UNA BELVA IN FUGA

AUTRICE:ARTEMISIA

DISCLAIMER: I personaggi di AtS e BtVS non sono miei ma degli aventi diritto. La sottoscritta non scrive a fini di lucro, ma su consiglio dell’analista… Scherzo?!

E-MAIL: strixmisia@hotmail.com

RAITING: AU, PG-13

SPOILERS: Scrivendo su una serie mai trasmessa in Italia è normale che ce ne siano, ma tenete presente che l’autrice è completamente folle e ha cambiato più o meno tutto a suo piacimento.

 

N.d.A.: Le mie storie costituiscono insieme un universo alternativo o se preferite, una specie di serie parallela.

Molti avvenimenti sono stati cancellati, altri modificati completamente e spesso è stata cambiata anche la cronologia di tali avvenimenti.

Ciò che potrete prendere per errore o imprecisione è assolutamente voluto e ha un senso logico che potrà rivelarsi all’interno della stessa storia o in seguito.

Il carattere dei personaggi e la loro storia sono stati modificati, se non a volte completamente inventati.

Spesso saranno inseriti nelle storie dei flashback come ricordi dei personaggi, ma la “regola” è sempre la stessa: NON cercate più riferimenti a BtVS e AtS di quelli che troverete accennati perché, nella maggior parte dei casi, tutto sarà modificato dalla mano psicotica della sottoscritta!

Il protagonista pressochè assoluto di questo universo parallelo è Angel e il periodo è quello successivo alla sua partenza da Sunnydale, quindi le storie sono ambientate a Los Angeles. Per il resto avrete notato che l’autrice è piuttosto prolissa e se non siete già crollati dal sonno nel leggere queste note, allora… In bocca al lupo a voi, temerari lettori! Baci, Misia.

 

NOTE TECNICHE: i ricordi sono inseriti tra gli asterischi ***

RINGRAZIAMENTI: al webmaster per l’ospitalità, alle persone che mi hanno appoggiata e a tutti i coraggiosi che vorranno leggere questa fanfiction.

 

 

 

 

 

Il suo passo spedito rallentò alla vista della porta scardinata e affacciatosi sulla soglia ormai sgombra, si soffermò dall’alto del primo gradino a scrutare cosa stesse accadendo.

Vicino a quella che Cordelia chiamava sarcasticamente la ‘sala d’attesa’ e che altro non era che due basse poltroncine imbottite, rivestite di ruvido, pesante cotone nero, inequivocabilmente anni settanta a ridosso della parete, era stata poggiata a terra la porta e due operai vi stavano armeggiando sopra di buona lena.

Doyle scese i gradini con cautela e dribblando lievemente i due lavoratori, avanzò verso la bruna piuttosto confuso, continuando di tanto in tanto a guardare il lavoro che stavano eseguendo.

« Ciao, Doyle »

« Ciao… Si può sapere che stanno facendo quelli là? » chiese indicando col pollice alle sue spalle. La ragazza guardò brevemente dietro di lui e con ovvietà « Stanno smontando la porta. Ehi! Ehi, lei! È Angel Investigations, NON Angel’s Investigation. Stia attento! »

« Sì, signorina »

Rispose l’operaio con aria estenuata. Non doveva essere la prima volta che Cordelia gli diceva di fare attenzione…

Doyle si voltò ad osservare, stavolta con cura, il lavoro che stavano compiendo. Corrugando la fronte con serietà « Hai fatto levare il vetro oscurato? »

« Sì. Per sostituirlo con un altro che avesse sopra il nome dell’agenzia… Vedi? »

Rispose mostrando la lastra di vetro su cui stavano cesellando appunto -Angel Investigations-.

Il mezzo demone abbassò le spalle come sollevato e sorridendo « Ah… Ora capisco. Hai fatto levare il vetro oscurato per metterne un altro che… Non lo è! »

« Non lo è cosa? »

« Oscurato! Il vetro non è oscurato! »

« No, ma è appannato »

« Non è mica la stessa cosa! Ti rendi- »

Realizzando che il suo tono di voce era troppo alto, lo smorzò per non essere sentito dagli operai e dopo essersi guardato intorno furtivamente, fissò Cordelia contrariato, riprendendo il discorso interrotto « Ti rendi conto di quanto sia pericoloso per Angel? »

« Doyle come sei tragico! Sul vetro oscurato il nome dell’agenzia non si leggeva e non potevamo andare avanti con quella targhettina microscopica. Metteremo una veneziana come quelle alle finestre. Poi con duecento e passa anni che… »

