio
dall'interno. Un omicidio su commissione, ecco cos’era. Nuova domanda, chi era
il committente?
Qualcuno di molto in alto. Faith non poteva escludere Marlin dalla
lista. Anche la donna aveva una lunga lista di motivi per farla fuori.
Rimaneva poi da capire come Spike si fosse liberato del chip che,
teoricamente, gli avrebbe dovuto impedire di fare del male ad esseri umani. E
questo significava anche che il vampiro era pericoloso, quando quelli di
Sunnydale lo credevano ancora innocuo.
Faith aveva prenotato un posto sulla coincidenza per Los Angeles. Se
qualcuno al Concilio si fosse preso la briga di controllare i suoi movimenti
avrebbe semplicemente assunto che se ne stava tornando di corsa a casa. Se
assumevano che lo faceva per scappare o soltanto perchè era una psicotica era
affare loro. Era questa la copertura alla visita ad Eliza. Una semplice tappa
intermedia di un volo transcontinentale.
Inoltre, durante il volo, le era venuto in mente un modo per divertirsi
un po’ a causa di tutta questa faccenda. Avrebbe dovuto avvertire quell'idiota
di Buffy che Spike era “tornato”. Non si preoccupava della salute della bionda,
ma le faceva comodo che l’altra rimanesse in vita. Al contrario di quello che
Buffy si ostinava a pensare. Meno
pressioni su di lei finché c’era la bionda a salvare il mondo e a chiudere la
bocca dell’inferno. E nell’avvertirla Faith avrebbe potuto almeno divertirsi,
si pregustava già la scena.
La coincidenza per L.A. partiva tra quattro ore. Giusto il tempo di
fermarsi da Liz e chiedere informazioni. Senza risentire minimamente del
jet-lag Faith percorse i due isolati che le mancavano per arrivare al palazzo
di Liz, godendosi la passeggiata. Le strade di New York erano sempre le stesse,
illuminate, trafficate e piene di gente.
Entrò nell'ampio androne del palazzo, illuminato dalla luce che filtrava
dalle eleganti porte a vetro, dove il portiere la salutò cortesemente con un
cenno del capo.
La conosceva e sapeva benissimo che era meglio mostrarle il dovuto
rispetto, come gli aveva consigliato la proprietaria dell'ultimo piano, che era
anche la più ricca del palazzo, nonché quella che gli dava le mance più
sostanziose. Tanti buoni motivi per mostrarsi cortese con quella ragazza
dall’aria “dubbia”. Come la sua borsa nera… L'uomo compose un numero al
citofono interno ed avvertì la signora dell'arrivo della sua ospite.
Negli ultimi anni quella era diventata una zona molto “in” della città.
Faith immaginava che l'immenso attico fosse il frutto di una speculazione
edilizia da parte di Liz. Non si sarebbe stupita se da lì ad un paio di anni,
od anche meno, l'immortale riuscisse a rivendere tutto per dieci o cento volte
il valore a cui aveva acquistato quella casa quando si trattava solo di
sobborghi industriali.
Il tempo era il migliore alleato per un certo tipo di investimenti.
Faith sorrise all'idea. L'immortalità non gli sarebbe dispiaciuta affatto. Ma
non era toccato a lei quel destino. Non questa volta. Le piaceva credere di
tanto in tanto a karma e reincarnazione.
“Forse al prossimo giro”.
L'ascensore la portò silenzioso all'ultimo piano.
-William il sanguinario o come preferisci negli ultimi anni solamente
Spike.
Le catene erano pesanti e ben fissate. Il vampiro non aveva alcuna
possibilità di spezzarle, soprattutto ora. Stava sdraiato a terra, cercando di
recuperare le forze e di capire cosa gli fosse successo. Malditesta, torpore
diffuso, sapore amaro in bocca, senso di nausea. Non erano i postumi di una
sbornia, i sintomi somigliavano inquietantemente a quelli che aveva avuto
quando il suo organismo cercava di assorbire i rimasugli di anestetico che quei
soldatini gli avevano iniettato.
La luce che arrivava dalla porta gli feriva gli occhi, costringendolo a
tenerli socchiusi. Non riusciva a capire se fosse giorno o notte.
Ringhiò verso l’uomo cercando di liberarsi di almeno un po’ della
frustrazione che provava, la risposta che ebbe lo fece solo arrabbiare di più.
-Pessimo carattere. Si, le cronache riportano anche questo.
Spike non disse niente, preferendo chiudersi in un testardo silenzio.
Che andasse pure al diavolo il diligente scolaretto.
-Sono qui per proporti un affare.
Niente. Sopprimendo perfettamente un sospiro di irritazione l’uomo
continuò.
-Ti posso far togliere quel chip dalla testa in cambio di una paio di
favori. Oppure mi saresti inutile. –Le implicazioni lasciate in sospeso erano
chiare.
Alla menzione del chip Spike si era improvvisamente interessato. Cercò
di mettere meglio a fuoco la persona che gli stava davanti, la sua vista non
era granché al momento ed il malditesta che voleva spaccargli a metà il cranio
non lo aiutava a concentrarsi. Probabilmente era un uomo non troppo alto,
piuttosto tarchiato. I capelli erano chiari, forse grigi.
-Di che si tratta?
La voce era rauca a causa della gola secca. Cosa avrebbe dato per una
sorsata di sangue umano ancora pulsante in quel momento.
-Qualche essere umano da uccidere. Una cacciatrice da eliminare… so che
sei un esperto nel settore.
Lo disse con totale noncuranza. Il vampiro aveva sentito persone
recitare la lista della spesa più emotivamente di quanto quest’uomo condannava
a morte. Sorrise felice fra sé. Finalmente non era più circondato da gente che
si scandalizzava se davi un pugno. Era una sensazione decisamente rinfrescante.
-L’unico esperto. –Precisò Spike mentre si passava la lingua sulle
labbra screpolate, deglutendo un paio di volte e finalmente ottenendo una voce
vagamente simile alla sua in condizioni normali. Ci teneva a precisarlo. Non
tutti si potevano vantare di aver ucciso due cacciatrici. -Ma voglio anche del
denaro. Molto denaro. Le cacciatrici sono pericolose.
Travers finse di pensarci. Aveva messo in conto da parecchio tempo il
costo monetario dell’accordo, e grazie a certi accorgimenti non avrebbe avuto
problemi nell’avere i fondi necessari. I demoni non erano altro che essere
corrotti ed immorali, sempre alla ricerca di un facile guadagno, aveva sperato
di poter comprare la fedeltà di Spike. Voleva però che fosse il vampiro a
proporlo per primo. Così da avere un’arma in più per controllarlo.
-Va bene. Cinquantamila a bersaglio, più centomila per la cacciatrice.
Tutto a lavoro finito.
Spike sorrise.
-Hai fatto un affare, amico.
Il sistema di sicurezza era uno dei migliori. Non era mai stato
perfetto, Jason lo aveva sempre saputo.
Sicuro, la perfezione non esisteva nella realtà, ma ci si poteva
avvicinare di più. Avrebbe potuto modificarlo e farlo diventare ancora
migliore, “perfetto”, anche se
paradossalmente non lo sarebbe mai stato. Per farlo avrebbe dovuto coinvolgere
in maniera diversa la componente umana, creare strati di sicurezza di vari
livelli, compartimenti stagni. Il tutto sarebbe costato ingenti quantità di
denaro e non avrebbe comunque risolto in maniera definitiva il problema. Per la
solita incognita, a dir poco annosa, di trovare la risposta alla domanda “chi
controlla i controllori?”.
Così aveva lasciato stare, aveva ignorato i punti migliorabili. Una
negligenza dettata non dall’incuranza ma dalla prudenza. A lui non era di
nessuna utilità il sistema perfetto. In un sistema perfetto tutto è
sostituibile e niente è indispensabile. Ed in un posto in cui la speranza di
vita non raggiungeva i venti anni, non era salutare essere sostituibili.
Così Jason aveva provveduto a rivedere il sistema di sicurezza
rendendolo migliore del precedente, in modo da garantire una buona protezione.
Per questo non si era stupito del fatto che un vampiro fosse potuto entrare,
fosse riuscito ad uccidere un uomo e fosse uscito indisturbato. Le zone di
ombra che aveva lasciato erano poche, difficilmente rintracciabili (anche se
qualcuno ci era riuscito, qualcuno che non era lui… e questo non andava bene) e
non potevano essere collegate a lui in alcun modo.
Jason non avrebbe voluto mai trovarsi nel lato sbagliato di una fortezza
dopo averne costruita una.
Era difficile battersi allo stesso gioco. Come giocare a scacchi contro
sé stessi.
Il problema ora era trovare cosa non avesse funzionato e perché. Lui era
il capo della sicurezza di quel posto e toccava a lui trovare la soluzione
all’enigma. Preferibilmente prima che Miller perdesse completamente la pazienza
e lo allontanasse dall’incarico.
E questo era da evitare.
Il capo del Concilio lo aveva già chiamato diverse volte, senza neppure
prendersi la briga di nascondere le minacce che gli aveva fatto durante le
conversazioni con allusioni o cordiali frasi. Jason aveva una scadenza con cui
confrontarsi. Gli aveva dato cinque giorni, non un minuto di più per risolvere
tutto.
Cinque giorni, ed erano già passate dieci ore.
Ore in cui non aveva trovato nessuna prova. I video, che erano stati
visionati da una squadra di venti uomini (scelti tra gli analisti interni del
Concilio, non aveva tempo di trovare uomini altrettanto fidati), erano
accatastati sul suo scrittoio. Non si trattava di videocassette, ma di una
ordinata pila di dvd a bassa risoluzione. Il Concilio si era convertito da
tempo all’uso della tecnologia digitale, migliorie tecniche considerate di una
qualche importanza dagli ingegneri preposti a quella roba (di cui lui non si
interessava).
Jason aveva appena finito di leggere il rapporto che aveva ricevuto con
i dischi, tre pagine scarse, battute in fretta con un carattere piuttosto
grande ed una pessima impaginazione.
Parlavano chiaro. Nelle cento ore di nastro (che coprivano un arco di
tempo di dieci ore) visionate, non si vedevano entrare nell’edificio persone
sconosciute o non rintracciabili. Non c’erano mancanze di ore nelle
registrazioni, i dvd contenevano l’esatta quantità di minuti che dovevano
contenere e nessuna apparente alterazione era stata rilevata.
Le guardie, interrogate da altre squadre ed i loro comandanti, con cui
aveva parlato personalmente, avevano riferito di non aver visto nessuno.
La falla della sicurezza era ancora sconosciuta.
Jason si lasciò andare contro la poltrona di pelle. Questa assenza di
tracce poteva significare tante cose. Si grattò pensieroso un sopracciglio. Lo
faceva solo quando era solo, si lasciava andare abbastanza da permettersi
un’abitudine non necessaria, giusto rilassante.
C’erano tante possibili spiegazioni a quello che era successo.
Uno degli analisti era complice dell’omicidio (dando per scontato che
fosse riuscito ad avere assegnata la registrazione dell’ingresso da esaminare),
probabilmente assieme ad alcune guardie. Si permise di considerarla una ipotesi
marginale. Attuare un piano del genere era pericoloso, perchè mantenerlo
segreto era fondamentale. E più persone si coinvolgevano più era probabile una
diffusione di indiscrezioni o di un errore.
C’era stata una manomissione delle registrazioni, tale da non essere
individuata ad una prima e superficiale verifica. Ed il colpevole, il complice,
diventava uno dei tecnici della sala controllo. Oppure una delle persone che
lavorava negli archivi con le necessarie conoscenze tecniche. In totale più di
quaranta persone da esaminare.
Si poteva ipotizzare anche che uno degli interni fosse stato trasformato
in un vampiro, ed usato per l’omicidio. Poteva essere rimasto in casa ad
aspettare la chiamata di controllo per poi sparire nel nulla. Non c’era modo di
accertarsene. Un nuovo giro di telefonate non avrebbe di nuovo dato l’assoluta
certezza in un senso od in un altro. Andare in casa di ognuno a controllare
fisicamente era logisticamente impensabile, a causa delle ingenti risorse, sia
di uomini che di tempo (e non aveva nessuno dei due), che sarebbero state
necessarie.
Oppure si poteva supporre che il vampiro assomigliasse a qualcuno che
lavorava lì, qualcuno che entrava ed usciva dall’edificio molto spesso, e fosse
stato scelto per questo. Anche se Faith era sicura che si trattasse di William
il sanguinario in persona. Non gli aveva spiegato perché lo riteneva così
probabile, modus operandi a parte.
Certo, il rituale dell’omicidio era peculiare di quell’individuo, ma
poteva essere replicato, lui non aveva i mezzi per saperlo con certezza, non
era mica uno della squadra scientifica, né poteva consultare esperti che
fossero stati inviati ad indagare in casi di uccisioni con lo stesso modus
operandi in cui era certo il coinvolgimento del sanguinario.
Si parlava di casi di decine di anni prima se non cinquanta. Ed allora non si pensava certo ad analizzare
scientificamente il luogo del delitto. E comunque era probabile che le
registrazioni e gli incartamenti fossero andati persi.
Quindi Jason non poteva avere alcuna certezza a meno che la ragazza non
ne avesse sentito l’odore, o qualcosa del genere (ed ora lei si trovava da
qualche parte in America od ancora in volo sull’Atlantico, irraggiungibile
telefonicamente), oppure conoscesse fatti che lo individuavano come colpevole
certo (che non gli aveva riferito prima di partire).
Trovava tutto questo frustrante, miliardi di “se” e decisamente troppi
pochi fatti che potevano essere interpretati in modo opposti e contraddittori.
Ma il capo della sicurezza non
voleva correre rischi. Quella di William il sanguinario era la migliore
pista che aveva finora (e se si fermava a riflettere che la sua migliore pista
non era sostenuta dal minimo elemento di certezza se non dei chiodi, si sentiva
del tutto impotente e di conseguenza rabbioso…). Gli analisti avevano cercato
il volto del vampiro con particolare attenzione mentre esaminavano i nastri.
Ancora senza successo.
Un'altra eventualità era che la finestra di orario esaminato, fosse sballata,
proprio perché non era stato William il sanguinario a commettere
quell’omicidio. Sarebbero bastati pochi minuti di scarto. Un errore nel
determinare il momento della morte. Quanto era esperto il medico che aveva
fatto la stima, e di quanto poteva essersi sbagliato?
Ed altre ipotesi era possibili, seppure meno probabili. Rimaneva la
certezza del fatto che almeno un interno aveva aiutato l’operazione. Altrimenti
tutto sarebbe stato impossibile. Ed il suo compito era trovarlo. Per quanto
riguardava rintracciare e uccidere il vampiro c’era tempo.
Jason era un esperto tattico, non un investigatore. Lui era abituato ad
avere le informazioni prima di stendere un piano. Non che non avesse mai fatto
ricerche prima, ma non era un analista dannazione! C’erano altri per quel
lavoro. A lui non piaceva affatto svolgerlo. Non amava affrontare decine di
possibili “se” e “ma”, lui voleva problemi reali, con incognite possibili in
una determinata gamma, che avrebbe
potuto affrontare subito. Che avrebbe dovuto affrontare e risolvere (in un modo
od in un altro) immediatamente.
Lui prendeva decisioni in istanti, lavorava su modelli più semplici
rispetto a quello a cui si trovava di fronte questa volta. Trovava il problema
troppo complesso per essere certo di non dimenticare nulla, un effetto
collaterale od una variabile che non riusciva a vedere. Ed il fatto di non
essere abituato a quel genere di lavoro implicava che non conosceva i mezzi per
poter diminuire drasticamente il numero di quelle opzioni in maniera corretta,
poteva ignorale su una base di esperienza ma questo poteva anche non bastare.
Per questo era un ottimo tattico ed un mediocre stratega.
E tra gli analisti spiccava una figura diventata ormai mitica. Marlin,
Magdalene Marlin.
I suoi successi dentro il Concilio, proprio come capo del settore
analisti, e fuori, in campo economico, erano diventati leggendari. Si diceva
che fosse in grado di prevedere tutte le eventualità e prevenirle. Era grazie a
queste sue capacità che era arrivata così in alto. La prima analista a
diventare dirigente.
Jason si alzò. Doveva andare a parlarle, non era il suo superiore
diretto, ma per quello che voleva fare era necessario il suo consenso, od
almeno doveva informala per una questione di cortesia (che non era affatto
cortesia), anche se aveva l’autorizzazione di Miller nel condurre le indagini
ai massimi livelli.
Faith attraversò l'ampio ingresso dell'appartamento di Liz senza
fermarsi. Non sapeva quanto l'immortale avesse speso per arredarlo, sicuramente
tanto, ma era riuscita a renderlo un posto davvero speciale. Qualcosa che Faith
era andata vicino a chiamare casa. Sentendosi completamente a proprio agio,
aveva vissuto lì per alcuni mesi, la cacciatrice si tolse la giacca scura e la
ripose assieme alla sua borsa da viaggio nel guardaroba attiguo all’ingresso
principale prima di proseguire per il salone.
Dalla porta vide Eliza, sedeva placidamente nella sua poltrona
preferita, la più vicina al caminetto e quella da cui si poteva vedere la
soglia. Appena entrata nella stanza Faith sentì la presenza di un vampiro. Si
tese d’istinto, gli occhi che cercavano discretamente ma velocemente nella
stanza fino a notare un braccio poggiato sul bracciolo della seconda poltrona.
A quanto pareva Liz aveva ospiti. La cacciatrice, tra il sorpreso e
l’indifferente, alzò un sopracciglio in una muta domanda mentre continuava a
camminare. Le fu risposto con un sorriso solo accennato, calmo e rilassato, da
parte dell’immortale. Sembrava non ci fossero problemi. Meglio così.
Superata la poltrona e raggiunto il centro della stanza, Faith girò la
testa per vedere in faccia l’altro ospite, incuriosita. Non accadeva spesso che
trovasse altri nell’appartamento di Eliza. Soprattutto vampiri. Ma Faith non si
aspettava certo di vedere proprio “lui” con la sua amica. La sua sorpresa durò
un attimo, subito sostituita da l’apparire di un sorriso sarcastico.
Perché, seduto placidamente sulla poltrona, c'era Angel, che la stava
fissando intensamente.
-Ma guarda un po’ chi si vede. Il redento… di nuovo redivivo… con
questa… quanto fanno? …Tre? …Sta diventando un vizio il tuo, eh? –lo attaccò
senza neanche disturbarsi a salutarlo e a fingersi educata per un momento.
Vederlo fu sufficiente per ricordarle immediatamente perché si trovava lì. E
non era per piacere. –Sa, si fa un gran
parlare della tua morte in certi ambienti. Fiato sprecato sembra. Hanno
addirittura tirato fuori profezie, testi sacri. Sono anche state pagate un bel
po’ di scommesse.
Angel non si scompose minimamente alle parole.
-Faith. –Replicò condiscendente, salutandola, e lei continuò, beffarda.
Era arrabbiata e lui forniva un buon bersaglio, uno decisamente a portata di
mano, tra l’altro non del tutto innocente. Quasi la perfezione.
-Loquace come sempre… di sicuro l’ultimo vampiro che mi aspettavo di
trovare qui… beh, il penultimo, a dire la verità… Mi dispiace… -Rispose con una
scrollata di spalle ed un’aria fintamente malinconica alla domanda silenziosa
di Angel. –…ma al primo posto per il momento c’è Spike… -Si notò che il vampiro
era sorpreso. –Esatto. –Annuì Faith. –Il childe ti ha rubato la scena. Anche se
a pensarci bene credo che sia ancora nella vecchia Europa… Hum…Dellah lo ha
ammazzato in Inghilterra meno di ventiquattro ore fa.. Chissà… forse soffriva
di nostalgia di casa, e vuole rimanerci per un po’.
La risposta di Angel fu calma e ragionata. Non era la prima volta che
una cacciatrice gli sciorinava addosso quella che credeva la verità in un lungo
e tedioso monologo. Doveva ammettere però che almeno il sarcasmo di Faith era
migliore dell’ultima volta.
-Spike non può uccidere esseri umani. Ha un chip in testa che glielo
impedisce.
“Una lezione facile da imparare
anche per una cacciatrice stupida come te.” Pensò con
disprezzo il vampiro ma non lo aggiunse. La mora non gli era mai stata
simpatica. Da subito non aveva potuto fare a meno di pensare che aveva troppa
potenzialità di diventare una ribelle anarchica, una vena di imprevedibilità
troppo profonda per essere controllata efficacemente. Aveva avuto ragione.
-Strano. Allora il cadavere dissanguato che ho trovato sul mio letto,
con tanto di morso sul collo, in bella vista, e chiodi piantati nelle mani deve
esserci finito per caso.
-Non puoi sapere se sia stato lui o no.
Le fece notare, con il tono annoiato da professore pedante. “Una testa calda sempre pronta a saltare
alle conclusioni, ecco cos’è… non che mi stupisca, visto che la prima volta che
mi ha incontrato ha tentato di farmi fuori, basandosi sulle parole di una persona
che conosceva da si e no due giorni”.
-No, non lo so… Io lo sento. –Faith sorrise, cattiva, da predatore, una
luce strana negli occhi. Angel si fece più attento, raddrizzò schiena e spalle
mentre alzava il mento, fissando i suoi occhi nel volto di lei. Stava
cominciando ad arrabbiarsi, al momento non aveva voglia di ascoltare le
farneticazioni di quest’esaltata. –So che mi sta dando la caccia. E so che
Dellah è finito cadavere su quel letto solo perché c’era già stato.
Angel continuò a sostenere il suo punto, certo di avere ragione.
Conosceva l’altro vampiro abbastanza da sapere che non poteva essere vero.
-Non è nello stile di Spike.
-Ma è stato lui.
Incalzò ancora Faith.
-Lui non tortura le cacciatrici uccidendo chi gli sta intorno. Le
studia, a lungo a volte, poi le affronta direttamente in uno scontro uno contro
uno.
Una spiegazione assennata abbastanza da far desistere la maggior parte
degli accusatori. Un sorriso apparve appena sulle labbra di Angel, compiaciuto
per aver sottolineato così bene il perché avesse ragione e non da ultimo di
aver fatto passare l’altra per un’idiota. Faith non fece passare neanche un
secondo prima di rispondere.
-Ma tu lo facevi, Angel, vero? –Lui non disse niente, né si mosse.
Continuava a fissarla, duro. Ora lo stava davvero seccando. Ci fu un attimo di
silenzio e quando proseguì a parlare il tono della cacciatrice era cambiato,
diventando improvvisamente serio. –Io non gioco a rimpiattino passeggiando nei
cimiteri con un paletto in mano mentre canticchio spensierata, Angel, facendo
solo attenzione a non rompermi un’unghia. Io ho voglia di vivere.
Un attimo.
Angel era scattato e ora torreggiava su Faith, superandola di tutta la
testa, imponente, il volto trasformato e rabbioso, le dita ad artiglio a pochi
centimetri dalla gola scoperta della cacciatrice. Anche lei era in piedi,
teneva un pugnale contro il petto del vampiro, esattamente sopra il cuore.
-Sai… -lo disse sibilando. -…anche il mio coltello ha un’anima… La sua è
di legno, come la punta. Ironico non trovi?
Rimasero immobili a fronteggiarsi, in stallo.
-Tu non lo ucciderai.
Da poco tempo Angel si era riconciliato con l’idea che neanche dopo un
secolo passato con un’anima era diminuita in alcun modo la sua voglia e
necessità di proteggere la sua famiglia da attacchi esterni. Certo, avrebbe
ucciso uno dei suoi se si fosse sentito minacciato personalmente, oppure se
fosse scoppiata una faida interna in famiglia od in caso qualcuno tentasse di
porre termine all’esistenza dell’intero pianeta. Altrimenti loro erano una famiglia,
e la famiglia andava protetta.
Dopo i decenni passati in solitudine, quando Angel aveva cercato di
negare il fatto che considerava tutt’ora vampiri senza anima come parte della
sua famiglia, aveva accettato la netta divisione della realtà in buoni e
cattivi dettata da una certa bionda. Lo aveva fatto perchè gli aveva che
fornito un alibi per semplificare delle scelte difficili. Ma alla fine non era
più riuscito a negare qualcosa del genere, qualcosa che gli avevano insegnato
fin dall’infanzia e in cui aveva creduto per più di un secolo, ed era tornato
ad accettare anche l’esistenza del grigio. Così aveva deciso di seguire il
proprio impulso naturale, soprattutto ora che non aveva più determinate persone
a ricordargli quanto fosse sbagliato non vedere tutto in bianco e nero.
-A scegliere tra me e lui non esiterei un attimo.
Fu l’immediata risposta della cacciatrice.
Nessuno dei due respirava, completamente concentrato sull’altro. Sarebbe
bastato un movimento per farli scattare.
-Angel il tuo tè si sta freddando. Faith accomodati pure sul divano
mentre ti porto qualcosa.
La voce di Liz era tranquilla come se gli altri due non stessero che
scambiandosi banalità di circostanza, invece di minacciarsi di morte. La
tensione che si era creata nella sala cominciò a diminuire.
Lentamente, entrambi si allontanarono, senza smettere di fissarsi.
Sapevano che era stupido, che non c’era alcun motivo in realtà nelle attuali
circostanze per volersi uccidere, se non il fatto che entrambi si sentivano
esposti e non vedevano l’ora di far pagare qualcuno per la loro vulnerabilità.
Faith tornò a sedersi contemporaneamente al vampiro, per poi rilassarsi
contro lo schienale e rivolgersi con voce casuale e perfettamente controllata a
Liz, facendo però attenzione che Angel rimanesse nella periferia del proprio
campo visivo. Erano entrambi ancora piuttosto agitati e lei non avrebbe fatto
l’errore di abbassare la guardia ora.
-Hai ancora nella tua riserva di tè rari lo Yin Zhen?
Angel piegò la testa un po’ di lato come per vedere la cacciatrice da un
altro punto di vista. Per la prima volta, il vampiro era rimasto stupito da
Faith. Non avrebbe creduto che la cacciatrice fosse un’estimatrice di miscele
rare. A dire la verità fino a pochi attimi fa era stato certo che Faith non sapesse
nemmeno che esistessero diversi tipi di tè.
Eliza sorrise appena all’espressione del vampiro, annuendo
impercettibilmente verso la cacciatrice. Si alzò ed uscì tranquilla dalla
stanza portando con sé la sua tazza, ora vuota.
L’aveva finita mentre gli altri discutevano, impegnata a riflettere
sull’inaspettata situazione che aveva davanti e contemporaneamente a seguire la
loro conversazione, o, più correttamente forse, il loro confronto.
Avesse potuto scegliere Eliza avrebbe preferito di gran lunga evitare
che quei due si incontrassero, soprattutto così a quel modo, completamente di
sorpresa, rendendo palese il fatto che erano entrambi sue strette conoscenze.
“Dannazione fosse per me avrei
preferito che non sapessero nemmeno dell’esistenza l’uno dell’altro, tanto meno
farli scontrare così in un momento in cui entrambi vogliono il sangue di
qualcuno per sentirsi appagati.”.
Per un momento aveva temuto veramente che si sarebbero saltati addosso.
Ma con quell’intervento era riuscita a calmare la situazione almeno un po’.
Eliza sapeva che in caso estremo aveva una profonda influenza su Faith ma Angel
sarebbe stato molto più difficile da controllare.
Il che non faceva che sottolineare ancora una volta quanto ora avrebbe
dovuto lavorare per rimediare alla situazione che si era creata in pochi
istanti. Praticamente il loro incontro non poteva capitare in un momento
peggiore.
“Deve essere una sorta di scherzo
cosmico…” decise sospirando Eliza mentre apriva la
vetrina dove teneva il servizio da tè per prendere tre nuove tazze. Anche lei
aveva bisogno di qualcosa da sorseggiare mentre trovava una soluzione a questo
pasticcio. Con un po’ di fortuna la bevanda avrebbe calmato un po’ anche gli
altri due.
Imprecò ancora tra sé.
Era stato il giorno in cui Faith se ne era andata a vivere per conto
suo, dopo essere rimasta quasi un anno ad abitare lì con lei, che Eliza le
aveva detto di tenere le chiavi dell’attico che le aveva dato tempo prima.
Quel giorno le aveva detto che quella era anche casa sua, che poteva
venire in qualsiasi momento senza avvertire, che era sempre la benvenuta e lo
sarebbe rimasta a prescindere da qualsiasi cosa fosse accaduto. Semplicemente
per il fatto che era una di famiglia.
Forse quello era stato uno dei momenti più critici del loro rapporto.
Era andato bene.
Era stato così palese, sin dal loro primo incontro a Boston, quanto
Faith diffidasse degli altri. Le difficoltà della ragazza erano così
tremendamente evidenti che spesso Eliza si era trovata a chiedersi come il
resto del mondo potesse non accorgersene. Tutti i segni erano lì. Ma non era
quello l’importante. Fortunatamente Faith era stata costretta a fidarsi di lei
nelle condizioni fisiche in cui si era trovata. Doveva essere stato un inferno
di uno scontro. La ragazza sembrava appena uscita da un tritacarne. La
cacciatrice aveva fatto domande all’ipotetica amica di Catherine però, per
avere la conferma di quanto affermava la donna. Il fatto che Eliza fosse a
conoscenza di alcuni particolari della vita dell’osservatrice probabilmente era
stata l’unica cosa a fermarla dal tentare di scappare.
L’immortale aveva comunque atteso più di un mese e fondato le basi di
un’amicizia prima di far leggere a Faith
una lettera autografa di Catherine in cui l’osservatrice le chiedeva di badare
a sua figlia adottiva in caso le fosse successo qualcosa. Eliza aveva fatto
passare ancora più tempo prima di rivelare a Faith il fatto che aveva
considerato Catherine una sorella. La cacciatrice non aveva avuto difficoltà a
credere che per Eliza non fosse un problema non avere del sangue in comune con
qualcuno per considerarlo di famiglia. In fondo, le aveva rivelato la ragazza,
era il suo stesso metodo.
L’ovvia conclusione di quella conversazione, quella che nessuna delle
due aveva espresso, era che Faith stessa ora faceva parte della famiglia di
Eliza. Per questo le aveva dato le chiavi dell’attico. Eppure la cacciatrice le
aveva sempre telefonato prima di passare a trovarla, oppure era andata ad
aspettarla alla palestra che possedeva per vederla.
Ed oggi, che per la prima volta aveva accettato quell’offerta, che aveva
usato quelle chiavi, si era ritrovata davanti il sire del vampiro che aveva
ucciso qualcuno che conosceva meno di ventiquattrore fa. “Perfetto, veramente perfetto… qualcuno lassù se la starà ridendo alle
mie spalle”. Eliza sperava che la cosa non avrebbe avuto eccessive
ripercussioni sul suo rapporto con la cacciatrice. Non si erano mai messe a
tavolino a discutere la cosa ma sperava che Faith la considerasse parte della
sua famiglia come lei considerava la ragazza.
Tutto per una semplice incuranza poi. “…sempre l’inizio degli errori peggiori”. Eliza non aveva neanche
pensato ad avvertire Faith di evitare di passare da lei per i prossimi tempi.
Ed ora aveva perso anche buona parte del proprio vantaggio su Angel.
Il vampiro sapeva che la cacciatrice era almeno una sua alleata,
probabilmente che era qualcosa di più. Questo gli dava più potere di quanto
piacesse ad Eliza. Sicuramente ora l’immortale avrebbe dovuto trattare molto
più cautamente con lui. Sarebbe stato difficile che lui si fidasse ora.
Probabilmente Eliza avrebbe dovuto cambiare completamente tipo di
approccio.
Senza considerare il fatto che Spike stesso complicava considerevolmente
la situazione. L’immortale non aveva creduto che riuscissero a reclutare
qualcuno di simile. Chiunque l’avesse reclutato. Tutta quella faccenda stava
precipitando a velocità pazzesca.
“Ormai è fatta. Cerchiamo di trarre il massimo
vantaggio dalla cosa.”
Jason bussò leggermente sulla porta prima di entrare. La segretaria gli
aveva detto che Marlin era disposta a riceverlo subito. Un segno di stima e gentilezza
da parte sua. Difficile comunque ignorare un incaricato speciale di Miller,
anche se lei avrebbe potuto farlo. I dirigenti erano gli unici a non essere
direttamente sottoposti al potere del primo osservatore.
Potevano anche rifiutare di eseguire i suoi ordini, con dovute
motivazioni. Il capo del Concilio non poteva intervenire direttamente contro
uno di loro, ad esempio uccidendoli o arrestandoli, senza l’approvazione della
loro stessa assemblea. Poteva al massimo sollevarli temporaneamente (per un
periodo di otto giorni) dalle loro mansioni.
L’ufficio di Marlin era come sempre di qualche grado più caldo del resto
del Concilio. Qualcuno sussurrava nei corridoi che la dirigente lo facesse per
far sudare di più e più velocemente chiunque vi mettesse piede. Lei, come
sempre impeccabilmente vestita con un abito scuro dal taglio classico, sedeva
dietro allo scrittoio di ebano intenta a leggere qualcosa.
Gli fece cenno di sedere su una delle due poltroncine mentre chiudeva
una cartellina gialla posandola momentaneamente vicino al bordo della
scrivania, dimostrandogli chiaramente che aveva tutta la sua attenzione.
-Buongiorno Miss Marlin.
Jason si rilassò sulla sedia. Lo schienale in pelle era morbido ed
accogliente.
-Buongiorno a lei, Jason.
Si raccontava anche che quelle fossero le più scomode poltroncine
all’interno dell’intero Concilio. Le “infernali sedie elettriche” le chiamavano
alcuni. Dovevano diventarlo pochi minuti di colloquio probabilmente, rifletté
Jason, visto che al momento le trovava decisamente confortevoli.
-Mi dispiace averla disturbata durante il suo lavoro.
Con un lieve movimento della mano Marlin gli fece cenno di saltare i
convenevoli mentre lo fissava negli occhi, come soppesandolo. Il capo degli
operativi aveva la netta sensazione che i patologi legali osservassero così i
cadaveri dei casi particolarmente interessanti. La cosa non lo turbò
particolarmente ma lo rese più attento di prima alle reazioni della donna.
Jason fu comunque ben contento di acconsentire alla richiesta inespressa, lui
non era mai stato un diplomatico e l’idea di perdere tempo in cortesie lo
irritava. Non era il tipo d’uomo da rimanere affascinato di fronte alla
prospettiva di saper dire buongiorno in cinquanta modi diversi.
Era anche vero che sotto quello sguardo la poltroncina su cui sedeva
cominciava ad essere meno comoda, anche se sapeva perfettamente che Marlin non
stava cercando di intimidirlo, non ancora almeno, semplicemente la sua sola
figura irradiava qualcosa di indecifrabilmente pericoloso.
Ma era una sensazione abbastanza forte da far avere la certezza a Jason
di non voler mai trovarsi ad essere il destinatario di un vero sguardo
minaccioso della donna, o a diventarne un diretto nemico. Di certo lei non
aveva amici.
-Sono qui per chiederle formale permesso di ingresso ai file bancari di
tutti i dipendenti del Concilio.
Non molti sapevano che i propri conti correnti o depositi fossero
controllati. Era così da sempre. Motivi di sicurezza. Marlin ne aveva la
chiave, era il dirigente delle finanze del Concilio, milioni di dollari
passavano nelle sue mani ogni giorno. Controllarne qualche milione in più non
poteva fare molta differenza.
-Per quale motivo e per ordine di chi?
Aveva il diritto di chiederlo. La formalità della risposta era dovuta ai
rigidi protocolli che vigevano in quel posto.
-Per ordine del Primo Dirigente del Concilio Miller, Primo Osservatore,
in veste di incaricato speciale dell’investigazione sull’omicidio avvenuto
all’interno di questo edificio. Sospetto la collaborazione di almeno un interno
nell’effrazione verificatasi la notte scorsa. Intendo controllare se esistono
equivoci movimenti di denaro, in quanto è probabile che il traditore sia stato
ricompensato in denaro per la sua collaborazione.
Tante parole per non dire praticamente nulla. Il capo degli operativi
non apprezzava i termini burocratici, erano troppo lunghi per lui.
-Capisco. Ovviamente vorrà l’accesso anche ai file dei dirigenti.
Jason si limitò ad annuire. Sembrava che la donna non avesse alcun
problema a fornirgli quello che gli serviva. A dire la verità il volto di
Magdalene era un’assoluta maschera di neutralità, un’espressione talmente
perfetta da essere totalmente vuota. Il capo degli operativi la vedeva
praticamente ogni giorno da almeno dieci anni, sempre cesellata ad arte, come
quella che indossava lui. In tanti anni di vita Jason non aveva mai incontrato
nessun altro capace di nascondere le proprie emozioni come Marlin o se stesso.
Ma al contrario della sua maschera, davvero perfettamente neutrale o
meglio ancora fredda, quella della dirigente faceva trapelare una leggera aria
di pericolo imminente ma del tutto inafferrabile che lo innervosiva appena.
Forse perché Jason non sapeva in cosa lei potesse veramente rivelarsi una
minaccia, non certo fisicamente. Oppure tutte quelle che aveva fatto non erano
che vuote congetture ed in realtà l’osservatrice si limitava a ritenerlo
insignificante.
Marlin si girò per battere qualcosa sulla tastiera incassata in un
ripiano a scomparsa della scrivania. Prese un foglietto di carta e vi scrisse
sopra una parola prima di passarlo a Jason.
-E’ la password di accesso totale al sistema. Si tratta di accesso
passivo alle informazioni. Ovviamente lei ne è responsabile in prima persona.
-La ringrazio della collaborazione.
Jason si alzò dalla sedia, sapeva che non ci sarebbe stato un congedo da
parte della donna. Salutò con un cenno del capo prima di uscire.
Magdalene attese qualche secondo per dargli modo di allontanarsi dalla
porta. Poi prese la cartellina gialla
che aveva poggiato sul piano della scrivania e la riaprì. Conteneva gli
estratti conto e i movimenti finanziari di Travers negli ultimi sei mesi.
Il fatto che non fosse riuscita a capire dove fosse stato durante la sua
prolungata assenza dal Concilio (era stato via per più di tre mesi.
Letteralmente scomparso, all’interno del Concilio nessuno sapeva niente…non
esistevano neanche voci di corridoio a proposito della faccenda) l’aveva spinta
a fare altri controlli.
E lei sapeva da tanto tempo che il denaro era sempre la chiave di tutto.
E quello che Travers non sapeva era che lei aveva molti amici tra
banchieri ed operatori di mercato. Amici che coltivava da anni, che risalivano
al tempo in cui tutto quello che aveva era il patrimonio familiare e l'impiego
di analista di primo livello. Persone che aveva aiutato una volta o l’altra, e
che le dovevano favori.
Le erano stati necessari alcuni giorni per aver un rapporto completo di
tutti i conti, più o meno conosciuti o legali, di Travers. Li aveva nascosti
bene, ma non abbastanza. Fortunatamente lui non era mai stato uno del settore.
Magdalene aveva scoperto così che da un conto fantasma, di cui il
Concilio non sapeva niente, Travers aveva prelevato più di centomila dollari il
giorno stesso della sua scomparsa. La metà della somma in assegno circolare,
l’altra metà trasferiti in un conto secondario.
Dell’assegno circolare aveva perso le tracce, ma risalire
all’intestatario del conto secondario non era stato difficile. In meno di due
settimane vi erano stati versati duecentomila dollari (sempre dal conto cifrato
di Travers) e fatti diversi prelievi di minore entità per un totale di
quarantamila dollari.
Il conto era intestato a Joe Gray. Che guarda caso era solamente un
alias di un certo Henry Levigastone, un mercenario senza scrupoli, che aveva collaborato
precedentemente con il Concilio, per conto di Travers. Prima di finire
ammazzato in mezzo alla foresta pluviale con due dei suoi.
La cosa più interessante era che parte del denaro era stata utilizzata
per prendere in affitto un aereo. Il cui piano di volo recava come aeroporto di
destinazione Sunnydale. Era rimasto lì per due giorni prima di ripartire per un
insignificante aeroporto nel mezzo del nulla nel midwest degli Stati Uniti.
Dove il velivolo era ancora in attesa in uno degli hangar.
Magdalene non sapeva perché quegli uomini fossero in quella città.
Loro non dovevano nemmeno esistere, figurasi andarsi ad immischiare
negli affari di una cittadina del midwest, in cui non c’era assolutamente
nulla. Non sapeva perché erano lì ma avrebbe potuto scoprirlo.
Dopo Marlin avrebbe fatto in modo che tutto tornasse ad essere come
doveva.
Per il Concilio quegli uomini erano morti anni prima.
Avrebbe rettificato l’errore.
Angel era seduto alla scrivania del piccolo studio che Liz gli aveva
indicato il giorno precedente, quando aveva chiesto di poter avere carta e
penna per scrivere una lettera. Non avrebbe mai immaginato di ricevere un tale
dono. Sembrava così stupido anche a lui, ma non aveva potuto fare a meno di
apprezzare immediatamente quel posto.
Sembrava uno studio ottocentesco miracolosamente sopravvissuto fino ad
oggi. Era perfetto, mobili, tappeti, colori, anche gli odori dei legni, era
tutto come lo ricordava.
Ma la cosa che Angel aveva adorato subito era la carta da lettera che
aveva trovato sulla scrivania. Non quella carta sottile e bianchissima prodotta
in fabbrica, ma una dalla sfumatura crema, spessa, appena ruvida al tatto,
quasi granulosa. E le penne.
Non la penna, le penne.
Ce ne erano tante, dalla moderna stilografica, a quella con pennino
sostituibile, alla vera penna perfettamente appuntita, con affianco gli
inchiostri in piccole boccette di vetro.
Era tutto così familiare.
Gli era mancato. Era stato così felice in quel periodo. Aveva studiato e
scoperto così tanto, passando in cinquanta anni dal sapere leggere
stentatamente ad essere un cultore della letteratura.
Quando aveva finito di sorseggiare il proprio il tè, Angel aveva
sostenuto qualche minuto di educata conversazione, parlando amabilmente anche
con Faith, che aveva fatto altrettanto, ma la tensione nel salotto era
palpabile. Così si era scusato e ritirato nello studio.
Si era calmato quasi subito ed aveva cominciato a scrivere
dimenticandosi del tempo. Le tende erano tirate a far filtrare solo il minimo
chiarore del sole, segno che dovevano essere passate diverse ore da quando era
entrato nella stanza. Si sentiva intorpidito dalla mancanza di sonno.
Aveva appena finito di scrivere l’ultima lettera quando sentì bussare
leggermente alla porta.
Invitò ad entrare.
Inaspettatamente era Faith. La cacciatrice si avvicinò tranquillamente
alla scrivania e lui colse l’occasione di osservarla. Un felino, pericoloso, ma
non qui per attaccare. Strano quanto fosse diversa da Buffy. Strano anche
quanto fosse cambiata in così poco tempo. A volte dimenticava che gli esseri
umani potessero cambiare così tanto in così poco.
Era cresciuta.
Era diventata sicura di sé. Non era più solo una facciata esteriore. Più
pericolosa. Lo sentiva. Probabilmente l’amicizia con Eliza c’entrava qualcosa.
Ne era sicuro. Angel sentì improvvisamente la voglia di sfidarla. Aveva voglia
di combattere con lei. Di vedere quanto poteva essere forte e veloce. Sì, sicuramente
era veloce. La struttura fisica, come si muoveva, tutto lo indicava.
E per lui che si sentiva così furente per quanto era accaduto,
combattere sarebbe stata una liberazione. Un modo per scaricare la tensione.
Necessaria soprattutto dopo i mesi di inattività forzata.
Soppesò l’idea, mentre piegava la lettera esattamente a metà e la
infilava in una busta con metodica attenzione.
Faith stava in piedi dall’altra parte della scrivania, aspettando
tranquillamente che lui finisse qualsiasi cosa stesse facendo. Angel non attese
che fosse lei a iniziare il discorso. Preferiva dare le risposte prima di
ricevere le domande.
-Sono lettere di addio. Eliza ti avrà raccontato.
Faith scosse la testa.
-Non abbiamo parlato di te.
Una sorpresa questa.
-Di Spike allora.
-Anche di Spike, sì, anche di lui.
Faith si mise a sedere sulla poltrona più lontana dalla scrivania. Angel
scrisse il nome del destinatario sulla busta per poi sigillarla.
-Lo sai che ha già ucciso altre cacciatrici?
-Non è un segreto. Ho letto i diari. Le cronache.
Sembrava non fosse una sprovveduta.
-Quindi conosci il suo metodo.
-Si, combattimento uno contro uno, sfida diretta. –Angel annuì, sembrava
che in fondo Faith sapesse qualcosa e che non stesse lanciando accuse a
vanvera. –Eppure Dellah lo ha ucciso lui. Può non essere stata una sua idea, ma
l’ha ucciso lui.
Era difficile credere che Spike ricorresse a metodi simile. Quelli erano
la firma di Angelus.
-Perché avrebbe dovuto farlo?
La cacciatrice scosse le spalle.
-Quanta voglia aveva di togliersi il chip? Fatichi ad immaginare uno
scambio, il suo chip per la mia vita? Sarebbe disposto a diventare un sicario
per una cosa simile. Non credi?
Angel annuì una volta prima di parlare, l’ipotesi aveva senso.
-Ammettiamo che sia così. Cosa farai?
Faith aspettò un attimo prima di rispondere. Lo guardò direttamente
negli occhi mentre lo faceva.
-Se mi cercherà, combatterò. Se ne avrò l’occasione, lo ucciderò.
Il vampiro rimase un attimo in silenzio studiando la risposta e la
persona che gliela aveva data.
-Grazie.
Angel sapeva perfettamente che era una cortesia nei suoi confronti,
nulla le impediva di dare la caccia a Spike per quello che aveva fatto. Neanche
lui poteva dire che le rimproverava il fatto di volere vendetta. Al suo posto
avrebbe fatto lo stesso.
Aveva cercato di fermarla soltanto a causa del soggetto della
rappresaglia.
Comunque il vampiro apprezzava il gesto di buona volontà e dallo sguardo
che aveva sembrava che la cacciatrice comprendesse il suo punto di vista.
Faith si alzò dalla poltrona.
-Ricorda però, se soltanto osa avvicinarsi ad una delle persone che sono
importanti per me, gli darò la caccia. Senza quartiere.
Angel sorrise di sbieco, non si sarebbe aspettato nulla di meno da
Faith. Ma gli rimaneva un dubbio.
-E Dellah?
-Era il divertimento di una notte.
Gli rispose lei mentre si avviava verso la porta. Si fermò sulla soglia
e voltandosi gli fece un’altra domanda, semplicemente perché curiosa.
-A cosa dici addio?
Angel sorrise nostalgico. Quella che si era costruita a L.A. non era
stata la migliore esistenza che gli fosse capitato di vivere, ma decisamente
era stata bella. Non che poi trovasse molte delle sue esperienze disgustose.
-Ad una vita.
Mentre usciva dalla stanza, Faith parlò ancora, senza voltarsi.
-Sai Angel? Non tutti sono fortunati come te. Tu hai ancora lettere da
scrivere. E sono lettere che si possono ancora consegnare.
L’ambiente era ricco e raffinato. Ampi saloni luminosi dalle pareti crema.
Un vociare discreto.
Ad un angolo della sala si trovava un uomo distinto vicino ai settanta,
che mangiava un filetto scelto di pesce spada, accompagnandolo con un buon vino
bianco, consigliato dalla casa.
Sembrava assorto nei suoi pensieri, circondato da un’aria di austerità
che doveva possedere da molti anni. Qualcuno avrebbe potuto definirlo
inquietante quel suo distacco, usava forchetta e coltello con precisione da
chirurgo, i bocconi che masticava erano sempre di uguali dimensioni.
L’altra sedia del piccolo tavolo rotondo fu spostata ed un secondo uomo
dai capelli grigi, vestito con un completo scuro, si mise a sedere.
Seccato, Dougan alzò lo sguardo dal proprio piatto per vedere chi osava
disturbarlo.
Rimase sorpreso nel trovarsi davanti Travers. Prese il tovagliolo e si
pulì accuratamente la bocca prima di parlare.
-Credevo che fossi “assente”.
-Ho saputo che durante i miei giorni di assenza sono successe un sacco
di cose… cose strane… irruzioni nel Concilio… ancora una volta… omicidi nella
sede… una novità questa… e la morte del nostro stimato collega Gillison… una
perdita ragguardevole, un lutto che ci ha colpito tutti. Il tuo doloroso
compito di riconoscere il cadavere all’obitorio stamattina…
Il tono di Quentin era gelido come sempre.
-Era il suo. Gillison è morto. Un altro guidatore ha perso il controllo
della propria vettura, speronandolo.
-Un incidente quindi.
Dougan fissò negli occhi Travers mentre rispondeva, scegliendo
accuratamente le parole.
-Così sembra.
-Una così giovane vita spezzata. Lontana quell’età vero? Così lontana…
quarantacinque anni… cosa facevamo allora… tu… si, mi ricordo, eri
l’osservatore di Praga… bella città… con un mondo tutto suo… i palazzi
aristocratici e i paesaggi. E quello scandalo messo a tacere in quel periodo? Te
ne ricordi? Come si chiamava, Olsa? Si giusto, Olsa, era un’osservatrice…
morta, perché morta… chissà perché poi, non si è mai saputo… nel Concilio si
discuteva così tanto in quel periodo… Olsa era stata scelta per essere
l’osservatrice della cacciatrice... poi si decise di dare il compito a te,
preparato, vicino al posto… si mormorava che un tale Asa Brethour sapesse chi
fosse stato, che avesse anche le prove, ma scomparve… -una pausa, Travers
osservava attentamente Dougan mentre l’altro piegava accuratamente il proprio
tovagliolo, prima a metà poi in quattro.- …si dice che abbiano ritrovato il suo
diario. Un piccolo quadernetto nero che lui si portava sempre appresso. Un po’
grafomane non trovi? Magari lì c’è scritto chi sia stato… tutte ipotesi ovviamente.
Dougan deglutì nervosamente.
-Niente altro che dicerie.
-Si, infatti… ma dimentichiamo il passato, il futuro oggi è così
nebuloso, chissà cosa potrebbe accadere ora che mancano tanti dirigenti
all’appello.
Dougan sembrò riflettere per un attimo. Poi fece cenno al cameriere di
avvicinarsi e gli chiese di portare un bicchiere per il suo ospite. Al tavolo
il silenzio si prolungava. Il ragazzo tornò con il calice e lo posò di fronte a
Travers per poi allontanarsi.
Dougan prese la bottiglia di vino e ne versò in entrambi i bicchieri.
Poi sollevò il suo.
-Un brindisi al futuro. Ed al tuo futuro da primo osservatore.
Il vino chiaro era terribilmente amaro. Dougan si sforzò di deglutirlo
mentre sorrideva, sconfitto.
Giles si tolse gli occhiali per poi pulirseli accuratamente con il
fazzoletto. Ci lavorò per alcuni minuti mentre finiva di informare gli altri
sul demone della settimana. Un avversario non troppo temibile a dire il vero,
di particolare aveva una coda con spuntoni ossei e artigli retrattili. Però non
era particolarmente intelligente, ed in effetti l’osservatore si era chiesto se
la sua cacciatrice non fosse stata distratta da qualcosa mentre ne aveva
incontrato uno la notte scorsa durante una ronda.
Buffy l’aveva affrontato, ma dopo qualche minuto di combattimento il
demone era scappato nelle fogne. Pesta, con il labbro inferiore spaccato ed un
occhio nero, la cacciatrice aveva deciso di finire lì la serata e se ne era
tornata al Magic Box, dove aveva trovato Giles ancora impegnato a discutere
assieme a Willow. Come sempre la descrizione del demone fatta dalla cacciatrice
aveva lasciato a desiderare. L’osservatore ricordava che aveva detto qualcosa
che suonava come “grosso, veloce, brutto e grigiastro”, per questo avevano
dovuto chiamare gli altri e passare l’intero giorno sui libri.
Ora i ragazzi stavano più o meno attenti alle sue parole. Meno che più.
Erano stanchi ed annoiati. Sul tavolo si trovavano diverse scatole vuote di
ciambelle, bicchieri di carta di caffé ammucchiate alla rinfusa in mezzo a
libri impilati a testimoniare le lunghe ore passate là dentro. Non si erano
neanche presi una pausa per pranzare limitandosi a mangiucchiare qualcosa
mentre sfogliavano i tomi. La loro stanchezza era evidente, Xander era
stravaccato scompostamente nella sedia vicino ad Anya, un braccio passato
intorno alla vita dell’ex demone, e le stava sussurrando qualcosa nell’orecchio
cercando di non sbadigliare nel processo. Willow seguiva il discorso mano nella
mano con Tara, anche lei così tanto stanca da poggiare la testa sulla spalla
della fidanzata senza fare il minimo accenno ad intervenire. E per quanto Giles
si sforzasse non riusciva a capire se la bionda stesse seguendo o meno, sul
volto aveva un’espressione di un educato interessamento e gli occhi sembravano
relativamente vitali, ma come suo solito non interveniva alla discussione e non
c’era modo di saperlo con certezza.
Buffy, di fianco a lui, lo guardava fisso senza espressione sul volto.
Probabilmente pensava ad altro, per tutto il pomeriggio non aveva fatto che
giocare con una graffetta.
-…Quindi, per ucciderlo definitivamente, basta decapitarlo.
Aveva appena chiuso la bocca che tutti sembrarono risvegliarsi dalla
loro trance come per magia. Si mossero, si stiracchiarono sorridendo. Un
tempismo proveniente da anni di allenamento fatti a scuola, portato ad un
livello tale che non c’era più neanche bisogno della campanella per segnalare
la fine della spiegazione. Dalle loro reazioni sembrava proprio che fosse appena
finita una lezione decisamente noiosa. Giles scosse la testa sconsolato.
Ignorandolo completamente i ragazzi cominciarono a fare piani per la serata.
Suonò il campanello della porta. Anya fu subito in piedi, l’aria
annoiata scomparsa, per accogliere il cliente ritardatario. Improvvisamente
sbilanciato Xander perse l’equilibrio sbattendo la testa contro lo schienale
della sedia.
La cliente. Somigliava a qualcuno che aveva già visto, ne era sicura, ma
non ricordava bene dove. Che l’avesse incontrata quando era ancora un demone?
Sorrise, calcolatrice. A giudicare dagli abiti, giacca lunga fino al ginocchio
dal taglio elegante da cui emergeva un maglione dolcevita grigio, sembrava
potersi permettere di spendere parecchio ed il passo deciso con cui era entrata
le dava l’impressione che stesse cercando qualcosa di preciso. Che avesse
qualcosa già in mente, qualcosa che Anya le avrebbe trovato, assieme ad altri,
numerosi, piccoli e necessari oggetti.
-In cosa posso esserle utile?
Faith non le rispose. La superò come se non esistesse affatto, fino ad
arrivare a poco più di un metro dal tavolo attorno a cui erano seduti gli altri
e fermarsi improvvisamente. Lì squadrò per un momento, notando le coppie, i
loro atteggiamenti e godendosi il loro stupore a vederla lì, vestita come
sempre di pelle nera, evidentemente della migliore qualità, ma questa volta con
giacca e pantaloni perfettamente abbinati. Piombata in mezzo a loro senza
preavviso, come se nulla fosse cambiato. Si tolse gli occhiali da sole.
-Salve a tutti. Immagino siate felici di rivedermi.
Lo disse sarcastica, con un sorriso sprezzante sulle labbra.
Xander fu il primo a reagire. Afferrò la balestra che aveva vicino, si
alzò e la puntò contro la bruna.
Faith si limitò a strappargliela distrattamente di mano, scaricandola a
terra mentre lo spingeva quasi gentilmente a sedere. Si sentì un leggero tonfo
seguito da un grugnito. Poi posò l’arma sul bancone dietro di lei, ignorandola
completamente.
-Ok. Non tanto felici. Sono ferita… -si portò le mani al cuore esagerando
i gesti in maniera melodrammatica. -…ma bastava dirlo.
Anche Buffy era in piedi ora e si stava avvicinando a passo di carica.
Meno sorpresa degli altri ovviamente, perché già sapeva che era viva e vegeta,
ma anche lei per nulla felice di rivederla. Furibonda forse la descriveva
meglio. Willow fece per scagliare un incantesimo, le labbra già mimavano le
parole necessarie quando Tara le strinse leggermente la mano, fermandola. La
rossa obbedì per istinto, anche se non capiva perché la sua ragazza le avesse
impedito di finire quanto aveva cominciato. Si voltò a guardarla negli occhi e
la vide calma e tranquilla, come se per lei non ci fosse niente da temere e
Will si fidò, le bastava coma prova.
-Immagino che non glielo hai detto, vero B? Neanche tu G-man? –nessuno
dei due disse niente, limitandosi ad evitare il suo sguardo. Buffy fermò
improvvisamente la carica come se fosse andata a sbattere contro un muro
invisibile ed anche l’osservatore si immobilizzò, l’aria colpevole. Non
sembravano avere nulla da dire e così Faith continuò. -Che cattivo gusto,
lasciarli all’oscuro di tutto. L’ultima volta che hai fatto una cosa simile che
è successo poi, eh B? Ti ricordi? Se non sbaglio c’ero anch’io allora… oh, i
bei tempi andati…
La bionda la squadrava con gli occhi ridotti a due fessure, lo sguardo
carico d’odio anche se non si mosse dalla sua posizione. Sembravano avercela
incollata su quel punto del pavimento. Pareva che non avesse poi molta voglia
di sfidarla direttamente limitandosi a minacciarla da qualche passo di
distanza.
-Non osare parlare del passato Faith… Non osare… Cosa stai facendo qui?
-Io? Ma niente B cara, niente di male -le rispose Faith con aria
falsamente innocente, le dita delle mani aperte e bene in vista nella
caricature di una posa inoffensiva. La mora fece un passo in avanti godendo nel
vedere che l’altra non reagiva alla mossa. Sembrava che la cacciatrice più
anziana stesse ancora valutando la situazione e si sentisse momentaneamente in
svantaggio. – Sono semplicemente un messaggero. –La bruna divenne seria,
avevano giocato abbastanza, inutile tirare ancora la corda. Aveva vinto. –Spike
non ha più il chip. E’ libero di uccidere. Ha già un morto confermato alle
spalle. –fece una pausa, abbassando ostentatamente le mani ed infilandole nelle
tasche. Non aveva niente da temere.- Se Giles vuole chiamare il Concilio,
glielo confermeranno.
-Si, si, chiamerò, per sapere… loro mi diranno… William il sanguinario
senza chip…
Giles era stupito come poche volte in vita sua. Assurdo per un
osservatore ma era rimasto senza parole. Si massaggiò il collo per guadagnare
tempo e pensare. Non avrebbe mai creduto che Faith avrebbe osato entrare di
nuovo in quel negozio mentre erano tutti lì. Immaginava che la cacciatrice
avrebbe avuto paura di un confronto, specialmente se fossero stati tutti
presenti. Altrimenti avrebbe chiesto di organizzare un incontro, no?
Una riunione per spiegarsi e scusarsi e cercare di fare ammenda con
tutti giusto? Sperando che Buffy o Giles si sarebbero schierati dalla sua parte
visto che lavorava per il Concilio ora. Certo la cosa sarebbe stata difficile,
ma davanti ad abbastanza prove di fiducia forse lui avrebbe potuto evitare di
osteggiarla. In fondo doveva guadagnare di nuova la loro approvazione…
Invece si trovava a pochi metri da lui, irriverente, sicura di sé come
mai prima. La ragazza sorrise, cattiva, poi fece girare lo lentamente sguardo
sugli altri presenti, cogliendoli ancora quasi immobili.
-Willow è un piacere rivederti. Sento sempre grandi cose di te. Il
solito genio immagino… Non tutti possono essere stupidi nel mondo del resto…
c’è un limite al numero di omicida senza cervello, vero?
Sembrò soppesarla mentre le parlava. Era cambiata dall’ultima volta,
sembrava più sicura di sé, specialmente vicino a Tara, ma di certo il suo
guardaroba, anche se diverso, non si era assolutamente avvicinato a qualcosa di
suo gusto.
-Mi odi ancora. –Proseguì la cacciatrice, costatando semplicemente
quello che già sapeva.
-Perché non dovrei?
Willow si era alzata in piedi, la mano ancora stretta attorno a quella
di Tara che sedeva tranquilla ma attenta. Forse era quella che sapeva di più di
tutti in quella stanza a parte Faith stessa. Gli occhi della cacciatrice si
andarono a posare proprio sulle dita intrecciate prima di tornare a guardare in
faccia la rossa. Probabilmente neanche si rendeva conto del fatto che quel
contatto fisico esistesse e le desse così tanta forza. Una volta non si sarebbe
mai alzata ad affrontare la bruna e lo sapevano entrambe.
-Oh, hai tanti motivi. Molti più di quelli che immagini.
Faith le sorrise quasi cortese, ma con l’aria di sapere qualcosa in più
della rossa. Un’espressione appena accennata ma abbastanza da far nascere il
dubbio nei suoi occhi ed aumentarne la rabbia. La cacciatrice si sarebbe dovuta
ricordare di dire a Tara che la sua ragazza era molto bella furibonda.
-E poi… Tara…
Annuì soltanto nella sua direzione e nessuno parve accorgersi dello
sguardo amichevole che si scambiarono né del fatto che non aveva fatto alcun
sgradevole commento a suo riguardo, di certo gli altri non avevano la presenza
di mente di accorgersi di tali particolari. Al momento erano tutti in choc, chi
a causa della rabbia, chi a causa della sorpresa.
-…e come dimenticare Anya e Xander… la coppia di innamorati…
Fece ciao con la mano, senza girarsi. Aveva sentito l’ex-demone
avvicinarsi a Harris per vedere come si sentisse dopo lo spintone ricevuto.
Dolce da parte sua.
-Cosa ne sai tu di Spike?
Era stata Buffy a parlare, la voce quasi un latrato. Stava disperatamente
cercando di riprendere in mano la conversazione.
-Pare la domanda del secolo. Tutti non fanno che ripetermela. – Faith
sospirò con l’aria un po’ scocciata di chi ha dovuto ripetere troppe volte la
stessa cosa, andando ad incidere sulla brevità delle frasi e la crudezza delle
parole usate. -Ho trovato un cadavere con un morso al collo e tanto di mani
inchiodate ad una parete, Ok? Non un bello spettacolo. Non è stato un lavoro
pulito.
Fissava l’altra cacciatrice negli occhi, già sapendo quale sarebbe stata
la prossima domanda. Non fu delusa.
-Che cosa vuole da me Spike?
-A me lo chiedi B? –Sgranò gli occhi fingendo sorpresa. –Cos’è? Vuoi un
consiglio? Un parere? Sei proprio sicura di volerti fidare di me? La pazza
psicotica? Di aver così tanto bisogno di aiuto?
Buffy era furente, contraeva e rilasciava i pugni, tremendamente vicina
a perdere il controllo. E Faith si stava divertendo un mondo ad istigarla.
-Comunque non c’è da preoccuparsi. Beh, forse un po’ per il tuo amor
proprio. –Una frase aggiunta come se fosse stato un secondo pensiero. –Certo,
il tuo ego andrebbe ridimensionato… Eh, si, anche il tuo egocentrismo… magari
un giorno mi offrirò volontaria per il lavoro… ma lasciamo perdere… pare che
Spike voglia la mia di pelle stavolta. Forse sarà stata l’ultima botta in testa
che l’ha fatto rinsanire? Almeno dimostra un po’ più di buon gusto rispetto a
prima…
La bionda era sul punto di esplodere. Questa volta ringhiò, i muscoli si
tesero percettibilmente. Faith appoggiò il palmo delle mani sul bancone su cui
si era messa a sedere poco prima.
-Cosa stai facendo qui?
-Ci ripetiamo B? –Faith passò qualche altro secondo e saltò giù dal
bancone sul quale si era seduta, cominciando a camminare esuberante per la
stanza. –Hai già fatto questa domanda. E mi pare di aver già risposto. – piegò
un po’ la testa e socchiuse gli occhi, come se stesse provando a ricordare. -
…Forse sbaglio… – si fermò a meno di un passo da Buffy. Continuava a sorridere
e la fissava negli occhi, incitando una reazione. Voleva uno scontro fisico e
le sarebbe bastata una scusa qualsiasi per far scoppiare la lite. –Compio il
mio dovere di paladina della giustizia, no? Ti avverto di un pericolo mortale…
forse mi dovresti ringraziare… - di nuovo seria per un attimo solo… -Spike è
pericoloso.
Faith si voltò a fissare Tara per un lungo istante per poi tornare a
fronteggiare l’altra cacciatrice, sfidandola a fare qualcosa. La bionda non
reagì, rinunciando a portare sul piano fisico lo scontro verbale.
Sorridendo ancora Faith si diresse verso l’uscita soddisfatta. Vincere
era bello e la bruna si sentiva leggermente euforica per come le cose erano
andate, anche se aggiudicarsi una discussione raramente dava la stessa
soddisfazione di una rissa in cui aveva rotto qualche osso e riportato solo un
paio di ammaccature. Sulla porta si fermò di nuovo mentre infilava gli
occhiali.
-Prima che me ne vada, me ne stavo quasi dimenticando… i miei
complimenti Xan, sei diventato veloce…
Gli sorrise sorniona. Uscendo accompagnò con delicatezza la porta e nel negozio
si sentì solo il trillo della campanella, per poi salutare con la mano
attraverso la vetrina mentre si allontanava a piedi.
Nel silenzio che seguì Willow fu la prima a parlare. La prima a
prendersi la briga di analizzare le parole di Faith. Anche se la sua attenzione
non si concentrò che un solo momento sul pericolo rappresentato da Spike.
-Cosa intendeva con “non glielo hai detto”? Detto cosa, Buffy?
La bionda sospirò mentre si passava una mano fra i capelli. Avrebbe dovuto
tirare fuori una spiegazione convincente ed avrebbe dovuto trovare un modo per
scaricare tutta la tensione che aveva appena accumulato assieme alla
frustrazione che sapeva già sarebbe seguita a questa discussione.
Tara, dopo che Willow aveva lasciato andare la sua mano per avvicinarsi
all’amica, si era andata a sedere un po’ più in disparte del solito. Doveva
trovare una scusa per uscire di là ed andare a telefonare a Faith. Era ovvio
che era successo qualcosa d’importante ed assistere alle labili scuse di Buffy
su come e perché avesse mentito non le interessava affatto.
By Silea
"I blamed
myself for a long time... I don't anymore..."
Il cellulare nella tasca destra della giacca cominciò a squillare,
insistente. La cacciatrice lo prese di controvoglia, si stava godendo il
ricordo della faccia di Buffy congestionata dall’ira e dall’impotenza e non
voleva essere disturbata. Guardò lo schermo per vedere chi la stava chiamando,
ancora indecisa se rispondere o meno. Un numero di Sunnydale. Fece scattare lo
sportellino.
-Tara.
Non era una domanda ma un’affermazione. La bionda era l’unica a
conoscere quel numero. Almeno era l’unica a farlo nella ridente cittadina che
sorgeva sulla bocca dell’inferno.
-Ciao Faith.
-Sei ancora al magic box?
Era una domanda di routine, fatta più per sapere dove si trovasse la
bionda che per altro.
-No, chiamo da un telefono pubblico.
Tara era sempre prudente nel contattarla, evitando accuratamente di chiamarla
da altri posti se non il telefono della propria stanza e gli apparecchi
pubblici. Lo era stata fin dall’inizio, quasi per istinto, senza che Faith le
avesse mai detto nulla in proposito. Questa attenzione ai particolari era una
della qualità che la cacciatrice apprezzava di più nella bionda. Era stupido
rischiare che qualcuno componesse per errore il numero riservato della
cacciatrice o essere accidentalmente ascoltate.
-Vuoi dire che Buffy ha già finito con le sue spiegazioni?
L’incredulità di Faith era palese nel tono di voce. La bruna sapeva che
la discussione, le accuse e le scuse sarebbero andate avanti per ore. Aveva
assistito a scene del genere quando li aveva frequentati anni prima e non
credeva che fossero cambiati per nulla da quel punto di vista. Tutti erano
sempre impegnati a sembrare così innocenti e incolpevoli, a giustificare la
minima azione dicendo che non era colpa loro. “Non è mai colpa loro” pensò Faith con un lampo di rabbia. E Buffy
era maestra nel parlare tanto a lungo da convincere gli altri che aveva
ragione. Se non altro per farla stare zitta o non farla scoppiare in lacrime,
aveva sempre sospettato la bruna. Bastava un’espressione ferita sul volto e gli
occhi che si riempivano di lacrime davanti agli altri per fare il miracolo. Era
sempre stata un’ottima attrice ed una perfetta ipocrita.
-Voglio dire che me ne sono andata. – La voce di Tara suonò per un
attimo stanca, anche i suoi pensieri stavano seguendo lo stesso filo di quelli
della cacciatrice. -Che io ci sia o meno non fa alcuna differenza. Del resto,
Giles mi ha visto un po’ scossa dall’incontro e mi ha consigliato di andare a
prendere una boccata d’aria. Ufficialmente sono uscita a prendere caffé e
ciambelle per tutti. Pare che sarà una cosa lunga e che poi si dovrà festeggiare.
Naturalmente se incontrassi qualcuno mi potrei benissimo fermare a prendere un
caffé nel locale, non c’è alcuna fretta. Dubito che anche Buffy riesca a
tirarsi fuori da una situazione simile in tempi brevi.
Era un modo gentile per chiedere a Faith di parlare. Era ovvio che Tara
fosse preoccupata per quanto era successo nel magic shop poco prima.
-Diciamo tra cinque minuti al solito caffé?
-Sicuro, è sempre la mia prima scelta, fa l’unico espresso decente della
città, qualsiasi cosa dicano Buffy o Xander. –“Si,” pensò Faith, “pretendono di
conoscere anche quale sia il migliore espresso di Sunnydale oltre a sapere
sempre cosa sia ‘giusto’ o ‘sbagliato’ in qualsiasi situazione.” Era stato il
primo difetto riguardo l’altra cacciatrice e il ragazzo di cui Tara e Faith
avessero mai parlato. –A tra poco.
Il “solito caffé” era un negozietto d’angolo dall’aspetto non troppo
maestoso situato in un quartiere tranquillo anche di notte, il che era
difficile da dire per Sunnydale. Era miracolosamente lontano dai vari cimiteri e da tutto il resto
che poteva creare problemi, come il porto o il vecchio liceo, ed aveva il
pregio di essere oltre che bar anche pasticceria. Si trovava a pochi minuti a
piedi sia dall’appartamento di Faith che dal campus universitario, nello stesso
quartiere in cui si trovava anche il negozio di alimentari dove si rifornivano
sia Tara che lei, e che né Buffy né gli altri frequentavano mai.
A Faith venne da sorridere al pensiero. Per quanto Sunnydale fosse
piccola l’altra cacciatrice ed i suoi simpatici amici riuscivano comunque ad
evitarne intere zone, come quella del porto o la parte povera della cittadina,
dove le villette a schiera diventavano vecchie palazzine tutte uguali. Il
confine tra quelle due zone era esattamente dove si trovava il locale ed il suo
stesso appartamento. In quei paraggi la gente non era ricca ma neanche povera.
Il posto era abitato da quella che si poteva definire la classe medio-bassa. A
Faith piaceva come quartiere, i vicini erano persone a posto che però badavano
prima di tutto agli affari propri al contrario di quanto accadeva nelle zone
residenziali dalle infinite villette a schiera.
Quando Faith entrò Tara la stava già aspettando, seduta ad un tavolo in
fondo al locale con due caffé davanti, le spalle rivolte alla porta. La
cacciatrice scivolò nell’altro sedile salutando con la mano e sorridendo appena
all’amica.
-Meno di cinque minuti. Un nuovo record.
Osservò Tara divertita, non era la prima volta che la bionda
sottolineava quanto in fretta l’idea di avere caffé e pasticcini riuscissero a
far arrivare Faith, a prescindere dal luogo dove si trovasse al momento. La
cacciatrice si limitò a scrollare le spalle, aveva smesso di cercare di negare
l’attrazione che provava nei confronti della caffeina con Tara. Sapeva che
sarebbe stato inutile protestarsi innocente, anche se oggi la sua passione
c’entrava poco con il tempo che ci aveva impiegato ad arrivare. Per una volta
si trovava veramente nei paraggi quando aveva ricevuto la chiamata. Era anche
vero che una volta aveva attraversato l’intera Sunnydale da capo a capo in meno
di dieci minuti per arrivare al caffé per prima. Del resto Tara condivideva la
sua attrazione, anche se lo manifestava in maniera meno evidente. Era per
questo che avevano cominciato a venire assieme al locale.
La prima volta era capitato per caso, sorprendendole entrambe. Si erano
nuovamente incontrate al negozio di alimentari di Floyd, a pochi minuti da lì,
alcune settimane dopo il rientro a Sunnydale di Faith. Come la volta precedente
si erano incrociate alla cassa e Tara l’aveva invitata a prendere un caffé con
lei. Quando la cacciatrice aveva accetto l’inaspettata offerta, la bionda le
aveva cominciato a parlare di questo locale, scoprendo con piacere che Faith lo
conosceva già e che ne era entusiasta almeno quanto lei.
-Ero nei dintorni.
Rispose blandamente Faith, cercando di non dare importanza alla cosa.
Aveva voglia di un buon caffé da quando era uscita dal magic box e l’invito di
Tara era caduto a proposito. Probabilmente sarebbe comunque finita qui in capo
ad un’ora. Prese la tazza che l’amica le allungò e lasciò che le sue dita si
scaldassero per qualche secondo prima di fare il primo sorso.
-Ti ho preso il solito caffé appena macchiato con un po’ di zucchero.
La informò gentilmente Tara. Faith le sorrise di rimando.
Un po’ per caso, senza che nessuna delle due se ne accorgesse veramente,
in breve tempo e senza essere stata coltivata con particolare attenzione o
cura, l’amicizia fra loro era diventata molto profonda. Faith non poteva fare a
meno di apprezzare la naturalezza del loro rapporto. Le ci era voluto poco a
capire cosa rendesse Tara così familiare, quali fossero i punti in comune che
avevano. Erano delle sopravvissute, ad ostacoli diversi, ma entrambe abbastanza
forti da andare avanti da sole quando non c’era nessuno lì per loro,
determinate abbastanza da ricostruirsi delle vite per quanto non idilliache
dopo aver perso tutto.
-Grazie.
Sorseggiarono per qualche minuto i caffé, in piacevole silenzio. Ben
presto Tara cominciò a rilassarsi nell’atmosfera confortevole, cominciando a
seguire le venature del legno del tavolo come era suo solito, lo sguardo
leggermente sfocato. Amava la sensazione tattile dei polpastrelli sulla
superficie levigata intervallata di tanto in tanto da graffi di diversa
profondità, era un intero universo da scoprire. Era anche per questo che amava
quel posto, le dava la sensazione di calore familiare con il suo arredo di
legno, le sedie ben tenute, i pavimenti talmente puliti da risplendere e non
appiccicosi come quelli di tanti fast-food in cui era stata.
Inoltre il locale non era mai affollato, e anche quando c’era gente il
rumore delle conversazioni era solo un sottofondo, non qualcosa oltre cui
dovevi urlare per farti capire. Il che era uno dei pregi che preferiva del bar
visto che le aveva sempre dato molto fastidio il chiasso. Tra le cose positive
figuravano anche i proprietari del posto. Una coppia gentile del sud, che non
raramente si sedeva a parlare con i clienti abituali, che per un qualche motivo
anni prima si era trasferita lì, aprendo con discreto successo quel locale.
-Come stai?
Fu la prima cosa che chiese Tara rompendo l’amichevole silenzio. Aveva
notato un vaga tensione nella postura della cacciatrice, nelle linee del suo
volto, appena sotto la felicità per aver giocato un tiro sporco a Buffy. Era
una indefinita aria di inquietudine. Faith fece passare qualche secondo prima
di rispondere, pensando attentamente alla risposta da dare. Non trovandone
nessuna che volesse veramente dare, usò la più classica risposta.
-Bene.
Tara scosse mentalmente la testa, a volte pensava che la cacciatrice non
avrebbe imparato mai che era inutile mentire a persone che avevano abbastanza
interesse da cercare la verità. Soprattutto se quel qualcuno era vagamente
empatico.
-Raccontami quello che è successo veramente. E non voglio la versione
telegrafica.
Aveva aggiunto la seconda parte con un tono scherzoso anche se era seria
nella sua richiesta. A volte la cacciatrice, soprattutto quando parlava di cose
emotivamente coinvolgenti, diventava laconica, quasi ermetica. Una volta,
quando si erano ritrovate a parlare di osservatori, dopo che per prima Faith vi
aveva fatto riferimento, Tara aveva chiesto di Catherine. Inutile dire che era
particolarmente curiosa di sapere quanto fosse possibile sulla donna. Aveva la
sensazione, quasi la certezza in realtà, che, anche se Faith non ne parlava
mai, l’osservatrice aveva avuto, ed aveva ancora in parte, una profonda
influenza sulla cacciatrice.
Tutto quello che Faith le aveva risposto quel giorno era stato: “sono
stata con lei per meno di un anno, una persona a posto.” Tara aveva sentito
persone descrivere il proprio giornalaio di fiducia con più parole e più
emozione nella voce. Neanche il suo dono si era dimostrato utile, la cacciatrice
aveva emanato qualcosa ma la bionda non era riuscita a capirne il significato.
Quella era stata la prima ed unica volta che aveva sentito qualcosa di simile
da parte di Faith. Era qualcosa di profondo e complesso, decisamente difficile
da analizzare e comprendere dopo averlo percepito una volta sola. Non molti ci
credevano quando la bionda si prendeva il disturbo di spiegare ma le emozioni,
come le loro manifestazioni, cambiavano da persona a persona.
-Quando sono tornata dalla missione. –Visto che Faith le aveva spiegato
tempo prima cosa facesse esattamente per il Concilio, Tara sapeva esattamente
di cosa la cacciatrice stesse parlando e sapeva anche di non chiedere
particolari a riguardo. La bruna le diceva sempre tutto quanto le era possibile
sui lavori che accettava, prestando sempre la massima attenzione alla sicurezza
sua e della sua amica. Non raramente la bionda l’accompagnava o la andava a
prendere all’aeroporto quando partiva od arrivava da uno di questi viaggi.
–Sono andata nel mio alloggio e ci ho trovato Dellah morto. Il cadavere era sul
letto, mani inchiodate e tutto il resto.
Fece un gesto non curante con la mano come se la cosa non avesse poi
molta importanza.
-Quanto brutta era la scena?
Si intromise Tara. Sapeva che sarebbe dovuta intervenire più volte nel
racconto se voleva avere una qualche speranza di capire cosa avesse provato
veramente Faith durante tutta la situazione. Era strano, per essere più esatti
piuttosto angosciante, pensare che entrambe vivevano in una vita in cui si
poteva chiedere anche di mettere in scala l’efferatezza degli omicidi a cui
assistevano, per capire se l’ultimo fosse brutale abbastanza da sgomentare o
terrorizzare anche dopo anni passati a contatto con la violenza più brutale.
-Ne ho viste di peggio. –Si limitò a rispondere la cacciatrice laconica.
Ed era vero. Le venivano in mente almeno dieci occasioni in cui le parole
mattatoio e macello riuscivano appena a rendere la scena alla quale si
riferivano. A volte, nonostante la sua non indifferente esperienza, Faith non
era riuscita a controllare le reazioni del suo stomaco. C’erano casi in cui
sensi ipersviluppati non erano affatto un dono. Fortunatamente ancora nessuno
aveva assistito a quelle scene. Sarebbe stato non poco imbarazzante per la
cacciatrice.
-Quanto era importante per te Dellah? –Era ovvio che c’era un perché al
motivo che un operativo in particolare fosse stato ritrovato ammazzato sul
letto di Faith, in una posizione rituale. Non si uccide un semplice amico in
quel modo e Tara sapeva perfettamente quale fosse il comportamento della
cacciatrice in fatto di relazioni o semplicemente sesso. Ne avevano parlato
spesso in passato. Ma al contrario di altri la bionda non aveva mai condannato
Faith per tale comportamento. Non perché non la giudicasse, ma semplicemente
perché non ci trovava niente di sbagliato. Sapeva anche che a volte la bruna
non si portava in camera solo perfetti sconosciuti. Faith glielo aveva
confidato un giorno mentre parlavano del più e del meno sedute sotto al sole.
-Niente di particolare. Era un tipo a simpatico. Ci sono andata a bere
assieme un paio di volte. –Tara sapeva che aver passato un paio di serate
semplicemente a parlare con una birra in mano o a giocare a biliardo significava
molto di più per Faith che tutto il tempo che avevano passato a fare sesso.
–Sapeva che la cosa tra noi non significava nulla, anzi, era perfettamente
d’accordo sul fatto che non esisteva assolutamente alcun “noi”. Semplicemente
quando ci incrociavamo, se ci andava, passavamo la notte assieme. Ha soltanto
avuto la sfortuna di trovarsi di fronte qualcuno che credeva che quel “noi”
esistesse davvero.
Alzò la tazza semi vuota di caffé in aria in un silenzioso brindisi alla
sua memoria. A dire la verità la cacciatrice aveva il sospetto che Dellah fosse
davvero un uomo decente. E Faith non poteva fare a meno di trovare
terribilmente stupido morire così, per un grossolano errore di valutazione.
Tara annuì, comprendendo facilmente il tipo di rapporto che le stava
descrivendo la cacciatrice e la tristezza di Faith nell’aver perso qualcuno con
cui riusciva a stare bene per alcune ore. Erano rare persone del genere per
qualcuno come lei.
-Quindi come è veramente la situazione con Spike? Perché ti da la
caccia?
-Sono convinta che qualcuno lo paghi per uccidermi. –Rispose la
cacciatrice, improvvisamente pensierosa. Sapeva che era così, ma mancavano
ancora troppi pezzi del quadro perché riuscisse a rilassarsi veramente. –E’
l’unica spiegazione sensata. Non ci siamo mai incontrati e non ha alcun motivo
di vendetta personale nei miei confronti, di questo sono sicura. Quanto a
Dellah, beh, lui poteva essere praticamente tutto… da un avvertimento ad un
tentativo di spaventarmi, di farmi perdere l’equilibrio psichico … come se io
ne avessi alcuno… -Lanciò un sorrisetto impertinente a Tara. Faith amava
scherzare sul fatto che molti l’avessero definita pazza e psicotica quando
qualche anno prima aveva cambiato alleanze e che lei lo fosse ancora oggi. “Sono sempre andati per la spiegazione più
semplice. C’è qualcosa che non capiscono? Perfetto, allora è pazzia.”
–Forse sperava di togliermi una persona cara ed aspettare che la rabbia mi
accecasse per rendermi un bersaglio più facile.
-Tu cosa credi?
Volle sapere Tara.
-Che non esistono coincidenze. Che non è stato un caso che Dellah sia
finito un ultima volta in quel letto e non un altro. –Tara colse per un attimo
una vaga sensazione provenire dalla bruna, senza riuscire a distinguere se
fosse paura o apprensione. Con Faith era difficile dirlo, le sue emozioni erano
sempre molto controllate. –Mirano a ferirmi. Forse pensano che se ha funzionato
con Buffy può funzionare anche con me. –Faith finì il suo caffé e ne ordinò un
altro aspettando in silenzio fino a quando non ebbe di nuovo la tazza piena.
Margaret, la proprietaria, non si fermò al loro tavolo per parlare come suo
solito, limitandosi a salutare con un cenno entrambe mentre le serviva. Tara
sapeva che la donna doveva aver capito che si trattava di una conversazione
privata e piuttosto delicata ed aveva discretamente deciso di non
interromperle. –Sono andata a parlare con Liz. –Proseguì di sua iniziativa
Faith, dopo qualche altro secondo di silenzio. –Abbiamo discusso a lungo del
problema, ed alla fine siamo arrivate più o meno alle stesse conclusioni.
-Cosa farai ora?
Si informò Tara, certa che la cacciatrice avesse preso già una decisione
a riguardo. “Di certo Faith non può
essere definita titubante o indecisa in alcuna situazione.”
–Non darò la caccia a Spike, aspetterò la sua prossima mossa, anche se
non mi piace particolarmente. –La cosa era terribilmente evidente da come era
ridotto il tovagliolo di carta che Faith aveva in mano. Tara non aveva mai
visto coriandoli più piccoli in tutta la sua vita. –Ma dovrei avere un po’ di
vantaggio su di lui, quanto meno di tempo, e cercherò di mantenerlo il più
possibile. Forse tra qualche giorno mi sposterò di nuovo oppure me ne tornerò
al Concilio. Non ho ancora deciso. Cercherò di non dargli un bersaglio troppo
facile da colpire.
Continuò dopo qualche momento illustrando quanto aveva intenzione di
fare. Eppure era chiaro che non era solo aspettare il prossimo attacco del
vampiro senza fare niente ad impensierirla.
-Cosa ti preoccupa?
-Niente di certo. Solo vaghe sensazioni.
Sminuì la cacciatrice con una scrollata di spalle. Tara aspettò qualche
secondo in silenzio prima di parlare nuovamente.
-Cosa ti preoccupa veramente Faith?
Ripeté la bionda. Glielo chiese con un tono dolce, e Faith la fissò in
tralice per qualche secondo prima di rispondere. Aveva quasi sperato che Tara
non lo domandasse, che lasciasse cadere la cosa. Eppure era anche felice che
l’amica la conoscesse abbastanza da sapere quando ometteva certe verità e
spingesse gentilmente per conoscerle.
-Spike è pericoloso. La prossima volta potrebbe colpire qualcuno di cui
mi importa veramente.
Era stata questa la sua vera preoccupazione da quando aveva ritrovato il
corpo. Era per questo che si trovava a Sunnydale di persona ad avvertire quella
che considerava un’idiota egocentrica del pericolo che ora rappresentava Spike.
Una cacciatrice rimaneva sempre la miglior difesa contro un vampiro.
-Capisco.
E la bionda capiva veramente. Le faceva piacere che la bruna fosse
venuta qui di persona per avvertirla del pericolo invece di farle una semplice
telefonata. Era una chiara dimostrazione di quanto Faith valutasse la loro
amicizia. Nessuna di loro due era tipo da lanciarsi in lunghi e melodrammatici
discorsi per dire quanto contassero l’una per l’altra. La cacciatrice proseguì
qualche secondo dopo, con un tono estremamente serio.
-Fai attenzione Tara, sia a Will che a te. Non so cosa abbia in mente di
preciso Spike. Non so neanche se è lui a pensare in questa faccenda.
-Non ti preoccupare, terrò gli occhi aperti e cercherò di evitare le
uscite serali. Ho qualche idea in proposito su come fare.
