di Swamy
Disclaimer: I personaggi non mi
appartengono, sono di proprietà della WB, Mutant Enemy e di Joss Wheddon.
Raiting: PG14
Pairing: Spike/Willow
Note
dell’autore: Ambientata nella sesta stagione di BTVS. Willow e Tara si sono lasciate,
Spike ha una relazione sessuale con Buffy. Le canzoni usate nella fan fiction
sono “Fly” di Mark Joseph e “Another little hole” degli Aqualung.
Visti così sarebbe potuta sembrare una pubblicità. Lui e lei in una cucina di un mulino
bianco a fare colazione con il latte
blu, ma nelle pubblicità i protagonisti si svegliavano con il sorriso sulle
labbra e l’alito mentolato mentre cantando arrivava l’uomo del giornale che lo
lasciava arrotolato sullo zerbino fuori alla porta di casa. Loro invece non si
erano svegliati perché non erano andati a dormire, l’uomo del giornale non
arrivava ne cantando ne in altro modo, e fuori alla porta di casa avevano una
croce.
Buffy era partita con Dawn per andare dal padre a Los Angeles - Si, perché, con tante fottutissime, stramaledettissime città –
lui si era dovuto stabilire lì, e a
loro era rimasta la ronda da fare, i demoni da uccidere e la spazzatura da
buttare.
Per tornare indietro dopo la ronda avevano
attraversato tutta la città a piedi, e ci avevano messo più di quanto avesse
previsto perché lei era stanca, così dato che mancava poco all’alba era rimasto
lì, come era successo per le altre quattro mattine precedenti.
Willow era esausta, la poteva quasi sentire irradiare
stanchezza, mentre versava il latte dentro il bollitore, e Spike rimase al
bancone della cucina, seduto a fissarla. Aveva i muscoli della schiena tesi e
indolenziti, lo poteva vedere anche attraverso la stoffa della sua maglietta rossa.
La vide portare una mano a massaggiarsi la base del
collo mentre allungava l’altra mano ad aprire l’anta di un mobiletto alla
ricerca del cacao da versare nel latte. Quando tirò fuori la scatola di cacao
si fermò prima di versare il contenuto nel bollitore e la scosse, poi allungò
gli occhi all’interno, Spike stava fissando il ripiano del bancone quando la
sentì gemere e alzò lo sguardo. Lei si voltò, i capelli lunghi rossi si mossero
contro la guancia e la vide alzare la mano che reggeva la scatola, puntandogli
addosso uno sguardo da maestria petulante.
Lui alzò le sopraciglia, e pensò che con gli
accessori giusti avrebbe potuto venirne fuori un bel giochino sessuale. Bè,
questo se lui non fosse stato già innamorato di un’altra.
Ma lui aveva una storia con la cacciatrice.
Bè.. avere,
storia, concetti lati, relativi,
infondo non si possiede nulla a questo mondo.
Volendo essere noiosamente fiscali loro ci davano
dentro a spese di edifici e del suo amor proprio. Lei lo usava e lo insultava,
non sempre in quest’ordine, quando non stava facendo entrambe le cose
contemporaneamente, e intanto buttavano giù qualche muro, sfondavano qualche
pavimento, dando giovamento alla futura edificazione di Sunnydale – patria dei
carpentieri e dell’anemia. Ma se nell’ora
di ginnastica era superba, e una maestra nell’abbattere, non era la stessa
cosa per il costruire. Soprattutto, il costruire un rapporto con lui.
“Allora?” la voce di Willow lo tirò via dai suoi
pensieri,
Guardò la scatola, e guardò lei, senza capire che
volesse. Scrollò le spalle “Versane anche a me. Doppio”, disse pensando gli
stesse chiedendo se voleva del cacao.
Ma l’espressione scocciata non andava via, “Spiiiike”
lei gemette il suo nome agitando la scatola,
“Cosa?” chiese lui alzando la voce. Poteva smetterla
di gemere, per favore? Era scorretto pretendere attenzione in quel modo. E loro
non erano i paladini della correttezza, della giustizia, del Natale e dei saldi
al 50%?