« SSHHSHH! »

L’ammonì con gli occhi fuori dalle orbite, lei fece una smorfia come per dargli del paranoico e a voce bassissima continuò « Dicevo… Con duecento e passa anni che ha, non morirà per un vetro appannato no?! Tra l’altro è anche antiproiettile! »

« Non credo che Angel sarà felice di tutto questo. Tanto più che col baccano che stanno facendo, rischiano di svegliarlo »

« Sciocchezze! Quando siamo andati via erano le due passate e lui non era ancora rientrato, starà dormendo come un sasso. E per quanto riguarda il vetro, Angel arriva sempre quando il sole è tramontato ed è praticamente buio. Non ci farà caso, vedrai »

Doyle diede un’altra rapida occhiata agli operai e al loro lavoro, annuendo poco persuaso.

 

 

 

« Il vetro della porta non è oscurato »

Dichiarò Angel dalla soglia del suo ufficio, entrando in agenzia a buio appena inoltrato, facendo voltare di scatto Doyle e Cordelia.

« Ciao anche a te! È possibile che tu entri facendo un po’ di rumore per non ‘infartare’ gli altri? »

« No. Credo che non sia possibile e il vetro della porta continua a non essere oscurato… Perché? »

Il mezzo demone sussurrò alla ragazza « Avevi ragione. Non ci ha proprio fatto caso… »

La bruna, in risposta, sbuffò verso la sua parte poi si diresse alla porta e aprendola, mostrò ad Angel la scritta incisa sul vetro con un orgoglioso sorriso.

« Così è più facile rintracciarci »

 

Balenando sulla nuova insegna, una luce improvvisa rischiarò il cielo seguita immediatamente dal rombo profondo di un tuono. A quanto pareva, l’acquazzone che il cielo aveva promesso per tutto il giorno, aveva finalmente deciso di venire giù.

Facendo una smorfia « Sarà meglio che tu chiuda, prima che piova dentro »

Cordelia richiuse immediatamente la porta, poco propensa all’idea di dover passare lo straccio per terra una seconda volta, dopo averlo già fatto in seguito al passaggio degli operai, mentre Angel, del tutto disinteressato alle variazioni climatiche, continuò seccamente contenuto « Sbaglio o avevamo una targa? »

« Angel, quella targa non si vedeva neanche con la lente d’ingrandimento. Questa invece si nota. È leggibile a distanza. È chiara- »

« Come la luce del sole. Posso dedurre, quindi, che il baccano che mi ha impedito di dormire stamattina, fosse per la sostituzione del vetro »

« È un vetro antiproiettile »

« Utile. Considerato soprattutto che certi tipi di demone, hanno come arma più sofisticata una bipenne »

« Come ti pare! Resta il fatto che gioverà alle nostre pubbliche relazioni »

« Questo pomeriggio ci hanno contattato per due casi. Sembrano promettenti… Ti va di dare un’occhiata? »

Saltò su Doyle di punto in bianco, con l’evidente scopo di cambiare argomento, disperatamente fiducioso di riuscire.

 

Il suo intervento non era stato dettato dalla primaria intenzione di difendere Cordelia.

Lei non aveva certo bisogno di essere difesa. Sicuramente non da Angel, poi. E tra l’altro, se c’era qualcuno che non aveva paura di Angel come lui, quel qualcuno era proprio Cordelia.

La realtà era che i suoi nervi non sopportavano quelle scene.

Angel comprese e si diresse verso la scrivania della ragazza, dove il mezzo demone era seduto, dichiarando solenne « E così è scritto: alcuni moriranno trafitti dai paletti, altri per l’acqua santa e un solo idiota tirerà le cuoia per le pubbliche relazioni… »

« Domani comprerò una veneziana, ok?! »

Detto questo, prese le cartelle dei due casi cui Doyle aveva accennato e fece per passarle ad Angel, quando la porta dell’agenzia fu aperta bruscamente da una ragazza piuttosto alta.

 

Aveva gli occhi di un celeste cristallino e dei capelli biondo chiaro che le illuminavano il viso, leggermente inumiditi dalla pioggia.

Si soffermò sul primo gradino appena un attimo, giusto il tempo per una rapida panoramica che le confermasse l’assenza di estranei e dopo quel brevissimo istante, si era già chiusa la porta alle spalle, dato un saluto generale e avviata verso di loro.

Parandosi di fronte al vampiro « Credo di avere tra le mani un’altra grana paranormale »

 

*******

 

 

La musica era assordante e il suo ritmo martellava rimbombando nella cassa toracica già dalla scalinata.