Replicò Tara con un sorriso. Faith alzò una mano per fermarla prima che
avesse la possibilità di proseguire.
-Ti prego di non dirmi come hai intenzione di tenere Willow in casa. Non
senza tutti i particolari almeno. –Risero per qualche secondo, felici di aver
spezzato la pesante tensione. –Qualsiasi cosa chiamami, sarò sempre
raggiungibile e comunque per qualche giorno rimarrò in città. –lasciò che la
voce le si abbassasse di un ottava prima di continuare, il tono roco
scherzosamente seducente. -Sono troppo sfacciata se ti chiedo se hai impegni
per lunedì sera? Sai potremmo fare una cosa romantica, una cenetta a lume di
candele in una terrazza privata ad
esempio…
Tara sorrise appena alla finta seduzione di Faith. Ormai ci si era
abituata e non era raro che lei replicasse. Non come il primo giorno. Aveva
seriamente pensato di morire di infarto o imbarazzo quella prima volta quando
la cacciatrice se ne era uscita del tutto inaspettatamente con una battuta
simile.
-No affatto.
Replicò la bionda, anche lei con un tono giocosamente seducente.
-Allora se ti va facciamo una cena a casa mia? Ho un po’ di cose da
raccontarti. –Tara accettò e dopo una breve pausa Faith aggiunse con un tono
più leggero. –…del resto da queste parti non è che io abbondi di amici, così
immagino che tu mi debba sopportare più della media.
La bionda sorrise prima di ribattere.
-Cosa ci posso fare. – la voce era piena di sano vittimismo. -La vita è
cattiva con tutti, sarà la punizione del mio karma. –La bionda lanciò
un’occhiata all’orologio a parete. –Sarà meglio che torni al negozio prima che
spediscano una squadra di soccorso a cercarmi... –si alzarono dal tavolo, Tara
prendendo il pacco di ciambelle da riportare al negozio -… sempre che si siano
accorti che me ne sia andata. –scrollò le spalle. -Quando facciamo?
-Lunedì alle nove?
-Perfetto. Ci vediamo Faith.
Dopo la lunga ed estenuante discussione al Magic Box con i suoi amici
Buffy non aveva voglia di andarsene al campus e trovarsi di nuovo di fronte a
Willow. La ragazza era stata quella che l’aveva presa peggio. In effetti il
grosso della discussione era stato portato avanti solo da loro due, con qualche
intervento poco convinto di Xander o di Giles.
Tutta la storia aveva lasciato l’amaro in bocca alla cacciatrice. Non
sarebbe dovuto accadere. “Maledetta
Faith, se non fosse stato per lei non sarebbe accaduto niente.”
La cacciatrice stava camminando per il porto cercando di
tranquillizzarsi, la mano stretta intorno al paletto, giusto in caso.
Vedere Faith nella luce blu del neon di un’insegna fece evaporare quel
po’ di calma che le era rimasta. La vide entrare in un bar. Senza pensarci due
volte la seguì.
Il posto non era certamente uno splendore, ma dall’esterno Buffy si era
aspettata molto di peggio. Immerso nella penombra, una musica irriconoscibile
diffusa nell’aria viziata come l’odore di fumo, ma pulito e non eccessivamente
affollato anche se i clienti non avevano l’aria esattamente raccomandabile.
Le ci volle un attimo a trovare Faith. Era seduta al bancone, un
bicchiere già davanti a sé, intenta a chiacchierare con il barista, un ragazzo
sulla trentina. Sorrideva tranquilla, come se non avesse una preoccupazione al
mondo.
“Che tu sia maledetta Faith.”
Si andò a sedere sullo sgabello a fianco.
Faith la ignorò, cominciando a bere il proprio drink in silenzio il suo buon
umore improvvisamente scomparso, mentre il barista continuava a riordinare i
bicchieri dopo aver finito di pulirli con uno straccio.
-Una birra.
Ordinò Buffy. Michael gliela servì in silenzio, per poi continuare il
proprio lavoro senza degnare di un altro sguardo la bionda.
-Dobbiamo parlare.
Faith si limitò a scrollare le spalle, disinteressata.
-Non qui però.
Buffy lanciò un’occhiata verso Michael, sospettosa. Lui si limitò a fare
una smorfia strana, che Faith sapeva essere di disprezzo. Sorrise appena a
vedere la faccia sdegnata dell’amico. Loro due si conoscevano da tempo, anche
se Buffy non lo sapeva, ed era meglio che rimanesse così.
Ancora in silenzio, Faith si alzò e condusse la bionda verso il tavolo
d’angolo più riservato, portando con sé la sua vodka doppia. Magari il drink
l’avrebbe aiutata a mantenere quel poco di buon umore che le era rimasto dopo
aver visto l’altra cacciatrice entrare,anche se da allora non aveva fatto che
diminuire in maniera esponenziale.
Si erano appena sedute quando Buffy l’assalì verbalmente.
-Cosa cazzo ti è saltato in mente venendo al Magic box?
-Calma B. Non è da te usare queste parole.
Replicò sarcastica Faith con un mezzo sorriso sulle labbra. “Questa conversazione sarà peggio di quanto
avrei creduto.”
-Calmarmi? Piombi nel negozio di Giles come se nulla fosse, apparendo
dal nulla e annunciando che Spike non ha più il chip nel cervello, che è
tornato il vampiro di sempre! Cosa ti aspetti che faccia?
-Speravo in un “grazie”. Sai, sono una ragazza ottimista io.
Faith alzò il bicchiere di vodka salutando le proprie parole a mo’ di
brindisi, prima di svuotarlo. Uno non sarebbe bastato a reggere l’intera
conversazione. Dannazione, incontrarla di nuovo era sfortuna bella e buona.
Quella che doveva essere una serata tranquilla minacciava di diventare
decisamente spiacevole.
-E perché mai avrei dovuto? -Buffy le ringhiò contro.
-Perché io ti ho cortesemente avvertito di un pericolo. Ecco perché. Non
mi sembra difficile da capire neanche per te.
Faith alzò il proprio bicchiere vuoto verso Michael che si limitò ad
annuire prima di prendere la bottiglia di vodka e raggiungere il tavolo delle
due. Versò tre dita di liquore nel bicchierino della bruna accolto dal silenzio
glaciale che regnava al tavolo. Buffy aspettò che se ne andasse prima di
ricominciare a parlare.
-Come hai osato piombare di nuovo nella mia vita? Tu non hai il diritto
di fare una cosa simile!
-Io non sono affatto entrata nella tua vita. E sai la novità? Non ci
voglio neanche entrare, tienitela pure stretta la tua cazzo di vita normale.
Anche Faith cominciava ad alzare la voce. Il resto degli clienti del
locale le ignorava, continuando a badare ai fatti propri. Conoscevano
abbastanza la bruna da sapere quando era il momento di lasciarla stare, e nel
loro ambiente badare ai fatti propri era sempre una delle cose più salutari da
fare.
-Ma ti rendi conto del casino che hai fatto entrando lì dentro? Ho
passato le ultime due ore a dare spiegazioni ai miei amici sul perché tu fossi
a Sunnydale.
Ringhiò nuovamente Buffy ormai furibonda.
-E ti rendi conto che non me frega nulla? I problemi che hai con i tuoi
amichetti non mi riguardano.
Faith scolò il secondo bicchiere in un fiato solo. Meditò
sull’opportunità di chiedere un terzo bicchiere. Forse una volta ubriaca
avrebbe potuto sopportare meglio la bionda che aveva davanti. Ma sarebbero
serviti ben più di tre bicchieri di vodka. Ogni tanto malediva il fatto di
saper reggere così bene l’alcool.
-Questa situazione l’hai creata tu! Hai cercato di nuovo di mettermi
contro i miei amici! Di nuovo!
La accusò Buffy puntandole l’indice contro mentre la voce diventava
sempre più acuta e stridula.
-Io non ho fatto nulla. –Ribatté Faith. –Sei stata tu a non avergli
raccontato fin dall’inizio come stavano veramente le cose. Quanto credevi che
sarebbe durate, eh? Per quanto tempo ancora credevi che nessuno di loro mi
avrebbe incontrato per la strada?
-Tu non dovresti neanche esserci qui! –le sibilò velenosa Buffy.
-Ma io ci sono. –Rispose sarcastica Faith. –Ed ora torna pure dai tuoi amici
boy-scout, B. Immagino ti vogliano ancora bene anche se gli hai mentito. Di
nuovo.
Aggiunse dopo un attimo.
-Non gli ho mentito.
Replicò l’altra.
-B, loro possono essere tanto stupidi da crederti. Ma io ho smesso da
tempo di farlo. Quindi risparmia pure il tuo fiato per le loro orecchie.
-Sai F cara? Tu non conti niente. –Le sputò contro Buffy, piantando
entrambi i palmi delle mani sul tavolo. –La tua parola non conta nulla. I miei
amici si fidano di me.
-Allora perché sei qui a perdere tempo a raccontarmelo? –Le chiese
Faith, ancora una volta sarcastica. –Vattene a godere della loro amicizia
incondizionata.
Buffy la fissò senza parole, poi con rabbia le gettò contro la birra.
Faith, con la maglietta e i jeans completamente zuppi, non si mosse di un millimetro.
-Non osare mai più forzarmi la mano con i miei amici Faith, altrimenti
ti ammazzo. Chiaro?
La bionda si alzò dalla sedia, soddisfatta. Faith le rispose con un tono
basso, torvo.
-Ricorda B, non minacciarmi mai se non puoi mantenere quello che prometti
o non hai le palle per farlo. La mia pazienza non è infinita.
Buffy lasciò il locale immediatamente, sbattendo la porta mentre usciva.
Faith si alzò dal tavolo per raggiungere lo sgabello dove era seduta
prima che quella patetica scenata iniziasse. Senza una parola Michael le porse
il proprio straccio. Faith lo accettò di buon grado cominciando ad asciugarsi
il viso.
-Bel caratterino. Chi era? Una tua amante delusa o fidanzata tradita a
causa tua?
Sorrideva mentre versava un terzo bicchiere a Faith, sapendo che la
cacciatrice aveva voglia di bere quella sera. Mentre rispondeva Faith abbozzò
un sorriso tirato.
-Magari, almeno avrebbe avuto un buon motivo per sprecare quella birra
così…
La finestra era grande, molto grande, ma non era una di quelle
gigantesche vetrate panoramiche grandi quanto l’intera parete, che gli
americani amano tanto.
Angel contemplava le luci della strada, i fari delle auto, i lampioni,
le insegne colorate con i loro neon luminosi, la confusione del traffico e di
masse di gente che camminavano lungo i marciapiedi.
New York era più luminosa della prima volta che l’aveva vista. Forse
quella era la più grande differenza tra il passato e il presente. Luce. Gli
uomini oramai riuscivano ad illuminare tutto, sempre.
Toglieva fascino alla notte, ma faceva risaltare di più le zone d’ombra.
Sul tappeto persiano risuonarono attutiti i passi leggeri di Eliza.
Angel non dubitava che lei potesse essere completamente silenziosa se voleva.
Ne era stranamente sicuro. Ma non riusciva a capire se quel rumore che faceva
nell’avvicinarsi era un segno di stima oppure un sottile insulto nei suoi
confronti.
Liz si fermò vicino a lui porgendogli una tazza, poi prese a guardare
assentemente l’orizzonte e i grattacieli che si stagliavano in lontananza. Non
si sentivano rumori da fuori, qualche anno fa Eliza aveva fatto cambiare i
vetri con altri insonorizzati.
Strano quel silenzio.
Liz beveva serafica la sua cioccolata bollente anche lei guardando verso
la strada. Angel strinse nelle mani la tazza calda per qualche secondo prima di
assaggiarne il contenuto. Socchiuse gli occhi al piacere del sapore.
-E’ sangue umano.
Era solo vagamente sorpreso dalla cosa.
-Ho alcune conoscenze. – Liz si voltò e gli sorrise, sorrideva spesso,
al contrario di lui. –Credevo fossi più bravo.
Angel inarcò un sopracciglio, aspettandosi che lei ampliasse il suo
pensiero. Non lo fece. Passarono diversi minuti in silenzio, fino a quando la
curiosità spinse il vampiro a parlare. Angel aveva scoperto qualcuno più
paziente di lui per la prima volta in più di un secolo. Lo incuriosiva quella
donna. Un mistero che non riusciva ancora a decifrare. Arguta, intelligente e
così sicura di sé. Era da tanto tempo che non incontrava qualcuno del genere.
Sorrise fra sé, non lo avrebbe mai ammesso, ma avere un simile puzzle da
risolvere tra le mani lo divertiva enormemente.
-A cosa ti riferisci?
Chiese infine.
-Da quanto tempo vivi? Duecentocinquanta anni più o meno, giusto?
Inferno a parte. –Lo sguardo stupito di lui fu divertente da vedere. Lei
sorrise di nuovo, misteriosa. –Le voci girano Angel, soprattutto riguardo i
segreti. Non hai idea di quanto. Ed in certi circoli le novità sorprendenti
sono così rare. Tu sei stato un buon argomento da salotto per qualche
settimana, temo. –Una pausa. –Tutto questo tempo ed ancora non riesci ad
aspettare senza sapere di aver fatto tutto quello che era in tuo potere per
cambiare le cose.
-E’ che ho un problema con il Destino. Insiste a cercare di farmi fare
cose che io non voglio. –Il vampiro non aveva mai capito le persone che si
sedevano ed aspettavano in maniera fatalista il corso degli eventi. Non era per
lui, affatto, era contro la sua stessa natura. Se una cosa non gli piaceva la
cambiava. E Spike solo contro Faith non gli piaceva. –E poi è una cosa tanto
grave cercare di forgiare il proprio futuro e quello di quelli che ti stanno
attorno? –Gli ci era voluto tempo per domare i propri istinti, decenni, per
poterli usare a proprio favore. Eppure ancora oggi a volte era difficile
resistere alla propria indole. Cacciare, uccidere. Voleva agire e voleva farlo
ora. Ma Liz aveva ragione. Per adesso doveva aspettare. Il che non gli toglieva
la possibilità di lanciarle una frecciata più o meno amichevolmente sarcastica.
–Come se non lo facessi anche tu.
Eliza non si prese neanche la briga di fingere che non fosse così. Era
vero e lo sapevano entrambi.
-No, non per la maggior parte del tempo. –Angel alzò un sopraciglio
perplesso alla risposta. Non amava le persone che lo criticavano. Non le aveva
mai amate. E più passava il tempo e meno le amava. “Saranno i primi segni di senilità” pensò divertito. –Certo che se
poi cerchi ancora di proteggere un vampiro di più di cento anni da qualsiasi
situazione pericolosa, considerando che spesso lui se le va a cercare con
gusto, allora è completamente un’altra storia.
Angel scrollò le spalle.
-Ho semplicemente fatto una telefonata. Mi deve un favore. Se il
messaggio gli arriverà in tempo lascerà perdere Faith e non succederà nulla.
Il vampiro sperava che quella comunicazione gli arrivasse in tempo. Era
l’unico modo che aveva per contattarlo e chiedergli di fare qualcosa senza
avere la certezza che avrebbe fatto il contrario. Dannata anima rendeva tutto
sempre più complesso.
-Ti deve un favore? –Liz lo stuzzicò tra il serio e il faceto. –Come
funzionano esattamente le cose fra voi? Lui cerca di ammazzarti, ed ogni volta
che non ci riesce ti deve un favore?
Angel, sapendo di essere più o meno gentilmente preso in giro sorrise,
mentre le spiegava la situazione con un tono appena ironico.
-Oh, non lo deve a me, –Lanciò uno sguardo divertito a Liz che
continuava a sorridergli di rimando aspettando pazientemente la sua
spiegazione. –ma ad una misteriosa quanto affidabile persona che anni fa gli ha
fatto una soffiata su quando allontanarsi da un Parigi. All’epoca aveva un
cacciatore di demoni piuttosto accanito alle calcagna. Da allora continuano a
scambiarsi informazioni, ma Spike gli deve ancora la pelle per quella volta.
Liz continuò il discorso con lo stesso tono leggero anche se quello che
voleva dire era serio.
-Ah, ah, ed io dovrei credere che non vorresti essere lì a trattenerlo
fisicamente da attaccare Faith? O a trattenere lei?
Angel si girò a guardarla perplesso. Decise di prendere tempo.
-Esattamente cosa ti fa credere che in questo momento io voglia andare a
proteggere Spike dalle conseguenze delle sue scelte azzardate?
Liz sorrise.
-Forse semplicemente perché è uno di famiglia… -Angel la guardò stupito. L’aveva sottovalutata
di nuovo. Non era cieca quanto gli altri anche se negli ultimi giorni lui aveva
fatto veramente un pessimo lavoro nel nascondere il fatto che teneva a quanto
accadesse a Spike. La morte di doyle lo aveva lasciato più “sensibile” di fronte a certi argomenti, gli ci sarebbe voluto un
po’ di tempo per tornare ad essere come sempre. La donna scoppiò a ridere alla
sua espressione. –Sai, forse passi troppo tempo con gente troppo giovane. Non
tutti sono facili da capire e da prevedere quanto loro. Inoltre il tuo
attaccamento a lui è piuttosto evidente sai? Insomma per quanta gente al mondo
salteresti alla gola di una cacciatrice e rischieresti di inimicarti
un’alleata?
Angel rimase in silenzio per qualche secondo, pensieroso. Non sapeva se voleva
parlare della cosa con Liz, non sapeva neanche se voleva parlarne del tutto.
–Qualche volta la mia famiglia mi manca.
Lo disse a voce bassa, quasi vergognandosene. Per lungo tempo lo aveva
fatto.
-E’ naturale. –Lo rassicurò Liz, con uno sguardo negli occhi di chi
aveva già provato la cosa in prima persona. –Quanto tempo hai passato con
Darla? Cento anni? Cento cinquanta? E lei ti ha insegnato le regole del clan,
vero? Le sue gerarchie, le regole da rispettare, i legami di sangue o meno che
si potevano stabilire, le tue responsabilità… -Non accadeva spesso ad Angel di
sentirsi spiegare cosa poteva motivare le sua azioni che lui stesso considerava
del tutto naturali. –E poi tu ovviamente hai trasportato parte di quel modello
con te, e visto che non te ne sei mai potuto liberare, lo hai applicato, con
differenze senza dubbio, al resto della tua vita… -L’immortale strinse un po’
di più la tazza fra le mani mentre faceva silenzio. –Ed ora… ora rimpiangi
quanto hai perduto. –Il suo sguardo divenne sfocato. –Soffri. –La donna si
riscosse, prima di continuare. –Credevi davvero che non ne avresti mai provato
nostalgia? Darla, ma anche Drusilla, persino Spike. Adesso anche Doyle. Ti
stava simpatico. E per tua scelta Cordelia e Wesley. Ma come sempre hai tutta l’intenzione
di andare avanti e di vivere. Sei sempre stato quello che è sopravvissuto vero?
Non che Angel lo potesse negare. Dubitava che molti altri vampiri
avrebbero resistito con un’anima senza almeno impazzire. E dopo un periodo
quasi impassibilmente duro lui si era adatto ed aveva ricominciato a vivere
invece di limitarsi a sopravvivere. Era fiero di essere riuscito a rialzarsi
ancora una volta, soprattutto quando tutti, compresa la sua famiglia, lo
avevano dato per spacciato.
–Ti basterà un po’ di tempo. –Proseguì fredda Eliza. –Ti costruirai una
nuova vita. Da qualche altra parte. Magari lontano. Con gente totalmente
diversa. Supererai la cosa e vivrai felice. Lo sappiamo entrambi. –Angel
avrebbe potuto urlare che era falso, che il dolore non se ne sarebbe mai
andato, arrabbiarsi a questa dimostrazione di cinismo. Avrebbe potuto. Ma
sapeva che quello che Liz aveva detto era vero. Inutile perdere tempo a
negarlo. Lei proseguì imperterrita. Il vampiro non sapeva cosa stesse cercando
di ottenere, la sua rabbia? Fargli superare un brutto momento? O semplicemente
stava parlando di se stessa? Angel sapeva perfettamente di star ancora
soffrendo per la morte di Doyle. Era ben lontano dall’aver elaborato il lutto.
Ma lo sapeva solo razionalmente. Si rendeva conto che al momento stava agendo
in maniera molto più emotiva del solito ma non poteva farci nulla. Era
difficile controllarsi in situazioni come queste. –Ma ricorderai. Ed immagino
che qualche volta i ricordi diventino troppi. E tu speri di dimenticare. Te lo auguri.
–Un sorriso triste questa volta ed una scrollata delle spalle. –Mi dispiace
informarti che non succederà. Certi ricordi non se ne vanno mai, come i
rimpianti. –un’altra pausa. Le sue labbra si piegarono in un sorriso. –Sai? Mi
ricordi tanto qualcuno.
-Chi?
Angel si stava incuriosendo. Era vero, da tanto tempo non parlava con
qualcuno che potesse davvero capire, e quello che ci era andato più vicino,
Doyle, ora se ne era andato.
-Faith.
-Chi? Faith? Lei? Quella boriosa insolente?
Angel non sapeva se apprezzava di essere paragonato alla cacciatrice,
una scalmanata che al massimo poteva somigliare a Spike, se proprio si voleva
cercare una somiglianza. Dopo la loro ultima conversazione aveva guadagnato in
considerazione dal suo punto di vista, ma di certo non le stava simpatica.
-Non immagini quante vite abbia vissuto.
La risposta era stata data con un tono piano, appena triste. Finirono di
bere e posarono le tazze sul davanzale. Passò qualche minuto, Angel continuò a
guardare dalla finestra, riflettendo. Esistevano problemi di cui potevi parlare
solo con alcune persone, sebbene l’immenso amore e volontà di comprensione che
animavano altre. Lo aveva imparato.
-Mi sono sembrati altri due secoli in quell’inferno. Ho avuto paura. Il
dolore, l’angoscia, sono durati così a lungo. Abbastanza da perdermi.
Liz non lo guardò, rispettando il suo bisogno di non essere visto in un
momento di debolezza.
-Poi ti sei ritrovato Angel. E smarrirsi per due secoli non è poi cosi
grave per chi ha davanti l’eternità. –la risposta lo fece sentire sollevato,
era difficile per lui parlare di qualcosa che l’avesse così spaventato. E
rischiare di impazzire od essere impazzito, non aveva mai saputo con certezza
se era successo o meno, lo aveva terrorizzato. –Conosco persone che si sono
smarrite da cinquecento anni. E non si sono ancora ritrovate.
Ed era chiaro che si riferiva a qualcuno di molto importante per lei ed
era altrettanto chiaro che non voleva parlarne. Angel rispettò il suo silenzio.
Rimasero a guardare fuori dalla finestra fino all’alba, immobili.
Lo scontro era uno contro uno, entrambi armati di coltello. Non durò
molto. Forse venti secondi. Che bastarono ad una Faith di pessimo umore per
parare il primo affondo del vampiro, ferirlo al petto, disarmarlo al secondo,
torcergli il braccio dietro la schiena fino a slogarlo e poi impalettarlo con
il proprio pugnale mentre gli urlava contro.
-Muori bastardo!
Faith frugò nella cenere rimasta con la punta degli anfibi per vedere se
era rimasto qualcosa di utile intatto, amuleti, armi. Chi vinceva aveva diritto
alle spoglie. Una buona regola che seguiva da tanto tempo.
-Incredibile, con qualcosa come sedici cimiteri in una sola cittadina
immagineresti che gli incontri casuali in posti del genere fossero praticamente
impossibili. Eppure continuiamo ad incontrarci. Il mondo sta diventando molto
piccolo non trovi, B?
-Passavo di qua, tanto valeva fare un giro.
La bionda lo disse con una scrollata di spalle, già stizzita. Faith le
rispose con sarcasmo, non aveva dimenticato le parole dell’ultima volta.
-Giusto, la grande cacciatrice non sprecherebbe mai le sue serate nel
cimitero più piccolo della degradata periferia.
Faith l’aveva scelto proprio per questo. Buffy lasciò cadere il
commento.
-Tu invece che stavi facendo qui, la ronda?
-No, non la ronda, ma potresti dire che ero a caccia.
Buffy indicò con la testa il suolo, aveva notato che Faith aveva finito
di setacciare la cenere prima di voltarsi.
-Trovato qualcosa di interessante?
-Qualche vampiro. Questo era il migliore della serata.
Lo disse scrollando le spalle senza dargli importanza. La conversazione
era tornata a toni quasi civili. Stupefacente.
-Perché lo fai Faith? Per te non significa niente.
Era un’accusa. Buffy l’aveva fatta suonare come tale.
-Perché caccio vampiri? La domanda del secolo B. Perché mi fa sentire
viva. Perché so che ogni volta che entro in uno di loro nidi io sarò la sola ad
uscire oppure non uscirò più. Ed ogni volta che rimango l’unica ad essere in
piedi per un istante, per un solo istante, sono onnipotente.
Gli occhi di Buffy si accesero di rabbia a quelle parole.
-Sei soltanto un’insensibile bastarda.
Le ringhiò contro la bionda.
-Non un mio problema, credi pure a quello che vuoi.
Faith si voltò e cominciò ad allontanarsi, per lei quella discussione
era chiusa. Voleva andarsene prima che la serata da cattiva si trasformasse in
pessima.
-Fermati Faith.
Un altro ordine.
-Cosa vuoi, B? Per essere una che mi odia, cerchi con inquietante
frequenza la mia compagnia.
-Fottiti Faith.
La mora sorrise senza replicare.
-Mi fai schifo. Non sei altro che un killer a sangue freddo, una che ama
ammazzare gli altri, ecco perché odi tanto l’idea che il tuo destino sia
combattere per il bene.
Le urlò contro Buffy, la voce appena più stridula di prima.
-…E morire. Combattere per il Bene e morire in un vicolo buio od in una
fogna. Non te ne dimenticare. Quella parte la tralasci sempre. Dannazione B, io
ho voglia di vivere! E’ così difficile da capire?
-Voglia di vivere? Tu hai soltanto voglia di sangue Faith. Niente di
più. Vuoi uccidere.
La mora ridacchiò prima di replicare.
-Uccidere. Oh B, fingiamo di essere innocenti? O ci credi per davvero? Anche
tu hai ucciso. Magari non esseri umani, ma hai ucciso. Esseri viventi. E non mi
raccontare la solita storiella che loro sono demoni e vanno uccisi. Perché io
ho conosciuto uomini che meritavano di morire molto più di tanti demoni. –Con
una mossa stizzita si portò una mano alla cintura. –Cosa credi che si provi nel
premere un grilletto? Eh B? Cosa? Devi soltanto piegare un dito.
Faith estrasse
-Ecco una pistola. Lucente metallo… così mortale… vero? E tutto quello
che devi fare per terminare una vita è premere il grilletto. Una piccola
levetta. –la bruna mise l’indice in posizione di tiro ed allineò la pistola
contro Buffy. –Un proiettile può uccidere anche te sai? E non credere di essere
troppo veloce perché io ti possa colpire.
Si era accesa una luce strana negli occhi di Faith, fuoco vivo, un misto
di emozioni tumultuose. La stessa che aveva quando combatteva. Rimasero un
attimo così a fissarsi.
Poi Faith tirò il grilletto e Buffy chiuse gli occhi.
La pistola scattò a vuoto. Il caricatore non era inserito.
-Non ci sarebbe voluto niente vero? –Lo disse con voce calma e
tranquilla, come se stesse discutendo del tempo. –Non è premere un grilletto
che ti cambia. E’quello che provi nel farlo. Quello che provi a distanza di
mesi o anni.
La fronte di Buffy era imperlata di sudore.
-Sei pazza.
Bisbigliò appena.
-Oh, ma non lo avevi già capito psicologa? Tutti i segni erano lì:
instabile, incurante delle conseguenze, senso di onnipotenza, autodistruttiva…
posso continuare.
Faith stava ridendo ora.
-Tu sei completamente pazza.
Buffy lo disse mentre camminava all’indietro, allontanandosi lentamente.
Faith la fissava con un lampo omicida, qualcosa che l’altra non le aveva mai
visto nello sguardo.
-Sono pericolosa B, io sono solo pericolosa.
La bionda scuoteva la testa, alternando il terrore alla rabbia.
-Sei solo un cane idrofobo che andrebbe abbattuto. Ecco cosa sei.
Faith sogghignò alla descrizione.
-Si, sono aggressiva. Sono un predatore. –Fece un passo verso Buffy, che
rimase ferma ma lo fece sussultando. -Che poi tu voglia giocare ad avere una
vita normale, a fingerti una tranquilla studentessa sono soltanto affari tuoi.
Sei tanto brava a mostrarti innocua, del tutto innocente. Dannazione, prendi in
giro così i tuoi amici da anni. La santa e buonissima Buffy. Ottima recita.
Complimenti. –Faith la applaudì un paio di volte, prima di continuare. –Io non
sono così. Sono una cacciatrice. E posso essere dura e letale. Non mi vergogno
di ammetterlo, ed ho smesso di nasconderlo da tanto tempo.
L’intercom sulla scrivania emise un discreto bip. Senza prestarvi
particolare attenzione Miller accettò la chiamata, mentre continuava a leggere.
-Si?
Firmò il foglio che aveva davanti e ne prese un altro dalla piccola pila
alla sua sinistra.
-Signore, il capo degli operativi chiede di parlarle.
-Fallo passare. –“Era ora che mi
sapesse dire qualcosa di più sull’omicidio dell’operativo”. Pensò Miller
mentre girava di nuovo pagina, scorrendo velocemente i rapporti finanziari
della chiusura trimestrale. A volte più che di dirigere un’organizzazione come
quella del Concilio gli sembrava di essere il presidente di una multinazionale
a forza di leggere bilanci e resoconti della produttività del personale. Oh, la
loro non era mai stata una fondazione benefica senza scopi di lucro, quello era
vero. Nella storia molti degli osservatori si erano arricchiti in un modo o
nell’altro e con loro tutto il Concilio. Guerre, merci rare, pregiati
manufatti, informazioni. Tante cosa. Ma da quando aveva nominato, anni prima,
Marlin come dirigente delle finanze la cosa era diventata, come dire, più
“professionale”. Mise un’altra firma in fondo alla pagina sulla riga tratteggiata.
Sorrise alla cifra finale. Era stato un ottimo trimestre, con un attivo quasi
record.
Un attimo dopo si sentì un educato bussare alla porta.
-Avanti.
Jason entrò e si diresse verso la scrivania del primo osservatore
rimanendo in piedi ad una rispetta distanza, aspettando che Miller gli
rivolgesse la parola per primo come da protocollo.
Il primo osservatore quasi sogghignò alla dimostrazione di quanto gli
anni passati fra i militari fossero fissati nella mente del capo degli
operativi. Era stato un ottimo elemento nell’esercito, ricompensato varie volte
con medaglie al valore, come del resto lo era stata una buona parte degli altri
operativi. Ma, al contrario di molti altri operativi, finiti al Concilio degli
osservatori per coincidenza, Jason aveva saputo dal giorno del suo arruolamento
che quello non sarebbe stato che l’addestramento necessario per entrare negli
osservatori.
Da tempo la sua famiglia forniva militari al braccio armato Concilio,
arrivando spesso a comandarlo. Come lui.
-Ci sono progressi nell’indagine?
L’uomo scosse la testa.
-No signore, sono qui per un altro motivo. –Jason era perfettamente
consapevole del suo atteggiamento prettamente marziale di fronte al Primo
Osservatore. Era voluto, accentuato. Miller aveva prestato servizio e da qualche
parte nella sua mente continuava a nutrire un innato rispetto per chiunque si
comportasse da militare. –Le devo comunicare la conferma della morte del
dirigente Gillison.
Miller lo fissò, evidentemente stupito dalla notizia. “Dougan non deve averlo informato sul
rapporto arrivato ieri, sul fatto che una delle nostre auto era rimastra
coinvolta in un incidente.” Jason notò con piacere che il primo osservatore
non aveva il perfetto controllo delle espressioni facciali che aveva Marlin. “Non vorrei mai giocare a poker contro di
lei.”, era stata una decisione che aveva preso subito dopo il loro
incontro. Quella donna lo innervosiva. Era ovvio che la sua faccia non era
altro che una maschera, era troppo perfetta per non esserlo, ma nonostante
questo Jason non riusciva a capire cosa nascondesse.
In questo somigliava a Faith.
-Cosa è successo?
Miller stava nervosamente piegando e poi risistemando l’angolo del
foglio che aveva tra le mani. Il capo degli operativi lo notò e registrò
l’irrequieta azione in un angolo della sua mente.
-Un incidente stradale mercoledì notte a Londra, signore. –Miller fece
per interrompere ma Jason proseguì, intuendo la domanda successiva. –Lo abbiamo
saputo così tardi perché aveva con sé documenti di identificazione falsi,
signore.
-Si sa qualcosa della dinamica dell’incidente?
“Quante sono le possibilità che un
dirigente del Concilio muoia in un incidente stradale in un momento convulso
come questo?” si chiese Miller “E proprio uno dei sostenitori di Marlin, in contemporanea con la continuata
assenza di Travers?”.
-Un pirata della strada ha speronato l’auto del signor Gillison,
lasciandolo agonizzante sulla scena, signore. Anche il pirata è morto nello
scontro.
-E’ stato archiviato come incidente?
Jason sapeva che la vera domanda era piuttosto “Ci sono le prove che lo hanno ucciso o no?”.
-Si signore. La dinamica complessiva corrisponde con quella di un
normale incidente stradale, signore.
Miller annuì. Se era stato un omicidio era stato un lavoro ben fatto.
-Puoi andare Jason. Fammi sapere al più presto se ci sono novità sulla
morte dell’operativo.
-Si signore.
Il capo degli operativi si girò ed uscì dall’ufficio. Miller era
convinto che Jason fosse stato and un passo dal salutarlo militarmente prima di
voltarsi.
Scosse la testa e dimenticò in fretta il capo degli operativi. Cosa
significava la morte di Gillison? Rifletté per quasi un’ora, soppesando tutte
le possibilità, completamente dimentico dei documenti che stava esaminando
prima della notizia.
Essenzialmente tre cose.
Rimanevano solo sei dei dieci dirigenti ordinari, di cui uno assente ed
un altro sotto inchiesta.
Non potevano più porre il veto alle sue decisioni. Per farlo servivano
sette voti contrari. Ed ora era matematicamente impossibile che li avessero.
Marlin non aveva più la metà dei voti presenti.
Miller sorrise e si andò a versare un bicchiere di bourbon per
festeggiare, sedendosi nella poltrona più comoda che avesse, la bottiglia
poggiata sul tavolino vicino. “Sembra che
finalmente la fortuna stia girando”. Scolò di un fiato il liquore e se ne
versò un’altro.
“Sono solo in sei.”
Sorrise ancora di più all’idea che aveva appena avuto.
Marlin si lasciò ricadere contro la poltrona, inquieta, riflettendo
sull’ultima idea proposta dall’uomo stravaccato scompostamente sul divano del
suo ufficio. Magdalene era sicura che avrebbe poggiato i piedi sul tavolino, se
solo ce ne fosse stato uno. Di certo lo aveva fatto spesso e volentieri durante
gli anni in cui lei era stata direttrice degli analisti e lui uno degli uomini
forti dell’est Europa.
Quel vecchio ufficio d’angolo Marlin lo aveva ereditato, già
sontuosamente arredato con tanto di tavolino in cristallo, dall’uomo a cui
aveva facilmente fatto le scarpe per ottenere quel posto. “Lucas non è stato un granché come avversario. Mente brillante ma di
sicuro non troppo sveglio con la gente. Farlo cacciare per incompetenza è stato
praticamente un gioco.”
-No, non ci siamo Aleksander.
Disse ad alta voce tornando al presente.
Meno di due ore fa, il vice capo delle comunicazioni, subito dopo aver
inoltrato il messaggio della morte di Gillison a Jason, l’aveva
illecitamente avvertita di quanto era
successo, annullando il vantaggio che Miller poteva avere nel ricevere per
primo la notizia.“Non c’è dubbio”,
aveva riflettuto Magdalene una volta chiusa la comunicazione con il tecnico, “decidere di far nominare uno dei miei uomini in quella posizione è stata una scelta
azzeccata anche se mi è costata parecchio. E non risolve minimamente il
problema che ho ora”.
Non molto divertente da ammettere ma era la verità.
Appena finita la telefonata Marlin si era subito attivata per cercare di
rintracciare Kroskj, l’elusivo dirigente dalla battuta sempre pronta ed il
sorriso inciso perennemente sulla labbra che lo rendeva simpatico a tutti,
chiedendogli di raggiungerla in ufficio al più presto.
Il russo aveva compreso subito l’importanza del problema dal tono di
voce della donna, e per una volta invece di presentarsi con il suo ritardo
cronico, e del tutto studiato, di mezz’ora, si era presentato immediatamente.
Conosceva da troppo tempo Magdalene per ignorare un suo “si tratta di una cosa
urgente”.
Di fronte alla situazione sia Marlin che lui avevano tutti i motivi per
essere preoccupati. Erano stati messi improvvisamente in minoranza nel
consiglio dei dirigenti. Sembrava che tutte le loro scommesse gli si stessero
rivoltando contro.
La cosa peggiore era che stavano discutendo di come uscire dalla
situazione da più di mezz’ora ed ancora non erano riusciti a trovare un modo
per risolvere la faccenda. Nessun problema che avesse una qualsiasi soluzione
praticabile era mai riuscito a tenerli in stallo per così tanto tempo ed oramai
entrambi disperavano che esistesse una qualche via di uscita che li vedesse
vincitori. O perlomeno non perdenti.
Era stato tutto inutile.
Per quanto entrambi si fossero sforzati di trovare un cavillo od un
appiglio per riportare il conteggio dei voti in parità non erano riusciti a
trovare nulla. Erano arrivati a richiamarsi alle norme di emergenza emanate durante
la peste nera che aveva quasi dimezzato la popolazione europea. E lo avevano
fatto inutilmente.
Kroskj si passò una mano fra i capelli biondi, riuscendo a scompigliare
ancora di più i ciuffi ribelli, non potendo fare a meno di analizzare
nuovamente i fatti, trovando la cosa largamente deprimente: Miller poteva
contare sul voto di Dougan e Duville, tre in totale, contro solo Kroskj e lei.
Gli altri non contavano: Brightman era sotto inchiesta e Travers uccel di bosco
da mesi.
Tre contro due.
E per quanto cercassero non riuscivano a trovare un modo per cambiare la
cosa.
Tre a due.
“Fottuta jella”. Aleksander
non accettava di perdere così. -E se cercassimo l’appoggio di Brightman? -Suggerì
il russo ancora seduto sul divano in pelle, le gambe accavallate e la giacca
posata di fianco, se ne liberava appena poteva.
-Miller lo farà giudicare colpevole alla prima riunione di gabinetto e
noi non abbiamo più i voti necessari per farlo assolvere. Anche se ne bastano
la metà ora non ci arriviamo più.
Dannazione se non era frustante. Marlin aveva voglia di strangolare
qualcuno, giusto per non sentirsi così impotente. Era stata ad un passo dal
poter ottenere quattro voti in un gabinetto di sette, ed ora ne aveva solo due
su sei.
-Secondo te è stato Miller a farlo ammazzare? –Kroskj non si faceva
illusioni sul fatto che quello non fosse stato un incidente. Doveva ammettere
che però l’idea lo disturbava.
Non l’omicidio in sé. Lui stesso aveva ammazzato la sua parte di persone
durante gli anni, personalmente e a sangue freddo se necessario. Anche se
nessuno, a parte Marlin, lo credeva capace di una cosa simile con la faccia
d’angelo che aveva e i modi di una ragazzino. A dire la verità Kroskj non ricordava
più neanche con precisione quanti fossero quelli che aveva ucciso. Molti.
Sicuramente molti. Ad alcune di quelle esecuzioni aveva partecipato anche
Marlin. Erano diventati “amici” così.
Piuttosto a disturbare Aleksander era il fatto che la lotta per il
potere fosse arrivata a quel punto a causa della mossa di un avversario e non
di una sua e che lo avesse fatto in così poco tempo. Era raro che un dirigente
fosse assassinato. Nel corso dell’ultimo secolo probabilmente erano stati
assassinati, senza che la cosa fosse mai provata, solo tre dirigenti, due dei
quali in questo decennio. Dio solo sapeva quanti Osservatori erano stati uccisi
per ordine del Concilio o da altri colleghi per un motivo o per un altro nello
stesso lasso di tempo. A fare una stima prudente più di cinquanta.
-Non lo so. –Rispose Marlin guardando l’uomo di fronte a sé. Era facile
dire dalla luce negli occhi verdi che era preoccupato, e lei condivideva le
preoccupazioni di quello che era la cosa più vicina che avesse ad un amico.
Erano alleati da anni e la loro sopravvivenza in questo momento era intrecciata
indissolubilmente. E si trovavano in bilico. La cosa non piaceva neanche a lei.
Neanche un po’. –E non importa. O Travers o Miller non fa differenza ormai.
Sentirono bussare alla porta.
-Avanti.
Era l’assistente personale di Marlin. Una donna sulla cinquantina con
l’aria di una perfetta dama di compagnia e gli occhi gelidi della governate
inflessibile. Non molti avevano il coraggio di affrontarla anche se era solo
una pallida ombra della persona dirigente per cui lavorava.
-Signora Marlin, signor Kroskj –Lui la salutò con un cenno del capo ed
un sorriso radioso, mentre come sempre Magdalene si limitò a fissarla
aspettando che parlasse. –Il primo osservatore ha appena indetto un Assemblea
Plenaria del Concilio degli Osservatori, in data giovedì 20.
Sulla faccia di Kroskj si vedeva la chiara sorpresa alla notizia, non si
aspettava una mossa del genere da parte di Miller. Aleksander lanciò uno
sguardo a Marlin per giudicare la sua reazione, trovando esattamente quello che
si aspettava, niente. Senza scomporsi minimamente di fronte alla novità
Magdalene annuì una volta alla sua segretari e lasciò tornare ai suoi compiti.
-Grazie Helen, puoi andare.
La donna salutò con perfetta cortesia ancora una volta i due dirigenti
prima di chiudere la porta dietro di sé, lasciandoli entrambi pensierosi.
-Cosa vuol fare? Per liberarsi di Brightman gli sarebbe bastato
convocare un gabinetto.
Chiese Kroskj qualche secondo dopo. Non capiva la mossa di Miller.
-Non vorrà fermarsi a questo. –Marlin stava pensando furiosamente.
Brightman, che altro poteva ottenere con una riunione plenaria? Forse la testa
di Travers… e poi? Possibile che volesse procedere alla nomina di altri
dirigenti? Se era così aveva appena commesso un errore. Magdalene sorrise. –Ho
trovato il modo di annullare o quasi la differenza voti.
Il russo scosse la testa, per nulla convinto dalle sue parole.
-Anche contando sull’appoggio di Giles durante le votazioni per i
candidati al posto di dirigente... –Kroskj aveva seguito il suo stesso
ragionamento. Era privilegio dell’osservatore della cacciatrice poter votare
durante l’assemblea plenaria, almeno per quanto riguardava la sostituzione
degli altri dirigenti. –…non arriveremmo alla maggioranza, lo sai vero?
-Si, -Rispose senza scomporsi troppo Magdalene, sorridendo appena. Un
mezzo sorriso sincero che era spesso tutto quello che si concedeva. –Ma ora le
cacciatrici sono due.
Kroskj scoppiò a ridere. Era semplicemente assurdo, impensabile, contro ogni
tradizione eppure all’interno di ogni regola. Esattamente come Marlin stessa.
“Sarà divertente vedere la faccia di
Miller, di fronte a questo.”
Aleksander adorava Magdalene proprio per quello.
Liz lasciò squillare il telefono una seconda volta prima di rispondere.
L’immortale lo doveva ammettere, per quanto utile e comodo fosse l’apparecchio
lo aveva sempre trovato estremamente seccante. Non era mai riuscita ad
entusiasmarsi alla novità, al contrario di quanto aveva fatto ad esempio per il
cinema o per il treno od anche per il computer. Era stata una delle invenzioni
che più aveva cercato di ignorare, ostinandosi a non installarne in caso
propria per anni. Senza successo doveva ammettere.
-Con chi parlo?
Doveva decidersi a far installare un display per identificare le
chiamate anche sul suo apparecchio fisso. In effetti avrebbe dovuto rinnovare
l’intero impianto oltre ai singoli telefoni visto che lo aveva fatto installare
più di trenta anni fa, quando aveva acquistato la proprietà. Ancora un po’ e da
antiquato sarebbe diventato un pezzo di antiquariato.
-Liz? Sono io Faith.
La donna sorrise, era un po’ che la cacciatrice non si faceva sentire, e
con tutta la storia di Spike, la donna si era preoccupata al prolungato
silenzio. Non che fosse inusuale, al contrario, visto che Faith sembrava
condividere il suo odio nei confronti del telefono oltre ad avere una spiccata
tendenza nel non chiamare a meno di avere qualcosa da dire.
Nonostante la preoccupazione Liz aveva evitato di cercarla. Non c’era
alcun vero motivo per farlo e sapeva quanto Faith tenesse alla sua
indipendenza. Comportamento infantile a volte, d’accordo, ma del resto aveva
solo vent’anni e l’immortale aveva avuto
a che fare con gente molto più seccante e cocciuta della cacciatrice durante la
sua vita.
-Tutto bene?
E quella sarebbe stata tutta l’espressione della preoccupazione di Liz.
Se Faith aveva qualcosa da dire l’avrebbe detta. Eliza aveva dovuto lavorare a
lungo per riuscire ad instaurare questo tipo di rapporto con la ragazza. Di
certo la cacciatrice non era un soggetto facile, aperto alle nuove persone e
pronto a dare fiducia. Tutto il contrario effettivamente. Probabilmente uno
psicologo le avrebbe detto che soffriva di gravi problemi emotivi. Ma la donna
sapeva di essere riuscita a fare breccia e sperava che in caso di bisogno Faith
avrebbe cercato il suo aiuto.
-Si, tutto bene ma ho novità. –Eliza attese pazientemente mentre sentiva
in sotto fondo il fischio del bollitore dell’acqua. Ci furono altri rumori,
acqua versata, sportelli aperti e richiusi. –Scusa, ma mi sto preparando un tè.
–Un attimo di pausa. –Ovviamente è una della miscele che mi hai dato tu, lo Yin
Zhen.
-Come al solito. –Era la miscela preferita di Faith. Di tanto in tanto
l’immortale si chiedeva se non era anche l’unica che prendesse. Ridendo appena
continuò –Lo sapevo. Ho creato un mostro. Non avrei dovuto farti assaggiare
quel tè.
-Di certo ti sei scavata la fossa con le tue stesse mani, visto che
insiti a regalarmi ogni fornitura. –Disse Faith ridendo a sua volta.
–Considerando che te lo fai spedire direttamente dalla piantagione, senza
contare il fatto che si tratta di una miscela rara… Ho come il sospetto che le
mie colazioni ti costino parecchio.
-Non ti preoccupare, la mia passione per il tè è uno dei pochi vizi che
mi concedo. Il recapito e la merce mi costano ma non troppo. Del resto non ti
dimenticare che sono inglese.
Aggiunse con un sorriso Liz, anche se sapeva che Faith non la poteva
vedere.
-Cambia scusa… tanto lo so che sei inglese da più tempo di quanto non lo
sia il tè.
La cacciatrice la stava prendendo in giro e Liz sapeva che si stava
divertendo un mondo a farlo.
-Faith è scortese fare osservazioni sull’età di una signora…
La riprese scherzosamente.
-Signora?
Ribatté Faith ironica. Liz rise ed evitò di rispondere, per quanto si
stesse divertendo a punzecchiarsi con la ragazza, sapeva che avevano bisogno di
parlare di cose serie se la cacciatrice l’aveva chiamata. –Cosa mi volevi dire?
Ci fu un altro attimo di pausa. Probabilmente Faith stava finendo di
prepararsi il tè. Liz si fece un appunto mentale di non insegnare mai a Faith
tutta la cerimonia del tè giapponese o quella cinese. Se la cacciatrice si
fosse entusiasmata all’idea, Eliza aveva la certezza che non sarebbe più
riuscita a gustarsi un tè senza tutti quei laboriosi preparativi.
-Mi ha chiamata Marlin.
Il tono di Liz si fece serio come
quello di Faith.
-C’è qualche problema?
-Sembra che le cose si stiano muovendo. –Ci fu una pausa e Liz sentì
qualche altro rumore in sottofondo. -E’ stata convocata per giovedì
un’assemblea plenaria. Ed io sono gentilmente stata invitata.
Passò qualche attimo prima che Eliza si riprendesse dallo stupore. Una
cacciatrice ad un’assemblea del Concilio? Era praticamente inaudito. Più tardi
avrebbe dovuto dire a Faith che l’invito non le serviva però. Era diritto della
prescelta sedere durante quelle assemblee. Che poche lo sapessero e nessuna lo
facesse era un altro conto. Lei stessa si era dimenticata di informare Faith
della cosa. Avrebbe rimediato.
-Sul serio?
-Si e apprezzerei se mi spiegassi per filo e per segno tutto quello che
posso o non posso fare e quello che mi devo aspettare dai simpatici
osservatori.
-Non c’è problema. –Liz non l’avrebbe mai lasciata entrare in quel covo
di serpenti senza prima spiegarle tutto filo e per segno. Anche se la cosa
implicava che avrebbe dovuto spiegare a Faith tutti e 3259 articoli delle norme
di comportamento ed intervento nel Concilio. –Sai per quale motivo è stata
convocata?
Quello era il nodo cruciale della questione.
-No, Marlin non l’ha detto ed io non l’ho chiesto.
Una mossa intelligente per quanto credeva Liz. Meno Magdalene si fosse
preoccupata di Faith come potenziale rivale, meglio sarebbe stato. Non che
l’idea di tenere un profilo basso potesse cambiare le cose poi di molto.
-Ok, non ti preoccupare, ci sentiamo presto e ti darò ogni possibile
dettaglio, ok?
“Probabilmente le spiegherò solo i
quattro-cinquecento articoli più importanti, ed una manciata di precedenti che
possono tornare utili”.
-Ok. Alla prossima Liz.
-Ciao Faith.
Chiusa la conversazione Eliza rimase per un po’ nel suo studio
riflettendo su quanto era successo. Avrebbe dovuto chiedere ai suoi informatori
di riempire i vuoti che aveva lasciato Faith. Era fondamentale scoprire perché
quella assemblea era stata convocata.
La cosa più inquietante era che al momento non aveva idea di quello che
era successo per causare la convocazione di un’assemblea plenaria. Sembrava
proprio che gli eventi avessero subito un’accelerazione improvvisa a causa di
una qualche forza sconosciuta. Non era una buona notizia. Le dava meno tempo
per prepararsi e meno controllo su quanto stesse accadendo.
E c’era troppo in gioco per potersi permettere anche un solo errore.
Lasciò la stanza per andarsene nel salotto dove trovò Angel intento a
leggere.
-Ma tu non guardi mai la televisione?
Il vampiro alzò gli occhi dalla pagina e li portò per un istante alla
padrona di casa per poi andare verso il panello di legno che nascondeva lo
schermo al plasma di
-No, non mi è mai piaciuta.
-Antico.
Angel si rimise puntigliosamente a leggere, fingendosi stizzito, mentre
Liz si sedeva sul divano di fronte alla televisione con il telecomando in mano.
Aveva voglia di vedere qualcosa. Sempre che ci fosse qualcosa di decente da
vedere. “Scommessa molto insicura al
momento”.
-Il messaggio è arrivato a Spike?
Chiese l’immortale dopo qualche minuto di infruttuoso zapping.
-No, non ancora. –“…Ed ormai
comincio ad essere preoccupato. Pare che Spike sia scomparso dalla faccia della
terra, fogne incluse. Nessuno lo riesce a trovare. Se non lo riesco a
raggiungere in tempo per fermarlo dall’uccidere Faith…” –Forse ci vorrà
qualche altro giorno.
Concluse tranquillo.
-Ok, -lo zapping si interruppe. –Ah, comunque, nel Concilio le cose
cominciano a muoversi.
Angel annuì e proseguì la lettura del libro. “…forse sarebbe meglio se andassi a cercare Spike di persona… Mi basta
trovare una scusa qualsiasi per rinunciare all’ospitalità di Eliza e non farla
insospettire del fatto che non ho la più pallida idea di dove si trovi… e poi
potrei sempre liberarmi di lei, se poi non riuscissi a fermarlo in tempo, e lei
volesse proprio intervenire per vendicare Faith…” Il vampiro osservò la
donna per un istante. “…Liz mi potrebbe
ancora essere utile, può darmi il nome di chi ha ordinato l’attacco. Non vale
la pena informarla ora delle difficoltà nel rintracciare Spike…può parlare
prima che accada qualcosa a Faith in fondo… no, meglio non liberarsi di lei
ora, è ancora troppo presto. Sarebbe stupido farlo ora.”
La porta dell’ufficio di Jason si spalancò improvvisamente per poi chiudersi
sbattendo rumorosamente dietro ad un furioso Miller, che si precipitò
all’interno a passo di carica, praticamente ringhiando contro il capo della
sicurezza.
-I tuoi risultati?
Jason si alzò in piedi in segno di rispetto verso il Primo Osservatore
quando lo vide entrare. Il suo completo nero, in genere del tutto
inappuntabile, era spiegazzato, il colletto della camicia slacciato e la
cravatta gettata da qualche parte la scorsa notte. Il capo della sicurezza era
appena rientrato da un viaggio per controllare la posizione degli ultimi agenti
identificati dai nastri della sorveglianza, uno dei quali era andato in vacanza
in una sperduta isola al largo della costa inglese. Tutti erano stati
rintracciati ed identificati come umani.
Dopo tutto il lavoro fatto per individuare i potenziali sospettati e gli
interminabili voli in elicottero lungo tutto il paese del giorno precedente per
dare una mano nel rintracciare una squadra andata in licenza, Jason aveva gli
occhi infossati ed arrossati. Non che si stupisse della stanchezza che provava,
visto che negli ultimi quattro giorni aveva dormito poco più di dieci ore, la
maggior parte delle quali passate su uno scomodo sedile di una elicottero da
combattimento. Aveva voglia di sfregarsi gli occhi anche adesso, di fronte a
Miller, per far sparire il bruciore e sentirsi appena più sveglio. Ancora poco
e sarebbe crollato, presto avrebbe dovuto ritagliarsi almeno otto ore di sonno
per rimanere passabilmente lucido.
-Ancora nessuno signore, ma ho limitato i sospetti.
-Hai limitato i sospetti? –Urlò Miller, incapace di trattenere la sua
impazienza e trovando sfogo sul capo degli operativi. Il primo osservatore
sbatté le mani sul piano della scrivania ingombro di fogli, facendone volare
dappertutto. –E cosa me ne faccio del
fatto che hai limitato i sospetti? A me non interessa che ci siano due o
tremila sospetti. Io voglio un colpevole. Chiaro?
-Chiaro signore. Lo avrà signore.
L’impronta militare nel tono di Jason era evidente, inconsciamente aveva
anche raddrizzato la schiena e le spalle assumendo la posizione di attenti.
Sembrava che gli anni passati nell’esercito non fossero poi dimenticati.
-Meglio per te. –Sibilò Miller praticamente ad un millimetro dalla
faccia di Jason. –Perché altrimenti sarà la tua di testa che presenterò alla
Riunione Plenaria del Concilio di giovedì. Hai ancora ventiquattro ore Jason.
Poi sarà troppo tardi.
-Mi basteranno signore.
Senza salutare Miller uscì dall’ufficio, sbattendo di nuovo la porta.
Jason si rilassò solo quando i suoi passi pesanti si persero in lontananza.
“Mi dovranno bastare”.
Jason sperava che le banche gli consegnassero i risultati delle ricerche
in tempo. Ovviamente il week-end aveva arrestato le ricerche, gli uffici
bancari non sarebbero rimasti aperti certo per lui, ed oggi era il primo giorno
lavorativo utile per completare il lavoro di controllo che aveva avviato dopo
il colloquio con Marlin.
Quella finanziaria era la sua unica traccia ormai, la sua ultima
speranza, ora che tutte le altre piste si erano rivelate essere vicoli ciechi.
Chiunque fosse entrato non era stato registrato dalle telecamere di
sorveglianza, avallando la teoria che si trattasse di un esterno con complici
negli operativi o nelle squadre di tecnici.
Se dai tabulati dei conti correnti fossero risultati depositi o
movimenti di denaro sospetti, Jason avrebbe trovato il suo colpevole.
Od un adatto capro espiatorio.
Psicologia era noiosa. Molto noiosa. Chissà perché l’aveva scelta poi. Non
avrebbe dovuto dare retta a Willow. Buffy si sfregò gli occhi con una mano, e
rilesse per la terza volta lo stesso paragrafo. Decisamente non era concentrata
sul libro.
Aveva troppi altri pensieri per la testa. Quello che era successo al
Magic Box, quel terribile, evitabile, litigio con Willow e Xander, la notizia
di Spike libero, quanto era accaduto con Faith dopo, al bar.
Le conseguenze di quella discussione, alle quali veramente non voleva
pensare, anche se la sua mente non faceva che tornarci sopra.
Quanto successo al Magic Box era serio, molto più di quanto non volesse
ammettere. Erano passati anni dall’ultimo litigio di questa portata. Quando
aveva nascosto a tutti del ritorno di Angel. C’erano stati altri screzi poi, ma
nulla di particolarmente serio.
Almeno questa volta Giles era con lei.
Che fosse una lite fuori dal comune, che i suoi amici fossero davvero
arrabbiati con lei, era dolorosamente ovvio dal fatto che dopo tre giorni le
cose non erano tornate nemmeno ad assomigliare lontanamente alla normalità.
Generalmente dopo qualche ora, un giorno al massimo, Willow si calmava e
tornava a parlarle. All’inizio ci sarebbe stato dell’imbarazzo, scomodi
silenzi, ma non sarebbe durato per molto.
Invece questa volta niente. Neanche una parola sull’accaduto.
La sua migliore amica la stava ostentatamente evitando, rifiutando di
parlarle o quasi.
Incredibilmente con Xander le cose andavano meglio, anche se
generalmente era il più ostinato dei due nel portare rancore. Avevano parlato
ieri e sebbene il ragazzo fosse stato piuttosto freddo al telefono aveva detto
che fintantoché Faith fosse rimasta sufficientemente lontano da lui (abbastanza
perché potesse fingere che non fosse affatto in città) la cosa non lo
infastidiva più di tanto. Buffy gli aveva garantito immediatamente che l’altra
cacciatrice si sarebbe tenuta rigorosamente lontana da lui.
Si erano lasciati così.
Con Willow invece le cose erano ben diverse.
Quella che avevano avuto l’altro giorno era stata una lunga e drenante
discussione, Will le aveva urlato contro le sue accuse, dicendole quanto si
sentisse ferita nello scoprire che ancora una volta Buffy aveva tradito la sua
fiducia. Aveva accusato la cacciatrice di non tenere alla loro amicizia quanto
tenesse lei, si starla semplicemente usando.
Buffy non aveva ascoltato in silenzio, niente affatto. Aveva ribattuto
dicendo di aver avuto le proprie ragione, che non aveva nascosto niente di
importante, niente di pericoloso od altro, di averlo fatto per loro, per
risparmiargli di doversi preoccupare anche per Faith, perchè sapeva come
avrebbero reagito alla novità.
Ma Willow non ci aveva creduto, non del tutto.
Era diventata silenziosa dopo un po’.
Ed aveva lasciato il Magic box assieme a Tara, tornato solo da qualche
momento.
Erano passati tre giorni e l’aria tra loro era ancora molto tesa. La
bionda si muoveva con cautela sapendo che sarebbe bastato un minimo accenno per
far scattare di nuovo la rossa. L’unica cosa positiva in tutto questo era che
almeno Tara non aveva preso posizione contro di lei. Per ora si evitavano, o
meglio Willow la evitava, parlandole solo se doveva. La ragazza aveva passato
la maggior parte del tempo lontana da lei, con la fidanzata.
Bussarono alla porta. Buffy si alzò per andare ad aprire, felice di
avere una scusa per smettere di rileggere la stessa pagina da circa mezz’ora.
Era un corriere.
-Summers?
-Si, sono io.
Rispose appoggiandosi allo stipite della porta, un po’ sorpresa dalla
cosa.
-C’è un pacchetto per lei. -Le porse l’involucro ed una cartellina con penna.
–metta una firma per cortesia.
La cacciatrice salutò e richiuse la porta, fissando l’oggetto che teneva
in mano mentre tornava a sedersi.
Guardò il pacco che aveva ancora in mano, riconobbe l’indirizzo, era
l’agenzia investigativa, la sede in Inghilterra per essere esatti, girata al
suo indirizzo da quella a L.A. Doveva contenere gli ultimi risultati della
ricerca che aveva commissionato.
La ricerca della propria famiglia di origine stava cominciando a
costarle cara. Da tempo il conto aveva superato i seimila dollari, oramai si
avvicinava molto ai diecimila. Fortunatamente il nuovo accordo con il Concilio
le permetteva di pagare quelle cifre. Era stata una buona mossa quella di
accettare di tornare a lavorare per loro.
Doveva ammettere che essere economicamente indipendente le piaceva.
Soprattutto ora che non parlava più da tempo con Joyce. Come del resto le
piacevano tutti i nuovi vestiti che si era comprata. Adorava il suo ultimo
cappotto di pelle color beige con tanto di frange stile western.
Posò il pacco sul letto davanti a sé e rimase a fissarlo per qualche
secondo, mentre ci faceva scorrere le dita sopra, pensierosa. Strappò la carta
gialla e poi il cartoncino fino a scoprire un fascicolo di fogli. Li estrasse
con cura mentre si accomodava a gambe incrociate, intenta a mordicchiarsi
nervosamente un labbro.
Dieci pagine lette in meno di cinque minuti. Il tutto per comunicarle
essenzialmente tre cose. L’indirizzo dove abitava sua sorella, a Manchester, il
posto dove sua madre aveva lavorato, la “Weston Laboratories” , nella stessa
città, ed il saldo finale, di cui duemila dollari ancora da pagare.
Buffy rimase a riflettere a lungo sul letto, non sapeva come sentirsi.
Era difficile accettare il fatto che la sorella scomparsa nel nulla quasi venti
anni prima, la tua unica sorella, era viva e vegeta, abitava in Inghilterra
allevata da zii materni, e a quanto pareva non sapeva nulla di te.
Forse la sua famiglia non aveva mai voluto saperne niente di lei. No,
doveva esserci stato un maledetto errore nella burocrazia, che l’aveva tolta ai
suoi parenti. Forse sarebbe dovuta tornare a Chigaco per pestare a sangue
quell’idiota di Green e rintracciare chiunque si fosse occupato della sua
adozione per fare lo stesso. Le avevano tolto la sua famiglia.
“Maledetti infami.”
Buffy aveva voglia di piangere, sentiva le lacrime bruciarle gli occhi,
ma le ricacciò indietro con uno sforzo, deglutendo convulsamente. Voleva
parlare con qualcuno. Prese il telefono e chiamò la stanza di Tara. Era
praticamente certa che Willow si trovasse lì, a quest’ora le lezioni erano
tutte finite. Squillò alcune volte prima che qualcuno alzasse il ricevitore.
-Pronto?
Tara era leggermente infastidita dal fatto che aveva dovuto rilasciare
Willow dall’abbraccio in cui la teneva per rispondere e non cercò di
nasconderlo a chiunque fosse dall’altra parte. Stava parlando alla sua ragazza,
cercando confortarla e rassicurarla meglio che poteva, sapendo perfettamente
che quanto era accaduto al Magic Box la settimana scorsa la turbava ancora. La
rossa si trascinava in giro da giorni, completamente infelice. Che lei e Buffy
non avessero ancora fatto pace era tremendamente chiaro, esattamente quanto il
fatto che Willow si sentisse tradita, e a ragione, dal comportamento
dell’amica. Essere interrotta non piaceva affatto a Tara, soprattutto visto che
era la cacciatrice a chiamare.
-C’è Willow?
-Si. Un attimo. –“Ciao anche a te,
comunque.” Tara porse la cornetta alla rossa mentre le confermava che si
trattava di Buffy con un cenno della testa.
-Cosa c’è?
La voce era un misto tra l’arrabbiato ed il ferito. Willow non sapeva se
aveva veramente voglia di sentire la sua supposta amica o meno. Si sentiva
tradita dal suo comportamento, veramente tradita. Per una volta perdonarla non
le veniva affatto facilmente.
-Puoi venire in camera? Ti vorrei parlare.
Willow rimase indecisa per un istante, alla fine la voce evidentemente
tesa di Buffy la convinse che era importante. Raramente la cacciatrice suonava
nervosa. Si doveva trattare di qualcosa di grosso. Sarebbe stato meglio non
ignorarlo. Guardò Tara che si limitò a sorriderle appena, dandole il suo tacito
appoggio qualsiasi fosse la sua decisione
-Dammi qualche minuto.
Cinque minuti dopo la rossa aprì la porta della camera che condivideva
con la cacciatrice. Si sentiva vagamente preoccupata ed un po’ arrabbiata, la
voce di Buffy era suonata veramente strana al telefono, e lei non capiva per
quale motivo l’avesse convocata in camera. Forse voleva finalmente discutere
civilmente su quello che era successo e farle le proprie scuse. La trovò sul
letto, gli occhi rossi e gonfi, dei fogli sparsi attorno. Era evidente che
avesse pianto, e lo avesse fatto da poco. La rabbia di willow sparì
istantaneamente rimpiazzata dalla preoccupazione.
-Che è successo? Stanno tutti bene?
Trovare una persona con occhi rossi e gonfi a Sunnydale generalmente
significava una cosa sola. Che qualcuno non ce l’aveva fatta.
-Mia sorella. Hanno trovato mia sorella.
Willow si avvicinò all’amica per abbracciarla, ancora incerta se quelle
fossero lacrime di gioia o no, sollevata dal fatto che sia Xander che Giles
stessero ancora bene. Era perplessa però, aveva visto raramente Buffy più
sconvolta di così. qualcosa del genere era accaduta solo dopo l’improvvisa
partenza di Angel. Dopo qualche secondo, appena si accorse che la bionda si era
calmata leggermente, la rilasciò. Con un sorriso gentile sulle labbra Willow le
chiese come stesse la sorella mentre la cacciatrice tentava di ricomporsi un
po’, sistemandosi con le mani i capelli scompigliati.
-E’ inglese, ma sta bene.
Risero qualche secondo alla flebile battuta. Buffy si sporse per
abbracciare di nuovo Willow, cercando ancora sostegno.
-Sei l’unica di cui mi fidi Will. Nessun altro sa niente di questa
storia.
La rossa sorrise di piacere all’affermazione.
Lei era importante per Buffy.
Faith sentì il discreto bip che segnalava l’arrivo dell’ascensore al
piano e poi il rumore di passi familiari nel corridoio fermarsi davanti al suo
ingresso. Senza alzare gli occhi dal bancone della cucina alzò la voce per
farsi sentire dalla propria ospite.
-Entra pure è aperto.
Tara entrò nell’appartamento chiudendosi la porta alle spalle, facendo
scattare la serratura e reinserendo l’allarme che la cacciatrice aveva disattivato
quando aveva risposto al videocitofono. Si tolse la giacca posandola
ordinatamente sul divano, a fianco di quella praticamente ammonticchiata di
Faith. Degnò appena di uno sguardo lo spolverino in pelle buttato alla rinfusa,
abituata ormai alla cosa, lasciandolo così come l’aveva trovata.
Ricordava come Faith le avesse cortesemente spiegato che lasciava
apposta il proprio giacchetto in disordine, per una specie di tradizione,
quando la bionda si era offerta di sistemarglielo tempo prima. Lasciando stare
le giacche, Tara proseguì verso il bancone della cucina dove la cacciatrice era
impegnata nella preparazione della loro cena, andandosi a sedere su uno degli
sgabelli del piano bar.
-Serve una mano?
Si offrì cortesemente.
-No, non ti preoccupare me la posso cavare da sola. –Replicò Faith senza
fermare i preparativi. –Nel frigo c’è del succo alla mela, versatene pure un
bicchiere e mettiti comoda, per la cena ci vorrà ancora qualche minuto.
Tara prese quello che cercava dalla dispensa e andò a versarsi da bere
prima di accomodarsi di nuovo sullo sgabello. Osservò la cacciatrice muoversi
indaffarata lungo il piano della cucina per qualche secondo mentre cercava di
capire cosa stesse preparando. Non riuscendo si arrese e lo chiese.
-Ha un buon odore. –Ed era vero. –Cosa prepari?
Scoprire qualche mese prima che Faith era un’abile cuoca era stata una
sorpresa.
Una piacevole sorpresa a dire la verità. Di certo la bruna non dava
l’aria di una persona che potesse avere alcun interesse in cucina.
Infatti, sebbene tutti sapessero quanto a suo agio la cacciatrice fosse
con un coltello in mano, ben pochi avevano mai immaginato che quell’abilità
venisse usata regolarmente in maniera perfettamente domestica, come quando
sminuzzava le verdure che le servivano per un qualche piatto. Tara doveva
ammettere che vederla tagliare i vari ortaggi aveva un qualcosa di
straordinario. Il movimento di un coltello nelle sue mani sembrava poesia.
Quella prima volta Faith le aveva chiesto il motivo dell’aria sorpresa
alla notizia che sapesse davvero cucinare qualcosa di più che prefritti e
surgelati. Tara aveva ammesso che prima di vederla preparare una cena aveva
creduto che la cacciatrice fosse si in grado di cucinarsi da sola, magari anche
abbastanza bene da sopravvivere per lunghi periodi di tempo senza soffrire
troppo, ma che non le piacesse particolarmente farlo. Faith aveva scrollato le
spalle senza dire nulla, probabilmente abituata alla reazione
La bionda aveva ammesso di essersi completamente sbagliata una volta
assaggiata la cena. Era stupenda ed aveva passato buona parte del resto della
serata a fare complimenti a Faith. La cacciatrice le aveva detto che, lontano
dall’essere una cuoca eccellente, come Tara insisteva a chiamarla, era
semplicemente una appassionata di carni che aveva imparato a cucinarle nelle
più svariate maniere. Tara non era del tutto d’accordo con quel giudizio.
A dirla tutta anche Faith era rimasta colpita dal fatto che la bionda
fosse una tale degustatrice di carni, inconsciamente l’aveva classificata come
una vegetariana, o quantomeno qualcuno a cui il cibo fosse abbastanza
indifferente. Aveva dovuto ricredersi nel vederla mangiare. E a giudicare
dall’espressione divertita che Tara aveva quando aveva alzato gli occhi dal
proprio piatto, vuoto meno di cinque minuti dopo essere stato servito, la
bionda aveva seguito perfettamente i pensieri di Faith. “Non è mica colpa mia se tutti credono che una strega gay che si veste
con gonne e maglioni dai colori naturali debba per forza essere vegetariana.
Chi sono io per correggerli.” Le aveva detto quella sera.
-Per stasera filetto strogonoff.
-Dall’odore promette bene.
La bionda esagerò il tentativo di annusare l’aria. A dire la verità, lo
stomaco di Tara stava cominciando a protestare davvero a causa dell’appetito
creato dal profumo invitante. Faith si girò un po’ sconvolta verso di lei.
-Vuoi dire che non lo hai mai assaggiato prima? E’ un peccato mortale
non averlo fatto!
Tara scrollò le spalle.
-No, mai. Mia madre non ha mai apprezzato la carne e dopo l’unica che si
interessava un po’ della cucina era io.
La cacciatrice annuì tornando alla preparazione, rimanendo in silenzio
per qualche secondo.
-E considerando il gusto che hanno le tue lasagne poteva capitare di
peggio.
-Non sono nata imparata Faith.
Sottolineò scherzando solo a metà Tara. La cacciatrice si accorse
facilmente del sottotono tormentato nelle parole della bionda. La strega le
aveva raccontato un po’ del suo passato, di come erano diventate le cose in
famiglia dopo che la madre era morta, e Faith sapeva perfettamente che si stava
riferendo a qualcosa che era successa dopo la scomparsa.
Inoltre per quanto il riferimento fosse appena accennato la bruna sapeva
che per mettersi a ricordare il passato più o meno consciamente, Tara doveva
essere veramente preoccupata per qualcosa. Entrambe evitavano accuratamente di
parlare del proprio passato.
Più esattamente evitavano proprio di parlare di loro stesse in genere,
nello specifico di qualsiasi evento traumatico od emotivamente importante.
Era una cosa sana da fare? No, probabilmente no, lo sapevano bene
entrambe. Ma era il loro modo di gestire i problemi, gli ingombranti e
spiacevoli passati, e per quanto non fosse il migliore, per quanto fosse anni
luce dall’essere il metodo migliore, funzionava abbastanza perché loro
sopravvivessero ed andassero avanti.
E per loro era sufficiente.
Le uniche cose capaci di farle parlare erano l’estrema stanchezza o la
preoccupazione.
Decise di lasciar perdere per il momento e di proseguire lo scherzo per
risollevare il morale dell’amica. Ne aveva bisogno. Per le discussioni serie ci
sarebbe stato tempo dopo.
-Davvero? avrei potuto giurare il contrario, sai? –Si voltò di nuovo per
seguire la carne sul fuoco. Odiava quando per un momento di distrazione il
lavoro di ore andava bruciato. Cosa che all’inizio le capitava decisamente
spesso. -…neanche io sono nata imparata Tara, ma tra te e la cucina c’è
feeling, e si vede. Io mi limito a eseguire ricette già fatte e dopo un po’ mi
vengono bene. –Scrollò le spalle. –Nulla di speciale. Tu sperimenti, sei
istintiva.
Faith spense i fornelli e servì la carne con il contorno, sistemando sul
tavolo anche due bottiglie di birra prima di mettersi seduta. La cacciatrice
aspettò curiosa di vedere le reazioni di Tara alla prima forchettata, mentre
apriva le bottiglie.
-Eccezionale.
Fu l’unica cosa che disse la bionda. Soddisfatta dalla reazione che il
suo piatto aveva avuto, anche Faith cominciò a mangiare con gusto. Non
parlarono mentre finivano le loro porzioni, concentrandosi sulla carne. Tara
aveva saltato il pranzo a causa dell’orario delle sue lezioni e Faith... beh,
Faith aveva sempre fame, o più precisamente mangiava sempre con la stessa
voracità.
-Mi devi insegnare la ricetta.
Decretò alla fine Tara mentre si allungava per servirsi una seconda
porzione facendo il piatto anche per Faith che aveva allungato il suo verso la
pentola. Mentre mangiavano il bis parlarono un po’.
-Nessun problema, è anche abbastanza facile, me l’ha data Liz, quindi ne
garantisco l’originalità.
Le assicurò Faith sorridendo.
-E’ stata lei ad insegnarti a cucinare?
Chiese Tara, curiosa.
-Mi ha dato alcune ricette. I rudimenti me li ha insegnati Catherine,
lei è stata la prima a investire un po’ di tempo su di me. Ha coperto tutte le
basi, e in capo a qualche mese ne sapevo abbastanza da non morire più di fame
in caso me la fossi dovuta cavare da sola.
Faith sapeva perfettamente che insegnarle a sopravvivere contando solo
su se stessa era esattamente quello che la sua osservatrice aveva cercato di
trasmetterle. E la cacciatrice doveva ammettere che aveva fatto un ottimo
lavoro, soprattutto considerando il poco tempo che aveva avuto a disposizione.
Fosse stata un altro tipo di persona Faith si sarebbe fermata a chiedersi
almeno una volta cosa altro le avrebbe insegnato o cosa sarebbe accaduto se
Catherine non fosse stata uccisa. Invece si era sempre concentrata sul qui ed
ora. Considerava inutile ribellarsi contro qualcosa che non si poteva cambiare.
–Mi sembra ieri la prima volta che ha tentato di insegnarmelo. –Continuò
Faith. –Era appena dopo un allenamento ma invece di chiedermi di apparecchiare
la tavola come al solito mi disse di aiutarla a preparare il pranzo. Penso
seriamente di averle ringhiato contro al suggerimento. Ero dannatamente
convinta che cucinare non fosse una delle cose che una “dura” facesse. Come al
solito lei non ha mollato, insistendo con gentilezza fino a quando non ho
ceduto. –Faith rise al ricordo e notò il sorriso di rimando da parte di Tara.
Ultimamente la strega aveva notato che la cacciatrice raccontava più spesso di
Catherine. Un buon segno supponeva. –A te invece lo ha insegnato tua madre?
-Si, è stata lei. Fin da quando ero piccola sono sempre stata con lei in
cucina. Quando sono diventata grande abbastanza ha cominciato ad insegnarmi a
fare qualcosa. Poi ho continuato ad imparare da sola. –Ci fu un attimo di
pausa. –Sperimentando, per dirlo a parole tue.
Tara incrociò inconsciamente le braccia al ricordo. Non le piaceva
ripensare a quanto era successo anni prima e raramente ricadeva più nelle
memorie di quel periodo. Generalmente le immagini rimanevano al loro posto e la
lasciavano stare, visto che aveva fatto più o meno pace con il suo passato. No,
non lo aveva superato completamente, ma ci stava lavorando. Solo qualche volta,
quando era sotto stress per esempio o si sentiva particolarmente vulnerabile
tornavano a galla. Come questa sera.
-Tuo padre non sopportava il minimo errore, vero?
Tara aveva raccontato qualcosa della sua adolescenza e della sua
infanzia a Faith quando aveva cominciato a sentirsi completamente a suo agio in
presenza della bruna. Non era mai scesa nei particolari semplicemente perché
non era nel suo stile, ma per Faith non era stato particolarmente difficile
comprendere la situazione generale. La situazione aveva semplicemente messo
assieme i pezzi, le proprie esperienze fornendole il materiale necessario per
riempirei vuoti.
-No, non lo sopportava. Bastava niente per farlo scattare, ma raramente
alzava le mani. Si accontentava di prendere la sua soddisfazione da quella che
chiamano violenza psicologica. Urlava, quello si, e molto.
Fece un momento di pausa e chiese con un gesto a Faith di riempirle il
bicchiere di birra. Stranamente beveva alcolici e mangiava carne quasi esclusivamente
quando stava con Faith. Forse lo faceva semplicemente perché la bruna non la
guardava stupita ogni volta che faceva un sorso o prendeva un boccone. Dopo un
po’ la cosa poteva diventare veramente seccante.
–Dopo la morte di mia madre lui era diventato la mia unica figura di
riferimento. Divenne sempre più freddo e distante. Non era mia stato
particolarmente espansivo o aperto, sia chiaro… un giorno mi disse anche
perché, insomma me lo urlò contro. Lui e mia madre si erano sposati non per amore
ma perché lei era rimasta in cinta. –Un sorriso amaro. –Di me. Sarebbe stato
uno scandalo a quei tempi. –Scrollò le spalle. –ma con il tempo divenne sempre
più gelido nei miei confronti. Ma per quanto freddo e distante volevo la sua
approvazione, ne avevo bisogno, ma quello che facevo non era mai buono
abbastanza. Volevo il suo affetto, e lo volevo veramente, ma non lo ottenevo
mai, quanto facevo non era mai giusto. –Sorrise triste. –Veramente era già raro
che non fosse sbagliato.
Faith si stava passando la bottiglia semipiena di birra da una mano
all’altra, concentrata sul movimento.
-Non un grande genitore eh?
Disse quasi in soprappensiero.
-No, non particolarmente. –Confermò Tara. –Ma neanche il peggiore.
Giusto difficile da avere durante l’adolescenza, quando uno si sente già non
abbastanza inadeguato da solo senza avere tuo padre a minare la tua autostima.
Una volta, una delle tante, ero appena tornata da scuola sorridendo. Ricordo
quel particolare perchè sorridevo raramente allora, semplicemente perché non
avevo molto per cui sorridere. Era passato quasi un anno e non avevo ancora
superato il lutto per mia madre, mi sentivo sola. Tra l’altro appena dopo la
sua morte, mio padre mi obbligò a cambiare scuola in pieno anno scolastico. Per
il mio bene disse. –Tara scrollò le spalle. –Quando mi vide rientrare
sorridendo mi chiese cosa potesse mai far sorridere un’idiota come me. Gli
porsi il tema di letteratura sul quale avevo lavorato per un intero mese e che
mi aveva fatto vincere una borsa di studio. Non siamo mai stati ricchi e quei
soldi ci avrebbero fatto comodo.
-Quindi sei venuta qui all’università già con una borsa di studio vinta
alla superiori?
Si intromise Faith in una pausa del racconto. La cacciatrice sapeva che
ora, al terzo anno, Tara aveva una borsa di studio completa, e per conservarla
spesso la bionda era indaffarata a studiare, le serviva una media decisamente
alta per mantenere la sovvenzione. Faith aveva visto i voti che aveva. Erano
impressionanti. Strano che tutti considerassero Willow l’unica geniale della
coppia. Se non si considerava il fatto che probabilmente nessuno sapesse quale
media avesse Tara.
-Si, è per questo che sono qui a Sunnydale. E’ stato l’unico campus ad
offrimi una borsa di studio completa per l’intero ciclo di studio se avessi
rispettato precisi standard. Quando ricevetti l’offerta sapevo di avere il
biglietto per andarmene di casa.
-E con il tuo lavoro part-time alla biblioteca di lettere
dell’università paghi il resto delle spese. –Aggiunse Faith. La bionda si occupava
della collocazione dei libri, di controllare lo stato delle collezioni e
qualche volta di aiutare i restauratori a sistemare quelli danneggiati. La
cacciatrice andava speso trovarla portando caffé e dolci per una pausa di
qualche minuto. In biblioteca ormai la conoscevano praticamente tutti.
-Esatto. –Confermò Tara prima di continuare la storia. –Quel giorno
tornai a casa felice di essermi classificata terza ed aver vinto il denaro, ma
durò poco. Dopo aver letto velocemente il tema mio padre lo gettò da un lato e
chiese con sufficienza “tutto qui?”. Penso sia stato in quel momento che il mio
sorriso scomparse, ma non ne sono sicura. Gli dissi del terzo posto, lui mi
chiese cosa avesse vinto il primo. Risposi che aveva vinto una borsa di studio
completa per l’anno in corso e lui mi rimproverò aspramente di non essere
arrivata prima. Mi mise in punizione per una settimana.
-Un completo stronzo. –Tara
sorrise ancora, quello era il commento standard da parte di Faith alle storie
delle sua adolescenza. –Ed il resto della famiglia volatilizzata. Rivoltante.
-Precisamente. La cosa peggiore è sempre stato il mio essere empatica.
Un conto è sapere che tuo padre non ti vuole bene. Un altro è sentirlo. In
alcuni giorni sono arrivata ad odiare il mio dono. Ho anche tentato di
spegnerlo, di ignorarlo, ma senza alcun successo. –Tara aveva un’espressione
lontana carica di tristezza e rimpianto. Il suo detestare le proprie capacità
era sempre stato quello che l’aveva fatta più soffrire. –Potevo sentire il suo
disprezzo o la sua completa indifferenza nei mie confronti, non soltanto
capirli, ma sentirli, provarli. Era orribile.
Rimasero in silenzio per qualche istante. Faith non riusciva ad
immaginare cosa potesse essere, ma dubitava che chiunque non fosse empatico
potesse. Si risparmiò il banale e falso “ti capisco”.
-Lo sai vero che se mai avrai voglia di andarci a fare un discorsetto
sarei felice di accompagnarti. Vero? Dannazione, potrei passare a portare i
tuoi saluti se vuoi.
Faith aveva uno sguardo decisamente serio sotto a quello scherzoso,
mentre parlava.
-No, lascia stare non è più importante.
Forse un giorno avrebbe accettato la proposta della cacciatrice, a volte
Tara ci pensava. Non era fiera di pensare alla vendetta, ma a volte l’idea
sembrava decisamente attraente, soprattutto quando si sentiva un’incapace nei
confronti degli altri. In quei momenti lo odiava.
-Come vuoi. Ma la mia offerta rimane valida.
La bionda annuì.
-Ok. Me ne ricorderò.
Faith notò che anche Tara aveva finito la propria birra ed aveva poggiato
la bottiglia vuota sul tavolo. La cena poteva essere dichiarata conclusa,
perciò la cacciatrice si alzò e cominciò a raccogliere i piatti.
-Dai, fammi sistemare la cucina, poi ce ne possiamo andare in terrazzo,
è una splendida serata.
Anche Tara si alzò, qualche parte della sua mente ancora intenta a
riflettere su quanto era successo anni prima e su quanto avrebbe dovuto o
potuto fare ora.
-Vuoi una mano?
Era una domanda pro-forma. Faith non le faceva mai fare niente quando
era sua ospite. Non accadeva spessissimo a causa dei loro impegni, ma su quel
punto la bruna era inflessibile. Infatti la cacciatrice sollevò un
sopracciglio, dicendole di andare a scegliere un cd che le piacesse piuttosto.
Cinque minuti dopo erano sedute sulle poltrone della terrazza con in
mano del caffé appena fatto e gli sguardi su Sunnydale. Tara doveva ammettere
che dall’attico si godeva di un’ottima vista. La cittadina sembrava addirittura
carina da lassù, quasi bella di notte, con tutte le luci accese.
-Willow dove si trova?
Chiese Faith dopo qualche secondo di silenzio.
-Mi ha chiamato poco prima che uscissi. Passerà la serata con Buffy,
sembra che il programma sia cena ed un lungo discorso, con tanto di scuse e
spiegazioni.
La cacciatrice annuì mentre si sistemava meglio sulla sdraio per godersi
meglio la vista delle stelle, particolarmente luminose questa sera.
-Come sono stati gli ultimi giorni?
Faith sospettava che la reazione di Willow a quanto era accaduto al
Magic Box fosse ciò che preoccupava così tanto Tara. Ci volle un attimo prima
di ottenere una risposta.
-Pesanti a dire la verità. Willow non è stata per nulla bene. Sempre
triste e così sfiduciata verso il mondo. Lo sai com’è Will… –Faith annuì,
lasciando però proseguire senza interruzioni Tara. –Sempre vitale, qualche
volta penso che sia addirittura iperattiva. Invece in questi giorni la parola
apatica la descriveva molto meglio.
Tara fece silenzio, tornando a sorseggiare il proprio caffè.
-Sai come divento sono seccata da qualcosa. Il fatto che B continuasse a
nascondere la mia presenza qui e le minacce di Spike cominciavano ad irritarmi
davvero… e qualcuno deve far vedere un po’ di ragione a B di tanto in tanto …e
mi offro sempre volentieri per l’incarico. –Faith abbozzò un sorriso metà tra
l’apologetico ed il divertito. –…e se consideri che a volte non penso alle
conseguenze… Dannazione, più spesso che di tanto in tanto…
-Lascia stare, non è colpa tua o di nessun altro, è colpa di Buffy.
