PARALLASSE
di Solitaire
Autrice:
Solitaire
Summary:
Talvolta, sono i pezzi amici che impediscono al Re di sottrarsi allo scacco
matto, ostruendogli ogni via di fuga.
Categories: Telefilm >
BTVS
Characters: Angel, Buffy
Generi:
Drammatico, Fantascienza
Tipologia:
Nessuno
Rating.
VM 16
Avvisi:
E se..., Universo Alternativo, Violenza
Challenges: Nessuno
Chapters: 10
Completed: Sì
Word count: 19559
Parallasse
Zeus
non potrebbe sciogliere le reti
di
pietra che mi stringono. Ho scordato
gli
uomini che fui; seguo l'odiato
sentiero
di monotone pareti
che
è il mio destino. Dritte gallerie
che
si curvano in circoli segreti,
passati
che siano gli anni. Parapetti
in
cui l'uso dei giorni ha aperto crepe.
Nella
pallida polvere decifro
orme
temute. L'aria m'ha recato
nei
concavi crepuscoli un bramito
o
l'eco di un bramito desolato.
Nell'ombra
un Altro so, la cui sorte
è
stancare le lunghe solitudini
che
intessono e disfano quest'Ade
e
bramare il mio sangue, la mia morte.
Ciascuno
cerca l'altro. Fosse almeno
questo
l'ultimo giorno dell'attesa.
Il
labirinto (Elogio dell'Ombra), Jorge Luis Borges
I
Mancavano
ancora molte settimane a Natale, ma la città era già addobbata a festa.
Le
vetrine dei negozi esponevano Babbi Natale e renne sorridenti, e ghirlande di
luci delineavano gli alberi e i perimetri degli edifici.
Il
cammino dei due giovani stava per convergere.
L'uomo
fu il primo a vederla. La sua maggiore capacità visiva gli permise di notarla
quando lei non era altro che un puntino sparso in mezzo agli altri punti della
folla.
La
cacciatrice era su di giri.
Poteva
vederlo fin da quella distanza. Non aveva ancora colpito, quella notte, ed era
nervosa, e pericolosa.
(E
allora perché avvicinarla proprio adesso?)
Perché
non aspettare un altro momento, più tardi, dopo che avrebbe versato sangue,
quando tensione e rabbia si sarebbero dissolte in appagamento e calma e
forse...
(Solo
forse)
...
avrebbe accettato la sua presenza, come aveva sempre fatto finora?
Non
lo aveva ancora visto. Non l'avrebbe visto per qualche altro secondo.
Un
tempo lungo, per lui.
Tempo
sufficiente a cambiare direzione, ad andarsene. A celarsi fra la folla.
Tempo
sufficiente a rimandare l'incontro perché, se non si incontravano, lei poteva
far finta che lui non esistesse.
Continuò
per la sua strada.
"Ciao,
Buffy."
La
ragazza estrasse un paletto da una manica con un movimento che appariva più naturale
del respiro e che, pure, mancava di vera decisione.
"Che
vuoi fare?" le disse "Una chiassata in mezzo alla strada, con tutta
questa brava gente che ci guarda? Gli rovineresti lo shopping."
Buffy
si fermò subito.
Era
stata solo una reazione automatica, la sua. Se fosse stata davvero intenzionata
a combattere, l'avrebbe fatto anche in mezzo a uno stadio affollato.
Aveva
solo bisogno di una scusa per non attaccare.
Si
guardavano, senza muoversi, ignorati dalla folla intorno.
"Facciamo
una passeggiata?" chiese Angel, alla fine.
Buffy
non avrebbe potuto guardarlo con aria più stupita.
Lui
le sorrise.
"Questo
è uno stallo. Possiamo stare a guardarci negli occhi fino a quando uno dei due non
decide di muovere e l'altro gli salta addosso, o smontare la scacchiera e
rinviare la partita."
"Se
è l'unico modo per allontanarti da qui."
Angel
si era già incamminato e lei gli si affiancò. Non abbassò la guardia, mentre
lui sembrava fin troppo tranquillo, così vicino a una mortale nemica.
Non
sapeva che era armato. Una comune, funzionale rivoltella. Non lo metteva al
sicuro, ma gli avrebbe dato una possibilità in più se Buffy si fosse decisa a
fare sul serio.
Lei
era forte, molto più forte di lui e quasi altrettanto feroce. Angel sapeva di
non avere speranza di affrontarla fisicamente e uscirne vivo.
Non
provava nessun risentimento per questo. Si accontentava di prendere
provvedimenti.
Mentalmente,
però, il più forte era lui. In confronto, Buffy appariva quasi senza volontà,
una cosa che si lasciava trascinare dagli eventi.
Che,
a volte, sembrava felice di lasciarsi andare.
Avevano
lasciato il centro ed erano arrivati in uno dei parchi cittadini. Non c'era
nessun altro e cominciava anche a cadere una leggera pioggia.
Buffy
non aveva ancora detto una parola.
Ultimamente
parlava poco. Eppure, quando Angel l'aveva conosciuta, non si poteva farla
tacere. Era un flusso di parole, di risate, di lacrime... Ma con il tempo si
era zittita.
Sembrava
che avesse dimenticato come fare e che, in cambio, avesse imparato lui, che
invece era sempre stato tanto silenzioso.
"Avanti.
Di qualcosa o comincerò a pensare che la mia compagnia non ti piace. Almeno
chiedimi come sto."
"Angel,
ma che intenzioni hai?" sbottò lei.
"Fare
due chiacchiere. Tu, invece? Stai bene? Ti vedo un po' assente. Non va. Non nel
tuo lavoro. Può diventare pericoloso."
Buffy
sorrise con amarezza.
"Non
dirmi che ti preoccupi di questo."
"Certo
che mi preoccupo. Perché non dovrei?"
(...
mi sta prendendo in giro? Non sarebbe una novità. E non sarebbe il solo...)
"Dannazione,
Angel, tu sei uno dei mostri che..."
Angel
si fermò.
"Questa
storia comincia a stancarmi. Io non sono un mostro. I mostri sono quelli che
vivono contro la loro natura. Non è davvero il mio caso. Non si diventa mostri
solo perché si è una minaccia per la sicurezza dei tuoi amichetti umani."
La
pioggia stava aumentando d'intensità. Angel si spostò sotto un albero per
ripararsi. La ragazza, invece, rimase immobile sotto l'acqua.
"Forse
tu sei una candidata migliore a quel ruolo." disse lui.
Buffy
distolse lo sguardo.
"E'
questo che non va? Cominci a pensare di essere un mostro? O qualcuno dei tuoi
amici ti chiama così?"
Buffy
lo guardò a occhi sgranati.
"E'
così, allora?" insistette Angel "Chi è? Xander? Willow? Tutti
loro?"
Ma
come aveva fatto a capire tutto con due parole? E come faceva lei a essere qui?
Però
sembrava tanto facile parlargli.
"Nessuno.
Non a parole. Ma poi, quando mi allontano..." (... quando mi allontano, posso
sentirli bisbigliare alle mie spalle...) "Forse sto davvero diventando un
mostro."
"E'
possibile." convenne lui "Ma, se il problema è questo, esiste il
rimedio. Segui la tua natura. Fino in fondo."
"Allora
dovrei ucciderti."
"Fallo!
O almeno tenta, perché sta sicura che mi difenderei. Ma sei certa che sia
questa la tua natura e non solo un compito che ti è stato assegnato?"
Per
un attimo ci pensò davvero.
Ucciderlo
e farla finita una volta per tutte. Una storia che stava andando avanti da
troppi anni, sfibrando lei, i suoi amici...
Poteva
farcela.
Aveva
sconfitto individui ben più forti di lui. Angel era un combattente micidiale se
messo alle strette, ma non particolarmente forte. Veloce, più che altro, e
disposto a usare qualsiasi trucco...
(...
perché non dovrebbe? La posta in palio è la sua vita...)
...
però era sicura di vincerlo, alla fine.
Ma
la sua mano non si alzava.
Una
volta era stata pronta, una volta sola.
Era
quasi fatta, ma si era trovata a scegliere. Una vita per una vita. Prendere la
vita di Angel, perdere quella di Giles.
Aveva
scelto. Aveva rimpianto quella scelta ogni giorno, ogni giorno aveva
ringraziato d'averla fatta.
L'unica
volta che si era sentita pronta a ucciderlo, l'ultima volta che aveva deciso di
sua volontà.
"Non
voglio farlo." mormorò la ragazza, apparentemente a sé stessa.
"Non
lo vuoi fare... Rassicurante, dal mio punto di vista. E cosa vuoi fare?"
Gli
occhi di lei sembravano quelli di un animale che sta per essere travolto da
un'automobile.
Una
domanda tanto semplice, la domanda che prima e comunque tutti dovrebbero farsi.
Valeva
la pena capire il perché di tanta paura.
"Che
cosa vuoi, Buffy?"
"Che
cosa voglio?"
Angel
appoggiò il volto all'albero, sentendone la vitalità latente sotto la
corteccia.
Decisamente
un punto debole, forse il punto debole, come il punto di rottura di un
cristallo, quello dove si scaricavano tutte le tensioni di struttura, quello
che bastava colpire leggermente per mandare ogni cosa in frantumi.
"E'
una domanda semplice. Cosa... vuoi... tu. Non sai rispondere?"
"Voglio...
Non so."
"Cosa
non sai? Tutti vogliono qualcosa, a meno di non essere morti. Essere belli,
essere ricchi, essere sani... Forse non ci hai mai pensato. No! Non dirmi che
nessuno te lo ha mai chiesto?!"
No,
in realtà. Nessuno si era mai preoccupato di chiederle cosa voleva. Più che
altro si erano sempre limitati a dirle cosa doveva. Adesso, non sapeva che
rispondere.
(...
ho pensato, a cosa volevo. Tante volte. Ma è passato tanto tempo e ora non
ricordo più...)
Non
ricordava e non voleva ricordare.
(...
un tempo avevo una volontà...)
"Ora
devo andare. Non posso più restare qui."
Aveva
un'aria tanto miserabile, con i capelli ormai fradici che le s'incollavano al
viso e una confusione quasi palpabile negli occhi.
"Allora
vai, se devi. Ma non mi hai ancora risposto. Incontriamoci ancora. Non dobbiamo
per forza aspettare che capiti per caso e questo è un bel posto. Nessuno che
disturba, nessuno che costringe a riassumere i ruoli tradizionali."
La
ragazza scosse la testa e fece per andarsene, ma si voltò dopo pochi passi.
"Tu
non hai proprio paura di me, vero, Angel?"
"Sì
che ho paura."
"E
allora perché... Io non ti capisco."
Angel
si avvicinò, poi fece una cosa inaspettata. Le prese un braccio. Non stringeva
e non le faceva male, ma la reazione fu immediata. Sollevò il paletto in un
gesto d'attacco e subito si fermò.
Lui
non la lasciò andare, anche se, in realtà, la teneva in modo da toccarla a
malapena.
Fece
scorrere la mano lungo il braccio di Buffy, tracciando disegni sulla sua pelle,
seguendo con le dita l'intrico azzurro delle vene. Lei restò a fissarlo per
qualche istante, frastornata.
Quando
si rese conto di quello che stava facendo, scostò il braccio e, questa volta,
prima di andarsene, non chiese niente.
*
* * * * * *
Angel
aspettò fino a quando la ragazza non si fu allontanata, poi si diresse nella
direzione opposta.
Quell'incontro
era stato un imprevisto, e Buffy aveva fretta di lasciarselo alle spalle,
pensando che, una volta finito, tutto sarebbe stato superato, tutto sarebbe
tornato alla normalità.
Come
se un avvenimento casuale fosse conclusivo in sé stesso. Qualcosa di isolato,
privo di contesto, privo di conseguenze e correlazioni con tutti gli altri
fatti, un elemento estraneo nel fluire, altrimenti omogeneo, degli eventi.
Ma
gli eventi erano solo un susseguirsi di episodi casuali. Formati, non
disturbati, da essi.
Ci
sarebbe stato un caso che avrebbe dato inizio a tutto.
Prima
o poi. In qualche momento. Adesso.
Buffy
era cambiata.
Era
iniziato lentamente, anni prima. Un'alterazione dell'agire, uno slittamento del
pensiero... Poi i cambiamenti si erano susseguiti a ritmo sempre più rapido.
Lo
sapeva, lo sapeva bene, perché non aveva mai smesso di sentire lei, mai.
Vedere
con i suoi occhi, udire con le sue orecchie...
Erano
cambiati entrambi.
Ma
ci sarebbe stato tempo per far fruttare le conseguenze di quell'incontro. Per
ora aveva altro da fare.
Era
giunto nei pressi di uno dei pochi locali della città.
Intorno
a lui le persone continuavano con le loro compere, le loro risate, le loro vite
brevissime, indifferenti.
Appena
entrato, assunse automaticamente un comportamento conforme a quello degli
avventori del locale.
Giles
si era chiesto spesso come facesse un essere di un quarto di millennio a uniformarsi
e conversare allo stesso livello di ragazzi sedicenni. Non aveva mai saputo che
era solo un meccanismo mimetico, una pellicola superficiale che rifletteva
coloro che lo circondavano, rimandando la loro immagine, e che la sua vera
natura non la mostrava mai, se non alla fine. Cambiava personalità esteriore
come un camaleonte cambiava colore, assumendo l'atteggiamento che ci si
aspettava da lui, come aveva fatto con Giles stesso.
Non
era telepatico, nel senso che non leggeva i pensieri, ma poteva percepire molto
chiaramente i mutamenti di umore e le emozioni negli altri e si adeguava,
accomodando impercettibilmente il suo comportamento fino a che non sentiva di
metterli a loro agio.
Non
funzionava con tutti, naturalmente. C'era sempre chi aveva un'immunità
naturale.
Xander
non aveva mai potuto soffrirlo, ma aveva frainteso i motivi di tanto astio,
credendolo gelosia mentre, in realtà, aveva solo avvertito lo sbaglio al di là
dell'immagine familiare.
Prese
da bere e si sedette.
Questa
notte, qui, non avrebbe trovato Buffy. Avevano preso direzioni diverse in una
specie di consapevole accordo, per non incontrarsi sui territori di caccia.
Osservava
i presenti.
Li
ascoltava.
Come
si muovevano. Come erano. Come si disponevano.
La
rete di legami che intessevano l'uno con l'altro.
I
timbri delle loro voci. Le voci dei loro cuori
Era
al centro di una sfera di suoni e immagini.
Vorticavano
e danzavano, un brusio appena oltre il confine dell'interesse.
Alcuni
erano troppo lontani.
O
troppo diversi.
O
avevano troppa forza, troppa attenzione.
O
parlavano con molte voci che formavano un'Unità.
O
erano quasi... e forse, se non ci fosse stato altro...
Fino
a che...
La
sfera si rovesciò su sé stessa, trasformandosi in un cono sempre più acuto che
aveva come vertice lui e, come fuoco...
Una
donna.
Stava
ballando con un ragazzo, ma non c'era intimità nei loro gesti. Conoscenti
casuali.
Mentre
danzava, l'attenzione della donna era sulla folla, non sul suo compagno.
Era
la sola che considerava, ora. Tutti gli altri si ritirarono in uno sfondo senza
spessore e senza luce.
Lasciava
il suo accompagnatore, tornava a sedersi...
Era
con altre due, ma loro erano solo parte del contesto, solo immagini e voci
nella nebbia. Non lo interessavano.
...
si guardava intorno con una sicurezza che era solo apparenza.
Anche
lei cercava.
Ecco.
Si
era accorta della sua presenza, lo fissava e non cercava più.
Le
sorrise, ma non si mosse per raggiungerla.
Questa
sera il gioco andava così, domani avrebbe potuto essere diverso. Questa sera era
una questione di vita, non di sopravvivenza. Doveva appagare un bisogno diverso
dalla fame.
Per
quello, sarebbe bastato molto meno.
La
donna lo osservava da diversi minuti. Indirettamente, parlando con le sue
compagne, guardando altrove... Ma la sua attenzione tornava sempre a lui, per
periodi sempre più lunghi.
Uno
sconosciuto, per lei. Uno sconosciuto che voleva avvicinare.
Da
tempo, Angel aveva smesso di meravigliarsi per il comportamento tanto insolito
della gente di questa città.
Non
era più stupido che stare a portata di una cacciatrice, in fondo.
Aveva
smesso di stupirsi, ma non di chiedersi.
Effetti
della Bocca dell'Inferno.
Ma
non esisteva nessun inferno. Solo un, come dire, assottigliamento, uno
stiramento nel tessuto elastico della realtà. Un punto dove era più facile
passare da un mondo all'altro.
In
qualche modo, la cosa influiva sui pensieri. Forse stirava un po' anche
l'istinto di autoconservazione. L'ambiente condizionava i comportamenti, a
volte al punto di sconfinare nell'autolesionismo.
Non
sarebbe stato il primo caso.
I
cetacei seguivano i campi geomagnetici come autostrade per orientarsi. Un bel
sistema, sicuro in alto mare. Purtroppo, a volte, fluttuazioni locali portavano
i campi magnetici a intersecare perpendicolarmente le coste. Gli animali
imboccavano queste strade sbagliate e finivano per spiaggiarsi e, anche se li
si trascinava al largo, continuavano ostinatamente a gettarsi sulla riva.
E
perché no?
Loro
stavano solo seguendo i loro sensi, una cosa che doveva sembrare tanto sicura e
collaudata... prima di ritrovarsi a morire su una spiaggia.
