CONVERSATION WITH WRONG PEOPLE
Di Swamy
Discalimer: I personaggi utilizzati non
mi appartengono, sono di proprietà della WB, UPN, Mutant Enemy e Joss Whedon.
Raiting: PG14 per il linguaggio
Pairing: Wesley/Faith
Note
dell’autore:
La fan fiction è temporalmente collocata tra l’inizio di “Dirty Girls” [BTVS] e
l’inizio di “Shiny Happy People” [ATS]
Le avrebbero trovato un posto per dormire quella
notte.
Un caldo, accogliente posto, preferibilmente lontano
dai loro letti, in modo da non dover temere di girarsi nel sonno per trovarsi a
dare le spalle alla porta.
Guardò Giles a Daws allontanarsi.
Meglio così, tutto quel calore umano rischiava
seriamente di deconcentrarla.
“Non tutta la tensione è causa tua. Giles ha complottato
per uccidermi..” Spike buttò lì, in tono casuale e voce profonda “..per il bene
di Buffy” aggiunse, non completamente convinto.
“Beh, questo mi fa sentire meglio riguardo a me
stessa, peggio riguardo a Giles, un po’ incerta riguardo a te” gli disse, come
dato di fatto.
Lui inclinò vagamente la testa di lato, l’accenno di
una smorfia di divertimento.
Non importava molto infondo. Non erano lì per esplorare i loro sentimenti lasciando
emergere la propria fragilità – come diceva sempre lo psicologo della
prigione - nè per diventare migliori compagni di banco.
Immaginava che allo psicologo della prigione sarebbe
piaciuto poco l’emersione della sua fragilità se avesse saputo che avrebbe
potuto renderlo fragile in 97 modi
diversi, e utilizzando solo le sue mani.
Spike le passò davanti attraversando il salotto,
Willow spuntò dalla porta della cucina, tenendo la schiena contro il legno per
tenerla ferma, perché lui passasse. Le vide fare un sorriso a Spike, niente di
anomalo.
Spike – William The Bloody – contraccambiò il
sorriso, a modo suo. Quello le parve anomalo.
Scrollò le spalle – aveva da recuperare un po’ di
cose.
Un attimo dopo Willow stava andando verso di lei
“Faith ti serve niente?”
La bruna alzò un braccio e con un vago gesto della
mano indicò la direzione che avevano preso Giles e Dawn, “Giles e Dawn sono
andati a vedere dove depositarmi per la notte. Un posto vicino al loro cuore
immagino..” non le piaceva stare lì, non le piaceva essere guardata come se
dovesse battersi il petto ogni trenta secondi netti. Non le piaceva neanche
quella melma verdognola spacciata per crema di broccoli che servivano a mensa
il Mercoledì in prigione, ma la mangiava lo stesso, immaginava che anche la
tortura intestinale facesse parte del grande disegno della redenzione, ma si
era sempre dimenticata di chiederlo ad Angel quando le faceva visita in
carcere.
Angel.
“.. però mi farebbe comodo un telefono” l’idea di
chiamarlo la fece sentire quasi meglio. Lui le avrebbe detto una di quelle cose
banali sulla sofferenza e l’impegno che dette da lui sembravano così intense.
“Accomodati pure..” indicò puntando l’indice alle sue
spalle “.. è proprio lì accanto al divano. Io intanto salgo un attimo al piano
di sopra”.
Faith annuì facendo un passo indietro e girandosi per
raggiungere il divano. Si sedette afferrando la cornetta del telefono.
Si guardò intorno, non c’era nessuno, cominciò a
comporre il numero ma si fermò. Si alzò in piedi, raggiunse la porta e uscì sul
portico. Si sedette in un angolo, lasciando scivolare la schiena sulla parete
fino a raggiungere il pavimento di legno, e incrociò le gambe finendo il numero
che compariva sul display del telefono.
Avvicinò la cornetta all’orecchio, ansiosa che
dall’altra parte rispondessero.