Il locale era piuttosto grande, ma la maggior parte della sua imponenza era dovuta all’altezza smisurata dei soffitti, perché per il resto le due sale adiacenti erano normalmente ampie.

Le colonne e parte delle pareti erano realizzate in finto marmo di stucco, su cui spiccavano infiniti tubi al neon. Neon azzurri e fucsia da tutte le parti.

Una rivisitazione anni ottanta del neoclassicismo che rendeva il D’Oblique uno dei locali più pacchiani che Angel avesse visto nell’ultimo quarto di secolo, ma anche uno dei locali per singles più rinomati e frequentati di L.A. e per disgrazia, il locale identificato da Doyle in una delle sue visioni.

 

Fermi a circa metà della scalinata, i tre contemplavano la folla che si stendeva di sotto a loro e a cui avrebbero dovuto mescolarsi di lì a pochi istanti.

« Vedete forse qualcuno che potrebbe essere disperato o aver bisogno d’aiuto? » fece Angel.

« Sì. Tutti quanti »

Affermò Cordelia senza smettere di scrutare la sala, con un’espressione che era tutto un programma.

Doyle si riscosse e battendo sonoramente le mani « Beh, se rimaniamo qui tutta la sera, non otterremo un granché… »

Il mezzo demone e la bruna cominciarono a scendere le scale, quando il primo si voltò verso il vampiro, che continuava a rimanere immobile e a fissare un punto preciso della sala.

Avvicinandosi « Uomo… Perché quella faccia? »

« È qui »

« Chi, la bionda che ti sta sempre in mezzo ai piedi? » chiese la bruna raggiungendoli.

« Sì »

« E qual è? » domandò il mezzo Bracken compiendo con lo sguardo una panoramica della zona a cui si rivolgeva Angel.

Con un lieve cenno del capo « Quella col vestito azzurro seduta al bancone »

Doyle e Cordelia guardarono a loro volta in direzione del bar.

 

La bionda che stava sempre in mezzo ai piedi di Angel, era veramente bella.

Aveva un’aria distaccata e cercava di darsi un contegno estraendo ed affondando la cannuccia nel bicchiere alto da cocktail che le era di fronte sul ripiano, affianco alla pochette color carta da zucchero che era in perfetto pendant col suo abito aderente, ragionevolmente corto, smanicato e con lo scollo a barca.

Sembrava a disagio, tuttavia aveva un’aura così algida a circondarla che Cordelia domandò « È umana? »

« Non lo so. L’ho sempre vista alla distanza »

« Lei ha visto te? » fece Doyle.

« Credo di no »

« Allora perché non vai a farci due chiacchiere? » gli propose Doyle scrollando le spalle.

Il vampiro si girò verso di lui allibito, degnandolo finalmente di uno sguardo e l’altro, con calma olimpica « Sono dell’avviso che le cose non accadono mai senza un motivo, soprattutto se accadono a ripetizione. Potrebbe essere lei la persona che dobbiamo aiutare, così come potrebbe essere lei quella da eliminare. Risparmieremmo un sacco di tempo e di noie, se tu le parlassi e lo scoprissi... »

Angel continuava a guardarlo senza muovere un passo, al che il mezzo demone roteò gli occhi al cielo « Allora? » E piegandosi brevemente sulle ginocchia per darsi slancio seguitò « Vai e socializza! I vampiri, se non altro per questioni di necessità, sono demoni molto affabili e salottieri e sono certo che dietro a quell’aria austera, in qualche secolo remoto, anche tu hai avuto un passato mondano, quindi, rispolveralo! »

Il vampiro inarcò un sopracciglio con un’aria che era tutto fuorché persuasa o divertita, malgrado ciò si mosse per andare a parlare con la bionda.

 

Rimasti soli « Sei sicuro che sia stata una brillante trovata? »

« Perché no? Se è coinvolta in qualche modo nella visione, è davvero tutto tempo guadagnato. E se così non fosse… Io la trovo decisamente carina, tu no? »

« Indubbiamente. Ma non mi da l’idea di una che cade lunga distesa facilmente, nemmeno di fronte agli occhi nocciola del nostro bel tenebroso. E parlando di lui… Secondo me sbatti la testa contro un muro, cercando di fare la sensale con Angel, Doyle »

« Poco male. Tanto è bella dura… »

 

 

Avrebbe giurato di essere stato lui ad attaccare bottone con lei, ma adesso non ne era più tanto sicuro.

La conversazione che stava avendo con Kate, ammesso e concesso che si chiamasse realmente così, era una conversazione perfetta.