Se
fosse stato così anche per gli uomini? Non vedere un pericolo tanto evidente?
Sunnydale
stessa non era nella nostra realtà. Non esattamente.
Era
un po' slittata rispetto al mondo. Non di qua e neanche completamente di là e,
dall'esterno, non era vista del tutto. Né ci si accorgeva di quello che
accadeva al suo interno.
Una
zona di confine, dove non valevano interamente le leggi del nostro universo. O
dell'altro.
La
donna si era alzata e si dirigeva verso di lui.
*
* * * * * *
Buffy
cadde in ginocchio accanto al corpo inverosimile della sua ultima vittima,
asciugandosi il volto sudato.
Non
funzionava. Non funzionava quasi più.
Il
sereno appagamento stava già passando. Il periodo di refrattarietà che seguiva
una caccia riuscita diventava sempre più breve.
Avrebbe
dovuto continuare per protrarlo, ma c'erano limiti temporali a ostacolarla.
Guardò
con rancore l'est che le avrebbe presto sottratto la salvezza, rigettandola nel
vortice confuso di pensieri che si risvegliavano implacabili quando era
inattiva.
che
cosa vuoi?
Ci
mancava solo quella domanda. Non sarebbe riuscita a liberarsene, lo sapeva.
Già
cominciava a corroderla, esigendo una risposta che lei temeva, e la risposta c'era,
sepolta sotto la superficie della coscienza. Una risposta che, da tempo,
bussava insistente, chiedendo di venire alla luce. Qualcosa che aveva tenuto
sotto controllo solo perché nessuno le aveva ancora offerto l'occasione giusta
per scoprirla.
Ma
ora...
Si
alzò a fatica.
C'era
ancora tempo. La venuta dell'alba era lontana.
Strinse
le labbra e cominciò a cercare la prossima preda.
*
* * * * * *
Diane
si voltò verso il suo accompagnatore.
In
qualche modo, il giovane si era fermato e lei se ne era accorta con alcuni
istanti di ritardo, quando già si era allontanata da lui.
E,
in qualche modo, erano finiti in una strada dove non c'era nessuno.
L'uomo
era immobile al centro del marciapiede.
Non
sorrideva, non parlava, non aveva espressione che lei potesse interpretare.
La
fissava e sembrava non sbattere neppure le palpebre.
La...
studiava.
"Che
hai?" mormorò Diane.
"Io
niente. E' tardi."
Gli
si avvicinò di qualche passo, guardandolo bene.
"Cosa?"
"Tra
poco è l'alba."
Aveva
una voce strana. Strano il tono e strane le parole, dette solo per convenienza.
Intese per lei, non rivolte a lei.
La
donna era confusa.
"E
allora? Che succede, se è tardi? Devi tornare a casa o papà ti toglie la carta
di credito?"
Le
fu davanti in un istante. Diane si spaventò di quel movimento così rapido, così
come si era spaventata prima, quando si era resa conto che aveva smesso di
camminare al suo fianco senza che lei se ne accorgesse.
Era
come se non fosse in grado di percepire del tutto le azioni del giovane. O come
se per lui gravità e tempo fossero concetti trascurabili.
La
donna ridacchiò e gli passò una mano fra i capelli. Era nervosa e voleva
superare il nervosismo con quel gesto di cui non si sentiva per niente sicura.
Anche
i suoi occhi erano strani.
Sembrava
che ci fosse del metallo cangiante sotto lo strato scuro delle iridi e le
pupille riflettevano la luce.
Il
gioco di ombre dovute all'illuminazione insufficiente della strada gli
mascherava il viso, riplasmando i lineamenti, conferendogli un aspetto quasi
grottesco.
In
quel momento, lei ebbe davvero paura.
Il
volto sotto le sue dita stava cambiando.
La
fronte si abbassava sotto una pesante e corrugata cresta ossea, le iridi enormi
tenevano ora quasi tutta la superficie degli occhi e, anche nella semioscurità,
brillavano di un oro incandescente.
Diane
allontanò di colpo la mano da lui, dalla cosa impossibile che stava capitando.
Le
sembrò di essere scissa in due.
Una
sé stessaregistrava la scena con gelida impersonalità. Era come assistere
all'effetto speciale di un film.
E
c'era l'altra, quella che viveva di persona, che voleva urlare.
La
voce non usciva.
Voleva
fuggire.
La
stretta di lui la immobilizzava.
Voleva
impazzire, perdere la ragione ed essere inconsapevole di quello che stava
accadendo.
Sentì
ogni cosa, anche il suono del suo collo che si spezzava.
Capitolo
II by Solitaire
II
...
una pianura desolata i cui limiti si perdono alla vista. Terra come ruggine e
ocra bruciata. La luce rossastra del crepuscolo oscura l'aria rarefatta. Nuvole
basse, pesanti, con luminosi orli sanguigni. Non ci sono alberi o erba o altro.
Solo una montagna, una guglia altissima e ripida, interrompe l'uniformità della
pianura. Una presenza si muove oltre l'orizzonte, in cammino verso di lei. Il
vento comincia a soffiare, sibila contro la montagna...
Buffy
aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto di casa sua.
Era
la prima volta che sognava, dopo tanti anni. Uno di quei sogni speciali che
avevano più concretezza della realtà.
Sospirò
stancamente e si girò nel letto.
Era
presto.
La
luce entrava dalle fessure fra le tende e accendeva le particelle di polvere
che galleggiavano nell'aria.
Un
rumore sordo. Un ticchettio scandito e monotono da metronomo.
La
sveglia sul comodino.
Era
una di quelle vecchie, con le lancette.
La
lancetta dei secondi si spostava a scatti e ogni scatto era un battito, ogni
battito più intenso del precedente.
Prese
la sveglia e restò a guardarla con il braccio semisollevato.
Vedeva
i suoni.
Bolle
concentriche che nascevano dalla sveglia a ogni ticchettio e si allargavano
riempiendo la stanza, diventando sempre più trasparenti e inconsistenti man
mano che si gonfiavano, finché non scomparivano.
Una
dentro l'altra.
Anche
se chiudeva gli occhi, continuava a vederle. In negativo, impresse sulle
retine.
Forse
avrebbe dovuto essere spaventata.
Non
esistevano. Il loro passaggio non turbava il fluttuare della polvere.
Forse
questo era il motivo migliore per essere spaventata.
Rimise
la sveglia sul tavolo dopo aver tolto la pila.
Almeno
fosse riuscita a definire quello che provava.
Un'insofferenza
continua
Il
cuore che cominciava a picchiare a ritmo tachicardico
I
muscoli tesi
E
quello che vedeva, quello che sentiva, inevitabilmente, irrimediabilmente...
sbagliato.
Si
rigirò ancora e chiuse gli occhi, cercando di riprendere sonno e annullare il
tempo che la separava dalla sera.
*
* * * * * *
Era
arrivata al parco e si era nascosta il più lontano possibile da dove si erano
fermati a parlare.
Angel
era lì, accanto allo stesso albero.
Sembrava
immerso nei suoi pensieri, ma girò subito la testa nella direzione di lei,
allarmato.
(...
bene. E' un piacere sapere che in questi anni non gli ho dato il modo di
abbassare la guardia...)
Almeno
aveva la soddisfazione di sapere che erano in due a non avere dormito sonni
tranquilli.
Uscì
dal suo rifugio e si diresse verso di lui che, appena la vide, riprese la
consueta espressione tra il divertito e l'indifferente, come se il mondo intero
esistesse solo a suo uso.
"Ancora
qui?" gli chiese.
"Ancora.
Ti aspettavo. Tu, invece? Passi per caso?"
Buffy
era a disagio.
Era
felice di essere qui, con lui, e la consapevolezza di questa felicità la
disturbava. Soprattutto, la disturbava il non poter far nulla per impedirsi di
essere felice.
"Tutto
questo non ha senso." brontolò la ragazza.
"Cosa
intendi?"
"Vengo
qui, parlo con te... E poi? Ci salutiamo e ognuno per la sua strada, a... a
fare quello che facciamo sempre?"
"A
uccidere. Non avere paura delle parole, se non hai paura dei fatti."
"Non
ha alcun senso..." ripeté Buffy.
"Chi
lo dice? E' scritto nel tuo libretto di istruzioni?"
"Cominci
a perdere la memoria? Noi dovremmo combatterci. Non incontrarci, non
chiacchierare."
Per
un attimo, era sembrata
"Perché
no, se è quello che vuoi?" chiese Angel.
"E'
tutto quello che conta per te, vero?"
Ma
era una domanda senza senso e, di conseguenza, non c'era senso nel darle una
risposta.
Lei
cominciò a camminare avanti e indietro.
Il
prato invernale era più fitto e lussureggiante di quanto non fosse nell'aridità
estiva.
Una
specie di mare verde.
C'erano
onde, come nel mare, e c'erano isole, ciuffi di erba più alta e fitta che
emergevano con vitale esuberanza dal terreno.
Buffy
si fermò davanti a un ciuffetto particolarmente rigoglioso.
Con
la punta di un piede, schiacciò il piccolo groviglio vegetale, insistendo fino
a ridurlo a una poltiglia informe di linfa e fibre disfatte.
"Non
abbiamo finito il discorso, l'altra notte." disse Angel, non appena lei
ebbe portato a termine la sua opera distruttiva "Io so cosa voglio. Tu,
invece? Te l'ho già detto una volta. Non lo sai."
"Ero
una bambina. Ora sono cresciuta."
"Sì,
certo. Almeno adesso sai quello che non vuoi. Mi sembri più confusa ora di
quando avevi sedici anni."
"Perché?"
"Non
dovremmo incontrarci, non dovremmo parlare... Però il fatto è che sei qui, con
me, a parlare."
Buffy
gli si riavvicinò.
"E
cosa dovrei fare, secondo te?"
"Dipende
da quello che vuoi."
"Al
momento, credo che tutto mi sia indifferente."
"Allora
è indifferente fare una cosa piuttosto che un'altra."
Lei
si mise a ridere.
"Stai
giocando a fare il gatto del Cheshire con me?"
Angel
la guardò in modo strano, con la testa un po' inclinata e un'espressione
freddamente inquisitiva, come se si trovasse davanti a una cosa bizzarra, ma
non del tutto degna del suo pieno interesse, poi afferrò il ramo sopra di lui e
si issò sull'albero.
La
ragazza seguì tutta quella strana manovra senza fiatare.
"Ma
si può sapere che stai facendo?" chiese alla fine.
"Mi
immedesimo nella parte."
Buffy
cercò disperatamente di non ridere di nuovo. Perché la situazione era ridicola e,
al tempo stesso, non c'era proprio niente di divertente.
"Ti
prego, scendi. Mi fai venire il torcicollo."
"C'è
un magnifico panorama da qui, e, a quanto ne so, tu non puoi avere il
torcicollo. Allora, continuiamo. Perché non mi rispondi? Cosa vuoi?"
Lei
smise subito di sorridere.
(...
ricominci?...)
D'altra
parte, era impossibile che lui dimenticasse e inconcepibile che lasciasse
perdere.
"Io...
Vorrei essere lasciata in pace."
"Se
dici vorrei, implichi che siano gli altri a doverti concedere qualcosa. Le cose
devi volerle da sola. Prenderle, se occorre. Non chiedere."
Il
disagio di Buffy era diventato vero e proprio panico.
"E
poi il tuo desiderio..." continuò Angel "Pace. Un po' generico. Che
intendi? Vuoi startene a casa a guardare
"No...
Voglio stare io in pace... Smettila di farmi domande."
"Smettila
di darmi risposte, allora. Io non posso costringerti a restare, se non vuoi.
Voltati e vattene. Oppure salta su e fammi tacere. O sta lì a guardarmi. O
mettiti a cantare. Visto quante cose puoi fare? La scelta è tua. Io continuerò
con le domande. Eravamo arrivati alla pace. Non ti stai spiegando, Buffy. Mi
sembra di capire che vuoi la pace interiore. Se la cerchi significa che per ora
ti manca. Perché?"
"Ti
stai divertendo? Oppure sei solo stupido? Non riesci a capirlo da solo?"
"No,
non capisco. Spiegami tu. Cosa, non funziona? Il fatto che ti ritrovi a dormire
di giorno? E' uccidere? Ti sconvolge uccidere?"
La
ragazza lo guardò con odio. Angel la ignorò.
"E'
questo? Se potessi, faresti altro? Pensaci bene. Non te ne andresti più in giro
di notte a cercare qualcuno da uccidere?"
Buffy
sentiva la nausea alla sola idea di rispondergli, ma mentirgli era
completamente inutile. Se ne sarebbe accorto subito. Non avrebbe neppure fatto
caso alle parole, se fossero state in contrasto con quello che sentiva. Per lui
le parole erano solo un corollario, neanche tanto importante, di un insieme di
fattori che costituivano una vera comunicazione. Quindi, inutile mentire.
"No,
io... io credo che lo farei lo stesso."
"Lo
credo anch'io. Dunque, al momento fai esattamente quello che vuoi fare, però ti
manca la pace. In cosa dovrebbe essere diversa la tua vita, per avere la
pace?"
"Se
potessi! Hai detto bene. Ecco in cosa sarebbe diversa. Io potrei, ma potrei
anche non farlo."
"Invece
non puoi, perché c'è qualcosa o qualcuno che ti costringe. Ti obbliga. Scusa,
ma che qualcuno possa obbligarti a fare quello che non vuoi è difficile da
credere."
"E
che dovrei fare? Ci sono tutti gli altri. La mia famiglia, il mio Osservatore..."
"Il
tuo Osservatore? Sbagli. Sei tu la sua cacciatrice. Da premiare o punire se si
comporta male. Spiega, Buffy, perché io continuo a non capire. Perché credi che
la tua volontà venga sempre al secondo posto? Perché credi di essere qualcosa
di meno importante di un essere umano? Perché se tu dovessi morire sarebbe
accettabile, nell'ordine naturale delle cose? E accettabile per chi? Per loro?
Per loro sì, certo, ma per te? E' questo che vuoi? Essere una merce di
scambio?"
Era
sceso dall'albero, quasi scivolando davanti a lei.
"Li
ringrazi? Ringrazi Giles per quello che ti permette? Ti senti una privilegiata
per la libertà che ti lasciano? Nel momento in cui qualcuno può concederti,
permetterti, darti libertà... allora è tuo padrone e tu nient'altro che una
schiava. Non esiste un buon padrone, Buffy. Chi ti possiede è tuo nemico,
comunque si comporti con te. Spiega, perché proprio non capisco come puoi
lasciarti rubare la completezza della vita e considerarti fortunata per quei
pochi frammenti che ti restituiscono."
Buffy
si posò le mani sugli occhi.
Angel
era riuscito a condurla su una strada che aveva sempre evitato di percorrere,
tenendola per mano come una bambina, passo a passo... però la strada non
l'aveva costruita lui. L'aveva solo resa accessibile, impossibile da ignorare,
ma la strada esisteva già. Era vecchia di anni, a essere onesti.
Non
avrebbe avuto paura, altrimenti.
"Non
lo so."
"Forse
è un'altra cosa. A certa gente piace fare prendere le decisioni agli altri. E' facile,
nessuna responsabilità. I deboli, ad esempio, o gli incapaci. O i bambini, che
devono rimettersi alle decisioni dei genitori. Nel loro caso però è una fase
naturale. Una volta cresciuti passa. Ma non tutti crescono, vero? Alcuni
preferiscono la confortevole culla. Tu cosa vuoi?"
Buffy
esitava.
Lui
doveva solo farla respirare, darle tempo.
Si
sedette per terra, aspettando con pazienza.
"Anch'io
sono stato un prescelto, lo sai?"
La
ragazza lo guardò perplessa. Si avvicinò e gli si sedette di fronte.
Angel
sospirò.
"Ero
stato scelto dal Maestro per essere..." si interruppe, cercando un termine
giusto. Qualcosa che per lei avesse un significato.
"Il
suo successore?" disse Buffy.
Almeno,
se lo avesse assecondato, avrebbe smesso di tormentarla. E, suo malgrado, la
cosa la interessava.
Non
sapeva nulla del suo passato.
Era
irlandese, era il compagno di Darla, aveva ucciso un sacco di gente ed era
stato maledetto.
Tutto
qui, in quattro parole.
Ma
non poteva essere ridotto a così poco.
Poteva
anche pretendere che Angel avesse cominciato a esistere solo nel momento in cui
l'aveva incontrata, però c'era una vita, prima di quel momento.
Lui
scosse la testa.
"Più
che altro una specie di suo rappresentante. La sua longa manus. La sua faccia
rivolta all'esterno. Il suo killer di fiducia..."
"Ma...?"
"Ma...
nessuno aveva chiesto la mia opinione."
Ora
non la guardava più. I suoi occhi erano fuori fuoco, a osservare qualcosa di
distante.
Sembrava
rabbrividire un po'.
"Hai
visto dove, e come, viveva il Maestro? Rinchiudermi in una specie di corte
medioevale, in mezzo a libri ammuffiti e ridicole profezie, con gente che ti
dice quello che puoi o non puoi fare, vincolato da regole senza senso, e alzare
gli occhi e vedere il soffitto di una fogna, invece di questo." Con un cenno
del capo indicò la volta stellata "E fuori un mondo intero, mai uguale a
sé stesso... Perché avrei dovuto accettare una cosa che non avevo deciso
io?"
"Cosa
hai fatto?"
"Ho
preso Darla e me ne sono andato, lasciando il mio venerabile nonno nel suo antro."
