MADRIGALE SOLITARIO



Ho giocato con le fate, nel mio paese.

 

Ho vissuto in un mondo blu e verde,

di terra e mare.

Ho avuto cieli azzurri da guardare,

e altri cieli e mari da sognare.

 

Ho avuto paure più grandi del più grande mare.

Ho sparso lacrime pesanti, da non poter più volare.

 

Ho avuto paure più grandi del più grande mare.

Ho avuto più amore da colmare quel mare.

 

Ho temuto il buio, e amato la luce,

e ho avuto una mano forte a guidarmi nel buio.

 

Ho vissuto in un mondo grande,

che non riuscivo a capire.

Ho amato un solo mondo,

il fratello che mi ha fatto morire.

 

Mio fratello,

cui vivere non è stato perdonato.

 

Mio fratello,

fallito già in partenza.

 

Voleva amore, e ha ricevuto solo odio.

E per amore di quell’odio continuava a farsi odiare.

 

Poi la Morte l’ ha preso, mascherata da Amore,

le è piaciuto e se l’è preso, portandomelo via.

Gli ha tolto un cuore e gliene ha messo un altro,

ha riso di quel gioco e gli ha insegnato l’odio.

 

Avevo dieci anni.

Pensavo di morire, perché non l’avrei più visto.

 

Avevo dieci anni.

Sono morta poco dopo, quando l’ ho rivisto.

 

Rivolevo mio fratello, credevo fosse un angelo.

Poi ho capito che lo era, quello della morte.

 

Ho ancora dieci anni, e più di duecento ne sono passati,

ma io non posso crescere, e lui non può invecchiare.

E’ bello, mio fratello, coi capelli e gli occhi scuri,

è bello come un angelo, e ha un demone dentro.

 

Per secoli il demone è stato  padrone.

E ha ucciso, ucciso e ucciso, con le mani di mio fratello.

 

Per secoli il demone è stato padrone.

Poi il fuoco degli zingari mi ha ridato mio fratello.

 

Ma lui ha riavuto solo lacrime, e dolore,

e memorie non sue, e il mio sangue sulle labbra.

 

Per quel sangue si è giudicato e condannato,

ha forgiato la sua catena e se l’è messa al collo.

La colpa del demone l’ ha presa come sua

e anziché l’altro a soffrire è stato lui.

 

Non è mai stato felice,

in duecentocinquant’anni.

 

Non è mai stato felice,

perché altri non hanno voluto.

 

Prima nostro padre, poi la morte e poi gli zingari.

E per un istante di gioia l’inferno lo ha chiamato.

 

Era innamorato, come non era stato in vita,

e il suo cuore cantava, ed era di nuovo caldo.

Amava ed era amato, non desiderava altro,

ma arse un altro fuoco e il demone tornò.

 

Gridai di paura, allora,

nel veder andare in pezzi il suo mondo.

 

Gridai di paura, allora,

come gridai quando passò il vortice.

 

E aveva di nuovo l’anima, e fu l’anima a soffrire.

Per quel che fece il demone fu l’umano a pagare.

 

Riuscì a tornare, infine, dopo secoli o mesi,

col corpo ferito e l’anima schiantata.

Ma la tortura peggiore lo attendeva qua,

in un amore immenso ma proibito come il sole.

 

Sempre gli altri prima di lui,

e per gli altri se n’è andato, perché fossero felici.

 

Sempre gli altri prima di lui,

e per altri che non conosce mette in gioco la sua vita.

 

Ho avuto paura, quando ha deciso.

Di perderlo di nuovo, anche se per un giusto motivo.

 

La Città degli Angeli ora ha un angelo custode,

e lui la protegge come proteggeva me.

Ed io invece non posso proteggere lui,

posso solo stargli accanto e vegliare sul suo sonno.

 

Sono passati i secoli,

e lui è ancora il mio mondo.

 

Sono passati i secoli,

e gli voglio ancora bene.

 

Perché il sangue è più forte della morte, in bene e in male.

Il nostro sangue, uguale, il mio nella mia tomba e il suo cambiato.

 

E per il sangue e le lacrime che abbiamo condiviso

il fiore del nostro affetto non sarà mai reciso.

Lui può avermi ucciso e io essere il suo rimorso

ma siamo quegli stessi che vivevano tra terra e mare.

 

A volte sogno ancora il mio paese, e di giocare con le fate.

 

FINE