AMORE
TRA I BANCHI DI SCUOLA
Di
spuffetta76
1.
Overboarding
“Billy,
amico!” un ragazzo alto afferrò quello più magrolino per il collo, sfregandogli
il pugno sui capelli ribelli. “Non sai che la sala pesi non è il posto adatto
per i secchioni come te?”
La
vittima di quelle indesiderate attenzioni respirò profondamente.
Odiava
chi lo chiamava amico…
Ma
soprattutto odiava chi gli scompigliava i capelli.
Ci
ho messo ore a dargli un aspetto decente, pensò, incupito.
La
giornata iniziava male.
Molto male.
Come
se non bastasse, il ragazzo, dal basso della sua scomoda posizione, vide
arrivare un altro bellimbusto, sicuramente arrivato per dare man forte al capo.
“Forse
l’ha dimenticato..” ghignò. “Sarebbe ora di rinfrescargli la memoria..”
Il
primo aggressore scoppiò in una risata maligna, girandogli la testa in modo che
potesse guardarlo negli occhi.
Quegli
occhi scuri e profondi che lo inquietavano.
Si
mormorava che il piccolo perdente avesse gusti particolari, e non poteva
permettergli di rivolgersi a lui con quello sguardo impertinente…
“Ottima
idea, Xander…Che ne dici, Billy? Hai bisogno di una bella ripassata?”
William
non smise di fissarlo con aria di supponenza, fingendo un sorriso.
“Primo:
io mi chiamo Spike, e non Billy..”
Xander
si strinse nelle spalle, tirandogli uno scherzoso, e poco delicato, buffetto
sulla guancia.
“Come
vuoi, Billy..” il più grosso dei due lo afferrò per i capelli,
facendogli un male d’inferno.
“Secondo:
pestarmi è un modo per sublimare la tua frustrazione erotica da omosessuale
represso..” prese fiato “…Sporco Irlandese?”
Angel
gli sbatté la testa sul bilanciere, smettendo di ridere.
“Ho
capito solo le ultime parole, schifoso Inglese, e mi bastano per pestarti così
a lungo da abbellire quel tuo muso da checca…”
Il
sopracciglio di William cominciò a sanguinare copiosamente, oscurandogli la
vista, e il biondo rincarò la dose.
“Liam,
Liam…Non cambierai mai, vero? Anche se ora ti fai chiamare Angel…” sorrise,
sprezzante. “E poi sarei io, la checca?” Xander gli stampò un pugno nella sua bella
bocca velenosa, senza cancellarne la spavalderia. “Il mio è un consiglio da amico…Con
un soprannome del genere è facile confondersi!” Angel lo centrò con una
ginocchiata nello stomaco, piegandolo in due. “Ma del resto non sei mai stato
capace di tenerti le tue donne…Se avessi voluto, mi sarei fatto perfino la tua
adorata Kathy…”
Gli
occhi neri del capitano della squadra di football si dilatarono dalla rabbia.
“Non
osare mai più parlare di mia sorella in questi termini!”
Spike
sogghignò.
Colpito
e affondato.
Più
facile di un’equazione di primo tipo.
“E
già…Se non ci fosse lei a salvarti da quel cocainomane di tuo padre…” Liam
trasalì, troppo sbalordito perfino per colpirlo. “Sorpreso, eh? Ma sai come va,
no? Le voci girano…”
Xander
lo atterrò con un pugno, guardando con rispetto cameratesco il suo capitano.
“Ora
chiuderò la tua piccola, sudicia fogna per sempre…” gli mozzò il fiato
con un calcio nelle costole, seguito da un altro, più forte, all’inguine.
William
urlò, gli occhi pieni di lacrime di dolore.
“O’Connor, Harris! Smettetela immediatamente di pestare
Shelby!” Liam si ritrasse all’istante, guardando Mr. Wood, il suo coach, con
aria colpevole.
Il
giovane uomo di colore porse il braccio a William, che lo rifiutò, alzandosi da
solo.
Era
tutta colpa di quell’uomo se Angel e i suoi compari erano così importanti da
fare il bello e il cattivo tempo.
Troppo
facile, pensò, mettersi la coscienza in pace per aver evitato che i suoi
pupilli mi facessero la pelle. E tutto il resto.
L’allenatore
studiò quel ragazzino dai capelli assurdi scansare la sua mano e rimettersi in
piedi, con gli occhi lucidi e metà della faccia ricoperta di sangue.
Gli
sarebbe rimasta una bella cicatrice.
Da
uomo vissuto.
Ammirò
la sua espressione risoluta, il lampo di derisione negli occhioni blu, come
fari nel viso scarno e pallidissimo, molto “dalle terre nebbiose con furore”.
Lo
voglio in squadra, si disse, anche se ci sarà da lavorare parecchio.
Poi,
come Angel aveva temuto, spostò lo sguardo su di lui.
La
sua espressione non preannunciava nulla di buono.
“Ti
voglio nell’ufficio del preside dopo le lezioni. Senza fiatare…” si girò verso
Xander, raggomitolato su sé stesso come un patetico lombrico umano. “Harris può
andare a casa, a godersi il suo lungo congedo dalla squadra…” Xander impallidì
talmente da battere il record di Spike.
“Ma
coach, questa è la nostra stagione…”
“Niente
“ma”, Alexander…La prossima volta che ti viene voglia di menare la mani pensaci
non due, ma diecimila volte.” il ragazzo si voltò verso Angel, speranzoso.
Ma
l’aiuto non arrivò.
Vide
solo il faccino affilato dell’Inglese, che lo scherniva con la sua odiosa aria
da furbastro.
Il
bestione scrollò le spalle, e uscì in un turbine di brontolii e porte sbattute.
“Shelby,
in infermeria!” ordinò perentoriamente il Mister, spingendolo in avanti.
Spike
lo squadrò con aria di superiorità, alzando per riflesso condizionato il
sopracciglio.
Peccato
che non avesse considerato il suo recente incontro ravvicinato del terzo tipo
con il disco di metallo del pacco pesi.
Ahi.
Buffy
passò davanti a Fred, seduta su una panchina del cortile per la pausa pranzo,
limandosi le unghie e ridacchiando con Darla e Faith.
Sicuramente
parlavano di ragazzi, o di una nuova esclusiva festa, a cui, tanto per
cambiare, la piccola Winifred non era stata invitata.
La
ragazzina sospirò, tirandosi su gli occhialetti rossi.
“A
cosa stai pensando?” le sorrise Tara, giocherellando con una codina bionda.
“All’inutilità
della mia esistenza” le fece tristemente eco l’amica.
Lindsey
roteò gli occhi, sbuffando.
“Ancora
a sbavare per entrare nella corte di Miss Summers? Quando capirai che sono un
branco di galline..?” Fred lo fissò con odio, rimbeccando.
“Ma
popolari…Al contrario di noi.” addentò il suo panino, togliendosi i capelli
scuri e disordinati dalla fronte.
“Però
noi non facciamo coccodè. Loro sì.”
Tara
inclinò la testa, concentrata.
“Anche
Lilah?” Il ragazzo strofinò le suole a terra, punto sul vivo.
“Lilah
in primis…” Nascose lo sguardo ferito dietro i capelli chiari, incrociando le
braccia al petto.
Tutti
sapevano della sua cotta per Lilah Morgan, una ragazza dell’ultimo anno.
Non
solo doveva fare fronte al comune imbarazzo dei primi amori, ma soprattutto ai
bicipiti del suo ragazzo - guardia del corpo, dispostissimo a riempirlo di
botte.
Ed
essere alto una testa meno di lei non l’aveva aiutato affatto.
Non
era il massimo, essere conosciuto come “Polly Pocket”, soprattutto per
conquistare una delle ragazze più belle della scuola.
“Ehi
ragazzi…Cos’è questo mortorio?” Spike arrivò con una borsa del ghiaccio sulla
fronte, la maglietta sudicia di sangue e un enorme sorriso compiaciuto.
“Oh,
mio Dio!” Fred coprì la bocca con entrambe le mani, spaventata.
“Che
ti è successo?” Tara scattò in avanti, premurosa come sempre.
Una
mamma basta e avanza, considerò acidamente William, ritraendosi dalle
attenzioni dei suoi amici.
“Prendetevi
un po’ di valeriana, okay? È tutto a posto…È solo un graffio, l’ultimo
ricordino di O’Connor e compari. Niente punti, solo un cerotto. Va da sé che
potete rimandare il funerale.”
Lindsey
contrasse i pugni, combattivo come sempre.
“E
tu non gli hai fatto la festa? Mi offro volontario per fargli una visita di
piacere…”
“Lindsey,
non fare l’idiota. L’ultima volta che hai giocato a Napoleone Bonaparte con Liam
ci hai quasi rimesso una mano…”
“Ora
si chiama Angel…” Drusilla gli batté sulla spalla, comparendo come sempre dal
nulla, e Spike la guardò interrogativamente. “Non Liam. Odia quel nome…Lui è
solo Angel, adesso…”
“Non
fa differenza. Resta sempre un gran figlio di…”
“Spike!”
urlò Fred, sdegnata. Lindsey si avvicinò spavaldamente alla ragazzina alta e
mora.
“Perché
non torni a giocare con i tuoi amici immaginari, invece di disturbare noi?”
Socchiuse
la bocca, incapace di rispondere alla frecciata gratuita del biondino.
I
suoi grandi occhi violetti si spalancarono per lo stupore, ed improvvisamente
Dru ebbe una gran voglia di piangere.
Scappò
via correndo più veloce che poteva, inciampando nelle sue scarpine rosse.
“Corri,
corri!” le urlò dietro Lindsey, ridendo.
William
scosse la testa, alzandosi con un salto.
“Odi
tanto Liam, o Angel, o come diavolo si chiama…E poi ti comporti peggio di lui…”
schioccò la lingua con disprezzo. “…Sei un idiota, McDonald!” si mise a correre
fra gli alberi, seguendo la mora. “Dru, aspetta un secondo!”
“Quello
che si dice fatti l’uno per l’altra…Tra matti ci si capisce!” il ragazzo cacciò
fumo dalle orecchie, sbuffando come una vecchia locomotiva.
Fred
arrossì improvvisamente, appannando completamente gli occhiali.
Tara
le accarezzò la testa, facendole coraggio.
“Perché
non glielo dici?”
“Dirgli
cosa, esattamente? Che sono disperatamente innamorata di lui fin da…. sempre?”
Tara
si grattò la testa, soprappensiero.
“Bhé,
non esattamente…” la bionda lo guardò parlottare con Drusilla, che si copriva
il viso bagnato di lacrime con le manine bianche.
“Mi
rifiuterebbe! Avanti, guardalo…E poi guarda me. Non capisco
ancora perché continua a stare con dei perdenti come noi, quando potrebbe avere
molto di più…” si ripulì gli occhiali nel golfino giallo, tirando su con il
naso.
“Perché
ci vuole bene?” buttò ad indovinare Tara, porgendole un fazzoletto. “Fred, tu
sei la sua migliore amica…Forse è difficile per lui guardarti in modo diverso…”
“Cos’ha
William che io non ho?” Lindsey camminò nervosamente avanti e indietro.
Negli
occhi castani di Fred si accese un lampo birichino.
“È
più alto di un metro e mezzo, Polly…”
“Perché
continui a difenderlo, dopo tutto quello che ti ha fatto?” William guardò piangere
la bella damina di porcellana, con una voglia matta di spaccare il muso a quel
cretino di Lindsey.
“Lui
non ne ha colpa…Il problema ero io…È sempre colpa mia…Mia, mia, mia!”
singhiozzò più forte, abbandonandosi sulla panchina più vicina.
Spike
la abbracciò di slancio, accarezzandole una guancia con la sua.
“Dru,
ti prego…Non dire mai più una cosa del genere. Era lui a doverci stare
attento. E poi prendersi le sue responsabilità. Ma che vuoi farci? Sei
rimasta incinta di un vigliacco, e hai dovuto abortire.” giocherellò con
una ciocca dei suoi capelli. “La tua gravidanza andava contro la tua religione
e il volere della tua famiglia. Se non l’avessi fatto, ti avrebbero cacciata di
casa…E che futuro avresti potuto dare a tuo figlio, in quel modo?” la ragazza
si accarezzò il ventre piatto.
Era
andata fuori di testa, dopo l’aborto.
A
soli sedici anni si era dovuta stendere su quel lettino asettico, aspettando
che le strappassero la vita dal ventre.
Liam
se n’era lavato le mani, dicendo di non averla toccata…
Che
poteva essere stato chiunque.
Drusilla
aveva pianto sulla sua spalla, raccontandogli dei sogni che faceva.
Sognava
il suo bambino mai nato, con gli occhi d’ossidiana del padre e la sua
carnagione chiara, che giocava con le stelle del cielo, dando un nome ad
ognuna.
Diceva
che era la Vergine Immacolata a mandarle quei tormenti, per punirla dei suoi
peccati.
“Io
l’ho ucciso, capisci? E ora le stelle cantano canzoni con cui avrei
dovuto cullarlo…”
Prima lei e Darla erano grandi amiche.
Si
scambiavano confidenze sui rispettivi ragazzi, spettegolavano, facevano
shopping…
Cose
normali da ragazze normali.
Ma
dopo il tracollo della popolarità e dell’equilibrio mentale di Drusilla, la sua
cara amica non aveva esitato a gettarsi fra le braccia di Angel, scaricando
il fidanzato Daniel, che ora tentava di rendere la vita molto dolorosa
ad entrambi.
“Non
pensarci. Dimentica…” la strinse a sé, amareggiato.
“Non
posso…! Ogni notte sogno i suoi occhi....Mi fissano, e io affogo nelle loro
nere profondità…” un tremito la scosse. “Ogni notte…”
Buffy
Summers accavallò compitamente le gambe, concedendo ad ogni ragazzo nel raggio
di cento metri una breve panoramica della sua biancheria intima.
Pizzo
rosa, intonato con il fermaglio per i capelli e il trucco.
Ci
era stata particolarmente attenta…
Non
si sa mai, era il suo motto.
Si
incipriò il naso, controllandosi il trucco, e si accomodò nella posizione più
sexy di cui era capace.
“Che
lagna!” sbuffò Darla alle sue spalle, alludendo a Drusilla la Pazza,
abbracciata quel perdente di William su una panchina all’ombra di un albero
nodoso.
“Ma
stanno insieme?” chiese Faith, guardandoli maliziosamente.
Certo
che facevano proprio una bella coppia…Di squilibrati.
“Macchè!”
abbassò la voce la bionda. “Sicuramente lei sta delirando, e lui le fa da crocerossina..”
La
bruna giocherellò con la sua canottina rosso scuro.
“Peccato.
Quel ragazzo ha delle grandi potenzialità…”
“Delle
enormi potenzialità, sorella…” alluse Darla, mangiandolo con gli occhi.
“E
allora perché si ostina a stare con quelli..?” Buffy indicò con il mento
Fred, Tara e Lindsey, guardandoli con disprezzo. “Il club dei falliti…”
“Forse
ha il gusto dell’orrido!” declamò saggiamente Wes, correndo per la gradinata della
scuola.
La
mora si voltò, riconoscendo la voce familiare, e saltò in braccio al suo
ragazzo, ridendo.
“Mi
sei terribilmente mancato!” gli mordicchiò il lobo dell’orecchio, mandandogli
gli ormoni a mille. “Anche se non ci vediamo da un paio d’ore…”
Lui
le fece l’occhiolino attraverso i suoi occhiali alla moda, tentando di
addrizzare il colletto della sua polo color pesca, stropicciato dall’irruenza
di Faith.
“Ogni
ora lontano da te è per me un secolo di torture…” recitò a memoria, facendola
sorridere.
“Smettila
di fare il cretino!” lo attirò a sé per la nuca, strusciandosi sensualmente
contro di lui. “Che ne dicessi se invece…” avvicinò la bocca carnosa al suo
orecchio, mormorando qualcosa che lo fece arrossire violentemente.
“Ragazzi
per favore, non in pubblico!” arricciò il naso Buffy, guardando l’orologio.
Darla
le diede una lieve spinta, sporgendo le labbra pallide.
“B.!
Stai diventando una zitella frigida…” la canzonò Faith, trascinando via Wesley.
“Considerato che la vista di un po’ di sano sfogo ormonale ti disturba tanto,
noi andiamo a cercarci un posticino…Come dire? Ecco sì, tranquillo…”
Wesley
le illuminò con il suo migliore sorriso da capoclasse, alzando le spalle nella
loro direzione prima di scomparire con la sua ragazza - tornado umano.
“Gli
opposti si attraggono, vero?” chiese la bionda a Darla, soprappensiero.
Meglio
il vestito nero o il completo prugna per la festa a casa di Darla?
No,
decisamente il nero…
Al
colore dei miei capelli il prugna non dona affatto, si rispose rassegnata.
“Altrimenti
come ti spieghi che un rampollo dell’upper class come Price stia con quella
furia scatenata di Faith?” considerò la sua amica, studiandosi un’unghia
scheggiata.
“Il
fascino della ragazzaccia di strada?” ribatté velenosa Buffy.
“Ehi!
Faith è un po’ vivace, ma è a posto…” la giustificò Darla, seria in
volto.
“Per
essere canadese, devo ammettere di sì…” Buffy lisciò la sua gonna da
cheerleader, con la ferma intenzione di cambiare discorso.
“Hai
visto Charles?” chiese l’altra, controllando che il cavallino
della Ralph
Lauren sulla sua polo fosse bene in
vista. “Doveva parlarmi…”
“Da
dove ti viene tutta questa passione per i randagi?”
“Mi
fa sentire in pace con la coscienza…” ammise Darla. “Se so di fare del bene al popolo
dei sobborghi mi sento libera di salire sulla Porche di papà senza troppi
scrupoli…”
“Se
ti fa felice…” sospirò l’amica. “Basta che il “bene” non comprenda invitarli
alle nostre feste…”
“Ma
sei matta?” Buffy imprecò. Quell’acuto aveva rischiato di perforarle un timpano.
Chissà se le si erano anche rovinati i capelli, con lo spostamento d’aria… “È
così cheap! Se ci aggiungi che vedendomi con un tipo del genere i miei
mi proibirebbero di uscire per una settimana…”
“Ma
non finanziavano Amnesty International e bla bla bla…?”
“Appunto!
È la stessa logica della Porche di prima, carina…” ribadì.
“Perché
gli concedi l’onore di salutarti, allora?” insisté Buffy, continuando a non
capire.
La
bocca della bionda si curvò in un sorriso dissoluto.
“Ricordi
cosa diceva Freud degli uomini di colore…?”
Buffy
scavò nella sua memoria, tra il conto del vestito di Chanel (da spiattellare
con nonchalance a tutti appena se ne fosse presentata l’occasione) e gli
impegni del venerdì sera (festa da Darla, inventare una balla per evitare il sabato
in famiglia e trovare qualcuno disposto a darle ripetizioni di letteratura
inglese), tentando di ricordare qualcosa sulla precedente lezione di
psicologia.
Ah,
certo!
L’invidia
del…
“Darla!”
guaì, arrossendo. “Non posso credere che tu l’abbia anche solo pensato! Ed
Angel?”
L’amica
si strofinò il mento, battendosi l’indice sul labbro inferiore.
“Dici
che anche lui…”
“No!”
La interruppe la bionda, scandalizzata. “Intendo dire che è il tuo ragazzo, e
tutto il resto…”
Darla
fece spallucce, prendendo fra pollice ed indice l’orlo della sua minigonna da
tennis da brava figlia di papà.
“Questa
è la settimana del prendi due paghi uno, tesoro…”
“Darla!”
ripeté l’amica, alzando la voce.
La
bionda alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
“Su
una cosa Faith ha ragione…” le sorrise, alzandosi.
“Cosa?”
chiese sospettosa Buffy, aggrottando la fronte.
“Stai
diventando una zitella frigida…”
Robin
Wood girò intorno alla sedia di Liam, con le braccia incrociate al petto e uno
sguardo capace di incenerire una quercia a quindici metri.
Angel
strinse i braccioli di plastica economica fino a farsi sbiancare le nocche.
Detestava
il football, detestava quelle stramaledettissime tecniche da Gestapo, detestava
il coach, detestava tutti i quarantenni in piena andropausa, detestava sua
padre, detestava l’autorità…
E,
dulcis in fundo, detestava quella mezza calzetta di Shelby.
“Non
ti riserverò lo stesso trattamento tenuto per Harris. Sei troppo importante per
la squadra, O’Connor. I ragazzi ne verrebbero
fuori demotivati, se ti buttassi fuori…Sei il loro capitano.” l’uomo tornò a
sedersi, poggiando i gomiti sulla scrivania di legno sintetico. “Sono dei
bestioni senza cervello…Siamo solo io e te, possiamo dirlo tranquillamente…” lo
guardò negli occhi, cercando un segnale qualunque. Risentimento, affetto,
gratitudine… “Però hanno spirito di squadra, e ti venerano come un Dio.” ma in
quelle profondità nere c’era solo una rabbia vuota. Era una bomba ad
orologeria, l’Irlandese…Doveva appuntarselo. “Perché tu sei intelligente.
Perfino troppo, per questo gioco. Giochi con la testa, non con i muscoli. Ed è
un’ottima tecnica, che finora ci ha portato alla vittoria. Se siamo tra le
prime squadre in graduatoria è anche merito tuo…Devo riconoscertelo.” niente.
Nemmeno le lusinghe sortivano effetto. Il viso di Angel aveva l’espressività di
un monolite, e le sue lunghe mani nervose non allentavano la stretta. “Ma non
hai spirito di squadra. Ed è questo che alla lunga ci renderà dei perdenti.” si
sporse in avanti, posando il mento sulle mani intrecciate. “Il tuo
comportamento irresponsabile nuoce alla squadra. Harris era un ottimo
corridore, e ho dovuto buttarlo fuori…” Liam si strinse impercettibilmente
nelle spalle, guardando fuori dalla finestra. “Mi giocherei la mano destra che
Alexander non avrebbe mai fatto una cosa del genere, se non glielo avessi
chiesto tu…” nello sguardo del ragazzo si accese una scintilla fiera, e Liam
girò di scatto la testa verso di lui.
Finalmente!,
si congratulò con sé stesso l’allenatore, abbozzando una smorfia compiaciuta.
“Harris
ha una sua testa per pensare. Non sono né un dittatore né il loro capo. Io
non do ordini a nessuno…Se stamattina era con me e Shelby è stato per sua
libera scelta, e non certo per colpa mia.” sollevò il mento, sfidandolo. “Se
vuole punirmi per quello che ho fatto, faccia pure. Ma non mi attribuisca colpe
che non sono mie.”
“Oh,
ma io ti punirò…” esclamò Wood, spingendo indietro la poltroncina girevole.
“Voglio vederti sputare sangue su quel campo. Fino all’ultima goccia. Se
continuerai a dare il meglio di te, avrai trovato in me il tuo migliore amico…”
“Altrimenti?”
lo guardò negli occhi, senza lasciarsi intimidire.
“Altrimenti
non solo avrai chiuso con il football, ma anche con questa scuola. Per
sempre.” rincarò la dose, senza abbandonare la sua espressione fintamente
amichevole. “E io, tuo padre e il preside faremo una lunga, lunghissima
chiacchierata…” Liam impallidì, spostando nuovamente lo sguardo verso il prato,
all’esterno. “Intesi?” chiuso nel suo mutismo, Angel continuò a guardare
ovunque tranne che verso il suo interlocutore. “Intesi?” ribadì il
coach, alzando la voce.
“Sissignore…”
borbottò il ragazzo, studiando attentamente una minuscola macchia di fango
sulle sue scarpe “Ora posso andare?” rantolò, alzando per un secondo lo
sguardo.
L’uomo
lo scacciò con un gesto della mano, voltandogli le spalle.
Liam
sparì alla velocità della luce, sbattendo la porta dietro di sé.
L’allenatore
passeggiò avanti e indietro, rimuginando.
Fuori
Harris, aveva bisogno di un nuovo giocatore per coprire le linee esterne.
Un
tipo sveglio, scattante, che poteva allontanare velocemente la palla dalla
mischia…
Wood
si batté sulla fonte, socchiudendo la bocca.
Il
suo uomo aveva già un nome.
“Xaaaaandeeeeeeeeer!!!”
cantilenò Willow, correndo verso il suo ragazzo, che si avvicinava all’uscita
con la testa bassa e la coda fra le gambe. “Non ti ho visto
all’allenamento…Dove ti eri cacciato? Sai che il coach diventa furioso se…”
“Non
c’ero, infatti.” la apostrofò Xander, guardandola in tralice.
La
rossa gli girò intorno, piantandosi di fronte a lui con le mani sui fianchi.
“Cosa?”
lo guardò, allibita. Doveva aver perso qualche passaggio…
“Non
faccio più parte della squadra…Ecco tutto.” la sorpassò, continuando a
camminare.
“E
perché, di grazia?” Willow lo inseguì, sgambettando per tenergli dietro.
Ecco,
il mondo le stava crollando addosso.
Fine
popolarità, fine feste, fine dopo-partita…
No,
non poteva assolutamente sopportarlo!
“Non
è il momento, Will…” accelerò il passo, distanziandola.
“Non
è il momento Will?” lo scimmiottò, furibonda. “Io ho il diritto di
saperlo…Sono la tua fidanzata!” Willow lo prese per la manica, costringendolo a
voltarsi verso di lei.
“Ancora
per poco, se non la smetti di assillarmi…” scrollò il braccio, allontanandola.
“Sei soffocante, Rosemberg. Una vera paranoica.” si toccò i capelli, senza
guardarla in faccia. “Ora, se non ti dispiace, vado a smaltire la rabbia
sul mio sacco.” le scoccò un’occhiata minacciosa. “Sono di pessimo umore, se
non avessi recepito il messaggio.” tirò un calcio al cancello, facendo gemere i
cardini arrugginiti e i sottili decori di ferro battuto.
Willow
decise di cambiare tattica, sorridendogli sensuale.
“Se
vuoi puoi sfogarti su qualcos’altro…” si alzò sulle punte dei piedi, seguendo
con il naso i contorni della sua mascella contratta per la rabbia. “Qualcosa di
più divertente di un paio di kg di sabbia…” fece saettare la lingua
sulle labbra di Xander, strofinandosi contro la patta dei suoi Levi’s. “È
dovere di qualunque ragazza tirare su il proprio uomo, nei momenti
difficili…”
Il
fidanzato la guardò sospettoso, portandole i capelli di rame dietro l’orecchio.
“Mi
stai proponendo quello che credo?” sussurrò, sentendo il suo fiato caldo sul
collo.
Meglio
un po’ di sesso che un’ora di boxe, non c’era dubbio.
“E
cosa, sennò?” mormorò la rossa, sfiorando con un fianco la sua
eccitazione, dolorosamente evidente. L’avrebbe fatto sfogare un po’, e poi
avrebbe trovato il modo di risolvere anche quel problema. Sperando che non ne
combinasse un’altra delle sue…
“A
casa mia o a casa tua?” le chiese, sempre più stuzzicato.
“Ora…”
rispose, arrochendo la voce. “Nel bagno…” Anche se inginocchiata, avrebbe
comandato lei. Il potere…Lo adorava. “Ti voglio subito, non riesco…”
sospirò volutamente. “…Ad aspettare…” proseguì imperterrita con il suo show.
“Ti mangerei…Qui, davanti a tutti…” Xander la sbatté contro il muretto,
sentendo che stava per esplodere. “No, ti prego…Potrei non riuscire più a
fermarmi…” inarcò la schiena, mettendo il suoi piccoli seni sotto il naso del
ragazzo.
Xander,
senza proferire verbo, la trascinò verso i servizi, pregando che nessuno
notasse il rigonfiamento sospetto sul cavallo dei jeans.
2.
Gioco di squadra.
“Ehy,
Shelby…hai un momento?”
Spike
si girò, e sollevò un sopracciglio. Quel pallone gonfiato di coach Wood. Che
ora gli sorrideva come lo zio Sam dai manifesti bellici.
“Veramente,
sono troppo impegnato nel farmi espellere” replicò, freddamente.
“Giù
le arie da duro, ragazzino e vieni nel mio ufficio”
Il
ragazzo sospirò e si arrese. Del resto, l’ufficio del coach, ricoperto di
targhe e coppe, era proprio lì vicino. Wood si servì dell’acqua fresca dal
distributore e gliene offrì. La giornata era troppo calda per rifiutare
impunemente dell’acqua ghiacciata.
“Dopo
quello che ha combinato, Harris è fuori. Del resto, non è mai stato un granché,
nemmeno nei suoi giorni migliori. Ho bisogno di uno veloce. Ho bisogno di uno
con grinta e voglia di vincere. Ho bisogno di un signor figlio di puttana”
“Non gioco a
football, coach” rise Spike. “Con la mia
stazza, mi mandano all’obitorio alla prima partita. E poi, preferisco il football…quello
vero. Tifo Manchester United.”
“Non
sei un armadio, questo è evidente…ma corri. Corri veloce”
“Di
solito per evitare che quelle mezze seghe come Harris mi aggrediscano tre
contro uno” ammise Spike.
“Appunto.
Non ti andrebbe di fargliela pagare? Tu dentro…e lui fuori. E pensa a
Liam. O’ Connor. Quel grosso irlandese cazzuto che pensa di avercelo solo lui.
Dimostraglielo.”
“Io
non devo dimostrare niente a nessuno” replicò Spike, alzandosi. Ma Coach Wood
gli impose di risedersi.
“Ragazze,
amico” replicò Wood. “Quante ne vuoi. Suvvia, credi sia nato ieri? So cosa si
fa nelle aule deserte, e nei bagni di questo puttanaio che chiamano scuola”
“Il
linguaggio scurrile fa parte dell’ambiente di spogliatoio, vero?” replicò
Spike. “Tutte queste merdate vagamente omosex…non fa per me”
Wood
sospirò. Shelby gliela stava mettendo giù più dura del previsto. Qualunque
altro coglione avrebbe fatto salti di gioia al solo entrare nel suo
ufficio…
“Prenditi
un giorno per pensarci. Pensa alla possibilità di metterla in quel posto a
O’Connor”
Spike
si piegò sulla scrivania, e fissò il coach negli occhi. L’uomo quasi si perse
in quello sguardo blu, determinato, deciso…freddo. Così insolito per un ragazzo
così giovane.
“Lei
ci vuole l’uno contro l’altro, vero? Non gliene frega un cazzo se ci
ammazziamo. Meglio. Quello che conta è che sputiamo l’anima sul campo da
gioco, ogni venerdì sera che il Signore manda in terra.”
“Qualcosa
del genere” ammise Wood.
“Ci
sto” lo sorprese Spike.
“Cosa…cosa
ti ha fatto cambiare idea?”
Il
ragazzo sorrise.
“Qualcosa
che ha detto. E’ stato molto motivante, Mister”
Wood
si chiese cosa, mentre sentiva i passi di Shelby allontanarsi nel
corridoio.
Spike
passò davanti alle due bionde e le fissò a lungo, sorridendo.
Stronze.
Buffy
Summers. Darla Mayer.
Pensavano
di avercela diversa dalle altre: beh, si sbagliavano.
Malgrado
la sua giovane età, aveva una certa esperienza con le donne, ed aveva imparato
qualcosa che lo aiutava…a mantenere alti i suoi livelli di familiarità con
il sesso femminile.
Bisognava
amare la fica.
Proprio
quella.
Alle
donne non gliene fregava niente se glielo mettevi dentro per ore. Tutt’al più,
si annoiavano. Ma un lungo, onesto, servizio alle loro parti basse le faceva
scopare come dee. E bisognava amarla, non solo per scopare, ma proprio
come idea in sé. L’odore, il sapore, la consistenza…il modo in cui reagiva al tuo
tocco, alla tua bocca, alle tue dita, persino al tuo membro.
Una
volta imparato questo, non c’era donna al mondo che ti avrebbe resistito. Era
un piccolo consiglio paterno, e sicuramente il più utile.
Forse
quei falliti dei suoi amici guardavano quelle troiette d’alto bordo come se non
ci fosse di meglio al mondo, ma Spike la sapeva più lunga.
Sapeva
cosa a loro piaceva.
E
sarebbe stato facilissimo farglielo ammettere.
“Che
diavolo guardi?” gli chiese Darla. “Sciò. Stiamo aspettando un vero uomo. Smamma”
Spike
rise, la lingua tra i denti, lo sguardo insolente. Darla era già annoiata…ma
lui ricordava di cosa sapeva.
Lo
ricordava da quella volta, il trimestre precedente, che erano andati avanti per
due ore nello spogliatoio della palestra…
Volse
lo sguardo, lo lasciò scivolare su Buffy.
Si
chiese di cosa sapesse lei.
Un
cosino grazioso, occhi grandi, verdi, un corpicino perfetto che non andava
nemmeno troppo a sbattere in giro, al contrario di Darla.
Buffy
sollevò lo sguardo e lo sfidò con gli occhi. Lui scosse il capo piano. Non era
ancora arrivato il momento…non ancora. Ma presto.
“Chi
diavolo è?” chiese Buffy a Darla, mentre il ragazzo si allontanava.
“Spike
qualcosa. Un inglese.” Sbuffò l’amica. “Non capisco perché Angel stia tardando
tanto.”
“Saprà
di letteratura?”
“Immagino
di sì. Andava ad una di quelle scuole in…”
“Che
tipo assurdo” replicò Buffy, sorridendo nervosamente. “Con quei capelli…e
quella lingua…”
Darla
si morse brevemente le labbra.
Forse,
ripensandoci, avrebbe potuto essere più gentile.
Ma
Angel stava arrivando.
“Ciao,
Darla…Buffy…”
Buffy
lo osservò con la coda dell’occhio, mentre Angel invadeva la bocca di Darla con
la lingua. Oh, cielo…era splendido. Alto, così più alto di loro che per
guardarle negli occhi doveva lievemente chinarsi, bruno, intenso.
E
Buffy lo amava.
Oh,
sì, lei aveva la maturità di un tortino alla frutta – come diceva sempre quello
stronzo del fidanzato di sua madre, il pomposo Mr. Giles – ma amava.
Amava Angel.
Che
era il ragazzo della sua migliore amica, Darla.
Che
la sbatteva in giro per la scuola.
Non
come lei.
Che
aspettava Angel.
Anche
se, da lui, quel poco che aveva era sempre rubato, alla squadra, alla
sua moto, agli amici…e a Darla (in quest’ordine).
Angel
appoggiò la testa sulla spalla di Darla, e fissò Buffy, sornione, con i suoi
profondi occhi scuri.
Buffy
gli sorrise.
“Le
vedi le stelle?” gli disse Dru, indicandogli con il dito la volta celeste. “Mi
parlano…solo che le loro voci sono così diverse…e così simili…che mi
confondono…”
Spike
annuì, accarezzandole distrattamente l’orlo della sua scollatura con la punta
delle dita. Lei aveva la pelle di panna, un corpo magro e muscoloso, scattante,
come i lampi violetti del suo sguardo. Era bellissima. Era la sua Dru.
Peccato
che fosse ancora innamorata di Angel, quel bastardo!
Al
solo pensarci, una rabbia oscura covava in lui. Dru si era persa per settimane
in un viaggio di andata e ritorno dalla follia, per colpa sua, e lui…
Tentò
di consolarsi dicendo che O’ Connor stava con una troia.
Non
come Dru.
Continuavano
a frequentarsi, lei diceva che la sua presenza era rinfrescante, ma
Spike – di fronte a lei – era imberbe. Incapace di sedurla come avrebbe fatto
con qualsiasi altra ragazza. Qualsiasi. Anche quella bionda dal cervello
di oca di Buffy Summers. Chissà perché poi pensava a lei…
Ed
anche ora che erano in macchina, nella sua orrenda ma familiare de Soto sui cui
sedili aveva carnalmente conosciuto più di una ragazza, di notte, da soli, non
si sentiva pronto a fare la sua mossa.
Lei
soffriva. Lei aveva appena abortito. Lei amava un altro.
Lei
non era la sua ragazza, e forse non lo sarebbe mai stata.
Ma
l’ammirava…e, a modo suo, l’amava.
E
la rispettava.
Anche
se la tensione nei suoi jeans gli diceva che doveva trovarsi una donna,
e alla svelta, se voleva continuare ad essere Mister Comprensione nei confronti
di Dru.
Si
chiese se baciarla…e quale sarebbe stata la sua reazione.
Ma
lei chiuse gli occhi, il volto orientato verso la luce pallida della luna che
accendeva ancora di più la sua eterea bellezza.
E
lui non osò.
L’annuncio
era là sul muro.
Nero
su bianco.
Implacabile.
“Non
ci posso credere…” ansimò Xander, umiliato. “Quello schifoso…quel pezzente…quel
lurido punk da strapazzo…in squadra! Al posto mio”
“Ti
sta bene, Xan” puntualizzò Wesley, aggiustandosi gli occhiali sul naso. “Hai
fatto qualcosa di veramente scorretto, ed ora ne paghi le conseguenze.”
Ripensandoci, Wes sorrise. “E poi, lascia pure che lo massacrino. Un paio di
partite, e nemmeno sua madre riconoscerà più i suoi resti”
“Mia
madre è morta” osservò freddamente Spike, arrivando da dietro. “Quanto a
mio padre, vive ancora in Inghilterra e guarda il football – quello vero – alla
tv. Nessuno piangerà la mia dipartita…dovreste esserne lieti”
“Facevamo
per dire” si difese Wesley. “Io nemmeno lo seguo, questo sport. Preferisco il
tennis.”
Xander
e Spike rimasero soli, ad osservare Wesley che si allontanava.
“Mi
dispiace….no” rise Spike. “Che diavolo sto dicendo? Non mi dispiace per
niente! Tornassi indietro, rifarei di nuovo tutto da capo! E direi di nuovo sì
al coach…”
Xander
strinse gli occhi.
Ma
era solo, stavolta.
E
non aveva tutta questa voglia di farsi espellere da scuola. Will ce l’aveva già
su con lui per quanto era successo con la squadra, non era proprio il caso di
peggiorare le cose.
Spike
sollevò le spalle: che vigliacco!
Mentre
il biondo se ne andava per la sua strada, Xander sentì la mano grande e ferma
di Angel posarsi sulla sua spalla. E sollevò lo sguardo.
“Non
temere, gliela faremo pagare” disse Angel “Ed io so già come”
Lo
sguardo di Xander si incupì, fino a che nel suo campo visivo non apparve una
ragazza snella, dal visino impertinente e i capelli color miele.
“Scusate”
disse lei, in un inglese per niente accentato eppure straniero. “Sto cercando
il laboratorio di fisica”
“Sulla
destra, la seconda porta” rispose Angel, annoiato. Una nuova troietta che non
si era ancora scopato. Chi diavolo era? Beh, aveva già le mani piene e…
“Se
vuoi ti accompagno!” le disse Xander, tutto entusiasta.
Lei
annuì e sorrise, con la sua aria sbarazzina. Gli tese subito la mano. “Il mio
nome è Aud, ma siccome tutti sbagliano a pronunciarlo…puoi chiamarmi Anya”
“Anya…da
dove vieni? Non sembri di queste parti”
“Sono
svedese. Sono qui per uno scambio studentesco”
“Accidenti,
vorrei parlare io lo svedese come tu parli inglese”
“Sai
cosa si dice degli scandinavi e delle lingue…” insinuò lei, lasciando
intravedere la sua tra le belle labbra rosse.
Angel
sollevò gli occhi al cielo. A queste troiette piaceva proprio sbattergliela in
faccia…e dov’era il mistero? La prevaricazione, il potere? Se solo
avesse trovato qualcuno che gli resisteva, una volta tanto, qualcuno che
l’avrebbe odiato eppure non avrebbe fatto a meno di cedergli…
“Anya,
finalmente t’ho trovata!” intervenne una ragazza bruna e alta, in una parola, bella.
“Già a perdere tempo con questi idioti…lo immaginavo” Cordelia Chase,
presidentessa del consiglio studentesco, migliore amica di Lilah Morgan, già
proiettata per interessi, fidanzati e hobbies nel mondo universitario, si mise
le mani sui fianchi. “Se sapevo che per lo scambio mi avrebbero inviato Miss scopami
subito, avrei preteso un congruo risarcimento”
“Ehy,
si faceva solo conoscenza…” protestò la svedesina, facendosi portare via da
Cordelia, arrabbiatissima per aver perso il suo tempo con…
“Cordy…non
scappare” le disse Angel, con negli occhi uno sguardo da cucciolo smarrito che
Xander non gli aveva mai visto prima…e che gli trasformava la
fisionomia.
“Con
il cavolo. A cuccia, O’ Connor”
Sospirando,
Angel la lasciò andare.
“Dov’è
che andiamo io e te?” strillò Fred.
“Da
nessuna parte se urli ancora così forte” replicò Spike. “Ripigliati. Sono stato
invitato ad una festa a casa di Darla Mayer. Per celebrare la mia
entrata nella squadra di football. E mi è stato detto di portare degli amici.
Perciò…”
“E’
un appuntamento?” chiese Fred, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“No,
per l’appunto” replicò Spike, togliendoglieli e scuotendole i capelli
sulle spalle, e poi scostandosi per ammirare il risultato. “Sei bella e non lo
sai. E quelli sono stronzi e lo sanno. Per cui, non è un appuntamento.
Il giorno che io e te avremo un appuntamento, ti porterò in un posto dove tutti
ti vedranno per quello che sei. Bella e tosta. Ma non sabato. Sabato andiamo in
territorio nemico, e ti voglio agguerrita e lucida.”
“Non
ho capito niente” ammise Fred. “Tu insisti che siamo solo amici. Io vado pazza
per te e per Lindsey. Beh, per te di più. Voi guardate altre ragazze.
Lui ha la fissa per Lilah, tu per Dru. E loro spasimano per altri. Questo ci
rende tutti patetici?”
“Per
niente” sospirò Spike. “Ma la vita non è facile, cucciolo. E noi non siamo
nerd, se è questo che ti preoccupa. Noi siamo gente che vive come gli va. A te
piace studiare fisica, a me tingermi i capelli e ascoltare i Ramones e leggere
Proust. E con il cavolo che gli permettiamo di metterci i piedi in testa!”
“E’
per questo che hai accettato l’offerta del coach?”
“Tra
le altre cose…sì”
“Cosa
mi devo mettere, alla festa?” chiese Fred, ormai con le idee chiare.
“Le
tue solite cose informi andranno benissimo…ti voglio con gli occhi aperti. E
verrà anche Lindsey. Mi coprirà le spalle. Sarò paranoico, ma mi immagino che
quest’invito celi qualcos’altro. Tenteranno di fare qualcosa alle mie spalle,
me lo sento. E siccome Darla è la ragazza di O’Connor…”
“Ho
capito perché non hai invitato Dru”
“Lei
si sentirebbe a disagio, dopo quello che è successo”
Fred
annuì. Sollevò gli occhi su Spike e gli sorrise.
“Sono
sempre la tua migliore amica?”
“Se
ti fai passare la cotta” l’ammonì Spike.
“Promesso”
replicò lei. “Posso innamorarmi di qualcun altro?”
“Naturale”
rise lui. “Sei splendida, Fred, davvero, ma io non gioco con le amiche.
“
“E’
per questo che non hai ancora baciato Dru?” gli chiese lei.
“Qualcosa
del genere”
“Ed
allora fai vita monastica?”
Spike
sorrise.
Fred
aveva ragione. Era giunto il momento di trovarsi qualcuna che non fosse
sua amica…e neppure la donna dei suoi sogni.
La
voglio bionda, pensò Spike, così non
penserò a Dru quando la scoperò.
“Ripetimi
il piano” esclamò Buffy, mentre Darla le aggiustava l’orlo del miniabito nero.
La
sua amica faceva la sua figura, ammise tra sé e sé Darla. Anche se io sono più
bella. Ecco perché Angel ha scelto me…
Darla
non sapeva se amava Angel. Sicuramente, provavano qualcosa l’uno per l’altro,
ma ciò non le impediva di andare a scopare in giro. Perché accontentarsi di un
solo ragazzo, quando se ne potevano avere dieci…
Come
quel Spike…uhm, era vero quello che si diceva degli europei. Come usava la
lingua lui…nessun altro. Un vero talento, doveva ammetterlo. E anche il
resto non era affatto male. Il ragazzo si muoveva bene.
Ma
era socialmente uno zero.
E
Darla aveva bisogno del quarterback per emergere, al di sopra di Buffy, Harm, e
tutte le altre troiette di buona famiglia.
Lilah
e Cordy non le contava. In un certo senso, erano di un’altra lega…avevano
dominato la scuola quando lei era solo una matricola, erano vecchie¸
uscivano con ragazzi dell’università e nemmeno più frequentavano i circoli che
contavano a livello di High School.
Per
cui, Darla si considerava – probabilmente a ragione – la ragazza più popolare
della scuola.
Ciò
non la soddisfaceva.
Avrebbe
voluto che Angel fosse più cattivo. Nella sua rabbia oscura, scorgeva a
tratti lampi di una spietatezza che eguagliava e forse persino superava la
sua…ma lui si annoiava presto. Non gli bastava umiliare i nerd. Non gli era
sufficiente uscire con la ragazza più bella e popolare della scuola.
Ma
che cazzo voleva?
“Devi
trovarti un ragazzo, Buffy” le disse Darla, guardandola da sotto in su con i
suoi grandi e lucenti occhi azzurri. “Popolare non equivale a single”
“I
migliori sono presi” rise l’altra bionda.
“Forse…vero,
Wesley sta con quella spazzatura di Faith, e Xander con quell’arrampicatrice
sociale di Willow Rosemberg, una nerd travestita da ragazza popolare.
Che patetici!”
“Vedi,
non mi resta molto. Forse dovrei cominciare anch’io ad uscire con i ragazzi
dell’università…” rifletté Buffy. “Potrei cercare di entrare nelle grazie di
Cordy…”
Darla
rise nervosamente. A lei non era mai riuscito. Cordelia l’aveva liquidata con
un’alzata di spalle. “Darla, chi?” aveva chiesto, nei primi cinque
minuti. E poi, non le aveva mai più rivolto la parola.
Darla
non gliel’aveva mai perdonato. Anche perché sospettava fortemente che Angel
avesse un debole per la reginetta bruna…
Buffy
ebbe un pensiero confuso, eppure intrigante. Forse, avrebbe dovuto trovarsi un
ragazzo al di fuori del circolo dei suoi soliti amici. Qualcuno di così forte
da essere al di sopra delle classificazioni…
Qualcuno
che non interferisse con la sua passione segreta per Angel…
Joyce
entrò in stanza ed ammirò contenta la bella figura che faceva la sua bambina,
con i capelli biondi sciolti sulle spalle, un miniabito nero che le accarezzava
il corpo e sandali dai tacchi alti.
“Sarai
la regina della festa…oh, e anche tu, Darla”
“Grazie,
Missis Summers” sorrise Darla, compita. “Buffy è molto graziosa, stasera”
“Mamma,
tu non esci?”
“Oh,
sì, Rupert sta per venire a prendermi”
Buffy
non commentò. Rupert era un insopportabile inglese di mezza età che sua madre
trovava très chic.
“Devi
presentarmi il tuo ragazzo, Buffy”
“Sono
single, mamma”
“Non
ci posso credere” cantilenò la mamma, uscendo serena. “Alla tua età si ha
sempre un ragazzo”
“Perché
i genitori dicono sempre tali banalità?” esclamò Buffy, con un mini moto di
ribellione che sembrò scuoterla tutta. Darla si stupì. La sua amica era sempre
tranquilla…e spesso silenziosa. Difficile crederla un temperamento passionale.
Forse era per quello che era ancora sola, pur essendo effettivamente
molto graziosa.
Darla
si chiese se, addirittura, non fosse ancora vergine…
Rise
all’idea, sinceramente divertita. Possibile?
Buffy
si avvicinò alla sua finestra, quasi un lucernaio, che dava sul tetto. Da lì, con
un’abile arrampicata, Angel si era avventurato più di una volta nella sua
stanza…
Ma
non stava mai tutta la notte.
Quante
volte l’aveva implorato. Lui la scopava, rapidamente, brevemente, lasciandola
pesta ed insoddisfatta, e poi le sorrideva, un lampo di denti bianchi nella
notte…e si allontanava. “Devo fare il mio riposino di bellezza, amore, o il
coach mi spella vivo” era la sua solita scusa.
E
Buffy rimaneva sola nella sua stanza, le braccia vuote, l’impossibilità di
mostrare al mondo quanto quella relazione…o quell’assenza di
relazione…la ferisse.
“Credo
che tu abbia ragione” rispose a Darla, dandole le spalle, in modo che l’amica
non vedesse l’espressione ferita…ed insieme risoluta del suo volto. “Stasera
voglio proprio trovarmi un ragazzo”
La
casa si ergeva sulle colline intorno a Sunnydale, una solida costruzione con
tetti di adobe rosso e prati perfettamente rasati all’inglese. Spike si accese
una sigaretta, osservandola come si osserva un forte nemico da espugnare.
Sapeva
che i genitori di Darla Mayer erano gente facoltosa, abituata ai ritrovi del
Rotary ed ai country club.
Facoltosi
ed ignoranti.
Tutto
il contrario dei suoi: professori universitari inglesi di buona famiglia ma
pochi mezzi, che l’avevano tirato su in piena campagna inglese nel mito del bello
e della cultura e del cerca te stesso.
Purtroppo,
suo padre – aspirante scrittore - aveva cercato se stesso nella libertà
creativa che dava, a suo dire, l’alcol.
E
sua madre era morta cinque anni prima, lasciandolo solo e piangente in un mondo
dove necessità e bisogno erano divenuti in fretta concetti assai concreti.
Suo
padre aveva perso la docenza, ed ora viveva di lezioni private di letteratura
inglese: la public school di classe in cui Spike era stato tirato su era
diventata improvvisamente troppo costosa. E Spike aveva cominciato a vagare per
scuole sempre più popolari ed infine era stato spedito in America da zia Maude,
una tranquilla professoressa delle scuole medie con figli e marito
assicuratore.
Mondi
troppo diversi per non distruggere un carattere debole…e rafforzarne uno
deciso.
Per
cui, al diavolo, William Shelby era diventato Spike e si era fatto la sua vita.
Ed
ora quei quattro stronzi volevano fargli credere che fosse tutto sbagliato?
Che
si fottessero!
“Siamo
pronti?” chiese alle sue truppe. “Dobbiamo fare gioco di squadra”
I
suoi compagni lo affiancarono. Fred era carinissima con i capelli scuri sciolti
a onde sulla schiena, le lenti a contatto e una camicetta in tinta con mini
scozzese che slanciava le sue lunghe, lunghe gambe. E Lindsey sorrise, un
luccichio di morte nei suoi luminosi occhi azzurri, bello e tosto con camicia
scozzese e jeans.
“Bene.
Qualcosa mi dice che non siamo i benvenuti. Mostriamo loro chi siamo”
Decisi,
si avviarono verso la grande casa bianca, mentre dalla piscina giungeva musica
techno a palla e le risate di adolescenti che davano fondo alla cantina del
ricco papi di Darla.
3.
Fair Play
“Arrivo!”
Faith corse verso la porta di legno chiaro e vetro, trascinandosi dietro Wesley.
Spike le sorrise dietro il fumo di una sigaretta, bloccando con una mano lo
stipite che la ragazza stava per sbattergli in faccia. “Imbucati!” urlò, per
richiamare l’attenzione dei ragazzi della squadra.
Wes
scosse la testa, facendo segno a Spike, e ai suoi amichetti, di entrare.
“Sono
invitati, Faithy…” sospirò, sperando che il piano di Liam funzionasse come
doveva.
Altrimenti,
sarebbe stata solo fatica sprecata.
Ma
se Shelby era coglione la metà di quel che dicevano Harris ed Angel, per quanto
non si fidasse del loro metro di giudizio, doveva funzionare…
Spike
si fece largo nella cagnara, sorridendo compiaciuto alla bruna.
Girava
voce che non andasse troppo per il sottile, che fosse solo spazzatura bianca…
E
aveva sicuramente bisogno di un uomo, dopo quel perfettino del cazzo
che si trascinava dietro come una bambola di pezza.
Lindsey
si infilò attraverso la porta che stava per chiudersi, sfidando con lo sguardo Trashy
e il suo ragazzo.
“Ti
sei portato anche l’orsacchiotto di peluche, Billy?” rise Faith,
fissando la camicia scozzese di Lindsey. “Non sapevo che li facessero anche accessoriati…”
“Tu
invece non riesci a separarti dal tuo, non è vero?” ringhiò William, posando lo
sguardo su Wesley. “Teddy Price, l’unico vestito Ralph Lauren, per
ragazzacce a cui piace dominare…” Faith gli mostrò i pugni, digrignando
i denti.
Fred
rimase in silenzio, nascondendosi dietro Spike per osservare meglio il nemico.
Più
che altro, per osservare Price.
Sbuffava,
appoggiato alla parete, totalmente disinteressato al battibecco che la sua
ragazza stava ingaggiando con entusiasmo.
Ben
vestito, ben pettinato, ben educato…
Tutto
il contrario di Spike.
E
le piaceva da morire.
Il
ragazzo intercettò il suo sguardo timido, e le sorrise, mostrando due file di
denti bianchissimi.
Fred
arrossì fino alle punte dei capelli, guardando altrove.