"Come
l'ha presa?"
"Non
molto bene. Ma avrebbe dovuto uccidermi per fermarmi e cosa avrebbe ottenuto?
Naturalmente poteva farlo, ma, in ogni caso, la scelta di essere libero è
sempre stata solo mia."
Buffy
teneva gli occhi fissi sulle mani, sul paletto che rigirava fra le dita.
Un
racconto talmente familiare...
Sentì
la mano di Angel sollevarle il mento, le sue dita passarle sulle labbra, la sua
voce...
"Il
destino ha su di te il potere che tu gli concedi, finché tu glielo concedi e, allora,
ti chiedo ancora... cosa vuoi?"
Stavolta
lei cedette.
"Voglio
che la smettano." mormorò "Voglio che smettano di dirmi cosa fare.
Voglio cominciare a vivere per me, non per loro. Voglio andarmene da qui.
Voglio essere libera..."
"E
cosa te lo impedisce?"
"Cosa?
Il mio..." (... il mio?...)
"Ti
prego, non essere banale."
"Se
non è il dovere, allora..."
"Allora
cosa? Forza Alice, scegli. Il biscotto o la bottiglietta. Cresci! Oppure
diventa piccola piccola e nasconditi."
La
ragazza non riusciva a guardarlo.
(...
perché devi sempre essere così complicato? Perché non dici mai chiaramente
quello che pensi, ma ci giri intorno, ci giochi? Cosa vuoi, da me?...)
"Io
non lo so!"
(...
sì che lo so. L'abitudine, è solo l'abitudine. Sono io, solo io, che mi sono legata
e ho gettato via la chiave delle catene. La colpa è mia e ora non so che fare.
Ho paura. Ho paura di non essere più in grado di liberarmi. Ho paura di non
sapere combattere me stessa...)
"Tu
non vuoi essere libera."
"Non
posso..."
"Non
vuoi!" ripeté lui con durezza "Se si può fare una cosa e non la si
fa, è perché non si vuole."
Due
Buffy si combattevano, da molto tempo, e il loro conflitto stava per arrivare a
una conclusione. Non sarebbe mai tornata quella di prima, ma cosa sarebbe
diventata non era ancora deciso. Ondeggiava al limite di due possibilità. La
nuova Buffy che voleva a tutti i costi vivere, contrastata da quella che si
adagiava nei sicuri binari della consuetudine. Era forte, questa Buffy, gli
anni la facevano forte, ma l'altra era diventata sempre più presente e
sfacciata di giorno in giorno, e ora il loro potere si equivaleva e sarebbe
bastata una piccola spinta per dare la vittoria all'una o all'altra.
"Io
ho un mio posto al mondo!" gridò lei, alzandosi e allontanandosi di
qualche passo.
"Oh,
Buff. Al mondo non importa niente di noi. Se morissimo in questo istante, il
mondo andrebbe avanti, come ieri, come sempre. Se ci uccidessimo a vicenda,
avrebbe importanza solo per noi. E' un gioco, tesoro mio, con il più imparziale
degli arbitri e nessuna regola. Chi perde finisce nel secchio dell'immondizia
della vita. Uno dei tanti scarti. Non importa. Il mondo non fa favoritismi e,
di solito, va come vuole, non come si vorrebbe."
Buffy
chiuse gli occhi per un attimo. Quando li riaprì, Angel era in piedi accanto a
lei.
"Allora
non contiamo proprio niente per nessuno?" gli chiese.
"Contiamo
per noi stessi. Per chi ci sceglie liberamente di amare."
"Il
tuo è un mondo spaventoso, senza speranza..."
"Senza
sbarre."
"Senza
felicità..."
"Sbagli.
Con tutta la felicità che ti permetti di provare."
Allungò
la mano verso il suo volto, ma, prima di toccarla, la lasciò ricadere.
E
lei stava correndo via.
"Bentornata
dal Paese delle Meraviglie, Alice."
Capitolo
III by Solitaire
III
Guardava
sé stessa, riflessa nello specchio.
Carina.
Le avevano sempre detto tutti che era carina.
Non
una grande bellezza. La grande bellezza era stata Cordelia.
Eppure
era lei ad attirare gli sguardi ammirati e le attenzioni di uomini e donne.
Lei.
Solo
carina, con un aspetto rassicurante, indifeso. Fino a quando non guardava con
un certo particolare sguardo. Allora, tutti si affrettavano ad allontanarsi.
Non
sapeva cosa vedevano nei suoi occhi. Non sapeva com'era quello sguardo. Vedeva
solo la paura di chi le era vicino.
Ma,
fino a quel momento, nessuno si sarebbe sognato di temerla.
Una
ragazza così piccola, inerme.
Così
attraente.
Come
Angel. Anche lui apparentemente inoffensivo.
(...
perché quest'aspetto? Perché essere nascosti in un involucro tanto ingannevole?...)
Poteva
capire Angel. Aveva bisogno di irretire e, al tempo stesso, passare
inosservato.
Ma
lei? A chi doveva passare inosservata? Chi doveva ingannare?
Non
vampiri e altri demoni. Loro non si lasciavano fuorviare dall'aspetto. Erano
altre, le cose che guardavano.
(...
da chi ti nascondi? Chi devi raggirare? Chi sei?...)
"COSA
SEI?!" urlò, artigliando lo specchio con una furia che andava crescendo,
come se cercasse di distruggere quell'immagine distorta di sé stessa.
Le
dita piegate ad artiglio scivolavano sulla superficie liscia e adamantina, fino
a quando una fitta lacerante la sferzò, partendo da una mano e risalendo lungo
i nervi sino alla spalla, e sul vetro rimase uno schizzo rosso.
Una
delle unghie si era strappata quasi del tutto, restando attaccata solo a una
piccola porzione del letto ungueale.
La
sofferenza improvvisa cancellò tutta la rabbia, lasciandola solo confusa e
sfinita. Si lasciò cadere sul pavimento e cominciò a piangere.
Faceva
fatica a respirare. Il muco le intasava il naso e le colava il volto,
mescolandosi alle lacrime.
Poco
per volta, il dolore acuto si trasformava in una serie di impulsi sempre più
sordi che le intorpidivano il braccio.
Senza
smettere di singhiozzare, si strinse la mano insanguinata e si strappò del
tutto l'unghia.
*
* * * * * *
Giles
stava riordinando la biblioteca.
Era
un lavoro rilassante, che aveva sempre amato. Se fosse dipeso da lui, sarebbe
stato solo un semplice bibliotecario.
Almeno
così gli piaceva credere, qualche volta. Perché poi si svegliava dai suoi sogni
a occhi aperti e ammetteva con sé stesso che non sarebbe mai riuscito a
adattarsi alla vita tanto tranquilla della sua identità Clark Kent.
Aveva
preso alcuni libri e stava per salire le scale, quando si accorse che Angel era
seduto sulla balaustra dell'ammezzato, intento a fissarlo.
(...
Oddio, ci siamo...) pensò l'Osservatore.
"Ciao,
Rupert. Quanto tempo che non ci si vede."
(...
scappascappavattene... la porta è aperta... puoi farcela...)
Giles
trasse un profondo respiro e si costrinse a restare fermo.
Non
poteva farcela. Poteva sperarlo, ma non crederci realisticamente.
"Stai
tranquillo. Non sono venuto per quello che pensi." disse il vampiro.
"Questo
me lo hai già detto una volta." replicò Giles, cercando di calmarsi
"Da quel momento, tutto è andato a rotoli."
Angel
si guardò le mani.
"Voglio
solo parlare."
"Di
cosa?"
"Buffy."
Certo,
Buffy...
E
di che altro, se no?
Istintivamente,
Giles salì il primo scalino.
Angel
si raccolse un po' su sé stesso e strinse gli occhi.
Azione
sconsiderata.
L'Osservatore
tornò indietro, appoggiò i libri in terra senza perdere di vista il soppalco e
si rialzò, studiando affascinato Angel.
Era
trasformato parzialmente, con aspetto umano e occhi da vampiro. Non lo aveva
mai visto così e gli sembrava anche più spaventoso del solito. Almeno nella sua
vera forma era facile considerarlo per quello che era. In questo modo, invece,
appariva solo come un'inquietante contraffazione.
Se
significava qualcosa, Giles proprio non lo sapeva.
Angel
si mise a raspare la balaustra con gli artigli di una mano. Andò avanti così
per diversi minuti, sistematicamente.
Il
suono scandito ed esasperante del legno che si scheggiava, per qualche motivo,
intrappolò l'attenzione di Giles.
Riusciva
a prestare attenzione solo a quel rumore.
Avrebbe
finito per scavare dei solchi, e allora l'economato scolastico... Cosa gli
avrebbero detto?
Che
pensiero stupido e inappropriato. Giustificarsi con la scuola.
Un
buon pensiero. Bello.
Presupponeva
l'esistenza di un giorno futuro, per lui.
"Cosa
vuoi da Buffy?" domandò alla fine.
"Stavo
per farti la stessa domanda. Cosa vuoi tu, da lei?"
Giles
non disse niente.
Non
sapeva come avrebbe interpretato una sua qualsiasi risposta. Una sola parola o
un gesto sbagliati e quella specie di tregua sarebbe finita all'istante.
Angel
interruppe il suo vandalico grattare.
"Tu
l'ami?" chiese.
Giles
restò allibito.
(...
che razza di domanda...)
Stava
per urlarglielo, ma era meglio assecondarlo se voleva uscirne vivo.
E
non alzare la voce.
Doveva
tenerlo bene in mente, questo.
"Sì."
rispose.
"Sì,
certo. E' la tua bambina, no? La tua bella bambina, tanto forte e coraggiosa...
I bambini crescono, lei sta crescendo. E cambia. Te ne sarai accorto."
"Gli...
gli esseri umani cambiano. Lo fanno tutti." mormorò gentilmente
l'Osservatore.
Angel
non gli staccava gli occhi di dosso.
Giles
non si sforzava di capirlo. Diceva solo quello che credeva lui volesse sentire,
nel modo che riteneva fosse più sicuro.
L'umano
era convinto di avere un controllo su di lui, di poter determinare il suo
comportamento con il proprio. Era convinto che, se fosse rimasto calmo, se
avesse parlato in modo pacato e suadente, ponderando le parole, gli avrebbe
impedito di attaccare. O che, viceversa, lo avrebbe provocato solo con il tono
di voce.
E
tutto questo a prescindere dalla sua volontà.
Ma,
probabilmente, Giles era anche convinto che lui non avesse una vera volontà.
"Non
essere accondiscendente, Rupert. Lei cambia. Sta diventando qualcosa che non
hai mai visto prima."
Giles
era confuso.
Non
lo sapeva. In tutti quegli anni, era stato accanto a alla ragazza, l'aveva
vista evolversi, eppure non aveva mai concepito una simile possibilità.
Non
era Buffy quella che amava, ma l'idea che aveva di lei. Nella mente aveva
sempre un'immagine canonizzata che gli impediva di percepire la realtà.
Neanche
la vedeva, Buffy.
Angel
si sentì sommergere da un rabbioso disprezzo.
Come
poteva dire di amare, se poi non sentiva niente? Chiuso nel guscio del suo io,
isolato, non permetteva a nessuno di raggiungerlo.
Un
povero mutilato, cieco e sordo. Solo.
In
quel momento, la vicinanza dell'uomo gli era insopportabile. Avrebbe realmente
trovato sollievo nel farlo a pezzi e far sì che smettesse di offenderlo con la sua
insensibilità e le sue menzogne. Con la sua solo presenza.
Ma
non valeva la pena sprecare rabbia per una cosa tanto miserabile.
Che
Giles fosse capace o meno di amare non aveva nessuna importanza.
Importava
solo che lui fosse convinto di poterlo fare. Che agisse come se lo facesse
davvero.
"Non
puoi impedire quello che sta succedendo." continuò Angel "Neanche lei
può farlo. Ma potrebbe tentare e questo le farebbe male. Non sai quanto. La
gabbia dove l'hai tenuta chiusa finora è troppo piccola. Si romperà le ali
cercando di volare fuori. Oppure proverà a restare la stessa e il suo spirito
si spegnerà."
"Se
non posso impedirlo, perché sei qui a parlarne con me?"
"Perché
tu sei importante per lei. Hai determinato la sua vita più di chiunque. Anche
adesso che è tanto cambiata... se cercherà di opporsi alla sua natura sarà per
te, se si farà del male sarà per te."
"E
cosa dovrei fare?"
"Niente.
Lasciala andare."
"Così
potrai averla tu? Devi pensare che io sia davvero molto stupido."
"Se
vuoi la verità, io cerco proprio di non pensare a te."
Era
già fin troppo penoso dover essere qui e parlargli, in un modo che potesse
capire.
Penoso
e necessario.
La
cosa più spaventosa che avesse mai fatto era stato uccidere Darla. Era stata
molto più di una madre, o un'amante, o una maestra. Aveva condizionato il suo
essere, aveva posto l'imprinting su di lui. Quello che aveva provato nei suoi
confronti era stato qualcosa di indefinibile. L'inconscio e onnipresente timore
di essere giudicato da lei, il desiderio quasi ossessivo di compiacerla.
L'aveva
uccisa e aveva dovuto farlo alle spalle, perché se l'avesse guardato...
E
l'aveva fatto solo perché in quel momento c'erano di mezzo cose troppo
importanti.
Ora
Buffy si trovava quasi nella stessa situazione e Buffy era fragile. Non aveva
mai detto di no e avrebbe potuto voler esaudire le aspettative di Giles senza
neanche sapere bene perché.
"Hai
davvero un gran coraggio a chiedermi una cosa simile."
La
voce di Giles si era alzata, nonostante tutto l'impegno che ci metteva per tenerla
sotto controllo.
Non
molto. Non gridava, ancora. Ma i suoni oscillavano, fastidiosamente stridenti,
sul punto di rottura.
Si
stava infuriando e faceva sempre più fatica a ricordarsi che voleva restare
calmo.
Angel
si strinse nelle spalle.
"Tu
mi odi. Mi odi al punto di fare del male a lei per colpirmi? Lasciala andare e
forse sceglierà me, oppure trattienila e, alla fine, non avrà più nessuna
scelta."
Una
nuova paura, da parte dell'Osservatore, diversa da quella causata dalla sua
presenza.
Paura
di non essersi mai accorto di quello che accadeva sotto i suoi occhi. E
rimorso. Ogni volta che nominava Buffy, una torbida sensazione di colpa
affiorava nell'uomo.
Questo
andava bene.
Se
solo si fosse sentito abbastanza in colpa...
"Abbiamo
bisogno di lei..." mormorò Giles, più che altro a sé stesso "Dobbiamo
difenderci."
"Da
noi?! Rupert, quanti siete? Cinque miliardi? Sei? Quanti siamo noi? Non lo so,
ma mi meraviglierei se arrivassimo a cinque milioni. Fate sapere della nostra
esistenza e quanto dureremmo? Chi avrebbe bisogno di essere difeso?"
Giles
doveva veramente aver esaurito ogni possibile argomento per perdere così il
controllo della situazione.
Lui
non aveva avuto bisogno di mentire, lo sapevano entrambi.
Erano
pochi i posti al mondo dove i vampiri potevano permettersi tanta libertà
d'azione. Altrove dovevano stare attenti, muoversi con cautela, coprire le loro
tracce.
Quanti
indizi sarebbero serviti a far sorgere una domanda di troppo? Li proteggeva la
leggenda e l'abitudine a considerare certe creature solo come protagonisti
delle fiabe. I grifoni e i draghi marini e i vampiri.
Però
i draghi marini esistevano davvero. Angel ricordava con stupore il primo che
aveva visto, il lunghissimo corpo argenteo, la cresta rossa, la testa d'incubo.
Erano
pesci, naturalmente, ma anche draghi, e se esistevano loro...
Il
passo era breve, troppo breve.
Tutti
loro vivevano sulla lama di un rasoio.
Erano
pochi, dovevano restare pochi, ma gli uomini erano tanti e non dividevano mai
il mondo.
Sarebbe
bastato un niente a farli scoprire, a far superare la linea fra ciò che c'era
stato e ciò che non c'era più.
Giles
lo sapeva bene.
(...
perché non parliamo?...)
Se
avessero parlato...
(...
ha ragione lui. Tempo pochi anni e di loro non rimarrebbe traccia. Gli esseri
umani sono veri professionisti, quando si tratta di estinguere. E nessun
rimpianto, questa volta...)
"Avete
davvero bisogno di lei? Di un'unica ragazzina che vi protegga? E poi, con tutta
la sua buona volontà, che può fare? E' molto abile, qui. Ma quelli che vivono
dall'altra parte del mondo? O dall'altra parte del paese? Persino l'altra parte
del quartiere può essere troppo lontana. La sua efficienza è limitata dagli
spostamenti, mio caro. E' un'autentica goccia nel mare, se mi perdoni il
paragone scontato. Ma non è questo il motivo. Almeno non è il tuo. Tu non la
vuoi perdere. Vuoi che resti insieme a te."
"Tu
sei pazzo!" esclamò Giles "Devi essere impazzito in qualche
momento... Perché diavolo sei ossessionato da lei? Perché non volete accettare
quello che siete?"
Il
vampiro sembrava stanco.
"Rupert,
noi non siamo i simboli di un qualche mitologico conflitto fra luce e tenebre.
Non... non rappresentiamo niente. Siamo solo due esseri viventi, e vorremmo
continuare a vivere."
