POISON GIRL

AUTRICE:ALKJA/ALESSANDRA

 

Pomeriggio infrasettimanale in una tranquilla cripta in mezzo a un cimitero di una piatta cittadina americana: brandy, sangue, sigarette, pollo in salsa piccante con gli immancabili fiori fatti con le cipolle, un divano comodo, un televisore appena riparato e nessuna fessura da cui un raggio di sole vagabondo possa entrare e far danni. E per finire, la ciliegina sulla torta: tre ore non stop di Passioni invece della solita mezz’oretta striminzita tra uno stupido spot di detersivo e l’altro. Che si potrebbe chiedere di più alla non-morte?

“SPIKE!!”

La porta della cripta sembrò esplodere più che sbattere, ma il fragore fu parzialmente relegato in secondo piano da un ruggito furibondo.

‘Mannaggia la miseria, e lo sapevo! Io mi pregusto un bel pomeriggio rilassante e piacevole, alla larga dai guai, non penso neanche agli umani che potrei, anzi, vorrei ma non posso, sgozzare, non voglio altro che essere lasciato in pace e invece no! Una dannata bionda deve per forza rovinarmi tutto! E tanto per iniziare bene tenta pure di distruggermi la casa! La vita meravigliosa di un vampiro chippato…’

“Spike! Dove accidenti sei?!”

‘Il sotterraneo! Lì non mi becca! Maledizione, no, se ci vado mi scopro! Il sarcofago! Buon vecchio amico di pietra, meno male che ci sei tu! E adesso trovami, tesoro!’

Il lottatore di sumo coi tacchi alti che, stando al rumore, doveva aver invaso la cripta arrivò un attimo dopo che la pesante lastra di pietra si era richiusa sull’inquilino in fuga.

“Dacci un taglio, lo so che ci sei! Oggi pomeriggio c’è la maratona di Passioni, figurarsi se te la perdi! E il pollo è ancora caldo! Allora?”

Niente. Silenzio assoluto. Non un respiro, a parte i suoi, ma questo era naturale.

“Avanti, fatti vedere, sottospecie di cumulo di sostanza organica in via di decomposizione!”

“Ehi, un po’ di rispetto! Decomposizione un accidente, dove lo trovi un più che centenario con un fisico come il mio?” Spike era balzato fuori dal suo nascondiglio come un pupazzo a molla e stava in piedi al suo interno, le braccia incrociate e un’aria di dignità offesa.

“Da nessuna parte, ma almeno sei uscito.” Oops. Si era fregato. Da solo. “Un sarcofago? Ma non erano tutte balle, quelle dei vampiri e delle bare? Cos’è, vuoi inaugurare una nuova moda?”

“Quando si scappa si scappa, non importa dove o dentro cosa.” Uscì dal sarcofago. “Comunque, meglio te che qualcun'altra.” continuò, ritornando al divano. “Un po’ di pollo?”

“No, grazie. Rischierei di mandarmelo di traverso.” Era incavolata, e come sempre quando lo era, parlando scosse la chioma bionda come una cavalla imbizzarrita.

“Ehi, muovi meno quei capelli o avrò bisogno di mettermi gli occhiali da sole!”

“Ah, và a quel paese! E già che ci siamo io ti accompagno!” Si lasciò cadere accanto a lui, appoggiando la testa allo schienale e inspirando a lungo e profondamente. “Dì un po’, è ancora valida l’offerta di quel pollo? Incavolarsi stanca. E fa venir fame.”

“Toh, prendi. Io accendo il registratore, Passioni non posso perdermela.”

Quando ebbe fatto si fermò ad osservarla. Stava giocherellando con un fiore-cipolla, apparentemente chiedendosi se spappolarlo sarebbe stata una buona idea. Era ancora alterata e ben lontana dal calmarsi, ma questo non lo sorprendeva: se avesse dovuto fare quello stupido giochetto che propinavano gli strizzacervelli ai loro gonzi, quello di associare le parole, al suo nome avrebbe senz’altro associato l’aggettivo ‘arrabbiata’. Poteva essere molto carina, come in quel momento, con i jeans rossi e la camicetta senza maniche blu elettrico, ma quello che non mancava di colpire, in lei, era l’impressione che, quale che fosse l’apparenza, al suo interno ci fosse un vulcano in perenne ebollizione, sempre sul punto di esplodere. E lui che la conosceva da sempre poteva confermare che quell’impressione era sacrosantamente vera e ben fondata: era solo questione di tempo e prima o poi, a brevissimi periodi, scattava e perdeva le staffe, peggio che se qualcuno avesse incautamente liberato un ciclone. Ma, a parte quei momenti, era il suo carattere solito ad essere irritabile, scontroso, sempre sull’orlo di deflagrare facendo più danni di un’atomica. Lui la conosceva da quand’era nata, ma ancora non riusciva a capire il perché di quell’atteggiamento che aveva avuto praticamente fin da subito, come se qualcosa la rodesse da dentro, mettendole tutti i nervi allo scoperto. Peraltro solo con la famiglia e gli amici di questa, perché con i suoi amici si comportava più o meno come ogni altra ragazza, se si eccettuava una certa ritrosia ad aprirsi che restava sempre in sottofondo: ma dopotutto questo era normale, visti la famiglia e il mondo in cui viveva almeno in parte. Sì, era del tutto naturale..

“Allora, vuoi parlarne allo zio Spike? Di che si tratta, stavolta?”

Sollevò lentamente la testa, abbassandola leggermente e poi ruotandola verso l’alto, fino a piantargli in viso i più straordinari connubi marroni di tristezza, rabbia, freddezza, ironia e… cos’altro? C’era qualcos’altro, in fondo… qualcosa di caldo e brillante che non era mai riuscito a decifrare del tutto… Era una strana ragazza, fin troppo imperscrutabile per la sua età. O per qualunque altra.

‘Per l’inferno, l’ ha fatto di nuovo! Uguale identica sputata! Dai, Spike, le coincidenze esistono, piantala di fare l’idiota!’

“Secondo te cosa potrà mai essere, genio?”

‘Uh-oh. Parlata liquida, sibilante, parole quasi legate… Brutto segno, ci siamo quasi .’

“Quel cretino dalla faccia e il cervello di pesce, ecco cosa c’è!!”

‘Buuum! Ma chi l’avrebbe mai detto… Chissà che ha fatto stavolta…’

“Quel surrogato di ominide! Quel bovino vagamente antropomorfo! Quel bambolotto animato che invece di farsi i fatti suoi pretende di dirmi come vivere la mia vita!” E giù un’imprecazione che lui alla sua età non si sarebbe mai neanche sognato di pensare, anche perché non la conosceva, e che si sarebbe sotterrato dalla vergogna piuttosto che pronunciare. Ma dopotutto lui era solo un ragazzino della Londra vittoriana, non una giovane donna della California del ventunesimo secolo.

“Senti, Kary, potrà non essere facile da accettare, e sugli epiteti non mi trovi in disaccordo, però alla fin fine quello è pur sempre tuo padre.”

“Padre un corno!” esplose. “Quello non è il padre di nessuno, tantomeno il mio! Fossi sua figlia mi sarei suicidata a tre anni!”

Un altro dei suoi incomprensibili tratti di carattere, oltre ad aver amputato il proprio nome in Kary e costretto tutti a chiamarla così fin da quando aveva cominciato a parlare, fino a cancellare ogni traccia del suo vero nome tranne che dai documenti: chiunque, dei pochi che conoscevano come si chiamasse davvero, avesse provato a chiamarla in quel modo rischiava di somigliare tragicamente ad uno strofinaccio per i piatti dopo una centrifuga, una volta che lei avesse terminato di investirlo con la carica di carrarmati dei suoi insulti.

E poi Riley.

Mai una volta, in diciotto anni di vita, l’aveva sentita chiamarlo papà. Sempre e solo Riley, e con tutta l’aria di sputare un veleno disgustoso fuori dalla propria bocca. Ogni volta che da piccola avevano provato a convincerla a chiamarlo papà si era semplicemente rifiutata di aprire bocca per ore, senza dire una parola a chicchessia. Probabilmente alcuni dei suoi amici dovevano pensare che fosse il suo patrigno, invece che il suo reale padre: lei non si prendeva il disturbo di discutere l’argomento e quelli imparavano presto a non toccare quel tasto e a non pestare metaforicamente la coda del gatto addormentato per poi accorgersi che invece era una tigre.

Lo strano era che sua madre la chiamava così, non “Buffy”, e non scattava in imprecazioni e dichiarazioni di mancanza di genitore quando qualcuno gliela ricordava. Non che con lei avesse chissà quale rapporto, le loro liti erano famose tra i membri della banda, ma almeno la tollerava, se non altro finché poteva ignorarla. Se però dovevano entrare in contatto, come in certe ricorrenze, si avvertiva una spessa tensione trattenuta, che di frequente sfociava in conflitti coi fiocchi.

Non si poteva certo dire che i Finn (bastava solo pronunciare quel cognome per far lampeggiare gli occhi di Kary) fossero una bella famigliola felice. Che fosse a causa della figlia era lampante, il punto oscuro era perché lei si comportasse così.

“Beh, ti sei incantato? Sto parlando con te, sveglia!”

“Sì, sì, ti ascolto… Come ha cercato di controllarti, oggi?”

“Stavo uscendo, lui mi ha vista, mi ha chiesto se avevo fatto i compiti, io gli ho detto di farsi i fatti suoi, lui mi ha chiesto dove andavo, io gli ho risposto la stessa cosa, lui si è lanciato in un sermone su ‘dovere, rispetto, ecc..’, io me ne sono fregata, lui ne ha iniziato un altro su qualcosa di altrettanto noioso, io l’ ho mandato a quel paese e sono venuta qui, mentre mamma strillava come un’aquila. Altre domande?”

“Beh, per quanto odi ammetterlo non aveva tutti i torti. Potevi anche essere un po’ più educata e rispondergli, almeno con una balla.”

“Non ne vale la pena, non si merita il disturbo.” Raramente aveva sentito toni così sprezzanti. “E quanto a rispetto e gratitudine non sta scritto da nessuna parte che io gliene debba: quello che ho, ammesso che io gliel’abbia chiesto, io l’avrò chiesto, vero, ma è stato lui a darmelo. Non l’ ho obbligato, quindi non gli devo proprio niente. Ha deciso lui e sono fatti suoi.”

“Ok, ho capito, con te non c’è niente da fare, eh? Dì un po’, dov’è che volevi andare, in origine?”

“Da nessuna parte, volevo solo uscire da quella casa. E andare a fare compere.”

“Bene, allora vai. Non vorrei che tua madre mi piombasse in casa preoccupata per la tua virtù.”

“Le madri non si preoccupano per la virtù delle figlie alle quattro del pomeriggio. E la mia non se ne preoccupa mai. Forse pensa che non abbia nessuna virtù per cui temere.”

“E ha ragione?” Gli istinti da zio – cugino - fratello maggiore – padrino - quali che fossero di Spike si erano risvegliati virulenti. Dalla risposta della ragazza poteva dipendere se qualcuno avrebbe visto l’alba con ancora le viscere al loro posto, e poco importava se avrebbe dovuto pagare qualcun altro perché svolgesse il lavoro effettivo al posto suo.

Inaspettatamente Kary scoppiò a ridere, gettando i capelli all’indietro.

“Mettiamola così: se non l’ ho, non l’ ho certo persa con te; e se ce l’ ho, non la perderò con te, quindi di che ti preoccupi? Non ti si può sospettare di niente, tranquillo!”

Spike si rilassò: la reazione non era stata quella di chi ha qualcosa da nascondere. “Sì, dillo a tua madre…. Avanti, signorina, mi hai già mangiato tutto il pollo e come hai detto devi andare a fare compere, perciò fila e lascia un povero vampiro a godersi quel che resta del pomeriggio. Ci vediamo stasera, forse.”

“Ok.” Si alzò, recuperò lo zainetto bianco che aveva praticamente conficcato tra i cuscini di una poltrona e si voltò a mandargli un bacio. “Bye bye, zietto! Se stasera fai fuori Riley giuro che ti rimpinzo di pollo per un anno! Ciao!”

 

 

Poco dopo essere uscita dalla cripta, Kary aprì la tasca davanti dello zaino, estraendone il cellulare, formò un numero e attese che le si rispondesse.

“Pronto, Jill? Ciao, sono io. Senti, devo fare qualche spesa, anzi, ne devo fare parecchie: ti va di darmi una mano? Ok, al centro commerciale fra dieci minuti, ma ti avverto che potremmo dover andare anche in altri negozi. No, ti spiego lì. D’accordo, ciao.”

Spense il cellulare e lo rimise nello zaino, continuando a camminare. Non vedeva l’ora di dare inizio alle danze.

‘No, non è esatto. Direi che non vedo l’ora di far prendere un bel colpo a tutti quanti, tutti quei bugiardi, stupidi e codardi che credono davvero che non sappia niente di niente come un’idiota. Non vedo l’ora di scoprire che facce faranno…’

Una moto che accostò davanti a lei la distrasse dai suoi cupi pensieri. Il ragazzo in sella si voltò verso di lei e si tolse il casco. “Ehi, Kary! Che fai di bello, un giro?”

“Ciao, Simon. Vado al centro commerciale, mi devo vedere lì con Jill. Mi dai un passaggio?” Così dicendo si avvicinò all’amico, un bel ragazzo di colore, sempre allegro come in quel momento.

“Ho un solo casco, Kary, potrebbe essere pericoloso..”

“Ma dai, sei bravissimo! Mai avuto un incidente! E poi i miei al massimo ti faranno un monumento, se mi succede qualcosa. Allora?”

“Un ‘no’ non è previsto come risposta, vero? Dai, monta. Ma il casco lo metti tu e io non mi prendo responsabilità sulla tua pelle, ok?”

“Affare fatto! Sicuro che vuoi darmi il casco? D’accordo, come vuoi.” Si mise il casco e salì in sella dietro di lui, afferrandosi strettamente alla sua vita. “Ci sono, parti!”

Simon mise in moto e cominciò a destreggiarsi un mezzo al traffico: era bravo e si divertiva, anche senza quegli inutili sfoggi di bravura da bulletti boriosi che usavano altri centauri. Qualche minuto dopo i due smontavano davanti al centro commerciale.

“Eccoti qua. Vedi Jill, da qualche parte?”

“No, ma non credo che sia lontana.”

A conferma delle sue parole una ragazza bassina, con un corto caschetto di capelli blu chiaro, si avvicinò a loro sorridendo. “Ciao, ragazzi, sono qui! Vieni con noi anche tu, Sim?”

“A fare il portapacchi? No, grazie!”

“Ok, come vuoi.” Gli rispose Kary. “Però credo che quando avrò finito non riusciremo a portare tante borse. Non è che tuo fratello ti può prestare la macchina? Tanto non credo che con un braccio rotto gli serva a molto… Come sta, a proposito?”

“Migliora. E per fortuna anche l’umore. Senti, io gliela posso anche chiedere, ma non prometto niente. Conti per caso di svaligiare tutti i negozi che ci sono?”

“No, solo alcuni. Ho già in mente quali. Facciamo così: tu prendi l’auto a Malcom, non importa come, e noi quando abbiamo finito ti chiamiamo, ok?”

“In altre parole non farò il portapacchi ma l’autista.”