Squillò varie volte, senza ricevere risposta. Ormai
era rassegnata al fatto che per quella sera non gli avrebbe parlato, ma non
riattaccò. Il rumore ritmico e ripetitivo del telefono che squillava le avrebbe
fatto compagnia e tenuta lontana dal dover affrontare di nuovo l’allegra
brigata della cacciatrice buona, almeno finchè non sarebbe caduta la linea.
Invece le tenne compagnia finchè non sentì un
“Pronto” arrivare dall’altra parte della linea.
“Angel?” una sola parola da quella voce maschile e
improvvisamente si ricordò che forse c’era speranza anche per lei.
“Angel non è in ufficio”, la voce un po’ irruvidita
ma distinta e marcata di Wesley fu una delusione. Forse.
“Hey, i bravi ragazzi dovrebbero essere a casa a
quest’ora” disse rilassando il collo e abbandonando la testa contro la parete,
“Sono sicuro che siano tutti rincasati da un pezzo.
Almeno quelli che tengono alla propria salute”.
Wesley non aveva certo messo in conto una chiacchierata
telefonica con Faith.
Al di là della finestra, dietro le sue spalle, la
città pulsava di male, lo sapeva, era come un’ondata che li stava sommergendo
tutti. L’ennesima apocalisse stava arrivando puntuale. La città pulsava, ed era
pronta all’esplosione.
E avrebbe cambiato qualcosa una telefonata serale?
“A cosa dobbiamo questa telefonata? Non dirmi che il
party di benvenuto è già finito”
Faith fissò davanti a se, e pensò che oltre alla
barba ispida di un giorno anche il sarcasmo gli donava. Chi l’avrebbe detto?
“Oh.. tutti quei coriandoli e i cappellini
colorati..” disse con una vena di esasperazione,
“Immagino.. il peggio arriva quando devi pulire
poi..”, la sorprese che la stesse seguendo nel suo vaneggiamento. Ma sorprese
più lui.
“Lo striscione, devo dire, è stato un tocco di
classe, ma sai, tutte queste attenzioni.. ad una ragazza possono dare alla
testa”, dall’altra parte non arrivò alcuna risposta. Quel piccolo break dal
delirio della sua vita era finito.
“Perché hai chiamato?”
,
“Per parlare con Angel” rispose senza fronzoli, in
tono anonimo, pronta a sentire molto presto
il suono sordo di una linea interrotta.
“Non sono Angel” non poteva essere più chiaro di così
nemmeno volendo.
“Già.. devo aver parlato con la persona sbagliata fin’ora..”
non che lo biasimasse.
Lui era l’uomo che aveva deriso, deluso, e torturato.
Più volte e non sempre in quell’ordine.
Non si aspettava certo sostegno o cordialità, per
questo fu sorpresa quando lo sentì forzare una domanda dalla propria bocca.
“Com’è andata?” le ci volle un attimo per mettere
insieme una risposta, una che non gli facesse capire la verità.
Che non gli facesse capire aveva paura.
“Willow è.. Willow… Buffy ovviamente mi ha buttato le
braccia al collo dicendomi quanto le ero mancata” il tono si era leggermente
acuito in una punta di sarcasmo.
“Che ti aspettavi Faith?”
Era la prima volta che diceva il suo nome quella
sera. A volte lo diceva come quel nome fosse un’accusa. A volte sembrava che
nel pronunciarlo stesse raccontando con dovizia di particolari una notte di
tortura. Una notte di lame, e vetri rotti, e bruciature di sigarette, e fiamme
roventi. A volte.
Quella sera non era una di quelle volte.
“Niente. In realtà non è così male.. infatti ha tutto
il tempo di diventare peggio.” Constatò “In questo momento Giles sta cercando
un posto per farmi dormire, immagino che non sia previsto nessun pigiama party
con le potenziali cacciatrici, ma si sa, una ragazza ha bisogno del suo sonno
di bellezza” si affrettò ad aggiungere “E non parlo di quello eterno”
“Quindi si rimanda a domani la caccia? Pensavo ti
avrebbe divertita prendere a calci qualche vampiro”
“Oh, l’ho fatto!” lei esclamò prontamente “Solo che
era il vampiro sbagliato. Spike. In carne, ossa e anima. Credo che Angel abbia
lanciato una moda.. Sembra simpatico comunque”
“Mmm..” le arrivò dall’altra parte del telefono un
mugugno definibile ironico nella sua brevità e astiosità.