"Tu
non sei vivo." disse Giles in una puerile puntualizzazione.
"Come
preferisci credere. Tanto non cambia nulla. Buffy è perduta per te, è perduta
per voi tutti. Vuoi che si perda anche per sé stessa?"
*
* * * * * *
Lei
aspettava, accovacciata davanti a una tomba.
Capitava
sempre più di rado che riuscisse a catturare un vampiro. Ormai, la maggior
parte delle sue prede era costituita dalle strane creature che infestavano la
città.
La
popolazione di vampiri era stabile e forte, più forte di lei. Non le permetteva
di attentare impunemente alla vita dei suoi membri.
Quelli
che uccideva erano, di solito, solo quei nuovi arrivati che non erano prima
eliminati dai padroni di casa o accettati fra essi.
Capitava
anche più raramente che trovasse qualcuno qui.
Quando
Angel aveva preso il potere aveva fatto piazza pulita anche di questa usanza e,
ora, quasi tutti i vampiri portavano via quelli che trasformavano, per farli
risvegliare nella sicurezza dei loro rifugi.
Lui
aveva radicalmente cambiato le abitudini della sua gente.
No.
Forse no. Forse aveva solo restituito loro la normalità.
Doveva
essere così che si comportavano nel mondo di fuori, dove non potevano certo
lasciare trovare individui apparentemente e inspiegabilmente morti nelle mani degli
investigatori umani.
Questo
doveva avere un sire tradizionalista. O, forse, solo noncurante.
Non
era nemmeno presente.
Vide
la terra sussultare.
Dimenticò
subito ogni oziosa considerazione con cui la sua mente aveva divagato e,
mordendosi le labbra, cominciò a scavare freneticamente.
Una
mano apparve fra schegge di legno e frammenti acuminati di metallo.
Lei
aiutò ad allargare il varco, senza curarsi dei tagli che si procurava e del
dolore all'unghia strappata solo poche ore prima, aprendo la strada alla figura
che a fatica cercava di riemergere.
Finalmente
il vampiro fu libero. Un ragazzo di circa sedici anni che si guardava intorno,
confuso e sfinito, inginocchiato carponi sul bordo della fossa.
Buffy
lo rovesciò sulla schiena e lo trafisse con uno dei frammenti della bara.
Capitolo
IV by Solitaire
IV
...
ora la pianura è quasi buia. Può vedere bene solo la montagna, attaccata dai
venti urlanti che ignorano lei, ignorano ogni altra cosa. Le nubi si rompono e
inizia a nevicare. Nella luce del tramonto i fiocchi sembrano gocce di sangue.
Cadono sulla sua pelle, ognuno ferisce come un ago di ghiaccio. La presenza
oltre l'orizzonte avanza con le ombre. La sua venuta è prossima...
*
* * * * * *
Non
era mai venuta fin qui.
(...
mai?...)
Sì,
una volta, una volta sola. Non proprio qui, ma vicino. I moli, comunque.
Ma,
dopo di allora, non era più venuta.
Faceva
male, all'inizio, ricordare la sera in cui aveva (avevano) camminato sui moli e
credeva (credevano) di stare insieme per l'ultima volta.
Avevano
avuto ragione, e avevano avuto torto, anche.
Una
volta era stato il dolore a tenerla lontana. Ma il dolore era passato con il
passare degli anni e, da tempo, ricordare non faceva più male.
Ora
poi non aveva proprio più bisogno di ricordare. Lui c'era sempre, vivo. Poteva
vederlo, poteva toccarlo, durante quelli che stavano diventando appuntamenti
quotidiani, ed era questo che importava, non il passato.
Era
sempre più difficile credere che un tempo era stato diverso. Per lui, per lei.
Era
difficile e, sempre più spesso, non si soffermava più sui ricordi.
Un
sogno. Tutto il suo passato era un sogno che andava offuscandosi.
Aveva
fatto male. Per questo non veniva.
Adesso,
che non c'era più dolore, era l'abitudine. Non veniva per abitudine. Per tanti anni
aveva evitato i moli e, per abitudine, continuava a evitarli.
Tanto,
a nessuno importava di quello che succedeva qui.
Alcune
prostitute le lanciarono occhiate distratte, mentre volgeva le spalle ai moli e
si dirigeva nelle vie strette del quartiere portuale.
C'era
gente, per le strade.
(...
troppa gente...)
I
più la guardavano incuriositi.
Una
ragazza sola, in un luogo dove le ragazze sole avevano in genere un protettore
che le sorvegliava, vestita come per una scampagnata, con qualcosa di
innegabilmente diverso, innegabilmente sbagliato rispetto a loro, rispetto a
quel posto.
Ma
smettevano subito di guardarla. Non erano affari loro.
Ora
non aveva più bisogno di evitare questo luogo.
che
cosa vuoi, Buffy?
La
sola domanda che avesse mai voluto sentirsi fare, e a fargliela era stato
proprio lui.
Le
sarebbe piaciuto credere che l'avesse fatto per lei, ma Angel stesso si sarebbe
messo a ridere a una simile idea.
Non
le aveva più rivolto quella domanda, dopo le prime volte. Non ne aveva più
bisogno, perché lei non poteva più dimenticarsene.
Però
non aveva ancora risposto.
che
cosa vuoi?
Ancora
più addentro i vicoli, fra rigagnoli di liquami non identificabili, in strade
man mano più vuote... almeno in apparenza, perché nascosti fra cassonetti e
scantinati erano tanti a gestire i loro affari. Dietro le porte sentiva gli
spacciatori trattare il prezzo delle dosi, negli androni i drogati si
iniettavano il loro inferno personale nelle vene.
(...
perché scegliere un modo tanto lungo per suicidarsi? Ci sono mezzi più rapidi,
più efficienti...)
Questo
era il territorio di un male diverso, meno antico, meno innocente. Interesse,
non bisogno.
Una
voce raspante dietro di lei.
"Ciao,
bella."
Un
uomo.
Solo.
Debole.
Non
un pericolo, non un bersaglio.
"Chi
stai cercando?"
Continuò
a camminare, senza guardarlo.
L'uomo
le si avvicinò, le prese un braccio.
"Dico
a te, troia. Mi ascolti? Perché non mi ascolti?"
Sentì
il tanfo pungente del suo corpo non lavato, di qualcosa che aveva bevuto.
Lo
scostò con una spinta e si allontanò.
Lui
brontolò ancora, con il suo tono gorgogliante da ubriaco.
"Non
sono nessuno, per te? Non sono nessuno..."
La
sua voce la seguiva ancora, facendosi sempre più lontana.
Ora
aveva cominciato ad attendere il momento in cui l'avrebbe visto con la stessa
agitata impazienza con cui lo aveva aspettato da ragazzina, durante il tempo
dei sogni.
Fu
presa quasi di sorpresa.
L'uomo
la spinse contro un muro. Aveva un coltello in mano e doveva credersi
invincibile. Non ebbe neanche il tempo di puntarglielo contro.
Buffy
lo colpì al torace, scagliandolo al suolo.
Aveva
agito senza pensare, automaticamente. Una semplice azione-reazione. Riacquistò
la ragione appena il nemico cadde a terra e smise di essere una minaccia.
Funzionava
sempre così. Un meccanismo di autodifesa ben collaudato. Fino a quando era in
pericolo, il suo corpo agiva in modo autonomo, indipendente dalla volontà. Poi
riprendeva il controllo delle azioni, e poteva decidere che farne
dell'avversario.
Si
era sempre fermata quando si trattava di esseri umani, zittendo la voce che la
incitava a colpire fino a sentire la vita del nemico spegnersi sotto le sue
mani. Ma non aveva mai smesso di sussurrare, quella voce, e lei aveva solo
potuto turarsi le orecchie, fingendo di non sentirla, fingendo di non sapere che
cacciare non era un dovere, ma una necessità. Vergognandosi ogni volta che il
pensiero sfuggiva al suo controllo, disgustata dall'appagamento che sempre
seguiva una caccia riuscita...
che
cosa vuoi?
...
tremando nel sapere che ogni anno che passava l'appagamento diventava sempre
più grande, e più breve, e bastava sempre meno, e il controllo sempre più
debole, cercando in qualche modo di aggrapparsi al pensiero che era solo il suo
dovere, cercando di restare... Cosa?
Le
ore del giorno erano sempre più lunghe, nell'attesa della notte, e la voce non
sussurrava più. Urlava.
Questa
volta non volle zittirla.
Torse
il braccio del suo assalitore che si era rialzato boccheggiando, e sentì lo
schiocco dell'omero dislocato. Gli strappò il coltello dalla mano e lo lasciò
cadere a terra.
Era
tanto diverso dai suoi soliti avversari. Al primo colpo aveva sentito le
costole fratturarsi sotto il suo pugno, poi un braccio, e quasi non se ne era
accorta.
Così
fragile e inconsistente. Come un fantasma.
I
vampiri invece poteva colpirli e colpirli e sembravano assorbire la sua forza.
Erano
concreti. Si muovevano alla sua stessa velocità, sul suo stesso piano.
Questo
restava quasi immobile. Non reagiva.
Continuò
a colpirlo, senza fretta, senza rabbia, con distaccata concentrazione.
Capitolo
V by Solitaire
V
Come
sempre, la stava aspettando.
Chissà
se era qui ad aspettarla anche le sere in cui non si era fatta vedere oppure se
sapeva esattamente quando arrivare.
In
qualche modo, Buffy era convinta che fosse quest'ultima l'ipotesi giusta.
Lei
stringeva in pugno il solito paletto, ma Angel cominciava a considerarla
un'abitudine più che una vera minaccia. Un po' come mettersi l'orologio al
mattino. Ma non lo perdeva mai di vista.
La
cautela. Anche quella era un'abitudine. Un'ottima abitudine.
Era
quasi sicuro che non gli avrebbe fatto del male, ma era sul quel quasi che non
voleva giocarsi la vita.
Camminava
su una linea sottile. Ogni volta che la incontrava avrebbe potuto dire la cosa
sbagliata, fare la cosa sbagliata.
Essere
lei, nella giornata sbagliata.
Meglio
esserne sempre consapevole.
Questa
volta nessun convenevole. Buffy aveva qualcosa da dirgli, qualcosa che non
poteva aspettare. L'urgenza non lasciava posto ai saluti.
"Ieri
sera ho ucciso un uomo." disse la ragazza.
Isolata
dal contesto Buffy, la frase non aveva rilevanza, se non come un dato di fatto.
Ma lei era qui a parlarne e questo era molto rilevante.
"Hai
cancellato le tue tracce?"
"Sì."
"Ora
ti senti male?"
"Non
sento niente."
"Ti
senti male per questo?"
"Non
sento niente, ti ho detto. Quell'uomo mi ha attaccata, io mi sono difesa. Avrei
potuto fermarmi in qualunque momento, non era più un pericolo per me. Non l'ho
fatto. Tutto qui."
"No,
non è tutto qui, o adesso non cercheresti di spiegarti."
Buffy
si tirò indietro i capelli in un inutile gesto di confusione.
"Sai
qual è la differenza fra uccidere un uomo e uccidere un vampiro o una di quelle
cose che girano qui intorno? Io. Sono io la differenza. I miei occhi fanno la
differenza. Un vampiro morto è solo cenere. Non resta nulla da guardare. Un
demone... qualche volta resta, ma spesso non riesco neppure a capire cosa sto
guardando. Quello che non vedi, o vedi e non capisci... è come se non ci fosse.
Perché è questa, la differenza. La paura di vedere e riconoscere qualcosa. Ma
questa volta ho voluto guardare e non ho visto nulla che potesse farmi paura.
Se fossi stata cieca o avessi sempre chiuso gli occhi... non ci sarebbe mai
stata differenza."
Doveva
dirgli anche il resto e questo era difficile.
"Sono
stata io a cercarlo. E' stato lui ad attaccarmi, ma io lo volevo. Sono andata
in un posto dove era quasi inevitabile che succedesse una cosa simile. Ho fatto
apposta."
"Vuoi
che ti faccia le mie congratulazioni per esserci riuscita così bene al primo
tentativo?"
Il
tono della voce di Angel la scosse.
Che
si aspettava? Che la giudicasse? Non avrebbe trovato nulla da giudicare in
quello che aveva fatto.
Che
le offrisse una spalla su cui sfogarsi?
"Oh,
Buff. Piangi su un uomo che hai ucciso, ma per chi piangi realmente? Per lui o
perché hai scoperto di poter fare quello che credevi inconcepibile? E di farlo
con tanta facilità?"
Lo
guardava a occhi spalancati, Buffy. Sembrava sul punto di rispondere, poi di
cambiare idea, e poi decidersi, finalmente.
"Non
mi importa. Non riesce a importarmi. Lo so che dovrei stare male, o provare
colpa, o... qualcosa del genere... ma non ci riesco. Sapere quello che dovrei
provare non me lo fa provare. Non posso farci niente. Devo persino sforzarmi
per continuare a pensare a quell'uomo perché, se non mi concentro, mi viene in
mente solo che è notte e che finalmente sono fuori di casa e sto per andare a
caccia. Facile... è la parola giusta. E' anche fin troppo facile conviverci."
Forse
lei sarebbe uscita indenne da quest'esperienza. Angel ne era quasi sicuro.
Si
credeva tanto di avere dei limiti, ci si poneva dei limiti, per poi trovarsi a
superarli così semplicemente. Niente rulli di tamburi o tuoni e fulmini o
effetti speciali a segnare il momento. Un attimo prima non avevi ancora fatto
una cosa, l'attimo dopo sì.
Facile.
Avrebbe potuto dirglielo anni prima, lui.
Era
un esperto in limiti superati. In limiti ignorati.
"Quindi,
alla fine, è davvero questa mia natura. La sola cosa per cui esisto, il solo
modo in cui mi esprimo."
Curiosa,
la voce di Buffy. Non c'era rassegnazione o amarezza o, anche, compiacimento.
C'era, invece, quasi sollievo.
"Nessuno
nasce per uccidere, Buffy. Si nasce solo per vivere."
"Allora
perché mi sento così... bene?"
"Perché
siamo liberi."
"Non
capisco..."
"E'
un compenso. Un incentivo a vivere quello che siamo. Un mezzo per assicurare la
nostra esistenza nel modo migliore, nel più collaudato. Se non avessimo scelta,
il compenso non servirebbe. Se fossimo solo macchine, non ci sarebbe bisogno di
nessun incentivo. Però non siamo macchine e possiamo sempre scegliere. Anche di
essere infelici. Anche di farci del male. Non è per questo che vorresti
sentirti dire che esiste una specie di... programmazione a cui non è possibile
sottrarsi? Se sei in grado di fare qualcosa che credi impossibile, significa
che non lo è, quindi non ha senso preoccuparsi della presunta impossibilità.
Quanto a ciò che è realmente impossibile, è la sua stessa natura che ti
impedisce di violarlo, quindi anche di questo è inutile preoccuparsi. Ma non
usare la scusa di non essere stata fermata. Non usare la scusa
dell'inevitabilità. La causa sei tu. Se non lo avessi fatto, la causa saresti
stata tu. Lo hai fatto perché lo hai voluto e non c'è nulla se non il nostro
volere. Non troverai altro a fermarti."
Buffy
sembrò perdere un respiro.
"Io
non sono come te!"
"No.
Certo che no. Non sei come me. Ma è sempre da me che vieni, come ieri, e
l'altro ieri. Notte dopo notte, fino a quando possiamo tornare indietro? Ne hai
forse parlato ai tuoi amici?"
Lei
lo guardava con un'espressione strana. Non paura, o fastidio, o disprezzo. Ma
c'era un po' di tutto questo.
"No,
naturalmente."
"Naturalmente
no." sembrò canzonarla lui.
Buffy
fece una smorfia che forse, nelle sue intenzioni, doveva essere un sorriso.
"Ieri
sera... il desiderio di colpire era superiore a quella di fermarmi. Non c'era
neanche, quello di fermarmi. E' così, sempre. Per questo lo faccio, per questo
vado a caccia. Perché... non ho nessuna ragione per non farlo."
"Sarebbe
meglio averlo ucciso perché Giles ti aveva assicurato di aver trovato il suo
nome in cima all'elenco della prossima apocalisse? Sarebbe meglio averlo ucciso
seguendo la tua fede, piuttosto che la tua volontà?"
Buffy
sospirò. No, forse no. Ma le sarebbe sembrato più... naturale.
"Sei
come Giles. Come il Maestro." sibilò Angel "Credi che esistano modi
giusti o sbagliati per fare le cose, piuttosto che modi più o meno
funzionali."
La
ragazza chinò la testa.
Forse
non si rendeva nemmeno conto che, in certi momenti, smetteva di sorvegliare
Angel.
"Quando
tutti continuano a dirti che sei una certa cosa, alla fine ci credi anche tu,
anche se senti che non è vero, che la realtà è diversa... Finisci con il
pensare che gli altri hanno ragione e sei tu quello in errore. Ti chiedi allora
dove sei sbagliato e cosa puoi fare per rimediare... Ma se avessero ragione?
Sono davvero sbagliata, rispetto a tutto. Non sono come te, non sono come loro,
non sono come nessuno. Una singolarità. Un mostro. Qualcosa che non ha una sua
esatta connotazione."
"Sarai
sempre sbagliata, finché ti chiedi se sei giusta rispetto a quello che sono gli
altri. Finché non ti chiedi cosa è giusto per quello che sei tu."
"Io
non lo so più, cosa sono."
"Non
lo hai mai saputo."
"Credevo."