Troppo perfetta.

Come lo erano solo quelle che dovevano portare da qualche parte. Solitamente alla conoscenza approfondita della persona che si aveva di fronte e in questo Doyle aveva avuto ragione assoluta.

Lui ne sapeva decisamente qualcosa.

La ragazza era completamente umana, ma sul fatto che essa potesse rappresentare un pericolo o no, aveva ancora dei forti dubbi.

« E così, Kate, tu cosa fai per vivere? »

« Sono un’impiegata statale. E tu? »

« Io… beh, per semplificare, diciamo che aiuto la gente »

« Un assistente sociale… Quindi un impiegato statale anche tu »

« Non esattamente. Diciamo… Ecco, diciamo che sono un volontario »

La ragazza sollevò il mento con un finto moto di sorpresa e con ironia « Sempre per semplificare? »

Ma prima che lui le potesse rispondere, lo schianto di una sedia sul pavimento attirò la loro attenzione, facendoli scattare in piedi all’unisono per poi osservarsi con sospettosa circospezione.

 

E bravi.

Si erano rilassati abbastanza entrambi da uscire allo scoperto senza pensarci due volte.

Possibili attenuanti…

Rumore improvviso, spavento, curiosità…

Erano tutti e due immobili che si guardavano con indosso un sorriso imbarazzato di maniera da manuale.

Beh, se lei non era intenzionata ad intervenire o anche solo a dare un’occhiata, che motivo aveva lui di muovere anche solo un passo in quella direzione?

L’individuazione di Doyle e Cordelia nel cuore della rissa, gli parvero una ragione più che convincente.

 

 

Disinvoltura e discrezione.

Queste erano le parole che Doyle aveva usato quando erano scesi dalla macchina, prima di entrare nel locale.

Queste erano le parole che vennero in mente ad Angel quando mise knock-out l’ultimo bellimbusto.

Girandosi verso la sua guida « Disinvoltura e discrezione… Dove hai lasciato quest’ultima? Al guardaroba? »

Tamponandosi col palmo della mano lo zigomo sinistro, che stava assumendo una notevole tonalità violacea « No. Mi è schizzata fuori dalla testa dopo che ho dato una craniata a quello con la giacca a scacchi »

« Tieni »

Fece Cordelia con un sorriso, passandogli una salvietta di stoffa ripiegata su dei cubetti di ghiaccio.

Doyle ricambiò il sorriso e accostandosi con una smorfia il ghiaccio alla contusione « Ho un’aria molto atroce? »

« No… Cioè, un po’, ma… Mettila così, il viola fa risaltare l’azzurro dei tuoi occhi…! »

« Ottimo. Perché era proprio l’effetto che speravo di sortire » e girandosi verso il vampiro « Scoperto niente? »

« È umana »

Il mezzo demone, stringendo le labbra in una smorfia di comprensione replicò « Tutto qui. Siete stati un mucchio di tempo a parlare e l’unica cosa che hai scoperto è che è umana? Alla faccia della discrezione! Hai raccolto la mia da terra?! »

Scoccandogli un’occhiata di striscio « Voi invece? »

Seguì un silenzio molto eloquente, che fece esordire Angel con un sarcastico « Illuminante davvero… » per poi voltarsi a dare una panoramica dei clienti che rimanevano nel locale, mentre Doyle « Non è colpa nostra. Prima che potessimo darci alle ricerche come si deve, Principessa è stata abbordata da un balordo. Che avrei dovuto fare? Lasciar perdere e farmi i fatti miei? »

« Ovvio »

Rispose lapidario il vampiro dandogli le spalle.

« Come hai detto scusa?! »

Gli occhi del mezzo demone erano fuori dalle orbite almeno quanto era spalancata la bocca di Cordelia.

Scuotendo la testa « Io avrei fatto sicuramente così »

« Ma ti sei impazzito per caso?! » e rivolgendosi a Doyle « Per favore, saresti così gentile da dare una testata anche a lui? »

Ancora inebetito dalla risposta del suo pupillo, scosse la testa « È troppo alto, non penso che ci arriverei e poi… Non posso credere che l’abbia detto sul serio »

Entrambi si girarono a guardarlo e videro che sollevava una mano in segno di saluto, rivolto in direzione della scalinata.

Sui gradini, in dirittura dell’uscita, era la bionda.

 

In qualche modo si era sentita osservata, si era voltata e l’aveva visto in piedi, nel mezzo della pista tra clienti, buttafuori e tavolini rovesciati che la fissava assorto, così gli aveva rivolto un sorriso.