Forse
accompagnare Spike a quella festa non era stata affatto una buona idea…
Darla
ridacchiò, tenendo banco con una mezza dozzina di aitanti giocatori di
football.
Aveva
totalmente perso di vista Liam, e doveva pur intrattenere gli ospiti…
Buffy,
al suo fianco, giocherellava con un bicchiere pieno di vodka, senza il coraggio
di vuotarlo.
L’amica
le diede una gomitata, ammonendola con lo sguardo.
Le
aveva indicato ragazzi di ogni ordine e grado: biondi, bruni, alti, bassi,
ricchi, arrampicatori sociali, leader, matricole, giocatori di football,
nuotatori, tennisti, giocatori di baseball, musicisti…
Ma
nessuno le interessava più di tanto.
Ora,
dopo un’oretta di presentazioni, non ricordava più neppure un nome o un viso.
E
si stava annoiando a morte.
Angel
ne stava facendo una delle sue con Harris, e proprio non sopportava quei
quattro bellimbusti con cui Darla stava tentando di farle fare conversazione.
Insipidi
e senza cervello, li aveva classificati dopo trenta secondi.
Meritava
di meglio.
Quelli
potevano andare bene per una sveltina tra l’ora di fisica e quella di francese,
ma non come fidanzati.
E
lei non la dava a tutti come qualcuna di sua conoscenza…
Qualcuno
cadde in piscina, schizzandola, distogliendola così dalle sue riflessioni.
“Vi
va di fare un tuffo, ragazzi” sorrise Darla, prendendola per il polso.
Buffy
sarebbe stata irrecuperabile se non si fosse data una mossa, e anche
alla svelta.
Qualcuno
già la chiamava Fica di Legno Summers, e questo lei non poteva
permetterlo.
Danneggiava
la sua immagine.
E
Darla Mayer non poteva passare per la migliore amica di una perdente.
Si
liberò con lentezza esasperante del suo abitino turchese, gloriandosi del suo
corpo, a detta di tutti, meraviglioso.
Le
altre non avevano scampo: era lei la vera regina della festa.
Buffy
sospirò, rendendosi conto del perchè Angel aveva scelto Darla.
Lei,
in confronto, era solo una bambina.
Seguì
l’amica nella piscina, immergendosi senza sollevare spruzzi.
“Credo
di essere una causa persa” sospirò, attenta a non bagnarsi i capelli.
“Smettila
di piangerti addosso e guardati intorno…” la ammonì Darla. “Deve pur esserci
qualcuno che ti interessa…” era esasperata.
Buffy
scosse piano la testa, ripassando con lo sguardo la fauna maschile.
Allora
la vide.
Sorseggiava
un succo di frutta appoggiata al muro.
Sul
momento non la riconobbe.
Sembrava
una di loro.
Poi
vide che portava una gonna scozzese, e capì.
“Qualcuno
ci sarebbe…” sorrise all’amica, uscendo in fretta dall’acqua.
Darla
sollevò le spalle, ributtandosi nella mischia.
Almeno
se l’era tolta dai piedi.
“Angel…Così
mi fai male…” ansimò Xander.
Il
quaterback smise di spingere, sbuffando.
Quel
buco era maledettamente stretto…
“Harris,
non ce la farai mai a passare per quel portavivande, se continui a rimpinzarti
di merendine…” osservò Wesley, guardandoli con le mani sui fianchi. “E fate
piano…Vedendovi in quella posizione qualcuno potrebbe fraintendere…” rintuzzò,
sfilandosi gli occhiali.
Xander
trasalì, sbattendo la testa contro la parete.
“Ahi!”
urlò, scalciando.
“Forza
Price…Perché non ci provi tu, visto che sei tanto bravo a parlare?” Angel lo
fissò, aiutando il compagno ad uscire da quel pertugio.
“Perché
l’idea è stata tua, O’Connor. E perché non mi piace fare il lavoro sporco.”
sorrise. “Lo sforzo fisico lo lascio a voi scimmioni…”
Xander
gli si avventò contro, tossendo.
“Scimmioni
a chi, razza di mammoletta da strapazzo?”
Angel
lo fermò, tirandolo per il braccio.
“Wes
ha ragione…Non tocca a lui, ma a me…” sorrise, perfido. “Solo che, visto che ha
un corpicino da ballerina, lui potrebbe infilarsi lì dentro senza problemi…”
Angel si avvicinò di un passo, vedendolo diventare verde di rabbia. “O hai
paura che ti si rovini la french manicure, Price?”
“Io
non sono dovuto diventare un armadio per non farmi fare la pelle da mio padre, Angel…”
L’Irlandese
lo spinse, mandandolo a gambe all’aria.
“Smettetela
di litigare fra di voi, brutti idioti!” li rimproverò Faith, entrando di corsa.
“Non c’è bisogno di ammazzarvi, vado io…” si sfilò la camicia bianca, mettendo
in mostra il suo bikini a fiori. Xander fischiò, e Wesley li fulminò con lo
sguardo. La ragazza alzò il dito medio, in segno di profonda gratitudine.
“Mi si sporca la camicetta di Calvin Klein, coglione!” Angel scosse la
testa, ridendo. “Che cazzo ti ridi, O’Connor? Non hai mai visto un paio di
tette in vita tua?” lo fulminò la bruna, mettendolo a tacere all’istante.
Quella
Faith aveva più fegato e palle di un qualsiasi bestione della sua squadra,
bisognava dirlo.
Chissà
se Price si accorge che non è lui l’uomo nel suo fidanzamento, pensò.
A
Faith piaceva stare sopra.
Ce
l’aveva scritto in faccia.
Si
mormorava che vivesse da sola da quando era scappata di casa, stanca del
rifiuto di madre che si ritrovava.
Era
il padre, un dirigente canadese che l’aveva lasciata con quella fallita di sua
madre quando aveva sei anni, a mandarle gli assegni, a scadenze mensili.
Grazie
ai sensi di colpa di papi poteva pagare l’affitto, le spese e straccetti
lussuosi come quello.
“Conosci
il piano?” le chiese Xander, sedendosi a gambe incrociate.
“Illuminami…”
ironizzò Faith, divaricando le gambe.
“Ti
cali nel portavivande fino alla camera della madre di Darla, al piano di
sotto…” spiegò Liam. “Prendi il vestito più sgargiante che trovi, l’occorrente
per il trucco e, soprattutto, i tranquillanti.” Angel fece mente locale,
tentando di ricordare con precisione le indicazioni della sua ragazza. “Sono nel
terzo cassetto della specchiera a destra, sotto i foulard. È una boccetta
piccola e verde.”
Faith
ascoltò attentamente, e poi sorrise.
“Entrare
dalla porta no, eh?”
“Fai
camminare il cervello, Faith…” la rimproverò Wesley alzandosi da terra. “La
porta è chiusa con una chiave che la padrona di casa ha portato via con sé…”
Price si ripulì il fondo dei pantaloni.
L’idea
di mettere a nanna Shelby e poi vestirlo da donna non gli piaceva più
granché.
All’inizio
gli era sembrata una trovata geniale, un buon modo per mettere a tacere quel
punk scoppiato senza spargimenti di sangue.
Ma,
ripensandoci, non era un piano così buono…
Soprattutto
se era la sua ragazza a doverci rischiare il collo.
“Mi
piace. Mi fa sentire molto come Katherine Zeta-Jones in “Entrapment”. Solo una
cosa…”
“Cosa?”
domandò Angel, con una gran voglia di gettarla in quell’affare e farla finita.
“Non
potete riempirlo di botte e basta, senza usufruire degli psicofarmaci di casa
Mayer?”
Wes
le accarezzò la guancia, condiscendente.
Non
avrebbe mai imparato che con la violenza non si ottiene niente?
“I
lividi scompaiono, le ferite guariscono. Ma le umiliazioni…Quelle no, non
smettono mai di tormentarti…” mormorò Angel, con il tono di voce più serio che
gli avevano sentito usare in anni di stretta frequentazione.
Price
annuì, sottoscrivendo in pieno, e Faith rispose scrollando le spalle.
Si
calò nella stretta apertura, atterrando con un tonfo morbido.
Xander
calò lentamente la corda finché non sentì tirare, e gli altri due sorrisero.
Avevano
la vittoria in tasca.
Lindsey
trattenne il respiro, schiacciandosi di più contro la parete.
Se
Harris & compari fossero usciti in quel momento l’avrebbero sorpreso ad
origliare, facendolo a pezzettini così piccoli da poterli mettere in tasca.
E
l’idea non lo entusiasmava molto, a dir la verità.
Doveva
prima avvisare Spike del tiro che quegli stronzi volevano giocargli.
Si
chiese come sarebbe stato il suo amico vestito come una drag queen.
Non
voglio saperlo, si rispose semplicemente.
Odiava
ammetterlo, ma, una volta tanto, William aveva ragione.
L’invito,
la festa…
Faceva
tutto parte della loro vendetta.
“L’Inglese…Il
tuo amico…Sai dov’è?” urlò Buffy a Fred, per sovrastare la musica.
La
ragazzina la stava fissando apertamente da vicino, per la prima volta.
Ed
aveva già deciso che da lontano sembrava più alta.
“Spike?”chiese
la bruna, esitante.
Che
diavolo poteva mai volere Buffy Summers da William?
“L’ossigenato,
sì…” annuì l’altra, in un crescendo di decibel.
“Non
lo so, l’ho perso di vista da un po’…” rispose Fred, mortificata.
Una
delle ragazze più popolari della scuola le aveva rivolto la parola e lei non
era stata all’altezza.
La
storia della sua vita…
“Non
hai idea di dove sia?” le strillò la bionda nell’orecchio, con un’aria smarrita
che non avrebbe mai immaginato di vedere sul viso di una cheerleader.
“Starà
sicuramente fumando una sigaretta da qualche parte…” la rassicurò Fred.
“Grazie
mille…” nello sguardo verde di Buffy si accese uno strano luccichio. “Sei stata
utilissima.” la liquidò con un cenno, accorgendosi che stava arrossendo.
Quasi
le dispiacque per tutte le volte che lei e Darla l’avevano umiliata
pubblicamente.
Quasi.
Sapeva
esattamente dove trovare un fumatore nella villa di Darla…
Quale
miglior posto del bellissimo terrazzo con vista sulle colline di Sunnydale?
La
bionda accelerò il passo, avviandosi verso la gradinata di marmo.
E
quasi non sbatté contro Angel.
“Ehi…”
le sorrise lui, facendole scorrere una mano tra i capelli d’oro.
“Ciao…”
il sorriso le illuminò il volto. “Ti stavo cercando…” mentì spudoratamente,
posandogli una manina sul petto.
Sentiva
il suo cuore.
Tum-tum, tum-tum…
Non
esisteva suono più bello, al mondo.
Musica
di tamburi selvaggi, canzoni d’amore…
Peccato
solo che quel cuore non battesse per lei.
“Stavo
animando la festa…” le sussurrò, piegandosi verso di lei.
Purtroppo
immagino come, la tormentò una vocina interiore.
“Ma
adesso non hai niente da fare, giusto?” lo implorò con lo sguardo. “Darla è impegnata
in piscina, e se vuoi…” iniziò, abbassando lo sguardo.
“Non
ora, Buff…” la freddò Angel, sorpassandola velocemente.
Il
cuore di Buffy si infranse in mille coriandoli di dolore, lasciandola senza
fiato.
Quello
stronzo!
Lo
accoglieva a braccia aperte quando la cara Darla era troppo impegnata a farsi
sbattere da qualcun altro, gli dava tutta se stessa, aveva provato a
dimostrargli il suo amore in tutti i modi possibili…
Per
avere in cambio cosa, esattamente?
Una
scopatina veloce tra lo shopping con Darla e l’allenamento di football…
Il
guaio era che, nonostante tutto, continuava ad amarlo.
Si
sventolò le mani curate davanti agli occhi, imponendosi di non piangere.
Con
il trucco sbavato Angel non l’avrebbe neppure guardata, altro che notte
d’amore…
Basta, si disse risoluta, devo ad ogni costo
trovarmi un passatempo.
“Avvisa
Fred che ce ne andiamo…” disse imperioso Spike, spegnendo la Lucky Strike in un
vaso di garofani. “Non ho nessuna intenzione di restare a farmi prendere per il
culo.”
Lindsey
scosse la testa, parandosi davanti a lui.
“Così
gliela darai vinta…Passerai per un vigliacco.”
“Me
ne sbatto altamente di quello che pensano di me, McDonald…” sorrise,
amareggiato. “Li farò contenti: avranno di che sparlare per mesi…”
Il
biondino lo prese per il braccio, trattenendolo.
“Rimani,
e dimostra a quel cazzone di O’Connor di che pasta sei fatto…” lo guardò negli
occhi, scostandosi i capelli dalla fronte. “Ficcagliele in quel posto, le sue
macchinazioni del cazzo…Può darsi che gli piaccia.”
William
alzò un sopracciglio, con uno strano sorriso sghembo.
“Amico
mio, hai dannatamente ragione…” mosse qualche passo verso la balconata,
sedendosi sul bordo di gesso bianco. Gliel’avrebbe fatta vedere, a quegli
stronzi… “Ma Fred…Temo che possano giocare qualche brutto tiro anche a lei…”
L’amico
annuì, serio in volto.
“Messaggio
recepito, Spike. Vado di sotto a cercarla…” gli batté una mano sulla coscia.
“Del resto il fair play non è mai stata la loro specialità…”
“Se
giocano secondo le loro regole, io giocherò secondo le mie.” guardò verso le
colline, frugandosi in tasca. “E sai qual è la mia filosofia?” estrasse il
pacchetto bianco e rosso dai jeans sdruciti.
“Prima
regola: non avere regole…” cantilenò Lindsey, scimmiottandolo. “Me lo ripeti
dal malaugurato giorno in cui ci siamo conosciuti, Shelby…” sorrise, voltando
le spalle all’ossigenato.
Corse
per le scale, rischiando di travolgere un cosino piagnucoloso che somigliava
pericolosamente a Buffy Summers, saltando due scalini alla volta.
La
sua piccola Fred…
Non
tanto piccola, in effetti, visto che era più alta di lui.
Avrebbero
potuto farle qualsiasi cosa.
Lei
era un fiore fragile e delicato, e loro così…Stronzi.
E
che possibilità aveva una magnolia contro una falciatrice?
Si
guardò nervosamente intorno, cercandola con gli occhi…
E
rimase pietrificato.
“…Mia
madre allora è rimasta in una di quelle Beauty Farm a Miami per due mesi…Lei lo
chiama risarcimento morale.” concluse Wes, sentendola ridere di cuore
con la sua bella voce sottile.
Quando
Angel l’aveva spedito ad intrattenere l’amichetta di Shelby aveva temuto
il peggio.
Ma
Fred, la piccola scienziata pazza, come la chiamava Darla, si era
rivelata un tipetto niente male.
L’unica
che era stata capace di ascoltarlo senza sbuffare per più di quaranta minuti.
“E
tuo padre?” chiese la bruna, appoggiata contro il muro.
Palava
poco ad ascoltava con attenzione.
Sorrideva
raramente, arrossiva moltissimo.
Insomma
una novella Cenerentola, ma senza carrozza.
“Mio
padre si è sfogato per un po’ con la segretaria, e dopo poco ha comprato
una nuova auto…” le sorrise, sondandole i dolci occhi castani con uno sguardo
meno calcolatore del solito. “Crede che una bella macchina lo aiuti a
rimorchiare donne con la metà dei suoi anni…” alzò le spalle, pulendosi gli
occhiali con un fazzoletto comparso magicamente dal nulla. La fissò meglio,
indugiando sulle lunghe gambe dorate. Sarebbe stata un vero bijou, con i
vestiti adatti… “Per me è solo compensazione.” motteggiò acidamente, porgendole
un bicchiere pieno di un liquido turchese.
La
ragazza esitò, indecisa.
“C’è
dell’alcol, dentro?” annusò il bicchiere, arricciando il nasino.
“Solo
un goccio…” sussurrò mellifluo Price, mimando un brindisi.
Fred
ritrasse il viso, nauseata.
Altro
che un goccino, si disse, quest’intruglio si potrebbe usare per sturare
i lavandini…
“Io
non credo…” arretrò, diffidente.
Wesley
scosse la testa, schioccando la lingua.
“Fred,
avanti…” le accarezzò una guancia, trovandola incredibilmente calda e
vellutata. “Non ti fidi di me?”
La
ragazza esitò, combattuta.
“Non
direi proprio…” continuò ad allontanarsi, quasi spaventata.
“Sbagli.”
fece un passo indietro, nel tentativo di rassicurarla. Era più sveglia del
previsto, la piccola chimica. “Io non sono O’Connor. Non mi sbatto mezza
scuola lasciando le ragazze nei casini…” sollevò le ciglia. “Ti sembro forse il
tipo?” la vide sorridere, tranquillizzata. “Non ho nessuna intenzione di
trascinarti in uno stanzino puzzolente…Sono un ragazzo serio, e fidanzato.”
si grattò la testa. “E non consiglio a nessuno di far arrabbiare Faith…”
strizzò l’occhio, allargando le braccia. “Non credere a tutto quello che dicono
di noi…” abbassò la voce. “Spesso sono solo bugie dettate dall’invidia.”
“Invidia
di cosa, esattamente?”
“Lo
chiedi a me?” rispose, stringendosi nelle spalle. “Se vuoi saperla tutta, credo
che ti mentano perché sanno quanto vali, in realtà…Sotto gli occhiali e i libri
di matematica, voglio dire.”
“Temo
di non riuscire a seguirti…” incalzò Fred, sentendo puzza di raggiri mentali da
quattro soldi.
“Potresti
metterteli in tasca, i tuoi amichetti nerd…Tu hai tutte le carte in regola per
buttarli definitivamente nel dimenticatoio, e loro lo sanno.” mostrò una
trentina di denti immacolati, chinandosi verso di lei. “Per questo continuano a
farti sentire una nullità, ed a infangare noi in tutti i modi possibili…”
Wesley guardò dietro le sue spalle, credendo di averla ormai cotta a puntino.
Alcune
guerre andavano combattute a tavolino, non sui campi di battaglia.
Era
questa consapevolezza che lo distingueva dagli idioti che era costretto a
frequentare…
“Le
uniche persone che mi hanno fatta sentire una nullità, in tutta la mia
breve vita, siete stati tu e i tuoi spocchiosi compari.” Fred alzò il mento,
aggredendolo con una grinta insospettabile. “Quindi piantala con i giochetti
psicologici. Voglio bene ai miei amici, io.” il cucciolo era una vera e
propria tigre. Grandioso.
Più
andava avanti, più quella secchiona gli piaceva.
In
senso lato, si corresse.
“Con
le altre funziona sempre…” ammise, imbarazzato.
“Io
non sono come le altre.” semplificò Fred, tornando alla consueta dolcezza.
“Ragiono con il cervello, non…Beh, non con qualcos’altro…” arrossì,
mordendosi la lingua.
Il
ragazzo rise, sinceramente divertito, per la prima volta da anni.
“Allora,
signorina Burkle…vogliamo brindare?”
“A
che cosa?” domandò, buttandosi i capelli luminosi dietro la spalla, in un gesto
di inconsapevole civetteria. Il suo lungo collo elegante brillò alla luce
azzurrina della piscina, colorandosi di mille riflessi perlacei.
Un
signor collo, apprezzò Wes, scendendo più in basso.
Faith
aveva più tette, ma sul resto niente da ridire: vita sottile, fianchi morbidi,
splendide gambe.
Oro
e cioccolato, come una tela di Van Gogh.
E
lui, di arte, se ne intendeva…
“Alla
tua bellezza…” la lusingò, senza smettere di sorridere.
“Mi
prendi in giro?” lo accusò lei, imbronciandosi.
“Affatto.”
si affrettò a replicare Wesley, sollevando il bicchiere.
La
ragazza trasse un lungo respiro, ricambiando l’occhiata adulatoria.
Non
poteva più rifiutare.
Ora
ne andava della sua dignità.
E
poi che male c’era?
Ormai
sono grande, si galvanizzò, posso
bere come fanno tutti…
Che
male poteva farle, in fondo, un piccolissimo sorso?
Ed
eccola lì, di fronte a lui.
Sua
Buffità, in tutta la sua bionda, buffesca bellezza.
“Spike,
vero?” chiese, ammiccando.
L’ossigenato
scese con un balzo felino dalla piccionaia, piombando a pochi centimetri
dai suoi griffatissimi sandali di vernice.
Lei
non si scompose minimamente, continuando a perforargli gli occhi con lo sguardo
d’ambra.
La
ragazza aveva sangue freddo…
“Tu
puoi chiamarmi come vuoi, dolcezza…” le sussurrò, infilandosi le mani in
tasca. “Anche orsacchiotto, se la cosa ti piace…” la provocò,
sostenendo le sue occhiatacce.
“Preferisco
Spike.” tagliò corto, sorridendo. “Io sono…”
“Buffy
Summers. Lo so.” la interruppe William, piegandosi verso di lei. “Darla
mi ha molto parlato di te…”
“Ne
dubito…” si strinse lei nelle spalle, abbassando finalmente gli occhi. “Tende
spesso a scordarsi di avere delle amiche…”
Spike
le girò lentamente intorno, le mani serrate sui jeans neri.
“Considerazione
interessante…” le alitò sul collo, facendola rabbrividire.
Faceva
stranamente caldo, quella sera…
“Dici?”
farfugliò Buffy, confusa dal ritmo melodioso della sua voce roca.
“Sì.”
rispose seccamente l’Inglese, arretrando. “A cosa devo l’onore,
bellezza?”
Giocherellò
con lo zippo d’argento, catturando l’attenzione della ragazza sulle sue lunghe
mani inanellate. Mani eleganti, bianche, su cui lo smalto nero riluceva come
pece.
Buffy
si chiese che effetto le avrebbe fatto sentire quelle mani su di sé, dentro
di sé…
Meraviglioso, rabbrividì, arrossendo.
“Volevo…Lezioni
di letteratura inglese. E tu sei Inglese, giusto?” si schiarì la voce,
protendendosi neanche troppo inconsapevolmente verso di lui.
“Giusto.”
Spike fece una pausa, sogghignando. “Ma chi ti dice che io sia disposto ad aiutarti…?”
Buffy
si umettò le labbra, fissandolo negli occhi.
Voleva
la guerra?
Gliel’avrebbe data.
La
guerra e nient’altro, specificò,
facendo marcia indietro.
“Nessuno
mi ha mai detto di no…” gli soffiò sulle labbra, maliziosa.
“Dipende
dalla proposta, zucchero…” replicò lui, avvicinandosi di più. “Se l’offerta
è buona, l’acquirente compra…”
“Ma
l’offerta, se vuoi chiamarla così, è ottima…” Buffy rise,
sfiorandogli allusivamente un braccio.
“Questo
lascialo decidere a me, Buffy…” pronunciò il suo nome come se fosse una
poesia, lasciandoglielo scivolare addosso come un’invisibile carezza.
Il
suono di quelle cinque lettere cambiava ritmo e sapore, fra quelle labbra
piene.
Mi
piace come lo dice, elaborò
inconsciamente, mi fa sentire tutta scombussolata…
“Allora
concorderemo sul prezzo, Spike…” si voltò, muovendo qualche passo verso
le scale. “Sono certa che arriveremo ad un accordo vantaggioso…Per
entrambi.” sparì senza un cenno di saluto, seguita dal rumore dei tacchi alti
sui gradini lucidi di cera.
Spike
sospirò, accendendo l’ennesima sigaretta della serata.
Voleva
delle lezioni?
Beh,
le avrebbe avute…
4.
Fuorigioco.
A
Fred sembrava di girare.
Oops,
il muro contro le sue spalle era fermo, quindi – ergo – era il mondo a
girare.
Non
importava. Non fino a quando lui sorrideva così, chino su di lei, parlandole
della sua preppy school, del suo tennis, degli studi di storia e chimica, del
suo futuro ad Harvard…
E
Fred girava e sorrideva.
Ad
un tratto, la terra sembrò cedere sotto di lei, e lei ondeggiò. Wesley la prese
prima che cadesse.
“Ohh…”
mormorò lei, assaporando sotto le dita la consistenza solida delle sue braccia
d’atleta. Solide. Bello sentirsi stringere da delle braccia maschili
così solide. Non le era mai capitato…
Wes si chinò su di lei, e lei sentì il suo calore sulle labbra. Così vicine…
“Wes,
bello, smammiamo” intervenne Faith, le mani sui fianchi snelli lasciati
scoperti dal minuscolo bikini. “Ho voglia”
Non
ci voleva un oracolo per capire che era incazzata nera. L’aveva beccato
praticamente in flagrante con quella nerd dai capelli scuri e…sorprendentemente
carina.
Wes
si raddrizzò. Che gusto c’era ad avere diciassette anni se non si poteva
cogliere ogni fiore in circolazione?
Ma non aveva nessuna voglia di impattare con la furia di Faith.
“Vengo,
amore”
Lasciò
andare Fred così bruscamente che lei, del tutto partita per quell’unico
cocktail che aveva bevuto, sarebbe caduta se solo Lindsey non fosse passato di
lì e non l’avesse sorretta.
“Che
idiota” mormorò il texano “Faceva il cascamorto con te e appena la sua ragazza
ha tirato il guinzaglio…via, a correrle dietro”
“Ah,
sì?” chiese Fred, lo sguardo vacuo. Continuava a ricordare gli occhi azzurri di
Wes dietro le lenti, il modo che aveva avuto di guardarla…il calore
delle sue labbra così vicine alle sue…
“Chiamiamo
Spike ed andiamo” concluse Lindsey, la mascella indurita dal disappunto.
“Che
bella coppia di falliti” sibilò una voce vicino a loro e Lindsey sollevò lo
sguardo per vedere il volto sorridente di una bella – bellissima –
bionda.
La
padrona di casa. Darla Mayer.
Che
l’aveva data a tutti, tranne a lui.
Ancora.
“Andiamo
a cercare Spike” approvò Fred, instabile sulle gambe. “Quel cocktail era così
buono…e Wes….mmmm….”
Spike
si finì in pace la sigaretta, e poi la gettò dal cornicione del suo buen
retiro, il terrazzo di casa Mayer.
Suo
malgrado, pensava ancora alla ragazza.
Era
una sciocca puttanella dai capelli stupidi, come quelli di una pubblicità dello
shampoo, ma…gli aveva suo malgrado lasciato qualcosa dentro.
“Sì,
idiota” si disse ridendo. “La voglia di toglierle dalla faccia quel sorrisino
saputo a forza di schiaffi”
O
baci…
Altolà.
Che
idea cretina.
Non
c’era modo al mondo per convincere una come Buffy Summers a dartela se non eri
popolare. E Spike non era popolare. Purtroppo, andava troppo bene a
scuola – frutto del suo genuino amore per lo studio – per poter sperare di
passare per il ribelle maledetto, malgrado i capelli, lo spolverino,
l’attitudine e la de Soto polverosa parcheggiata nel garage di sua zia. Aveva
visto troppe volte quel film con Nicholas Cage e Kathleen Turner, Peggy Sue
si è sposata, per non sapere che – una volta in un milione di anni – la
ragazza popolare può anche darla al ribelle della scuola.
Ma
non a uno che prendeva A+ in tutte le materie, e che era appena…
Un
momento.
Lui
era appena entrato – volente o nolente – nella squadra di football della
scuola, e loro l’avevano invitato ad una delle loro feste, beh, certo,
per umiliarlo, ma questo lei misericordiosamente lo ignorava. Forse.
“Ma
cosa me ne frega se me la da’ o no” si disse, rabbiosamente, riaccendendosi una
sigaretta e poi subito spegnendola tra le dita. Non aveva voglia di fumare.
Aveva voglia di pensare…a lei.
Si
chiese qual’era il compenso che lei intendeva dargli per le sue
ripetizioni. Beh, se si fosse trattato del libero accesso alle sue mutandine,
non avrebbe certo rifiutato…non si rifiuta un’occasione di quel tipo a
diciassette anni, anche se non provava niente per lei, anche se la disprezzava
per la sua vacuità, per il suo snobismo, per…
“Sì,
raccontatela, Spike” gli disse la parte più consapevole di sé, quella
che lui era solito chiamare William.
Furioso
con se stesso, eppure consapevole del germe di desiderio, potente e
oscuro, che stava germogliando in lui, si accinse a tornare giù e cercare i
suoi amici. Per quel che lo riguardava, la festa era finita.
“Che
idiota!” pensò Buffy, osservandosi con aria critica le unghie colorate di rosa
pallido e poi tirandosi giù l’orlo del miniabito.
Nella
brezza della sera, aveva avuto freddo in costume, e si era rivestita.
Sì,
raccontatela giusta, le disse la sua voce interiore.
Non
aveva voluto affrontare Spike in bikini.
Perché
mai? Non poteva certo impedire a quel nerd di occhieggiare le sue forme, quando
mai le era importato, fargliela vedere era sempre stato – come principio
– alla base del suo credo in materia di moda.
Ma,
non sapeva perché, il pensiero le dava fastidio.
No, che idiozia…voleva che lui
non la vedesse affatto, ecco, così andava meglio. Il Buffy – pensiero
era decisamente più consolante. Quel nerd non meritava affatto di vederla.
La verità era che il suo
sguardo….così azzurro…la imbarazzava. Parecchio. E la cosa la stupiva,
perché – per principio – ciò che pensava quel tipo di lei avrebbe dovuto
lasciarla del tutto indifferente.
E la sua voce profonda, il
modo in cui lui la chiamava…Buffy…
Ricordava il lungo corteggiamento
di Xander, prima che lui si rassegnasse a Willow, come sua seconda scelta.
L’idea che lui l’amasse, che lui sognasse di lei mentre stava a letto da
solo, le mani sotto la coperta, l’aveva lusingata, non imbarazzata.
Quanto ad Angel, l’aveva amato
dal primo istante in cui l’aveva visto, e gli era appartenuta senza nient’altro
che fosse gratitudine…e delusione, per la sua evidente incapacità di
corrisponderla in pieno.
Per cui, imbarazzo in
presenza di un ragazzo era una sensazione decisamente nuova.
Si pentì di averlo provocato…e
di avergli concesso parte del suo tempo chiedendogli il suo aiuto in
letteratura. E si ripromise che sarebbe stata una cosa breve: se i suoi voti in
inglese non fossero risaliti, e presto, saluti a tutti e si sarebbe rivolta
altrove. Non avrebbe prolungato per nulla al mondo una frequentazione che si
presentava…difficile.
“Ehy, Buff” le disse Xander,
passando di lì. “Vieni in salone. Sta per succedere qualcosa di molto interessante…”
Annuì, distratta, cercando di
rimettere i pensieri a fuoco.
Capì subito di che si trattava
e, istintivamente, aprì la bocca per avvisarlo.
Stavano per giocargli un
brutto scherzo.
E lui non meritava questi
espedienti subdoli.
Wow, e a lei che gliene
fregava?
Erano gli altri, i suoi amici.
Stupita per i suoi stessi
pensieri, strinse le labbra, e si nascose dietro Willow. Spike era al centro
della sala, in piedi, l’aria incazzata e chiusa, i suoi amici accanto a lui. La
ragazza bruna sembrava aver bevuto troppo ma si teneva salda accanto a lui, il
piccoletto texano aveva uno sguardo di ghiaccio che non prometteva nulla di
buono.
Angel, alto e statuario nei
suoi boxer colorati, e nient’altro, porgeva a Spike un bicchiere, colmo di
liquido ambrato.
“Festeggiamo il tuo ingresso
in squadra, Shelby” gli disse Angel, spingendo il bicchiere di fine cristallo
davanti a lui.
Spike lo prese.
E sorrise.
Lo sollevò, piegando il polso
come per portarselo alle labbra…e lo rovesciò in una vicina pianta.
Un ohhhh si sollevò
dalla folla, accorsa per assistere all’annunciata umiliazione.
“O’ Connor” disse solo Spike
“Non vorrai mica che diventi un ubriacone come mio padre? Sto molto
attento all’alcool…e ad altre sostanze”
Angel si rabbuiò. Il suo piano
era fallito. Qualcuno doveva aver parlato, oppure…possibile che Spike fosse
preveggente…
Lindsey rovistò in un
sacchetto di plastica che Xander aveva lasciato lì vicino, per dopo, e ne
trasse una parrucca bionda, un vestito da donna, e delle perle.
“Ti piace travestirti, O’
Connor?” chiese Spike, ridendo. “Non sapevo che in te ci fosse…una
gonnella in incognito”
Angel indurì la mascella e si
trattenne dal picchiarlo.
Sua madre gli aveva sempre
insegnato che il vero gentiluomo sapeva anche perdere.
Ma gliel’avrebbe fatta pagare,
questo era poco ma sicuro.
Buffy indietreggiò di qualche
passo nella calca, nascondendo l’ombra di un sorriso. Non sapeva perché, e
proprio non voleva interrogarsi al riguardo, ma era…stranamente contenta.
Come un fulmine, qualcuno la
prese per un braccio e la portò via.
Si rese conto che era Angel
e che era infuriato.
“Ti ricordi la proposta di
prima?” le disse, il fiato corto, desideroso di sfogare la sua rabbia. “Andiamo
nella stanza dei cappotti”
Era un’idea del cavolo, Buffy lo
realizzava benissimo, ma non gli resistette, e si fece portare via da lui. Del
resto, gli aveva giurato e spergiurato di appartenergli anima e corpo: che
razza di donna era se si sottraeva al compito di consolarlo? Lui era furioso,
chiaramente, e bisognoso della sua dolcezza, della sua…
Ma così era squallido.
Buffy sospirò, suo malgrado, osservando il mondo da lenti non più così rosa.
Angel aveva bisogno di lei nei momenti peggiori, e sempre in segreto, quando
gli altri non potessero vedere, sapere. La cosa cominciava sorprendentemente a
deprimerla.
Sperò che la festa fosse
ancora troppo nel vivo perché qualcuno potesse già desiderare di prendersi la
sua roba ed andarsene, e si lasciò gettare sul letto, sul mucchio di giubbotti
e felpe non troppo puliti.
Angel non perse tempo a
svestirla: le tirò su il miniabito, le fece scivolare il pezzo inferiore del
bikini dalle gambe, rese eroticamente più lunghe dai tacchi altissimi che lei
indossava, e si abbassò i boxer.
Non ci voleva altro. Sapeva
che Buffy prendeva la pillola, non come quella stupida di Dru…
Buffy chiuse gli occhi,
sopportando in silenzio che lui si sfogasse.
“Sei contento di te?” mormorò
Darla con la sua morbida voce appena rauca, mentre Spike voleva andare via,
dirigendosi verso la stanza dei cappotti per prendersi lo suo spolverino. “Hai
dimostrato che non sei un perfetto idiota…ma lui resta un quarterback popolare,
e tu un povero nessuno”
“Non sembravi pensarla così
quando mi imploravi di leccartela” replicò lui, tranquillamente. “Darla, non sei
male, e purtroppo lo sai. Ma non sei l’unica ad avercela in
circolazione, anzi, e presto il tuo Angel potrebbe anche accorgersene.
Comunque, io non voglio niente. Solo essere lasciato in pace. E manderò
a farsi fottere tutti coloro che non me lo consentiranno.”
“Tu e la mia amica Buffy siete
identici, sembrate fatti l’uno per l’altra” rise Darla. “Sembra che aspettiate
il principe…oops, nel tuo caso, spero, la principessa…azzurri. Vi marcirà,
nel frattempo”
“Se questa è una velata
metafora per dirmi che non vedi l’ora di ridarmela di nuovo, ti avviso: non mi
interessa più” replicò lui.
“Appunto” rise Darla, la
lingua provocatoriamente tra i denti.
Spike alzò le spalle ed andò
diretto verso la stanza dei cappotti. Darla lo inseguì: vederlo, bello e fiero,
mentre smontava il piano di quei quattro idioti l’aveva…non so, eccitata.
Non ci sarebbe dovuto voler molto per fargli cambiare idea….
Entrarono entrambi, e subito
si resero conto che qualcosa non andava.
La stanza non era vuota.
Angel sollevò il capo dalle
gambe di Buffy, guardandosi intorno. Sul suo viso, nel vedere Darla…e Spike…comparve
una strana espressione.
Ma non era tipo da scomporsi
per così poco.
Insolentemente, spinse dentro
Buffy, lentamente, sfidando con gli occhi la sua ragazza a dirgli qualcosa,
se osava.
“Oh - oh” commentò divertito
Spike. “Abbiamo interrotto qualcosa? Pare di sì”
Al suono della sua voce, Buffy
divenne rossa porpora…e poi pallidissima.
Spike!
Che diavolo ci faceva, lì?!
Malgrado tutto in lei la
implorasse di non farlo, si tirò su a sedere e fissò i nuovi venuti.
Oh, cazzo…
Darla si mise ben eretta, le
mani sui fianchi. Era furiosa.
“Tu….e tu….mi avete
tradito entrambi! Il mio ragazzo! La mia migliore amica!”
Angel si tirò su, e si aggiustò
i boxer sui fianchi. “Hai finito con il fotoromanzo, Darla? Sì, io e Buffy
scopiamo. E da un bel po’. Rassegnati. Nulla di così diverso da quello che fai tu
…con qualunque maschio, o femmina, in circolazione”
Stupito e divertito, Spike
fissò Darla. Come, le piaceva anche leccarla? Però…
“Darla, io…” intervenne Buffy,
tirandosi giù il vestito, e raccogliendo gli slip. Voleva chiedere scusa a
lei, in fondo era la sua amica, ma fissava Spike. Che stava guardando da
un’altra parte, lo sguardo distante, indecifrabile.
Angel si alzò e se ne andò,
sfiorandoli intenzionalmente. “Guarda come si fa, Shelby. Hai appena visto come
si comporta un vero uomo. Cosa vuoi che facessi? Lei mi ama”
Lo sguardo di Spike indurì,
mentre Buffy raccoglieva le sue cose e se ne andava a sua volta, sotto lo
sguardo incredulo di Darla.
“Non pensare a me per la
scopata di consolazione” l’avvisò Spike, raccogliendo il suo spolverino di
pelle e facendo dietro front. “Ho già visto abbastanza troiette, per questa
sera”
Le parole di O’Connor gli
bruciavano dentro.
Un vero uomo? Era così che si comportava davvero un vero uomo?
Scopando donne senz’amore, e
nemmeno uno straccio di rispetto, e sbattendolo in faccia a loro senza un
minimo di pudore?
Un pensiero gli attraversò la
mente con un fulmine.
Rivide Buffy, sola, umiliata,
le guance rosse, gli slip in mano, le secrezioni di Angel che ancora le
scivolavano per le gambe. E credeva che quello fosse amore?
Assurdamente, gli spiacque per lei. E gli faceva rabbia. Era un bel mix di
emozioni, difficili da decifrare.
Poi, rivide la faccia
insolente e arrogante di Angel, e capì che, in fondo, aveva già deciso.
“Gliela porto via”.
Ora che la decisione era
presa, Spike era più tranquillo. Prese Fred sottobraccio – lei era troppo
partita per stare eretta – e cercò Lindsey.
Non lo trovò da nessuna parte.
Esasperato, sollevò le spalle
e si diresse verso il retro. Si mise Fred sulla spalla, era persino più leggera
di quanto appariva, e la fece sedere sul retro della de Soto.
“Dove siamo?” chiese lei,
aprendo a fatica un occhio.
“Nella mia macchina, e ti
porto a casa”. Le rispose.
“Wes…”
“Dimenticalo, dolcezza. Non
c’è niente di buono, da queste parti”
Fred si sollevò i capelli
dagli occhi e gli sorrise, a fatica. “Che succede? Perché sei arrabbiato?”
“Hanno tentato di drogarmi”
rispose lui, evadendo persino con se stesso la vera risposta. Sì, era
arrabbiato. Furioso.
Ma non per quello.
“Ma tu…”
“Lindsey mi aveva avvisato” le
spiegò. “E così li ho mandati a stendere. Dimentica questa serata, Fred. E’ stato
un errore venire a questa festa.”
“Sei di cattivo umore” osservò
lei. “Non è stata così male…almeno fino a che tutto non ha cominciato a girare”
“Whyndham – Pryce non doveva
farti bere. E non doveva flirtare con te…sotto gli occhi della sua ragazza. A
quella Faith piace menare le mani. E non vorrei che si sfogasse con te”
La prospettiva svegliò Fred
del tutto. Oopss…
“Beh, io non ho fatto niente
di male..:”
“Sì, a parte berti ogni sua
parola ed ogni suo sguardo” rise Spike. “Che poi è il modo più rapido per
finirci a letto. Stai in guardia, Fred. Davvero, non ti attende nulla di buono,
lungo questa strada…”
Lei annuì. Il ballo era
finito, la carrozza si era trasformata in quella malandata de Soto, il principe
era scappato con la sua principessa sboccata, ed era ora che Cenerentola
tornasse a casa.
Spike si chiese brevemente
dove fosse finito Lindsey, e poi scosse il capo. Era venuto lì a piedi, a casa
ci sarebbe tornato, in qualche modo.
Lasciò Fred a casa sua, e
poi…fece un lungo giro. Doveva calmarsi i nervi. Quanto avvenuto quella sera
l’aveva turbato, non poteva negarlo.
Si trovava nel quartiere
residenziale di Revello, incerto se andarsi a bere una birra dal suo amico
Willy, quando la vide.
Il suo piede fu sul pedale del
freno, più veloce del pensiero.
Buffy sollevò lo sguardo sulla
grossa macchina nera, facendo fatica a mettere a fuoco il volto del conducente.
Poi, tra le sue ciglia impastate di lacrime e mascara, lo vide.
Spike.
Dio, che umiliazione…
“Vuoi salire?” le chiese lui.
“Ti accompagno a casa? Non è sicuro camminare da sola per strada a quest’ora”
Buffy ondeggiò tra l’istinto
di mandarlo al diavolo…e quello di accettare. Ormai, lui l’aveva vista nel
momento più imbarazzante possibile…e questo, in un certo senso, era
liberatorio.
Spike scese, fece il giro
intorno alla macchina come un cavaliere di altri tempi e le aprì la portiera.
Buffy entrò, cedendo alla tentazione di abbassare il parasole e fissare il suo
volto disfatto dalle lacrime nello specchietto.
Spike tornò al suo posto, e
rimise in moto.
“Da che parte?” le chiese,
cercando di usare il tono più neutro possibile.
“Sulla destra. La seconda
via…quella con il pino davanti è casa mia”
Lui ubbidì, e la macchina
rapidamente giunse davanti al suo vialetto d’accesso, mentre loro due erano immersi
in un silenzio non del tutto sgradevole.
“Grazie” mormorò Buffy,
composta. “Ci vediamo lunedì, a scuola…”
“Per quelle lezioni…” aggiunse
lui.
“Non mi offenderò se non ne
vorrai più far nulla” intervenne lei, amara.
“Al contrario. Farà bene anche
a me riprendere un po’ in mano i libri di letteratura inglese. Quando vuoi
cominciare?”
“Domani?” propose lei.
“Domani è domenica”
“Scusa. Certo, è ovvio che hai
altri impegni. Facciamo allora martedì, nel pomeriggio…possiamo vederci in
biblioteca”
“Domani non ho nessun impegno”
rimarcò lui. “Non sarà fico, ammetterlo, ma è la verità. Però, la
biblioteca è chiusa. Vieni a casa mia”
“No…vieni tu. Mia madre è
fuori, ha una mostra a Los Angeles. Facciamo alle tre”
“D’accordo” rispose lui,
tranquillo.
“Buffy…”mormorò lui. “Mi è
dispiaciuto, per prima. Non volevo essere indiscreto”
Lei rise piano. “Indiscreto?
Gli indiscreti eravamo noi. Ma era più confortevole quando facevi finta
di essertene dimenticato”
“Come vuoi” replicò lui.
“Bene”
“Bene”
Buffy si agitò sul sedile, e
lo fissò. “Ma quanto sono idiota?” gli chiese. “A farmi sorprendere così dalla
mia migliore amica?”
“Ti hanno beccato in
fuorigioco, ma il vero problema non è questo” replicò Spike, duramente.
“Chiunque poteva entrare. Non era un posto sicuro per far l’amore…e quello,
oltretutto, non era far l’amore nemmeno lontanamente”
“Parla l’esperto!” rise lei,
sarcastica.
“Giudicherai quando avrai
provato” Spike si chinò verso di lei e la fissò, intensamente, fino in fondo
all’anima. “Il giorno che farai l’amore davvero, e non una sciocca
scopata da quattro soldi, lo capirai. Saprai che è vero e che è giusto.
Fino ad allora, non credo tu sappia ciò di cui stai parlando”
“Comunque, non volevo tradire
la fiducia di Darla. E’ solo che quello che provo per…”
Spike si avvicinò a lei, e le
scostò i capelli dagli occhi.
Per un lungo, lunghissimo
istante Buffy temette – sperò? – che l’avrebbe baciata.
Ma lui sorrise. E poi parlò,
con calma e freddezza.
“Prima regola del nostro
rapporto, qualunque esso sia. Non sono la tua fottuta spalla per piangere,
e me ne strasbatto dei tuoi sentimenti per O’Connor, per Darla, o per chiunque
altro. Per cui, quando siamo insieme, ignorali, o non ci sarà nessuna lezione.
Parlo sul serio, Buffy. Ancora una parola su quegli idioti, e le lezioni dovrai
chiederle a qualcun altro”
Lei rabbrividì. Parlava sul
serio. Non era il solito ragazzo della porta accanto disposto a farsi zerbino
per lei, la bella e popolare Buffy Summers. Per niente.
Seppure riluttante, lo
rispettò per questo.
“Bene…a domani, allora”
“A domani” disse lui,
allontanandosi dal suo spazio vitale, seppure con riluttanza.
Fu solo quando lei fu fuori
dal suo campo visivo, saldamente rifugiata in casa, che capì una cosa
sconcertante.
In tutta quella maledetta,
interminabile serata, non aveva ancora nemmeno una volta pensato a Dru.
Darla guardò con occhi
offuscati dall’ira e dal dispetto i suoi invitati che si scolavano l’alcool dei
suoi genitori e facevano sesso negli angoli meno nascosti della casa. Una
dannata orgia. La sua festa chic in piscina stava trasformandosi in una dannata
orgia, e Angel si scopava la sua migliore amica..
Non sapeva se fosse una mera
questione d’orgoglio, ma le bruciava terribilmente. E desiderava più di ogni
altra cosa che nessuno lo sapesse. Se solo quel dannato Spike avesse
tenuto la bocca chiusa…
In qualche modo, ci avrebbe
pensato lei a raccontare a tutti che Buffy Summers non era più cool,
e che non era il caso di continuare a frequentarla. Prestissimo, si sarebbe trovata
intorno il deserto dei tartari. Giusto quell’idiota di Spike poteva continuare
a frequentarla. Buffy Summers sarebbe passata di moda più velocemente della
papaia per dimagrire…
Ma Angel…tra di loro non era
ancora finita, e lo sapevano entrambi. Ebbene, sì, ora sapevano entrambi che la
fedeltà non era il loro punto forte, e allora? Agli occhi del mondo
erano sempre una splendida coppia, il re e la regina della scuola.
Quindi, stringi il sedere e
vai…come le diceva sempre quella fallita piena di psicofarmaci di sua madre.
Ciò non toglieva certo spazio
a quel delizioso sport che era la vendetta.
E subito.
Lui doveva essere nerd, il
più nerd possibile.
In questo momento, Darla aveva
voglia sola delle grandi mani nere di Charles Gunn sulla sua pelle candida, ma
Charles non c’era, ai suoi sarebbe venuto un colpo se avesse fatto entrare un negro
nella loro bella casa.
E sì che davano sempre soldi
all’associazione Black America, che ipocriti…
Per cui, bisognava guardarsi
in giro.
I soliti, no…non poteva
così palesemente perdere la faccia. E poi, la sua vendetta doveva essere più
raffinata…solo per gli occhi di Angel.
Incredibile! Come aveva fatto
a non pensarci, prima?
Lindsey.
Quel nerd dagli occhi azzurri
e limpidi. Non era alto, ma nemmeno lei era un colosso, e allora? Ne aveva a
basta di spilungoni che ti schiacciavano nel letto. Per una volta, voleva star
sopra lei. In tutti i sensi.
Lo trovò che stava smaltendo i
postumi di una sbornia in giardino, sotto un lampione. Aveva ancora una Budweiser
in mano, e sembrava fissarla con moooolta attenzione.
“Diavolo, sei ubriaco” sputò
lei. “Oh, che sfiga”
“Che cerchi, bella ragazza
bionda?” reagì lui. “Hai perso la strada? Il bagno è sulla destra…”
“Idiota” sibilò lei “Questa è
casa mia”
“Ah, già…Darla. Complimenti
per la festa. Quel cazzone del tuo ragazzo voleva farci passare per degli
idioti”
“E lo siete, idioti! Ero
venuta qui per scoparti, imbecille!”
“Uh?” lo fissò lui, senza
capire.
“Scoparti! Io e te! Fare
sesso! Capisci?”
“E…” lui tentò di concentrarsi
“perché?”
Già, perché, si chiese Darla?
Perché la voce arrivasse poi ad Angel, ed a mezza scuola, troppo assurda per
essere creduta dagli altri…ma non da lui?
Qualcosa del genere, in
effetti.
“Con tutto quello che hai
bevuto, non ne saresti nemmeno in grado” sibilò lei, furiosa.
“Dici?” Lindsey si alzò e le
si avvicinò: così, in piedi sull’erba, erano alti uguali. “Non ho poi bevuto
così tanto…”
Lei lo guardò.
“Se lo facciamo…poi tu vai a
raccontarlo a mezza scuola?”
Lindsey sorrise.
“Se è memorabile, sì”
Oh, ma che sfacciati, questi
nerd! Non erano proprio più i nerd di una volta, quelli che sarebbero
semplicemente svenuti per una simile offerta.
Darla ci ripensò. Non era il
tipo adatto.
Lui la prese per un braccio, e
poi la baciò.
E Darla cambiò nuovamente
idea.
Una lunga doccia era proprio
quello che ci voleva. Buffy si lavò con cura, attenta ad eliminare dal suo
corpo ogni traccia di quella disgraziatissima serata. Poi, si infilò il suo
pigiama più morbido, prese Mr. Gordo e si mise a letto.
Doveva pensare.
Quell’idiota di Spike aveva
insinuato che lei fosse una puttanella che conoscesse solo il lato horror dell’amore:
una botta e via. Lui, invece, si era dato arie da uomo di mondo. Che
deficiente! Scommetteva che se mai gli avesse dato l’opportunità di fare
l’amore con lei, sarebbe venuto in tre minuti netti…
Altolà!
Chi parlava di fare l’amore con chi?
Non esisteva proprio.
Non se l’era tenuta da conto
per mollarla a quell’idiota. Proprio no.
Eppure, il modo in cui lui
l’aveva fissata, occhi azzurri nei suoi occhi verdi, come se lui la conoscesse,
sapesse in che mondo lei viveva, quali erano i suoi pensieri più remoti…
Persa in quei pensieri, Buffy
non si accorse della tapparella della sua stanza che si apriva, mentre un
corpo, grosso e pesante, si lasciò cadere nella sua stanza.
Lo intravide alla luce della
luna, e sospirò.
Angel.
“Cosa vuoi, ancora?” gli
chiese.
Lui si sedette sul letto,
accanto a lei, prendendole una mano tra le sue e accarezzandola piano. “Sono
stato molto imprudente, oggi. Mi spiace”
Lei abbozzò una smorfia. “La
colpa è anche mia. Non era il momento e soprattutto il luogo.”
“Non credo che Darla mi lasci
per quello” ammise lui, sicuro di sé. “Ma tu potresti avere dei problemi. Lei
fa il bello e il cattivo tempo, a scuola”
“Cercherò di difendermi”
replicò lei. “Ora, se non ti dispiace…”
Angel sollevò il lenzuolo, e
fece per infilarsi a letto.
Inorridita, Buffy si alzò in
piedi.
“Angel…cosa vuoi? Non credi
che per stasera possa bastare?”
“Non abbiamo finito”
insistette lui “Ed io odio sentirmi così insoddisfatto…”
“Beh…rivolgiti altrove”
commentò Buffy, per niente divertita. “Mi sono sentita un autentico mucchio di
spazzatura, stanotte, e questa sensazione non mi è piaciuta per niente. Ora,
non puoi piombare qui e pretendere che nulla sia cambiato. Noi non facciamo
l’amore, Angel…per niente. Tu mi scopi solo quando nessuno lo sa…e quando hai
un prurito da alleviare. Beh, stanotte a me non va bene”
Angel la fissò duramente. E queste
idiozie sul fare l’amore con violini e rose da dove le stava prendendo?
Dall’edizione compact di Cosmopolitan?
“Strano, perché è dall’inizio,
da quando ci conosciamo, che non desideri altro”
Buffy strinse le braccia al
petto, e lo fissò nella penombra. “Stanotte, però, no. Quello che è
successo mi ha fatto sentire sporca, ed a me non era mai accaduto. Devo
riflettere, Angel. Hai avuto l’occasione di dire di noi a Darla, e non l’hai usata.
Stai ribadendo che ti aspetti che la tua storia con lei continui come se niente
fosse…e questo dove mette me? Resterei la tua ragazza delle due di
notte?”