“Mica gratis! Guadagni un aiuto nel prossimo test di letteratura, ok?”

“Andata! Io di quella roba non capisco niente, sono pronto a tutto per un aiuto! Allora ci si vede dopo: ciao, ragazze, divertitevi!” Un attimo dopo Kary e Jill lo videro slalomare tra le auto.

“Sai, Kary, secondo me tu e Sim stareste bene, insieme.”

La ragazza rispose all’amica con uno strano sorriso. “Io e lui è meglio che siamo amici, Jill. Una volta per tutte, smettila di volerci assieme. Io non sto bene con nessuno, credimi. E niente facce da funerale: basta saperlo, non ci sono problemi. Dai, andiamo, devo fare e comprare un mucchio di cose e non voglio perdere tempo!”

“Ok, da dove iniziamo?”

“Adesso vedrai. Reggiti forte!”

 

 

“Dove sei stata, Kary?” La donna bionda dagli occhi verde-azzurri che li aveva fatti entrare li fissava appoggiata allo stipite della soglia del salotto.

“Sono rientrata con due amici e tutti carichi di borse, pacchi e pacchetti: secondo te che avrò mai fatto?”

“E che cos’è quel berretto che hai in testa?”

“E’ un mio berretto ed è sulla mia testa, cosa c’entra con te? Jill, Sim, dai, andiamo in camera mia, così mettiamo giù questa roba.” Imboccò velocemente le scale e sparì al piano di sopra, seguita dagli amici. Un attimo dopo si sentì sbattere una porta.

Jill e Simon scaricarono i pacchi sul letto della ragazza.

“Non è che hai esagerato, Kary? Tua madre ti ha solo fatto un paio di domande, è normale. Perché le devi sempre rispondere così?”

“Ho le mie buone ragioni. E sono davvero buone, fidatevi.” Una delle sue frasi preferite, con cui troncava spesso sul nascere sgradevoli discussioni. Non diceva quali fossero queste ragioni ma dava sul serio l’impressione di averne.

“Se lo dici tu… In fondo è la tua famiglia, non la nostra.”

“Beati voi… Ragazzi, grazie ancora per avermi dato una mano con tutta ‘sta roba. Jill, non è che mi aiuti a sistemarla? Da sola ci metterei un anno.”

“Ok. Sim, piazzati da una parte e lascia lavorare noi donne.” Prese in mano una borsa e cominciò a levarne vari involti. “Senti, Kary, io non ti ho detto niente, hai detto che non ti andava di dare spiegazioni e ti conosco abbastanza da non insistere, anche perché sembri sicura di quello che hai fatto. Ma sei altrettanto sicura che tua madre la prenda bene?” Non provò neanche a nominare il padre, sapeva che sarebbe successo. “I miei non è che siano stati esattamente entusiasti dei capelli blu.”

“Jiiiiill…. non hai ancora capito? Non me ne può fregare di meno di ciò che pensano quelli, anzi. L’ ho fatto apposta, proprio per vedere come reagiscono. E se se la prendono, tanto meglio: è esattamente quello che voglio.”

“Accidenti, ma ti stanno proprio sulle scatole, i tuoi!” intervenne Simon dal suo angolo, smettendo di scorrere i cd dell’amica. “Scusa, ma allora perché stai ancora qui? Voglio dire, potresti venire a stare da me o da Jill, ci farebbe solo piacere, lo sai. E poi i miei a casa non ci sono quasi mai, a me e Malcom un po’ di compagnia farebbe comodo, siamo vicini al punto di sgozzarci a vicenda solo per movimentare il solito tran tran… E ormai sei maggiorenne. Perché insisti a stare qui, se non ti piace? Sono loro che ti obbligano?” Non che gli sembrasse il tipo da sottostare a obblighi imposti da chiunque, ma non si poteva mai sapere.

“No, figurati! Probabilmente sarebbero ben felici di levarsi dai piedi la piaga che sono… In ogni caso non è che mi stiano sulle scatole, io li detesto proprio. Eppure ho bisogno di loro, dannazione!”

“Per i soldi? O perché in fondo gli vuoi bene?”

“Certo che no, né l’uno né l’altro. E’ troppo complicato da spiegare. E’ una lunga storia e io non sono sicura di volerla raccontare.”

“Tanto per cambiare…” commentò Jill, chiudendo un cassetto straripante e guardandolo accigliata. “Secondo me hai comprato troppa roba, come farai a farcela stare tutta? Comunque lasciamo perdere, non è questo il punto. Kary, sono preoccupata: tu sei come quel cassetto, hai troppa roba chiusa dentro. Non ti fa bene. Siamo tuoi amici, lo sai che con noi puoi parlare. Ma se non vuoi farlo, d’accordo, non c’è problema. Però con qualcuno parlane, altrimenti prima o poi finirai per andare fuori di testa più di quanto tu non sia già, che non è dir poco!”

“No, Jill. Ti garantisco che ho un’ottima ancora a trattenermi. E poi può darsi che fra un po’ possa dirvelo. Dipende se il mio piano funziona.”

“Non ho ancora capito che razza di piano è questo. E ancora meno che cosa vuoi ottenere.”

“Non importa, lo so io per tutti. E se e quando funzionerà può darsi che ve lo dica.”

“Grazie, troppo buona! Senti, ci si vede al Bronze, stasera?”

“Sicuro, Sim. Da quando l’ hanno ristrutturato è tornato ad essere quasi frequentabile.”

“Era anche ora che lo facessero!” esclamò Jill, scuotendo il caschetto color cielo. “Da quando ci andavano i nostri genitori era rimasto sempre uguale! Dì un po’, pensi di metterti…” accennò con la testa al letto ingombro di borse e indumenti.

“Ci puoi giurare…” rispose Kary con un ghigno di anticipazione. “Stasera passerella di fronte alla famiglia. E c’è la forte possibilità che al Bronze arrivi da orfana, credo.”

 

 

In occasioni come quelle Spike non sapeva che pensare.

Era vero: a Hazel, la nuova cacciatrice, venuta dopo le tre venute alla morte di Faith, non dispiaceva affatto un po’ d’aiuto, visto che era ancora piuttosto nuova del mestiere e desiderosa di campare il più a lungo possibile.

Era anche disposto a far finta di non trovare abbastanza rivoltante che tutti provassero dolore per la morte di Cleo, Ramona e Phyllis, che l’avevano preceduta, e se ne fregassero di quella di Faith: era già un miracolo che avessero avuto la decenza di non tirare un sospiro di sollievo quando era arrivata la lettera di Angel con la notizia… Non che lui approvasse l’ipocrisia, ma quelli si supponeva che fossero i buoni, un po’ di pietà per una vita finita! E in fondo la brunetta, quelle due o tre volte che l’aveva vista a Los Angeles dopo la “conversione”, gli era diventata quasi simpatica.

Ed era anche vero che, se Dio vuole, dopo anni di casini la rossa era diventata una strega in gamba, e per fortuna sana di mente, così come la sua ragazza. Anya coi suoi ricordi da demone poteva essere utile, a differenza del suo caro maritino Xander, e Buffy, grazie all’essere una cacciatrice, era risultata soggetta ad un invecchiamento rallentato, una volta raggiunta la maturità, e quindi all’occorrenza poteva ancora cavarsela discretamente. Riley giocava ancora a Capitan America con i suoi amichetti, ma ehi! Non si può avere tutto!

Quel che sinceramente non capiva era perché accidenti si sbattessero tanto con tutte queste menate da “Salviamo il mondo dalle forze del male”. Fino a quando contavano di andare avanti? D’accordo per lui, che aveva l’eternità davanti a sé e che in qualche modo doveva pur passarla, ma loro? Contavano di giocare fino a quando non fossero diventati dei vecchietti sdentati? Le immagini evocate da quel pensiero rischiarono di provocargli in simultanea un attacco di vomito e uno di risate.

‘Tutto sommato, sta’ a vedere che la più normale è Kary, che se ne frega di tutto e di tutti e che con cose simili vuole averci a che fare il meno possibile. Al massimo si porta dietro un paletto e stop, niente aspirazioni a salvare l’umanità, visto che poi quella sembra non chiedere altro che distruggersi da sola. Neanche ha cercato di fare amicizia con Hazel e le altre, è già molto che sia venuta ai funerali .’

Era pronto a scommettere che ci fosse stata un’altra lite o comunque una discussione, almeno a giudicare da come Buffy avesse borbottato qualcosa a proposito di Kary e delle compere e continuasse ad andare avanti e indietro per la stanza, tesa come una corda di violino.

“Ciao a tutti, io esco.”

Tutti si voltarono verso la fine delle scale, pronti a salutare Kary e ad augurarle una buona serata, o a farle qualche inutile raccomandazione che lei non avrebbe ascoltato. Ma invece della biondina luminosa vestita in blu, verde o lilla come era spesso di sera, si trovarono di fronte un’inquietante estranea. Peggio ancora, un fantasma del passato che avevano cercato in tutti i modi di esorcizzare.

La ragazza davanti a loro sembrava ritagliata nella carta carbone: i rivoli di capelli che le scendevano sulle spalle erano di un marrone scuro identico a quello dei suoi occhi, i pantaloni di pelle nera e aderentissimi, la camicia di seta rosso sangue che costituiva l’unica macchia di colore in quella figura avvolta in un lungo soprabito nero.

‘Oh mio Dio, è un pezzo che non ti prego ma per favore dimmi che sono solo impazzito, sto solo avendo delle allucinazioni perché tutto questo non è assolutamente possibile, vero??’

Invece era vero. Kary era lì, vestita come non avrebbe dovuto essere e somigliante in maniera spaventosa a qualcuno che nemmeno conosceva.

Perché lei non lo conosceva, giusto?

‘Chissà perché ma non ho voglia di sentire la risposta…’

“Kary…” Buffy sembrava più sconvolta di tutti gli altri messi assieme. “I tuoi capelli… Che accidenti hai fatto, sei impazzita?!”

La figlia sospirò stancamente all’uscita della madre, come di fronte ad un compito arduo ma necessario, rifiutandosi di esplodere e spiegandosi tranquillamente: “Sono i miei capelli, mamma, e quello che ci faccio non ti riguarda. E comunque li ho semplicemente tinti.”

“Ma perché? Perché hai fatto una cosa simile?”

“Non lo so..” Il suo sguardo si fece perso, lontano, come quello di chi cerca di ricordare un sogno ormai annebbiato. “Volevo cambiare e avevo pensato di tingerli… e così mi è venuto in mente questo colore, come i miei occhi. A dire la verità lo sento molto mio… come se fossero stati tinti prima e solo adesso fossero tornati al loro colore naturale, quello che devono avere. Che strana sensazione, eh?”

Tutti quanti ebbero l’impressione che la stanza si fosse rimpicciolita di botto, magari perché sembrava che qualcuno ne avesse asportato tutta l’aria lasciandoli lì a boccheggiare.

‘Idiota che sono… a me non serve aria!’ “E come mai questo nuovo look, Kary? Non è un po’… inadatto a te?”

La ragazza non fece una piega, limitandosi a fissarlo senza batter ciglio, come cercando di leggergli dentro… o di fargli imprimere bene in mente quello che avrebbe detto. Poi le sue labbra si piegarono di lato in un sorriso obliquo: la smorfia sadica del gatto che gioca col topo, il ghigno di…

‘Opporcaputt..! Per favore no non è possibile!’

“A me non sembra proprio, Spike. A dire il vero non mi sono mai sentita più a mio agio prima d’ora. E’ come se avessi… come dire… ritrovato me stessa.” Un secondo di pausa, un’esitazione appena accennata. “Le mie origini.”

‘Siamo sicuri che ai vampiri non occorra aria? Perché io sento di averne parecchio bisogno e proprio adesso!’

“Che strano, eh? Beh, io in ogni caso vado. Mi raccomando, non cercate troppo di salvare il mondo: se viene l’Apocalisse – per quale volta? La settima? Numero pericoloso… - almeno domani non dovrò fare quello stupido test comportamentale…” Era lui o davvero l’intonazione complessiva era piuttosto sprezzante? Non che le desse torto…

Ormai era uscita, lasciandoli con un mare di pensieri di cui non avevano bisogno. Si diresse alla finestra, guardandola camminare: se non altro l’andatura era la stessa, spavalda e ribollente come al solito. D’improvviso però rallentò, portandosi le mani nelle tasche del soprabito e proseguendo con un ritmo più calmo, metodico. Il ritmo di chi non teme di camminare nella notte, perché quello è il suo elemento.

‘No, questo è troppo… Non può essere, non può…’

In quel momento Kary si voltò, incrociò lo sguardo col suo e lo salutò sorridendo, per poi voltarsi e continuare a camminare riprendendo il suo passo originale.

‘Meno male, mi stava solo prendendo in giro…’ Si riunì al resto del gruppo, ascoltando quel che avevano scoperto sul demone di turno. Solo più avanti, mentre discutevano il piano d’attacco, comprese del tutto quel che era successo, dando il via agli interrogativi.

Come faceva Kary a sapere che la stava guardando?

Perché l’aveva preso in giro mostrandogli quella particolare andatura?

E soprattutto, come faceva a conoscerla?

Una chiacchierata con quella ragazza si faceva imperativa, anche se in tutta la sua esistenza non ne aveva mai desiderata di meno una…

 

 

‘Sì si sì sì sìììììì!! Sono un mito, un genio, la migliore! Lo sapevo che era un’idea geniale! Adesso ne sono sicura, al cento per cento: funzionerà, deve funzionare!’

Doveva ammettere che non aveva mentito, per quel che contava, in effetti con quei capelli e quei vestiti si trovava a proprio agio, ma l’importante era stato dirlo a loro e saggiarne le reazioni. Che erano state esattamente quelle sperate, volute e previste.

‘Il tocco finale con Spike è stato forse un po’ azzardato, devo riconoscerlo, ma è stato anche un degno coronamento. E del resto lui è l’unico abbastanza sveglio e che mi conosce a sufficienza da capire qualcosa. Speriamo solo che non capisca tutto… D’accordo, forse lui è anche l’unico col quale potrei sentirmi lievemente in colpa, del resto a parte lui sono pure tutti convinti che io sia una pazza da stanza imbottita, probabilmente, ma per quanto mi dispiaccia, che comunque non è molto, non ho altra scelta. Se loro mi prendono per un’idiota non vuol dire che io lo sia veramente, né che io sia disposta a continuare a farmi prendere per tale. Avrò ciò che voglio, in un modo o nell’altro. Mi spetta di diritto. E poi perché dovrei sentirmi in colpa? Sono stati loro a cominciare, no? Chi semina vento raccoglie tempesta, si dice: beh, dopo tanti anni di semina pare sia finalmente arrivato il tempo del raccolto. E si preannuncia pure bello abbondante… per quanto sarà forse fatto con metodi un po’ inusuali…’

“Scusa…” Una voce accanto a lei interruppe il filo dei suoi pensieri. All’uscita del vicolo lì vicino c’era una ragazza più o meno della sua età, bionda com’era stata lei fino a poche ore prima, in jeans e maglia blu. Sembrava spaesata, a giudicare da come teneva le braccia strette attorno a sé.

‘O-oh. Ci voleva giusto questa…’

“Mi dispiace, ma… tu sei di queste parti? Io sono appena arrivata, mi devo trovare con degli amici in un posto chiamato Bronze, ma mi sono persa, ed è buio e sono da sola… Mi sai dire dov’è? Manca molto per arrivarci?”