–Tara fece un attimo di pausa per trovare le parole, era un po’ che ragionava
sul problema. –Non è più la stessa. E’ scostante, un momento non le interessa
nulla poi improvvisamente si concentra con accanimento su una cosa. Sembra
quasi che sia ossessionata da qualcosa e che il suo umore cambi a seconda dei
risultati che ha. –Fece un altro attimo di silenzio. –Non mi piace. Buffy ha
una grande influenza su Willow e se finora era una presenza positiva,
ultimamente mi sto cominciando a chiedere se per caso non ne stia diventando
una destabilizzante.
Faith doveva ammettere che Tara aveva ragione. L’altra cacciatrice era
cambiata e non sapere il perché non le piaceva. Ci aveva ragionato un po’ su,
ma non era riuscita trovare alcun motivo
soddisfacente se non quello di un esteso lutto per Riley, con conseguente
depressione. Ma non aveva senso. Buffy non reagiva in quel modo.
-Mi sono accorta anche io che B ha un po’ di sbalzi di umore
ultimamente. –“Questo è metterla
educatamente. Con l’assurdità del suo comportamento fa decisamente impallidire
le reazioni di una donna incinta con degli sconvolgimenti ormonali.” -Quanto
pensi che sia grave la cosa?
-Non ti saprei neanche dire. Il rapporto tra Willow e Buffy sta
diventando sempre più esclusivo. Ormai non parlano quasi più ad altri, non di
cose importanti. E la cosa non mi piace, non voglio che Will si ritrovi
isolata. –Tara sorseggiò il caffé concentrata nel vedere cosa stesse accadendo
in una finestra qualche palazzo più in là. A giudicare dalla gestualità
esagerata della coppia sembrava che fosse scoppiato un litigio con i fiocchi.
–Da come si comportano non mi stupirei affatto di scoprire che hanno un
segreto.
Faith si stava incuriosendo, non aveva pensato alla possibilità. Buffy
non era mai stata granchè a tenere i segreti.
-Cosa intendi?
-C’è stata una crisi nei loro rapporti appena dopo la morte di Riley.
Willow me ne ha parlato un po’, credeva fosse la reazione di Buffy al lutto. Ma
la cosa è proseguita, con Buffy che evitava sempre più gli altri, non si
confidava più con lei. –Si era proprio una lite. Tara poteva giurare di aver
visto un vaso volare da una parte all’altra della stanza. Chissà quale sarebbe
stato il prossimo pezzo di arredo a schiantarsi sul muro. –Willow l’aveva presa
molto male. Ha pianto spesso perché la sua migliore amica non le rivolgeva
praticamente più la parola. Non è stato un bel periodo. Sapeva che Buffy aveva
un problema e che non si voleva confidare con lei.
-Un problema?
Anche Faith aveva notato la scena che si stava svolgendo
nell’appartamento. Sorrise divertita quando il ragazzo schivò in successione
due cuscini ed un altro oggetto che non riuscì ad identificare. Valutò da come
si frantumò contro il muro che doveva trattarsi di porcellana. Era un esperta
di crash test.
-Si. Willow ha passato settimane cercando di scoprirlo, cercando di
essere sempre presente per Buffy, se per qualsiasi motivo avesse avuto bisogno
di un’amica con cui confidarsi.
Tara ricordava come la fidanzata avesse passato buona parte del suo
tempo a dividersi fra la disperazione sulla mancanza di confidenze e
l’ostentazione di un supporto totale nei confronti dell’amica. Non era stato
facile da vedere.
-E poi?
Sembrava che gli oggetti da lanciare fossero finiti, era qualche secondo
che non veniva lanciato alcun proiettile. Entrambi i protagonisti si erano
ritirati in qualche altra parte della casa rendendosi invisibili, a continuare
a litigare od a fare pace. Faith girò lo sguardo verso Tara.
-Tutto è tornato come prima. Willow si è tranquillizzata, non era più
insicura dell’amicizia di Buffy.
La trasformazione era avvenuta da un giorno all’altro. La mattina a
colazione la rossa le aveva nuovamente confidato come si sentisse esclusa da
Buffy, di come avesse paura che la cacciatrice scappasse di nuovo lasciandola
(si era corretta dopo un attimo dicendo “lasciandoci”), poi, quella sera stessa,
era tornata con un sorriso sulle labbra. Da allora non aveva più accennato al
problema.
-Quindi secondo te Buffy le ha confidato un segreto?
Tara rispose dopo un secondo di pausa, aveva dedicato un po’ di tempo a
pensare al perché della trasformazione, arrivando a quell’unica conclusione.
-Si, Buffy deve averle confidato un qualche segreto.
Faith si sporse verso di lei, incuriosita. Sapere di cosa si trattasse
poteva tornarle utile.
-Willow ti ha detto di cosa si trattava? O che comunque conosceva un
segreto?
-No. –Tara rise. –Non tradirebbe mai la fiducia di qualcuno. Non so
dirtelo, è un atteggiamento che assume quando nasconde qualcosa. Il fatto
stesso che non ne parli è sintomo che stia nascondendo qualcosa. Willow racconta
sempre tutto, le piace farlo. Da un giorno all’altro non ha più fatto alcun
accenno alla situazione spinosa fra lei e Buffy, né mi ha mai raccontato come
si sono riavvicinate. E’ successo e basta.
Scrollò le spalle.
-Quindi la mia comparsa al Magic Box ha creato un nuovo distacco fra
loro?
Il che spiegava la reazione esagerata che Willow aveva avuto. Una
rottura del genere non c’era stata neanche in occasione del ritorno di Angel.
-Esatto. –Tara annuì. -Willow deve aver creduto che Buffy avesse riposto
completa fiducia in lei. Dopo tutti i dubbi che aveva avuto sull’importanza
della loro amicizia, qualsiasi cosa le abbia detto doveva averle dimostrato la
completa fiducia che Buffy riponeva in lei. Scoprire che comunque Buffy le
aveva mentito per tutto il tempo è stato un colpo durissimo... Ma sembra che
improvvisamente questa notte sia stato aggiustato di nuovo tutto.
-Un brindisi all’amicizia sincera.
La battuta non era totalmente seria, né del tutto sarcastica. Faith alzò
leggermente la propria tazza, imitata da Tara, fingendo un augurio, prima di
finirsi il caffé con un paio di sorsate veloci. Poi fu il turno della
cacciatrice di lasciarsi andare un attimo alla malinconia.
-Sai? Qualche volta ti invidio Tara. Almeno hai qualcuno di cui
preoccuparti.
La bionda rise a fior di labbra e decise che era ora di cambiare il tono
serio della conversazione con uno più leggero.
-Solo qualche volta Faith? Ammettilo che vuoi anche tu una ragazza come
la mia…
La cacciatrice la fissò con una caricatura di sguardo cattivo che fece
scoppiare a ridere Tara.
-Dannazione mi hai scoperta. –fece una pausa drammatica. Avevano bisogno
di sollevare l’umore della conversazione. La cosa era già diventata troppo
seria per i gusti di Faith. –Immagino che ti dovrò uccidere ora.
Tara finse di pensarci per un po’.
-E se ti presentassi una mia cara, cara, amica? Bionda, non troppo alta
né particolarmente sveglia, leggermente egocentrica, ma vabbè, non puoi avere
tutto dalla vita…
Faith trovò difficoltà a mantenere una faccia impassibile di fronte alla
proposta, ma riuscì a rispondere con tono svogliato, quando sapeva che in
realtà si sarebbe più volentieri affogata nel proprio caffé, se quella
eventualità fosse diventata anche remotamente possibile.
-Non so, non suona come il mio tipo.
Tara alzò le mani in segno di resa, scuotendo la testa rassegnata.
-Ok, ok... sempre di gusti
difficili eh? …Allora… un mio amico dell’università. Alto, castano, giocatore
di football… Che ne pensi?
-E’ un demone?
Chiese Faith usando un tono esaltato con un mezzo sorriso idiota sulle
labbra.
-No.
-Vampiro?
Riprovò, adesso un po’ interdetta dalla prima risposta.
-No.
Replicò Tara, cominciando a sorridere alla recita di Faith.
-Non sarà mica uno normale?
Completamente annoiata dalla banalità della cosa. Una fedele
riproduzione del tono di una bambina di cinque anni per nulla convinta
all’ennesima proposta di mangiare le verdure perchè sono buone.
-Esatto.
-Oddio, troppo noioso. Assolutamente no. Non se ne parla.
Affermò decisa la cacciatrice scuotendo esageratamente la testa.
Sorridevano entrambe ora. Faith guardò l’orologio.
-Si sta facendo tardi. Ancora un po’ e manderanno le squadre di
salvataggio a cercarti.
Tara annuì con il suo caratteristico mezzo sorriso sulle labbra. Oramai
Willow doveva essere rientrata dalla cena con Buffy.
-Riparti presto?
Era da poco che Tara si permetteva di fare una domanda così diretta alla
cacciatrice. A dire la verità la prima volta che l’aveva fatta, più per errore
che volutamente, era rimasta sorpresa dalla disponibilità con cui Faith le
aveva risposto, considerando la sua solita riservatezza.
-Mercoledì. C’è una riunione plenaria del Concilio.
Tara corrugò la fronte. Sapeva che la convocazione dell’assemblea
completa era una cosa rara.
-Che sta succedendo Faith?
Lo sguardo della cacciatrice si fece lontano, il tono serio.
-Sta per scoppiare una lotta per il potere. La potenza del primo
osservatore ormai è in crisi. Non so esattamente quello che potrà succedere.
-Capisco.
La bionda sapeva che era una cosa pericolosa, aveva ascoltato dei
racconti a proposito di una delle faide del Concilio. Aveva fatto qualche altra
ricerca oltre alle poche cose che aveva trovato sui libri che aveva letto a
riguardo. Quella volta più di un terzo degli osservatori era morto durante
quella che poteva essere definita una guerra civile, contro la decina di
cadaveri che si avevano quando si aveva un colpo di mano da parte di un qualche
dirigente. Se quella attuale era niente di simile alla crisi medievale sarebbe
stata piuttosto brutta. Quello che aggiunse Faith non fu rassicurante.
-Tara, fa attenzione. Nessuno dovrebbe interessarsi a te o a Willow ma
la cosa è diversa per Giles o Buffy. Sono due pezzi importanti della
scacchiera. E potrebbero usarvi contro di loro. –Era logico pensò Tara. E la
cosa non la fece sentire per nulla tranquilla. –Se noti qualsiasi cosa fuori
dal comune chiamami e se hai bisogno di un rifugio veloce e sicuro vieni qui
d’accordo?
Faith le aveva dato le chiavi dell’appartamento qualche settimana prima
assieme ai codici di sicurezza. Per innaffiare le piante aveva detto.
Solo che la cacciatrice non ne aveva.
Le due di notte. Buffy guardò l’orologio sconsolata. Tre ore di ronda e
neanche un vampiro. E lei aveva voglia di cacciare. Voleva rilassarsi. Aveva
parlato per alcune ore con Willow. Ora era davvero tutto a posto tra loro.
Tutto perdonato.
Willow le aveva detto che capiva, che tutto il problema della scoperta
dell’adozione e la ricerca della sua vera famiglia avevano stressato
profondamente Buffy, facendole maneggiare così male la situazione con Faith a
causa della stanchezza di cui era vittima, e dell’incertezza nella quale
viveva.
Buffy le aveva detto di non sapere cosa fare con le informazioni che
aveva ricevuto. Lasciarle in un cassetto? Willow le aveva consigliato di andare
in Inghilterra a fare ricerche, se non si sentiva ancora pronta per andare ad
incontrare la sorella. Ne avevano discusso a lungo, fino a quando la bionda si
era lasciata convincere a partire.
Aveva un volo prenotato per il pomeriggio successivo, le valigie erano
già pronte, le avevano preparate mentre scherzavano su quello che era successo.
L’unico problema rimasto in sospeso era la caccia, oltre alla necessità di
avvertire Giles che sarebbe stata via per qualche giorno. Aveva già qualche
idea in mente su come fare per superare le sue eventuali opposizioni.
Continuava a camminare senza trovare niente. Dove erano andati a finire
tutti i demoni? In fondo questo era il cimitero più attivo della zona, possibile
che fossero tutti in ferie? Ancora mezz’ora così e sarebbe andata da Willie’s.
Male che potesse andare almeno avrebbe potuto pestare lui.
Sentì un rumore di passi provenire dalla sua sinistra. Forse la sua
attesa era finita. Attese immobile mentre prendeva un paletto. Li avvertì
chiaramente. Vampiri. Quattro.
Ci sarebbe stato da divertirsi.
Il primo l’attaccò direttamente. Una combinazione veloce all’addome fu
sufficiente a darle l’apertura per finirlo con un colpo al cuore. La nuvola di
polvere si allargò, prima di ricadere a terra.
Il secondo si rivelò più impegnativo. Troppo a dire la verità. Sembrava
avesse una preparazione di base in arti marziali ed almeno qualche decennio di esperienza.
Doveva fare attenzione. Non poteva rischiare di essere impegnata in uno scontro
a lungo quando c’erano altri due vampiri pronti ad attaccarla.
Durante una pausa del combattimento si guardò velocemente intorno,
respirando affannosamente, per vedere cosa stessero facendo gli altri. Era
strano che non l’avessero ancora attaccata alle spalle.
L’altro, Buffy si corresse mentalmente, stava fermo ad un paio di metri
con un’espressione sorpresa. Uno era scomparso. Che fosse scappato?
Prima che la cacciatrice potesse riflettere sulla cosa, il suo
avversario diretto l’attaccò con un calcio. Lo evitò per poco, perdendo
l’equilibrio e cadendo sulla schiena. Il vampiro le si gettò contro ringhiando,
impalandosi da solo sull’arma della bionda.
Buffy si rialzò in piedi immediatamente, aspettando l’attacco
dell’ultimo. “Il vecchio trucco della
caduta funziona sempre”. Ne aveva uccisi parecchi fingendo di cadere e poi
colpendoli al cuore mentre le si gettavano contro, ansiosi di finirla.
L’attacco non venne.
Si guardò intorno perplessa. Nessun vampiro. Guardò a terra intorno a
sé, quattro mucchietti di cenere. In due di loro si trovavano delle frecce.
Buffy tentò di localizzare la provenienza dei dardi mentre
inconsciamente si abbassava leggermente, pronta a sdraiarsi a terra o a correre
in caso di pericolo. Considerando che non si era accorta di nulla, chiunque
avesse tirato, doveva averlo fatto da una buona distanza.
Individuò l’arciere sul tetto di un edificio, in linea d’aria doveva
essere a più di quattrocento metri di distanza. Doveva avere una mira
eccezionale per colpire da lì dei bersagli in movimento in piena notte.
Faith era ancora sul tetto praticamente immobile, l’arco composto in
mano, ma nessuna freccia incoccata. Osservava l’altra cacciatrice realizzare
lentamente ciò che era successo. Presto sarebbe riuscita a capire l’identità
dell’arciere.
La bruna era lì quasi per caso. Mentre ballava ad un club la sera prima
aveva scoperto che un gruppo di vampiri sarebbe passato di lì per certi affari.
Non sapeva quali e non le interessava. La notizia le era stata utile.
Era salita qualche ora prima su quel tetto con il preciso scopo di fare
pratica con il suo arco. Con un po’ di fortuna qualcuno dei vampiri sarebbe
passato di lì. Aveva aspettato immobile per ore le sue prede, dopo aver tirato
fuori l’arma dalla custodia ed averla impugnata. La valigetta rigida di pelle
piuttosto anonima che lo conteneva se la era fatta fare su misura, come del
resto l’arco stesso e le frecce. Il tutto era stato personalizzato apposta per
lei da un artigiano specializzato dopo essere stato assemblato partendo dai
migliori pezzi sul mercato. Le era costato una fortuna, ma valeva ogni dollaro
speso.
Ci si allenava regolarmente, ma un bersaglio mobile veloce come dei
vampiri non era facile da trovare. C’era voluta molta concentrazione e velocità
per fare quei due tiri, ma era soddisfatta del risultato ottenuto, nonostante
l’audience non propriamente gradito che aveva avuto.
A Buffy bastò un altro secondo per riconoscerla.
La bionda non fu eccessivamente sorpresa dalla cosa. La bostoniana era
sempre stata più brava di lei con l’arco.
Buffy lo trovava estremamente noioso ed inefficiente, come arma
preferiva di gran lunga la balestra, tanta potenza in poco spazio. Quando
ancora si allenavano insieme aveva assistito ad un’esercitazione o due e non
ricordava che l’altra cacciatrice potesse tirare così bene. A quanto pareva
Faith negli ultimi tempi era migliorata ancora.
La mora la fissò, continuando a rimanere immobile per un istante. Ormai
era chiaro che Buffy l’avesse riconosciuta. Non avendo particolare voglia di
parlarle e sapendo che i bersagli per la serata erano finiti la salutò con un
gesto della mano e scomparve dal tetto.
Giles si trascinò contro voglia ad aprire la porta, decisamente
assonnato. Buffy gli aveva telefonato prima dicendo che sarebbe passata dopo la
ronda, un inaspettato gesto di cortesia in realtà. Generalmente la cacciatrice
le piombava in casa o bussava alla porta, abbastanza rumorosamente da sembrare
volerla sfondare, fino a che lui non le apriva. L’osservatore aveva deciso di
aspettarla in piedi ma alla fine si era appisolato sul divano, cullato dalla
sua musica preferita.
La cacciatrice entrò senza aspettare di essere invitata, andandosi a
mettere direttamente seduta sul divano, il suo posto preferito. Giles scosse la
testa, i modi di Buffy non erano esattamente esemplari.
-Buonasera anche a te. –mormorò appena, ancora mezzo addormentato mentre
si andava a sedere sulla poltrona. –Come è andata la ronda?
-Tutto tranquillo. Una manciata di vampiri. Li ho polverizzati in
fretta.
Giles si sfregò gli occhi, cominciandosi a sentire confuso. Se non
c’erano problemi con la caccia perché Buffy era qui? La osservò un attimo,
persa nei propri pensieri ma agitata, giocava con le proprie mani, senza stare
un attimo ferma. Sospirò.
Era difficile parlare con Buffy, o meglio farle dire qualcosa di
sensato, in quanto doveva sempre essere lui a trovare un modo per arrivare al
motivo del discorso. Fosse stato per la bionda avrebbero passato ore a parlare
di cose che non c’entravano assolutamente nulla.
-Mi volevi parlare?
-Ah? Si, si, le volevo parlare. –poi rimase in silenzio. Giles scosse
ancora la testa passandosi la mano fra i capelli, e poi sbadigliando. “Sto diventando troppo vecchio per questo”.
-E cosa volevi dirmi?
Buffy lo fissò un attimo, indecisa su cosa dire e su come dirlo. Si
mordicchiò il labbro inferiore per qualche secondo prima di parlare.
-Da dove provengono le cacciatrici?
Per tutta risposta Giles rimase a fissarla, sconvolto dalla domanda,
senza dire niente. Passato qualche secondo Buffy agitò una mano davanti al viso
dell’osservatore.
-Signor Giles? E’ ancora lì?
Lui si scosse, riprendendosi dalla shock.
-Si, si certo… - “Va bene, lo
ammetto, sono confuso…” -Sai benissimo da dove provengono le cacciatrici,
sono prescelte che vengono chiamate alla morte della precedente, si ergono per
combattere le forze del male ed i vampiri per proteggere l’umanità.
-Sono normali essere umani?
Giles rispose immediatamente, per riflesso.
-Si, fino alla chiamata, si.
Annuì enfatico, stava cominciando a rilassarsi un po’, sembrava che
Buffy volesse solo conoscere un po’ di storia. “Ma dove vuole arrivare?”
-E voi come fate sapere chi verrà chiamata?
-Non lo sappiamo.
Beh, era vero.
-Come fate a sapere se una può essere chiamata? Voglio dire, Kendra era
stata addestrata fin dall’infanzia, questo significa che voi osservatori
dovevate sapere che poteva essere chiamata, no? Come lo sapevate?
Giles si tolse gli occhiali e li pulì con gesti lenti e precisi, per
guadagnare tempo e pensare. “Perché Buffy
sta facendo queste domande?”.
-Ci sono dei segni, e persone addette a interpretarli.
Di nuovo aveva risposto immediatamente, di riflesso. Glielo avevano
insegnato all’accademia.
-Ed i miei di segni?
-Non siamo infallibili Buffy. –sospirò sconsolato. Guardò il volto
confuso davanti a sé.“Ok, dare questa
risposta è stato un errore” si riprese continuando dopo una pausa spesa a
cercare le parole. –Nella tua zona
non era stato assegnato alcun osservatore, quindi non c’era nessuno che potesse
interpretare i segni.
Questa volta la risposta sembrò più accettabile, perché Buffy annuì con
comprensione, appena sollevata.
-E la prima cacciatrice come è stata creata?
-Ci sono solo leggende a riguardo. Dicono con un intervento superiore, o
con la magia, nessuno lo sa con certezza. – una pausa, non riusciva capire
perciò decise di chiedere direttamente. –Perché tutte queste domande?
-Niente.
Detto con un’espressione che diceva l’esatto contrario. Buffy non sapeva
mentire, e non aveva la più pallida idea del fatto che non lo sapeva fare.
Rimasero in silenzio per qualche minuto. L’osservatore troppo sconvolto ed
assonnato per parlare, la cacciatrice immersa in qualche pensiero.
-Giles, domani parto.
Di nuovo l’osservatore la guardò, confuso. L’intero dialogo cominciava a
suonare decisamente surreale. “Forse sto
sognando, si probabilmente è così”. Ma non si svegliò, quindi decise di
proseguire la conversazione.
-Che cosa?
La cacciatrice si bagnò le labbra improvvisamente secche prima di
rispondere.
-Parto.
Giles si tolse di nuovo gli occhiali.
-Quale motivo?
-Vado in vacanza.
Buffy lo disse con un mezzo sorriso del tutto falso. Era ovvio che stava
mentendo ancora.
-Non puoi.
-Certo che posso! –La fronte le si corrugò. –Perché non potrei?
-La caccia Buffy.
La cacciatrice ci pensò un istante.
-Faith è in città, non vedo alcun problema.
Neanche Giles. Forse.
-E con l’università?
-Ho appena finito di dare gli esami del semestre.
L’osservatore si tolse gli occhiali e li pulì di nuovo, lentamente, più
lentamente di prima. Buffy, sempre più nervosa, ormai sedeva sulla punta del
divano.
-Per dove sarebbe?
Buffy rispose con voce implorante. – In Europa. Vado in Inghilterra,
Manchester… Sono anni che non mi prendo una vacanza Giles… La prego… Starò via
solo una settimana.
Lo studiava con occhi ansiosi. L’osservatore continuava a sembrare
spaesato. Alla fine, con lentezza annuì. Semplicemente perché non riusciva a
trovare un motivo per dirle di no. Giles non ragionava molto bene appena
sveglio e neanche alle quattro di notte.
-Va bene. Una settimana.
Buffy lo ringraziò sorridendo.
-Perfetto, grazie. Lei è il migliore. Ci vediamo tra una settimana.
L’intera conversazione era atipica. Buffy non si interessava mai del
passato… mai. Neanche delle tradizioni. Quella ragazza viveva solo nel
presente, neanche del futuro le interessava qualcosa.
Giles si sfregò ancora gli occhi. Almeno ora non doveva trovare scuse
per andare in Inghilterra ad assistere alla riunione plenaria del Concilio. Una
volta lì, avrebbe subito parlato con Marlin della situazione con Buffy. C’era
qualcosa di strano.
By Silea
Guardare lo stesso schermo di sorveglianza per dieci ore consecutive era
noioso. Molto noioso. Ma per la politica del quieto vivere di Christian, noioso
era molto meglio di pericoloso. E del resto questo lavoro non era pagato
abbastanza bene per rischiare la propria vita.
Certo, c’era la speranza di fare carriera, ma ormai quarantacinquenne
con una calvizie incipiente e ancora semplice turnista ai video, Christian non
si faceva più molte illusioni. Le poche sterline che guadagnava gli bastavano
appena per pagare l’affitto del suo misero appartamento e per mantenere la sua
vecchia auto scassata.
Vide arrivare Jason da lontano. Come sempre aveva il passo fermo,
deciso, con l’intera figura a irradiava potere e sicurezza di sé. Anche lui era
sulla quarantina, ma aveva un fisico atletico contro il suo in evidente
soprappeso, e la posizione più elevata dopo quella di dirigente all’interno del
Concilio. Doveva guadagnare almeno tremila sterline la mese. Ne era certo. Un
uomo realizzato contro un perdente.
Si, Christian era invidioso di lui. Terribilmente invidioso.
E nonostante quell’uomo non staccasse dal lavoro da cinque giorni si
muoveva ancora come se fosse pronto a scattare al minimo accenno di pericolo.
Soltanto gli occhi rivelavano un po’ di stanchezza. Persino il suo abito
sembrava stare meglio di quello dell’operatore nonostante non fosse stato
cambiato da giorni.
Poi, stranamente, per la prima volta, invece di proseguire dritto per il
corridoio senza degnare i tecnici di un’occhiata Jason entrò nella sala controllo.
Ignorando il capo turno, un ragazzino di neanche trent’anni, un tipo a detta di
tutti geniale con i computer, uno che lavorava da meno di tre mesi lì, e che
prendeva già più di lui che ci lavorava da quindici, si diresse direttamente
alla sua postazione. Il cuore di Christian cominciò a battere più veloce, e
l’uomo nervosamente si risistemò i capelli mentre con l’altra mano cercava di
allargare il colletto della sua camicia improvvisamente troppo stretto. Perché
Jason stava venendo nella sua direzione?
Non aveva alcun motivo di farlo giusto? Si sarebbe fermato prima di
raggiungerlo. “Fermati, dai fermati a
parlare con il moccioso” l’uomo invece continuò i suoi passi sempre lunghi
uguali “no, non lo puoi fare, no, non da
me, va da qualcun altro”.
Invece il capo degli operativi si fermò proprio di fronte a lui, a
neanche dieci centimetri dalla sua postazione facilmente torreggiando sulla
figura seduta. Christian si ritirò ancora di più nella sedia, oramai
completamente terrorizzato. Jason lo squadrò e notò come l’uomo tremasse
convulsamente. Probabilmente non se ne rendeva neanche conto. La cosa non lo
impietosì affatto. Gli si rivolse glaciale.
-Cookson.
-Si, signore?
Quella risposta era un gemito ed uno piuttosto flebile.
-Chi?
Nella sala scese il silenzio, tutti stavano ascoltando il dialogo, senza
neanche fingere di non farlo. Nessuno sapeva perché il capo degli operativi era
entrato all’interno della sala monitor come se la possedesse, ma tutti si erano
ben guardati dal chiedergli spiegazioni, il capo turno per primo. Se Jason
voleva entrare nella sua sala giusto per fare una passeggiata era liberissimo
di farlo, di certo lui non avrebbe protestato. Del resto, dall’espressione
ancora più distante del solito che l’operativo aveva, era ovvio che c’era qualcosa
che non andava e tutti i tecnici erano egoisticamente felici e sollevati che
non erano stati loro a sbagliare. La domanda di Jason rimase per qualche
secondo senza risposta prima che Christian mugolasse qualcosa.
-Signore?
Jason estrasse la sua pistola e gli sparò un colpo alla fronte, giusto
in mezzo agli occhi.
L’eco dello sparo si propagò nella sala. Il capo della sicurezza non
aveva usato il silenziatore. Nessuno dei presenti si mosse di un millimetro o
si mise a protestare in alcun modo, anzi, molti smisero anche di respirare,
completamente piantati al loro posto. Jason con tutta calma rinfoderò la
pistola, ignorando gli sguardi allibiti degli altri tecnici della sala e
placando con un gesto la squadra di sorveglianza pronta ad intervenire appena
fuori dalla porta. Lanciò un ultimo sguardo sprezzante al cadavere prima di
girarsi ed uscire, lasciandolo ancora lì seduto sulla sedia mentre il sangue
colava appena sulla fronte, limitandosi a commentare in tono glaciale con
un'unica frase il suo gesto.
-Nessuno vende i miei uomini.
Bussarono ancora una volta alla porta, più forte di prima.
-Sto arrivando, sto arrivando.
Faith era sul terrazzo a godersi la giornata di sole sdraiata comodamente
su una dei lettini che aveva fuori, cercando di non pensare né a Spike né alla
riunione plenaria del Concilio, e riuscendoci decisamente bene, quando aveva
sentito per la prima volta i colpi sulla porta. Non aspettava nessuno, così
prima di aprire controllò l’immagine del videocitofono.
Dall’altra parte si trovava una cacciatrice dall’aria non infuriata.
Dopo i loro ultimi incontri era una novità. Faith aprì la porta ma non
invitò Buffy ad entrare, appoggiandosi con una spalla contro lo stipite della
porta, tenendo con una mano l’anta socchiusa.
-Qual buon vento ti porta nella mia umile dimora B?
Sbirciando nello scorcio offerto la bionda notò che la casa era cambiata
dall’ultima volta che era stata lì. E molto. I mobili erano stati cambiati con altri,
dall’aria più costosa, tutto era in perfetto ordine, nessun fumetto buttato a
terra, le casse dello stereo scomparse e la musica spenta.
Nel complesso quel posto dava una sensazione completamente diversa,
quasi accogliente.
-Devi fare la ronda al posto mio per la settimana prossima.
Faith la guardò per un lungo istante quasi si aspettasse che l’altra
aggiungesse, “scherzo” oppure “per favore”. Non accadde.
-Che cosa B? –l’altra fece per ripetere, ma Faith non si lasciò
interrompere e proseguì, alzando la voce. –Sei venuta qui, in casa mia, per
chiedermi, anzi no, per ordinarmi di prendere il tuo posto e svolgere il tuo
Sacro Dovere? –La bionda annuì con l’espressione di una persa in altri e più
importanti pensieri. –Ma quanto sei stupida, eh B? Quanto? Certo che non farò
una cosa simile.
“Dannazione a me ed a quando ho
aperto quella cazzo di porta. Avrei dovuto fingere di essere in Messico!”.
-Anche tu sei una cacciatrice Faith.
Replicò Buffy a muso duro.
-Una cacciatrice? –Il sarcasmo grondava dalla parola. –Come mai lo
divento solo quando fa comodo a te? E cosa credi? Che io sia la sostituta da
chiamare quando vai in vacanza? Che io viva in funzione delle tue necessità?
Che sono l’ombra scomoda quando sei al centro dei riflettori ma che se vuoi un momento
di pausa deve farsi avanti e proteggerti? Hai tenuto nascosto ai tuoi cari
amici la mia esistenza, il fatto che lavoro per il Concilio esattamente come
te, che vivo di nuovo a Sunnydale, soltanto perché erano argomenti scomodi e
poi vieni a casa mia a dirmi che mi devo occupare della tua ridente cittadina
mentre tu fai una scampagnata? Cazzo, il tuo egocentrismo è arrivato a livelli
patologici.
-E’ tuo dovere Faith.
Buffy cominciava a scaldarsi, non capiva perché Faith avrebbe dovuto
rifiutare.
- …Sacro Dovere… -Ripetè lentamente la bruna come se stesse assaporando
la parola e la trovasse disgustosa. –Dimmi B, credi anche in Babbo Natale?
Fammi capire, basta che la gente venga da te con due righe scritte più di dieci
anni prima, ti blateri una filastrocca chiamandola profezia e tu ci credi? Beh,
se sei così tanto idiota, per quello che mi riguarda, ti meriti di morire senza
neanche raggiungere i venticinque anni. Te lo meriti davvero.
-Ho sempre avuto ragione, non sei altro che una Rinnegata, un errore.
Buffy glielo sputò contro, con i pugni contratti dalla rabbia, il
peggiore insulto che avesse mai saputo rivolgere a Faith. La colpì dove sapeva
avrebbe fatto più male, solo per il piacere di farlo. Ma la reazione della mora
la sorprese.
Faith rise.
Sarcastica e dura, ma rise.
-Sai una cosa B? tieniti pure il tuo ruolo di prescelta. Io ci rinuncio.
Te lo regalo. Gioca con il destino e fatti schiacciare dai suoi ingranaggi. Io
non ci tengo affatto. Non voglio la gloria, non così. –Scosse la testa prima di
proseguire. –Mi chiami Rinnegata? E sarò quello. E mi delizierò ad esserlo.
-Cosa intendi dire Faith?
La bionda la guardava, completamente stupita dalla reazione.
“Quella frase ha sempre funzionato,
sempre.”
-Quello che ho detto B. Io non ho intenzione di farmi macellare prima di
raggiungere i venticinque anni perché qualcuno ha deciso così per me. Perchè
qualcuno sa recitare in versi.
Buffy esasperata, furibonda, passò sulla difensiva, avendo capito che
attaccare non sarebbe servito a farle raggiungere niente. Faith stava ancora
appoggiata negligentemente allo stipite della porta semiaperta, la mano sulla
maniglia.
-E’ così difficile capire che io voglia andare a trovare la mia
famiglia?
-La tua cosa?
Chiese la bruna, vagamente sorpresa dalle parole.
-La mia famiglia Faith. –una pausa. –Perché io sono stata adottata. –ora
la bruna la guardava in silenzio aspettando che continuasse, incuriosita.
–Esatto Faith, sono stata adottata. Ho vissuto la mia intera vita in una bugia.
Ed ora che conosco la verità, voglio sapere che fine abbia fatto la mia vera
famiglia.
-E cosa avrebbe fatto per te questa vera famiglia oltre che
abbandonarti?
Chiese asciutta Faith.
-Non mi hanno abbandonata! …E io non voglio più essere sola…
Lo aggiunse dopo, a voce più bassa. Faith scoppiò a ridere.
-Sola? Ti senti sola? –Buffy annuì, incerta davanti alle risate
dell’altra. Non era la risposta che si sarebbe aspettata. “Perché non capisce?E’ necessario per me… perchè non mi vuole aiutare?”.
–Tu sei completamente pazza. Dimmi hai mai vissuto in un orfanotrofio? –La
bionda scosse la testa, ancora senza riuscire a capire cosa volesse dire
l’altra. –Mai. Sei stata la figlia unica di genitori medio-ricchi. Ecco cosa
sei stata. Coccolata, viziata. Sempre al centro dell’attenzione. Circondata
anche ora, ora che sei cacciatrice e dovresti essere sola con il tuo Destino che ami tanto, da uno stuolo di amici
adoranti che darebbero la vita per te. E dici di essere sola?
Faith fece un passo verso Buffy, minacciosa, gli occhi completamente
privi di espressione.
-Tu non sai neanche che significa essere soli. Non sai che significa
svegliarsi in piena notte da un incubo senza nessuno vicino che ti rassicuri.
Non sai cosa significa avere attorno a te solo gente che ti disprezza, che ti
odia, che farebbe di tutto pur di umiliarti. Non sei mai stata sola, senza
amici né genitori, circondata da gente a cui non gliene frega un cazzo di te.
Non sai cosa significa sopravvivere in un posto dove non ci sono regole se non
la legge del più forte, ed essere i più piccoli, o gli ultimi arrivati. Non sai
cosa si deve fare per arrivare ad avere abbastanza soldi soltanto per riuscire
a mangiare il giorno dopo. Non lo sai. Tu sei solo una ragazzina troppo
viziata, che annoiata dai suoi costosi giocattoli, ora ne vuole di nuovi.
-Invece si che so cosa significa essere soli! –Gridò Buffy. –Io ho
lasciato casa mia ed ho vissuto solo con le mie forze. Ho dovuto uccidere il
mio ragazzo per salvare il mondo. Ho perso la mia vita per colpa della caccia.
-Sei davvero così tanto cieca B? -Faith fece un passo ancora verso
Buffy, prima di continuare a parlare la voce carica di ira ma senza urlare.
–Sono state tutte tue scelte. Tue le scelte, tue le conseguenze. Non mi
impietosisci neanche un po’ con la tua storiella strappa lacrime. Hai salvato
il mondo? Brava, ma ci vivi anche tu nel mondo, lo avrei fatto anche io sai?
Hai “lasciato” casa tua… tu hai
scelto di farlo, e quando ti sei stancata di giocare a fare la grande ci sei
tornata, perché per tutto il tempo tu ce l’avevi avuta una casa. Le tue forze.
–Faith sogghignò a questo. –Non renderti più ridicola di così ti prego… Eri una
cacciatrice, una “cacciatrice”, più
forte di qualsiasi umano e della maggior parte dei demoni là fuori. Cosa avevi
da temere nel passare di notte in un quartiere malfamato? Niente! E tu una vita
ce l’hai ancora. Cambiata forse, ma l’hai sempre avuta. E se sei così cogliona
da non vederla neppure, meriti di perderla, non di averne un’altra!
Buffy gesticolò scompostamente mentre urlava la sua risposta.
-Tu invece cosa ne sai Faith? A te non è mai importato nulla di nessuno.
Una bastarda senza cuore, né anima. Chi sei per dirmi che non so condurre la
mia vita? Eh? Una puttana che va con il primo che passa, una buona a nulla che
ha lasciato ammazzare la sua osservatrice incapace e che non ha mai avuto un
amico, mai nessuno per cui lei contasse qualcosa se non il valore di un corpo
da portarsi a letto? Eh?
Faith si mosse rapidamente, estrasse il coltello e lo puntò alla gola di
Buffy.
-Tu non sai niente di me. Non immagini neanche come io sia vissuta o
perché abbia fatto determinate cose. E non mi metterò qui a raccontartele
giusto perché tu le sappia, o per giustificarmi di fronte ai tuoi occhi. Non ti
ho mai dato il diritto di giudicarmi, e tu non lo hai mai avuto, è soltanto
qualcos’altro che ti sei arrogata dall’alto della tua posizione di Prescelta. –
sputò quell’ultima parola come un insulto. –E scommetto che anche se ne venissi
a conoscenza della verità, non la capiresti. –Faith aggiunse con sarcasmo, prima
di obbligare l’altra a retrocedere fino alla parete opposta del corridoio, il
pugnale sempre alla gola. –Te lo avevo detto. La mia pazienza non è infinita. E
non sopporto che un verme, vigliacco e viscido come te, osi insultare me, la
mia osservatrice ed i miei amici. –Erano arrivate alla porta dell’ascensore,
rimasta aperta. Faith costrinse Buffy a superare la soglia. – Perciò se ci
tieni alla tua pelle, d’ora in poi evitami, perché oggi hai superato il limite.
–La voce era gelida. –Ed ora, prima che me ne dimentichi… –Buffy aveva paura.
Gli occhi di Faith non avevano alcuna espressione, niente più emozioni, lampi
d’ira, né quella specie di fuoco che Buffy le aveva visto spesso. Avevano
litigato di frequente, soprattutto negli ultimi tempi, ma mai così. Aveva
creduto che quanto successo al cimitero, le minacce vuote dietro ad un bluff,
sarebbero state il massimo che Faith avesse il coraggio di fare.
Aveva sbagliato. Oh, quanto aveva sbagliato.
Nessuno le aveva mai fatto così tanta paura. Era letteralmente terrorizzata.
-…Va’ all’inferno.- Concluse Faith, la voce bassa e feroce mentre con un testo
faceva chiudere la porta e ritraeva il coltello.
Sulla pelle di Buffy non c’era nemmeno un graffio, ma lei stava tremando
senza riuscire a fermarsi.
Il centro commerciale era piuttosto affollato nonostante non fosse il
week-end. Non era nulla di speciale, simile a mille altri in cui era stata in
america. Un paio di piani di altezza, decine di negozi di vestiti,
supermercato, zona ristoro. In un certo senso era rassicurante avere a portata
di mano qualcosa di così familiare in un paese in cui non era mai stata.
Buffy camminava lentamente scorrendo lungo i negozi, fermandosi a
guardare le vetrine più interessanti, prendendosi il suo tempo, come se non
avesse una sola preoccupazione al mondo. Si fermò a guardare per qualche minuto
delle borse di pelle. I prezzi non erano esattamente accessibili, ma la linea
era sicuramente bella.
“Con il mio stipendio potrei anche permettermele…”
Con una scrollata di spalle al pensiero, riprese il suo giro.
In realtà buffy non aveva alcuna voglia di fare shopping, non era
proprio dell’umore adatto, ma girare per negozi senza una meta precisa in
mente, semplicemente lasciando passare il tempo, era da sempre la sua attività
preferita quando voleva rilassarsi. Od in questo caso rassicurasi.
Qualche ora prima era venuta qui semplicemente perché la sua stanza
d’albergo era diventata improvvisamente troppo silenziosa, ed andare a
mischiarsi tra la chiassosa ed anonima folla di un centro commerciale era stata
la scelta più logica per scacciare la sensazione di malinconia e solitudine che
l’aveva assalita. Era scesa immediatamente alla reception, chiedendo come
potesse arrivare al più vicino centro commerciale. L’impiegato le aveva
cortesemente spiegato la strada, fortunatamente si trovava relativamente vicino
all’albergo, abbastanza da raggiungerlo a piedi.
La cacciatrice si fermò ad un fast-food che aveva una fila ragionevole e
si prese un gelato, poi sedette ad uno dei tavoli per mangiare, ripensando a
tutto quello che era successo ultimamente.
“Decisamente molto.”
Rimandando di un altro po’ il pensiero di quanto la preoccupava si
concentrò sulla propria coppa. Finito il gelato, Buffy si mise a giocherellare
con il cucchiaino, intenta nell’ascoltare la discussione che stava avvenendo
nel tavolo dietro il suo. Un litigio serio tra due ragazze, che aveva tutta
l’aria di starsi per trasformare nella fine della loro amicizia. Il motivo
sembrava essere un ragazzo conteso. Fidanzato con una delle due, sembrava
averla tradita con l’altra.
“Tipico.”
Pensò con una smorfia.
L’intrattenimento non durò a lungo. Qualche minuto dopo una delle due,
la tradita, lasciò il tavolo, mandando a quel paese l’altra con il tono
alterato ma relativamente basso in cui si era svolta l’intera conversazione.
Sembrava che entrambe avessero il buon gusto di non trasformare la cosa in una
scenata pubblica.
I pensieri di Buffy tornarono controvoglia ai suoi problemi. Per quanto
cercasse di evitarlo sembrava che la sua mente non potesse fare a meno di
rimuginare su quanto accaduto, che lei lo volesse o meno.
La cacciatrice doveva ammettere che era preoccupata dall’aver lasciato
parecchie cose in sospeso a Sunnydale, parecchie mezze verità che aveva detto o
lasciato intendere ai suoi amici. Poteva solo sperare che nessuna di queste
fosse scoperta mentre era via. Dopo quanto accaduto al Magic Box la settimana,
sapeva di essere in una posizione a dir poco fragile di fronte ai suoi amici.
“Colpa di Faith.”
Ultimamente le sembra che molto di quanto le stesse accadendo fosse
causato direttamente o meno dalla bruna. Molte di quelle mezze verità erano
state causate proprio dalla sua presenza.
Colpa anche del fatto che l’altra cacciatrice si stava comportando in
modo a dir poco anomalo. Non sembrava quasi più la ragazza di due, “quasi tre…”, anni prima.
Le conversazioni che avevano avuto ad esempio.
Quella al cimitero.
“Ho avuto paura.”
E la cosa non le era piaciuta affatto.
La loro discussione seguente non aveva avuto un esito migliore.
“Cosa mi sarà saltato in mente ad
andare lì dopo quanto accaduto…”
Ma lo sapeva perfettamente cosa aveva avuto in mente. Il viaggio in
Inghilterra. La sua famiglia. Solo quello.
In quel momento di tutto il resto le era importato veramente poco.
Quando si era presentata a casa di Faith era così convinta che l’altra
cacciatrice avrebbe preso l’opportunità offerta al volo.
“In fondo essere l’unica è tutto quello che ha mai voluto… eppure….”
Eppure quella conversazione era finita come era finita e Buffy aveva la
certezza che Faith avrebbe mantenuto le proprie promesse.
Non aveva detto a nessuno quanto accaduto realmente tra lei e Faith.
“Un altro segreto.”
Quando Giles le aveva chiesto come era andato l’incontro, questa stessa
mattina, Buffy si era limitata ad assicurargli che aveva preso tutti gli
accordi necessari con la bruna, guardandolo fisso negli occhi mentre parlava.
La cacciatrice sapeva perfettamente che se Giles avesse anche solo
sospettato qualcosa a proposito del fatto che Faith si era rifiutata di
aiutarla le avrebbe impedito di partire.
E lei voleva andare in Inghilterra.
Lì poteva avere un’altra vita.
“Figurati, non avrei mai perso
quest’occasione a causa dell’ottusità di un vecchio e dell’inaffidabilità di
una psicotica.”
Il pensiero la fece fermare per un attimo.
Era la prima volta che si ritrovava a pensare così di Giles.
“Eppure…”
Per quanto del tutto estraneo alla sua natura quel pensiero non le suonava
per nulla sbagliato.
Scosse la testa per scacciare la scomoda osservazione.
Riflettendo a freddo si rendeva che ultimamente stava reagendo in
maniera un po’ strana. Quelle conversazioni con Faith erano un esempio. La
prontezza nel mentire a Giles ed ai suoi amici. Le sembrava di oscillare tra
momenti di apatia estrema e attività frenetica. E non sapeva il perché. Doveva
ammettere che la cosa la disturbava.
“Stress probabilmente…”
Con pratica di anni, accantonò il problema.
Quella stessa mattina, per evitare ulteriori domande, Buffy aveva
salutato frettolosamente Giles dicendogli che doveva andare a prendere l’aereo.
Aveva deciso di evitare di rispondere alle sue chiamate una volta oltre oceano
per non dover subire ulteriori interrogatori. Per questo gli aveva chiesto di
non chiamarla a meno che non ci fosse stata un’emergenza. L’osservatore aveva
acconsentito.
Più di un’ora dopo aver lasciato l’appartamento di Giles, entusiasta per
il viaggio, Buffy era stata accompagnata all’aeroporto da una Willow sorridente
quasi quanto lei. Poi c’era stato lo scalo a Los Angeles, la coincidenza a New
York, il volo transatlantico fino a Londra e da lì con un altro aereo a
Manchester. Il continuo sali e scendi, le attese interminabili in sala
d’aspetto e i voli durante i quali non era riuscita a dormire l’avevano
stancata più di quanto avesse pensato.
Inoltre, da qualche parte sopra l’Atlantico, l’entusiasmo per
l’avventura che stava intraprendendo si era trasformato in nervosismo, quasi
arrivando a sfiorare l’isterismo quando aveva rischiato di perdere la
coincidenza per Manchester. Un inserviente idiota l’aveva mandata al gate da
dove partiva il volo per Manila invece che il suo.
Buffy sapeva che in realtà non era stato il lungo viaggio il problema.
Aveva paura.
Improvvisamente era diventato tutto troppo reale. L’eccitante idea che
avesse un’intera famiglia ad attenderla oltre l’oceano, di avere un altro posto
oltre Sunnydale da poter chiamare casa. Di essere qualcun altro…
Ora era tutto troppo reale.
Il fatto che fosse stata adottata, semplicemente un’orfana, che
esistesse un’altra famiglia, inglese, che sua sorella abitasse poco distante da
lì. Il quartiere si trovava ad un quarto d’ora in taxi, le aveva detto il
ragazzo della reception. Abbastanza vicina da poterla incontrare per strada,
senza neanche riconoscerla.
Non aveva una sua foto.
“Non ho neanche una sua foto. Sono
patetica…”
Si sentiva sola, abbandonata da tutti e da tutto.
“Magari mi hanno data via
volutamente, mi hanno lasciata in un orfanotrofio perché non mi volevano… forse
Faith ha ragione, non c’è nessuno qui per me…”
Quanto avrebbe pagato al momento per avere un volto amico vicino,
qualcuno che la rassicurasse, che le dicesse che sarebbe andato tutto bene, che
la sua vera famiglia la stava aspettando.
Invece non c’era nessuno lì con lei.
Provò un’istintiva ed irrazionale rabbia.
Nei confronti di Riley per primo.
Perché Buffy immaginava che questo tipo di viaggi andasse fatto con il
proprio fidanzato a fianco, pronto a sostenerla in caso di necessità, ma Riley
non era più con lei, proprio quando aveva più bisogno di lui.
“Mi ha abbandonata anche lui…”
Nei confronti di Willow.
Perché neanche la sua migliore amica era lì. Senza veramente volerlo le
tornò in mente il fatto che Willow non le aveva chiesto neanche se voleva
compagnia.
Ricacciò indietro i dubbi con forza, costringendosi a fare un respiro
profondo per calmarsi.
“Andrà tutto bene. Faith stava
mentendo come sempre…”
Buffy si passò la mano sugli occhi, razionalizzando il fatto che vedeva
tutto così nero semplicemente perché era stremata e per nessun altro motivo.
Non era neanche il fuso orario a farla sentire così stanca, quanto
piuttosto, lo stress del volo. Aveva scoperto che odiava volare con passione, e
la sua giornata durava da più di venti ore.
Quasi sorrise all’idea.
Al momento l’unico sollievo per Buffy era sapere che era troppo tardi
per fare qualsiasi cosa, e che per questo le decisioni potevano essere
rimandate a cuor leggero, senza avere la sensazione di star evitando dei
problemi. Gli uffici erano chiusi da ore, così doveva essere anche per i Weston
Laboratories, ed era un orario sicuramente improbabile per presentarsi a casa
di qualcuno, ammesso che lo volesse fare.
Tutto quello che doveva fare questa sera era tornare alla metro,
scendere alla prima fermata, andare al ristorante dell’albergo dove aveva già
fatto la prenotazione per la cena, glielo avevano consigliato anche se per lei
non aveva molta importanza. Per mangiare un posto valeva l’altro.
Poi sarebbe salita in camera, si sarebbe fatta una lunga doccia bollente
e avrebbe telefonato a Willow.
Sentirla le avrebbe fatto bene.
Poi avrebbe anche deciso cosa fare domani.
Soddisfatta nell’avere finalmente un piano Buffy si alzò dal tavolino del
fast-food e si diresse verso l’uscita del centro commerciale.
La moto sfrecciava lungo le strade quasi deserte superando in fretta le
rare auto, il motore al massimo, ad una velocità più che doppia rispetto ai
limiti inglesi, senza sentire, o quasi, fastidiose vibrazioni. Era liberatorio.
Dopo le ore di volo transoceanico passate quasi immobile, essere effettivamente
impegnata in qualcosa oltre che dormire, mangiare e guardare la televisione
entusiasmava Faith.
Ormai era convinta di aver stabilito il nuovo record di percorso su
strada tra Londra e la sede del Concilio degli osservatori. Non che avesse
fretta di raggiungere il Concilio per qualche motivo in particolare. Non aveva sonno,
né particolare voglia di essere lì prima dell’inizio della riunione,
semplicemente odiava perdere tempo mentre viaggiava. Era un tipo impaziente,
intollerante ed insofferente. E lo sapeva benissimo.
“E la cosa mi ha sempre cacciata in
un mare di guai…”
Sogghignò tra sé al pensiero.
Arrivata in vista della villa, Faith rallentò leggermente prima di
imboccare il viale di accesso, sapeva che altrimenti il cancello automatico non
si sarebbe aperto in tempo. E considerando che le moto avevano la capacità di
spiccare improvvisamente il volo solo nei film d’azione, non nella realtà,
l’idea di schiantarsi contro del ferro battuto vecchio di qualche decennio, ed
appositamente rinforzato per evitare gli sfondamenti, non le sembrava il modo
migliore di concludere la serata. Scalò rapidamente marcia e con perfetto
sincronismo si infilò nell’apertura appena fu sufficientemente larga per far
passare la sua Honda Blackbird.
Parcheggiò nella rimessa sotterranea un minuto dopo.
Faith doveva ammettere che trovava
La cacciatrice sapeva che giravano voci a proposito di quella borsa fra
gli operativi.
Sul fatto che non se ne separava mai, che portava sempre quella in ogni
missione, ed ogni volta che partiva od arrivava. Giravano varie ipotesi: che
fosse un regalo del suo unico amore, tragicamente morto, l’unica cosa che le
ricordasse di lui; oppure che fosse un cimelio preso a qualche avversario
davvero difficile da uccidere, una volta fatto fuori; od anche che all’interno
ci tenesse i soldi ed i gioielli che aveva rubato o guadagnato nel corso della
sua professione.
La diffusione di quelle voci non interessava minimamente Faith.
Quelle storie non venivano mai ripetute in sua presenza, perché tutti
gli operativi avevano un sano rispetto nei suoi confronti e gli osservatori
erano praticamente terrorizzati da lei.
Del resto le battute sul contenuto del borsone non erano le peggiori che
circolavano sul suo conto.
Sogghignò nuovamente al ricordo delle peggiori.
“Certa gente ha veramente una
fantasia molto sviluppata e troppo tempo a sua disposizione.”
Faith era a pochi metri dall’ascensore quando le porte di aprirono e
Jason ne uscì.
Il capo degli operativi si guardò intorno un attimo, come cercando
qualcuno, ed appena la individuò nella penombra della rimessa e si diresse verso
di lei. Faith si fermò, aspettandolo. “Strano
comitato di accoglienza”.
Non che i due fossero in cattivi rapporti. Ma Jason non usciva mai dalla
propria strada per una semplice visita di cortesia. La cacciatrice piegò appena
la testa guardando attentamente il volto del capo degli operativi. Impassibile
come sempre. Ma gli occhi si muovevano troppo velocemente e i muscoli della
mascella erano serrati. Era nervoso per qualcosa.
-Buonasera Faith.
-‘Sera Jason.
In realtà erano in ottimi rapporti, per quanto due persone del genere lo
potessero essere. Entrambi molto competitivi e decisamente letali, nessuno dei
due lavorava bene come secondo. Avevano sempre evitato di battersi
direttamente, anche in allenamento. Sapevano che la cosa sarebbe potuta andare a
finire male. Non ci sarebbe voluto molto perché un tirato scontro di
allenamento diventasse un combattimento all’ultimo sangue.
C’era altro oltre all’orgoglio in gioco, era quello che li fermava
veramente.
Perdere non sarebbe convenuto a nessuno dei due, e considerando che
entrambi non avevano un vero motivo per cercare di affermarsi sull’altro, si
evitavano con accortezza, limitandosi a controllarsi indirettamente.
Il fatto che lei fosse ripetutamente sfuggita alle squadre di operativi
inviate a cercarla non aiutava a calmare la situazione, fortunatamente nessuna
di quelle operazioni, sia di addestramento che non, era mai stata comandata o direttamente
coordinata da Jason.
Faith sospettava che la cosa non fosse assolutamente casuale.
Del resto come capo degli operativi lui poteva scegliere se dirigere o
meno un addestramento a sua discrezione.
Tra loro rimaneva quindi una vaga tensione che nasceva dalla voglia di
pestarsi di santa ragione e finalmente decidere chi fosse il migliore, ma senza
avere scomodi conti precedenti da saldare che la facessero diventare ostilità,
come tra lei e Buffy ad esempio.
Non era un comportamento maturo. Sapevano anche quello. Non che la cosa
li fermasse minimamente.
In un modo o nell’altro riuscivano a tenere la tensione appena sotto la
superficie. Giusto quanto bastava per evitare che sfuggisse al loro controllo.
Ma tutti gli operativi la percepivano facilmente e Jason sapeva che da
tempo c’erano scommesse su modalità e risultato del confronto. Immaginava lo
sapesse anche la cacciatrice.
-Ti vorrei parlare.
La cacciatrice annuì. Lui non era il suo capo. Lo sapevano entrambi. Era
stata la prima ed unica cosa che avevano chiarito quando erano rimasti soli una
volta che Marlin e Travers li avevano presentati.
Faith gli aveva detto che non avrebbe mai accettato di prendere ordini
diretti, ma che avrebbe rispettato la sua autorità senza metterla in
discussione davanti agli altri. Il capo degli operativi aveva accettato le
condizioni, sapendo che quella situazione era frutto solo delle manovre
politiche dei due dirigenti e che loro come persone c’entravano ben poco nella
faccenda. Erano due pedine.
Inoltre Jason sapeva benissimo che se avesse voluto Faith avrebbe potuto
tranquillamente minare il suo potere. Il fatto che la cosa non le interessasse
minimamente lo solleva.
La cacciatrice era forte, sicuramente più di lui, bella ed insolente, e
sospettava in fondo che avesse un carattere da leader naturale. Non un
avversario semplice da battere.
Così avevano deciso di collaborare, Jason sempre chiedendo e Faith
evitando di fare domande.
-Vieni, andiamo in città.
Era una richiesta relativamente strana, il capo degli operativi non
socializzava mai con i suoi collaboratori e Faith si chiese il motivo
dell’invito. Jason non era il tipo da agire alla leggera.
Lo seguì mentre si allontanavano dagli ascensori, la sacca sempre sulle
spalle.
-Sono arrivati tutti?
Chiese la bruna.
-Si, il posto è pieno di osservatori. –la voce di Jason era piana, ma si
capiva che la cosa non lo rendeva entusiasta. –Raramente ne ho visti così
tanti, anche alle precedenti riunioni plenarie. Gli ultimi sono arrivati un’ora
fa circa, dal sud america. E’ un inferno per la sicurezza. In tutto ne saranno
rimasti solo una ventina in giro per il mondo. Quelli che non potevano
assolutamente fare a meno di sorvegliare la zona in cui si trovavano.
Probabilmente ci saranno non poche crisi in cui dovremo intervenire all’ultimo
minuto per scongiurare una catastrofe perché chi doveva controllare l’evolvere
della situazione è qui a parlare.
La linea delle sue labbra era tirata. Forse era il lavoro straordinario
che gli sarebbe toccato a seccarlo.
-Aria insopportabile?
-Decisamente. Si sono precipitati tutti qui. Hanno sentito l’odore di carogne
e sono venuti a banchettare. –Jason si voltò a guardare Faith, che si limitò ad
annuire. Non si aspettava altro dagli osservatori. –Non sapendo cosa fare
nell’attesa vanno in giro diffondendo voci gli uni sugli altri, giocando a
rimpiattino. Formano alleanze, ne disfano altre... Hanno preso d’assalto la
sala mensa, è diventata una bolgia piena di voci basse in doppio petto e
sguardi in tralice. E vederli così indaffarati a cercare un boccone di carne da
addentare diventa noioso dopo i primi dieci minuti.
Ora aveva quasi un espressione nauseata. Sicuramente non aveva alcun
rispetto per la maggior parte di quelli che si trovavano lì dentro.
-Me le immagino, cinquecento persone che si credono le migliori del
mondo tutte chiuse in un solo palazzo. Deve essere uno spasso.
Faith aveva appena deciso che sarebbe direttamente andata in camera sua
al rientro. Che parlassero pure a piacere, lei sarebbe apparsa soltanto
all’inizio della riunione, quando sarebbe contato veramente.
Erano arrivati all’automobile di lui, un mercedes nero dai vetri
antiproiettile. Probabilmente era anche corazzato, pensò Faith. Il capo degli
operativi non le sembravi il tipo da rischiare. Jason l’aprì con il telecomando
e le fece cenno di entrare. Due minuti dopo erano usciti dal Concilio.
-Che vento tira?
Chiese Faith nel silenzio dell’abitacolo, non c’era niente aria sul
volto, niente rumore del motore. Sentì improvvisamente la voglia di essere di
nuovo sulla sua moto. A parte il paesaggio che cambiava non sembrava neanche
che si stessero muovendo. Non era sicura che le piacesse come sensazione.
-Ufficialmente?
-No, non mi interessa. –Le labbra di Faith si tirarono in una specie di
sorriso. Non lo trovava poi così divertente. –Lascia che con i paroloni
giochino quei bambolotti di pezza. Cosa sta succedendo veramente.
Jason annuì e decise di essere sincero. O di esserlo abbastanza. Questa
non era una gita di piacere in fondo.
-Il castello di carte sta cominciando a crollare. –Fece un attimo di
pausa mentre scalava marcia per fare una curva. –Hanno cominciato a tremare
anche le fondamenta. Per la prima volta in secoli qualcuno ha deciso di non
seguire più le regole. Non di piegarle un po’, ma proprio di ignorarle. E tutti
se ne sono accorti. Omicidi, sparizioni misteriose… non che non fosse accaduto
prima, al contrario, non è un evento affatto raro. Ma questa volta gli omicidi
non sono stati altrettanto coperti, e Miller sta addirittura coprendo l’assenza
ingiustificata di un dirigente. Apertamente contro le regole. Senza contare la
presenza di una cacciatrice al Concilio… parlano tutti di te. I commenti
spaziano…
-Fammi indovinare… -Interruppe Faith. -“l’assassina”, la “cacciatrice
psicotica”, la “rinnegata”…
Jason annuì ed aggiunse con tono distaccato.
-…hai dimenticato la “traditrice”, la “giovane carnefice” ma anche la
“ragazzina incapace” e la “poppante”.
Dal sedile del passeggero si levò un brontolio incredulo.
-Uno avrebbe almeno creduto che dopo averli traditi, congiurato per la
distruzione di una città, battuto ripetutamente i loro squadroni della morte,
ucciso decine di persone ed essere tornata a far parte del Concilio, almeno
tutti sarebbero stati d’accordo sul fatto che non sono esattamente una bambina.
–una scrollata di spalle. –Comunque la giovane carnefice mi piace. Ha un bel suono.
Faith era completamente rilassata nel sedile di pelle. Oramai si stava
godendo il viaggio, aveva quasi sonno. In effetti viaggiare come passeggero in
un’auto era parecchio rilassante.
-Dicono che tu stia preparando un golpe per prendere il potere utilizzando
gli operativi ed obbligarli ad accettarti come primo osservatore. Dopo averne
ammazzati un bel po’. –una pausa. -Hanno paura. Sono decenni che non hanno a
che fare con una cacciatrice con della spina dorsale. Abbastanza sveglia da
capire che il vero potere lo tengono loro.
Faith scoppiò a ridere nonostante si fosse sforzata di non farlo. Quando
riprese abbastanza fiato mormorò qualche parola appena udibile scuotendo la
testa.
-Che razza di idioti.
Jason non disse niente limitandosi ad osservarla attentamente. Stava
cercando di capire quanto fosse sincera la reazione di Faith. Anche lei era una
brava attrice, ma Jason non sapeva ancora quanto buona. Lo scopo della serata
era proprio quello. Capire quanto delle reazioni della cacciatrice fossero solo
una sceneggiata.
A lui serviva sapere esattamente dove Faith si sarebbe schierata in
caso, e quanto di vero ci fosse nelle voci di golpe che giravano.
In realtà dubitava fortemente che la ragazza volesse guidare davvero una
rivolta ma voleva sapere il perché e soprattutto quanto propensa fosse ad
unirsi ad una qualsiasi sommossa.
Asciugandosi le lacrime che le erano uscite dagli occhi dal tanto
ridere, Faith continuò.
-Erano secoli che non ridevo così. –fece un respiro profondo e tornò
seria. –Sono una massa di idioti che non riescono neanche a capire dove si
trova il loro avversario. Mi immagino quanto potranno essere in grado di
combatterlo.
-Davvero?
Faith annuì convinta sistemandosi un po’ meglio sul sedile e
socchiudendo gli occhi. Doveva essere il riscaldamento che la rendeva così
insonnolita, il caldo le faceva sempre venire voglia di dormire.
-Davvero. Sono l’ultima arrivata ed hanno paura di me. Questo quando
Miller è lontano dall’essere sconfitto, Travers e Marlin si preparano per
questa occasione da anni e c’è almeno un’altra fazione di minoranza che per ora
tiene un profilo basso. –Faith si girò a guardarlo senza fare movimenti
bruschi. Sapeva istintivamente che Jason era pronto a reagire alla minima
minaccia, anche se la loro conversazione era stata fino al momento del tutto
civile. Semplicemente il capo degli operativi non si rilassava mai. “E dire che chiamano me paranoica.”
–Delle quindici squadre di operativi forse quattro o cinque mi sosterrebbero.
Le altre aspetterebbero di vedere da che parte ti schiereresti tu. Tutti gli
agenti indipendenti mi guarderebbero con sospetto e si limiterebbero ad essere
neutrali se non a combattermi apertamente. –Tornò a fissare la strada davanti a
sé. –Dovrebbero temere te, non me. Chiunque sarebbe incerto a sostenere una cacciatrice ex-rinnegata e
molti di quelli contrari a me per un motivo o per un altro starebbero dalla tua
parte.
Jason non rispose, continuando a guidare. Dopo qualche altro secondo di silenzio,
notando l’assenza di risposta da parte del capo degli operativi, Faith riprese
a parlare.
-Del resto il vero problema per noi sarebbe il dopo, no? Non potremmo
mai occupare militarmente il Concilio per sempre. E tutti gli osservatori
tramerebbero contro di noi. La nostra unica speranza sarebbe che le vari
fazioni si ostacolassero a vicenda, troppo impegnati a pensare al dopo per
conquistare il presente... Ma potrebbero anche essere abbastanza intelligenti
da unirsi e rovesciarci. Troverebbero un qualche operativo che li sostenga, un
nuovo capo della loro milizia personale… qualche scontro armato e sarebbe
finita. Un dittatore deve essere accettato ad un qualche livello, tu ed io non
lo saremmo mai.... –scrollò le spalle. –Un coltello nella schiena e la storia
sarebbe finita.
Jason continuava a guidare in silenzio lasciando che fosse Faith a
parlare.
-Ed ora ti dispiace spiegarmi perché mi hai fatto sprecare fiato per
dire cose che sai benissimo?
Neanche Faith era stupida e sapeva perfettamente che Jason le aveva
fatto quel tipo di domande per un motivo ben preciso.
La stava valutando, questo era chiaro, ma non sapeva esattamente per
quale motivo.
-Volevo semplicemente vedere se le sapevi anche tu. –Una pausa, come per
decidere quanto dire ancora. –Hai passato del tempo a rifletterci.
Faith sorrise tra il triste e l’indeciso.
-Non sono stupida Jason. E lo sai benissimo, altrimenti non staremmo
facendo questa conversazione. Altrimenti sarei morta da un pezzo con qualche
pallottola nel cranio in fondo a qualche vicolo buio.
Erano arrivati ad un pub della zona. Jason aveva fermato la macchina nel
parcheggio quasi completo ed erano entrati in silenzio. Scelsero uno dei
tavolini vuoti di comune accordo, senza scambiarsi una parola. Una volta
arrivate le birre e la cena di Faith, ripresero a parlare.
-L’indagine interna sull’omicidio Dellah è conclusa. Ho raccolto prove a
sufficienza per incastrare l’interno che aveva passato le informazioni al
vampiro. Martedì l’ho ucciso. –Faith trovò interessante il fatto che Jason non
disse “giustiziato”. –La versione ufficiale sarà che lui era l’unico
collaboratore del vampiro, l’organizzatore di un attentato isolato allo scopo
di intimidirti.
Faith annuì, senza particolare significato.
-Hai trovato tracce che portavano al vampiro stesso?
Jason scosse la testa.
-Nessuna. La tua idea è buona quanto un’altra. Ho controllato, nessun
altro caso sospetto nella regione, o nel Concilio. Né persone scomparse né
omicidi. E Spike è scomparso dalla circolazione da mesi. Non che questo
significhi necessariamente qualcosa.
Non era raro che i vampiri sparissero senza lasciare tracce. Alcuni di
loro riuscivano facilmente ad eludere la sorveglianza del Concilio per decenni
interi.
-Non ne ho trovata nessuna neanche io. –Non aveva smesso di cercarle,
neanche dopo la conversazione con Angel. Aveva promesso di non dare la caccia a
Spike in fondo, non di non cercare di capire per conto di chi lavorasse. I
risultati non avevano portato a nulla di conclusivo. –Tutti i miei informatori
non ne sanno niente. –Jason annuì, aveva immaginato che anche Faith avrebbe
fatto una sua indagine. –Quante sono le possibilità che sia un’idea partita
dall’interno?
Il capo degli operativi si prese un attimo prima di rispondere. Non
sapeva quanto dire.
-Alte. Non sarebbe la prima volta che fanno fuori qualcuno. E
l’obbiettivo sei tu.
-Pensi si tratti di qualcuno degli idioti del golpe?
Jason scosse la testa, convinto.
-Idioti con troppo poco cervello e coraggio per organizzare la cosa.
–Fece una pausa. Voleva che Faith capisse la serietà delle sue prossime parole.
–La prossima volta è probabile che mirino direttamente a te.
Con sua sorpresa Faith non sembrava poi così turbata dalla cosa.
Interessata, quello si, vagamente seccata, anche, ma no, non spaventata. Non si
sarebbe mai aspettato che fosse terrorizzata dalla notizia, ma impaurita si,
quello si. Jason la studiò meglio, concentrandosi sui particolari della sua
figura.
Le mani erano ferme e rilassate come le spalle, il respiro regolare.
Nella penombra non riusciva a vedere gli occhi. Non sembrava una persona che
stesse nascondendo del nervosismo.
Prima di parlare la cacciatrice finì di masticare il boccone, con calma,
pensando.
-Quanto in alto possono essere gli organizzatori?
-Abbastanza da impedire qualsiasi ulteriore ricerca da parte mia, e da
nascondere qualsiasi prova. –Jason si sentì improvvisamente gli occhi di lei
addosso, come se solo ora avesse la sua completa attenzione. –Non esiste alcun
collegamento. Ho cercato.
Faith continuò a mangiare in silenzio per qualche altro minuto.
Jason non aveva trovato alcun indizio concreto, soltanto dato conferma
ai suoi sospetti.
E più in alto di Jason si trovavano solo dirigenti e primo osservatore. E
lei non aveva alcun amico fra loro. Inutile stare a pensarci ancora, non che
poi avesse così tante opzioni tra cui scegliere. Avrebbe continuato per la sua
strada facendo la massima attenzione. I suoi canali di informazione l’avevano
portata a niente e quelli di Jason ugualmente.
Od almeno così le aveva detto. Anche se Faith non era a conoscenza di un
motivo per cui Jason potesse volerla ingannare, non poteva essere sicura che le
stesse dicendo la verità.
“Ah, la gioia di far parte di un’organizzazione con più supposti segreti
che ani alle spalle.”
Dopo queste notizie non rimaneva molto altro Faith che potesse fare. “Affidarmi ad un vampiro…”.
Il pensiero non la rendeva felice.
-Perché mi aiuti?
Faith si stava attentamente pulendo con il tovagliolo. “…ed affidarmi ad un agente del Concilio…
non la mano migliore che mi sono mai trovata a giocare… Quanto di quello che ha
detto è solo un’esca?”.
Appena Jason cominciò a parlare fu la sua volta di concentrarsi
sull’interlocutore per spiarne il linguaggio corporeo. E sul capo degli
operativi aveva il vantaggio di vedere perfettamente al buio.
-Non sei un pericolo per me. –Faith doveva ammettere che Jason aveva dei
begli occhi. Ma erano completamente freddi ed inespressivi. Molte donne sarebbe
cascate nella trappola del bello e tenebroso, non avendo la minimo idea in
quale situazione si stessero in realtà cacciando. “Stupide”. –Non hai intenzione di distruggere il Concilio né di
uccidere i miei uomini, inoltre non hai mai voluto occupare il mio posto,
altrimenti ci avresti provato già da tempo. –Faith alzò il boccale di birra,
concentrandosi sull’intera postura dell’uomo di fronte a sé piuttosto che sui
particolari. –Quindi non ho nulla contro di te e nulla da temere. E la tua
collaborazione si è dimostrata decisamente utile. –Una pausa. L’istinto di
Faith le diceva che quello di fronte a lei era un potenziale pericolo, non un
amico. E lei dava sempre ascolto al suo istinto. L’aveva salvata troppe volte
per non farlo. –Non è tutto. La settimana scorsa è morto anche Gillison. Un
incidente stradale, la cui dinamica non è chiara. Lo abbiamo saputo quasi una
settimana fa.
-Un incidente?
Il tono era scettico.
-Non ci sono prove del contrario.
Faith sorseggiò un po’ la birra imitata dall’altro. C’era poco altro da
dire sull’argomento. La bruna decise di andare a caccia di un po’ di
informazioni.
-Di Travers se ne sa niente?
-No, nessuno lo ha visto. –Jason poggiò il boccale vuoto sul tavolo
studiandolo attentamente con le dita per qualche secondo, prima di alzare gli
occhi per incrociare lo sguardo di Faith. Era un uomo attraente, il fisico
scultoreo ed un bel sorriso quando voleva, soprattutto con quella sua aria da
bello e dannato. Ricco di quel mistero che molte donne trovavano irresistibile.
La cacciatrice lo ammetteva, era affascinante. Ma si guardava bene anche solo
dall’avvicinarglisi, l’idea di lasciarsi sedurre ed avere una storia con lui
non la sfiorava nemmeno. Primo, lei non aveva nessuna voglia di avere una
storia di qualsiasi genere. Secondo, trovava molto stupido cercare di avere un
rapporto con qualcuno proprio perché quel qualcuno non voleva avere un
rapporto. –Faith, sono quindici anni che lavoro lì dentro e non sono mai
arrivati a questo punto, neanche al precedente cambio della guardia. I
dirigenti sono sempre stati intoccabili. Se loro non lo sono più, non lo è più
nessuno. –Rimase in silenzio per un attimo. Questa sera, con uno sguardo più
dolce ed un mezzo sorriso, intento nell’avvisarla da amico non sembrava
pericoloso e proprio per quello lo era molto di più. Cercava un contatto. –Se
vuoi un consiglio, trova un modo e vattene. Potrebbe crollarti tutto sulla
testa.
Anche Faith sorrise piacevolmente.
-Potrebbe accaderti la stessa cosa.
Replicò la bruna senza perdere un colpo.
-Prima dovrei trovarmi sotto quel tetto.
Jason sorrise freddamente.
La musica che si diffondeva discretamente nella sala del piano bar era
jazz d’autore. Buona parte degli investitori della city si ritrovava lì dopo le
estenuanti giornate passate o alla borsa o nelle banche trattando ingenti somme
di denaro che spesso non erano neppure loro. Costituivano una folla multicolore
anche se distribuita soltanto nella gamma dei colori classici, dal beige-crema
al blu-nero. Avevano indosso gli eleganti e professionali abiti con cui
andavano a lavoro ogni mattina, ma qui i nodi alle cravatte erano allentati,
uno od due bottoni slacciati le giacche tenute sugli schienali delle sedie o
appoggiate su altri sgabelli. Ovviamente non si trovavano lì solo per
divertimento, molti concludevano affari in quel locale, ma il codice di
abbigliamento rimaneva lo stesso, che stessero lavorando o meno.
Lì tutti conoscevano Marlin, tempo addietro era stata una cliente
abituale del locale.
I più anziani la conoscevano per esperienza diretta, quanto agli altri,
sebbene si fosse ritirata da dieci anni dal diretto controllo dei propri
affari, sapevano esattamente chi era. E la sua fama di squalo della finanza la
precedeva ovunque. Trasmessa ed amplificata da quanto raccontava chi l’aveva
conosciuta. Del resto, il suo era un volto che si vedeva ancora spesso nei loro
ambienti. Semplicemente la sua non era più la presenza costante, qualcuno
l’aveva definita onnipresenza, che era stata anni prima.
Che avesse affidato gli investimenti del suo patrimonio in mani non sue
non significava che lei non lo gestisse. I manager e i broker alle sue
dipendenze erano famosi per tre cose: le loro giornate di lavoro di venticinque
ore; l’ammontare del loro stipendio e la loro onestà; perché nessuno sano di
mente avrebbe mai tentato di truffare quella donna. Praticamente era stata lei
a scrivere il libro sui trucchi del mesterei, su come far apparire o sparire
somme principesche, per evitare grane con il fisco o bancarotte. Aveva tanti
agganci e persone che le dovevano un favore, o molti, che con un battito di
ciglia avrebbe potuto rovinare te, la tua famiglia e i tuoi amici.
E non erano vuote minacce.
Lo aveva fatto. Un suo avversario non aveva preso bene una sconfitta, la
perdita di un appalto statale. Ed aveva commesso l’errore di minacciarla. Lì,
in quello stesso locale, a quello stesso tavolo dove sedeva ora.
Quell’uomo, creduto anche lui un affarista senza scrupoli, qualcuno
sosteneva anche che fosse agganciato con la malavita locale, meno di un anno
dopo, si era ritrovato sul lastrico. Misteriosamente i suoi tre migliori
clienti avevano rescisso i contratti che avevano con lui, uno pagando anche
un’ingente somma di penalità per farlo. Cinque cause di molestie sessuali sul
luogo di lavoro erano state intentate contro la sua società. Le prove
presentate del tutto inattaccabili i giudizi tutti in suo sfavore. I
risarcimenti avevano avuto molti zeri. L’ufficio delle imposte lo aveva tenuto
sotto controllo per via di una denuncia anonima che poi era stata riscontrata
come esatta.
La sua ditta aveva fallito e lui
venne incriminato per frode fiscale. Dopo aver patteggiato, aveva scontato tre
anni di galera. Nessuno ne sapeva niente da allora.
Magdalene sedeva, sorseggiando un aperitivo. Stava aspettando Harry
Gilbert, il dirigente bancario che si occupava della gestione di alcuni suoi
conti. Lo vide entrare nel locale, spiccava facilmente tra la folla con i suoi
due metri d’altezza. Decisamente più alto della media dei presenti.
Si sedé di fronte a lei, togliendosi la giacca già sbottonata e
sistemandola sullo schienale prima di accomodarsi.
-Buonasera Miss Marlin.
La salutò con un mezzo sorriso. Non era certamente la cliente più facile
da avere, ma sicuramente portava con sé abbastanza denaro per ignorare la cosa.
-Buonasera, Harry.
Il cameriere si avvicinò per portare il solito drink a Gilbert, anche
lui era uno degli habituè del locale. Ringraziando con un cenno del capo,
l’uomo cominciò subito a sorseggiare il liquido ambrato nel suo bicchiere. Era
stata una giornata piuttosto lunga ed aveva voglia di rilassarsi-
-Hai le informazioni che ti ho chiesto?
Esordì Magdalene, come sempre diretta e concisa.
Era stato più che difficile. Illegale prima di tutto. Lungo e laborioso
in secondo luogo. C’erano volute due settimane di intenso lavoro per procurarsi
quanto chiesto. E considerando quanto valeva il suo tempo era stato un
investimento non da poco.
Per riuscire a farlo era anche stato costretto a contrarre alcuni debiti
oltre che a riscuotere i diversi crediti che aveva accumulato negli anni. Ed
una delle cose che Harry odiava di più era proprio trovarsi in debito con
qualcuno. Ma per poter fare un favore del genere a Magdalene ne era valsa la
pena.
Erano le persone come le i che facevano la fortuna di individui come
lui.
-Si, è stato difficile, ma ce le ho.
Le passò un foglio piegato.
Marlin lo aprì e lo lesse in fretta. Riguardava movimenti di uno dei conti cifrati di
Travers. Uno dei due che aveva. Il rendiconto dell’altro l’aveva già ottenuto
attraverso altri canali. Oramai Travers non poteva più prelevare un centesimo
senza che lei lo venisse a sapere Avere quelle informazioni era illegale, e
passibile di persecuzione penale, il che non l’aveva fermata per un attimo, o
le aveva impedito di ottenerle.
Non era certo la prima cosa illegale che avesse mai fatto né di gran
lunga la più “grave”.
“Sempre che non abbiano abrogato
l’omicidio come reato e nessuno mi abbia informata.”
Gli ultimi due prelievi, uno del dodici e uno del sedici, erano stati
effettuati da filiali in Inghilterra, allo sportello, dall’intestatario del
conto. Per essere più precisi il primo era stato fatto a Londra il secondo da
York, entrambi dall’importo piuttosto consistente. Dal sedici in poi non
c’erano stati più prelievi.
Così ora Magdalene aveva la conferma che Travers era rientrato in
Inghilterra. Per quale motivo e dove si trovasse ora, era ancora un mistero.
Uno che avrebbe dovuto essere risolto. Ed in fretta. E per farlo Magdalene
avrebbe dovuto cercare altri contatti, questi rendiconto bancari erano il
massimo che poteva ottenere dai suoi amici del mondo della finanza. Si sarebbe
dovuta rivolgere ad altre persone. Fortunatamente sapeva già a chi.
-Perfetto. Il bonus ti sarà accreditato a tempo debito. –Harry sorrise
apertamente a quelle parole. Sapeva per esperienza personale, avendone pagati
alcuni, quanto Marlin intendesse per bonus. Informami immediatamente in caso di
nuove operazioni.
-Come vuole.
Disse Gilbert una volta finito il proprio drink.
Notando il bicchiere vuoto di Harry, Magdalene prese il soprabito dalla
sedia e si alzò, imitata dall’uomo.
-Ed ora, qualche preferenza su dove andare a cenare? Dobbiamo ancora
discutere di affari.
Sheridan si fermò appena superate le imponenti porte di noce intarsiato.
Gettò una rapida occhiata all’immenso salone, vasto abbastanza da contenere un
campo da calcio, attrezzato con gradinate digradanti attorno a tre delle pareti
ed un enorme tavolo rettangolare al centro.
Del resto quella sala era stata costruita per accogliere qualcosa come
cinquecento persone, anche se al momento non ne erano presenti più di una
ventina. Era quello che veniva definito il cuore del Concilio degli
Osservatori. In realtà oggi era solo un simbolo.
Con l’andare dei secoli i poteri dell’assemblea erano lentamente ma
inesorabilmente diminuiti. Prima aveva il compito di eleggere dirigenti e tra
loro scegliere il Primo Osservatore. Quella prerogativa gli era stata tolta
intorno al quattordicesimo secolo. Aveva avuto il poterei appuntare
l’Osservatore della cacciatrice, cioè di avere il controllo di chi poteva
divenire Osservatore Anziano. Quello gli era stato tolto nel sedicesimo secolo.
Oramai non gli rimanevano che pochi poteri, la maggior parte dei quali
erano di semplice controllo od addirittura solo formali. Oggi nessuna delle
vere decisioni veniva presa lì, soprattutto non con così tanti presenti.
L’unico vero potere che gli era rimasto era l’elezione dei dirigenti.
Tra candidati già decisi dai dirigenti già in carica.
“Bene, sono tra i primi.”
Quella di oggi era una giornata estremamente importante. Molto degli
equilibri e dei rapporti di potere dei prossimi anni si sarebbe deciso qui,
proprio a questa riunione plenaria. E lui voleva essere presente fin
dall’inizio, pronto a vedere finalmente uno scontro tra titani come Miller e
Marlin.
“Peccato solo per l’assenza di
Travers.”
Altrimenti avrebbero veramente assistito ad uno scontro epico.
Senza degnare di una sola occhiata i tre o quattro uomini seduti sulle
gradinate vicine all’ingresso, semplici osservatori, probabilmente appena
usciti dall’addestramento a giudicare dalle facce innocenti, Sheridan si
diresse verso l’estremità del tavolo più vicina, dove si erano già radunati una
decina di Osservatori Anziani. Erano intenti a parlottare tra loro, un po’ più
animatamente del solito a dire il vero.
Sheridan salutò con un cenno del capo e qualche parola cordiale i
colleghi che superava, tra Osservatori Anziani ci si conosceva a vicenda, fosse
anche solo di nome. L’ultimo arrivato si fermò a scambiare due parole con
Morgan, il responsabile delle risorse umane, suo diretto superiore.
-Kirk, ti porterò il rapporto sulle ombre dell’Oceania lunedì.
-Perfetto Sheridan, non ti preoccupare, non sei in ritardo, sono un po’
indietro e sto ancora finendo i conteggi semestrali per l’Africa, non sono
ancora arrivato all’Oceania, la lascio sempre per ultima.
Replicò Morgan sorridendo leggermente.
-D’accordo, ci vediamo dopo la riunione? Penso di doverti uno sherry per
la cortesia.
Disse Sheridan salutando Kirk e proseguando fino ad arrivare al posto
riservatogli da Joandra e Dwayne, due suoi cari amici dai tempi dell’accademia.
In un modo o nell’altro loro tre erano andati avanti assieme nella scala
gerarchica del Concilio, a volte giocando sporco per accaparrarsi quanto
serviva, facendo trapelare informazioni che sarebbero dovute rimanere segrete
per aiutarsi ad ottenere qualcosa, sabotando altri per eliminare la
concorrenza.
Era stato così che erano riusciti a diventare Osservatori Anziani
nonostante nessuno di loro riuscisse a spiccare in alcun modo in una folla;
avevano sopperito alla loro mancanza di capacità personali unendosi ed a volte
ignorando le regole che tutti gli altri seguivano pedissequamente.
Questo era quanto erano riusciti a tirare fuori da carte mediocri che
gli erano state servite e Sheridan sapeva che non sarebbero andati più in là
nella loro carriera. I loro non brillantissimi esami di fine corso
all’accademia, i non splendidi primi incarichi che erano seguiti, il non avere
famiglie altamente blasonate dietro di sé, il modesto lavoro che ognuno aveva
fatto con la propria cacciatrice, tutte e tre definite di “transizione”, tutto
pesava alla fine nell’impedire che potessero sognare di diventare dirigenti.
Il metodo stesso di elezione gli dava poche speranze.
Erano gli osservatori giovani a scegliere i dirigenti tra i vari
candidati loro proposti ed erano quei risultati che prendevano in
considerazione per decidere chi votare. Difficilmente qualcuno con una pessima
esperienza come responsabile della cacciatrice veniva scelto come dirigente.
La stessa Marlin era riuscita a farsi eleggere solo grazie al suo
carisma personale, all’ineguagliabile lavoro fatto come analista e responsabile
economico della regione russa, oltre alla fama secolare della sua famiglia.
Quanto accaduto alla sua cacciatrice aveva deposto in maniera orrenda contro di
lei, era stato il pettegolezzo del giorno per anni interi, alimentato
magistralmente dai suoi nemici appena accennava a spegnersi.
La sua situazione, quella in cui la propria cacciatrice veniva giudicata
“inabile” era l’incubo peggiore di un osservatore. Dopo una cosa del genere era
praticamente impossibile essere eletti come dirigenti a meno di avere il
sostegno dell’Osservatore Anziano mandato a giudicare la cacciatrice.
La decisone di Marlin di contrastare l’opinione del proprio supervisore,
quando Travers l’aveva assolta da qualsiasi responsabilità riguardo
l’incapacità della cacciatrice, non era stato altro che un suicidio dal punto
di vista della carriera.
Quando lo avevano saputo la maggior parte degli Osservatori aveva scosso
la testa, qualcuno con un mezzo sorriso sulle labbra.
Magdalene era riuscita a trasformarla in una vittoria.
Le ci erano voluti anni, ma c’era riuscita.
La cosa lasciava molti ancora stupiti. Certo, il suo contrastare Travers
apertamente le aveva portato le simpatie di qualcuno, ma non del blocco
conservatore del concilio.