"Questo
non rendeva quello che credevi più vero."
"Lo
rendeva più facile."
"Lo
rendeva soltanto falso. Buffy, tu eri solo un'affermazione a cui tentavi di
adeguarti."
La
ragazza non aveva intenzione di cedere.
"Almeno
era un'idea a cui potevo aggrapparmi. Sarà stata falsa, ma era un punto fermo.
Ora non ho niente. Forse sto anche sparendo. Se non c'è nessuno come me, se
nessuno può riconoscermi, come faccio a dire di esserci? Sai, ogni tanto non mi
sento presente. A te è mai capitato? Ti è mai sembrato di non esistere?"
"Sì.
Per parecchio tempo."
"Già...
Ti sentivi così solo che, appena ritrovata la tua famiglia, l'hai sterminata. E
quelli che non hai ucciso con le tue mani, hai fatto sì che fossero uccisi da
altri."
Questa
volta, Angel non replicò.
"Non
hai mai mancato di fare notare quanto soffrissi, ma non capisco perché. Per
cosa, avresti dovuto soffrire? Per il rimorso? Un secolo di rimorsi?! Non farmi
ridere! Non sai che vuol dire fare quello che ho fatto ed esserne
consapevoli... E' quello che mi hai detto. Che significa? Che tu, ora, non sei
consapevole? Angel, io guardo nei tuoi occhi e non vedo inconsapevolezza. Vedo
qualcuno che sa perfettamente quello che fa. Cosa che non fai che confermare
con ogni tua parola."
"Fa
piacere vedere che non perdi le vecchie abitudini di decidere sulla vita
altrui."
"Così
non rispondi, angelo mio. Mi dici solo quello che so già. Allora, per cosa
soffrivi? Ma soffrivi, poi, o volevi soltanto macerarti
nell'autocommiserazione? Oppure volevi schivare la freccia? Avevo una balestra
in mano e il dichiarato intento di ucciderti. Mi avresti detto qualsiasi
cosa."
Angel
le sorrise.
"Qualunque
cosa facessi, qualunque cosa pensassi, mi riportava a ricordi di qualcosa che
avevo fatto nel passato, uno dopo l'altro, una serie infinita, fino a quando
non potevo neanche più sapere cosa stavo facendo o pensando. Esistevo solo per
contare gli istanti, nel sollievo per ogni istante già passato, nel terrore di
sapere che non sarebbe mai passato, che sarebbe rimasto per sempre impresso in
me e in qualsiasi momento lo avrei potuto rivivere. Non vivevo, annegavo nel
ricordo di quello che avevo vissuto."
"E
allora, se era insopportabile come pretendi, perché sei ancora al mondo? Perché
non ti sei ucciso, invece di strisciare nelle fogne a covare il tuo dolore?
Soprattutto, invece di venire qua a rovinare la mia esistenza?"
Lui
la guardò come se avesse detto qualcosa di inconcepibile. Inconcepibile anche
solo da pensare. E disgustoso, come se, in qualche modo, ci avesse invece
pensato.
"Non
potevo fare altro."
"Ah,
no! Lo hai detto tu. Ci sono sempre scelte. Potevi restartene con Darla. Almeno
non saresti stato... solo."
Una
reazione, in lui. Un'incresparsi nella sua serena calma. Qualcosa che, per
Buffy, equivaleva a una dichiarazione. Nemmeno a lei le parole erano
necessarie.
"Oppure
no? Sai, ho sempre avuto la stupida idea che fossi stato tu ad abbandonarla.
Non ricordo esattamente se mi avevi detto una cosa simile o se l'avevo
immaginata da sola. Però è quello che ho sempre creduto. Ma, ora che ci penso,
non è ragionevole. Non potevi cacciare, non potevi difenderti degli umani, non
potevi provvedere a te stesso. Avevi bisogno di Darla, non l'avresti mai
lasciata. Era lei che non aveva bisogno di te! E' successo così, vero? Si era
accorta che il suo giocattolo era rotto e lo ha buttato via."
Questa
sera, per la prima volta, Buffy era riuscita a zittirlo.
Non
sapeva perché, ma funzionava. Ed era facile...
"Tu
avevi già fatto la tua scelta, Angel. Non è stato un caso. Sei venuto qui
sapendo proprio quello che volevi fare. Me lo avevi anche detto, una delle
prime cose che mi hai detto. Uccidere loro, ucciderli tutti. Mai una volta che
ti fossi disturbato ad aiutarmi, se non quando c'erano di mezzo i tuoi simili a
cui fare la pelle. Ti interessavano solo loro. Potevo trovarmi contro le cose
più assurde e pericolose e tu non alzavi un dito. E io non avevo capito...
Avete ragione. Noi siamo davvero stupidi e lenti come ci considerate. Ci ho
messo anni ad accorgermi di quello che mi avevi messo davanti agli occhi fin da
subito."
...
come una strada in discesa.
Buffy
si accorse che Angel stava piangendo.
Forse
lo faceva da un po'. Non era facile accorgersi di quando un vampiro piangeva,
se non lo si guardava bene e, per quanto possibile, lei non lo aveva guardato
in faccia.
Niente
occhi gonfi o arrossati, niente singhiozzi o gemiti. Solo lacrime.
Non
la stupiva vederlo piangere. Angel non aveva le inibizioni di un maschio umano.
Per lui piangere non era un segno di debolezza o qualcosa da nascondere.
La
stupiva però il motivo.
Avrebbe
dovuto lasciarsi scivolare tutto sopra e invece...
Certe
volte le cose erano davvero sorprendenti.
Gli
diede un'ultima occhiata e gli girò le spalle, allontanandosi.
"Buffy!"
Lei
si voltò e lo vide a pochi passi di distanza.
"Non
sono venuto per Darla, non sono venuto per te. Io avevo una vita e quella vita
mi era preclusa. La rivolevo."
Le
parole di Angel fecero fatica ad assumere un significato. Per un po' restarono
solo suoni senza senso, ma poi...
"Che...
vuoi dire?"
"Dovevo
trovare una soluzione. Non potevo più vivere in quel modo. Mi trascinavo,
giorno per giorno... e i giorni sono tanti nell'attesa dell'eternità. Avevo
tentato ogni cosa, anche Darla aveva tentato, ma era stato tutto inutile. Io
ero inutile, lei non poteva tenermi. Mi sono avvicinato a voi sperando che,
accanto a un Osservatore, avrei trovato qualcosa in grado di aiutarmi. In un
certo senso avevo ragione, solo... non come credevo."
Il
cuore di Buffy era ghiaccio, solo un altro piccolo colpo e sarebbe andato in
frantumi.
(...
non pensarci. Ascolta, ma non pensare a cosa significano le sue parole...)
Strano,
riusciva a ragionare lucidamente. C'erano domande da fare...
(...
questo è importante...)
...
perché, nel momento in cui non ci sarebbero più state domande, il significato
di quello che Angel le stava dicendo avrebbe sciolto il blocco vetrificato del
suo cuore e cosa sarebbe successo allora... non lo sapeva.
"Non
hai pensato che avrei potuto ucciderti subito?" mormorò.
"Allora
non hai capito. Io stavo già morendo. Qualche volta, mi ritrovavo a pensare che
quello che ricordavo del mio passato non fosse davvero mio, che passato e
presente fossero testimonianze di due vite diverse. A pensare a me come a... un
altro... all'Altro. Mi svegliavo e quello che chiedevo era... ‘Chi sono'. A un
certo punto, non sapevo più rispondermi. Avevo cominciato a credere davvero che
esistesse l'Altro. Che quella che credevo essere stata la mia vita fosse
appartenuta a Lui, che l'aveva vissuta e che per qualche orribile scherzo mi
aveva lasciato i suoi ricordi, mi aveva lasciato credere che fossi io... Ma io
ero davvero quello che fingevo di essere e avrei dovuto rassegnarmi a vivere in
quel modo, perché tanto non ero mai stato diverso, mai stato libero. Qualche
volta, mi ritrovavo a credere che poteva anche piacermi il modo in cui vivevo.
In quei momenti, anch'io ho voluto morire."
La
ragazza lo fissava come se lo vedesse per la prima volta.
"Per
questo sono qui." continuò lui "Era stato un essere umano a farmi
quello, forse un essere umano aveva il rimedio. Ma ero pazzo e malato. Ora mi
sembra solo un'idiozia. Speravo di trovare una soluzione preconfezionata in
qualche vecchio libro."
"Non
in un libro..."
"No.
In me. Ho sempre avuto la soluzione perché non ce n'era una. I miei pensieri
erano indirizzati lungo sentieri che riportavano continuamente allo stesso
punto. Cercavo di non fare nulla, perché il nulla è pur sempre preferibile a
quello che avrebbe potuto essere e così non facevo altro che rafforzare la
trappola in cui mi trovavo. Essa mi rendeva sempre più debole e la debolezza le
dava realtà ed ero io stesso il motivo per cui non riuscivo a uscirne."
Buffy
si accovacciò sui talloni, il volto fisso a terra, a tracciare con il paletto
ghirigori immaginari sull'erba.
"E
l'anima?"
"E'
un nome per una mancanza. Un rimorso è un ricordo fuori dal tuo controllo e
l'anima è l'incapacità di averne il controllo. Ed è paura. Temi la morte?
Allora credi in qualcosa di te che sopravvivrà comunque. Tanto chi potrà
confermare? Questa è l'anima, Buff. Paura del buio! Forse... noi non ci siamo
mai spiegati bene cosa intendevamo. Forse due cose troppo diverse per capirci.
Era un termine rassicurante, ammettilo. Ho l'anima, povero me! E tutti si sentivano
al sicuro. Si sentivano addirittura dispiaciuti per la mia infelice condizione.
Perché no? E' solo una parola e, a me, non importa proprio. E' stato un...
errore di traduzione."
"Quindi,
il famoso attimo di felicità..."
"Credo
che sarebbe successo in ogni caso. In un momento o nell'altro, ma sarebbe
successo."
Era
sollievo, quello che sentiva in lei? Sembrava uno scroscio di acqua fresca in
una giornata rovente. Pura beatitudine. Perché, se sarebbe successo ugualmente,
allora lei non ne aveva avuto responsabilità.
Angel
si lasciò sommergere dal riflesso di quella gioia, la assimilò e consumò. La
sentì spazzare via gli ultimi residui di dolore.
(Ora
vediamo cosa succede a dirle il resto)
"Siamo
noi a costruire le nostre angosce e le nostre ossessioni, ma io, poco per
volta, avevo smesso di alimentarle. Proprio il contrario. Avevo di nuovo
qualcosa a sostenere la mia volontà, diventavo forte e, di conseguenza, i lacci
che incatenavano la mia mente si indebolivano. Li allentavo un po' ogni giorno,
ogni volta che smentivo la loro esistenza, solo... avendo ricominciato a
vivere. Finché non sono riuscito a disfarli. Era come una febbre. Consumava la
malattia che mi stava uccidendo. Conosci Eliot? Noi viviamo, respiriamo, solo
se bruciamo e bruciamo..."
"Io."
"Sempre
tu."
Le
sorrise. Non il suo solito sorriso sinistro e arrogante. Un sorriso aperto,
pieno di gratitudine.
"Non
è stato voluto, Buffy. Non all'inizio. Tu eri solo la porta spalancata su
Giles. Il caso. O la fortuna, se ci credi."
Ecco.
Il conforto provato da Buffy era rapidamente sostituito dalla familiare
sensazione di amarezza. Anche più pesante ora, dopo quell'istante di libertà.
"Perché
me lo hai detto?"
"Credevo
fosse la serata delle confessioni." sibilò lui con cattiveria.
"In
ogni caso la colpa è mia, vero? E' questo che stai cercando di dirmi?"
gemette la ragazza.
"Ti
dico solo come sono andate le cose. Tu parli così spesso di colpa... Non
capisco se cerchi il perdono o la conferma delle tue colpe."
Buffy
lo colpì con tutta la sua forza al volto, facendolo cadere.
Angel
rotolò a terra e si raccolse su sé stesso, soffocando un ruggito rabbioso e
l'impulso di aggredirla. Si sentì fluttuare sull'orlo dell'irrazionalità, con i
pensieri che si spegnevano, travolti da un unico istinto. Attaccare.
Era
rimasto scioccato dalla violenza e immediatezza dell'assalto. Non lo aveva
previsto.
Inghiottì
a fatica la rabbia e si rialzò lentamente, asciugando con una mano il sangue
che gli colava dalla bocca e dal naso e costringendosi a sorriderle.
"Sai
qual è la nostra sola colpa? Sopravvivere meglio di chiunque altro, malgrado
tutto, malgrado noi stessi, solo per merito nostro."
Buffy
chiuse gli occhi.
Per
un attimo aveva pensato che giocassero allo stesso livello, ma, ancora una
volta, lui era riuscito a volgere il discorso a suo vantaggio.
E
ora? Non doveva piangere, non sarebbe servito.
Niente
sarebbe servito, adesso o più tardi. Pianti, urla, rabbia... non potevano
cambiare quello che era successo.
Ma
non riusciva a impedire alle lacrime di scendere.
Angel
le si avvicinò, le prese il volto fra le mani.
Buffy
pensò che volesse baciarla, invece leccò con la punta della lingua le sue
lacrime.
"Che
cosa vuoi da me?" gli chiese.
"Distruggerti."
Lei
retrocedette, continuando a guardarlo.
*
* * * * * *
(Distruggerti...
e ricostruirti in altra forma)
Questo,
però, non ha potuto dirglielo.
Sbucciare,
strato dopo strato, la sua personalità. Trovare la solitudine che era cardine
di tutta la sua vita. Ripulirla da affetti e rancori, detriti accumulati in
tutti quegli anni. Poi, su quel nucleo terso e incontaminato, edificare intorno
una struttura nuova.
...
è stanco, questa sera. Non ha voglia di indulgere nella caccia. Vuole andare a
casa al più presto e dormire...
Buffy
cambiava e cercava di combattere i cambiamenti.
Era
già cambiata e voleva ignorare i cambiamenti.
Ferma
con i pensieri e i sogni a un tempo che non aveva più realtà.
...
i suoi sensi scandagliano l'ambiente con una banda ad ampio spettro, ricevendo
segnali da ogni direzione, anche se a scarsa risoluzione...
Sperava
e per anni aveva sperato che, prima o poi, tutto sarebbe tornato come era
stato, mentre i cambiamenti si accumulavano e quella che era, per lei, la
normalità, diventava solo una frazione sempre meno consistente della sua
esistenza, un istante nella somma degli anni.
Eppure,
lei si aggrappava solo a quella frazione, come se tutto il resto della sua vita
fosse, in qualche modo, errato, una condizione anomala e transitoria. Qualcosa
che sarebbe passato per riportarla a quel tempo giusto, a quello stato giusto.
...
un suono di passi. Un possibile bersaglio. Automaticamente, restringe il campo
di percezione, tralasciando i dati periferici e aumentando la risoluzione del
suo obiettivo principale...
La
capiva, lui.
Una
volta aveva avuto l'abitudine di ignorare molte cose. Trascurarle.
Semplicemente passare oltre, lasciare che si accomodassero con il tempo.
Il
tempo rimediava.
...
passi che si avvicinano.
Più
che un possibile bersaglio. Una probabile preda.
Ora
tutti i suoi sensi si sono focalizzati in una sonda sottilissima e selettiva,
che raccoglie ed elabora i segnali fino a disegnare un dettagliato simulacro
mentale dell'obiettivo...
Gli
ci era voluto un po' prima di capire che, a volte, si poteva non sopravvivere
il tempo necessario a rimediare.
Che
non serviva piangere e disperarsi e nascondersi e volere.
Che
non bastava chiedere scusa per quello chi era fatto, o per quello che non si
era fatto.
...
due battiti cardiaci. Due sistemi vitali distinti. L'uno compiuto e definito,
l'altro incompleto e abbozzato. Passi brevi e rapidi e altri più leggeri e
goffi.
Una
donna e un bambino.
Camminano
sulla stessa via, provenienti dalla direzione opposta alla sua. Le loro strade
si incroceranno...
Gli
ci era voluto un po' per capire una cosa semplice.
Il
tempo non rimediava.
...
ora sono entrati anche nel suo campo visivo. Lei tiene il figlio con una mano e
alcuni sacchetti con l'altra. Il piccolo deve avere circa cinque anni e si
affretta per tenere il passo della madre.
Sono
quasi alla sua portata...
Solo,
cambiavano le condizioni e non sempre cambiavano in peggio. Era questo il solo
rimedio ed era inutile aspettare che tutto tornasse a uno stato precedente
perché gli eventi non si ripetevano mai e non tornavano indietro.
Il
tempo non era simmetrico e scorreva in una sola direzione.
...la
donna gli passa accanto. La ghermisce e le spezza il collo.
La
madre non è ancora caduta a terra che lui ha preso il bambino per la testa,
squassandolo violentemente. Il colpo uccide il piccolo prima che possa gridare,
attirando qualche curioso inopportuno e improbabile.
Ma
non c'è nessuno intorno. Angel si inginocchia e stringe a sé il corpo della
donna.
T
Capitolo
VI by Solitaire
VI
La
biblioteca era immersa nel silenzio e in una fresca penombra. La giornata era serena,
ma era inverno. Il Sole era troppo basso perché fosse sufficiente a illuminare
e riscaldare la sala.
Man
mano che il pomeriggio avanzava, per Willow diventava sempre più difficile
leggere.