“Non ti sto chiedendo se vuoi il cacao nel tuo
latte!” esclamò esasperata,
“Giochiamo ai mimi?” chiese non afferrando il senso
di quella situazione.
“Spike hai finito il cacao, di nuovo” calcò le ultime due parole come se quello avrebbe potuto
farlo sentire in colpa. Lui aveva ucciso due cacciatrici, torturato villaggi
interi, girato il mondo con il Flagello d’Europa e vissuto con una concubina
pazza, e lei lo guardava come se si aspettasse davvero delle scuse. Era
impazzita? Il Big Bad non si dispiace. Il Big Bad finiva tutto il cacao se voleva
e non chiedeva scusa per questo, ma se ne vantava.
D’accordo, forse nel caso specifico il vanto era
eccessivo, ma certamente non si sarebbe scusato con lei.
“Avresti potuto comprarne dell’altro. Non sei per
niente premurosa verso gli ospiti”, le fece un ghigno come quello che le aveva
fatto al primo anno di college, quando le aveva comunicato che l’avrebbe
uccisa, e poi le aveva proposto di riportarla indietro dalla morte per essere
come lui. Il ghigno da ‘ti ho in pugno’.
Lei aprì la bocca per rispondergli, ma lasciò
perdere. Si girò tirando fuori dal mobiletto ancora aperto un barattolo di
miele.
Lo sentì alzarsi dallo sgabello del bancone e
muoversi dietro di lei, poi sentì il frigorifero aprirsi, lei allungò il
braccio di lato tenendo la mano aperta mentre con gli occhi cercava la scatola
di muffin. Poco dopo sentì il bicchiere di sangue nella sua mano e lo poggiò
accanto a quello del miele “Spike non trovo i muffin” constatò lei.
“Dovrei procurarmi un avvocato?”,
quando lei si voltò sorridendogli per appellarlo con
uno “Stupido” lo trovò che la fissava stando appoggiato con la schiena contro
il frigorifero, le braccia incrociate sul petto e un sorriso trasversale sulle
labbra. E arrossì, anche se non voleva. E pensò che era bello, anche non ne
aveva intenzione.
“Ah.. I-Io..” si morse il labbro inferiore e lui
guardò la punta della lingua spuntare fuori timida e umida, tenera come un
gattino bagnato, mentre lei spostava gli occhi tra lui e il pavimento. “Volevo
solo chiederti se sai dove sono”, lui fece un passo nella sua direzione
fissandola negli occhi, poi si chinò sulle ginocchia e aprì l’anta del
mobiletto in basso, tirandone fuori una confezione già aperta di muffin. Lei ne
tirò tre dalla scatola e li infilò nel microonde accanto al lavello mentre lo
sentiva armeggiare con la piccola radiolina sul bancone.
Vide il laccio della tendina allentato e lo strinse
di più in modo che il sole non filtrasse.
Le frequenze della radiolina si accavallavano una
sull’altra mentre Spike cercava una stazione radio funzionante. Lei si portò le
dita alle tempie massaggiandole con movimenti circolari dei pollici. Durante la
notte avevano seguito una coppia di vampiri fin dentro un locale di quelli alternativi, uno di quelli in cui
l’alternativa all’acqua era una specie di carburante per trattori, e
l’alternativa al silenzio era una gang di assassini dell’arte che colpivano gli
strumenti senza pietà e senza ritmo. Dopodichè si erano fermati in un quartiere
in cui alcuni teppisti avevano dato fuoco ad auto ed edifici, terrorizzando e
mettendo in pericolo tutti. E tra l’intervento provvidenziale e rumoroso dei
pompieri e delle loro sirene, e i pianti isterici e le fughe sviluppatesi la
nottata si sarebbe trasformata facilmente in un banchetto festivo per la
popolazione di non morti di Sunnydale. Questo se non avesse passato quattro ore
a girovagare, sorvegliare e impalettare, spacciandosi per due coinquilini di un
palazzo andato in fiamme. E adesso aveva un mal di testa lancinante.