Angel la fissò, studiandola
perplesso.
“Hai il ciclo?”
Buffy scosse il capo,
combattendo delle inopportune lacrime. Per quanto inaudito sembrasse al suo
cervello stanco, questa notte sentiva di dovergli tenere testa.
“Bambina, lo sai che ti amo”
mormorò lui, avvicinandosi a lei e giocherellando con il claddagh d’argento che
le ornava le dita. Era un suo regalo, della prima volta che avevano diviso il
letto, ma lui non aveva mai portato il suo. Era il segreto di Buffy, uno
scomodo segreto.
“Allora, per un po’, se
davvero mi ami, mi lascerai sola” concluse Buffy. “Devo pensare, e non
posso farlo con te vicino…”
“Buffy…”mormorò Angel,
avvicinando il volto a quello di lei per baciarla.
“Buonanotte” replicò lei, con
voce tremante eppure determinata.
“E sia. Lo rimpiangerai. Mi
rimpiangerai. Tornerai a supplicarmi di dartelo in ginocchio”
Buffy si prese Mr. Gordo e se
lo strinse al seno, mentre lui usciva.
“Ah, maledizione!” esclamò,
furiosa e sconvolta “William Shelby, è tutta colpa tua!”
Decisamente, la sua vita era
stata molto più semplice prima di conoscerlo.
“Mmmmm” mugolò Lindsey,
rotolando nell’erba con lei, le gambe di lei strette intorno ai suoi fianchi,
ed il viso sepolto nel suo seno.
“Oh, sì” gemette Darla,
mentre lui si muoveva nel modo assolutamente giusto…dopo i primi cinque
minuti, lei aveva scordato la ragione…ed aveva cominciato ad usare
l’istinto. Le piaceva. Questo piccoletto dallo sguardo arrogante fotteva come
un demonio e la faceva godere. Sapeva per istinto come toccarla, come muoversi,
come baciarla, quali cose dirle…una preziosa scoperta…
Fino a che un rumore di passi
li distolse per un istante dal loro incantamento.
Lindsey sollevò il capo.
Tutto quello che vide furono
un paio di gambe.
Lunghe, lunghissime gambe
femminili inguainate in costosi collant. E poi, a risalire, una mini
mozzafiato, l’ombelico in vista, un top bianco che lasciava scoperte spalle
perfette. Ed un lungo collo che terminava con un viso di assoluta perfezione.
Lilah Morgan.
La sua Lilah. La ragazza che da
sempre - non corrisposto – adorava da lontano.
Ed il suo onnipresente
boyfriend universitario, lo statuario Riley Finn, che lo osservava con la
stessa ostile, indifferente curiosità con la quale si osserva un insetto
particolarmente repellente.
“Lilah…”
“Prego, continuate pure” li
invitò la splendida bruna. “Non sia mai detto che vi interrompiamo”
Darla fece finta di niente, e riprese
come se nulla fosse successo. Ma Lindsey aveva perso di concentrazione.
Lilah. Splendida.
E Riley Finn.
Cielo, quanto lo odiava.
5. Questione d’allenamento.
Angel.
Sentiva il suo profumo dovunque, in quella stanza.
Ma non era la stupida colonia di Tommy Hilfiger che gli aveva regalato per
Natale…
Era la sua essenza.
L’odore della sua pelle, il sapore delle sue labbra, il vago sentore di shampoo
sui capelli che adorava accarezzare…
E la pesava sul cuore, come un detestabile fantasma.
“Mi rimpiangerai.”
E Dio, sì, lo stava già rimpiangendo.
Non doveva mandarlo via, la sera prima…
“Sei una dannata stupida, Buffy.” si accusò, scuotendo la testa.
Che razza di pensieri erano quelli?
Non erano passate neppure ventiquattro ore e già gli mancava terribilmente.
Andiamo bene, si disperò, mettendosi le mani nei capelli appena lavati.
Se non era capace di tenere fede ai suoi propositi dopo tutto quello che era
successo, allora era proprio senza speranza.
Lui stava ancora con Darla, maledizione!
Erano fatti l’uno per l’altra, doveva ammetterlo…
Due stronzi fatti e finiti, come diceva sua madre.
Non piangere, si ammonì duramente, sennò ti si rovina il trucco…
Ah sì?, si rispose subito, e perché dovrebbe importarmi?
E soprattutto…Perché diavolo mi sono truccata?
La soluzione arrivò immediatamente, senza che lei avesse il tempo di
razionalizzarla.
Per la lezione di Spike, ecco perché.
Non voleva che quel nerd potesse credere che lei non sapesse affrontare una
delusione d’amore.
La sua vocina interiore, implacabile, le sussurrò che forse non era esattamente
così, ma la bionda la mise a tacere, specchiandosi attentamente.
Perfetta, si complimentò, sorridendo appena.
Levi’s aderenti e top rosa, in perfetto stile Barbie, svolazzante e scollato.
Molto scollato.
Ma quello era un dettaglio trascurabile, no?
Buffy si versò un bicchiere d’acqua, respirando profondamente.
Complimenti, si rimproverò, non solo ho avuto questa bella idea del cavolo di
invitarlo a casa mentre la mamma è fuori città, ora mi metto anche in tiro!
Sarebbe stato più saggio appendermi al collo un cartello con su scritto
“Scopami subito”…
“Ma fino a che punto sono stupida?” interrogò il suo riflesso, ritoccandosi il
mascara.
Era ancora intenta a decidere se indossare un paio di ciabattine in tinta o no,
quando il campanello la fece sobbalzare.
Spike era arrivato.
Merda.
Spike si accomodò meglio i libri sul braccio, buttando la sigaretta appena
accesa fra le radici del pino. Se quella dannata ragazzina non gli avesse
aperto entro trenta secondi, avrebbe avuto come minimo una crisi isterica.
Cristo…Cristo…Cristo!
Lui detestava sentirsi così nervoso.
Per quale fottuta ragione, poi?
Tutta quella nicotina gli aveva fuso il cervello, accidenti…
Oddio, non le aveva portato niente! Neanche un fiore…
La mente del ragazzo fece un salto indietro.
Non era mica un appuntamento, quello.
Erano ripetizioni.
Lui che insegna a lei, lei che paga lui. Punto.
Un po’ di professionalità, per favore.
Non doveva portarle niente che non fosse la sua infinita sapienza, quindi.
E da quando in qua lui portava fiori alle ragazze?!
Stava quasi per raggiungere un livello di normalità, quando la porta si aprì
inaspettatamente, facendolo trasalire.
E nell’ombra dell’atrio, lei.
Che gli sorrideva con la sua stramaledettissima bocca maliziosa.
William si chiese come mai gli si fosse improvvisamente azzerata la
salivazione. Ma soprattutto cos’era quel rimescolio all’altezza del suo
stomaco.
Ah, stava quasi per dimenticare che il suo cuore aveva appena deciso di dare un
concerto rock…
No, protestò con se stesso, non un cazzutissimo batticuore!
Tentò di deglutire – con scarsissimi risultati – per darsi un contegno
dignitoso.
Avanti, lui non era tipo da farfalle nello stomaco…
Soprattutto per una puttanella come Buffy Summers.
Non a me, supplicò, non voglio essere lo stereotipo del perdente che ha una
cotta per la Gucci Girl…Dannazione, un po’ di dignità!
“Sei in ritardo…” sorrise semplicemente lei, facendogli segno di accomodarsi.
“Non mi avevi dato un orario, passerotto…” replicò Spike, alzando le spalle.
“Andiamo nella camera da letto?” Buffy si morse la lingua, arrossendo.
Okay, non era stata una cosa molto saggia da dire…
“Sai cos’è un lapsus Freudiano, dolcezza?” ironizzò lui, vedendola nascondere
il viso fra le mani.
“Io…Io non…Cioè, non intendevo quello…” tentò di giustificarsi, torcendosi
freneticamente le mani.
“E cosa intendevi, allora?” la canzonò Spike, infilando i pollici nei passanti
dei jeans. Voleva sfruttare il vantaggio del suo imbarazzo, finché gli era
possibile…
“Di sopra ci sono i miei libri…” rispose seccamente la bionda. “E una grande
scrivania per studiare con calma…” E rimanere abbastanza lontani l’uno
dall’altra, concluse tra sé e sé.
“Io sono contrario alle scrivanie. Preferisco i letti…Sono infinitamente più
comodi…”
Un’immagine di lui fra le sue lenzuola rosa la colse impreparata.
Lui che la guardava con quegli occhi di un blu impossibile…
Lui che la toccava con le sue lunghe mani bianche…
Lui che entrava in lei, viveva dentro il suo corpo…
Lui che le sussurrava cose che…
Oh, Dio!
Spalancò gli occhi, incredula.
Il suo viso diventò scarlatto sotto il fondotinta, e Buffy gli voltò le spalle,
precipitandosi sulle scale.
Spike guardò il suo sedere, fasciato dai jeans stinti nei punti strategici,
ondeggiare sui gradini.
Al diavolo la professionalità…
Voleva essere pagato in natura.
“Lo so che Cenerentola è solo una favola…” sospirò Fred, attorcigliandosi il
filo della cornetta intorno all’indice.
“Non voglio essere crudele…Ma devo dirti la verità, Fred.” iniziò Tara, con la
morte nel cuore. “Price è una serpe. Perfino i suoi amici, se vuoi chiamarli
così, lo evitano.” odiava ferire le persone che amava. Ma meglio questo che
vederla cadere tra le braccia di un viscido del genere. “Non è Richard Gere, e
tu non sei Julia Roberts. Scorda tutte le storie romantiche in cui la povera
ragazza sfortunata viene portata a palazzo dal Principe Azzurro.” Prese fiato,
aspettando una risposta che non arrivò. “Wesley al massimo vuole portarti a
letto. E poi dovrai vedertela con la sua violenta, e molto incazzata,
fidanzatina. Rimedierai un paio d’ossa rotte e qualche lacrima…E poi? Lui andrà
a vantarsi in giro di aver colto il fiore dell’amichetta perdente di Shelby. Se
non peggio.” concluse duramente, tirando un lungo sospiro. Era raro sentirla
articolare un discorso così lungo…
E le era pesato. Oh, se le era pesato…
“Lui non è così…Non è O’Connor…” Perfetto, si picchiò mentalmente Fred.
Era completamente cotta, partita, andata…
Era meglio quando moriva dietro a Spike, si disse tristemente Tara.
“Infatti, è peggio. Lui è subdolo.” insisté la bionda, preoccupata. “Non ci
saranno meravigliosi sposalizi né cavalli bianchi, Fred…Non è “Pretty Woman”.
Questa è la dura realtà.” fece una pausa significativa. “Siamo alla Sunnyhell
High, non ricordi?”
La bruna abbozzò una risata triste.
“Già. Il nostro Inferno personale, come dice Spike.”
“Appunto.” concluse Tara.
“Ieri sera c’era anche Willow…” cominciò Fred, nel tentativo di cambiare
argomento.
“Non voglio saperlo.” la bloccò l’amica, gelida.
Era già abbastanza difficile così…
L’omosessualità di Tara non era un problema facile da affrontare, con una
famiglia come la sua.
L’avevano cresciuta trattandola come una specie di creatura infernale, e questo
aveva inevitabilmente influito sul suo carattere già troppo introverso.
Le cose si erano complicate ancora di più con la comparsa di Willow.
Lei e la rossa erano state amiche per un pezzo, andando anche oltre, talvolta.
Poi, con il suo fidanzamento con Xander, avevano troncato i rapporti.
In tutti i sensi.
Definitivamente.
Miss Rosemberg voleva qualcosa con tre gambe.
O perlomeno così aveva detto.
La versione non ufficiale era che il suo legame con Saffo Mc Clay danneggiava
la sua nuova immagine di ragazza popolare.
Tara era diventata il fantasma di sé stessa.
Se non fosse stato per William…
“Quella ragazza non ti merita…” la consolò Fred, dispiaciuta di aver toccato il
tasto dolente.
I suo sex-show con Xander erano già abbastanza dolorosi da sopportare, ogni
giorno…
“Sai che non è così.” ribatté la bionda. “Devo lasciarti, Fred…Ci vediamo
domani a scuola.”
“Grazie.” mormorò la bruna, imbarazzata.
“E di cosa?”
“Di avermi aperto gli occhi.”
Il sorriso di Tara parve arrivarle attraverso la cornetta.
“Figurati. Le amiche servono a questo, no?”
La bionda chiuse bruscamente il libro, mentre Spike continuava a parlare,
ancora e ancora…
“Basta.” esclamò risoluta. “Sta per scoppiarmi la testa! Ho il vago sospetto
che la mia mente non riesca a trattenere più di un tot di informazioni…” si
coprì con una mano gli occhi stanchi. “E queste sono decisamente troppe, per
una giornata sola…”
Il ragazzo sorrise, sospirando.
Si sarebbe ritenuto fortunato se avesse capito almeno la metà di quello che le
aveva spiegato…
“Ti ho annoiata?” le chiese, guardandosi intorno.
Bella stanza, da All American Girl in gita a Barbieville.
“No, no!” si affrettò a rassicurarlo. “Sono rimasta sveglia per tutto il tempo,
mentre parlavi di quel tizio…Macbeth?” rise a fior di labbra, vedendolo annuire
soddisfatto.
“Però ti ho vista sbadigliare sull’Otello…” scherzò lui, sorridendo appena.
“Perché è una tragedia maschilista.”
Spike la fissò senza capire, perplesso.
“Stiamo ancora parlando di Shakespeare?”
“Ti spiego…” si mise dritta sulla sedia, buttandosi a capelli dietro
l’orecchio. “Quei tre idioti…”
“Cassio, Jago e Otello?” suggerì gentilmente l’ossigenato, appoggiandosi allo
schienale.
“Ah, sì! Comunque…Loro tre avevano la loro carriera, i loro legami, le loro
vendette…E la fine del topo l’ha fatta la povera Desdemona, completamente
innocente…Tutto ciò che si può capire è che Desdemona, fedele ed innamorata,
non meritava la fiducia di Otello in quanto donna.” incrociò le braccia al
petto, sfidandolo a contraddirla. Lui non aspettava altro…
“La gelosia è la componente principale…Uno degli ingredienti del mix bomba
dell’amore e della passione.” Si sporse in avanti sulla scrivania, verso il suo
viso. “E’ la passione che ci guida, ci spinge verso le azioni più disperate…”
continuò a fissarla negli occhi “E noi obbediamo, siamo tutti suoi
schiavi…Burattini impotenti, perché la passione è la fonte dei momenti
migliori, la gioia dell'amore, la lucidità dell'odio e l'estasi del dolore…” le
accarezzò il mento, sollevandosi dalla sedia “La passione può ferire
profondamente. Se potessimo vivere senza, conosceremmo certamente la pace, ma
saremmo esseri vuoti, stanze vuote, buie ed inutili.” sentiva il cuore di Buffy
che batteva forsennatamente nel suo petto di cheerleader. Quello era
esattamente il tipo di discorso che faceva colpo su quel tipo di ragazza…E lui lo
sapeva bene. “Non abbiamo scelta, capisci? Senza passione saremmo come morti…”
interruppe il contatto, risedendosi con un sorrisino strafottente stampato in
faccia, facendo sperare alla bionda che la sedia esplodesse sotto di lui.
Aveva fatto la figura della perfetta idiota: era prontissima a baciarlo…
Misericordia, voleva essere baciata!
Tutto quel discorso profondo sulla passione…E poi la lasciava con le labbra
socchiuse e un palmo di naso?
Lui, uno schifoso zero!
Come osava? Come si era permesso?!
Invece di strisciare ai suoi piedi e…
Spike aggirò il tavolo in un batter d’occhio, alzandola per la vita.
Lei trasalì, sorpresa.
“Ma che diavolo…” boccheggiò, stretta nella sua presa.
“Sto riscuotendo la mia parcella, dolcezza…” le mormorò sulle labbra, sogghignando.
La attirò a sé per la nuca, accarezzandole i capelli color del grano.
La ragazza non ebbe il tempo – né l’intenzione – di reagire…
Sentì solo le sue morbide, sensuali labbra calde sulle sue.
Le braccia di William si incrociarono sui suoi fianchi, attirandola più vicina,
e lei rispose timidamente al suo bacio.
Giocherellò con il suo labbro inferiore, sfiorandole la pelle attraverso la
maglietta sottile.
Quando la lingua del ragazzo picchiettò contro i suo denti, in una gentile
richiesta di permesso, lei lo lasciò entrare.
Oddio, farfugliò confusa nella sua mente.
Nessuno l’aveva mai baciata così.
Mai.
E quello fu l’ultimo pensiero coerente che riuscì a formulare.
Dopo ci fu solo una sensuale lotta nelle loro bocche.
Le loro lingue si sfioravano, giocavano, si accarezzavano, intrecciate, unite
in un’unica fiamma.
Un guizzo di voluttà che li portava sempre più in alto, più lontani…
Una danza selvaggia di fuoco e sospiri che scavava dentro di loro, li
attraversava, bruciando ogni cosa al suo passaggio.
Pensieri, dubbi, incertezze…
Le mani di Spike salirono decise sotto il bordo della maglietta, posandosi a
pochi millimetri dal gancetto del reggiseno della ragazza.
La bionda sospirò lievemente, e a lui non servì altro invito.
Fece scivolare la destra in avanti, coprendo una coppa lievemente imbottita,
mentre con l’altra si avventurava verso la cintura dei jeans.
Buffy non se ne rese nemmeno conto, e in un attimo si ritrovò stesa sul suo
letto, bloccata dal peso di lui.
E, stranamente, la cosa non le dispiacque.
Era così eccitante e caldo e gentile…Le sue mani…
Oh.
Le sue mutandine erano da strizzare, ormai.
William continuò a baciarla, scendendo piano verso il suo collo dorato, mentre
risaliva con la punta delle dita il sensuale sentiero delle suo corpo.
Lei tremò, rivolgendo gli occhi al soffitto.
Quando le mano di Spike arrivò fra le sue cosce le aprì istintivamente,
incapace di dominarsi.
L’Inglese fece scorrere la lampo, facendosi strada fino al bordo degli slip
rosa confetto, e lei si irrigidì.
Solo Darla si sarebbe fatta scopare al primo appuntamento…
Ma questo non è un appuntamento, si giustificò, respirando profondamente.
L’ossigenato si tirò indietro, avvertendo il cambiamento.
Forse si era spinto troppo oltre…
“Fo-forse…” balbettò Buffy, mettendosi a sedere.
“…Sarebbe meglio se me ne andassi.” Concluse per lei, inarcando un
sopracciglio.
“Io non volevo dire che…”
“Ho capito perfettamente cosa intendevi, dolcezza…” la interruppe pietosamente
lui, deciso a porre fine in fretta a quell’infelice parodia di conversazione.
Quella era Buffy Summers, cazzo!
Ed era stata a tanto così dal dargliela…
No, stava sicuramente sognando, e si sarebbe presto svegliato…
Tutto sarebbe tornato alla grigia, piatta normalità.
Forse si era addormentato sui libri…
“Allora…” cominciò la ragazza, incerta.
Però che strano…Di solito nei suoi sogni erotici lui arrivava sempre al dunque.
Con performance degne di una sex-machine.
Nei sogni.
E non doveva pensare ai baffi di zia Maude per liberarsi di un attimo di
euforia indesiderato.
“Allora ci becchiamo a scuola, bellezza.” sorrise maliziosamente. “È un vero
piacere fare affari con te…” infilò la porta senza aggiungere altro, indossando
lo spolverino con un unico, fluido gesto.
La bionda rimase a bocca aperta, allibita.
Ci mise qualche attimo a riprendersi, considerando che non doveva avere un’aria
molto intelligente, in quel momento.
L’aveva presa in giro. Anche lui.
La campanella suonò puntuale, e ancora più puntuale una fiumana di studenti
scappò fuori dalle aule di lezione, parlottando e ridendo.
Darla Mayer abbassò la voce, stringendosi più vicina ad Harmony.
“Ho sentito dire che quando era a Los Angel l’hanno rinchiusa…” ridacchiò, con
aria cospiratrice. “…in manicomio. Ragazze, ve lo assicuro, prende una quantità
impressionante di psicofarmaci. È arrivata perfino a rubarli dal mio armadietto
delle medicine!” rintuzzò, fingendosi scandalizzata.
Harm spalancò gli occhioni celesti, incredula.
Lei adorava Buffy…
Era gentile e disponibile, al contrario delle altre cheerleaders.
Ma Darla era più importante, quindi doveva per forza essere tutto vero.
Uno schema di vita semplice, il suo, per chi è abituato a pensare con la testa
del gregge.
Faith – che pensava con la sua, di testa – era convinta, anzi certa, che
fossero tutte stronzate.
Quello che non sapeva era perché Darla voleva ribaltare B. dal suo ruolo di sua
damigella d’onore.
Un giorno erano tutte Cip & Ciop, amiche per sempre e bla bla bla…
E subito dopo sembrava che volessero mordersi il culo a vicenda come cagne
randagie, riuscendo nonostante tutto ad apparire très chic.
Prima si scambiavano vestiti e consigli per la festa dell’anno, poi ricoprivano
l’altra di merda.
Perché?
“Allora per quale motivo le sei stata amica per tutto questo tempo?” domandò
Willow, tenendo il passo. “Generosità…O semplice predilezione per le
psicolabili?” la punzecchiò.
“E soprattutto…Cosa ci facevano degli psicofarmaci a casa tua, Darla cara?”
insinuò Buffy, venendole incontro con le braccia incrociate al petto. “Anche tu
hai qualche piccolo segretuccio di cui non vuoi farci partecipi?” nonostante il
sorriso ironico, gli occhi verdi erano accesi di rabbia.
“Non tanto piccolo” precisò Lilah, raggiungendole, a braccetto con la solita
Cordelia, in preda al più grande attacco di ridarella di tutti i tempi.
“…Almeno a giudicare dai suoi gemiti da film porno.” socchiuse gli occhi,
imitando l’espressione estatica di Darla. “Ah, Lindsey…Sì! …Non fermarti…”
Cordy rise più forte, seguita dalla stragrande maggioranza di quelli che erano
all’ascolto.
Perfino Harmony nascose il viso nei pon pon, tentando di darsi un contegno.
Darla si guardò intorno, smarrita.
Tutti i suoi amici, tutti quelli che l’avevano temuta e rispettata, tutte le
primine che avrebbero dato un braccio per entrare nelle sue grazie…Stavano
ridendo di lei.
Era sempre stata lei a infangare la reputazione di chiunque volesse, ad aprire
le danze.
E ora si era rovinata con le sue stesse mani.
Sbiancò sotto la sua cipria Max Factor n. 37 – Sable Blonde – , spalancando gli
occhi come se stessero per schizzarle fuori dalle orbite. Non era possibile.
Non sta succedendo a me, si disse con il massimo distacco.
“Gli stalloni del football non ti soddisfano più?” infierì la reginetta bruna,
schernendola.
Non sta succedendo a me…
“A quanto pare no…” rispose Lilah per lei, assolutamente seria. “Non ti
immagini la faccia che hanno fatto quando sono quasi rotolati sulle mie Manolo!
Avrei dovuto scattare una foto…”
“Immagino che Angel non sia al corrente della tua relazione con Mr. Texas…”
sussurrò glaciale Faith.
Darla la incenerì con lo sguardo.
Se non poteva più fidarsi neppure delle amiche…
“Chissà…” sorrise Queen C., studiandosi le unghie fresche di manicure. “Magari
potrei informarlo io…” suggerì, sbattendo le lunghe ciglia.
La bionda divenne paonazza, serrando le mani a pugno.
Liam poteva scoparsi la sua migliore amica e Faith e Drusilla e tutte le
troiette che voleva…
Ma non Cordelia Chase.
Quando vedeva Cordelia Chase lui trasfigurava.
E lei diventava gelosa.
“Io trovo che sia una magnifica idea…” asserì Buffy, guardando Darla dritto
negli occhi. “Qualcuno dovrà pur consolarlo…” non intendeva davvero andare con
Angel…
O forse sì.
Però in quel momento voleva solo farle più male possibile.
Per averla trattata come una cosa, andando allegramente a raccontare a metà
degli studenti della Sunnydale High – la metà che contava, ovviamente – che si
faceva di psicofarmaci.
E che era una clepto fatta e finita.
“La sua preziosa troietta di lusso con l’ultimo dei perdenti…” Lilah scosse la
testa. “…Sarà un colpo terribile per il suo povero cuore…” si mise la mano sul
maglioncino di cachemire, all’altezza del cuore, imitando l’accento di
O’Connor. “…Darla, come hai potuto fartela con uno che mi arriva alle
ginocchia?…” finse un singhiozzo affranto, guardando Cordelia, che prese la
palla al balzo.
“Sarà disperato…Avrà bisogno di affetto, coccole…E qualche giochetto da
cheerleader.”
Darla spalancò la bocca, furibonda, ma nessuno le venne in aiuto.
Faith scivolò silenziosamente al fianco di quell’oca insipida di Summers, e il
resto dei presenti la fissava in silenzio come una specie di fenomeno da
baraccone.
Era una cosa inaudita.
“Se solo provate ad avvicinarvi a lui, io…” puntò l’indice verso le senior,
alzando la voce.
“Tu cosa, carina?” la interruppe l’altra con aria di commiserazione. “Ci
sguinzagli Harmony?”
Daniel Holtz, il suo ex, scoppiò a ridere fragorosamente, applaudendo.
E brave le reginette, sorrise tra sé e sé.
Erano riuscite a fare in cinque minuti quello che lui non era arrivato a
compiere in quasi un anno.
Formidabili.
La bionda impallidì di nuovo, sentendo su di sé il peso del silenzio più
imbarazzante della sua vita.
Lei era una Mayer, non una da deridere!
E, fino a prova contraria, era ancora la fidanzata ufficiale del quarterback,
non importava con chi scopasse.
Quindi dovevano rispettarla.
Era nell’ordine naturale delle cose.
“No. Farò quanto in mio potere per rendervi la vita un inferno…Finché non vi
pentirete di essere nate, tutte voi…” scandì le parole a voce bassa, con una
luce gelida negli occhi.
Buffy distolse lo sguardo, infastidita.
Quell’espressione…Non era normale.
E non era da lei.
“Che paura!” urlò Lilah, scimmiottandola. “Me la sto già facendo sotto, non
vedi?” le voltò le spalle, rivolgendosi all’altra bionda. “Buffy, io e Cordy
andiamo a prenderci un caffè con la ragazza-scambio…Ti unisci a noi?” prese
sottobraccio l’amica, già dimentica di Darla, Angel e tutto il resto.
La ragazza le guardò entrambe, bellissime ed eleganti come solo loro riuscivano
ad essere, che aspettavano sorridendo un suo cenno d’assenso.
Darla avrebbe dato la vita, per un’occasione del genere…Lo sapeva benissimo.
E invece stava accadendo proprio a lei.
A volte la vita è strana, si rispose semplicemente.
Si girò verso quella che era stata a lungo la sua migliore amica, cercando nel
suo sguardo una minaccia che non riuscì a trovare…E per la prima volta si rese
conto di una cosa che si era ostinata a negare anche a se stessa: Darla era
solo una puttanella come tante altre. Niente di speciale.
Per lei era il momento di fare il salto di qualità.
“Primo giorno d’allenamento…Come ti senti?” coach Wood assestò a Spike una
cameratesca – e violenta – pacca sulla spalla, sorridendo amichevole.
A parte la spalla che mi ha appena lussato e tutte le ossa rotte?Alla grande,
coach…Alla grande.
“Benone…” tagliò corto l’ossigenato, salutandolo con un sorriso di circostanza.
“Ragazzo, io l’avevo detto…Tu hai stoffa. Un altro paio di allenamenti e
scivolerai sul campo come una scheggia…” a Spike venne da vomitare al solo
pensiero di replicare quell’esperienza disastrosa, ma l’uomo continuò,
invasato. “Il campionato sarà nostro!” l’allenatore si allontanò, perso nei
suoi deliri di onnipotenza, e William si lasciò cadere su una panca, con la
testa fra le mani.
Quel gran cazzone di O’Connor non aveva fatto altro che gettarsi addosso a lui,
che non era certo un peso massimo. Poi il resto dei coglioni aveva seguito
l’esempio del capitano, e ora le sue ossa scricchiolavano come un pacchetto di
cracker.
Evviva.
Ma chi me lo ha fatto fare?, si chiese, esasperato.
Andrew, una riserva del primo anno, gli allungò un flacone di ghiaccio spray.
“Mettilo, altrimenti domani sembrerai una cartina geografica…” Spike accettò
senza troppi convenevoli, sfilandosi la maglietta. Il ragazzino trattenne il
fiato e proseguì. “È una questione d’allenamento…I primi tempi è sempre così.
Il capitano ci va giù pesante…” rabbrividì al ricordo delle sue costole
incrinate e del gesso al braccio sinistro.
“Vuoi dire quello stronzo Irlandese? Se è sessualmente frustrato sono problemi
suoi, non vedo perché debba ridurci come puré di fave…Potrebbe trovarsi un
ragazzo!”
“Grazie per il consiglio, Shelby…” rise Angel, arrivandogli alle spalle. “Ma
temo di non condividere i tuoi gusti in quell’ambito…Per fortuna.”
“Oh, non sarebbe una grande perdita per il gentil sesso, te lo assicuro…” Spike
continuò a spogliarsi, lanciandogli un’occhiata addolorata.
“Guarda che IO ne ho piene le mani di puttanelle che non vogliono altro che
farsi sbattere da me…”
“Perché non hanno ancora provato…” si sfilò i pantaloni, volgendogli la
schiena. “Io mi riferisco alle tue donne…” rimase completamente nudo, con le
natiche squadrate esposte alla vista dell’altro.
“Che cazzo vai dicendo?” urlò Liam, aggressivo.
“Vedi…” si spruzzò il ghiaccio sull’anca livida. “Darla era talmente
insoddisfatta che si è scopata il mio amico Lindsey sul suo prato all’inglese,
davanti agli occhi di Lilah Morgan e Riley Finn…State diventando la barzelletta
della scuola!” alzò un sopracciglio, strafottente. “E Buffy…No, sono troppo gentiluomo
per dirtelo…” si avvolse un asciugamano intorno ai fianchi, voltandosi.
“Buffy, cosa?” tuonò Angel, scuotendolo per le spalle.
“Beh…È evidente che con te non ha mai avuto un orgasmo…” gli sorrise
condiscendente.
“Ma se è lei che mi implora di fare l’amore con lei…” rise il ragazzo bruno,
scuotendo la testa.
“Perché crede di essere innamorata di te…Ma non ci vuole molto a capire che a
letto sei una frana…” Spike guardò l’Irlandese boccheggiare, incapace di
replicare. “Ma non ti preoccupare, Lilly, è solo questione d’allenamento…” si
chiuse sorridendo nella doccia, aprendo l’acqua calda.
Uno a zero, Angel…
6. Nuova squadra, stesse regole.
“L’hanno menato”
Buffy fece finta di non aver
udito, mentre Faith si lisciava con le mani le natiche perfette. “Me l’ha detto
Wes, che gliel’ha detto Xander…il coach non lo fa più nemmeno avvicinare al
campo di gioco, ma ancora i suoi contatti. Angel ha dato ordine ai suoi di
distruggerlo”
“E non è la prima volta” si
intromise Willow, arrivando di corsa, impetuosa come sempre, un lecca – lecca
lucido tra le labbra rosse e sottili. Lo usava per far pratica.
“Parliamo d’altro” replicò
cupamente Buffy, cercando di relegare nell’angolo più buio e polveroso del suo
cervello il pensiero di Spike…a pezzi. Già l’allenamento del martedì era stato
una catastrofe, e ora…si chiese se lui sarebbe venuto a casa sua, quel
pomeriggio. Sarebbe stato il loro primo incontro da soli dopo la lezione…che le
aveva impartito domenica. Dopo quel bacio, quelle carezze… Buffy
rabbrividì, non seppe nemmeno lei se di paura o di aspettativa.
“Tipo…fai sul serio con quelle
due? Cordy e Lilah?”
Buffy sorrise. “Voi cosa dite?
Mi hanno appena invitato per una specie di festino, stasera…e, naturalmente,
conto di andarci”
“Darla non la manderà giù
tanto facilmente. Per ora sta zitta, ma aspetta solo il momento opportuno. Il
fango che ti ha tirato addosso fin qui è niente, al confronto”
“Che si impicchi” replicò
Buffy. “Sono io la vincente. Sono io quella che loro vogliono alle loro
feste”.
Faith la osservò, pensosa,
mentre Willow continuava ad elaborare complicate teorie sul perché l’idillio
tra Darla e Buffy fosse così terribilmente naufragato.
“Non per farmi i cazzi tuoi,
B., ma…si può sapere che diavolo è successo tra di voi?”
“Niente. Lui mi da’ solo ripetizioni
di inglese”
Sia Willow che Faith la
fissarono, sorprese e divertite.
“Parlava di Darla, Buffy”
commentò Willow, sorridendo sorniona.
“Oh” Buffy arrossì fino
all’attaccatura dei capelli. Con un gesto che voleva sembrare disinvolto, si
mise gli occhiali neri sugli occhi e saltò giù dalla staccionata.
In tempo perfetto per piombare
addosso, ad un centimetro di distanza, ad un esemplare di sesso maschile di
dimensioni spropositate. Dal basso del suo metro e sessanta, Buffy ci mise una
vita a sollevare gli occhi fino a quelli del ragazzo.
“Ciao….Betty?” chiese
gentilmente lui, socchiudendo gli occhi azzurro – grigi per osservarla bene
sotto la vampa del sole di mezzogiorno.
Questa volta, Buffy impallidì.
Era Riley Finn…l’universitario, guardia del corpo nel tempo libero,
fidanzato di Lilah Morgan. Una montagna di muscoli per un metro e novantacinque
centimetri di altezza.
”Ehm, Buffy” corresse lei.
“Sei la favola del giorno, Buffy”
sorrise lui, Mr. America se mai ce ne fosse stato uno. “So che ci vedremo
stasera alla festa a casa di Lilah. Ci mancava una come te”
Se le sinapsi del cervello di
Buffy avessero funzionato, oltre l’ovvia constatazione che, sì, un
universitario le stava parlando insieme, gli avrebbe chiesto cosa apportava una
“come lei” al loro gruppo très chic.
Ma si limitò a sorridere, più
o meno stupidamente.
Lui sorrise di nuovo, in modo
abbagliante, e se ne andò. Scontrandosi con un’altra montagna umana…un ragazzo
bruno ed incazzato, dai tempestosi occhi neri, che stava dirigendosi verso di
lei.
“Non è aria” proclamò Faith.
“Vieni, Willow? Andiamo a prendere quei falliti dei nostri ragazzi”
Buffy restò sola. Con Angel.
“Che cavolo combini, Buffy?”
la aggredì lui, e bastò quello perché Faith, Willow e qualche altra decina di
ragazzi presenti si facesse un’idea piuttosto chiara del perché lei e
Darla avessero litigato.
La prima cosa che uscì dalle
labbra di Buffy sotto quell’attacco fu anche l’ultima che lui si aspettasse.
“Eh?” chiese Angel, incredulo.
Cosa c’entrava questo con loro, e con Darla? E chi aveva fatto
picchiare? Oh, adesso capiva. Quello stronzetto di Shelby.
Una serie di sinapsi fecero
clic nel cervello del quarterback.
Spike che si vantava di
conoscere i veri sentimenti di Buffy nei suoi confronti. Lui che assisteva a
quell’incresciosa scenetta hard a casa di Darla…
La prese per le spalle,
chinandosi, imperioso, su di lei.
“Ma che c’è qualcosa tra te e
quell’idiota ossigenato?”
Bella domanda.
Buffy sostenne il suo sguardo,
chiedendosi intimamente perché diavolo avesse tirato in mezzo Spike. Lei
ed Angel avevano già abbastanza problemi, anche tacendo dell’ostilità di Darla,
senza metterci di mezzo Spike, che poteva solo uscirne con le ossa ancora
più rotte di quanto già non fossero.
Ma non aveva potuto tacere.
Era ingiusto che Angel utilizzasse la sua superiore forza fisica per menare
l’altro, e tanto meno che lo facesse fare ai suoi amici, specie considerando
che Spike non aveva alcun alleato all’interno della squadra.
“Siamo solo amici” rispose,
stupendo lei stessa per prima.
“E da quando? Da quando ti ha
vista con le braghe calate?” ironizzò Angel. “Quello vuole solo farti. E
salire socialmente in questa merda di scuola grazie a te. Specie ora che
bazzichi le reginette….”
“Caso mai” ribatté gelida
Buffy. “E’ te che ha visto con le braghe calate, se ben ricordi. E poi,
non me ne frega niente di ciò che vuole. Siamo solo amici. E basta”
“Sei caduta davvero in basso,
Buffy” replicò Angel, fissandola con uno sguardo distante che non gli aveva mai
visto prima. “E te ne pentirai. Io non sono Darla. Non mi umilierai così
facilmente. Te lo spezzo in due, quello stronzetto biondo”
Buffy tacque, scossa, e lo
guardò andare via.
Cielo, in che guai si era
messa?
Fred si appoggiò a Spike ed
aprì il cellulare. Dopo pochi istanti, il tempo di prendere campo, risuonò il
bip di un sms in arrivo.
Doveva essere Tara, si erano
messe d’accordo per sentirsi, nel pomeriggio.
Fred girò lo sguardo per il
campus. W? Chi era il W che le mandava sms? Pensò subito ad uno scherzo di
Darla e la sua gang. L’unico W che le mandava sms era Spike, e lui non si
firmava nemmeno. Ma non era il suo stile, tanto meno ciò che le avrebbe detto.
“Ahia!” si lamentò il ragazzo,
quando lei premette la mano sulla sua schiena, troppo forte. “Quegli idioti
devono avermi fratturato un paio di costole. Ma non ci vado all’ospedale. Non oggi”
“Ah – Ah” rispose Fred, ancora
distratta. W. Wesley Whyndham – Pryce?
Si accorse con una frazione di
ritardo dello sguardo scocciato di Spike. Umiliata, sorrise, nascondendo il
cellulare dietro la schiena. “Dicevi?”
“Che sono a pezzi.”
“Vai in ospedale” suggerì.
Spike sollevò gli occhi al
cielo. Aveva fatto male a portare Fred a quella festa. Non era più stata la
stessa, da allora.
“Oggi no.”
“E perché?”
“Ho la lezione con Buffy”
“Ah” Fred spense decisa il
cellulare, dicendosi che – sola nella sua stanza – avrebbe ammirato per
un’ultima volta quel messaggio, sicuramente uno scherzo, e poi l’avrebbe
cancellato. Forse.
“Chi era che mi diceva di non
farmi prendere per il naso da quelli là?” chiese Fred, a voce bassa.
“Io, ma è diverso. Con Buffy
non c’è niente. Solo un rapporto professionale. Le do' ripetizioni e lei mi
paga”
“Quanto prendi all’ora?”
chiese Fred, interessata, e pensando alle sue lezioni private, con un
insopportabile moccioso delle medie di nome Georgie.
Spike farfugliò una cifra
impossibilmente alta, e Fred lo guardò con sospetto.
“Fossi in te, non le starei
troppo vicino. Il suo ex non la lascia in pace”
“Non è il suo ex ragazzo…ma
solo il suo ex amante. E’ diverso”
“Ma menerà te” concluse
Fred, saggiamente. “Ti pare una buona idea metterti tra di loro?”
“Oggi sei strana” replicò
Spike, saltando giù dal parapetto con un balzo…ed un gemito. “E poi, comunque,
devo andare. Mi aspetta”
Fred rimase sola, fissandolo
mentre si allontanava con la sua andatura dinoccolata. Resistette alla
tentazione un istante…e poi cedette. Accese il cellulare.
Nuovo bip.
Buffy aprì la porta di casa
sua un istante prima che lui suonasse il campanello. Spike rimase sorpreso, la
mano a mezz’aria.
“Ho sentito il motore della
tua macchina. Lo sai che è asmatico?”
“Come me, oggi” replicò lui.
“Il tuo ex mi ha scambiato per una noce. Da schiacciare”
“Lo so, e mi dispiace” lei
fece una piccola smorfia. “Vieni dentro, ti presento mia madre”
La seguì per il breve
corridoio fino ad una cucina di medie dimensioni e scuri mobili opprimenti.
Dovevano aver comprato quella casa già ammobiliata, perché la bella donna
bionda che lo ricevette non aveva l’aria di una che comprasse mobilio dozzinale
all’Ikea.
“Mamma, lui è William
Shelby…detto Spike” lo presentò Buffy. “Mi sta dando ripetizioni di inglese.
Suo padre è professore all’università di Oxford”
“Era.” Corresse il ragazzo,
asciutto. “Come mia madre. Ma lei ora è morta e lui…insegna privatamente”
“Benvenuto, Spike” sorrise la
mamma di Buffy. “Io sono Joyce”
Prese la mano che lei gli
tendeva e la strinse. Non si assomigliavano, madre e figlia. Joyce era una
bella donna alta sulla quarantina, dall’aria sportiva, ma non aveva nulla della
bellezza altera e minuta della figlia. Buffy doveva aver preso dal padre.
“Mamma, ti dispiace se andiamo
in camera mia? Abbiamo tutti i miei libri, lì…”
Joyce fissò entrambi, e
qualcosa nello sguardo di Spike la rassicurò. “Prego. Più tardi, se vi va, vi
porto del gelato”
“Grazie, signora” sorrise lui,
intimidito. L’altra volta, quando erano stati soli, era stato tutto
indubbiamente più facile.
O più difficile¸ a
seconda dei punti di vista.
Salì le scale dietro Buffy,
tenendosi le costole doloranti con una mano, e con l’altra i libri. Uno gli
scivolò sul gradino, e Buffy si chinò per raccoglierlo. Ne approfittò per
ammirare la scollatura deliziosa del suo micro pull rosa confetto…e per
sorridere.
“Ti fa molto male?” chiese
lei, a cui non erano sfuggiti né il suo gemito di dolore, né la sua occhiata.
“Sì, purtroppo” gemette Spike.
“Sei un’idiota. Perché non vai
all’ospedale? Ti accompagnamo noi, se vuoi”
“E perdermi un’altra lezione
con te?” sogghignò lui. “Non ci penso neanche. Ho preparato un sacco di quesiti
da farti, sulla lezione della volta scorsa”
Buffy sbuffò. Incredibile, ma
vero. Lui prendeva sul serio il suo compito.
Raggiunsero la sua camera
senza altri incidenti e Spike la mise subito al lavoro. Ripassarono le lezioni
del semestre su Shakespeare, e poi, per il seminario su D.H. Lawrence, Spike le
diede una breve novella dal titolo “La donna che fuggì a cavallo”. Gli
evidenti riferimenti erotici ed omosessuali fecero ridere entrambi, come la
lunga e particolareggiata descrizione del sacrificio rituale della donna
bianca, ad opera degli indios sudamericani, chiara metafora di stupro.
“Che robaccia!” esclamò Buffy,
incapace, come suo solito, di trattenere le sue opinioni e del tutto a suo agio
in compagnia di Spike. Erano seduti l’uno di fronte all’altra, a gambe
incrociate, sul suo letto, lo stesso dove lei aveva ricevuto – troppe volte -
Angel, la novella tra di loro, ciascuno con accanto un notes e una penna.
“Questo Lawrence non cercava altro che una bella ripassata, ad opera di qualche
maschio ed aitante possidente latino. E, non riuscendoci, si inventava queste
porcherie”
“E’ in effetti l’opinione
delle autrici femministe degli anni ‘70” concluse Spike, ridendo.
“La condivido” proclamò
solennemente Buffy.
Joyce ne approfittò per
entrare, dopo aver discretamente bussato, con del gelato alla crema e
cioccolata, e fu sollevata nel vedere che, i due, stavano effettivamente studiando.
Si era chiesta più volte come
mai Buffy, tanto graziosa, non avesse ancora un ragazzo, e si era persino un
po’ preoccupata. Si chiese se questo Spike era davvero solo il suo insegnante…pareva
di sì. Ma Buffy gli stava sorridendo, e scherzò con lui mentre Joyce serviva
loro il gelato. Meglio che vederla sola e immusonita, si disse la madre, e si
allontanò sorridendo.
“Ti è caduto del gelato” le
disse Spike, seriamente, quando furono di nuovo soli, e Buffy abbassò lo
sguardo sul suo pull. Oh, dannazione…quel tipo di macchia andava via con
difficoltà, e quella grossa lacrima di cioccolato….istintivamente, Spike tese
un dito e per prenderla, e se lo portò alla bocca, succhiandola.
Un brivido scosse Buffy: il
suo polpastrello aveva sfiorato il suo capezzolo…volente o nolente. E una
scossa elettrica di piacere insidioso l’aveva attraversata.
“Scusa” sorrise lui. “Non ho
resistito. Devono essere stati tutti quei riferimenti fallici”
“Uhm” replicò lei, guardandolo
con sospetto. “Stasera sono stata invitata da Lilah Morgan…si festeggia…non so
cosa diavolo si festeggi, ma so che mi vogliono con loro. Che ne diresti
di…venire anche tu?”
“Non conosco nessuno del loro
gruppo” replicò con voce atona il ragazzo.
“Beh, conosci me”
Lui la fissò. Che significato
doveva dare a quell’invito?
“Non è come se ci andassimo
insieme…voglio dire…siamo solo amici, no?” insistette lei in fretta.
“Ti fa paura andarci da sola?”
Buffy fece un’adorabile
smorfia.
“Qualcosa del genere…diciamo
che mi sentirei più sicura se ci fossi anche tu. Sempre che tu stia bene…oggi
mi sembri messo proprio male”
“In effetti il tuo ex mi ha
conciato per le feste….ma accetto. Sono curioso di vedere il mondo dei famosi
e potenti”
“Sono solo ragazzi come noi”
commentò Buffy, distratta. Non riusciva a non pensare alla sua bocca: era
sensuale, e quel modo sexy con il quale lui, ogni tanto, immergeva i denti nel
labbro inferiore…si chiese se l’avrebbe baciata. Forse sì. Forse. Non era forse
una specie di …tradizione, oramai? “Solo più vecchi”
“Come? E la logica del gruppo
dominante che sembravi seguire con tanto accanimento? E’ bastato il tuo litigio
con Darla per smontarla ai tuoi occhi?”
Buffy lo fissò, cercando di
scuotersi dal suo incantamento. Lui non la stava affatto seducendo…ma solo aggredendo.
E lei l’aveva invitato alla
festa di quella sera a casa di Lilah. Come suo cavaliere. Era matta?!
“Se mi disprezzi tanto, non
c’è alcun bisogno che mi frequenti. Troverò altrove qualcuno che mi dia
lezioni. La tua amica Tara è molto brava in inglese”
“Lascia perdere Tara” si
incupì Spike. “Dovrai cacciarmi a calci nel sedere. E poi, non è vero che ti
disprezzo”
“No?” chiese lei, inarcando
incredula un sopracciglio.
“No” sorrise lui, e fece quella
cosa con la lingua che la faceva arrossire. E poi chinò il capo di lato,
fissandola…e Buffy capì che stava solo giocando con lei. Beh, se ne
sarebbe pentito. Prima o poi.
Con un sospiro, ritornarono
entrambi ai loro studi.
Avevano convenuto che sarebbero
arrivati separatamente alla festa, e così fecero. Con un miniabito rosso che
esaltava la sua leggera abbronzatura ed i bei capelli biondi, sciolti sulle
spalle, Buffy suonò il campanello della villa di Lilah, illuminata a festa. La
musica già inondava il giardino.
Le aprì un ragazzo alto e
possente…lo stesso ragazzo che aveva urtato quella mattina.
“Ciao, Buffy” le sorrise lui,
mostrando di ricordarsi perfettamente del suo nome.
Buffy sorrise.
Riley le tese una mano e la portò
dentro, in mezzo a musica, frastuono, ragazze in bikini e ragazzi in boxer che
aspiravano roba bianca da un tavolinetto di vetro. Lei impallidì. Era peggio
che a casa di Darla. C’era solo da sperare che la serata non avesse lo stesso
esito disastroso.
“Ciao, Buffy” l’accolse Cordy,
splendida in top bianco e mini scozzese, i capelli folti e bruni sciolti sulla
schiena. “Sei venuta sola, vedo. Non temere, non faremo fatica a trovarti un
cavaliere”
“Veramente…non sono sola”
balbettò Buffy. “Un mio amico dovrebbe raggiungermi presto”
“Un amico?” Lilah,
sopraggiungendo dietro Cordy, la fissò inarcando un sopracciglio. “Lo
conosciamo?”
“Non credo” si umiliò Buffy.
“Noi…non frequentavamo gli stessi ambienti.”
“Ora, però, sì. I tuoi amici
sono amici nostri” sorrise Riley, porgendo a lei una coppa di champagne gelato,
ed a Lilah, la sua ragazza, le labbra per un bacio a bocca aperta. “Non ci
resta che conoscerci meglio”.
Buffy bevve un sorso, che
scivolò forte e ghiacciato lungo la sua gola, provocandole un senso di euforico
piacere. In fondo, quel posto non era così male.
“Falle compagnia tu, Riley”
sorrise Lilah, dirigendosi alla porta per accogliere gli altri ospiti.
“Devono essere Graham e la sua
nuova ragazza” le spiegò l’universitario, prendendola per un braccio e
scortandola verso la piscina. “Lei non ha tutti i venerdì. Ed eccede sempre con
gli alcolici. Ma è molto bella. A Graham piace molto. Lui ha un debole per i
gattini bagnati”
“Dove stiamo andando?” chiese
Buffy, vedendo che lui la portava oltre la piscina illuminata, verso un capanno
buio.
“Non ti voglio violentare,
stai tranquilla” sorrise il ragazzo. “Voglio solo mostrarti lo spogliatoio. Ti
aspettiamo in piscina”
Lei si rassicurò, e si chiuse
la porta dietro le spalle. C’erano parecchi costumi da bagno…ma lei si era
portata il suo, un minuscolo bikini rosso che sottolineava le sue forme e la
sua pelle dorata.
Riley era stato gentile con
lei, ma davvero – per un singolo momento – aveva avuto paura. Era ancora troppo
fresco nella sua mente il ricordo delle umiliazioni cui l’aveva sottoposta
Angel. Non ci si rivedeva davvero nel ruolo dell’amante segreta.
Fece per uscire, quando due
voci modulate le arrivarono alle orecchie. Due voci che conosceva bene.
Lilah e Cordy.
“Riley mi ha detto che lo
sanno tutti. Lei si scopava Liam O’Connor, il quarterback. Ed era la
migliore amica di Darla…”
“Sono patetici entrambi. Solo
Buffy ha un po’ di stile. Speriamo che si dimostri all’altezza. Ma…non hai
paura che ti freghi il tuo fidanzato? Ho visto come la guardava Riley…è un bel
bocconcino”
“Naa….è una lattante. Davvero
credi che lui si abbasserebbe a tanto?”
Buffy, al sicuro nel capanno,
strinse le labbra.
Quando i loro passi e le loro
voci si furono allontanati, si arrischiò ad uscire. E Riley era lì. La stava
aspettando.
“Sei splendida” le disse,
soppesando con lo sguardo le sue curve scoperte dall’audace bikini. “E sei sola,
dicono. Dopo che Angel…”
“Non c’è niente tra me ed
Angel”
Riley rise, fissandola. “Non
ci credo. Mio cugino gioca nella squadra di football, e sa per certo che eri l’amante
di O’ Connor”
“Tuo cugino si sbaglia”
replicò Buffy “Ed ora lasciami andare”
“Non voglio aggredirti” ripeté
lui. “Per niente. Voglio solo dirti che ti ammiro molto. Ti avevo già notato,
ogni volta che passavo a prendere Lilah a scuola. Sappi che non mi
dispiacerebbe affatto conoscerti meglio”
Buffy fece una smorfia. “E la
tua ragazza?”
Riley alzò una mano, e con un
dito le accarezzò il volto. “Che bisogno c’è che sappia? A quanto pare,
tu sei abituata a certe situazioni. Il fatto che in un gruppo esistano
delle reginette, come Lilah e Cordy, non implica affatto che noi maschi non ci
si possa….divertire con ragazze più dolci…e meno esigenti …ragazze come te”
A Buffy venne da vomitare. Eccole
servita la sua bella reputazione. Ragazza facile. Ragazza poco esigente.
Che si accontentava di amori clandestini.
Nuova squadra, stesse regole.
L’amarezza minacciò di soffocarla.
“Difficile che accada. Buffy
non è sola. Sta con me”
Entrambi si volsero al suono
della voce beffarda dall’accento inglese. Buffy fissò Spike, tranquillo mentre
si accendeva una sigaretta, il suo spolverino di pelle nera che gli accarezzava
le gambe. “Perciò, amico, smamma”
“E se no?” chiese Riley,
minaccioso, guardandolo dall’alto della sua statura.
Ma Spike non mosse un muscolo.
Non era il primo stronzetto grosso e prepotente che trovava sulla sua strada, e
non sarebbe probabilmente stato nemmeno l’ultimo. Ciò non toglieva che Buffy
meritava il suo appoggio.
“Alla tua ragazza non farebbe
piacere sentirti che fai il galletto con le altre. Non credi?”
Riley non rispose, mentre
l’aria portava fino a loro le grida dalla piscina, e la risata cristallina di
Lilah.