Sheridan si accomodò sulla sedia che i suoi due amici avevano tenuto per
lui, non proprio all’estremità opposta del tavolo rispetto al Primo Osservatore
ma neanche vicino alla parte del tavolo riservata ai dirigenti, anche se i
posti non erano assegnati si tendeva ad accomodarsi per anzianità e prestigio.
-Allora Dwayne, saputo qualcosa di nuovo?
Chiese Sheridan accomodandosi.
Quello che all’accademia era sempre stato il ragazzo smilzo che
conosceva tutti i pettegolezzi, spesso prima ancora dei diretti interessati,
era diventato un uomo in soprappeso che continuava a sapere tutte le ultime
novità. Hillting si passò una mano fra i radi capelli che aveva prima di
parlare.
-Si, pare che Giles sia arrivato. Sembra proprio che Marlin ne voglia
utilizzare il voto speciale per decidere i candidati al ruolo di dirigenti.
Sheridan annuì. Era tra i privilegi dell’osservatore della cacciatrice
votare come un dirigente per l’approvazione dei candidati alla carica, un
privilegio che a lui non era mai capitato di esercitare. Un’altra regola del
Concilio stabiliva che, soltanto per candidarsi, un Osservatore Anziano doveva
avere l’approvazione della maggioranza dei suoi futuri colleghi.
A volte Sheridan aveva l’impressione che le regole del Concilio fossero
infinite.
Inutile negarlo, era profondamente geloso di Giles. Lo aveva conosciuto
all’accademia e non gli aveva fatto affatto una buona impressione, era un
mediocre, proprio come loro. Non particolarmente intelligente, non
particolarmente determinato. Ma aveva avuto alle spalle una famiglia. Come
quell’idiota di Whindam-Price. Sapere che era diventato l’Osservatore della
cacciatrice più longeva della storia, che era stato capace di far alzare non
pochi sopraccigli stupiti in certi ambienti, lo mandava veramente in bestia.
Non era stato per merito che gli avevano assegnato
-E’ una mossa inutile.
Era stata Joandra a parlare.
Sheridan si voltò a guardarla, sorpreso. Non era abitudine della minuta
donna bionda commentare così apertamente una notizia, dando la sua opinione
senza che altri avessero chiesto prima. Generalmente la si doveva pregare solo
per dire si o no a qualcosa. La parola taciturno acquisiva una nuova
definizione se applicata a lei.
-Perché?
Chiese Sheridan sorpreso ed incuriosito.
-Non avrà la maggioranza comunque in questo modo.
Dwayne la guardò un po’ accigliato.
-Stai scherzando spero. Con lui e Brightman, Marlin avrà quattro voti
contro tre, quattro considerando il valore doppio di quello di Miller. –Sorrise
perplesso. Con i suoi amici ed altri osservatori anziani aveva fatto una
scommessa qualche giorno prima. E lui, assieme a Joandra, che si era giocata
non poco, aveva puntato su Marlin vincente in questo scontro. Non capiva il
disfattismo della donna. Avevano fatto una scommessa sicura, ne era certo. -E’
una mossa geniale.
-Brightman verrà fatto fuori prima di raggiungere la votazione stessa.
Dwayne perse il sorriso mentre Sheridan sembrava improvvisamente
pensoso.
-Hai ragione, è sotto inchiesta.
A volte l’uomo si chiedeva come
Adesso come adesso sarebbe almeno dovuto essere supervisore capo del
reparto di cui si occupava ed una dei possibili candidati alle poltrone di
dirigente. Invece era supervisore di una delle sottosezioni del proprio
dipartimento, e neanche di una delle più ambite.
Sheridan avrebbe tanto voluto sapere se non aveva fatto carriera perché
aveva fatto qualcosa di troppo grosso per essere ignorato o semplicemente per
sfortuna. La donna era un’analista e per un periodo aveva lavorato sotto la
supervisione diretta di Marlin. Se avesse voluto avrebbe potuto farsi notare
dalla futura dirigente. Aveva le carte in regola per farlo.
Ma Joandra non era il tipo di donna che rispondeva ad interrogativi
simili per quanto fossero curiosi o per quanto si accanissero i suoi amici. E
nonostante la conoscesse da trent’anni la metà delle volte Sheridan non riusciva
ancora a capire il suo atteggiamento.
Rimasero in silenzio per qualche istante, osservando come la sala si
stesse riempiendo velocemente. La riunione vera e propria sarebbe cominciata in
mezz’ora, ma, dalle porte spalancate, entrava un flusso di persone quasi
ininterrotto. Gruppi di tre o quattro, od osservatori da soli, entravano e
prendevano posto sui vari ordini di scalinate.
Era uno spettacolo imponente vedere quei sedili vuoti riempirsi piano
piano fino a quando un intero mare di persone era seduto lì nel salone, gli
occhi rivolti verso il tavolo dove loro sedevano, perché era lì che le persone
importanti si sarebbero trovate.
Solo gli Osservatori Anziani e i dirigenti avevano il diritto di sedere
a quel tavolo, e la cosa rendeva fiero Sheridan.
“Ci sono arrivato, alla fine ci sono
arrivato.”
Mano a mano che arrivavano gli altri Osservatori Anziani e si
accomodavano più o meno vicino a lui, Sheridan li salutava, continuando a
parlare del più e del meno con Joandra e Dwayne e godendo appieno della
soddisfazione di sapere di essere finalmente arrivato.
Era un qualcosa di veramente unico.
Scambiò uno sguardo veloce con Dwayne, quando, qualche minuto dopo
Brightman, entrò nella gigantesca sala.
“Joandra aveva ragione.”
Quello che era stato un temuto e rispettato dirigente ora era solo uno
sconfitto in attesa del verdetto. Non era nulla di troppo evidente ma neppure
qualcosa che un occhio esperto potesse perdere.
Per prima cosa nessuno degli Osservatori Anziani si avvicinò per
salutarlo, qualcuno gli fece un cenno del capo, pochi gli rivolsero qualche
parola mentre li superava, la maggior parte lo guardava, come si guarda la
bestia più debole del branco, la prossima che sai che cadrà.
Il suo stesso portamento era cambiato. Niente più potere, niente più sicurezza
di sé. Era un uomo evidentemente sconfitto. A fermarsi a pensare che quanto
stava accadendo a lui sarebbe potuto accadere a chiunque altro di loro la cosa
diventava veramente deprimente.
Sheridan continuò a studiare il dirigente, evitando di immedesimarsi.
Non aveva alcun senso farlo, non era toccato a lui.
Era ovvio da come si muoveva e da come agiva che a Brightman rimanevano
solo un impeccabile autocontrollo e la dignità.
Sheridan era sicuro che l’uomo avrebbe fatto tutto ciò che era in suo
potere per non perdere almeno questi ultimi due.
-Così pare che alla fine Miller avrà la maggioranza. Il suo voto vale
doppio.
Disse Sheridan, oramai completamente convinto di quanto avesse detto la
donna all’inizio.
-Non è ancora detto. –Ancora una volta Joandra aveva parlato senza
essere stata prima coinvolta nella conversazione. Questo inusuale comportamento
stava cominciando a spaventare Dwayne. Se la situazione poteva influenzare a
quel modo qualcuno di indifferente come Joandra cosa poteva fare agli altri?
–Probabilmente Marlin sarà riuscita ad accaparrarsi un miracolo per spuntarla
oggi.
Lo disse con un mezzo sorrisetto sulle labbra mentre si appoggiava più
comodamente contro lo schienale della sua sedia come per godersi uno spettacolo
che stava per cominciare.
Per la prima volta Sheridan si chiese perché quella donna non avesse
voluto fare carriera.
Circa dieci minuti prima dell’inizio ufficiale della riunione entrarono
nel salone anche Marlin e Kroskj, fianco a fianco, le loro falcate lunghe e decise
come se fossero i padroni del Concilio. Erano tanto intenti a parlare tra loro,
da rivolgere solo cenni distratti della testa a chi superavano, non un
comportamento inusuale per loro.
All’ingresso del dirigente russo l’intero auditorio sembrò rasserenarsi.
Il volume delle voci diminuì un po’, molti degli osservatori si sentirono
improvvisamente meno nervosi, meno spaventati da cosa li attendeva, nonostante
la compagnia inquietante che l’uomo teneva. Molti erano convinti che se il
russo era così tranquillo non c’era nulla di cui preoccuparsi, il fatto poi che
anche Marlin si stesse comportando come se non avesse una sola preoccupazione
al mondo rafforzava questa sensazione.
Questo ebbe l’effetto di rilassare molti tra i presenti. Del resto molti
osservatori erano convinti che se i due dirigenti stavano ridendo, non poteva
star per accadere qualcosa di irreparabile.
Kroskj aveva quell’effetto all’interno del Concilio.
Tra tutti i dirigenti era il più accessibile, non si prendeva mai troppo
sul serio ed anche come persona era uno degli uomini più spiritosi che avesse
mai calcato i pavimenti di quegli immensi saloni. Aveva la capacità di far
ridere tutti, Marlin compresa. Il che gli aveva procurato una grande popolarità
tra gli osservatori più giovani e anche tra molti di quelli anziani.
Anche adesso i due entrarono con due mezzi sorrisi sulle loro labbra.
Infatti, nonostante la tensione dell’assemblea, l’importanza di quanto
stava per venire discusso, Kroskj e Marlin sembravano rilassati, addirittura
divertiti da qualcosa.
C’erano due cose che l’intera platea non sapeva e neanche immaginava
possibile, cose che avrebbero fatto cambiare radicalmente l’idea che si erano
appena fatti: la prima era che la battuta per la quale i due stavano ridendo,
l’aveva fatta Marlin e non Kroskj; la seconda e ben più importante, era che
entrambi avevano abbastanza sangue freddo da essere capaci di ridere anche un
attimo prima della loro esecuzione annunciata se trovavano divertente qualcosa.
-Un giorno mi dovrai dire come fai ad avere un effetto simile su una
platea.
Disse Marlin riferendosi alla reazione generale al loro ingresso,
sapendo perfettamente che non era la sua presenza a dare quell’effetto.
Generalmente quando entrava lei sembrava che la sala, e chiunque vi si trovasse
al momento, congelasse improvvisamente. Non un rumore troppo forte, non un
gesto avventato che avrebbe potuto attirare l’attenzione della dirigente. A
dire la verità Marlin sospettava che alcuni trattenessero anche il respiro.
-Esattamente come te. Solo che tu ti diverti a terrorizzarli. E quello
che fai tu è molto più facile, credimi. –Replicò lui, ancora con un mezzo
sorriso sulle labbra. –Ma dovevo mostrare in qualche modo di essere migliore di
te, no?
Marlin sorrise alla battuta, scuotendo leggermente la testa, stupita per
l’ennesima volta di fronte alla reazione che tutti avevano sempre alla presenza
di Kroskj.
“Se soltanto sapessero un decimo di
quello di cui è capace e di cui io sono stata testimone andrebbero tutti a correre
nell’angolo più lontano da lui, cercando di non farsi vedere.”
Quando raggiunsero il tavolo i due si separarono momentaneamente,
rivolgendosi un cenno del capo come saluto. Avevano del lavoro da fare ora.
Kroskj si fermò a parlare con alcuni Osservatori Anziani, possibili candidati a
dirigente, e Marlin andò verso Brightman. Fu una delle poche quel giorno a
fermarsi a parlare con lui. Gli porse la mano e gliela strinse amichevolmente.
-Voterò a tuo favore.
Lo informò. L’uomo quasi sorrise alle sue parole.
-Grazie, anche se non servirà a nulla.
Lo disse sinceramente grato che almeno qualcuno non si fosse già
dimenticato di lui. Di certo i suoi presunti amici si stavano tenendo alla
larga da lui al momento. Marlin annuì.
-Lo so. –La donna non si prese la briga di nascondere che la sua era una
posizione indifendibile. –Mi dispiace, con un po’ di fortuna le cose sarebbero
potute andare diversamente.
Brightman annuì a sua volta. Se Travers o Gillison fossero stati
presenti oggi le cose forse sarebbero andate diversamente. Ma non era stato
così.
-Mi godrò una pensione anticipata.
Replicò con un sorriso tirato. Era finito e lo sapeva. Non poteva fare
nulla per evitarlo. Gli rimaneva solo la possibilità di uscire di scena con un
minimo di onore.
-E’ stato un piacere averti come collega.
In effetti tra gli altri dirigenti Brightman era uno di quelli che
Marlin stimava di più. L’uomo era il rappresentante di una corrente
indipendente molto forte. L’unico sopravvissuto dell’era precedente a Miller,
era riuscito a superare brillantemente il cambio di potere, senza perdere
l’imparzialità per cui si era sempre distinto. Da sempre non votava per
alleanze ma mozione per mozione secondo quanto ritenesse giusto fare per il
benessere del concilio. Era uno dei pochi a cui non si sarebbe potuta dare
l’etichetta di conservatore o moderato, i due schieramenti in cui si divedevano
gli Osservatori. Marlin era un’altra, anche se per arrivare al potere si era
alleata con Miller, capo storico dei conservatori.
In un posto in cui l’affiliazione
ad una delle due parti segnava quasi per la vita, oppure faide e collusioni
dettavano le scelte, era dire molto.
Marlin si allontanò da lui dopo avergli stretto la mano un’altra volta.
Salutò diversi osservatori Anziani prima di andarsi a sedere, direttamente alla
sinistra della poltrona del Primo Osservatore. Un paio di posti più giù si
trovava Kroskj.
Di rimpetto a loro sedevano Dougan, Duville e Brightman, diversi posti
vuoti anche tra di loro. Delle normali dodici persone che avevano diritto di
sedere in quella che veniva considerata la parte alta del tavolo quest’oggi ne
sarebbero state presenti solo sette.
Le assenze si facevano sentire.
Dei dieci posti riservati ai dirigenti solo cinque erano stati occupati.
Marlin guardò con rimpianto alla sedia vuota lasciata per Gillison.
“La mia carta vincente.”
Peccato l’avesse persa.
“…o me l’abbiano tolta.”
L’avevano derubata della vittoria quando era ad un solo passo dal
raggiungerla. Con Gillison dalla sua parte ed una temporanea alleanza con
Brightman, Marlin avrebbe avuto il potere di decidere la totalità dei candidati
alla dirigenza.
E la cosa non le piaceva affatto.
“Ma non mi hanno ancora sconfitto.”
Magdalene si limitò a lanciare un’occhiata distratta al sedile vuoto evitando
accuratamente di mostrare qualsiasi segno di rabbia. Non strinse i denti, le
sue labbra non si tirarono, le sue mani non si strinsero. Non sembrava che le
importasse della perdita di Gillison. Ed anche se era vero che non lo
rimpiangeva come persona, di certo non era suo amico, né lo stimava quanto
Brightman, la sua scomparsa le aveva creato non pochi problemi.
Con lo sguardo superò la sedia vuota e continuò ad osservare i presenti
per giudicarne le emozioni. Era evidente che in molti erano preoccupati da
quanto stava per accadere, non che lei gli desse torto. Altri erano
semplicemente ansiosi di sapere se avrebbero guadagnato qualcosa da questa
assemblea o meno. Altri che Marlin non si sentiva di criticare.
Negli ultimi minuti la sala si era completamente riempita, mancavano
solo una manciata di ritardatari oltre al Primo Osservatore. L’ansia ed il
nervosismo erano palpabili assieme all’eccitazione di molti di partecipare per
la prima volta ad una riunione plenaria, questi ultimi erano affascinati e
quasi messi in soggezione dalla presenza di così tante persone “importanti”
nella sala.
Alla spicciolata gli ultimi ritardatari si accomodarono al tavolo, tra
di loro si trovavano anche gli ultimi due dei dodici.
“Sembra che alla fine si siano
decisi a degnarci della loro presenza.”
Salutò il primo, Jason, con un cenno del capo. Non avevano mai avuto
grandi rapporti e le cose non erano cambiate, neanche dopo la loro
collaborazione forzata riguardo al caso di omicidio di un operativo. Era
presente come capo degli operativi, e sarebbe stato anche l’unico
non-osservatore ad assistere alla riunione. Anni prima il suo posto sarebbe
stato occupato dalla guardia del corpo personale del Primo Osservatore. C’era
stato un periodo, secoli prima, in cui le Assemblee del Concilio erano
decisamente più “movimentate”.
L’altro, Giles, lo salutò con un lieve cenno della mano. L’osservatore
sembrava decisamente lusingato e pieno di meraviglia a sedere a quel tavolo per
la prima volta. Le ricordava un bambino circondato di regali il giorno di
Natale. Come da tradizione la sedia alla sua destra era rimasta libera,
riservata alla cacciatrice.
“Speriamo che non si sia messo in
testa di tradirmi e che si ricordi quale è il suo ruolo tra uno sguardo di
stupore ed un altro.”
Pensò con un sospiro irritato Magdalene. Non si fidava di lui. Neanche
un po’. Tra l’altro la irritava l’espressione di gioia infantile che aveva nel
trovarsi seduto attorno al tavolo e non sulle gradinate.
In fondo si trattava solo di una sedia attorno ad un tavolo, nulla di
cui essere particolarmente eccitati, soprattutto considerando il fatto che non
vi sedeva ancora per merito. Da sempre Marlin non poteva fare a meno di
disprezzare le persone facilmente impressionabili.
Stava concludendo il suo giro quando gli occhi le caddero anche sulla
sedia di Travers.
Quella era una storia completamente diversa.
Oggi era lì per votare contro di lui e finalmente togliergli la carica
di dirigente, bandirlo dal concilio. La sua assenza prolungata ed
ingiustificata era un motivo sufficiente per farlo decadere.
Aveva la vittoria contro Travers a portata di mano.
Sorrise al pensiero.
E questa volta avrebbe fatto in modo che nessuno potesse togliergliela.
Qualche minuto dopo, quando entrò Miller, la sala era completamente piena.
All’ingresso del primo osservatore, vestito con un elegante e severo gessato
nero, si fece silenzio. I pesanti battenti di legno intarsiato furono chiusi
alle sue spalle da due operativi. L’Assemblea era in sessione.
L’uomo attraversò l’intero salone
senza degnare alcuno di uno sguardo o di un saluto. Era il più importante e non
mancava mai di sottolinearlo più o meno apertamente.
Andò a sedersi a capotavola e si preparò a dare inizio alla riunione.
“Sembra un re pronto a dare udienza
dal modo in cui si comporta.”
Pensò fra sé Magdalene.
Ci fu un improvviso rumore, seguito da una leggera corrente d’aria.
Le porte erano nuovamente state aperte.
Sorpresi, tutti i presenti si girarono a guardare chi avesse osato
interrompere la riunione, nei loro sguardi un misto tra irritazione e stupore
di fronte al coraggio e alla stupidità necessarie per tentare una simile
azione.
Quando riconobbero l’intruso, se possibile, il silenzio diventò ancora
più profondo.
Faith, in un completo due pezzi nero, con camicia nera ed eleganti
tacchi a spillo, che le davano qualche altro centimetro di impressionante
presenza, era appena entrata nella sala grande.
Duecento anni dopo l’ultima cacciatrice che vi aveva posto piede e la
prima ad entravi senza osservatore al proprio fianco.
Magdalene sorrise fra sé alla vista della cacciatrice. Non aveva pensato
neanche per un attimo che Faith si sarebbe presentata con un elegante tailleur
nero dal taglio classico, in fondo lei era molto più tipo da jeans e stivali. “Eppure lo avrei dovuto immaginare,
considerando la sua voglia di stupire sempre e fare l’esatto contrario di
quello che ci si aspetta da lei.” Pensò ironica.
Tutti gli occhi la seguirono mentre camminava a passo lento e regolare
verso la parte alta del tavolo, con calma Faith fece contatto con quanti più
sguardi possibile, incrociandoli mostrandosi sicura di sé ed appena arrogante,
come chi sa di avere ragione.
Quando incontrò lo sguardo di Giles lo fissò per qualche istante più
degli altri. C’era rabbia negli occhi dell’osservatore, disprezzo misto ad una
nota di biasimo. Non sapendo il motivo di tale atteggiamento nei suoi
confronti, Faith lasciò che un altro po’ della sua strafottenza trapelasse
assieme a parte della ferocia e della spietatezza di cui era capace.
Giles distolse il suo sguardo mentre i suoi pensieri si accavallavano
cercando di capire cosa ci stesse facendo lì la cacciatrice invece di trovarsi
a Sunnydale a fare la ronda.
“Piccola imbecille irresponsabile,
sarebbe dovuta rimanere a proteggere la bocca dell’inferno invece di essere
qui. Aveva dato la sua parola. Invece eccola a giocare alla piccola donna.
Sapevo che non mi sarei dovuto fidare di lei.”
L’Osservatore praticamente tremava di rabbia mista a paura, mentre
contemplava le possibili ripercussioni che potevano esserci se la cosa si
veniva a sapere. Deglutì un paio di volte cercando di ignorare l’improvvisa
nausea che lo aveva colto.
“Dannazione! E non posso neanche
dire niente, mi riterrebbero responsabile dell’abbandono del posto, visto che
dovrei spiegare loro che Buffy non è lì. Non c’è soluzione. Devo solo sperare
che non accada niente e ripartire al più presto. Non mi sarei mai dovuto fidare
di lei.”
Cercando di riguadagnare un minimo di padronanza di sé Giles fece un
respiro profondo e riprese a seguire i progressi di Faith. La bruna si fermò
una volta raggiunta Marlin, a meno di un metro di distanza dal Primo
Osservatore, gli occhi dell’intera sala ancora fissi su di lei ed il silenzio
completo.
-Reclamo che la presenza della Cacciatrice, Prescelta del Destino,
Difensore dell’umanità, Baluardo contro le Tenebre e Favorita del Concilio
all’Assemblea Plenaria, sia riconosciuta dal Primo Osservatore e dall’Assemblea
tutta.
Appena aveva riconosciuto Faith Miller si era dato dello stupido per non
aver pensato a questa possibilità. Era ovvio che Marlin avrebbe cercato di
ottenere il più possibile dal fatto che entrambe le cacciatrici la sostenevano.
Anche se avere due cacciatrici attive allo stesso momento era qualcosa di
completamente inaudito, ed averne una partecipare ad un’assemblea senza
osservatore era contro ogni tradizione, si sarebbe dovuto aspettare che Marlin
sfruttasse fino in fondo ogni cosa a suo favore. Quella donna non aveva mai
fatto sconti a nessuno.
Di certo non avrebbe cominciato a farne per lui.
Faith era un voto in più a favore di Marlin per la scelta dei candidati
alla dirigenza, ma la cosa non era disastrosa per Miller. Con un po’ di fortuna
le cose sarebbero ancora andate come voleva lui ed il voto di Faith non avrebbe
significato nulla.
Questo pensiero permise a Miller di riprendersi abbastanza da rivolgere
alla cacciatrice le parole di rito.
-Il Primo Osservatore riconosce
Tutti gli osservatori scattarono in piedi per mostrare il loro rispetto
verso la cacciatrice.
“Di certo non ne provano realmente,
considerando gli sguardi che mi stanno rivolgendo. Soprattutto Giles. Di certo
non mai stato un mio fan sfegatato, ma dallo sguardo che mi ha rivolto ora
sembra che gli ho appena ucciso il gatto… Inoltre ho come l’impressione che se
venissi fulminata in questo momento esattamente dove mi trovo, visto che ho
osato dissacrare il loro tempio, scoppierebbero in un’entusiastica ovazione.”
Rifletté sarcastica Faith. La
constatazione dell’odio e del disprezzo che gli Osservatori provavano per lei
non la rese che più decisa a mostrarsi calma ed in pieno controllo sia di sé
che della situazione. Che in realtà tutto quello che avrebbe voluto fare
sarebbe stato uccidere chiunque avesse osato squadrarla male non era
importante, né lo era il fatto che avrebbe preferito trovarsi nel bel mezzo di
un nido di vampiri piuttosto che essere qui ora.
-Accomodatevi Osservatori e Dirigenti.
Era stata la voce di Faith a dare l’ordine invece che quella di Miller.
Era l’unica a poter ordinare all’intera assemblea di sedere una volta
presente. E Faith doveva ammettere che vedere tutte quelle persone che così a
lungo l’avevano disprezzata e che per così tanto tempo avevano reso la sua vita
un vero inferno, ubbidire ad un suo comando le dava un’immensa soddisfazione.
In silenzio il Primo Osservatore e tutti gli altri si sederono,
aspettandosi che Faith si accomodasse alla destra di Marlin per darle il
formale riconoscimento di osservatrice. In fondo era a lei che la cacciatrice
doveva rispondere, anche se Magdalene non era mai stata ufficialmente appuntata
come sua osservatrice.
Invece la cacciatrice si sedette alla sinistra dell’osservatrice.
Marlin sarebbe volentieri scoppiata a ridere all’espressione di stupore
sul volto di Miller e di tutti gli altri e la stessa Faith stentava a reprimere
un sorriso sarcastico.
“La riunione comincia bene. E
proseguirà meglio.”
Pensò Kroskj mentre nascondeva la bocca dietro ad una mano per evitare
che si vedesse il suo sorriso, era l’unico che sembrava trovare divertente la
scena a parte le due donne alla sua sinistra.
“Mi sarei dovuto aspettare una cosa
del genere da parte di Marlin. Dannazione, è bello stare dalla sua parte solo
per questi colpi di scena”.
Miller fu il primo a riprendersi dalla sorpresa.
Ira e disgusto presero il posto dello stupore sul suo volto.
Magdalene guardò con interesse l’espressione del Primo Osservatore.
La sorpresa doveva averlo stupito tanto da fargli dimenticare
momentaneamente di nascondere i suoi pensieri più profondi al resto
dell’Assemblea. Fortunatamente per lui quasi nessuno era concentrato a
guardarlo. Tutti gli occhi erano puntati su Faith, compostamente seduta al suo
fianco con un’espressione blanda sul volto, come se non avesse una sola
preoccupazione.
Ma quella sincera espressione di Miller confermò a Marlin quanto sapeva
già da tempo.
Si, perché al momento lo sguardo del Primo Osservatore diceva molto a
proposito delle sue convinzioni più nascoste, o perlomeno meno note.
C’era un odio infinito, irrazionale in quegli occhi, misto ad
un’incommensurabile paura.
Se in quel momento qualcun altro si fosse fermato a guardarlo con
attenzione, avrebbe facilmente capito quali erano le posizioni che il primo
osservatore aveva nei confronti dei non umani.
E di certo una cacciatrice non era umana, per quanto molti potessero
dire o pensare.
“Così da reazionario nei confronti
dell’apertura ad altri, Miller è diventato un fanatico estremista. Fobico di
qualsiasi cosa non sia umana. Non inaspettato, ma sarebbe divertente sapere
dove mette il confine tra umani dotati di potere e non-umani.”
La cosa non le piaceva affatto. Da sempre Magdalene aveva un odio
radicato contro gli estremisti di ogni genere. Generalmente attorno a loro la
gente tendeva a morire stupidamente.
-Dichiaro
La voce stentorea di Miller richiamò i presenti all’attenzione.
Gli sguardi cessarono di essere puntati solo sulla cacciatrice ed un
brusio si levò tra gli osservatori giovani ed attorno al tavolo, mentre ognuno
si consultava con il proprio vicino, il volume delle conversazioni,
incontrollato, aumentava sempre più.
L’improvvisa presenza della cacciatrice in quel salone era una cosa
troppo eccezionale per non commentarla immediatamente, nonostante il fatto che
alle riunioni si era tenuti a rimanere in silenzio a meno che non fosse il
proprio turno di parlare.
Furono in pochi a rispettar quella regola.
Sheridan e Dwayne si riscossero e cominciarono a fare supposizioni sul
motivo della presenza di Faith. Joandra quasi sorrise mentre i due amici
arrivarono alla sua stessa conclusione qualche istante dopo. La cacciatrice era
il voto necessario a Marlin per riottenere la maggioranza o perlomeno la parità
durante la scelta dei candidati al concilio.
-Silenzio!
Tuonò il Primo Osservatore
cercando di riportare ordine all’interno del salone.
Ci volle qualche secondo perché il silenzio e una qualche parvenza di
calma tornasse tra i presenti. Gli ultimi a quietarsi furono i sussurri su quanto
fosse scriteriato e del tutto fuori luogo far assistere una cacciatrice,
un’assassina dissero alcuni, ad una riunione plenaria.
Buona parte della platea era sconvolta dall’insolenza che Faith aveva
dimostrato nel venire qui oggi. Senza osservatore per giunta. Era una cosa
completamente inaudita.
Mentre gli ultimi sussurri si spegnevano, Miller lancio un’occhiata
carica di odio a Marlin. La donna non reagì minimamente alla cosa, se non con
un mezzo sorriso quasi impercettibile.
“Ci vuole ben altro per farmi
scattare Miller. E quella in vantaggio ora sono io.”
Non riuscendo ad ottenere la benché minima soddisfazione da Magdalene,
Miller fissò allora la cacciatrice, sperando di intimidirla o quanto meno di
provocarla ed avere una scusa per cacciarla dalla riunione.
Faith gli restituì lo sguardo, con uno carico di odio quanto il suo,
schiudendo appena le labbra e mostrando i denti. Non era un sorriso, era una
minaccia. Poco e gli avrebbe ringhiato contro. Anche se non sembrava era pronta
a scattare e a farlo fuori, i suoi muscoli erano tesi e con gli occhi stava
valutando Miller, non ne rimase impressionata. Le sarebbe bastato un attimo.
“Solo un attimo.”
Al contrario di molti dei presenti Faith aveva visto chiaramente la
precedente espressione di Miller. E per quanto non sapesse dire se era un odio
personale o meno, non le piaceva affatto che qualcuno la guardasse a quel modo.
L’ultimo ad averlo fatto era stato Giles. E lo aveva fatto senza un valido
motivo. Di certo la cosa non lo aveva reso una delle persone favorite della
bruna.
Se c’era una cosa che Faith non sopportava era le persone che si
credevano migliori di lei. Era una delle cose che le ispiravano violenza.
“Bastardi. Pagherei per pestare
Miller o Giles al momento.”
Pensò, stringendo di riflesso le mani. Resasene conto Faith fece un paio
di respiri profondi per calmarsi.
“Non devo lasciarmi provocare.”
Generalmente la cosa portava un mare di guai. Un infinito mare di guai.
Il pensiero la indusse a fermarsi un attimo a riflettere sulla situazione prima
di agire. Assurdamente, sapere di poterlo uccidere prima ancora che lui potesse
rendersi conto di quanto stesse accadendo, la calmò.
“Non ne vale la pena.”
Si disse. Con uno sforzo, Faith si costrinse a rilassarsi nella sua
poltroncina, mentre con gesti lenti e precisi incrociava le mani davanti a sé.
Per ultimo rivolse un vero sorriso al Primo Osservatore.
Fu quello a fermare Miller dal continuare quel duello di sguardi. Sapeva
ormai che non sarebbe riuscito a far scattare la cacciatrice ed era inutile
continuare ed attrarre l’attenzione degli altri su quanto stava accadendo.
Il rito di apertura dell’assemblea plenaria durò ancora qualche minuto.
Finalmente, sbrigate le ultime formalità, Miller iniziò la seduta vera e
propria. Quando parlò la sua voce era calma e controllata. I pochi minuti
necessari a completare la procedura gli avevano dato il tempo di calmarsi
completamente.
-La prima voce dell’ordine del giorno è la discussione sui risultati
dell’inchiesta sul dirigente Brightman. –Sentendo il suo nome, l’uomo si drizzò
quanto possibile e rivolse uno sguardo di fredda indifferenza verso Miller. Il
Primo Osservatore lo guardò di rimando, lasciando trasparire un po’ della
soddisfazione nel vederlo finalmente sconfitto. –Dirigente, vuole aggiungere qualcosa?
Brightman avrebbe potuto dire molte cose. Urlare che era solo una
manovra politica per liberarsi di lui, che le prove presentate erano state
fabbricate, che i testimoni ascoltati erano stati corrotti. E sarebbe stato
comunque del tutto inutile. Quello cose già si sapevano e non aveva fatto
alcuna differenza.
Il suo verdetto era stato scritto prima ancora di essere pronunciato.
-Mi dichiaro estraneo ai fatti Primo Osservatore.
“Puoi condannarmi ma non puoi
umiliarmi Miller.”
Brightman continuò a sostenere lo sguardo del Primo Osservatore. Non
aveva nulla da nascondere.
-Bene. –La voce di Miller era arrogante e quasi sprezzante. –Signori
dirigenti, votiamo. Chi ritiene il signor Brightman colpevole alzi la mano. –Si
alzarono le mani. Prima quella di Miller, poi fu la volta di Dougan e Duville.
Marlin lo guardò freddamente negli occhi mentre si procedeva alla votazione. Il
divertimento dell’uomo era ovvio e lui non stava facendo nulla per
dissimularlo. –Con tre voti a sfavore dichiaro il dirigente Brightman colpevole
dei reati ascritti. E’ pertanto sollevato dal suo incarico ed espulso dal
Concilio degli Osservatori.
Anche se tutti si aspettavano questo risultato, l’annuncio del Primo
Osservatore gelò l’intera sala. Nessuno osava respirare.
“E così siamo rimasti solo in cinque, di cui
uno beatamente assente.”
Pensò Magdalene. Non sapeva esattamente perchè, ma la cosa la
disturbava.
Con un mezzo sorriso sulle labbra Miller si rivolse al resto
dell’Assemblea per illustrare il successivo punto all’ordine del giorno. Per
qualcosa come due ore e quaranta minuti il Primo Osservatore continuò ad
affrontare un punto alla volta l’ordine del giorno. Le azioni disciplinari da
prendere contro questo o quello, i premi e gli elogi da distribuire, le nuove spedizioni
di ricerca dei manufatti e dei manoscritti. Lanciando lo sguardo più volte
nella direzione della cacciatrice Miller si rese conto che per tutto il tempo,
Faith aveva seguito le discussioni con una perfetta espressione di educato
interesse sul volto. Talmente perfetta da risultare totalmente falsa.
Ogni volta che voltava lo sguardo e la notava con la stessa identica
espressione il Primo Osservatore sentiva la rabbia montargli dentro. Molti
dagli spalti cominciarono a trovare la cosa divertente. Non erano pochi tra gli
Osservatori giovani, e qualcuno anche tra gli anziani, a trovare mortalmente
noiosa questa parte della riunione.
Poi, una volta finito il programma ufficiale, a sorpresa Miller puntò la
sua attenzione su uno dei temi più controversi del momento.
-Accuso ufficialmente il dirigente Travers di assenza ingiustificata e
chiedo sia rimosso dal’incarico.
L’improvviso cambiamento di rotta nel comportamento di Miller attirò
immediatamente l’interesse di Marlin. Mentre il resto dei presenti discuteva
dello status di Travers, di se e perché era colpevole di assenza
ingiustificata, Magdalene rifletteva.
Questa decisione di Miller di andare contro Travers non aveva alcun
senso. Marlin aveva pensato che sarebbe stata necessaria una petizione
personale per far affrontare l’argomento all’assemblea, non che il Primo
Osservatore le fornisse l’occasione perfetta per eliminare Quentin.
Non gli avrebbe portato alcun vantaggio nella scelta dei candidati a
dirigenti che si stava per tenere. I voti sarebbero ancora rimasti quattro a
tre a favore di Marlin.
Inoltre silurare a questo modo Travers gli avrebbe fatto perdere
l’ultimo spauracchio che aveva contro di lei. Da molto tempo Quentin funzionava
da cane da guardia nei suoi confronti.
Attorno a lei il dibattito continuava.
Marlin si girò a guardare Miller cercando di valutare cosa potesse
ottenere da questa nuova espulsione.
Il Primo Osservatore incrociò il suo sguardo e le sorrise.
“E’ una trappola.”
Avrebbe potuto dirglielo per quanto era chiaro. Ma non era mai stato
difficile per Marlin capire quando Miller stava per attuare qualche piano. Il
problema era capire quale fosse e la donna aveva la sgradevole sensazione di
avere veramente poco tempo per farlo e solo una possibilità di indovinare.
Le discussioni continuarono per circa mezz’ora senza che Magdalene
riuscisse a capire a cosa mirava il
Primo Osservatore. Furono in molti a parlare. Equamente suddivisi tra
favorevoli e contrari a dire la verità, ma tutti sapevano che la posizione di
Travers era del tutto indifendibile.
Alla fine dell’ultimo intervento Miller le rivolse un mezzo sorriso
prima di parlare.
-Abbiamo sentito le opinioni di stimati colleghi ed osservatore. Ora,
signori dirigenti, vi prego di votare.
La mano di Duville fu la prima ad alzarsi.
Poi, lo sguardo di Miller si posò nuovamente su Marlin sfidandola a dare
il proprio voto. Dopo anni di lotte infruttuose le aveva appena servito la
possibilità di liberarsi del suo più antico nemico. Senza contropartita, senza
motivo.
Avrebbe solo dovuto alzare la mano, Kroskj avrebbe votato come lei, ed
assieme a Duville avrebbero raggiunto la maggioranza.
Niente più Travers.
Magdalene scrutò ancora una volta nello sguardo di Miller.
La stava guardando come un predatore che sa già da che parte scapperà la
sua preda.
La tentazione di alzare la mano era forte.
Venti anni di faida chiusi.
Vittoria su Travers.
Un nuovo posto da riempire per un candidato.
“Un nuovo posto di dirigente
libero.”
In quel momento capì.
Marlin scosse la testa e parlò.
-Ritengo il dirigente Travers del tutto innocente.
Ma era troppo poco troppo tardi. Non avrebbe più potuto chiedere la
parola e tentare di convincere Dougan o Duville a votare contro la mozione
ormai, sempre ammesso che fosse stato possibile convincerli a farlo.
Marlin sapeva che era un gesto inutile ma lo fece ugualmente. Anche con
il voto contrario di Kroskj la mozione sarebbe passata esattamente come la
precedente.
Troppo tardi si era resa conto di quanto stava architettando Miller. Non
c’era nulla che potesse fare.
Era tutto perso.
Kroskj la stava guardando come se avesse perso la ragione. Il sorriso
soddisfatto e felice, perché la sua amica finalmente era arrivata alla propria
vendetta si dissolse. Allo sguardo di Miller anche lui scosse la testa per votare
in favore di Travers, anche se non riusciva a capire il motivo del gesto di
Marlin.
Il sorriso del Primo Osservatore non si spense nel notare i due voti
sfavorevoli.
Al contrario il suo sorriso si fece ancora più largo. “Anche se non si distruggerà con le sue mani, sarà comunque
distrutta.” Votò contro Travers, fissando intensamente Marlin.
Sapeva che la dirigente aveva capito quale era il suo piano.
Arrivare ad avere un concilio con solo quattro dirigenti.
Il numero necessario perché il Primo Osservatore potesse dichiarare lo
stato di emergenza. E con esso assumere pieno potere di destituire o nominare i
candidati al posto di dirigente.
Sia Miller che Marlin si voltarono a guardare Dougan.
Mancava solo il suo voto.
-Dichiaro il dirigente Travers, innocente.
Lo sguardo sbalordito di Miller era quasi divertente da vedere. La
stessa Marlin era stupita dall’improvviso voltafaccia di Dougan.
L’uomo se ne stava lì, seduto come niente fosse. Aveva appena impedito
che l’intero concilio cadesse nelle mani del Primo Osservatore e se ne stava
seduto lì come se nulla fosse. Non era una decisione dell’ultimo secondo.
Doveva essere stata una mossa premeditata.
“Questa volta è Miller ad aver perso
quando aveva la vittoria in pugno.”
Marlin doveva ammetterlo. Era estremamente divertente come cosa.
Era un piccolo quartiere residenziale ben tenuto, appena decentrato,
costruito da non più di una ventina di anni. Non particolarmente lussuoso, anche
se le villette a schiera erano abbastanza grandi da testimoniare il benessere
delle famiglie che ci abitavano.
Così la sua famiglia, almeno il ramo materno, era benestante.
La cosa le fece piacere, sollevandola in qualche modo.
Buffy si era fatta lasciare dal taxi un paio di isolati prima, decisa a
fare a piedi l’ultimo tratto di strada. Per schiarirsi le idee, si era detta.
Era stata una passeggiata piacevole, l’aria fresca ma non fredda, il sole
coperto da qualche nuvola sparsa.
“E’ una giornata incantevole.”
Una parte del cervello della bionda aveva registrato questa notizia in
un piccolo cantuccio, relegandola tra le cose non importanti. Nello stato in
cui era ora Buffy faticava molto ad accorgersi di quanto le stava attorno se
non della distanza che la separava dalla sua meta. Tutto il resto non era altro
che un contorno sfocato. Intellettualmente sapeva che se non fosse stato per il
motivo per cui era qui si sarebbe goduta quella passeggiata molto di più, ma
praticamente della cosa non le importava assolutamente nulla.
A mano a mano che si avvicinava all’indirizzo che l’agenzia
investigativa le aveva dato, i suoi pensieri caotici improvvisamente
rallentarono, come trovando finalmente pace, per la prima volta da quando aveva
avuto tra le mani i risultati delle ricerche. Di sicuro l’idea della
passeggiata aveva funzionato.
“Dio, le ho fin troppo chiare le
idee”.
Era arrivata davanti al numero civico 23, lei cercava il 30. Rallentò il
passo, cominciando a guardare con più attenzione le case dall’altra parte della
strada, fino a trovare quella che le interessava.
Davanti era parcheggiata una berlina nera, un B.M.W. vecchio di qualche
anno, le finestre coperte da tendine bianche, il giardino ben tenuto con alcune
aiuole piene di fiori. Dovevano essere in casa. Aveva aspettato apposto quasi
l’ora di cena per venire, per essere certa di trovarli.
Buffy raggiunse la casa e si fermò incerta se attraversare o meno la
strada. Una macchina la superò lenta, svoltando a destra all’incrocio
successivo. Sembrava un buon posto per crescere. Poco rumore, traffico
limitato, una zona sicura. Alcuni ragazzini stavano giocando a pallone assieme,
in un cortile diverse case più avanti. La gente camminava pigramente lungo i
marciapiedi, ovviamente passeggiando, senza dover necessariamente arrivare da
nessuna parte.
Un posto idilliaco.
In tasca Buffy si stava tormentando le mani con le unghie, le tremavano
leggermente. Non riusciva a fermarle.
Fece un respiro profondo per calmarsi e ripensò alla conversazione che
aveva avuto il giorno prima con Willow.
Ma durante la notte, mentre si girava insonne nel proprio letto, la
cacciatrice non aveva potuto fare a meno di notare una certa mancanza di
sostegno da parte di Willow, non che non l’avesse confortata, ma era sembrata
piuttosto distaccata e sbrigativa prima della partenza. Il che non aveva fatto
che aumentare i dubbi nati prima. Buffy aveva cercato di ignorare la cosa,
ripetendosi che non era altro che paranoia dovuta all’insicurezza che provava
in quel periodo. Che ci potevano essere migliaia di ragioni per la azioni di
Willow, sempre supposto che fossero vere. Ed oltre a dubitare di
quell’amicizia, Buffy cominciava ad avere dubbi sul continuare o meno quella
ricerca.
Così, a metà della notte aveva rinunciato a dormire ed aveva chiamato
Sunnydale.
“In fondo una famiglia l’ho già.”
Aveva detto all’amica durante la telefonata. “E noi ci saremo sempre.” Aveva
risposto immediatamente Willow. In quel momento la cacciatrice si era sentita
veramente meschina all’aver dubitato dell’amicizia della ragazza.
Aveva fatto bene a telefonare, sentire l’amica l’aveva tranquillizzata
non poco e quando finalmente aveva rimesso a posto la cornetta, Buffy si era
sentita meglio, più sicura di voler andare avanti con la sua ricerca.
Ricacciò gli ultimi dubbi indietro e guardò la casa di fronte a sé con
più attenzione. Cercando di notare i particolari che la caratterizzavano. I
vasi appesi ai balconi del secondo piano ad esempio, le tendine colorate di
quella che doveva essere la cucina, in contrasto con quelle crema del salone,
l’abbaino della soffitta socchiuso.
Non sembrava muoversi niente, non sentiva nessuno rumore provenire
dall’interno.
Si passò le mani tremanti fra i capelli, cercando di aggiustarli meglio,
poi risistemò anche i vestiti, un abbigliamento quasi elegante, pantaloni da
pomeriggio, camicetta e un cardigan. Ci aveva messo due ore per scegliere cosa
mettersi. Lo stomaco le dava strane sensazioni, neanche fosse sulle montagne
russe, deglutì nervosamente. Doveva decidersi, era troppo tempo che stava ferma
lì, se fosse rimasta ancora avrebbe attirato la curiosità della gente.
Dieci metri. Doveva fare soltanto dieci metri. La porta marrone con la
maniglia in ottone laccato era direttamente davanti a lei.
Poi si girò e tornò da dove era venuta. Prima aveva superato una fermata
dell’autobus, lo ricordava, altrimenti avrebbe chiamato un taxi.
“E’ un errore, è tutto un stupido
errore. Io non c’entro niente qui.”
Bussarono alla porta, tre colpi leggeri ma decisi. Faith squadrò
l’ingresso indecisa sul da farsi. Aveva sentito i passi, che aveva riconosciuto
come maschili, avvicinarsi lungo il corridoio ed aveva sperato che
proseguissero oltre, senza fermarsi.
Ovviamente non era successo.
E qualcosa le diceva che non ne sarebbe venuto nulla di buono.
“Perfetto, semplicemente perfetto.”
Dopo le cinque ore di riunione plenaria Faith era decisamente stanca
oltre che essere veramente di malumore. Troppo parlare e poco agire, minacce
velate e giochi d’attesa per i suoi gusti. Aveva fatto la sua parte, il killer
duro ed efficiente ma anche capace di pensare, e l’aveva interpretata
decisamente bene, del resto capire quei discorsi non le era mai stato
difficile, semplicemente le risultava mortalmente noioso giusto noioso.
“E scommetto che molti di quelli lì
dentro non arrivano ad afferrare neanche la metà di quanto è successo tra
Marlin e Miller.”
Quindi il pensiero di ignorare l’uomo dall’altra parte della porta la
tentava molto.
Bussarono di nuovo. Faith si mise a sedere sul letto, decidendo di
rinunciare al suo tentativo di sonnecchiare per qualche altro minuto.
-Avanti.
Non aveva voglia di chiedere chi fosse.
Entrò un ragazzo sulla trentina, capelli biondi ed una faccia lentigginosa
slavata, del tutto privo di espressione.
“Perfetto mi ci mancava proprio
una chiacchierata con l’automa senza cervello”.
Pensò sarcastica già rimpiangendo la decisione di farlo entrare.
“Del resto tutti noi commettiamo
imperdonabili errori nella nostra vita,
a cui non possiamo rimediare…”
L’uomo si fermò sulla soglia senza muoversi, una mano sulla maniglia
della porta, l’altra che si muoveva nervosamente, senza fermarsi un attimo,
passando dalla tasca dei pantaloni di velluto a coste ai capelli. La
cacciatrice avrebbe detto che stava tremando leggermente.
Faith avrebbe potuto metterlo a suo agio, offrirgli qualcosa, oppure
alzarsi ad accoglierlo.
Rimase seduta sul letto, squadrandolo, misurandolo, facendo passare
lunghi secondi prima di ringhiargli contro la successiva domanda.
-Cosa vuoi?
Faith non ne era sicura, ma il tipo doveva essere uno degli osservatori
giovani, o come cavolo li chiamavano. Le sembrava di averlo visto alla
riunione, prima, sulle gradinate di fronte a sé, tra le prime fila. Lui alzò lo
sguardo dal pavimento, che aveva improvvisamente attratto il suo interesse non
appena gli occhi di Faith avevano sfiorato i suoi, incrociando solo per un
attimo quello della cacciatrice prima di vagare per la stanza. La cacciatrice
notò che gli occhi del ragazzo erano piccoli, troppo per quel viso. Di certo
non contribuivano a dare una buona prima impressione dell’osservatore.
Mentre il suo sguardo girovagava per la stanza, l’uomo si ritrovò a
pensare che l’alloggio non somigliava per niente a come se lo era immaginato.
Di certo non lo aveva supposto così spoglio. Si era aspettato qualcosa
di lussuosamente arredato, a testimonianza della posizione che Faith aveva
raggiunto, e pieno di armi, magari antiche, per via del ruolo della ragazza.
Ma soprattutto lo aveva immaginato più grande. In fondo Faith era, come
il vice capo degli operativi, una delle persone più influenti del concilio. Se
non un intero appartamento l’osservatore si era aspettato almeno una suite, con
un paio di camere. Non una stanza.
E di sicuro non una stanza simile. Doveva essere uno di quegli alloggi
temporanei assegnati agli osservatori di passaggio per qualche giorno, e da
quello che vedeva probabilmente l’intero arredamento era quello standard
fornito dal concilio.
Persino lui nella propria stanza aveva appeso stampe alle pareti,
aggiunto mobili, liberandosi appena possibile dell’orrida scrivania che vi
aveva trovato. Insomma, per quanto possibile, l’aveva resa accogliente.
Questo posto invece era freddo.
Non più anonimo nella sua ordinaria uguaglianza a tutti gli altri
alloggi temporanei, ma ostile.
-Piuttosto spartano come alloggio.
Lo disse mentre faceva un insicuro passo avanti, per aprire il discorso,
spezzare un po’ della tensione che sentiva nell’aria. Quella stanza lo metteva
a disagio. Quella ragazza lo metteva a disagio. “Santo cielo, ed ancora non ha detto una sola parola..”
Sinceramente avrebbe voluto essere in un qualsiasi altro posto piuttosto che in
questo alloggio.
La cacciatrice non rispose, limitandosi a fissarlo.
-Non che sia brutto, per carità, molto… spartano ecco.
Faith continuò a rimanere in silenzio. Non era qui per fare la
baby-sitter di uno che a trent’anni non sapeva neanche cominciare un discorso.
Soprattutto non quando era di cattivo umore. Ed al momento era di pessimo
umore.
“Tanto peggio per lui se ha un
pessimo tempismo…”
-Se hai qualcosa da dirmi, dilla, altrimenti usa quella dannata porta
per sparire di qui.
La frase sembrò toglierlo d’impaccio, almeno un po’. Gli occhi tornarono
sul volto di Faith, senza guardarla direttamente, mentre muoveva qualche altro
passo in avanti. Non era sicuro di sé, assolutamente no, ma almeno non era più
completamente paralizzato.
-Posso sedermi?
Indicò la sedia della scrivania.
Faith fu tentata di dire di no, molto tentata. Ma voleva anche liberarsi
dell’idiota in un tempo decente, quindi annuì.
“Magari me ne riuscirò anche a
liberare in tempo per potermi riposare un po’…”
-Io sono… un rappresentante… diciamo… potrebbe esserci un gruppo di
individui, che in caso di un vuoto di… come dire… potere… potrebbero… in linea
del tutto teorica… arrivare ad essere… il nuovo consiglio degli osservatori…
-Cosa volete da me?
Lo interruppe. Le ci mancava solo qualcuno che le proponesse un
bell’omicidio su commissione quest’oggi. Non che fosse contraria all’idea di
principio, e sul resto si poteva discutere. Era il tipo che parlava che non le
piaceva.
-Ecco… noi… insomma… non crediamo che il primo osservatore… sia
esattamente… il migliore che si sia mai avuto…
“Come diplomatico avrebbe potuto
anche fare carriera, tremolio nella voce a parte.”
Rifletté la cacciatrice.
Era spaventato per bene, le mani ancora gli tremavano leggermente, anche
se le teneva incrociate, i gomiti poggiati sulle gambe. Probabilmente si
aspettava che lei gli saltasse addosso e lo sgozzasse per il puro piacere di
sporcarsi le mani di sangue.
Faith gli sorrise cattiva.
Solo per vedere la reazione che ci sarebbe stata.
“Mi diverto con poco di questi
tempi…”
Pensò fra sé sarcastica.
Di fronte a quel sorriso, il ragazzo smise di parlare e deglutì
visibilmente, allargandosi nervosamente il colletto della camicia, prima di
proseguire.
“E’ quasi divertente vederlo tremare
di terrore…”
-….ecco… in cambio del posto… per me… e … per altre persone… come
dirigenti… noi… ti sosterremmo come capo del Concilio.
“ok, questo è sorprendente.”
Faith scoppiò a ridere in maniera incontrollabile. Il ragazzone se ne
risentì, ed il suo volto si piegò in una smorfia ma senza riuscire a decidersi
se offendersi, oppure rilassarsi di fronte alla reazione della bruna. In fondo
se rideva era improbabile che lo ammazzasse.
-E chi sareste?
Chiese la bruna un paio di secondi dopo, ripresasi dalla risata, ma con
ancora un mezzo sorriso sulle labbra.
-Siamo quaranta osservatori, tre anziani, più un dirigente. Non posso
fare i nomi.
Faith inarcò un sopracciglio alle parole.
“La cosa è più seria del previsto.”
Sempre che fosse vero.
La bruna si passò distrattamente una mano sul collo, massaggiandoselo
appena. Se mandavano gente così a contattare il capo della supposta fazione,
non doveva esserci niente di sicuro, e se c’era qualcosa di sicuro, con questo
genere di organizzazione alle spalle, sarebbe stato molto meglio non averlo.
-La risposta è no. Non farò parte della vostra piccola cospirazione.
Replicò semplicemente.
-Perché mai?
L’osservatore sembrava offeso dal semplice e immediato rifiuto.
Faith si asciugò le lacrime che le erano uscite dagli occhi a causa
delle risate, e rispose, completamente seria ora. L’unica cosa buona della
faccenda era che, nel giro di due giorni, la storia del golpe le aveva
procurato grandiose risate.
-Perché io non vado in giro a guidare concili. Non mi interessa
comandare qualche centinaia di ricercatori ed un pugno di mercenari. Io bado ai
miei interessi e non ho alcuna intenzione di cacciarmi in un vespaio simile.
La sua espressione ora ricordava quella di un cuccioletto smarrito.
Faith sospirò mentalmente prima di risistemarsi i capelli con una mano.
-Ora ragazzo, vedi la porta? Usala.
Non gentile, per nulla cordiale, dal tono decisamente definitivo e quasi
minaccioso. Ma una frase perfetta per liberarsi del ragazzo che scattò in piedi
dalla sedia e si precipitò fuori dalla stanza senza neanche chiudere la porta
dietro di sé.
Faith si alzò, indolente, raggiungendo l’ingresso e chiudendolo a
chiave. La serratura l’aveva montata lei stessa tempo prima, uno dei pochi
cambiamenti che aveva apportato alla stanza. Non era certo a prova di scasso,
ma almeno obbligava chi volesse entrare a forzarla. Serviva giusto per
affermare la sua proprietà di quel luogo. Quanto al caso in cui fosse stata
presente al momento del tentativo di effrazione, il rumore dei movimenti dei
supposti intrusi l’avrebbero svegliata di gran lunga prima che chiunque riuscisse
ad entrare nella stanza.
Se ne tornò a letto, decisa a dormire.
Le cose non andavano affatto bene. Si era formata un’altra fazione. Ma
non era questo a preoccuparla davvero. Era la facilità e la chiarezza con cui
l’avevano contattata. Se la gente andava in giro a progettare tradimenti con i
primi venuti, di cui non conosceva niente, e lo faceva senza alcun timore, non era affatto buon
segno.
Doveva trovare un modo per andarsene da lì.
By Silea
Angel era seduto dietro la scrivania dello studio, immerso in lugubri
pensieri.
Era uno di quei momenti in cui tutti i fatti negativi della tua vita ti
si ripresentano alla mente e ti fanno chiedere se era valsa veramente la pena
di soffrire così tanto per poter vivere. Angel sapeva che la risposta era si,
aveva detto si anche quando era stato all’inferno, ma qualche volta diventava
malinconico, e si sentiva oppresso dalla cappa dei ricordi.
Perché, nonostante quello che dicevano gli altri di lui, della sua
tendenza la masochismo, del suo essere sempre depresso, spesso Angel era solo
riflessivo. Pensava a quello che era avvenuto decine di volte, quello si, ma
non erano sempre pensieri tristi o pieni di rimpianto. Spesso era soltanto la
sua assenza di vocalizzazione che lo rendeva così malinconico agli occhi degli
altri.
Sarebbe passato. Lo sapeva. Ma al momento faceva veramente male. Lui non
trovava spesso amici, e perderli aveva sempre significato molto per lui. Anche
prima di essere maledetto, perché di certo gli zingari non gli avevano
restituito l’anima per fargli una cortesia, ma per farlo soffrire e rovinargli
la vita, erano stati pochi e rari gli esseri che aveva mai definito come amici.
Doyle, lui era stato il suo unico vero amico in quasi un secolo.
“Tre, se considero il ‘soggiorno’
all’inferno…”
Angel sprofondò un po’ di più nella poltrona, rilassandosi
completamente. Si abbondò al filo dei ricordi, passò in rassegna i suoi
migliori e ne scelse uno, semplice, per nulla complesso senza forti e contrastanti
emozioni collegate, per tirarsi fuori da quella specie di depressione in cui
era caduto.
Ricordò un dialogo avuto con una ragazzina qualche dopo l’inizio del
ventesimo secolo.
Non ricordava esattamente neanche in che anno era successo, né il luogo,
ma gli piaceva richiamare alla mente gli occhi di lei, nocciola chiaro, appena
sfumati nei contorni, la sua risata, ne aveva sentite poche di così belle. In
effetti, per quanto assurdo lo avrebbero creduto gli osservatori, Angel aveva
sempre amato le risate.
Quella sera loro due non avevano parlato di nulla di profondo,
trascendentale, avevano osservato il gattino della ragazza fare acrobazie e poi
si erano messi a discutere sui felini in genere. Era intelligente quella
ragazzina, fin troppo per l’epoca in cui era vissuta. Avevano passato una
serata splendida accanto al fuoco, raccontandosi storie. Dopo tanti anni di
vita e massacri, Angel era rimasto affascinato dalla giovinezza della ragazza,
dalla sua curiosità. Le persone curiose avevano sempre avuto la sua innata
simpatia.
Era stato un incontro inaspettato ma decisamente piacevole. Angel
ricordava che non era stata una cosa programmata, più una serie di circostanze
a portarli a dividere quella serata, prima di tutto in quel periodo era lui
stesso ad evitare per quanto possibile il contatto con gli umani.
Quella serata era stata un’eccezione in tante cose.
Sentì un leggero bussare alla porta.
-Prego.
Liz entrò nello studio, vestita elegantemente, con i capelli acconciati.
-Hai superato la fase “oddio, sono
terribilmente depresso e addolorato, la vita non ha più senso, c’è troppo
dolore in essa”?
-Si, ma da poco. Ero in pieno
“rivanghiamo memorie di gioventù e speranze di vita”.
Eliza sorrise sollevata, se scherzava Angel doveva stare meglio.
-Perfetto, quindi possiamo procedere ad una serata di divertimenti,
giusto?
Angel sorrise un po’ di sbieco.
-Non sono sicuro di essere ancora pronto all’idea.
-Lo sai? Sei uno che pensa troppo anche per chi ha l’eternità davanti.
Non che lei avesse torto. Non gli avrebbe fatto male almeno informarsi
educatamente.
-E dove dovremmo andare?
Angel era sospettoso, non la conosceva abbastanza da sapere cosa
intendesse lei per divertimento.
-Proporrei una discoteca metallara, piena di gente con piercing,
tatuaggi e coltelli. Poi non so, qualche locale illegale di lotta….hum… ora che
ci penso non mi sembri il tipo.
Il sopracciglio alzato sul volto del vampiro era molto eloquente.
-L’idea era una cena in un piccolo ristorante qui vicino, dove preparano
zuppe fantastiche, poi una serata ad un concerto.
-Che musica?
Chiese il vampiro senza sbilanciarsi.
-Classica.
Ora era davvero interessato. Era da parecchi anni che non ascoltava
musica classica dal vivo. Il vampiro sorrise, era quasi convinto.
-Accetto con piacere. Ma ti dovrai accontentare di un accompagnatore
piuttosto miserabile. -Indicò i suoi abiti informali. –Non so se vorrai
rovinarti la reputazione con un derelitto simile al tuo braccio. –Aggiunse con
un sorriso.
Angel non ricordava quanto fosse passato dall’ultima volta che aveva
scherzato a quel modo con una donna.
-La scusa non regge. In camera tua si trovano uno smoking ed un abito
scuro. Scegli quello che preferisci, ti aspetto in salone.
All’uscita dalla sala concerti stavano ridendo allegramente braccio
sotto braccio. Angel aveva scoperto di avere molte cose in comune con Liz,
senso dell’humor compreso. Era tanto che non rideva così. Dall’ultima volta che
lo aveva fatto con Doyle.
-Non male come concerto, ma una volta avevano tutto un altro fascino.
Liz scrollò le spalle.
-Cosa vuoi farci, l’epoca moderna è quella che è. Molto meglio di sicuro
della musica del quattrocento.
Un brivido corse lungo la spina dorsale di Angel. Aveva assistito ad un
concerto di quel genere di musica. Era stata Darla ad insistere, gli aveva
elencato una serie di motivi allora validi, tra l’altro quella sera
all’esibizione avrebbe assistito il fior fiore della società e la vampira aveva
bisogno di fare la conoscenza di alcuni dei presenti. Alla fine lui aveva
ceduto.
Lo avrebbe rimpianto
Per l’eternità.
Era stata davvero una delle esperienze peggiori della sua vita. Dopo la
prima ora avrebbe sbattuto la testa contro un muro, ce ne fosse stato uno
disponibile. Invece aveva stretto i denti e sopportato tutto il concerto.
Fare una scenata in quel posto sarebbe stata una pessima idea. Lui e
Darla stavano lavorando ad un progetto da mesi, facendosi passare per umani, un
gesto simile in un posto pubblico era l’unica cosa che non potevano davvero
permettersi.
Giunse anche la fine del concerto, quando Angel era quasi disperato. Si
era alzato ed aveva lasciato la sala in fretta fermandosi solo all’ingresso per
parlare con altri spettatori. Alcuni erano stati entusiasti.
Poi, quella notte stessa, aveva ucciso direttore ed orchestra.
Dolorosamente.
Non si pentiva di averlo fatto neanche oggi. Assolutamente.
I due camminarono per un po’ in silenzio. Stavano bene.
Angel era diventato da tempo un cultore dei silenzi. Adorava
semplicemente passare tempo con i suoi amici, senza niente da dire, senza
niente da fare.
I silenzi erano anche l’unica cosa in grado di farlo parlare.
-Sai, la sua amicizia mi manca.
Liz annuì. Naturalmente era capitato anche a lei di perdere qualcuno. E
già altre volte a lui. Ma Angel semplicemente ne voleva parlare. Ne aveva
bisogno. Liz non gli avrebbe negato un po’ di attenzione ed un minimo di
supporto.
-Per noi non è mai facile trovare un amico. Con il tempo la nostra
personalità diventa più complessa, e non tutti sono in grado di capire o perlomeno
accettare tutto le sfaccettature che abbiamo…e nell’amicizia la comprensione è
essenziale. E quindi significano sempre molto per noi.
Il vampiro annuì.
-Mi sento solo ora che non c’è più. Non immaginavo…
“Chissà cosa non immaginavo, io che
penso sempre a tutto.”
-Non immaginavi… ma lo sapevi, lo hai sempre saputo. –Replicò Liz.
–Nella nostra vita gli umani vanno e vengono, anche quelli che vorremmo
restassero.
“Soprattutto loro”. Quanti ne aveva visti morire. I primi anni, le prime volte che qualcuno
di loro non c’era stato più, era stato un vero inferno per Eliza. In quei tempi
trovare un vero amico, per lei, una donna in un universo maschile, era stato
praticamente impossibile.
-Speravo in più tempo.
La voce di Angel si era fatta triste.
-Uno, dieci o cento anni sarebbero sempre troppo pochi. Non cambierebbe
nulla, lo sai. Per noi, loro stanno sempre per morire.
Angel la fissò ma Liz guardava per terra, assorta nei suoi pensieri.
Sembrava anche lei preda dei ricordi. Il vampiro decise di non disturbarla,
aspettando qualche secondo prima di parlare nuovamente.
-Questo non ti ferma dall’avere amici mortali, come Faith…
-Faith è brava con le sfaccettature… -Disse Liz con un mezzo sorriso ed
una scrollata di spalle. –Ed io so in ogni momento che un giorno lei e gli
altri non ci saranno più.
Non le piaceva parlarne. Era ancora un inferno ogni volta che perdeva
qualcuno. Solo sapeva che poi il dolore sarebbe diminuito.
Ed era la verità, inutile sprecare tempo ed energia a negarla.
-E allora perché continui a fare una cosa simile?
Non era curiosità, lui conosceva gia la risposta, ma la voleva sentire
detta da qualcun altro. Voleva essere rassicurato che stava soffrendo per un
motivo valido.
“Un comportamento molto umano per
essere un vampiro…o perlomeno un comportamento che gli umani si arrogano con
diritto esclusivo…”
Pensò fra sé Liz.
-Si chiama vivere Angel, e la morte ne fa parte. E’ un gioco crudele a
volte. Lo sai bene quanto me. –Liz lo fissò negli occhi per un attimo prima di
proseguire. –Anche se in questo momento vorresti ignorarlo, e semplicemente
urlare fino a che finisca la tua voce… e scendere fino all’inferno per far
tornare il tuo amico.
Continuarono a camminare in silenzio.
Piegò l’ultima camicia e la ripose sopra ai completi, e poi, dopo aver
aggiunto le ultime cose che aveva lasciato in bagno, chiuse il bagaglio.
Ora era pronto a partire, impermeabile in una mano, la valigia nell’altra,
vestito perfettamente stirato e cravatta impeccabile. Giles si sentiva
completamente inglese e non poté evitare di guardarsi allo specchio ed
ammirarsi con un po’ di nostalgia. Gli era mancata questa sensazione.
Uscì dalla stanza, metodico, e si incamminò flemmatico verso
l’ascensore. Il suo volo per l’America sarebbe partito tra tre ore, tra venti
minuti sarebbe dovuto andare a prendere l’elicottero che lo avrebbe portato
all’aeroporto.
Non andò direttamente alla piattaforma di atterraggio, si diresse invece
verso gli uffici dei dirigenti, la valigia visibile a tutti quanti. Se ne stava
andando e lo voleva far sapere a tutti. Prima però sarebbe dovuto andare a
parlare con Marlin.
Si fermò davanti alla porta della sua segretaria, aspettando educatamente
che finisse la telefonata che stava facendo prima di rivolgerle la parola.
L’assistente sapeva chi era e si dimostrò gentile e disponibile nei suoi
confronti. La cosa gli fece un enorme piacere. La carica di osservatore della
cacciatrice conferiva molto prestigio ed era bello essere finalmente in un
ambiente dove questo rispetto ed ammirazione erano ritenuti completamente
naturali ed espressi pienamente.
-Signor Giles è un piacere rivederla. Credo che Miss Marlin la riceverà
subito, mi faccia controllare. Intanto, la prego, si accomodi.
Dopo un colpo educato alla porta, la donna si affacciò un attimo
nell’ufficio, scambiando un paio di frasi con Marlin, prima di tornare
nell’anticamera con un sorriso rilassato sulle labbra.
-Prego, può entrare. Se vuole lasciare la valigia qui…
Gli indicò il divanetto dove era seduto. Giles annuì sorridendo
gentilmente a sua volta.
-La ringrazio signorina, non avrei voluto disturbarla chiedendole questa
cortesia.
La segretaria fece un gesto della mano ad indicare che non era affatto
un disturbo e con un ultimo cenno del capo Rupert si avvicinò alla porta,
entrando poi nell’ufficio.
Come sempre, trovò Magdalene seduta dietro alla propria scrivania
impegnata a leggere una qualche pratica. Completamente ignorando l’angolo ammobiliato
tipo salotto all’interno della stanza, Rupert si diresse verso le sedie davanti
alla scrivania, chiedendosi se mai qualcuno si fosse seduto sull’immacolato
divano di pelle nera.
-Buongiorno Miss Marlin.
Lei alzò la testa per seguirne l’ingresso.
-Buongiorno Mister Giles. Prego si accomodi. Cosa la porta nel mio
ufficio?
-Volevo salutarla prima della mia partenza.
Replicò l’uomo.
-Capisco.
Magdalene sapeva perfettamente che Giles stava per tornare in America, e
che il fatto di salutarla di persona era soltanto una scusa per qualsiasi
motivo l’avesse spinto lì.
Non intrattenevano rapporti amichevoli, e per quanto lei fosse il suo
diretto supervisore, nessuno si aspettava che qualsiasi forma di controllo
sulle sue azioni fosse realmente esercitata. L’intervento di un dirigente sulle
questioni dell’osservatore della cacciatrice era del tutto eccezionale,
generalmente i due si limitavano a parlare e il supervisore dava al massimo
consigli o indicazioni all’altro.
-La riunione plenaria è finita, ed a meno che la mia presenza non sia
richiesta ulteriormente, preferisco tornare a Sunnydale. L’attività demoniaca
potrebbe essere aumentata durante a mia assenza.
-La sua cacciatrice l’ha informata di aver problemi?
Magdalene sperava non si trattasse di un’altra apocalissi, in quegli
ultimi anni ce ne erano state fin troppe per i suoi gusti. Erano eventi sempre
molto incerti, che cambiavano troppo spesso le carte in tavola, alterando i
rapporti all’interno del Concilio. E questo al momento sarebbe solamente
tornato a suo svantaggio.
-Al contrario. –Rispose l’osservatore. –E’ tutto perfettamente
tranquillo ma la mia cacciatrice non è presente sul luogo. E’ andata in
vacanza, non c’era particolare attività ed ho approfittato per darle una
settimana di libertà. Le serviva una pausa. Si trova a Manchester ora. In città
sono rimaste due persone di cui mi fido pienamente, perfettamente in grado di
sorvegliare la bocca dell’inferno e chiamarmi in caso accada qualcosa. Si
tratta di persone capaci ed informate. –Giles si obbligò a smettere di parlare.
Stava dicendo troppo. “Ancora un po’ e sarà chiaro che non è stata una mia idea
lasciare Sunnydale in mano a gente non qualificata a sufficienza e poi ci sarà
l’inferno da pagare.” –Ovviamente Buffy è reperibile in qualsiasi momento,
dovesse esserci in caso di emergenza.
Magdalene si limitò ad annuire. Non aveva saputo prima dell’assenza
della cacciatrice, e la cosa l’aveva colta di sorpresa,
-Voglio sapere cosa succederà dopo. –Sembrava che l’osservatore avesse
raccolto le idee durante quei pochi secondi di silenzio e finalmente avesse
deciso di fare la domanda per cui era venuto. Aveva alzato appena il mento e
squadrato le spalle per darsi inconsciamente più forza.
-Un nuovo capo del Concilio, nomina di dirigenti diversi.
Magdalene gli rispose blandamente, rimanendo volutamente vaga, aveva del
lavoro da fare e nessuna voglia di discutere con lui sul futuro. Non ne valeva
il tempo impiegato.
-Cosa ci sarà in cambio del mio appoggio? Sa benissimo che potrei
schierarmi altrove.
Era un dilettante. Decisamente un dilettante. Marlin scosse mentalmente
la testa. Giles mancava completamente di grazia ed intelligenza nel portare
avanti argomenti e minacce. A meno che la nomina ad osservatore anziano non
facesse un miracolo, e ne dubitava, non si sarebbe affatto stupita di trovarlo
da lì a dieci anni Custode della Biblioteca, carica certamente onorifica ma
vuota di qualsiasi reale potere.
E probabilmente ne sarebbe stato anche soddisfatto.
Magdalene sorrise, completamente a proprio agio, come se la provocazione
di Giles non contasse nulla. Non contava nulla in realtà, ma l’uomo non lo
sapeva e le sembrava crudele deluderlo così presto. Appena possibile avrebbe
provveduto personalmente a fargli ottenere la nomina a vita di Custode della
Biblioteca.
-Cosa vorrebbe?
Chiese, sondando il terreno.
-Più denaro per me. Cinquemila dollari la mese. Una squadra di cinque
osservatori ai miei diretti ordini, stanziati qui, di mia scelta. Il ritiro di
qualsiasi ombra, operativo od agente da Sunnydale.
Cinquemila dollari al mese e cinque osservatori, le veniva da ridere
alle richieste sapendo cosa era veramente in palio. Qui si discuteva
nell’ordine di milioni e centinaia di migliaia.
-Pensavo avessimo già un accordo.
Marlin continuava a sorridere, era leggermente divertita dal vedere
questa formica sforzarsi di mettere da parte quante più briciole possibile. Lei
era in una posizione di vantaggio e lo sapevano entrambi. Con questo dialogo
Giles rischiava il tutto per tutto, mentre per lei si trattava solo di un
dettaglio. I secondi scorrevano lenti senza una risposta e Rupert sentì il
sudore colargli alla base del collo, e le dita delle mani, rilassate sue
braccioli, diventare sempre più fredde.
-Pensava male.
Era divertente vederlo seduto nella poltroncina di fronte a lei a
dettarle condizioni. La rigidità di busto e spalle tradivano il suo nervosismo
nonostante la completa inespressività del volto. Marlin glielo doveva
concedere, aveva una buona faccia da
poker. Ma l’illuso credeva che lei non avesse il potere di spazzarlo via. Od il
coraggio di farlo. O la voglia.
Magdalene si concesse il lusso di immaginarsi prendere la pistola che
teneva nel cassetto vicino a sé e di freddarlo con un colpo in mezzo agli
occhi, godendosi il suo sguardo scioccato per qualche attimo prima di premere
il grilletto. Poi di chiamare una riunione straordinaria e dichiarare
traditrice la cacciatrice, che sarebbe risultata irreperibile, avvalorando la
sua tesi. Sarebbero partite delle indagini, un paio di versamenti su conti alle
Cayman per spiegare il voltafaccia, e delle squadre di operativi le avrebbero
dato la caccia. E togliere così un giocatore alla partita.
E dando un jolly a Travers o Miller in caso riuscissero a rintracciare
Sorrise ancora. Come se avesse già deciso da tempo di dargli quelle
concessioni.
-Ha un accordo Signor Giles. Un nuovo accordo.
Riaprì la pratica su cui stava lavorando prima dell’ingresso
dell’osservatore, informandolo che il colloquio era finito. Poteva vedere nel
suo sguardo la soddisfazione di aver vinto ma ancora di più il sollievo e la
sorpresa di essere ancora vivo.
-Perfetto Miss Marlin. Arrivederla.
-Arrivederla, chiuda la porta quando esce.
Giles si alzò ed uscì dall’ufficio. Recuperò la valigia rivolgendo un cenno
di saluto alla segretaria e andò all’ascensore. Si sentiva straordinariamente
bene, anche se le gambe gli tremavano leggermente, aveva passato dei
lunghissimi secondi seduto là dentro.
“Dannazione quella poltroncina è la
cosa più scomoda sulla quale mi sono mai seduto, ho a schiena a pezzi, non vedo
l’ora di rilassarmi sul sedile dell’aereo…”
Guardò l’orologio e vide che ormai era ora di andare a prendere
l’elicottero. Sorrise apertamente. Era riuscito a strappare un accordo
favorevole a Magdalene.
Un accordo molto favorevole per lui.
Ma aveva rischiato molto per farlo. Si asciugò il sudore delle mani sui
pantaloni di tweed mentre aspettava l’arrivo dell’ascensore.
Le porte scorrevoli si aprirono. All’interno si trovava Faith,
negligentemente appoggiata alla parete di fondo, un borsone nero tra le gambe.
Irrigidendosi nuovamente l’osservatore entrò, alzando il mento ed allargando le
spalle di fronte alla ragazza, in un gesto nuovamente del tutto inconscio.
Aveva scambiato una belva per un'altra. E di questa non conosceva la distanza
di sicurezza da tenere.
“Almeno sapevo che Miss Marlin non
mi avrebbe sparato di punto in bianco un colpo in mezzo agli occhi, soltanto
perché magari si annoiava”.
La ragazza non gli rivolse la parola, un’espressione completamente
disinteressata sul volto come se stesse pensando ad altro.
Rimasero in silenzio mentre l’ascensore ripartiva e si fermava. Scesero
allo stesso piano e si avviarono nella medesima direzione. La cosa cominciava a
diventare inquietante. Proseguirono così per alcuni minuti mentre la paura
dell’osservatore cominciava a montare ad ondate sempre più alte, il silenzio
sempre più opprimente.
Più andavano avanti, più i corridoi diventavano deserti.
Ormai Giles sentiva il cuore battergli nelle orecchie ed i palmi delle
mani ricominciare a sudare, il respiro si stava facendo affannoso. Era
sull’orlo di un attacco di panico e si odiò per questo. Non voleva dimostrare
alcuna debolezza alla cacciatrice, avendo paura che avvertendolo vulnerabile
lei lo avrebbe attaccato.
Un'altra svolta, Faith ancora dietro di lui.
Si asciugò le mani sui pantaloni, mentre, oltre alla paura, cominciava a
formarsi un’irrazionale irritazione al pensiero di morire in un corridoio buio
dopo essere sopravissuto a Magdalene. Aveva scambiato una belva per un'altra.
“…Ho solo scambiato una belva per
un'altra…”
Ma era sopravvissuto a Marlin o questa era la sua vera risposta
all’accordo che Giles aveva forzato per farle accettare? No, non era possibile,
Magdalene non era mai sembrata arrabbiata in tutta la loro conversazione.
“Sarebbe sembrata arrabbiata se
pensava di farmi fuori giusto?” pensò con
disperazione “non uccidi uno che non ti
fa perdere le staffe, no…” e lei non era mai sembrata arrabbiata, “…solo un attimo forse, troppo poco per decidere
una cosa del genere… e poi ha bisogno di me, lei ha bisogno di me!”
Deglutì, sempre più irritato e spaventato dal comportamento della
cacciatrice che lo seguiva silenziosa a qualche passo di distanza. Quasi non
sentiva più il rumore delle sue scarpe contro il pavimento tanto era diventato
affannoso il suo respiro. Cominciava a trovare difficoltà a pensare
lucidamente, che diavolo a pensare del tutto, aveva voglia di scappare, di
correre fino a non trovare una stanza in cui chiudersi. Se soltanto le gambe
avessero smesso di tremare.
Giles si bloccò all’improvviso, girandosi per affrontarla. Una
soluzione, questa faccenda doveva avere una soluzione. Se ne sarebbe tirato
fuori ragionando, parlando alla cacciatrice. E poi non voleva morire colpito
alle spalle, il suo orgoglio gli impediva di accettare di essere accoltellato
alle spalle nei corridoi del Concilio.
Non poteva morire lì, non così.
Giles non voleva morire affatto.
-Si può sapere cosa vuoi?!
Quasi urlò, c’era dell’isterismo mal trattenuto nel tono di voce. Lei
non si fermò, limitandosi a girargli intorno ed a continuare a camminare
imperturbata, come se lui non fosse altro che una cassetta delle lettere da
evitare su un comune marciapiede. Lo sfiorò con il borsone che portava senza
arrivare neanche a toccarlo veramente.
-Raggiungere il mio elicottero.
Gli rispose continuando ad allontanarsi.
Giles si sentiva la testa leggera e le gambe deboli. Si appoggiò con una
mano contro la parete cercando un appiglio solido, aveva paura di svenire. La
vista gli si annebbiò, per poi schiarirsi poco dopo. Dopo aver fatto qualche
respiro profondo per calmarsi un po’, Rupert ricominciò a camminare, ancora
scosso dall’esperienza. Una volta raggiunto lo spiazzale si era calmato
abbastanza, anche se il suo volto era ancora abbastanza pallido. Notò che il
velivolo non era ancora arrivato e cercò con lo sguardo la cacciatrice. Faith
era semisdraiata sull’asfalto caldo, il borsone dietro la testa come cuscino.
L’osservatore le arrivò al fianco, godendo del fatto di sovrastarla
completamente, di averla sdraiata ai suoi piedi, sentendosi forte e sicuro, ora
che era fuori da quei corridoi semi bui e deserti.
-Mi stai coprendo il sole. Spostati.
La voce era remota. Sorpreso Giles fece come gli era stato detto, spostandosi
un po’ di lato, prima ancora che pensasse ad ignorare l’ordine. Se ne accorse e
se ne risentì, sentendo accrescersi la rabbia che provava per quanto era
accaduto solo minuti prima. Le rivolse parole brusche e rauche.
-Cosa stai facendo tu qui?
-Aspetto un elicottero?
Sarcastica.
-Perché?
-Tu e la tua cacciatrice vi assomigliata sai?... - Giles non colse il
riferimento, così scelse di ignorarlo aspettando che l’altra riprendesse
parlare.
-Perché cosa? –continuò Faith dopo qualche attimo.
-Cosa ci stai facendo al Concilio.
-Ci lavoro.
Giles emise grugnito divertito, del tutto scettico alla veridicità della
risposta. Sapeva che Faith lavorava per il Concilio, ma di certo non nella sede
centrale, non aveva una qualifica per esserci. Lei sarebbe dovuta essere
stanziata in una qualche remota ed insignificante postazione nel pieno
dell’Asia centrale. Un posto dove non potesse fare danni.
-Tagli teste?
La provocò. Faith non reagì minimamente alle parole.
In quel momento sulla piattaforma arrivò Vivien, una delle caposquadra
impegnate nella stessa missione di addestramento a cui partecipava anche la
cacciatrice, giusto in tempo per sentire le ultime battute scambiate dai due.
“Strano che il tipo sia ancora in
piedi senza neanche un naso rotto… idiota… gioca con il fuoco e non se ne rende
neanche conto…”
Pensò avvicinandosi.
-Si, e sono decisamente comode come cuscino. La borsa ne è piena, sai?
Alla battuta della cacciatrice la donna sorrise. Uscendo dall’ombra
proiettata dell’edificio, Vivien si schermò con una mano gli occhi per
ripararli dal sole e li raggiunse, interrompendo la discussione.
-Hey Faith, sempre la prima. –Indicò con un cenno la sacca,
completamente seria. –E così sono teste quelle che tieni li dentro? Alla fine
il mistero è stato risolto.
-Ciao Vivien. Esatto, mistero risolto. Ovviamente ora che lo sai ti
dovrò uccidere… –Faith sorrise di rimando all’espressione fintamente sconvolta
e spaventata della caposquadra. –Come al solito è l’elicottero che è in
ritardo, non io in anticipo.
-E’ arrivata una comunicazione in sala controllo, dieci minuti di
ritardo. Turbolenze hanno detto. –Vivien aveva un’espressione piuttosto
scettica. –Ma con questo sole è più probabile che sia stato Frederik ad alzarsi
tardi.
La donna era vestita in tuta da commando nera, anche con uno zaino sulle
spalle che buttò poco cerimoniosamente vicino a quello di Faith, ed un sorriso
disteso e amichevole sulle labbra. Sembrava stesse per andare ad un pic-nic
tanto era rilassata.
Si mise a sedere anche lei sull’asfalto, gettando solo un’occhiata
distratta a Giles, valutandolo velocemente. “Osservatore,
seccato, impaurito…” Faith era nella
sua visuale, completamente tranquilla “…innocuo…”
. Se la cacciatrice non aveva problemi né nel farlo rimanere ad ascoltare
la conversazione, né nell’ignorarlo palesemente, l’operativo avrebbe fatto la
stessa identica cosa.
-Pronta all’azione?
La cacciatrice si girò con un sorrisetto sulle labbra, lontano dal poter
essere definito rassicurante.
-Io vivo per l’azione.
Vivien rise appena, scuotendo la testa. Faith le era stata simpatica dal
primo momento. Dannazione, a dire la verità, quella ragazza era una delle poche
ad apprezzare il suo sarcasmo graffiante e a saper tirare fuori risposte
altrettanto dure. Andavano d’accordo abbastanza da bersi un paio di birre
assieme dopo qualche missione di addestramento assieme al resto della squadra
di Vivien.
-Sempre la solita.
Per Giles quella aveva tutta l’aria si essere una conversazione fatta già
decine di volte, che le due si conoscessero e si fidassero l’uno dell’altra era
chiaro.
-Jason rimane qui?
-Si, trattenuto dai dirigenti per un qualche motivo. Tanto peggio per
lui. –La donna scrollò le spalle. Tutti gli operativi avevano un odio per i
saccenti e logorroici osservatori e per le lunghe, infinite riunioni di
de-briefing. Vivien non faceva eccezione. Erano capaci di tenerti tre ore a
spiegare perché, appena sopraggiunta sulla scena, dopo una corsa di dieci
minuti, avevi sparato da un angolo di trentacinque gradi e non trentasette
durante uno scontro a fuoco con mitragliatori. Lo sapeva per esperienza
personale. –Quindi ti tocca il posto di capo supremo. Ave Cesare.
Il tono di Faith diventò serio, ma non smise di sorridere mostrandosi
completamente a suo agio alla notizia. Giles si limitò a togliersi gli occhiali
e a cominciare a pulirli perplesso da quanto stava osservando. Il movimento
attirò gli occhi di Vivien che si fissarono su di lui, finché a disagio,
l’osservatore rinunciò alla familiare routine e li rimise.
-Le squadre?
-Già partite, venti minuti fa, in perfetto orario, almeno loro.
Faith annuì soddisfatta, prima di fare un’altra domanda.
-Li accompagna Richard?
-Esatto, almeno ci risparmiamo la sua acqua di colonia durante il primo volo.
Fu il turno di Faith di ridere. Il profumo del caposquadra di York era
famoso, si diceva che l’inglese ci facesse la doccia con quella roba. Lei
personalmente lo poteva fiutare a qualcosa come due o trecento metri in assenza
di vento, e da vicino rasentava il nauseabondo. Era uno di quei momenti in cui
malediva il fatto che fosse impossibile spegnere i suoi sensi a piacere.
-Devon e Carlos?
Si riferiva agli altri due comandanti della missione. Vivien fece un
vago cenno della mano verso l’imponente edificio dietro di loro.
-Dovrebbero arrivare a minuti. Finivano i controlli dell’armeria.
Faith annuì facendo passare qualche secondo mentre si spostava appena
per trovare una posizione migliore per prendere il sole.
-La squadra di cui faceva parte Dellah è stata esentata dal servizio?
Vivien annuì, sarebbe stato il loro turno di addestramento.
-Come avevi chiesto. Sono in licenza per tutta la settimana.
-Perfetto. Questa volta sarai tu il capocaccia. Sull’aereo decideremo la
zona e i parametri di missione. Non ci dovrebbero essere molte variazioni
rispetto a quella che abbiamo fatto il mese scorso, neve a parte.