Kary le sorrise. “No, è abbastanza vicino. Ci devo andare anch’io, ti va se facciamo la strada assieme? Magari ti senti più sicura…”

L’altra si illuminò in viso: “Dici sul serio? Grazie, non sapevo come fare! Te l’ ho detto, sono nuova di qui e per strada di notte, da sola…” Così dicendo le si era portata al fianco destro, camminando rilassata.

“Da sola saresti stata molto più al sicuro, credimi.”

La ragazza non fece in tempo a voltarsi che il suo viso, come il resto del corpo, si trasformò in cenere, finendo spazzata via dal vento prima ancora di toccare terra. Kary rimise in tasca il paletto che le aveva conficcato nella schiena, scuotendo la testa.

‘Santo cielo, ancora con questi giochetti stupidi… ma non si stancano mai? Bel modo di iniziare la serata! Ci mancava solo che mi facessi ammazzare dall’ultima arrivata, con tutto quello che ho ancora da fare…’

 

 

Qualche giorno dopo Kary era in camera sua, distesa sul letto, con la porta ben chiusa dal catenaccio installato in sprezzo del parere contrario dei suoi, ad ascoltare la musica degli Him sparata a palla dal suo stereo. Era vecchia ma ancora bella.

 

*In joy and sorrow my home is in your arms…In a world so hollow it’s breaking my heart… *

 

‘Nella felicità e nel dolore… la formula del matrimonio… Finché morte non vi separi, dicono, che stupidaggine! E’ più facile che sia la vita a separare, altro che storie!’

Si chinò sotto il letto per prendere una scatola nera, accuratamente chiusa con un nastro rosso. Sciolse il nastro e levò il coperchio, guardando gli oggetti contenuti nella scatola.

Per prima estrasse una giacca in pelle nera, piuttosto vecchia e troppo grande per appartenere a lei o a qualunque altra ragazza. La spiegò, reggendola davanti a sé con le braccia tese. Dopo averla esaminata vi affondò il viso, come chi tenta di afferrare l’ultimo sentore di un profumo lontano.

‘E’ inutile, è passato troppo tempo. Non si può più sentire…’

Rialzò la testa, osservandola ancora qualche momento per poi distenderla accanto a sé sul letto, sospirando.

‘Dove sei?’

Sotto lo spazio lasciato libero dalla giacca si vedevano una scatoletta, un sacchettino, un libro e un foglio di carta. Aprì per prima la scatoletta, con quella familiarità un po’ solenne di chi compie un gesto per l’ennesima volta: sulla stoffa bianca che la foderava stava una croce d’argento. Passò un dito nella catena a cui era appesa, sollevandola e facendola dondolare davanti ai propri occhi.

‘Perché la proteggesse… come te e contro di te…’

Ripose la collana e aprì il sacchetto, ammirando con reverenza l’anello che le rotolò nel palmo della mano: un cerchietto d’argento con due mani che reggevano un cuore, il tutto sormontato da una corona.

‘Amicizia, lealtà e amore… un legame sacro ed eterno… Per te, non per lei…’

Giocherellò qualche istante con l’anello, senza osare infilarselo al dito. Scosse la testa e lo rimise nella sua custodia. Poi fu la volta del libro. Non lo sfogliò, limitandosi ad aprirlo al frontespizio e a mormorare l’unica parola che costituiva la dedica: “Always… Sempre…”

Seguì con la punta dell’indice la calligrafia elegante con cui era scritta, cercando quasi di memorizzare ogni carattere, ogni voluta. Lo richiuse, ponendoselo in grembo. Infine dalla scatola uscì un foglio con su disegnato il ritratto di una ragazza, le palpebre chiuse e il sorriso accennato di chi è immerso nel sonno.

‘Tu l’amavi… E’ stato lui a fare questo, ma c’era il tuo stesso amore… Quello che ha fatto questo è l’occhio e la mano di un innamorato… la tua mano, i tuoi occhi…’

Fece girare lo sguardo sugli oggetti così diversi sparsi attorno a lei, soffermandosi qualche istante su ciascuno di loro, cominciando poi lentamente a riporli.

‘In questa scatola c’è un’intera storia, e io in pochi minuti l’ ho passata tutta in rassegna… Doveva essere eterna e ne è rimasto solo quel che può riempire una scatola… Un’intera storia e lei l’aveva messa in cantina, in un angolo… come si fa con i ricordi scomodi… Se non l’avessi trovata, insieme ai diari, non saprei neanche niente, o quasi… Jill, Jill, perché vuoi che m’innamori? Perché un giorno anch’io possa mettere una scatola in cantina e fingere di dimenticare? O peggio, cercare di dimenticare davvero e far finta di niente?’

Legò nuovamente il coperchio col suo nastro e rimise la scatola sotto il letto, tirandone fuori un’altra più piccola, quest’ultima rossa legata da un nastro nero, e aprendola, guardandone il contenuto: un orsetto marrone e color miele, due sacchettini e tre fogli. Aprì i sacchetti: nel primo c’era un anello d’oro, di misura maschile, con strani intarsi lungo tutta la larga banda che lo componeva e con incastonata una pietra ovale di un bel nero lucente, nell’altro una catenina sempre d’oro, da cui pendeva un ciondolo di cristallo, una pallina circondata da un anello.

Era Saturno, il pianeta sotto cui era nata, il pianeta della distruzione e della rinascita, il pianeta del cambiamento. Non era quello che le stava accadendo? Cambiava, anche se per sua scelta, aveva preso una decisione, chiuso una parentesi e stava cercando di aprirne una nuova. Parte del suo nome era dovuta a quel ciondolo, le avevano detto che si trattava di un regalo che le aveva fatto appena nata l’infermiera che aveva assistito sua madre durante il parto. Solo anni dopo aveva saputo chi l’aveva consegnato all’infermiera perché glielo desse. In seguito sfilò i fogli da sotto il pupazzo, aprendoli a ventaglio davanti a sé: un fiore, una figura alata e un viso di bambina.

‘Una rosa che non appassisce, un angelo che guida e protegge, un ritratto che ricorda. Sei stato tu a darmeli, insieme al tuo anello che mi piaceva tanto… prima di sparire… Perché lo hai fatto? Dove sei adesso? Perché non sei più tornato?’

Prese l’orsacchiotto, fissandolo negli occhi di vetro.

‘Quanto si è arrabbiato Spike quando mi ha vista tornare con questo… non so se fosse più arrabbiato perché ero scappata sotto la sua responsabilità o perché mi ha trovata con questo pelouche… ha cercato di strapparmelo dalle braccia, ma io lo tenevo troppo stretto e non voleva farmi piangere… quando gli ho detto che eri stato tu a darmelo sembrava che l’avesse colpito un fulmine… E ora è convinto che io abbia dimenticato tutto, anche quel poco… logico, dopotutto, avevo tre-quattro anni…’

Come aveva fatto qualche minuto prima, riunì tutti gli oggetti e li ripose in quello che aveva tutta l’aria di un sacrario, mise a posto la scatola e si avvicinò all’armadio, spalancandone le ante a rivelare una fila di indumenti neri, rosso sangue, blu scuro, viola e grigio ferro.

‘Un bel cambiamento, non c’è che dire… Ok, vediamo di prepararci: magari questa è la volta buona che se ne accorgono, Spike mi sembra sospettoso… e io ci tengo ad essere pronta per una simile occasione…’

 

 

‘Non ci vedo chiaro. Gli altri dicano quello che vogliono ma io non ci vedo chiaro. E niente battutacce sulla visione notturna che dovrebbero avere quelli della mia razza, non c’entra niente! Kary non la racconta giusta, ne sono sicuro: non va sempre al Bronze con i suoi amici, è una balla, neanche degna di lei, e gli altri non se accorgono. Ma che razza di genitori sono? La figlia cambia dalla sera alla mattina, anzi, dal pomeriggio alla sera, toglie praticamente ogni traccia di colore dal proprio armadio, non gli urla neanche contro (adesso li ignora completamente, sembra un gatto che fa finta di ascoltarti quando parli mentre in realtà ti considera il re degli imbecilli), il che per Kary è decisamente contro natura… e loro fanno finta di niente??! Beh, ragazza, lo zio Spike invece è ben presente e sveglio, e si dà il caso che voglia sapere dov’è che vai realmente!’

Quasi ad accontentarlo nei suoi proponimenti, in quell’istante Kary uscì di casa: solo vederla vestita così lo fece non sapeva neanche lui se arrabbiare, preoccupare o spaventare. Le lunghe gambe erano fasciate da una gonna alle caviglie di un ricco color ametista e messe in mostra da dei profondi spacchi che arrivavano ben oltre le ginocchia, rivelando i polpacci stretti dai lacci che salivano ad assicurare i sandali neri a tacco alto che portava. La parte superiore dell’insieme era nascosta dalla specie di cappa nera che indossava, un nastrino di velluto dello stesso colore della gonna con sospesa una pietra nera le cingeva il collo e i capelli erano parzialmente raccolti in un nodo sulla nuca, da cui però erano lasciati liberi di ricadere morbidamente sulla schiena. Il viso era truccato in una tonalità di viola più scura, labbra comprese, e dalla sua mano pendeva una piccola borsetta di velluto nero, fatta come un piccolo sacchetto, sorprendentemente simile a quelle che usavano le donne del periodo in cui era nato lui, perfino nella decorazione di perline.

Più la seguiva nel suo cammino, badando a restare lontano e nascosto, più quell’abbigliamento lo inquietava: era strano, stravagante… certamente non da Bronze, dove pure si incontravano tipi originali… e gli ricordava qualcosa, un ricordo spiacevole e noioso come le sensazioni che gli provocava.

‘Quel modo di vestirsi mi fa venire in mente i film sui vampiri di serie C… come se veramente ci vestissimo così! Comunque ho già visto abiti simili, parecchio tempo fa, e mi ricordo anche dove e addosso a chi. Ma francamente spero di sbagliarmi, Kary non può aver fatto una simile idiozia, non proprio lei!’

Intanto erano arrivati in una stradina un po’ squallida, normale se si eccettuava il buio in cui era immersa, tranne che per un paio di lampioni prossimi a tirare gli ultimi. La vide dirigersi verso una porta di metallo, bussare e attendere finché non si aprì uno spioncino e poi, presumibilmente dopo essere stata riconosciuta o aver dato una qualche parola d’ordine, venire fatta entrare. Quel rituale confermò i suoi sospetti peggiori.

Attese pochi minuti, poi si avvicinò e bussò a sua volta. Quando lo spioncino si aprì, si stampò in faccia la sua espressione più da “uomo del mistero”, aggiunse un guizzo simpatico negli occhi e un mezzo sorriso atto a ispirare fiducia, e spiattellò al paio d’occhi che lo fissava un tranquillo “Sono un amico di Kary.”

Doveva essere una buona presentazione perché lo spioncino si richiuse e la porta si aprì, facendolo entrare in un posto che in altri tempi lo avrebbe indifferentemente divertito o reso sprezzante, ma che in quel momento lo fece infuriare: una di quelle stupide sette new gothic… piena d’imbecilli che credevano in qualcosa che non conoscevano e tantomeno capivano… non che gli dispiacesse l’idea che qualcuno adorasse ciò che era, che adorasse lui… ma il punto era che non era affatto così, quella che adoravano era solo un’immagine falsa e stupida! Mentre si aggirava tra la folla, la mente gli ripresentò l’immagine di quel vecchio amico della cacciatrice… come si chiamava? Qualcosa tipo un’auto… ah sì, Ford… che per evitare di morire era stato pronto a dargli in pasto i suoi stupidi amichetti: quasi gli era dispiaciuto che Buffy lo avesse fatto fuori appena rinato. Se poteva essere così spietato da umano, come vampiro forse non sarebbe stato solo un inutile, obbediente cagnolino per i lavori di bassa manovalanza, ma avere cervello, forse perfino essere un valido alleato… ma era codardo, un difetto che difficilmente poteva essere corretto.

Continuava a guardarsi intorno.

‘Com’è venuto in mente a Kary di mischiarsi a certa gente? Posso capire loro, sono dei poveri fessi che non sanno niente di niente e si divertono a giocare, ma lei… lei conosce la verità! Sa di cosa si parla! E’ cresciuta con una cacciatrice per madre e me, un rispettabile anche se chippato vampiro, per baby sitter! Come ha potuto fare una cosa simile?’

In quello la vide. Vicina a una colonna, stava chiacchierando con due ragazze, una in camicetta nera e gonna rossa e l’altra con un vestito dalle maniche lunghe e ampie, color vino e con un’alta cintura nera. Era certo che si fosse accorta di lui, ma sembrava decisa a far finta di niente.

‘Se è questo che vuoi, d’accordo .’ Si avvicinò al terzetto. “Ciao, Kary. Bella serata, eh? Non pensavo di trovarti qui.”

Non si aspettava una reazione colpevole e infatti non l’ottenne. La ragazza gli sorrise, come trovando l’intera situazione perfettamente normale e di suo gradimento. “Io invece ci speravo quasi, Spike… ma non sapevo che anche tu frequentassi certi ambienti…” Si rivolse alle amiche. “Mi scusate un momento? Credo che il mio amico ed io abbiamo due chiacchiere da fare.”

“Su questo ci puoi giurare!” replicò lui, un attimo prima che lei lo afferrasse per un braccio e lo conducesse via. Mentre camminavano si concesse di darle un’occhiata più da vicino: a quanto pareva quello che indossava era un vestito intero, il corpetto era stretto da lacci in pelle nera, le spalline sottili e la scollatura quadrata e profonda.

Addosso a lei non gli piacque per niente.

“Cos’è questa roba che hai addosso?”

“L’ultima volta che ho controllato era un vestito, ma se pensi che sia una trapunta farò meglio a tornare dove l’ ho preso a sporgere reclamo.”

“Senti, Kary, dacci un taglio! Basta coi giochetti!” Si voltò verso di lei e l’afferrò per le spalle. “Che ti è successo? Perché ti vesti così, tutto d’un tratto? Maledizione, perché ti COMPORTI così?! Ma che ti è preso? Una setta di questo genere? Tu? Proprio tu che, meglio di tutti, sai come funziona davvero? Ma sei impazzita? E non pensare di potermi infinocchiare come fai con i tuoi!!”

Se lui stava per perdere le staffe, Kary era tutta un’altra storia. Per quella che doveva essere le prima volta in vita sua, era calma e perfettamente controllata. Glaciale, addirittura. Aspettò pazientemente che finisse la sua tirata e gli rispose: “Non sono affatto impazzita, Spike. E per favore cerca di calmarti, non fare scene. Non è successo niente, sono solo stanca.”

“Stanca? E di cosa?” Se voleva spiazzarlo ci era riuscita in pieno.

“Di fingere.”