Uno strano sorriso.

Un sorriso sicuro. Come se avesse saputo qualcosa che a lui sfuggiva ancora e sollevando una mano l’aveva salutato.

Doyle e Cordelia avevano fatto appena in tempo a vederle riabbassare il braccio.

Scuotendo nuovamente la testa, il vampiro si girò verso i due « Anch’io, al posto suo, avrei colto la prima occasione e me ne sarei andato… Comodo, utile »

I due si guardarono abbassando le spalle.

Il vampiro aveva semplicemente riflettuto a voce alta e sicuramente non aveva sentito un bel niente o quasi di ciò che gli aveva detto Doyle. Infatti, corrugando la fronte « Cosa stavi dicendo? »

 

 

Nelle due settimane successive, sui quotidiani all’interno delle pagine di cronaca riservate alla città, opportunamente incastrati fra notizie di rilievo maggiore, erano apparsi tre trafiletti su tre differenti persone scomparse misteriosamente.

In comune a queste tre persone, risultava soltanto la frequentazione della stessa zona della città e l’abitudine di bazzicare un locale per singles di cui era stato omesso il nome.

Il fatto che i tre scomparsi frequentassero la stessa zona, sarebbe stato di per sé già abbastanza indicativo. Soprattutto in una città come quella degli Angeli che si estendeva per oltre 150 km, e la Angel Investigations al completo, avrebbe potuto affermare senza esitazione che il locale per singles, sicuramente altri non era che il D’Oblique.

 

In seguito ad alcune chiarificanti visite all’obitorio, avevano scoperto inoltre, un’altra caratteristica comune ai tre scomparsi. Erano morti.

Morti eviscerati per la precisione.

Ed erano cinque in tutto, contando altri due di cui la stampa non aveva parlato, se si voleva essere proprio puntigliosi.

Il tipo di eviscerazione, che faceva più pensare a una liquefazione degli organi che ad un’esportazione di essi, sommato ad alcuni residui di liquidi organici che per consistenza, colore e odore non avevano niente da spartire con quelli umani, avevano ricondotto le ricerche a una tipologia di demoni che per sostentamento, utilizzassero quel genere di procedimento.

Per Cordelia il vincitore era un demone dal nome impronunciabile, la cui immagine lo ritraeva con una corona di budella sulla testa. Per Doyle il trionfatore era di origine indiana con il più pronunciabile nome di Piasca.

Le ricerche tuttavia continuavano e alla fine i risultati erano stati ridotti, per affinità con le circostanze di decesso delle vittime, a cinque.

Tutti demoni parassiti che utilizzavano il corpo umano come mezzo di sostentamento e dimora, finché non ne trovavano un altro da sfruttare.

Non c’era affatto da stupirsi che frequentassero locali per singles, quindi. Le possibilità di un incontro a ‘lieto finÈ, crescevano da una a dieci in posti come quelli…

 

 

Suo malgrado, Angel era diventato un abitueè del D’Oblique.

E aveva ritirato fuori con più facilità del previsto, il famigerato passato mondano a cui aveva accennato Doyle e che credeva di aver seppellito tanto accuratamente quanto a fondo.

Avvicinarsi e socializzare era di una semplicità disarmante, soprattutto in un luogo come quello, dove le persone erano più spaventate all’idea di non incontrare nessuno che di incontrare qualcuno di dubbio o di pericoloso.

E lui, se voleva, sapeva essere così rassicurante e piacevole…

 

Esattamente come il demone che stavano cercando.

 

L’essersi associato all’essere che stava braccando lo risvegliò.

Ma bruscamente, in modo davvero sgradevole.

Lo disgustava profondamente associarsi a certe razze, così come lo disgustavano profondamente alcuni appartenenti alla sua stessa genia.

I vampiri erano ad un altro livello per potersi comportare solo come bestie affamate. Come alcune ridicole e insultanti caricature letterarie e cinematografiche.

Ciò nonostante, il ritrovarsi in una situazione così nuova e familiare a un tempo, l’aveva disorientato in modo non indifferente.

 

Paura, eccitazione, timidezza, speranza, desiderio, sicurezza…

Tutto e tutto insieme.

Se non canalizzava la sua attenzione solo su una persona, l’interezza di emozioni e odori che saturava il locale, lo sovrastava e si frangeva su di lui come un’ondata violenta, facendolo sentire meravigliosamente vivo. Straordinariamente vivo.

… pericolosamente, anche.

Al punto da dover lasciare il locale.