Finalmente,
decise di andare ad accendere la luce. Quando sollevò lo sguardo dal libro, si
accorse di Buffy, ferma accanto a lei.
La
ragazza sussultò, spaventata.
"Willow,
perché non sei riuscita a ristabilire la maledizione su Angel?"
Ancora
quella vecchia storia?!
Era
tanto, tanto tempo che non ne parlava. Ma era anche tanto tempo che Buffy non
si rivolgeva più a lei.
A
volte Willow aveva l'impressione che la sua presenza, che la presenza di tutti
loro, infastidisse
Willow
si era abituata a questo. Il cambiamento era stato rapido, ma graduale.
Adesso
la domanda, il fatto stesso che le facesse una domanda, le sembrava, in qualche
modo, innaturale.
"Non
lo so, te l'ho già detto. Forse qualche fattore che non ho potuto valutare.
Forse una mia incapacità... Non lo so."
"Già,
probabilmente una cosa del genere. Ma se ci fossimo riusciti... che cosa
sarebbe successo?"
Willow
sorrise, un po' nervosamente.
"Ci
saremmo risparmiati molti mal di testa e non saremmo qui a farci queste
domande."
"Che
cosa sarebbe successo a lui. Sai che non me lo ero mai chiesto? Mi chiedevo
solo come sarebbe cambiata la vita per noi e non mi preoccupavo d'altro.
Willow, se si ama qualcuno, non credi che si dovrebbe desiderare il suo bene,
la sua felicità?"
"Sì,
io... credo di sì."
"Qualsiasi
cosa lo renda felice?"
"Se
lo si ama, sì."
"Non
importa quali siano le conseguenze per altri? Perché si tiene a lui più che a
chiunque?"
"Questo...
questo credo che sia egoismo."
"Il
mondo si basa sull'egoismo. Sei stata tu la prima che me lo ha insegnato. Si
vive a spese altrui, si richiedono sacrifici per preservare la propria vita,
talvolta solo le proprie abitudini, o la propria comodità... Si esiste solo
grazie alla morte e alla sofferenza di altri esseri viventi. E' quello che mi
hai detto, ricordi? Oppure hai cambiato idea?"
"E'
vero, però..."
"Allora
in cosa sarebbe diverso questo mio specifico egoismo?"
Willow
non sapeva cosa rispondere. Si voltò verso Giles che, uscito dal suo ufficio,
le stava osservando.
"Tu
credi che esista un'attitudine naturale a fare del male?" chiese ancora
"Intendi
un istinto?"
Buffy
aggrottò la fronte. Non sembrava essere sicura di riuscire a spiegarsi.
"Qualcosa
di più. L'istinto potrebbe spingerti a uccidere. Io intendo qualcosa che ti
faccia provare piacere nel farlo, che ti faccia sentire appagato e compiuto
solo nell'uccidere. Qualcosa che faccia sì che uccidere sia la tua vera ragione
di essere. Qualcosa connaturato alla tua essenza. Che... è giusto che ci
sia."
"Parli
di Angel?"
"Anche."
Willow
sospirò.
"Credo
che sia possibile. Per certe creature una caratteristica del genere potrebbe
essere molto utile ed essere stata selezionata dall'evoluzione. Il
raggiungimento del piacere è una delle motivazioni più forti. Ci si applica con
maggior impegno e maggior efficienza in quello che dà piacere. Un predatore dotato
di una simile peculiarità potrebbe avere una pulsione superiore alla caccia,
trovarsi in vantaggio selettivo sui suoi simili, trasmettere il carattere ai
discendenti e, alla fine, farlo diventare un connotato della specie."
"In
questo caso non si potrebbe evitare, vero? Sarebbe una semplice caratteristica
naturale, come le macchie dei leopardi. Non ci sarebbe niente di male nel
cedervi perché, in realtà, sarebbe anormale fare il contrario."
"E'
sempre di Angel che stai parlando, vero?"
"E'
di me, che sto parlando."
"Buffy,
io mi riferisco agli animali o ai demoni. Loro non hanno scelta."
"Io
sì, invece?"
"Tu
sei..."
"Cosa?
Che cosa sono? L'ho chiesto tante volte, ma non me lo avete mai detto. Cosa
sono?"
Giles
si era avvicinato alle due ragazze.
"Cosa
sei?" chiese.
"Sì,
Rupert. Cosa sono io? Fa il tuo lavoro e rispondimi."
"Tu
sei la..."
"Sì,
lo so!
"Buffy,
a cosa vuoi arrivare?"
"Voglio
arrivare a una risposta. Se la sola cosa che sai di me è che sono
"Il
tuo è un..."
"Stai
attento, Rupert. Stai bene attento a quello che dici perché non sono davvero
dell'umore di ascoltare le tue cazzate mistiche. Io non ho sacri doveri. Io
vado a caccia perché mi piace. Mi diverto. Per questo lo faccio. E non credo
proprio che tutto dipenda dal fatto che qualcuno mi abbia... prescelta."
"Buffy..."
"No,
lascia perdere. Torniamo alla faccenda della volontà, che mi sembra più
interessante e più facile per voi. Rispetto ai demoni e agli animali, voi avete
la possibilità di scegliere. Avete il libero arbitrio. E' questo che vi
differenzia da loro?"
"E'
una definizione un po' teatrale..." mormorò Giles.
"Ma
essenzialmente corretta." terminò Buffy.
"Sì."
"Quindi,
la tanto glorificata anima non è altro che una faccenda di volontà. Perché no?
Mi pare una buona definizione. Migliore di tutte quelle che mi avete dato finora.
Almeno è una definizione e non solo la pretesa che si conosca per assioma
qualcosa che nessuno si è mai preso la briga di spiegare."
Adesso
Willow faceva davvero fatica a mettere a fuoco le immagini.
Si
era dimenticata che voleva accendere la luce, ma intanto il cielo era diventato
blu indaco e i contorni delle figure sembravano stemperarsi nelle ombre
crepuscolari.
E
Buffy continuava a parlare.
"Se
sono una Prescelta, significa che il mio destino è determinato, e allora dove
fa a finire la pretesa di Willow che io posso scegliere? O, magari, posso farlo
solo finché scelgo quello che rientra nel ruolo che mi attribuite. Ma quella
sarebbe la vostra scelta, non la mia. Allora dove va a finire la pretesa che io
abbia un'anima? E, secondo il vostro modo di considerare le cose, dove va a
finire la pretesa che io sia diversa da loro?"
Non
aspettò la risposta di Giles. Smise di curarsi di lui, come se l'Osservatore
fosse scomparso dalla sala, e si rivolse a Willow.
"Quanto
credi sia grande la tua volontà, Willow? Gli esseri umani si arrendono per un
brutto voto a scuola, perché hanno perso il lavoro, perché il marito o la
moglie li lascia, perché il loro candidato perde le elezioni, per la sofferenza
di poche settimane... Nella peggiore delle situazioni in cui riesci a
immaginare di trovarti, qualcosa che, per quanto ne sai, potrebbe non avere
fine, sapendo che nessuno ti aiuterà mai, che la più grande fortuna che possa
capitarti quando incontri chiunque altro è solamente essere ignorata, mentre
passano gli anni e niente migliora, per quanto credi riusciresti a mantenere la
volontà di vivere, di essere te stessa, la volontà di non arrenderti, la
volontà di tornare libera? Quanto credi sia grande la tua anima?"
Capitolo
VII by Solitaire
VII
Angel
lasciò cadere il corpo della sua ultima vittima sul tetto dove l'aveva
trascinata dopo averla strappata al balcone della casa.
Buffy
si nascondeva.
Era
viva e stava bene, ne era certo, ma erano giorni che non la vedeva e non la
sentiva, e se non la vedeva e non la sentiva, era come morta.
I
primi giorni aveva pazientato, ma lei non si mostrava e la pazienza non serviva
più.
Fino
a che punto si sarebbe nascosta?
Fino
a che punto le avrebbero permesso di nascondersi?
Si
passò le mani sul viso.
Forse
non bastava ancora, ma il Sole scandiva il suo assalto all'orizzonte e il
fragore dell'alba cominciava a frastornarlo.
A
malincuore, saltò giù dall'edificio e si diresse verso casa.
Il
cadavere che si era lasciato dietro aveva il volto diviso a metà. Il lato
destro, congelato in un'espressione stupefatta, era ancora sufficientemente
integro. Il sinistro, invece, non esisteva più. Al suo posto c'era una massa di
carne dilaniata da dove emergevano spuntoni di ossa e si apriva un'orbita
vuota.
*
* * * * * *
"La
notte scorsa c'è stata una vera carneficina." disse Giles "Sei
persone morte. La cosa più strana è che le vittime non si trovavano solo per le
strade. Due sono stati uccisi in una chiesa, un altro addirittura preso in
casa. La sua ragazza ha detto che era uscito sul balcone e non lo aveva più
visto. Lo hanno ritrovato stamattina sul tetto."
Xander
giocherellava con una matita. Sembrava quasi soddisfatto di quello che aveva
sentito.
"Bene,
ho l'impressione che il nostro Angel ne sa qualcosa. Tu che ne dici,
Buffy?"
"E'
possibile."
"E,
naturalmente, non hai intenzione di agire."
"Non
è detto che sia opera di un vampiro." intervenne Willow "Si parla di
cadaveri notevolmente straziati. Fino a quando non sappiamo chi ne è la causa,
non ha senso trarre conclusioni."
Il
giovane sbuffò.
"Qualche
volta lo fanno anche i vampiri. Qualche volta divorano anche la carne, lo sai
meglio di me."
Buffy
abbassò gli occhi.
Erano
anni che Xander cantava sempre la stessa canzone.
Il
suo odio verso Angel non si era placato con il tempo. Anzi, sembrava una
questione personale, per lui. Il che era strano, perché se c'era qualcuno che
Angel aveva ignorato per quanto possibile, era proprio Xander. Era persino
ironico, visto che Angel, nell'idea che Xander aveva di lui, era qualcosa a cui
il ragazzo umano assomigliava molto nella realtà.
Qualche
volta, Buffy aveva ringraziato il cielo che il giovane non fosse un vampiro,
perché temeva che sarebbe stato un avversario superiore alle sue capacità.
E
qualche volta, invece, aveva desiderato che lo fosse.
"Sentite,
lasciate stare." mormorò "Vado a dare un'occhiata, così la smettiamo
di discutere."
"Vengo
con te." disse Xander.
La
ragazza lo fermò con un cenno.
"No!
Cerca di starmi fuori dai piedi."
Xander
era sul punto di dire qualcosa, ma Buffy uscì di corsa, senza accettare il
confronto.
Se
solo gli avesse dato i pochi secondi sufficienti a controbattere, se gli avesse
concesso qualche istante di attenzione, allora lui l'avrebbe trascinata oltre
il confine della sopportazione.
*
* *
Le
vetrate variopinte frammentavano la luce esterna in mosaici colorati che
chiazzavano il pavimento della chiesa. Una chiesa cattolica, sfarzosa e
barocca, con un mastodontico Cristo crocifisso a dominare l'altare.
I
profili di due corpi erano delineati da strisce di nastro adesivo, l'uno su una
panca, l'altro nel corridoio centrale.
E
sangue. Quello dovunque.
Buffy
ci girò intorno, attenta a non camminarci sopra.
Facile
capire quello che era successo. L'uomo sulla panca era stato attaccato, l'altro
aveva cercato di fuggire, ma era stato raggiunto subito.
Non
c'era altro da vedere.
Era
stato un vampiro.
Si
era recata all'obitorio, prima di venire qui, e ne aveva avuto conferma. Le
impronte delle zanne e i segni degli artigli erano inconfondibili.
C'era
un qualcosa di sistematico nel modo in cui quegli uomini erano stati fatti a
pezzi. Non era il risultato di rabbia o l'opera di un predatore inesperto che
aveva perso il controllo o aveva cercato di impedire la fuga delle prede. E non
mancavano sangue né carne.
Non
erano stati dilaniati per essere divorati. Erano stati lasciati
intenzionalmente in quelle condizioni.
Dopo
avere visto i corpi, recarsi nei luoghi dove erano stati ritrovati non aveva
poi molta importanza, se non quella di rimandare il momento in cui si sarebbe
trovata nuovamente rinchiusa fra loro.
I
poliziotti l'avevano fatta entrare subito, così come le avevano permesso di
esaminare i cadaveri.
Erano
felici che lei ci fosse. Erano felici di chiamare Giles e informarlo di ogni
incidente, di ogni morto.
Un
tempo aveva creduto che gli Osservatori avessero corrotto la polizia e i
rappresentanti pubblici, o che li minacciassero, affinché essi riferissero
sempre al Consiglio. Aveva creduto che manovrassero per avere tale libertà di
azione.
Ma
non era così.
Nessuna
corruzione, nessuna manovra, nessuna minaccia.
Non
servivano. Bastava la loro sola esistenza per offrire la più seducente delle
offerte.
pensa
per me
agisci
per me
soffri
per me
Si
avvicinò all'altare e alzò lo sguardo sul crocifisso.
muori
per me
"Ti
è piaciuto lo spettacolo?" mormorò "Hai assistito da una posizione
privilegiata e non hai mosso un dito... Diciamocelo, non sai proteggere molto
bene i tuoi fedeli, vero? O forse, da dove ti trovi tu, tutte le azioni si
equivalgono, tutte sono ugualmente lecite, ugualmente giuste. Forse tu ami allo
stesso modo tutte le tue creature, lui come le altre."
Si
interruppe un attimo e si rivolse al sacerdote che le si era avvicinato alle
spalle.
Non
importava niente, a nessuno di loro.
Un
duplice omicidio, e permettevano a un civile di restare sulla scena.
"E'
infallibile? Onnipotente?" chiese Buffy, indicando la croce con un cenno
della testa.
L'uomo
la guardava sconcertato. Sembrava anche un po' spaventato. In un altro posto,
la sua paura sarebbe stata comprensibile, visto quello che era successo, ma
qui...
O
forse era spaventato da lei. Buffy non ne era sicura.
Non
lo conosceva, ma questo non significava che la cosa fosse reciproca.
"Non
credi sia possibile che, in qualche modo, il mondo abbia preso una strada che
non aveva previsto, o che non avrebbe voluto?" insistette lei.
"Il
mondo è una Sua opera. Non può esulare dalla Sua volontà." mormorò il
prete "Il tempo stesso, in tutta la sua estensione, nella sua completezza,
esiste dall'istante nella sua creazione e Lui ne ha conoscenza perfetta e
assoluta."
Buffy
si appoggiò con le mani all'altare, osservando la figura crocifissa.
"Perché
avrebbe dovuto volere fare una cosa simile? Non sarebbe stato meglio avere
creato il mondo senza necessità di sacrifici, sofferenza e fatica?"
"Ci
ha dato anche la libertà, che comprende la libertà di sbagliare."
"Se
ha conoscenza perfetta di tutto il tempo, sapeva quali sarebbero state le
conseguenze a fare il mondo in questo modo piuttosto che in un altro. Sapeva
quali sarebbero state le svariate possibilità e, di tutte, ha scelto quella da
realizzare. Questo significa non avere dato nessuna libertà."
Ora
l'uomo mescolava alla paura anche un lieve fastidio e cercava di mascherare la
cosa dietro al tono indulgente con cui parlava.
"Noi
non possiamo conoscere le Sue intenzione e il Suo fine. Ma è certo che esso è
sempre per il meglio."
Buffy
si voltò nuovamente nella sua direzione.
"Il
meglio per chi?"
"Per
tutti."
"Quindi
il mondo che ha creato è esattamente quello che voleva che fosse, come voleva
che fosse. Tutto quello che esiste, esiste perché lo vuole, e lui è padre di
tutti."
"E'
così." rispose il sacerdote.
"Già...
E un padre, per essere un buon padre, non deve fare differenza fra i suoi figli.
Non deve preferire gli uni a discapito degli altri. Non deve concedere il suo
amore e la sua protezione solo a pochi."
"Lui
è sempre imparziale e protegge tutti."
La
ragazza si mordicchiò il labbro inferiore.
"Allora
tu credi davvero che sia un dio giusto ed equo."
"Sì."
"Non
dovresti volerlo. Dovresti sperare invece che sia iniquo, e parziale."
"Non
ha favoriti. Siamo tutti uguali, di fronte a Lui."
Buffy
saltò sull'altare e spinse la croce a terra.
Un
suono improvviso e assordante che riecheggiò nella navata, e il crocifisso si
frantumò in un'esplosione di legno, gesso e polvere, mentre il prete si tirava
indietro con un verso simile a un guaito.
La
ragazza raccolse uno dei frammenti di legno e lo mise nelle mani dell'uomo,
stringendogli il pugno intorno.
"E
allora questo è il solo modo in cui può proteggervi. Ricordalo, la prossima
volta."
*
* *
"Xander
ha ragione. E' stato Angel. Li ha uccisi e basta. Non ha divorato nessuno di
loro."
"Perché
ha fatto una cosa simile?" chiese Willow.
(...
per me...) pensò Buffy (... per farmi decidere...)
Ma
non disse niente e fu Xander a rispondere.
"E
che ti importa? Avrà deciso che era il momento di movimentarci la vita. Non
credete che sarebbe il caso di rendergli il favore?"
"Importa,
invece. Potremmo evitare che si ripeta, se sappiamo che motivi aveva."