Quando il timer del microonde suonò ebbe una fitta, e
tirò fuori i muffin con un sospiro, aspettando che il dolore alla testa si
calmasse.
Stava quasi per dire a Spike di spegnere la radio
quando lui trovò una stazione che si sentiva decentemente, e lo sentì cantare,
a voce bassa, roca. Si girò a guardarlo. I jeans strappati, l’aria sexy da
cattivo ragazzo. Poteva fare la rockstar e scomparire dopo una rapida e
folgorante carriera come Elvis. E non avrebbe neanche dovuto portare il ciuffo.
“Can
I be a friend?.. Lead me to the end, ‘coz I know it’s written in the wind..”, Spike cantò
guardando i post-it attaccati in verticale alla parete, I promemoria che Willow
aveva preso l’abitudine di attaccare in giro da quando Buffy era morta, e che
avevano continuato ad apparire anche dopo il suo ritorno. Nessuno diceva niente
del fatto che Buffy era completamente disinteressata alla casa, che
dimenticasse di fare ciò che doveva, che avesse preso a dare per scontato che
l’avrebbe fatto qualcun’altro. E quel qualcun
altro si sentiva troppo in colpa per averla riportata indietro dal
paradiso, o per i suoi poteri che aumentavano sempre di più per prendersela
quando dimenticò di fare l’unica cosa che le aveva chiesto, perché lei non ne
aveva il tempo. Così ora erano senza telefono da una settimana perché la
bolletta non era stata pagata.
Lui aveva una bella voce, di quelle che ti vibrano
tra le pareti dello stomaco, quelle che sembrano toccarti la pelle. Di quelle
che non le avevano mai fatto prima quest’effetto.
Si rese conto che le piaceva vederlo così. Poteva
persino illudersi fosse avvicinabile.
“Take
me to higher ground, c’mon.. steal a sound, ‘coz I know it’s written in the
wind..”
Sorrise. Spike cantava mentre lei preparava la loro
colazione in un qualunque Giovedì mattina.
Il suo mal di testa non era poi così terribile.
Non fu abbastanza rapida nel voltarsi, e quando si
girò sapeva che lui la stava fissando, e non potè evitare di arrossire,
“Qualcosa che ti diverte rossa?” lo sentì piegarsi
leggermente in avanti “Ridi di me?”,
“No!” si girò con ansia e lui gignò, l’aveva
imbrogliata ancora “Non ridevo di te..i-io-” disse con tono basso sapendo che
l’aveva solo provocata per farla agitare. Ci riusciva sempre.
Ma una volta provocata la sua bocca continuava a
parlare anche se lei non voleva. Lo detestava. O forse era solo perché negli
ultimi mesi si era abituata ad averlo intorno mentre controllava che Down
dormisse, a preparare il tè anche per lui, ad offrirgli di dormire sul divano
della salotto, anche se lui rifiutava sempre.
“E’ strano vederti.. così.. t-tu sembri sempre
così-“,
“Affascinante? Ipnotico? Splendente nella notte?”,
“Intoccabile”.
La parola le sfuggì come un sospiro, le palpebre di
Spike si erano mosse appena. O forse non si erano mosse affatto. E la guardò come
se lei si stesse allontanando sempre di più.
Ma lei non voleva allontanarsi. Davvero. Davvero.
Voleva stare lì con lui, a preparare la colazione, a lasciarsi prendere in giro
mentre le sue allusioni sessuali le scivolavano lungo la spina dorsale.
Lui sentì il suo corse accelerare, il petto le si
alzò come se fosse affannata.
Aveva detto la verità. Il tempo passava, la gente
moriva, il cotonato non andava più di moda, e lui era sempre lo stesso, in ogni
dettaglio.
"Voglio dire.. un giorno sarai da qualche parte
e non ti ricorderai neanche di-",
si interruppe, non era questo che doveva dire, anche
se era vero. Che lui non si sarebbe ricordato di chi era lei, e di qualche
stupida mattina a fare colazione insieme, ma importava?
E lei aveva ragione, Spike lo sapeva.