L’addestramento aveva avuto luogo a nord di Mosca, in una cittadina
anonima con una vecchia base militare abbandonata nei dintorni e circondata di
foreste. Avevano simulato un’infiltrazione in una base allo scopo di
distruggerla, con Faith nel ruolo dell’aggressore. Per riuscire ad entrare
prima nella cittadina e poi nel perimetro della base, partendo da un punto
imprecisato della foresta, le ci erano voluti tre giorni, passati all’esterno,
con una temperatura di meno cinque gradi. Quel freddo le era rimasto nelle ossa
per giorni una volta tornata a casa. La cacciatrice ancora rabbrividiva al
pensiero.
-Dirigo io? –Vivien sorrise, divertita, generalmente erano sempre Faith
o Jason a dirigere le operazioni di una certa entità. –E se ti agguanto, cosa
vinco?
-Tanto lo sai di non avere alcuna speranza. –Faith sorrise alla faccia
fintamente delusa di Vivien. In nessuna
delle missioni di addestramento in cui la cacciatrice aveva fatto da preda gli
operativi avevano riportato una vittoria. Come del resto quando lei era
veramente una fuggitiva. Aveva realmente combattuto ed era sfuggita realmente
alla maggior parte degli uomini con cui si addestrava. Loro lo sapevano e non
c’era risentimento.
Per la maggior parte di loro quello era solo un lavoro e gli altri
operativi erano solo colleghi. Ora lei era loro alleata ed a loro stava bene
così. La voce che girava suonava come un “meglio
che stia dalla nostra parte che dall’altra” ed aveva raccolto grandi
consensi. –Comunque che ne pensi del mio coltello da caccia che ti piace tanto?
Con una contro scommessa di cinquanta dollari, però.
Si strinsero la mano. Si scommetteva spesso sui risultati degli
addestramenti, quanto sull’esito delle missioni del resto, e la cacciatrice era
presto diventata famosa per il gusto che dimostrava nel gioco. Nonché per
l’abilità nel piazzare la puntata vincente. Per la gioia degli altri operativi
generalmente usava il denaro vinto per offrire da bere una volta tornati al
Concilio.
-Affare fatto. –La donna si girò a guardare lo spazio oltre Giles,
notando due sagome avvicinarsi. –Arrivano gli altri. A dopo Faith. –Vivien si
alzò per andarli a salutare. Era ovvio che l’osservatore che era vicino alla
cacciatrice volesse parlarle da solo. Per tutta la durata della conversazione
non aveva fatto altro che guadare stupito ed impaziente. Infatti, l’operativa
non si era allontanata di tre passi, prima che Giles ricominciasse il suo
interrogatorio.
-Sei il vice capo degli operativi?
-No, sono esperto tattico e coordinatore di addestramento.
L’osservatore rimase in silenzio per qualche minuto, digerendo le
notizie. Sembrava che Faith fosse cambiata veramente, anche le risposte un
volta polemiche ed animose erano diventate brevi e sarcastiche.
-Non lo sapevo. –Disse banalmente alla fine.
-Non c’era alcun motivo per fartelo sapere.
Faith aveva chiuso di nuovo gli occhi godendosi il sole. Non era il tipo
da andare in spiaggia e passare ore sotto il sole, ma poltrire per una decina
di minuti sotto i suoi raggi non le era mai dispiaciuto. Soprattutto se si
ritrovava a non far niente in attesa di un passaggio aereo.
-Non immaginavo che fosse possibile…
Non terminò la frase, e fu meglio così, la pazienza di Faith non era
affatto infinita come lei stessa aveva ripetutamente detto a Buffy. La
cacciatrice riaprì gli occhi e lo guardò arrabbiata per la prima volta
dall’inizio della conversazione.
-La gente cresce sai? Anche se mi sembra proprio che a Sunnydale non
succeda. Probabilmente ci sarà una maledizione. Sono passati più di due anni ed
io sono andata avanti. Vi consiglio caldamente di farlo anche a voi. Ed ora, se
hai finito di battibeccare come un adolescente frustrato, puoi anche levarti
dai piedi. Ho una missione da organizzare.
Era un palazzo di una decina di piani, tutto in acciaio e vetro,
costruito da non più di una decina di anni. L’atrio di rappresentanza era stato
organizzato ammirevolmente, anche se era rimasta nell’ambiente una vaga aria di
impersonalità. Era spazioso, con un soffitto altissimo, finestre gigantesche e
pavimenti di lucido marmo.
Imponente.
Buffy si avvicinò al banco delle informazioni al centro dell’atrio.
Dall’altra parte si trovavano delle indaffarate centraliniste, impegnate a
rispondere ai telefoni squillanti. La cacciatrice dovette attendere per qualche
minuto prima che una delle impiegate riuscisse a liberarsi e le chiedesse in
cosa potesse esserle utile. Sul volto indossava un pratico sorriso
professionale, abbastanza caloroso da non mettere a disagio Buffy.
-Salve, volevo informazioni su Janet Tisred, è stata una vostra
dipendente, circa venti anni fa.
“Ok, suona assurdo anche a me
chiedere informazioni su mia madre a una perfetta sconosciuta, relative a più
di venti anni fa, il tutto con un
sorriso ancora più idiota di quello che a lei.”
La ragazza allargò ancora di più il sorriso mentre scuoteva leggermente
la testa, come deliziata da qualcosa che la cacciatrice avesse detto.
-Mi dispiace ma non possiamo esserli utili. E’ politica aziendale della
Weston non divulgare informazioni riguardo i dipendenti.
-Capisco. –No, non era vero, Buffy non voleva assolutamente capire. -Ma
vede, si tratta di un caso particolare… immagino si possa fare un’eccezione…
sa… lei era mia madre… io non l’ho mai conosciuta… tutto quello che so è che
lavorava qui… inoltre è morta… quindi non vedo problemi… non può infrangere la
privacy di una persona morta, no? Non crede anche lei?
-Mi dispiace. –Il sorriso si era fatto ancora più largo, impassibilmente
grande, ma almeno la testa non si muoveva più. – Proprio non posso aiutarla. E’
la politica dell’azienda.
-Ho capito che è la politica dell’azienda. - “Brutta idiota, ma dietro il sorriso ce l’hai un cervello?” –Ma io
sono la figlia di Janet Tisred e gradirei avere informazioni su di lei. MIA
MADRE. –Buffy stava cominciando a perdere la pazienza ed ad alzare la voce di
conseguenza.
La ragazza la guardò preoccupata, senza parlare per un attimo, incerta.
Non voleva che questa biondina le creasse problemi o si mettesse a fare scenate
nella hall.
-E’ al di fuori delle mie competenze darle queste informazioni.
Meglio scaricare la responsabilità.
-E di chi è la competenza allora?
Buffy aveva cominciato a battere nervosamente un piede a terra. Intorno
al bancone della reception alcune teste curiose si erano voltate un attimo per
vedere quello che stava succedendo, notando l’evidente stato di agitazione
della ragazza ma poi tornando a seguire i loro affari disinteressanti.
-Non lo so, - la centralinista rimase a pensare per qualche secondo.
-forse del direttore del personale.
-Allora lo chiami. Ci voglio parlare.
Soltanto una delle persone continuava a seguire la conversazione, un po’
perplessa ma chiaramente incuriosita. Era un uomo paffuto, con i capelli
completamente grigi e i baffi che gli nascondevano completamente il labbro
superiore.
La centralinista provò ancora ad obbiettare, senza molta convinzione.
Poteva disturbare il direttore del personale per una biondina esaltata?
-Sono venuta per quelle informazioni e non me ne andrò fin quando le
avrò ottenute.
Rassegnata la ragazza alzò la cornetta del telefono, le avevano
raccomandato di evitare sempre e comunque qualsiasi scenata. Contemporaneamente
l’uomo lasciò il suo posto per avvicinarsi a Buffy, face cenno alla
centralinista di lasciar perdere la telefonata mentre arrivava davanti alla
cacciatrice. Fin troppo felice di obbedire la giovane passò ad occuparsi di
altro.
La cacciatrice guardò arrabbiata verso l’uomo che aveva appena
nullificato i suoi sforzi con un semplice gesto della mano. Lo sguardo adirato
della ragazza non sembrò intimidirlo per nulla mentre si fermava a pochi passi
da lei, sorridendo affettuosamente.
-E lei sarebbe?
-Daniel Guillory. E’ un piacere conoscerti.
Buffy si limitò ad alzare un sopracciglio, perplessa. Il tono con cui le
si era rivolto era estremamente cordiale. Le offrì la mano, lei non si mosse.
-Ero un amico di tua madre.
Soggiunse come spiegazione davanti alla sue evidente confusione. La
guardava con cordialità, ed un leggero divertimento a causa della situazione
improbabile in cui si erano incontrati. La cacciatrice gli rispose sorridendo,
le stava simpatico.
-Non sperare di ottenere niente da loro, anche se riuscissi a superare
la protezione della “privacy” non ti sciorinerebbero che una manciata di date
senza alcuna importanza per te. Ed immagino invece che ci siano molte cose di
cui tu voglia sapere. –Buffy annuì e Daniel gli posò una mano sulla spalla, in
un gesto affezionato. –Ho appena staccato e conosco un pub qui vicino. Andiamo
lì, si parla meglio seduti, che non in piedi in mezzo ad una atrio. Ho
parecchie cose da raccontarti… ah, comunque chiamami Danny.
Dieci minuti dopo se ne stavano seduti in un tavolino del pub, lei
davanti ad un succo di frutta, lui con una pinta di birra scura. Buffy gli
raccontò della scoperta di essere stata adottata, di come avesse vissuto
all’oscuro di tutto in precedenza, delle ricerche che aveva fatto e di come
l’avessero condotta lì.
-Hai scoperto molte cose per essere una che cerca la verità da pochi
mesi.
Buffy arrossì imbarazzata. Danny le sorrise leggermente.
-Fortuna. Sono addirittura arrivata all’indirizzo di mia sorella, vive
qui.
-Le hai già parlato?
Chiese Daniel incuriosito.
-No, non ancora. Non so come reagirebbe alla notizia. Io stessa ho
avuto, e ho ancora molte difficoltà a comprendere quello che è successo. E non
sono quella che improvvisamente ritrova una sorella dimenticata, se non
addirittura sconosciuta.
Scosse la testa sconsolata.
-Capisco. Così hai deciso di scoprire qualcosa in più su tua madre prima
di parlare con lei. Per avere almeno un’idea di cosa dire.
Buffy sorrise ancora, felice che il suo comportamento fosse stato
compreso dall’uomo. Danny passò la successiva ora a parlarle di Janet, l’aveva
conosciuta bene, anni addietro.
Inizialmente erano solo descrizioni, piuttosto scarne di particolari, di
quello che era successo. Dopo, quando erano passati a cenare al ristornate
dell’albergo, visto che si era fatto tardi, le raccontò decine di aneddoti e
storielle divertenti su quello che loro due avevano combinato anni prima,
appena usciti dal college. Risero molto e di tanto in tanto sul volto di Danny
si poteva vedere la nostalgia per quegli anni.
Verso la fine della cena il discorso tornò serio.
-Poi, durante l’ultimo progetto, aveva cominciato a sembrarmi
preoccupata, come se qualcosa la turbasse. Tua sorella era appena nata, e
qualcosa sembrò cambiare. Un miracolo, o meglio il secondo, le era stato detto
che era molto improbabile che riuscisse mai a concepire… Comunque non mi ha mai
voluto parlare dei suoi problemi nonostante fossimo ottimi amici. Quando
accennavo alla cosa cambiava discorso… o mi diceva che non ne voleva parlare,
non in quel momento almeno… –Danny scosse la testa con rammarico. -Ho sempre
sospettato che il suo comportamento avesse a che fare con il progetto che
seguiva. Prima di partire per il viaggio in America mi aveva detto che lo
faceva per staccare, per rilassarsi un po’ con voi, che quel progetto aveva
avuto effetti imprevisti, di cui lei non era a conoscenza. E’ stato l’ultima
volta che l’ho vista.
Fece un attimo di pausa, mentre sorseggiava il vino, sbatteva le palpebre
velocemente come a scacciare le lacrime.
-Quale progetto seguiva?
Danny si guardò attorno, come a controllare che nessuno si interessasse
a loro nel grande ristorante.
-Era top secret. Qualcosa che aveva a che fare con la genetica umana,
non so di preciso. Era lei la ricercatrice, io sono solo uno
dell’amministrazione.
Scrollò le spalle, non era il suo campo, non lo era mai stato.
-E per saperne di più come dovrei fare?
Danny la guardò come se fosse impazzita, e, per la prima volta,
preoccupato.
-Non puoi. Dovresti entrare nei laboratori e raggiungere gli archivi e
tutto il resto. E’ impossibile.
Buffy era decisa.
-Posso. Tu dimmi soltanto come.
-E’ assurdo! Dovresti superare il recinto esterno, entrare nel
laboratorio, superare la sorveglianza interna e poi trovare nell’archivio
esattamente quello che cerchi. E non è un piccolo archivio. E’ una pazzia.
Buffy continuò ad insistere. Quelle poche ore trascorse insieme le erano
bastate per farsi un’idea di come convincerlo ad aiutarla, oltre a farla decidere
di arrivare in fondo a quella storia.
-Non ti preoccupare, Danny. So quello che faccio. Puoi semplicemente
darmi le informazioni necessarie?
Danny la guardò, per la prima volta soppesandola attentamente.
-Assolutamente no. Non ti aiuterò a cacciarti nei guai. Se venissi presa
e andassi a finire in galera? Non me lo perdonerei mai. Non se ne parla. Cosa
direbbe Janet?
-Danny, ma io devo saper quello che è successo a mia madre. So che mi
capisci. –Lo guardò speranzosa. –Anche tu in tutti questi anni non hai mai
smesso di pensare a lei. Si vede che qualcosa non ti convince nella faccenda.
Di come sia andata a finire. Altrimenti non staremmo qui a parlare no? –Danny
continuava a scuotere la testa deciso. -Fallo in sua memoria. Le devi di
trovare la verità.
-Se facessi una cosa simile ti rendi conto che rischierei il
licenziamento magari anche di andare in galera per spionaggio industriale o
roba simile, inoltre tu rischieresti di finire arrestata per furto con scasso?
Era un’apertura, stavolta non aveva detto subito no.
-Nessuno saprebbe che sei stato tu. Se mi prendessero, e non lo faranno,
stai tranquillo, non direi nulla. Non potrei mai farti una cosa simile.
Buffy lo guardava speranzosa un sorriso dolce sulle labbra.
-Ci penserò su. Ma non ti prometto niente sia ben chiaro. Lasciami il
numero della tua stanza. Vedrò quello che si può fare. Non ci contare però eh…
Usò una specie di tono burbero senza molto successo. La cacciatrice
annotò frettolosamente il numero della camera su un foglietto e lo passò a Danny.
-Rimarrò in città per al massimo una settimana, Danny.
Lui annuì pensieroso.
-Sei la mia unica speranza. Lo sai. E questa è la tua, la nostra, unica
possibilità di sapere cosa sia successo veramente a Janet.
Le sorrise gentilmente mentre si toglieva il tovagliolo dalle gambe e lo
ripiegava sul tavolo.
-Aspetta che io mi faccia nuovamente vivo prima di prendere qualsiasi
iniziativa chiaro? Rimani in albergo il più possibile. Niente pazzie,
d’accordo? Dammi qualche giorno.
-D’accordo.
Danny si alzò dalla sedia, Buffy fece altrettanto per salutarlo
porgendogli la mano. Lui la ignorò preferendo invece abbracciarla.
-Abbi cura di te. E’ stato bello conoscerti.
-Anche a me ha fatto piacere. Chissà, magari ci rincontreremo.
Appena superato l’angolo Faith poggiò la schiena contro la parete,
respirando regolarmente e a fondo, cercando di pensare alla sua prossima mossa.
Sapeva che erano vicini. Erano lì anche loro, da qualche parte tra quei
vicoli caotici di Malaga. L’avevano quasi raggiunta cinque minuti prima, dopo
una caccia, lei lo sapeva, che era durata più di tre ore. Avevano fatto
irruzione nel piccolo appartamento che lei aveva occupato, ovviamente in modo del
tutto abusivo, al terzo piano di un
anonimo palazzo, uno dei tanti edifici di quel quartiere che si riempiva solo
d’estate, con l’arrivo dei turisti. Probabilmente gli operativi del Concilio
che avevano partecipato al blitz erano stati più di venti, quasi tutto il loro
potenziale disponibile sul luogo, ma non erano stati abbastanza da bloccare
tutte le possibili via di fuga.
La cacciatrice aveva prestato particolare attenzione a trovare un
rifugio da cui sarebbe potuta uscire anche se ogni singolo operativo impegnato
nella missione avesse partecipato direttamente all’azione. Una precauzione che
si poteva prendere solo conoscendo esattamente il numero di avversari di fronte
a cui uno si trovava, questo era vero, ma Faith non si faceva problemi
nell’utilizzare qualsiasi informazione avesse sugli uomini del Concilio per
vincere in queste simulazioni. E se significava barare, beh, non aveva
importanza. Del resto lei non aveva mai creduto nella cavalleria.
Così per uscire da lì aveva usato una delle vie di uscita rimasta
aperta.
Faith doveva ammettere che c’era mancato poco, mentre gli operativi
facevano irruzione all’interno dell’appartamento, la cacciatrice aveva appena
avuto il tempo di uscire sul proprio balcone, controllare che non ci fosse
nessuno a sorvegliare quella facciata e saltare sul terrazzo vicino per entrare
nel locale a fianco, vuoto.
Una volta dentro il nuovo appartamento aveva forzato la porta ed era
uscita su un corridoio deserto del palazzo adiacente al suo. Da qui era scesa
per le scale fino ad una porta che sapeva dare tra i vicoli labirintici di
quella zona della città. Poi aveva preso a correre tra quelle stradine
intricate, in cui perdersi era così facile.
Mentre rimaneva appoggiata contro il muro a progettare la sua prossima
mossa, Faith si ritrovò ad ammettere che gli uomini delle squadre speciali del
Concilio erano diventati davvero bravi. Vivien le stava dando del filo da
torcere. Come aveva sostenuto qualche giorno prima, discutendo con Jason dei
preparativi della missione, la donna aveva una mente tattica veramente
brillante ed una capacità di imparare dagli esempi e dai propri errori quasi
incredibile. Fino ad un mese prima per trovarla ed organizzare quell’assalto ci
avrebbe messo più di cinque ore, oggi ne aveva impiegate tre.
Brava, ma non a sufficienza per prenderla.
Rimase appoggiata a quella parete di mattoni, ancora caldi dopo il sole
della giornata, per un altro minuto, cercando di sentire arrivare i suoi
avversari, ma era una cosa difficile da fare in un posto simile.
Sentire, seppure in lontananza il rumore del traffico, sostenuto anche a
quell’ora di notte, e la risacca del mare, lontano poche centinaia di metri, le
confondevano l’udito, rendendolo impreciso, senza contare le distorsioni dei
suoni causati dalle amplificazioni e dagli echi irregolari che quei vicoli
creavano.
La stessa visuale era compromessa a causa di quelle curve a gomito e
degli infiniti muri che apparivano come dal nulla a bloccare passaggi che non
esistevano, ma che logicamente sarebbero dovuti essere lì, tra quei vicoli
labirintici che si estendevano attorno a lei. Erano condizioni sfavorevoli
anche ad i suoi avversari, ma lei era quella che perdeva di più.
Ma non sarebbe bastato neanche questo a farla prendere.
Faith cominciò a fare più attenzione agli odori che la circondavano.
Quello era qualcosa a cui gli uomini non pensavano quasi mai. Gli odori. Lei
stessa non aveva l’olfatto acuto che caratterizzava i vampiri, i cani o decine
di altri esseri, anche se sentiva molto meglio degli esseri umani. Quello che
contava di più era che lei sapeva usare quel senso, percependo gli odori che la
circondavano ed usandoli a proprio vantaggio meglio di quanto un qualsiasi uomo
potesse immaginare o prevedere.
C’era una leggera brezza che spirava dal mare, la salsedine si sentiva
forte, come un costante e fastidioso brusio di sottofondo. Poi c’erano i
rifiuti, i cassonetti persi tra quei vicoli che non erano stati ancora
svuotati. Odore di cibo in lontananza, probabilmente qualche ristorante. Si
trattava degli odori ambientali di quel quartiere, così li eliminò,
concentrandosi su quello che non ci sarebbe dovuto essere nell’aria quella
notte.
Acqua di colonia. Una fragranza che riconobbe subito. Con il passare dei
secondi diventava rapidamente più forte. Faith sorrise soddisfatta mentre,
scivolando per un paio di metri lungo la parete, raggiungeva ed apriva una
porta arrugginita, ma accuratamente oliata soltanto qualche giorno prima, che
dava in un piccolo magazzino pieno di scatoloni.
Un’altra via di uscita che si era preparata.
La richiuse senza fare rumore e cominciò ad attendere che la squadra di
ricerca la superasse, senza far caso alla porta arrugginita in fondo ad un
vicolo cieco completamente buio.
Non si sarebbero fatti attendere molto, l’uomo che usava quell’acqua di
colonia era un tipo irruente, alla perenne ricerca di combattimenti. Lo
conosceva bene, quanto l’acqua di colonia dalla singolare fragranza che si
faceva preparare su ordinazione. Sarebbero bastati una manciata di secondi, al
massimo un minuto, perché arrivassero.
Un’altra presenza.
Ora, in quel magazzino con lei, c’era un vampiro. Un imprevisto
pericoloso. Faith sapeva che doveva sbrigarsi ad ucciderlo senza fare rumore
per evitare di essere individuata dagli operativi. Non voleva che la sua copertura
saltasse per colpa di un succhiasangue senza importanza. Il suo piano di
lasciar sfilare la squadra di operativi e poi di infiltrarsi dietro le loro
linee e cominciare ad eliminarli dal centro verso l’esterno sarebbe fallito
miseramente e la missione sarebbe diventata dieci volte più difficile. Non
voleva neanche considerare la possibilità di farsi prendere da Richard. Non
avrebbe mai sentito la fine delle prese in giro.
-Mostrati.
Non lo disse con voce esattamente cortese.
Ci furono dei movimenti alla sua sinistra ed un’ombra si mosse fra gli
scatoloni, scivolando silenziosa fino a portarsi a circa quattro metri da lei.
Faith poteva vederne i contorni umanoidi muoversi nell’oscurità, senza riuscire
a identificare altri particolari. Sembrava veloce, probabilmente era anche
forte, quasi scontato considerando che era un vampiro. Si fermò quasi di fronte
a lei, ad un paio di metri di distanza completamente avvolto nell’ombra.
-Non sei affatto male Cacciatrice.
Sembrava che sorridesse mentre lo diceva, anche se Faith non lo poteva
vedere in volto. In quel magazzino la luce era completamente assente, la stessa
faccia della bruna era completamente invisibile. Non erano altro che due sagome
dai contorni indefiniti.
-Chi sei?
Non le andava di giocare, stasera, non con un vampiro, già lo stava
facendo con una manciata di squadre di operativi. Non aveva bisogno di altre
complicazioni.
L’altro rise apertamente questa volta.
-Spike.
Replicò senza farsi pregare oltre.
-William il “Sanguinario”… -Disse Faith, lasciando in sospeso le parole.
Non era completamente stupita di vederlo qui, ma la visita non le faceva di
certo piacere, né comodo. Aveva sperato che Liz od Angel avessero risolto la
cosa. –E’ un piacere incontrarti Billy, ci hai messo parecchio a farti vedere.
Aggiunse dopo un attimo, mentre cercava di richiamare tutto quanto
sapesse sul vampiro che aveva di fronte. La sua osservatrice le aveva parlato
di Spike, descrivendoglielo come un avversario molto pericoloso. Astuto e
veloce. Del resto era così conosciuto proprio perché aveva ucciso due
cacciatrici in meno di cento anni.
Faith non era particolarmente entusiasta di averlo incontrato qui ed
ora, anche se le cose avrebbero potuto mettersi meglio per lei con l’evolversi
della situazione.
Lo sperava almeno.
Al meglio la presenza di Spike poteva permetterle di uscire come
vincitrice dalla guerra che si stava per scatenare al Concilio, al peggio si
sarebbe dimostrato uno scontro impegnativo con un vero avversario. Non aveva
alcuna intenzione di lasciarsi ammazzare da un tipo simile. Ed un combattimento
era pur sempre il miglior modo per liberarsi dell’adrenalina che si sentiva
scorrere proprio ora nelle vene, risvegliata poco prima dagli operativi del
Concilio.
-Tutto mio Cacciatrice, tutto mio. –Sussurrò lui. –…dimmi da quanto
tempo giochi a guardia e ladri con gli uomini del Concilio? E tutto per… fare
cosa?... addestrarli? Si, addestrarli… un’ottima idea cacciatrice… addestra i
segugi… addestrali e spera che non ti mordano mai. Perché un giorno potrebbero
dare la caccia a te Cacciatrice. Lo sai vero? E non credo che si fermerebbero
per dirti grazie… -Il tono malizioso divenne sprezzante. –Spero che tu non gli
stia insegnando troppo.
-Non gli sto insegnando tutto. –Rispose con una scrollata di spalle
Faith, più divertita che arrabbiata alle parole. Per qualche strano motivo quel
vampiro le piaceva. –…comunque cominci a suonare come Drusilla. Fa’ attenzione,
non vorrei che tu impazzissi proprio ora. Non sarebbe così divertente spaccarti
la faccia sapendo di avere un tale vantaggio.
-Oh, su questo siamo d’accordo. –Approvò Spike mentre entrambi si
immobilizzavano sentendo avvicinarsi al magazzino il rumore di passi e di
ordini latrati da una voce brusca. Dovevano essere cinque o sei uomini, e dal
caos che producevano stavano correndo come impazziti lungo il vicolo, avanti ed
indietro, imprecando ad alta voce per la scomparsa del bersaglio che credevano
di aver raggiunto. Perlustrarono velocemente i dintorni senza trovare alcuna
traccia da seguire. Nessuno di loro notò la porta.
Ci furono altre imprecazioni da parte della voce brusca ed i rumori
durarono ancora qualche decina di secondi prima di allontanarsi, affievolendosi
sempre più, per poi sparire.
-A volte sono quasi penosi. –Commentò Spike, quel sorriso ancora nella
voce. Fece una pausa, ma non inspirò. –Da quanto tempo non affronti un
avversario alla tua altezza Cacciatrice?
Fu Faith a ridere questa volta. Se fosse stata una risata sincera o no,
Spike non avrebbe saputo dirlo. Non la conosceva abbastanza bene. A dire la
verità non la conosceva e basta. Questo scontro era un salto nel buio, ma la
tentazione di misurasi ancora con una cacciatrice era troppo forte per
rinunciare senza contare il bonus dovuto all’estrazione del chip.
-Perché, tu credi di esserlo?
Il vampiro rispose con il tono leggero di prima, anche se quella
ragazzina gli cominciava a dare sui nervi, cacciatrice o meno. Aveva la lingua
troppo veloce.
-So di esserlo.
Le rispose pungente, appena sulla difensiva.
-Se lo dici tu, ossigenato. –Lei scrollò ancora le spalle noncurante.
Spike annusò con attenzione l’aria e non trovò segni di paura. La cosa lo mise
in guardia prima ancora delle successive parole di Faith. –Devi sapere però che
io non gioco secondo le regole.
Ora in mano la cacciatrice stringeva due pistole puntate contro di lui,
che si limitò a sorriderle, sornione.
-Non ti hanno mai insegnato che a noi non ci fanno niente le pallottole?
… -Scosse teatralmente la testa, l’aria afflitta. –Non credevo che fossi così
principiante.
Faith gli rispose con lo stesso tono d’insulto.
-Non hai pensato che forse sono di legno? Oppure che te ne pianterò una
in ogni occhio. –Gli sorrise cattiva, anche sapendo che lui non poteva vederla.
–Mi piacerebbe vederti combattere alla cieca, con il cervello ridotto in una
pappa… -Fece una pausa. -…non che tu lo usi poi molto. Oppure vivere per
l’eternità cieco. Dopo un po’ potrebbe diventare noioso, non credi?
Il corpo di Spike si tese percettibilmente, pronto a scattare al riparo
delle casse, per evitare le pallottole. Non sapeva quanto brava la cacciatrice
fosse come tiratrice ma non aveva alcuna voglia di rischiare. Passare l’intera
eternità cieco non lo attirava particolarmente.
Sentirono dei passi avvicinarsi nuovamente al vicolo. Fecero silenzio entrambi,
quasi contemporaneamente. Non volevano essere interrotti da un branco di
ragazzini inesperti. Fu Faith la prima a parlare una volta che i rumori si
allontanarono nuovamente.
-Spiegami perché vorresti rischiare di essere ammazzato Spike, che non
lo capisco proprio.
Il vampiro piegò appena la testa di lato, studiandola. Forse era davvero
curiosa, ma più che altro Spike era convinto che lo volesse portare a una
qualche conclusione. Decise di seguire il suo gioco, non aveva nulla da perdere
al momento, e tutto da guadagnare.
-Perché uccido cacciatrici? E mi diverto a farlo? Hey… non per stupirti
ma… -Si indicò con l’indice. -…vampiro qui... sai uccidiamo gli esseri umani…
anche le cacciatrici quando capita… si… -Annuì esageratamente.- …si, anche le
cacciatrici. Non sei esattamente il tipo geniale, vero?
Di nuovo il tono insolente di qualcuno che cerca di spiegare per
l’ennesima volta un concetto ovvio ad un bambino ritardato.
-E te ne vai a cercare una con qualcosa come venti o trenta operativi
del consiglio ai suoi ordini, con due pistole in mano e nessuna remora ad
usarle, ed altri trucchi nel suo arsenale non esattamente corretti, da
uccidere? –Chiese lei, sarcastica. –Quando ce ne è una che gioca alla paladina
della giustizia? Tutta precisa, corretta, che non attaccherebbe mai alle
spalle, con solo un paletto di legno in mano? Ma sei così tanto scemo?
Spike si limitò a scrollare le spalle, come se la cosa non avesse
importanza.
-Uno potrà anche voler cambiare genere di tanto in tanto, no? Le bionde
sono così insipide…
Sorrise mostrando i canini. Faith sospirò fintamente sconsolata, mentre
la sua postura cambiava leggermente ed i suoi occhi andavano affissarsi in
quelli gialli di Spike, appena visibili nell’oscurità.
-Senti, lasciamo perdere per un attimo le battute cretine, e mettiamo in
chiaro qualcosa, ok? Dopo di che se ci tieni tanto, possiamo benissimo
massacrarci di botte.
Lui annuì, non aveva niente da perdere nell’ascoltarla, mentre aspettava
che abbassasse la guardia, e quelle sue dannate pistole, per un solo istante.
Non sapeva se quanto avesse detto fosse vero o meno, sia a riguardo delle
pallottole di legno sia della sua capacità di piantargliene veramente due negli
occhi, ma veramente non voleva rischiare.
-So che lavori per uno dei dirigenti del Concilio.
Spike scrollò le spalle, come se fosse irrilevante.
-Anche tu. E quindi? Infrange qualche regola che non conosco e di cui
non mi frega nulla?
-E quindi trovo molto stupido che uno di noi due, o più probabilmente
entrambi, morisse per colpa di un lavoro che entrambi svolgiamo solo perché
pagati e non per interesse personale.
Spike cominciava ad essere interessato. Le fece cenno di proseguire.
Cominciava a tornarle simpatica questa cacciatrice. E del resto avrebbe sempre
potuto sempre farla fuori più in avanti.
-Io non ho alcun motivo di uccidere te, e tu nessuno di uccidere me.
Tralasciamo tutta la storia io cacciatrice, tu vampiro. Siamo svegli abbastanza
da ignorarla.
Lui annuì. –Si, esatta analisi della situazione. –Una pausa. –Ti
dispiace se mi accendo una sigaretta? -“Inutile
rischiare una pallottola, no?”
-Fai pure.
Spike rovistò nelle tasche della giacca tirando fuori pacchetto e
fiammiferi. Accese una sigaretta e ne aspirò una lunga boccata.
-Mi fanno pensare meglio. –Spiegò mentre faceva un altro tiro. –Ne vuoi
una?
-Non fumo.
La cacciatrice non aveva abbassato la guardia di un millimetro, una
delle pistole puntate al cuore, l’altra alla testa. Non aveva distolto gli
occhi né per seguire il fiammifero che Spike aveva gettato ancora acceso, né
mentre lui buttava un po’ di cenere a terra. Ci sapeva fare. Il vampiro scrollò
le spalle, esteriormente noncurante, mentre cercava una via d’uscita alla
situazione di stallo.
-Peggio per te. Quindi non hai alcun motivo per farmi fuori? Nemmeno
uno?
Il tono alludeva a qualcosa in particolare.
-Di quel tipo che hai ammazzato non mi importava nulla. Informazioni e
conclusioni inesatte. Tutto tempo sprecato. Altrimenti, fidati, non staremmo
chiacchierando ora.
La luce della sigaretta era abbastanza forte da permettere a Spike di
vedere appena gli occhi della cacciatrice. Ma il tono della voce era
sufficiente a capire che non stava scherzando.
-Chiacchierare lo chiami. Mi stai minacciando con una pistola.
Faith scrollò le spalle.
-Mica l’ho usata.
Spike rise, accettando la sconfitta.
-Travers sta usando te per liberasi dei suoi avversari alla poltrona di
primo consigliere. Io sostengo Marlin. –Faith riprese il filo della
conversazione principale, come se non si fosse mai interrotta. Il vampiro si
limitò ad acconsentire con un gesto della mano, facendole segno d’andare
avanti. –A loro due non frega niente di noi, ci ammazzeranno appena possibile,
e la cosa per quanto mi riguarda è reciproca.
Spike annuì, convinto dal suo ragionamento.
“La ragazzina lo sa usare il
cervello.”
-Cosa proponi allora?
-Sbaglio o Travers ti ha affidato qualcuno come sostegno?
Spike gettò il mozzicone di sigaretta per terra. –Si, un paio di
mercenari. –Lo schiacciò con attenzione con la suola degli anfibi.
-E dove sono ora?
Lui scosse la testa.
-Non ne ho la più pallida idea.
Era vero, li aveva persi di vista un paio di isolati prima di arrivare
al vecchio magazzino. Aveva cercato di tenerli sotto controllo mentre seguiva a
distanza la cacciatrice, non gli piaceva essere seguito. Soprattutto quando i
suoi suddetti collaboratori portavano uno un lanciafiamme ed un altro un fucile
di precisione. Cose del genere lo rendevano nervoso.
-E non credi che dopo una battaglia con una cacciatrice saresti stato
abbastanza vulnerabile ai loro attacchi?
Spike scrollò di nuovo le spalle, non aveva considerato l’idea in quei
termini esatti ma di certo non lo avrebbe ammesso.
-Forse si, forse no.
-E non pensi che Travers ti ha mandato a cercare di farmi fuori proprio
qui, ed ora, durante una missione di addestramento, con la zona che brulica di
operativi, per un motivo? Così magari i due simpatici mercenari si potrebbero
limitare ad indicarti agli operativi ed aspettare che di te non rimanga che un
mucchietto di cenere. Oppure che io stessa potrei chiamarli?
In effetti alle altre squadre Spike non aveva proprio pensato. Non ne
aveva saputo nulla della loro presenza fino a quando non li aveva visti. Non
era stata una sorpresa piacevole ma non li aveva ritenuti una minaccia, era
sicuro che si sarebbe potuto allontanare senza che loro si accorgessero di
niente. Ora non ne era poi così tanto certo. Quanto al far fuori solo i due
mercenari, avrebbe potuto avere ottime probabilità di successo, anche dopo lo
scontro con la cacciatrice.
Ma affrontarne altri venti…
“E’ decisamente più intelligente di
quello che sembra.”
Spike scrollò ancora una volte le spalle e pensò di accendersi una
seconda sigaretta. La situazione si stava rivelando più spinosa del previsto. E
la cacciatrice continuava a tenerlo sottomira.
-Ci avrei pensato dopo.
Faith sogghignò.
-Bel piano davvero.
-Grazie. –Le rispose il vampiro con una caricatura di inchino, era
seccato che una ventenne gli facesse notare cose simili. E soprattutto era
seccato dal fatto che probabilmente aveva anche ragione.
“In fondo me la sono sempre cavata
con l’improvvisazione.”
Ci fu un attimo di pausa.
-Ma forse c’è un altro modo…
La bruna lasciò le parole in sospeso, attendendo una qualche reazione.
Faith sapeva che Spike avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per decidere se
accettare o meno la sua proposta. Ma se era abbastanza furbo…
-Illuminami.
Le disse sarcastico. Faith sorrise.
-Che ne pensi di inscenare la mia morte? Poi io ti aiuto a far fuori i
tuoi simpatici amici, ti prendi il denaro che Travers ti deve dare ed ognuno
felice per la sua strada?
Spike rifletté per qualche minuto. Una volta ammazzata la cacciatrice
aveva progettato semplicemente di sparire senza riscuotere i soldi che gli
avevano promesso. Giusto per minimizzare il rischio di essere fatto fuori da
Travers. Così invece avrebbe potuto prendersi il denaro.
-Cosa ci guadagni tu, cacciatrice?
-Mi libero del Concilio. Tutti mi crederanno morta. Nuova vita da
qualche altra parte. Magari le Bahamas. Non rischio di uscire storpiata da
questo scontro né di finire ammazzata per mano dei tuoi piccoli aiutanti.
Spike fece un gesto con la mano verso la tasca dove aveva riposto il
pacchetto di sigarette. Faith annuì.
Il vampiro aspirò un paio di boccate di fumo prima di rispondere.
-Non mi sembra male come piano. –Non lo era affatto, lo doveva
riconoscere. E gli piaceva l’idea di prendere in giro il Concilio e Travers
stesso. Aveva sempre amato fare scherzi. –Motivi speciali per cui poi mi
dovresti lasciare in vita?
Oramai era chiaro che la cacciatrice era fedele solo a se stessa. Non
che la cosa disturbasse minimamente Spike, semplicemente non era salutare
fidarsi di tipi del genere. Dannazione, lui era un tipo del genere.
Stavolta fu lei a scrollare le spalle.
-Non ho niente da guadagnare dalla tua morte.
Lui annuì. Gli sarebbe dovuto bastare.
-Dammi un motivo per cui non dovrei ucciderti io.
Chiese allora.
-Non ti darò occasione di farlo.
Si sorrisero.
Dopo un ultimo tiro Spike gettò la sigaretta lontano da sé.
-Allora, qualche idea su come vuoi morire?
Il locale era poco più di uno scantinato di un palazzo lontano dai
quartieri bene. Era piccolo, sovraffollato e maleodorante, pieno di
un’accozzaglia informe di umani, dall’aria molto poco civilizzata. Criminali da
strada, avanzi di galera della malavita organizzata e un forte presidio di
narcotrafficanti.
Magdalene aprì la porta del locale, lasciandola andare a sbattere nel
chiudersi, e scese lentamente i quattro gradini d’ingresso mentre cercava tra i
frequentatori del posto il suo contatto. Tutti gli avventori si girarono per
fissarla. Il suo completo panna Dolce e Gabbana e la sua area da manager in
carriera risaltavano notevolmente tra la folla di uomini in maglietta e jeans e
di donne molto poco vestite.
Lei ignorò completamente gli sguardi curiosi, i sussurri e si diresse
verso il bancone, camminando tranquillamente tra la folla, come se si trovasse
nel pieno della city, nello stesso locale dove aveva incontrato qualche giorno
prima i suoi amministratori delegati.
Una volta arrivata al bancone evitò di poggiare le mani sulla superficie
macchiata e incrostata limitandosi a fissare il barista in attesa che l’uomo si
decidesse a rivolgerle la parola. Attorno a lei si era fatto il silenzio, rotto
solo da qualche bisbiglio e da alcune risatine.
Il primo a riprendersi fu un energumeno di quasi due metri per più di
cento dieci chili, nessuno dei quali era grasso. Aveva le braccia completamente
tatuate e da come si muoveva era difficile capire se si trattava di un ex
appartenente all’esercito, magari congedato con disonore, o di uno scaricatore
di porto che era cresciuto nelle strade.
Le si avvicinò fino a quando non fu a meno di venti centimetri da lei.
-Dolcezza hai sbagliato bar. –Rise. –Quello delle bamboline è più
avanti. O forse vuoi unirti a noi? Eh?
Magdalene lo ignorò completamente limitandosi a continuare a fissare il
barista che guardava la scena immobile, un ghigno divertito sulla faccia. Passò
un intero minuto, poi l’uomo si stancò di aspettare ancora per avere la sua
risposta.
-Hey, sto parlando con te puttana. –l’apostrofò mentre allungava il
braccio per afferrarla alla spalla, in modo da farla voltare.
Marlin non lasciò che l’energumeno la toccasse. Rapida, sfruttò la sua
totale ingenuità sull’assumere con chi stava trattando. Di certo lei non era la
fragile e svampita donna che tutti avevano automaticamente creduto che fosse,
nonostante fosse decisamente gracile rispetto al suo avversario e non gli
arrivasse neppure alla spalla.
Un attimo dopo l’uomo si ritrovò in ginocchio, la faccia pressata contro
il bancone ed una pistola puntata alla tempia. Il medio e l’indice del braccio
stretto dietro la schiena ad un angolo innaturale, rotti.
Durante l’anno che aveva passato a Mosca assieme a Kroskj, l’altro
dirigente le aveva insegnato diversi trucchi di lotta corpo a corpo. “Il minimo
necessario per sopravvivere” le aveva detto. Essenzialmente le aveva insegnato
due cose. A colpire con facendo il maggior danno possibile con il minimo numero
di colpi ed ad usare la forza degli altri contro se stessi. E considerando che
per affari entrambi lavoravano spesso con esponenti della mafia russa, quei
trucchi l’avevano aiutata non poche volte.
Era stato un bell’anno quello. Interessante se non addirittura
esaltante. Dopo l’iniziale diffidenza reciproca lei e Kroskj avevano stretto
qualcosa di simile ad un’amicizia. Era stato un caso più che altro. Magdalene
in quel periodo si era ritrovata a fare affari con mafiosi russi in una lunga
serie di speculazioni edilizie, immobiliari, forniture militari e non, e su
qualsiasi altra cosa si potesse speculare. Kroskj frequentava quegli stessi
circoli per altri motivi. Armi, stupefacenti estorsioni. Non era esattamente un
mafioso ma ci andava abbastanza vicino. Aveva capito da tempo che per controllare
i demoni in una zona simile ed avere informazioni precise e veloci, avrebbe
dovuto far parte del sistema. E gli incentivi che provenivano da quella vita
non gli avevano mai fatto schifo.
La sera a cena quando rispettivi conoscenti li avevano “presentati” nei
ruoli che rispettivamente avevano nella mafia, aveva la potenzialità di essere
una scena veramente comica. Sembrava di essere all’interno di una commedia con
i tipici scambi di identità. Se non per il piccolo particolare che una parola
sbagliata da parte di uno dei due avrebbe potuto comportare la morte dell’altro
o per mano della mafia o per volere del Concilio.
C’era voluto dell’altro tempo perché scoprissero di potersi fidare a
vicenda, nessuno di loro due era vissuto così a lungo ponendo la propria
fiducia nel primo che passava, sia per quanto riguardava la mafia che per
quanto riguardava il Concilio. Era stata quella comunanza di interessi il
nucleo iniziale della loro amicizia.
Nel bar la folla si riprese dallo stupore quando un amico del primo uomo
fece un passo avanti per intervenire. Cadde a terra prima di farne un secondo,
una pallottola piantata nel ginocchio, urlando di dolore. Magdalene tenne la
pistola puntata contro di lui, mirando però alla testa, mentre continuava a
tenere immobilizzato l’altro.
-O fai silenzio o ti uccido.
La voce completamente atona. L’uomo a terra smise immediatamente di
urlare, mordendosi a sangue il labbro pur di non emettere un singolo suono,
mentre l’intera sala seguiva il suo esempio. Magdalene fissò il proprio sguardo
su ognuno dei presenti, uno dopo l’altro, a dimostrare le sue intenzioni.
L’ultimo fu il barista.
-Dove si trova Adàn?
Il barman si limitò ad accennare con il capo ad uno dei tavoli in fondo
alla sala. Magdalene lasciò andare il proprio prigioniero dopo avergli spaccato
il naso contro il bancone, poi si girò e raggiunse l’ultimo tavolo in fondo
camminando con la stessa tranquillità di quando era entrata.
In realtà tutti i suoi sensi erano tesi allo spasimo, intenta come era a
focalizzare la sua attenzione su qualsiasi movimento brusco o rumore improvviso
che l’avrebbe avvertita nel caso qualcuno decidesse di attaccarla nuovamente.
Dopo la dimostrazione appena data e l’aver saputo che era qui a parlare con una
della persone più importanti all’interno del bar era un’eventualità
improbabile, ma non del tutto impossibile.
L’uomo al tavolo era un ispanico, magro, la pelle del volto tirata e
lucidi capelli neri. Fece un cenno di saluto a Magdalene mentre lei si sedeva
sulla sedia opposta alla sua senza chiedergli il permesso.
-Dove?
Il sudamericano rispose ridendo.
-Hai il denaro?
Si pentì subito di quello che aveva detto. Un attimo dopo una pistola
era puntata contro di lui. Ridurre in soggezione quel bestione aveva provocato un
fastidioso dolore al braccio a Magdalene, per quanto brava potesse essere
tecnicamente il suo fisico era pur sempre quello che era, il che la rendeva
anche meno paziente e conciliante del suo solito.
-Ti facevo più intelligente Adàn.
Il sudamericano si sbrigò a rispondere alla prima domanda, maledicendo
la sua lingua.
-Domani a Bristol. –Scrisse su un foglietto l’indirizzo esatto e si
accorse che la mano gli tremava leggermente. Aveva paura. Lo avevano avvisato
che lei era oltre la portata della famiglia. E lui l’aveva fatta arrabbiare.
Non la garanzia migliore per uscire tutto di un pezzo da un incontro con la
donna che aveva davanti.
Magdalene mise sul tavolo un grosso fascio di banconote da mille
dollari. Adàn era abbastanza svelto da capire di non provare a prenderli o
contarli prima che lei glielo permettesse. Non si commettevano mai due errori
con lei.
Marlin gli lanciò il denaro dopo essersi presa il foglietto direttamente
tra le sue dita. Adàn prese il fascio di dollari al volo mentre la donna usciva
dal locale, indisturbata. La porta si era appena chiusa quando il barista gli
urlò da una parte all’altra parte della sala, la domanda che si stavano facendo
tutti in quel momento.
-Ma chi era quella, signore?
Adàn scosse la testa e rise sollevato di essere ancora vivo. Quando gli
avevano spiegato chi doveva andare ad incontrare aveva creduto che qualcuno
della famiglia lo volesse morto. Su quella donna giravano leggende veramente
terrificanti.
-Non ne ho la più pallida idea. Ma se siete abbastanza fortunati non
dovrete mai fare affari con lei.
Gli altri clienti lo guardarono perplessi. Tutti sapevano che Adàn era
un pezzo grosso di una delle famiglie sud americane e che si trovava qui a
Londra per concludere affari per conto del suo clan. Tutti lo rispettavano e
gli stessi boss locali con cui trattava lo temevano.
Lui si limitò a scrollare le spalle, indicando i due che stavano ancora
a terra, trascurati da tutti.
-Stasera era estremamente di buon’umore. Mi hanno raccontato che ha
tagliato la mano dell’ultimo che aveva provato a toccarla...
-Chi era il fesso?
Chiese una voce tra la folla.
Adàn non si girò a guardare chi avesse parlato, finì il suo gin in un
solo sorso prima di rispondere.
-Mio zio Alejandro.
Che era il capo del clan.
-A tutte le unità, qui Red Hawk, simulazione abortita. Ripeto, procedura
di addestramento annullata. Codice di emergenza. Richiesta di assistenza e
recupero, sono sotto attacco. Raggiungerò il punto di raccolta A tra cinque
minuti.
La comunicazione radio cessò.
Nel furgone di controllo seguirono diversi secondi di stupito silenzio.
L’operatore delle trasmissioni si
rivolse verso Vivien, l’espressione perplessa. Non era mai accaduto nelle
simulazioni precedenti che la cacciatrice contattasse il centro comando prima
della fine dell’addestramento, soprattutto non usando quel codice.
-Cosa è? Un bluff per farci uscire allo scoperto? Cosa dobbiamo fare?
Vivien lo ignorò, stava già studiando la carta della zona
dell’esercitazione, individuando sia il punto di uscita A, che si trovava ad
appena due isolati dal furgone, che la posizione attuale di tutte le altre
squadre. Gli uomini di Richard erano abbastanza vicini da intervenire in tempo
utile, non si poteva dire altrettanto di quelle di Devon e Carlos. Attivò con
una mano la cuffia che portava.
-Comandante?
Infuriata dall’interruzione che le fece perdere istanti preziosi, la
donna incenerì con lo sguardo l’operatore, un ragazzone biondo di neanche
venticinque anni, completamente idiota a quanto pareva, facendolo
immediatamente tacere. Era un idiota per cui non aveva tempo ora. Doveva
organizzare un’operazione di recupero, e lo doveva fare in fretta. Gli latrò
contro mentre prendeva il proprio mitra dal tavolo e si dirigeva verso il
portellone del furgone aprendolo con un colpo secco.
-Red Hawk è il codice di identificazione di Faith, cretino! E’ nei guai.
Avverti le squadre di Carlos e Devon della situazione e digli di convergere nel
punto A il più in fretta possibile. E cerca di contattare di nuovo Faith.
Appena raggiunta la sua squadra, appostata a difesa del centro di
comando, fece cenno agli uomini di seguirla mentre continuava a correre verso
il punto di raccolta A, che si trovava a circa tre o quattro minuti di distanza
a passo di corsa. Vivien li aveva posizionati lì per evitare l’imbarazzante
ripetersi dell’infiltrazione di Faith al centro comando, e del seguente
annientamento dei coordinatori dell’operazione, avvenuta durante una delle
precedenti simulazioni. Era una fortuna. Significava che ora Vivien aveva non
una ma due squadre di operativi in zona. Senza esitare i commando scattarono
andando a posizionarsi ordinatamente dietro il loro caposquadra, immediatamente
imitandone l’andatura.
Non capivano cosa stesse succedendo, ma non era importante. Avevano
degli ordini da eseguire.
Vivien sentì il clic che segnalava l’inizio delle trasmissioni in
cuffia.
-Qui Squadra Alfa.
La voce era sussurrata. Richard non capiva perché la donna lo avesse
chiamato. Aveva perso il contatto con Faith da più di due ore, era vero, ma era
ancora in piena caccia e non voleva essere disturbato. Sapeva che questa volta
avrebbe potuto prendere la cacciatrice.
-Squadra Alfa, qui comando.
Replicò Vivien.
-Positivo comando.
Confermò l’uomo, ancora perplesso.
-Dirigetevi verso il punto d’uscita A, immediatamente. L’addestramento è
annullato, operazione assistenza e recupero, oggetto Red Hawk.
-Positivo, assistenza e recupero Red Hawk. –Richard chiuse la
trasmissione. Rimase in silenzio per un attimo, prima di imprecare sonoramente.
–Oh cazzo. –Qualsiasi cosa potesse mettere nei guai una cacciatrice era un
brutto affare. Imprecò ancora tra sé “Cazzo,
cazzo…”. Alzò la mano, segnalando ai suoi uomini di fermarsi. –Alt.
Operazione annullata.
Gli uomini si bloccarono disponendosi in semicerchio di fronte a lui,
aspettando i nuovi ordini, mentre il caposquadra consultava la piccola carta
che aveva nella tasca della mimetica usando la torcia tascabile che aveva per
illuminarla.
Richard fece cenno agli operativi di muoversi e mentre correvano verso
sud, in direzione del punto di estrazione, ricapitolò rapidamente quello che
sapeva al resto della squadra. Non fu l’unico ad imprecare appena appresa le
novità. Venti secondi dagli ordini di Vivien e l’intero gruppo si dirigeva ad andatura
rapida verso il punto A.
-Contatto visivo ad ore tre.
Vivien girò il suo visore notturno nella direzione in cui le era stato
indicato. Stava facendo respiri profondi, cercando di riprendere fiato. La
corsa non l’aveva stancata, ma doveva recuperare il più possibile prima
dell’eventuale scontro che avrebbero dovuto affrontare.
-Contatto confermato ed identificato.
In fondo alla strada, circa trecento metri più in là, si trovavano due figure.
La distanza e la bassa luminosità ne rendeva impossibile l’identificazione a
meno di usare un visore notturno come il suo. Ci mise un solo momento per
mettere a fuoco i due individui, riconobbe subito Faith e quello che doveva
essere un vampiro, almeno a giudicare dall’aspetto umanoide e dalla forza che
dimostrava.
I due si stavano scontrando corpo a corpo, in una lotta serrata, alla
base di un palazzo fatiscente alto qualche piano. Poco distante da loro,
qualche metro sulla destra, si trovavano una macchina completamente sventrata
dall’impatto contro la facciata dell’edificio ed una seconda auto abbandonata
poco distante, il parabrezza fracassato e lo sportello lasciato aperto. Non era
difficile credere che quelle vetture sfasciate fossero il risultato di un
inseguimento automobilistico.
Il combattimento tra i due era tanto serrato da impedire agli operativi
di avere una linea di tiro pulita, senza il rischio di colpire la cacciatrice.
Imprecando tra sé all’impossibilità di aprire il fuoco, Vivien ordinò di
continuare l’avanzata verso gli obbiettivi. Via radio comunicò l’avvenuta
identificazione a Richard e diede ordine di sparare solo a colpo certo,
altrimenti di ingaggiare il vampiro in uno scontro ravvicinato.
Non voleva correre rischi, troppe volte degli operativi erano caduti a
causa di fuoco amico.
Quando la squadra di Vivien era a meno di duecento metri dall’edificio,
il vampiro, con un calcio ben assestato, riuscì a scagliare la cacciatrice
all’interno del palazzo, dove la seguì immediatamente impedendo agli operativi
di ottenere una finestra di tempo sufficiente ad aprire il fuoco contro di lui.
Una manciata di secondi dopo, quando gli agenti del Concilio erano
ancora relativamente lontani dall’edificio, l’auto fracassata contro la
facciata dell’edificio esplose scagliando frammenti di metallo e detriti
roventi in tutte le direzioni.
I commando si gettarono a terra per ripararsi dalla pioggia di pezzi
incandescenti.
-Feriti?
Chiese Vivien al resto della squadra mentre si rialzava in piedi, controllando
di non avere tagli di una qualche importanza oltre a qualche abrasione a causa
dell’asfalto. Sentì dei brontolii indistinti ed un paio gemiti prima di avere
la propria risposta.
-Nessuno signora.
Annuendo la donna si voltò verso l’edificio. Di fronte a quella vista le
labbra le si piegarono in una smorfia impotente.
La situazione si era improvvisamente volta a loro sfavore.
Le fiamme che si alzavano dal serbatoio della vettura e che cominciavano
a espandersi sulla facciata, rendevano difficile un ulteriore avvicinamento, e
la stessa forza dell’esplosione aveva fatto crollare parzialmente l’ingresso
dell’edificio, rendendolo di fatto impraticabile.
Vivien ed i suoi uomini rimasero in piedi, gli sguardi rivolti verso il
palazzo, scrollandosi svogliatamente di dosso i detriti che gli erano caduti
sopra. Dopo qualche istante la caposquadra si voltò verso di loro per dare i
nuovi ordini, vedendo in quel momento sopraggiungere la seconda squadra da un
vicolo.
Richard le si fermò di fianco, guardandola con espressione accigliata
dopo aver lanciato un’occhiata verso la costruzione in fiamme, ancora ansante
dalla corsa. La cosa non si metteva bene e lo sapeva.
-Ed ora?
Vivien scosse la testa, osservando per un attimo ancora l’edificio in
fiamme e la strada coperta di detriti.
-L’ingresso principale è bloccato. Non so quanto quella vecchia
struttura possa reggere al fuoco prima di crollare come un castello di carte.
Faith e quello che sembrava un vampiro sono dentro, impegnati in un
combattimento. –Scosse le testa. L’ingresso principale, e probabilmente
l’unico, era bloccato e l’intera costruzione poco più di una trappola mortale.
Per quanto volesse non poteva rischiare i suoi uomini in quell’inferno. Maledì
la sua sfortuna prima di continuare a parlare. –Non possiamo essere di diretto
aiuto, dovrà cavarsela. Tutto quello che possiamo fare è riuscire a crearle una
via di fuga. –L’uomo annuì. La situazione non piaceva neppure a lui ma c’era
poco da fare. –Prendi la tua squadra e gira intorno all’edificio…
-Comandante!
Vivien si girò, seccata dall’interruzione.
-Che c’è Douglas?
-Il tetto dell’edificio, guardi!
Vivien fece come le era stato detto. Sul tetto del palazzo si potevano
vedere due figure, una delle quali teneva tra le braccia l’altra. Sconcertati
gli operativi videro la testa della figura più alta piegarsi verso la seconda.
Tutti sapevano che era il vampiro che si nutriva.
Ci fu una seconda esplosione all’interno dell’edificio.
Un attimo dopo le due figure erano scomparse, nascoste da alti muri di
fiamme. Ora l’intera costruzione era avvolta da lingue di fuoco e si sentiva la
struttura cominciare a scricchiolare mentre cedeva.
-Richard, porta la tua squadra dall’altra parte, controlla che non ci
siano uscite posteriori. Voglio la certezza che nessuno esca di lì senza che io
lo sappia, chiaro? Se riconoscete Faith intervenite, tiratela fuori a qualsiasi
costo, se invece si tratta di quel maledetto vampiro lasciatelo pure bruciare
vivo, oppure sparategli, quello che preferite. Lo voglio morto, chiaro? –Il
caposquadra annuì e con lui tutti gli altri operativi. –All’arrivo di esterni
ritiratevi. Non voglio casini, la serata fa già abbastanza schifo ora.
La voce era bassa e piena di emozioni contenute e soppresse. Richard si
limitò ad annuire di nuovo, facendo segno alla sua squadra di seguirlo.
Vivien fissò ancora il palazzo in fiamme, assistendo al primo crollo ed
alla cascata di scintille che provocò. Non erano sicuri che il vampiro avesse ucciso
realmente la cacciatrice, ma quello spettacolo lasciava poche speranze.
Scuotendo la testa la donna mormorò piano qualche parola, senza che nessuno la
sentisse.
-Dannazione Faith! Ti dovevi proprio andare a cacciare nell’unica
situazione da cui non posso tirarti fuori…
-Pop-corn?
-No, passami la birra per favore.
Erano appoggiati al cornicione di mattoni e si godevano lo spettacolo
dall’alto dei quindici piani di altezza dell’edificio sul quale si trovavano,
il più alto della zona.
Faith e Spike osservavano interessati e divertiti la scena che si
svolgeva sotto di loro. I piccoli omini in nero che circondavano la catapecchia
a cui avevano dato fuoco e l’edificio, che cominciava lentamente a crollare.
-Bel rogo. –Gli fece lei, annuendo in approvazione mentre mangiava
un’altra manciata di pop-corn, pescata dal sacchetto che aveva lì vicino.
-Anni di esperienza. –Rispose Spike scuotendo le spalle. –Comunque
complimenti per come hai piazzato le bombe, senza di quelle distrarli
abbastanza da andarmene, tutto sarebbe stato più difficile… sai, non ti facevo
esperta di esplosivi.
Faith scrollò le spalle.
-Cosa ci vuoi fare, dovevo scegliermi un hobby, e mica tutti vogliono
diventare piromani.
Lui annuì solennemente.
Mangiarono ancora qualche manciata di pop-corn prima di riprendere la
conversazione. Sotto le fiamme stavano diventando più alte. Sarebbero bastati
pochi minuti per far crollare l’edificio, già c’erano stati i primi cedimenti
strutturali.
-Carino, a pensare che tutti credono che io stia rosolando lì dentro.
Commentò Faith, piegando la testa un po’ di lato mentre osservava la
scena.
-Beh, almeno te ne vai con stile, una gigantesca pira tutta tua. Sono
secoli che nessuno ha più avuta una.
Le fece notare Spike.
-Un bello show, eh?
Spike annuì prima di bere un sorso di birra. Il palazzo crollò con un
boato, alzando nubi di scintille e detriti. Gli operativi si misero al riparo
mentre in lontananza si cominciavano a sentire le sirene delle autopompe.
-Incredibile che ci siano cascati.
-Nah, semplice trucco da prestigiatore, prepari l’illusione, li distrai
ed il gioco è fatto. –Disse il vampiro allungando la mano per prendere l’ultima
manciata di pop-corn. –Il risultato non è perfetto, ma se cercano bene
troveranno resti umani lì dentro. Maschili, è questo il problema.
Il fatto che lui fosse ultra centenario non gli aveva impedito di
tenersi aggiornato con le ultime tecniche di riconoscimento dei cadaveri. Erano
cose utili da sapere considerando le sua attività.
-Non doveva mica essere perfetto, giusto togliermi dalle scatole per un
po’ quelli del Concilio. E del resto che ci potevamo fare se il tipo che
Travers ti ha messo alle calcagna era un uomo?
Per inscenare la loro piccola illusione del “pasto del vampiro”, avevano
usato l’uomo che pedinava Spike più da vicino. Lo avevano trovato nascosto
nell’edificio di fronte al magazzino dove si erano incontrati, con una
ricetrasmittente in mano, in attesa di avvertire le squadre e di farle
intervenire ad eliminare Spike, una volta che il lavoro fosse stato completato.
-Aveva pure un cattivo sapore, sai?
Il vampiro fece una faccia disgustata mentre masticava l’ultima manciata
di pop-corn. Sotto di loro la zona si era riempita di autopompe, pompieri e
curiosi. I lampeggianti blu ed i fari illuminava la zona a tratti mentre i
vigili del fuoco stendevano le manichette e cominciavano a spegnere le fiamme.
Faith finì la sua birra e appallottolò la busta dei pop-corn prima di
rivolgersi a Spike.
-Vogliamo andare? Qui si sta facendo troppo affollato.
Il telefono squillò esattamente due
volte prima che lei rispose.
Con uno sguardo Magdalene si accertò
di che ore fossero. Le quattro di mattina.
-Si.
La donna non si presentava mai al
telefono. Del resto il suo non era un numero che si componeva per errore.
-Miss Marlin, sono Alphonse. –Non ci
fu nessun saluto. L’uomo sapeva di non aspettarselo, lavorava da anni per conto
di Magdalene e non era la prima volta che le telefonava, quindi proseguì. –La
chiamo per informarla della morte della cacciatrice Faith Mars, signora. E’
stata uccisa da un vampiro non identificato.
-Il cadavere?
Chiese freddamente Marlin. Doveva
essere certa che fosse morta veramente. Il decesso di una cacciatrice non era
il genere di informazioni sulle quali ci si potesse sbagliare.
-E’ tra le macerie del palazzo dove
si sono scontrati lei ed il vampiro. –Riferì Alphonse. –Nessuno dei due è
sopravvissuto al fuoco od al crollo che è seguito. Circa venti operativi erano
presenti sulla scena ed avevano circondato l’edificio durante lo scontro. Le
loro versioni coincidono.
Rispose preciso l’altro, sapeva che
la donna voleva solamente un rapporto completo senza particolari irrilevanti.
In caso avesse voluto sapere qualcosa di specifico lo avrebbe chiesto.
-Tienimi informata sull’evoluzione
della cosa.
-Si signora.
L’informatore chiuse la
comunicazione lasciando Magdalene sola con i suoi pensieri.
“Così Travers, Miller o chi altro alla fine sono riusciti ad ucciderla…
Strano, credevo ce l’avrebbe fatta ad evitare i sicari che aveva alle spalle…
meglio così, ormai aveva terminato la propria utilità…ed almeno non dovrò
ucciderla personalmente… è sempre pericoloso far fuori una cacciatrice… si
devono fidare di te prima che tu le possa eliminare e dubito che Faith si
sarebbe mai fidata di me. Catherine le ha insegnato bene nel poco tempo che ha
avuto…” Si mise a sedere dopo essersi sistemata il cuscino dietro la schiena. “Ho qualche ora di vantaggio sul resto del
Concilio, forse un giorno intero, mandante dell’omicidio a parte. E’
l’occasione giusta per alterare gli equilibri e spingere finalmente per
l’elezione dei dirigenti mancanti, che la maggioranza dei candidati mi sostenga
non significa molto a meno che non riesca farli entrare in carica. E per farlo
dovrò trovare un modo per screditare la fazione di Miller ed il Primo
osservatore stesso…”
Allungò nuovamente la mano e riprese
il telefono era inutile perdere tempo. Ebbe due brevi conversazioni. Una
piuttosto interessante con Kroskj, durante la quale lo informò della novità,
per poi scambiarsi le proprie idee su come comportarsi e su cosa fare al
momento. Si lasciarono dopo aver deciso di risentirsi più tardi, non appena
fossero arrivate nuove informazioni. L’altra conversazione la ebbe con uno
degli osservatori anziani della cui lealtà era certa, se non altro perché
l’uomo era indebitato per centinaia di migliaia di dollari a causa della vita
che conduceva, e lei era il suo garante con gli strozzini a cui li doveva. Gli
diede alcune istruzioni veloci prima di riattaccare. Quell’uomo sapeva che era
meglio non deluderla.
“Domattina vedrò di prendere il resto delle misure adeguate a dare
seguito alla cosa…”
Meno di cinque minuti dopo aver
attaccato il telefono, Magdalene stava nuovamente dormendo.
Appena rientrata in albergo dalla suo giro per negozi, Buffy attraversò
velocemente la hall e si diresse verso il bancone della reception posizionato a
lato dell’immensa sala. Non dovette aspettare molto perché l’unico impiegato
finisse di registrare l’anziana coppia che stava servendo al momento e
rivolgesse la sua attenzione a lei.
-Le posso essere utile?
Chiese educatamente seppure in maniera del tutto impersonale.
-Ci sono messaggi per me? Buffy Summers stanza 322.
Chiese la cacciatrice mentre muoveva nervosamente le mani,
giocherellando con la chiave della stanza. Non era esattamente sicura di quale
risposta volesse sentire. Per quanto volesse veramente sapere la verità sulla
madre aveva paura di scoprire cose spiacevoli a riguardo. Era terrorizzata
dall’idea. C’era una parte di lei, una larga parte, che la spingeva a
rinunciare a tutto ed a tornarsene a casa. Perché era la cosa più sicura da
fare.
Nessun rischio.
Era una sensazione che era cresciuta esponenzialmente con il proseguire
della ricerca. All’inizio non erano che pochi dubbi, poi qualche ripensamento.
Era anche per questo che ci aveva messo tanto a decidere se proseguire o meno.
Poi era diventata esitazione ed infine questa voglia scarsamente controllabile,
che la prendeva inaspettatamente per un secondo o due, di piantare tutto e
tornare a casa.
Strinse il pugno intorno alla chiave della camera, tanto da sentire il
metallo cedere appena. Accorgendosi di quanto stesse facendo, fece un respiro
profondo e si impose di ignorare il pensiero.
-Un attimo.
L’impiegato andò al terminale sistemato dietro il bancone e controllò
quanto richiesto.
-No, mi dispiace nessun messaggio. –Replicò senza alzare lo sguardo e
perdendosi così l’espressione di Buffy, un misto tra delusione, orrore ed
esultanza. L’uomo digitò qualcos’altro sulla tastiera ed osservò una nuova
schermata per qualche secondo. –C’è un pacco da ritirare però.
Messa una firma sull’apposito modulo, la cacciatrice prese una busta
gialla piuttosto pesante dalle mani dell’impiegato. Era un pacchetto del tutto
anonimo, il suo nome e numero della stanza scritto su un lato a macchina,
niente mittente od altre informazioni.
-Chi l’ha portata?
Lo chiese mentre faceva scorrere le mani lungo il bordo incollato,
impaziente ma al contempo timorosa di aprirla.
-Non lo so signorina. Vuole che mi informi?
Annuì, quasi sorridendo. Quasi.
-La prego.
L’uomo lasciò momentaneamente il bancone per andare ad informarsi negli
uffici. Tornò qualche minuto dopo con un sorriso apologetico. Buffy nel
frattempo aveva aperto il pacchetto. Dentro aveva trovato un blocco di fogli
stampati e una nota scritta a mano. Lesse il bigliettino, poche righe:
“E’ tutto quello che ho potuto
trovare in così poco tempo. Spero sia abbastanza. Se devi fare qualcosa che sia
questa sera. La domenica è il giorno migliore, l’edificio sarà deserto, nessuno
dei ricercatori o degli amministrativi lavora.
Fa attenzione e buona fortuna,
Buffy.
Con affetto,
Danny”.
L’impiegato si schiarì la gola per attrarre l’attenzione della
cacciatrice che non lo aveva ancora notato, persa nei suoi pensieri. Riportando
l’attenzione sull’uomo di fronte a sé Buffy, piegò la nota e la infilò in tasca
mentre richiudeva la busta, guardando l’impiegato per avere notizie, anche se
ormai sapeva già la risposta.
-E’ stato un fattorino, il mio collega non si ricorda di quale compagnia
facesse parte, mi dispiace signorina.
-Non fa nulla, non si preoccupi. – Buffy tirò fuori una banconota e la
lasciò sul piano del bancone. –la ringrazio comunque per l’aiuto.
-Dovere signorina.
Buffy salì in camera, il pacchetto ben stretto tra le braccia, custodito
come un tesoro.
Buffy stava osservando la costruzione da più di un’ora. Le informazioni
che Danny le aveva fatto recapitare erano esatte al minuto. Cancelli, posti di
controllo, cambi di guardia, orari di pattuglia, posizione di telecamere e
recinzioni elettrificate. Tutto come era descritto nei fogli che aveva
ricevuto. Tra di essi era allegata una mappa dettagliata dell’interno
dell’edificio, con segnato l’accesso all’archivio e il numero del progetto che
stava cercando. Li aveva memorizzati durante il pomeriggio.
Soltanto che dopo un’ora di appostamento Buffy sapeva che non sarebbe
mai potuta entrare lì dentro. Era certa di non poter superare quella
sorveglianza, non tanto la parte umana, evitare gli umani era fin troppo
semplice, quanto la parte tecnologica. Non sapeva come evitare telecamere o
superare codici di sicurezza. Si fermava a saper forzare le porte, sfondarle
più che altro. Vampiri e demoni non usavano mai i moderni mezzi di sorveglianza
e lei di certo non sapeva come evitarli, né tanto meno disattivarli.
Con sentinelle, ingressi nascosti, porte rinforzate sapeva trattare. Con
fotocellule, sensori e telecamere, no.
Correva il rischio di essere scoperta, e non era molto ansiosa di vedere
come fosse un carcere inglese. In fondo questa non era Sunnydale e qui la
polizia non avrebbe preso molto bene un’infrazione simile.
“Non so cosa mi sia preso, non sono
mai stata un’esperta in questo genere di operazioni chirurgiche, sono più un
tipo da “entro, ammazzo, spacco tutto e poi esco tranquillamente, come se nulla
fosse.” … un’illusa, ecco quello che sono. Nient’altro che un’illusa. Stupida
che non sono altro. Cosa mi aspettavo? Un miracolo? Che improvvisamente fossi
in grado di infiltrarmi in un centro così sorvegliato? Neanche la base militare
di Sunnydale è tanto controllata…”
Così tutte le sue speranze e i suoi preparativi non erano serviti a
nulla.
Tutta quella storia si era rivelata una beffa colossale.
Aveva voglia di piangere per la frustrazione. Gli occhi le bruciavano
tremendamente e se li sfregò rabbiosamente cercando di controllarsi. Fece un
paio di respiri profondi per calmarsi. Le ci volle un po’, ma alla fine ci
riuscì. Qualche istante dopo realizzò di avere ancora una speranza di
raggiungere il suo passato.
Sua sorella.
Buffy quasi sorrise al pensiero.
Era stata una mossa stupida venire qui invece di andare da lei.
Domattina sarebbe andata a trovarla, le avrebbe parlato, le avrebbe
raccontato tutto. Di come la loro madre aveva avuto un incidente in America, di
come i suoi documenti erano stati smarriti dall’ufficio minori persi in un
qualche spiraglio burocratico, di come fosse stata adottata.
Lei avrebbe dovuto crederci.
Avrebbe dovuto.
Del resto era tutto vero, no?
“E la verità non può essere negata,
giusto?...Basta che domattina rifaccia quella strada, la attraversi, arrivi a
quella porta, per poi bussare. Lei mi aprirà…lei? Forse mia zia… o mio zio…
chissà? Un cugino… non ho idea se loro abbiano figli…poi mia sorella ed io
parleremo, e lei capirà…sì… andrà esattamente così… sarà come tornare a casa
dopo un’assenza troppo lunga…”
Sorrise appena, sollevata. Non tutto era perduto.
Improvvisamente le luci del complesso si spensero. I sorveglianti, colti
di sorpresa, cominciarono a urlarsi a vicenda che la corrente era saltata, che
si doveva trattare di un problema della centrale stessa, non del loro
contatore, e che tutti i sistemi di sorveglianza erano saltati, compresi quelli
di emergenza.
Era l’occasione in cui Buffy non credeva più.
La cacciatrice sorrise apertamente.
La fortuna era dalla sua, ora poteva farcela.
Era una tentazione troppo forte da ignorare, considerando che le
risposte che cercava erano lì dentro.
Si avvicinò di soppiatto alla recinzione, era tutto buio ora, ci si
arrampicò e la superò facilmente. Niente più corrente ai sensori di movimento.
Un gioco da ragazzi. “Ora posso farcela”.
Corse verso il complesso tenendosi bassa, evitando agevolmente i fasci di luce
delle torce dei sorveglianti.
Entrare nell’edificio fu altrettanto facile, ed evitare le guardie
interne non si dimostrò un problema. I fasci di luce delle torce erano visibili
ben prima che gli uomini superassero gli angoli dei vari corridoi. Inoltre con
l’emergenza sembrava che tutte le porte si fossero automaticamente sbloccate.
Meglio così.
Buffy arrivò in fretta all’archivio, piano meno uno, giusto due rampe di
scale fatte di corsa. Quando si accostò la porta dietro le spalle non aveva
neanche il fiatone, il sorriso ancora stampato in faccia.
Per cercare tra i vari schedari fino a trovare il file che cercava, le
ci volle qualche minuto, dato che le mani le tremavano leggermente
dall’emozione e la luce non era delle migliori. Alla fine lo trovò e lo
estrasse con cautela.
Si accorse di essere tanto nervosa da avere la nausea.
Deglutì un paio di volte cercando di cacciare la sensazione. Le ci volle
qualche secondo per avere ragione del proprio stomaco ed evitare conati di
vomito.
Ripreso il controllo illuminò il file con la torcia che si era portata e
cominciò a leggere.
“Progetto 168, sezione scientifica
L”, poco più sotto la dicitura “riservato” e “concluso” . Il tutto era una cartelletta blu abbastanza spessa.
Buffy l’aprì, pagina uno:
“Sezione genetica, Weston
Laboratories.
Scopo dell’esperimento: creazione in
laboratorio di feto a partire da cellule adulte.
Direttore esecutivo del progetto:
professore G. Herte;
Ricercatori: dottore J. Tisred, …”
Seguivano altri nomi. Buffy li ignorò, non le importavano, la scoperta
che la madre facesse parte di un progetto per cosa? Clonazione, o qualcosa di
simile. Lo ripeté tra sé, incredula “…clonazione…”.
Suonava strano. Uno choc scoprirlo così. Un brivido gelido le corse lungo tutta
la schiena. Il pensiero che altri esseri umani potessero creare “cose” l’aveva
sempre disturbata molto. Buffy semplicemente credeva che non fosse naturale.
Quanto ai frutti di quegli esperimenti, di certo non potevano essere
considerati “normali” a tutti gli effetti.
Scosse la testa e saltò qualche altra pagina, piene di dettagliate
descrizioni tecniche che non capiva e che non le interessavano. Perché quel
progetto era così pericoloso per sua madre?
Proseguì la lettura…
“Provenienza campioni;
Dati soggetto di partenza:
-Sesso: Femminile.
-Età: Approssimativamente diciotto
anni.
-Razza: Caucasica.
-Identità: Sconosciuta.
-Stato: Deceduta. Causa massicce perdite
di sangue originate da estese lesioni interne.
Note: Un testimone oculare riferisce
straordinarie capacità atletiche del soggetto, forza fuori dal comune, riflessi
al di sopra della media.”
Capacità atletiche straordinarie, forza fuori dal comune, riflessi al di
sopra della media.
Cosa significava?
“Capacità atletiche straordinarie,
forza fuori dal comune, riflessi al di sopra della media, già sentita come
definizione, l’ho già sentita come definizione… ma dove?”
Questo rispondeva cosa stessero cercando di clonare. Esseri umani.
Un altro brivido.
Buffy saltò altre pagine, doveva fare in fretta. Prima o poi la corrente
sarebbe tornata.
Una sorta di diario con segnati i progressi raggiunti.
C’erano registrati anni di studi, li sfogliò in fretta, disinteressata.
Decine di tabelle di raccolte Arrivò all’ultima pagina del fascicolo scritta a
mano.
“Conclusioni finali:
L’esperimento si è rivelato un
successo. Il feto impiantato nell’utero della dottoressa Tisred, si è
sviluppato senza malformazioni. Il soggetto è nato oggi, vivo. Sarà affidato
alle cure della dottoressa per monitorarne i progressi, ufficialmente
registrata come sua figlia naturale.
In fede,
Professore Geremy Herte
20 Gennaio 1981
“…impiantato NELLA dottoressa Tisred… mamma… perché?…che è successo?
…come sua figlia… come?… impossibile… venti anni fa… perché? …nessuno può
clonare esseri umani…no, è impossibile clonare…20 gennaio 1981… soggetto nato
oggi…vivo… mamma, perchè?… nell’utero…
cosa… non capisco…il feto…sua figlia… 20 gennaio… no…perché? …figlia …cosa
significa? … 20…”
Sua figlia?
La mente di Buffy si stava rifiutando di capire qualcosa.
Cosa?
Cosa?
La cartella blu le cadde dalle mani tremanti assieme alla torcia. Non
fecero rumore mentre toccavano il pavimento di linoleum.
Strano.
“No, è impossibile… no, no… NO…
NOOOOOOOOOO!! Assurdo…allucinatamente
assurdo… sbaglio… sto sbagliando vero? … vero? …questo non può essere accaduto…
è un errore… c’è un errore… sono solo parole… no… no… impossibile… ”
Perché?
Buffy scuoteva la testa, negando, ma l’ultimo foglio era caduto lì a
terra, davanti ai suoi piedi, visibile, illuminato sinistramente dal fascio di
luce della torcia.
Non capiva cosa stesse succedendo, non sapeva neanche se stesse
respirando o meno, né se qualche suono stesse uscendo dalla sua bocca distorta
da un’espressione che non era né stupita né nauseata.
Quel carattere piccolo, minuto e straordinariamente ordinato,
perfettamente leggibile, e lo sguardo che tornava su quelle poche cifre in
fondo a destra.
“Non il 20 gennaio… no… no…”
Buffy si voltò.
Corse verso l’uscita.
Senza guardarsi indietro.
Buffy era nata nel 1981.
Il 20 gennaio.
By Silea
Isabel Archer: “I always want to know the things
one shouldn't do”.
Her aunt Touchett: “As to do them?”
Isabel:“So as to choose”
“The portrait of a lady” H. James.
La notizia si sparse come un
fulmine.
Voci di corridoio avevano cominciato
a circolare dalla mattina presto. All’inizio erano solo sussurri indistinti.
Qualcosa era andato storto in una delle missioni degli operativi, l’entità del
danno e secondariamente delle perdite subite dal Concilio variava. Si diceva
che ci fosse stato quasi un massacro.
In poco meno di due ore, quello che
doveva essere un segreto, era sulla bocca di tutti. In un posto così piccolo ed
in cui di vere novità ce ne erano poche, qualsiasi nuova informazione, per
quanto improbabile nella sua esattezza o raccapricciante nel suo contenuto,
diventava oggetto di infinite speculazioni.
Al momento Dwayne, con un leggero
sorriso sul volto a dimostrazione di quanto un simile evento lo potesse
divertire, si stava dirigendo verso l’ufficio del suo migliore amico. L’uomo
aveva avuto una mattinata veramente interessante. Non accadeva tutti i giorni
che un simile argomento di discussione fosse disponibile. Era stato impegnato a
lungo nella diffusione e nell’accertamento di quanto accaduto.
Senza bussare, erano amici da troppi
anni perché rispettassero simili formalità, entrò nell’ufficio di Sheridan,
trovandolo impegnato a lavorare su un file o cos’altro aveva sulla scrivania al
momento. “Figurarsi, tipico.
Probabilmente è l’unico in questo edificio che attualmente sta lavorando, visto
che Marlin non è qui…” pensò Dwayne chiudendosi la porta alle spalle ed
avanzando verso la scrivania. Era meglio che quanto aveva da dire non fosse
ascoltato per caso dalla persona sbagliata. Che oggi tutti parlassero di questo
argomento era scontato, ma non era ugualmente il caso di farsi sentire mentre
lo si faceva.
-Buongiorno amico mio. Sentito le
ultime novità?
Esordì Dwayne con un sorriso sempre
più largo. Sheridan era sempre interessato all’ultimo gossip del momento, ma
non ne era ossessionato, e visto che le sue fonti dirette non erano buone
quanto le sue, molto spesso Hillting si trovava nell’adorata posizione di
informarlo più esaurientemente su quanto accaduto.
-Ho sentito che ci sono stati
problemi con una delle missioni degli operativi. Si dice ci siano stati dei
morti.
Replicò senza sbilanciarsi Sheridan.
Dal sorriso di Dwayne sapeva che quanto accaduto doveva essere più importante
di un qualche incidente di percorso simile a cento altri. Ma era anche
istintivamente cauto di fronte a tanto interesse da parte del suo amico.
Generalmente Hillting non si curava dell’effettivo significato di quanto
riportava, piuttosto si concentrava sul sensazionalismo della notizia. Da
sempre Sheridan era convinto che Dwayne sarebbe stato un ottimo reporter, se
mai avesse deciso di intraprendere quella professione invece di diventare un
osservatore.
La cosa che disturbava di più
Sheridan, era che le diverse voci che giravano non erano affatto rassicuranti,
a prescindere dalla quantità di verità che c’era in ciascuna. Alcune dicevano
che tra gli operativi feriti, per altre erano tra i morti, si contassero almeno
due capo squadra e il comandante della missione. Chi fosse quest’ultimo non era
noto e diverse persone potevano aver ricoperto quell’incarico, ma Sheridan
sapeva che se avevano colpito il comandante della missione niente e nessuno si
era salvato in quel disastro. Probabilmente si doveva essere trattato di un
massacro.
-Morti? Al plurale?
Insistette Dwayne con un sorriso
sornione e la faccia di qualcuno che sa qualcosa più di te.
-Si morti. Ho sentito di un
massacro, con tanto di morte del comandante esecutivo.
-Oh no, proprio no. Non ci siamo
affatto, amico mio. –Disse Hillting scuotendo la testa alla risposta ricevuta.
–Dovresti proprio cambiare fonti. Sei in alto mare…
-Un solo morto quindi.
Sheridan ipotizzò, riflettendo su
quanto gli era stato appena detto.
-Esatto.
Confermò Dwayne senza aggiungere altre
informazioni. Sheridan lasciò passare qualche secondo prima di fare la domanda
che il suo amico aspettava per continuare. Hillting aveva sempre amato quando
gli altri gli chiedevano di condividere con loro quanto sapesse, e per sua
fortuna Sheridan non si faceva problemi nel chiedere.
-Chi?
-La cacciatrice.
Replicò con un sorriso enorme
Dwayne.
Sheridan lo guardò senza riuscire a
parlare per un attimo, sconvolto dalla notizia.
-Mars?
Chiese per conferma. Non che
“Gli incidenti accadono…”
-Si, la rinnegata… od ex-rinnegata…
Disse Hillting facendo un vago cenno
della mano per sottolineare la scarsa importanza della correttezza o meno della
definizione.
-Sei sicuro?
Dwayne lo guardò, offeso.
-Certo che sono sicuro! Pensi che io
sia uno di quegli idioti che vanno in giro a ripetere cose sentite per caso in
corridoio? –L’uomo era veramente seccato dall’insinuazione. –L’ho saputo da una
fonte certa. E considera che il resto del concilio si sta ancora chiedendo
quanti operativi sono morti e soprattutto se fra di loro c’era o meno una delle
cacciatrici. La mancanza di un qualsiasi commento ufficiale ha attirato
parecchia attenzione sulla cosa. Se i dirigenti non avessero nulla da
nascondere parlerebbero, è questo il ragionamento che va per la maggiore. –Si
fermò un attimo, colpito da un’idea. –Sai? Penso proprio che approfitterò
dell’informazione per una volta…
Aggiunse un po’ pensieroso.
-Vuoi dire che hanno già aperto le
scommesse?
Non era una cosa rara. Ad ogni nuova
notizia si facevano speculazioni per poi passare ad amichevoli scommesse sui
risultati di tali considerazioni. L’ipotesi che una cacciatrice avesse perso la
vita era un incentivo sicuro perché molta attenzione fosse dedicata alla cosa.
E maggiore l’attenzione, maggiore il numero di scommesse relativo.
Senza contare che era la prima
occasione da anni che gli osservatori avessero mai avuto per fare una scommessa
simile. La morte di Kendra era stata comunicata in tempo quasi reale e non
avevano potuto scommettere, mentre ora… Era troppo ghiotta come opportunità per
non coglierla, dovevano solo fare attenzione che i vari supervisori non ne
venissero a conoscenza.
-Si, da ore. Si scommette
sull’identità dei morti e sul loro numero. Penso proprio che andrò a puntare su
Mars, le quotazioni dovrebbero essere ancora buone. –Si interruppe ed il
sorriso gli si gelò. –Dannazione, devo andare a trovare Joandra. Le piace
scommettere e non l’ho ancora avvertita. Potremo divertirci a piazzare un paio
di scommesse assieme, di sicuro lei sa chi le accetterebbe, e guadagnarci anche
qualcosa.
Sheridan si limitò ad annuire
distratto.
-Ci vediamo dopo amico mio.
Disse Hillting salutando ed uscendo
dall’ufficio, lasciandosi un pensieroso Sheridan alle spalle.
“No, no... A volte Dwayne non capisce quanto siano importanti le notizie
che ha. Dubito che gli equilibri di potere siano ancora intatti… Speriamo solo
che questo non sia l’inizio della fine.”
Tutti avevano notato come gli operativi
presenti nel Concilio erano improvvisamente diventati taciturni e decisamente
arrabbiati. Gli osservatori, quelli più cauti o più intelligenti, ritennero
opportuno evitare di fare domande di sorta e limitarsi a scambiare qualche
parola con i vari tecnici. Era ovvio che qualcosa fosse andato tremendamente
male.