Quelle due parole gli attraversarono la mente e il cuore come un pugnale, riportando alla luce una vecchia ferita e la sensazione che la accompagnava, come una cicatrice che improvvisamente aveva ripreso a bruciare senza aver mai smesso da allora, dalla morte di Drusilla. La sua dea delle tenebre aveva commesso un passo falso, finendo catturata dalle truppe di Riley. Come era accaduto a lui, le era stato impiantato un chip nel cervello per renderla innocua agli umani e, strano a dirsi, quel pezzo di latta che in passato aveva disprezzato, era sembrato riuscire a portare pace e serenità nella sua mente sconvolta dalla veggenza e dalla follia. Era rimasta a Sunnydale, accanto a lui che si era reso conto di amarla ancora, e pur restando alla larga da Buffy e i suoi amici aveva sviluppato un grande affetto per la piccola Kary, che la bimba ricambiava fino all’ultimo. Quelle due passavano ore ed ore a parlare, lontano da lui che poteva solo accontentarsi di udire le loro risate così simili e trillanti o la strofa di qualche canzone che Dru insegnava alla piccola. Poi una sera la banda si era fatta scappare un demone, che si era rifugiato nella cripta dove c’erano loro e tentato di uccidere la bambina. Per difenderla, Drusilla aveva affrontato il demone, che le aveva spaccato il collo, incenerendola proprio nel momento in cui faceva irruzione Spike, davanti ai suoi occhi. Il vampiro gli aveva conficcato nel cuore il cristallo datogli dalla rossa, dirigendosi poi verso ciò che restava della compagna senza neanche guardarlo putrefarsi. Kary era già lì, accanto alle ceneri di quella che chiamava la sua “sorellina”, senza singhiozzare, piangendo silenziosamente. Aveva levato su di lui due occhi immensi di cucciolo ferito e detto semplicemente: “Adesso non potrò più farlo.”

“Fare cosa?” aveva chiesto.

“Parlare di lui.”

A quella risposta, le uniche parole che per molto tempo erano riuscite ad oltrepassare la cappa del suo dolore, aveva avuto la netta sensazione che la terra gli si spalancasse sotto i piedi. La stessa sensazione che gli aveva appena dato, a diciotto anni, la stessa persona che gliel’aveva data a quattro.

“Io sono stanca di fingere, Spike. Non faccio praticamente altro da anni. Da quando è morta Drusilla, per essere esatti. Sempre far finta di niente, mai dire le cose come stanno. E voi che continuate a mentire, senza che io vi dia in faccia dei bugiardi. Io che fingo di aver dimenticato, perché non so tutto, perché ho dei dubbi e delle domande senza risposte, perché se è vero che con Dru parlavo è anche vero che lei non mi ha mai detto troppo, forse perché, nonostante la veggenza, nemmeno lei sapeva tutto, o non voleva dirmelo. Ma almeno lei parlava! Voi tacete, mentite e fate finta di niente, perfino di fronte all’evidenza! Beh, io sono stanca! Non ti sei mai chiesto da dove mi venga questo carattere? Te lo dico io: dal sapere che tutto ciò che mi viene detto è una bugia e che quelli che ho intorno sono dei bugiardi, ecco da dove.” Nel corso di quella lunga accusa gli occhi le si erano via via serrati, fino a diventare due fessure ricolme di disprezzo e di rancore, la voce, miracolosamente restata bassa e controllata, sibilante nel mettere a nudo i propri pensieri. “Lo so che tutti quelli che sono qui” riprese, accennando alle persone che occupavano il seminterrato. “non sanno niente di niente, che per loro è tutto un gioco. Ma paradossalmente con loro non devo fingere, posso dire la verità. E non importa se per loro è solo un altro gioco, se la credono un’altra finzione. Io so che non lo è, e loro, pensando di credere a una finzione, senza saperlo credono alla verità. Qui posso essere me stessa, in un modo o nell’altro, come non posso esserlo mai da nessun altra parte, specie con voi che avete già deciso com’è la realtà senza pensare che non è vero! Per me siete molto peggio di loro!” Dopo quelle ultime parole sferzanti, girò sui tacchi e sparì tra la folla, senza curarsi delle sue possibili reazioni.

E del resto avrebbe avuto molto poco di cui curarsi: solo un vampiro rimasto pietrificato sul posto, il petto che non si abbassava più nell’abitudinaria imitazione del respiro, gli occhi fissi su qualcosa di visibile solo a lui.

Per un istante eterno gli parve quasi di sentire la risatina sommessa e musicale di Drusilla, le sue piccole mani posarglisi sulle spalle e la sua testa poggiarsi alla sua schiena, come faceva ogni volta che lo vedeva preoccupato o sconvolto per qualcosa. Poi finalmente le sue labbra si aprirono per dare voce al suo turbamento, lasciando uscire un suono, poco più che un soffio.

“Lo sa…”

           

Seconda parte

 

 

“Lo sa, vi dico! Non so come ma lo sa! Maledizione, non avete sentito quello che ho detto? Non vi sembra abbastanza chiaro? Lei sa! E sa che le abbiamo mentito! E se non vogliamo perderla, e perderla veramente, è ora che siamo sinceri e le diciamo quello che tanto sa già lo stesso, la verità!”

“Non c’è nessuna verità da sapere o dire, Spike. E comunque come farebbe lei a sapere qualcosa?”

“Ma che ne so io! Intuito, magari… o Drusilla, ma…”

“Oh, complimenti! Perfino da definitivamente morta riesce a far danni, quella!”

“Come osi, cacciatrice?! Senza di lei Kary sarebbe morta! Tua figlia sarebbe morta! Perciò farai meglio a parlarne con rispetto!”

“Io non rispetto i succhiasangue.”

“Come no, te li porti solo a letto!!”

“Come ti permetti, pezzo di…”

“Adesso basta!!! Tutti e due!” Willow era scattata in piedi, tanto rigida e tesa da tremare. “Siete in casa mia e di Tara e o la piantate di urlarvi contro idiozie o continuate a farlo fuori di qui, è chiaro?!” A giudicare dal silenzio, doveva esserlo. “Bene. Adesso cerchiamo di ragionare: Spike, quanto pensi che sappia Kary?”

“Non tutto. Ma abbastanza, questo è certo. Da bambina deve averlo incontrato, almeno una volta, mi ricordo un orsacchiotto che deve averle dato lui… e forse Dru un po’ le ha parlato. Ma non credo le abbia raccontato molto, sul piano pratico, se non altro da quello che mi ha detto lei.”

“E allora come può sapere?”

“L’ ho già detto prima, strega, non lo so. Mai sentito parlare di intuito femminile? Magari è quello… E poi avanti, non ditemi che non avete mai avuto il dubbio che sapesse! Non in tutto questo tempo! Non dopo aver visto il modo in cui si è sempre comportata! E’ da quando è nata che ce lo chiediamo tutti, siamo onesti!”

Seguì il silenzio più colpevole e vergognoso che avesse sentito in un secolo e mezzo di vita e di non-morte.

‘Voglio proprio vedere se anche stavolta ficcano la testa nella sabbia come tanti piccoli struzzi… Kary, Kary, ma proprio a me dovevi dirlo? Non potevi scaricarti la coscienza con tua madre? Dopotutto è lei la diretta interessata…’

“Che pensi di fare, Buffy? In fondo stiamo parlando di tua figlia…” azzardò Willow con tutta l’aria di chi avanza in un campo minato.

“No. E’ ‘nostra’ figlia.” le rispose l’amica guardando il marito.

“Spiacente di deluderti ma ha ragione la rossa: è ‘tua’ figlia. E sai perfettamente che c’è una sola cosa sensata da fare, a questo punto.”

“E tu naturalmente sai quale sia, vero?”

“Puoi dubitarne?”

“Sentiamo, Spike. Quale sarebbe?”

“Chiamarlo.”

 

 

‘E’ inutile, sono sempre più nervosa. Ok, cerchiamo di calmarci. Ho messo l’ultima pulce gigante nell’orecchio accogliente di Spike, praticamente gli ho spiattellato tutto. E, a giudicare da quanto sono nervosi la mamma e Riley, lui ha spiattellato tutto a loro. Fin qui ci siamo, ma poi? Dai, se non ha funzionato quello che altro devo fare? No, no, Spike ha fatto il suo dovere, ne sono sicura. Senza saperlo, ma lo ha fatto. Per cui devono essersi preoccupati. Per cui devono aver pensato a qualcosa. E se la mamma era così interessata a dove andassi stasera, a che ora, con chi e fino a quando… allora vuol dire che voleva essere sicura che semplicemente non fossi in casa, altrimenti non mi avrebbe chiesto niente, sapendo come rispondo sempre… E se voleva essere sicura che non fossi qui vuol dire che a casa, stasera, succede qualcosa che non vuole che io sappia… e non credo proprio che sia una notte di sesso selvaggio con quella mezza cartuccia che si è sposata! No, dev’essere qualcosa di serio… qualcosa che allora è il caso che io stia a vedere… Forse è la volta buona..’

Afferrò il telefono e compose il numero di Jill.

“Pronto, Jill? Ciao, sono io. Senti, mi serve un favore. No, no, niente tour de force di shopping, non devo cambiare look un’altra volta. Devi solo venire qui, o se vuoi ci incontriamo da qualche parte, e prenderti il mio cellulare. Stasera esco con te e Sim – Ma certo che non è vero! Non voglio proprio farvi da quinto incomodo in una doppia uscita coi vostri belli del momento! – e se squilla il cellulare tu rispondi e dici che sono in bagno o qualche altra balla del genere, stando bene attenta a dare l’impressione che io sia lì con voi da un bel po’ e ci resti ancora altrettanto, ok? No, è lungo da spiegare, e anche piuttosto incasinato. Poi non sono ancora sicura. Ti posso solo dire che il mio piano forse ha funzionato. Forse. E’ per questo che mi serve il tuo aiuto, per scoprire se è così. Allora, quando vieni? Vada per mezz’ora, ma ricordati: vieni, e stasera fai bene la tua parte, ok? Grazie, sei un tesoro! A dopo!”

Ripose il telefono e si allungò sul letto, prendendo in mano la vecchia foto di Drusilla che da piccola aveva convinto Spike a scattare, contro tutte le sue antipatie per quel mezzo moderno e antipoetico.

‘Dru, Dru… non so dove sei e non sono sicura di volerlo sapere, ma credo che se fossi qui saresti contenta per me. Dovunque tu sia farai meglio a tenermi d’occhio, sorellina, perché ho l’impressione che stasera ne avrò veramente bisogno…’

 

 

“Sei sicura che Kary non sia in casa? Non l’ ho sentita uscire.”

“Non c’è, ho controllato. E’ già andata al Bronze da Jill e Simon, ho anche chiamato al cellulare e Jill mi ha detto che stava ballando con un ragazzo, quindi almeno di lei non dobbiamo preoccuparci, ha altro da fare.”

“Meno male. Sarà già abbastanza difficile così, se ci fosse anche lei…”

“Dacci un taglio, Rambo dei poveri!” esclamò Spike, alzando la testa dalla tazza di sangue che aveva finito di scolarsi. “Se quello che penso, e che pensiamo tutti, è vero, non farà una grande differenza che lei sia qui o no.”

“Senti, Spike, Kary ti è molto affezionata, credo, ma quest’affetto non si estende a me. Quindi piantala, va bene? Piuttosto, sei sicuro che venga?”

“Mi meraviglio di te, bionda! E’ forse il tipo da dire di no ad una richiesta di aiuto? Verrà, verrà, non dubitare.”

“Gli hai detto anche di che si tratta?”

“Solo a grandi linee. Non ho mica soldi da buttare per telefono, io, e…”

Le sue recriminazioni sullo stato delle sue finanze furono interrotte da un bussare alla porta. Quel semplice suono che in altre occasioni sarebbe passato quasi inosservato, sembrò invece gelarli ognuno al proprio posto, finché Spike non si alzò e si diresse alla porta.

“Spike…”

“E’ per questo che siamo qui, no? Non vorrai lasciarlo là fuori dopo avermelo fatto chiamare.” ‘Sì, facciamo pure il duro e puro… tanto anche tu hai una fifa dannata, ammettilo .’

Fece gli ultimi passi e aprì la porta. “Salve, amico! Come va la vita nella grande metropoli?”

Eccolo lì, l’oggetto dei loro discorsi di cui non osavano neanche pronunciare il nome, identico a com’era vent’anni prima, identico a com’era oltre due secoli prima. E somigliante a Kary in maniera innegabile. Nonostante tutto, vederselo lì di fronte, occhi e capelli scuri, maglia grigia, pantaloni e cappotto neri come di rigore, gli fece piacere. Del gruppo che conosceva erano invecchiati tutti, chi più chi meno bene, a parte lui, e vedere una faccia rimasta uguale a un tempo era confortante.

“Bene, Spike. Posso entrare?”

“Non mi risulta ti sia stato revocato l’invito.”

“Lo so, ma chiedo sempre il permesso prima di entrare in casa d’altri. Questione d’educazione.”

“Quale educazione, ubriacone irlandese?”

“Quella che sembra tu non abbia, pulcino nella stoppa inglese. Adesso posso entrare o conti di farmi fare l’alba qui fuori?”

“Non è mica una cattiva idea… Ci posso pensare un attimo?”

“Dacci un taglio, Spike, i convenevoli sono finiti.” Entrò e chiuse la porta. “Avanti, parla. Che sta succedendo?”

“E’ quello che vorremmo ci dicessi tu.” intervenne una voce femminile dal salotto. “Salve, Angel. Tutto bene?”

“Non mi lamento. Tu, Buffy?”

“Starei meglio se sapessi cosa sta succedendo a mia figlia e perché.” gli rispose, accentuando incosciamente l’aggettivo ‘mia’. “Qualche idea in proposito?”

“Come posso saperlo io? Tu ci vivi assieme, io non so niente. Cosa le è successo? Sta male?”

“No, non credo. Ma si comporta in un modo strano, molto strano. E molto particolare nella sua stranezza: si è tinta i capelli di marrone scuro, si veste sempre in nero, rosso o comunque con colori scuri e spenti, si mette abiti interi, cappotti lunghi e pantaloni di pelle, ha in parte cambiato carattere, è diventata molto più silenziosa e…”

“…e ha cominciato a frequentare una setta new gothic: sai, tutti quei matti che adorano i vampiri e roba simile? L’ ho beccata lì ieri sera. E quello che mi ha detto, sommato a tutto il resto, ha messo in moto i nostri cervellini, portando alla seguente domanda, alla quale sei qui per rispondere. E’ facile: cosa le hai detto?”

“Cosa dovrei averle detto? Non l’ ho neanche mai vista…” Doveva essere solo una difesa, ma tutti avvertirono la tristezza di cui era intrisa l’ultima frase.

Tuttavia Buffy non si lasciò smontare: “Già questa è una menzogna, Angel. Spike mi ha raccontato dell’orsacchiotto che le hai regalato quand’era piccola. Molto dolce. Come hai detto che lo aveva chiamato, Spike? Il suo angelo custode? Appropriato, davvero.”

“D’accordo, è vero. Ho voluto incontrarla. Ma è da quando aveva quattro anni che non la vedo. E sai che non le avrei mai detto niente, te l’avevo promesso.”

“Mi avevi anche promesso che non mi avresti mai lasciata, e invece te ne sei andato.”

“L’ ho fatto per te, e lo sai. Perché tu fossi felice, così come voglio che sia felice lei, che abbia una vita e una famiglia normale, il più normale possibile. Per questo ho smesso di vederla. Pensi davvero che le verrei a dire una cosa simile?” Si rivolse a Spike. “Tu sei quello a cui è più vicina, a quanto hai detto: non hai qualche idea sul perché si comporti così?”