Secoli di bellezza ed eternità. Erano sempre stati
appetitosi, lo sarebbero ancora stati, nella perversione della giovinezza senza
fine, ma desiderava altro ora. Non era un desiderio nato, lo aveva sempre
saputo, e sempre rifiutato. Era un desiderio sopito alla sua morte, risvegliato
dal tormento quell'affare metallico che gli avevano piantato nel cranio, che
gli aveva rovinato il divertimento e la reputazione. E ora voleva un contatto,
qualcosa di più di una scopata con la cacciatrice, qualcosa di più della sua
attenzione mendicata. Voleva qualcuno a cui dire cose senza importanza, che lo
guardasse senza orrore, che gli tenesse da parte qualcosa di caldo da bere e
che arrossisse per lui.
Ma erano idee stupide.
Come dire ad un umano che anche lui sentiva? Lui -
inafferrabile al tempo, mentre loro ne erano schiavi, addosso a loro si
trovavano i suoi inevitabili segni. Erano schiacciati dalle responsabilità,
sopraffatti dalle speranze, schiantati dai sentimenti. Anche ora lei lo
guardava, e sul suo bel viso d'alabastro si potevano leggere le linee della sua
fragilità, della sua forza. Negli occhi verdi, di foresta e ambra, le si
dibatteva l'anima infiammata di fugace giovinezza, di inespressa passione. Per
un attimo pensò che forse se la sfiorava l'incantesimo si sarebbe rotto, il
fuoco si sarebbe liberato e l'anima intrappolata sarebbe uscita fuori
scivolando tra le labbra tremanti.
“Oh.. i-io non volevo dire-“, e arrossiva, e
balbettava, e scaldava due dei tre muffin per lui nel microonde,
“Il fuoco..” lui disse fermo continuando a guardarla
negli occhi.
“Eh?”,
lo vide abbozzare un sorriso, gli occhi azzurri non
si spostavano dai suoi, ed era male. Molto male, perché così la sua mente
funzionava lenta,“
Hai dimenticato di accendere il fuoco sotto il bollitore”.
Lei sbattè le ciglia un paio di volte, il messaggio
arrivò al cervello e si girò verso la cucina, “Che stupida..”.
Lui le passò dietro la schiena e si girò verso di
lei, studiando il suo profilo dolce, e le mani bianche e morbide.
Intoccabile.
E si. Lei aveva perso un amore, aveva fatica e
dolore. E lui voleva aprirsi il petto con le mani e mostrarle il suo cuore
fatto a pezzi.
Voleva che lo vedesse.
Che lo sentisse. Lo sentisse
bruciarle fin dentro le viscere.
Voleva solo toccarla.
Voleva che si girasse, e lo vedesse.
E fece la prima cosa che gli venne in mente.
La prima cosa abbastanza innocua, abbastanza rapida,
più che abbastanza stupida.
Allungò il braccio davanti a lei e le rubò il piatto
con i muffin caldi “Questi li prendo io”,
“Spike!” lei fece dei passi in avanti mentre lui
indietreggiava con il piatto.
Notò che lei cercava di sopprimere un sorriso
arrabbiandosi.
Notò che gli piaceva vederla allungarsi verso di lui.
Notò che l’odore del gas della cucina si era
intensificato.
E quando lasciò andare il piatto e le strinse le
braccia intorno al corpo correndo via gli sembrò quasi di distinguere il rumore
morbido dei muffin che cadevano a terra da quello del piatto che si spaccava, e
quando l’esplosione gli colpì la schiena spingendolo contro la parete pensò che
non gli piaceva il modo in cui stava finendo quel Giovedì mattina.
Quando colpirono la parete sentì due ossa delle dita
sfuggire dalla mano, mentre copriva la testa di Willow per ripararla dal colpo.
Sentì qualcosa di freddo conficcarsi nel suo collo ma la sua mente lo ignorò.
La forza dell’urto li scaraventò a terra, facendoli
rotolare. Quando alzò la testa, gli occhi aperti di lei lo guardavano
terrorizzati e lui strinse la mascella per trattenere un lamento quando una parte
del soffito gli crollò sulla schiena. Sentì il suo corpo cedere e affondare su
quello caldo e morbido di lei. E sentì un rumore.