Dwayne ebbe occasione di vedere in
prima persona esattamente quanto gli operativi fossero tesi.
Aveva appena superato un corridoio
per andare a cercare Joandra nel proprio ufficio quando notò la scena. Non
intervenne subito, anche se come osservatore anziano era suo dovere farlo.
Uno degli operativi, una montagna
d’uomo di quasi due metri, aveva intrappolato una osservatrice contro la parete
e non sembrava particolarmente felice con la donna in questione.
Dall’estremità del corridoio in cui
si trovava Dwayne non ebbe alcuna difficoltà a sentire le parola che l’uomo le
stava rivolgendo, anche se non erano più di un basso ringhio.
-Non sono affari tuoi cosa sia
accaduto. E prova ad insinuare nuovamente che un operativo si meritava di
morire e per ritrovare i tuoi denti servirà il lavoro tutti i ricercatori del
Concilio per almeno dieci anni… chiaro?
Hillting sorrise alla minaccia. Era
divertente, posto che non fossi stato tu quello appena minacciato da un
energumeno di quella grandezza.
La donna ebbe il buon senso di
annuire, senza spiccicare parola. Il commando continuò a tenerla ferma contro
la parete senza dare alcun accenno a muoversi.
Sospirando Dwayne fece un passo
avanti per intervenire, sebbene la cosa non lo ispirasse particolarmente. A
prescindere da chi avesse torto o ragione non gli piaceva l’idea di mettersi in
mezzo.
Non aveva fatto tre passi quando
notò l’altra figura all’altra estremità del corridoio, la più vicina ai due.
Non poté fare a meno di sorridere, era appena stato salvato dall’intervenire.
“Molto coraggioso da parte mia essere sollevato di vedere una donna che
non arriva nemmeno alla spalla dell’energumeno.”
Pensò ironicamente Dwayne.
Ma era la verità, era sollevato di
vedere Joandra e sapeva che la donna aveva tutte le carte in regola per gestire
la situazione.
La vide arrivare alle spalle
dell’operativo senza fare il minimo rumore. Come riuscisse nell’impresa
portando tacchi a spillo con un pavimento in marmo, era un mistero che ancora
sfuggiva alla comprensione di Hillting.
-Suppongo che non ci sia nessun
problema.
Esordì Joandra a meno di mezzo metro
dall’uomo.
Fu divertente vederlo saltare dalla
sorpresa ed allontanarsi contemporaneamente dalla parete.
L’operativo lanciò una rapida
occhiata verso la donna ancora incollata al muro e poi tornò a fissare gli
occhi su quella che ora era di fronte a se.
-Nessun problema.
Joandra annuì, senza rivolgere
alcuno sguardo all’osservatrice, la sua completa attenzione sull’operativo.
-Perfetto. –Replicò con tono piano.
–Allora puoi tornare al tuo lavoro mentre la signorina Coldwell torna al
proprio in archivio.
Entrambi annuirono e si
allontanarono, l’osservatrice un po’ instabile sulle proprie gambe sulle prime.
Se l’era vista brutta fino all’arrivo dell’altra donna.
Quando rimasero solo i due amici
Joandra rivolse un mezzo sorriso a Dwayne.
-Suppongo che la scenetta di abbia
divertito.
-Si, in effetti si.
Replicò lui senza tentare nemmeno di
nascondere il suo sorriso.
-Comunque è una fortuna incontrarti.
–Proseguì avvicinandosi all’amica. –Ti stavo cercando…
-Qualcosa mi dice che non ha nulla a
che fare con il lavoro.
Osservò lapidaria lei ma non senza
un po’ di divertimento.
-E’ il tuo buon senso. –Replicò Dwayne
con un sorriso più grande mentre si incamminavano assieme verso l’ufficio della
donna, il più vicino. –Sono venuto a proporti un affare.
-Un affare?
Ripeté Joandra, fintamente scettica.
-Già, mi interessava piazzare un
paio di scommesse, piuttosto sostanziose e piuttosto rapidamente… -Spiegò
Dwayne. –Ovviamente le mie informazioni diventerebbero anche le tue… se ne
potrebbe ricavare qualche sterlina…
Il sorriso divertito di Joandra
assicurava la sua collaborazione all’idea…
Joandra era in mensa quando
finalmente, poco dopo mezzogiorno, il Primo Osservatore diramò un comunicato
ufficiale su quanto accaduto. In quella mattinata gli osservatori e tecnici in
servizio avevano lavorato ben poco, impiegando la maggior parte del tempo in
speculazioni. Quello doveva essere il tentativo di Miller di riportare un po’
di ordine nel Concilio, decisero i vari supervisori di dipartimento, i più alti
in grado oggi che nessuno dei dirigenti era presente.
Il comunicato era giusto poche
righe.
“Faith Mars, Cacciatrice di vampiri, Prescelta del Concilio degli
Osservatori, Esperto in tattica e coordinatore di addestramento delle forze
speciali operative, è deceduta a seguito di un tentativo di neutralizzazione di
un vampiro dopo un’eroica battaglia.
Onore alla sua morte, avvenuta durante il compimento del proprio
dovere.”
Non si faceva riferimento
all’osservatore incaricato della cacciatrice. Non c’era, lo sapevano tutti.
Creava un problema di etichetta non indifferente oltre a rompere tradizioni
secolari.
Non c’era nessuna persona a cui
spedire le condoglianze e le congratulazioni per essere diventato Osservatore
Anziano in caso di sopravvivenza, e nessuna famiglia a cui spedire le
condoglianze per la perdita di un rampollo così dotato nel caso peggiore.
Tra l’agitazione generale pochi ci
fecero caso.
Il problema sarebbe stato
probabilmente esaminato nella sede adatta e diventato prima o poi argomento di
conversazione e dibattito tra gli osservatori. Ma non oggi.
Appena gli altoparlanti diffusero la
notizia e si fu quietata la prima ondata di commenti e di urla, Joandra cercò
con lo sguardo Fernando Mateer. Era seduto al suo solito tavolo con un paio di
altri osservatori anziani.
Anche lui si era girato a cercarla.
Di fronte alla sua espressione leggermente angosciata, Joandra sorrise. L’uomo
scosse la testa, provò un accenno di sorriso, piuttosto tirato, e poi si limitò
ad annuire nella sua direzione.
Avevano fatto una scommessa e
l’avrebbe onorata, per quanto gli costasse farlo.
E gli sarebbe costato parecchio.
Settantacinquemila sterline.
Fernando scosse la testa di fronte
alla cifra. Era stato uno stupido ad accettare la scommessa di cinquemila
sterline di Joandra quando dava quindici ad uno la sola morte della cacciatrice
rinnegata.
La donna nel frattempo stava parlando
con i suoi due amici.
-Abbiamo appena guadagnato
trentacinquemila sterline a testa, escluso il capitale iniziale che abbiamo
scommesso, Dwayne. Ottima dritta.
-Già.
Replicò Hillting, soddisfatto dalla
cosa. Era stata una buona idea puntare duemilacinquecento sterline a testa, le
quotazioni avevano fatto il resto.
Sheridan scosse appena la testa
sorridendo alle espressioni degli altri due. Probabilmente avrebbe dovuto
puntare anche lui un migliaio di sterline, giusto per avere un po’ di denaro da spendere.
Scrollò appena le spalle e si
concentrò nel cercare di capire di cosa stesse parlando il resto della sala.
“Del resto non sono in molti ad aver vinto le proprie scommesse…”
Non dovette sforzarsi affatto nel cercare
di capire di cosa stessero parlando gli altri. In meno di cinque minuti la
mensa si ritrovò ad ospitare una conferenza illegittima sulla discendenza delle
prescelte, l’argomento del momento.
Non era una riunione particolarmente
ordinata o con idee troppo originali ma in breve la maggior parte degli
osservatori presenti si appassionarono alla discussione.
Diverse voci si sovrapposero
portando alla luce, senza rendersi conto, quello che più li spaventava, cioè il
caos che negli ultimi anni aveva investito la linea delle cacciatrici. Furono
in molti, e piuttosto chiassosi, a chiedersi ed a chiedere se una nuova
prescelta sarebbe stata chiamata o meno.
-Mi sembra chiaro che non verrà
chiamata nessuna nuova cacciatrice. Quella… quella rinnegata che è stata
ammazzata non è
Urlò accalorata ad un certo punto
una delle osservatrici anziane da uno dei tavoli al centro della sala.
- Lakeesha ha ragione! Era solo una
patetica scusa di cacciatrice buona neanche ad uccidere un vampiro!
Fece eco una seconda voce
dall’estremità opposta della sala. Sheridan osservò con sufficienza l’uomo che
aveva parlato. Forse era meglio dire ragazzo, considerato il volto senza barba.
Si aggiunsero altri a sostenere,
sebbene a volte con modi più educati e ragionamenti più sensati, che essendoci
ancora una cacciatrice in vita, nominalmente
Errori.
Il gioco al massacro riguardo
l’utilità, la bravura ed il diritto ad esistere delle ultime due prescelte
terminò quando si udì il baritono di Neil Podesta portare avanti una diversa
ipotesi.
-Mars era
L’uomo non ebbe neanche bisogno di
urlare per ottenere l’attenzione generale della sala.
Una decina di altre voci si
aggiunsero alla sua a sostenere che Faith Mars fosse la detentrice della
legittima “linea di sangue” e che la sua morte avrebbe quindi attivato una
sostituta. In questo caso era Buffy a diventare l’anomalia nella discendenza.
La discussione, anche se potevano
essere definite urla, andò avanti lungo queste due linee guida.
-Sembrano bambini.
Commentò Dwayne dopo che era passato
qualche minuto senza che alcuna idea espressa cambiasse se non nel tono a cui
era formulata.
-Già.
Gli fece eco Sheridan,
un’espressione vagamente disgustata sul volto.
-Non capiscono neanche che la cosa
più importante al momento non è sapere se ci sarà una nuova ragazzina a girare
con un paletto in mano. –Proseguì dopo un attimo. –La cosa più importante è
sapere cosa accadrà ora a noi, al Concilio.
-Probabilmente Miller starà facendo
i salti di gioia. Come tutti i conservatori non ha mai apprezzato l’idea di una
cacciatrice senza osservatore. E di certo non era entusiasta dell’idea di
averla all’Assemblea Plenaria…
Rifletté ad alta voce Dwayne.
-Senza contare che è stato il suo
appoggio a Marlin a darle così tanto potere nella decisione dei candidati. Non
mi stupirei di scoprire che quel vampiro non era lì casualmente.
Aggiunse Sheridan abbassando la voce
ma certo che nessuno potesse sentire la loro conversazione, considerando la
posizione defilata del loro tavolo ed il tono degli altri.
-Marlin non sarà per nulla contenta quando
scoprirà che fine ha fatto la sua alleata…
Replicò Dwayne aggiungendo alle
considerazioni dell’amico.
Durante tutta questa conversazione
Joandra era rimasta silenziosa. Sheridan le aveva lanciato uno sguardo un paio
di volte per vedere se aveva intenzione di intervenire o meno, ancora
sconcertato dall’inusuale comportamento che la donna aveva avuto durante la
riunione plenaria del giovedì appena passato.
L’osservatrice invece sembrava essere
tornata perfettamente in carattere ed era rimasta seduta in silenzio ascoltando
le loro idee senza intervenire in alcun modo né mostrare alcuna reazione, come
se gli altri due stessero parlando di futili cose.
Sheridan si trovò stranamente
confortato da questo ritorno ai vecchi comportamenti.
-Tu cosa pensi accadrà, Joandra?
Chiese alla fine, per sentire la sua
opinione.
-Non lo so. Proprio non lo so.
E questa risposta tornò in un attimo
a far sentire preoccupato Sheridan.
In poche ore il problema della
successione e della linea di sangue divenne un problema molto sentito,
soprattutto fra gli osservatori giovanissimi.
Dietro insistenza del Custode degli
Archivi e del Sommo Sapiente era stata così creata una commissione per
esaminare la questione e giungere ad una spiegazione univoca. Gli esperti
avevano anche il compito di rintracciare la nuova cacciatrice, se si fosse
deciso che una nuova prescelta era stata risvegliata.
Agli osservatori sparsi per il mondo
era stato mandato il comunicato della morte di Faith, assieme alla richiesta di
prestare attenzione alle potenziali cacciatrici della zona, ed a qualsiasi
altra anomalia.
Non era raro che ci fossero fenomeni
atipici in queste occasioni.
E mentre gli studiosi teorici
assistevano affascinati ed entusiasti alla particolarissima situazione,
scambiandosi teorie sul come e perché ci sarebbe stata o meno una nuova
cacciatrice, gli osservatori anziani assieme ad alcuni responsabili giovani
erano terrorizzati dal nuovo sviluppo.
Di certo loro erano anche più
confusi dei loro colleghi, impegnati nella convulsa significato mistico di
questa morte. Loro almeno avevano fatti certi, la morte di una cacciatrice, e
secoli di osservazioni alle spalle a cui rimandarsi ed in cui cercare conferma.
Le conseguenze puramente politiche
erano altrettanto ramificate e ben più misteriose.
Nessuno sapeva come i giocatori
principali avrebbero reagito alla notizia, né quali reali responsabilità ognuno
di loro avesse nella situazione.
In effetti gli osservatori anziani
non sapevano quello che la scomparsa di Mars significasse.
Si, molti di loro erano sollevati
che quella pazza assassina abbastanza arrogante da presentarsi ad un’Assemblea
Plenaria fosse morta.
Aveva commesso reati capitali come
l’aver ucciso esseri umani. Eppure aveva ricevuto un’amnistia quando era
tornata a militare nelle file del Concilio.
Era stato lo stesso Primo
Osservatore a firmarla. Per questo era irrevocabile da qualsiasi altro
individuo, compreso il successore di Miller.
Quindi in realtà non c’era nulla che
potessero rimproverarle. Era stata perdonata.
E come agente del Concilio degli
osservatori era stata a dir poco preziosa nel limitato tempo in cui li aveva
serviti, sia come free-lance che come operativo. Non si contavano i demoni che
era riuscita a bloccare.
Demoni molto pericolosi.
Ma era anche odiata.
Profondamente odiata perché aveva
rotto le tradizioni. Aveva rifiutato un osservatore. Si era presentata ad
un’assemblea plenaria.
E lo aveva fatto da sola.
Ma gli osservatori anziani sapevano
che la sua scomparsa aveva alterato definitivamente gli equilibri. Era un
segnale. Solo per questo avrebbero desiderato che quel cane sciolto fosse
ancora vivo e vegeto.
Cosa sarebbe scattato a quel segnale
non riuscivano a capirlo.
Un grande punto interrogativo sarebbe
stata la reazione di Marlin, in fondo quella cacciatrice era stata affidata a
lei, no? Molto del suo carattere diceva che non avrebbe fatto passare liscia a
nessuno l’ingerenza nei suoi affari. E Faith era decisamente affar suo. Non
propriamente vendetta. Più difesa del territorio. Probabilmente non le
importava granché della cacciatrice in se stessa, era l’offesa personale che
l’avrebbe spinta ad agire.
Miller era seduto nel proprio
ufficio intento a seguire dallo schermo sul suo computer quello che accadeva
nei corridoi e nelle sale del Concilio attraverso le telecamere del circuito
chiuso. Di certo non si poteva aspettare che la gente agisse naturalmente
davanti a lui, o sapendo che lui li osservava, ed aveva scoperto anni prima che
la visione riportata da un informatore era spesso sbagliata. Perlomeno
inesatta.
Era quasi divertente vedere come
tutti si muovessero furtivamente, in maniera nervosa, soprattutto gli
osservatori anziani e i sostenitori di Marlin. Il primo osservatore non si
sarebbe stupito di sapere che parlavano a voce bassa, in sussurri. Avevano
paura, e si vedeva anche attraverso semplici registrazioni video.
Miller si sistemò meglio contro lo
schienale della sua poltrona per godersi lo spettacolo un altro po’. Doveva
ammettere che quella era stata una meravigliosa giornata fino ad ora, tanto che
non riusciva a smettere di sorridere.
Glielo avessero detto una settimana
prima non avrebbe mai creduto che la morte di una cacciatrice gli avrebbe
procurato tanto piacere. Ma dopo quanto era accaduto giovedì…
Quant’era dolce il sapore della
vendetta. “No, non è neanche una
vendetta. Non l’ho fatta uccidere io. Semplicemente sto assaporando il piacere
della sua sconfitta. Ed è una splendida sensazione”.
Si sentiva soddisfatto.
Questa morte non avrebbe cambiato
nulla di quanto successo giovedì, ma la cosa non gli importava.
La notizia che Jason gli aveva
comunicato verso le nove era stata comunque bellissima.
Aveva quasi riso quando il Custode
degli Archivi e un prostrato Sommo Sapiente erano venuti da lui per chiedergli
il permesso di istituire un gruppo di ricerca per determinare cosa significasse
la morte di Mars. Ad essere sincero sospettava che anche al Custode degli
Archivi non interessasse niente della cosa. Che facesse tanto rumore solo per
dare fastidio al suo collega, che odiava, per nulla cordialmente, da più di
trenta anni. La cosa che Miller trovava più divertente della situazione era che
ben pochi si erano mai resi conto della cosa ed ancor meno si rendevano conto
di quanto intelligente e sprezzante potesse essere il custode, all’età di ormai
ottanta anni.
A Miller dispiaceva solo che
Magdalene non fosse venuta al Concilio oggi. Era scontato che ormai qualcuno
l’avesse avvertita di quanto era successo. Sicuramente la dirigente non sarebbe
venuta. “Peccato l’avrei invitata con
piacere per un tè”. Solo per vederla in faccia a poche ore dall’aver saputo
della perdita di una sua alleata.
Di certo ora Miller si sentiva bene.
In grado di affrontare Marlin e sconfiggerla senza alcun problema. Era lui il
Primo Osservatore e ci sarebbe rimasto. Ad opporsi contro di lui Magdalene
aveva firmato la sua condanna. Solo che non se ne rendeva ancora conto.
Continuò a sorridere per il resto
della giornata, godendosi lo sconcerto che correva tra le file degli
osservatori.
Li avrebbe tenuti troppo impegnati
dal tramare contro di lui.
Il magazzino in cui si trovavano era
tutto quello che ci si poteva aspettare da un magazzino abbandonato vicino ad
uno scalo.
Vuoto se non per dei detriti e dei
rifiuti sparsi, vernici scrostate dai muri, pavimenti in cemento armato
lasciato grezzo, porte cigolanti che si chiudevano male, intere colonie di topi
ed altri animaletti non proprio da grembo, con tanto di recinzione con più buchi
che maglie intere.
-E’ una reggia.
Disse sarcastico Spike, rivolgendosi
alla sua compagna di viaggio ed al loro “bagaglio”.
-E non sai neanche quanto l’ho
pagata. –Rispose per le rime Faith. –Vicinato inesistente o quasi, polizia che si
tiene bene alla larga, nessun coinquilino umano di cui qualcuno possa sentire
la mancanza. E’ difficile trovare abitazioni simili oggigiorno.
-E se mi servisse dello zucchero?
Dove la trovo la simpatica vicina che me lo presti?
-Se avesse un po’ di sale in zucca
la vicina non aprirebbe proprio la porta ad uno come te. –Faith si interruppe
un attimo per spintonare in avanti il suo bagaglio, che a quanto pareva si era
improvvisamente ricordato che non voleva stare in loro compagnia. –E se proprio
vuoi lo zucchero scegliti una vittima con la glicemia alta…
Spike rise.
-Sei sicura di non voler diventare
un vampiro?
La cacciatrice di certo aveva
l’umorismo adatto.
-Si, sono certa che prima o poi
inciamperò in un modo per diventare immortali e continuare a potersi prendere
l’abbronzatura. –Fece sedere l’uomo che stava trascinando sui gradini mezzo
sfondati che portavano ad un altro piano del magazzino. Il mercenario al soldo
di Travers non sembrava convinto della cosa, cercò di resistere divincolandosi.
Non che avesse poi importanza cosa voleva lui. Faith lo “convinse” facilmente a
sedersi. –Se vuoi, quando lo trovo, ti faccio una telefonata.
-Grazie.
Replicò lui, sarcastico.
Lei gli sorrise caustica di rimando.
-Vogliamo fare quella telefonata? Il
sole è quasi tramontato. –Il vampiro indicò con la testa una delle vetrate
rotte da cui entrava una luce rossastra.
Faith annuì.
Con eleganza Spike estrasse dalla
tasca del suo spolverino nero il cellulare che aveva preso all’uomo poco dopo
la sua cattura, assieme ai sigari che fumava sempre ed all’accendino intarsiato
in argento e madreperla. Era un ottimo lavoro di intarsio, un pezzo di
antiquariato di discreto valore. Il vampiro aveva deciso che lo avrebbe tenuto
come ricordo.
-Il numero.
Richiese al prigioniero.
L’uomo non rispose.
Fu Faith a parlare rivolgendosi al
mercenario.
-Senti, sai perfettamente che te lo
potremmo tirare fuori comunque. Siamo in un magazzino isolato. Potremmo
torturarti per ore senza il minimo disturbo. E fallito quello potremmo sempre
vampirizzarti. –Fece una pausa per rafforzare il significato delle parole.
Nessuno apprezzava dover lasciare il proprio corpo ad un demone perché ne
facesse quello che voleva. –Tu scegli semplicemente quanto soffrire prima di
dirci quello che ci serve.
“Impressionante discorsetto. Non mi stupirebbe sapere che Faith ha
esperienza nel campo”. Pensò il vampiro. Qualche secondo di tesissimo silenzio e l’uomo parlò.
Doveva morire. Questo lo sapeva. Se possibile avrebbe preferito non soffrire.
Spike compose il numero.
Solo uno squillo.
-Perché ci hai messo tanto?
-Era piuttosto legato.
Rispose ridacchiando Spike. Ci fu
silenzio dall’altra parte.
-Spike.
-L’unico. –Replicò il vampiro.
Aspettò un attimo prima di proseguire. –Suppongo che tu sappia ormai che la mia
missione è compiuta e che i tuoi uomini sono più o meno morti.
Altro silenzio.
-Cosa vuoi?
-Abbiamo un accordo. Voglio solo il
denaro che mi spetta. Versalo nel conto che ti ho dato. E fa in modo che io lo trovi.
Altrimenti potrei scoprire di avere voglia di farti una visitina.
-Domattina sarà lì.
Rispose la voce.
-Hai dodici ore Travers, non di più.
Ci fu un silenzio seccato e turbato
dall’altra parte. Quentin aveva fatto molta attenzione ad evitare che Spike
avesse un nome da collegare con la sua faccia. Inutilmente a quanto sembrava.
Ora che era al corrente che lui era il mandante il vampiro poteva
effettivamente esigere la sua vendetta. E l’osservatore lo sapeva. Non era una
bella sensazione.
-Ti verserò i duecentocinquantamila
dollari entro dodici ore.
Confermò Travers. La cosa non gli
piaceva, ma era meglio regolare i propri conti, non aveva bisogno di altre
complicazioni. Aveva sperato che i due mercenari riuscissero ad eliminare Spike
proprio per evitare di versare quel denaro. Da quando il Concilio, “…forse dovrei dire Marlin…” pensò
sarcastico, gli aveva congelato i conti ufficiali doveva stare attento alle
spese. Di certo i conti che aveva predisposto per occasioni simili non erano
ricchi quanto gli altri.
“Prima o poi il denaro diventerà un serio problema…”
Quanto aveva in mente di fare gli
sarebbe costato molto anche se tutto fosse andato secondo i piani. Le parole di
Spike lo fecero tornare al presente.
-Perfetto. Il nostro affare può
dirsi concluso. E con quello tutti i nostri contatti.
Il vampiro chiuse la comunicazione e
spaccò il cellulare a terra.
-Piuttosto teatrale…
Osservò la cacciatrice, sarcastica.
Il vampiro si limitò a sorriderle.
-Tutto a posto. Domani avrò i soldi.
Spike studiò Faith per qualche
secondo. Era seduta su gradini, un po’ più su del prigioniero, la sacca nera
vicina a sé e una tranquilla espressione sul volto.
-Come neanche una domanda?
La stuzzicò un po’ il vampiro, Faith
parve pensarci su, prima di scegliere quale fare.
-Quanto ti hanno pagato per me?
-Non credo che un gentiluomo possa
rivelare ad una signora quanto è stata valutata la sua vita…
Sorrise sornione Spike. Non aveva
creduto che la domanda di Faith sarebbe stata quella. Si aspettava qualcosa più
sul tipo “che farai ora?”, oppure una proposta per fare affari assieme. In
fondo lavoravano bene assieme. Ci aveva quasi sperato in quella. Probabilmente
avrebbe anche preso in considerazione dire di si.
-Non c’è problema. –Rispose la
cacciatrice, con tono annoiato. –Tanto tu non sei un gentiluomo, né io una
signora.
Spike rise ancora.
-Centomila.
Rispose secco, guardandola negli
occhi mentre lo faceva. Voleva godersi la sua reazione. Non molti avevano
veramente lo stomaco per sapere quanto la loro vita era stata valutata.
Non ebbe la reazione aspettata.
Faith non sembrava particolarmente
stupita o sconcertata dalla cosa.
La cacciatrice parve solo pensarci
un po’ su.
-Speravo in qualcosa di più in
effetti, ma Travers è sempre stato un taccagno. Anche per questo lavoro con Marlin.
Lavoravo. –Sorrise e fece una piccola pausa dopo essersi corretta. –La prossima
volta chiedi almeno duecentomila. All’incirca è quello il prezzo di mercato.
-Prezzo di mercato?
Ora era Spike ad essere curioso,
mentre aspettava la risposta pescò dalla tasca sigari ed accendino.
-Cosa credi che faccia per vivere un
“cacciatrice di demoni free-lance”? Come si divertono a chiamarmi gli
osservatori. Dopo qualche lavoro non è difficile conoscere il prezzo di
qualsiasi cosa.
-Devo assolutamente rientrare nel
giro. –Decise Spike un mezzo sorriso ed un sigaro acceso fra le labbra. Prese
una lunga boccata di fumo, assaporandolo. Era una buona qualità di sigaro. Non
il migliore che avesse mai fumato, ma non era male. –Non sapevo che la tua valutazione fosse così
alta.
Faith scrollò le spalle.
-Ho lavorato un po’ in quest’ultimo
anno, anno e mezzo. Buoni affari. –Il vampiro annuì. –Beh, anche questo ora è concluso. E’ arrivato il
tempo di togliere il disturbo. –Faith si alzò in piedi e prese la sua sacca.
–Le chiavi della macchina le hai tu, tieniti pure il resto.
-E lui?
Chiese Spike accennando all’uomo
sulle scale. Era curioso.
-Lui cosa?
-Non vuoi portarlo con te?
Liberarlo?
Le chiese lui quasi stupito. Non era
ancora convinto che fosse così “diversa” dalle altre che aveva incontrato. Le
abitudini di più di un secolo erano difficili da rompere.
Lei sorrise senza che ci fosse una
traccia di divertimento su tutto il suo volto.
-E’ tuo Spike. Facci quello che
preferisci. Non mi riguarda.
Proseguì a salire le scale.
-Faith.
La chiamò ancora una volta Spike.
-Si?
Rispose la cacciatrice fermandosi
senza girarsi.
-L’uscita è dall’altra parte. –Le
disse accennando con la testa alla porta da cui erano entrati, anche se lei non
poteva vederlo.
-C’è ne è una altra.
Questa volta mentre proseguiva a
camminare Faith sorrise.
Anche di notte il porto non era
deserto. L’unica differenza era che se di giorno ci si trovavano soggetti non troppo
raccomandabili misti a semplici lavoratori, di notte era il regno di persone
che non erano mai state raccomandabili e di altri che non erano neanche umani.
Non che Magdalene avesse paura. Per essere un
capitano di industria e un analista aveva passato enormi quantità di tempo in
circoli decisamente molto illegali. Li aveva sempre frequentati per affari, mai
per divertimento come troppi altri dell’alta società, ed aveva imparato in
fretta a trattare con i vari capo mafia di turno. Proprio lì aveva trovato
molte delle informazioni che le avevano permesso il successo che aveva avuto.
Era arrivata al luogo
dell’appuntamento in perfetto orario, senza essere accompagnata da altri come
le era stato detto. In fondo si fidava che le indicazioni che le avevano date
fossero sicure. Del resto la persona che stava per incontrare viveva sulla
compravendita delle informazioni, se un cliente usciva morto da uno di questi
incontri non sarebbe stata una buona pubblicità.
Ovviamente era armata. E bene
armata.
Si guardò attorno per vedere se il
suo contatto fosse arrivato o meno.
Tra le ombre che la circondavano non
vide nessuno, né sentì rumori in lontananza a parte la risacca delle onde.
Quando aveva letto il posto
dell’appuntamento sul biglietto che le aveva dato Adàn aveva quasi sospirato.
Sembrava di essere in un brutto film
di serie B.
A mezzanotte in un deposito
container vicino ad un molo. Ed ora lei si trovava in mezzo a muri colorati in
lamiere con fantasmi di gru e muletti in lontananza.
Se quello non era un clichè.
Sentì il rumore di passi che
echeggiavano attorno a lei per qualche istante prima di vedere l’altra persona
spuntare da un passaggio tra due container, che prima non aveva notato.
Era vestita con colori scuri, Marlin
non avrebbe saputo dire se neri o meno, si muoveva con grazia quasi furtiva,
scivolando fra le ombre con facilità. “Probabilmente
è stata un ladro…” rifletté soppesando chi aveva di fronte “…di certo l’agilità per togliersi da
situazioni spinose può tornare utile nella sua linea di lavoro.”
Si fermò di fronte a lei a uno o due
metri di distanza, ben al di fuori dello spazio personale di Magdalene, avvolta
per la maggior parte nell’ombra.
-E’ un piacere incontrarla alla
fine, Miss Marlin. –Dalla voce si capiva facilmente che era una donna piuttosto
che un uomo esile. Singolare ma non impossibile. Magdalene aveva sentito
qualcuno ipotizzare che il Messaggero, come era conosciuto nei circoli bene
informati, fosse una donna. –Si fa molto parlare di lei, soprattutto
ultimamente. –La nuova arrivata sorrise. Marlin non batté ciglio. In fondo lei
era un pesce grosso della finanza, non era insolito che molti la tenessero
sotto controllo. –Alejandro mi ha raccontato di lei. Ha garantito completamente
in suo favore. Strano, è la prima volta che lo fa con qualcuno non di famiglia.
Magdalene annuì una volta, per nulla
impressionata dall’altra. Si diceva fosse una della migliori, se non la
migliore, fonte di notizie in tutta Inghilterra, la più informata sui movimenti
illeciti di uomini e merci. Era tanto famosa nell’underground quanto era
costosa ed anche se lavorava solo su personali raccomandazioni di precedenti
clienti non rimaneva mai a corto di lavoro.
Ma di certo non aveva una figura
autorevole. Marlin poteva notare nella penombra le spalle appena incurvate e
l’accurata attenzione con cui la donna evitata il suo sguardo. Qualcuno aveva
paura qui e quella non era lei.
-Ho bisogno di trovare una persona.
Dopo quanto era successo oggi Marlin
aveva ancora più necessità di trovare quella persona e di trovarla in fretta.
Miller aveva voluto creare di proposito confusione e caos all’interno del
Concilio. I tre quarti degli osservatori pensanti erano praticamente
terrorizzati ora che non sapevano cosa sarebbe successo dopo. Ora che non
sapevano da quale parte schierarsi.
L’altra donna annuì continuando a
far rimanere il proprio volto nell’ombra, teneva le mani rigidamente lungo i
fianchi come se non sapesse cosa farne.
-Immagino sappia già il prezzo.
Magdalene notò che la voce
dell’altra aveva improvvisamente acquisito vita. “Bene, è facile fare affari con persone avide. Sono semplici da
controllare.”
-Duecentomila dollari. Centomila
ora, gli altri alla consegna dell’informazione.
Marlin posò la valigia con il denaro
a terra. Gli occhi della suo interlocutrice si fissarono per qualche istante
sulla borsa.
-Chi è?
Chiese qualche attimo dopo.
-Quentin Travers. Mi serve un
incontro con lui.
Il Messaggero annuì una volta e rimase
in silenzio per qualche secondo a riflettere.
Marlin notò qualche minuscolo
cambiamento nella sua figura, come se improvvisamente si fosse ricordata chi
fosse, o lo avesse dimenticato. Erano troppo piccoli per distinguerli, ma le
bastò incrociare un secondo lo sguardo dell’altra per vederne un lampo che le
fece capire che il Messaggero era in effetti molto abile e decisamente
brillante nel suo mestiere.
-Martedì notte, di nuovo qui alla
stessa ora. Avrò l’informazione.
Magdalene annuì e se ne andò facendo
comunque attenzione a non voltare le spalle alla donna che aveva appena
incontrato. Non era il tipo di compagnia con cui si poteva abbassare la
guardia, per quanto innocua potesse sembrare. Non la conosceva e solo questo
già la rendeva pericolosa. Prestando particolarmente attenzione ai rumori della
notte ed alle ombre che la circondavano Marlin arrivò indenne alla macchina.
Entrò nella berlina e solo allora
tolse la mano dal calcio della pistola, dove l’aveva discretamente tenuta per
quasi tutti l’incontro. Mise in moto il motore ed essersi avviata a fari spenti
verso l’uscita del deposito mentre un pensiero si consolidava nella sua mente,
aveva passato parte della giornata a capire a cosa mirasse il primo osservatore
con quel comportamento destabilizzante. Alla fine era arrivata alla conclusione
di forzargli la mano, giusto per tenerlo sbilanciato. “Miller non è l’unico a saper giocare con il panico della gente.”
Pensò soddisfatta. “Se vuole il caos nel
Concilio lo avrà. Vedremo chi ne uscirà vittorioso.”
Prima di muoversi verso la borsa del
denaro il Messaggero aspettò che il rumore del motore della macchina si
confondesse con quello della risacca delle onde. Non voleva che la donna che
aveva appena incontrato vedesse il gesto come una sfida od un atto di sfiducia
nei suoi confronti.
La donna era già sicura che
dall’inizio del loro incontro Marlin l’avesse già rivalutata da
“insignificante” a “potenzialmente pericolosa”. Incrociare il suo sguardo,
anche per un solo istante, era stato un errore. Sapeva che quello non lo poteva
modificare abbastanza da sembrare un’inerme e nervosa commerciante di
informazioni a chiunque avesse incontrato una persona pericolosa in vita sua.
“Così quella è Magdalene. Alejandro aveva ragione, un osso duro,tutta di
un pezzo. Di certo non vorrei averla come nemica. Quasi mi dispiace per questo
Travers, come lo vedo male. Per fortuna non devo giocare nel suo campo.”
Il prete finì l’omelia e benedì la
bara in noce chiaro.
Dalla prima fila Miller fece segno
agli osservatori scelti per rendere l’ultimo servizio alla cacciatrice, di
calare il feretro nella terra. In realtà la cassa era vuota. L’incendio aveva
fatto crollare il palazzo ed era stato impossibile recuperare qualsiasi resto
umano.
“Almeno questa è fatta” pensò soddisfatto, “un problema
in meno da sistemare”. L’uomo sarebbe estremamente stupito a sapere quanto
simili ai suoi fossero i pensieri di Marlin.
Tutto quello che Miller poteva
percepire dalla donna vicino a sé era freddezza e pragmatico distacco dalla
situazione. Nulla che potesse far trasparire la moderata soddisfazione che
provava alla morte di Faith, né la supposta preoccupazione mista ad irritazione
che il Primo Osservatore immaginava provasse.
Come reazione quel freddo distacco
della donna lasciava Miller estremamente insoddisfatto.
Il Primo osservatore sospettava che
Magdalene stesse controllando con estrema attenzione le proprie emozioni
proprio perché sapeva che lui amava vedere i suoi avversari soffrire ed avere
paura. Ed anche se sapeva che questa era una reazione molto più degna di Marlin
che non un torrente di lacrime o rapidi sguardi nervosi tra la folla a cercare
appoggio, la cosa lo infastidiva.
Aveva sperato che un simile colpo di
fortuna, per lui almeno, la scuotesse almeno un po’.
Senza contare che se il fatto di
averla probabilmente sottovalutata non gli piaceva, era un errore pericoloso da
fare con Magdalene. Molti erano caduti perché l’avevano sottovalutata. E lui
non ci teneva ad essere annoverato nel numero.
Miller doveva anche ammettere che se
la dirigente che ora se ne stava dritta ed eretta al suo fianco si fosse
comportata in maniera diversa, disperandosi e mostrandosi debole di fronte a
tutti, avrebbe seriamente sospettato che lei stesse architettando un qualche
piano. Che stesse simulando debolezza per spingere i suoi avversari ad
affrontarla.
“Preferivo di gran lunga quando era dalla mia parte ed avevo Travers per
controllarla…”
Momentaneamente lasciando fuori Magdalene
dai suoi pensieri, Miller rivolse cautamente il suo sguardo sulla numerosa
folla che era intervenuta al funerale.
In effetti la partecipazione era
stata più numerosa di quella che aveva pensato, c’erano quasi cento osservatori
dei circa duecento al momento presenti alla sede del Concilio, oltre a tutti i
dirigenti ed agli osservatori anziani che potevano lasciare il loro dovere
quella mattina, anche se la loro presenza alla cerimonia era stata aspettata.
Guardò i loro volti e le loro posture con attenzione, seppure rapidamente.
Nessuno sembrava dispiaciuto od addolorato particolarmente dalla morte di
Faith. Più che altro sembravano sollevati di seppellire quella cacciatrice
anomala sotto tre metri buoni di terra.
Aveva osato sfidare troppe tradizioni
perché la sua mancanza fosse sentita da chicchessia.
Miller non poteva essere che felice
che la visione dei conservatori fosse stata adottata dalla stragrande
maggioranza degli osservatori. Non per niente aveva richiesto, a tutti quelli
che potevano solo essere definiti come osservatori anziani reazionari, di
presentarsi immediatamente al Concilio non appena avuta la conferma della morte
di Faith. Giusto in tempo per la pausa pranzo.
In maniera non sorprendente entro
sera le loro idee sulla cacciatrice si erano sparse e fissate nel cervello di
ognuno, e grazie alla sua più o meno tacita convalida erano diventate l’idea
dominante all’interno del Concilio.
“Proprio come avevo desiderato. Se riesco a scuotere i giovani
osservatori abbastanza da impaurirli, a fargli temere che il Concilio possa
essere in pericolo perché le tradizioni sono state spezzare, voteranno per i
conservatori…”
Nettamente separati dagli
osservatori, dalla parte opposta del feretro, si trovavano tutti gli operativi
non in servizio presenti in Inghilterra.
Loro erano stati una sorpresa.
In prima fila Miller sapeva che si
trovavano le squadra impegnate nella missione di Malaga. Molti avevano facce
contrite, qualcuno sembrava addirittura dispiaciuto della morte della
cacciatrice.
Strano, il Primo Osservatore non
avrebbe mai pensato che quei soldati, i suoi soldati, avrebbero fraternizzato
con il nemico, per quanto tempo potessero averci passato assieme. In fondo lei
non era neanche umana.
L’idea non gli piaceva affatto…
“Non ho bisogno di truppe ammutinate… mi servono incertezza ed un po’ di
paura, che faranno naturalmente protendere gli osservatori verso la sicurezza
delle tradizioni… una lotta intestina è l’ultima delle cose che mi possono
tornare utili… situazioni estreme tendono ad avere risultati inaspettati…”
Miller cercò lo sguardo di Jason per
essere rassicurato che almeno il suo comandante fosse ancora al cento per cento
con lui. Incontrò solo un paio di inespressive lenti scure e una figura
rigidamente sull’attenti.
“Che la stimasse? Dannazione se fosse cose e se lui volesse potrebbe facilmente ottenere
il controllo della maggioranza degli operativi…”
Un lieve colpo alla spalla lo
distolse dal suo studio.
Si girò e si trovò davanti la faccia
un po’ ansiosa di un giovane osservatore, probabilmente appena uscito
dall’accademia.
-Signore,una cattiva notizia.
Miller gli fece un cenno impaziente
di continuare. Non voleva che una cattiva notizia rovinasse la celebrazione
della sua vittoria su Marlin.
-
-Cosa?
Sussurrò ringhiando il Primo
Osservatore. Il novellino deglutì a disagio, sperando con tutto il cuore di
essere mille migli più lontano od almeno non il relatore di notizie simili.
-La cacciatrice signore, non
riusciamo a rintracciarla. E’ scomparsa, sappiamo per certo che non si trova a
Sunnydale.
“Cosa diavolo sta accadendo…”
Girandosi nuovamente verso la fossa
ormai quasi completamente coperta di terra Miller poté giurare di aver visto,
con la coda dell’occhio, Marlin sorridere soddisfatta, come se la donna sapesse
esattamente quale notizia gli era appena stata riferita. Anche se non poteva
essere, visto che il ragazzo gli stava praticamente sussurrando nell’orecchio.
“No, non è possibile… stai diventano paranoico…calmati…” Il primo osservatore lanciò un’occhiata
veloce anche a Jason e lo vide impassibile, gli occhi ancora sul cumulo di
terra, come se tutto fosse a posto. “Forse
anche lui…mi potrebbe tradire…in fondo non mi ha mai dimostrato la sua
fedeltà…”
La notizia possibilmente si era sparsa
ancora più velocemente di quella della morte dell’altra cacciatrice.
Entrando nel grande atrio Miller si
sentì tutti gli occhi dei presenti addosso.
Diede una veloce occhiata in giro,
ma nessuno accettò di guardarlo negli occhi. Non una cosa completamente
insolita, ma oggi evitavano palesemente il suo sguardo e Miller non riusciva a
capire se era per paura o per insolenza. E di certo lui non si poteva mettere
ad urlare in mezzo a questa folla, che di minuto in minuto si faceva più
numerosa, per avere l’attenzione indiscussa di tutti e cercare di controllare
la situazione in qualche modo.
Al momento tutti i presenti
sembravano più preoccupati di vedere chi stava arrivando dietro di lui
piuttosto che conoscere la sua reazione all’evento. Questo non andava bene, “Dovrebbero star cercando la mia guida
invece di quella di… di…” Miller si girò e vide arrivare dietro di sé un
gruppo di persone, tra loro si trovava Dougan “…del traditore”.
Il primo osservatore non si era
dimenticato affatto di come l’uomo avesse cambiato posizione durante
Dietro i dirigenti stavano arrivando
alla spicciolata tutti gli altri osservatori, andando ad ingrossare la già
numerosa folla all’ingresso della villa. Ben presto si creò una specie di
ostruzione, difficile da far smaltire in pochi secondi e capace soltanto di
bloccare i nuovi venuti nell’atrio.
Il volume delle voci si alzò
percettibilmente mentre gli osservatori appena arrivati venivano velocemente
messi al corrente da altri su quanto accaduto.
Ignorando tutti il primo osservatore
si diresse direttamente nel suo ufficio per cercare di rintracciare Giles. Era
preoccupato. Questa nuova scossa non gli ci voleva affatto, soprattutto quando
era lui a condurre il gioco.
La scomparsa di una cacciatrice, non
avrebbe che aumentato l’incertezza generale, spingendo molti, invece che a
dubitare della forza e della capacità di Marlin, visto che Mars era collegata
solo a lei, a dubitare della sua direzione del Concilio. Perché se la perdita
di una cacciatrice era un problema di un osservatore, in questo caso di un
dirigente, la scomparsa di due in così rapida successione non poteva che
significare un’incapacità ad un livello più alto.
Senza contare il fatto che non si
era ancora riusciti a trovare la sostituta di Faith, né a dimostrare che non ne
sarebbe stata chiamata una.
La segretaria, notato il suo umore,
non tentò neanche di parlargli. Fu il primo osservatore a lanciarle un ordine,
praticamente ringhiato, mentre si affrettava ad entrare nell’ufficio, sbattendo
rumorosamente la porta dietro di sé, come sua abitudine ogni volta che si
sentiva profondamente irritato.
-Mi chiami direttamente quell’idiota
di Giles.
La donna annuì cominciando subito a
cercare il numero dell’osservatore nella corposa rubrica che aveva di fronte a
sé. Quando il primo osservatore era di quell’umore, bisognava eseguire i suoi
ordini ancora più velocemente e silenziosamente del solito.
Con il rumore della porta ancora
nell’aria Miller entrò a grandi passi nel suo ufficio e si diresse subito verso
il telefono della sua scrivania. Non si mise seduto, afferrò la cornetta e
cominciò a camminare nervosamente avanti ed indietro. Lo aveva sempre fatto
quando stressato, gli serviva per concentrarsi.
Uno squillo, “non riesco a capire come sia potuto succedere… non ora… non così
presto… dannazione… perché ora?”, due squilli.
-Parla Rupert Giles.
La voce che rispose era stanca,
quella di Miller infuriata. Aveva bisogno di una capro espiatorio per come si
sentiva. E quell’osservatore gliene forniva uno perfetto.
-Cosa significa che ti sei perso la
cacciatrice, buono a nulla!
Ci fu un attimo di pausa dall’altra
parte della cornetta, un silenzio stupito.
-Con chi parlo?
Chiese Giles per guadagnare tempo e
decidere cosa rispondere. Non riusciva a capire chi potesse sapere della
scomparsa di Buffy.
-Con Miller ecco con chi stai
parlando, idiota!
Rupert ebbe paura. Cosa dire? Che
non vedeva la cacciatrice da quasi una settimana? Che lei non era neanche a
Sunnydale ma per quanto ne sapeva si trovava da qualche parte in Inghilterra? E
poi, di nuovo, come faceva il primo osservatore a sapere che Buffy non si
faceva sentire da due giorni ed era completamente irrintracciabile? Giles si
era ben guardato dal dirlo anche a Marlin. Quello sarebbe dovuto essere un
segreto. A parte lui e Willow nessun altro sapeva qualcosa. Come se non
bastasse Rupert non sapeva quanto Magdalene aveva riferito al primo osservatore
sugli spostamenti di Buffy.
Troppe domande e nessuna dannata
risposta. Giles si tolse gli occhiali con una mano improvvisamente tremante.
-Signore, la cacciatrice non mi ha
fatto rapporto negli ultimi due giorni.
“Non mentire, non mentire, ma non dire nulla che potrebbe non sapere…
calma… calma…”. Gli occhiali gli caddero dalle mani, atterrando fortunatamente sui
cuscini del divano senza rompersi. Si passò una mano sugli occhi, agitato.
-Dove è quella mocciosa?
Ringhiò il primo osservatore nella
cornetta mentre il suo passo diventava sempre più veloce.
-Non so signore. –“attenersi ai fatti… sono tutti
confermabili…” -La sto cercando al massimo delle mie possibilità. –“nessuno lo può negare tranne me…” -Ho cominciato
non appena ha saltato il primo rapporto. –“nessuno
può contraddirmi…”.
Ci fu silenzio per qualche secondo
sulla linea. Giles si risistemò il colletto della camicia mentre aspettava che
Miller pronunciasse la sua sentenza.
“Non può farti nulla, nulla se non convocarti di fronte alla
disciplinare… ma non può provare nulla… la mia carriera è praticamente
distrutta se ho perso nuovamente la cacciatrice…” si ripeteva Giles. Furono alcuni dei
secondi più lunghi della sua vita.
Miller si costrinse a fare un
respiro profondo ed pensare a sangue freddo. “Devo controllare i danni, fare in modo che questa situazione non mi
sfugga… evitare che Marlin ne possa trarre qualsiasi vantaggio…”
-Va bene. Continui la sua ricerca.
Ma non si muova da Sunnydale, dirò ad altri di tenere gli occhi aperti per
quanto riguarda le altre zone. E non parli della cosa con nessuno chiaro?
Giles si sentì quasi svenire dal
sollievo, un’altra possibilità, aveva un’altra possibilità…
-Si signore. Non parlerò con nessuno
signore.
A metà frase Rupert sentì il rumore
della linea interrotta.
L’osservatore posò la cornetta con
la mani ancora tremanti. Le dovette utilizzare entrambe per riuscire a posarla
al posto giusto, riuscendoci solo al terzo tentativo.
Si lasciò cadere anche lui sul divano
e si prese la testa fra le mani.
“Un informatore, un informatore deve avergli comunicato che non trovo
più la mia cacciatrice. Se è scappata di nuovo questa volta mi solleveranno
dall’incarico… non posso dirgli che è scappata di nuovo durante una vacanza a
Manchester…”.
Rimase qualche minuto così,
scuotendo lentamente la testa e facendo respiri profondi.
“Devo chiamare Marlin…anche se non posso avvertire nessuno devo
chiamarla… è l’unica che mi può aiutare a ritrovare Buffy… l’unica di cui mi
possa fidare al momento…”
Jason entrò nell’atrio.
Si guardò attorno cercando il Primo
Osservatore. Esaminò velocemente la sala senza trovarlo, notando mentalmente la
presenza di tutti gli altri.
Una manciata di minuti prima uno
degli operativi gli aveva comunicato la riportata scomparsa della Cacciatrice.
Strano usare di nuovo il singolare
dopo tanto tempo. Ma con Faith morta e nessuna chiamata a rimpiazzarla, od
almeno trovata, rimaneva solo una prescelta. Per la prima volta in qualcosa
come cinque anni. Poco tempo e tanto tempo assieme.
Ormai sembrava inutile negare che
gli eventi stessero precipitando in maniera del tutto incontrollata. Dubitava
che esistesse un’unica persona dietro tutto questo, capace di orchestrare il
tutto. Erano una serie di schegge impazzite che colpivano bersagli casuali
sulla loro rotta.
Jason non poteva fare a meno di
pensare di non aver avvertito Faith abbastanza presto. O di non essere riuscito
a farle capire veramente che il pericolo che correva era tremendamente reale.
In un certo qual modo non lo aveva
creduto neanche lui mercoledì. Sapeva che era possibile, senza dubbio, solo che
credeva fosse improbabile.
Beh, si era sbagliato.
Una cacciatrice era morta per
questo.
E a lui dispiaceva.
Non che si sentisse responsabile.
Assolutamente. O colpevole. Di cosa poi, avrebbe voluto sapere.
Anzi, la morte di Faith era una cosa
quasi gradita per lui. Sicuramente era comoda, gli semplificava i problemi
enormemente. Era solo “quasi gradita”, perché l’avrebbe preferita come alleata
piuttosto che morta. Ed in un mondo perfetto lo sarebbe stata, perché Jason
sospettava che in fondo loro due si somigliassero. Anche se non aveva prove a
dimostrarlo quanto una sensazione.
Ma questo non era un mondo perfetto,
tutt’altro, e Jason sapeva che la cacciatrice non era assolutamente una persona
di cui si sarebbe potuto mai fidare. Troppo indipendente e troppo indurita da
quello che aveva superato per sopravvivere.
Del resto la scomparsa di Faith lo
lasciava con un rebus non risolto.
Ora che era morta Jason non avrebbe
più potuto sapere cosa si nascondesse dietro quella maschera, cosa l’avrebbe
fatta incrinare e cosa cadere. Il capo degli operativi avrebbe potuto passare
mesi, anni interi d osservarla e poi a sondarla cautamente per saperlo. Perché
lui era una persona curiosa, molto curiosa, lo doveva ammettere, e Faith era
uno dei rompicapi più interessanti che gli fosse mai capitato nella vita.
Averlo perso lo scocciava
enormemente.
Jason odiava quando un rebus gli veniva
strappato di mano prima che riuscisse a risolverlo.
Certo, la voleva fuori dal Concilio,
fuori dalle sue squadre di operativi, perché alla lunga lei sarebbe diventata
un problema, che lo volesse e lo intendesse o meno. Ma sarebbero passati anni
prima che lo fosse davvero. Perché sotto sotto Faith era una leader naturale
anche se odiava lavorare con altre persone. Posta in un ambiente tendeva
automaticamente a porsi come comandante. E prima o poi se ne sarebbe accorta. O
forse lo sapeva già e prima o poi lo avrebbe sfruttato, avrebbe imparato a
farlo.
Jason sapeva che non era stupida.
Inetta, si, quello si. Almeno ad un
certo grado. Lui l’aveva avvertita ma comunque ora Faith era poco più di un
mucchietto di cenere.
Che fosse stato perché aveva deciso
di ignorare i suoi avvertimenti o semplicemente perché lei aveva incontrato
qualcuno più forte e più deciso, il risultato era il medesimo.
Jason stava pensando proprio a
questo durante il funerale.
Prima che gli comunicassero che
l’altra cacciatrice era scomparsa.
Non morta, ma scomparsa.
La cosa lo aveva riportato alla
presente situazione del Concilio. C’era così tanto in gioco, non da ultimo la
sua stessa vita.
L’unica cosa per cui Jason avrebbe
sacrificato la propria esistenza, l’istituzione del Concilio degli Osservatori,
non le persone che ne facevano parte, non era in pericolo. Conosceva la storia
e sapeva che c’erano stati altri vuoti di potere, altre guerre civili ed alcune
ben più tragiche di questa, e nonostante tutto il Concilio era ancora lì. E questo
significava che tutto quello a cui lui mirava in questo momento era
semplicemente essere lì per vedere l’alba del prossimo periodo.
La situazione al momento era grave.
Non irrimediabile ma grave.
Doveva trovare una soluzione. La
cosa difficile era che non conosceva esattamente il problema. Prima di tutto
quindi avrebbe dovuto cercare informazioni.
Miller sarebbe stata la logica
scelta per farlo, ma non era presente al momento. Avrebbe dovuto trovare un
sostituto.
Jason si guardò attorno.
A qualche metro da lui, vicino ad un
ascensore c’era Vivien. La donna era praticamente distrutta dal dolore e dal
senso di colpa per non essere riuscita a salvare Faith. E così molti altri
degli operativi che avevano partecipato a quell’addestramento.
Ora come ora Jason non poteva
contare sulla maggior parte di quelli che aveva partecipato all’esercitazione
di Malaga. Sembrava che in questi mesi Faith fosse veramente diventata una loro
camerata.
Poco aiuto su quel fronte quindi,
senza considerare la squadra di Dellah, ancora sconvolta per la scomparsa del
loro compagno. Avrebbero dovuto lavorare a ranghi ridotti per un po’, sarebbe
stato difficile coprire un’eventuale crisi.
Il capo degli operativi mise da
parte quella considerazione tecnica e proseguì a scrutare i capannelli di
osservatori sparsi nell’atrio e nei corridoi. Era palesemente ovvio che questa
la notizia della scomparsa della cacciatrice si era diffusa. Ormai
probabilmente era incontrollabile.
Gli osservatori erano tutti nervosi
e sempre più impauriti dagli ultimi eventi accaduti, e, a giudicare dal numero
di presenti, probabilmente la maggioranza delle postazioni era rimasta scoperta
al momento. Il capo degli operativi poteva riconoscere tra la folla un buon
numero di supervisori, tutti intenti nel cercare di attrarre l’attenzione del
proprio dirigente di riferimento. Cercavano una guida, implicitamente
ammettendo di non sapere assolutamente come comportarsi e cosa fare.
La situazione era praticamente
sull’orlo della catastrofe.
Jason scandagliò ancora con gli occhi
l’atrio cercando qualche personalità non sconvolta da quanto accaduto, per
capire quanto grave fosse la situazione. Una persona in preda al panico od alla
paranoia era del tutto inutile.
Non era il fatto in sé che fosse
scomparsa una cacciatrice ad essere destabilizzante, questo Jason e tutti gli
altri lo sapevano. Era che era accaduto a due giorni dalla morta dell’altra,
all’assenza di una erede alla carica, in un momento in cui nel Concilio c’erano
si e no sei dirigenti e l’aria di una guerra per la successione.
“Momento fottutamente fantastico perchè accada una cosa simile.”
Il suo sguardo si posò su una Marlin
serena e composta come sempre.
“La seconda migliore da cui avere informazioni in questa situazione, dopo il primo
osservatore”.
Le si avvicinò alle spalle, facendo
attenzione a non essere notato. Il suo interesse era scoprire cosa stava
dicendo ai suoi sostenitori, che al momento le si stavano affollando attorno.
Almeno avrebbe saputo se c’era lei dietro questa storia o se perlomeno stava
cercando di diffondere il panico per utilizzarlo.
-Signora ha saputo?
Chiese uno dei supervisori,
Magdalene gli rispose con un cortese cenno del capo in assenso. Jason rallentò
ancora di più il proprio passo per poter ascoltare per qualche secondo in più.
-Si, ho sentito. Anche se non mi è
ancora stato confermato. Aspetto una nota dal Primo Osservatore per chiarire la
faccenda.
“Come da regolamento, da come si comporta sembrerebbe che non abbia mai
infranto una regola in vita sua. Anzi, che non abbia mai pensato di farlo.” Vicino a lei anche Kroskj annuì, in
supporto alla sua risposta.
Jason non poté fare a meno di notare
che erano gli unici dirigenti a reagire con così tanta calma alla notizia.
Poteva chiaramente vedere la folla che circondava Dougan agitarsi alle parole
dell’uomo dall’altra parte della sala.
Il silenzio si prolungò per qualche
altro istante nel gruppetto.
Il comandante degli operativi
aspettò per quanto possibile nei limiti dell’educazione prima di parlare ed
annunciare la propria presenza, per darle la possibilità di aggiungere
qualcosa, una vaga indicazione, un commento distratto.
Silenzio.
Oramai era chiaro che Marlin non
avrebbe offerto alcuna notizia né supposizione su quanto accaduto. Se sapeva
qualcosa l’avrebbe tenuta per sé.
Jason si avvicinò di una altro passo
prima di rivolgerle la parola, mettendosi leggermente al suo fianco, per non
arrivarle direttamente alle spalle.
-Sa per caso dove posso trovare il Primo
Osservatore, signora?
Jason sapeva che non c’era molto
altro che avrebbe potuto sapere in quest’atrio, già qualcuno cominciava a
tornare al suo posto, sebbene lo facesse senza smettere di speculare con i
propri colleghi. Era meglio andare direttamente dal proprio comandante per
capire quanto fosse stato scosso dalla notizia. In fondo molto di questa
situazione dipendeva dalle sue risposte agli eventi.
“Se soltanto anche lui se ne rendesse conto…”
Era stata quasi una sorpresa
rendersi conto esattamente quanto forte ed importante fosse stata l’influenza
di Marlin nel comportamento del Primo Osservatore. Da quando la donna aveva
ritirato il suo appoggio Miller era diventato più lento nelle sue risposte e
certamente meno capace di prevedere le reazioni delle persone attorno a lui, ma
soprattutto si era dimostrato quasi incapace a comprendere come una sua mancata
azione potesse avere allarmare l’intero Concilio.
Non era nulla di troppo evidente.
Una somma di dettagli più che altro.
La mancanza di un comunicato,
l’assenza di questo o quel personaggio durante una cena od un pranzo nella
mensa. Alcuni ordini su cosa fare dati troppo direttamente invece di
consigliare linee di azione.
Oh, le crisi e le situazioni erano
affrontate con la solita, brutale, efficacia.
I problemi venivano affrontati e
risolti. In caso eliminati.
Come sempre.
L’unica differenza era che con il
consiglio di Marlin, molte di queste crisi erano risolte ancora prima che
nascessero.
Era una finezza nel trattare con le
persone che Jason sapeva essere del tutto istintiva. Non la imparavi.
E Miller non l’aveva.
Marlin annuì, mentre girava
leggermente la testa per guardarlo negli occhi. Se era sorpresa dalla sua
improvvisa presenza al suo fianco o meno, non lo dava a vedere.
-Probabilmente il Primo Osservatore
è nel suo ufficio. E’ entrato prima di me.
Jason annuì ancora una volta prima
di allontanarsi dalla donna. Doveva trovare informazioni.
Il telefono squillò.
-Con chi parlo?
Chiese Marlin comodamente seduta nel
proprio ufficio. Era soddisfatta di come il resto del Concilio aveva preso la notizia
della scomparsa della Summers. Doveva ammettere che fomentare disordine era
facile. Soprattutto in una massa tale di superstiziosi. In molti stavano già
parlando di maledizioni e congiunture astrali negative.
“Ancora un po’ e chiameranno la cartomante di fiducia…”
-Sono Giles… Ho un problema.
Magdalene avrebbe scommesso che
l’osservatore stava tremendo dall’altra parte della cornetta. Di certo la voce
non era controllata come al solito. Probabilmente aveva già ricevuto una
telefonata di Miller.
-Il Primo Osservatore mi ha
chiamato. –Ecco la conferma. “La nota
ufficiale non dovrebbe tardare troppo…”. –Sa che Buffy è scomparsa. –Marlin
sentì una specie di singhiozzo dall’altro lato.
–Mi ha detto di non parlare con nessuno. –Questo lasciò perplessa Magdalene.
“Perché nascondere il fatto? Non gli
conviene…” –Devo ritrovarla Miss Marlin. Non gli ho detto che si trovava in
Inghilterra quando è scomparsa e non posso dire di aver perso nuovamente una
cacciatrice.
Alla donna venne quasi voglia di
ridere. “Abbiamo paura eh?”. Si
accontentò di un sorriso soddisfatto, quello non lo poteva vedere.
-Cosa le serve Giles?
Sempre meglio che fosse l’altro a
chiedere che tu ad offrire.
-Non può essere scappata. Non lo
rifarebbe di nuovo, non ha motivo. Ho bisogno del suo aiuto per ritrovarla. Può
esserle accaduto qualcosa…
Rupert rimase in attesa della
risposta, trepidante. Questa era la sua ultima chance.
-Sia. La cercherò. –Magdalene fece
una pausa. Il sospiro di sollievo dell’uomo fu evidente. –Mi dovrà un favore
decisamente grande per questo però. Rischio a mentire a Miller.
Poteva sentirlo annuire tramite la
linea telefonica.
-Naturalmente naturalmente,
qualsiasi cosa. Basta che la ritrovi.
Probabilmente era troppo felice per
rendersi conto di quello che diceva. Un giorno probabilmente avrebbe ripensato
a queste parole con orrore. Di certo Marlin avrebbe fatto in modo che non le
dimenticasse.
-Arrivederci Giles.
-Arrivederci e grazie Miss Marlin.
Era quasi patetico sentire quanta
gratitudine aveva nella voce.
Chiusa la conversazione, Marlin
incrociò le mani e vi poggiò sopra il mento.
“Cosa stai progettando Miller?”
Le cose da ieri non erano migliorate.
Se possibile erano peggiorate. L’assenza di un qualsiasi commento diretto da
parte del Primo Osservatore alle voci che si erano diffuse sulla scomparsa
della seconda cacciatrice, non avevano fatto altro che aumentare la tensione.
“Come se prima la situazione fosse stata calma e tranquilla.”
Jason doveva ammettere di non aver
mai assistito ad una tale dimostrazione di panico all’interno del Concilio.
Tutti gli osservatori si muovevano da stanza a stanza in maniera furtiva,
cercando di passare il meno tempo possibile nei corridoi, guardandosi
continuamente le spalle e trasalendo al minimo rumore che sentivano. Stavano
rintanati il più possibile nei propri uffici, sbrigando il loro lavoro ed
evitando di farsi notare.
Da ieri c’era un silenzio irreale ed
un tantino inquietante nel Concilio.
“Un piacevole cambiamento per lo meno.”
Tra il rumore di porte che si
chiudevano e cigolavano, le voci soffocate ed i mormorii che si sentivano,
sembrava di essere in una villa infestata dai fantasmi piuttosto che nella sede
centrale di un’organizzazione con più di un centinaio di dipendenti presenti.
Sarebbe stata una situazione comica
se non per il fatto che il pericolo che temevano gli osservatori era in qualche
modo reale.
Jason sapeva che anche i suoi
operativi erano nervosi, tesi per qualsiasi cosa si stesse preparando. Il fatto
poi che, delle quindici squadre esistenti, ben tredici fossero nella sede
centrale invece che impiegate in missione non rendeva le cose più facili.
Tale concentrazione di truppe era
stata necessaria per proteggere l’assemblea plenaria da qualsiasi eventualità
di attacco. Era stato lo stesso Primo Osservatore ad ordinargli poi di tenerle
tutte a disposizione fino all’assemblea necessaria per eleggere i nuovi
dirigenti. Legittima come precauzione dopo gli eventi degli ultimi mesi, alla
sequela di incidenti e di morti che ne era derivata.
L’unica eccezione era stata la
missione di addestramento diretta da Faith, in cui erano state coinvolte
quattro squadre. Non era stata annullata semplicemente perchè non sarebbe
dovuta durare più di una manciata di giorni ed era in programma già da molto
tempo.
“E per come è andata a finire sarebbe stato meglio cancellarla.”
Ma questo ordine del Primo
Osservatore costringeva anche ad un’inattività forzata ed una vicinanza coatta
dei commando dai nervi logori e dai riflessi fulminei. Prima o poi ci sarebbero
stati incidenti, per quanto gli uomini potessero essere ben addestrati e per
quante precauzioni si prendessero. Non fosse stato per quell’ordine Jason avrebbe
già provveduto a dividere le squadre, facendo rimanere solo cinque nella sede,
il normale numero, e dividendo le altre tra campi di addestramento e licenze.
La cosa che preoccupava di più il
comandante era però il fatto che diverse squadre avevano cominciato a guardarsi
con sospetto.
Jason temeva sinceramente che alcuni
caposquadra avrebbero dato il via ad una faida interna.
“Ci mancherebbe solo questa per completare questa settimana infernale…”
Spesso tra le varie squadre c’era
competizione, simpatia od avversione, ma era raro arrivare all’ostilità venata
dall’odio che aleggiava ora. La politica di far nominare i caposquadra ai
dirigenti e non al comandante stesso non si dimostrava esattamente saggia in
momenti come questo, in cui “guerra civile” non era poi un pensiero così
alieno. Rendeva difficile che il capo degli operativi occupasse o minacciasse
seriamente l’esistenza del Concilio, questo si, ma apriva tutta un’altra serie
di problemi, basati sui conflitti di interesse e sui giochi di potere che si
svolgevano tra dirigenti.
Problemi che non si era mai neanche
tentato di risolvere.
Il pericolo che per un caposquadra
la fedeltà individuale alla persona a cui dovevano la loro nomina prevalesse
sul rispetto dovuto alla catena di comando, non era da prendere alla leggera.
Era quello il problema principale
con il fatto che i caposquadra fossero scelti dai dirigenti.
Oltre al piccolo, non trascurabile
particolare, che a volte, erano stati idioti incapaci ad aver avuto la nomina.
Probabilmente l’unica cosa che aveva
impedito fino a quel momento che scoppiasse un regolamento di conti simile, pur
con tutto quello accaduto, era proprio il fatto che lui stesso aveva evitato di
schierarsi apertamente da un lato o da un altro. I vari capi fazione avrebbero
aspettato fino all’ultimo per vedere dove era la sua fedeltà, considerando che
con lui si sarebbero mosse almeno tre squadre.
“Almeno fino a quando qualcuno non perderà la pazienza. Come con Faith…”
Sinceramente Jason non avrebbe mai
creduto che un attacco nei confronti della cacciatrice avvenisse così presto.
Solo due giorni dopo il suo
avvertimento.
A volte odiava avere ragione.
Il lungo ed ininterrotto suono di un
allarme lo richiamò bruscamente al presente. Accedendo velocemente ai video di sorveglianza
ed alle piante del palazzo notò l’avvertimento di un’intrusione ostile nel
settore est.
Diede ordine a tutte le squadre non
impegnate nella sicurezza del perimetro esterno di convergere in quel punto.
Oggi Jason non aveva nessuna voglia
di intraprendere operazioni chirurgiche. Se avesse avuto una qualche
superiorità numerica l’avrebbe sfruttata fino in fondo.
“Un altro attacco in meno di un mese. Non ha senso, non ha senso farlo
ora…la riunione plenaria c’è già stata, l’altra ci sarà venerdì… perché ora?”
Senza perdere tempo Jason prese la
pistola dal cassetto e controllò caricatore e sicura prima di correre anche lui
in quella direzione. Da tempo sapeva che il modo per dare gli ordini migliori
era essere presenti in prima persona sulla scena dove si svolgeva l’azione.
Gli ci vollero meno di due minuti
per raggiungere il punto esatto segnalato dal sistema informatico.
Si fermò dietro l’ultimo angolo,
ascoltando cosa accadeva nel corridoio. Nessun colpo di arma da fuoco. Strinse
meglio la propria Sig-sauer P-229, fece un respiro profondo, e si mosse.
Era già tutto finito.
Jason analizzò rapidamente la scena
davanti a sé, la pistola ancora pronta.
A terra, a pochi metri da lui,
spostato appena sulla destra, giaceva il corpo, evidentemente senza vita, del
dirigente Dougan. Nessuno sopravvive a quello che sembrava un proiettile
calibro nove piantato in mezzo agli occhi.
Attorno, disposta in un
approssimativo semicerchio, si trovava la squadra di Devon, i mitra puntati
nella direzione opposta a quella da cui era arrivato lui. Una dozzina di altri
osservatori si trovavano sul posto, alcuni sdraiati a terra, altri in piedi,
erano in silenzio, con i volti cinerei. A meno di due metri, un po’ spostato
sulla sinistra, c’era il Primo Osservatore con una pistola ancora in mano,
l’unico calmo e pienamente padrone di sé nel corridoio oltre agli operativi.
Gli bastò quella rapida occhiata per
capire cosa fosse successo.
Ignorando momentaneamente Miller,
Jason si rivolse verso il caposquadra, già sapendo cosa avrebbe scoperto. O
meglio cosa non avrebbe trovato. Odiava profondamente capitare in situazioni
simili senza saperne nulla in anticipo.
-Rapporto Devon!
Ringhiò al caposquadra. Sarebbe
stato il suo parafulmine per il momento. Ed avrebbe fatto bene ad accettarlo,
visto che era coinvolto nella scena che si trovava davanti.
-Siamo intervenuti non appena
abbiamo sentito l’allarme signore. –Rispose immediatamente l’interpellato,
scattando sull’attenti senza esitare. –Quando siamo arrivati sul posto un
soggetto ostile non identificato si stava allontanando in direzione sud,
signore. Il Primo Osservatore aveva già aperto il fuoco contro l’intruso
costringendolo a ritirarsi, signore.
Tutto estremamente lineare. Un
nemico introvabile, un incidente durante un convulso scontro, diversi testimoni
pronti a sostenere la tua versione. La situazione perfetta per commettere un
omicidio.
“E’ un po’ troppo facile cavarsela con qualche riga mandata a memoria,
Devon. Spero tanto per te che tu abbia pronta qualche risposta in più…”
-E dove si trova ora l’ostile?
Non che Jason sperasse di trovarlo,
considerando che non esisteva. Ma non aveva intenzione di rendere le cose più
facili al caposquadra. Che si fabbricasse le scuse da solo e che fossero buone,
altrimenti tutto sarebbe crollato sulle sue spalle. Ci sarebbero stati rapporti
da riempire in seguito e commissioni di inchiesta da affrontare. Di certo lui
non lo avrebbe aiutato e glielo voleva rendere chiaro dal primo momento.
-Non lo so signore. Il Primo
Osservatore ci ha ordinato di rimanere qui, signore.
“Ed ovviamente il potere di lasciare “scappare” chiunque sia entrato,
risulta estremamente comodo in queste situazioni.”
Dopo una risposta simile, del tutto
inattaccabile, non c’era molto che Jason potesse fare oltre che portare avanti
questa recita idiota e ribollire di rabbia.
Nel frattempo erano arrivate altre
quattro squadre.
Decisamente furibondo ma tentando di
celarlo, senza particolare successo, il comandante chiamò a raccolta i
caposquadra con un cenno della mano.
-Vivien, -Si rivolse per primo alla
donna, fissandola un attimo negli occhi. Anche lei sembrava stupita ed
arrabbiata quanto lui per essere incappata in una situazione simile. “Non piace a nessuno capitare in una farsa
di cui non si conoscono le battute e per la quale non si è stati scritturati.” –Tu
rimani qui. Voglio il Primo Osservatore e il dirigente protetti chiaro?
“Non che Dougan debba essere protetto poi molto ora.”
-Si signore!
Rispose Vivien girandosi e cominciando
a dare ordini alla sua squadra senza perdere un secondo. Il comandante era
ovviamente furibondo, e lei sapeva quindi che bisognava eseguire gli ordini
almeno due volte più velocemente del normale per evitare di averlo addosso.
-Voi quattro. –Si rivolse agli
altri. –Andate a cercare quell’ostile. Rivoltate l’intero Concilio se
necessario. –Jason fissò i suoi occhi in quelli di Devon, comunicandogli
silenziosamente che non era affatto contento con lui e che avrebbe fatto meglio
a fare un lavoro perfetto d’ora in poi, perché lo avrebbe rovinato alla prima
occasione utile. Il caposquadra deglutì nervosamente mentre annuiva. –Lo voglio
chiaro?
-Si signore!
Urlarono contemporaneamente i
quattro e si dispersero, le loro squadre subito dietro di loro, cominciando
quella che tutti sapevano essere una caccia ai fantasmi. Perlomeno gli dava la
possibilità di allontanarsi il più presto possibile da un furioso comandante,
il che era un bonus da non trascurare.
Qualche secondo e nel corridoio
erano rimasti solo i testimoni dell’”attacco” e la squadra di Vivien, i mitra
in posizione di riposo. Piano piano i vari osservatori sembravano riprendere
colore e con quello la parola.
Il vocio stava già raggiungendo
livelli seccanti per quanto riguardava i gusti del comandante della sicurezza.
Jason rimase sulla scena qualche
minuto ancora.
Chiese agli osservatori anziani
presenti cosa fosse esattamente successo.
Le versioni coincidevano al
millesimo.
Un intruso, di altezza media,
corporatura media, con volto coperto e quella che era stata descritta come una
pistola “grande e nera” era entrato nel corridoio, aveva puntato l’arma contro
i passanti, tra cui il Primo Osservatore. Per reazione Miller aveva estratto la
propria pistola ed aveva aperto il fuoco, mettendo in fuga l’uomo.
“Si, ed io sono un casco blu dell’ONU”.
In tutta la sua vita Jason aveva
sentito poche storie di copertura peggiori di questa.
Raccolte le deposizioni degli altri
osservatori presenti, e chiesto a tutti di presentarsi nei prossimi giorni nel
suo ufficio per firmare le loro dichiarazioni, il comandante degli operativi si
avvicinò al cadavere di Dougan.
Si inginocchiò ed osservò per un
attimo il corpo. Diversi colpi di pistola lo avevano raggiunto al torace oltre
al colpo alla testa. Per abitudine poggiò le dita sulla carotide, che non ci
fossero pulsazioni era chiaro dall’estensione della pozzanghera di sangue sul
pavimento. Probabilmente il proiettile che lo aveva colpito in mezzo agli occhi
era stato l’ultimo ad essere esploso.
Ci sarebbe stata un’inchiesta su
quanto accaduto ovviamente.
La morte di un dirigente non poteva
essere archiviata come una disgrazia senza un minimo di indagine dietro.
“Un’altra caccia ai fantasmi.”
Jason alzò la testa ed incrociò lo sguardo
del Primo Osservatore. L’operativo annuì una volta prima di alzarsi ed
avvicinarglisi.
-Signore.
Lo salutò.
-Jason.
Fu la replica, il capo della
sicurezza non poté fare a meno di notare che era piuttosto fredda. Non un buon
segno. L’unica cosa incerta del caso era se Miller o altri, uno dei dirigenti
rimasti ad esempio, avessero voluto o meno la sua testa per l’incidente.
In fondo era la seconda volta in
meno di un mese che qualcuno penetrava nel Concilio. E qualcuno moriva.
E se la morte di un operativo poteva
essere ignorata, quella di un dirigente non lo poteva essere.
-Potrei avere la sua versione dei
fatti, signore?
L’idea di chiedergli di consegnare
la pistola non lo sfiorò neanche. Per qualche motivo il Primo Osservatore era
improvvisamente diventato diffidente nei suoi confronti. Jason non ne conosceva
il motivo, ma avrebbe fatto tutto il possibile per evitare di inimicarselo di
più. Forse la folla avrebbe voluto un capro espiatorio e ben pochi l’avrebbero
soddisfatta quanto la testa del capo della sicurezza.
Era per quello che odiava essere
stato costretto a recitare una parte in questa farsa senza esserne informato
prima. In questo modo non aveva potuto prepararsi nessun alibi, nessuna
spiegazione. Gli era stata negata la minima possibilità di ripararsi da
eventuali contraccolpi.
-Certamente Jason. –Ancora gelida
cortesia nella voce del Primo Osservatore.
Miller ripeté effettivamente la
stessa storia di tutti gli altri, particolari compresi. Con lo sguardo sfidò il
capo della sicurezza a contestarlo. Jason se ne guardò bene, limitandosi ad
annuire in tutti i giusti punti.
-La ringrazio per il suo tempo,
signore.
-Ho fiducia che condurrà l’inchiesta
al meglio delle sue possibilità.
Detto questo il Primo Osservatore si
allontanò senza salutare, limitandosi a mostrare un mezzo sorriso calcolatore
che la diceva lunga su quanto in realtà non si fidasse di lui.
In quel momento Jason decise che se
si fosse arrivati ad un punto tale in cui fosse servito un capro espiatorio, sarebbe
stato Devon a pagare per tutti. Se volevano una testa gli avrebbe dato la sua.
Senza rimpianti. E se pure fosse caduto lui in prima persona avrebbe fatto in
modo da trascinare con sé il caposquadra.
Inutile vendetta, ma comunque
vendetta.
Jason se ne tornò nel proprio
ufficio e si chiuse la porta dietro di sé.
Si mise a sedere e rimise la sicura
alla Sig sauer. Questa volta però non la ripose nel cassetto della scrivania,
la infilò nella fondina sul fianco. Scomoda, ma più rapida da prendere in caso
di necessità.
Il Primo Osservatore non si fidava
più di lui.
“Perché?”
Non ne aveva veramente idea.
Senza saperlo si ritrovò a grattarsi
il sopracciglio.
Era preoccupato.
Quanto successo nell’ultima ora
rendeva la sua posizione più difficile di prima. Ora sembrava che anche per i
dirigenti fosse caccia aperta. Jason non si faceva molte illusioni al momento
sulla sua vulnerabilità.
La sua vita era in pericolo.
Miller non aveva tentato neanche di
nascondere lo sguardo indagatore che gli aveva rivolto in quel corridoio, né di
camuffare la sua totale assenza di fiducia, aveva il potere e glielo aveva
ricordato senza essere sottile.
Il fatto che si fosse rivolto a
Devon per inscenare quella farsa la diceva lunga su quanto si fossero
deteriorati i loro rapporti.
Jason sapeva che sarebbe accaduto
prima o poi. La cosa non lo stupiva, presto o tardi Miller si sarebbe accorto
che non gli era fedele, non personalmente almeno.
Il comandante degli operativi non
era mai stato fedele alle persone, ma all’istituzione del Concilio. Un giorno
la cosa sarebbe risultata evidente. Il problema è che sembrava che quel giorno
fosse già arrivato, e passato, e lui non se ne era accorto.
E non si poteva negare che emeriti
idioti avevano ricoperto posizioni di potere lì dentro, più pericolosi per il
Concilio di mille vampiri. Tradirli non gli avrebbe fatto perdere un minuto di
sonno.
Il che lo rendeva pericoloso.
Ed in qualche modo Miller doveva
essere arrivato a questa conclusione, anche se Jason non lo riteneva
esattamente il più brillante dei Primi Osservatori mai esistiti. Non sapeva
come ci fosse arrivato, e per il quando poteva solo fare un educato pensiero
sulla giornata di ieri.
Eppure ieri non aveva fatto nulla di
particolare…
“Non importa neanche come sia arrivato ad una conclusione simile. Il
problema è che l’ha fatto…”
Ragionò, preoccupato ed irritato,
Jason, concludendo quella linea di pensiero che non lo stava portando da
nessuna parte.
La sua linea etica non era
esattamente la più comune, e la cosa lo metteva in svantaggio. Il comandante
degli operativi era convinto che il Concilio fosse necessario al bilancio di
forze su scala mondiale. Ed anche se non era giusto, se usava mezzi
discutibili, Jason non si era mai fatto illusioni sul contrario, oppure non era
guidato da persone degne, rimaneva un’istituzione necessaria.
Ma non lo credeva divino ed
imperituro.
In conclusione, Primo Osservatore
non era felice con lui.
“Constatazione del secolo…Fosse almeno l’unico…”
Inutile credere che Travers si sarebbe
mai schierato dalla sua parte durante una guerra civile.
Il dirigente non era nemmeno
presente e quindi il solo considerarlo era un semplice esercizio mentale. Ma
Quentin doveva vedere la collaborazione tra Miller e Jason come un tradimento
nei suoi confronti e non era il tipo di uomo da perdonare per una cosa simile.
Avrebbe dato poca importanza al fatto che in assenza del capo delle operazioni
speciali, il suo diretto superiore diventava il Primo Osservatore.
Del resto la loro collaborazione era
antecedente alla scomparsa di Travers.
Se lo avesse scoperto ci sarebbe
stato ben poco da contestare a riguardo di buona fede o meno.
Marlin poi… sembrava che oramai
nessuno dei dirigenti fosse dalla sua parte.
Che Jason fosse una creatura di
Miller o di Travers a lei non faceva differenza. Erano entrambi suoi nemici,
quindi per estensione lo era lui. Il fatto poi che avesse perso la sua migliore
pedina nella catena di comando degli operativi non la doveva rendere felice.
“Che schifo di posizione, nemico di tutti ed amico di nessuno.”
Continuò a sfregarsi il
sopracciglio.
Rimase così per qualche minuto prima
di allungare la mano a prendere uno dei rapporti arrivati il giorno precedente
dallo schedario.
Una piccola etichetta recitava la
parola “Ashken”, il nome di una località piuttosto sperduta vicino ai confini
dell’Assam, nella parte settentrionale dell’India.
Sfogliò il rapporto.
Sembrava che un gruppo di demoni
Escelo avesse fatto il nido nei dintorni. L’osservatore che aveva compilato il
rapporto non era astato nella zona in prima persona. Tutto quello che aveva
riportato erano le voci che giravano tra gli abitanti della zona e che avevano
raggiunto il suo orecchio.
Sembrava proprio che quella comunità
di demoni fosse abbastanza grande.
La stima dell’osservatore
valutava tale popolazione tra i tre e i
quindici individui.
Considerando che gli Escelo si
riproducevano rapidamente e crescevano altrettanto velocemente una popolazione
base di quindici demoni poteva diventare in meno di due anni una imponente forza
di circa un centinaio di individui.
Certamente gli Escelo non erano i
demoni più pericolosi in circolazione, ma in numero consistente potevano creare
non pochi danni.
“Forse è il caso di organizzare un’operazione per eliminare il problema
ora, invece che dopo. Certo che considerando le informazioni frammentarie
probabilmente ci vorranno molti giorni, forse settimane per perlustrare la zona
ed essere sicuri di aver soppresso l’intera comunità.”
Allungò una mano verso il telefono.
-Si comandante?
Rispose la voce di Vivien.
-Organizza un viaggio per Ashken, si
tratta di un covo di Escelo. Ti invio le informazioni complete con il fax. Tre
squadre: Charlotte, Carlos e la tua. Partenza questa sera stessa alle ore
ventuno massimo. Chiaro?
Vivien replicò immediatamente,
abituata alla mancanza di preavviso nell’organizzare missioni. Già stava
facendo una lista mentale delle cose da fare. Prima chiamata a Charlotte, che
avrebbe dovuto organizzare la distribuzione delle armi, la seconda a Carlos con
il compito di radunare tutti gli uomini e controllare l’equipaggiamento base,
poi si sarebbe occupata personalmente dei trasporti necessari per raggiungere
il posto. La parte tattica sarebbe stata decisa in volo, o sul posto.
-Si signore. Provvedo subito.
Ventuno al più tardi.
Alle venti l’elicottero si staccò da
terra.
Le squadre erano già all’aeroporto
privato in attesa dei loro comandanti. Con loro si trovava Carlos intento a
sovrintendere al carico dell’equipaggiamento e delle armi sul C-130 pronto a partire
sulla pista.
Vivien allungò un palmare verso
Jason. Il comandante degli operativi accettò l’apparecchio con un cenno del
capo, esaminando velocemente le liste di carico della missione e l’elenco del
personale assegnato alla missione.
-E con un’ora di anticipo. Buon
lavoro.
Vivien si limitò ad annuire,
apprezzando il raro complimento da parte di Jason. Era stata dura, ma era
riuscita ad organizzare tutto con un ottimo anticipo. Fortunatamente nessuna
delle squadre richieste era stata in libera uscita.
Il capo degli operativi restituì il
palmare a Vivien e si rivolse a Charlotte.
-Problemi ad ottenere sufficienti
coltelli di rame?
Uno dei punti deboli degli Escelo
era proprio l’intolleranza a quel metallo.
-No signore. L’armeria ne aveva
giusto a sufficienza.
Jason annuì e si chiuse nel suo
solito silenzio. Le due donne cominciarono a parlare a bassa voce, mettendo a
punto gli ultimi particolari, attente a non disturbarlo.
Il capo degli operativi guardò il
cielo oltre il finestrino.
Una volta raggiunta Ashken avrebbe
fatto in modo da essere irraggiungibile. Lui e la sua squadra sarebbero entrati
in silenzio radio per tutta la durata della missione. Pensava di rimanere lì
almeno per qualche settimana.
Organizzare questa spedizione, tutto
sommato inutile, certamente esagerata da un punto di vista di forze impiegate,
era il modo migliore per proteggere gli operativi a lui fedeli dal caos che
stava per scoppiare nel Concilio. Era suo dovere farlo.
Ed ovviamente la cosa avrebbe
protetto anche lui.
Inutile essere ipocriti. La sua vita
veniva prima di tutto ed organizzare missioni inutili non sfiorava nemmeno il
limite che aveva raggiunto per farlo.
Ne sapeva qualcosa Christian
Cookson. In realtà l’analista non c’entrava nulla con quanto accaduto a Dellah.
I soldi sul conto corrente dell’uomo, sebbene ricavati in modo illegale, non
erano il pagamento per il tradimento costato la vita all’operativo. Erano soldi
ricavati dal contrabbando di hardware appartenente al Concilio. Toglierlo di
mezzo aveva eliminato una fastidiosa pulce, ma non era mai stato più una innocua seccatura, diventando un comodo capro
espiatorio al momento opportuno. La vera talpa, quella che aveva permesso ad un
vampiro di entrare nella sede centrale, era ancora irrintracciabile.
E la sua esperienza gli diceva che
lo sarebbe rimasta.
Ora, il viaggio ad Ashken era la
soluzione perfetta agli ultimi sviluppi.