“Avanti, Angel, l’ hai capito anche tu perché lo fa! Perché una ragazza dovrebbe fare qualcosa del genere, se no?”

“Non starete esagerando? In fondo a quell’età cambiare modo di vestirsi è normale, non c’è niente di strano. Perché dovrebbe esserci un motivo particolare?”

“Il punto è che ha scelto un look piuttosto insolito, non credi? Specie considerato il genere di ottica in cui è cresciuta. In ogni caso è quello che dice a farci venire dei sospetti: accuse, allusioni, osservazioni… Detto in parole povere, amico, credo che sappia.”

“Com’è possibile? Io non le ho detto niente, voi nemmeno…”

“Togli Drusilla, forse un po’ ha parlato, ma allora lei era una bambina, non so quanto abbia capito… E poi è per questo che ti abbiamo chiamato, te l’ ho detto. Non so come, ma lo sa.”

“Te lo ripeto, Spike, non è possibile!” sbottò Buffy, scattando in piedi. “Lui dice di non aver detto niente, e come bugiardo non è mai stato un granché, quindi ci credo. D’altro canto noi non gliel’abbiamo mai detto. Per cui mi vorresti dire, di grazia, come accidenti farebbe a sapere che Angel…”

“E’ mio padre?” la interruppe una voce dall’alto.

Tutte le teste si voltarono all’unisono in quella direzione. In piedi in cima alle scale, nei soliti pantaloni neri e una maglietta dello stesso colore, con un gufo d’argento dalle ali spiegate stampato sul petto, Kary ricambiò il loro sguardo stupefatto con un’espressione assolutamente tranquilla e soddisfatta.

“Certe cose si sanno sempre.” continuò, rispondendo alla domanda che aveva terminato poco prima. “Quello che ti piace e non ti piace, quello che vuoi, quello che sei… e chi è tuo padre.” Scese lentamente le scale, sorridendo, il viso fisso su Angel. “Era ora che arrivassi, sono quattordici anni che ti aspetto.” L’ultimo gradino, qualche passo… ed eccola di fronte a lui, gli occhi di entrambi allacciati in un gioco di riflessi senza fine.

“Ciao, papà.”

 

 

Kary non riusciva ancora a crederci fino in fondo: dopo tutti quegli anni, finalmente ce l’aveva fatta, era riuscita a trovarlo… e ora lo fissava fiduciosa in quegli occhi profondi, così simili a quelli che incontrava ogni volta che guardava il proprio riflesso in uno specchio.

‘Perché non dice niente? Non mi vuole? No, non dire sciocchezze, hai sentito quello che ha detto prima, se n’è andato solo per il tuo bene, come ha fatto con la mamma. In fondo lui non sapeva che ti avrebbe vista, non sapeva come sei. E’ logico che sia sorpreso .’

“Allora, papà? Non mi saluti?”

‘Papà… è una bella parola… calda, dolce… mi è mancato dirla…’

Tuttavia, anziché Angel, fu Buffy a rispondere, investendo la figlia: “Ma che stai dicendo, sei impazzita? Che ti salta in mente di chiamarlo così, lui non è tuo padre! Riley lo è!”

Per tutta risposta, Kary gettò la testa all’indietro, facendo risuonare la sua risata più sinceramente divertita: “Mamma, ti prego! Riley mio padre? Non ho niente a che fare con lui, è solo tuo marito! Ma mio padre quello poi no! Perché accidenti credi che l’abbia sempre chiamato per nome, altrimenti? Perché sapevo che non era mio padre, mi sembra ovvio, no?”

“E su cosa baseresti questa tua convinzione?”

“Certe cose si sanno, mamma. Non puoi mentire ad una bambina su chi sia suo padre e aspettarti davvero che ci creda, specie quando invece il suo vero padre l’ ha incontrato, anche se non l’ ha subito riconosciuto per tale. Certe cose si sanno, punto e basta. Chiamalo intuito, chiamalo come ti pare… ma si sanno. Drusilla ha solo rafforzato quello che sentivo. E poi avanti, dai! Non è che gli somigli molto, al tuo prezioso Capitan America dei miei stivali! Non ho un dannato niente, di lui! A cominciare dal naso, grazie al cielo.” concluse sarcastica. “Invece, parlando di somiglianze, pensi di riuscire a negare in modo convincente che ti sia venuto un colpo quando hai cominciato a notare che i miei occhi si stavano scurendo, quando ero piccola? I bambini spesso sono meno ciechi di quello che si crede, fidati. Ma in ogni caso, perché non sentiamo anche un’altra opinione?” Si voltò di nuovo verso Angel, tornando a fissarlo negli occhi con uno sguardo che rendeva impossibile mentirle. “Allora, sono o non sono tua figlia?”

“Sì.” Le aveva risposto quasi senza accorgersene, non aveva neanche pensato ad esitare o prendere tempo, e meno ancora a nasconderle la verità, sapeva che non avrebbe potuto farlo. Quella ragazza vibrante di orgoglio e di vita era sua figlia, anche se lui stesso faticava a crederci, e sapeva di esserlo. Negarlo avrebbe solo significato ferirla.

Sentì le sue braccia cingergli la vita, la sua testa posarglisi sul petto e senza pensare si ritrovò a ricambiare l’abbraccio.

“Sono felice, papà. Sono tanto felice, mi sei mancato così tanto…”

“Mi dispiace, mi dispiace di essermene andato… ma dovevo farlo… tu meritavi una famiglia vera, normale…”

”Tu sei la mia famiglia… sei mio padre…”

“Smettila di dire sciocchezze!” Buffy era forse l’unica a non essere commossa da quella scena toccante, perfino Spike, anche se cercava di far finta di niente, aveva un’espressione ancora più rapita di quella di quando guardava le sue beneamate soap opera. “Come potrebbe essere tuo padre? Ci hai pensato? I vampiri non possono avere figli, lo sai. Ho avuto una storia con lui, è vero, ma questo non c’entra niente. Tu sei mia figlia, mia e di Riley.”

Kary si staccò da Angel, pur continuando a stringerlo con un braccio. “Le sciocchezze le stai dicendo tu, mamma. Hai appena detto che Angel non sa mentire, e lui ha appena detto di essere mio padre. E tu sai che è vero. Non so come sia possibile, Drusilla mi ha dato delle spiegazioni troppo confuse perché io le potessi capire, e dei tuoi diari io ho trovato solo quelli fino al tuo diploma delle superiori – a proposito, bella idea far saltare la scuola, posso farlo anch’io? – quindi anche loro, per quanto pieni di informazioni utili su mio padre, in questo non sono serviti a niente. Ma tu sai perfettamente che ho ragione: altrimenti, perché temevi tanto che stessi al sole, da piccola? O sobbalzavi quasi ogni volta che mi vedevi passare davanti a uno specchio, o toccare una croce? Perché il tuo maritino non mi ha mai sfiorata neanche con un dito, perfino quando mi sarei meritata senza dubbio un paio di ceffoni? Paura che il mio vero padre avesse da ridire? E come mai ti sei tanto spaventata quando mi hai visto fare a botte con altri bambini? Temevi che potessi ferirli, no? E, dulcis in fundo: se davvero sono una normalissima ragazza come tutte le altre, perché Riley e la sua banda di idioti avrebbero dovuto sottopormi a quei test?”

L’ultima frase catturò l’interesse di entrambi Angel e Spike: “Quali test?” chiesero contemporaneamente.

“Oh già, voi non lo sapete… Quando ero ancora una bimbetta, il mio caro preteso paparino mi ha portato alla sua base e fatto fare un paio di test ed esami clinici, che suppongo però non siano serviti a niente, visto che tutto è finito lì. Conoscendo i tipi che sono, immagino cercassero di capire la mia struttura genetica, ma deve essere troppo complicata… DNA vampiresco, DNA umano… da quello che so di biologia e di soprannaturale, mi sa che sia una combinazione praticamente impossibile da riconoscere e comprendere, figuriamoci separarne i componenti o sfruttarli… Comunque, perché quei test, se sono una ragazza totalmente umana con genitori totalmente umani? E ti faccio notare che ti sto facendo un complimento, Riley.”

Improvvisamente al centro dell’attenzione generale, specie quella di due vampiri che non sembravano affatto contenti di quello che avevano sentito, Riley sembrava non avere alcuna spiegazione plausibile sottomano.

“Hai fatto dei test su di lei, Finn?” Angel era calmissimo, ma non c’era da sbagliarsi sul fatto che l’idea non gli piacesse per niente.

Riley tacque: a volte il silenzio è più eloquente di qualsiasi risposta.

“E tu gliel’ hai permesso, cacciatrice?” Più propenso a riscaldarsi di Angel, Spike sembrava pronto a tollerare di sentirsi spaccare per un po’ il cranio dal chip pur di avere un incontro ravvicinato con il collo del militare. “Ma hai idea di che covo di pazzi sia quello? Come ti è saltato in testa di lasciargli usare tua figlia come cavia?!”

“Era necessario… avrebbe potuto avere delle malformazioni, o delle anomalie pericolose…”

“Tombola!” esultò Kary. “Ci siamo, finalmente! E come mai tutti questi possibili problemi, in me? Magari perché non sono umana al cento per cento?”

‘Vediamo un po’ se hai il coraggio di mentire adesso, mammina. Ti ho fregata!’

“Sì… no… non proprio… La tua nascita non è stata normale, e non parlo solo delle condizioni di Angel… è stato un miracolo… Che io non ho ancora compreso fino in fondo…”

“Beh, io per stasera non ho altri impegni. Quindi se volete fare due chiacchiere…” Felice e contenta di poter finalmente ottenere delle risposte sincere alla sue domande di sempre, Kary prese suo padre per un braccio, guidandolo fino ad una poltrona e appollaiandosi sul suo bracciolo una volta che lui si fu sistemato. “Vuoi cominciare tu, papà?”

“D’accordo.” In quel momento tutti seppero che, da lì in poi, a Kary sarebbe bastato guardarlo con quegli occhioni chiamandolo papà per ottenere qualsiasi cosa da lui. “Hai detto che le tue informazioni su me e tua madre si fermano all’Ascensione e alla mia partenza. Andai a Los Angeles, dove abito ancora adesso, e continuai ad aiutare il prossimo come potevo. E’ una lunga storia che coinvolge anche altre persone e te la racconterò quando avremo più tempo, ma in poche parole un giorno il sangue di un demone si mischiò al mio di vampiro, e le sue proprietà rigeneranti mi resero umano, in maniera permanente. Tua madre era venuta a trovarmi per chiedermi spiegazioni in merito ad una certa questione, e sembrò che non ci fossero più ostacoli ad una nostra relazione. Tuttavia essere umano comportava anche dei lati negativi cui non avevo pensato, come rischi di morte per Buffy, così chiesi agli Oracoli, una sorta di tramite coi Poteri Che Sono, le ‘forze del bene’ per le quali ‘lavoro’, di restituirmi la mia condizione di vampiro. Accettarono, riportarono indietro il tempo e io uccisi il demone senza toccarne il sangue, cancellando il giorno che avevo vissuto da umano e che sarei stato il solo a ricordare.” S’interruppe per un istante. “Da qui penso sia meglio che continui tu, Buffy.”

“Sì, hai ragione. Io non seppi mai niente di quella storia, tornai a casa e ripresi la mia vita, mi misi con Riley e poi ci lasciammo, saltò fuori Dawn… tutte cose che sai, te lo ho raccontate. Poi, qualche anno dopo, un paio di mesi dopo essermi sposata con Riley, una notte sognai due figure dalla pelle dorata vestite come antichi greci: gli Oracoli, presumo.” concluse, guardando Angel.

“Sì. Dopo che i precedenti furono uccisi, seguirono anni di instabilità, il lasso di tempo che doveva trascorrere senza eccessivi danni prima che ad altri Oracoli fosse concesso di prendere il posto a cui erano destinati: non chiedermi perché, non lo so nemmeno io. Contattarti deve essere stata una delle prime cose che hanno fatto una volta preso possesso delle loro funzioni.”

“Ma che onore… In ogni caso quelle due figure mi dissero che un giorno era stato cancellato e il tempo cambiato in nome del bene, a scapito di una vita che avrebbe dovuto esserci. Tuttavia quella vita si rivelava necessaria all’equilibrio e pertanto le pieghe del tempo sarebbero state sciolte di nuovo per portare in salvo quella vita e farle vedere la luce, prima che fosse cancellata.”

“Alt, mamma, fammi vedere se ho capito bene. In quel giorno che tecnicamente non c’è stato tu eri rimasta incinta – e qui potrei essere maligna e ricordarti il discorso che hai fatto a me sulle precauzioni, ma non voglio infierire… - e poi io ero stata ovviamente cancellata. Fin qui ci sono. Ma gli Oracoli o chi per loro mi avrebbero fatta nascere comunque anni dopo per qualche loro motivo?” Doppio cenno d’assenso da entrambi i genitori. “Alla faccia della normalità che ami tanto, mamma! Non che mi lamenti… Però aspetta un attimo: allora sono umana, no? Papà lo era, quel giorno, ergo, se le leggi dell’ereditarietà contano ancora a qualcosa, andando per logica dovrei esserlo anch’io. Perché quei test, allora?”

“Non è così semplice. Gli Oracoli dissero che dovevi essere figlia di tuo padre, e tuo padre non era più umano come in quel momento. Come sua figlia avresti ereditato parte del suo essere, come hai detto poco fa… da cui le mie preoccupazioni che dicevi prima.”

“E una potenziale carriera di cavia per la sottoscritta… l’ ho scampata bella… Adesso però arriviamo alla domanda fondamentale, mammina cara: perché la congiura del silenzio? Non ti è mai venuto in mente che forse, solo forse, avevo il diritto di conoscere mio padre?”

Il silenzio venutosi a creare venne interrotto, per la sorpresa di tutti, da Angel. Probabilmente aveva capito prima degli altri che prima o poi si sarebbe arrivati a quel punto, ed era anche l’unico con qualche possibilità di farsi ascoltare senza provocare reazioni violente. “Tu sembravi essere una bambina normale, fin da subito. Non c’era niente che potesse far supporre la presenza di qualcosa di vampiresco in te, e non pareva giusto coinvolgerti in una vita, se così si può chiamare, come la mia. Avresti avuto due genitori che ti amavano, una vita non perfetta ma più normale della mia, una famiglia quasi come le altre… Dirti chi era tuo padre, e soprattutto cosa, avrebbe significato solo toglierti l’opportunità di vivere la tua vita come ogni altra ragazza, di essere felice.”

“A-ah… e non avrebbe niente a che fare col fatto che la mia dolce mammina ne sarebbe potuta essere disturbata nella sua ferrea volontà di avere una vita il più normale possibile, vero? Nooo, neanche un po’, eh?”

“L’abbiamo fatto per te.”