"Non
credo ci sia una ragione per quello che fa. E poi non dobbiamo
psicoanalizzarlo, dobbiamo farlo fuori. Non ti sembra un buon sistema per
impedire che si ripeta? Dio, ma che parliamo a fare... Perché quando si tratta
di Angel stiamo sempre a farci tanti problemi? E' lui o siamo noi? O sei tu,
Buffy? E' ancora la tua ossessione? Oppure ne hai paura?"
"Credi
che non dovrei?"
"Guarda
che quando gli togliamo di dosso tutti meriti che ci siamo inventati su di lui,
è solo un vampiro."
"Tu
non sai chi è Angel." mormorò Buffy, senza muoversi.
"Davvero?
Otto anni che ci sta tra i piedi, sette che ci rende la vita un inferno. Credo
di conoscerlo abbastanza bene."
La
ragazza sospirò.
"Tu
cosa pensi, Xander? Cosa sogni? Quali sono... le tue fantasie? E quali credi
che siano le sue, dopo duecentocinquant'anni? Quello che tu pensi, lo ha già
pensato. Quello che tu sogni, lo ha sognato fino alla noia. Le tue fantasie per
lui sono quelle di un bambino. Non puoi immaginare quello che ha nella mente.
Non puoi conoscerlo."
"Tu
sì, immagino."
"Io?
Meno di tutti. Con me ha sempre la maschera. Ma credo di cominciare a
capirlo."
"Qualunque
cosa sia, me ne frego. Adesso inizia a entrare nelle case. Devi fare subito
qualcosa."
Gli
occhi di Buffy erano inespressivi come pietre mentre ricambiava lo sguardo di
Xander.
"Devo?
Io devo? Non pensi mai che loro dovrebbero imparare a difendersi da soli? Hanno
sempre bisogno di un super eroe per proteggere le loro preziose
esistenze?"
Gli
altri non replicarono e Buffy si abbandonò su una delle poltrone, sfregandosi
gli occhi. Era stanca, a quell'ora del pomeriggio. Aveva voglia di correre a
casa e chiudersi dentro, lontana da luce e rumore e presenze estranee.
"Stronza
ipocrita."
Lei
si scosse e fissò Xander, sconcertata da quelle parole.
"Prego?"
"Mi
hai sentito bene. Per anni abbiamo tollerato quell'essere perché la sua
presenza evitava casini peggiori di quelli che avrebbe fatto la sua mancanza.
Adesso, che i casini li combina lui, mi dici perché non dovremmo eliminarlo?
Uccidiamo tutti i mostri pericolosi per gli esseri umani... Tutti, purché non
siano lui, vero?"
La
ragazza gli sorrise.
"No,
Xander. Non è vero. Non sempre li uccidiamo per quello e non sempre non li
uccidiamo per quello. Ammazziamo i mostri per motivi del tutto diversi. Non
facciamo altro che preoccuparci del mio motivo. Per una volta vogliamo
discutere del tuo?"
Xander
sgranò gli occhi. Poi, si tirò indietro senza ribattere.
Buffy
sprofondò di nuovo nella poltrona.
Lei
il suo aiuto lo aveva dato. Tirassero pure le conclusioni che volevano.
Di
una cosa sola era certa. Angel portava davvero una maschera e lei non
immaginava fino a che punto sarebbe stato capace di spingersi.
Capitolo
VIII by Solitaire
VIII
Buffy
si gettò sul letto ancora vestita e si addormentò subito, ritrovandosi nel
luogo familiare...
...
sulla pianura oscura, dove la luce è ormai solo un riflesso rugginoso. La neve
cade fitta, sfarfalla nel vento che soffia, che aggredisce la montagna, la
leviga, la sgretola. E la montagna si riduce. Non è più tanto alta, e
imponente, e impervia. Ora la presenza è vicina. Potrebbe vederla, potrebbe
toccarla, se non fosse così buio...
...
se non fosse appena dietro l'orizzonte. Allora si decide. Oltrepassa la linea
di confine, e finalmente la vede. Vaga nelle tenebre, sperduta, sola. Non ha
mai creduto che potesse provare tanta solitudine. E' una condizione così
conosciuta, la solitudine. Allunga la mano. La presenza si volta, guarda nei
suoi occhi...
...
Angel si svegliò con l'immagine di Buffy impressa nella mente.
*
* * * * * *
Giles
aveva raggiunto la casa di Buffy.
Il
cancello del giardino era aperto, come lo aveva sempre visto.
Appena
entrato, fu accolto da un sibilo rabbioso. Un gatto grigio era accovacciato
sotto un albero e lo guardava con gli occhi stretti e i denti scoperti.
Era
stato qui poche volte.
Circa
un anno prima, Buffy aveva improvvisamente deciso di andarsene dalla casa della
madre. Dopo una breve ricerca aveva trovato questa villetta e aveva deciso che
era il posto adatto. Aveva ritirato i fondi bancari che il padre aveva
intestato a suo nome e l'aveva immediatamente comprata.
La
casa era piccola e isolata, ma la ragazza era stata irremovibile nel
sceglierla.
L'aveva
sistemata con cura maniacale, rifiutando categoricamente qualsiasi aiuto, e non
aveva mai invitato nessuno. Almeno, nessuno di loro. Li faceva entrare quando
andavano a trovarla, ma non aveva mai preso l'iniziativa di chiamarli.
Da
quel momento, il Consiglio degli Osservatori aveva cominciato a pagarla,
versandole somme consistenti.
Buffy
doveva sapere che Giles era la causa di quella decisione, ma non gli aveva mai
chiesto niente e non aveva mostrato la minima gratitudine.
Quando
era venuta a conoscenza della novità, aveva solo commentato che se gli
Osservatori non volevano che usasse parte del tempo dedicato alla caccia per
trovarsi un lavoro e sopravvivere, pagarla era il minimo che potevano fare.
Buffy
era seduta sui gradini del patio. Lo aveva sicuramente visto, ma non si era
mossa.
Giles
attraversò il giardino e la raggiunse.
"Ciao."
"Rupert."
mormorò la ragazza.
L'Osservatore
era nervoso. Era arrivato deciso a parlarle. Si era anche preparato mentalmente
un discorso, ma ora non sapeva bene come cominciare.
Dopo
quello che gli aveva detto Angel, aveva cominciato a studiare Buffy. Quello che
diceva, quello che faceva.
Voleva
credere che il vampiro gli avesse mentito, ma aveva la sgradevole sensazione
che non sarebbe stato così semplice. Doveva vederla al di fuori dei loro soliti
incontri di lavoro.
Aveva
rimandato per giorni, accampando una scusa dopo l'altra. Poi, dopo quello che
era successo negli ultimi giorni, non aveva più potuto rinviare.
Le
parole di Angel, quelle di Buffy, le loro azioni... Tutto cominciava ad avere
un senso.
I
due avevano ricominciato a vedersi, con ogni probabilità avevano anche ripreso
la loro relazione.
Alla
fine sedette accanto a lei, che sembrava aspettare pazientemente che si
decidesse a parlare.
Non
aveva detto a nessuno della visita di Angel.
Willow
e Xander erano legati al Consiglio e, anche se per ora continuavano a tenere i
contatti per suo tramite, sapeva che prima o poi avrebbero deciso di fare da
soli.
Ormai
Giles si sentiva tagliato fuori dalla vita dei tre ragazzi...
(...
non ragazzi. Non sono ragazzi. Lo sembrano soltanto...)
...
e da anni nascondeva molte delle irregolarità della vita di Buffy.
Come
avrebbe agito il Consiglio, una volta venuto a conoscenza dei fatti, era
qualcosa a cui preferiva non pensare.
Così,
aveva provveduto a non farglielo sapere e a nascondere la storia. Tutta la
storia.
I
rapporti che inviava erano sempre stati convenzionali, rassicuranti... e falsi.
Il
gatto grigio li aveva raggiunti e si era avvicinato con cautela all'uomo, le
narici che fremevano lievemente mentre fiutava.
"Come
si chiama?"
"Chiedilo
a lei. Visto dove siamo, magari ti risponde."
"E'
una femmina?"
La
ragazza annuì appena.
Giles
allungò una mano per accarezzare la gatta.
"Attento."
lo fermò Buffy "Graffia e morde."
"Sembra
tranquilla."
Buffy
gli mostrò lunghe e sottili cicatrici bianche sul dorso di una mano.
"Sì,
sembra." disse.
Rientrò
in casa e, dopo qualche minuto, ritornò con un piatto pieno di carne che mise
vicino alla gatta, attenta a non arrivare alla portata dei suoi artigli.
La
bestiola si mise a mangiare, senza smettere un attimo di controllarsi intorno.
"Perché
tieni un animale simile?" chiese Giles.
Buffy
si strinse nelle spalle e si sedette di nuovo sui gradini.
"Non
è mia. Non ha nessun motivo per comportarsi bene nei miei confronti."
"Le
dai da mangiare."
"Perché
ho voglia di farlo. Lei non mi chiede niente, non ha neppure bisogno di me. Non
mi aspetto che, in cambio, venga a fare le fusa o a rotolarsi ai miei
piedi."
Si
accorse dello sguardo critico dell'Osservatore.
"Tu
invece lo pretenderesti, vero, Rupert? Vorresti che ti mostrasse gratitudine e
ti obbedisse per qualcosa che neanche ti ha chiesto. E, nel momento che non
farebbe, diresti che è cattiva e penseresti che la cosa giusta da fare sarebbe
chiamare il canile e farla finire in una camera a gas."
Giles
sospirò. Era diventato così difficile avere a che fare con Buffy. Sembrava che
ogni cosa diventasse motivo di attrito, fra loro.
Una
situazione iniziata da tempo, ma prima di parlare con Angel non ci aveva fatto
caso.
(...
non hai voluto farci caso, sii onesto...)
Giustificava
tutto dicendosi che era solo un momento di crisi, un brutto periodo,
accantonando il problema...
Guardò
la gatta, che aveva divorato tutto con delicata voracità e si stava lavando le
zampe come se il mondo non esistesse.
"Buffy,
che ti sta succedendo?"
"Cosa
intendi?"
"Sei
cambiata, non puoi dire di no."
"Da
cosa, sono cambiata?"
"Da
come eri prima."
Buffy
lo degnò appena di un'occhiata.
Frase
inutile, Giles se ne rese conto subito. Aveva solo ripetuto un concetto già
implicito in quello già detto. Però non sapeva bene come spiegarsi.
"Non
parli più con nessuno, non ti interessi a niente, ti isoli in te stessa... Eri
amica di Willow. Da quanto non passi un po' di tempo con lei? Non l'hai mai
neppure invitata qui."
"Ora
Willow è un'Osservatrice, o un'Adepta, o come dite voialtri. Dovresti
ricordartelo, visto che sei stato tu a introdurla alla sacra missione. E
dovresti anche ricordare che un Osservatore non può essere amico di una
Cacciatrice. Conflitto d'interessi, credo."
"E'
stata una sua scelta."
"E
chi dice il contrario?"
"E
Xander? Come siete arrivati a questo punto? Il modo in cui gli hai risposto...
Per un attimo ho... ho creduto che tu stessi per colpirlo."
(...
ero sicuro che lo avresti colpito...)
"Preferivi
la ragazzina che si preoccupava delle unghie rotte e dell'elezione a reginetta
della scuola?" mormorò lei "O si metteva a piangere ogni volta che
quel coglione alzava la voce? Quanto pensavi che sarebbe durata?"
"Non
è questo che intendo. Sono stati anni lunghi per tutti. Cambiare era
inevitabile. Ma sembra che non sia rimasto più niente di quello che eri
prima."
La
gatta aveva finito di ripulirsi e si era seduta davanti a Giles, la coda
diligentemente arrotolata intorno alle zampe, fissandolo con i limpidi e freddi
occhi gialli.
Sembrava
osservarlo da una distanza remota, come se il vecchio umano fosse qualcosa di
potenzialmente pericoloso, da sorvegliare e studiare, eppure troppo indegno per
turbare la sua serenità.
Una
volta lui aveva letto un racconto di Kipling. Vi si narrava del primo gatto, e
del patto che aveva dovuto stringere con il primo uomo, la prima donna e il
primo cane. Il gatto avrebbe cacciato i topi nella caverna, giocato con i
bambini e fatto le fusa e, in cambio, avrebbe avuto cibo, riparo e non sarebbe
stato cacciato. Ma era solo mezza verità, quella, perché poi tornava sempre la
notte, e lui era sempre il gatto, e la notte sarebbe stata sua, per camminare
solo nel buio.
Giles
rabbrividì.
Quello
che doveva chiedere ora a Buffy era difficile. Doveva ripensare a qualcosa di
cui non aveva mai smesso di vergognarsi.
"E'
colpa mia?"
Buffy
lo fissò sconcertata.
"E'
stato quello che è successo fra noi?" chiese ancora lui. "Non ne hai
mai voluto parlare ed è stato un errore da parte mia non chiarire..."
Stavolta,
la ragazza si mise a ridacchiare.
"Oh,
andiamo, Rupert. Quello che è successo fra noi... Non è successo niente, fra
noi. Non per quello, almeno. Non so neppure perché continui a pensarci. Non era
la prima volta e neppure l'ultima, per nessuno di noi. E poi, se ti fa stare
meglio, sono stata io a iniziare."
"Avrei
dovuto dire di no."
"Perché?
Andava bene a tutti e due e, credimi o meno, non ho davvero nessuna intenzione
di biasimarti."
Giles
si passò le mani sul volto. Non immaginava che avrebbe reagito con tanto
cinismo.
"Non
fare quella faccia sconvolta. Hai sempre detto di essere come un padre per me.
Sai cosa intendono i vampiri con questo, vero? Tra loro è normale che fra
genitori e figli intercorrano relazioni sessuali. E' una buona cosa, rafforza i
legami all'interno di una famiglia. Anzi, è considerato sconveniente il
contrario. Noi ci siamo solo adeguati alle usanze del luogo."
L'Osservatore
la guardò sperando che fosse una sterile provocazione fatta tanto per
polemizzare, ma Buffy era seria.
"Rupert,
che vuoi da me?" esclamò la giovane "Se hai bisogno di qualcosa,
dimmelo e poi va via. Oppure va via subito. Comincio a non sopportare più tutte
queste esitazioni che hai sempre. Sei abbastanza vecchio da avere imparato a
parlare senza balbettare."
Preso
di sorpresa, Giles non riuscì a risponderle.
"Ora
che c'è? Hai detto che non parlavo e non ti andava bene. Adesso ho parlato.
Ancora non ti va bene? Deciditi."
"Tu
non mi stai parlando, Buffy. Mi stai combattendo."
"Sì.
Hai ragione. Ti sto combattendo. Che altro ti aspettavi da me?"
"Perché
lo fai?"
Lei
scosse appena la testa.
"Sii
realistico, per una volta. Per una volta fa finta di essere una persona vera.
Pensa bene a quello che sei, a quello che hai fatto. E ora pensa bene a quello
che sono, a quello che faccio. Esiste una sola ragione per cui io dovrei
provare per te altro che odio?"
Giles
si rialzò, stupefatto.
Buffy
litigava spesso con lui. A volte lo aveva anche ferito con le parole. Ma sempre
nel fervore della collera o di una discussione.
Adesso
non era incollerita e non stava discutendo.
Adesso,
al massimo, era infastidita.
Non
riusciva a sopportarla. Si alzò e si allontanò precipitosamente, senza neanche
salutarla.
Era
una fuga, quella, e stava scappando da lei.
Capitolo
IX by Solitaire
IX
Aveva
cercato Angel, lo aveva seguito nelle sue scorribande notturne senza farsi
vedere, osservando con puntigliosa attenzione tutto quello che faceva.
Voleva
ritrovare la rabbia nei suoi riguardi e riuscì solo a far crescere quella per
sé stessa.
Ma
anche questo andava bene.
La
rabbia si trasformava in rancore e il rancore poteva essere incanalato su un
bersaglio.
Angel
aveva ucciso senza nascondere nulla alla ragazza che lo pedinava, aspettando
che si decidesse a intervenire, che cercasse di fermarlo. Che, in qualche modo,
rivelasse la sua presenza.
Invece,
lei non aveva fatto niente.
Alla
fine, si era fermato e aveva aspettato che Buffy si mostrasse e lo
raggiungesse.
Erano
giorni che l'aspettava, ogni istante dilatato dalla lentezza del tempo.
Ma
non aveva importanza.
Il
passato non esisteva. C'erano solo ricordi e i ricordi potevano essere
controllati. Accantonati, se serviva. E, poiché i ricordi cominciavano un
istante al di là del presente, era il tempo stesso a essere controllato.
L'ultima
volta che l'aveva vista. Adesso.
Il
tempo trascorso fra i due momenti si accartocciava su sé stesso e non c'era mai
stata attesa.
Buffy
non si muoveva. Nemmeno lo guardava.
Si
era fatta avanti e ora si limitava a stare ferma di fronte a lui, a testa
bassa.
L'odore
dell'adrenalina nel suo sangue stordiva. Le sue emozioni erano suoni stridenti,
tanto caotici da essere quasi dolorosi.
"Perché
dopo tutti questi anni... Perché hai voluto che le cose cambiassero proprio
adesso?"
Angel
le sorrise.
Lei
chiedeva perché del momento. Non chiedeva perché del cambiamento.
"Mi
avresti fatto la stessa domanda anche se fosse capitato tra un anno. Oppure
l'anno scorso. Adesso è un momento buono come un altro. Però ora devi proprio
scegliere, Buff. Non puoi più avere entrambe le cose."
"Cosa
ti fa credere che io abbia un solo motivo per scegliere te?"