In effetti era il fatto che Faith
fosse morta, che fosse stata uccisa, ad essere stato decisivo per la scelta
della sua prossima mossa. Scomparsa lei, non esisteva nessuno abbastanza
qualificato per prendere il suo posto. La migliore rimasta, Vivien, era con
lui. Devon per quanto bravo e sostenuto dal Primo Osservatore era semplicemente
troppo giovane per aspirare alla carica di comandante degli operativi. Le sue
spalle erano coperte.
Quando sarebbe tornato il suo posto
sarebbe stato ancora lì.
Jason si permise di sorridere
soddisfatto.
Marlin si trovava nello stesso deposito
container in cui aveva incontrato il Messaggero soltanto domenica scorsa. Era
strano. Il fatto che si dovesse trovare a Bristol questa sera, per essere più
precisi la sua decisione di recarsi in città alcune ore prima dell’appuntamento
per fare un precauzionale sopraluogo del posto, probabilmente le aveva salvato
la vita.
Mentre guidava per raggiungere
Bristol infatti il vice capo delle comunicazioni del Concilio l’aveva chiamata
sul cellulare. Stranamente per quell’uomo calmo e meticoloso, quasi eccessivamente
timido ed arrendevole, le sue parole erano state agitate e le frasi
completamente spezzate, come se non avesse saputo cosa dirle o come farlo. Le
ci erano voluti quasi tre minuti per calmarlo abbastanza da capire cosa fosse
successo.
La risposta l’aveva spaventata.
Miller aveva ucciso un dirigente.
Ovviamente quella non era la
versione ufficiale.
Quella spiegava come un dirigente
del Concilio degli osservatori, in data odierna, era rimasto vittima di fuoco
amico per un tragico errore.
“Non abbastanza veloce a schivare, eh Dougan? Ragazzo, ragazzo…dopo la
presa di posizione di giovedì cos’altro ti aspettavi? Un peccato, davvero un
peccato…”
Pensò sarcastica ma senza alcun
divertimento.
Fuoco amico all’interno del Concilio
stesso. C’erano testimoni a proposito. Una dozzina di osservatori ed alcuni
osservatori anziani oltre agli operativi. “Affollato
quel corridoio”. Sembrava che chiunque avesse ucciso Dellah, fosse tornato
ed avesse minacciato Dougan, le squadre di sicurezza erano intervenute ma era
nato un conflitto a fuoco e il dirigente era morto a causa di un colpo diretto
all’intruso. Proiettile partito dalla pistola del primo osservatore. Nel caos
che era seguito lo sconosciuto era scomparso. Volatilizzato.
“Miller ha freddato un dirigente.”
Ecco quello che era successo.
Ridefiniva nuovamente i parametri di
ingaggio per questa battaglia, come avrebbe detto Kroskj dall’alto della sua
educazione all’accademia navale russa. Marlin invece si chiese cosa avesse
spinto Miller ad un gesto del genere. Non era solo avventato, era praticamente
un suicidio. Le regole al Concilio si potevano piegare, ignorare a volte, ma
non sbriciolare.
Quello mai.
“Eppure lo ha fatto… e non è uno stupido…”
Per un momento si chiese anche se il
primo osservatore fosse caduto in un tale stato di panico da reagire in maniera
inconsulta. Oppure c’era qualcos’altro dietro il suo comportamento
apparentemente inspiegabile, qualcosa che non riusciva a capire.
“A cosa miri veramente Miller?”
Comunque Magdalene era felice di non
essere in Cornovaglia in quel momento. Estremamente felice.
Appena chiuso il telefono con il suo
informatore, aveva chiamato Kroskj per dirgli di andarsene dal Concilio il più
in fretta possibile e di trovarsi un posto sicuro in cui trascorrere qualche
giorno. Trovandosi pienamente d’accordo con la donna, il russo aveva sgomberato
velocemente la sua scrivania, afferrando solo i file più importanti, e,
togliendo la sicura alla propria pistola ,era uscito in fretta dal Concilio.
Marlin era estremamente felice anche
di non essersi trovata in prima persona nel primo pomeriggio al Concilio,
avendo scelto di partire per Bristol appena finito di pranzare. Non poteva
sapere se il primo osservatore aveva sempre mirato ad assassinare Dougan o lui
era solo un bersaglio casuale od anche uno di ripiego.
Quando era arrivata a Bristol aveva
deciso di evitare completamente l’albergo in cui aveva prenotato una stanza,
anche se aveva preso precauzioni nel farlo. Per evitare di attrarre attenzione
era andata direttamente al deposito con più di sei ore di anticipo rispetto
all’orario datole. Lì aveva ispezionato il posto palmo a palmo e poi si era
messa in modo tale da poter sorvegliare le vie d’accesso dell’intera zona. Non
aveva senso correre dei rischi. Non ora che ignorava se Miller volesse morta
anche lei assieme a Dougan.
Il sole era tramontato lentamente
con lo scorrere del tempo. Era stato un crepuscolo del tutto ordinario, lontano
dall’essere romantico, la luce era gradualmente scomparsa senza spettacoli di
colori né estrema bellezza nella cosa. A mano a mano che si faceva tardi gli
operai staccavano dal lavoro e lasciavano il deposito per tornarsene a casa,
senza prestare particolare attenzione all’auto dai vetri oscurati parcheggiata
lì vicino. Con il buio la zona era deserta.
Qualche ora dopo Marlin scese
dall’auto per andare ad incontrare il Messaggero. Si inoltrò tra i muri di
container guardinga. L’idea di un Miller alla caccia della sua testa, non la
rendeva particolarmente pronta ad abbassare la guardia ed in un posto simile
c’erano fin troppe possibilità di tendere un agguato. Mentre camminava aveva la
pistola a portata di mano, il colpo già in canna e la sicura tolta (si,
pericoloso, ma necessario) e una valigia metallica grigia con il saldo per il
lavoro appena svolto.
Magdalene non dovette aspettare.
Quando raggiunse il posto prefissato l’altra donna era già là.
La salutò con un cenno del capo.
Questa volta non si persero in altri convenevoli.
Magdalene notò come gli occhi del
Messaggero la seguivano attenti mentre lei si avvicinava, mentre il resto della
sua figura rimaneva immobile vicino ad uno dei container, quasi nascosta.
L’osservatrice non sapeva dire se era tesa, magari perché l’aveva venduta,
oppure solo attenta, del resto vendere informazioni a varie famiglie mafiose, e
probabilmente anche a qualche servizio segreto, non era esattamente un’attività
da svolgere in maniera imprudente. Non se si voleva sopravvivere.
La donna alzò una mano per bloccarla quando si
trovarono a circa tre metri di distanza.
Marlin si fermò ed attese.
-Non è stato particolarmente
difficile rintracciarlo. –Il Messaggero non lo disse con arroganza, ma come
semplice constatazione di un fatto, quasi una spiegazione. –Si è mosso
parecchio in certi circoli, e le sue attività sono state semplici da
rintracciare.
-Attività?
Marlin non era affatto stupita del
fatto che la donna avesse altre informazioni per lei oltre ad una semplice
locazione. Niente di estremamente preciso, o fuori luogo, giusto un
back-ground, che avrebbe potuto fornire spunti all’acquirente per la
commissione di nuove indagini o soltanto per avere un’idea migliore del quadro
generale.
Il Messaggero non era la migliore
del suo campo per nulla.
-Arruola mercenari. Ne ha parecchi
ai suoi ordini ora. Probabilmente qualche decina, di discreta qualità.
Marlin annuì.
La cosa non la stupiva
eccessivamente. Se Travers aveva abbandonato il Concilio, per agire
dall’esterno avrebbe dovuto necessariamente avere una base militare. E data la
usa precedente posizione aveva la fedeltà di non pochi capi-squadra.
Il Messaggero proseguì con il resto
delle informazioni.
-Sta operando a Londra. Ho avuto la
conferma che Travers si troverà al ristorante “Remus” domani sera alle nove. Sa
di quale locale sto parlando?
Magdalene annuì con la testa, non
aveva voglia di fare conversazione. Inoltre sapeva esattamente di quale
ristorante stesse parlando l’informatrice, eccome se lo sapeva. Poggiò la
valigetta con il denaro a terra osservando come gli occhi del Messaggero
seguivano i suoi movimenti, prestando particolare attenzione alle mani.
-Qui c’è il saldo.
Il Messaggero si limitò ad annuire
ma non si mosse dalla sua posizione, né si lasciò distrarre dalla valigetta,
continuando a controllare la posizione di entrambe le mani di Marlin e rimando
accuratamente nelle vicinanze di una copertura, dovessero le cose precipitare.
“Avida, ma non stupida.”
Fu costretta a riconoscere
Magdalene. A quanto pareva appena comunicate le informazioni le misure di
sicurezza venivano aumentate. L’osservatrice aveva quasi creduto che durante il
pagamento tutta l’attenzione del Messaggero sarebbe stata rivolta verso il
denaro. “E quello sarebbe stato il
momento perfetto per farla fuori.”
Ma il Messaggero non aveva dato
alcuna finestra utile per colpirla in modo rapido e pulito, a partire dalla
posizione scelta, arrivando all’estrema attenzione con sui la stava studiando,
per evitare che il mercenario sopravvisse o soltanto reagisse.
E ci aveva pensato, Marlin, ad
ucciderla.
Aveva pensato a molte cose durante
quelle lunghe ore d’attesa.
Eliminare il Messaggero una volta
avute le informazioni era stata una di queste.
E non lo avrebbe fatto per
risparmiare denaro, non per quello, quanto per evitare una possibile fuga di
notizie. In fondo la donna che le stava davanti avrebbe saputo dove trovarla
domani sera. O perlomeno dove sarebbe stato probabile trovarla.
Alla fine aveva deciso di non agire.
Anche se la cosa non le piaceva
particolarmente.
In fondo il Messaggero era sempre un
rischio per la sua sicurezza personale e Marlin non prendeva alla leggera tali
pericoli.
Aveva deciso che non lo avrebbe
fatto, neanche se si fosse presentata una buona occasione, e stasera non era
capitato. E non soltanto perché era altamente improbabile che Miller
rintracciasse e riuscisse ad avere informazioni dal Messaggero. Ma anche perché
molti personaggi non troppo raccomandabili, ma decisamente potenti, si
sarebbero potuti risentire alla scomparsa di una delle loro fonti migliori.
E sarebbe bastato solo il sospetto
che Marlin c’entrasse qualcosa con la morte del Messaggero perché la cosa le
procurasse una condanna a morte. Senza appello.
Non erano persone che andavano per
il sottile.
E Magdalene aveva deciso di avere
abbastanza sul proprio piatto al momento, senza andarsi a cacciare in altri
guai gratuiti.
-Se mi deve contattare ancora, sul
Times, ogni mercoledì, ci sarà la pubblicità di una compagnia di intermediari
finanziari, chiamata “Ermes”. Chiami il numero e lasci il proprio nome ed il
modo per rintracciarla.
Disse il mercenario dopo lunghi secondi
di silenzioso studio dell’osservatrice.
Sembrava che negli istanti in cui
Marlin aveva riesaminato la propria decisione, l’altra donna ne avesse
raggiunta una.
“A quanto sembra mi sono appena guadagnata la carta di credito d’oro, se
non platino.”
La cosa fece un enorme piacere a
Marlin. I servizi resi dal mercenario si sarebbero potuti rivelare
indispensabili anche un altro giorno.
“No, non è per niente stupida “Messaggero”, sa giudicare le persone bene
ed in fretta.”
Con un altro cenno della testa Marlin salutò il Messaggero e si allontanò
verso la propria auto.
Eric entrò in casa, chiedendo educatamente il permesso di farlo alla
signora grassottella, sulla quarantina, che aveva aperto la porta. Lei gli fece
segno di entrare nell’ingresso, rivolgendogli la parole mentre chiudeva la
porta.
-Immagino che tu sia qui per vedere Amethist, vero caro?
Appena a disagio, Eric si tolse gli occhiali da sole limitandosi ad
annuire.
-La trovo nella sua camera signora Reger?
-Si, sali pure caro.
La donna gli fece gesto di andare con la mano, sorridendo dolcemente.
Il ragazzo salì il piano di scale lentamente, mentre con una mano si
grattava distrattamente la testa sotto i capelli corti. La porta della
cameretta della sua fidanzata era aperta. Erano quasi sei mesi che stavano
insieme e ancora non credeva alla sua fortuna.
Lei, bellissima, era sul letto, con i capelli neri che le coprivano il
volto, nascondendo gli occhi marroni. Erano stati quegli occhi marroni a fargliela
notare dal primo giorno in cui si erano conosciuti.
-Amethist?
Lei alzò lo sguardo e poi corse ad abbracciarlo, baciandolo
entusiasticamente. Rimasero così per qualche minuto.
-Cosa facevi? Ti ho disturbata?
-Lo sai che non mi disturbi mai, vero?
Lui si limitò ad annuire. Con il suo metro e ottanta la superava di
tutta la testa. Dolcemente la accompagnò verso il letto sempre tenendola
abbracciata. Eric gettò uno sguardo sulle coperte e vide un album di foto.
Sulla pagina aperta al momento, vide l’immagine quella di una donna giovane,
molto somigliante ad Amethist, con in braccio una bambina piccola, vestita
tutta di rosa.
Prima di portarlo a cenare a casa per la prima volta, la ragazza gli
aveva raccontato che lei viveva con gli zii da quando era rimasta orfana. Lo
zio era il fratello della madre, morta quando lei era piccola in uno
spaventoso, quanto inatteso, incidente d’auto avvenuto in America.
Sopravvissuta ma rimasta essenzialmente
senza i genitori, il padre aveva rinunciato alla paternità alla nascita, era
stata affidata agli zii materni.
-Tua madre?
-Si è lei. Bellissima vero?
Eric guardò la foto con più attenzione.
-Ha i tuoi stessi capelli. –Folti, lunghi capelli nero corvino. –E tu
sei la bambina che tiene in braccio?
La piccola aveva i capelli castani, quasi biondi. Ma Eric sapeva che a
volte i capelli dei bambini cambiano. Lui stesso era stato biondo da piccolo
invece del cenere sporco che era ora. Si rese conto di aver detto qualcosa di
sbagliato, anche se non sapeva cosa, quando alle sue parole Amethist sprofondò
ancora di più nell’abbraccio.
-No. Lei è mia sorella. –Il ragazzo sollevò il sopracciglio perplesso.
Non aveva mai saputo che Amethist avesse una sorella, di certo non la aveva mai
incontrata. –O meglio, era mia sorella. E’ morta anche lei nell’incidente con
la mamma. Si chiamava Anne. Praticamente era la copia del padre. Stessi
capelli, stessi occhi, stesso naso, anche la forma del viso. Ho visto le foto
di entrambi alla stessa età. Sembravano gemelli. –La ragazza sorrise al ricordo.
–E’ morto qualche mese dopo la sua nascita, infarto, anche se era giovane. –Il
sorriso scomparve per un istante, per tornare subito dopo. –Comunque, la
famiglia di suo padre… non avevamo lo stesso padre, sai? …Mi fa ancora dei
regali. Insistono che li consideri miei parenti, e si sono sempre comportati
come fossero i miei nonni paterni. Zia mi ha raccontato che quando mio padre
rinunciò alla paternità, si assunsero il compito, anche se la loro vera nipote
era morta.
-Mi dispiace amore.
Disse lui, consolandola come poteva.
-Non fa niente, è passato tanto tempo.
Ma la voce di Amethist era triste.
-Ci sono novità, signor Giles?
Chiese ansiosa Willow, appena accomodatasi sul divano dell’osservatore.
-No, non ancora.
L’uomo scosse la testa sconsolato. Non aveva la più pallida idea di dove
si trovasse Buffy. Miss Marlin non si era fatta sentire da lunedì, quando aveva
chiamato per chiederle aiuto. Sinceramente Rupert non sapeva cosa fare. Aveva
chiesto aiuto a chiunque conoscesse, anche a persone di cui non si fidava, pur
di rintracciare la cacciatrice. “Maledizione,
questo sembra il ripetersi di quella dannata estate dopo Angelus. Il mio
peggior incubo tornato realtà.” Era anche peggio a dire il vero. Incredibilmente
non esistevano avvistamenti di nessun essere dai poteri apparentemente
soprannaturali in Inghilterra o America. “Che
sia morta?” non lo voleva neanche pensare, ma per un attimo si concesse di
accettare che sarebbe stata la soluzione migliore. “No, no, è viva.”
Giles si riscosse un po’ decidendo di abbandonare quei morbosi pensieri.
“Devo aver fiducia in Marlin”. Cercò
di sorridere alle due ragazze sedute sul divano, e le sue labbra si stirarono
abbastanza da abbozzare quello che poteva essere definito un sorriso.
-Volete qualcosa da bere? Un tè? Bibite?
Willow annuì, chiedendo per sé una soda, mentre Tara scosse
semplicemente la testa intenta ad osservare l’uomo di fronte a sé. Era nervoso,
spaventato e qualcos’altro che l’empate non riusciva a distinguere.
Solo sedere nella stessa stanza in cui si trovava lui le faceva venire
la pelle d’oca. Le emozioni che provava dovevano essere fortissime. Deglutì e
cercò la mano di Willow per trovare un po’ di conforto, sospirando sollevata quando
Giles si ritirò in cucina per preparare i drink necessari. Essere un’empate
aveva degli inevitabili effetti collaterali per nulla piacevoli.
-Sono preoccupata Tara. Pensi che le sia successo qualcosa?
Chiese la rossa stringendo quasi spasmodicamente la mano della
fidanzata.
-No, non è successo niente a Buffy. Probabilmente avrà solo fatto tardi
facendo shopping al duty-free ed ha perso il volo.
Rispose la bionda con un mezzo sorriso finto quanto quello di Giles,
stringendo un po’ di più la mano che teneva fra le sue. Giustificazione
stupida? Certo, ma al momento metterla sullo scherzo era l’unica cosa che Tara
poteva fare per cercare di sdrammatizzare la situazione. “Considerando quanto sta accadendo al momento nel Concilio, ci sono
veramente poche probabilità che la quasi contemporanea ‘morte’ di Faith e
scomparsa di Buffy siano solo coincidenze.”
Aspettarono in silenzio il ritorno dell’osservatore.
Con una certa pratica Giles passò una lattina di soda a Willow ed una
tazza di tè, non richiesto, a Tara, tenendo per sé l’ultima ed accomodandosi
sulla poltrona di fronte al divano. Sorseggiarono le rispettive bibite per
qualche minuto prima che Rupert si schiarisse la gola, attirando la loro
attenzione.
-Dovremmo discutere di come dividere la ronda.
Willow annuì pensierosa. Negli ultimi giorni le cose erano state
lasciate al caso, ma considerando la prolungata assenza di Buffy, era
necessario fare qualche piano, prima che la comunità demoniaca si accorgesse
dell’assenza della cacciatrice.
-Potremmo chiamare Faith.
Propose la rossa. L’idea la ripugnava, ma era meglio di niente. Si
trattava pur sempre di una cacciatrice e loro sarebbero stati lì con lei a
sorvegliarla, per accertarsi che non fosse ancora dalla parte del Male, ragionò
la ragazza.
Alla proposta Tara alzò un sopracciglio, sorpresa da Willow ed
incuriosita a come avrebbe risposto Giles al suggerimento.
-Inutile, tanto non verrebbe.
L’osservatore liquidò velocemente ed indiscutibilmente la cosa. La
bionda si trattenne a stento dal ridere alle sue parole.
“Considerando che è ufficialmente
morta da domenica, è un po’ difficile contare sulla sua presenza. E
sinceramente non credo che qualcuno dei suoi “amici” non glielo abbia
comunicato…sta mentendo. Non so neanche perchè lo stia facendo, ma non mi
piacciono le persone che mentono. Soprattutto quelle che lo sanno fare con la
nonchalance che ha Giles…”
-L’avrei dovuto immaginare. –Replicò sarcastica Willow. –Non che ci si
potesse aspettare qualcosa di diverso da quella scansafatiche.
La rossa si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli più che
sistemandoli.
-Dovremo divederci le ronde tra di noi allora.
Giles annuì.
Sperava che Willow si offrisse.
Era molto meglio accettare una proposta fatta di loro spontanea volontà
che chiedere di fare qualcosa. Lo faceva apparire in una luce migliore. Per
questo non aveva comunicato loro che Faith era morta, lo sdegno ed in una certa
misura la rabbia nei confronti dell’altra cacciatrice li avrebbe fatti occupare
anima e corpo alla cosa. Li avrebbe fatti sentire migliori.
-Allora faremo cos…
Cominciò a dire Giles mentre si alzava. L’improvviso rumore di una
finestra rotta lo interruppe. Ci fu un quasi contemporaneo impatto, come un
ciottolo lanciato contro un cuscino, contro l’imbottitura della poltrona dove
era seduto Rupert.
Di riflesso, non appena sentito il rumore di vetri infranti, Tara aveva
spinto Willow a terra coprendola con il proprio corpo. La bionda girò la testa,
l’adrenalina a mille, notando la finestra rotta e poi i piedi di Giles, che
spuntavano da dietro il tavolo. “Deve
tenersi in forma…” fu un indolente pensiero di Tara.
-Che sta succedendo?
Chiese spaventata Willow tentando di muoversi ma non riuscendoci a causa
del peso che la teneva schiacciata a terra. Prima che la bionda potesse
rispondere ci fu un altro impatto, questa volta spostato un po’ più a destra e
decisamente più distinto. “Che stiano
sparando contro il tavolo?”. Il rumore era diverso da prima. Senza perdere
altro tempo a riflettere Tara chiuse le tende delle finestre con un gesto della
mano, effettivamente impedendo a chiunque fosse là fuori di prendere di nuovo
la mira.
Passò qualche attimo in completo silenzio.
-Stai bene?
Chiese a Willow, ancora immobilizzata sotto di sé.
-Si, sto bene… almeno credo. –Ci fu un attimo di pausa come se la rossa
stesse facendo l’inventario del proprio corpo per vedere se quello che aveva
detto fosse vero. Poi repentinamente girò la testa per quanto possibile
cercando di guardare in faccia Tara chiedendo ansiosa. –Tu come stai?
-Tutto bene. –Willow annuì alla risposta, rilassandosi un po’. –Tra poco
mi alzo, d’accordo? –Altro cenno di assenso. –Non fare movimenti bruschi e
tieniti il più bassa possibile, ok?
Tara si alzò leggermente sulle braccia, togliendo un po’ del suo peso da
Willow e notando con la coda dell’occhio le scarpe dell’osservatore,
ricordandosi improvvisamente che non erano sole nella stanza.
-Signor Giles tutto bene?
-Si, tutto bene.
Rispose l’osservatore senza il minimo accenno a muoversi.
-Signor Giles ho chiuso le tende, può alzarsi.
Silenzio.
-Signor Giles?
Chiese ancora Tara.
-Potrebbero usare i rivelatori di calore.
Replicò l’osservatore con tono di certezza misto a paura, implicando che
conosceva i metodi di chi avevano di fronte. “Devo essere stato dichiarato decaduto. La scomparsa di Buffy deve
essere stata dichiarata come fuga… eppure Marlin, almeno lei, mi avrebbe dovuto
avvertire…”
-Chi sono signor Giles?
Chiese Willow, dopo essersi accucciata vicino a Tara, cercando di
rimanere il più possibile al riparo del divano.
L’osservatore non rispose. “Mi
hanno condannato a morte senza neanche permettermi di presentarmi alla
commissione… sono stato dichiarato incapace e decaduto…”
-Signor Giles?
Chiese ancora la rossa.
-Non lo so.
Rispose l’uomo, ancora steso dietro il tavolo, immobile.
-Dobbiamo chiamare la polizia.
Decise Willow, guardando Tara, che semplicemente annuì alla proposta.
-Avranno tagliato le linee telefoniche.
Sussurrò abbattuto Giles. “Sono un
uomo morto… è finita…”. Le due ragazze riuscirono a sentirlo ugualmente nel
completo silenzio in cui era avvolta la stanza.
-Inutile rischiare. –disse Willow dopo qualche secondo. –Il telefono è
completamente allo scoperto. –Indicò l’apparecchio, posto in bella vista su un tavolinetto.
–Se hanno veramente i rivelatori di calore od hanno tagliato la linea…
Tara annuì e senza aspettare altro tirò fuori dalla tasca della sua
giacca un cellulare.
-Usa questo.
Willow la guardò sorpresa. Era la prima volta che vedeva quel telefono e
la cosa la stupiva non poco. Generalmente la bionda si rivolgeva a lei per
avere consigli su tutto ciò che era tecnologico ma questa volta non le aveva
neanche detto che si sarebbe comprata il cellulare.
-Tara! Ma tu non puoi permetterti…
La bionda scosse la testa, con un mezzo sorriso.
-Non l’ho comprato. E’ un regalo. –Gli occhi della rossa si spalancarono
ancora di più, ed un po’ di insicurezza e dubbio si fece strada in loro.
L’altra ragazza se ne accorse e proseguì rassicurante. –Da parte di mia cugina.
-Tua cugina? Ma tu non parli con la tua famiglia da anni…
Il sorriso di Tara si allargò un po’. Il regalo glielo aveva fatto
Faith. Era arrivato con una consegna della Fed. Express domenica mattina, già
acceso. Pochi minuti dopo aveva squillato. Faith le aveva spiegato di essere
“morta” il giorno prima e d’ora in poi di usare solo quel cellulare per
chiamarla e di portarlo sempre con sé. “Chissà
quando potrebbe servirti.” Aveva detto.
-E’ dalla parte di famiglia di mia madre. –Spiegò. –Ci siamo incrociate
praticamente per sbaglio. Erano anni che avevamo perso i contatti.
Willow annuì, rassicurata dalla risposta e dal sorriso di Tara. Era
felice che la ragazza avesse instaurato nuovamente un minimo di contatto con la
sua famiglia. “Con la parte della sua
famiglia che non le ha fatto male,” si corresse mentalmente.
-Come mai non la conosco?
Chiese semplicemente incuriosita, da come ne parlava Tara, la parte
materna della sua famiglia era composta da persone abbastanza speciali da
volerle conoscere.
-Fa un lavoro piuttosto riservato… -Al sopracciglio alzato di Willow
proseguì. –…è un poliziotto sotto copertura… e lei stessa è una persona
privata.
-Me la dovrai presentare prima o poi.
Disse sorridendo Willow mentre già faceva scattare lo sportellino del
cellulare e componeva il numero della polizia. “Incrociamo le dita che la polizia di Sunnydale sia abbastanza in gamba
da risolvere almeno questo di problema”.
Erano alla centrale di polizia da più di tre ore.
In effetti Tara era rimasta stupita a quanto velocemente ed a quanto
professionalmente il dipartimento di Sunnydale avesse risposto alla loro
chiamata. Probabilmente la denuncia che in un tranquillo quartiere residenziale
un cecchino aveva cominciato a sparare senza motivo contro l’appartamento di un
ex-bibliotecario doveva essere suonato normale e rassicurante per loro. Non si
sarebbe stupita di scoprire che gli agenti che avevano risposto alla chiamata
avevano tirato un sospiro di sollievo scoprendo che pallottole e luce del
giorno erano coinvolte nel caso.
Qualche minuto dopo la telefonata le autopattuglie erano già arrivate
nel cortile. In fretta si erano posizionati attorno alla casa assicurandosi che
tutto fosse sotto controllo prima di far uscire loro tre dai ripari. Un paio di
detective erano entrati ed avevano velocemente notato le finestre rotte e le
pallottole piantate nel mobilio.
Era stata una prova sufficiente della veridicità della chiamata.
Così avevano deciso di aprire un’indagine ed avevano portato tutti e tre
in centrale, per chiedere cosa fosse esattamente successo oltre che per
proteggerli. Sinceramente Tara non ricordava quante volte avesse dovuto
raccontare nei minimi particolari quanto fosse accaduto nell’appartamento di
Giles né quante tazze di tè avesse sorseggiato nel frattempo.
Ecco, il tè era una sorpresa, era decisamente migliore di quello
preparato dall’osservatore qualche ora prima. Era alla sua quarta tazza quando
Tara si decise a domandare come questo potesse essere al detective con cui
stava parlando.
-Jim? –Chiese durante una pausa della conversazione. Il poliziotto, un
gentile signore sulla cinquantina che l’aveva subito messa a proprio agio,
anche chiedendole di chiamarlo per nome “per evitare di farmi sentire troppo
anziano, ok?” –Ma come mai avete del tè così buono? Insomma, le stazioni di
polizia non sono esattamente conosciute per questo…
Il detective rise alla domanda, a quanto pareva per nulla seccato dalla
curiosità della bionda. Tara rispose sorridendo appena.
-Il nostro tenente… beh, lui è un patito del tè. –L’uomo scrollò le
spalle, con un’espressione perplessa. –Non chiedermi come mai… così abbiamo
sempre una delle migliori qualità disponibile. –Chiuse il taccuino su cui aveva
preso appunti durante la loro conversazione. –Bene, penso possa bastare per il
momento Tara. Ed ora se non ti dispiace…
Scusandosi l’uomo si alzò dalla sedia lasciandola sola. Tara tirò un
mezzo sospiro di sollievo e sorseggiò ancora un po’ del suo tè. La gola le
faceva male per quanto a lungo aveva parlato. “Non ci sono abituata…” . Per fortuna sembrava che il detective
avesse deciso che ne sapeva abbastanza. Probabilmente ormai lui stesso sapeva
recitare a memoria le sue risposte.
Tara tirò un sospiro di sollievo. L’unico punto difficile da spiegare
era stato come mai un cecchino avesse sparato attraverso le tende chiuse. Di
certo non poteva dire di averle chiuse grazie a delle capacità in qualcosa che
non sarebbe neppure dovuto esistere per la scienza, né di essersi alzata per
farlo a mano.
Si era attenuta ad un rigoroso “non
saprei…”, declinato in ogni possibile modo.
Jim l’aveva lasciata nella scomoda sedia di legno che le aveva procurato
appena entrata all’interno della centrale ed era andato ad unirsi ai suoi
colleghi, ancora intenti a parlare con Giles. La bionda colse l’occasione per
guardarsi intorno.
Incrociò lo sguardo dell’osservatore. Un errore.
L’uomo colse l’occasione per lanciarle un’occhiata carica di
risentimento per averlo messo in quella posizione. Non era stato particolarmente
felice di vedere la polizia sulla soglia di casa sua.
“Problemi suoi, se voleva farsi
ammazzare avrebbe dovuto farlo lontano da Will e da me…”
Anche la direzione che avevano preso le domande stava contribuendo a
renderlo seccato dell’intervento della polizia.
“Nonostante ci abbiano possibilmente
salvato al vita…”
Sembrava che le indagini si stessero concentrando sul passato di Rupert,
un qualcosa che lui voleva e doveva tenere disperatamente segreto. Lo stress di
rispondere alle domande per ore lo aveva reso nervoso e scattante. Il fatto che
l’osservatore stesse bevendo solo caffé, non fidandosi della qualità del tè
della stazione, lo rendeva ancora più agitato ed irritabile.
Sicuramente le insistenti domande che gli stavano rivolgendo gli investigatori
non gli dovevano fare piacere.
“Tanto peggio per lui.”
Al momento la bionda non aveva voglia di preoccuparsi di lui, nonostante
il suo comportamento non le andasse particolarmente a genio. Anche le sue
reazioni all’intera esperienza erano state strane e le stesse emozioni che
aveva provato durante la faccenda erano confusionarie e spesso inspiegabili.
Sinceramente non le piaceva. Non che avesse mai adorato particolarmente
Giles, ma da qualche mese a questa parte le cose stavano cambiando. Con lui,
con Buffy, anche con Xander.
I problemi erano cominciati da più tempo, ma alla fine stavano facendo
vedere i propri effetti.
Sinceramente Tara dubitava che il loro gruppo potesse durare per sempre
malgrado tutti all’interno di esso credesse il contrario, o volessero
disperatamente credere il contrario. Non dava più di qualche anno al loro
gruppo, qualche mese se ci fosse stato un qualche importante variazione.
Nonostante i
quattro fossero legati da qualcosa di più profondo di un’amicizia al massimo
erano una famiglia disfunzionale.
Erano state situazioni di abbandono ed abuso, più o meno importanti, più
o meno fisici, a portarli assieme.
Ma a quanto aveva osservato Tara le relazioni tra di loro,
possibilmente, anzi probabilmente, nate per supportarsi a vicenda e mutuamente
beneficiarie erano degenerate in qualcosa di non totalmente sano.
“Non sarà mai troppo presto quando
Willow si libererà di loro. A prescindere dal fatto che li considera la propria
famiglia, più di quanto non consideri tale la sua vera famiglia, dubito che la
loro influenza le possa fare ancora del bene.”
Cinico come ragionamento? Si, probabilmente si. Ma Tara sapeva per
esperienza personale che a volte la famiglia danneggia gli individui più che
aiutarli e proteggerli.
La bionda fissò lo sguardo su Willow.
Sembrava che anche il colloquio della rossa stesse continuando, con
qualche breve interruzione da una parte o dall’altra per sorseggiare un po’ di
caffé, ma tutto sommato la ragazza sembrava stare bene. Stanca ed un po’
spaventata, ma teneva duro.
Jim tornò a sedersi.
-Allora Tara, abbiamo quasi finito.
La bionda annuì, sorridendo appena. Doveva ammettere che per quanto si
sentisse al sicuro lì dentro dopo le tre ore che ci aveva passato ne aveva
ufficialmente abbastanza.
-Ovviamente capisci che siete stati tremendamente fortunati, vero? –Il
detective fece un attimo di pausa prima di continuare. –So che avete rinunciato
alla protezione. –Altro cenno di assenso da parte di Tara. –Beh, per quello che
mi riguarda è una colossale idiozia. –“Non
solo per te…” pensò sarcastica la ragazza. Ma Giles e Willow avevano deciso
che era meglio non immischiare troppo la polizia in affari “demoniaci”. “Si, demoni con un fucile di precisione
quando ieri andavano in giro con artigli e clave…quando si parla di evoluzioni
a salti…” –Voglio però la promessa che non andrete a casa vostra, ok?
Prendete una stanza di un motel, oppure andate a dormire da conoscenti. Cercate
di fare attenzione d’accordo?
Tara guardò negli occhi Jim. Era preoccupato sinceramente per loro.
Probabilmente era solo un brav’uomo con un lavoro difficile.
-Hai la mia parola, Jim. Non torneremo nel dormitorio questa sera. Farò
subito delle telefonate e mi metterò d’accordo per andare a passare la notte da
qualche altra parte, va bene?
-Prima di lasciare la stazione, però. Voglio essere sicuro che tutto sia
sistemato prima che usciate.
Mercanteggiò Jim.
Dei tre, Tara gli sembrava quella con un po’ più di senso pratico. Gli
altri due erano eccessivamente privi di paura per quanto lo riguardava. “Saranno ancora in shock” decise. “Oppure sanno più di quello che dicono…”. Il
detective sospettava la seconda. Non gli piaceva il bibliotecario, a
prescindere dal fatto che gli inglesi non gli erano mai andati a genio per
principio.
-Affare fatto. –Gli rispose Tara. –Dove posso avere un po’ di privacy?
Jim si alzò e la portò nella stanza dove si trovavano le macchinette del
caffé e quella degli snack.
-Qui dovresti avere qualche minuto di pace.
Tara annuì aspettando che il detective uscisse per tirare fuori il
proprio cellulare. Compose in fretta il numero di Faith. Aveva notato che il
software del cellulare era stato modificato, sembrava che non ci fosse alcun
registro per le chiamate in entrata od in uscita, qualcosa che credeva standard.
-Ciao Tara.
Quando la cacciatrice rispose, il primo squillo non era neanche finito.
Sembrava allegra e rilassata. La bionda sperò che si trovasse abbastanza vicino
da arrivare prima che succedesse qualcosa di irreparabile.
-Faith, ho un problema.
La serietà della voce della bionda sorprese la cacciatrice, che
immediatamente tornò seria.
-Cosa posso fare?
Fu la replica immediata, data senza neanche pensare.
-Non lo so… proprio non lo so… –Improvvisamente Tara si rese conto di
essere stanca. Molto stanca ed anche impaurita. Lì fuori c’era un cecchino che
forse la voleva morta. Si passò la mano sulla fronte massaggiandosi le tempie.
Ci fu silenzio per un paio di secondi, poi Faith prese in mano la
situazione.
-Ok, cominciamo dal principio, raccontami tutto quello che è successo.
Chiese con voce rassicurante. Tara ripeté la storia per l’ennesima
volta, ma adesso lo fece senza tralasciare alcun particolare però. Le tende, le
risposte di Giles. Disse tutto.
Il primo e unico pensiero di Faith fu “Operativi del Concilio”, ormai li
conosceva troppo bene per non riconoscere i loro protocolli d’azione. Non perse
tempo a chiedersi il perché stessero dando la caccia al gruppo di Sunnydale.
Quello non era importante. Non ora.
-Tara?
Disse infine. La prima cosa da fare era mettere tutti al sicuro.
-Si?
-Probabilmente so di chi si tratta. –La cosa era stranamente confortante
per Tara. Almeno qualcuno sapeva quello che stava succedendo. “…ed è disposto a dirmelo…” aggiunse
sarcastica. –Domani sera al massimo sarò lì, d’accordo? E risolverò la
faccenda, ok?
-Va bene.
“Quarata ore, dobbiamo sopravvivere
solo quaranta ore”. Erano tante per Tara.
Faith temeva fossero troppe.
-Nel frattempo… dove si trova Buffy?
L’altra cacciatrice probabilmente era la loro migliore speranza per
uscire vivi dall’esperienza. Oppure il loro più grande intralcio. “Se riesco a trovare un modo per farle
capire quello che deve fare…”
-Non è qui. Buffy è scomparsa da giorni. Era in Inghilterra ed ora non sappiamo
più dove si trova. E’ completamente irraggiungibile, come se fosse scomparsa
dalla faccia della terra.
-Dannazione. –La novità colpì Faith. “Deve
aver creato un casino al Concilio… più tardi chiamerò Liz… non importa
ora…comunque mai che ci fosse quando ti serve.” –Parto immediatamente. Con
un po’ di fortuna riesco a prendere il prossimo aereo per L.A. Se riesco a
trovare le coincidenze necessarie, arriverò con qualche ora di anticipo. Magari
domani in mattinata.
Tara sentì dei rumori in sottofondo, come se Faith si stesse vestendo in
fretta e furia, raccogliendo quanto serviva mentre si muoveva. Di certo la
cacciatrice non stava perdendo tempo.
-Avete un posto sicuro dove passare la notte?
Chiese Faith mentre si sistemava il colletto della giacca e controllava
di avere chiavi e portafoglio. Si allungò per prendere la sacca nera da
viaggio, sempre pronta. Certe abitudini erano dure a morire.
-No, pensavo di andare in un qualche motel. Xander ed Anya sono fuori
città, andare dai genitori di Will sarebbe troppo pericoloso, se stanno
cercando lei.
Rispose la strega.
-No, no, lascia perdere. Quelle sono trappole mortali. –Ci fu un attimo
di pausa quando si sentì il rumore di una porta chiudersi e poi quello del
traffico in strada. –Ti direi di andare a casa mia. L’allarme è a regola d’arte
e non penserebbero mai di andarvi a cercare lì, ma la cosa sarebbe un po’
troppo difficile da spiegare…ok, facciamo così…vai a questo indirizzo... –Faith
diede rapidamente un numero a Tara, mentre cominciava a correre per raggiungere
la prima fermata utile della metro. Meglio uscire dal centro città prima di
prendere un taxi. Non aveva tempo di aspettare i comodi del traffico convulso
di N.Y. –Parla con Michael, è il barista. Digli che sei mia amica, che sei lì
per estinguere il suo debito. Ti darà un indirizzo. E’ un casa sicura. Andate
lì d’accordo? Ti chiamo appena atterro per sapere l’indirizzo. Fate attenzione
che nessuno vi segua, ok? Entrate e rimanete lì chiaro?
Faith si fermò di fronte all’ingresso della stazione.
-D’accordo. Ci vediamo domani.
Si sentì il rumore del treno appena arrivato.
-A domani Tara.
La cacciatrice chiuse la comunicazione e corse per riuscire a salire sul
convoglio appena arrivato. Si infilò mentre le porte si chiudevano.
Sperava di riuscire a fare in tempo.
By Silea
L’atmosfera dell’esclusivo ristorante era particolarmente elegante anche
se estremamente sobria. I toni di colore predominanti variavano sul tema del
crema, dalla tinta più carica a quella più delicata. I clienti erano distinti,
elegantemente vestiti e con modi perfetti di chi era cresciuto nella ricchezza
od era venuto a trovarcisi da parecchio tempo. Le conversazioni erano portate
avanti a voce bassa tanto da non dare fastidio seppure la sala era piena al
massimo delle sue capacità.
Nella cerchia “bene” di Londra era un fatto risaputo che per ottenere un
tavolo in quel ristorante si doveva prenotare minimo tre settimane prima od
avere alternativamente ottime conoscenze ai piani alti della finanza o della
politica. Anche per questo i prezzi non erano esattamente alla portata di
tutti.
Magdalene sapeva però che Travers non doveva usare nessuno dei due
metodi per ottenere una prenotazione.
Difatti aveva un tavolo perennemente riservato da circa quindici anni,
in qualità di comproprietario del locale.
All’epoca si era detto che quella quota gli era costata parecchio, ma
alla luce del volume d’affari che ristorante aveva, Marlin non dubitava che si
fosse rivelato un investimento decisamente redditizio. Ma Magdalene sapeva
anche che c’erano altri motivi oltre a quelli economici che lo avevano spinto
all’acquisto. Non l’avrebbe stupita sapere che la maggioranza di essi era
puramente personale.
“Anzi, sono praticamente certa che
gli aspetti economici dell’accordo non lo abbiamo sfiorato se non per un
attimo.”
Superò l’ingresso sfarzosamente arredato degnando il responsabile di
sala solo di un cenno del capo. L’uomo fece per fermarla ma appena la riconobbe
si immobilizzò, lasciandola passare e tornando come se niente fosse al proprio lavoro. Se Magdalene Marlin
superva la soglia del loro locale con quel passo che urlava determinazione, di
certo lui non sarebbe stato la persona tanto stupida da cercare di fermarla.
Marlin attraversò l’intero salone dirigendosi senza esitare verso un
tavolo appartato, spostato leggermente sulla destra, nascosto dalla vista di
chi si trovava all’ingresso del ristorante e da quella della maggior parte
degli avventori.
Mentre camminava controllò discretamente gli altri clienti, per vedere
se e quanti gorilla si fosse portato Travers all’incontro, notando senza molta
sorpresa come molte persone la riconoscessero, stupendosi della sua presenza
nel ristorante.
Non vide alcuna guardia del corpo.
“Una cosa a mio favore.”
Il suo passaggio venne commentato da molti, a voce bassa, discreta.
Era un fatto noto nel piccolo circolo di quelli che contavano che Marlin
non aveva mai messo piede prima di allora in quel ristorante e conoscendo
questa sua avversità al posto nessuno si era mai arrischiato ad invitarla lì.
Il suo abito nero dal taglio rigoroso ma estremamente elegante era
perfetto per l’ambiente. Dichiarava “cena di affari”, ed era per quello che si
trovava qui.
Magdalene notò come alcuni clienti continuassero a seguire prudentemente
i suoi movimenti, cercando di capire a quale tavolo stesse per unirsi, gli uni
con curiosità, gli altri con avidità od invidia. Negli occhi di qualcuno c’era
anche paura.
Sorrise a questi ultimi.
E non era un sorriso rassicurante.
Raggiunse il tavolo che le interessava senza esitare neanche una volta,
riconoscendo dalla distanza l’uomo vestito di grigio. Anche lui stava
osservando il suo ingresso.
Nel notare dove si era fermata buona parte della sala si scambiò sguardi
sorpresi. Travers non era conosciuto nell’ambiente della finanza, noto appena
per essere comproprietario del ristorante stesso. Molti dei presenti si
chiesero quali potessero essere gli affari che li collegassero.
La tavola era apparecchiata per uno solo, ma appena si accostò al
tavolo, un cameriere si avvicinò in fretta. Ricevuto un cenno di assenso da
parte di Travers, l’uomo preparò in fretta un secondo posto e poi scostò la
sedia. Quando Magdalene lo raggiunse, Quentin si alzò in piedi e la salutò con
un cenno del capo. Marlin si mise a sedere con tranquillità, accettando con
perfetta grazia l’aiuto offertole nell’accomodarsi.
-Signor Travers, buonasera.
Disse formale.
-Buonasera, Magdalene. –Rispose l’uomo con perfetta cortesia ma più
calore. Quentin fece un gesto verso un cameriere a qualche metro di distanza.
–Mi sono permesso di scegliere il vino prima del tuo arrivo. Spero non ti
dispiaccia.
-Assolutamente.
Fu la risposta di Marlin mentre il cameriere cominciava a versare nel
suo bicchiere, dopo averle mostrato l’annata della bottiglia con un gesto
elegante. Il ragazzo si allontanò subito dopo aver servito entrambi.
-Infine ci troviamo a cena qui, insieme. –Le labbra di Travers si
piegarono in un sorriso, o quasi. –Non credevo che questa occasione si sarebbe
mai presentata. Soprattutto non venti anni dopo.
-Anche io dubitavo che sarebbe mai successo, Quentin.
Replicò Marlin mentre sistemava il tovagliolo sulle proprie gambe senza
distogliere lo sguardo dagli occhi dell’uomo.
-Non sotto le condizioni che desideravo però.
Continuò Travers. Marlin non rispose, limitandosi a sorseggiare il
proprio vino. Non c’era molto che potesse dire senza riaprire vecchie diatribe
e ferite che non erano mai esattamente guarite. E questa sera Magdalene era qui
per parlare del futuro e non del passato.
Dopo qualche secondo, apprezzando sinceramente la raffinata qualità
della bottiglia scelta, posò il bicchiere sul tavolo. Marlin doveva ammettere
che Quentin aveva buon gusto per quanto riguardava i vini rari e costosi. In
verità sapeva per esperienza personale che l’altro osservatore era un profondo
conoscitore di qualsiasi cosa lui decretasse raffinata. Il vino ed il cibo
erano tra queste.
Venti anni prima, l’occasione per cui Quentin aveva invitato Magdalene
in questo stesso ristorante era stato di natura molto più romantica. Doveva
essere la loro prima uscita ufficiale una volta tornati in Inghilterra, la sera
in cui il loro fidanzamento sarebbe stato reso pubblico. Avevano progettato il
modo in cui comunicare la loro promessa alle rispettive famiglie e pensato a
come fare per coordinare i loro lavori per il Concilio.
L’unica cosa che mancava da decidere era la data.
Era stato solo una settimana prima della morte di Lene.
Ad un cenno di Magdalene il cameriere tornò per prendere le loro
ordinazioni.
I due osservatori studiarono i menù per qualche minuto, scambiando con il
ragazzo chiacchiere poco importanti, prima di decidere cosa prendere. Marlin
riprese la loro conversazione solo dopo che erano rimasti soli.
-Questa mattina Miller ha dichiarato lo Stato di Emergenza. Il Concilio
è completamente in mano sua. Niente più opposizione.
Lo disse in tono asciutto, per aprire il discorso. Non si faceva
illusioni sul fatto che Travers non fosse già informato. Ed al momento
Magdalene non aveva molta voglia di perdere tempo in stupidi convenevoli. Non
era proprio dell’umore adatto.
-Deve essere stato il suo scopo fin dalla morte di Gillison.
Replicò Travers. Il dirigente doveva ammettere che non aveva pensato a
quella eventualità quando aveva fatto uccidere l’alleato di Magdalene. Stava
semplicemente cercando di pareggiare i mezzi di cui disponevano per lo scontro
finale contro Marlin, con quei numeri era stupido anche soltanto cercare di
sfidarla. E sperava che con lei fuorigioco cadesse anche Miller.
-Si, probabilmente si.
Concordò Magdalene.
-Una linea di condotta sorprendente. Non avrei mai creduto che Miller
scegliesse di prendere una posizione così forte.
Rifletté ad alta voce Travers.
-Si, considerando soprattutto che se qualcuno riuscisse a dimostrare che
ha dichiarato impropriamente lo stato di emergenza sarebbe esonerato con
ignominia dall’incarico. –Rincarò Marlin con una strana luce negli occhi. –Tra
l’altro aveva già tentato la stessa cosa all’assemblea plenaria. Per fortuna
Dougan ha votato contro la tua espulsione dal consiglio ristretto
Lo aggiunse con un mezzo sorriso, del tutto privo di umorismo.
-Già. Un ripensamento dell’ultimo minuto probabilmente. Si sarà reso
conto di quanto volesse fare Miller.
Quentin replicò in tono del tutto serio. Sapeva perfettamente di non
averla ingannata neanche per un attimo, anche se lei scelse di non sottolineare
la menzogna. Magdalene lo conosceva da tanto tempo ed in qualche modo aveva
sempre saputo quando stava mentendo e quando non lo stava facendo. Era una cosa
che Travers trovava estremamente seccante. Lui, dopo
“Anche prima era estremamente
difficile.” Ammise a se stesso. “Ma lei allora non aveva un motivo per mentirmi, né uno per nascondere
le proprie emozioni da me.”
Marlin studiò con attenzione l‘uomo che aveva davanti. Aveva sospettato
dall’Assemblea Plenaria che dietro al voltafaccia di Dougan ci fosse la mano di
Travers. Questa risposta non era che la conferma. Non sapeva cosa avesse usato
per fare leva sull’altro dirigente ma certamente aveva avuto il suo effetto.
-Gli è costata cara la realizzazione.
Sottolineò Marlin.
-Non mi aspettavo che lo uccidesse.
Replicò Travers dopo un momento di riflessione. In effetti era stata
un’azione decisamente drastica da parte di Miller e del tutto fuori carattere.
“Questo deve essere vero. Non deve
averci pensato. Né lui né Dougan devono averci pensato. Altrimenti Jack non
avrebbe messo a rischio la sua vita a quel modo.” decise Magdalene.
Oppure Travers, il suo sfuggente ed imbattibile avversario di anni, si
era improvvisamente istupidito ed aveva creduto nel codice di onore di Miller,
nel fatto che non avrebbe dichiarato lo stato di emergenza subito dopo
l’omicidio ma affrontato la giustizia.
Marlin sogghignò tra sé.
“Piuttosto improbabile.”
Quentin non avrebbe mai agito come aveva fatto se avesse saputo che si
sarebbe giunti ad una situazione simile. Al momento la sua vita era in grave
pericolo e il suo incarico praticamente perso. Bastava soltanto che Miller lo
annunciasse pubblicamente perché avesse valore.
“Dubito che Travers abbia lavorato
così assiduamente per anni interi per ottenere risultati simili. Se una cosa è
certa è che non si tratta di un pazzo con manie suicide. E come me è fautore
della politica, meglio la metà di qualcosa che il tutto di niente…”
-Neanche io.
Ammise francamente Marlin, con un altro cenno della mano chiese al
cameriere di riempire nuovamente i due bicchieri.
“Giocare questa partita per il
potere a due è pericoloso. Farlo in tre somiglia tremendamente ad una partita a
roulette russa.”
Anni prima, non le ci era voluto molto a Marlin per capire a cosa mirava
Miller quando aveva cominciato a dare sempre più potere e responsabilità a
Travers. La loro faida non era esattamente pubblica ma certamente non era un segreto.
Era difficile tenere segreta una cosa simile in un posto come il Concilio, se
poi tutto aveva avuto origine con uno scandalo che venti anni dopo era ancora
nei pensieri di tutti, se non sulla loro bocca, diventava impossibile.
Allora Quentin era solo la soluzione di Miller al continuo crescere
dell’importanza che lei stava ottenendo svolgendo i lavori sporchi che lo
stesso Primo Osservatore gli affidava. Ogni volta che Travers veniva avanzato
di grado, significava che lei era in una posizione un po’ più forte di prima e
viceversa.
Era stato un sistema molto comodo per misurare quanto il Primo
Osservatore avesse paura di loro.
Ma aveva funzionato. Dio solo sapeva se l’idea di Miller aveva
funzionato. Probabilmente era stata la migliore che avesse mai avuto. Tra alti
e bassi quella faida continuava da venti anni e Magdalene doveva ammettere che
buona parte delle sue risorse e del suo tempo era andata nel combatterla.
“E non rimpiango una singola
scelta.”
Nell’ultimo anno però le cose aveva preso una piega improvvisa quanto
inaspettata.
Del resto era ovvio quello status quo non sarebbe neanche potuto durare
in eterno.
C’erano state delle sorprese. Per lui, per loro, per tutti.
Cose del tutto imprevedibili.
La morte di Gillison e Faith ad esempio.
Incidenti, o quasi.
E l’omicidio di Dougan.
A sangue freddo di fronte a una dozzina di testimoni che aveva visto
tutt’altro.
In effetti Marlin non avrebbe mai creduto che il Primo Osservatore fosse
capace di un’azione simile. Certamente con quel singolo gesto aveva vanificato
tutti i progetti di Magdalene, effettivamente impedendole di avere la minima
chance di contrastare qualsiasi decisione prendesse. E doveva avere fatto
altrettanto con quelli di Travers.
Una mossa geniale se Miller l’aveva compiuta con lo scopo di
neutralizzare i suoi due avversari principali.
Incredibilmente stupida e fortunata se era stata lo sfogo della rabbia
per il “tradimento” di Dougan durante l’Assemblea Plenaria.
Marlin non sapeva esattamente per quale delle ipotesi propendere.
Con il Primo Osservatore a volte era difficile da dire. Era una persona
molto intelligente, spietata e determinata nel raggiungere i propri scopi. Ma
non era raro che fossero le emozioni a dirigerne le azioni. A volte oscurando
completamente la razionalità e la capacità di obiettività che l’uomo aveva.
In quei momenti era al vertice della sua pericolosità.
Nulla era troppo allora.
Magdalene lo sapeva bene, lo aveva visto completamente sconvolto.
In quelle occasioni era sempre una scommessa sapere chi sarebbe rimasto
in piedi alla fine.
Al momento non importava quale fosse il motivo per cui il Primo
Osservatore aveva agito. Non realmente.
Oramai, con lo stato di emergenza dichiarato, Miller aveva il potere di
nominare arbitrariamente i nuovi dirigenti e destituire chiunque ritenesse non
adeguato alla particolare situazione di pericolo in cui versava il Concilio.
A prescindere dal fatto che era stato lui in prima persona a crearlo.
Con questo incontro Marlin non faceva che aggrapparsi all’ultima
speranza che aveva di uscire da una situazione apparentemente senza uscite.
“La mia specialità, creare soluzioni
dal nulla…e per avere un incontro simile dobbiamo essere sufficientemente
disperati entrambi…”
-Penso sia il momento di mettere da parte le nostre rivalità personali.
Disse infine Magdalene, fissando negli occhi Quentin per giudicarne le
reazioni. Non era stato poi difficile da dire. Una sola frase per seppellire
una guerra di vent’anni.
“…Come se potesse essere…”
Ma dovevano farlo.
Né la forza di Travers, né la sua, potevano far nulla contro Miller.
Ogni cosa sarebbe stata persa. Per entrambi.
E nessuno dei due poteva accettare una cosa simile.
Forse, anzi probabilmente sarebbero riusciti ad uscirne con la loro
pelle intatta, ma avrebbero perso il frutto di anni di lavoro. Erano abbastanza
forti e scaltri per riuscire in un trucco simile. Ma nessuno di loro due era
pronto a rinunciare alla propria carica di dirigente, non dopo aver sacrificato
praticamente tutta la loro vita per raggiungerla. Di certo Marlin sapeva di
preferire di gran lunga far parte del Concilio degli Osservatori assieme a
Travers che esserne esclusa come lui. La rovina di Quentin non valeva il suo
successo. Lo aveva capito da anni.
Ma dovevano agire assieme ed in fretta se volevano ribaltare questa
situazione.
Era ovvio che tra qualche giorno al massimo il Primo Osservatore avrebbe
provveduto a destituirli entrambi.
Poi li avrebbe fatti uccidere.
“O tentato di fare.”
Miller non era mai stato misericordioso e non lo sarebbe diventato in
ventiquattro ore. Magdalene aveva portato a termine abbastanza omicidi su sua
commissione per saperlo. Vere e proprie sentenze di morte. Non per nulla
qualcuno al Concilio la chiamavano l’angelo della morte.
C’era quasi da ridere.
Venti anni a sognare la vendetta contro Travers, altrettanti a
combattere una guerra silenziosa contro di lui, posizione contro posizione, ed
ora, dopo essere stata solo ad un passo dalla vittoria finale, Marlin era qui a
cercare la sua alleanza, nel locale in cui si sarebbero dovuti fidanzare due
decenni prima.
Il silenzio durò qualche minuto, durante il quale il cameriere portò
loro i primi che avevano ordinato. Comprendendo velocemente la tensione
nell’aria il ragazzo li servì e si allontanò in perfetto silenzio. Non per
niente era bravo nel suo mestiere. Raccoglieva abbastanza mance da dimostrarlo.
Magdalene cominciò a mangiare, sorseggiando di tanto in tanto il suo
vino. Ora doveva essere una scelta di Quentin.
-Lo penso anche io.
Disse infine Travers.
“Il destino è decisamente ironico.”
Pensò Marlin con un sorriso sarcastico già sulle labbra.
Il suono continuava, basso e fastidioso. Tara aprì un occhio, accorgendosi
che alla fine si era assopita sul divano dopo le ore passate con Willow tra le
braccia. Ore in cui aveva cercato di rassicurarla che tutto sarebbe andato
bene. Gli eventi della giornata scorsa l’avevano scossa più di quanto avesse
creduto o ammesso a chiunque.
Era stato bello trovare conforto fra le braccia della fidanzata.
Il cellulare continuò a squillare. Allungò la mano e lo raccolse da
terra, dove doveva essere finito durante la notte, dopo che entrambe si erano
addormentate. Lanciò uno sguardo verso la finestra e notò che era ancora buio.
-Pronto Faith?
Aveva la voce rauca ed insonnolita. Non si era ancora completamente
svegliata e non sapeva se lo voleva fare. Aveva sonno e tornare a dormire era
un’idea allettante.
-Suppongo di averti svegliata.
Replicò la cacciatrice un po’ divertita e completamente vigile.
-Ti odio. Come fai ad essere così sveglia alle… -Tara si sforzò di
mettere a fuoco il proprio orologio. –…Due del mattino?
La bionda gemette disperata quando si rese conto di aver dormito solo
per poco più di un’ora.
“Almeno si spiega perché sono così
stordita.”
-State tutti bene?
-Si, tutto bene. Giles è nella camera a fianco, Will è qui con me… -Tara
si prese un attimo per guardare la fidanzata, ancora placidamente addormentata.
Delle due era sempre stata quella con il sonno più profondo. –Michael è stato
gentilissimo con me, si è subito messo a scrivere l’indirizzo su un tovagliolo
e me lo ha passato augurandomi buona fortuna. Nessuna domanda sul perché o roba
simile. Mentre uscivo mi ha detto che gli dispiaceva tantissimo che fossi morta
così a quel modo, ma che se avessi potuto avresti scelto di andartene
combattendo.
-Mike è una brava persona ed è stato un buon amico. Ma dovrebbe
aggiornarsi. Preferisco di gran lunga essere in vita che andarmene in quel
modo. –Ma le parole del barista fecero piacere a Faith, più di quanto avrebbe
voluto ammettere. “Dopo tutto questo
tempo ancora mi stupisce che ci sia qualcuno di decente là fuori”. –Dovrei
essere a Sunnydale tra qualche ora, ok? Tu tieni duro. So per esperienza che
non è bello sapere che c’è qualcuno lì fuori pronto a farti la pelle. Ma per
domani sera al massimo non avrai più problemi. Hai la mia parola. Ed ora se mi
dai l’indirizzo…
Erano da poco passate le sei del mattino quando Faith arrivò alla
periferia di Sunnydale.
Passò oltre il segnale di benvenuto a molto di più di quanto i limiti
consentissero, degnandolo solo di un’occhiata torva.
“Fottuto cartello.”
Volgarità del tutto gratuita. Ma
l’aveva fatta sentire meglio ed al momento andava bene così. Oltre ad essere
preoccupata, era stanca e nervosa dopo aver viaggiato tutta la notte tra aerei,
aeroporti e sorridenti hostess con il cervello ormai fossilizzato a forza di
ripetere le stesse frasi.
“Sempre che l’avessero avuto in partenza
un cervello.”
Anche l’impiegato dell’autonoleggio non era esattamente quello che si
poteva definire un esemplare brillante della razza umana. Personalmente Faith
credeva lo avessero lobotomizzato. Solo quello poteva spiegare l’aria sperduta
da pesce bollito che aveva. Scalò marcia e rallentò appena dopo aver passato le
prime costruzioni. Sarebbe stato stupido fare un incidente proprio ora.
Davanti a lei il sole stava sorgendo abbastanza velocemente
all’orizzonte. Con quella luce Sunnydale sembrava quasi bella.
“Bene, a quest’ora i vampiri sono
rientrati e gli umani devono ancora uscire.”
Era un rischio per lei tornare così presto a Sunnydale senza neanche
avuto il tempo di farsi una stupida tinta per alterare un po’ il suo aspetto.
Non che avesse avuto molta altra scelta poi, considerando che Eliza era ancora
in Inghilterra impegnata con gli osservatori e che non si fidava di nessun
altro abbastanza da chiedere una cosa simile.
Di certo non sarebbe potuta andare in giro con un passamontagna, cosa
che contava di fare davanti agli amici di Buffy, mentre era alla guida. I
poliziotti non avrebbero reagito bene alla cosa, e se possibile, avrebbe
attratto solo più sguardi con un turbante o roba simile. Aveva preso qualche
altra precauzione però. Minime cose, ma sperava che bastassero. Come gli
stivali con una soletta interna per alzare di qualche centimetro la sua altezza
e la giacca imbottita per alterare la sua fisionomia. Aveva raccolto i capelli
sotto un berretto da baseball, facendo attenzione che non ne uscisse nessuno ed
indossato un paio di pantaloni molto larghi. Trucchi banali, ma nel panico
della situazione forse sarebbero bastati ad ingannare Giles e Willow.
“Altrimenti…”
Avrebbe affrontato la cosa solo se e quando se ne fosse reso necessario.
Attraversò un altro quartiere residenziale e superò uno dei vecchi
cimiteri ormai caduto in disuso. Le case vennero sostituite da palazzi alti
qualche piano e, proseguendo oltre, sarebbero cominciati i caseggiati ed i
capannoni che circondavano la zona del porto.
Tutto sommato la zona dove Michael aveva mandato Tara era dimessa e
modesta ma non pericolosa.
“Una buona scelta.”
Ancora qualche secondo e sarebbe arrivata.
Superò un angolo ed un lampo di luce attrasse la sua attenzione.
Sollevò gli occhi e notò la canna di un fucile sporgere dal tetto di uno
dei palazzi che si allineavano lungo la strada.
“Merda!”
Volgarità del tutto giustificata stavolta.
“Ecco che i miei piani vanno a
finire nel cesso. Come hanno fatto a trovarli?”
La possibilità che gli operativi si trovassero a meno di un isolato
dall’appartamento in cui erano nascosti Tara e gli altri, per una pura
coincidenza, non era neanche divertente da prendere in considerazione. Qualcuno
li aveva fatti individuare.
“Se è stato Michael, lo ammazzo.”
Faith non lo credeva veramente ma si guardava bene dall’escluderlo. Non
era tipo da dare fiducia alla leggera.
Senza alterare la velocità dell’auto, svoltò nella prima strada che
trovò, facendo un giro abbastanza largo da non essere sospetto, per poi tornare
vicino al punto in cui aveva visto il cecchino. Odiava con intensità ogni
secondo che stava perdendo ma non poteva fare altrimenti.
Se soltanto avesse accelerato per sbrigarsi, gli uomini del Concilio
l’avrebbero notata e Faith avrebbe perso il fattore sorpresa o peggio ancora
gli operativi avrebbero attaccato immediatamente Tara e gli altri, prima che
lei riuscisse ad intervenire.
Accostò l’auto nel parcheggio di un supermercato ancora chiuso, del
tutto invisibile al cecchino sul tetto. Spense il motore e scese, alzando
contemporaneamente il cappuccio della giacca che portava. Non forniva la
protezione di un passamontagna ma non poteva rischiare di indossarlo così allo
scoperto. Già andare in giro con un cappuccio in piena California era strano,
farlo con un passamontagna era qualcosa di veramente anormale, senza
considerare il fatto che portava anche dei guanti.
“Del resto gli operativi non
andranno in giro a raccontare quanto successo.”
Controllò caricatore ed efficienza della sua Glock e la posizione di tutti
e tre i suoi coltelli. Il loro peso era estremamente familiare e confortante
per Faith. Negli ultimi tempi ormai non andava più da nessuna parte senza
averne uno o due con sé. Fece i preparativi con calma, sapendo che l’aspettava
uno scontro in inferiorità numerica e con mezzi ridotti, in cui il minimo
errore sarebbe stato fatale.
Infilò qualche caricatore di riserva nelle tasche e si allontanò,
chiudendo l’auto dietro di sé.
Superò l’angolo e cominciò a camminare a passo tranquillo lungo il
marciapiede, intenta a studiare il palazzo di quattro piani in cima a cui si
trovava il cecchino. Doveva trattarsi di un condominio. Purtroppo il portone
era chiuso e forzarlo era fuori discussione, visto che tra qualche minuto al
massimo gli inquilini avrebbero cominciato ad uscire per andare a lavoro.
Già la strada cominciava a popolarsi un po’ di più.
Ignorando completamente l’ingresso principale, Faith continuò a
camminare fino a raggiungere il vicolo su cui dava l’altra facciata
dell’edificio. Si tese, togliendo la sicura alla Glock, pronta a reagire a
qualsiasi minaccia. Non era da escludere che ci fosse un operativo a
sorvegliare questo accesso secondario.
“Vediamo quanto sono fortunata.”
Nessuno.
Il vicolo era deserto.
Non basandosi solo sulla prima occhiata, Faith studiò attentamente le
finestre e i cornicioni dei palazzi che si affacciavano sulla stradina. Niente.
Controllò anche i cassonetti e le immondizie malamente accumulate.
Soddisfatta, rimise la sicura alla pistola.
Dopo essersi assicurata di avere campo libero cominciò a studiare un
modo per arrivare in cima al tetto.
“In fondo non so ancora volare.”
C’era una scala antincendio ma era tirata su, fino al secondo piano.
La scartò. Anche se fosse riuscita ad arrivarci od a farla allungare il rumore
avrebbe avvertito chiunque della sua presenza.
Anche usare l’altro palazzo era escluso visto che arrivava solo al terzo
piano.
“Ovviamente niente porta di
servizio. Ed inferiate alle finestre di piano terra e primo piano.”
Cosa che escludeva usare la scala interna dello stabile.
Il che lasciava solo un’alternativa in fondo.
“Scalata.”
Non che la cosa rendesse Faith particolarmente felice.
Cercare di scalare uno stabile non era mai una cosa divertente. Al
contrario delle pareti rocciose che generalmente avevano la buona educazione di
offrire degli appigli.
“Almeno questo è rifinito in
mattoncini.”
Il che le dava qualche millimetro di appiglio.
C’era quasi da ridere alla cosa.
Faith si avvicinò un po’ di più studiando da vicino il muro. Allungò la
mano e fece una piacevole scoperta. Dopo decenni di esposizione agli agenti
atmosferici i mattoncini della facciata erano appena friabili.
Tirò fuori uno dei suoi coltelli e fece una prova.
Dovette esercitare molta forza ma riuscì a piantarlo nel mattone di fronte
a sé. Ci caricò del peso e notò con soddisfazione che il pugnale non cedeva.
Puntellò un piede contro il muro e lo estrasse. Il filo era completamente
rovinato, ma non importava.
Faith si avvicinò alla scala antincendio. Salì agilmente sul davanzale
della finestra al piano terra e si sporse il più possibile prima piantare il
coltello. Ne piazzò un secondo spostato leggermente sulla sinistra, un po’ più
in basso, anche questo infisso fino all’elsa o quasi.
“Dannazione, se rinasco voglio
essere l’uomo ragno.”
Afferrò il primo con la mano e si tirò su a peso morto fino a
puntellarsi con il piede contro il secondo. La contorsione necessaria fece
male, per quanto agile fosse Faith non era una contorsionista.
Dopodichè usò il primo coltello per puntellare il piede e allungò le
mani fino a raggiungere l’ inferriata della finestra del primo piano. Provò a
caricarci del peso e, notandone la stabilità, si issò fino a raggiungere il
davanzale, dopo aver controllato che nessun inquilino fosse nella stanza.
Da lì mancavano meno di tre metri alla piattaforma inferiore della scala
antincendio.
Prese con cura le misure e saltò. Afferrò la grata e dopo un attimo si
issò oltre la ringhiera metallica.
“Se improvvisamente mi ritroverò con
solo un top e pantaloncini corti striminziti, oltre ad una quantità smodata di
armi, avrò finalmente la certezza di essermi reincarnata in Lara Croft.”
Raggiunta la piattaforma Faith rimase un attimo immobile a riprendere
fiato. Non era stato divertante ma era l’unico modo. Per quanto volesse, ancora
non riusciva a saltare sei metri da ferma.
“Dopo devo tornare a riprendere i
coltelli.”
Estrasse
Arrivata all’ultimo piano, si sporse lentamente dal parapetto. Purtroppo
non aveva con sé uno di quegli utilissimi specchietti per vedere oltre gli
angoli morti. Avrebbe dovuto fare alla vecchia maniera, alzandosi millimetro
dopo millimetro, attenta a qualsiasi rumore che indicasse che l’avevano
individuata.
Riuscì a vedere che il tetto era sgombro, se non per quelli che
sembravano abbaini chiusi e qualche gigantesco tubo che doveva avere a che fare
con condizionatori più che riscaldamenti. Nulla che potesse offrire un riparo
completo dalla sua visuale in modo da poterle tendere un’imboscata.
Dal lato opposto c’era il cecchino.
Le dava le spalle, completamente ignaro di essere spiato. Era già pronto
dietro al mirino, la custodia dell’arma poggiata a fianco, aperta, altra
attrezzatura vicino a sé.
Faith si alzò in piedi per superare il cornicione, la pistola ancora in
pugno puntata sull’operativo. Un attimo prima di mettere i piedi a terra notò
che l’intera superficie del tetto era cosparsa di ghiaia e pietrisco.
Imprecò fra sé.
“Oggi non è proprio il mio giorno
fortunato.”
Praticamente non c’era modo di
arrivare al cecchino senza fare rumore. Di certo non nei suoi anfibi.
Tornò nuovamente sulla piattaforma antincendio e si accucciò dietro al
cornicione sparendo dalla vista di chiunque potesse essere sul tetto. In fretta
si slacciò le scarpe e se le tolse, posandole di fianco a sé. Si rialzò, ma
decise di usare il coltello piuttosto che la pistola in caso ci fossero stati
dei problemi. Sarebbe stato più facile evitare che il corpo cadesse in avanti.
Di nuovo sul tetto, Faith cominciò ad avvicinarsi al cecchino
lentamente, facendo attenzione a come mettere i piedi. I sassolini le davano
fastidio sotto i calzini, ma la cacciatrice non se ne curò, limitandosi a
registrare il fatto ed ad escluderlo.
Meno di quindici metri.
Estrasse il coltello e continuò ad avanzare.
Dieci.
-Qui squadra alfa. Abbiamo raggiunta la posizione. Conferma Striker.
Sentì la conversazione radio provenire dall’auricolare dell’operativo.
Una copertura in più.
Ma doveva fare in fretta. Rifoderò il coltello, ormai era abbastanza
vicina da farne a meno.
-Leader, qui Striker. Vi vedo. Visuale dell’obbiettivo confermata.
-Ricevuto Striker, qui Leader, chiudo.
Con una mossa rapida Faith ruppe il collo all’operativo.
Sentì distintamente lo scricchiolio delle ossa. L’uomo non fece un
lamento accasciandosi senza vita fra le sua braccia.
Faith lo adagiò a terra e gli si chinò a fianco, perquisendolo
velocemente. Nullo di straordinario, nessun effetto personale. Erano tutti dei
professionisti. Gli prese il coltello e lo infilò in uno dei foderi liberi, poi
gli tolse la pistola regolamentare, una Beretta, allacciandosi la fondina alla
coscia. Avrebbe usato quella in caso di necessità. Meglio non lasciare tracce
della sua Glock.
Rapidamente gli tolse anche auricolare e passamontagna. Indossò
entrambi. Guardò il volto e lo riconobbe. Era uno degli operativi della squadra
di Frederik. Sui quaranta, abitudinario e per questo decisamente prevedibile.
Un buon avversario da avere al momento. Sostenitore quasi fanatico di Miller se
non ricordava male. Ma per questo ci sarebbe stato tempo dopo.
Faith prese posizione dietro al fucile di precisione e cominciò a
cercare gli altri attraverso il mirino.
“Uno andato. Nove da trovare.”
Aveva individuato due operativi di fianco al vecchio edificio semi
abbandonato che si trovava poco più giù lungo la strada. Loro avrebbero coperto
le uscite laterali in caso qualcuno fosse uscito dal palazzo. Erano armati di
mitraglietta, con il volto coperto e una giacca con su scritto “polizia”.
Nessuno dei passanti gli avrebbe detto niente.
Dentro l’edificio sarebbero andate due squadre, una di quattro persone,
l’altra di tre persone. La prima entrando dall’ingresso posteriore, la seconda
da quello anteriore. Frederik sarebbe stato il leader della più numerosa. Le
due sentinelle e il cecchino coprivano la parte esterna, pronti ad intervenire
in caso di necessità.
Era lo schema standard usato per assaltare un edificio con due accessi principali
di pericolo medio-basso. Ed un osservatore ed un paio di ragazze di certo non
potevano essere definiti bersagli altamente rischiosi.
In tutte le missioni di addestramento a cui la cacciatrice aveva
partecipato assieme a Frederik non una volta il caposquadra aveva variato gli
schemi applicati da quelli standard prefissati. Nonostante Jason stesso gli
avesse fatto notare più volte la stessa cosa l’uomo si era limitato a sostenere
che se quegli schemi erano utilizzati da più di vent’anni senza alcuna
variazione era perché erano efficaci.
Il caposquadra aveva continuato a fare di testa sua. Jason aveva
rinunciato a parlargli limitandosi ad assegnarlo il più delle volte a missioni
a basso pericolo od in settori in cui non potesse fare danni durante le operazioni
congiunte.
Faith non aveva neanche perso tempo a parlargli. Conosceva il tipo e lei
odiava sprecare il fiato.
“Fred è sempre stato troppo
prevedibile, davvero troppo per il suo stesso bene…”
Sapendo esattamente dove cercare, Faith individuò la squadra che doveva
penetrare da davanti in una manciata di secondi. Erano raggruppato dentro un
furgone nero senza segni distintivi parcheggiato di fronte all’ingresso. Gli
altri quattro le erano invisibili, nascosti dall’edificio.
Purtroppo benché i tre fossero nella sua linea di tiro Faith non sarebbe
riuscita a farli fuori. Era impossibile ucciderli tutti senza che dessero
l’allarme o si mettessero a riparo, semplicemente non era abbastanza brava con
un fucile di precisione per farlo. Probabilmente un tiratore più esperto ci
sarebbe riuscito, con un po’ di fortuna dalla sua.
Ed anche se Faith aveva utilizzato in precedenza questo stesso modello
di arma, sia in missione che in addestramento con gli altri operativi, non
aveva cercato la velocità di esecuzione durante la pratica ma la precisione.
Non le interessava neutralizzare un gran numero di soggetti. Saper eliminare
uno o due bersagli a grande distanza, quello si, lo sapeva fare con la stessa
perizia di un qualsiasi altro tiratore scelto.
Faith aveva quindi sufficiente capacità per uccidere le due sentinelle,
comodamente posizionate in modo da risultare invisibili l’uno all’altra ai lati
opposti dello stabile. Per farlo avrebbe solo dovuto aspettare che le due
squadra entrassero in azione.
Passò del tempo.
Faith non avrebbe saputo dire quanto con precisione. Comunque il sole
non era ancora completamente sorto. In quel genere di situazione la cacciatrice
non contava gli intervalli in minuti od ore. Rimaneva concentrata sul proprio
bersaglio, aspettando pazientemente, senza permettersi la minima distrazione.
Poi scattarono.
-Ora! via, via.
Niente conto alla rovescia od altro. Solo l’ordine secco di Frederik
nell’auricolare a sostituire il silenzio radio imposto qualche tempo prima. La
squadra due entrò dal portone principale, praticamente spalancato, con un
operativo in testa e gli altri leggermente spostati sui fianchi. Correvano
tenendosi bassi per offrire il minimo bersaglio.
Appena i tre superarono la soglia scomparendo dalla visuale di Faith, la
prima sentinella rimasta fuori cadde a terra, morta. Un colpo alla testa.
La seconda la raggiunse una manciata di secondi dopo, anche questa volta
colpita alla tempia. Il cranio era l’unica zona sicura in cui colpire, tutti
gli operativi indossavano un giubbotto antiproiettile in missione.
Dopo aver visto crollare a terra l’ultimo dei due senza alcuna grazia,
semplicemente accasciandosi, Faith si alzò in piedi immediatamente abbandonando
il fucile di precisione ed estrasse
Doveva fare presto.
Raggiunse il secondo piano e si aggrappò all’ultimo gradino della
scaletta senza rallentare. Non aspettò che la rampa si allungasse completamente,
saltò direttamente nel vicolo quando ancora si trovava a tre metri da terra.
Atterrò agilmente e rotolò un paio di volte per assorbire la forza
dell’impatto prima di rialzarsi e ricominciare a correre verso il palazzo in
cui erano appena entrati gli operativi.
“Uno, due, tre!”
Contò con le dita Sasha.
Leaman annuì all’ultimo numero e sfondò la porta con un calcio. Si
ritrasse immediatamente e si accucciò muovendo la canna del mitra da destra a
sinistra lungo un arco, per coprire gli altri due operativi permettendogli di
entrare nell’appartamento in sicurezza.
-Fermi polizia!
Urlò Sasha mentre entrava nell’appartamento, il mitra pronto a fare
fuoco. Esaminò con lo sguardo la stanza muovendosi velocemente dal vano della
porta per evitare di coprire la linea di fuoco dei due dietro a lui.
Nel salone non c’era nessuno.
-Libero.
Disse continuando ad avanzare verso l’ingresso della prossima camera,
procedendo sempre con la massima cautela ed il mitra spianato davanti a sé. Velocemente
Leaman entrò nella stanza e si diresse verso destra mentre Paul si fermava di
fianco alla porta per offrire copertura ai compagni.
-Pulito.
Disse Leaman mentre controllava che nella vecchia cabina armadio e poi
dietro un divano letto sgangherato non si nascondesse nessuno.
-Libera anche questa.
Riportò Sasha, riferendosi alla cucina. L’uomo si affacciò rapidamente
alla finestra con il vetro sfondato. Un cortile chiuso, nessuna possibilità di
fuga da quella parte.
-E’ vuoto anche il bagno signore.
Comunicò Leaman mentre rientravano tutti e tre nel salone semispoglio.
La cosa non li stupiva affatto. All’interno dell’appartamento non c’erano che
vecchi mobili oltre a pile di immondizie e scarti. Era ovvio che era passato
parecchio tempo dall’ultima volta che il posto era stato abitato.
-Passiamo al prossimo.
Avevano già controllato due dei sei appartamenti del piano terra senza
migliore fortuna, del resto l’aspetto fatiscente dell’edificio non li spingeva
a credere che fosse poi abitato da così tante persone. In realtà Sasha dubitava
che chiunque vivesse a questo modo fosse ancora un essere umano.
-Team Beta, qui Alfa. Seminterrato pulito. Saliamo al primo piano.
Comunicò attraverso il canale radio Frederik mentre con i suoi saliva
per raggiungere il piano terra.
-Qui Team Beta. Ricevuto signore.
Replicò Sasha, facendo cenno ai suoi uomini di aspettare ad uscire in
corridoio. Prima di muoversi voleva chiudere la trasmissione.
-Rapporto Beta.
Chiese il caposquadra mentre con i suoi cominciava a salire la prima
rampa di scale, notando distrattamente come in diversi punti la ringhiera fosse
arrugginita e la moquette consumata o macchiata.
Le scale, posizionate di fronte all’ingresso dell’edificio, al centro
del corridoio a T su cui si aprivano i vari appartamenti, erano l’unica via
d’accesso ai piani superiori, visto che all’interno dell’edificio non c’erano
ascensori.
Assicuratosi che non ci fossero presenze ostili, Frederik fece cenno
agli operativi di avanzare alla prossima rampa mentre riceveva il rapporto
dell’altra squadra nell’auricolare.
-I primi tre appartamenti sono puliti, Alfa. Procediamo agli altri.
-Ricevuto Beta. Qui Alfa, chiudo.
Il caposquadra annuì una volta verso Luise indicandole di andare a
coprire l’angolo che la scala faceva con il corridoio. La donna scattò di
corsa, accucciandosi appena presa posizione. Indicò che tutto era pulito al
primo piano.
Il resto della squadra la seguì.
Chiusa la trasmissione con il proprio superiore Sasha fece di nuovo
cenno agli altri di procedere verso la porta. Sapeva che dovevano finire la
perlustrazione dell’edificio in fretta per evitare che qualcuno scappasse dalla
loro trappola.
Non potevano contare sulla fortuna di rintracciarli nuovamente in caso
riuscissero a prendere il largo. I fuggitivi non avrebbero fatto di nuovo lo
stesso errore ne era certo. Ormai dovevano aver capito che la loro telefonata
della sera precedente al Concilio degli Osservatori era stata rintracciata e
che era stata quella a portare la squadra di operativi nel quartiere. Una volta
sul posto era stato facile individuarli grazie alle divise della polizia ed a
qualche dollaro ben speso. Le facce nuove venivano sempre notate in zone
simili.
Sasha si permise un mezzo sorriso mentre superava la porta.
Era sempre pericoloso, molto pericoloso, agire ai diretti ordini del
Primo Osservatore, perché se fallivi non c’erano prove di appello e poteva
andare a finire in un solo modo, ma ti dava accesso anche a vastissime risorse.
Come il controllo di tutte le linee telefoniche da e per il Concilio.
Gli altri due operativi annuirono, avviandosi anche loro verso la porta
per raggiungere il prossimo appartamento, il primo dell’altro braccio della T.
Al momento si trovavano all’estremità del corridoio di destra.
Avevano appena fatto qualche passo quando si sentirono dei rumori,
simile a due bassi colpi di tosse. Istintivamente Leaman e Sasha si gettarono a
terra, cercando il minimo di copertura che i muri potevano offrire, mentalmente
imprecando la sfortuna che li aveva fatti capitare proprio a metà tra due degli
appartamenti durante l’attacco, effettivamente impedendogli di trovare
immediato rifugio in uno dei locali. Appena a terra aprirono il fuoco,
individuando facilmente la posizione dell’aggressore. Si trovava alla fine del
corridoio, dove faceva angolo con l’androne dell’ingresso.
Paul non fu altrettanto fortunato. I due colpi erano stati entrambi
diretti a lui ed ora giaceva a terra a meno di un metro da Sasha, privo di
vita.
Istintivamente, il comandante del Team Beta aprì la comunicazione con il
proprio superiore, mentre cercava di schiacciarsi contro il pavimento lurido
ancora di più per offrire meno bersaglio. Le pallottole continuavano a
fischiare pericolosamente vicino a lui.
-Qui Beta. Alfa, siamo sotto fuoco nemico. Ripeto, siamo sotto fuoco
nemico. Paul è caduto. Richiediamo aiuto immediato.
Con la coda dell’occhio Sasha notò che Leaman si era improvvisamente
alzato in piedi, continuando a fare fuoco contro l’aggressore mentre arretrava
velocemente, cercando di trovare copertura nell’appartamento che avevano appena
lasciato.
Prima ancora che Sasha potesse dire qualcosa od aprire del fuoco di
copertura, i colpi dello sconosciuto assalitore si concentrarono sull’altro
operativo. Arrivava una vera e propria grandinata di pallottole. Chiunque fosse
ad attaccarli aveva con sé un’arma automatica e la sapeva usare egregiamente,
impiegando perfettamente l’intero volume di fuoco di cui era capace.
Leaman non raggiunse la porta.
Cadde a terra afferrandosi la gamba ed urlando dal dolore. Tre colpi lo
avevano raggiunto alla coscia destra. Per riflesso il mitra gli scivolò dalle
mani mentre le prime fitte raggiungevano il cervello.
Altri proiettili lo raggiunsero alla testa e completarono il lavoro.
-Ricevuto Beta. Interveniamo.
Sasha sentì la voce di Frederik in lontananza.
Era passato solo un secondo, forse due.
Approfittando dell’attimo di distrazione dell’operativo Faith superò
l’angolo e cominciò a correre verso di lui mantenendo un fuoco costante diretto
alla testa, usando fino all’estremo le sue capacità di cacciatrice per
acquisire rapidità.
Si poteva muovere più velocemente di qualsiasi umano e sfruttò appieno
la cosa, sapendo che l’operativo di fronte a sé non avrebbe avuto tempo di
mirare una volta perso il bersaglio. L’unico modo che aveva per colpirla era
averla nella sua linea di fuoco da prima e quell’attimo di distrazione gli
aveva fatto perdere quella sola chance che aveva.
Vedendo quella figura scura correre verso di sé inondandolo di
pallottole l’operativo seppe che era finita. Non c’era via di scampo. La sua
mente però non accettava come questo fosse possibile.
“Non può muoversi così velocemente.
Solo…”
Sasha era morto.
Appena la voce di Sasha raggiunse le orecchie degli operativi della
squadra Alfa l’ordinaria concentrazione con cui stavano svolgendo la
perlustrazione si trasformò diventando mortale efficienza. Gli occhi dei
quattro si socchiusero appena e le mandibole si serrarono. I loro compagni
avevano bisogno di aiuto.
A Frederik bastò un segno per farli muovere mentre rispondeva a Sasha.
Immediatamente il Team si raccolse attorno al proprio comandante. Senza bisogno
di ulteriori ordini tornarono nel corridoio principale facendo ancora più
attenzione di prima.
Arrivati alla tromba delle scale si fermarono per un attimo. Due si
sistemarono in modo da controllare sia la rampa che scendeva che quella che
saliva mentre Luise e Frederik controllavano il corridoio del piano a cui si
trovavano. Il caposquadra portò una mano all’orecchio per riaprire il canale
con la squadra Beta.
-Rapporto Sasha.
Prima di intervenire doveva conoscere la posizione e il numero degli
aggressori. Non avrebbe permesso che la squadra Alfa cadesse in un’imboscata.