“Ah sì, mamma? Siamo sicuri? E per farmi avere una vita normale mi fai crescere fra Apocalissi sempre dietro l’angolo, demoni vari, una sfera d’energia per zia, Spike e Dru come tate, mostri, vampiri e altre cacciatrici che vanno e vengono… senza contare te, Riley, Willow e Tara, Anya, Giles e via dicendo, in un’escalation dell’occulto da Hit Parade sull’argomento… Con un’educazione simile come pensi che avrebbe potuto turbarmi sapere chi era mio padre? Sapere che ti aveva amato tanto da rinunciare ad essere umano, per te? O che era stato disposto ad andarsene per la mia felicità, come aveva fatto anni prima per la tua? E non una parola su Angelus e Achatla, Xander, è una vicenda in cui anche tu non fai una gran bella figura, a quel che ho letto in un certo diario, per cui ti conviene star zitto, credimi, tanto più che non si sta parlando di quello. La verità, mamma, è che eri tu quella a cui tornava utile una cosa simile, tu che non volevi ricordare quella che per te era una verità scomoda! Per questo hai messo i diari e i suoi regali in cantina, dove li ho trovati solo per caso! Per questo nessuno mi ha mai anche soltanto nominato Angel, perfino senza dirmi che era mio padre! L’unica che mi abbia mai parlato di lui era Drusilla, peccato solo che fossi troppo piccola… e che quel demone l’abbia uccisa… che fortuna per voi, vero?”

La mano di Angel si posò sulla sua. Era pallida e fredda, com’era tipico dei non-morti, eppure Kary sentì il calore che riusciva a trasmetterle al cuore quel semplice atto.

“Calmati, ti prego. Lo so che abbiamo sbagliato con te, tutti quanti. Non avremmo dovuto mentirti, ma avere più fiducia in te, nella tua forza. E non avremmo dovuto sottovalutare la tua intelligenza o il tuo cuore. Ho sbagliato anch’io ad andarmene, e ti chiedo scusa. Avere quasi tre secoli non esime dal fare degli sbagli, contrariamente a quello che si dice errare non è una prerogativa solo degli umani. Ma ti posso assicurare che tutto quello che abbiamo fatto, anche e soprattutto gli errori, l’abbiamo fatto solo perché eravamo sinceramente preoccupati per te e la tua felicità.”

“Forse tu, papà. Ma ammetterai che posso trovare difficile crederlo, per quel che riguarda la mamma… e non voglio neanche parlare di suo marito. Gli altri… non so…”

“Credi davvero che Spike farebbe qualcosa del genere solo per rendere la vita più facile a tua madre? Quel rompiscatole che non chiede altro che essere la spina nel fianco di chiunque?”

“Una volta era innamorato di lei, mi hanno raccontato.”

“Ehi, piano! Questo è un colpo basso!” intervenne in propria difesa il diretto interessato, fino ad allora rimasto incredibilmente zitto. “Dopotutto non ho neanche un secolo e mezzo, praticamente sono un adolescente per i nostri standard! Avrò pure il diritto di farmi i miei errori di gioventù! E comunque quando Dru è tornata mi sono rimesso con lei, quindi vedi che non sono del tutto idiota!”

Spike aveva una tale aria di comica indignazione che Kary scoppiò a ridere, quasi cadendo dal bracciolo. “Ecco, papà! Visto nelle mani di chi mi hai lasciata?”

“Ma non stai ridendo?”

“Un conto è ridere per la faccia che ha fatto, un conto è apprezzare uscite simili! Ti rendi conto di quante me ne sono sentita, in questi anni?”

“Ne ho una vaga idea, sì.”

“Comunque, tanto per la cronaca, non mi hai convinta dei loro motivi, papà. Ma suppongo di poter lasciar perdere, per stasera. Non mi va di intavolare una simile discussione proprio appena rivisti.”

“Sono d’accordo… Kary? Ti fai chiamare ancora così?”

“Sì, certo. Mi chiamano tutti così, da sempre. L’ ho voluto io.”

“Come mai? E’ un bel nome, ma che significa? E’ il diminutivo di qualcosa?”

“No, non proprio, è più… Aspetta un momento: tu non sai come mi chiamo? Qual è il mio nome?”

“No, nessuno me l’ ha mai detto. E quando sono venuto qui per conoscerti tutti ti chiamavano già Kary.”

La ragazza si voltò verso la madre, gli occhi che mandavano lampi di rabbia e incredulità. “Non gli hai mai detto come mi chiamavo? No, fammi capire bene, perché non ci credo: tu non gli hai neanche mai detto che nome avevi dato a sua figlia?? E hai anche il coraggio di negare che tutto quello che hai fatto l’ hai fatto solo perché sei una sporca egoista! Hai una bella faccia tosta! E ti aspetti che ti creda quando parli del mio bene? A te interessa solo il tuo! Per questo mi hai tenuta lontana da mio padre! Per il tuo bene e la tua stramaledettissima ‘vita normale’! Quando lo capirai che io non la voglio, la tua vita? E non voglio neanche te se è per questo!!” Saltò su dal bracciolo, attraversò la stanza e corse su per le scale, pronta a rinchiudersi in camera sua. Era circa a metà della rampa quando Angel la chiamò: “Kary, aspetta!”

Si voltò, con un’espressione ferita e sorpresa: “Hai intenzione di difenderla ancora? Dopo tutto quello che ha fatto riesci ancora a trovarle delle scusanti?”

“Non voglio fare niente del genere, è una questione troppo personale che riguarda voi due. Volevo solo sapere come ti chiami.”

‘Sapere come mi chiamo… non è certo la tipica domanda che un padre può fare alla figlia… ma del resto cosa c’è di tipico in noi?’

“Kary non è esattamente un diminutivo, più che altro è una specie di fusione dei miei due nomi. Mi faccio chiamare così perché non mi piacciono. A dire la verità il secondo va bene, è Crystal, dal ciondolo di cristallo col mio pianeta che mi ha consegnato quell’infermiera da parte tua, ma non lo sentivo molto adatto a me, e da piccola era difficile da pronunciare. Ma quello che non sopporto è il mio primo nome, Katherine, come sua madre.” indicò sprezzantemente Riley con la testa. “Non ho niente a che fare con lui, per me non significa niente. Non sono sua figlia e non voglio essere chiamata come qualcuno che non è la mia famiglia.” S’interruppe per osservarlo. “Perché stai sorridendo?”

Era innegabile: Angel stava sorridendo, di un sorriso tranquillo e sereno che gli si trasmetteva anche agli occhi di solito così seri. “Katherine… ti hanno chiamata così… Adesso posso dire di credere alle coincidenze…”

“Prego? Che vuol dire? Io detesto questo nome!”

“E’ quello di mia sorella.” Un buon numero di sguardi tendeva decisamente al confuso, ma Angel sembrava accorgersene relativamente, da momento che Kary era l’unica a cui si stesse rivolgendo veramente, a parte forse se stesso e qualcuno che non c’era più. “Mia sorella minore, una bambina di una decina d’anni quando sono diventato un vampiro. Kathy, la chiamavo. Era la persona a cui volessi più bene, da vivo… e la prima che ho ucciso da morto. Se avessi dovuto scegliere io il nome per una mia figlia, probabilmente l’avrei chiamata così.”

“Io mi chiamo… come tua sorella?” Cenno affermativo del padre. Kary sembrò riflettere per qualche momento, poi si illuminò in un sorriso. “Quand’è così, credo che potrei cominciare a tollerarlo… ma non provate a chiamarmi così, ok? Continuo a preferire Kary.” Scese dalle scale, tornando ad avvicinarsi ad Angel. “Non sapevo che avessi una sorella… a dirla tutta so non so quasi niente di te…” Lo prese per mano, tirando fuori una vocina da bambina. “Ti va di vedere la mia camera? L’ ho cambiata, dall’ultima volta che sei stato qui, e così possiamo chiacchierare un po’ in pace… ho tante cose da raccontarti…”

Per rispondere di no ad una simile richiesta, fatta quasi coi lucciconi agli occhi, sarebbe servito il cuore di Angelus, non certo quello di Angel. Il vampiro, ormai vittima diagnosticata di un attacco di amore paterno, si fece docilmente condurre al piano superiore da una figlia estasiata, lasciandosi alle spalle un bel gruppetto di gente a diversi livelli di sconvolgimento che si chiedeva che ne sarebbe stato delle loro vite dopo quella serata.

 

 

“Io me ne vado. Voglio andare a vivere con papà.”

L’intero uditorio non seppe che ribattere, al momento, completamente preso alla sprovvista dalla bomba che Kary aveva graziosamente sganciato su di loro senza preavviso.

La sera prima, dopo l’uscita in grande stile di Kary ed Angel, la seduta era stata aggiornata senza ulteriori commenti, per permettere ai partecipanti di riorganizzare le idee definitivamente confuse da un susseguirsi di eventi assolutamente inaspettato: combattere demoni e simili era niente paragonato alle questioni familiari!

La camera di Kary era rimasta off-limits per tutti e per tutta la giornata. Lei e il padre dovevano aver tirato l’alba e oltre a recuperare in parte per gli anni che si erano persi, Angel era rimasto con lei, le tende pesanti della sua stanza che scongiuravano possibili rischi di incenerimento, e invece di parte delle scorte di cibo, bevande e sangue (che Spike conservava anche lì), i padroni di casa si erano ritrovati un simpatico bigliettino in cui la figlia spiegava allegramente che lei e suo padre dovevano parlare di cose importanti, non volevano essere disturbati e sarebbero scesi quella sera a “fare quattro chiacchiere con la gentile famigliola affamata di notizie”.

Che padre e figlia, rimasti lontani per così a lungo e mai realmente conosciutisi, volessero un po’ di tranquillità per parlarsi e chiarire quello che era successo, era perfettamente logico e comprensibile, ma nessuno sembrava aver contemplato un trasferimento di Kary tra le “cose importanti” che dovevano discutere.

‘E ti pareva! Una sera ritrova il padre, e quella dopo se ne vuole andare con lui! Ma perché non l’ ho capito subito che tutto questo casino serviva solo a farcelo chiamare perché lei potesse incontrarlo… Che razza di fesso sono stato! Ecco perché quella sfuriata dell’altra sera, per farmi togliere le castagne dal fuoco al posto suo! Più che di Angel mi sa che è figlia di Angelus, una simile furbata è proprio degna di lui!…’ “Scusa, Kary, non ho capito: vorresti andare a stare a Los Angeles con lui?”

“A dire la verità io pensavo di andarmene a Parigi, ma sembra che papà si trovi bene dov’è, quindi… Spike, mi sembra di essere stata chiara: vado a vivere con mio padre.”

“Tu non vai da nessuna parte!” Senza darle ragione, Spike trovava le reazione di Buffy piuttosto comprensibile: se Kary, conoscendo suo padre da neanche ventiquattr’ore, era pronta a trasferirsi da lui a scapito di diciotto anni vissuti con lei, voleva dire che come madre non era stata esattamente favolosa. “Cos’è questa storia? Ok, d’accordo, è tuo padre, lo sai, lo ammetto e ti chiedo scusa per non avertelo detto. D’ora in poi potrai vederlo quanto vuoi, non ci sono problemi. Ma scordati di andare a vivere con lui! La tua casa è questa.”

La ragazza inarcò un sopracciglio palesemente scettico, battendo indolentemente le mani tre volte. “Complimenti, mamma, hai vinto due premi in un colpo solo: quello per le scuse più insincere che io abbia sentito e quello per il divieto che verrà più ignorato. Casomai qualcun altro non lo avesse capito, vi faccio notare che non sto chiedendo il permesso di andarmene, sto dicendo che me ne vado. E che voi siate d’accordo o no, non me ne può fregare di meno.”

“Kary…”

“Ok, papà… Senti, mamma, sono stata con te per diciotto anni senza mio padre, adesso voglio stare con mio padre senza di te. E’ così difficile da capire?”

“Sì, è difficile. E’ difficile capire come, dopo tutto quello che io e Riley abbiamo fatto per te, dopo aver cercato di darti sempre quello che potevamo, tu te ne voglia andare via all’improvviso con qualcuno che conosci a malapena. Ok, è tuo padre. Ma io come tua madre non conto niente?”

“Hai avuto diciotto anni per contare qualcosa, e mi hai dato solo bugie. Andandomene faccio solo un favore a me, a te e a tutta la comunità, perché se resto qui mi sa che finirei per esplodere a furia di pensare a quello che mi avete fatto.”

“Kary, ascoltami… Lo so che sei ferita, ma andarsene non è una soluzione, i problemi restano lo stesso…”

“Ti riferisci a quando sei scappata a Los Angeles dopo aver spedito papà all’inferno, lasciando i tuoi amici nei casini coi vampiri? Lascia perdere, non funziona. Tu stavi scappando da qualcosa, io vado verso qualcosa. E un cambiamento mi ci vuole proprio: una nuova scuola, una nuova città, una nuova vita… e una nuova famiglia.” Guardò suo padre al suo fianco, un sorriso malizioso dipinto in volto. “Il che è la parte migliore dell’intera faccenda, a mio modesto parere.”

“E non ti mancherà quello che lasci qui?” Era stato Spike a parlare, cercando disperatamente di apparire freddo e ragionevole, ma con scarsi risultati. Sapevano tutti che adorava Kary, e vederla andare via gli piaceva più o meno quanto sciacquarsi il viso in un’acquasantiera.

La sua figlioccia se ne accorse benissimo, e si staccò dal padre per correre ad acciambellarglisi addosso come una gattina coccolosa. “Avanti, zietto, potrai sempre venirmi a trovare! Vedrò di convincere papà a non impalettarti appena varchi la soglia, promesso. E, anzi, farai bene a venire, perché so già che mi mancherai tanto tanto! Ma so anche che lo capisci perché voglio andare con papà, tu sei l’unico su cui ho sempre potuto contare, l’unico che mi capiva!” Il tutto con gran dispiego di baci, abbracci e coccole varie, un assalto in piena regola a cui Spike non poteva che capitolare: quando Kary finì di parlare, era pronto ad aiutarla anche a fare le valigie.

“Beh, in fondo non è una cattiva idea… conoscendo che tipo è tuo padre è probabile che sarai più al sicuro che sotto una campana di vetro… e Los Angeles non è poi molto distante, se ci sono problemi potremo essere lì in un attimo… Se questo è quello che vuoi, sono d’accordo. Dopotutto sei maggiorenne, hai il diritto di decidere della tua vita.”

“Uah! Lo sapevo, sei il migliore, zietto!!” Un abbraccio strangolatore, unito ad un sospetto di commozione, resero impossibile udire eventuali risposte di Spike. Una volta conquistatasi un alleato, Kary mollò la presa e tornò ad accoccolarsi sul divano accanto al padre.

“E la scuola, Kary? Ci hai pensato? Quest’anno ti diplomerai, non mi sembra il caso che tu cambi città adesso.”

“Le scuole esistono anche a Los Angeles, posso frequentarne una lì. Non sarò un genio ma me la sono sempre cavata. Se le obiezioni sono tutte qui potete anche risparmiarvele.”

“Non sto facendo obiezioni, Kary. Dico semplicemente che non andrai ad abitare con lui. Punto e basta. Tanto per sapere, Angel: è stata tua questa bella idea? Sei stato tu a proporla? Torni qui e come prima cosa cerchi di portarmi via mia figlia?”

“E’ anche mia figlia, Buffy. E se sono tornato qui è per un motivo ben preciso: l’ ha voluto lei. Come è stata lei a voler trasferirsi da me. Mi conosci abbastanza da sapere che io non le avrei mai chiesto di andarsene da te o da Sunnydale, credo.”