Un rumore che nei secoli aveva amato ed inseguito.
Che lo aveva eccitato. Che gli aveva dato piacere ed estasi. Un rumore secco,
sottile. Rapido come uno schiocco di lingua.
Un rumore che adesso gli riecheggiava nelle orecchie
facendogli esplodere il cervello.
Più forte, e più odioso dei pezzi di soffitto che
precipitavano al suolo.
Il rumore di una costola che si spezzava, e si
incrinava piegandosi dentro di lei. Forse sfiorandole un polmone.
Quando fu tutto di nuovo calmo e immobile, fatta
eccezione per la polvere, fece forza su una mano ed entrambe le ginocchia e si
scrollò di dosso quell’ammasso di mattoni. Dalla radiolina, in qualche punto
della stanza, arrivava il rumore fastidioso delle interferenze di frequenza,
rimandando di tanto in tanto qualche parola spezzata di una indefinita canzone.
Fece scivolare piano l’altra mano da sotto la testa
di Willow, fece rientrare le ossa a posto fino a sentirle chioccare, e usò la
mano per cercare di togliere via la polvere dal suo viso.
“Rossa?” la chiamò piano mentre il suo pollice
continuava a muoversi lento sulla guancia,
“Hey strega..” le palpebre di lei si mossero e il
viso le si contrasse in una smorfia di dolore.
Quando aprì gli occhi inalò dalla bocca aperta,
“Respira piano, non muoverti.. ok?”.
Probabilmente qualche vicino di casa stava già
chiamando i pompieri, sperando avessero finito con il soccorso nella zona
incendiata. Lui non poteva muoverla, sentiva già l’odore dolce del suo sangue
uscire fuori dalla bocca ad ogni nuovo respiro, e muoverla adesso poteva
significare ucciderla. E muoverla, per portarla dove? Non poteva uscire da
quella casa senza incenerirsi al sole.
Forse sarebbe stata bene, o forse sarebbe morta.
Forse sarebbe morta, proprio ora, mentre lo fissava con i suoi giganteschi
occhi verdi. Ora, mentre scorreva gli occhi sui suoi vestiti sporchi, sul suo
corpo dolorante, mentre le stava sopra, separati da pochi centimetri.
La vide aprire la bocca per dire qualcosa e si
abbassò sul suo viso. Willow girò piano la testa parlandogli all’orecchio, col
fiato che gli toccava piano il lobo,
“Avremmo dovuto.. fare.. a meno.. del latte” parlò
piano, perché un peso invisibile le opprimeva il petto.
Aveva usato il plurale. Aveva usato il plurale che
presupponeva un noi.
Un noi che significava che stava avendo ciò che
voleva. Un rapporto con meno rabbia e più rispetto di quello che aveva con la
cacciatrice.
The day is breaking,
and time is taking the love we’re making
away
Lui girò il viso e quasi si sfiorarono.
Willow gli sorrise con l’aria di una bambina che ha
appena combinato una marachella, e le labbra di una donna che poteva compiere
il più sublime dei peccati. Contraccambiò il sorriso e qualcosa negli occhi di
lei cambiò.
“Cosa c’è?”,
lo vedeva così chiaramente adesso, e non poteva
credere di non averlo mai visto prima. Il tormento in quegli occhi azzurri, che
si scurivano con la passione e il dolore. Il desiderio eterno di fondersi in
qualcosa, in qualcuno.
Lei allungò una mano cingendogli il collo e gli fece
abbassare il viso.
“Ho detto una.. stupidaggine.. prima”, e si trovò a
non poter sostenere il suo sguardo, per via di quello strano pizzico allo
stomaco, e a vedere la riga di sangue lungo il collo bianco.
Mosse le dita contro la nuca, tra i capelli biondi,
scendendo piano sulla curva del collo.
E se solo avesse avuto il coraggio di guardarlo negli
occhi, avrebbe potuto vedere la meraviglia, e il desiderio, e qualcosa di
incredibilmente simile alla paura.