Spike e Buffy lo guardarono
andare via.
Buffy fece per parlare.
“Shh…” le disse Spike, ed
assalì le sue morbide labbra con le proprie.
“C’è una ragazza che sta
annegando!”
L’urlo arrivò fino ai due
ragazzi, avvolti in un abbraccio, in un bacio, senza tempo. Spike si staccò a
fatica dalle morbide labbra di Buffy, appena socchiuse, e voltò il capo per
vedere cosa stesse succedendo. La piscina era ben visibile da lì, per quanto
lontana una cinquantina di metri. Qualcosa di scuro attrasse l’attenzione del
ragazzo.
“Oh, cazzo…”
Partì come un razzo. Buffy lo
seguì, ancora scombussolata per tutto quanto era appena successo: la proposta
indecente di Riley, la difesa di Spike, il loro bacio appassionato…qualcosa, in
lei, si era sciolto a quel bacio. Una specie di difesa interiore, un muro che
aveva innalzato…non sapeva da quando, ma da parecchio. Forse, risaliva
addirittura a quando suo padre l’aveva abbandonata.
Con Angel non era mai stato
così. I suoi baci erano stati sensuali, esigenti…ma non questo. Non questo
caldo ritorno a casa. Era assurdo, ma tra le braccia di quel ridicolo
punk con i capelli platinati lei si sentiva a casa.
Come se il mondo fosse stato
creato per loro due soltanto. Insieme. In un certo senso, erano già una coppia.
Se solo lui non fosse scappato
via…
Lo vide gettarsi sulla ragazza
– nuda – che avevano appena ripescato dalla piscina. Spike le prese la testa
tra le mani, e le premette la bocca sulla sua. Facendole la respirazione bocca
– bocca.
Tutti rimasero in silenzio,
mentre Lilah correva a chiamare l’ambulanza. Dopo un frenetico momento che
parve eterno, ed i ripetuti, perfetti tentativi di Spike di rianimarla, lei si
rialzò di scatto, e vomitò un fiotto d’acqua.
Solo allora Buffy la
riconobbe. Fu il colore scuro dei suoi capelli, e quello violetto dei suoi
occhi, spalancati.
Era Dru.
Dru.
Spike non aveva parole. Aveva
fatto a lungo del volontariato sulle ambulanze, in Inghilterra, e sapeva come
si rianimava un annegato. Ma mai avrebbe creduto di doverlo fare a Dru. La
credeva al sicuro nella sua casa, protetta dai suoi genitori, calmata dal
litio…ed invece girava nuda per festini, al seguito di quell’idiota tutto
muscoli e niente cervello di Graham.
Si sentì responsabile per lei.
Ma mentre la ragazza cercava il conforto del suo petto, e gli bagnava la t –
shirt, lui sollevò lo sguardo.
Buffy.
Come aveva fatto a
dimenticarsi di lei? La vide fissarli, indecisa se restare o scappare…e diviso
tra due lealtà. Dru era sua amica, era da quando era arrivato in quel Paese le
era stato accanto, specie nel duro periodo dopo il suo aborto. La sua fragilità
psichica era evidente, e quel tuffo in piscina, nuda e sbronza, lo confermava.
Il suo nuovo ragazzo sembrava più imbarazzato che sollevato. Si chiese se
Graham sarebbe andato con lei in ospedale, o se sarebbe toccato a lui. E Buffy?
Non gli andava di lasciarla, proprio per niente. Dopo aver sostenuto con quello
stronzo di Riley che lei era la sua ragazza, non si sentiva ora di smentirsi
…al diavolo, non voleva lasciarla. Quella sera era venuto per stare con lei,
basta con le menzogne. Doveva cominciare ad essere sincero, almeno con se
stesso.
Dru aveva bisogno di lui. Ma,
e lo capì con lucidità, quello di cui lei aveva bisogno lui non glielo poteva
dare. L’ammirava, le voleva bene…
…ma sapeva che lei non
l’avrebbe mai amato. Non come sentiva di poter essere amato. Di dover amare.
Ora voleva un altro tipo di donna. Una donna che lo stuzzicasse, che lo
provocasse…che non avesse soltanto bisogno di lui. Una donna forte.
I paramedici si fecero strada
fino al bordo della piscina, e Spike si tolse lo spolverino per coprirla. Non
era giusto che tutti potessero vedere il suo corpo. Dru lo ringraziò con lo
sguardo, la gola che ancora le bruciava.
“E’ la sua ragazza?” chiese
l’infermiere. “Viene con noi?”
Cordy lo salvò dall’imbarazzo
di dover rispondere.
“Andrò io con lei. Sono io che
l’ho invitata”
Spike fissò la bruna reginetta
con gratitudine, e si allontanò di qualche passo, aspettando che la mettessero
sulla barella.
Si accorse subito di Buffy,
che fece pochi passi in avanti per venirgli alle spalle.
“Mi dispiace” disse la
ragazza. “Non sei andato con lei a causa mia?”
Spike si voltò, e la fissò
fino in fondo agli occhi.
“No, Buffy. Voglio bene a Dru,
ma non è la mia ragazza. E non lo sarà mai. Mi spiace per tutti i casini che
deve affrontare, ma…questa sera ero venuto qui per stare con te”
Buffy sorrise, e gli tese
spontaneamente un mano.
In silenzio, si diressero
entrambi verso la pista da ballo.
La festa entrava nel vivo.
7. In panchina
Darla soffocò la faccia nei
cuscini, incapace di guardarsi allo specchio.
Lei, Darla Mayer, era rimasta a casa. Da sola.
Per la prima volta da quando aveva otto anni e indossava ancora i calzini di
Winnie The Pooh e le trecce con la scriminatura centrale, stile Pippi Calze
Lunghe.
Allora aveva avuto la scusante
della varicella.
Sul suo corpo c’erano pustole
dappertutto, ne era praticamente ricoperta.
Una cosa da perdenti, aveva detto sua madre da una distanza di sicurezza.
Il fatto che adesso fosse
ricoperta di merda non migliorava di molto la situazione…
E quell’infida puttana di
Buffy Summers se la stava spassando la con la crema del futuro jet set di
Sunnydale.
Vaffanculo, pensò amaramente, dovrebbe morire tra atroci
sofferenze..
Non solo si sbatteva Angel da mesi
a sua insaputa, ma l’aveva umiliata davanti al meglio della Sunnydale High,
fregandole l’ultima possibilità di conquistare i favori delle reginette…
Merda, merda, merda!
Trasse un respiro profondo,
provando a tenere sottocontrollo i conati di vomito.
In queste situazioni l’unico
palliativo erano le parolacce.
Darla adorava il suono che
producevano nella sua testa, così violento e volgare…
Le sembrava quasi di lanciarle
contro quella troia della sua ex – migliore amica.
Anche se la cura vera e
propria era la vendetta. Nel senso più puro e spietato del termine.
Tuttavia per quello c’era
tempo, un’infinità di lunghissime ore d’agonia e solitudine.
Poi sarebbe tornata sulla
cresta dell’onda e – splash! – addio Buffy cara!
Schiacciarla come un insetto
sarebbe stato un piacere sublime, che l’avrebbe in parte ripagata delle
umiliazioni. Ma fino ad allora…
Un cazzo.
Aveva il bisogno assoluto
di farsi una sana scopata.
Subito.
Non perché fosse
effettivamente eccitata, ma perché una mezz’oretta di salutare movimento
l’avrebbe aiutata a distrarsi…
Rovistò fra le decine di
morbidi cuscini dorati sul suo letto da principessa, tirando fuori un cellulare
con la cover color champagne, piccolo come un bottone e ultracompatto.
Il “fai da te” non le era mai
interessato, quindi doveva trovare qualcuno con tre gambe disposto a
precipitarsi da lei a quell’ora.
Praticamente le bastava
comporre un numero a caso.
I suoi non erano un problema:
potevano essere in Europa, oppure alle Bahamas.
Se ne infischiava.
E loro se ne infischiavano di
lei.
Partivano a scadenze
settimanali, per i loro cosiddetti “viaggi culturali”.
Chissà perché, poi, finivano sempre alla deriva in festini sul
filone orgiastico, a base di coca e champagne Crystal.
Beh, da qualcuno doveva pure
aver preso…
Scorse annoiata la rubrica,
coricata mollemente su un fianco.
Scartò i ragazzi del football,
Price, Harris…
Il suo sguardo si fermò sul
numero di Liam.
Lo schermo azzurrino
lampeggiava di bianco sotto le cifre scure.
Perché no?, si chiese la bionda, stuzzicata.
Loro erano stati solo una
coppia di facciata, legati dai reciproci interessi.
Il sesso era stato poco più di
un fastidioso dovere da assolvere per contratto.
Era tempo di rimediare:
ufficialmente era ancora il suo ragazzo, e l’aveva tenuto in panchina
per troppo tempo.
Abbastanza per scoparsi la
tua migliore amica, malignò nella
sua testa il suo grillo parlante – che assomigliava spaventosamente a sua
madre, solo più verde – .
Basta, si ammonì duramente, non devo pensare agli
sporchi maneggi di quella stronza…
Stiracchiò le gambe sottili
con uno sbadiglio, e inviò la chiamata.
“Darla?” chiese sorpreso
Angel, allontanandosi dai pezzi del motore della sua moto con rammarico.
“Ciao, amore…” sussurrò
carezzevole la ragazza, liberandosi del pigiama di seta color cannella. Peccato
che non potesse vederla, in quel momento… “Ho interrotto qualcosa di
importante?”
“Taglia con le stronzate, tesoro…”
ribatté seccamente lui, strofinandosi le mani sporche di grasso e benzina sulla
T-shirt macchiata di olio per motori. “Cosa vuoi?”
La bionda si gettò a capofitto
nella ricerca di un completo intimo adeguatamente provocante, incastrando il
cellulare contro la scapola.
“Vederti.” Replicò
semplicemente, sperando di sorprenderlo con una risposta diretta.
“E chi ti dice che io sia
disponibile?” sibilò Liam, intrattabile.
Con suo padre le cose andavano
di male in peggio, e quella stronza di Buffy gliele stava facendo girare più
del previsto.
La ragazzina faceva la
sostenuta con lui, e poi difendeva quel coglione di Shelby.
L’avrebbe pagata, c’era da
starne certi.
“Il fatto che i ragazzi alla
nostra età siano perennemente arrapati…?” sbottò Darla, incapace di
trattenersi. Dio, stava diventando più sboccata di Faith…Lei che viveva per la
classe…
Invece, contro tutte le previsioni,
Angel rise. Quella sua risata così rara, contagiosa, che faceva innamorare di
lui anche il cuore più impenetrabile.
Darla lo seguì, imbarazzata e
contenta di averlo sentito ridere con il cuore.
“Devo ammettere…” iniziò, chinandosi
nuovamente sulla moto per gli ultimi ritocchi. “Che trovo le sue argomentazioni
particolarmente valide, miss Mayer…” cominciò a lucidare i cerchioni,
sorridendo. “E per questo la commissione ha stabilito che la sua richiesta
verrà accolta…”
“Cretino…” ribatté lei
tranquillamente. “A che ora passi?”
“Il tempo di una doccia…A meno
che tu non mi voglia tutto sporco benzina e grasso di motore…”
“Mhhhh….Molto macho…” osservò
Darla, sorridendo. In fondo fare sesso con il proprio fidanzato non doveva essere
poi così terribile…
Liam riattaccò, promettendole
che avrebbe fatto più in fretta possibile, anche se in realtà non aveva nessuna
intenzione di affrettarsi.
Salì le scale due a due,
travolgendo sua sorella Kathy, strizzata in una minigonna che neppure Harmony
avrebbe mai osato mettere.
“Dove credi di andare,
conciata in questo modo?” tuonò, bloccandole il passaggio.
“Da nessuna parte…” sorrise
innocentemente la ragazzina, incontrando i suoi occhi. “Sto facendo le sfilate,
su e giù per la casa, per vedere se riesco a mettere i tacchi senza spezzarmi
una gamba…”
Beata innocenza, sorrise il quaterback.
Ancora qualche anno e avrebbe
attirato un nugolo di ragazzi. E lui non riusciva ad ammetterlo.
Nessuno tocca la mia
sorellina, pensò possessivamente.
Kate era l’unica creatura
(escludendo la moto e il suo cane) che era certo di amare davvero.
Le altre, tutte le puttanelle
che se l’erano tenuto per un po’ tra le gambe (Darla compresa), erano solo di
passaggio. Ombre confuse che incrociavano la sua strada senza lasciarvi
impronte.
Lui doveva la vita a sua
sorella: se non ci fosse stata lei non avrebbe passato la soglia dei quindici
anni. L’adorato paparino l’avrebbe pestato a sangue, oppure lui avrebbe
fatto qualcosa di terribilmente stupido.
L’afferrò per la vita, leggera
come una piuma, caricandosela sulle spalle.
La ragazzina protestò
debolmente, ridendo.
Angel la mise giù solo davanti
alla porta della sua camera, premiandola con un buffetto.
“In frigo c’è una sorpresa…Io
faccio una doccia e scappo al volo. Fai la brava, e non ingoiare i pezzi del
Lego…” si raccomandò, accarezzandole i capelli.
“Liam…! È successo quando
avevo otto anni!” obbiettò la sorella, contrariata.
Il ragazzo le sorrise,
infilandosi nel bagno.
Kathy rimase immobile sulla
porta, indecisa.
Aveva detto sorpresa?
Decine di coppie avvinghiate
oscillavano a ritmo della voce calda di Craig David, strette sulla pista.
La tensione sessuale in quella
stanza si poteva tagliare a fette…
You’re what I want
You’re what I need
La bionda dava le spalle a
Spike, dondolando il fondoschiena contro il suo bacino.
Il ragazzo, da quella prospettiva
favorevole, godeva di un’ampia visione della sua schiena nuda e del
minuscolo triangolino rosso che copriva l’indecente.
I wanna taste you, take you home with me
Buffy sembrava non fare caso a
lui, apparentemente presa dal ritmo della musica, mentre continuava a
ondeggiare e ondeggiare…
Maledizione, imprecò Spike, se non mi fermo all’istante se ne
accorgerà…
You look so good
Good enough to eat
La biondina fece scorrere
lentamente un braccio intorno alla sua nuca, iniziando a sfiorargli il lobo
dell’orecchio con i polpastrelli.
L’ossigenato serrò la
mascella, provando a pensare a qualunque cosa che non fosse la leggera
pressione circolare dei glutei della ragazza sul suo…
Oh-oh, pensò lei, guarda chi si è svegliato…
Lo trascinò verso il suo collo
scoperto, stringendosi di più al solido corpo maschile.
Se quello non era un invito…
I wonder if I can peel your wrapper
Lui le fece scivolare
morbidamente le braccia intorno alla vita, scendendo verso l’orlo dello slip.
Buffy tremò e rovesciò
delicatamente la testa sulla sua spalla, attenta a non fargli male.
La scapola lussata
scricchiolò, ma William non se ne accorse nemmeno: le girò il mento con
l’indice, riuscendo finalmente a guardarla negli occhi.
If I can be your fantasy
La bionda sorrise appena prima
di voltarsi completamente verso di lui.
Cielo, sprizzava sesso da tutti i pori…
“Sai in che guaio ti stai mettendo,
dolcezza?” le disse all’orecchio, la voce roca per l’eccitazione.
Se mi parla ancora con
questa voce giuro che…
Ma Spike non aveva intenzione
di parlare. Voleva baciarla.
Buffy rispose al bacio con
bramosia, aggrappandosi alla nuca del ragazzo.
Il bacio di prima era stato
caldo, rassicurante…
Questo, invece, parlava di
promesse che non era sicura di poter mantenere.
Le loro lingue duellarono
nella sua bocca, sempre più vicine…
Come un fiume di lava
incandescente che stava facendo straripare tutte le dighe.
“Spike…” riprese fiato,
staccandosi per un attimo. Sembrava un rifiuto…
Nello sguardo blu
dell’ossigenato si dipinse la delusione.
Era troppo bello per essere
vero, si disse con sarcasmo.
La ragazza strofinò l’anca sul
cavallo dei suoi pantaloni, sorridendo maliziosa.
Spike rimase sbalordito, e lei
avvicinò la bocca morbida al suo orecchio, sfiorandolo appena.
“…che ne dici di cercarci un
posto più tranquillo?”
“Wes…” sibilò minacciosamente
Faith. “Riprenditi.” gli rifilò una gomitata nello stomaco e lui si
voltò sorpreso verso di lei, cadendo dalle nuvole.
“Hai detto qualcosa?” le
biascicò all’orecchio per sovrastare la musica.
Il Bronze pullulava come al
solito di coppiette discinte e adolescenti gonfi di aranciata, e i Velvet
Chains sparavano a tutto volume il loro pop di serie B.
Musica dal vivo. Bleah.
La peggiore delle tradizioni
del locale. Dopo il Party dello Sterminio.
“È tutta la sera che contempli
il tuo cellulare come se fosse uno dei misteri di Fatima…” rispose seccamente
la bruna, girando la cannuccia nel suo Cuba Libre. “Okay…Ha la fotocamera, il bluetooth
e tutte le altre fottute stronzate incorporate, ma non mi sembra
cambiato, da ieri.”
Il ragazzo deglutì.
Era così evidente?
Fred probabilmente non gli avrebbe
neanche risposto…
“Stasera ha la testa altrove,
perdonami.” sorrise debolmente, fingendosi mortificato.
Lei in quel momento stava di
certo facendo…Beh, qualunque cosa facessero i nerd, di sabato sera.
Tipo guardare le repliche di
Star Trek o chi diavolo sa cosa.
Figurarsi se pensava a lui.
“Allora riportala fra di noi.”
tagliò corto lei, ingollando con un sorso metà del suo drink.
Willow li raggiunse al tavolo,
trascinando con sé uno Xander ansante e accaldato.
“Ragazzi, lì in mezzo è una
bolgia…” boccheggiò il ragazzo. “Ho dovuto uccidere un paio di persone, per
riuscire a prendere da bere.”
La ragazza, fresca come un
rosa e senza un capello in disordine, roteò gli occhi, incontrando lo sguardo
solidale di Faith.
“Uomini…Ma che vi hanno
inventati a fare?” rise, raddrizzando il colletto della polo di Wesley.
“Non dovrebbe spiegartelo il
tuo fidanzato?” le rispose beffardamente Xander, prendendo per la vita la sua
ragazza, incurante della sua espressione infastidita.
La mora rovesciò la testa,
falsamente disperata.
“Ti va di ballare, rossa?”
scese con un salto dallo sgabello e si avvicinò a Willow, tirandola per un
passante dei jeans.
“Certo!” gracchiò con troppa
enfasi l’altra, arrossendo.
Sapeva dei vecchi tête à
tête di Faith con Darla – i ragazzi di mezza scuola si erano masturbati
con quel pensiero per mesi, quando Holtz aveva diffuso la notizia – però…
Non poteva permettersi il
lusso di fantasticare su una che non gliel’avrebbe mai data.
È fuori discussione, si rispose severamente, questa è un’amica di
Xander…E di tutto il resto degli studenti della Sunnydale High.
I due ragazzi le guardarono
addentrarsi nel groviglio palpitante di corpi e note musicali.
Riabbassarono lo sguardo sui
loro bicchieri, fissando torvi il compensato unto attraverso il liquido.
“Sono nei guai fino al collo.”
Price infranse il silenzio imbarazzante, facendolo trasalire.
“Cosa?!” scattò il
ragazzo, fissandolo con il consueto sorriso idiota.
Vorrei toglierglielo dalla
faccia forza di pugni, ringhiò Wes.
Ma non poteva. Xander pesava
almeno 20 chili in più.
“Cos’hai combinato questa
volta? Hai sbagliato la taglia di reggiseno, Wendy?”
“Forse perché uso i tuoi…Sandra”
ghignò ironicamente, alludendo ai grossi pettorali dell’amico.
“Bene. Siamo pari…”
Alexander alzò le spalle. “Spara.”
L’altro trasse un respiro
profondo, combattendo contro il presentimento di star facendo una delle
peggiori stronzate della sua vita.
Harris l’avrebbe sicuramente
sputtanato.
Shelby si sarebbe sicuramente
fatto una bella risata.
Faith gli avrebbe sicuramente
spaccato la faccia.
Era comunque un uomo morto.
“Hai presente l’amichetta di Capitan
Ossigeno?” cominciò, incerto.
Ma l’amico non lo ascoltava
più.
Stava fissando, praticamente
ipnotizzato, un gruppetto di ragazzi a bordo pista.
Wes sospirò.
Salvato in corner. Ad un passo dalla panchina.
“Non sapevo che fossi passato
all’altra sponda…” lo apostrofò, battendogli sulla spalla.
“Cosa…?” rispose Xander, senza
neanche guardarlo.
Aveva gli occhi sbarrati,
assenti, e stringeva convulsamente le mani tozze sui jeans.
Per un attimo il ragazzo
temette che avesse preso una di quelle pastigliette magiche che Faith
prendeva ogni tanto, quando andava – contro il suo parere – a quegli orribili rave
psichedelici.
Ma un luccichio rosa lo
distrasse.
A meno che gli stalloni della
pallanuoto non avessero deciso di rilanciare il dandismo, sempre che
sapessero cosa fosse, in mezzo a quella babilonia di corpi c’era una
ragazza.
Una ragazza che si agitava,
mezza nuda, addosso a quelle bombe di testosterone, con movenze che avrebbero
fatto svenire persino un monaco tibetano.
“Non è la ragazza – scambio
di Queen C. ?” chiese, perplesso.
Come si chiamava? Anna?…Audry?
Xander annuì, bellicoso. Uno
stronzo particolarmente audace stava posando le sue sudice zampe dove nessuna ragazza
di sua conoscenza glielo avrebbe permesso, prima del terzo appuntamento.
Eccetto Darla, forse.
Anya, invece, sorrideva
disinvolta alle avance di quell’idiota subacqueo.
“Io lo uccido…” mormorò il
ragazzo, alzandosi di botto e rovesciando il contenuto del suo bicchiere sui
Richmond di Wesley, che lo afferrò prontamente per il braccio.
“Dopo, ricordami di
darti il numero del chirurgo che ha rifatto il naso di mia madre…È un mago.”
“Dovrei aver paura di quei
figli di puttana con le branchie?” domandò stizzito.
L’amico roteò gli occhi
azzurri. Il solito sbruffone…
“Certo che no…Io mi
riferivo a Willow…”
Un altro biondino lampadato si
stava aggiungendo alla festa, facendo dei segni eloquenti all’amico sopra la
spalla della loro personale odalisca.
Xander se lo scrollò di dosso
come un moscerino, dirigendosi a passo deciso verso la brunetta.
Whyndham – Price alzò le
spalle, sogghignando cinicamente.
Almeno non sarebbe stato più
l’unico che rischiava di farsi pestare dalla sua fidanzata…
“Dimmi…” ansimò Darla,
sgusciando sotto di lui, nuda e ammiccante “…chi lo fa meglio?”
Angel trasecolò, puntandosi
sui gomiti per entrare più a fondo in lei.
“Uh?” grugnì, aggrottando la
fronte.
“Miss Goody Two Shoes
scopa meglio di me?” insinuò la bionda, allacciando le ginocchia ai suoi
fianchi. Cominciò a sollevare piano il bacino, assecondando i movimenti di lui.
Miss Goody Two Shoes...chi?, si chiese confusamente, mentre un
arcobaleno di colori gli esplodeva sotto le palpebre.
Un momento. Non era il modo in cui Faith chiamava…
“Buffy.” incalzò seccamente la
ragazza, afferrandogli il sedere.
Liam sospirò, rovesciando gli
occhi.
Insomma…Che cazzo si
aspettava?!
Non le era bastata quella
messinscena della coppia del secolo, ora doveva pure mettersi a fare paragoni…Erano
domande da farsi, in una situazione del genere?
Poi, sinceramente, non
ci aveva mai riflettuto…
Cioè, farlo con Buffy era poco
più di una masturbazione: lei era una verginella maledettamente stretta e
calda, che non pretendeva più di qualche bacio…
Con Darla era totalmente
diverso…L’esperienza fa la differenza, come dicevano i giornaletti.
Ma non era questo il punto.
Lo stiamo facendo e lei
pensa alla sua amichetta?
Il suo orgoglio maschile
protestò, e l’Irlandese lo mise a tacere con un’altra spinta.
Come diavolo le veniva in
mente?
“Potrei chiederti lo stesso…”
sorrise freddamente lui, senza degnarla di uno sguardo “…Polly Pocket fotte
meglio di me?”
Darla, indecisa su cosa fosse
più conveniente dire, scelse di tacere.
Angel era bellissimo, molto ben
dotato…
Purtroppo sembrava sempre
troppo concentrato su sé stesso, anche a letto. Non sapeva cosa poteva davvero farle
male e farle bene.
Andava ad intuito, e,
con la sua sfacciata noncuranza, andava quasi sempre a segno.
Con quel piccoletto texano,
però, era scattata un’alchimia come poche…
Piantò le unghie nei glutei
tonici del suo ragazzo, ruotando velocemente le anche.
La lucidità di Liam,
stretta fra le cosce della bionda, si perse gorgheggiando in un vortice di
deliri nonsense. Lei tentò di invertire le posizioni, ma lui la bloccò
con le sue grandi mani forti, schiacciandola contro le lenzuola di seta…e la
baciò.
La bionda si staccò, ansante.
“Nessuno” affondo
“bacia meglio” affondo “di te…” boccheggiò, aggrappandosi più forte alle
sue ampie spalle da giocatore di football “…e nessuno” altro affondo
“fotte come te…”
Mentiva, era chiaro come il sole.
Bene, ruggì il suo ego, gliela farò vedere io…
Uscì da lei senza troppo
riguardo, ridendo della sua espressione sorpresa.
Che cavolo vuole fare?, si domandò stizzita Darla.
Merda, stava quasi…
Il bruno la rivoltò sulla
pancia come un bambolotto, iniziando a baciarle il collo, sotto i capelli
appena ondulati grazie all’arricciacapelli.
La bionda sentì qualcosa di
duro premerle fra le natiche.
Non aveva mica intenzione
di…
Non che fosse una cosa nuova
per lei…Tutt’altro. Solo che farlo con il suo fidanzato, nel suo
letto…Le sembrava così sbagliato…
Lui le sollevò il bacino con
un braccio, continuando a strofinare contro di lei la sua virilità spessa ed
eretta. E la ragazza iniziò a tremare, agitandosi per invitarlo a prenderla
ancora.
Angel scosse la testa,
sorridendo.
Sfiorò con un polpastrello il
suo clitoride, e lei sbocciò come un fiore al suo tocco.
“Sai quante cose si possono
fare, con mani agili come le mie?”
Si morse il labbro inferiore
per non gridare, mentre lui, senza smettere il suo ritmo ipnotico, le torturava
il seno con l’altra mano.
Liam immerse un dito in lei,
guidando la punta del suo membro verso la sua entrata più segreta.
“Angel…Ti prego…” lo supplicò,
artigliando un cuscino.
Cos’era quella? Una
nuova forma di tortura?
Prese fiato e si spinse
completamente dentro di lei, facendola urlare.
Il ragazzo sorrise sulla sua
spalla, il fiato caldo a pochi millimetri dal suo collo, lasciandole il seno
per appoggiare una mano sul materasso.
Piacere e dolore si fusero in
un’unica potente vibrazione, e Darla lo afferrò per la nuca, intrecciando le
dita bianche e sottili ai suoi capelli scuri.
La frase “sono tutte puttane” emerse
nebulosa e sfocata da qualche angolo della sua mente.
Ti sforzi di essere il
perfetto Golden Boy, pensò
rabbiosamente, e si fanno sbattere dal primo stronzo biondo di passaggio…Poi,
quando diventi cattivo, ti supplicano e gemono.
Buffy, Darla, Drusilla…Erano
tutte uguali.
Non facevano che piangersi
addosso, piangere sulla sua spalla finché non se le scrollava di dosso e, dopo,
correre a farsi consolare fra le braccia di qualche figlio di puttana.
Il pianto era il leit motiv
della loro inutile esistenza.
Sono tutte delle troie
autolesioniste.
Si accanì sul candido
fondoschiena della bionda, gli occhi neri carichi di rancore.
Darla ansimò forte, strizzando
gli occhi fino a vedere fontane di scintille variopinte.
Cos’ha quella checca
ossigenata più di me?, non poté fare
a meno di chiedersi, sentendo l’eccitazione aumentare.
Lei emise un gridolino,
afflosciandosi come un guanto vuoto.
Chissenefrega, scrollò la testa l’Irlandese, trattenendola per i
fianchi.
“Fanno una bella coppia di
idioti…” mormorò tra sé e sé. “È un peccato dividerli.”
Ma, purtroppo per la piccola
Summers, i tempi del buon vecchio Liam erano finiti.
Angel agiva in modo molto
diverso.
Se non puoi sconfiggerli…Uccidili
di botte.
Sorrise, mentre l’orgasmo
spazzava via i suoi sogni di gloria e di vendetta.
8.
Finalmente a rete.
Passarono in mezzo ai saloni
della villa, lui che la teneva stretta per mano, come per timore di perderla,
mentre intorno a loro la festa si scaldava, ragazze che perdevano in qualche
angolo tra un divano ed un tavolino alla moda il pezzo di sopra del bikini ed
un po’ di dignità, gente che si scolava la riserva di liquori dei padroni di
casa, altri che passavano direttamente alla cocaina.
Attraversarono senza parlare
il prato rigorosamente all’inglese. E lei non disse nulla, né lui le chiese
alcunché, mentre con mani tremanti metteva in moto l’asmatico motore della de
Soto. Via, via di lì. Via con me. Vieni via con me.
Ne avevano abbastanza di
quelle luci, quelle voci, quella musica banale, quello stordimento. Si erano
chiesti entrambi, nelle ore più buie della notte, da soli, se fosse tutto lì,
se l’occidente cui appartenevano non offrisse altro, a corpo ed anima, e se
l’oriente non consentisse qualcosa di diverso da divertenti e colorate religioni
alla moda.
E questo non era una risposta,
certo che no, ma almeno non erano più così soli, così soli….
Le chiese dove andare con uno
sguardo. E lei rispose. “A casa mia. Mia madre non c’è”
Spike strinse la mascella,
impedendosi di mandare tutto al diavolo con l’inopportuna domanda che gli
bruciava sulle labbra fin dall’inizio della serata.
“Perché? Perché io?”
Già, perché? Lei era una bella
ragazza. Popolare, anche. Da ultimo, pure controversa. Non doveva essere così
difficile trovare qualcuno, se tutto ciò che voleva era rendere pan per
focaccia al suo ex amante.
Perché io? Non sono così popolare, e O’ Connor già mi odia. La
fissò, mentre la macchina accostava nel vialetto d’ingresso di Revello Drive.
Lei teneva gli occhi bassi, l’espressione illeggibile, ed era quella stessa
enigmatica, erotica sfinge che l’aveva eccitato in modo osceno là, sulla pista
da ballo di quell’orribile festa.
Parcheggiò l’auto, e ci girò
intorno, per aprirle la portiera. Lei lo fissò stupita, non avezza ad una
simile cortesia. Ma gli tese la mano, ed uscì. Le sue mani scottavano. Sembrava
avesse la febbre. “Curioso, le mie tremano”, pensò Spike,
improvvisamente insicuro. La sua mente analitica non aveva ancora capito in che
casella mettere l’attrazione selvaggia, e pericolosa, che provava per questa
algida dea bionda. E ciò non lo rassicurava certo.
Lei aprì la porta, armeggiando
nervosamente con la chiave. Sembrava trattenere il respiro. La mano di Spike
scivolò calda sulla sua, e l’aiutò. Con un clic, che rimbombò nel quasi
perfetto silenzio, la porta si aprì.
Penetrarono nell’antro buio
dell’ingresso. “Al diavolo!” pensò Spike, maledicendosi per la sua insicurezza,
e la spinse con dolce urgenza verso la porta, chiudendola. Le sue mani furono
di lei, nervose, eppure decise, si insinuarono sotto il leggero vestito rosso,
scivolarono sui suoi fianchi aggraziati, sulla sua vita sottile, sui suoi
piccoli, eleganti seni, racchiudendoli a coppa. Lei si inarcò all’indietro, per
rispondere in pieno al suo caldo tocco, e inarcò il capo, come un’offerta
silenziosa, chiudendo gli occhi. L’accontentò lasciando vagare piano le sue
labbra sulle sue spalle, sul suo collo, sull’inizio del suo seno.
E poi si staccò, fissandola
con occhi lucenti, scurissimi alla luce della luna.
“Buffy….”
Lei lo fissò, sul volto
un’espressione decisa che cancellava quella, solitamente indifferente, che lei
indossava come sua maschera preferita. Era seria, Buffy, serissima: lo stava
guardando. E vedeva solo lui.
“Esattamente…cosa stiamo
facendo?” Le chiese, senza fiato.
Lei ebbe un brevissimo
sorriso.
“L’amore, no?”
La sua noncuranza fu come un
improvviso ritorno alla lucidità, perduta da quando lei aveva cominciato a
tessere la sua tela di seduzione ballandogli addosso.
Si staccò di qualche
millimetro e la fissò. Freddamente.
“Fammi capire, baby” mormorò,
chinando il capo sulla spalla e osservandola piano, a lungo. “Io sono il nuovo stallone
di scelta? Vogliamo che O’Connor soffra, e molto, di gelosia? Scopandomi pensi
di rimetterti alla pari con lui?”
Lei lo guardò, furiosa.
Nessuno riusciva a farla imbestialire quanto lui.
“Idiota!” gli sibilò contro,
senza peraltro staccarsi dalla sua stretta, incapace di lasciare la vicinanza
con quel caldo corpo maschile che le premeva indosso. “Non eri tu che dicevi che
io fino ad ora avevo solo scopato…e che dovevo finalmente scoprire cosa
volesse dire fare sul serio l’amore? Beh…direi che è la tua occasione per
mostrarmelo”
La sorpresa che passò negli
occhi blu di lui fu quanto di più gratificante avesse mai visto in vita sua.
L’espressione del ragazzo mutò in un istante. L’amante freddo e distaccato che
sfidava le sue convenzioni con il suo sarcasmo era svanito. Vide sul suo viso
cesellato passione nuda, e nuda commozione. Qualcosa di impalpabile, eppure
profondo.
“Non credevo….che….”
“Ti prendessi sul serio?”
mormorò lei. “Sa Dio se non provo il desiderio di prenderti continuamente a
sberle, ma ti ho sempre preso sul serio…Spike…William…io so che tu avevi
ragione, quando mi dicevi quelle cose. Con Angel non era amore…e si era visto.
Non era nemmeno una pallida imitazione”
“E con me…invece…” mormorò,
lasciando vagare la punta delle dita sulle sue guance, e poi sulle sue morbide
labbra.
“Non vuoi scoprirlo?” gli
disse lei, seriamente.
“Buffy…come ne usciremo da
questa cosa? Insieme ….o….”
“Non ci resta che metterci
alla prova” mormorò lei, abbassando le palpebre sugli occhi. Non era
nell’accettazione sociale, nella fasulla amicizia di Darla, nel superficiale
rapporto con Angel, e nemmeno nello scintillante mondo di Cordy e Lilah che
aveva trovato la sua verità.
Non avrebbe sciupato questa
chance per nulla al mondo.
Spike le accarezzò nuovamente
il volto, stupendosi della sua bellezza. Se la immaginò a quarant’anni, e non
la vide diversa da così. Era una donna che non sarebbe cambiata molto, se solo
avesse mantenuto intatto il suo cuore…
Fu lei a prenderlo per mano,
questa volta, ed a condurlo piano in camera sua.
Nel parcheggio del Bronze
c’era il consueto casino. Willow, annoiata, stava appoggiata al muro cercando nuovi
messaggi sul videofonino. Faith sembrava irrequieta come una leonessa in
gabbia.
“Perché sei così agitata?” le
chiese, annoiata. Nemmeno una volta “T” aveva scritto. Era parecchio con non
comunicavano più insieme, nemmeno a mezzo sms. Lanciò un’occhiata follemente
speranzosa in direzione della bruna.
“Maledizione, è l’una di notte
e ancora non ho scopato!” ruggì Faith, tirandosi il top sul seno, i capezzoli
eretti e bene in evidenza sotto la stoffa sottile.
Willow scoppiò piano a ridere.
Una risata di gola. “Dov’è il tuo stall….ragazzo?”
“Da qualche parte con il tuo”
rimarcò Faith. “Non voglio nemmeno pensare che stiano dietro a delle
altre troiette. Sa bene che gli rifarei il suo culo firmato”
“Oh, Xander manca del tutto
d’iniziativa. Non devi temere nulla”
Faith la fissò con interesse.
“Eppure, dicono le leggende che – più o meno all’epoca dell’asilo – uscisse con
Queen C….Cordelia Chase”
“See….quando aveva tredici
anni. Era tanto se andavano al cinema insieme il pomeriggio e poi lui a casa si
faceva una sega. Lei si è staccata in fretta da quel perdente”
“Perdente? Gira in un
bel giro. Beh, nell’unico giro buono che c’è in questo schifo di città…
che c’è che non ti va di lui? Non ce l’ha grosso abbastanza?” rise Faith.
“Non sa di fiori…come Tara”
pensò Willow, ma se lo tenne per sé. A volte era difficile reprimere il
disgusto per una scelta che…beh, che non le apparteneva del tutto. Ma che la
rendeva popolare, accettata…e non la solita nerd checca.
“Che facciamo, sorella? Io ho voglia”
“Se vuoi, te la lecco” mormorò
Willow, soprappensiero. Non si era nemmeno accorta di parlare ad alta voce.
L’improvviso silenzio la colse di sorpresa. Si girò. Vide l’espressione
divertita e stupita di Faith…e capì che, sì, aveva parlato ad alta voce.
Dio, voglio morire. Qui.
Adesso. Ho proposto ad una mia amica di fare del sesso.
“Cazzo” mormorò Faith. “Allora
è vero quel che si dice di te.”
“Scherzavo” esclamò Willow,
andando in iperventilazione. “Ovviamente. Eh, che stupida, non credi?”
Ma Faith non rispose. Si limitava
a fissarla.
“Beh, io no” le sorrise.
Bellissima. Letale. Con la bocca a cuore e il seno che premeva la maglietta.
“Andiamo nei bagni”
Non ci posso credere, pensò Willow, mentre la seguiva nei bagni del
Bronze. Che erano incredibilmente deserti. Faith la spinse contro il muro, e
chiuse la porta. Non ci posso credere, si ripeté Willow, mentre la ragazza
bruna si sollevava la maglietta, spingendo la sua bocca sul suo largo, sensuale
capezzolo, che subito le si erse tra i denti.
Faith non sapeva di fiori,
come Tara, ma di sudore e whisky, e desiderio animalesco. Tutto sommato era un
odore inebriante. Willow non stette ad interrogarsi sulla sua buona sorte.
Non era Tara, niente sarebbe
stato come Tara…ma era meglio del corpo sudato di Xander che le premeva
addosso, schiacciandola.
Al diavolo, ben poche cose
sarebbero state peggio!
“Cosa staranno facendo le
ragazze?”
“Eh?” chiese Wesley, ancora
seduto al suo tavolo del Bronze, staccandosi dal display del suo cellulare con rimpianto,
come se la mera forza di volontà valesse a farlo accendere, e guardando Xander
con occhi vacui.
“Mi chiedo cosa staranno
facendo Faith e Willow. Saranno incavolatissime.”
“Probabilmente saranno alla toilette”
replicò Wes. “Le donne ci passano un sacco di tempo, chissà poi perché”
“Anya sta per uscire. Devo
parlarle”
“Amico, stai facendo una
clamorosa cazzata, lo sai vero?”
“Pensa per te” replicò Xander,
lanciando un’occhiata eloquente al suo cellulare. Wes sospirò, e lo vide
seguire il corteo di accompagnamento della reginetta svedese. Lei si congedò da
tutti baciandoli all’angolo della bocca, in una pioggia di feromoni e profumo
francese. E poi si trovò di fronte a lui.
“Ci conosciamo?” sorrise lei.
“Noi…ti ricordi, nel
corridoio…mi hai chiesto del laboratorio di fisica. Sono l’amico di Angel….”
“Mmmm….Angel….”mormorò
sognante la ragazza. Aveva capelli castano scuri, ma avrebbe giurato che la
volta precedente fosse quasi bionda. Conoscendola, avrebbe poi scoperto che
Anya cambiava colore di capelli almeno una volta la settimana.
“Già…tu giochi a football?
Tutti quegli uomini che si saltano addosso…lo trovo molto eccitante.”
“Una specie” incespicò Xander.
Non era proprio il momento per rivelarle che era stato espulso dalla
squadra.
“Posso esserti utile?”
chiese lei, con un sorriso.
“Mi piacerebbe conoscerti…meglio”
annaspò il ragazzo. “Anche se io, ecco, veramente…avrei…ma…”
“Vuoi scopare?” esclamò
lei, sorridente. “Bastava dirlo subito”
Cercare Faith e condurla a
casa? Trovare un posto dove fermare la macchina per darle il consueto, coniugale
coito del sabato sera? L’idea non solleticava Wes proprio per niente. Stava
già per gettare via il cellulare, imbufalito, quando quello squillò.
E non era un sms. Ma una chiamata.
“Pronto?” mormorò una voce sottile,
dall’accento texano. Lasciò che la familiarità di quell’accento gli scivolasse
addosso. Quando rispose, era quasi senza fiato. Aveva atteso per giorni,
come un idiota, un suo messaggio, e lei ….proprio ora che ci aveva quasi messo
una pietra sopra …lo chiamava.
“Pronto. Fr….Fred?”
“Sono io” mormorò lei,
sconfitta. Aveva lottato con se stessa per giorni. Tutto il suo buon senso, le
parole di Tara, quelle di Spike…tutto la induceva a non rispondergli.
Voleva solo portarla a letto. E umiliarla. E non necessariamente in
quell’ordine.
Ma l’istinto era una brutta
bestia. E l’istinto le diceva che se non avesse corso questo tremendo rischio…se
ne sarebbe pentita atrocemente.
Si vive e si muore una volta
sola, no?
“Sono felicissimo che mi hai
chiamato…dico davvero…”la voce di Wes si abbassò, mentre guadagnava velocemente
l’uscita per sfuggire al frastuono del locale. “Non ci speravo più”
“Ho ricevuto i tuoi messaggi”
mormorò lei. “Tu sei fidanzato¸ Wes. E la tua ragazza sembra tutto
fuorché …comprensiva…”
“Fred…lo so. Non ti chiedo
niente. Non voglio niente da te. Solo parlare. Te lo giuro. Voglio solo vederti,
e parlare. Ti prego…”
“E’ già molto tardi” replicò
lei, impaurita dal tono sinceramente disperato della voce di lui. The Oscar
goes to…o così, o veramente teneva a lei. Non sapeva sinceramente quale
delle due ipotesi la spaventasse di più.
“Solo una mezz’ora, ti prego.
Porto Faith a casa e sono da te”
Fred Burkle, promossa da nerd a l’altra donna. Che
carriera!
“No…io non credo…non mi sembra
giusto….”
“Ti prego. Solo mezz’ora.
Dammi il tuo indirizzo. Stiamo in macchina, te lo prometto. Non farei nulla che
potrebbe turbarti.”
Un brivido di eccitazione
scosse la ragazza. Un brivido insopprimibile. Con voce tremante gli mormorò
l’indirizzo.
L’avrebbe atteso.
No, aspetta.
Com’è che succedeva sempre, in
questi casi? Lui diceva che veniva, e poi non si presentava. O si
presentava con gli amici e ti umiliava.
Un’improvvisa durezza le
incrinò la voce.
“Immagino sarà molto
divertente, vero? Tirare giù la nerd dal letto alle due di notte per umiliarla,
facendola attendere per ore…o venendo con gli amici. Povera scema, che si era
illusa…”
“Fred, no” esclamò lui,
disperato. “Non pensare questo di me. Non siamo sempre ciò che sembriamo.
Ti giuro che verrò. E da solo. Morirei per provartelo”
Sconfitta, Fred si arrese. “E
va bene. Aspetterò. Ma solo per questa volta.”
“A presto, allora”
Trionfante, Wes si guardò
intorno. Erano anni che non si sentiva più così eccitato da qualcosa.
Ma dove diavolo era finita
Faith?!
“Lascia accesa la luce”
Buffy tremò. C’era nella sua
voce una ruvidezza sensuale, qualcosa che dava nuovo corpo alle sue fantasie.
L’istinto le diceva che non sarebbe stato rude, ma nemmeno sdolcinato.
L’avrebbe amata con passione, questo lo sapeva da sempre, dal suo primo
sguardo, dal suo primo bacio. Con passione, selvaggiamente, attingendo in
risorse di cuore e spirito che lei nemmeno ancora sapeva di possedere.
Con rispetto unito a forza
indomita. Perché erano forti entrambi, e lo sapevano. Potevano guardarsi negli
occhi, e sentirsi pari, mai domi. Il pensiero la rese più libera, mentre
lasciava il vestito scenderle dalle spalle. Lei non era per lui la solita
squinzia. Lui non era per lei un irraggiungibile trofeo.
“Shhh” mormorò lui. “Le mie
donne le spoglio io”
Lei sorrise, abbassando
pudicamente le ciglia scure sulle gote. Il lume acceso inondava la sua stanza
di una luce calda. Angel aveva sempre voluto farlo al buio. Anche in quello
erano diversi.
In quello, in tutto. Angel era
bruno, massiccio, tenebroso. Spike era elegante e muscoloso come un ballerino,
apparentemente leggero, in verità d’acciaio, i capelli di platino che
illuminavano la notte come i suoi occhi di un azzurro purissimo. Buffy non
aveva mai visto occhi simili, prima. Specchiarcisi dentro le dava uno strano
tipo di euforia.
Spike si tolse la camicia, con
gesti lenti, misurati. Non portava niente sotto, e il suo petto glabro, liscio,
dalla muscolatura leggera ma perfettamente disegnata, attrasse il suo sguardo.
Era bianco e seducente come un marmo antico. Meraviglioso. Le si avvicinò con
la sua andatura sensuale, ondeggiante, e le mise le mani sui fianchi, sentendo
sotto le dita la stoffa sottile dell’abito. Poi, con calma, trattenendo il
respiro, lasciò scivolare una spallina. E poi l’altra. L’abito le cadde ai
piedi, e lei restò in bikini. Deliziosa, da mangiare.
“Sei splendida” le disse lui,
piano, chinandosi per accarezzarle il volto con le labbra. “Stanotte, sei la
donna più bella che abbia mai visto.”
“Spike…” ansimò lei, e lui adorò
il modo in cui lo diceva, in cui spezzava quelle due sillabe, aspirando sulla
“i”. Era orgoglioso di riuscire ad eccitarla così solo con le parole. Avrebbe
voluto portarla all’orgasmo solo con quelle. Poesie sgorgarono dal suo cuore,
ma non era il momento. Il corpo di lei, ed il suo, volevano, esigevano di più.
“Spogliami” mormorò lei,
incrociando le braccia dietro alla sua nuca, tirandolo verso di sé. Non si
erano più baciati dopo il bacio pieno di passione e sensualità che si erano
dati sulla pista da ballo. Era ubriaca di lui, e voleva berlo fino ad
impazzire…doveva baciarlo ancora…ancora…
Lui si perse nella promessa
della sua bocca matura. Mise in un angolo della sua mente i se e i ma. Lei
voleva fare l’amore, e l’avrebbe accontentata. Ciò che questo avrebbe
significato per entrambi…beh, l’avrebbero scoperto vivendo quella notte,
ed i giorni che sarebbero seguiti.
Non sapeva se sarebbe mai
stato il suo ragazzo, dipendeva da lei…ma sapeva che non l’avrebbe mai
dimenticata. E non avrebbe mai dimenticato questo momento. Non era così stolto
da aprire il suo cuore davanti a lei, capricciosa divinità se ce n’era una. Ma
il suo cuore aveva scelto, aveva scelto lei.
Era una scomoda verità,
scomodissima. Si affrettò a soffocarla cercando la sua bocca di fragole e
miele, che lasciava sulla sua lingua il sapore di lacrime non versate, qualcosa
di vero e puro e fragile che gli faceva tremare il cuore. Inghiottì il ti
amo che minacciava di prorompere dalle sue labbra, e lasciò che a parlare
fossero le sue mani, le sue labbra. I suoi baci, le sue carezze. E , presto,
prestissimo, il suo possesso.
“Ti voglio, Buffy”
E lei non dubitò nemmeno per
un istante che l’avrebbe avuta. Non era arroganza la sua, non quella vacua e
superficiale di Angel. No. Era sincerità. La voleva. Buffy si commosse, suo
malgrado. Quando mai qualcuno aveva davvero voluto lei? Nessuno aveva combattuto
per lei. Ancora.
“Anch’io” mormorò, ubriaca dei
suoi baci, mentre le mani di lui scivolavano dietro la sua schiena, a slacciare
il pezzo superiore del bikini, e poi si chiudevano a coppa sui suoi seni, le
dita che giocavano piano con i suoi capezzoli eretti. Lei ansimò di nuovo, e si
lasciò scivolare sul suo morbido letto di bambina, allargando le braccia, del
tutto in sua balia, i jeans di lui che strusciavano eroticamente sulle sue
gambe nude. “Ti voglio vedere completamente nuda” mormorò lui, guardandola con
il suo sguardo azzurro e bruciante. “Sei meravigliosa. Ti voglio possedere e
voglio che tu possieda me. Voglio entrarti dentro e voglio che tu entri dentro
me. Posso toglierti gli slip?”
Lei annuì, accecata dal
desiderio, mentre lui lasciava scivolare gli slip del bikini giù dalle sue
gambe, meravigliandosi di quanto fossero umidi. Lei, istintivamente, allargò le
gambe e le raccolse intorno al collo di lui. Spike ne approfittò per affondare
il capo tra le cosce profumate di lei, aspirando il suo odore inebriante,
lasciando che la sua bocca e la sua lingua la esplorassero con infinita
pazienza. Era deliziosa. Sapeva di mare, di vento. Era pulita come le cose
vere. Si chiese quando mai avesse provato qualcosa di simile per una ragazza, e
si rispose: mai. Mai prima. Era davvero la sua prima volta, in un certo
senso. La consueta paura si allentò un po’: non si cresceva forse quando si
imparava ad amare? E non era quanto, suo malgrado, gli stava succedendo?
Se fosse finita, tra di loro, intuì che non sarebbe stato per poco amore.
Casomai, per troppo amore.
L’abisso di quella consapevolezza era oscuro ed ammiccante come il suo
sesso. La aprì con le dita e con le labbra, e lei si abbandonò sul letto, il
corpo in preda agli spasimi del piacere e della commozione. Ad un tratto, ebbe
quasi la sensazione che lui stesse piangendo. Non volle vedere, non voleva
quella responsabilità, e si coprì gli occhi con un braccio.
“No” le ingiunse lui, con voce
roca, scivolando piano, come un felino, sul suo corpo nudo, umido di sudore ed
eccitazione. “Non chiudere gli occhi, amore. Non ora”
Lei li riaprì. E quel che vide
negli occhi di lui, lucidi e profondissimi, arrivò diritto al suo cuore. E fu
come se il sole a lungo atteso di marzo cominciasse a sciogliere la neve…
“Adesso” mormorò lei,
stringendogli le gambe intorno ai fianchi, e lui docilmente si lasciò
posizionare su di lei, il membro teso a giocare piano con la sua femminilità.
“Adesso!” ripeté lei, con più urgenza, e Spike la penetrò con una spinta lenta
e decisa. La sensazione di essere infine dentro le sue vellutate profondità lo
sconvolse. Almeno quanto sconvolse lei il sentirsi colmare. Gemettero
insieme, alla squisita delicatezza della sensazione, che si acuiva anziché
spegnersi. “Ti ho atteso così tanto…” mormorò lei, agitando debolmente
il capo sul cuscino, e lui fu costretto a darle ragione. L’aveva attesa. Per
anni. Per sempre.
Solo che non lo sapeva.
Ma ora era finalmente sua e
non l’avrebbe lasciata andare.
Per nulla al mondo.
“Ecco dov’eri!” esclamò
Willow, raggiungendo di corsa, il fiato corto, il suo ragazzo. Che parlava con quella…svedese?!
La ragazza bruna ebbe un sorrisetto dei suoi, e portò via il suo corpo
perfetto, dondolando sui tacchi alti.
“Ti ho aspettato finora” si
difese lui, il cuore che gli batteva all’impazzata. Anya era stata ad un nano –
secondo dal dargliela. E Willow, maledizione, aveva scelto proprio quel
momento per tornare! “Dov’eri?”
Scaricare il proprio
nervosismo sul partner incolpevole era la strategia più vecchia del mondo. Ma
Willow vi cadde mani e piedi dentro, proprio perché del tutto incolpevole non
era…”Perdonami, tesoro…dovevo fare un po’ di restauro”
“Hai tutto il rossetto
sbavato.” Osservò distrattamente Xander. “Vieni, andiamocene a casa”
“Ehm…preferirei di no. Voglio
dire, vorrei andare a casa ma….”
Esasperato, e duro come roccia
dopo il suo incontro con la sensuale Anya, Xander sospirò. “Hai il ciclo?”
chiese, rassegnato.