“Congratulazioni, mamma: è bello vedere che sei sempre piena di fiducia nel prossimo… a maggior ragione in papà che, in effetti, ha fatto un mucchio di cose che possano farti diffidare di lui…” Il sarcasmo stava rapidamente diventando irritazione, tutti lo sentivano. “Ficcati bene in testa che sono io a volermene andare, io che ho deciso di abitare con mio padre e io che lo farò qualunque cosa tu pensi, faccia o dica. Se sei d’accordo o meno non è cosa che mi riguarda, ma ti avverto che me ne vado lo stesso, divieti o non divieti. Da quando mi importa di cose del genere? Se non mi dai il permesso, io me lo prendo ad ogni modo, ho diciotto anni e sono una persona adulta, maggiorenne, che può fare quello che le pare e vivere dove e con chi le pare. Quindi, mammina cara, pensa bene a cosa rispondermi, visto che oltretutto questa domanda è solo un pro forma atto a farti salvare la faccia che ti resta: posso andare a vivere con mio padre?”

 

Terza (e ultima) parte

 

 

Tre mesi dopo….

 

 

Il sole splendeva in tutta la sua gloria, rallegrando la vista dei liceali che, terminata la giornata e le lezioni, uscivano dalla scuola chiacchierando nei consueti gruppetti.

Uscita con tutti gli altri, una ragazza in canotta e gonna verde si fermò sulla gradinata all’ingresso, cercando contemporaneamente di infilarsi la camicetta di jeans dalle maniche corte, sistemarsi la fascia azzurra che tratteneva i suoi capelli e non lasciar cadere lo zaino in pelle chiara che aveva nel corso della duplice operazione. Stava avendo successo quando altre due ragazze le piombarono addosso alle spalle senza avvertire.

“Ehi, Kary! Dove pensi di andare?!”

“Ouff! Ma che vi siete impazzite? A momenti mi ammazzavate! E dove volete che vada da ferma e facendo tre cose in una volta?! Non so ancora teletrasportarmi!”

“Davvero? Molto male!” ribatté la più piccola delle due, scuotendo divertita la testa ricoperta di corti riccioli neri.

“Sì, perché in quel caso avresti fatto prima a venire con noi!” continuò l’altra, piroettando in modo da far svolazzare il leggero abitino bianco che indossava, che le dava un’aria ingannevolmente diafana e fragile unito ai capelli lisci di un castano chiarissimo, quasi biondo. “Un salto dal messicano per nutrirci e poi shopping, shopping, shopping!! Avanti, muoviti, andiamo!” Prendendola per un braccio ciascuna, le ragazze iniziarono a trascinare l’amica con loro.

“No, ferme, non provateci neanche! Tracy, Lavinia, lasciatemi andare, lo sapete che non posso!”

“Ha ragione.” intervenne da dietro una voce scherzosa. “Su, ragazze, lasciatela. Lo sapete che la nostra brava bambina deve tornare subito a casa, se no il paparino si preoccupa!”

Liberandosi dalle sue carceriere, Kary si voltò a fronteggiare il nuovo arrivato, senza mostrarsi particolarmente impressionata dall’altezza del biondo che passava per il fusto del liceo, anche perché i sandali di jeans con la zeppa che portava le consentivano di guardarlo negli occhi praticamente allo stesso livello. “Tanto per la cronaca, Kenneth: se volevi fare lo spiritoso hai sbagliato tempo, modo e persona peggio di quanto fai già coi verbi francesi, il che è tutto dire! Se invece volevi solo rompere le scatole e fare la figura dell’idiota allora ci sei riuscito benissimo. Quindi perché adesso non te ne vai dalle tue solite pollastrelle sbavanti? Chissà che almeno a quelle teste vuote tu non riesca ad apparire interessante!”

Investito da una dose di veleno sufficiente a sterminare l’intera popolazione studentesca, il ragazzo alzò le mani in segno di resa, indietreggiando dalla “bellezza infuriata”, come si divertiva a chiamarla in casi simili. “Ehi, ehi, frena, Kary! Stavo solo scherzando! Accidenti, ma non ti si può proprio dire niente!”

“Non su certi argomenti. E scattare così è una questione d’abitudine, pensavo che ormai ci avessi fatto la mano.”

“Però ha ragione.” disse Lavinia. “Ormai sei grande, tuo padre potrebbe anche lasciarti andare dove vuoi, dopo le lezioni, invece che tornare a casa. Basterebbe che tu lo chiamassi per avvertirlo, il cellulare ce l’ hai.”

“Lo so, ma non è lui, sono io. Papà mi farebbe fare quello che voglio senza problemi, si fida di me. Ma vivo con lui da così poco tempo che mi piace avere piccole regole o abitudini come queste: dopo la scuola si va a casa. Poi esco lo stesso, ma così lui non si preoccupa e io sono a posto con me stessa.”

“Tu non sei normale. Anch’io vivo solo con mio padre e gli voglio bene, ma tu non sei normale. E’ davvero così importante, per te?”

“Ci puoi scommettere, lo adoro! L’ultima volta che l’ ho visto avevo quattro anni e per tutto questo tempo mi è mancato da morire! E poi non è noioso come certi padri, mi piace stare in sua compagnia!”

“Beh, visto il voto che hai preso nella relazione di storia che ti ha aiutato a fare, deve avere un bel cervello… Il prof Jackman era quasi sconvolto!”

“Il che è un ottimo motivo per volergli bene, no? Non che sia l’unico..”

“Traduzione?” Lavinia sembrava proprio interessata. Tracy e Kenneth, invece, sembravano ormai dare per certo che il nuovo acquisto delle loro scuola fosse una matta irrecuperabile.

“Ai tanti buoni motivi per eleggerlo ‘Padre dell’anno’ se n’è aggiunto un altro. Guardate là.” Indicò una fila di auto posteggiate nel parcheggio. “Quarta da sinistra, tra quella di Josie e quella di Peterson.”

Mentre si avvicinavano allo spiazzo i ragazzi seguirono le coordinate ricevute e i loro sguardi si fermarono su una decappottabile visibilmente nuova che scaldava al sole la sua splendente carrozzeria blu metallizzato.

“Accidenti che favola!”

“Potrei uccidere per quell’auto!”

“Una vera meraviglia…” Kenneth se la mangiava con gli occhi. “Ma questa che c’entra?”

Intanto che gli amici erano occupati ad ammirare l’auto, Kary aveva aperto la tasca dello zaino e ora faceva penzolare davanti a loro un portachiavi d’argento a forma d’angelo.

“Ta-dah! Ecco le chiavi! Che ne dite?”

“Vuoi dire che questo schianto è tua?!”

“Esattamente, è da parte di papà. Regalo ritardato per il mio diciottesimo compleanno, che si è purtroppo perso. Però non è male come ammenda, vero?” Così dicendo aveva gettato lo zaino sui sedili posteriori e aperto la portiera, salendo in auto.

“Vista questa non dico più niente. Torna pure a casa da tuo padre, hai la mia benedizione.”

Kary scoppiò a ridere, mettendo in moto. “Grazie, Ken, molto gentile da parte tua! Ma adesso levati di lì, prima che ceda alla tentazione e ti metta sotto!” Con una manovra perfetta uscì dal posteggio e dopo un ultimo saluto agli amici filò via.

‘Altro che auto… ma almeno l’ hanno finita. Non che non gli voglia bene, ma a volte è un po’ difficile averci a che fare. E’ in questi momenti che mi mancano Jill e Simon, speriamo di sentirli, oggi. Comunque è divertente, se penso alla mamma: era convinta che papà non sarebbe riuscito ad occuparsi di me, anche dal punto di vista economico, ed eccomi alla guida di un’auto da sballo che lei si sogna solo! Certo che Cordy ha fatto un colpaccio in piena regola quando ha convinto papà ad essere un po’ meno nobile e chiedere di più ai clienti… Dice che lo ha fatto per me, ma anche lei ha avuto il suo bel tornaconto…’

Così persa nel suo filo di pensieri e continuando a guidare, era arrivata all’Hyperion. Alcuni lo trovavano uno squallore, ma questo era probabilmente dovuto al fatto che non fossero mai entrati all’interno. Lei personalmente lo adorava, molto più della piatta villetta monofamiliare in cui era vissuta con sua madre e Riley. Parcheggiò l’auto, la chiuse e si tuffò nella babelica costruzione in cui grazie al cielo aveva imparato ad orientarsi: sospettava che perdersi lì dentro significasse correre il grosso rischio di non essere più ritrovati. Arrivata alla porta di casa tirò fuori le chiavi dalla tasca che ormai riteneva virtualmente senza fondo dello zaino, aprì ed entrò. Si preparava a precipitarsi nello studio di suo padre come se avesse dovuto spegnere un incendio, secondo l’abitudine, quando il suono di voci provenienti da quella stanza bloccò il suo slancio.

‘Strano, papà non mi aveva detto di aspettare qualcuno… Che siano clienti?’

Senza pensare e nemmeno bussare aprì la porta.

“Ciao, papà, ci sono…” La vista della madre, il patrigno e i loro amici le fece morire le parole in gola. “…visite..?”

 

 

Colore.

Fu la prima cosa che Spike notò in Kary, il fatto che si fosse riappropriata di un guardaroba più vario dal punto di vista cromatico. Indosso non aveva una sola cosa nera o scura, e anche i capelli, che aveva mantenuto marroni, erano illuminati da colpi di sole.

‘E’ tornata a sembrare una ragazza normale, finalmente. Forse è stata una bella mossa, che si trasferisse qui. Ma che noi venissimo qui… questo è un altro paio di maniche .’

Intanto Kary si era rivolta a suo padre, seduto dietro la propria scrivania. “Papà… che significa? Perché sono qui? Ci sono problemi? Perché non mi hai detto che sarebbero venuti?” Ma almeno all’ultima domanda la risposta la conosceva: se lui le avesse detto di quella improvvisata non sarebbe tornata a casa, se ne sarebbe tenuta il più alla larga e il più a lungo possibile. E ovviamente lui lo sapeva benissimo.

“No, nessun problema. Sono solo venuti a trovarti, dal momento che non hanno tue notizie da mesi.” Sapeva che sarebbe successo, prima o poi. “A quanto pare non gli hai scritto o telefonato come mi hai detto di aver fatto.”

Beccata. Spike glielo leggeva in faccia. Era vero: in quei tre mesi non avevano ricevuto un solo cenno di vita da parte di Kary o Angel. Dopo un ragionevole periodo di paranoia avevano deciso di intervenire di persona… e quello che saltava fuori era che l’angelica fanciulla aveva propinato una balla al fiducioso paparino e coscientemente tagliato i ponti con la famiglia. Si chiese se forse non sarebbe stato meglio continuare ad ignorare.

“Posso sapere come mai non mi hai detto la verità? Sicuramente dovevi avere un buon motivo per farlo.”

“Perché se te l’avessi detta mi avresti fatto scrivere o telefonare, e io non volevo.”

“Come mai?”

“Mi piace la mia vita com’è adesso. Parlare con loro non m’interessava.”

“E non hai pensato che si sarebbero preoccupati, a non sapere come stavi?”

“Sinceramente no . Io non mi preoccupavo di come stavano loro. E loro non si sono preoccupati di come stessi io per anni.”

“Katherine…”

‘Katherine?? E da quando? Da dove salta fuori questa?’

“No, papà. Abbiamo già fatto questo discorso, non riuscirai a convincermi di niente, in proposito. Purtroppo io non sono come te, non penso sempre il meglio.”

Buffy provò ad inserirsi in quella che era a tutti gli effetti una conversazione a due. “Katherine…”

“Non chiamarmi così!!” Eccola tornata ad essere la ragazza che conoscevano. “Io mi chiamo Kary! Non azzardarti a usare ancora quel nome con me, è chiaro?!”

“Scusa, ma non ti ha appena…”

“Lui può farlo. Per lui quello è un ricordo della sorella che amava e di cui sono orgogliosa di portare il nome. Ma per te indica la madre di quello che hai sposato, una persona che con me non ha niente a che spartire. Per cui farete meglio a continuare a chiamarmi come avete sempre fatto! Afferrato il concetto?” Un’occhiata alla platea che aveva davanti sembrò sufficiente a rassicurarla in proposito. “Bene. Se adesso volete scusarmi…” Circumnavigò la scrivania e ci si sedette sopra, quasi di fronte al padre.

Cominciò un chiacchiericcio eccitato, liquidandoli definitivamente. “Ehi, papà, Jackman ci ha riportato le ricerche di storia. Mi ha dato il massimo dei voti! Avresti dovuto vederlo, aveva una faccia! Quasi come se non credesse a quello che aveva letto! ‘Un ottimo lavoro, signorina. Certi brani sembrano essere stati scritti da qualcuno che avesse assistito di persona a tali eventi .’” La voce, diventata greve e pomposa nel corso dell’imitazione, tornò alla normalità. “Pensi sia il caso d’informarlo che non ha del tutto torto?”

“Dici qualcosa del tipo: ‘Ha ragione, professore, ma sa, anche se non avrei dovuto mi sono fatta dare una mano da mio padre, che si dà il caso non solo sia un vampiro di quasi tre secoli, buona parte dei quali passata a commettere efferatezze in giro per l’Europa, ma che era effettivamente in Cina all’epoca della Rivolta dei Boxer, che non ha quindi problemi a raccontare in ogni sanguinoso dettaglio ’? Non so se sarebbe una buona idea.”

“Vero, ma guardiamo il lato positivo: se gli dico una cosa del genere posso automaticamente aspettarmi sempre dei gran voti in storia anche senza far niente. Tu daresti un’insufficienza alla figlia di un non-morto bevitore di sangue, se fossi in lui? Mi sa di no.”

“Anche questo è un punto di vista valido. A parte Jackman com’è andata oggi?”

“Divinamente. I prof non hanno esagerato con le loro imparruccate spiegazioni da Osservatori mancati e i miei amici son diventati verdi quando hanno visto il tuo regalo. Che potrei volere di più?”

“Non saprei tu, tesoro, ma io qualcosa la voglio di sicuro.” si intromise Spike. “Non abbracci neanche il tuo povero zietto che ha sfidato il sole pur di rivederti?”

“Chiedi e ti sarà dato, Spike!” esclamò Kary, saltando giù dalla scrivania e buttandosi fra le sue braccia. “Ciao, zietto, come stai? Tu sì che sono felice di rivederti!”

“Ciao, Kary, anche tu mi sei mancata. Stai bene?”

“Benissimo, mai stata meglio! Papà, Cordy e gli altri si occupano benissimo di me, e riescono anche a non essere troppo soffocanti, non chiedermi come! E poi Los Angeles mi piace e a scuola mi sono già fatta degli amici, certo, non sono come Jill e Simon, ma non sono male. Invece stasera papà e gli altri mi portano con loro al Caritas, è troppo divertente! Lorne è un mito e poi lì ci trovi ogni sorta di tipi! E papà che canta è qualcosa che vale la pena di sentire, specie ora che gli ho dato qualche lezione! L’unico che non ne è contento è proprio Lorne: adorava prenderlo in giro e io gli ho rovinato tutto!”

“Certa gente non è mai contenta! E tu và a far del bene!”

“Sono d’accordo! Uh, adesso devo andare in camera mia, forse Jill o Simon ha risposto alla mia mail! Ciao, ci vediamo!” Afferrò lo zaino che aveva gettato a terra e filò in direzione della porta. Sfortunatamente lo zaino non era chiuso bene e dal suo interno si riversò ogni sorta di oggetti, scolastici e non, tra cui un piccolo libretto rilegato in pelle nera che ebbe la buona idea di finire proprio ai piedi di Buffy, che lo raccolse.