 

Non era il preservare il mondo dalla sua presenza, ma l’auto-preservarsi da se stesso che dopo quasi un secolo, anche se per ragioni diverse, gli risultava ancora complesso se non impossibile.

 

La serata sembrava preannunciarsi identica a quelle delle ultime due settimane.

Dato che comunque tutte le vittime erano frequentatori abituali del D’Oblique, altro non gli restava da fare che accomodarsi su uno sgabello al bancone, bere qualcosa e tendere i sensi nella speranza che uno dei cinque fortunati estratti alla lotteria di eviscerazione demoniaca, decidesse di traslocare nel cuore della notte, recandosi al night club alla ricerca di un ‘monolocale’ adatto.

Era già rassegnato a quella prospettiva, quando un ragazzo si fece largo affianco a lui domandando al barman che fine avesse fatto un certo Kevin, dato che non si era visto al lavoro e non rispondeva al suo cellulare.

Questi gli aveva risposto che il ragazzo non si era ancora visto quella sera, ma che la notte prima, era uscito appena ad inizio serata con una bionda sempre sulle sue e che lei era stata lì fino a dieci minuti fa, ma che era arrivata sola ed era uscita con un altro ragazzo ancora.

Angel stava per intromettersi azzardando a fare un nome, il nome di Kate, ma prima che potesse farlo, il ragazzo aveva storto il naso invocando entità superiori che gli dicessero che non si trattava di una ragazza di nome Sharon Richler.

Il barman aveva confermato con un sorriso di sbieco solo pochi istanti prima, che Angel aveva consultato l’elenco telefonico ed era già fuori dal locale, diretto a casa della Richler.

 

Poteva anche aver preso un abbaglio, ma il fatto che avesse potuto forzare la porta ed entrare tranquillamente, gli disse a chiare lettere che non era così e che anzi, era arrivato tardi.

Entrando nella camera da letto, ebbe un’ulteriore conferma.

 

Il ragazzo bruno e smilzo che gli dava le spalle, si stava infilando un maglione mentre una coda scura e squamosa finiva di penetrare nella sua schiena.

Splendido. Un Burrower.

Avrebbe dovuto interrompere le funzioni vitali del corpo umano, aspettare che quella sorta di girino fuoriuscisse dal corpo e poi dargli fuoco, che era l’unico modo per ucciderlo. E dato che quello era uno dei pochi modi in cui anche lui poteva morire, la cosa non lo esaltava per niente.

Avrebbe dovuto essere cauto, ma soprattutto lesto nel bruciarlo. Dopo la fuoriuscita dal corpo umano, supponeva che il Burrower avrebbe avuto alcuni istanti di stordimento, se non approfittava di quelli, non aveva la minima idea di come avrebbe potuto reagire quella creatura per difendersi.

 

Il demone, sentendo la sua presenza nella stanza, si voltò di scatto, giusto in tempo per prendere in piena faccia il calcio di Angel e cadere a terra riverso.

Più semplice del previsto. Adesso non gli restava che spezzargli l’osso del collo e…

« Fermo dove sei »

La pistola era spianata davanti a lui e la impugnavano le mani di Kate.

 

Aveva appena escluso un coinvolgimento da parte della ragazza in tutta quella faccenda, catalogando la sua presenza nei luoghi poco raccomandabili dove l’aveva vista come fortuita, o comunque sia innocua e adesso…

« Cosa ci fai qui? »

Lo sguardo di Angel era duro allo stesso modo della bionda.

« Ti ho seguito dal locale »

« Mi hai… Si può sapere chi diavolo sei? »

Mettendo da parte l’irritazione per essere stato pedinato, senza accorgersene e per di più da una semplice umana, era giunto il momento di sapere che parte avesse Kate non solo in quella storia, ma in generale con quella realtà che solitamente la gente ignorava.

La ragazza abbandonò con una mano la pistola, solo per frugare in una tasca posteriore dei suoi jeans chiari e tirare fuori un tesserino.

« Kate Lockley. Detective del dipartimento di polizia di Los Angeles e lascia che te lo dica, sei in un mare di guai e dovrai spiegarmi un mare di cose »

 

Catalogare la presenza di Kate in alcuni posti come fortuita, non era stato un completo errore.

Come poliziotta era logico che frequentasse determinati locali e sobborghi, così com’era altrettanto probabile che ignorasse quanto fosse ‘promiscua’ la popolazione della Città degli Angeli, soprattutto in certe zone.