“Già” mentì Willow, sapendo
che lui non era in grado di fare un calcolo su ventotto giorni nemmeno per
salvarsi la vita. “Sai, i soliti crampi”
“Ah – Ah” mormorò Xander distratto.
“Guarda, vanno via anche Faith e Wes…ehy, ragazzi, ci vediamo!”
Loro lo salutarono
distrattamente, e Willow si sedette docilmente accanto a Xander. L’eccitazione
per essere stata con Faith ancora le correva nelle vene. E le aveva lasciato una
singolare determinazione, che non vedeva l’ora di attuare. Xander mise la
quinta ed affrontò a velocità sostenuta i vialetti suburbani che portavano alla
zona residenziale dove Willow abitava. Ad un tratto, il suo sguardo colse
qualcosa, e lui frenò bruscamente.
“Ehy, che succede?” indagò
Willow, persa nei suoi pensieri.
“Guarda là” Xander serrò la
mascella, indicando il vialetto di accesso alla casa di Buffy Summers. “Ma non
è la macchina di quel coso, quel Shelby?”
Willow, incuriosita, si tirò
su. Sì, al campus tutti conoscevano quell’orribile catorcio. Difficile che ce
ne fossero due in una cittadina come Sunnydale. Sembrava proprio l’auto di
Spike.
Nel vialetto d’ingresso di
Buffy? Alle due di notte?
I due ragazzi sollevarono lo
sguardo verso la stanza di Buffy. L’abat – jour era accesa, ma le tende
oscuravano la vista.
Xander sogghignò. “Hai capito.
A me non la dava, faceva la preziosa, e questo sporco inglese…conosco qualcuno
che sarà molto curioso di conoscere questo sviluppo”
In un sussulto di consapevolezza,
Willow insorse. “Xander, non sono fatti nostri, dopotutto. Non pensi che
dovremmo far finta di niente? In fondo tra Buffy e Angel è finita…e non è mai
stata una storia ufficiale, tanto per cominciare”
“Angel è il mio miglior amico.
Non starò zitto mentre la sua amante si scopa un altro. Soprattutto trattandosi
di quell’idiota”
“Stai cercando guai, Xan”
replicò Will. “Ricordati poi che io te l’avevo detto” sbadigliò, mentre
lui fermava la macchina davanti alla sua villetta. Automaticamente, gli porse
le labbra per un bacio.
“No” disse lui, scuro in
volto. “Se ti bacio poi mi viene ancora più duro. E siccome non sei
disponibile…meglio evitare, non trovi?”
Willow sollevò lo sguardo al
cielo. “Ha parlato l’ultimo dei romantici. Buona notte, Xan. Dormi bene”
lo irrise, sbattendo la portiera della sua Ford.
E poi, una volta in camera
sua, andò dritta verso il telefono.
Conosceva il numero a memoria,
lo fece con il cuore che le batteva.
Niente. La segreteria
telefonica. Forse era meglio così.
“Mi manchi, Tara, mi manchi
tantissimo….”mormorò, nel ricevitore silenzioso.
“Beh, allora?” si spazientì
Faith. “Guardiamo le stelle? Hai finito i preservativi?”
“Ma non sai proprio pensare ad
altro?” replicò Wes, pulendosi gli occhiali e continuando a lanciare occhiate
furtive all’orologio.
“Wes, che ti prendi? Sembra
che sia tu quello con l’utero. Oggi sei di umore stranissimo. Anzi, è un
po’ di giorni, adesso che ci penso”
“Sono un po’ stanco. Devo aver
esagerato negli ultimi allenamenti di tennis. Sai, quel nuovo maestro al
country club…”
Lei sollevò le mani. “Sia mai
detto che ti ho violentato. Vai a nanna e metti del ghiaccio sulla bua. Io lo
metterò da qualche altra parte”
Wes fece finta di non cogliere
l’allusione, la baciò brevemente e la guardò andare via, sculettando. Bene. Le
due e dieci. Un orario decoroso. Peccato che Fred abitasse dall’altra parte
della cittadina e dovesse rompere ogni divieto orario. E sarebbe stato un disastro
se la polizia l’avesse beccato.
Ma ci riuscì. Spinse la
Porsche del padre a velocità inaudite e in dieci minuti netti fu da lei. Fred
abitava in una villetta non dissimile da quella di Willow, con delle ampie
portafinestre. La intravide al di là dei vetri, e le fece un cenno. Passò un
tempo che gli parve lunghissimo. E poi lei apparve, stretta in una gonna troppo
lunga ed un golfino, i capelli sciolti sulla schiena, come infreddolita per la
fresca aria notturna …ed il timore di stare facendo la peggiore idiozia della
sua vita.
Le aprì la portiera e lei
salì, infilando le lunghe gambe nell’abitacolo e fissandolo.
Cielo, non la ricordava così …bella.
Aveva occhi grandissimi, da cerbiatta, un collo che avrebbe ispirato un
Modigliani, un volto dai tratti minuti, da ballerina. E una gran classe,
malgrado i vestiti sbagliati.
Non resistette. Le mise
rapidamente un braccio intorno alle spalle, come per scaldarla, e coprì le sue
labbra morbide e profumate con le proprie. Fred si abbandonò al bacio,
sconvolta per la sua casta dolcezza. Era il bacio che aveva sempre sognato.
A quel punto, poteva pure
sedurla ed abbandonarla. Non avrebbe mai dimenticato quel momento.
Wes si staccò, il fiato corto,
sorpreso di come quell’apparentemente insignificante scricciolo potesse
influire su di lui, sui suoi desideri, sui suoi sogni. Era assurdo. La strinse
piano a sé, e lei nascose il volto contro la sua spalla, la sua calda maglia di
cachemire, mentre lui le accarezzava i capelli. Non parlarono molto. Non c’era
molto da dire. Lui stava con Faith. Lei non era una facile preda, buona per
un’avventura. In condizioni normali non si sarebbe fatto alcun scrupolo di
sedurla, anzi, gli sarebbe sembrato doveroso, ma non poteva. Non con
lei.
“Vuoi che lo dica io?” mormorò
lei, pacatamente, mostrando una forza che mai le avrebbe immaginato. La fine
era là dietro l’angolo. Era una storia che non sarebbe mai nemmeno dovuta
cominciare. A che scopo prolungare l’agonia?
“No” mormorò, con voce roca.
Non era ancora pronto. A perderla. Forse, realizzò con sgomento, non lo sarebbe
stato mai.
Lei, allora, tacque, e restarono
immobili, abbracciati, per un tempo lunghissimo, mentre la notte continuava
piano.
L’atmosfera della piccola
stanza dalle pareti a fiorellini era calda, intima. Buffy si rilassò,
sorridendo soddisfatta, circondata dal caldo cerchio delle sue braccia, contro
il suo petto, allacciati entrambi sul letto, sotto la calda trapunta rosa. Con
gesti lenti e lievi, Spike le accarezzava il braccio, mentre si accomodava
meglio per far premere il suo bacino contro quello di lei, per darle calore.
Erano felici. Erano sereni.
“Non sono mai stata così con
un ragazzo…in un letto”
“Neanch’io” scherzò lui.
“No….intendevo…con una ragazza. Il più delle volte l’ho fatto in macchina.
Alquanto scomodo. E poco spazio per le coccole…dopo”
“Non credevo fosse così bello”
fantasticò lei. “Ok, non parlerò di lui…so che non lo sopporti. Ma non è
mai stato così. Un po’ di sesso e via, ciascuno a casa propria.”
“Vorrei restare così con te
tutta la notte…se me lo permetterai” mormorò William.
“Di più, faremo colazione
insieme” sorrise lei, stringendosi meglio a lui. “Cosa mangi? Uova e pancetta?”
“Non scherzare. E il
colesterolo?”
“Cereali?”
“Di solito farina d’avena
integrale e bianco d’uovo. Fanno bene per i muscoli”
“Sollevi pesi, vero?”
“Qualcosina”
“Si vede” sorrise di nuovo lei,
lasciando che le sue dita giocassero con quelle di lui. “Mi fa impazzire, il
tuo corpo. Nessuno ce l’ha come te, in questo campus. O nerd patetici o fusti
ipervitaminizzati”
“Sarà il mio retaggio europeo”
scherzò lui.
“Come l’accento. Mi fai
impazzire quando dici cose hot con quell’accento, mentre facciamo
l’amore. Metà delle parole che usi non so nemmeno cosa significhino”
“Vuoi un rapido corso? Cor, Blimey,
Ponce, Git…”
“Vorrei qualcos’altro” rise
piano lei. “Ma ti garantisco che potrai usare la lingua che vuoi..:”
“Sei insaziabile” la ammirò
lui. “Ed ancora più bella. Domani….”
“Abbiamo di nuovo lezione. Sul
serio. Martedì c’è il primo test del semestre. Ne va della tua reputazione,
Mister Shelby: non posso fallire.”
“Lo supererai alla grande. Ora
ho capito perché mi hai ceduto. La letteratura prima di tutto”
“No” rise lei, godendo di
quella calda intimità, di cui non riusciva più a fare a meno, e voltandosi per
guardarlo negli occhi. “La poesia prima di tutto”
La ragazza ha pienamente
ragione, pensò Spike. Stare con lei,
così, soli e liberi, insieme in quel letto caldo, era davvero poesia.
“Non mi lasciare, William”
mormorò lei, prima di baciarlo piano, la sua bocca lieve, ad esplorare piano
quella di lui per l’ennesima volta. “Non mi lasciare”.
9. Time-out
Quando Buffy riaprì lentamente
gli occhi, lui era disteso al suo fianco, con la testa appoggiata
sull’avambraccio destro. La stava guardando, forse da ore.
La bionda sbatté le lunghe
ciglia per riabituare la vista alla luce.
Era tutto meraviglioso…
Soprattutto lui, con i capelli
tutti sconvolti e i suoi enormi occhi blu, spalancati alla luce del mattino
Non aveva mai ritrovato Angel
al suo fianco, al risveglio. Prima non aveva idea di quanto fosse grandioso
svegliarsi al fianco di qualcuno che ti ha tenuta stretta tutta la notte…Con
amore, delicatezza, devozione. Ora lo sapeva.
“Buongiorno, dolcezza…”
“Buongiorno, dolcezza…”
lei imitò il suo accento, sorridendo.
Il cuore di Spike perse un
battito.
Dio, era così bella…Gli
sembrava impossibile che fosse capitato proprio a lui.
Lei era di una tanto perfetta
e commovente bellezza che avrebbe voluto tenerla per sempre stretta fra le
braccia come un fiore raro e delicato, attento che uno schiaffo del vento non
la sciupasse all’improvviso, distruggendo quella scintilla di bionda felicità
nei suoi occhi.
Un gioiello, una principessa
che non meritava altro che distese di profumata felicità, e cieca,
incondizionata adorazione.
Non lascerò mai che le
accada qualcosa di male, si
ripromise, accarezzandole i capelli.
“Ora vorrei baciarti, ma il
mio alito mattutino potrebbe stendere uno zombie. Quindi…”
La ragazza se ne fregò
dell’alito mattutino – non era uno zombie, evidentemente – e lo baciò. Un bacio
dolce, in punta di labbra.
No. Non era un sogno.
Con il suo bacio non si era
ritrasformato nel rospo della fiaba. Era ancora il fottuto principe azzurro, e
aveva salvato la principessa dall’orco che la teneva prigioniera nella sua
torre arida e desolata.
Poteva farcela, poteva proteggerla. Da tutto il male del mondo, se
fosse stato necessario.
“Il mio avvelenerebbe un
licantropo…Penso che siamo pari.” si accoccolò contro il suo petto, disegnando
forme invisibili sul suo viso con la punta delle dita.
William sentì l’esigenza di
dire qualcosa. Qualunque cosa. Temeva che, se il silenzio fosse durato
troppo a lungo, sarebbe arrivato il momento dei discorsi seri. Ed era tutto
troppo dannatamente perfetto per rovinarlo adesso. Magari, più tardi.
Più tardi si sarebbe
rassegnato al suo rifiuto.
Più tardi avrebbe accettato di
non poterla salvare, se lei non voleva.
Ora, però, voleva solo essere maledettamente felice.
“Come…Come stai?”
“Piacevolmente indolenzita. E affamata.”
“Summers, per l’Inferno
maledetto…Sei insaziabile!” esclamò, fingendosi sconvolto “Dai il tempo
a questo poveruomo di riprendersi…”
“Non intendevo quello!” rise
lei, scandalizzata “Non che non mi piacerebbe…” aggiunse “Però io intendevo cibo.
Uova strapazzate, toast, spremuta d’arancia…” elencò, con aria sognante.
“Ragazzina…” la ammonì Spike
“Tu hai seriamente bisogno di rivedere le tue priorità…”
“Dove sei stato?” Kathy lo
aspettava, seduta a braccia conserte sul suo letto integro. Aveva ancora
addosso il suo pigiama con gli orsacchiotti e il mascara le rigava le guance.
Dannazione, pensò il ragazzo, mi sono arrampicato quassù per
niente…
“Papà dov’è?” chiese Angel,
sfilandosi la maglietta. Mai più entrare dalla finestra…Era inutile.
La sorella alzò il mento,
serissima in volto.
“Non puoi sognarti di
rientrare in camera tua come un ladro alle dieci del mattino e non rispondere
quando ti faccio una domanda!” lo sfidò, alzandosi.
“Sembri la mamma…” replicò,
atono “ti avevo detto che andavo da Darla…” scrollò le spalle, voltandosi per
cercare una t-shirt pulita nel caos del suo armadio.
“Non avevi aggiunto che non
saresti tornato a dormire!” sbraitò, puntandogli contro l’indice paffutello. Se
sua padre l’avesse scoperto sarebbero stati guai grossi…
“Suppongo che la torta non ti
sia piaciuta…” le aveva comprato un dolce enorme. Decine di strati di glassa,
panna, cioccolato e burro d’arachidi. Una vera, disgustosa bomba di calorie
deliziosamente californiana. Kate impazziva per quelle schifezze…
“Non puoi comprarmi con torte
e regalini…Non sono più una bambina!” il fratello le rispose con un’occhiata
ironica “…E non cambiare discorso!”
“Okay” asserì Angel “…Ha
chiamato qualcuno per me?”
La ragazzina sospirò,
rassegnata.
“Papà non ti ha neanche
nominato, il dolce era incredibile…E ha chiamato Xander.” elencò.
“Harris…? Che voleva?”
“Hai capito bene, quello che
devi presentarmi da anni…” lo punzecchiò “Ha detto che era importante…Ha
nominato un certo chiodo che tu devi piantare…O qualcosa del genere.”
“Lo sporco inglese…” mormorò,
scuro in volto. Che diavolo aveva combinato, ancora?
Doveva chiamare Xander.
Doveva spaccare la stupida
faccia da checca di Spike.
Doveva…
“Allora…Quando mi presenti il
tuo amico?” Kathy gli corse dietro, speranzosa.
“Vuoi un consiglio?” la guardò
negli occhi, profondamente “Lascia perdere.”
Tara sospirò, voltando
l’ultima pagina del libro che stava leggendo.
Guerra e pace…Solo il titolo le faceva venire voglia di
schiacciare un pisolino.
Il modo migliore per iniziare
la solita, tediosa domenica.
Si sollevò a fatica dal suo
comodo lettone, con l’intenzione di andare in cucina a sgranocchiare qualcosa.
Avrebbe infranto la dieta, per un giorno. Per quel che valeva…
Grassa era e grassa restava.
Non era geneticamente programmata per essere diafana e longilinea, ormai se ne
era fatta una ragione.
Scese le scale pigramente,
tentando di rimandare il più possibile la sua abbuffata.
Ecco, sorrise, avrebbe telefonata a Fred. Due chiacchiere
tra amiche erano sicuramente meglio di una lunga serie di panini al burro
d’arachidi. Forse in frigo era rimasta un po’ di gelatina di fragole…Compose in
fretta il numero, guardando l’orologio. A quell’ora doveva essere sveglia…
No. La linea era occupata.
Probabilmente stava ancora dormendo, o studiava. Di solito lo faceva, di
domenica mattina. Che stupida, avrebbe dovuto pensarci…
Improvvisamente la ragazza di
irrigidì. Qualcosa di rosso lampeggiava alla sua destra, lo vedeva con la coda
dell’occhio. Doveva essere…No, era impossibile.
La sua segreteria telefonica
era un elemento puramente decorativo: non la chiamava mai nessuno, a parte i soliti
amici, e quando non era con loro rimaneva a casa.
Invece, incredibile ma vero,
sul display luminoso ammiccava il numero uno.
Tara non si perse in mille
interrogativi su chi mai potesse essere. Non aveva senso illudersi che fosse lei
per ricevere la solita doccia gelata, sentendo il balbettio impacciato di Fred
o la cadenza europea di Spike. Perché farsi del male, perché sperare?
Premette il minuscolo tastino con un sospiro. Sicuramente era Lindsey che la
supplicava per le solite ripetizioni di Storia…
Come sempre si sbagliava.
Perché era proprio lei,
in carne ed ossa.
O perlomeno la sua voce.
Che diceva che le mancava.
Che le mancava tantissimo.
Il respiro le si strozzò in
gola.
A volte la dea fortuna è
davvero bendata…
Lacrime indesiderate,
trattenute troppo a lungo, le premevano negli occhi.
Doveva essere uno scherzo…
Doveva essere l’ultima delle
sue crudeltà…
Tara scivolò a sedere,
svuotata, con la voce di Willow che continuava a sussurrare nella sua testa.
“Angel…Non so se dovrei
dirtelo…” cominciò Xander, perplesso.
Le parole della sua ragazza
gli parevano dannatamente sensate, ora. Non erano affari suoi.
Harris ne capiva ben poco di
karma negativo e di tutte le stronzate di cui andava blaterando Wills, ma sapeva
che impicciarsi della faccende altrui non portava nulla di buono. Mai.
“Hai finito con la parte dei
sospiri e dei lamenti?” lo aggredì Angel, impaziente “Che cazzo è
successo?”
“Ho visto la macchina di
Shelby sotto casa di Buffy alle due di notte” infilò, tutto d’un fiato.
È fatta, sospirò.
“Cosa?!” sibilò
l’amico, facendolo rabbrividire.
Quindi la troietta si faceva
sbattere da quella mezza sega?
Era questo il rispetto
che avrebbe dovuto dimostrargli?
Bene. Se l’erano voluta. L’avrebbero pagata cara,
entrambi.
“Dimmi che non stai sparando
una grossa stronzata…” disse, controllato.
Bolliva come una pentola a
pressione che stava per saltare in aria.
Più che spararla, Xander
l’aveva appena fatta, una grossa stronzata.
Willow, dannazione a lei,
l’aveva detto.
Beh, era solo colpa sua. Se
lei gliel’avesse data, la sera prima, invece di fare tante moine, forse
lui se ne sarebbe fregato di quell’oca bionda, e non avrebbe tirato su tutto
quel casino.
“Ti pare?” rassicurò l’amico,
di malavoglia “Te l’ho detto solo perché quella puttanella non dovrebbe fartela
sotto il naso a questo modo…”
“Se è tutto vero…” cominciò
Liam, lentamente “…Perché non sei salito a farli fessi? Che razza di amico
sei?”
Il ragazzo scosse la testa.
Era quello il ringraziamento?...Alla faccia delle gratitudine!
Sai che ti dico, capitano?, rimuginò, che puoi andartene a fare in culo
insieme a quelle due nullità!
“Guarda che te la stai
prendendo con la persona sbagliata, amico…”
“Sai qual è il punto, Harris?”
chiese, senza aspettare una risposta “Che siete un branco di incapaci.
Vi avevo detto di cambiargli i connotati, e quello se ne va ancora a spasso,
fottendosi una delle mie donne con quel sorrisino del cazzo stampato in
faccia…” ringhiò, stringendo i pugni.
Fanculo Buffy! Fanculo Shelby! Fanculo Xander!
“Dai, Angel…Lascia che Buffy
si diverta con il suo nuovo giocattolo. Non ne vale la pena…”
“Un giocattolo che avrei
dovuto rompere molto tempo fa…” sogghignò “…Mai mandare dei ragazzini
a fare il lavoro di un uomo.” decretò il quaterback, quasi divertito.
“Per favore, uomo, non
fare stupidaggini…” si lagnò il ragazzo, annoiato. Infondo…Che gliene
importava? Liam avrebbe messo fuorigioco Mr. Ossigeno e, con un po’ di
fortuna, lui sarebbe rientrato in squadra. Da lì alle cosce di Anya il
passo era breve.
Alla faccia del karma.
“O almeno non farti beccare…”
“Non preoccuparti, Xand…”
l’Irlandese sorrise lievemente “Non credo che ci saranno testimoni…”
Il fantastico impianto Hi-Fi
di casa Mayer trasmetteva a tutto volume le note sincopate dei Metallica, la
tiepida brezza californiana scuoteva le tende di voile color crema in un magico
gioco di leggeri volumi e increspature, il baldacchino sfatto tremava al ritmo
dei bassi con una vibrazione ipnotica e sensuale.
Faith si accomodò meglio sui
cuscini, il fianco tornito premuto a quello snello di Darla. Vestivano la loro
solita, minuscola biancheria intima da 300 dollari e striminzite magliette del
liceo di Sunnydale. La bruna ricordava quanti dei loro amichevoli contatti
fossero iniziati così.
Bei tempi.
Accese lo spinello con
familiarità, aspirando profondamente. Buono.
“Questa è la roba che ti
procura Mr. Ghetto?” sorrise all’amica, espirando.
“Forte, vero?” annuì
compiaciuta la bionda, posando una mano sullo stomaco di Faith.
Passò la canna alla padrona di
casa, facendo piccoli cerchietti di fumo.
E bravo Gunn…
“Te lo sei già scopato?”
chiese senza mezzi termini, distendendo le gambe nude e tornite.
Darla scosse la testa,
ripassandole la marijuana.
“Però ieri sera ho comunque
fatto sesso selvaggio…Indovina con chi?” la mora alzò le spalle, inspirando
profondamente. L’altra ridacchiò “…Angel.”
Faith si tirò su di scatto,
guardandola negli occhi.
Aveva sempre sognato di farsi
una corsa con lo stallone…Ma la sua ragazza non sembrava apprezzarne
particolarmente le doti amatorie. Chissà perché.
“Non ci credo.” scosse la
testa, affondando di nuovo nei guanciali di piume. Darla alzò un sopracciglio,
come a dire: ho forse l’aria della bugiarda? Faith sospirò, invidiosa,
scuotendo i capelli “Okay…Racconta.”
“Mi ha fatto delle cose…” alzò
gli occhi, sognante “Mio Dio, non sono mai stata con un animale del genere…”
riprese possesso dello spinello, piegandosi sensualmente verso la bruna.
“Beata te…” sospirò l’amica,
irritata “Me lo cederesti, per un po’?”
La bionda si mise carponi,
dondolando il fondoschiena.
“Vuoi vedere i lividi?”
ammiccò, maliziosamente.
“Mmmh…” la canadese si morse
il labbro inferiore “Mi verrebbe voglia di sculacciarti…”
“No, grazie…” la ragazza rise,
facendo scorrere giocosamente una mano nell’interno coscia dell’altra, che
rabbrividì a quel casuale contatto “Ne ho avute abbastanza, di sculacciate…”
“Io no, purtroppo.” sbuffò “Se
Wes non si dà una svegliata, e in fretta, dovrò seriamente considerare
l’idea di comprare un vibratore…” scatenò l’ilarità dell’altra con un gemito
disperato.
“Sei venuta da me per
ritardare questo buon investimento…O vuoi che ti presti il mio?”
“Grazie per il gentile
pensiero…” Faith giocherellò con l’orlo di pizzo del suo tanga, sollevandolo
con le dita agili “…Ma ho già avuto il mio orgasmo del sabato sera.” lo lasciò
andare bruscamente, producendo un lieve schiocco.
Il pezzo terminò, e il disco
prese a girare a vuoto. Darla si alzò sbuffando per andare a scegliere il cd
successivo, ancheggiando con evidente malizia.
“Chi è il fortunato?” chiese,
voltandosi verso la mora.
“La fortunata”
specificò, sardonica “è Willow.”
La ragazza si gettò i capelli
d’oro dietro l’orecchio, sospirando.
“Quell’arrivista!…Farebbe qualunque
cosa per essere popolare. Perfino te.”
“Non credo.” scosse la testa,
spegnendo la cicca nel posacenere di ceramica rosa “Penso che sia proprio
lesbica, la piccola rossa…”
“Allora le voci su di lei
erano vere…” rimuginò la ragazza, aggrottando la fronte.
“Le voci sono sempre
vere. Si parla perfino di me…Con te.” allargò le gambe, divertita.
“Faithy, non hai ancora
imparato?” salì gattonando sul materasso, strisciando su di lei “Quando parlano
di noi si eccitano: siamo belle, popolari, ricche, e vogliamo solo
divertirci…Lo sanno tutti. Quando parlano di Rosemberg e quella nullità obesa,
però, vomitano…”
“La morale della favola è che
io posso farmi chiunque, giusto?” la provocò, sfiorandola fra le cosce
con un ginocchio.
“Non esattamente…” bisbigliò,
socchiudendo gli occhi “…ma hai afferrato il concetto.” soffiò allusiva,
solleticandole le labbra con le morbide ciocche chiare che le cadevano ai lati
del viso.
Faith buttò indietro la testa,
piacevolmente accaldata.
Wesley non voleva sbatterla?
Perfetto…Aveva di meglio.
Quelle piccole, invitanti,
calde focaccine spennellate di miele lo aspettavano sul piatto, senza chiedere
altro che di essere mangiate. Spike rinunciò alla sua lotta al diabete con un
sospiro, allungando la mano verso le brioche. La bionda, più veloce del lampo,
gli sfilò il vassoio da sotto il naso, attirandoselo al petto. Lui inclinò la
testa su una spalla, fissandola senza capire.
“Cos’è questa novità, amore?”
chiese, sporgendo le labbra in un broncio irresistibile “Mi metti davanti queste
piccole delizie dorate…E non me le fai neppure assaggiare?”
Buffy si curvò su di lui,
versandogli nella tazza un po’ di succo d’arancia con la mano libera.
“Sicuro che sia una novità?”
biascicò seducente, ad un soffio dalle sue labbra. William rispose con un
sogghigno impertinente, facendola arrossire “Io…Io volevo solo imboccarti…” si
giustificò, improvvisamente imbarazzata. L’ossigenato alzò un sopracciglio,
prendendola per la vita.
“E volevi farlo da questa
distanza di sicurezza?” ironizzò, tirandola a sé così bruscamente da rischiare
di rovesciare a terra la colazione. Buffy sobbalzò, shockata, finendo seduta
sulle ginocchia del ragazzo “Ecco” sospirò, dandole un lieve bacio sulle labbra
“così va decisamente meglio…”
Lei assaporò ancora il sentore
di tabacco e spremuta della bocca di lui, approfondendo il bacio. Oltre alle
mutandine portava solo la camicia nera di lui, abbottonata distrattamente. La
sua pelle tiepida, coperta solo dal sottile strato di cotone, si premette su
quella fresca e liscia di Spike con un gemito. L’inglese chiuse gli occhi,
affondando le lunghe dita nelle onde color grano dei capelli della ragazza
finché lei non si staccò, passandogli l’indice sporco di miele sulla bocca
gonfia di baci.
“Ti va di scoprire qual è il
dolcetto?” rise, abbassandosi a succhiargli il labbro inferiore. L’ossigenato
le passò le mani intorno alla vita, tenendola più stretta. Buffy si staccò,
ansimando “Decisamente tu…” lo imboccò ancora, prendendo il cibo con le sue
stesse labbra.
William la lasciò andare
improvvisamente, irrigidito. La bionda si guardò intorno, confusa.
Cosa aveva fatto di sbagliato?
Poi lo sentì anche lei, mentre
il suono cresceva di velocità e intensità
Qualcuno stava bussando alla
porta.
“Dimmi che non è tua madre…” rantolò
Spike, notevolmente impallidito.
Farsi trovare mezzo nudo a
spazzolare le focaccine di Buffy, con lei – ancora più nuda – sulle ginocchia,
non era il modo migliore per rendere Joyce partecipe del fatto che vedesse sua
figlia…Magari il suo compagno, un certo Giles, era abbastanza grosso da fare in
modo che non potesse più mangiare brioche al miele per mesi…
“No…La mamma ha le chiavi.”
rispose la ragazza, tranquillizzandolo. Si ripulì la mani appiccicose sui jeans
di William, saltando leggera giù dalle sue ginocchia.
I colpi diventavano forti e
insistenti, e lei si gettò verso l’ingresso senza neppure mettersi addosso
qualcosa di decente, per evitare che il nuovo venuto sfondasse il battente.
Forse il ragazzo del latte era
particolarmente nervoso…
Tirò il pomello, sbuffando.
Santo Cielo, certa gente era proprio…
Angel.
Che la guardava come se
volesse incenerirla, con il braccio ancora sospeso nell’atto di bussare.
Una montagna di rabbia
disumana e folle gelosia, vestito di jeans e pelle nera.
Mi merito davvero tutto
questo?
E non le aveva mai fatto tanta
paura.
La fissò negli occhi, pozzi
neri di odio feroce, stringendo i pugni fino a sbiancarsi le nocche.
Oddio, tremò la bionda, ora ci uccide…
“Lui dov’è?” sillabò, senza
spostarsi di un millimetro.
Sembravano congelati nel
tempo, come gli amanti immortali di una favola gotica.
Buffy vide tutta la loro
relazione scorrerle davanti agli occhi: quanto poco le aveva dato, e quanto,
invece, si era preso…Da lei, dalla sua vita.
Cosa voleva ancora?
“Di cosa stai parlando?” gli
tenne testa, alzando il mento. Non aveva paura di lui.
Non più. Non adesso che qualcuno aveva deciso di donarle
tutto sé stesso, senza chiedere nulla in cambio. Né amore, né riconoscenza.
“Dov’è lui?” insistette
Liam, gelido come una lastra di granito.
Quella sgualdrinella – ancora
portava la sua camicia! – non poteva permettersi di trattarlo in quel modo!
Non poteva fare sesso con la checca ossigenata e fingere che nulla fosse
accaduto!
Lui non era un coglione, per
Dio!
“Non sognarti neppure di
toccarlo…Lui è mio.” la bionda incrociò le braccia con determinazione.
Quella fu la famigerata
goccia.
Angel entrò come una furia,
investendola.
“Tu…Tu, puttana!”
accecato dall’ira colpì la ragazza con un manrovescio, concentrando nella
grande mano maschile tutta la forza dei nervi e di anni di frustrazioni.
Buffy cadde a terra come un
sacco vuoto, premendo entrambe le mani sulla guancia dolorante.
Fissò il vuoto con occhi
grandi quanto fondi di bottiglia, piangendo sommessamente.
L’aveva fatto. Ora niente l’avrebbe fermato.
In un momento la mente di
William andò in tilt.
Angel, la sua nemesi, in
piedi, nero di rabbia.
Buffy, la sua principessa,
accasciata a terra, in un angolo.
Senza riflettere, senza la
minima esitazione, Spike si buttò sull’irlandese, tempestandolo di pugni.
Rotolarono allacciati,
ferendosi senza esclusione di colpi.
Ad un certo punto, nonostante
lo svantaggio fisico, l’ossigenato prese il sopravvento, piazzandosi a
cavalcioni dell’altro e colpendolo con furia animalesca.
“Non devi” gancio destro “mai
più” dritto “avvicinarti” uno schiaffo a mano tesa sul naso “a Buffy…” affondò
la mano nella scapola di Liam, urlando “Mai più!”
La ragazza passò lo sguardo da
un ragazzo all’altro, sconcertata. Si stavano battendo per lei.
O, almeno, questo era quello
che stava facendo William.
Il bruno lo scansò di lato
come un insetto, ripulendosi il sangue che gli colava dal naso con una manica
della giacca. Si rimise in piedi, barcollando, e afferrò l’inglese per i
capelli.
Spike urlò.
Buffy trattenne il fiato.
E Angel cominciò a sbattere la
testa ossigenata del ragazzo contro il muro.
Ripetutamente.
Mentre lo tempestava di calci,
insultandolo in una lingua diversissima dal loro solito slang.
“No!” la ragazza urlò,
aggrappandosi alle ampie spalle di Liam.
Lui non la guardò neppure,
continuando a sbattere e sbattere finché Spike non smise di opporre resistenza.
Improvvisamente si bloccò, lasciandolo cadere a terra come una bambola rotta.
Sul muro, dove prima c’era
stata la sua testa, brillava una scia scarlatta.
Guardò le sue mani sporche del
sangue della faccia deturpata dell’altro, completamente dissociato.
Cristo, urlò la sua coscienza, come è potuto succedere?
Indietreggiò, senza neppure vedere
la bionda – il pomo della discordia, la donna per la quale fino a poco prima
erano disposti ad uccidere – che si gettava sul corpo privo di sensi
dell’ossigenato, inciampando contro mobili e tavolini.
Come sembrava magra e
spaventata…
E con quanto coraggio, con
quanta forza lui l’aveva difesa…E ora giaceva a terra, pallido e privo di
sensi. Angel si rese conto, con la morte nel cuore, che al suo posto avrebbe
dovuto esserci lui.
Tutto quel calore, quel
trasporto…Solo per quella ragazzina spaurita.
E lui?
Non meritava di sentire
qualcosa, oltre il freddo?
“Buffy, io…” mormorò,
facendosi più piccolo di quanto la sua statura gli permettesse.
La ragazza si rivoltò verso di
lui come una tigre, fissandolo come se lo vedesse per la prima volta.
“Esci di qui.” scandì bene le
parole, senza espressione. “Non voglio che ti avvicini a me, ai miei amici o
alla mia famiglia mai più…Mai, hai capito?” il quaterback scosse la
testa, paralizzato sulla soglia. Buffy lo guardò con una tenacia che non
sospettava di avere, cercando a tentoni il cordless. Lo brandì come un’arma,
componendo il 911 “Sparisci, se non vuoi che chiami la polizia…”
Tanto bastò per riscuoterlo.
Infilò la porta, concedendosi un ultimo sguardo ferito.
La bionda lo ignorò
completamente, accarezzando la fronte schizzata di sangue di William.
Aveva trovato la sua verità.
Il paramedico aveva promesso
che sarebbe arrivato il prima possibile, raccomandale di non spostarlo, nel
caso avesse subito traumi cerebrali.
Buffy rimase al fianco di
Spike, pulendogli accuratamente il viso con un fazzoletto umido, senza versare
una lacrima.
Per tutta la vita l’avevano
giudicata come una di quelle stupide donnicciole che non facevano che versare
fiume di lacrime perfino per un’unghia spezzata…Ma stava dimostrando al mondo
intero di essere forte. Una vera principessa guerriera, come Xena.
Sì, l’immagine le piaceva.
Quando l’ossigenato sbatté le
ciglia sulle palpebre tumefatte Buffy credette che sarebbe potuta morire in
quel momento. Quella era la vita, la gioia assoluta. I suoi occhi si
dilatarono, brillando delle lacrime che si era ripromessa di non versare.
“Non ti muovere, amore…”
sussurrò, sforzandosi di sembrare tranquilla “Non ti muovere…È finita. I
soccorsi stanno arrivando…Non ti muovere…” la voce le tremò, mentre gli
sfiorava i capelli raggrumati dal sangue e dal gel.
“Angel…” rantolò William,
cercando le sue mani.
“È andato via…Non devi
preoccuparti, non ci farà più del male…”
“Lui l’ha spenta.” disse in un
soffio, gli occhi azzurri offuscati dalle lacrime.
“William, ti prego…Angel non
c’è più…” posò la mano su una delle sue, tentando di ignorare quanto fossero
fredde. Gelide.
“Ha spento la scintilla…Non ha
detto che avrebbe fatto così male.” balbettò, piangendo.
Lei strinse le labbra, soffocando
un singhiozzo. Doveva confortarlo, essere forte per lui…
Ma, dannazione, era
così difficile…
“Andra tutto bene, te lo
prometto…” tentò di convincere anche sé stessa, evidentemente però non era
un’attrice brava quanto sperava “Io sono qui. Non me ne vado…Te lo
giuro.”
Il ragazzo la guardò con occhi
vacui, le labbra piegate all’ingiù in una smorfia sofferente.
“Possiamo riposare ora?”
chiese debolmente “Buffy…Possiamo riposare?”
Buffy gli strinse la mano,
guardandolo negli occhi.
“Sì, William…Possiamo
riposare.”
10. Losers.
Bisognava soddisfare la
ragazza.
Il pensiero minacciava di
sfuggirgli, ma sì, era quello. Darle tutto, darle amore, darle passione,
tenerezza…la sua carne e il suo spirito…inseguire un sogno…il
sogno di essere finalmente amato…anche lei, in fondo, non voleva niente
di diverso, no?
Spike si aggrappò a quel
pensiero. Buffy. La sua dea d’oro e panna e smeraldi. La sua bocca si curvò in
un sorriso inquieto. No, non voleva sfuggire quel sogno. La realtà, fuori, era
cruda, aveva il sentore del disinfettante e le luci violente dei neon. Era
sera.
Strano, ricordava di aver
appena fatto colazione. Ciambelline al miele…
Ma era sera.
Sbatté le palpebre un paio di
volte, e si accorse che fuori era buio.
Con la luce dei neon arrivò il
dolore. Accecante.
Urlò.
“Si è risvegliato”
“Mio Dio, mio Dio, mio Dio, ti
ringrazio…”mormorò Buffy, sollevando sull’infermiera il viso tumefatto dalle
lacrime e dall’angoscia, in mano il cellulare con il quale aveva ripetutamente,
in quelle ore, chiamato sua madre. “La prego, signora, mi lasci entrare…”
“No” replicò dolcemente
l’infermiera di colore. “Solo i parenti, quando i pazienti sono in
rianimazione. E sua zia è già di là con lui.”
“Ma io sono…”
“…la sua ragazza, ho capito, ma
non entra lo stesso. Signorina, lei ha bisogno di un po’ di riposo e di
qualcosa da mangiare. E’ stata qui dalle dieci di questa mattina, e sono le
nove di sera.”
“Voglio solo vederlo” implorò
Buffy, i capelli raccolti alla meno peggio con un pinzone, indosso un jeans e
una maglietta presi a caso quando aveva seguito Spike in ambulanza.
“Adesso che si è risvegliato
potrebbe essere trasportato in reparto. Allora vedrò cosa posso fare”
Buffy annuì, e si rimise a
sedere nella piccola sala d’attesa, gettando via da sé una rivista confusamente
sfogliata già dieci volte. Un rumore di passi la fece trasalire.
“Oh, Dio, no….”
Due uomini la stavano
fissando, insieme al medico di guardia, una signora sulla cinquantina.
Il Preside Snyder e il Coach
Wood.
“Miss Summers” gracchiò il
preside, scrutandola senza nessuna indulgenza. “Vuol dirci che diavolo è
successo? Uno dei miei studenti finisce in rianimazione con trauma cranico…e
guarda caso succede a casa sua! Perché la cosa non mi sorprende?”
“Preside Snyder, abbassi la
voce” suggerì Wood. “Fuori c’è un ispettore di polizia. La zia del ragazzo ha
sporto denuncia.”
“Contro la signorina Summers?”
pregustò lo spregevole ometto.
“No. Per ora contro ignoti. Ma
sicuramente Miss Summers ci dirà per filo e per segno cosa è successo, in modo
che noi si possa collaborare con le autorità”
Buffy abbassò lo sguardo sui
piedi. Cosa le importava? Potevano espellerla, sospenderla, metterla persino in
riformatorio. Tutto ciò che contava per lei, in quel momento, era che Spike
stesse bene. Doveva stare bene, dannazione!
La forte voce maschile –
dall’accento inglese – zittì i due uomini.
Buffy sollevò il capo,
sorpresa.
L’amico di sua madre!
Che diavolo ci faceva lì? Come
aveva saputo? Ah, già…sua madre era a San Diego e ovviamente – nella fretta di
raggiungerla – doveva aver avvisato il suo fidanzato di correre in ospedale e
assisterla. Ma mai Buffy avrebbe pensato che quell’inglese rigido e pomposo l’avrebbe
difesa. Lo fissò, occhi verdi nei suoi occhi azzurri, e vide in lui
qualcosa che finalmente le lasciò intuire perché sua madre – che pure era stata
crudelmente ferita dagli uomini – si fidasse tanto di lui. Era un uomo pieno di
dignità.
“Lei chi è? Perché si
intromette?”
“Mi chiamo Giles, e sono il
compagno della madre di Buffy. Non posso permettervi di turbarla a tal punto.
E’ stata testimone di un fatto violento, il suo ragazzo è finito in
rianimazione, non vedete che fa fatica a stare in piedi? Ci sarà tempo per le
domande. Buffy, vieni: ti porto a casa”
Buffy si alzò, e si appoggiò
al braccio di Giles. “Rupert…la prego…implori la zia di Spike…William…di
lasciarmelo vedere. Aspetto da stamattina. Non resisto più…”
Giles la fissò, e lentamente
annuì, scortandola fuori dalla sala d’attesa.
“Domani mattina parleremo”
minacciò Snyder, fissandola dal basso in alto.
“Buffy…saluta Spike. Digli di
rimettersi. Ci manca la sua velocità, in attacco” mormorò Wood, chiaramente
dispiaciuto dell’accaduto. Buffy si chiese da che parte si sarebbe schierato il
coach quando avrebbe saputo che il suo quarterback, il suo golden boy,
era il responsabile dell’accaduto.
“Domani dovrai parlare con
loro, e probabilmente anche con la polizia” le disse Giles, mentre la accompagnava
verso la rianimazione. “Ma per allora ti troveremo un avvocato. Conosco il tipo
adatto. Tua madre arriverà qui in nottata, e vorrà parlarti. Vorrei che prima
di allora tu possa riposare un po’, ne hai un gran bisogno”
“Devo vedere Spike” ripeté Buffy,
come un disco rotto. Giles annuì, e sospirò.
Al vederla, la zia del ragazzo
non sembrava una facile preda ai sentimentalismi.
Appena vide la ragazza,
infatti, l’attaccò.
“E tu chi diavolo sei?
Perché Spike si è spaccato la testa a casa tua?”
“Signora, io…”
“E perché non hai chiamato i
suoi amici? I suoi veri amici, intendo…non quei fighetti di classe come
te, ma Fred, Tara, Lindsey. Lo farei io, se solo avessi i loro numeri….” La
voce della donna si incrinò. Buffy la vide e ne ebbe pietà. Capì che stava
soffrendo, che era preoccupatissima. Per cui non se la prese. Ma si diede
ugualmente della cretina. Erano trascorse ore e ore da che Spike era stato
ricoverato, e nessuno aveva pensato ad avvisare i suoi amici…Buffy trasse dallo
zainetto il cellulare di Spike, che le aveva dato l’infermiera quando aveva
riposto le sue cose nell’armadietto, e lo accese. Con un po’ di fortuna avrebbe
trovato i loro numeri in memoria.
“Li chiamo io, ha ragione,
signora. Ero così preoccupata per lui che…lo so, non ho scuse” gli occhi della
ragazza si riempirono di lacrime. La donna tirò su con il naso, e se lo tamponò
con un grosso fazzoletto colorato. Sebbene fosse in America da decenni,
conservava ancora l’accento inglese.
”Suo padre me l’ha affidato. Pover’uomo, dopo la morte della mamma di Will non
è più stato lo stesso. Aveva un sacco di problemi, a Oxford l’avevano
licenz…insomma, aveva anche pochi soldi. William è sempre stato un bravo
ragazzo. So che dovrei telefonargli e dirglielo, ma mi manca il coraggio…”
Buffy l’abbracciò, d’istinto,
e la donna non la respinse. “Adesso chiamerò i suoi amici, glielo prometto. Ma,
la supplico…me lo lasci vedere. Un solo istante, la prego…”
La donna annuì, e l’infermiera
sorrise. Stringendo il cellulare in mano, Buffy entrò. Un paravento lo separava
da lei, ed un lungo brivido le scorse lungo la schiena. Le pareva incredibile
pensare che, solo poche prima, facevano l’amore felici, inebriati dalla
scoperta di un giovane amore.
Lui aveva la testa fasciata.
Cielo, dovevano avergli tagliato i suoi capelli platinati, il suo marchio di
fabbrica…Buffy sorrise suo malgrado. Lui avrebbe bestemmiato quando l’avesse
scoperto.
“Spike…”
Lui aprì gli occhi, sollevando
palpebre rese pesanti dalle flebo e dagli analgesici. E la vide.
“Buffy…”
La sua voce era poco più di un
sussurro, e calde lacrime bagnarono gli occhi di lei, che si lasciò cadere
accanto al letto. La prova della brutalità di Angel…Liam…o chi diavolo fosse
quel demonio che, quel mattino, si era scatenato su di loro …era nei suoi lineamenti
tumefatti, nel suo labbro spaccato…sul suo stesso viso, che da ore non guardava
in uno specchio.
“Come stai?”
“Se mi garantisci che sono
ancora vivo…beh, poteva anche andarmi peggio”
“Mio Dio, non capisco cosa…”
“Io lo capisco benissimo”
sussurrò Spike. “C’è un demonio dentro quel ragazzo. Del male primordiale, che
preme per uscire. Ma non ho la forza di discuterne, ora. Ciò che conta è che tu
stia bene”
“Io?” rise amaramente Buffy.
“Sei tu quello bendato, in un letto, attaccato a delle flebo!”
Spike sorrise, e il labbro
riprese a sanguinare.
“Ma sei tu quella di cui mi
importa”
Buffy chiuse gli occhi,
portandosi alle labbra la sua mano dalle nocche ancora screpolate, ricoperte di
garza: anche Angel doveva ancora portare i segni del suo fiero attacco.
Ricordava benissimo come aveva combattuto per lei, per il suo onore, il suo
amore. Il sentimento che la invase fu, al pensiero, così intenso da scuoterla.
“Stai tremando…”
“Ho temuto di perderti”
confessò lei, baciandogli la mano fasciata e ferita. “C’è stato un momento
che…Spike, non ho mai avuta tanta paura in vita mia”
“Anch’io” confessò lui “Ma tu
eri lì. Era bello, malgrado tutto”
“No, era orribile, e non dovrà
capitare mai più”
“Buffy…stagli lontana. Quel
ragazzo è capace di tutto, e l’ha dimostrato. Promettimi che non lo cercherai,
e che starai attenta. Fatti accompagnare da Lindsey a scuola, e poi a casa. Non
restare mai da sola. Telefona a Fred e a Tara, fatti scortare da loro in
classe. Telefona a tutti”
“Lo farò” annuì lei. “Te lo
prometto”
Non gli chiese se l’avrebbe
denunciato, se si aspettava che lo facesse lei. Il sedativo che gli avevano
dato per aiutarlo a riposare fece finalmente effetto, e Spike si assopì. Buffy
lasciò ricadere piano la sua mano sulla coperta. E rimase a fissarlo. Gli occhi
verdi e freddi come brillanti.
Angel gliel’avrebbe pagata.
Senza più parole, Buffy seguì
Rupert Giles fuori dall’ospedale nella fresca serata californiana fino a che,
in silenzio, arrivarono a casa. “Tua madre sarà qui a momenti: mi ha chiamato dall’aeroporto.
Fila a nanna: ne hai bisogno”
“Rupert, devo fare delle
telefonate, prima…gli amici di Spike” spiegò Buffy.
“C’è qualcosa di cui dobbiamo
parlare” le disse l’inglese, facendola sedere in salotto e porgendole un
bicchiere d’acqua. “Mentre tu eri dentro con William, è arrivato il medico. Ci
ha detto che potrebbe essere dimesso presto, se continua a rispondere così bene
ai trattamenti, ma che avrà bisogno di assoluta tranquillità per almeno una
settimana. Sua zia mi ha detto che abitano in una casa piccola, e ha cinque
figli maschi in età scolare. Spike non deve essere assolutamente disturbato: la
tranquillità è fondamentale nei casi di commozione cerebrale. Niente tv,
computer, videogiochi, rumore.”
“Avete in mente qualcosa?”
chiese Buffy. “Potrebbe venire qui….se solo mamma fosse d’accordo…”
“Veramente ho avuto un’idea
migliore” le disse Giles. “Ho uno chalet al mare vicino alla costa di
Badmington, a pochi chilometri da Sunnydale. William, appena starà un po’
meglio, potrebbe andare lì. Tu ed i tuoi amici potreste tenergli compagnia
durante il giorno. E’ un posto molto tranquillo, c’è una grande aria. Ed un
sacco di spiaggia per fare delle tranquille passeggiate. Gli farà bene”
Buffy lo guardò con
gratitudine. “Avevo un sacco di preconcetti su di te, Rupert…mi dispiace. Ti
ringrazio profondamente per il modo in cui ti stai prendendo cura di me e del
mio ragazzo”
“Non sono un mostro, Buffy.
Voglio sinceramente bene a tua madre. E a te. Mi sembrava fossi una ragazza un
po’…non avertene, superficiale? Pensavo dipendesse dall’età. Ma stai
mostrando una nuova maturità, devo ammetterlo.”
“Finendo nei guai?” sorrise
Buffy.
“No, cercando il modo per
uscirne” sorrise a sua volta Rupert. “Domani mattina andrai a scuola con il mio
amico avvocato. E’ un tipo un po’ particolare, vedrai…ma in gamba. Di solito si
occupa di vertenze sindacali degli attori, per cui ama i soggetti un po’
estrosi…con il tuo Spike ci andrà a nozze. E ti consiglierà bene”
“E’ vero quello che ha detto
il preside?” rabbrividì Buffy. “Mi interrogheranno?”
“Sicuramente. Dovrai
concordare prima con lui cosa dire. Vuoi denunciare l’aggressore?”
Quella era una bella domanda.
Buffy ci rifletté mordendosi il labbro. In quel momento la porta d’ingresso si
aprì ed arrivò Joyce. Buffy si buttò tra le braccia di sua madre.
“Bambina mia, che è successo?”
Buffy non pianse, ma si
godette l’abbraccio della madre. Rupert Giles ne approfittò per eclissarsi,
discretamente.
“Ti ho mentito, mamma” mormorò
Buffy, sincera. “Ieri sera ho portato William a casa. E …sì, abbiamo dormito
insieme.”
Sorpresa e delusione si
dipinsero sul volto di Joyce. “Perché non me l’hai detto? Credevo fossi da
Darla…”
“Non frequento più Darla, e da
parecchio” replicò Buffy. “Devo essere onesta fino in fondo, mamma, solo così
capirai se puoi aiutarmi, o meno. Non sono vergine, e da parecchio. Sono andata
al consultorio della scuola e mi sono fatta dare la pillola. Purtroppo ho fatto
questo passo con il ragazzo sbagliato. Liam….”
“Ma….” Joyce si stupì. “Liam
non era il ragazzo di Darla?”
“Appunto” arrossì Buffy.
“Frequentava anche me, segretamente. E sono stata così stupida
da…permetterglielo.”
“Lo amavi, tesoro?”
“Credevo di amarlo.
Evidentemente, mi sbagliavo, e quando ho conosciuto Spike…William…beh, ho
capito. Con lui era tutto diverso, più…pulito. A quel punto avevo già mollato
Liam…e Darla ci ha scoperti. Ha fatto l’inferno in terra, ha infangato la mia
reputazione. Ho cominciato ad uscire con altre due ragazze, Cordy e Lilah.
E…ieri sono andata ad una festa a casa di Cordy con William…e noi…”
“Gli vuoi bene davvero, o è
solo un’avventura?” chiese Joyce, accarezzandole il volto.
“Gli voglio bene davvero. E
lui è davvero il mio insegnante di inglese. Diamine, dovrei studiare,
dopodomani ho il primo test del semestre. Liam ha saputo che lui ha passato la
notte qui, non chiedermi come, perché non lo so…e stamattina è venuto. Mi ha
picchiato. Spike mi ha difeso, e l’ha picchiato a sua volta…e Liam è diventato
selvaggio. Sembrava una forza della natura. Si è avventato su di lui e gli ha fatto
sbattere più volte la testa contro il muro. Ero sicura che l’avrebbe ucciso”
Una lenta lacrima scorse lungo
la guancia di Buffy.
“Tesoro…devi dirlo alla
polizia”
“Lo so” replicò lei. “E lo farò.
Ho davvero tenuto a Liam, ma ciò che ha fatto è imperdonabile. Spike ha
rischiato grosso.”
Joyce la fissò. “Mi sembri
cambiata…più matura. Sono addolorata che tu abbia scoperto così la brutalità
del mondo. Promettimi che non lascerai più che Liam ti si avvicini”
“Lo prometto. Mamma, odio
lasciarti ma…devo fare alcune telefonate. Gli amici di Spike non sanno ancora
nulla”
“D’accordo. Ti preparo una
minestra calda. Intanto, mettiti il pigiama e vai a letto: devi riposarti per
domani”
Buffy annuì, prendendo il
cellulare di Spike e dirigendosi verso la sua stanza.
In rubrica trovò i tre numeri
che cercava. Fred. Tara. Lindsey.
E poi vide quello di Dru.
Ma non le pareva il caso di
creare ulteriori problemi alla ragazza, ammesso che fosse a sua volta già uscita
dal pronto soccorso.