“KCM…” lesse in lettere dorate sulla copertina. “Che significa?”

“Sono le mie iniziali, mamma.” Kary le strappò il libretto di mano e puntò l’indice sulle tre lettere, parlandole come si fa in genere coi bambini non molto svegli. “KCM. Katherine Crystal Malahide.”

“Malahide? E da dove verrebbe questo?”

“E’ il cognome di papà, no? Non ti aspetterai mica che continui a portare quello di Riley, vero? Ho preso quello di papà appena arrivata qui, adesso è così che mi chiamo.”

“E non ti è sembrato il caso di dirmelo? Cioè, lasciamo perdere che tu non mi abbia detto neanche se stavi bene o qualsiasi altra cosa, e che di questo cognome io non sapessi niente visto che tuo padre non ha mai ritenuto opportuno dirmelo, insieme a parecchie altre cose. Ma tu cambi cognome e io come tua madre non ho il diritto di saperlo? Di sapere almeno come si chiama mia figlia?”

“Anche papà aveva il diritto di sapere come mi chiamavo, eppure non mi sembra che te ne sia importato molto.”

“Kary, cerchiamo di parlarne con…”

“No, mamma. Non ne parliamo affatto. Io non ho niente da dirti. Voglio solo che mi lasci in pace a vivere la mia vita. E se sei venuta qui a sapere se ti ho perdonata, del che ne dubito, puoi tornartene dritta a Sunnydale con la tua corte dei miracoli, perché non l’ ho fatto. Non credo che lo farò mai.”

“Katherine!”

“Mi dispiace, papà. O forse neanche tanto, non lo so. Quello che è certo è che ho detto la verità. Lo so che sarebbe molto più facile se facessi finta di niente, se dicessi che la capisco, che mi dispiace di quello che le ho detto e che la perdono. Ma non sarebbe vero, e non ho voglia di mentire. Può anche darsi che un giorno ci metta una pietra sopra, non dico di no, tutto può succedere: ma per ora non è così e voglio solo essere lasciata in pace. Parlo seriamente, mamma, vattene. Ho una nuova vita, e per adesso non voglio che tu ne faccia parte. Non puoi sempre aspettarti che tutti ti vogliano avere intorno: per una buona volta, lasciami essere felice senza starmi tra i piedi!”

Il silenzio avvolse la stanza: un silenzio greve, appiccicoso, nauseabondo. Le parole di Kary avevano una tale veste di sentenza definitiva che, per quanto sorpresi, rattristati, feriti o irritati, tutti rimasero zitti, drogati dal loro stesso silenzio, in un circolo chiuso.

La sola artefice di quel congelamento collettivo non ne era toccata. “Se adesso siete soddisfatti, io me ne andrei in camera mia.”

Spike colse la palla al balzo. “Posso venire con te? Voglio vedere in che razza di incubo ti hanno piazzata.”

“Per me non c’è problema, ma non dovresti chiederlo a qualcun altro, il permesso? Mio padre potrebbe avere da ridire alla presenza di un uomo in camera mia.”

“Spike è innocuo, non mi preoccupo. E comunque nel caso sai cosa fare.”

“Sicuro! Andiamo, zio, lasciamoli a scannarsi in pace.”

“Ehi! Se si devono scannare io resto qui a vederli! Vuoi che mi perda il divertimento?”

“Cosa? Vergogna! Preferisci uno spettacolo sanguinario a fare due chiacchiere con la ragazza che dicevi ti mancasse? Vatti a fidare degli amici!”

Il resto dello scherzoso battibecco andò perso nel chiudersi della porta.

 

 

Più che un incubo la camera di Kary era la realizzazione dei sogni più sfrenati di qualsiasi ragazza in grado d’intendere e di volere. Tanto per cominciare era ovviamente enorme, come ogni altra stanza lì in giro, ma le sue grandi dimensioni venivano ridotte dai mobili e gli oggetti di cui era stipata,

Il letto mastodontico ricoperto di cuscini e trapuntini colorati e leggeri, scrittoio, armadio, baule, librerie, cassettoni, tavolino da toeletta e altri mobili erano antichi ed eleganti, di legno più o meno chiaro rallegrato da pupazzi, stoffe, fiori, stampe e foto appese ai muri e da una miriade di oggettini di tutti i tipi sparsi un po’ ovunque, nel “casino organizzato” che Spike si era aspettato di trovare. Ma oltre alla comodità e all’eleganza, la stanza rivelava anche praticità, e l’influenza che aveva sul padre la ragazza che l’abitava. Infatti non mancavano i segni dei tempi moderni, nelle sembianze di un computer con tutti gli annessi e i connessi, stereo, telefono senza fili, televisore con videoregistratore, due mobiletti che straripavano di videocassette, cassette e cd e in un angolo addirittura un piccolo frigorifero. Una volta lì dentro si era in un piccolo mondo quasi autosufficiente, il vampiro non aveva dubbi che la porta su un lato conducesse a un bagno personale.

“Però! Sei sistemata bene!”

“Vero? Questa stanza l’ ho arredata tutta io come volevo, insieme a papà, è chiaro. E anche Cordelia ci ha dato una mano per un paio di cose. Non è venuta fuori una meraviglia? Per me è la camera più bella che potessi volere!” Intanto si era seduta sul letto, facendosi un nido tra i cuscini, mentre Spike girellava intorno.

“Adesso capisco perché sei tanto contenta di stare con tuo padre: ti vizia in maniera vergognosa! Dì un po’, qual è il regalo di cui parlavi prima? Un’intera città?”

“No, un’auto. Per i miei diciotto anni. Ti direi di darci un’occhiata, ma temo che questo sole non ti faccia bene.”

“Pure l’auto! E ci credo che stai bene qui! Io lo sapevo che finiva così… quello a dire di no non è mai stato bravo, figurati a dirlo a te che per spremere soldi al prossimo non ti batte nessuno! E col senso di colpa che avrà per aver abbandonato la sua povera figlioletta così a lungo… Quello si rovina, te lo dico io!”

“Nooo, Cordy lo ha convinto ad alzare le parcelle. E io l’ ho convinto che usare i quattrini che Angelus aveva imboscato in varie banche per mantenere la sottoscritta è un ottimo e nobile scopo per impiegarli. Quindi tranquillo, il conto in banca di papà è ben solido.”

“Non ne dubito, conoscendo il lato bastardo di tuo padre… Aspetta un attimo!” Si era avvicinato ad una mensola sopra lo scrittoio, ingombra di fotografie nelle loro cornici: c’erano la vecchia foto di Drusilla, immagini di Kary, di Jill e Simon, di quelli che dovevano essere i suoi nuovi amici, di Kary e suo padre, una foto di Faith fornita evidentemente da qualcuno del gruppo locale, una del verdino leggi-anime, una di una tizia bionda che gli sembrava di ricordare fosse una poliziotta che Angel conosceva, una di Wesley, di Gunn e la sua tipa, Fred o come diavolo si chiamava, una che lui stesso era stato obbligato a farsi fare e una che ritraeva Kary insieme a una bella ragazza dal sorriso abbagliante e gli occhi scuri. “Questa è Cordelia… ed è stata scattata di recente, ci sei anche tu… Com’è possibile? Sembra ancora una ragazza, eppure ne sono passati di anni…”

“Oh sì, quello! Un piccolo casino con un demone, tipo quello successo a mio padre e che ha dato il via alle danze. I due tipi di sangue si sono mischiati, ovviamente non è diventata niente di particolare, visto che era già umana, ma questa fusione l’ ha per così dire… ‘bloccata’ nel tempo. Insomma, in un colpo solo e per incidente si è ritrovata con immortalità ed eterna giovinezza annessa, senza controindicazioni come dieta a base di sangue e simili. Gli Oracoli hanno deciso che si trattava di un bene, visto che così si evitava un avvicendarsi di Guide per mio padre, e quindi le cose sono rimaste così. Quando papà avrà il suo Shanshu con conseguente umanità, anche Cordelia tornerà ad avere un ciclo vitale normale. Carino, vero?”

“Adorabile. Almeno per lei, ne sono sicuro.”

“Beh, per un po’ è stata dibattuta tra l’avere potenzialmente in eterno visioni e il non doversi preoccupare delle rughe. Ti lascio immaginare le conclusioni a cui è arrivata.”

“Non faccio fatica a farlo. Allora, ti vanno due chiacchiere?”

“Dipende dall’argomento. La vita sentimentale di papà? Io lo vedrei bene con Cordy, adesso poi che anche il problema ‘lui non invecchia – lei invece sì’ non si pone più, ma non ci spero troppo: sai com’è, grandi amici e tutto il resto… Un vero peccato, molto meglio lei come matrigna che Riley come patrigno. Ma non ho perso del tutto le speranze. Però mi sa che non è questo quello che ti interessa, almeno al momento. In ogni caso se vuoi convincermi a scusarmi con la mamma e/o a tornare a Sunnydale puoi anche lasciar perdere.”

“Rinfodera gli artigli, dolcezza. Certe prediche sterili non fanno per me. Volevo solo sapere se sei davvero felice in questa folle città.”

“Ho un padre che mi adora, una famiglia spassosa, dei nuovi amici, la coscienza che quelli vecchi non mi hanno dimenticata… Certo che sono felice, Spike! Sono davvero felice, credimi. E adesso voglio solo godermi questa felicità senza pensare a nient’altro.”

“Nessun rimpianto?”

“Altroché! Non essere venuta qui prima.”

 

 

“Katherine, sei pronta?”

“Quasi, papà. Tu che dici: pelle o jeans?”

“Quello che preferisci, io non saprei. E poi la pelle mi fa venire in mente ricordi non esattamente piacevoli.”

“Peccato, secondo me staresti benissimo, dovresti cercare di tornarci in buoni rapporti. Ok, vada per un compromesso: vinile. Aspetta cinque minuti.”

Dopo almeno il doppio del tempo richiesto, Kary uscì dalla sua stanza, liberando la treccia in cui aveva raccolto i capelli dal giubbotto porpora che si era messa. I pantaloni aderentissimi in vinile erano dello stesso colore della giacca, sotto cui si vedeva un top senza maniche e dal collo leggermente alto di un bel turchese vivo. Trucco dorato, grandi cerchi alle orecchie, stivali e microzaino neri completavano l’insieme.

“Allora? Come sto?”

“Avanti, Kary!” rispose una voce femminile, anticipando Angel. “Non dirmi che non hai ancora imparato che rivolgere una domanda simile a tuo padre è totalmente superfluo! Di moda ne capisce quanto un eremita e non ti direbbe mai che stai male anche se sei orrenda. Tanto vale risparmiare il fiato, no?” concluse Cordelia, con tutta la tranquillità di chi sa di apparire favolosa anche in un sacco della spazzatura, figurarsi in un bel vestito color panna come quello che indossava. “Bene, io vado a ritoccarmi il trucco: Kary, posso usare il tuo bagno? Almeno lì c’è uno specchio decente.” chiese, adocchiando significativamente Angel che tentò di assumere la sua aria più innocente.

“Sicuro, Cordy, accomodati. Noi andiamo di là, casomai finissi prima del prossimo anno…” Con un’amichevole linguaccia, Kary trascinò via il padre, conducendolo nel suo studio. Tuttavia, dopo che ebbe chiuso la porta, la sua espressione si modificò notevolmente, diventando molto più seria. Non era più protesa verso l’imminente serata, ma rifletteva su qualcosa che doveva preoccuparla. “Avanti, fuori il rospo. Hanno creato problemi?”

“No, non troppo. Buffy non ha mai desiderato di meno che non avessi un’anima in modo da potermi impalettare senza problemi, probabilmente, ma l’atmosfera non si è fatta troppo pesante, te l’assicuro.”

“Uffa, che strazio! Per una volta che sono felice dovevano arrivare quelli a rovinarmi tutto! Ma non poteva venire solo Spike che almeno certe cose le capisce?”

“Se tu avessi detto qualcosa, o scritto, non sarebbe successo niente.”

“Lo so, lo so, ho capito. Ma se vuoi che abbiano mie notizie dovrai provvedere tu, io non ci penso nemmeno. Con Spike e i miei amici posso tenermi in contatto, ma con la mamma no . Ed è definitivo!”

“Calmati, Katherine. D’accordo, ci penserò io. Ma non potrai andare avanti così per sempre, prima o poi dovrai perdonarla e andare avanti.”

“Non sta scritto da nessuna parte. Sto benissimo come sto adesso, grazie.”

“Prima o poi lo farai.”

“Perché?”

“Perché sei una ragazza intelligente. E hai un cuore buono, saprai perdonare.”

“Vorrei poterci credere anch’io, papà. Vorrei poterci credere anch’io… sfortunatamente temo che non sia così. In questo pare che io non ti assomigli molto…” Scrollò le spalle. “Comunque… gli hai detto niente?”

Angel le sorrise. “Tu l’ hai detto a Spike?”

“Non è questo il punto. Veramente, papà, gliel’ hai detto?”

“Non preoccuparti, non ho detto una parola, come ti avevo promesso. Ma vorrei che lo facessi tu.”

“Cosa?? Non esiste! Se glielo dico quelli ci piombano qui in dieci secondi netti! Vuoi che Riley mi arruoli di nuovo come cavia?”

“Non ci proverebbe nemmeno. E se anche ci provasse non ci riuscirebbe, te lo posso garantire.”

“Forse… Ma poi cosa vuoi che gli dica? Che vivendo a stretto contatto con te la mia parte vampiresca si sta risvegliando? Che per esprimere le mie caratteristiche di vampira occorreva un catalizzatore e che questo sei tu? Che la forza, i sensi e i tratti dei vampiri hanno cominciato a manifestarsi, anche se li controllo benissimo? Che ho iniziato ad allenarmi e venire a caccia con te? Oh, la mamma l’adorerà di sicuro! Già mi vedo lei e gli altri venire qui a dare di matto! Con ogni probabilità riuscirebbero a dare a te la colpa di tutto e proverebbero a riportarmi da loro! E io non ci penso neanche!!”

“Neppure io. Tu sei mia figlia, sei la cosa più importante che ho, non vorrei mai perderti. Ma tua madre ha ugualmente il diritto di sapere.”

“A lei non è mai importato dei diritti degli altri, però!”

“Tu non sei lei.” Quella risposta la spiazzò, cancellando le lacrime che il nervosismo aveva quasi liberato. “Tu sei una persona diversa, non devi essere uguale a lei o a nessun altro. Non comportarti pensando a lei o a quello che fa, preoccupati di quello che tu sei e senti. Promettimi solo di pensarci, d’accordo?”

“Vedrò quello che posso fare, va bene. Non sei arrabbiato con me, vero?” Lui era l’unica persona che non volesse fosse arrabbiata con lei.

“Non potrei mai esserlo, lo sai. Sono solo un po’… preoccupato, credo. Non starà cominciando a piacerti troppo la… nuova parte della tua natura?”

Kary sembrò concentrarsi e riflettere sulla domanda che il padre le aveva fatto, poi rialzò il viso e sorrise maliziosamente. “Ma nooo, papà! Come ti viene in mente?” Tuttavia, stavolta, il suo sorriso era adornato da due piccole zanne appuntite.

 

 

 

 

FINE