Il vampiro distese i tratti del volto, abbassò le spalle e con calma « Ascolta. Se quello che pensi su di me, è l’equivalente di quello che pensavo io su di te, stai prendendo una sonora cantonata… Cara la mia impiegata statale »

Rimettendosi il tesserino in tasca e tornando a mantenere la pistola con entrambe le mani « Oh, ma io l’ho già presa, caro il mio volontario. I posti che frequenti di solito sono molto lontani da Beverly Hills e i suoi locali e anche le persone con cui ti ho visto parlare sono parecchio discutibili. Ti credevo il tirapiedi di qualche gang, un informatore, forse anche uno spacciatore, qualcosa del genere insomma. Invece guarda un po’ quanto ero distante dalla realtà delle cose... »

Concluse dando una rapida occhiata alla ragazza morta che era ancora sul letto avvolta dalle lenzuola, ed al ragazzo che era svenuto fra loro ai piedi del letto, dopodiché tornò a guardare Angel con un misto di rabbia e avversione.

« Senti… » l’ammonì con un tono di voce così basso dal rasentare un ringhio. Per tutta risposta lei tolse la sicura alla sua pistola e con aria ingenua, scosse la testa domandando cordialmente « Cosa? »

 

Non era così irritato da parecchio tempo e credeva che il fondo fosse ancora lontano da sfiorare, ma con un po’ di impegno, lei lo avrebbe certamente aiutato a raggiungerlo.

Mentre pensava a tutto questo, il Burrower mugolò ancora sdraiato a terra, attirando la loro attenzione.

Il tono di Angel cambiò, diventando urgente « Senti. Non è come pensi e- »

« Non attacca »

« Forse le mie motivazioni no, ma quello sì e quando avrà ripreso i sensi, non avrai una bella sorpresa »

« Ah, sì? »

 

Il dolore li pervase quasi all’unisono.

Mentre la pistola compiva un’incredibile parabola in aria, la spina dorsale e la testa di Kate, ebbero un incontro ravvicinato e doloroso con lo stipite della porta.

Stordita e a terra, oltre alle stelle riuscì a vedere in modo sfuocato Angel che si accasciava a terra dopo aver incassato un calcio violentissimo, che sicuramente gli aveva incrinato lo sterno.

Rapidamente si guardò intorno alla ricerca della pistola, quando un rumore secco la fece voltare di nuovo.

Il corpo di Angel era ricaduto completamente a terra, mentre quel ragazzo teneva ancora la testa fra le sue mani. Gli aveva spezzato il collo.

 

Gli aveva spezzato il collo e lei non riusciva ancora a scorgere la pistola…

« Mi dispiace » le disse il ragazzo.

Aveva il naso completamente spappolato, gli zigomi viola e il labbro rotto, frutto del calcio che gli aveva sferrato l’altro quando era entrato nell’appartamento.

Kate lo guardò fissamente e cercò di rassicurarlo con una voce tradita dalla tensione « Non fa niente »

« Invece sì » sbottò l’altro furibondo « Voi umani siete così superficiali, così stupidi e ottusi. Anche essendo perfetti, ci vuole del tempo per trovare qualcuno e chi mi lascerà avvicinare, così? »

Chiese indicandosi il viso, girandosi poi a guardarsi nello specchio appeso alla parete.

« Nessuno »

Affermò con disappunto. Dopodiché si rivolse nuovamente a lei e mentre si sfilava il maglione « Mi dispiace, ma non ho scelta »

All’altezza dello stomaco, la pelle si stava disfacendo, rivelando lentamente una specie di voragine.

Kate dilatò gli occhi e cercò di indietreggiare, trovando alle sue spalle solo la parete.

Il ragazzo le era quasi completamente davanti, nel momento in cui sentì un altro rumore secco e il suo campo visivo captò un’ombra rialzarsi.

Due secondi dopo la creatura cadde a terra a causa di una gomitata all’orecchio che gli aveva sferrato… Angel?

 

Era lui, ne era certa ma… il suo viso era cambiato.

La parte superiore del suo volto si era distorta.

Ai lati degli occhi, partendo appena da sopra gli zigomi, era come se la struttura ossea fosse mutata tendendosi verso l’alto. La pelle si era tesa tutta intorno alle cavità oculari per aggrottarsi nella convergenza delle sopracciglia, nascondendo lievemente gli occhi stessi.

Occhi le cui iridi erano sfumate dal nocciola a un impossibile giallo sulfureo.

E la sua bocca.

La sua bocca socchiusa dalla quale si rivelavano dei canini acuminati e si intravedevano degli incisivi altrettanto taglienti.

Eppure era lui, senza dubbio.