Una fitta di gelosia la
percorse. Il particolare legame tra Spike e Dru non era mai stato un segreto
per nessuno, nella scuola. Vero, ora lei usciva con quella montagna tutta
muscoli e poco cervello di Graham…e Spike…stava con Buffy…no? Mordendosi le
labbra, si disse che appena Spike fosse stato meglio, avrebbero dovuto parlare
della loro relazione.
Parecchio.
“Mmmmm…..”
“E’ un mmmm di dolore….di
piacere….di noia….”
“Di piacere, continua….”mugolò
la ragazza dai lunghi capelli scuri, mentre Wes esplorava con dolcezza la pelle
di panna del suo collo, soffermandosi con le labbra sulla pelle delicata della
sua nuca, dietro le orecchie. La fece ridere.
Fred rideva come una
cascatella di felicità. Il suono scivolò su Wes rallegrandolo, facendolo
sentire vivo.
Anche se era un ragazzo
profondamente morto, non appena la sua manesca fidanzata si fosse resa
conto di quali fossero i suoi veri impegni delle ultime sere. E con chi.
“Stiamo facendo delle enormi sciocchezze”
mormorò Fred, mentre la mano di lui stringeva quella di lei, che teneva
abbandonata in grembo. Sentire le proprie dita tra quelle calde di lui era un
indicibile conforto. Oh, cielo…”Tu sei impegnato. Io una nerd. Nessuno
capirebbe”
“Al diavolo tutti” mormorò
Wes, spostando in tempo le sue labbra dal collo perfetto di lei per
impadronirsi nuovamente della sua morbida, succulenta bocca dal sapore di
fragola. Inebriato, continuò a baciarla piano,e ancora, e ancora, lasciando che
la punta della sua lingua sfiorasse appena quella curiosa e timida di lei. “Non
ci credo che quello di ieri sera era il tuo primo bacio” sorrise, le labbra su
quelle di lei, incapaci di staccarsi. “Eri deliziosa. Sei deliziosa. Non ne
avrei mai a basta.”
“Ma dobbiamo…” protestò Fred,
riluttante a lasciare quel sogno, le ore d’incanto che trascorreva tra le sue
braccia. Ore che sarebbero finite presto, se lo sentiva. Non appena Faith…al
solo pensiero, le si torceva lo stomaco: Faith poteva davvero spaccarle la
faccia, e non avrebbe saputo dire nulla in sua difesa. Era palesemente in
torto. Usciva con il suo ragazzo. E nessuno lo sapeva.
“Fred, ti prego, toccami….”
La sua implorazione venne
sovrastata dallo squillo imperioso del telefonino. “Oh, mannaggia!” replicò
lei, districandosi dalla stretta di lui per infilare la mano nello zainetto.
Quell’aggeggio continuava a suonare. Se era Spike, si sarebbe sentito le sue,
visto che era tutta la giornata che lo cercava e che lui non si faceva trovare.
Wes cercò di ricomporsi,
minimizzando l’effetto devastante che quello scricciolo dai capelli scuri
esercitava sul suo corpo, e per farlo ricorse al solito fazzoletto con il quale
pulirsi gli occhiali.
“Pronto?” ansimò Fred,
osservandosi orripilata (affascinata?) nello specchietto retrovisore. Ma era
lei? Quella creatura dallo sguardo brillante e dalle labbra gonfie di baci, le
guance rosse…il golfino semiaperto sul seno, la camicetta slacciata…no, non era
lei.
Non era possibile.
Si divincolò senza troppa
fortuna, mentre le mani di Wes circondavano piano, sensualmente, la sua vita
sottile.
“Fred? Sono Buffy Summers. La….ragazza cui Spike da’ ripetizioni”
Al cervello ottenebrato di
Fred, reso ancora più lento dal fatto che Wes stava decisamente premendo il suo
torace contro i suoi piccoli seni, l’informazione arrivò praticamente
incomprensibile. Buffy, chi?
“Buffy. Ti ricordi di me?”
“Sì, ma….”
“Spike purtroppo ha avuto un
incidente. C’è stata una…aggressione, e lui è finito al pronto soccorso. Ma non
preoccuparti, ora sta meglio. Dovrebbero dimetterlo presto. Sua zia…voleva che
voi, i suoi amici sapeste cosa era successo. Se volete andarlo a trovare, dopo
la scuola, domani, beh…io sarò là”
Le parole pronto soccorso
furono come una secchiata d’acqua fredda. Fred si districò dolcemente ma
decisamente dalla stretta di Wesley e si raddrizzò. “Spike sta male? E’
stato…picchiato? Chi è stato?”
Oh, cazzo….
A Wesley la dinamica
dell’accaduto fu dolorosamente chiara in un nano secondo. Specie dopo quello
che gli aveva sussurrato Xander in mensa. Liam aveva beccato la sua ex amante
con quel biondo di merda e l’aveva conciato per le feste.
Peccato che, in tutto il
giorno, aveva ossessivamente pensato a Fred, a come avrebbe fatto a convincerla
a trascorrere di nuovo un paio d’ore con lui quella sera, e MAI, nemmeno una
volta, si era detto lei è la migliore amica di William Shelby. Che
stupido, che stupido!!!
La sua espressione colpevole
lo tradì.
“Tu…lo sapevi?” intuì Fred,
dopo aver salutato Buffy ed averla ringraziata. “Sapevi che Spike era in
ospedale? Perché diavolo non me l’hai detto?”
“Perché sono uno stronzo e…non
ho collegato il fatto che era tuo amico?” rispose debolmente Wes.
Lei era furiosa. Si staccò da
lui come se fosse stato velenoso ed uscì dalla sua lussuosa Porsche
sbattendogli dolorosamente la portiera sull’erezione.
“Fred, aspetta…” ansimando per
il dolore, Wes fece per inseguirla. Ma lei si precipitò verso casa, infuriata.
Spike era il suo migliore amico, quello che l’aveva sempre difesa, sempre
consolata, sempre ascoltata.
E la cosa migliore che si
potesse dire di Wesley Whyndham – Pryce era che…beh, baciava da Dio.
No, aspetta…non era questo
il punto.
Il punto era che lui sapeva da
ore che Spike era in ospedale, e non aveva nemmeno pensato di dirglielo.
Con gli occhi pieni di
lacrime, gli sbatté la porta in faccia.
E Wes rimase solo, sentendosi
un tremendo deficiente.
Che ne sapeva, lui, che lei
tenesse tanto ad un amico? Nel suo ambiente, nessuno teneva davvero a nessuno….
“Entra, Buffy…ma, mi
raccomando, niente fiori. Mi fanno venire il mal di testa”
Non era Buffy. Spike sollevò
il capo bendato, sentendo dai passi, più pesanti, che non si trattava di una
donna.
Un ragazzo alto e ben piantato
si stagliò tra lui e la finestra. La luce del mattino lo disegnò come tenebra.
“Angel….” Mormorò Spike. Un
sorriso sorpreso, eppure non troppo, si disegnò sul suo volto.
“Spike…” replicò il
visitatore. “Come stai?”
“Ancora…vivo” scandì Spike.
“Non certo per merito tuo”
“Mi hai già denunciato?” chiese
Liam, prendendo una sedia e sedendosi, per non costringere Spike a sollevare il
capo.
“No” sorrise Spike.
“Lo farà…Buffy?”
“Sicuramente le chiederanno
ciò che è successo…e non credo che lei mentirà.”
“Potrebbe stupirti” sorrise
Liam, suo malgrado.
“Potrebbe” ammise Spike.
“Potrebbe anche avere un sacco di guai per ciò che è accaduto. Ci hai pensato,
almeno, quando sei piombato in casa sua come Terminator?”
“Non molto” ammise Liam.
“Pensavo più a te.”
Spike lo fissò, divertito.
“A me? A quanto mi odi?
A quanto mi disprezzi? A quanto ti rode che mi fotto la tua ragazza?”
Le belle labbra di Liam si
piegarono in una specie di sorriso, seppur troppo sghembo per poter essere
definito tale.
“Sì, qualcosa del genere. Ma
non solo”
“Illuminami” gli occhi azzurri
di Spike si tesero, diventando una lama d’acciaio.”Dammi una spiegazione valida
per una violenza che ha minacciato di spedirmi al Creatore”.
“Non posso spiegarti alcunché”
replicò Liam. “A volte sento qualcosa dentro che minaccia di sopraffarmi. E’
un’emozione violenta, che non so dominare. Mi chiedo se sia qualcosa di analogo
a quello che…lo ammetto…spedisce mio padre in cerca della cocaina. Mi auguro di
no. Prego che non lo sia. Spike, non sono fiero di quello che ho fatto. Per
niente. E ne pagherò le conseguenze”
“Ma non ti piacerò di più per
questo.”
“No, non mi piacevi” ammise
Liam. “Non è così semplice. Pensavo tu fossi un perdente, e invece… Non
potrai mai essere mio amico, nel modo in cui lo è Xander, o Wes…e so che
nemmeno vorresti esserlo. Ma quello che mi ha profondamente fatto incazzare non
è tanto il fatto che Buffy ti scopi…quanto che so perché lo fa.”
“Perché la tratto come un
essere umano decente anziché come una svuotacoglioni?”
Liam sorrise. “Sì. Tra le
altre cose”. Si alzò, e lo fissò, dall’alto. “Via una ragazza, sotto l’altra.
E’ così che funziona nel nostro ambiente. Dru, Darla, Buffy, Faith…sono tutte
uguali. Vogliono tutte la stessa cosa: accettazione sociale. Uscire con il
quarterback. Essere la reginetta della scuola”.
”Ne sei sicuro?” chiese Spike.
Liam scosse la testa. “No. Ma
è più semplice crederlo, forse.”
“Direi che il problema non è
tanto quello che vogliono da te….” Esclamò Spike. “Quanto quello che vuoi tu.
Ami Buffy? Beh, allora diglielo, lealmente. E io lealmente combatterò per lei.
E sarà lei a scegliere. Ma non credo sia questo il caso. Mi sbaglio? Forse a te
fa semplicemente comodo uscire con le ragazze più belle e in vista della
scuola…e lasciare che si scannino pubblicamente per te”
Un lampo attraversò gli occhi
scuri del ragazzo. “Hai studiato psicologia?”
“No, sono solo molto
intelligente” replicò, divertito, Spike. “Ed ora, aria. Sto aspettando il
medico. E credo che presto qualcuno aspetterà te…qualcuno con le manette,
intendo”.
“Spike….”
“Sì?”
Spike lo fissò, sorpreso…ma
non ebbe il tempo di replicare. Liam era già scomparso.
“E quello chi sarebbe?”
Sorpresa, Buffy si appoggiò alla
finestra e vide un uomo alto e dinoccolato, con un assurdo completo bianco ed
una camicia sgargiante di…raso….scendere da una Maserati e venire verso
casa sua.
“L’avvocato, tesoro. L’amico
di Rupert”
Buffy scosse il capo. Quel
tipo avrebbe dovuto difenderla da Snyder?
Era spacciata.
Joyce indossò il migliore dei
suoi sorrisi e aprì la porta.
“Carey Greene. Avvocato. Può
chiamarmi Lorne, dolcezza. Come Bonanza” sorrise l’uomo dal naso
aquilino, con tutti e trentasei i denti bene in vista.
“Avvocato Greene, si accomodi.
Buffy….l’avvocato è qui per te”
Buffy sospirò, si aggiustò il
top rosa con il golfino in tinta, e tese la mano all’uomo.
“Raccontami tutto. In
macchina”
Buffy lo fissò, stupita.
Andavano a scuola in Maserati? Il meno che Darla e quelle oche delle sue
amiche avrebbero pensato era che ora lei batteva e si faceva portare a
scuola da un cliente di West Hollywood.
Lanciò un sorriso incerto a
sua madre e seguì il tipo sgargiante giù per il vialetto.
“Ecco io….avevo questo ragazzo
che…”
“Aspetta. Prima la musica”
Buffy sollevò gli occhi al
cielo, mentre il tipo rovistava tra i cd e metteva su….Barry White? In
che bizzarro incubo per gay era capitata?
“Allora, avevi un ragazzo…”
riprese l’uomo. Buffy si fece coraggio e raccontò per l’ennesima volta in
ventiquattro ore tutto ciò che era accaduto.
“Bene” disse l’uomo quando lei
ebbe finito. “Mi sembra chiaro che tu non dirai una parola. A nessuno,
nemmeno il preside. Nessuno può interrogarti se non in mia presenza, e sarò io
a parlare per te. D’accordo?”
“Non potrebbe trovarmi più
d’accordo” bofonchiò Buffy. Malgrado tutto, il tipo prendeva la cosa sul serio.
Aveva un luccichio d’acciaio negli occhi che le fece pensare che conosceva il
fatto suo.
Arrivarono a scuola. Buffy
sentì su di sé gli occhi di tutti, e seppe – senza bisogno che nessuno fiatasse
– che sapevano. Sapevano probabilmente il come, il quando e il perché.
Non arrossì. Sua madre aveva ragione: non aveva fatto nulla di male.
All’entrata, come per tacito
accordo, tre figure si staccarono dalla folla e si accodarono dietro di lei.
Fred, Tara e Lindsey.
Buffy si sentì gli occhi
pungere di commozione. Non li conosceva quasi, il contatto più esteso che aveva
avuto con loro era stato il giorno prima, al telefono. Ma loro mostravano la
loro lealtà.
Alla ragazza di Spike.
Altri sguardi li seguirono
dall’ombra, ma loro non li notavano. Sguardi ansiosi di capire.
Lo sguardo di Wes, che si
sarebbe venduto l’anima al diavolo pur di far la pace con la sua dolce Fred.
Che non poteva più nemmeno sopportare la sfacciata bellezza che gli
premeva addosso, se non aveva come prospettiva quella di un paio d’ore rubate
tra le braccia della sua Winifred.
Lo sguardo di Xander, che
provava qualcosa di affine alla…vergogna.
Lo sguardo di Willow, che
studiava la figura morbida e sensuale di Tara e si chiedeva come al mondo si
potesse ottenere la sua lealtà.
Una sola creatura non restava
nell’ombra.
Darla fece un passo avanti,
sotto il sole del mattino.
Bella, bellissima con il suo viso
d’angelo, la sua minigonna scozzese e un lollipop rosa tra le labbra.
E sorrideva.
Buffy si fermò davanti a lei.
E il suo corteo, avvocato ed amici, si fermò dietro di lei.
Gli occhi azzurri di Darla
rifulsero di malizia.
Qualcosa dentro Buffy andò in
fiamme.
“Spike ha avuto ciò che si
meritava. E anche tu, puttana” sibilò Darla, ignorando lo sguardo
intenso di Lindsey e il silenzio improvviso del campus.
“Amici” replicò Buffy, la voce
che le si spezzava in una risata. “Questa zoccola si rallegra del fatto
che il suo ragazzo ha mandato all’ospedale il mio ragazzo. Ma che persona
sei?!”
Nessuno ebbe il coraggio di
dire nulla. Darla non abbassò lo sguardo, non l’avrebbe fatto per nulla al
mondo. In nessuna circostanza.
Ma qualcosa dentro di lei si
spezzò.
Buffy raggiunse serenamente
l’ufficio del preside.
Il preside era in riunione.
Buffy aspettò tranquillamente
fuori, mentre il suo avvocato solcava il corridoio a lunghi passi.
Si sentiva la testa vuota.
Troppe cose le erano successe nelle ultime ore. Troppe emozioni.
Ad un tratto la porta si aprì,
e ne uscirono due uomini.
Anzi, un uomo ed un ragazzo.
Buffy sollevò lo sguardo ed
incontrò quello scuro e impenetrabile di Liam. L’uomo accanto a lui ne era una
versione più matura, ma aveva lo stesso fisico imponente e gli stessi occhi
scuri. Doveva essere suo padre.
Un padre ricco e potente. La
bocca di Buffy si torse in una smorfia. Ecco, sicuramente erano già riusciti ad
uscire indenni da quel pasticcio. Di che stupirsi?
Li guardò andare via, e poi
entrò con l’avvocato dal preside. Snyder non era solo: coach Wood era
appoggiato alla finestra, e guardava ostinatamente fuori, le braccia
incrociate.
C’era un ispettore di polizia,
che parlottò con l’avvocato di Buffy, mentre lei restava immobile, le mani
strette in grembo.
Ad un cenno, senza che Snyder
– con indosso l’espressione dei giorni neri – le rivolgesse neppure la parola,
Lorne la prese per un braccio e la ricondusse fuori.
“Beh, zucchero, non credo
avrai più bisogno del mio aiuto” le disse, mentre si allontanavano per i
corridoi pieni di sole. “Il colpevole…Liam O’ Connor ….si è costituito alle
autorità. Ma la zia del ragazzo ferito, William Shelby, ha ritirato la
denuncia. Si sono accordati per un risarcimento. William avrà una borsa di
studio per Yale. E anche tu avrai qualcosa. Il loro legale prenderà contatto
con me per stabilire l’ammontare del risarcimento”.
Buffy lo fissò, sbattendo gli
occhi.
“Pagheranno? Denaro?”
“Sì. Denaro. La pecunia
doloris”
“Ma….”
“Non può bastare, lo so. Liam è
stato sospeso da scuola per un mese. Anche se, guarda un po’, giocherà comunque
per la squadra di football….non credo che, con i suoi soldi e la sua
reputazione d’atleta, sarà un problema per lui accedere comunque ai SAT, i test
d’ingresso per l’università”
“Saranno tutte ansiose di
accoglierlo” commentò Buffy. “Mi chiedo se la zia di Spike abbia chiesto il suo
parere, prima di accettare questa proposta”
“Mi auguro di no” commentò
Lorne. “E’ un’ottima soluzione per lui, specie visti i problemi finanziari del
padre. William mi dicono sia un ragazzo brillante: sarebbe un peccato
rinunciare ad un occasione del genere per orgoglio. E consiglierò tua madre di
accettare qualsiasi proposta arrivi dagli O’ Connor, e magari di rilanciare”.
Lorne le sorrise. “L’inchiesta è finita. L’accordo extragiudiziale ha messo
tutti d’accordo. Puoi tornare alla tua solita vita. E…vuoi un consiglio? Stai
alla larga da maneschi figli e figlie di papà”
Buffy lo salutò e lo guardò
andare via.
Subito, vicino a lei, ci
furono Fred, Lindsey e Tara.
Con un sospiro, tornarono
tutti in classe.
“Stavolta te la sei cavata con
poco” mormorò il padre di Liam, salutandolo prima di tornare ai suoi affari. Il
suo sguardo scuro – come quello del figlio – era di ghiaccio. “Stai alla larga
dalle puttanelle, te l’ho detto mille volte. Prima che te ne renderai conto,
una di quelle ti metterà davvero nei guai. Ti scodellerà un marmocchio e ce la
dovremo mettere in casa”
Le labbra di Liam si
strinsero, ma il ragazzo non disse nulla.
“E stai alla larga da
quell’eurotrash di Shelby. Le tue intemperanze ci sono già costate care”
Di nuovo Liam non disse nulla.
“Del resto” concluse il padre,
dal finestrino aperto della sua decappottabile Mercedes Benz. “Sei e sei sempre
stato un perdente. Non mi sono mai illuso che potessi valere qualcosa”
Il signor O’ Connor non disse
altro. Mise in moto e se ne andò.
Liam rimase immobile, sotto il
sole, le mani nascoste nelle tasche dei jeans. Strette a pugni.
Non era affatto finita.
11. In ritiro
Giles entrò a passo sicuro
nello chalet, carico di pacchi. Evidentemente tutta roba di Buffy, visto che
gli effetti personali di Spike occupavano a malapena un borsone.
Il ragazzo era stato dimesso
in un paio di giorni, e lei aveva cominciato a progettare la loro
permanenza lì con assoluta serietà. Doveva occuparsene di persona, visto
che lui continuava a declinare gentilmente – e debolmente - l’offerta, e sua
zia la guardava con un cipiglio invidioso e vagamente oltraggiato.
Quegli estranei, quegli
stupidi parvenu pretendevano di sapersi occupare di Will meglio di lei.
Spocchiosi e ignoranti, ecco cos’erano…
La bionda sostenne William,
facendo in modo che passasse un braccio sulle sue spalle magre, aiutandolo a
camminare con apparente leggerezza.
Fred barcollò sotto il peso di
un’enorme scatola di Marshmallows, chiedendo timidamente il permesso.
“Dai a me, cara…” le disse
Joyce sbrigativamente, caricandosi i dolci addosso senza sforzo “William…Sei
sicuro che ti piaccia la cioccolata con questi?” si rivolse all’inglese,
sorridendo dietro i bagagli della figlia “Non sono troppo da boyscout?”
“Assolutamente no, mamma.”
rispose imperiosamente Buffy, accarezzando discretamente il fianco di Spike “Si
ha bisogno di molti zuccheri, se ci si vuole rimettere in forze…Non è vero,
William?” Gli sorrise allusivamente, facendolo deglutire.
“Donna…Un po’ di pietà per un
povero disabile…” mormorò lui, arrossendo.
L’altra ragazza arrossì,
afferrando perfettamente cosa voleva dire Buffy.
Finalmente le capiva anche
lei, queste cose.
E tutto per merito di Wes, si disse tristemente.
Da quanti giorni non lo
vedeva?
Dio, le mancava così tanto…
Ma non doveva cedere. Lui
aveva sbagliato, la loro storia era sbagliata. Non era importante quanto quello
che sentiva, quello che lui le faceva sentire, fosse giusto. Avevano
imboccato una strada che non li avrebbe portati da nessuna parte…O, nella
migliore delle ipotesi, fra le mani pesanti di Faith.
Winifred inghiottì il suo
magone, guardando in basso, cupa.
“Dove posso lasciare i tuoi
bagagli, William?” chiese Giles, schiarendosi la voce.
Spike lo guardò senza vederlo
realmente, accorgendosi che il mal di testa stava arrivando di nuovo a
tormentarlo. Aveva bisogno assolutamente di un altro antidolorifico…
“Per me è lo stesso…Grazie.”
mormorò fra i denti, appoggiandosi faticosamente sulla ragazza.
La bionda vacillò, provando a
tenersi dritta nonostante il peso di lui.
“Vuoi sederti?” sussurrò,
rendendosi conto del suo disagio.
Che stupida, non ci aveva proprio pensato…
Spike annuì debolmente, senza
protestare quanto lei lo accomodò con gentilezza sul divanetto più vicino. Era
ancora troppo debole per curarsi del suo orgoglio maschile. Quindi, dannazione,
poteva permettere che lo trattassero come un bambolotto…Ancora per un po’.
E in un certo senso, anche se
non voleva ammetterlo, era rinfrancante smetterla di giocare al superuomo.
Tornare bambino e, solo per un istante, farsi coccolare…
Le sue palpebre tremarono,
minacciando di chiudersi contro la sua volontà.
Buffy fece cenno di tacere
alla madre, che parlottava con Fred di archeologia e cucina creativa. Joyce
sorrise, annuendo, e prese Rupert sottobraccio, conducendolo fuori dalla porta.
Quel povero ragazzo aveva
bisogno di riposare più di ogni altra cosa…
Fred si mise da parte senza un
sospiro. Aveva molte cose da dire a Spike…Ma c’era tempo.
Non è importante, si ripeté con rammarico, Buffy viene prima di me.
Buffy è la sua ragazza.
Quelle parole suonavano
strane, nel suo cervello. Lei non era mai stata la ragazza di nessuno…E non se
ne era mai rammaricata eccessivamente, in realtà. Quella breve parentesi con
Wesley non aveva fatto che costruirle un castello di illusioni che non poteva
che nuocerle.
Era giusto così,
allora.
Ecco Winifred Burkle, signore
e signori, la nerd comprensiva e accomodante che nessuno vuole come fidanzata…Un applauso, gente!
Lei non andava da nessuna
parte. Lei ascoltava sempre. E nessuno si accorgeva della sua esistenza.
Si richiuse il golfino sul
petto, lasciando soli i due biondi.
“Buffy, io…” la voce di Spike,
impastata dal sonno chimico dei sedativi le arrivò in un delicato sussurro.
Doveva parlarle, spiegarle come stavano le cose…O magari dormire…Sognare..
La ragazza gli sfiorò le
labbra con la punta delle dita, baciandogli la fasciatura.
“Riposa, Spike…Parleremo
domani…” una lacrima le scivolò all’angolo dell’occhio.
Una lacrima di frustrata
impotenza.
Di rabbia, di rammarico.
Contro Liam.
L’aveva quasi ucciso. L’aveva
ridotto in quello stato…
E quali erano le dannate
conseguenze?
Nessuna!
Lui scorrazzava sulla sua
moto, godendosi la vacanza forzata che la scuola gli aveva caritatevolmente
concesso, e Spike soffriva come un cane, stordito dai calmanti.
Dov’è la giustizia in tutto
questo?, si chiese, tremando.
Anche William stava pensando
ad Angel, ma in termini totalmente diversi.
Perché era venuto a trovarlo?
Cosa stava tentando di dirgli?
E soprattutto…Perché non
riusciva ad odiarlo quanto avrebbe dovuto?
“Resta con me…” implorò,
mentre lei stava quasi per andarsene. Faceva freddo…Non voleva rimanere solo,
al freddo…La scintilla l’avrebbe riscaldato. In fondo non siamo tutti come
motori?
“Devi riposare…” Buffy si
bloccò, continuando a dargli le spalle.
Non voleva che la vedesse
piangere…
“Puoi solo abbracciarmi?”
biascicò Spike, sentendo che il sonno si stava lentamente riappropriando di
lui. La ragazza sospirò, asciugandosi gli occhi con la manica della felpetta
ciclamino, e fece retrofront verso il divano, raggiungendo l’inglese. Si
accomodò su un bracciolo, posandogli la testa in grembo. William sorrise,
sereno, lasciandosi trascinare via da un sogno di ombre dorate e occhi di
tempesta.
“Hai un momento?” il ragazzo
sbarrò il passaggio a Darla, mettendosi a braccia incrociate tra lei e la porta
dell’aula di chimica.
La bionda lo studiò da sotto
le lunghe ciglia, diffidente.
Perfetto! Non solo aveva una tonnellata di stupidissimi
compiti di francese ancora da iniziare, ora si mettevano anche a farle sprecare
tempo prezioso…
Alla sua fantastica giornata mancava
solo l’incontro con l’amichetto di Shelby.
L’amichetto che si era
fottuta sul suo prato all’inglese,
per giunta.
“Non posso farmi vedere in
giro con un perdente come te, McDonald.” ribatté, secca.
Ed era vero. Non c’era mai
stato momento peggiore per un altro colpo basso alla sua popolarità…
“Mmmhh…” Lindsey aggrottò la
fronte “…l’ultima volta non eri di quest’idea…”
Di bene in meglio.
Ora le rinfacciava per fino il
loro patetico, breve ménage…
Ma che patetico?, si rispose a malincuore, è stata la migliore
scopata della mia vita…
“Ti do dieci secondi, Casablanca…Vedi
di sfruttarli al meglio.”
“Vedo che ti piacciono le cose
veloci…” la apostrofò il ragazzo, ghignando “Ne terrò conto, la prossima
volta.” alzò il mento, divaricando le gambe.
Ti piacerebbe, sorrise lei tra sé e sé.
Darla inclinò la testa,
lanciandogli un’occhiata ironica.
“Credi davvero che ci sarà una
prossima volta?” ribatté con aria di biasimo.
Invece di venerare il
cinturino dei suoi sandali tacco dieci quello stronzetto osava venire a
farle battutine sarcastiche sulle sveltine?
No…Non esistevano più i
nerd di una volta.
“Credo tu non abbia afferrato
il punto…” Lindsey scosse la testa, prendendosi gioco di lei “…se scopro che
dietro il pestaggio di Spike c’è il tuo zampino…beh, ti farò passare per sempre
la voglia di mettere il tuo stupido naso rifatto negli affari che non ti
riguardano.” le diede un colpetto sul mento, facendola sobbalzare “…Intesi?”
Darla lo fissò con aria di
sfida, affondando lo sguardo azzurro in quello di ghiaccio di lui.
“Punto primo: io non mi sono
rifatta nulla. Vai a raccontare una stronzata come questa in giro e il
prossimo a ritrovarsi su un lettino d’ospedale sarai tu.” si mise le
braccia sui fianchi, protendendosi verso di lui “Secondo: sai che me ne frega di
quella puttanella e del tuo eurotrash ossigenato?”
Il ragazzo scoppiò a ridere,
lasciandola di stucco.
“Mi fai pena.” le
soffiò in faccia tutto il suo disprezzo “Sei solo una povera troia.
La più perfida e superficiale che abbia mai visto…E fidati, ne ho viste
parecchie.”
La bionda continuò a sorridere
ironica, sentendo il respiro che le si mozzava in gola.
Era davvero caduta tanto
in basso?
Sì meritava di essere
insultata a quel modo dall’ultimo dei perdenti?
Cercò qualcosa di
incredibilmente cattivo e brillante da dire, per far rimpiangere a quel
nanerottolo texano il malaugurato giorno in cui aveva avuto la fortuna
di incrociare la sua strada…e non trovò niente da rispondergli: nel suo
cervello, stranamente, lampeggiava la più desolata delle schermate bianche. Era
troppo furiosa per il silenzio ostinato di Angel e la sfacciataggine della sua
cara amica Buffy, che aveva trovato un nuovo hobby nel farsi compatire del
resto della scuola, per rimettere in riga quel perdente con una delle sue
taglienti esclamance.
“Fai un favore all’umanità,
Polly Pocket…Suicidati.” Provò a scansarlo, aggirando l’ostacolo. Lui la
bloccò, prendendola senza delicatezza per le spalle e sorprendendola con la sua
fermezza.
“Che cosa ti rode, Mayer?”
le chiese quasi dolcemente, senza allentare la stretta “Sei bella, e lo sai.
Sei ricca, e questo lo sanno tutti. Sei una sgualdrina, e la cosa sembra
divertirti.” si accostò al suo viso “Sei da compatire, e non pare che tu te ne
renda conto. Sei sola come un cane, e te lo sei voluto…Ma sappi che godere
dell’infelicità degli altri, solo perché il tuo boy – toy ha la testa
altrove, non ti darà certo la felicità.” lei non si divincolò, ipnotizzata. Era
incredibile… Qualcuno le stava tenendo testa, la stava battendo,
insultando…E lei ne era assurdamente soddisfatta “Se davvero non ti sei mai
rifatta niente, cosa della quale dubito, fai tu un favore
all’umanità: rifatti un esame di coscienza.” si staccò bruscamente la lei,
passandole accanto senza degnarla di uno sguardo.
“Credere che io sia giusto una
stupida puttana invidiosa ti fa stare meglio, vero?” sibilò, stringendo gli
occhi fino a ridurli a due fessure. Lindsey si voltò verso di lei, alzando le
spalle.
“Io non lo credo…” la sua mascella
ebbe un guizzo divertito “Io ne sono certo.” si riavviò tranquillamente
per il corridoio deserto, accompagnato dal rumore cadenzato dei suo passi. “E,
per la cronaca, un altro rendez – vous con te non mi interessa affatto. Non
sei granché, a letto.” La sua risata metallica le rimbalzò violentemente
addosso, facendola deglutire.
Darla si ripromise che sarebbe
stata lei ad avere l’ultima parola, la prossima volta.
Si rassettò la camicetta verde
pistacchio con una luce fiera negli occhi.
Non l’aveva ancora sconfitta.
Nessuno l’avrebbe mai
sconfitta.
Era caduta molte volte, e si
era rialzata.
Aveva sempre il suo orgoglio.
E, come diceva quel vecchio film, domani è un altro
giorno…
Joyce entrò nel vialetto buio
con il grande fuoristrada in un’unica, fluida manovra. Si chinò sul sedile del
passeggero per prendere la busta di carta del supermarket, carica di arance. Grazie
al Cielo un’altra giornata era finita. Era arrivata a casa sana e salva,
fortunatamente. Dopo quello che era successo a sua figlia aveva paura a girare
per Sunnydale da sola, ma Rupert non aveva potuto accompagnarla, preso com’era
dallo scarrozzare Buffy su e giù dallo chalet.
Angel si infilò le mani in
tasca, vedendo la macchina arrivare. Nell’ultima ora se n’era stato
semplicemente lì, appoggiato ad uno dei grandi pini, senza il coraggio di
bussare.
Per dire cosa, poi?
E a chi?
C’era la possibilità che la
famiglia di Buffy lo denunciasse, questa volta sul serio, e lui finisse in guai
da cui neppure il denaro di suo padre l’avrebbe tirato fuori…E la cosa non lo
sfiorava minimamente. La sua nebulosa, incomprensibile missione era troppo
importante.
Si avvicinò alla vettura,
piazzandosi davanti al finestrino del conducente. Quando lo vide la donna
sobbalzò, indecisa se aprire lo sportello, comportandosi da adulta, o chiudersi
dentro, abbassando tutte le sicure. La maturità prevalse, e Joyce socchiuse
prudentemente la portiera, scendendo dall’auto.
“Signora Summers…” mormorò
Liam, abbassando lo sguardo.
“Tu devi essere il famoso
Liam…” rimbrottò la donna, stringendo al petto il sacchetto stracolmo.
“Io…Io non so come scusarmi
per quello che ho fatto a sua figlia e…”
“Sei pentito di averla
trattata come un oggetto o di aver quasi ucciso il suo nuovo ragazzo?” lo
interruppe bruscamente. L’irlandese guardò lontano, stringendo i pugni. Joyce
scosse la testa, filando dritta verso la porta di casa.
“No…Lei non capisce…” supplicò
con enfasi, facendola trasalire. Le arance si rovesciarono sul prato, rotolando
via. Liam si chinò a raccoglierle mentre lo stava facendo anche lei, rischiando
di urtarla. “Io devo assolutamente parlare con Buffy…” un frutto scivolò
dalle sue mani nervose.
“Sta lontano da mia figlia.”
lo ammonì, inquieta, rimettendosi in piedi.
“Voglio solo parlare
con lei…Joyce, la prego…” riprese il ragazzo, seguendola fino alla porta di
casa. Lei armeggiò furiosamente con la chiave, tentando di farla entrare nella
toppa. “…Si tratta di William.” farfugliò, ammirandosi le mani come se
fossero ancora insanguinate. Joyce si voltò verso di lui, alzando la testa per
cercare i suoi occhi. Non aveva ancora finto di tormentare quel povero ragazzo?
“…Non ho più dormito, da quando l’ho picchiato…”
Al suono della campanella
Wesley si precipitò nel corridoio, cercando Fred con lo sguardo.
Al diavolo la prudenza, al
diavolo Faith. Doveva parlarle, subito.
Quando la vide, stretta in un
informe golfino celeste e con i capelli che scivolavano via dalla coda
distratta in cui li aveva costretti, il suo cuore ebbe un guizzo.
Lei era sua, completamente
e assolutamente.
Le arrivò alle spalle,
silenzioso e veloce, per timore che vedendolo arrivare potesse scomparire in
qualche classe, negandogli perfino uno sguardo.
E lui ne aveva bisogno.
“Fred…” bisbigliò, posandole
una mano sulla spalla. La ragazza trasalì violentemente, facendo cadere i libri
sul pavimento. Credeva di stare sognando…come durante la lezione di storia,
quando aveva fantasticato di lui che la baciava a sorpresa, davanti a tutta la
scuola.
Come no, sospirò, chinandosi a raccogliere i pesanti volumi.
“Vattene, Wes.” gli
intimò senza troppa convinzione, mentre lui le accomodava sorridendo i testi di
biologia fra le braccia.
“No.” rispose il
ragazzo, prendendola affettuosamente per un polso “…Almeno non prima che tu mi
abbia detto come posso farmi perdonare.” abbassò la testa, accostandosi a lei “Mi
manchi, Fred…”
La ragazza ricambiò il suo
sguardo, perdendosi nei suoi bellissimi occhi color del cielo.
Sì, Wes…Mi manchi da morire anche tu…
Winifred si morse le labbra,
facendo un passo indietro. No, no, no! Non doveva pensare a quanto
meraviglioso fosse, a quanto adorasse baciarlo…
“Quello che è successo” prese
fiato “mi ha fatto capire quanto siamo diversi, e quanto è diverso l’ambiente
che frequentiamo…La nostra storia non ha senso.” vacillò sotto il peso di
quelle parole.
Vere. E dolorose.
Soprattutto per lei.
“Fred, ragiona…”
gemette, implorante. Era assurdo…Quella magnolia indifesa l’aveva
prostrato, trasformato in una larva. Eccolo lì, il grande Wesley Whyndham –
Pryce, ridotto ad elemosinare una seconda chance da uno scricciolo timido. Un
adorabile, timido scricciolo. “Farei qualunque cosa…qualunque,
perché tu mia dia un’altra possibilità…” Fred lo studiò con esasperante
lentezza, diffidente. Sembrava sincero. Forse poteva davvero dimenticare…Forse
per loro ci sarebbe stata una possibilità di far funzionare le cose…Wes sentì
un lieve prurito alla nuca, come se qualcuno lo stesse fissando. Faith.
Con la fronte aggrottata e le braccia conserte. Incazzata nera.
“…Allora? Puoi prestarmi gli appunti sulla guerra di Secessione, o no?” chiese
ad alta voce, cambiando completamente tono.
A Fred ci volle un attimo per
realizzare la situazione: la fidanzata ufficiale aveva assistito al loro
melenso siparietto. E Wesley, che un attimo prima era disposto a camminare
sulle mani per lei, non aveva esitato un secondo a farla passare come la nerd
delle dispense di Storia.
Premio Nobel alla sincerità.
“Puoi scordarteli.” ribatté
seccamente, girando su sé stessa prima che lui notasse le lacrime che
minacciavano di strariparle dagli occhi.
Non era cambiato nulla…Lei, in
fondo, era sempre la seconda scelta.
Faith inclinò la testa,
sollevando un sopracciglio con aria sorniona.
“Miss Occhialetti Rossi
ha posato il suo bel culetto su un cuscino di spine, stamattina?”
Wes sospirò, dipingendosi in
faccia un sorriso di circostanza.
“Forse” rimbrottò a
mezza bocca, prendendo distrattamente la bruna sottobraccio.
La ragazza strinse le labbra,
ignorando il brutto presentimento che le faceva venire la pelle d’oca.
Qualcosa, in Wes, decisamente non
andava.
Non voleva più scoparla, e la
baciava a malapena. E, ogni volta che lo perdeva di vista, si ritrovava fra i
piedi quella nullità che lo rimirava sognante. Faith mise una mano nella tasca
posteriore dei jeans di lui, guardandosi pensosamente la punta delle scarpe.
Se le stavano nascondendo
qualcosa…Se ne sarebbero pentiti.
Buffy trotterellò verso il
lettone di noce con una smorfia compiaciuta, reggendo un enorme tazza rosa
delle Super Chicche con entrambe le mani.
“E quella cosa
sarebbe?” chiese orripilato Spike, tirandosi dritto sui cuscini.
“Cioccolata!” rispose con un
enorme sorriso la bionda, come a ribadire l’ovvio.
“No, io mi riferivo a
quell’arnese color fragola…” blaterò in risposta, scuotendo la testa.
“Non chiamare arnese la
mia tazza preferita!” lo ammonì la ragazza, porgendogli l’oggetto incriminato “Queste
sono le uniche supereroine fashion della storia del cartoon…”
William non commentò,
strappandole la bevanda calda dalle mani.
“Grazie, dolcezza…Ma in futuro
evita le Super Idiote, mi fanno passare la fame…” trangugiò tutto il
cioccolato in un paio di sorsate, leccandosi le labbra.
“Non si direbbe…” scherzò lei,
riappropriandosi delle sue paladine. Lui la afferrò per un polso, trascinandola
su di lui. La bionda emise un gridolino di sorpresa, lasciando scivolare la
tazza sul parquet per accomodarsi meglio al suo fianco. Dolly, Molly
e Polly la fissarono con aria di disapprovazione con i loro grandi
occhioni spalancati, come ad ammonirla di non sgualcirsi i vestiti.
Buffy si accoccolò sul cuscino
fresco e bianco, posando la testa vicina alla spalla di Spike.
Lui si girò verso di lei,
guardandola con dolcezza.
“È colpa dei capelli?”
ironizzò, accarezzandole l’avambraccio.
“Scusa?” domandò Buffy,
cadendo dalle nuvole.
“La Buffy di una volta mi
avrebbe già sbattuto sul letto e portato in Paradiso…Mi trovi grasso?”
“Con tutti i carboidrati che
ti fa ingurgitare la mamma…” lo stuzzicò lei, facendogli piccoli cerchi sullo
stomaco piatto “Comunque, il nuovo taglio mi piace…È adorabile.”
“Ehi!” protestò l’inglese “Non
la trovo una definizione molto virile…”
“Fidati, è molto più virile
questo taglio da marine che quella ridicola tintura che ti piaceva tanto…”
rimbrottò Buffy, posandogli un casto bacio sul naso.
“Ehi!” ripeté William,
debolmente “Quella ridicola tintura, come la chiami tu, era il mio
marchio di fabbrica…” guardò il soffitto, indurendo la mascella “…e tu continui
a cambiare discorso…”
La bionda gli posò una mano
sul cuore, beandosi del suono regolare del suo battito.
Non potevano semplicemente
rimanere in silenzio?
Altrimenti avrebbe dovuto
dirgli che non lo toccava per paura di fargli male, che ogni volta che lo
baciava rivedeva tutto quel sangue, le urla…
“Perché non mi porti a fare
una romantica passeggiata sulla spiaggia?” tentò di sviare la sua attenzione
per l’ennesima volta, accarezzandogli una guancia.
“Tutto quello che vuoi,
passerotto…” sbuffò lui, scendendo faticosamente dal letto “A meno che per
farlo io non abbia bisogno di una carrozzella…” si tenne in piedi nonostante un
violento capogiro. Buffy lo fissò tristemente, seduta sul bordo del letto.
“Sarebbe un bel passo avanti,
rispetto alla De Soto…Almeno le carrozzelle non sono asmatiche.”
sdrammatizzò, allungandogli una mano che lui rifiutò.
“Già…” bofonchiò, avviandosi
con determinata lentezza verso la porta. La ragazza lo seguì a distanza di un
passo, aspettando che girasse la maniglia. Spike uscì, posando una mano sulla
cornice dell’anta., respirando affannosamente l’aria salmastra. Nonostante il
sole battesse sulla sabbia fine e chiara, all’ombra degli spioventi del tetto
c’era una piacevole brezza, che sollevava i capelli color grano di Buffy in
sottili lingue d’oro.
William si schermò gli occhi
con una mano, abbagliato. Era strano rivedere l’accecante luce del giorno, dopo
i pigri pellegrinaggi nel buio sfumato dello chalet. Probabilmente la sua
ragazza aveva avuto una buona trovata: uscire a prendere una boccata d’aria gli
avrebbe sicuramente schiarito le idee… La sentì tremare al suo fianco,
immobile.
“Vattene. Immediatamente.”
Buffy alzò il mento, fiera.
E William lo vide.
Cupo e indolente sotto
l’inclemente sole californiano, appoggiato al sellino della sua moto tirata a lucido.
Lo fissava con oscura determinazione, ignorando la biondina al suo fianco, con
i pugni testardamente nascosti nelle tasche dei jeans.
“Come hai saputo che ero qui?”
chiese semplicemente l’Inglese, ricambiando lo sguardo.
“Stai meglio” constatò Liam,
sorridendo lievemente.
Buffy tirò il suo ragazzo per
la manica, gli occhi verdi dilatati dalla rabbia.
“Non gli permetterò di farti
del male…” singhiozzò, tentando di attirare la sua attenzione.
Spike si voltò verso di lei
per un instante, con una smorfia indecifrabile dipinta sulle belle labbra
piene. Era così fragile…
“Non temere, Buff…”
ribatté Angel nel suo tono più duro “…volevo solo parlargli.”
William annuì, muovendo
qualche passo verso di lui fuori dall’ombra improvvisamente claustrofobica
dello chalet.
Buffy non lo trattenne. Si
limitò a distogliere lo sguardo, ferita, mentre la abbandonava nella tiepida
oscurità, camminando verso la luce.
Verso di lui.
“C’è un dubbio che mi assilla
da sempre…” Spike infranse il silenzio con un sorriso, continuando a
passeggiare al fianco dell’altro. Fissavano il panorama senza parlare da un bel
po’, tacitamente assorti nei propri pensieri. Nonostante Liam fosse quanto di
più lontano da un amico lui potesse immaginare, nonostante fosse il ragazzo che
l’aveva spedito su un letto d’ospedale, c’era una vibrazione di intimità tra di
loro che lui non riusciva a spiegarsi. Un misto di antagonismo maschile e…beh,
nemmeno William sapeva dire esattamente cosa.
“Sarebbe?” lo interrogò
il bruno, senza guardarlo.
“Fra tanti soprannomi
possibili per incutere il terrore e il rispetto delle masse…” alzò un
sopracciglio, cercando il suo sguardo “…perché ti sei scelto un nomignolo da
checca?”
Il profilo di Angel sorrise.
“Me lo ha dato mia sorella…”
iniziò, senza rallentare il passo “…Il mio nome in Irlanda significa protettore.
Kathy diceva…quando mio padre esagerava, lei diceva sempre che ero il
suo angelo custode.” concluse a fatica, gli occhi allargati in due pozze di
nero dolore.
“E si sbagliava?” mormorò
l’inglese a mezza bocca, incapace di trattenersi.
“Forse.” sussurrò, tenendo lo
sguardo dritto davanti a sé.
Spike si riscosse,
comprendendo al volo il suo evidente disagio.
“Comunque ti starebbe molto
meglio Angelus…” ghignò, infilando i pollici nei passanti dei jeans.
“Angelus…?” rise di
rimando Liam, bloccandosi al suo fianco.
“Sì. Sa molto di film horror
di serie B, da nome di demonio letto in qualche fumetto. O da motociclista
stile Hell's Angels.” William si chinò lentamente, puntellandosi su una mano
per sedersi sulla battigia.
Angel rimase in piedi, alle
sue spalle, con lo sguardo perso nell’orizzonte di flutti azzurri e spuma
bianca, nel punto dove quel mare di cristallo si fondeva con il cielo di panna
e ametista in un barocco di barlumi adamantini.
Passarono minuti, forse
anni.
“È davvero così che mi vedi?”
“Come?” il ragazzo cadde dalle
nuvole, piegando la testa verso l’alto per giocare con la sua ombra.
“Come la sagoma di uno
splatter anni novanta…” spiegò Liam, accovacciandosi alla sua altezza.
“No…” rispose l’altro
con un filo di esitazione. “Ma quando sei entrato da quella porta…Sembravi davvero
un demone.” continuò con voce seria.
“Il nuovo taglio ti sta bene.”
notò con leggerezza Angel, con la precisa intenzione di lasciar cadere il
ricordo del dolore che aveva procurato. Aveva fatto del male, e ora ne pagava
lo scotto.
Era giusto.
Sapeva che non sarebbe stato
facile riconquistare la fiducia di coloro che aveva ferito, ma…
“Non puoi comprarmi con
gingilli luccicanti e parole dolci…” rispose ironicamente Spike.
“Cosa ti aspettavi?!” si
impermalì l’irlandese “Un bouquet di roselline?”
William lo fissò, incapace di
impedirsi di scoppiare a ridere. Liam lo seguì a ruota, finché l’eco delle onde
sulla riva spense le loro virili risate ed il bruno si tirò su di scatto.
Era già ora di andare?
“Buffy sarà in pensiero…”
sospirò l’inglese, abbracciandosi le gambe.
“Starà pensando che ti ho
accoppato e, magari, ho pure abbandonato il tuo corpo in pasto ai
pescecani…” asserì Angel, tendendogli una mano.
“Già.”gli fece eco
l’altro.
Guardò con diffidenza la
grande mano abbronzata che l’aveva quasi ucciso, tesa in un discreto segno di
premura. Doveva davvero fidarsi?
La bocca sottile
dell’irlandese si curvò in un sorriso sghembo, e William decise di
concedergli una chance, subito, accettando il suo aiuto. Senza vergogna,
senza stupide recriminazioni del suo ego.
La smorfia di Liam si allargò
a macchia d’olio sui suoi bei lineamenti, accendendo anche le iridi scure di
una luce d’oro liquido.
Spike si spazzolò il fondo dei
jeans con noncuranza, le pupille tenacemente puntate sui lacci dei suoi anfibi
lisi. Non voleva guardarlo andare via.
“Ah, Billy…” Angel
richiamò la sua attenzione senza neppure voltarsi verso di lui. Il ragazzo si
riscosse, seguendo le sue orme sulla sabbia calda “…Angelus mi piace.”
Spike incrociò i palmi dietro
la testa, il naso all’insù verso il sole, mentre la sua ombra diventava sempre
più sbiadita.
12. Raduno di squadra.
“Signorina Summers, dovrei
parlarle”
Buffy si irrigidì mentre il professor
Taylor la invitava a raggiungerlo nel corridoio. Con tutto quello che era
successo negli ultimi giorni, a tutto aveva pensato tranne che alla sgradevole
realtà dei compiti in classe. Un paio di giorni dopo l’incidente di Spike aveva
sostenuto il primo vero test di letteratura inglese del semestre, e l’aveva
fatto come in trance, senza nemmeno rileggerlo. Ora, evidentemente, era
arrivata la resa dei conti. Seguì il professore come un condannato che va verso
il patibolo.
Il professor Taylor si aggiustò
gli occhiali sul naso e si schiarì la voce, pescando il suo compito dalla
cartellina di pelle. “Questo compito è stato sorprendente. Da che la conosco,
lei non ha mai scritto nulla del genere”
Buffy barcollò. Come poteva
spiegare questa tremenda insufficienza a sua madre, dopo tutto quello che Joyce
aveva già dovuto accettare negli ultimi tempi? In passato non era mai stata
brillante, ma almeno uno stentato C lo portava sempre a casa…a quanto pareva,
le “lezioni” di Spike non era servite a granché, anzi….
Il voto scritto in rosso sul
compito che il professore le stava sventolando davanti la colpì come un neon
acceso.
A +.
Aveva preso un A+! Non le era mai capitato in vita sua! E mai in
letteratura, la materia che fino ad allora aveva odiato di più!
“Lei è molto maturata in
queste ultime settimane” stava dicendo il professore, ma Buffy quasi non lo
ascoltava più. “Questo compito dimostra che lei ha perfettamente capito quanto
andavo dicendo in classe circa la necessità di fare un’analisi metatestuale. Le
sue osservazioni sono originali, fresche, mai banali. Non solo c’è una buona
conoscenza del testo esaminato, ma una notevole maturità espressiva. Non so
cosa abbia fatto per migliorare a tal punto, ma è sorprendente. Lei si sta
dimostrando una notevole giovane donna, Miss Summers”
Buffy restò impietrita. No,
non stava succedendo. Non ci poteva credere.
Prese il compito, e sorrise
inebetita. Il professore ricambiò il sorriso. “Mi piacerebbe averla in un
seminario che dedicheremo a James Joyce il prossimo semestre. Che ne dice?
Sarebbe un buon modo per avere dei crediti extra”
Buffy bofonchiò una risposta
positiva, ancora troppo sorpresa. E lo guardò andare via.
“Ehy, è grandioso!” esclamò
Fred, avvicinandosi a lei ed indicando il voto. “Spike ne sarà entusiasta!
Le sue lezioni sono andate a buon segno, eh?”
Spike! Buffy si riscosse.
Doveva dirglielo subito! In quanti modi meravigliosi aveva già cambiato la sua
vita?
“Fred…devo andare da lui.
Fargli vedere….questo compito. E’ tutto merito suo”
“Lo so, è il migliore” sorrise
Fred.
“Tieniti libera per il week –
end. Sto organizzando una cosa speciale” replicò Buffy, scappando. Se si
sbrigava, sarebbe riuscita a prendere il pullman che l’avrebbe portata allo
chalet.
Da Spike.
Fred la guardò andare via,
malinconica.
Sarebbe stato bellissimo avere
un fidanzato che l’aspettava, cui mostrare i suoi bei voti in fisica e
biologia.
Purtroppo, quella non era la
realtà.
E la reazione codarda di
Wes di pochi giorni prima l’aveva ampiamente dimostrato. Appena Faith si era
profilata all’orizzonte, lui si era affrettato a smentire qualsiasi rapporto
avesse con lei.
Cercando di soffocare
l’amarezza, Fred si diresse verso il laboratorio. Certo che era libera per la
festa di Buffy.
Buffy raggiunse lo chalet come
una furia, togliendosi le nikes per correre più in fretta sul breve tratto di
spiaggia che univa la fermata dell’autobus allo chalet di Giles. L’accecante giornata
di sole, l’aria calda e salmastra del mare, sembravano perfettamente
incorniciare la sua felicità. Spike stava meglio, era suo, e lei aveva
preso un A+ in letteratura. Si poteva desiderare di più dalla vita?
Spalancò la porta senza bussare, ed entrò nel piccolo soggiorno fresco e buio.
Alcune voci sussurrate provenivano dalla vicina cucina.
“Spike!! Non immagini che voto
ho preso in inglese! E’ addirittura un …”
La sua frase si interruppe,
bruscamente. Non appena vide che lui non era solo.