“Mmm? Le tue cellule 100% inglesi non si ribellano
alla considerazione dei grugniti nel tuo vocabolario? E comunque cosa dovrebbe
significare questo ‘mmm’?”
“Constatavo che hai un generico debole per i vampiri”
disse come se non si potesse aspettare nient’altro.
“Oh Wes, non te la prendere, hanno un loro fascino, ma
anche gli osservatori hanno un ché di sexy” insinuò sperando di imbarazzarlo.
Con il vecchio Wesley, tutto amido e regolamento,
funzionava.
“Davvero? Sexy? Giles deve essere notevolmente
migliorato dall’ultima volta che l’ho visto io” e Faith rise.
Non quella risata incontenibile ed esplosiva, ma
sentì distintamente il sorriso sulle labbra estendersi come se si stesse
estendendo sulla sua pelle. Quel sorriso attraversò kilometri e città arrivando
in un ufficio al buio. Quel sorriso fu uno sprazzo di sollievo.
Sollievo.
Non lo provava da tempo.
Una volta il sollievo, come la speranza, avevano un
nome, una forma, una consistenza. Poteva indossarlo sotto la giacca o prenderlo
in prestito da Cordelia.
E quella sera glielo stava regalando la sua preziosa
cacciatrice. La sua cara aguzzina.
Lei aveva dimenticato che lui non fosse più un
osservatore. Precisamente, aveva dimenticato che il Consiglio lo aveva cacciato
a pedate grazie a lei.
“Per un attimo avevo dimenticato il mio ruolo nel tuo
cambio di professione. Non ti è capitata la più facile delle cacciatrici”
ammise.
Era stata una delusione per molti. La fiducia non era
mai stata il suo punto di forza, e il fatto che la sua prima osservatrice si
fosse rivelata una psicopatica manipolatrice con manie di demonicità non
l’aveva aiutata.
“Ho fallito con te. Su ogni fronte” anche lui ammise.
Ammise che allora era stato convinto che la risposta
alle necessità di Faith si trovasse in uno dei testi ufficiali. Che allora
pensava che la chiave per la riuscita fosse una delle infinite regole che gli
avevano insegnato da quando aveva undici anni.
Che allora si era dimenticato che era una ragazza di
diciassette anni. Solo una ragazza.
“Non te la prendere.. non sei poi tanto male”.
Davvero.
L’aveva visto, anni prima, nei suoi occhi.
L’aveva visto improvvisamente diverso.
Per questo non si era stupita di trovarlo così. Uomo
di convinzione e sacrificio. E con finalmente un guardaroba decente.
“Ora che sono tornata ai buoni, potrebbe servirmi un
osservatore.. sai, uno che mi tenga in riga” non aveva capito come era arrivata
a questo punto della conversazione. Non aveva capito come era arrivata a
chiedere una possibilità a Wesley Windam Price. Ma a quanto pare lo aveva
fatto, e da sobria.
E ora doveva solo rispondere qualcosa. E poteva
contare sulla sua innegabile natura inglese per far sì che non la mandasse
all’inferno.
“Nessuno può negare che ti farebbe comodo..”, forse
era stata la cosa sbagliata da dire. La cosa sbagliata, nella sera sbagliata,
alla ragazza sbagliata. Forse.
“Già.. basta sopravvivere alla prossima apocalisse..”
ma sembrava che per la prima volta avesse fatto quello che si supponeva un
osservatore facesse. Darle sicurezza, un obiettivo, forse un briciolo di
speranza.
Forse poteva andare meglio.
Bastava sopravvivere alla prossima apocalisse.
E detto così, detto da lei, ora, sembrava quasi
semplice.
E.. si. “E’ così assurdo che potrebbe persino
funzionare”