"Tu
me lo fai credere. E' tutta la notte che mi stai seguendo. Perché non sei
intervenuta prima? Cosa aspettavi? Le solite ragioni non bastano più, vero?
Devi trovare qualcosa di meglio. Stai cercando di convincerti che lo vuoi. Devi
trovare un buon motivo per farlo."
In
un attimo, Buffy gli fu alle spalle. Lo afferrò per i capelli e lo forzò a
inginocchiarsi.
"Hai
ragione, Angel. Io sono debole. Ma tu sei vivo solo grazie a questa mia
debolezza, proprio quella che ti da così fastidio, che stai cercando di
eliminare. Non hai pensato che potrebbe finire in modo diverso da come hai
programmato?"
La
ragazza strinse ancora di più presa, intrecciando per quanto poteva le dita nei
capelli corti.
Angel
sentì una punta acuminata premergli contro la nuca e scendere fino a fermarsi
sulla schiena, all'altezza del cuore.
I
torpidi battiti cardiaci del vampiro accelerarono.
Aveva
paura e non doveva. Buffy avrebbe reagito alla sua paura... Se non avesse
reagito prima lui alla minaccia della ragazza.
In
quel momento, lei era disposta a ucciderlo. Solo, non era ancora del tutto
decisa.
Angel
non cercò di rialzarsi da quella posizione così vulnerabile.
Invece,
reclinò appena la testa all'indietro, assecondando la morsa ferrea di Buffy.
"E'
così, allora? Devo morire sacrificato alla tua integrità? Non per quello che
sono io, ma per quello che non puoi più essere tu?"
Buffy
lo lasciò e gli si mise davanti, fissandolo negli occhi.
"Sei
tu che mi hai spinto a questo punto."
Angel
annuì.
"E'
vero. Ti ho obbligata."
La
prese per le mani, la tirò a terra e la baciò.
Buffy
si irrigidì, senza cercare di tirarsi indietro o ribellarsi.
C'erano
stati momenti in cui se lo era quasi aspettato, ma adesso proprio no. Non ci
aveva nemmeno pensato.
Aveva
creduto che, in una situazione simile, lui si sarebbe rivoltato. Che l'avrebbe
attaccata. O che avrebbe cercato di sfuggire.
Era
quello che voleva. Avrebbe riportato le condizioni a uno stato a lei familiare,
facile da padroneggiare.
Angel
le leccava le labbra, tracciando sulle sua bocca lenti cerchi con la lingua.
Quando
le morse il labbro superiore, fu come il tocco di un ago su un nervo dentale
scoperto.
Gli
occhi le si riempiono di lacrime in risposta a un riflesso involontario.
Era
stato solo un morso lieve, una leggera pressione di denti appuntiti che non
avevano neppure scalfito la pelle, ma quello era uno dei punti più innervati
del corpo e bastava poco.
Lui
morse ancora, ripetutamente, e di nuovo quel dolore elettrico, replicato fino a
quando assunse la periodicità di un'onda armonica.
Le
fitte nascevano al centro di quel piccolo arco concavo tra il naso e la bocca,
guizzavano sul volto, percorrevano la spina dorsale, poi straripavano e si
riversavano lungo tutte le fibre nervose degli arti, e si spegnevano,
portandosi via ogni volta un po' dei suoi pensieri, un po' di lei.
Angel
sapeva bene come procurare sofferenza e come dare piacere. Sapeva bene dove la
differenza fra essi diventava solo una questione semantica.
Poco
per volta, quello che era Buffy si assottigliava.
Adesso
era solo uno strato sottilissimo disteso su una massa incognita.
E
anche quello strato veniva grattato via.
(...
ora sparirò del tutto?...)
Onestamente,
non era sicura che le importasse.
Aprì
la bocca sotto quella di lui e rispose al bacio.
Angel
incrociò le braccia dietro la sua schiena, la fece aderire a sé e iniziò a fare
le fusa.
Un
suono a bassa intensità, stranamente tranquillizzante, stranamente
rassicurante, così in contrasto con le sue azioni.
O
solo in contrasto con quello che lei aveva creduto.
Che
esistessero giusti insiemi di azioni, inseparabili, immutabili. Che a un atto
potesse seguire questo, ma non quello. Che il fare, o il pensare, o l'essere,
fossero legati a sequenze preordinate.
Un
suono che cresceva d'intensità, mentre le mani di Buffy salivano a stringergli
la testa per spingerla ancora più contro la propria.
Alla
fine, fu Angel a lasciarla.
Si
rialzò, lasciando la ragazza a terra, la situazione speculare a quella di pochi
minuti prima.
"Ti
ho obbligata?" le chiese.
Capitolo
X by Solitaire
X
"Buon
Natale, Buffy."
Giles
le diede un pacchetto avvolto in carta color piombo e nastri gialli.
Lei
sorrise graziosamente nel prenderlo...
(E'
quello che desidera, no?)
...
e lo svolse subito.
Un
braccialetto di metallo bianco. Argento rodato, forse. O acciaio.
Chissà
chi lo aveva consigliato nell'acquisto.
Doveva
ammettere che, da quando avevano avuto la loro conversazione, Giles la trattava
con grande gentilezza.
E
tanta, tanta cautela.
(Che
si aspetterà ora, il vecchio? Che lo baci, o lo abbracci?)
"Grazie,
Rupert. E' molto bello."
Poteva
bastare.
*
* *
(...
non le importa. Non le importa un accidente di niente...)
Xander
non si era perso una sola espressione...
(...
o non espressione, forse è meglio...)
...
della ragazza, mentre accettava i doni dei presenti, li scartava, ringraziava e
li metteva da parte.
(...
avremmo potuto regalarle una scatola di matite colorate. Sarebbe stata la
stessa cosa...)
Non
era sempre stato così. Una volta c'erano anche gli altri.
Era
così diverso, con la loro presenza. Erano stati il cemento che li teneva
insieme, i più forti, gli unici a non perdersi nei sentieri che si erano
trovati a percorrere.
Spariti
loro, i superstiti non avevano più trovato la strada giusta.
Willow
si era rifugiata nello studio e la cosa non doveva dispiacerle. Aveva sempre
preferito i libri alle persone e, forse, per lei era persino un sollievo non
dovere più fingere un interesse che non aveva mai realmente provato.
Anche
Giles si era rinchiuso nella sua biblioteca e aveva persino smesso di prestare
loro quel poco aiuto che dava una volta.
In
quanto a lui, aveva finalmente deciso che il mondo in cui vivevano non aveva
nulla di divertente e aveva smesso di ridere.
Quest'anno
mancava pure Joyce.
Aveva
accampato una scusa frettolosa e incerta, un poco credibile tentativo di
riconciliazione con l'ex marito.
Ormai
faceva proprio di tutto per evitare di avvicinarsi alla figlia.
Questo
patetico tentativo di credersi una...
Cosa?
Famiglia?
Gli
venne quasi da ridere.
Proprio
una bella famiglia! Stavano lì, imbarazzati, senza alzare gli occhi l'uno
sull'altro.
Uno
spettacolo inutile, perché loro stessi erano i soli spettatori, e lui recitava
come gli altri.
Eccetto
Buffy, seduta vicino all'albero di Natale, che li guardava tutti e non mostrava
nulla.
*
* *
Xander
raccontava qualche sciocchezza
Willow
ridacchiava forzatamente
Giles
cercava di intervenire nel discorso
Buffy
cominciava a stancarsi di tutta quella finzione. Inquinava l'aria, la rendeva difficile
da respirare.
(Devo
uscire da qui. Sto...)
Le
sembrava di essere immersa in un mare viscido.
(...
soffocando...)
Doveva
trovare un modo per farli smettere.
"Ho
ucciso degli uomini."
Come
sempre, Xander fu il più rapido a muoversi. Si era alzato in piedi prima ancora
che Buffy finisse di parlare.
Ovvio.
Xander
teneva l'attenzione sempre concentrata su Buffy e così il senso di quello che
lei faceva, o diceva, non doveva attraversare gli strati della consapevolezza
le pareti prima di essere recepite coscientemente.
Willow,
invece, sembrò recepire la frase con un attimo di sfalsamento, come se quello
che aveva sentito dovesse sostare in una fase di analisi approfondita, prima di
assumere un significato.
E
Giles aprì la bocca, senza però dire niente.
"Cosa
hai detto?" sibilò Xander.
Buffy
alzò gli occhi su di lui.
Adesso
aveva un'espressione. Sembrava quasi divertita.
"Ho
ucciso degli uomini. Esseri umani. Volevano fare cose per cui ho sempre dovuto
uccidere."
Scandiva
le parole, mentre raccontava loro del primo uomo, al porto, e di quelli nelle
notti successive.
Era
come se stesse parlando a bambini piccoli, non molto intelligenti. Oppure come
se faticasse a esprimersi in termini comprensibili.
(Voglio...)
"Adesso
non sei contento, Rupert? Non sei più contento di me? Non mi capisci più?"
(!!!USCIREUSCIREUSCIRE!!!)
La
guardavano, quella cosa estranea che aveva preso il posto di Buffy... Che
finalmente poteva andarsene senza doversi giustificare.
Xander
le corse dietro, la raggiunse e la obbligò a girarsi.
"Buffy,
cosa hai fatto?" urlò "Te ne rendi conto, almeno, o sei pazza? Sei
diventata del tutto pazza?"
Buffy
non rispose. Si limitò a fissarlo mentre la scuoteva tenendola per le braccia,
senza aprire bocca. Xander tentò l'arma dell'accusa, che con lei aveva sempre
funzionato, riducendola a una piccola cosa piagnucolosa e sottomessa.
"E'
ancora lui, non è vero? E' sempre lui. Gli hai lasciato fare quello che voleva
in questa città e gli hai lasciato fare quello che voleva anche di te e
adesso..."
Ancora
quello sguardo verde come il diaspro, duro come il diaspro.
"Parlami.
Dimmi qualcosa... Fa qualcosa! Diosanto Buffy, dove sei? Fammi capire che sei
ancora lì, da qualche parte..."
Nessuna
reazione, nessuna espressione che Xander potesse interpretare, e ad un tratto
fu lui ad avere paura.
Buffy
era così piccola, così insignificante al suo confronto, ma il giovane la
conosceva troppo bene, da troppo tempo, per cadere nell'errore di giudicarla
dall'apparenza.
(Xander,
cosa mi stai dicendo? So che stai parlando, perché sento i suoni, ma non
capisco il significato delle tue parole. Non capisco più)
La
lasciò andare e la ragazza si allontanò senza più badare a lui, e sparì nel
buio.
*
* * * * * *
Lo
trovò nel parco, seduto a terra sotto il solito albero, con le braccia sulle
ginocchia e il volto inespressivo.
La
aspettava, naturalmente.
"Niente
armi, stasera?" le chiese.
"Ne
ho bisogno?"
"No.
Nessun bisogno."
Buffy
era in piedi davanti a lui.
"Hanno
tutti la pretesa che io li ami. Perché sono miei amici e devo amarli e
rispettarli, perché sono miei parenti e devo amarli e onorarli, perché sono
umani e devo amarli e proteggerli. Perché mi amano e devo ricambiarli.
Dichiarano il loro amore e lo ripetono... lo ripetono da anni, come se
ripetendolo lo facessero diventare reale, come se dichiarandolo io fossi
obbligata a provare lo stesso per loro. E' in questo modo che mi fanno
diventare un mostro. Perché non è così. Perché se cerco, se cerco bene,
attentamente, non trovo niente."
"L'amore
non è soggetto alla reciprocità. E, di certo, non è soggetto a un dovere."
La
ragazza inspirò profondamente, come se si preparasse a tirare il fiato prima di
immergersi sott'acqua.
"Quello
che mi hai detto... Mi stavi mentendo?" gli chiese.
"Non
ti mento più da molti anni."
"Non
menti, ma qualche volta non dici tutta la verità."
"Qualche
volta."
"Credo
che questa sia una di quelle volte. Manca ancora qualcosa. Volevi tornare te
stesso. Va bene. Perché quando ci sei riuscito non te ne sei andato?"
Angel
le sorrise.
"Non
fare domande di cui conosci già la risposta. O è una conferma, quella che
vuoi?"
"Basta
con gli indovinelli, Angel. Le mie risposte sono finite, ora tocca a te. Potevi
andartene. Tornare in Europa, magari. Invece sei rimasto in questa merda di
città che hai sempre odiato."
Angel
rimase in silenzio a lungo, abbastanza da farle capire che stava cercando le
parole con una cautela anche maggiore del solito.
Buffy
non insistette. Sarebbe stato inutile.
Anche
lui doveva scegliere. Avrebbe risposto quando avesse voluto.
Forse,
non avrebbe risposto affatto.
In
fondo, era proprio quello che si aspettava. Così, rimase un po' stupita quando
lui parlò.
"Un
secolo fa gli esseri umani erano diversi. Non avevano una tale conoscenza del
loro mondo, né tanti mezzi, ed erano più frequenti gli individui la cui
scomparsa sarebbe passata inosservata. Negli anni loro sono cambiati e io mi
sono ritrovato in un mondo dove le condizioni delle mie prede erano del tutto
diverse di quelle in cui davo loro la caccia."
"Voi
vi adattate. Lo fate sempre. Oppure siete la causa dei cambiamenti."
"Mi
sono adattato. Mi sono adattato a sfuggirgli. A nascondermi. A sapere come
erano diventati, ma sapere non basta e in tutto quel tempo io non avevo avuto
modo di applicare in pratica quello a cui mi adattavo."
"Non
eri più capace di cacciare."
"Non
nelle nuove condizioni. Non ho impresso dentro di me la capacità di uccidere a
prescindere dal contesto. Ho dovuto imparare tutto da capo."
"E
qui ne hai avuto il tempo."
"Qui
ne ho avuto il modo. Qui le cose sono facili. E' un mondo in bottiglia, questo,
semplice rispetto a quello che sta fuori. Se lo avessi lasciato prima di avere
abbastanza esperienza, credo che mi sarei fatto prendere subito."
La
giovane scosse la testa.
Una
cosa così spaventosa, così vergognosa.
L'ennesima
sorpresa.
Anche
se non avrebbe dovuto esserlo, perché era una ragione che chiunque avrebbe
potuto immaginare. Bastava pensarci un attimo.
Ma,
d'altra parte, le soluzioni erano sempre facili, una volta rivelate.
"Lo
sai che dicendomi questo io potrei essere tentata di ucciderti?"
"Se
volevi solo una risposta di tuo gradimento, potevi anche non chiedermi
niente."
E
lui avrebbe potuto tacere, o mentire, o dirle quello che lei voleva sentirsi
dire.
"Adesso
ti senti pronto ad affrontare il mondo fuori?"
"Perlomeno
a provarci."
"Ma
non sai com'è davvero quel mondo."
"No.
Ma non posso fermarmi per sempre. Non posso avere la certezza di essere sempre
preparato a tutto. Posso solo fare del mio meglio."
"Tu
impari in fretta, Angel, sono sicura che ti senti pronto da anni. Però non te
ne sei ancora andato."
"Tu
sei stata molto più lenta di me."
Buffy
sospirò e gli si sedette accanto.
"Credo
che quel tuo poeta avesse ragione..." disse alla fine.
"Forse
si è trovato in una situazione come la nostra."
"Nessuno
è mai stato in una situazione come la nostra."
Angel
la guardò con espressione canzonatoria.
Subito
Buffy si sentì in imbarazzo.
(Già.
E io come posso saperlo?)
Ancora
una volta era caduta nel suo vecchio vizio. Giudicare.
Questa
era la vera differenza fra loro.
Lui
non giudicava. Constatava il mondo e sembrava trovare sempre il modo di viverlo
al meglio possibile.
Aveva
passato anni a compatire Angel...
(Povero
mostro, che non capisce neanche quello che si perde)
Ma
che aveva poi da compatirlo?
Il
tempo non lo avrebbe mai toccato, era più vivo di chiunque avesse mai
conosciuto e completamente soddisfatto della sua condizione.
Ed
era libero.
Era
più logico invidiarlo.
"Eppure
sembrava tanto semplice. Noi da una parte, voi dall'altra. Nessun dubbio sui
confini da non valicare. Solo che a un certo punto... non è stato più così
facile."
Angel
rise sommessamente.
"Vivere
è sempre complicato, ma riesci a immaginare qualcosa di meglio?"
La
ragazza ci pensò con attenzione e non trovò argomenti per contraddirlo.
(Nient'altro.
Non è un mondo benevolo, non ci concede nulla... Forse per questo non vogliamo
lasciarlo)
"Qualche
volta sogno..." si interruppe un attimo "Una volta, quando ero molto
più giovane, sognavo spesso che tu eri come me e che, alla fine, vivevamo
felici e contenti. Adesso sogno di essere io come te."
Angel
appoggiò la testa all'indietro.
Doveva
dire qualcosa. Lei aspettava di sentirsi dire qualcosa.
Anche
qualcosa di stupido, di irrilevante, solo per avere la conferma di essere
ascoltata.
"Gli
incubi li hanno tutti." mormorò.
"Non
ho detto che sono incubi."
Angel
chiuse gli occhi.
Era
stata una caccia stremante. E lunga. Persino per lui.
Si
alzò e tese la mano a Buffy.
"Andiamo."
le disse.
"Dove?"
"Ti
importa?"
(Mi
importa?)
Lei
sospirò, scosse la testa e gli prese la mano.
Angel
la aiutò a rialzarsi.
"Da
qualche parte arriviamo di sicuro, se andiamo avanti senza fermarci."
Fine