C’era una ragazza alta e
sottile, dai lunghi capelli neri, seduta accanto a lui, le loro ginocchia che
quasi si toccavano nella piccola cucina. Dru sollevò su di lei i grandi,
tormentati occhi violetti.
E Buffy sentì di odiarla.
Come si permetteva, quella
pazza sciroccata, di venire a trovare Spike, di rovesciargli addosso i suoi
problemi? Come se lui non ne avesse già abbastanza, con la testa ancora
medicata e la continua debolezza!
“Ciao, Buffy” la salutò la
ragazza. “Sono venuta a trovare Spike”
“Lo vedo” replicò freddamente
la bionda, incrociando le braccia sul petto.
“Stavo per andarmene” l’avvisò
Dru, volgendosi verso Spike. “Allora…posso contare su di te?”
Spike annuì, fissando nel
mentre Buffy. “Naturalmente. Verrò con te”
“Bene” Dru si alzò, e lo
abbracciò. Buffy dovette contare mentalmente fino a dieci per soffocare il
desiderio di graffiarla.
“Arrivederci, Buffy” mormorò
la ragazza, abbassando lo sguardo, e lasciando lo chalet.
“Che voleva?” chiese subito
Buffy, non appena fu uscita.
“Non mi hai ancora dato un
bacio” sorrise Spike.
“Il bacio può attendere”
replicò furiosa la sua ragazza. “Dove andrai con lei?”
Spike sospirò. “Dal suo
psichiatra. Le ha proposto una nuova terapia, dopo il tuffo in piscina che ben
ricorderai…ed i suoi genitori sono d’accordo. Però, per seguirla, ha bisogno di
una persona amica, qualcuno che le stia accanto psicologicamente durante le
sedute. In un certo senso dovrei farle da…”
“…salvagente?” concluse
Buffy per lui. “Perché tu? Non sei il suo ragazzo. Per la cronaca, sei
il mio ragazzo”
Spike le si avvicinò, e la
fissò con i suoi limpidi occhi azzurri, chinando il capo sulla spalla…e
sorridendole.
“Davvero lo sono?”
“Non sviare il discorso”
replicò Buffy, ipnotizzata dalla sua bocca morbida, dalla curva sensuale delle
sue labbra. “Lo sai che lo sei. Dopo tutto quello che è successo, ancora ne
dubiti?”
“No, ma…”
“Non mi piace che lei si
appoggi a te” sbottò Buffy. “Sarò egoista, lo ammetto, e so che quella ragazza
ha dei gravi problemi. Ma non è la prima volta che si appoggia a te, e se le
darai ancora corda non sarà neanche l’ultima. Non sei tu la causa dei suoi
casini, e forse non lo è neanche Liam. La sua fragilità non può essere una tua
responsabilità. Spike, tu non stai ancora bene, devi pensare alla tua salute,
alla tua serenità. Non alla sua. Mi dispiace, ma la mia non è gelosia. Non
solo, almeno”
“No, Buffy” lo sguardo di
terso acciaio di Spike si indurì. “Se ci limitiamo a vicenda, nelle nostre
amicizie, che fine farà la nostra storia? Io sono amico di Dru, le voglio bene,
e non le rifiuterò il mio aiuto. Me l’ha chiesto, e glielo darò. Farò con lei
questa terapia. E tu dovrai accettarlo”
“Come accetto le visite
di….Liam?” replicò Buffy. “Ammettilo, è venuto anche oggi”
Spike sospirò. “Sì, è venuto
anche oggi”
“Ho capito che ha un peso
sulla coscienza e che vuole liberarsene, ma chi gli da’ il diritto di
intromettersi di nuovo nelle nostre vite?” sbottò nuovamente Buffy. “Non lo
voglio più vedere, ci ha fatto troppo male. E ne ha fatto troppo anche a te¸
o l’hai dimenticato? Dru vuole la tua forza, come una sanguisuga, e Liam vuole
il tuo perdono, facendo finta con il diventare tuo amico che tutto sia
cancellato”
“Non è così, e stai
sbagliando” si intestardì Spike. “Non è tanto che ci frequentiamo, Buffy, e
forse le cose sono andate un po’ troppo velocemente, per il nostro stesso bene.
Mi piaci, ti piaccio, abbiamo fatto l’amore. Ma mi chiedo quanto davvero ci
conosciamo”
Buffy, impietrita, fece un
passo indietro. Non riconosceva questo Spike che le parlava tanto duramente.
“Cosa…diavolo…stai dicendo?”
“Sto dicendo che per me
l’amicizia ha un valore particolare. Dru è un’amica, come Fred, Tara, Lindsey.
Non abbandonerò nessuno di loro, specie nel momento del bisogno, neppure per
amor tuo. E ti dico che, sì….malgrado tutto anche Liam sta diventando un
amico. Non so ancora bene se per noi, con quello che è successo, c’è spazio per
un’amicizia sincera, o solo per…una nuova comprensione. Ma non gli rifiuterò la
mia compagnia, se la richiederà. Io credo che davvero rimpianga ciò che ha
fatto”
Gli occhi di Buffy si
riempirono di lacrime. E Spike le si avvicinò.
“Perché stai piangendo?” le
disse, tendendo le dita e raccogliendo sull’indice una sua limpida lacrima.
“Temevo volessi dirmi che era finita.
Che volevi una pausa. Non è così che finiscono di solito questi
discorsi?”
Spike scosse il capo. Capiva
senza bisogno che nessuno lo dicesse che Buffy era emotivamente fragile, che
gli abbandoni subiti l’avevano irrevocabilmente ferita. Che temeva di non meritare
un affetto sincero. Ma lui non era così. Non diceva quelle cose come un
comodo alibi per scaricarla, ora che se l’era portata a letto, e che lei aveva
dimostrato inequivocabilmente di tenere a lui.
“Non è questo il punto. Io ti
voglio bene, Buffy…dico sul serio. Non intendo lasciarti, non è questo
il problema. Il problema è che non basta piacersi, od andare d’accordo tra le
lenzuola. Ti dicevo queste cose prima ancora che tra noi succedesse alcunché, ricordi?
Oltre a volersi bene, bisogna conoscersi, e capirsi. Mi pare evidente
che fino ad ora l’amicizia non ha avuto un gran ruolo nella tua vita, visto che
frequentavi gente come Darla…ma per me non è così. Quando mia madre è
morta, mio padre è sprofondato nell’alcolismo e io sono stato spedito qui in
America come un pacco postale da una zia che non conoscevo, beh, ti confesso
che se non avessi avuto delle amicizie sincere, non so proprio come sarei
finito. Queste amicizie per me contano, come contano i miei hobbies, la musica,
la letteratura. Non ci rinuncerò, mi spiace. Puoi accettarlo?”
Buffy sollevò il capo e lo
fissò, gli occhi lucidi. “E’ che ti vorrei tutto per me….”
“Non si può vivere così,
Buffy. Non siamo isole. Se vivessimo solo l’una per l’altro, presto il
nostro amore si estinguerebbe, e la vita perderebbe di sapore. Ne sono
convinto. Non devi essere gelosa di Dru. Non sono innamorato di lei”
Buffy lo fissò, incredula.
Spike sorrise.
“E’ un’altra la donna che mi
interessa. Per dirtene una, è bionda”
Senza parole, Buffy si rifugiò
tra le sue braccia. Cielo, come erano forti e consolanti…
“Mi dicevi ieri di una tua
grande idea?”
“Sì” si riscosse Buffy,
asciugandosi una lacrima. “Perché non passiamo la notte di sabato qui allo
chalet con i tuoi amici? Così ti dimostrerò che so accettare altre persone
nella tua vita”
“Ehy, calma” sorrise Spike,
accarezzandole dolcemente i capelli. “Amo i miei amici, ma ciò non toglie che
vorrei passare un po’ di tempo da solo con te. E se capisci cosa intendo…mi
sento davvero meglio, in questi giorni….”
Buffy sorrise, commossa.
“Credo proprio che ci riusciremo. Questo dhalet ha tre stanze da letto. Ed io
pensavo ad una specie di pigiama party. Invito io le ragazze, e tu pensi a
Lindsey?”
Spike annuì. Pensò
fuggevolmente che sarebbe stato bello avere come ospite anche Liam, ma non era
proprio il caso di invitarlo ad una serata che sarebbe finita, almeno per loro
due, in modo così intimo.
“Ok. Cosa volevi dirmi,
prima?”
“Ah? Già, che sbadata! Ho
preso A+ del test di letteratura!”
“La mia piccola letterata”
rise Spike orgogliosamente, stringendola a sé. “Vieni, mangiamo qualcosa”.
Buffy lo seguì, turbata.
Malgrado tutto, non era tranquilla.
Dru, Liam…non le piaceva
più nessuno dei due.
“Possiamo portare chi
vogliamo” esclamò Fred, esaminando il testo dell’sms inviatole da Buffy. “Bella
scoperta! Chi diavolo vuole venire con noi?”
Tara soffocò la risposta e
addentò piuttosto il panino. Lindsey, sdraiato accanto a loro sull’erba,
sembrava di pessimo umore mentre seguiva con lo sguardo le nuvole che si
inseguivano impetuose nel cielo terso d’autunno.
“Sarà un pigiama party per coppie,
senza coppie” continuò Fred, amara. “Beh, eccetto Spike e Buffy, ovviamente”
“Io non credo verrò” obiettò
Lindsey. “Sono un po’ stufo delle solite facce”
“Andiamo, che hai di meglio da
fare il sabato sera?” chiese Tara, dolcemente. Di lì passò una matricola del
liceo, apparecchio per i denti e codini biondi, che occhieggiò Lindsey con
interesse. “Beh, c’è sempre Peggy Sue. Ha una cotta pazzesca per te.”
“Per favore….” Si difese
Lindsey. “Non sono ancora ridotto a rivolgermi a quelle appena uscite
dall’asilo….”
“Io andrò” mormorò Fred. “Che
altro di meglio ho da fare? E poi, qui c’è scritto che faremo una grigliata
sulla spiaggia. E Spike suonerà la chitarra. Meglio di niente, no? Ma….se
poteste portare qualcuno, chi scegliereste?”
Seguì un lungo, lunghissimo,
imbarazzato silenzio.
Senza una parola, le loro
strade si divisero mentre tornavano rapidamente nelle loro classi.
Fred pescò in tasca alla
ricerca del cellulare.
I soliti tredici messaggi
mattutini di Wes lampeggiarono, declinando in tutte le versioni possibili un
unico, semplice messaggio: “Perdonami!”
Che idiota codardo!!
La sue dita però, suo
malgrado, sembravano dotate di vita propria mentre indugiavano sui tastini del
“rispondi”.
Prima che il suo cervello
entrasse in azione, Fred aveva già digitato il messaggio.
“Dici di tenere a me.
Dimostralo. Vieni a passare il sabato notte con me allo chalet sulla spiaggia
di Spike e Buffy. F.”
E poi premette invio,
sentendosi male.
Aveva appena invitato quel verme
ad un pigiama party per coppie.
Ovvero, l’aveva appena
invitato a passare la notte con lei.
Oh, Cielo….
Wes era terrorizzato.
Era il solito termine che
rendesse bene i suoi sentimenti. Non appena il bip di un sms in arrivo fendette
l’aria, acchiappò il cellulare al volo e ne lesse il messaggio.
“Dici di tenere a me.
Dimostralo. Vieni a passare il sabato notte con me allo chalet sulla spiaggia
di Spike e Buffy. F.”
E quella F. non era Faith.
Poco ma sicuro. Controllò il numero di telefono per sicurezza, sentendosi un
bastardo. Uno che camminava in due scarpe.
Cancellò il messaggio,
lottando contro l’impulso di risponderle. Quella era la strada lastricata d’oro
che portava ad un sacco di….merda. Faith aveva già dei sospetti, dopo
l’incresciosa scenetta della settimana precedente, ci mancava solo che
confermasse le sue ansie dandole buca per sabato sera.
Doveva finirla lì.
Dimenticare. Smetterla con i suoi messaggi di richiesta di perdono e seppellire
Fred in un buco nella sua mente, un buco nero ed irraggiungibile.
Faith arrivò sorridendo e gli
porse la bocca. La baciò meccanicamente.
Era finita. Maledizione, lei
non gli diceva più nulla. La passione per lei era stata come un fuoco, ma non
aveva lasciato che ceneri sul suo cammino. Non provava più nulla. Era bella,
sexy, tosta, tre quarti della scuola lo invidiava per essere il suo ragazzo.
Ma non la desiderava più.
Finalmente capì.
Fred gli aveva chiesto di
passare la notte insieme.
Fred era disposta a dargliela.
Fred voleva passare del tempo
con lui.
Fred….
Diamine, a che scopo
torturarsi? Dopotutto, da una parte non c’era voglia¸ e dall’altra non
c’era futuro….
“La roba dell’altra settimana
faceva schifo” insistette Darla, mentre il ragazzo di colore le passava un
boccetta di pillole dai vivaci colori.
“Stai esagerando, piccola”
replicò Gunn, mentre lei si guardava intorno nervosa. Erano già le sette di
sera, e non c’era più nessuno per il campus. Ma non voleva comunque correre
rischi. Grazie a Dio la vecchia ed ammaccata jeep del ragazzo aveva i vetri
oscurati. “Questa roba fa male”
“Cazzo, se non posso nemmeno
sballare un po’, come mi posso divertire?” replicò lei, acida. “Facciamo un po’
di sesso, almeno. Domani sera è sabato. Portami a ballare in quel cesso di
discoteca per pappa che c’è dalle tue parti”
“Con il cavolo” rise Gunn. “Ho
un herpes là sotto, e ho proprio paura che me l’abbia attaccato tu. A
forza di fare la baldracca in giro, qualcosa si prende?”
“Ehy!” si indignò Darla,
aprendo la portiera, e precipitandosi fuori dalla Jeep. “Chi diavolo sei, mio
padre? La piantate di darmi tutti della puttana? L’herpes te l’ha sicuramente
attaccato quella sgualdrina di tua sorella”
Gunn la fissò senza parole,
infuriato, e mise in moto. Darla fece un passo indietro per evitare la portiera
della macchina, che chiuse con un gesto rapido, che le fece perdere
l’equilibrio e la mandò dritta dritta nell’aiuola. Si rialzò imprecando. Non
c’era più rispetto. Che schifo di settimana….
Sì, domani era sabato.
Dopo l’ultima memorabile
scopata, e la sospensione da scuola, Liam si era volatilizzato. Nessuno l’aveva
più visto in giro, nemmeno il coach Wood, che ancora lo aspettava per gli
allenamenti.
E Darla era sola.
Era da quando aveva dodici
anni che non aveva appuntamenti il sabato sera.
Maledizione!
Combattendo vanamente quel poco di razionalità che le era rimasta, scavò nella
memoria del telefonino. Aveva dovuto brigare non poco per ottenere quel numero,
e soprattutto per non suscitare curiosità malsane.
Lo fece con dita tremanti.
“Pronto?” rispose la ben nota
voce texana.
A Darla mancò la parola.
“Ciao. Sono io”
“Io chi?” chiese il ragazzo,
divertito. Ovviamente la riconosceva. Lei aveva un modo strascicato e
seducente, quasi dolcissimo, di parlare che era inconfondibile.
Una specie di marchio di fabbrica.
“Mayer” rispose lei,
sconfitta.
“A cosa devo…l’onore?” chiese
Lindsey, sorpreso, spegnendo con una mano la radio per ascoltarla meglio. A
volte, nella vita, l’incredibile accade. Tipo Darla Mayer che lo chiamava di
venerdì sera, dopo che lui le aveva detto il fatto suo.
“Hai…qualcosa….da fare…domani
sera?”
Il laboratorio di biologia era
ancora aperto, pur essendo venerdì sera. Il professor Haggins aveva incaricato le
sue due migliori studentesse di dare una mano ai più asini nella materia
per preparare gli esami di inizio semestre.
E le due migliori studentesse
di biologia della scuola erano ovviamente Fred Burkle e Willow Rosemberg.
Le quali non si parlavano.
Erano chiarissimamente dalle due parti opposte della barricata. E tra di loro
aleggiava il fantasma di Tara.
Fred era la migliora amica di
Tara. Will era stata la sua ragazza, e l’aveva fatta soffrire atrocemente.
Ogni venerdì era la stessa
sofferenza. Si dividevano tacitamente la classe, e seguivano esperimenti
diversi.
Se c’era un posto dove Fred
mai avrebbe aspettato di vedere Tara, era proprio quello. Sapeva che –
saggiamente – la sua migliore amica faceva di tutto per evitare ogni possibile
occasione di incontro con Willow.
“E’ assai più saggia di me”
pensò Fred. Aveva proposto a Wes di passare la notte insieme. Non
riusciva ancora a crederci. E non riusciva a farsene una ragione. Specie del
fatto che lui non solo non le aveva risposto, ma aveva anche smesso di
scriverle. Era sparito. Terrorizzato. E lei non poteva fare a meno di
pensarci e starci male.
Ovviamente, Fred non credette
ai suoi occhi quando, alla fine della lezione, Willow attraversò la stanza e
venne diritta da lei. Ormai, erano sole e stavano ritirando la vetreria che
avevano usato per gli esperimenti.
“Devo parlare con Tara” esordì
Willow, pallidissima.
“Telefonale” suggerì Fred,
piuttosto scostante.
“Non risponde alle mie
chiamate. Ho bisogno di vederla di persona”
A Fred venne da ridere. A parole,
erano tutti innamorati, decisi, persuasi a tutti pur di convincere del loro
amore la persona amata. A parole. In verità, alla prima difficoltà si
squagliavano come neve al sole.
Vigliacchi.
La fissò quasi con odio,
sovrapponendo nella mente la sua faccia a quella di Wes, quel traditore.
“Vuoi vederla? Domani sera
sarà ad Ashdale, sulla spiaggia c’è uno chalet. Spike e Buffy ci hanno invitati
ad un pigiama party”
Willow indietreggiò. Un
pigiama party? Con Spike e i suoi amici? Con Buffy?
“Vieni e la vedrai” la sfidò
Fred, di pessimo umore, sbattendo sul tavolo una scatola di attrezzi così forte
che le provette minacciarono di andare in frantumi.
Willow rimase immobile,
riflettendo, mentre Fred se ne andava nel tramonto. E poi prese il telefono.
Xander. Doveva contare una balla stratosferica a Xander. Lui contava sulla loro
scopata del sabato sera, non l’avrebbe presa bene. Ma il solo pensiero faceva
venire il voltastomaco a Willow.
“Ehy” rispose il suo ragazzo,
tutto sudato dopo un allenamento. “Qual buon vento, Will?”
“Tesoro, sono
dispiaciutissima” replicò lei. “Domani sera devo preparare una tesina per
lunedì. Il professor Haggins potrebbe non rinnovarmi l’assistenza in
laboratorio, se non lo faccio…e quei soldini mi sono utili.”
“Va tutto bene?” le chiese
Xander, accomodante. Troppo accomodante. Willow peraltro non si soffermò
su quanto strana fosse la sua reazione.
“Sì…ma proprio non possiamo
vederci. Mi dispiace tanto”
“Dispiace più a me, baby.
Cercherò di uscire con gli amici, magari farò un po’ di compagnia a Liam. Non
studiare troppo”
“Oh, no. Non ti preoccupare”
Soddisfattissima, Willow
chiuse la telefonata. E questa era fatta.
Ma adesso l’attendeva la sfida
maggiore. Riconquistare il cuore di Tara. Davanti a Buffy ed ai suoi amici.
Pregando che sapessero tenere
la bocca chiusa.
Willow ignorava che le mani di
Xander tremavano di eccitazione. Finalmente aveva un sabato sera libero! Il
ragazzo prese al volo il telefonino e cercò in memoria “Splendore Svedese”. Gli
rispose Anya.
“Ciao!” replicò lei. “Chi
sei?”
“Ahem….ciao…sono Xander
Harris…ti ricordi di me?”
“Ah – ah” rispose
distrattamente Anya. “Quello che voleva scopare.”
Xander minacciò di restarci
secco. Oh, cavolo…
“Ecco…sì…io domani sarei
libero…se anche tu…”
Anya rise.
“Scordatelo, boy – toy”
replicò lei. “Io scopo senza problemi, e te la do’ volentieri…ma non fino a che
hai la ragazza. Non sono la seconda scelta di nessuno. Claro?”1”
“
Chiarissimo.
“Beh, la mia ragazza è via, non
lo saprebbe, ehm…”
Il clic della conversazione
che cadeva fu più che mai eloquente.
Xander imprecò.
Cazzo, Cazzo, Cazzo!
Cazzutissimo Cazzo!
Darla non credeva alle sue
orecchie. Lindsey le stava dicendo che aveva già un impegno, per quel
sabato sera, e non intendeva affatto venire da lei.
Insultata da uno dei
sobborghi! Nero, per giunta!
Scaricata da un microscopico
nerd redneck!
Ignorata da quel manesco del
suo fidanzato ufficiale!
Scaricata da Lindsey, era
il caso di ribadirlo! Ed era già
venerdì sera!
Furiosa, riprese il telefono.
E chiamò Liam.
“Non c’è” le rispose Kathy,
sua sorella. “E’ fuori.”
“E dov’è?” chiese Darla, ormai
furiosa.
“In visita da un amico malato”
rispose Kathy. “Se vuoi, gli lascio un messaggio quando torna”
Darla trattenne
un’imprecazione. Salutò la ragazzina e riattaccò.
Maledizione!
Ma dove diavolo era finito?
Le loro conversazioni vicino
alla spiaggia, o nella confortevole cucina, erano diventate sempre più lunghe,
intense, intime.
Spike e Liam quasi non
credevano al sentimento di …comunanza che stava sorgendo tra di loro. Erano
stati antagonisti al primo sguardo, ed un po’ di quell’antagonismo ancora
aleggiava tra di loro. C’era qualcosa in loro, nel loro essere così diversi,
che stimolava la loro competitività. Ancora sentivano entrambi forte il
desiderio di spaccarsi la faccia a vicenda, di dimostrare all’altro chi dei due
fosse più uomo. Ma stavano imparando che si poteva capirsi ancora meglio,
malgrado tutto. Alcune delle esperienze di Liam, con suo padre, erano simili al
senso di profonda solitudine che Spike aveva provato quando era morta sua
madre. Seppure in modi diversi, erano i due leader dei loro entourage, e questo
li segnava.
Ciò che era accaduto quella
mattina a casa di Buffy li segnava.
Liam non si capacitava di
essere capace di tanto. Di far precipitare un suo simile nell’incoscienza. Non
si capacitava della profonda soddisfazione che esercitare il suo potere su
William gli aveva procurato.
E dell’altrettanto profondo rimorso…dopo.
E Spike capiva con sorpresa
che riusciva a perdonare la reazione di Liam. L’aveva perdonata subito, da
quando Liam era venuto a trovarlo in ospedale. Quel giorno si era stabilita tra
di loro una connessione che nessuno dei due poteva ignorare.
Ora lo osservava, alto e serio
nella piccola cucina. Gli diede le spalle mentre preparava la carne che Buffy
aveva comprato per la grigliata della sera dopo. Un po’ gli dispiaceva di
saperlo solo. Una specie di latente oscurità abitava quel ragazzo, un oscurità
che arrecava dolore a Liam prima che a chiunque altro. Ma quella sarebbe stata
la serata speciale di Buffy, e non poteva certo rovinarla invitando il suo ex.
“Vorrei riprendere ad
allenarmi” gli disse, mentre affettava le costolette d’agnello e le marinava,
come gli aveva insegnato sua zia. “Lunedì avrò il mio check – up: se sarà tutto
a posto potrò tornare a scuola”
“Ci tornerai prima di me”
replicò Liam, le fiamme del camino che danzavano nei suoi occhi neri e
carezzevoli. “La cazzata che ho fatto mi terrà lontano da scuola per un bel
po’. Mi chiedo come farò, ora che che anche tu andrai via di qua. Come passerò
il tempo”.
“Puoi prepararti per il SAT”
gli disse Spike, seriamente, “E darmi una mano con quei lanci lunghi. Non sarò
per un po’ veloce come prima, ma vorrei lavorare un po’ sulla forza. Ho perso
di nuovo del peso, e non posso permettermelo. Dovrei mettere su un po’ di massa
muscolare”
“Conosco il modo” sorrise
Liam. “Ti aiuterò. Ho dei libri interessanti sull’argomento, e possiamo fare
degli esercizi insieme. A casa mia ho tutto l’occorrente”
Sì, avevano parlato anche
della piccola palestra personale che Liam si era fatto installare in casa. E
del suo amore per le moto di grossa cilindrata. Del desiderio folle di Spike di
partecipare a qualche corsa con la de Soto dal motore truccato. E dell’amore di
Liam per il disegno, e di Spike per la letteratura.
Avevano parlato di tutto.
Tranne che delle loro donne.
Cadde tra di loro un silenzio imbarazzante, ma non del tutto spiacevole.
“Porterò Dru in terapia”
esclamò Spike, sincero. “Sembra che sia un po’ più tranquilla ora. Mi ha
chiesto di starle vicino”
“Bene” replicò Liam. “Sarò
stato uno stronzo codardo, ma non volevo farle del male. Non davvero”
“A volte ci riusciamo malgrado
tutto, vero?” osservò Spike, girandosi per studiare il profilo dell’altro. “Ma capisco
cosa vuoi dire. Lei starà meglio presto, ne sono sicuro”
“Vorrei che non uscisse con
quel Graham. E’ un idiota, vuole solo portarsela a letto” osservò Liam. “Lo so,
non sono fatti miei. Ma ti parrà incredibile…a volte penso ancora a lei.
Malgrado la sua fragilità, è molto bella…e molto affascinante.”
“Lo so. E non ho mai pensato
che tu volessi solo portartela a letto” gli disse Spike.
“Malgrado…Buffy?”
“Già” Spike si lavò
accuratamente le mani, rimettendo la carne in frigorifero, a marinare. “Malgrado
Buffy”
“Tu sei riuscito ad amarla
come a me non è riuscito”
Spike lo fissò. “E questo ti
dispiace?”
Liam si alzò, riempiendo la
cucina della sua imponente presenza. “E se non mi riuscisse di volere altro,
dalle donne? Se fosse un mio limite? Se fossi solo capace di portarmele a
letto, senza riuscire minimamente a stabilire la pur minima connessione? Se non
riuscissi a parlare con loro…come riesco con te?”
Ecco, l’aveva detto. Liam si
morsicò le labbra. Non credeva alle sue stesse orecchie.
Spike lo guardò attentamente,
ed i suoi occhi azzurri scivolarono su di lui, cercando di penetrare nel
mistero che Liam O’ Connor rappresentava per lui. Tenebra e luce gli
scivolavano addosso, sui piani decisi del suo corpo possente, e Spike sapeva
che c’era ancora qualcosa che gli sfuggiva, in lui. Si chiese se l’avrebbe mai
compreso.
“Non è facile amarsi” gli
disse, cercando di suonare incoraggiante. Cielo, una parte di sé voleva andare
a fondo di quel discorso. “E’ facile finire in un letto, lo è sempre stato. Il
difficile è comprendersi. Il difficile è parlarsi.”
Liam lo fissò a sua volta,
indugiando con lo sguardo sul suo volto cesellato, sui capelli tagliati
cortissimi su cui spiccava la garza della ferita che lui stesso gli aveva
procurato, sui suoi zigomi pronunciati, sulla sua bocca piena.
“Allora, perché con te è così
facile?”
Il sole era ormai del tutto
tramontato. Spike accompagnò Liam alla sua moto, ammirandone la linea elegante
e potente. Liam O’ Connor, grazie ai soldi di suo padre, si concedeva solo il meglio.
“Che fai, stasera?” gli chiese
Liam.
Era un po’ imbarazzato. La sua
confessione in cucina, poco prima, aveva fatto discendere tra loro una pesante
cortina di silenzio, che pure non era del tutto sgradevole.
“Mi guardo un po’ di tivù. E
poi vado a letto presto. Che dici, la prossima settimana guardiamo il
Manchester United sulla tua tivù via cavo?”
“Sport da checche, il soccer”
replicò Liam.
“Si chiama calcio, ed è uno sport,
per cominciare. Non come quella vaccata che chiamate football”
rispose Spike, sorridendo.
D’improvviso, un’ombra passò sul suo volto. A volte gli capitava. I postumi
dell’incidente gli procuravano dei brevi mancamenti. Lo sguardo gli si offuscò,
e si sorresse a Liam, posandogli le mani sulle braccia.
“Ehy, amico, tutto bene?” si
preoccupò Liam.
Spike odiava sentirsi così
debole. Specie davanti a Liam, dopo quello che era successo.
“Sì…va bene. E’ passato. Solo
un calo di pressione”
Eppure non si staccava da lui.
Liam abbassò lo sguardo, odiandosi per sentirsi così responsabile di quello che
era capitato a William. Dio…
La sua bocca.
Qualcosa in lui, nello sguardo
offuscato dei suoi occhi azzurri, mandò un messaggio inequivocabile al suo
cervello.
Un messaggio inaccettabile.
Non poteva crederci. A lui non
poteva succedere una cosa del genere. Non lo accettava.
Ma contava poco quel che voleva.
Contava solo ciò che sentiva.
Prima di pentirsene
amaramente, abbassò piano il capo e sfiorò con le labbra quelle di Spike.
Sentire la sua bocca fresca e asciutta gli provocò una sensazione che non aveva
mai provato. Qualcosa di potente, oscuro, primigenio.
Malgrado tutto, malgrado i
richiami della ragione, e del sentimento per un’altra persona, Spike rispose al
bacio.
Un brevissimo bacio. Eppure non
goffo. Non innaturale, come entrambi avevano temuto. La lingua di Liam fece
rapidamente capolino tra le sue labbra socchiuse, incontrò brevemente quella di
Spike.
E si ritrassero entrambi,
sconvolti per la forza di ciò che stava succedendo.
“No…” mormorò Spike,
staccandosi da lui.
Liam lo fissò cupamente
fuggire da lui, dirigersi quasi zoppicando verso lo chalet.
“Sei di umore strano,
stanotte” mormorò Buffy, ben al sicuro nella sua stanza dalle pareti a
fiorellini rosa, calda e contenta. Di lì a poco sarebbe stato sabato. Di lì a
poco avrebbe nuovamente dormito tra le braccia di Spike, nello chalet sulla
spiaggia, cullati dalla risacca del mare. Sarebbe stato bellissimo. E, questa
volta, avrebbe persino avuto la benedizione di sua madre.
“Non stai bene?”
“Prima ho avuto un breve
mancamento” le disse Spike al telefono, rimestando svogliato la minestra in
busta che si era appena preparato. “E’ solo un po’ di debolezza”
“Sembri affaticato, in
effetti” gli disse Buffy. “Forse è un po’ prematuro organizzare una festa con
gli altri già domani…”
“Non dirlo nemmeno per
scherzo” la interruppe Spike. “Ho già preparato la carne per la grigliata, e
non vedo l’ora che tu sia qui. Piccola, ho bisogno di te. Ne ho bisogno sul
serio. Mi manchi tantissimo. Buffy…amore…”
“Dillo ancora” rise lei,
accomodandosi meglio nel letto. “Buffy amore è uno dei miei ritornelli
preferiti.”
“Buffy amore…” le disse lui,
nascondendole il tumulto delle emozioni che lo agitavano. Non riusciva a
credere a ciò che era successo con Liam sulla spiaggia.
Non ignorava che queste cose
capitano. A scuola, in Inghilterra, erano all’ordine del giorno. Tara era gay,
per esempio, ed era una delle sue migliori amiche. Non la giudicava per questo,
e l’amava tanto quanto fosse stata eterosessuale, se non di più. La ragazzette
come Darla e Faith si dedicavano anche a divertimenti lesbo, non lo ignorava.
Ma Liam….
Liam non era Darla. E poi,
Liam era un uomo. Su questo non aveva nessun dubbio. Non dubitava della
sua virilità, come non dubitava della propria. Ed ancora più del bacio, che
pure l’aveva scosso come un fulmine, fin nel profondo, erano state le sue
parole a sconvolgerlo. Lui e il suo Nemico. Avevano in pochi giorni costruito
un’intimità che ben poche coppie etero possedevano. Cosa diavolo poteva
significare?
”Buffy, amore…”ripeté, come un
mantra salvifico, sperando che lo aiutasse a dissipare le nubi che minacciavano
di affollarsi nel suo cervello. “Domani staremo insieme, finalmente.”
“Sì, tesoro. Ed ora dormi bene”
gli disse Buffy, mandando baci nel cellulare.
Spike sospirò. Dormire, dopo
quello che era successo?
Era una parola.
Buffy si guardò intorno,
soddisfatta. Lo chalet era delizioso, nel tramonto di quel sabato sera, e la
risacca dell’Oceano Pacifico risuonava morbida nell’aria. Avrebbero acceso un
falò e avrebbero cantato e suonato e sulla spiaggia. Ma prima avrebbero
mangiato la carne alla brace nella piccola accogliente cucina arredata in
legno, in piatti di porcellana grezza sulla tovaglia a quadri rossi e bianchi.
E poi, quando sarebbe stata notte, si sarebbero ritirati nelle stanze al piano
di sopra. Lei e Spike nella stanza padronale, nel morbido letto d’ottone, e le
ragazze e Lindsey nelle altre due stanze. Sarebbe stato bellissimo!
Scivolò entusiasta nelle
braccia di Spike. Lui sembrava sereno, anche se un’ombra gli oscurava lo
sguardo. Buffy intuiva che qualcosa lo stava turbando, ma lui le sorrise,
dissipando i suoi dubbi. Spike la baciò con passione, assaporando la sua bocca
morbida, perdendosi nel suo caldo, femminile contatto.
“Wow” replicò lei, senza
fiato. “Vedo che le forze sono tornate”
“Ci puoi contare, baby”
replicò lui, sorridendo ironico. “E stanotte te lo dimostrerò.”
Buffy sospirò e si staccò dal
suo ragazzo per accogliere Fred e Tara. Le ragazze erano cariche di cose buone
da mangiare, e Tara aveva portato anche la sua chitarra. Buffy non lo sapeva
ancora, ma la ragazza cantava stupendamente, ed era specializzata in un
repertorio folk molto adatto all’occasione.
Le amiche di Spike lo
abbracciarono e si complimentarono per la sua buona cera. Lindsey arrivò di
corsa, senza fiato per la corsa fatta, ed aiutò Spike a preparare la grigliata
sulla spiaggia. In allegria, con mille risate e qualche pasticcio, cucinarono
la carne preparata da Spike e la portarono in cucina per mangiarla. Fred
preparò le patatine fritte, e Tara e Buffy decorarono la tavola.
Buffy si guardò intorno. Spike
aveva ragione. Gli amici erano davvero importanti, potevano dare fuoco e calore
alla tua vita, renderla piena di significato. Il suo sguardo si perse su di
lui, quasi con tenerezza materna. Come aveva temuto di perderlo! Ma lui era lì,
e stava di nuovo bene. Ringraziò il cielo per la fortuna che aveva avuto,
conoscendolo. Da quando lui era entrato nella sua vita, lei aveva lasciato
un’esistenza superficiale, fatta di solitudine e vestiti e amiche da poco, per
vivere davvero.
Non poteva nemmeno immaginare
di poterlo perdere.
Spike non era Liam. Era forte
e fedele. Le voleva bene, e non l’avrebbe mai lasciata per un’altra. Ne era
sicura.
Gli strinse la mano sotto la
tovaglia, mentre mangiavano tutti con appetito. Quando bussarono alla porta,
tutti si stupirono.
Spike sollevò il capo,
chiedendosi con il cuore contratto se si trattasse di Liam. Non l’aveva più
visto…da allora.
“Vado io” disse Fred,
sollevandosi da tavola. “Questa cucina è talmente stretta che sfido nessuno di
voi riuscirebbe a passarci”
“Ah – Ah” rise Buffy. “Guarda
che potrei ritenermi offesa. Anch’io porto la quaranta”
Fred non l’ascoltò, e aprì la
porta. Doveva essere il signor Giles e Joyce che passavano a vedere come se la
stavano cavando i ragazzi.
Rimase impietrita sulla
soglia.
Era Wes.
Oh, Cielo….
E aveva in mano un mazzo di
rose rosse. E due bottiglie di Chardonney.
“Fred…sono venuto”
Fred impallidì, e Wes quasi
temette di doverla sorreggere. La ragazza non poteva semplicemente credere ai
suoi occhi. Lui non l’aveva più cercata in nessun modo, né aveva risposto al
suo messaggio. Lei aveva dato per scontato che se la fosse data a gambe.
Ed ora…
Il pallore di Fred lasciò il
posto al rossore. Cavolo, gli aveva chiesto di passare la notte con lui!
E lei…lei…indossava i mutandoni di cotone che le aveva regalato sua nonna al
suo dodicesimo compleanno…tra le altre cose….
“Mi fai entrare? I fiori sono
per te. E le bottiglie pesano” Wes fece una smorfia, indicandole i suoi doni.
“Fred, chi è?” chiese Spike,
da dentro.
Nessuno gli rispose. Di lì a
poco Fred e Wes apparvero in cucina. Lui era imbarazzatissimo. Lei aveva il
colorito di un gambero bollito. E tutti tacquero.
Lo sguardo di Wes, di dietro
alle lenti dei suoi occhiali, incontrò quello – piuttosto ironico – di Buffy.
Avevano frequentato gli stessi ambienti, anche se non erano davvero stati amici…ed
ora si ritrovavano in questo contesto così diverso, con gente che – per
così tanto tempo – non avrebbero mai ammesso di poter frequentare….
Buffy si stava probabilmente
chiedendo cosa ne avrebbe pensato Faith di questa iniziativa di Wes, e
Wes sicuramente si stava domandando se mai Buffy gliel’avrebbe detto. La
ragazza bionda scosse piano il capo. No, lei non avrebbe parlato. Ciò che
accadeva in quello chalet, quella notte, sarebbe rimasto riservato.
Wes si rilassò
impercettibilmente. Lindsey si scostò per fargli posto intorno al tavolo,
accanto a Fred. Le loro gambe si sfiorarono, mentre Tara prendeva le rose di
Fred e le metteva nell’acqua. Spike stappò lo Chardonney e cominciò a versarlo.
Ma le sorprese non erano ancora finite, mentre la mano di Wesley scivolava
sotto il tavolo per stringere quella di Fred.
“Chi sarà, stavolta?” esclamò
Tara, districandosi per andare alla porta. “Non ci starebbe più uno spillo….”
“Sarà mia madre” replicò
Buffy, incoraggiante.
Ma anche Tara ebbe la sua
sorpresa.
Willow era venuta.
Era dolce e consolante
rimanere così accanto al fuoco. La spiaggia era deserta, a parte loro, e la
notte buia, con una luna a metà che ammiccava sorridente nel cielo scuro. Buffy
si rilassò tra le braccia di Spike, mentre lui le accarezzava i capelli piano,
facendo scivolare l’altra mano sul grembo di lei. Lei la prese e se la infilò
dentro il pullover, stretta vicino al suo seno. Cielo, non poteva stare lontana
da lui, senza toccarlo, senza sentirlo….
Di fronte a loro, vicini
eppure rigidi, stavano Wes e Fred. Fred era felice ed infelice nello stesso
tempo. Felice che Wes avesse risposto alla sua sfida, accorrendo al suo
richiamo, infelice che i suoi amici, che tanto tenevano a lei, dovessero
vederla così debole…e vulnerabile. Innamorata. Dell’uomo sbagliato.
Ma la serata procedeva, il
freddo si faceva intenso, e la voce morbida di Tara, unita al suono delle sue
ballate folk, cullava la notte. Spike e Buffy erano ormai profondamente
abbracciati, sembravano, alla luce del fuoco, una cosa sola. Impercettibilmente,
un centimetro alla volta, anche Fred e Wesley si avvicinarono. Non c’era cosa
che lei desiderasse più al mondo che farsi racchiudere dalle sue braccia forti,
aspirare il suo buon profumo di maschio e di colonia, stringersi al suo
pullover di cashemere. Wesley non desiderava altro, e lei presto fu nel cerchio
delle sue braccia, la bocca di lui, morbida e sensuale, che giocava con la
morbida pelle del suo collo, e di tanto in tanto, ma discretamente, per non
farla imbarazzare davanti ai suoi amici, si posava sulle sue labbra fresche.
Giusto o sbagliato che fosse, Fred sapeva che lo amava. E che lo avrebbe sempre
amato. Non sarebbe probabilmente mai stata fortunata come Spike e Buffy, che
non avevano più ostacoli sulla loro via, ma avrebbe preso a piene mani tutto
ciò che Wes avrebbe voluto darle. Perché quello che c’era tra loro non era
bello, ma era vero.
Per Tara, mentre cantava,
esistevano solo gli occhi dorati di Willow. La strega dai capelli rossi, che
tanto male le aveva fatto, aveva raccontato come Wes una palla al suo ragazzo
ed ora era lì, fissandola nella notte come un grosso, pericoloso, ammaliante
gatto. Tara sentì la sua eroica resistenza svanire come neve al sole. Se quella
notte lei restava lì….come avrebbe potuto dire di no.
Lindsey si agitò, a disagio.
Era rimasto da solo. L’unico tra tutti.
“Davvero non hai chiesto a
nessuna di venire?” gli disse Spike, con la sua voce profonda, resa più roca
dalla morbida vicinanza di Buffy, accoccolata su di lui come una gattina.
“Al contrario” rise il texano.
“Una tipa ha chiesto a me di uscire, stasera” si guardò intorno, studiando le
facce di Buffy, di Wes. Nessuno di loro sembrava sospettasse che…tra lui e
Darla Mayer c’era qualcosa. Non si diceva forse così, in questi casi.
“Ma non mi piace, è un tipo snob, una troietta. Di solito fa finta di non
notarmi, e quando ha bisogno….le ho detto che ero già impegnato”
“Forse hai fatto male” disse
Fred, sognante. “A volte bisogna dare a chi ci ama una chance. Non sempre le
persone sono come appaiono. A volte nascono tra due persone delle
emozioni, dei sentimenti che è difficile accettare. Ma non per questo sono meno
veri. Bisogna solo dare a se stessi il tempo di meditarli, ed all’altro
la possibilità di mostrarsi per quello che è veramente. Di mostrare veramente
ciò che prova”.
Tutti, nel silenzio notturno
interrotto dal rumore del mare e dal crepitio del falò, meditarono le sue
parole.
Sembrarono a tutti loro
particolarmente pregnanti.
Wes si chinò e rubò un bacio a
Fred, un morbido bacio a bocca aperta che la lasciò ansimante e desiderosa…di
qualcosa di più. Di qualcosa che non aveva ancora avuto.
E Willow si avvicinò a Tara,
morbida e sensuale. Tara lasciò cadere la chitarra sulla sabbia, e le tese una
mano, che l’altra prese.
Spike non disse nulla, mentre
stringeva a sé Buffy, felice del suo calore.
Lindsay si alzò piano. La
serata, almeno per lui, era finita.
E poi, aveva di meglio da
fare.
Senza parole, solo con un
cenno del capo, lasciò le tre coppie accanto al falò e tornò in città.
“Esattamente, cosa stiamo
facendo?” chiese Liam, osservando Darla con occhio critico.
Lei era sexy, fin troppo.
Bella era bella, non l’avrebbe scelta come sua fidanzata ufficiale, altrimenti.
Poco ma sicuro. Era sempre Liam O’ Connor, il quarterback, che diamine. Ma non
provava più niente per lei. Questa era la tragica conclusione delle sue
riflessioni.
“L’amore?” mormorò
morbidamente lei, sedendosi accanto a lui su uno dei lettini che sua madre
aveva posizionato attorno alla piscina della loro villa. “L’ultima volta è
stata memorabile, o te ne sei dimenticato?”
Liam non rispose. Sembrava più
chiuso ed inaccessibile che mai. Le piccole mani di Darla si insinuarono sotto
la sua camicia di jeans, sul suo petto solido, dai pettorali ben scolpiti. Liam
la fermò, fissandola.
“E’ solo sesso” esclamò.
“Beh….già” replicò lei,
annoiata. “Che ti aspettavi? Amore eterno?”
Liam scosse il capo. Oh, non
da lei. Non più. Forse, mai.
“Liam, ma che ti prende?”
esclamò Darla. “Ti ho chiamato, sei venuto. Bene, scopiamo. Che c’è di male?
Non sarà la prima volta e neppure l’ultima. Mi domando se tu non ti sia
finalmente innamorato, solo così si spiega il tuo umore. Ma se è quella
sciacquetta insulsa di Buffy, giuro che mi taglio le vene. Non mi puoi cadere
così in basso. Dimmi almeno che si tratta di Cordelia Chase”
Un sorriso divertito aleggiò
sulle labbra di Liam. “E’ quello che pensi? Che io sia innamorato di un’altra
persona?”
“Perché, non è vero?”
“Lo ammetto. Sto pensando ad
un’altra persona. Questo cambia qualcosa per te…per noi?”
“Affatto” ammise Darla,
soffocando un’inopportuna delusione. “Cosa vuoi che cambia? Per gente come noi,
nulla e nessuna importa davvero”
Liam non ne era affatto
sicuro. Ma non la contraddisse. Lei ricominciò a baciarlo, ed era più facile
lasciarla fare che fermarla.
Darla lo fece stendere sul
lettino, scivolando su di lui ed armeggiando con i suoi jeans. Suo malgrado,
Liam si eccitò.
Ma non gli piacque l’immagine
che gli comparve nel cervello, per niente.
Eppure, dolcemente, tenebrosamente,
si abbandonò a quell’immagine, a quella fantasia inaccettabile, mentre
Darla si abbassava sulla sua erezione, dura come acciaio. “Oh, Liam” sospirò
lei. “Sei uno stronzo di prima grandezza, e Dio sa che sarebbe meglio perderti
che trovarti. Ma nessuno scopa come te. E nessuno ce l’ha così duro”
“Non usare questo linguaggio
da sgualdrina” le disse lui, prendendola duramente per i fianchi e
sistemandosela addosso, mentre scivolava in lei con forti, lente spinte. “Sta
zitta, almeno per una volta. Sta zitta”
Lei tacque, chiudendo gli
occhi.
Quando li riaprì, Lindsey era
di fronte a lei, sul suo prato.
Darla si riscosse. Non c’era
motivo al mondo perché smettesse di far l’amore con il suo ragazzo, sul suo
prato, nella sua piscina, in casa sua, solo perché quel nerd
deficiente e brevilineo….
Ma smise. Si sollevò da Liam,
e il ragazzo si richiuse i pantaloni, accendendosi una sigaretta. Darla si
stupì al vederlo fumare, ma non disse nulla. Si tirò giù la gonna e fissò
Lindsey.
“Esattamente….che cazzo
vuoi? Cosa vuoi dalla mia vita?”
Lindsey era pallido,
contratto. I suoi occhi azzurri scivolarono su Liam, lo esaminarono
attentamente, mentre il quarterback fumava tranquillo, con uno sguardo scuro e
lontano.
“Credevo volessi uscire con
me, stasera” sibilò Lindsey. “Non era quello che mi avevi detto? Ma vedo che lo
stallone, qui, aveva altri programmi”
Darla rialzò fiera il mento.
“E tu mi hai detto che avevi un impegno. E allora?”
“Esci con questo qua?” chiese
Liam, apparentemente disinteressato.
“NO” risposero all’unisono
Lindsey e Darla.
Liam sollevò gli occhi al
cielo e se ne andò. Dio sapeva se non era già annoiato a morte, quella sera.
E poi, a dirla tutta non ne
aveva più così tanta voglia. Non con Darla. Soprattutto se pensava a
cosa stavano facendo gli altri, quella sera…
“Beh, che altro vuoi?” chiese
Darla. “Smamma. Mi hai già rovinato quella che sembrava essere una
promettente scopata.”
“Non sembravi pensarla così,
ieri”
“Avevo bevuto. E ci
avevo preso sopra degli psicofarmaci” si difese lei. “Che c’è? Non mi hai
accusato tu stesso di essere …com’era….una povera troia. La
più perfida e superficiale che tu avessi mai visto? Ed adesso di che ti
stupisci?”
Lindsey le si avvicinò e le
strinse il volto in una morsa.
“E lo sei davvero” le
disse, la bocca vicinissima a quella di lei.
“Ci puoi giurare”
replicò lei, fieramente, cedendo al suo bacio.
E poi gettandolo, con una sola
spinta ben calibrata, in piscina.
L’acqua era gelida,
quella sera.
“Beh….se per voi ragazzi va
bene….noi andremo a letto” esclamò Spike, fingendo uno sbadiglio. Buffy si
strinse a lui, lanciandogli un’occhiata piena di calore. Oh, la ragazza era muy
sexy, quella sera.
Il più tragico degli imbarazzi
scese sul gruppo. Erano nel corridoio al piano di sopra dello chalet, c’erano
tra stanze da letto e….
….erano tre coppie.
Guarda caso. Fred si strinse a
Wes, tremando letteralmente come una foglia. Lui la fissò con uno sguardo caldo
che le fece sciogliere le ginocchia, minacciandola di mandarla a terra.
Tara e Willow si tenevano
pudicamente per mano. Non avevano ancora potuto parlare, ma occorreva poi?
Bisognava davvero sprecare tutto quel fiato e quel tempo?
Spike sollevò gli occhi al
cielo e si portò dietro Buffy, chiudendo dietro di sé la porta della stanza da
letto padronale.
Wes tirò piano la mano di
Fred, spingendola verso la seconda stanza da letto, la più esterna. Fred era
pallidissima, ma non protestò e lo seguì, preda di un miscuglio di sensazioni
(paura e voglia di resa) che le toglievano ogni volontà. Anche la loro porta si
chiuse alle loro spalle.
“Beh…siamo qua” disse Willow.
All’improvviso non si sentì più sicura di niente. Era con Tara, e ben due
persone del suo solito entourage, Buffy e Wes, ne erano al corrente. Era
semplicemente spacciata.
Tara la baciò, con dolcezza. E
Willow non capì più nulla. Era tutto così giusto. Tra le sue braccia, non
provava nulla dell’imbarazzo, della volgarità dei suoi incontri con
Xander. Nulla, se non gioia. Se solo il mondo non avesse avuto tutte quelle difficoltà
nell’accettarlo… Senza parole, entrarono a loro volta nella piccola camera
da letto.
Spike era ancora in piedi,
alla finestra, mentre Buffy si spogliava piano. Lui era stato silenzioso ed
assorto tutta la sera, e lei si era preoccupata, anche se l’aveva percepito
vicino, partecipe, dolcissimo. Le sue carezze, i suoi baci accanto al fuoco le
avevano colmato il cuore di gioia. Ma intuiva che qualcosa lo preoccupava.
“Non ti senti bene?” gli
chiese, avvicinandoglisi e posandogli le labbra sul collo. Lui scosse il capo.
Sì, forse non era ancora al top, ma si sentiva abbastanza bene da amarla come
meritava di essere amata, questo era poco ma sicuro. Anelava al suo abbraccio
forte e sicuro, al suo calore femminile e sexy. Trasalì nel sentire il suo
caldo respiro sul collo, il contatto intimo e morbido del suo perfetto corpo
nudo. La sollevò per i fianchi, e la mise seduta sul davanzale. Lei ansimò, per
l’erotico contatto delle sue cosce con i suoi fianchi, la sua pelle che
strofinava piano contro la tela ruvida del jeans.
“Spike….”
Aveva un modo di dirlo, come
un sospiro ansioso, che lo riempiva di eccitazione. Spi – i – ke. Lui sorrise.
Senza preliminari (ma lei era
umida, e pronta, e aperta come un fiore) si abbassò la cerniera dei jeans e la
penetrò. Entrò in lei con un lungo, perfetto affondo. Lei cinse le braccia
attorno al suo collo, godendo immensamente di quell’intimo contatto che la
colmava come mai nulla l’aveva colmata prima. Non c’era nulla al mondo come
fare l’amore con Spike. Sussurrò il suo nome come una cantilena, i sensi in
fiamme. E quando lui affondò il suo volto nel collo di lei, che piano
accoglieva, come un dono, le sue spinte, Buffy pensò che lo amava.
E la forza del suo sentimento
per lui la dominò completamente.
13. Play-off
“Fred…Oh, Fred…” Wesley mugolò, divincolandosi per toglierle di
dosso quel diabolico pull con bottoni microscopici. La ragazza arrossì,
ritirandosi contro la spalliera per nascondere alla sua vista il semplice
reggiseno di cotone. Ma quanto era stupida? “Fred, tesoro…Che c’è che
non va?” le chiese lui, allungando la mano verso il comodino per riappropriarsi
degli occhiali.
Gli occhi di Fred si
riempirono di lacrime. Possibile che fosse inadeguata perfino per questo?
“È solo che…”
Wesley cercò a tentoni
l’interruttore dell’abat-jour.
“Che…?” la invitò a
continuare, accarezzandole il viso per scostarle dagli occhi una delicata
ciocca di capelli. Quel gesto la commosse. Avrebbe dovuto essere in collera con
lei, e invece pensava ai suoi stupidi capelli. Quella forse sarebbe stata la
sua, la loro, unica possibilità…E lei la stava sprecando così
scioccamente. Che stupida!
“Ho paura di deluderti.”
Balbettò in un soffio, abbassando lo sguardo.
Sulla stanzetta calò il
silenzio.