Passo un secondo. Poi due. Non gli rispose nessuno. Ritentò. Inutilmente.
-Rapporto Leaman.
Solo statica sul canale radio a seguito della richiesta.
Gli altri tre operativi guardarono Frederik aspettando il prossimo
ordine. La squadra Beta era stata annientata. Strinsero un po’ di più le loro armi.
Luise deglutì scioccata, aveva conosciuto Sasha da più di dieci anni. Era il
suo migliore amico, praticamente un fratello. Non ricordava neppure quante
volte le avesse salvato la vita o quante volte lo avesse fatto lei. Ed ora non
c’era più. Deglutì di nuovo ma il groppo alla gola non passò. Avrebbe preso i
figli di puttana che avevano fatto questo e li avrebbe fatti pagare.
-Supporto Uno e Due, rapporto.
Altra statica.
Frederik ripeté la richiesta. I due operativi non risposero. Il
caposquadra chiuse per un attimo gli occhi sospirando silenziosamente. Il fatto
che non avesse ricevuto notizie della scomparsa della squadra di supporto
poteva solo significare una cosa
-Striker qui Leader. Rapporto.
Ancora nessuna risposta.
Erano rimasti solo loro quattro. Il resto della sua squadra era morto. “E’ una fottuta trappola!” Si ritrovò a
pensare improvvisamente. Aveva senso. Gli operativi all’esterno dell’edificio
erano stati i primi ad essere eliminati. Era l’unico modo possibile. Perché,
per come aveva disposto gli uomini all’esterno, chiunque uscisse dall’edificio
sarebbe stato visibile ad almeno due di loro.
“Una fottuta trappola. Ecco cos’è!” si ripeté Frederik anche se c’era qualcosa che non lo convinceva, nessuno
tranne Miller sapeva che erano lì. E il primo osservatore non aveva motivo di
ucciderli prima che avessero fatto fuori Giles. “…eppure… chi c’è là fuori?”
La terribile sensazione di essere appena diventato una preda lo assalì.
Sembrava un incubo. Ed uno dei suoi peggiori. Sei dei suoi erano morti prima
ancora che lui sapesse che c’era un problema. Dai primi tre non un lamento od
una comunicazione. Dovevano averli fatti fuori simultaneamente. “Quanti sono?” Ebbe paura. Qualcosa
stava dando la caccia alla sua squadra e lui non aveva la più pallida idea di
chi o cosa fosse.
Era snervante. Ricacciò indietro l’istintiva voglia di scappare ed
andare a rifugiarsi al piano superiore od in uno degli appartamenti.
Rimase in silenzio per qualche altro istante a pensare. Impossibile
perlustrare l’intero edificio con solo quattro uomini a disposizione senza
lasciare buchi macroscopici di cui chiunque fosse là fuori avrebbe
approfittato.
-In formazione. –Ordinò con la voce sicura di sempre. Doveva trovare un
terreno adatto ad affrontare i loro avversari. Non conosceva la pianta esatta
di questo edificio ma da quello che aveva visto poteva trasformarsi in una
trappola mortale, c’erano infiniti corridoi e stanze e pochissime uscite.
L’ideale per un’imboscata. Inoltre poteva vedere come anche gli altri tre
operativi fossero nervosi, stringevano le loro armi in modo spasmodico. I loro
pensieri dovevano essere simili ai suoi. –Ci ritiriamo.
Annuirono e si disposero in una stretta formazione difensiva.
Erano felici che Frederik non avesse deciso di mandarli al macello senza
sapere chi o cosa stessero affrontando. Si sarebbero ritirati e riorganizzati.
Poi sarebbero tornati e avrebbero fatto pagare il responsabile.
I mitra si muovevano nervosi da destra a sinistra e viceversa mentre i
quattro operativi superstiti si muovevano lungo il vicolo rivolti due in avanti
e due in dietro. Erano usciti dalla porta posteriore dell’edificio, la stessa
da cui erano entrati poco prima, dovevano raggiungere il SUV che avevano
lasciato parcheggiato ad un isolato.
Scrutavano nervosamente finestre e cassonetti mentre procedevano verso
l’auto. Frederik si sporse appena oltre un angolo controllando che non ci fosse
nessuno.
-Pulito.
La squadra, o quanto ne rimaneva, proseguì a passo regolare appena
ricevuto il via libero. Avevano fatto attenzione a parcheggiare in modo tale da
poter tornare passando da strade secondarie in modo da non essere notati.
Difatti non c’era nessuno nei vicoli che stavano percorrendo ora se non
mucchi di immondizia maleodoranti. Nessun essere umano. Una particolarità di
Sunnydale era la quasi completa assenza di barboni per le strade. Non duravano
mai a lungo.
Luise notò un movimento con la coda dell’occhio. Girò la testa in quella
direzione e fece un passo verso sinistra, appena fuori dalla formazione per
controllare meglio. Qualcosa si era mosso dietro un vecchio scatolone in mezzo
ad un mucchio di rifiuti.
Gli occhi dell’operativo rimasero un attimo ancora fissi in quel punto.
Un altro movimento ed un gatto apparve in cima al cartone. Falso allarme. Luise
riprese a sorvegliare il resto del perimetro, era tutto pulito, nessuna
presenza.
Sentì un leggero tonfo alle sue spalle.
Non riuscì a capire cosa fosse. Lo ignorò credendo che uno dei suoi
colleghi avesse messo un piede in fallo ed avesse caricato pesantemente il
proprio peso sull’altro. Quel vicolo era pieno di tombini e non era difficile
inciampare soprattutto se si stava procedendo a ritroso.
Poi ci fu un leggero gorgoglio.
Il particolare rumore la allarmò.
Si voltò verso il centro del gruppo.
“Non può essere…”
Lì in mezzo a loro c’era qualcuno.
La figura incappucciata aveva una mano sotto al mento di Kurt e
nell’altra un coltello. Lasciò andare l’uomo che cadde a terra agonizzante la
gola squarciata.
Un battito di ciglia.
Glen, la più vicina, tentò di puntare il proprio mitra contro Faith. Fu
troppo lenta.
La cacciatrice fece due rapidissimi passi verso di lei e le afferrò la
testa con entrambe le mani lasciando momentaneamente la presa sul coltello che
aveva legato al polso con una corda prima di assalire i quattro superstiti.
Le spezzò il collo ed immediatamente si girò verso Fredrik.
Il caposquadra la teneva sotto mira con la propria arma ma era
impossibilitato a fare fuoco perché sulla stessa linea di tiro si trovava anche
Luise. Senza dargli il tempo di decidere se l’altro operativo fosse o meno
sacrificabile Faith gli strappò il mitra dalle mani e lo usò come una clava per
colpirlo alla tempia.
La cacciatrice si voltò verso l’ultima superstite.
Al contrario del proprio caposquadra Luise, appena compreso che il tipo
di minaccia, aveva lasciato il proprio mitra per prendere il coltello
d’ordinanza, sapendo che era la sua chance migliore.
L’operativo riuscì a cogliere di sorpresa Faith mentre stava ancora girandosi.
Le piantò il pugnale nella spalla fino all’elsa ritrovandoselo strappato dalle
mani mentre la cacciatrice finiva di voltarsi.
Luise sorrise soddisfatta facendo un passo in avanti per colpire Faith
con un pugno al volto.
Il dolore fu improvviso.
Dalla spalla dritto fino al cervello. Digrignando i denti, la
cacciatrice lasciò cadere il mitra preso a Frederik, inutile ora che
l’operativa era a pochi centimetri di distanza. Con una torsione del polso
riprese il coltello in mano riuscendo a piantarlo nel collo di Luise.
In un raptus l’operativo la colpì nuovamente, strappandole dal volto il
passamontagna.
La fissò per un istante negli occhi.
Non voleva credere a quanto vedeva.
Quel tanto era chiaro. Faith abbozzò un sorriso amaro mentre Luise si
accasciava contro di lei.
Morta.
Adagiò il cadavere a terra e si girò verso gli altri tre, controllando
che fossero effettivamente morti.
Dopo essersene assicurata, slacciò la giacca di Glen su cui era scritto
polizia e gliela sfilò, perché era l’unica a non essere sporca di sangue.
Rialzatasi, Faith si controllò la ferita alla spalla, mosse il braccio e la
mano stringendo i denti al dolore. Non era particolarmente grave.
La lama si era piantata nel muscolo senza recide tendini od altro. Sfilò
il coltello, il sangue fluì dal taglio. Niente zampilli. Almeno non aveva
reciso delle arterie.
Slegando l’altro coltello e riponendolo in tasca assieme a quello
estratto, usò la corda come laccio emostatico. Il braccio le sarebbe servito
ancora per un po’ ed preferiva non perdere troppo sangue.
Si infilò la giacca e la allacciò accuratamente.
Era di tessuto impermeabile ed il sangue non sarebbe filtrato dalla
manica.
“Bene. Ed ora finiamo il lavoro.”
David imprecò ancora una volta contro la sua sfortuna.
Quella mattina era cominciata veramente male. Già dalle cinque quando
aveva ricevuto la telefonata che lo aveva svegliato. “Alle cinque! Ma quelli lì in Inghilterra non conoscono le meraviglie
del fuso orario!” Protestare era inutile e lo sapeva, lo faceva solo per
sentirsi un po’ meglio.
Con il suo lavoro venire svegliati ad orari del tutto indecenti era
frequente, ed all’inizio si era sempre costretti a fare il turno notturno.
Ricordava un sacco di ore passate in buchi malfamati a tremare di freddo e non
solo. Anche troppe per i suoi gusti. Quando aveva accettato, aveva saputo che
gli orari sarebbero stati infami e che si trattava di un impiego ad alto
rischio, per questo pagato decentemente, ma David aveva creduto che una volta
arrivato ad essere il capo zona non lo avrebbero più disturbato alle cinque del
mattino.
“Ok, lo ammetto non sono più
abbastanza giovane per fare queste alzatacce…”
Aveva quasi quarantacinque anni in fondo e se li sentiva tutti sulle
spalle, profonde rughe gli segnavano il volto, senza contare che ormai i
capelli erano solo un ricordo. Sperava veramente di riuscire nei prossimi
cinque anni a guadagnarsi un posto in una sede distaccata od addirittura in
quella centrale ed abbandonare una volta per tutte le strada.
Era per questo che aveva deciso di andare personalmente a controllare
cosa stesse succedendo. Non aveva avvertito nessuno dei suoi subordinati. Il
merito di quell’impresa non lo voleva condividere con nessuno e non lo avrebbe
fatto.
“Se il vice capo delle comunicazioni
della sede centrale ti sveglia dicendoti che probabilmente nella tua zona stava
per succedere qualcosa di grosso e ti dà un indirizzo, l’unica cosa che puoi
fare è ringraziarlo… e sono colpi come questi che fanno guadagnare posti sicuri
in un ufficio… ed
io la voglio quella maledetta scrivania.”
Così si era alzato ed era uscito dal proprio appartamento quando fuori
era ancora buio, qualcosa di per sé già pericoloso a Sunnydale.
Solo per scoprire che la propria auto era rotta.
Ed ovviamente non c’era una sola compagnia di taxi in quello schifo di
cittadina che avesse il coraggio di fare corse notturne.
Così si era dovuto rassegnare ad aspettare l’alba per muoversi mentre
camminava nervosamente avanti ed indietro nel proprio salottino, temendo di
star perdendo la sua possibilità di ottenere un incarico d’ufficio.
Si sentiva nelle ossa che quello che stava succedendo era qualcosa di
importante. Del resto l’altro giorno un suo amico all’aeroporto “Un caro, caro amico…” gli aveva detto
che un volo privato era arrivato dall’Inghilterra e ne erano sbarcati una
decina di persone. “Ovviamente una
squadra di operativi, il che significa che c’è veramente qualcosa di grosso in
ballo” pensò con una smorfia a metà tra l’invidia ed il disprezzo.
Gli operativi erano l’elite dei non osservatori nel Concilio. Le Ombre a
confronto erano poco più che informatori prezzolati facili da sostituire. E lo
stipendio sottolineava la differenza. Ma del resto se l’aspettativa media di
vita di un’Ombra non superava i cinque anni quella degli operativi non arrivava
ai due.
Il taxi era arrivato dieci minuti dopo l’alba.
Altri cinque erano bastati a raggiungere il posto indicatogli. Sunnydale
era piccola e a quell’ora non si trovava certo traffico. E la mancia promessa
aveva fatto aumentare non poco la pressione sull’acceleratore.
David si fece lasciare due isolati prima di raggiungere l’indirizzo.
“Meglio avvicinarsi a piedi.”
Dopo vent’anni di questo lavoro aveva imparato molto sulla sorveglianza
e su come trovare le persone.
Ad un isolato dall’indirizzo in questione aveva trovato un SUV nero con
finestrini oscurati, del preciso modello utilizzato dal Concilio.
Era vicino.
Si affacciò con prudenza oltre l’angolo del vicolo dove era parcheggiata
l’auto. Una squadra di operativi era nelle vicinanze e quei ragazzi avevano il
grilletto facile. Era meglio muoversi con cautela.
Tirò fuori uno specchietto che usava da anni per vedere oltre gli angoli
morti e che più di una volta gli aveva salvato la pelle. Si avvicinò allo
spigolo del muro ed allungò il braccio per posizionare lo specchio in modo da
vedere cosa stesse succedendo nel vicolo. Per quanto lo riguardava era meglio
vedere male che ritrovarsi con un buco adatto ad un terzo occhio in mezzo alla
fronte.
Un attimo dopo notò un gruppetto di persone superare l’angolo opposto
del vicolo. Erano operativi.
Quattro per l’esattezza e si muovevano come se stessero aspettandosi un
attacco.
“O merda!”
Qualsiasi cosa potesse attaccare quattro operativi armati di mitra era
pericolosa.
“Giusto la mia fortuna.”
David si chiese se fosse meglio allontanarsi il prima possibile. Che
quella sorveglianza fosse terribilmente pericolosa era ovvio. Ma l’Ombra non
voleva scappare così, a mani vuote. Odiava il pensiero di dover rinunciare al
comodo e caldo ufficio.
Rimase un attimo immobile a contemplare le sue possibilità.
Poi l’inferno scoppiò in terra.
Un’ombra nera apparve dal nulla tra gli operativi, apparentemente
cadendo dal cielo.
David seguì la scena con un misto di orrore, paura e strana attrazione.
Durò meno di cinque secondi. Vide cadere i quattro operativi come se
fossero stati burattini ai quali avevano tagliato i fili.
La cosa più spaventosa era la completa assenza di rumori.
Non un urlo, non un lamento.
La cosa, perché chiunque potesse muoversi così velocemente non poteva
essere umano, si abbassò verso i cadaveri sfilando ad uno di essi la giacca.
Per la prima volta David la vide in faccia, il passamontagna stracciato
attorno al collo, effettivamente inutilizzabile.
Fu difficile credere ai propri occhi.
Quella era la cacciatrice.
La cacciatrice morta.
“Oh cazzo.”
Non era sicuramente questo il genere di informazioni che David era
venuto a cercare oggi. Lui voleva una bomba per assicurarsi un posto dietro una
scrivania, non un dannato ordigno nucleare fra le mani.
Lo specchio cominciò a tremare incrollabilmente fino a che gli cadde
dalle mani, l’uomo ne seguì il volo, affascinato, fino a quando non si infranse
sul marciapiede.
“Sette anni di sfortuna.”
David scosse la testa per schiarirsi le idee.
“Prima cosa: mi devo allontanare da
qui.”
Si incamminò senza voltarsi indietro. Quando raggiunse la fine
dell’isolato aveva deciso il da farsi. Arrivato a casa avrebbe contattato il
direttamente l’osservatore anziano responsabile delle ombre e gli avrebbe
venduto l’informazione per un posto come capo ufficio di una qualche inutile
sezione dove potesse aspettare comodamente la pensione. Quello che avrebbe
fatto od ottenuto lui con la notizia non gli interessava affatto.
Sorrise.
Alla fine quella mattinata non era andata a finire poi così male.
Senza accorgersene andò a sbattere contro un altro passante appena
uscito da un vicolo.
-Mi scusi.
Disse a bassa voce proseguendo per la sua strada.
-Ma si figuri.
Gli venne risposto cortesemente anche se un po’ freddamente.
Poi David si ritrovò schiacciato contro la parete di un edificio a
qualche centimetro da terra con una mano stretta attorno alla gola. Si sentiva
soffocare.
Tentò di dibattersi ancora scioccato dal ritrovarsi in una tale
posizione, mentre il cervello gli mandava i primi disperati segnali che
l’ossigeno non stava più arrivando ai polmoni. Portò entrambe le mani alla gola
facendo forza sulle dita che erano piantate nella sua carne per cercare di
liberarsi.
La presa non cedette di un millimetro.
Sembrava acciaio.
Finalmente, dopo interminabili attimi di puro panico, David riuscì a
mettere a fuoco il volto di chi lo aveva aggredito.
Sbiancò.
Le pupille gli si allargarono quasi a coprire l’intera iride quando
riconobbe l’aggressore.
La cacciatrice.
“Sono morto.”
Fu il suo ultimo pensiero coerente. Faith stava lì, davanti a lui, con
un freddo sorrisino sulle labbra, completamente calma. David non voleva
crederci, lei non lo aveva visto. Come aveva potuto raggiungerlo allora?
-Shh, è inutile che ti dibatti, ok?
Lo disse come se dovesse essere rassicurante. David si immobilizzò ma lo
fece a causa del terrore, più per la supposta assicurazione che dovevano essere
le parole.
Sentì le forze che lo abbandonavano e riprese istintivamente a scalciare
tentando ancora di liberarsi.
Inutilmente.
Faith lo vide perdere conoscenza e poi morire.
Non poteva lasciarlo andare, non dopo che l’aveva vista commettere
quattro omicidi senza passamontagna. Era troppo pericoloso.
Si era accorta della sua presenza quando aveva sentito un rumore
all’estremità del vicolo, una volta finito di neutralizzare gli operativi.
Aveva dovuto decidere in fretta se rischiare o no di essere scoperta.
Non ci aveva dovuto pensare troppo.
Aveva notato lo specchio infranto a terra ed aveva saputo da subito che non
era stata un cosa casuale. La sorvegliavano, o sorvegliavano gli operativi. Il
che faceva lo stesso.
Lo perquisì.
Con sé aveva giusto chiavi, portafoglio e cellulare.
Qualche banconota, una carta di credito ed i documenti di identità che
lo dichiaravano un cittadino americano, nulla di interessante. Se li mise in
tasca.
Il cellulare al contrario era ricco di sorprese.
Il registro delle chiamate fu illuminante.
Faith conosceva a memoria molti di quei numeri. Si trattava di linee del
Concilio degli osservatori. Erano facili da riconoscere, per qualche motivo gli
osservatori si erano fatti riservare una serie di numeri speciali con un
prefisso a cui andavano aggiunte le estensioni dei vari dipartimenti ed uffici.
Facili da ricordare per chi li componeva e ma anche facili da riconoscere.
La cacciatrice controllò le chiamate in uscita, nell’ultima ora non ne
erano state fatte.
“Perfetto. Il segreto di quello che
ha visto muore qui.”
Il cellulare di Tara squillò nuovamente, svegliando Willow prima che la bionda
riuscisse a rispondere.
-Si?
Disse una volta fatto scattare lo sportellino. Willow si mise a sedere
ancora mezza addormentata passandosi le mani fra i capelli.
-Tara sono io. –Replicò Faith. –Senti, mi trovo sulle scale... vieni da
sola per cortesia, dobbiamo parlare.
La bionda chiuse la telefonata e rivolse un sorriso alla propria ragazza
e all’osservatore che la stava guardando con interesse malcelato da oltre il
tavolo della cucina a qualche metro di distanza.
-E’ mia cugina. E’ qui fuori sul pianerottolo. Vado a parlarle.
Disse Tara mentre si alzava dal divano e si dava una sistemata a
pantaloni e maglione abbondantemente spiegazzati dopo la notte passata alla
meno peggio, in una posizione non troppo confortevole come la sua schiena le
ricordò non appena fu in piedi.
-Vengo con te.
Si offrirono contemporaneamente gli altri due.
Tara li guardò con un mezzo sorriso sulle labbra mentre rifiutava
cortesemente.
-Nah, non c’è bisogno, arrivo solo fino al pianerottolo, niente di
particolare.
Willow annuì un po’ scontenta alla risposta ma accentandola comunque.
Aveva veramente voglia di conoscere la misteriosa cugina della bionda e sapere
qualcosa di più su di lei visto che Tara ne aveva parlato così poco.
-Magari la posso incontrare un'altra volta? Insomma è l’unico membro
della tua famiglia… l’unico membro a cui parli intendo dire… e la voglio
conoscere… va bene? …insomma per te lei è importante… è di famiglia…
Chiese confusamente Willow. Tara annuì e sorrise alle parole della
ragazza.
-Certamente. Probabilmente vorrà solo evitare di conoscerti in questo
momento mentre qualcuno ci da la caccia, lei è fatta così. –Aggiunse con una
scrollata di spalle. –Ok?
-Ok.
Rispose Willow convinta e rassicurata dalle parole della bionda.
Ma durante la breve conversazione con la fidanzata Tara non aveva potuto
fare a meno di notare come Giles avesse smesso di tentare di preparare il tè e
la stesse fissando quasi sospettoso alle sue parole. Non sembrava convinto
della cosa. Ancora una volta Tara ebbe la netta sensazione che l’osservatore
sapeva più di quanto avesse detto di questa storia. E la bionda non apprezzava
la gente che le mentiva. Soprattutto in qualcosa di così serio che avrebbe
potuto tranquillamente portare alla loro morte.
-Ma possiamo fidarci?
Chiese scettico Giles, chiaramente intendendo che non potevano farlo.
Era nervoso e Tara aveva sempre più la certezza che stesse nascondendo
qualcosa. Ma sapendo che chiedergli qualcosa non avrebbe fatto altro che
renderlo ancora più paranoico sulla questione, non disse nulla, limitandosi a
replicare in modo cortese alle sue insinuazioni.
-E’ mia cugina.
-Sarà…
Disse l’osservatore, riprendendo a trafficare nella cucina stizzito. Era
spaventato. Cosa sarebbe successo se questa supposta amica li avesse traditi?
Le squadre del Concilio gli sarebbero state addosso in meno di un’ora.
“E ieri sera, quando ho chiamato
alla sede centrale mi hanno detto che Miss Marlin non c’era e che non sapevano
quando sarebbe tornata.”
Non c’erano altri a cui si potesse rivolgere e sinceramente non sapeva
che altro fare oltre ad aspettare e a pregare che la dirigente o Buffy
tornassero. Lo irritava pensare che una ragazzina incapace come Tara credesse
di poter risolvere questa faccenda, coinvolgendo per di più altri che non
c’entravano niente. Erano in pochi quelli che potevano battere una squadra di
operativi, e l’unico modo per fermarli era appunto ucciderli, perché non
rispettavano altra autorità se non quella degli osservatori.
Era una cosa pericolosa da fare coinvolgere degli ‘esterni’ negli affari
del Concilio. C’erano delle ferree regole contro questa linea di condotta,
regole che se non rispettate non procuravano al trasgressore nient’altro che
più problemi di quanti ne avesse prima.
“Maledetta idiota.”
Proprio non avevano bisogno di altri problemi al momento.
Seccata dalla risposta dell’uomo quanto dl suo atteggiamento, Tara andò
alla porta e uscì sul pianerottolo, lanciando un’occhiata significativa a Giles
quando l’uomo, seguendola, raggiunse la soglia dell’appartamento, presto
raggiunto da Willow.
Ignorando i due spettatori, la bionda raggiunse Faith, che si era
fermata in cima alla tromba delle scale.
La cacciatrice fece un cenno di saluto con la mano a Giles e a Willow, che
aspettavano ansiosi sulla soglia dell’appartamento in fondo la corridoio, prima
di augurare il buongiorno a Tara che replicò alle parole con un sorriso.
-E’ tutto sistemato.
Esordì Faith a bassa voce quando la bionda si fermò a qualche passo,
effettivamente mantenendo la loro conversazione privata.
La cacciatrice notò come l’osservatore la stesse studiando attentamente,
con insistenza, a partire dal passamontagna sul volto, per passare alle grandi
spalle, arrivare alla giacca con la scritta della polizia e proseguire notando
la fondina per
-Sei ferita. –Replicò Tara, sapendo perfettamente di non chiedere cosa
fosse accaduto a chiunque li avesse attaccati. Era facile immaginarlo del resto
e non le interessava affatto. La cosa le stava bene. Al momento era ben più
importate sapere se Faith avesse bisogno di aiuto o meno che quale tipo di
morte avessero incontrato un gruppo di sconosciuti. Egoista? Certo, ma Tara non
si faceva molte remore quando si trattava di proteggere sé o la sua famiglia. Vero
non avrebbe mai ucciso se non come ultima risorsa, ma se si fosse reso
necessario non si sarebbe tirata indietro. –Come stai?
-Niente di grave, un taglio al braccio. Guarirà in qualche giorno.
La bionda annuì accettando la risposta. Faith non avrebbe potuto
nasconderle il dolore procurato da una ferita grave.
-Cosa dico a Giles? E’ sospettoso nei tuoi confronti.
Faith lanciò un’altra occhiata alla porta. Willow la guardava con
curiosità, uno sguardo sinceramente amichevole. “Strano vederle rivolgere uno sguardo del genere a me”. D’altra
parte Giles la guarda con sospetto misto a paura dopo aver notato la pistola.
-Cosa gli hai detto per spiegare la mia presenza qui?
Si informò la cacciatrice.
-Beh, che sei un agente sottocopertura della polizia…oltre ad essere mia
cugina, ovviamente. –Tara rivolse un sorriso divertito a Faith immaginando la
faccia che doveva avere sotto il passamontagna. “Un peccato non vederla… le espressioni sconvolte di Faith sono
veramente esilaranti.”
-Cugine, eh?
Ripeté Faith, divertita.
-Già, cugine. –Confermò Tara, sorridendo. –Da parte di madre ovviamente…
Continuò, rassicurando scherzosamente la mora.
-Ovviamente…
Replicò la cacciatrice.
-Sembra che avessi ragione alla fine.
Osservò la bionda indicando il travestimento di Faith. La cacciatrice
annuì, sollevata alla buona copertura inventata da Tara.
-Continua la cosa e digli che sono stati arrestati e che saranno
interrogati.
-Ok. –Ci fu un attimo di pausa mentre la bionda dava un’altra occhiata
ai vestiti della cacciatrice. –Faith? –Chiese poi, perplessa.
-Si?
Tara indicò verso il basso, trattenendo a stento una risata.
-Perché sei in calzini?
Faith scoppiò a ridere scaricando la tensione della mattinata.
“E che inferno di mattinata.”
Doveva fare proprio un’impressione con passamontagna, giubbotto
antiproiettile, giacca della polizia e pistola ma senza scarpe.
Non ci aveva proprio pensato a rimettersi le scarpe prima di venire qui
a parlare con Tara. Aveva pensato a far scomparire tutte le tracce della lotta
nel vicolo e nel corridoio assieme ai cadaveri. Era stato un lavoro pesante
sistemare tutto con la spalla ferita, ma lo aveva dovuto fare ugualmente in
fretta. Il pericolo di essere vista, o che qualcuno notasse finalmente qualcosa,
aumentava esponenzialmente a mano a mano che la gente si svegliava per andare
in ufficio. E visto che si era trovata nell’edificio, era andata ad avvertire i
tre che tutto era a posto.
-E’ una lunga storia. Comunque andrò a riprendermi le scarpe, non ti preoccupare.
Ci tengo a quegli anfibi… –Tra l’altro doveva ancora sistemare il tetto e
recuperare i propri coltelli. Lo aveva lasciato per ultimo. Era il posto in cui
era meno probabile che la gente sarebbe capitata per errore. –E tra l’altro fa
decisamente troppo freddo per andare scalzi.
Ora che lo aveva detto notò che in effetti i piedi erano indolenziti
oltre ad essere praticamente congelati. Anche Tara scoppiò a ridere non
riuscendo più a trattenersi. Giles e Willow le guardarono incuriositi, non
sapendo perché fossero improvvisamente scoppiate a ridere, visto che da dove si
trovavano loro non si potevano vedere i piedi della cacciatrice.
-Non ci voglio neanche credere che sei andata in giro per tutta la
mattinata scalza, girando chissà dove... –Scosse la testa, un po’ incredula e
ricominciò a ridere. Avevano bisogno entrambe di scaricare la tensione ed anche
una cosa così stupida al momento era abbastanza divertente da farle ridere.
-D’accordo. –Replicò Faith, non disturbandosi a negare il fatto che
doveva andarsene in fretta da lì. Tara sapeva i rischi che stava correndo
l’altra semplicemente nell’essere tornata a Sunnydale. –Tu fa attenzione a
Willow e a te, ok? E tieniti lontana il più possibile da Giles, almeno fino a
che non ritorna Buffy o fino a quando questa faccenda non sia risolta.
Tara abbracciò Faith, facendo attenzione a non stringerla troppo, non
sapendo quale delle due spalle fosse ferita.
-Ci sentiamo presto.
Le disse mentre la lasciava andare.
-Chiamami quando vuoi. –Replicò la cacciatrice, facendo per allontanarsi.
–Sono ufficialmente in ferie…
Aggiunse scherzando.
-Faith.
La richiamò dopo un attimo Tara.
-Si?
Disse la cacciatrice girandosi nuovamente verso la bionda. Si fissarono
per qualche secondo senza dire niente.
-Grazie.
Replicò sinceramente Tara. Faith fece un mezzo sorriso, rispondendo
altrettanto seriamente.
-Per la famiglia questo ed altro. A presto cugina.
Con questo Faith si girò e cominciò a scendere le scale mentre Tara
tornava dalla sua ragazza per darle le buone notizie, con un sorriso in faccia che
non se ne sarebbe andato abbastanza presto.
Buffy non ricordava.
Appoggiò la nuca contro il poggiatesta del sedie e sprofondò un po’ di più
nello schienale. Chiuse gli occhi e rimase a pensare per lunghi minuti.
Non ricordava come fosse salita su quell’aereo, non ricordava la fila
all’imbarco, né quella al check-in, non aveva neppure la più pallida idea di
come fosse arrivata all’aeroporto. Degli ultimi giorni non aveva ricordi,
assolutamente nessuno.
Non sapeva neppure che giorno fosse oggi, in realtà.
Si passò la mano sugli occhi. Era stanca, molto stanca, ma non
fisicamente, almeno non solo.
Era una stanchezza, una spossatezza interiore.
Come se avesse perso qualcosa di importante.
Anche se al momento non ricordava cosa.
Era come se si fosse appena svegliata da un sonno troppo profondo e
senza sogni, di quelli che uno ha durante una malattia, quando ti svegli senza
capire dove sei o cosa sia successo, completamente spaesato. La sensazione era
proprio quella.
Buffy dubitava di aver mangiato recentemente, il suo stomaco era
decisamente vuoto e dava la sensazione di esserlo da parecchio tempo. Quanto…
quanto, dovevano essere passati giorni, due, forse tre.
Le tornarono in mente vaghi ricordi di lei piegata sul pavimento del
bagno, “che fosse la mia camera
d’albergo?”, vomitando convulsamente per poi rimanere lì immobile, sdraiata
sulle piastrelle fredde e lucide, le mani contratte da spasmi.
Poi un altro flash di lei seduta sul letto a fissare la parete di una
stanza per quello che poteva essere stato un minuto od ore. “Giorni forse?” Il riecheggiare lontano,
irrilevante, del trillo del telefono, a lungo, insistente, fastidioso senza un
motivo per esserlo.
La sua prima memoria chiara era
quella della tazza di caffé che teneva stretta nelle mani.
Come se si fosse risvegliata in quel momento. Buffy l’aveva osservata
con curiosità per qualche secondo, chiedendosi perché fosse lì, e da quanto. L’aveva
bevuta, giusto perché non sapeva cosa altro farne. Aveva avuto la sensazione di
non voler ricordare quanto era accaduto, che fosse meglio così.
Così si era concentrata sul presente, cercando di focalizzare dove si
trovasse. La cabina di un aereo. Quello non era stato difficile da capire.
Aveva chiesto al vicino dove si trovassero, accorgendosi con sorpresa di quanto
roca fosse la sua voce.
“Troppo uso o troppo poco?”.
L’uomo le aveva risposto che erano sull’Atlantico a due ore da New York,
poi era tornato a leggere il giornale.
Sembrava che stesse tornando a casa.
“Casa? Io non ho più una casa”.
Strano pensiero che si era affacciato improvviso. Quasi alieno.
Si sarebbe dovuta chiedere perché, ma si sentiva stanca e svuotata. Non
voleva saperlo. “Probabilmente non sarà
neppure importante….” Il suo cervello ragionava come se immerso nella
melassa. Erano pensieri oziosi, irrilevanti, quasi inconsci. Seguiva tutto con
distaccata serenità.
“Ormai non ha più importanza.
Seguirò la corrente, mi porterà da qualche parte”.
Non le importava. Non più. Sarebbe sbarcata a Sunnydale, tornata nella
sua stanza del campus ed aspettato il seguente evento. Senza preoccupazioni.
Nessuna preoccupazione.
Sorrise, ora non aveva più preoccupazioni.
Marlin superò la soglia del Concilio con il solito passo deciso, vestita
impeccabilmente e con la solita valigetta porta documenti. Si girò verso il
posto di guardia, dove erano stazionati ventiquattro ore su ventiquattro due
operativi, alla scopo di sorvegliare l’ingresso principale. Nessuno di loro fu
stupito dal suo arrivo all’improbabile orario, quando ormai la maggior parte
degli Osservatori era appena andata a casa per il week-end o stava per farlo.
Magdalene era nota a tutti per i suoi orari estremamente flessibili e le sue
lunghe giornate di lavoro.
Si diceva in giro che lavorasse più a lungo dei nuovi associati degli
studi legali di New York. Per lei una settimana lavorativa di settanta ora era
la norma più che l’eccezione.
Invece di salutarli con un cenno del capo, od un gesto della mano, come
al solito, Marlin alzò la pistola automatica che teneva al fianco e li freddò
con due colpi precisi alla testa. Le ore passate al poligono di tiro ogni
settimana, per allenarsi e distendersi dallo stress accumulato, avevano dato i
lori frutti più di una volta.
-Libero.
Disse al microfono.
Alla sua comunicazione, un gruppo di commando vestiti di nero, armati di
uzi compatte e protetti da giubbotti antiproiettile, la circondò, comparendo
dal nulla o quasi.
Marlin scambiò un cenno di intesa con il comandante dell’unità, che fece
segno ai suoi uomini di distribuirsi nei punti di accesso della sala, deserta
come previsto.
Come era normale per le otto del venerdì sera.
Magdalene osservò con soddisfazione la professionalità e la rapidità che
i mercenari mostrarono. Ingaggiarli le era costato molto, una cifra con
veramente moli zeri, ma erano tra i migliori nel loro campo, e per un’azione
simile Marlin non aveva voluto badare a spese.
Non accadeva tutti i giorni di assaltare ed occupare la sede centrale
del Concilio degli Osservatori.
“Un’occasione speciale.”
Pensò con sarcasmo.
Per Quentin lo era sicuramente. Non smetteva di sorridere da quando
aveva stretto il loro accordo.
“Sorridere per quanto ne è capace,
la maggior parte della gente la definirebbe una smorfia di dolore, od un rictus
più che un sorriso.”
C’erano volute ore di contrattazione, decine di compromessi per
formulare una linea di azione che li soddisfacesse entrambi. Avevano scoperto
con piacere, di essere ben assortiti per organizzare una cosa simile. Travers
poteva contare su buona parte degli operativi oltre che sui suoi contatti,
mentre Magdalene aveva il denaro necessario a finanziare l’impresa oltre ad
alcune, fondamentali perché strategiche, amicizie, che sarebbero state
necessarie dopo.
Il denaro era stato indispensabile per assoldare efficienti squadre di
mercenari e lo sarebbe stato per convincere gli osservatori indecisi a schierarsi
dalla loro parte una volta acquisito il potere de facto sul Concilio.
Senza bisogno di altri ordini da parte del loro comandante, due commando
si piazzarono davanti agli ascensori. Quattro si divisero il compito di
sorvegliare i corridoi che si aprivano sulla destra, altrettanti si disposero
sulla sinistra.
Qualche secondo e furono raggiunti da un’altra gruppo, seguito da
Travers.
L’unico a non avere una pistola in mano. Non che Marlin dubitasse che
l’altro ne avesse una o che indossasse anche lui un giubbotto antiproiettile,
semplicemente l’aveva lasciata nella fondina. Del resto Quentin preferiva
ordinare o causare una morte, non gli era mai piaciuto uccidere di propria
mano.
Anche se la cosa non gli creava il minimo problema, come aveva detto lui
stesso a Magdalene anni prima, quando si era reso conto che lei avrebbe
veramente reclamato la sua vendetta.
Era stata una minaccia, e aveva voluto essere una rivelazione
scioccante.
Marlin lo aveva fissato per un istante negli occhi e gli aveva detto che
era stata sicura che lui fosse capace di cose simile il giorno stesso in cui
aveva dichiarato inabile la sua cacciatrice, Lene. Dopo, sorridendo, lo aveva
informato che neanche lei aveva il minimo problema ad uccidere a sangue freddo.
Le era quasi venuto da ridere, e non sarebbe stata una risata divertita,
ricordando che era stata lei stessa ad uccidere Lene, con un colpo di pistola
alla nuca.
Il suo primo omicidio a sangue freddo.
Dirgli quanto era successo veramente in Norvegia venti anni prima, non
le aveva neanche sfiorato la mente.
Marlin non aveva mai confessato un crimine commesso. E non avrebbe
iniziato soltanto per avere l’ultima parola in un inutile scambio di battute,
per mostrare che anche lei aveva il fegato di macellare delle persone. Era un
gioco pericoloso oltre ad essere stupido.
Del resto, allora come oggi, era convinta che essere sottovalutata da un
avversario fosse quanto di meglio potesse capitare in uno scontro.
Magdalene accantonò la linea di pensiero per girarsi ed incrociare lo
sguardo di Travers.
Si scambiarono un cenno del capo prima di avvicinarsi per fare il punto
della situazione.
A Marlin era capitato il compito di accompagnare la prima squadra
all’interno dell’edificio, e di liberarsi delle guardie in prima persona,
mentre Quentin rimaneva dietro, con la seconda, al sicuro all’interno del
perimetro che già controllavano assieme ad una squadra di mercenari per
assicurarsi l’effettiva fedeltà degli operati che erano passati dalla loro
parte.
La cosa non aveva disturbato particolarmente Magdalene nonostante le
fosse capitata la parte più pericolosa.
Era stata la scelta più logica.
L’improvvisa comparsa di Travers avrebbe potuto destare sospetti nelle
guardie. La sua no. E del resto le persone con cui stava lavorando le aveva
scelte ed assoldate lei stessa. Le erano fedeli.
“Almeno fino al termine del
contratto.”
Di comune accordo, per formare i due gruppi che avrebbero dovuto
concretamente irrompere all’interno del Concilio, Marlin e Travers avevano
deciso di utilizzare i mercenari assoldati, piuttosto che gli operativi delle
squadre fedeli ad uno di loro due. Ordinargli di uccidere quelli che erano
stati loro colleghi, a volte anche per anni, se non amici, era sembrato ad
entrambi un rischio inutile.
Facendo qualche pressione, usando i loro contatti e riscuotendo alcuni
favori, le quattro squadre loro fedeli erano state opportunamente assegnate tra
quelle in servizio quest’oggi.
Così, un’unità fidata di Quentin aveva preso la sala controllo. Le altre
tre stavano al momento sorvegliando il perimetro esterno per evitare sia
irruzioni che fughe.
La rimanente, di quelle assegnate all’esterno per il pattugliamento
notturno non avrebbe più potuto creare problemi. Era stata eliminata in fretta
e con efficacia dai mercenari assoldati da Travers.
-Un buon lavoro.
Commentò Travers, notando le due guardie. Una di loro era riversa sul
bancone che aveva di fronte, in una posa drammatica, quasi ad effetto,con un
braccio sotto il torace ed il secondo allungato verso terra. La seconda non
aveva neanche fatto in tempo ad alzarsi dalla sedia.
Marlin ignorò il commento e si limitò a ricordare la loro prossima
mossa.
-Dobbiamo eliminare ancora le altre squadre rimanenti.
Quelle che non erano di turno quella notte ma che comunque si trovavano
nella sede. Era insieme una benedizione ed una maledizione il fatto che la
maggior parte delle squadre fosse presente. Da una parte le squadre loro fedeli
erano tutte lì, dall’altra il numero di operativi capaci di reagire ad un tale
assalto era alto, tanto che un minimo errore sarebbe potuto essere fatale alla
forza attaccante.
-D’accordo. Manderò i miei mercenari.
Propose Travers.
-Non basteranno se qualcosa va storto. –Gli fece notare Marlin. Quelli
che dovevano affrontare erano soldati esperti, che, anche se presi di sorpresa,
al minimo errore avrebbero opposto una strenue resistenza agli invasori.
–Prendi anche i miei e fagli presidiare le uscite degli alloggiamenti. Saranno
pronti in caso ti servissero dei rinforzi.
-Va bene, Magdalene.
Travers fece cenno ai mercenari di seguirlo verso gli alloggi degli
operativi. Qualche secondo e il gruppo di persone scomparve silenziosamente in
uno dei corridoi.
Rimasta sola, Marlin pensò a quanto dovevano fare una volta acquisito il
controllo del concilio. Lì sarebbe cominciato il vero lavoro. In realtà più che
lavoro saprebbe stato meglio dire miracolo. Perché dove la loro pianificazione
della arte puramente logistica e militare di questa azione era stata a dir poco
perfetta, quella politica era molto, molto, lontana dall’esserlo.
“Diavolo, dire che la nostra
motivazione per questa invasione è una buffonata è un blando eufemismo.”
Erano lì per appellarsi ad un cavillo scritto più di cinquecento anni
fa.
Qualcosa di piuttosto nebuloso, e soggetto a miriadi di possibili interpretazioni,
a riguardo del ruolo che i Supervisori di Zona poteva assumere come sostituti
dirigenti.
“Probabilmente avremmo più fortuna e credibilità nel sostenere che il
documento con cui Miller ha nominato Delegato Speciale per l’Oceania Delmundo non
è valido a causa di una firma mal posta.”
L’unica vera forza dietro le loro affermazioni erano due gruppi di
mercenari e quattro squadre di operativi. Lo sapevano loro, e lo avrebbero
saputo tutti gli altri.
Non era una situazione ideale.
Affatto.
Una volta acquisito il controllo del Concilio, avrebbero dovuto cercare
Custode degli Archivi o meglio ancora Sommo Sapiente e depositare tale
denuncia. Effettivamente destituendo immediatamente Miller per illecito.
In caso fosse stata accettata.
Eventualità assicurata grazie al piccolo particolare costituito dal
fatto che avevano di fatto occupato militarmente l’intero concilio. Non c’era
molto che gli altri osservatori non avrebbero concesso a Marlin e Travers in
una situazione tale.
Quello che avevano fatto era ne più ne meno di un colpo di stato.
“Od almeno stiamo tentando di
farlo.”
Erano pericolosamente vicini allo scatenare una guerra civile totale nel
Concilio, quanto meno una faida. Se fosse accaduto si sarebbe veramente
scatenato il caos. Le varie fazioni si sarebbero alleate con una parte o con
l’altra, formando degli schieramenti più o meno stabili. Altri mercenari
sarebbero stati assoldati e gli operativi superstiti sarebbero stati
rintracciati e “arruolati” da una delle due parti. Gli osservatori comuni, sia
Giovani che Anziani, avrebbero cominciato a morire, uccisi sia per terrorizzare
la parte avversa che per indebolirla, mentre i capo fazione sarebbero stati
troppo protetti per essere colpiti ed in caso prontamente sostituiti da altre
persone avide di potere.
E alla fine di questo massacro interno, vecchi nemici ed avvoltoi si
sarebbero avvicinati alla carcassa di quello che era stato il Concilio degli
Osservatori, ormai incapace di difendersi, ed avrebbero provveduto a spolparlo.
Al meglio da una situazione simile sarebbe uscito un Concilio fortemente
ridimensionato, al peggio non ne sarebbe più esistito alcuno.
Questa faida non sarebbe convenuta a nessuno, ma ugualmente nessuno
avrebbe rinunciato sorridendo alla propria posizione ed al proprio potere. Di
certo non era né negli interessi né nei piani di Marlin e Travers. Loro
volevano solo cambiare i capofila, non dare vita ad una guerra.
Per questo la parte più importante di questa azione si sarebbe svolta
dopo l’azione.
“Come capita spesso…”
Avrebbero dovuto far attenzione ed evitare che le cose degenerassero.
Sarebbe bastato poco a scatenare una guerra. Ma con un po’ di fortuna la
transizione sarebbe andata a buon fine e soltanto poche teste sarebbero
rotolate. Marlin era moderatamente fiduciosa della possibilità di ricomprare il
favore o la neutralità degli altri, con denaro, incarichi o favori.
Un movimento improvviso, appena all’estremità del suo campo visivo,
attirò l’attenzione di Marlin sottraendola ai suoi pensieri.
La donna si voltò.
Ora, di fronte a lei, all’estremità del corridoio che conduceva in
biblioteca si trovava Elinore Maranda, un’Osservatrice Anziana, strenua
sostenitrice di Miller. Una cinquantenne Conservatrice fanatica, con un
incarico noioso senza alcuno sbocco di carriera e senza la minima possibilità
di diventare dirigente.
E l’occasione della sua vita davanti a sé.
Il problema era che si trovava lì con una pistola in mano, Magdalene
nella sua linea di tiro ed un sorriso sul volto e Marlin non aveva abbastanza
tempo per alzare al sua pistola prima che l’altra sparasse almeno uno o due
colpi.
Se avesse deciso di sparare alla testa, Magdalene non avrebbe avuto
scampo.
-Sei stata destituita. –Il sorriso le si allargò. –Giusto qualche ora
fa. –Ci tenne ad informarla Elinore. –Il che significa che non sei più ospite
gradita qui. Che non sei più nessuno. E che ho il diritto di ucciderti… e di
certo non sei qui per raccogliere la tua roba, non con quella pistola…
Era stato sempre uno dei grandi difetti di Maranda il volersi sentire parlare,
il dire troppo. Amava il suono della sua voce. Di certo la cosa non l’aveva
resa popolare con Marlin. Primo perché non sopportava le persone prolisse e
logorroiche, poi perché trovava la sua voce particolarmente sgradevole, simile
com’era ad un gracchiare sgraziato.
Improvvisamente la donna cadde in ginocchio.
Si portò le mani al petto, lasciando cadere la propria arma mentre
Marlin, cogliendo l’occasione, alzava la sua, sparandole una volta alla fronte,
proprio tra gli occhi.
Maranda morì sul pavimento di marmo senza un lamento.
Dalla semioscurità del corridoio da cui era venuta Elinore apparve una
seconda ombra, anch’essa armata di pistola.
Che così tanti osservatori girassero armati era il segno di quanto
deteriorata fosse la situazione.
“La cosa può avere i suoi vantaggi.”
Rifletté Marlin.“Nei
periodi di crisi può essere sentita la necessità di una guida forte.”
Avrebbe dedicato più tempo a seguire quella linea di pensiero, per ora
Magdalene si concentrò a tenere sottotiro l’ultima arrivata. Per quanto avesse
sparato Maranda, in effetti salvandole la vita, la cosa non la faceva
automaticamente sua amica.
Poteva aver eliminato Elinore tanto per interesse personale, quanto per
aiutarla o per avere il piacere di far fuori in prima persona la famosa Marlin.
La riconobbe un istante dopo, non appena il suo volto uscì dalla
penombra del corridoi per essere illuminato pienamente dalle luci della sala.
Joandra Degenhart.
La donna si limitò ad annuire una volta nella sua direzione mentre
rimetteva la sua Smith & Wesson nella fondina che portava dietro la
schiena.
Marlin la fissò, per un istante, senza dire nulla.
Annuì anche lei, una sola volta.
Il fantasma di un sorriso apparve sulle labbra di Joandra, poi la donna
si girò e se ne andò, senza dire una parola, lasciando Marlin sola.
“Il suo sorriso non è cambiato.”
Pensò Magdalene, riponendo la propria pistola ed avviandosi verso
l’ufficio di Miller, senza degnare di un altro sguardo il cadavere che giaceva
scompostamente sul pavimento di marmo.
Buffy superò i nastri dei bagagli senza degnarli nemmeno di un’occhiata.
Non sapeva se avesse avuto con sé delle valigie al suo imbarco, ma di certo non
le importava di riprendersele ora.
Voleva uscire di qui.
Semplicemente quello. Non sapeva neanche dove volesse andare, solo che
non voleva più rimanere qui dentro. Le pareti cominciavano a soffocarla, anche
se non provava più quel senso di claustrofobia opprimente che l’aveva assalita
in aereo. I soffitti alti, gli spaziosi interni dell’aeroporto e l’uso
massiccio di vetrate e pannelli trasparanti erano sufficienti a farla sentire
meglio.
Superò l’area bagagli e si diresse verso l’uscita, mescolandosi con i
primi passeggeri, persa nel proprio stupore. Durante le ultime ore di viaggio
aveva cominciato a ricordare più in dettaglio quanto accaduto. Al momento nella
sua memoria c’erano buchi, punti oscuri che non sapeva riempire, che non sapeva
neppure se voleva riempire, ma era riuscita a ricordare abbastanza da capire
cosa fosse successo, almeno a grandi linee.
Faceva ancora fatica a crederci.
No. No. Non voleva crederci.
Si sentiva emotivamente annichilita.
Pensava, ed anche razionalmente, ma non provava nulla.
La cosa la disturbava.
C’era quasi da ridere ad essere disturbati perché qualcosa, qualcosa di
sconvolgente, non disturbava affatto.
Buffy sapeva che doveva provare qualcosa, qualche emozione forte, rabbia
probabilmente, dolore, forse, certamente sorpresa, magari paura. Certamente
incertezza.
Invece non sentiva niente.
Appena superato i cancelli dell’area di arrivo, varie persone salutarono
parenti ed amici venuti a prenderli, dirigendosi verso di loro il più
velocemente possibile, lasciando libero un corridoio centrale tra loro.
Buffy continuava a camminare.
Improvvisamente sentì qualcosa circondarla.
Si tese, stupita, immobilizzandosi.
Non era una minaccia, no, non la percepiva come tale, qualcosa dentro di
lei riconobbe istintivamente che si trattava di una cosa perfettamente sicura.
Nonostante questo la cacciatrice non sapeva bene cosa pensare delle due braccia
che le cingevano il torso.
Al momento non voleva affrontare questa situazione, né alcun’altra se
per questo. Se ne voleva andare, da tutto e da tutti, possibilmente anche da se
stessa.
-Sei tornata! Si sei tornata!
Qualcuno la stava abbracciando festosamente come se fosse… ‘contenta’ di
vederla. Buffy non sapeva come reagire alla cosa. Si sentiva leggermente
infastidita dall’improvvisa limitazione della propria mobilità e dal fatto che
non si stava più avvicinando all’uscita.
Willow la strinse un po’ di più, felice di rivedere la propria amica,
presto raggiunta anche da Xander che abbracciò a propria volta con entusiasmo
la cacciatrice. Giles, Tara e Anya stavano camminando verso il gruppo, ad un
passo più sedato con dei sorrisi accondiscendenti sui loro volti.
“Devo uscire di qui, devo uscire di
qui.”
Buffy non era spaventata dalle effusioni dei due. Non realmente, ma non le
faceva piacere che le stessero così vicino. Non riusciva a capire perché non si
allontanassero.
“Cosa vogliono da me?”
Li spinse indietro, non rudemente ma neppure gentilmente.
“Così va meglio.”
Adesso almeno riusciva a respirare liberamente ed a muoversi senza
intralci.
-E’ bello rivederti Buff.
Disse Xander con un sorriso enorme sul viso mentre la lasciava andare
dopo essere stato spinto via. “Probabilmente
dovrà respirare anche lei.” Pensò, facendo un passo indietro
contemporaneamente a Willow per lasciare alla cacciatrice un po’ di spazio.
-Ci sei mancata.
Aggiunse la rossa. Ed era vero. Sopravvivere alla terrorizzante
esperienza di ieri senza sapere che Buffy era lì per salvarli, che anzi poteva
essere in pericolo lei stessa era stato terribile. Non le era mai capitato una
cosa simile, in qualsiasi situazione si fosse trovata, per quanto brutta, aveva
sempre saputo che l’amica era lì fuori a cercarla. Lei, Xander e Giles.
Ed aveva fatto tutta la differenza.
Invece negli ultimi due giorni i suoi migliori amici non erano stati
neppure in città, e Giles, sempre calmo, padrone della situazione, con una
soluzione per tutto, era rimasto impietrito, oscillando tra l’essere aggressivo
e l’essere reticente, quando Willow gli aveva chiesto indicazioni su cosa fare
o spiegazioni su quanto stesse accadendo.
Era stata sconvolgente come esperienza.
“Fortunatamente Tara sapeva cosa
fare.”
Pensò con un sorriso Willow, mentre stringeva una mano della cacciatrice
per assicurarsi che fosse veramente lì. Era rassicurante la sua presenza.
-Eravamo preoccupati.
Disse Giles con un sorriso raggiungendoli. Non abbracciò Buffy, anche se
voleva farlo. Inutile negarlo. Prima, quando aveva ricevuto la telefonata di
Marlin, era stato uno dei momenti più felici della sua vita. Una delle persone
che contavano di più per lui era sulla strada del ritorno. La sua stessa vita
non era più in pericolo, glielo aveva assicurato Magdalene stessa.
L’osservatore sorrise. Non sapeva come la dirigente fosse riuscita a
farlo reintegrare né come avesse ritrovato Buffy ma non gli importava. Era in
profondo debito con Marlin e lo sapeva, ma non se ne preoccupava.
Era troppo felice e sollevato per farlo.
Nessuno fece caso al fatto che Buffy non aveva detto una parola da
quando li aveva incontrati, né che non avesse un sorriso in faccia.
Nessuno tranne Tara.
Arrivata a meno di due metri dalla cacciatrice la bionda si fermò
improvvisamente come se fosse andata a sbattere contro un muro. “E’… è terribile.” L’aura di Buffy
praticamente assalì i suoi sensi, effettivamente respingendola con la sua
violenza.
Tara rabbrividì. La cacciatrice non stava provando un’emozione, no,
nulla di lontanamente simile. La bionda non sapeva esattamente cosa fosse. Non
aveva mai “sentito” nulla del genere prima. Era come andare a sbattere contro
una lastra di ghiaccio. Fredda, dura ed impenetrabile.
Dopo qualche attimo si accorse che c’era qualcosa sotto quella
superficie. Rabbia, disperazione, paura.
Non riusciva a capire quanto profondi, quanto importanti potessero
essere.
Queste emozioni erano state brutalmente intrappolate sotto questa
superficie.
Ed alla prima crepa…
No, non voleva neppure immaginare cosa sarebbe potuto accadere.
Una cacciatrice in preda ad emozioni simili?
Un comportamento totalmente imprevedibile era il meglio che potesse
scaturire da una situazione del genere.
Un cieca furia omicida, un’ipotesi non improbabile.
Tara sapeva solo una cosa per certo:
Era inquietante.
Veramente inquietante.
Rabbrividì nuovamente e non riuscì a costringersi a fare un passo oltre.
Non voleva avvicinarsi a Buffy.
Non ora.
Né mai più se per questo.
Tara si chiese come gli altri non se ne accorgessero. Per quanto nessuno
di loro fosse empatico tutti gli altri segnali che Buffy emanava erano
terribilmente chiari. Tara notò con facilità la rigida postura del corpo e la
tensione, la mancanza di sorriso e di parole. Quello che le piegava le labbra
era più un rictus che altro. Il suo linguaggio corporeo gridava “lasciatemi
stare” e tutti loro le si affollavano intorno.
La cacciatrice non era felice di vederli.
Affatto felice.
La bionda sentì qualcuno sfiorarla mentre le passava avanti.
“Anya.”
La ragazza si fece più avanti fino a raggiungere il gruppo di amici. Ora
i quattro circondavano completamente Buffy festeggiandone il ritorno, dicendole
quanto gli era mancata e contemporaneamente raccontandole quanto fosse accaduto
in sua assenza. Le voci si sovrapponevano l’un l’altra in un allegro vociare.
Solo Tara rimaneva in disparte, gli occhi spalancati, terrorizzata da
quanto potesse accadere. “Vorrei che
Faith fosse qui...”
Il modo migliore per fermare una cacciatrice era un’altra cacciatrice.
“Od un proiettile al cervello…” come le aveva detto una volte la bruna.“…ma Faith non è qui, ed è stupido rimpiangere qualcosa che non posso
cambiare.” Deglutendo nervosamente la bionda si avvicinò al gruppo fino a
raggiungere Willow.
Aveva paura, molta paura.
Non c’era molto che potesse essere più pericoloso di una cacciatrice senza
controllo.
E la bionda non sapeva cosa avrebbe potuto farla scattare.
Tra l’altro non credeva che al momento a Buffy importasse minimamente di
uccidere o menomare chi le stava attorno se per qualche motivo lo avesse
ritenuto necessario, o solamente comodo.
Tara aveva veramente paura che la sua vita terminasse lì, in un momento,
il proprio corpo spezzato ed abbandonato con noncuranza sul linoleum di un
aeroporto senza alcun motivo apparente.
Sapeva per certo di non voler fare una fine simile.
Tutti i suoi istinti primordiali, le dicevano di scappare ed
allontanarsi immediatamente dal predatore che aveva di fronte, e di farlo il
più velocemente possibile. Una piccola, razionale, parte la tenne immobile al
suo posto. Non voleva allarmare la cacciatrice e certamente non avrebbe
abbandonato lì Willow.
Deglutì nervosamente e fece un passo in avanti sentendosi una completa
pazza per averlo fatto. Ma doveva portare in salvo anche la propria ragazza
oltre se stessa.
Fece un altro passo.
Il suo istinto di sopravvivenza le urlava di scappare. Riuscì a
controllarlo ancora per un momento.
Mentre si avvicinava Tara non si faceva illusioni. Non aveva alcun modo
di fermare il predatore. Sapeva che se Buffy scattava non avrebbe potuto fare
nulla. La cacciatrice era troppo veloce. E loro erano ampiamente nella sua
portata.
Era nella sua portata da prima che cominciasse ad avvicinarsi.
Sarebbero morti tutti prima ancora di rendersene conto, se solo lei
avesse voluto.
Tara sapeva fin troppo bene di cosa Faith potesse essere capace.
E così doveva essere Buffy.
Passando un braccio attorno alla vita della fidanzata, e poi un altro,
la tirò gentilmente indietro, costringendo Willow a lasciare la mano della
cacciatrice.
-Dai Will, lasciamo un po’ di spazio a Buffy, così la soffochiamo.
Riuscì a dirlo con un tono di voce vagamente normale nonostante la paura
e la tensione. Sentiva l’adrenalina a mille scorrerle nelle vene.
La cacciatrice continuava a rimanere tesa, ma stranamente non allerta,
notò con stupore Tara. Non volendo comunque rischiare fece un altro passo
indietro tirandosi dietro la fidanzata. Voleva che Buffy avesse una via di fuga
libera in caso si volesse allontanare. Forse in quel caso non si sarebbe aperta
la strada con la forza.
Forse.
Nessuno degli altri si accorse di nulla. Willow si voltò verso di lei e
sorrise felice. Tara non riuscì a restituire il gesto ma fortunatamente la
rossa si era già nuovamente girata, lasciandosi trascinare un altro paio di
passi indietro.
-Si, hai ragione. Meglio lasciarle un po’ di spazio.
Anche Anya tirò indietro Xander, approvando l’idea. Anche se non sapeva
sulla situazione quanto ne sapeva Tara, aveva notato il comportamento della
bionda, la sua cautela, e la conosceva abbastanza da fare quanto stava dicendo.
Del resto al momento la cacciatrice non le sembrava particolarmente di
buon’umore.
Incurante o ignorante di quanto stava accadendo attorno a lui, Giles
condusse gentilmente Buffy a qualche metro di distanza in un luogo relativamente
appartato, chiedendo con lo sguardo a tutti gli altri di dargli un attimo di
privacy.
Vedendo i due allontanarsi Tara lasciò appena la presa attorno a Willow,
stringendola nuovamente non appena si accorse che le mani le tremavano.
Gentilmente piegò la testa in modo da poter sussurrare nell’orecchio della
fidanzata la proposta di andare a prendere in un bar caffè per tutti. Un
bisbiglio era tutto quello che era in grado di produrre ora che l’adrenalina
stava scomparendo.
Il suggerimento trovò il completo accordo della rossa.
Questa volta, mentre le due ragazze si allontanavano verso il bar, il
sorriso di Tara era sincero.
La cacciatrice seguì senza problemi l’osservatore, un po’ più rilassata
ora che le altre persone si erano allontanate. Si fermò davanti a lui e lo
guardò mentre si toglieva gli occhiali e li puliva nervosamente senza accennare
a parlare.
Buffy lo osservava con moderata curiosità, come si osservano gli insetti
fare qualcosa di interessante ma non particolarmente stupefacente.
L’accoglienza che aveva ricevuto non l’aveva minimamente scossa dal suo
torpore. Le sembrava ancora di star fluttuando in un accogliente nulla.
-Ti devo parlare. –Giles finì di ripulire i suoi occhiali con
particolare cura, evitando di guardare negli occhi la cacciatrice. –Non so come
dirtelo… veramente… vorrei ci fosse un altro modo…
Buffy lo guardava inespressiva, ma l’osservatore era troppo preso dalle
lenti per notarlo. Temeva che la notizia che stava per dare l’avrebbe sconvolta
e non voleva assistere alla scena.
-Non c’è un buon modo per dirlo… Faith è morta. –La ragazza sapeva
vagamente che questo l’avrebbe resa felice fino a qualche giorno fa. Non
riusciva a capire o a ricordare perché ma ora non aveva più quest’effetto.
Lasciò che l’uomo proseguisse senza interromperlo. –Non è stata… non ne è stata
chiamata un’altra… la linea di discendenza risiede nuovamente con te, Buffy.
Sei
Buffy lo guardò a lungo senza reagire. Giles immaginava fosse lo shock
della notizia che le aveva appena dato. Attese paziente, aspettando che la
ragazza assorbisse la novità.
“L’unica… una ragione… forse c’è una
ragione… la mia esistenza non è solo un esperimento… ho un motivo di
essere... sono l’unica… nessuna altra…
quindi…quindi… non posso essere un errore… non posso…
Buffy sorrise al suo osservatore.
-Sono
C’era un tono di stupore nella sua voce constatò Giles.
-Si, si Buffy. Sei di nuovo l’unica cacciatrice. Il mondo ha ancora
bisogno d te. Sei l’unica che può proteggere l’umanità ora.
La ragazza si limitò ad annuire.
Angel si accostò alla parete silenzioso, aspettando pazientemente.
Se gli avessero detto anche solo la settimana prima, dove si sarebbe
trovato oggi, non ci avrebbe creduto.
Del resto non avrebbe neanche immaginato che così tante cose potessero
andare male in così poco tempo.
“Sembra quasi che io sia stato
maledetto.”
Pensò sarcastico.
Sabato scorso, aveva lasciato l’appartamento di Eliza spiegandole che
doveva andarsi ad incontrare a Marsiglia con l’intermediario che aveva parlato
a nome suo con Spike, per regolare alcuni affari.
Tra le righe si intendeva ricompensa.
Si erano salutati da amici e si erano messi d’accordo per rimanere in
contatto, in modo tale che l’immortale gli potesse comunicare il nome del
responsabile dell’attacco a L.A. non appena avesse saputo qualcosa di nuovo in proposito.
Tra le righe si intendeva ricompensa.
In realtà, Angel era andato immediatamente in Inghilterra per cercare di
rintracciare personalmente Spike, visto che era ancora uccel di bosco e tutti i
contatti del vampiro erano tornati una volta ancora a mani vuote.
Così, giovedì notte era andato nuovamente in uno dei pub demoniaci più
“in” di Londra, per cercare informazioni sul suo childe, fortunatamente Spike
non aveva mai creduto nella filosofia di tenere un basso profilo. Se era nei
paraggi le “persone giuste”, lo sapevano. Il che era un’immensa fortuna. Perchè
l’unico modo per controllare l’andirivieni di vampiri e creature demoniache era
chiedere ad altri se li avessero visti od in casi particolari seguire le piste
lasciate da stragi e distruzioni.
Questo perché, per ovvi motivi, nessuno o quasi di loro viaggiava con
mezzi di trasporto umani, era improbabile che un demone di due metri con pelle
blu e squame riuscisse a salire a bordo di un aereo. Inoltre la mancanza di
vere identità, troppi ne si poteva e doveva assumere di alias, rendeva
difficile rintracciare chiunque potesse passare per umano.
Il problema aggiuntivo del cercare un vampiro era proprio il fatto che
erano una delle poche razze demoniache a poter passare per umani. Il che
aggiungevano alle possibili residenze in zone
demoniache o comunque deserte o quasi, la maggior parte delle
possibilità di ricovero aperte agli umani.
Probabilmente seguire le tracce di morte, distruzione, fama e denaro
erano gli unici modi per trovare un vampiro.
Probabilmente questo diceva molto della loro razza e della loro cultura
e di come si fosse sviluppata.
Angel non aveva né il tempo né la voglia di riflettere sull’argomento.
Senza fare domande era entrato nel pub, pagando un giro di birra a tutto
il locale. Ci fu un applauso in suo onore. Che si trattasse di uomini o demoni
quello era sempre il miglior modo per essere accettati.
Scolò il proprio bicchiere in meno di un minuto. Boccale vuoto, Angel
aveva ordinato al bancone uno shot di Jack Daniel. Quello lo finì in un solo
fiato. Era nervoso e preoccupato.
Non era riuscito a trovare Spike, nonostante avesse chiesto informazioni
a tutte le sue solite fonti, senza contare che stava lavorando contro una
scadenza che non conosceva. Ed in tutti gli anni che lo aveva conosciuto Angel
aveva notato la straordinaria capacità del suo childe di andarsi a cacciare in
enormi guai proprio durante questi suoi momenti di assenza.
Con un gesto chiese un secondo shot al barista e ne offrì un altro al
demone Feres che gli stava seduto di fianco. Era una razza amichevole e
probabilmente gli avrebbe dato le informazioni che cercava.
Attaccò discorso e gli ci volle solo una manciata di secondi per
scoprire che Spike non era nei paraggi.
Generalmente era facile rintracciarlo.
Tra i capelli ossigenati, l’abitudine a frequentare assiduamente pub e
locali ed il suo bisogno quasi patologi di essere il centro dell’attenzione,
era facile che venisse notato e ricordato.
Eppure proprio ora, ora che era necessario rintracciarlo prima che
potesse commetter un’enorme sciocchezza, Spike sembrava essere diventato
invisibile.
“Hai fatto proprio un bel casino
questa volta William. E neanche sai in che guai ci hai cacciato…”
Angel era rimasto ancora qualche minuto in quel locale prima di uscire e
tornarsene in albergo. L’ennesimo vicolo cieco. Ormai aveva battuto a tappeto
l’intera Londra, oltre all’aver messo in allerta tutti quelli che gli dovevano
un favore nell’intera Inghilterra, senza contare tutti i mercenari a cui aveva
promesso una ricompensa. Eppure non aveva avuto neppure un singolo risultato.
Il rumore di passi lo riportò al presente.
Se possibile si nascose ancora più nell’ombra.
Erano in due. Lo superarono chiacchierando senza accorgersi della sua
presenza.
Angel allungò una mano e con una mossa esperta ruppe il collo dell’uomo
più vicino a sé. Raggiunse l’altro prima ancora che il suo compagno cadesse a
terra, avvertendolo che qualcosa non andava. Si trasformò e lo morse,
mettendogli una mano sulla bocca per impedirgli di urlare. Qualche secondo ed
anche lui era un cadavere.
“E con questi sono dieci… Non dovrei
incontrarne molti altri prima di arrivare allo studio…”
Aveva deciso di fare una visita al Primo Osservatore appena uscito da
quel pub.
Giovedì mattina Eliza lo aveva chiamato per fornirgli l’identità del mandante
dell’attacco all’hotel. Non sorprendentemente era stato proprio Miller a dare
l’ordine. Angel aveva ringraziato l’immortale per l’aiuto, dicendole che
probabilmente non avrebbe agito prima di qualche giorno, un paio di settimane
al massimo.
In fondo, le aveva spiegato, doveva prendere informazioni sul conto del
Primo Osservatore, della sua dimora e del suo servizio di sicurezza prima di
poter progettare un’impresa simile. In realtà, per raccogliere quelle
informazioni ad Angel erano bastate due telefonate. Le ultime osservazioni le
avrebbe fatte personalmente una volta sul posto.
Angel aveva detto a Eliza che gli ci sarebbero voluti giorni per
progettare l’attacco semplicemente perché doveva ancora rintracciare Spike, e
“convincerlo” a lasciare stare Faith. Quella era la sua priorità al momento.
Impedire che si aprisse un’altra interminabile faida. Del resto, il vampiro era
sicuro che il Primo Osservatore sarebbe rimasto esattamente dove si trovava
anche se avesse dovuto rimandare tutto di settimane.
“Gli Osservatori non sono mai stati granché con i cambiamenti.”
L’ennesimo insuccesso nel rintracciare Spike gli aveva fatto cambiare
idea. Più tempo passava dall’ultimo avvistamento senza utili informazioni, o
tracce da seguire, più diventava improbabile trovarlo.
E più tempo aveva di uccidere Faith e farli precipitare in quella che
prometteva di essere una lunga faida.
Angel aveva realizzato che gli conveniva agire fintanto che Eliza era
ancora dalla sua parte.
Così aveva cambiato le sue priorità, mettendo in cima alla lista il
Primo Osservatore. Lo avrebbe eliminato il più presto possibile per poi potersi
dedicare completamente alla ricerca di Spike. E prepararsi ad un’eventuale
faida contro Eliza in caso non lo avesse fermato in tempo. In entrambi i casi
per il prossimo futuro Spike sarebbe stato al sicuro, del resto se non era
riuscito a trovarlo lui, era improbabile che ci riuscisse l’immortale.
Il che dava ad Angel qualche giorno per risolvere la situazione riguardo
l’attacco di L.A.
Era stata una fortuna che Eliza gli avesse dato il nome del mandante e
la zona in cui si trovava la residenza del Primo Osservatore, senza neanche un
nome da cui cominciare sarebbe stato difficile per Angel riuscire a fare quanto
voleva.
In effetti la segretezza attorno ai propri membri era una delle cose che
rendevano più difficile l’eliminazione completa del Concilio degli Osservatori.
Era raro che nel mondo demoniaco si sapessero i nomi, e tantomeno gli
indirizzi, dei dirigenti. In realtà non si sapeva neanche quanti fossero
esattamente. Molti, non troppi.
Si sapeva però che in caso di attacco ad uno di questi dirigenti
l’intero Concilio si sarebbe adoperato per distruggere completamente il gruppo
che aveva osato tanto. E gli operativi dell’organizzazione, quanto i cacciatori
di demoni, erano cattivi clienti da avere. Soprattutto se si rivolgevano in
massa contro di te. Eliminare una o due squadre di operativi non era
impossibile. Avere l’intero esercito del Concilio contro di te era un’altra
cosa. Il messaggio ai demoni era chiaro e lo era da secoli, era accettata la
perdita di un osservatore, od anche di un buon numero di essi, bastava non
toccare i dirigenti.
Il fatto che le loro identità fossero segrete non rendeva facile la
cosa.
Angel, quando ancora era senza un’anima, aveva pensato a lungo alla
questione.
L’unico modo per togliere di mezzo il Concilio probabilmente sarebbe
stato quello di eliminare tutti i dirigenti e chiunque altro contasse, oltre a
diminuire sensibilmente il numero di osservatori ed operativi rimasti, il tutto
nel più breve tempo possibile. In quel caso, e solo in quel caso, il fatto che
gli osservatori fossero notoriamente dispersi nel mondo sarebbe stato un
vantaggio. Niente rapide reazioni, con un po’ di fortuna il disgregamento
completo del Concilio, anche se questa era una remota possibilità secondo
Angel.
Insomma per riuscire nella cosa
si sarebbero dovute avere molte informazioni dall’interno e una perfetta
organizzazione nel portare avanti almeno una decina di attacchi diversi in
maniera quasi contemporanea, alcuni dei quali con obbiettivi esatti, altri solo
per mietere il numero più alto di vittime.
Non era una cosa facilissima.
E quando il Concilio aveva decretato che tentare di dare la caccia a lui
ed alla sua famiglia era troppo pericoloso, Angel aveva accettato la tregua. E
così era rimasto per secoli.
Con un po’ di fortuna, questo omicidio non sarebbe stato attribuito a
lui, considerando la sua presunta morte e la distruzione di qualsiasi sistema
di allarme e sorveglianza che aveva trovato fino ad ora.
Sarebbe rimasto un “caso irrisolto”.
Probabilmente gli Osservatori avrebbero rintracciato un qualche capro
espiatorio e si sarebbero vendicati su esso.
Eliminate le due guardie, il vampiro continuò l’esplorazione della villa
senza preoccuparsi di nascondere i cadaveri.
Probabilmente la doppia porta in mogano in fondo al corridoio in cui si
trovava, era quella dello studio del Primo Osservatore. La luce filtrava da
sotto, illuminando qualche centimetro di pavimento.
Angel si diresse da quella parte.
Entrando nella stanza notò immediatamente l’uomo dai capelli bianchi
intento nel suo lavoro. L’altro non si accorse della sua presenza, continuando
tranquillamente a leggere qualsiasi documento avesse davanti a sé. Il vampiro
sorrise mentre si avvicinava, sfruttando con naturale facilità il riparo
fornito dalle vaste zone d’ombra lasciate dalla luce prodotta dalla lampada sul
piano della scrivania.
-Buonasera.
Miller alzò la testa di scatto, sorpreso.
-E lei chi sarebbe? E come si è permesso di entrare qui?
L’uomo guardò irritato l’intruso
improvvisamente comparso nel suo studio, senza avere idea di chi fosse. Angel
si limitò a sorridergli senza rispondere alle domande mentre si avvicinava
ancora di più verso di lui. Bastarono un paio di secondi perché il Primo
Osservatore perdesse completamente la pazienza davanti a questo comportamento.
La gente lo rispettava, lo temeva. Il vampiro non lo stava facendo e la cosa lo
irritava enormemente.
-O mi risponde immediatamente o chiamo la sorveglianza.
-Sono tutti morti… -Lo informò lieve il vampiro continuando a sorridere
come se stesse parlando del tempo.
Miller scattò in piedi, sempre più irritato ed un po’ spaventato ora. “Possibile che sia…”. Sapeva che prima o
poi avrebbe pagato le sue scelte, ma perché doveva essere proprio questa sera e
non magari tra uno o dieci anni?
-E così è finita.
Osservò con voce piatta l’uomo, cercando di controllare le proprie
emozioni. Aveva paura ma non voleva mostrarlo. Per uscire da questa situazione,
se c’era una speranza per farlo, doveva rimanere lucido.
-Si, probabilmente si.
Rispose il vampiro.
Miller annuì, come se la cosa non lo stupisse affatto. In un certo senso
non lo faceva. Erano in molti a volerlo morto. Negli ultimi tempi molti di più.
-Immagino sia lei che ti mandi.
Il sopracciglio di Angel si inarcò.
-Lei?
“Che si riferisca a Eliza?”
L’idea lo disturbava. Odiava il pensiero di essere una marionetta
inconsapevole di altri. Decise di scoprire di chi stesse parlando Miller prima
di fare qualsiasi cosa.
-Si, lei. Non avrei mai dovuto dare a quella maledetta donna il posto di
dirigente. Sapevo che prima o poi non sarei più riuscito a contenerla.
Replicò con voce atona il Primo Osservatore.
Angel si limitò a continuare a sorridere anche se quanto aveva detto
l’osservatore l’aveva incuriosito e sollevato dal fatto che non stesse parlando
di Eliza. Dubitava che l’immortale avrebbe rischiato ad infiltrasi nuovamente
in una organizzazione come il Concilio. Anche se per escluderla del tutto
avrebbe avuto bisogno di qualche elemento in più. Era interessante comunque
sapere che Miller era convinto che esistesse un’eminenza grigia nel Concilio,
qualcuno abbastanza forte da farlo fuori e scamparla. Decise di non parlare per
dare al Primo Osservatore al possibilità di continuare.
-Anni fa, Marlin è apparsa dal nulla nel mio studio, in una notte come
centinaia di altre… Un po’ come te. –Miller sorrise senza divertimento. –Mi
disse che aveva la capacità di farmi diventare Primo Osservatore se soltanto
avessi seguito le sue indicazioni, che conosceva persone che le dovevano
favori. Mi spiegò che sarebbe stata un’ottima alleata da avere per la scalata
al potere. Disse che le piacevo, che avevo le carte in regola per diventare
Primo Osservatore. Non le credetti ovviamente. –Lo sguardo dell’uomo si fece
remoto mentre si perdeva nei ricordi. –Quando le dissi molto poco gentilmente
di andarsene, non fece altro che scuotere la testa. “Credevo che fossi più
intelligente per essere arrivato fino a dove sei arrivato” mi disse, ed
aggiunse che se non volevo il suo aiuto potevo sempre morire dirigente, senza
mai arrivare alla carica suprema, che la cosa non faceva alcuna differenza per
lei, che avrebbe scelto un altro. Qualcuno migliore.
Miller fece una pausa.
-La fissai per alcuni minuti penso, soppesando le sue parole,
studiandone l’atteggiamento. Era lì davanti a me, arrogante e sicura di sé,
come se quell’incontro non fosse per lei che una formalità, qualcosa che avesse
già fatto decine di volte e già conoscesse il risultato finale. Le chiesi
allora di dimostrarmi che quanto diceva fosse vero. –Il primo osservatore si
alzò in piedi e fece qualche passo, sempre tenendosi tra la scrivania e la
poltrona. –Mi disse che le andava bene. Me le diede, lì subito, senza un attimo
di esitazione. Erano informazioni confidenziali, cose che solo i dirigenti
avrebbero dovuto sapere. Lei che non era altro che una osservatrice anziana,
addetta a qualcosa di inutile come il reparto finanze ed analisi, al massimo buona
per essere una giocatrice di secondo piano. Qualcuno da mettere in una
posizione utile ma non troppo illustre per potere poi scambiare favori con
altri. –Angel seguiva la storia con crescente interesse. –Da allora seguii i
suoi consigli. Senza più domande. Mi aiutò. Arrivai alla carica di Primo
Osservatore. Le chiese come potessi fidarmi di lei, per avere quelle
informazioni doveva aver tradito la fiducia di qualcuno. E certo non si è mai
fermata davanti all’idea di dover fare del lavoro sporco. Mi rispose che
sarebbe stata dalla mia parte fintanto che il rapporto tra noi fosse mutamente
beneficiario. Lo è stato per anni. –Ci fu un’altra pausa. –Suppongo però che
non le abbia fatto piacere scoprire che qualche ora fa l’ho destituita dalla
carica di dirigente. Soprattutto non dopo quanto accaduto alla riunione di
giovedì scorso. Dovevo immaginare che non avendo più nulla da perdere avrebbe
agito così. Sembra che finalmente l’abbia sottovalutata.
Miller, notando l’aria pensierosa di Angel e confondendola con
disattenzione, tentò di premere il pulsante d’allarme posto sulla scrivania per
chiedere aiuto. Era una mossa disperata, soprattutto se chi aveva di fronte era
stato veramente mandato da chi credeva. Ma non aveva molta scelta.
Si ritrovò con un polso spezzato come ricompensa per lo sforzo.
Soffocò un urlo di dolore.
-Suvvia Miller, stiamo chiacchierando da buoni amici, non interrompiamo
la cosa chiamando altri. Sarebbe un peccato. –Disse il vampiro con un tono di
gentile rimprovero adatto ad un bambino piccolo. L’osservatore annuì. –Bene,
ora che siamo d’accordo, possiamo passare ad argomenti un po’ più seri. –Il
vampiro fissò Miller fino ad ottenere un altro assenso. Ormai sapeva che Eliza
non era Marlin, il giovedì precedente lo avevano passato assieme, da mattina a
sera inoltrata. –Perfetto. Dunque, cominciando dal principio: mi dispiace
dirtelo, ma non sono qui per ordine di nessuno.
La cosa sembrò stupire sinceramente Miller.
-Se non sei qui per suo ordine, allora chi sei?
-Angel, od Angelus se preferisci.
Rispose il vampiro vagamente seccato dal fatto che l’osservatore non lo
riconoscesse. Lui aveva sempre considerato buona educazione conoscere il nome
ed il volto delle proprie vittime. L’uomo di fronte a lui sbiancò.
-Tu sei morto.
-Non che lo possa negare, Osservatore.
Rispose Angel sarcastico. Miller rimase in silenzio cercando una via di
uscita a questa situazione, improvvisamente ancora più pericolosa della
precedente. Questo non era un mercenario che potesse essere comprato.
-Ma tu non uccidi esseri umani.
Il Primo Osservatore si aggrappò disperatamente a questa ultima
speranza. Non voleva morire.
-Mai detta una cosa del genere. Voi osservatori assumete sempre quello
che vi pare. Ho semplicemente un’anima, come tutti voi. E la cosa non vi ha mai
impedito di uccidere.
In effetti la prima volta che aveva ucciso dopo aver avuto l’anima, per
Angel era stato… difficile.
Lo ricordava bene.
Aveva avuto paura, una tremenda paura.
Si era guardato le mani, accorgendosi solo in quel momento di quanto
fossero forti o grandi, e si era chiesto se ne sarebbe stato capace.
Un omicidio e tutto sarebbe cambiato.
Aveva avuto la tremenda paura di cambiare, di tornare ad essere quello
che era prima, un demone assetato solo di sangue.
Ed anche se non si sapeva spiegare perché quell’idea lo ripugnasse
tanto, non voleva farlo. Lo aveva trovato curioso. In fondo avrebbe dovuto
voler tornare ad essere quello di prima, no? Era stato tutto più semplice
allora, era stato tutto chiaro e semplice.
Ma non aveva voluto.
E dentro di lui, da qualche parte, c’era qualcosa che non smetteva di
ripetergli che non voleva dannarsi l’anima nuovamente.
Angel si era infilato le mani in tasca per togliersi la tentazione.
Poi lo fece.
Durò solo un attimo.
Tempo di sfilare le mani dalle tasche e di compiere un veloce movimento,
non impiegando neppure un decimo della propria forza. Una torsione brusca del
collo, vertebre rotte.
L’uomo si era accasciato a terra, ai suoi piedi, esanime.
Angel lo aveva guardato a lungo.
Fissandolo riconobbe la familiare immobilità delle membra, il vago odore
della morte. Non erano sensazioni estranee. Piuttosto erano quasi familiari.
Rimase lì a lungo.
Non accadde niente.
Non ci furono improvvise illuminazioni o dannazioni.
Era stato strano.
Passarono alcuni lunghi secondi
prima che il vampiro ricominciasse a parlare, perso momentaneamente nei suoi
ricordi. Il nuovo sorriso che rivolse al Primo Osservatore non era per nulla
piacevole. Miller cercò di deglutire, mentre la sua mente andava a mille, cercando
un modo per scappare da qui.
E non trovandone.
–Tornando al discorso di poco fa… -Riprese Angel. –Visto che sei tanto
certo della mia morte, suppongo sia stato tu ad ordinarla.
-No, io non c’entro niente.
Negò istintivamente Miller. Angel scattò nuovamente. Sollevò di peso il
Primo Osservatore e lo schiacciò contro la parete, soffocandolo parzialmente
con la mano che gli teneva attorno alla gola. Continuò a sorridere mentre
parlava.
-Non cercare di prendermi in giro Miller. Ti spiego come funziona così
non sbagli più, va bene?
L’osservatore annuì o tentò di farlo nella stretta.
-Io ti chiedo una cosa e tu mi rispondi. Puoi essere molto gentile con
me, non farmi perdere tempo ed avere una chance di sopravvivere. Ovviamente, se
penso che mi stai mentendo abbiamo altre due possibilità. Ti torturo fino a
quando non mi riveli la verità oppure ti trasformo e mi racconti tutto per filo
e per segno visto che diventi un mio Childe. Oppure possiamo fare tutte e due le
cose se preferisci.
Rilasciò la mano per permettere a Miller di respirare un po’ meglio.
L’uomo annuì ancora una volta mentre riempiva i polmoni di aria.
-Chi ha ordinato la mia morte?
-Io, sono stato io.
-Bene, hai fatto un’ottima scelta. –Angel gli sorrise ancora, con quello
che doveva essere un sorriso incoraggiante. In realtà agghiacciò ancora di più
l’osservatore. –Seconda domanda. Perché lo hai fatto?
-Perché sei un pericolo, tu e tutti quelli come te. –Miller prese un po’
di coraggio, la rassegnazione di sapere di star per morire e di non volersene
andare senza infliggere almeno un ultimo colpo a chi gli stava davanti.
–Andreste sterminati tutti, io ho solo cominciato il lavoro. Non siete degni di
esistere!
-I vampiri?
Chiese Angel, il sorriso ora completamente congelato. Non amava sentire
altri progettare lo sterminio della sua razza.
-No, non solo i vampiri ma i lupi mannari, gli altri demoni e qualsiasi
cosa non sia umana… -continuò Miller prendendo forza. –Non siete degni di
esistere…solo gli umani pos…
Angel lo schiaffeggiò prima che potesse continuare. Odiava gli idioti. E
quello che aveva davanti ne era uno splendido esemplare.
-Stai zitto. Quindi mi volevi uccidere solo perché non ero umano? Anche
se non ero un pericolo per altre persone? E così uccideresti qualsiasi cosa tu
non definisca umana, semplicemente perché non umana? Anche se aiutano gli
umani, li proteggono?
-Si certo. –Miller si portò una mano al volto, dove Angel l’aveva
colpito. Usciva del sangue. Si doveva essere tagliato la guancia con i denti.
–Solo gli umani hanno il diritto di vivere!
-Perfetto, davvero, se questa è la tua scelta…
Disse blandamente Angel.
Inutile ragionare con dei bigotti.
Miller lo fissò senza capire. Lo vide trasformarsi nuovamente ed
avvicinare le zanne al suo collo.
-Aspetta, aspetta! –Protestò Miller. –Avevi detto che se ti dicevo la
verità mi avresti lasciato andare!
Angel sogghignò mentre gli rispondeva, ormai a pochi millimetri dalla
carotide. Già poteva pregustare il sangue.
-Beh, ho mentito.