The life can only leave us lonely,
There’s no tomorrow,
Just another little tear in my eye,
Just another little tear in my eye,
Just another little tear in my eye,
Yeah
E invece i suoi occhi rimasero fissi sul collo mentre
le dita piccole scovavano una lunga scheggia di marmo e la tiravano via piano,
stringendo i denti come se il dolore fosse il proprio.
“Non ti ho.. neanche-“,
“No” lui sembrò svegliato dalla sua voce “Tenti di
rovinarmi quello che resta della mia reputazione?”. Stava sfuggendole un
risolino quando si portò una mano al petto, stringendo gli occhi per il dolore.
“Rossa.. apri gli occhi” le chiese prendendole la
guancia in una mano “Guardami”.
Per una volta, una volta sola, una donna gli doveva
obbedire. Doveva.
“Respira piano.. non parlare” le disse quando le sue
palpebre si furono rialzate “Hai una costola rotta, se ti muovi ti perforerà il
polmone”.
Gli occhi verdi lo fissarono immagazzinando le
informazioni, probabilmente teorizzando sui suoi danni, e combattendo il
panico.
“L’ambulanza sarà qui alla svelta e si prenderanno
cura di te. Altrimenti ucciderò loro e la loro discendenza” lei abbozzò un
sorriso “Non ti abituare a tutta questa premura, lo faccio solo perché mi devi
ancora una colazione” disse in tono scocciato.
I don’t know, I don’t know
I don’t know, I don’t, I don’t know
I don’t know, I don’t know
I don’t know, I don’t, I don’t know
“Quindi non ti permetto di stare male, tantomeno di
morire.” E se non fosse stato certo che non era lontanamente possibile, avrebbe
giurato di volerla stringere, e proteggere e cullare, per qualche altro
decennio ancora. E forse possederla e consumarla per tutti quelli successivi.
E l’idea di perla adesso lo atterriva. L’idea di
perderla fu insostenibile, come se perdesse qualcosa che gli era sempre
appartenuto. Come se lei fosse il suo desiderio d’amore incarnato.
E odiò se stesso con la disperazione più cieca per il
demone che in una parte del suo cervello bisbigliava del sapore di quel sangue
speziato e magico. E gli chiedeva di assaggiarla.
Quella stessa voce soffocata da qualcosa di simile ad
una preghiera.
The day is breaking
And time is taking the love that we’re making
Away
“L’ambulanza sta arrivando.. li posso già sentire”
parlò piano alla ragazza che lo seguiva attenta. L’ambulanza stava arrivando e
questo significava che lei sarebbe stata bene. E significava che ora avrebbe
dovuto lasciarla.
“Mi devo nascondere prima che arrivino.. magari
nell’armadio come ogni amante che si rispetti” le disse facendole l’occhiolino.
Ma Willow gli prese la mano prima che potesse alzarsi e allontanarsi da lei
“No..”.
“Nel senso che finalmente hai deciso di lasciare tuo
marito per me?” scherzò sperando che lei si calmasse. E la vide sorridere.
“Ci rivediamo tra qualche ora, ok? Così avrai tempo
di fare il tuo sonno di bellezza.. potrei anche decidere di portarti dei fiori,
e addirittura pagarli”
Lei lasciò andare la sua mano con riluttanza, e Spike
si allontanò mentre sentiva l’ambulanza fermarsi a pochi metri dal giardino.
Quando gli infermieri entrarono rimase fermo
nell’armadio, spiandoli dall’anta socchiusa.
Li vide nascondere lo stupore per il fatto che lei
non fosse morta, mentre la radiolina continuava ad interrompere la canzone e
farla ricominciare.
Tenne gli occhi fissi su di lei, eliminando ogni
rumore dalla sua mente. Concentrandosi sul battito del cuore di lei, che gli
parlava, dicendogli che sarebbe tornata.
E volle solo credere che non fosse una bugia.
This life can only leave us lonely,
There’s no tomorrow,
Just another little hole in my heart,
Just another little hole in my heart,
Just another little hole in my heart,
FINE