“Tu mi stai dicendo che io
potrei rimanere deluso…da te?” domandò lui con un tono indecifrabile.
Fred annuì timidamente, senza il coraggio di guardarlo negli occhi. Wes le
sollevò il mento con l’indice, sorprendendola con un risata rassicurante
“Winifred Fred Burkle, tu sei la donna più meravigliosa che io abbia mai
conosciuto. Come potresti mai deludermi?”le sorrise con i suoi occhi blu
prima che con le labbra, e il cuore di Fred si sciolse in un singhiozzo.
Era lui.
Il principe azzurro che
Cenerentola aspettava rintanata nelle cucine, il cavaliere che l’avrebbe
risvegliata con un bacio…
“Ma Faith…” le chiuse le
labbra coprendole con le sue. Non voleva pensare a Faith. Non voleva pensare a
nulla che non fosse la sua magnolia del sud. Erano insieme, quella notte…Chi
aveva bisogno del domani?
La ragazza si abbandonò
tremante al bacio, rispondendo con dolcezza alle carezze sempre più insinuanti
di lui. Quella era la sua favola. Wes era la sua favola.
Wes era spaventato. Molto più di
lei, se possibile. Era deciso a darle la prima volta più bella che qualcuno
potesse mai desiderare. Lei era perfetta…Se qualcuno non si sarebbe dimostrato
all’altezza, molto probabilmente sarebbe stato lui.
Aveva paura di farle male, di
ferirla…Ma, a quel punto, era inevitabile.
“Voglio che sia tutto
perfetto…” le soffiò sulla labbra, distendendola sul cuscino fresco di bucato
come se fosse fatta di cristallo. Lei si affidò con naturalezza alle sue mani
esperte, lasciando che lui la spogliasse lentamente. Si offriva completamente a
lui.
E di chi poteva fidarsi, se
non del suo cavaliere in armatura scintillante?
Wesley le slacciò il reggiseno
con una mano sola, dopo i mesi di estenuante pratica con i cilici di pizzo di
Faith…Almeno per questo mi è stata utile…I capezzoli teneri di Fred si
annidarono naturalmente fra le sue labbra, provocandole vaghi mugolii
imbarazzati.
Fred tentò di ricordarsi tutti
i consigli delle riviste femminili che non aveva mai letto, sempre più nel
panico…Non sta succedendo a me…Aiutò il ragazzo a liberarla dei jeans,
con il respiro affannoso per l’ansia e per il sangue che le rombava nelle
orecchie. Lui si liberò del maglione, poi della camicia…Per sentirla, pelle
contro pelle, sempre più vicina…I Levi’s di Wes raggiunsero i suoi sul
pavimento, in un ruvido sbuffo di fibbie e bottoni.
“Hai un…?” bisbigliò Winifred,
senza il cuore di guardarlo negli occhi. Wesley annuì, sfiorandole il nasino
all’insù per conquistare la sua attenzione.
“Sei certa di quello che
stiamo per fare?” la fissò in silenzio, con lo sguardo acceso dall’amore e
dall’eccitazione “Se hai intenzione di fermarti…”
“No” rispose tremante,
eppure risoluta. “Non voglio che ti fermi…” la sua espressione si rilassò in un
sorriso, mentre i suoi occhi di nocciola tornavano a riempirsi di lacrime.
Wesley la strinse con tutta la tenerezza di cui era capace, facendo scivolare
una mano nei suo slip. Lei sollevò le anche per aiutarlo a farli scivolare
lungo le sue cosce da cerbiatta, premendo inconsapevolmente contro la sua eccitazione.
Il ragazzo gemette piano, con il viso sepolto nella curva dolce del suo collo,
facendosi strada con un dito nella sua femminilità.
Fred si illuminò come si
avesse ingoiato una candela accesa, accompagnando istintivamente il movimento
della mano di Wes con i fianchi.
“Ti faccio male?” domandò,
mentre le prendeva il lobo dell’orecchio fra le labbra.
Lei chiuse gli occhi,
trattenendosi a stento dall’ansimare.
“N-no…” balbettò, inebetita
dallo sbalordimento e dai segnali convulsi e contraddittori che le sue
terminazioni nervose mandavano al suo cervello.
Wesley aggiunse un dito alla
rotazione, armeggiando alla ricerca di un profilattico, e lei si sciolse come
cioccolata fusa sotto di lui. Era pronta. Il ragazzo sostituì con
delicatezza la sua erezione alla mano e Fred si accomodò meglio per riceverlo
nel suo grembo, contemplandolo con assoluta, terrorizzata ammirazione.
“Ti amo…ti amo…ti amo…” le
cantilenò all’orecchio.
Lei tacque, allungando una
mano per spegnere l’abat-jour.
Darla irruppe nella hall della
sua villa sbattendo la porta di vetro liberty con assai poco riguardo.
Che serata di merda.
Caracollò sui tacchi alti,
salendo le scale senza che i suoi occhi si abituassero al buio. Era incazzata,
frustrata, insoddisfatta…Ecco, insoddisfatta. Se il suo stallone non era
neppure capace di darle un orgasmo ormai era fottuta. Scusate il gioco di
parole.
Forse avrebbe fatto meglio a
non buttare il perdente in piscina…
La luce si accese
improvvisamente su di lei, rischiando di farla precipitare come un sacco di
patate fino al pianerottolo. Come se non bastasse.
“Cosa ci fa un redneck
nella mia piscina, Darla?” la voce di sua madre tuonò nel lussuoso
salone, facendola trasalire. Abbigliata di una vestaglia di seta rossa da
regina e truccata di tutto punto marciò verso di lei con passo regale,
circondata da una nube di inconfondibile Chanel n° 5. Quella stronza riusciva
sempre a farla sembrare una piccola pezzente. Quanto la odiava…
La bionda si voltò
bruscamente, sfoggiando il migliore dei suoi sorrisi sarcastici.
“Doveva farsi un bagno…Per,
come dire?, calmare i bollenti spiriti…”gorgheggiò, imitando
inconsapevolmente la posa della signora Mayer. Perfetto, aveva proprio
bisogno di questo.
“Smettila di fare la
spiritosa, signorina…” controbatté la donna con un acuto.
“Non sono una signorina,
mamma. Sono solo una puttana che si fotte piccoli redneck nella tua
preziosa piscina. E scusami se è poco.” scosse la testa, protendendosi
verso l’altra.
Lo schiaffo raggiunse la sua guancia
ad una velocità e con una forza che la ammutolirono.
Non l’aveva mai toccata.
Nessuno l’aveva mai picchiata.
Nessuno poteva permettersi
di schiaffeggiare Darla Mayer!
Strinse i denti, sforzandosi
di non versare una lacrima per la sua vita che andava a rotoli.
Lei era forte.
Lei li avrebbe fottuti TUTTI.
“Non osare mai più pronunciare
parole di questo tipo in casa mia.” si posò le mani sui fianchi, sfidandola con
lo sguardo a contraddirla.
“Da quando in qua ti interessi
di quello che faccio con la mia lingua?” sorrise la figlia, tremando di rabbia.
L’avrebbe volentieri decapitata, se avesse avuto la certezza che il sangue poi
sarebbe andato via in lavatrice.
“Tu sei mia figlia!” ribatté
incredula lei.
“E allora? Non ricordo una
sola volta che mi hai abbracciata. O che mi sei stata vicina. Magari solo che
mi hai fatto un sorriso che non fosse ipocrita.” le urlò in faccia, spalancando
gli occhi “Non te ne è mai fregato un cazzo di me, e pretendi di accampare
diritti su quel che faccio e che dico…Ma che razza di madre sei?!” Mrs.
Mayer la fissò in silenzio, con il labbro inferiore che iniziava a tremare “Ora
per favore non metterti a piangere…” la ammonì freddamente Darla “…abbi almeno
un po’ di dignità.” incurvò la bocca carnosa in una smorfia di trionfo,
inclinando la testa.
“Non ti abbiamo mai fatto
mancare nulla…” protestò la donna, con un debole riferimento alla sua Visa
Platinum.
“Hai ragione, mamma.
Dal vostro conto in banca ho ricevuto tutto ciò che desideravo…eccetto un po’
di calore umano.” ammiccò, sprezzante “Non che lo abbia mai preteso, specialmente
da te.”
“Per questo ti circondi di
ragazzini carichi di testosterone che vogliono solo portarti a letto?” chiese
pacatamente, asciugandosi gli occhi.
“Meglio che farsi di
antidepressivi…”affondò, con una calma gelida.
Dio, stava diventando come
lei…
Scuotendo i capelli dorati le
voltò le spalle per salire di corsa in camera, mentre sua madre continuava a
blaterare sull’uscio. Darla si chiuse a chiave, lasciandosi scivolare contro il
legno bianco fino sentire il morbido tappeto orientale premere sotto il tessuto
leggero della gonna.
Respirò profondamente,
cercando di spegnere il cervello.
Per non pensare più.
Per non ascoltare più.
Per non soffrire più.
Era possibile, non provare nulla?
Essere eterna, algida e
impassibile?
Non fingere di esserlo,
esserlo davvero.
Le lacrime iniziarono a
scorrerle lungo le guance, rigandole di mascara. La bionda trattenne i
singhiozzi, strisciando fino alla cassettiera senza neppure la forza di
alzarsi.
Ed eccole lì, invitanti e
piccole e colorate, avvolte nel sacchetto di plastica trasparente.
La sua ancora di
salvataggio.
La ragazza se ne fece
scivolare una in mano, poi, dopo un attimo d’esitazione, un’altra seguì la prima
sul suo palmo. La terza le finì direttamente in gola, aiutata da un sorso di
tequila tiepida.
Avrebbe preferito del vino, ma
meglio che niente.
Si sdraiò supina ai piedi del
letto, sorridendo.
Non doveva più rimuginare su
quanto facesse schifo la sua vita.
Li aveva fregati. Tutti
quanti.
Liam, sua madre, Buffy…Le loro
facce si mescolavano vorticosamente, scomparendo. Finalmente.
Nella sua realtà non c’erano
boyfriend finocchi, false amicizie e genitrici crudeli.
Solo ombre.
Avrebbe potuto – avrebbe voluto
– rimanere lì per sempre…
Si abbandonò al suo mondo di
colorate allucinazioni, il respiro sempre più lento e affannoso.
Aveva vinto.
Era al decimo bicchiere di
whisky…O forse era il nono?
Non ne era certo.
Aveva perso il conto un paio
di sorsi prima.
Ma era davvero così
importante?
Il liquore ambrato era caldo,
gli incendiava la gola. Una sigaretta bruciava da sola nel posacenere,
abbandonata lì appena accesa. Riusciva a malapena a sollevare il bicchiere,
figurarsi fumare…
Chi cazzo se ne frega di
una Malboro sprecata?
Era tornato a casa in fretta.
Voleva farsi una bella dormita. Dimenticare.
Dimenticare quel bacio. Quella
bocca. Quei pensieri inammissibili.
E a furia di crogiolarsi nelle
sue fantasie intollerabili e nei suoi ancor più assurdi dubbi, aveva deciso di
chiamarlo. Aveva fatto il numero una, due, tre, dieci volte…Riattaccando sempre
un istante prima che squillasse, in un nuova raffinata forma di tortura.
La bottiglia preferita di suo
padre l’aveva salvato.
Beh, inizialmente Angel aveva
sperato che l’alcool potesse snebbiargli la mente…Ma non aveva fatto bene i
conti con la cara, cazzutissima voce interiore. Quella sì, si era
snebbiata eccome. Aveva iniziato a parlare a ruota libera, e lui l’aveva messa
a tacere con la mezza bottiglia restante.
Ora doveva essere abbastanza
sbronzo per comporre quelle stramaledette dieci cifre, no?
Fanculo Darla, fanculo suo
padre, fanculo il mondo.
Doveva rovinarsi la vita?
Almeno l’avrebbe fatto per le ragioni giuste.
Cristo, da che aveva memoria non aveva mai amato una
ragazza. MAI.
Se le portava a letto, ci
usciva insieme, le ammirava da lontano.
Darla era una bella scopata,
Buffy un giocattolo del venerdì sera, Cordelia un idolo irraggiungibile.
Kathy era l’unica donna della
sua vita, l’unica che contasse davvero. Ed era sua sorella.
Liam spaccò la bottiglia sul
pavimento, tagliandosi le mani con il vetro spesso.
Le lacrime si mescolarono al
sangue sulla sua maglietta e sul copriletto.
Era così difficile essere
diversi?
Aveva tormentato per tutta la
vita chiunque gli sembrasse troppo debole per reagire, e ora che era vittima di
sé stesso reagiva peggio del più infimo nerd occhialuto.
Che vergogna.
Poteva un vigliacco come lui
amare?
Lo meritava davvero?
La vibrazione del cellulare
svegliò William da un sogno affannoso e contorto. Rincorreva qualcosa…Ma
cosa? Una lunga luce alogena, proiettata su una distesa di rosso scuro,
densa e inquietante…Sangue? Macchie nere, confuse…
Si districò dall’abbraccio
umido di Buffy, ancora ansante. Il display del suo Nokia lampeggiava di cruda
luce verde.
Liam.
Senza pensarci neppure un
secondo Spike allungò la mano e rispose.
“Spike…?” la voce impastata di
Angel lo colse quasi impreparato. Anche se lo aspettava. Anche se non poteva che
essere lui.
Non avrebbe risposto alla
telefonata di nessun altro.
E del resto tutti i suoi
amici, le persone che amava, erano lì. Eccetto una...
Feeling unknown
And you’re all alone
“Liam…Sono le tre di notte…E
sono con Buffy.” ma Angel questo lo sapeva. Sapeva molto più di quanto
avrebbe voluto. Sentirlo dalla sua viva voce, però, era come tenere la testa
immersa nel ghiaccio…Illuminante. E doloroso.
Flesh and bone
By the telephone
“Devo parlarti…è importante.”
la sua voce assunse un’intonazione febbrile. Spike temette che non fosse in sé:
sembrava ubriaco, o fatto. Un brivido d’inquietudine gli corse giù per la
schiena.
“Angel…stai bene?”
Lift up the receiver
I’ll make you a believer
“Devo parlarti.”
ripeté, con più determinazione “Possiamo vederci?”
“Ora?” chiese Spike, senza
riflettere. Sì, voleva vederlo…Doveva farlo. In un certo senso, glielo
doveva. Era suo amico…giusto?
“Dammi dieci minuti…Sei allo
chalet, vero?” si chiese se avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli tutto
guardandolo negli occhi…quegli occhi di ghiaccio e velluto che lo spaventavano.
Che lo avevano sempre
spaventato, forse perché nelle loro profondità vedeva qualcosa che non riusciva
ad ammettere neppure con sé stesso.
“Sì…” sospirò William. Avevano
molto da dirsi. Sentimenti da chiarire, decisioni da prendere.
Ora o mai più, si disse Spike. La luce del giorno avrebbe infranto
tutti i loro dubbi, traghettandoli verso la solita, comoda quotidianità: la
squadra, gli allenamenti, l’avvicinarsi degli esami, Buffy, Darla…Le loro
confortevoli, mediocri certezze.
Cosa potevano volere di più
dalla vita?
“Mi aspetterai?” domandò a
bassa voce Liam, temendo la risposta.
Spike socchiuse gli occhi,
fissando vacuo la sagoma dorata di Buffy. Poteva davvero farle questo?
“Non ho mai fatto altro…”
Willow dormiva sepolta fra le
braccia accoglienti della sua amante. La sua pelle era ancora più vellutata, il
suo sapore ancora più fresco di quanto ricordasse. Sapeva di fiori primaverili,
di una scogliera resa liscia dalle mareggiate e dalle tempeste della vita…era
sua, calda e fragrante come una brioche appena sfornata. L’amava e la
desiderava come nessun altro al mondo, ma…
Non abbastanza da rinunciare
alla sua vita da ragazza popolare.
Era stufa di essere perseguitata
dalla – tutt’altro che Santa – Inquisizione della Sunnyhell High. Voleva non
doversi nascondere da Darla, poter camminare a testa alta per i corridoi della
scuola. Senza temere nessuno, senza dover sempre dare spiegazioni.
Tara sbatté pigramente le
lunghe ciglia, soffiandole fra i capelli.
“Mi sei mancata, Will…” come
aveva fatto fino a quel momento senza di lei?
Tutto il male che quella
streghetta rossa le aveva fatto si era disciolto in un attimo, come neve al
sole. Ed erano spuntati i primi bucaneve, pallidi e fragili quanto la loro
relazione.
“Io volevo tornare da te,
Tara…Dio solo sa l’inferno che ho passato…” mormorò Willow, cercando una
giustificazione. Le accarezzò le guance burrose da bambina, mai sfiorate
dall’adolescenza.
Era tutto così giusto,
al suo fianco.
Era un abbraccio che sapeva di
casa, di promesse mantenute, di arcobaleni dopo la pioggia…
Era così incredibilmente
felice, con lei…Come con nessun altro.
“Allora perché non l’hai
fatto? Perché non sei tornata da me?” Tara tentò di riacquistare
lucidità, distogliendo lo sguardo dai suo profondi occhi da gatta. Perché
l’aveva rinnegata tanto a lungo?
La rossa si staccò dalle sue
curve generose, sospirando. Era già arrivato il momento dei perché?
Le amichevoli erano finite. Ora
si stavano giocando i play-off…E lei era sicura di perdere.
Non poteva mentirle ancora,
dopo tutto il male che le aveva fatto…
“Non capiresti.” le rispose,
senza troppa convinzione. La sua Tara capiva. Eccome. Instaurava con gli
altri un’empatia che a volte la sconvolgeva. Poteva leggerle dentro, e questo
faceva crollare le sue certezze. Lei era la fredda Miss Rosemberg, lucida
calcolatrice e…
“Prova a spiegarmi.” incalzò
la bionda, con voce esitante “Dammi almeno questa possibilità, Willow…”
si tirò a sedere , coprendosi pudicamente il seno con le braccia.
“Era doloroso, ma era…semplice.”
ammise, abbassando gli occhi “È piacevole, a volte, non dover stare sempre
sulla difensiva, non doversi nascondere…” quelle parole le suonarono
improvvisamente inadeguate e stantie. Dio, cosa aveva detto?!
Tara la guardò allibita,
boccheggiando.
“Stai dicendo…” arretrò verso
il bordo del letto, ferita “…che l’opinione di Darla Mayer è più importante
della tua felicita e…di me?”
Willow arrossì in silenzio.
Aveva colto nel segno, probabilmente.
Tara si rivestì in fretta,
raccogliendo i cocci di quel che era rimasto della sua dignità.
Uscì in silenzio dalla stanza,
discreta come solo lei riusciva ad essere, prima che l’altra vedesse le lacrime
che le sgorgavano senza freni dagli occhi grigi di bambola.
Sì chiuse la porta alle
spalle, tagliandola definitivamente fuori dalla sua vita, lasciata sola e
incazzata in un letto che profumava ancora di loro.
L’aveva persa per sempre.
Ed era tutta colpa del suo
orgoglio, della sua ambizione…E di quell’oca insipida e tinta di Buffy Summers.
E del suo perfetto boyfriend onnicomprensivo. E dei suoi schifosi amichetti
nerd, che si erano infilati come serpi fra di loro, distruggendo il fragile
equilibrio che avevano istaurato.
Avevano organizzato loro
quella trappola, e l’avrebbero pagata.
Oh, sì, rimuginò la ragazza, non posso permettermi di
perdere tutto per amore…
Così Willow, in quella notte
di fuochi e stelle e promesse d’amore, rimase a fissare le lenzuola
stropicciate, meditando vendetta.
Il latte bollente le fluiva
dolcemente in gola, tanto rassicurante da essere lenitivo.
Per le ferite del corpo e
quelle dell’anima, diceva sempre sua
madre…
E quanto avrebbe voluto tornare
bambina, raggomitolarsi in posizione fetale e scomparire nel grembo bruno e
accogliente della terra…Ma non si può tornare indietro. Mai.
Il verde caldo del divanetto
le distendeva i nervi, e sarebbe quasi riuscita ad addormentarsi se Spike,
stropicciato e insonnolito, non avesse attraversato il suo campo visivo. Tara
si fece più piccola di quanto non fosse, abbracciando la tazza vuota, gli occhi
serrati in una pessima imitazione di assopimento. Il ragazzo, perso nei suoi
tormenti interiori, scorse la sua ombra tremante con la coda dell’occhio. Le si
avvicinò con la sua andatura felina, i lineamenti stravolti dalla debolezza e
dalla preoccupazione. La fissò in silenzio per un istante, come a sottintendere
che aveva capito che la sua era tutta una farsa…che era più sveglia e, se
possibile, più incasinata di lui.
Ti prego, vattene…Voglio solo essere lasciata in pace…Non
parlarmi, ti prego…Fingi anche tu che io stia dormendo, lasciami morire
in pace…
William si accasciò ai piedi
del divano, senza parlare, e le prese la mano.
Non avevano bisogno di parole.
Non ancora.
Il tempo delle spiegazioni
sarebbe arrivato, per entrambi…
Più tardi…
E la pioggia avrebbe lavato
via tutte le loro ferite.
Liam spinse l’acceleratore al
massimo, mentre le ruote della sua grossa moto già divoravano l’asfalto umido
metro dopo metro. Doveva arrivare, arrivare da lui in fretta…Prima di
pentirsene. Prima di buttare nel cesso la sua ultima possibilità di essere
sincero, una volta nella vita. Di soffrire ed essere felice, nonostante tutto
il male che doveva ancora espiare.
Lui non era come Darla. Poteva
cambiare.
La lancetta del
contachilometri sbatteva contro la zona rossa del quadrante. Stava forzando il
motore all’inverosimile…
Aveva un’opportunità.
L’umidità della notte gli annebbiava
la vista e gli inumidiva i forti capelli bruni, liberi dal casco. Piccole gocce
d’acqua gli scorrevano nel collo della giacca, facendolo rabbrividire.
Sto arrivando…Sto arrivando da te…
L’alcool nel suo sangue gli
dava un curioso senso di torpida onnipotenza. Si sentiva come accecato, guidato
dall’istinto nella giusta direzione…Tutto era finalmente chiaro, adesso.
Così bianco e abbacinante che
ad Angel sembrò che gli si materializzasse davanti…
Poco prima di accorgersi che
non era la sua consapevolezza a travolgerlo, ma i fari di una lunga macchina
grigia. Ma era troppo tardi. Liam fece per scartare l’auto, e la strada
scivolosa fece il resto. La sua moto si sbilanciò pericolosamente, cadendo
rovesciata in una folle corsa di scintille, travolgendo lui e l’altra
automobile.
L’ultima cosa che Liam vide,
prima di perdere conoscenza, fu la pioggia sottile che iniziava a rigare la sua
giacca di pelle.
14.
Confidenze di spogliatoio.
Alle quattro del mattino, l’alba
era ancora lontana. Spike rifletté che, per quel che ne sapeva, sarebbe anche
potuta non venire mai.
Come Liam.
Lo stava aspettando da un’ora.
Tara era tuttora raggomitolata nel suo divano, e tutto il resto della casa
dormiva. Ma lui no.
Era sveglio, vigile, come non
gli capitava da tempo. Inutile chiedersi cosa Liam volesse dirgli. Finalmente,
lo intuiva.
Ripensò suo malgrado alla loro
conversazione in ospedale, a Liam che gli diceva “Possibile che tu non abbia
capito niente di quanto ti sto dicendo?”
La domanda era un’altra, in
verità.
Era meglio parlarne…o
tacerne?
E perché non arrivava?
Alle quattro e dieci prese la
decisione. Lo chiamò lui.
Il cellulare squillò a lungo.
Maledizione, rispondi!
E qualcuno rispose.
“Chi parla?”
Era una voce di donna, matura.
“Signora…sono William Shelby,
un amico di Liam. Non volevo disturbare ma…”
“Sono l’infermiera Rourke
dell’Ospedale di Sunnydale.” disse la donna “Abbiamo tenuto il telefono acceso
nel caso i suoi genitori chiamassero”
“Mio Dio, è successo qualcosa?”
Agitatissimo, Spike strinse il cellulare, come se quello potesse dargli delle
risposte.
“Liam O’ Connor ha avuto un
incidente. Il dottore lo sta visitando, la prognosi è ancora riservata. Stiamo
cercando suo padre ma il telefono è staccato. Ora manderemo una volante”
Dio sia ringraziato. Per un istante aveva pensato che…
“Posso venire a vederlo? Sono
un suo amico, mi stava raggiungendo, quando…”
“Se vuole, ma non le
garantisco che la lascino passare”
“La prego!”
“Va bene. Ne parlerò con il
dottore”
La donna chiuse la
conversazione, già irritata per avergli promesso o quasi un permesso di visita
che difficilmente gli sarebbe stato concesso.
Spike chiuse gli occhi. Se
fosse successo qualcosa a Liam…Dio…no…
Riprese il cellulare e fece un
numero.
Lindsey emerse da un sonno
agitato per rispondergli.
“Lindsey, sono io…Spike. Ho
bisogno di te. Prendi la macchina dei tuoi e vieni qui…per favore. Ti prego.”
“Amico, che succede?”
Glielo disse. Lindsey, molto
saggiamente, non fece domande.
Di nascosto ai genitori,
scivolò in cucina, prese le chiavi della station - wagon e andò di nuovo verso
lo chalet.
Spike si passò una mano sulla
fronte.
Esattamente…cosa avrebbe detto
a Buffy?
Il sogno non era stato del
tutto sgradevole.
Poi erano cominciate le fitte.
Violentissime, come lampi le scuotevano il cervello. E aveva sentito freddo. Si
sentì rallentata, nei movimenti, mentre raggiungeva a stento il suo bagno
privato. Accese la luce e si vide nello specchio, pallida, emaciata, livida.
Verde.
E poi vomitò. Vomitò l’anima.
E vomitò le sue pillole.
Le fitte si spostarono dalla
testa alla pancia, e lei tremò, squassata da un dolore che non aveva mai
provato.
La solita sfiga.
Ma non doveva essere bello e leggero
morire con i barbiturici?
Perché lei andava in trip
negativo, invece?
Nessuno le aveva detto che sarebbe annegata nel suo
vomito. Non c’era mica scritto, su Cosmopolitan!
Quando vide il sangue scorrere
dalla sua bocca, capì che non solo la sua morte non sarebbe stata piacevole¸
ma nemmeno elegante.
E, per la prima volta in vita
sua, Darla Mayer ebbe davvero paura.
Le scattò qualcosa dentro.
Non voleva morire così.
“Mamma…” sussurrò. E poi tentò
di urlare. “Mamma…aiutami….”
Nessuno arrivò. Isobel, la
loro ragazza fissa ispanica, viveva nella dependance, e mamma dormiva. Dormiva
di un sonno reso pesante da quelle stesse pillole che stavano mandando lei ad
un poco clemente Creatore. Che, sicuramente, non avrebbe avuto né buone parole
né scarpe di Prada per lei.
“’Fanculo” osservò, mentre si trascinava
lungo le pareti, perdendo liquidi biliari da orifizi del suo corpo che non
sapeva o che aveva dimenticato di avere. Accese la luce della camera di sua
madre: era completamente fatta. Prozac e vodka, l’unico alcolico al
mondo che non fa ingrassare, sembra abbiano quell’effetto.
Andò avanti. Suo padre.
Aveva distintamente sentito il rumore della sua Porsche rientrare in garage,
prima di ingoiare le sue pilloline. La porta era aperta. Accese la luce,
aggrappandosi alla maniglia, livida come un cencio.
Suo padre si svegliò.
“Papà…sto male…”
Il padre di Darla si svegliò
di colpo. Darla. Livida. Verde. Con una pozza di vomito che si allargava
ai suoi piedi.
Non era la prima volta che
vedeva un essere umano ridotto così. E mai avrebbe voluto che quello capitasse
a sua figlia. La sua bambina. Ma quanto era stato distratto, fino ad
allora?
La tirò su, la portò in bagnò,
e la fece vomitare. E chiamò l’ambulanza.
Lei stava sempre peggio, ma -
paradossalmente - una luce particolare le si accese dentro. Qualcuno si stava
prendendo cura di lei. Da quant’era che non capitava? Era…bello. Malgrado si
sentisse uno schifo di fronte ai paramedici, suo padre era lì e le stringeva il
braccio, con affetto. Un affetto che solitamente era così restio a mostrarle.
La sosteneva.
La sua voce interiore, quella
voce impietosa che non l’abbandonava mai, e che tentava da sempre di stordire
con alcool, droghe, pillole, sesso, vestiti alla moda, le suggerì qualcosa
di orribile …e vero.
Vuoi solo questo, in fondo.
Qualcuno che si occupi di te. Beh, sei soddisfatta? Ora ci sei riuscita. Per un nanosecondo persino tuo padre si è
accorto di te!
No, non era soddisfatta.
La lavanda gastrica non era
una meta particolarmente entusiasmante, ma mentre la portavano in lettiga nella
saletta dove gliene avrebbero eseguita una, Darla capì qualcosa.
Finalmente capiva che quello
era ciò che voleva, ma non ciò che meritava.
Incontrare nel bel mezzo di
quella scomoda epifania lo sguardo azzurro di Lindsey, che aspettava con Spike,
uno Spike pallidissimo, fuori dalla rianimazione, non fu un granché di
consolazione.
Ma servì. In qualche modo, servì.
“Darla?”
“Cos' hai detto?” chiese
Spike, fuori di sé per l’ansia. Era davanti alla rianimazione da un quarto
d’ora, e l’infermiera con la quale aveva parlato al telefono l’aveva pregato di
aspettare. I medici erano ancora dentro.
“Ho visto passare Darla Mayer.
Su una barella. Era bianca come un cencio”
“Vuoi andare a vedere cos’è
successo?” domandò Spike. Lo sguardo preoccupato di Lindsey non gli sfuggì.
Quella di Lindsey non era, chiaramente, mera curiosità, ma Spike non indagò
oltre. Chi era lui, per farlo?
Lindsey annuì. In quel momento
la porta si aprì, e l’infermiera fece uscire i medici, l’anestesista e il
responsabile del pronto soccorso.
Spike li fissò, consapevole
del fatto che non avrebbero parlato con nessuno che non fosse un familiare. Ma
l’infermiera Rourke ebbe compassione del suo volto tirato, e lo ricordava
ancora con affetto dal suo recente soggiorno in quello stesso ospedale.
“Andiamo” gli mormorò, e gli
permise di entrare. Liam aveva gli occhi chiusi ed indossava solo un camice
verde. Era collegato a parecchie macchine, e un’altra infermiera gli stava
steccando la gamba destra.
“Si è rotto una gamba, ha
qualche problema alla spalla destra, e un trauma cranico grosso come una casa.
Ma si riprenderà. E’ stato molto fortunato. E quando dico molto…intendo
che si è salvato per miracolo. Se avesse sbattuto contro l’albero, anziché
rotolare nel fosso…l’erba ha attutito la caduta. La prova etilometrica lo terrà
lontano da qualsiasi veicolo a motore per molto molto tempo”
L’infermiera gli fece un
piccolo cenno, e si avvicinò al letto.
Liam sollevò piano le
palpebre.
Sembrava diverso, lì nel letto
stretto, dalle sbarre d’acciaio. Più fragile. Ma i suoi occhi neri erano sempre
gli stessi. Brucianti.
“Sei venuto tu, alla fine”
“Già” sussurrò Spike. “Volevo
dirti che ho finalmente capito, sai?”
“Che cosa?”
“Ho capito cosa volevi dirmi
quel giorno in ospedale.”
Liam sorrise. Malgrado il
dolore della gamba, e le fitte tremende alla testa.
“Hai davvero capito?”
Spike ricambiò il sorriso. Gli
tese una mano, e le sue dita si intrecciarono a quelle dell’amico. Le dita di
Liam erano pallide e fredde, ma risposero alle sue. Lui era uscito
dall’ospedale, dal buco nero della malattia, e anche Liam l’avrebbe fatto. E
allora avrebbero parlato. Una volta per tutte.
Del bacio¸ tra le altre cose.
“Cosa diavolo ci fa quel
tipo qui con mio figlio? Vuole dell’altro denaro?”
Spike si girò. E si irrigidì.
Non ebbe bisogno di
presentazioni. Era tutto tremendamente ovvio. O’ Connor Senior. Quello che
avrebbe pagato i suoi studi universitari fino al Ph. D., volente o nolente.
Come aveva stabilito l’accordo transattivo concluso ai tempi del ferimento di
Spike.
Il ragazzo fece finta di non
vederlo nemmeno.
“Devo andare, Liam. Ma tornerò
presto. E parleremo. Te lo prometto”
Liam annuì, e il suo volto si indurì. Lasciò che Spike uscisse, che la porta si
richiudesse. E fissò suo padre, pronto all’ennesima tirata. Non vali niente.
Meno di niente. Sei un fallito.
Ma O’ Connor Senior non era
tipo da mettere i suoi affari in piazza, e tanto meno da diffondere l’opinione
che aveva del suo figlio maggiore in pubblico. Chissà, qualcuno avrebbe anche
potuto dissentire.
In un silenzio armato,
attesero che le infermiere finissero. Il loro scontro era solo rimandato.
“Sono un amico di Darla”
Darla, dalla sua barella,
ammirò la sua faccia tosta. Amico?
“Sono qui per via di un
incidente. Liam O’ Connor è finito in rianimazione. Lo stanno visitando.”
Darla tentò di tirarsi su, ma
non ci riuscì.
“Liam? Cara, ma non è il tuo
ragazzo?”
Era, pensò Darla. Qui, davanti alla stanza della lavanda
gastrica, aveva deciso che la donna che sarebbe uscita da quella situazione,
con le viscere pulite come quelle di un neonato e un diavolo di hangover¸
non si sarebbe più raccontata balle. Né ne avrebbe raccontate ad altri.
“Non usciamo più insieme,
papà. Da un po’. Lui…” Darla ebbe un conato di vomito, e Lindsey le passò
prontamente la bacinella verde “Usciva con la mia migliore amica. Ed anch’io
lo tradivo” Guardò Lindsey. “Con lui, tra gli altri”
Oh - oh. Era la fiera della
sincerità, pensò Lindsey, con un sorrisetto, arrossendo appena sotto lo sguardo
del padre della ragazza. Non sapeva cosa avesse ridotto Darla in quello stato,
ma doveva ammettere che sembrava averle fatto bene. Approvò la nuova
Darla.
“Darla, ma non sei un po’
giovane per questo tipi di complicazioni?”
Darla guardò suo padre,
asciugandosi la bocca con un fazzoletto. Giovane? Si sentiva addosso almeno quattrocento
anni.
Era forse proprio il caso che
tentasse di ringiovanire un po’.
“Sai come sta? Liam, intendo?”
“No, ma Spike è là. Se vuoi
vado a chiedergli”
“Sì, ti prego” Darla si chiese
perché mai lui e Spike fossero in ospedale alle cinque del mattino per Liam,
mentre sicuramente né Xander né Wes l’avrebbero mai fatto. Tutto quell’oscuro
intrigo che le era sembrato palesarsi nei giorni precedenti assunse un contorno
ben definito. Queste persone, per motivi che lei ancora non afferrava, tenevano
le une alle altre.
Come diavolo era successo?
Spike era il ragazzo di Buffy.
Liam aveva tentato di
ammazzare Spike.
Ed ora Spike accorreva in
ospedale in piena notte al fianco del suo nemico?
Perché?
E perché lei invece era sempre
sola?
“Se vuoi, ti tengo” le propose
Lindsey, prendendola per le spalle, mentre lei vomitava di nuovo.
Assurdamente, gliene fu grata.
Wesley stava accarezzando
piano il fianco di Fred, mentre lei faceva finta di dormire.
Era sveglissima, in verità,
rivolta verso la piccola finestra che dava sul mare, ma voleva godersi quel
momento glorioso. L’alba sorgeva e, cliché dei cliché, lei era
finalmente donna.
La cosa più assurda era che si
sentiva davvero diversa. Aveva fatto l’amore. Più volte. Ed ora sapeva com’era.
E la cosa più strana era che tutto era avvenuto in modo perfettamente naturale.
Non si era sentita né imbarazzata né incapace. Dal momento stesso in cui Wes
era entrato in lei, tutto aveva seguito un filo logico, semplicissimo. E lei si
era sentita cambiare, crescere. Diventare nuova.
Insieme alla sua verginità,
era improvvisamente svanita ogni ansia riguardo al futuro della loro storia. Si
chiese perché si fosse tanto preoccupata che lui si limitasse ad usarla. Wes
poteva non essere perfetto, né un uomo di pure intenzioni¸ ma le voleva
sinceramente bene, ora se lo sentiva fin nel midollo. E, andasse come doveva
andare, nessuno le poteva togliere ciò che era accaduto tra di loro. Aveva
avuto una meravigliosa prima volta, e non era mica da tutti. Nossignore.
Questo non era così ingenua da non saperlo.
Si voltò per fargli una
sorpresa, e scorse la luce dell’alba sul suo volto, insieme ad un sorriso ed
alla barba che nasceva. Gli accarezzò la guancia. Aveva un odore buono,
insonnolito, le piaceva. Wes la baciò piano sulla bocca. Un bacio morbidissimo.
“Ti amo, Fred”
Lei annuì. Oh, lo amava anche
lei. Ma l’avrebbe fatto penare ancora un po’.
Intrecciò le braccia attorno
al suo collo, e il bacio si approfondì. Wes le mise le mani sui fianchi e
rotolò sulla schiena, facendola sedere su di lui. Fred capì cosa voleva e
arrossì suo malgrado, mentre lui prendeva l’ennesimo condom e lo srotolava
piano.
“Dai…sollevati…” la invitò,
seducente, dopo averlo indossato. Fred sollevò i fianchi e, con il suo aiuto,
scivolò sulla sua erezione, sistemandosi bene.
Oohhhh….delizioso….
“Ti piace questa posizione?”
le domandò Wes, a bassa voce, mentre con le mani sulle sue anche la faceva
muovere piano su di sé. Era stretta da morire, magnifica. I suoi piccoli seni
nudi attirarono il suo sguardo. Li coprì con le mani, le dita ad accarezzare i
suoi capezzoli rosa, mentre lei, istintivamente, gettava la testa all’indietro,
i lunghi capelli sulla schiena. Faith era completamente dimenticata. Faith,
chi?
Voleva morire facendo
l’amore con Fred. Solo con lei.
E morì piano, metaforicamente,
mentre lei lo portava ad un orgasmo lento e meraviglioso.
Fred si lasciò cadere su di
lui, esausta, le cosce in fiamme, mentre qualcuno bussava alla porta.
“Ragazzi? Ci siete?
Ragazzi!”
Era Buffy. Preoccupata e
nervosa.
Wes e Fred si rivestirono in
fretta, ma non senza guardarsi, senza sorridersi. Quella notte cambiava tutto.
Entrambi erano consapevoli che la loro, ora, era una storia vera.
I casini stavano appena per
cominciare. Poco ma sicuro.
“Hai qualcosa da fare, oggi?”
le sussurrò Wes, mentre si infilava la camicia nei pantaloni.
“No…studiare storia?” replicò
Fred, tirandosi su i collant.
“Vieni da me? I miei sono
fuori per il week - end, e io vivo in una specie di dependance. Nessuno ci
disturberà”
Lei rise, mettendogli le
braccia al collo. “Hai piani precisi?”
“Mmm….fare un bagno in
piscina, prendere il sole….scopare come ricci…”
Fred arrossì, ridendo.
“Ragazzi!” insistette
Buffy, dal corridoio.
Sentendosi colpevoli,
uscirono, non prima di aver rifatto il letto ed arieggiato la piccola stanza.
Buffy era in cucina, in piedi,
le braccia conserte, cupa in volto. Tara sedeva sul divano, e sembrava chiusa e
distante. Willow girava svogliatamente un cucchiaino nel caffè. E nemmeno lei
pareva una rosa.
“Che succede?” s'informò Fred.
“Dov’è Spike?”
“Liam ha avuto un incidente, è
in ospedale” spiegò Tara, evitando di guardare Willow. “Non sappiamo ancora
come sta. Spike e Lindsey sono andati da lui”
Buffy alzò il mento. Si vedeva
che non era felice, ma lottava per non mostrarlo.
“Tu hai la macchina, Wes.
Perché non ci porti a casa? E’ inutile restare ancora qui”
Wes e Fred si scambiarono
un’occhiata. Già. Inutile.
Mentre tutti gli altri si
chiedevano perché Spike tenesse improvvisamente tanto al ragazzo che l’aveva
quasi mandato all'altro mondo, Buffy li seguì in silenzio verso l’auto di Wes,
dopo aver chiuso lo chalet e aver messo la chiave dietro il vaso di fiori, nel
solito nascondiglio.
In silenzio, ripartirono tutti
e cinque per Sunnydale.
“Malgrado i miei consigli….”
La voce del padre di Liam era bassa, ma la collera trattenuta la rendeva
comunque d’acciaio. “…tu continui a frequentare quel tipo, che ti ha già causato
tanti problemi. Sei un masochista, o cosa?”
Liam scoppiò a ridere. Pessima
mossa. Almeno tre costole gli fecero male.
“Papà….masochista…mmm….chissà…potresti
aver ragione. Chissà chi mi ha insegnato ad esserlo”
“Non permetterti di
rispondermi”
Liam lo fissò.
Improvvisamente quel piccolo
uomo non gli fece più paura. Suo padre era alto, più di un metro e ottanta,
e grosso in proporzione. Ma gli apparve finalmente piccolo. Di cosa
aveva paura? Cosa temeva?
Perché non riusciva ad
accettare suo figlio? Liam era fisicamente bello, intelligente, aveva la stoffa
del leader. Cosa in lui lo spaventava? Cosa lo disgustava? Cosa non
riusciva ad accettare?
Forse…la sua forza? Il
suo essere autonomo….libero? Libero anche di sbagliare, sì, ma vivo?
Indipendente?
Finalmente capì.
Capì cosa aveva odiato ed
amato di Spike. La sua forza, la sua libertà. Aveva sempre saputo di poterlo
sottomettere con la sua forza fisica superiore, e per un po’ si era comportato
con lui esattamente come suo padre. L’aveva schiacciato. Ci aveva quanto
meno provato. L’aveva perseguitato dentro e fuori dal campo di football,
socialmente, a scuola. L’aveva picchiato, insultato, quasi ucciso E non aveva
ottenuto nulla. Spike era rimasto libero dentro, e quella sua libertà
gli aveva regalato amicizie sincere, l’amore di Buffy….e la sua stima. La sua
amicizia. E non solo.
Sì, conoscendo l’unico modello
di suo padre, Liam l’aveva ricreato. Ora provava disgusto per se stesso. Finché
avesse ragionato in quel modo, secondo quel paradigma, non ci sarebbe stato
niente di vero per se stesso. Non avrebbe ricevuto niente di autentico,
dalla vita. La pura amicizia di Spike l’aveva ottenuta quando si era discostato
dall’esempio di suo padre. Quando aveva cominciato ad essere vero.
Sincero. Con se stesso, prima che con chiunque altro.
E così voleva continuare ad
essere.
Vero.
Si rimise a ridere. Un’altra
costola saltò.
“Papà…finalmente vedo le cose
per quello che sono. Frequenterò chi voglio. Farò quello che voglio. Mi
toglierai il tuo supporto economico? Già, non hai che quello, ormai, per
dominarmi. E’ l’unico potere che ti è rimasto. Tra due mesi sarò maggiorenne.
Non è un problema…me la caverò comunque. Posso essere libero anche in
una scatola”
Il suo sguardo sereno,
malgrado le bende in testa, la gamba steccata, e le cannule, bruciò suo padre.
Che, istintivamente, fece un passo indietro.
Quel suo figlio aveva il
diavolo in corpo, l’aveva sempre saputo.
Ho metaforicamente ucciso
mio padre, pensò Liam, mentre lui se
ne andava, sconfitto, ma troppo orgoglioso per mostrarlo. E mi sento
benissimo. Era ora.
La porta si aprì e fece
capolino una testa bionda.
Era Darla, verde in faccia e
con i capelli tirati dietro il capo, indosso un camice d’ospedale. E bella,
malgrado tutto.
“Sei ancora vivo, vedo”
sorrise lei. “E scommetto che stai meglio di me. Ho appena fatto una lavanda
gastrica. Adesso so cos’è l’inferno”
Liam le sorrise di rimando,
pallido contro il cuscino. Anche Darla era diventata una sopravvissuta. C’era
di che festeggiare.
“Vivo? Non mi sono mai
sentito meglio”
Il campanello di casa Summers
suonò morbidamente. Joyce andò ad aprire e fu piuttosto sorpresa di vedere
Spike.
Ma non doveva essere allo
chalet?
Buffy era tornata da poco, e
si stava facendo una doccia. Non le era sembrata di grande umore. Possibile che
avessero litigato?
Spike e Joyce scambiarono
qualche chiacchiera. Joyce servì la colazione al ragazzo, che le raccontò che
era stato in ospedale a trovare un amico che aveva avuto un incidente.
Non specificò di chi si trattava, e Joyce non lo chiese.
Buffy arrivò di lì a poco, i
capelli ancora umidi ed un paio di jeans da casa, con una maglietta.
Aveva il viso tirato.
Joyce, cortesemente, li lasciò
soli, per andarsi a dedicare ai suoi lavori di giardinaggio della domenica
mattina.
Spike bevve il succo
d’arancia, e fissò Buffy.
“Liam sta meglio. Hanno
sciolto la prognosi. Trauma cranico, una gamba rotta, problemi vari, ma se la
caverà”
“Ne sono contenta”
“Buffy, siediti qui vicino a
me. Parliamone”
“Di cosa?” replicò lei, a
braccia conserte. “Ti sei fiondato fuori dal nostro letto alle tre del
mattino per andare da Liam. Liam. Sempre Liam. O Dru. Quei due sono per
te più importanti…di me”
Cosa poteva dirle?
“Mi dispiace”
“Non dispiacerti. Dimmi
perché, piuttosto. Ami Dru? Cosa provi per Liam? Cristo, ti ha quasi
ucciso, e tu gli corri dietro al minimo cenno!”
“Non è vero”
“E’ vero…e lo sai. Ormai, lo
sanno tutti. Mi spiace per Liam, e gli auguro ogni bene. Ma perché deve
continuare a dominare le nostre vite? Con me è finita, da tanto, e non ha
senso….questa vostra amicizia non ha senso”
“Quando qualcuno prova dei
sentimenti per un’altra persona, non spetta agli altri trovarci il senso”
ribatté Spike, duramente. “Andiamo, Buffy, la tua gelosia non ha ragione
di essere. Sono il tuo ragazzo. Ti ho già detto che non è limitandoci a vicenda
nei nostri affetti che andremo lontano. Voglio bene a Liam, mi sono affezionato
a lui. E’ un amico. E non posso stare immobile sapendo che un amico rischia la
vita. Sarebbe lo stesso se fosse capitato a Lindsey, o a Fred, o a Tara.”
“Perché ha avuto quell’incidente?
Dove stava andando?”
Da me. Stava venendo da me. La risposta bruciò sulle
labbra di Spike, ma la trattenne.
“Non lo so, Buffy”
“Come hai fatto a sapere che
era in ospedale?”
Già, come?
Buffy scoppiò a ridere,
amaramente. “Mi avevano avvisata. Mi avevano detto che l’amicizia tra ragazzi è
più forte di ciò che provate per le vostre ragazze. Ma non ci credevo. Liam se
ne fregava di me, ma tu…io pensavo che tu mi amassi”
“Buffy, io….”
“Non pronunciare parole
d’amore che non senti davvero”
“Non è così, Buffy! Lo sai
cosa provo per te! Cristo, dovresti saperlo!”
Buffy lo guardò, e i suoi
occhi erano umidi. “Non me l’hai neanche detto. Te ne sei andato come un ladro
nella notte. Ho dovuto scoprirlo da Tara. Te ne se andato in silenzio. Per
lui. Non è rimasto molto altro da dire. E’ peggio che se uscissi con
un’altra donna. Tu tieni più ad un amico che ti ha mandato in ospedale, che
alla tua ragazza. Lo so. Lo sento. Da te mi aspettavo altro, Spike.
Pensavo che io e te fossimo speciali”
Spike serrò la mascella. “E lo
siamo, dannazione”
Buffy lo scrutò, determinata.
“Ed allora dimostramelo” Senza aggiungere altro, tornò in camera sua e
sbatté la porta.
La casa di Wesley non era una
casa. Era una specie di castello, una villa immensa a più piani su una
collina, con enorme piscina, prato, e campo da tennis. Persino più imponente
della villa di Darla. Wes abitava da solo in un’ampia dependance a due passi
dalla piscina. Ma Fred, ridacchiando, pensò che difficilmente l’avrebbe vista.
Erano le undici passate ed erano ancora a letto.
Avevano fatto nuovamente
l’amore, e lei ora era accoccolata vicino a lui, calda calda, le loro gambe
nude ed intrecciate, i vestiti in un mucchietto per terra. Si erano interrotti
solo per una breve telefonata ai genitori di Fred. Sì, era ancora allo
chalet. Già, avrebbe pranzato lì. Sì, sarebbe tornata in serata.
Erano euforici. Felici da
impazzire, ed euforici. Come capita un paio di volte al massimo in tutta una
vita.
E bisognosi di una doccia,
pensò Fred.
Anche se Wes si stava
addormentando. Avevano dormito poco o nulla, e Buffy li aveva tirati giù dal
letto proprio sul più bello…
Fred lo lasciò appisolarsi, e
uscì dal suo letto, coprendosi con un lenzuolo, andando fino al bagno. Un bagno
gigantesco. Bellissimo. Si chiuse dentro, istintivamente, e riempì la vasca.
C’erano solo bagnoschiuma maschili, ovviamente, ma le sarebbe piaciuto sentirsi
quell’odore addosso tutto il giorno. Insieme all’odore di lui, naturalmente.
Era lì che giocherellava
nell’acqua calda, felice più di quanto mai si fosse sentita in tutta la vita,
quando sentì una voce, nella stanza da letto.
Una voce di donna, che parlava
al telefono.
Il sangue le si gelò nelle
vene.
Faith.
Willow era uno straccio.
Aveva disperatamente tentato
di dormire, tornata a casa, ma non ci riusciva. La faccia pallida e chiusa di
Tara la perseguitava, insieme al profumo della sua pelle.
Maledizione!
Quando qualcuno bussò alla sua
porta - finestra, imprecò. Chi diavolo…
Xander.
Ma cosa diavolo voleva? Lei
doveva preparare quella tesina, dannazione….non aveva capito, lo zuccone? Se si
aspettava che lei scopasse con lui alle undici del mattino, se lo
sarebbe dovuto scordare e….
Gli aprì, furiosa.
Xander aveva l’aria di un cane
bastonato.
E teneva in mano un mazzetto
di fiori.
Willow si intenerì.
“Dai, entra” gli disse,
sbadigliando.
“Hai…studiato tutta la notte?”
chiese Xander.
“Già” replicò Willow, annoiata
e infelice. “Mi dispiace, per ieri sera. Ma non ho potuto fare diversamente”
“Willow…ehm….ti dovrei dire
una cosa”
“Spara” sbadigliò lei.
“Tra di noi è finita”
Willow ci mi se un po’ a
focalizzare la risposta di Xander.
“Finita, cosa?” Aveva
seriamente bisogno di un caffè.
“Ti lascio, Willow” ribatté
Xander, porgendole i fiori, con un gesto di scusa. “Non voglio più essere il tuo
ragazzo. Mi dispiace”
Ora era sveglia.
Lo fissò.
Cosa diavolo stava dicendo?
“Mi dispiace, Will. Siamo
stati bene, insieme…mi pare. Ma…non so….io…penso ad un’altra persona. E
lei…questa persona….mi ha detto che non…che non uscirà con me finché
avrò la ragazza. Quindi, capisci, che…” Xander fece un gesto circolare con le
mani, per esprimersi meglio. “E’ finita”
EH?
Willow sbarrò gli occhi.
Xander la stava lasciando?
Quel patetico….ex giocatore
di football…la stava lasciando?
Dopo tutte le rinunce che aveva
fatto per lui?
Dopo aver sacrificato la sua
felicità e il cuore di Tara?
Osava lasciarla?
Cosa sarebbe stato di lei,
senza un fidanzato giusto?
Cosa?
Desiderò ucciderlo. I suoi
occhi si incupirono. Oh, poterlo polverizzare con la sola forza del pensiero….
L’odio che provò per lui e
per tutti fu così devastante che restò a bocca aperta, senza poter dir nulla.
Xander ebbe uno sguardo
imbarazzato, e uscì. I fiori giacquero sul tavolo di Willow.
Che li prese e li devastò
piano tra le mani.
E poi, acchiappò il cellulare.
Darla.
“Miss Darla è in ospedale” la
informò Isobel, la domestica ispanica. “Ha avuto un avvelenamento da
farmaci”
Willow chiuse la conversazione
senza nemmeno salutare. ‘Fanculo Darla e le sue pilloline del cazzo. Mai
che fosse a disposizione quando serviva.
Riprovò con Faith.
Due squilli.
Al terzo, fu più fortunata.
Faith rispose.
“Pronto”
“Faith, sono Willow. Ho delle
gustose novità per te. Tieniti pronta”
“Sono tutta orecchi”
disse Faith, occhieggiando Wes che dormiva, nudo, nel suo letto sfatto.