 

 

La zuffa non fu molto lunga, ma decisamente intensa.

Molto probabilmente, il fatto che fosse riuscito ad atterrarlo con tanta facilità all’inizio, era dovuto al fatto che il Burrower non si era ancora stabilizzato completamente all’interno del suo nuovo corpo.

Per la terza ed ultima volta, nella stanza si udì uno schiocco secco.

Kate espirò quel poco d’aria che le era rimasta nei polmoni mentre Angel, di nuovo col suo volto, si recava in un’altra stanza.

Quando rifece il suo ingresso, era armato di vodka e di una scatola di fiammiferi.

Si piantò davanti al corpo del ragazzo e quando il demone guizzò fuori dal cadavere, lo innaffiò con il liquore e gli buttò addosso un fiammifero, ponendosi immediatamente a distanza di sicurezza.

Il Burrower si agitò appena, spirando pochi minuti dopo sotto gli occhi di una Kate ammutolita e di un Angel che andava e veniva, sistemando in giro.

Nel momento in cui il demone cessò di abbrustolire, il bruno si avvicinò con un telo di spugna in mano e con cautela vi ci avvolse i resti e gli stracci con cui aveva ripulito il pavimento.

« Stai bene? » le chiese continuando ad occuparsi delle spoglie della creatura e non ottenendo risposta, si voltò a guardarla « Ti ho chiesto, stai bene? »

« Ho l’aria di una che sta bene? »

« Te l’ho detto che avevi preso una cantonata sul mio conto »

« Definire la mia, ‘cantonata’, è come chiamare ‘crepa’ la faglia di S.Andrea… »

Angel le rivolse allora un sorriso, identico a quelli che gli aveva fatto lei. Sicuro che se c’era qualcuno fra loro due che sapeva qualcosa che all’altro sfuggiva, quel qualcuno era senz’altro lui di nuovo.

Si. Le cose potevano ritenersi ancora al loro posto…

Mentre si rialzava « Si può sapere cosa diavolo sei? »

« Andiamo. Non mi dirai che non hai mai visto un film dell’orrore… » e guardando la sua espressione, ritornò serio. « Ci crederesti davvero, solo se te lo dicessi io però »

« Penso di sì »

« Sono un vampiro, Kate »

La ragazza prese un respiro profondo guardando nel vuoto. Tornando a fissarlo « E quello cos’era »

« Ha importanza? » la interrogò dubbioso.

Gli umani generalmente non volevano sapere per davvero determinate cose.

Le reali, tangibili presenze nella notte, diventavano sempre e solo pallidi incubi per coloro che si risvegliavano al mattino… Fossero nel loro letto o meno.

 

« Sì, dal momento che è entrato nella mia vita e voleva entrare nel mio corpo »

 

La sua voce, il suo sguardo.

Lei non solo voleva sapere, ma voleva anche rifletterci sopra.

La guardò con occhi diversi e anche il suo modo di rivolgersi a lei cambiò.

« Un Burrower. È una razza di demoni che riesce a vivere solo col supporto di un corpo con determinate caratteristiche »

« Quali »

« Nel senso, perché ha puntato te e non me? »

« Anche »

« Il corpo deve essere vivo, il mio lo è solo fino a un certo punto »

 

Stava ancora metabolizzando il tutto quando si sentì chiedere « Con o senza vestiti? »

« Cosa?! » Ribatté lei con gli occhi fuori dalle orbite.

« Il ragazzo. O meglio, quel che ne resta. Cosa sarebbe più credibile per la scientifica? Con o senza vestiti? Io direi senza, ma sei tu la poliziotta… »

Kate si appoggiò alla parete con una mano sul fianco e l’altra sulla fronte dando una panoramica della stanza.

« Senza. Sicuramente senza »

Il vampiro annuì e fermandosi a guardarla « Mi daresti una mano? »

 

*******

 

 

Kate Lockley era forse una delle persone più razionali che Angel avesse mai conosciuto.

La scossa che doveva aver subito nello scoprire che il mondo non era esattamente quello che conosceva, non doveva essere stata trascurabile. Tuttavia, proprio a causa della sua razionalità, dopo un primo momento di comprensibile défaillance, Kate si era lasciata guidare in quella nuova realtà.

Non sarebbe stato da lei adottare una politica da struzzo, ingollando un paio di valium con un po’ di gin e giustificare l’accaduto con –Chissà che accidenti avrà messo quel barista nel mio drink….-

Così, appena due settimane dopo il fatto, si era presentata in agenzia con una bracciata di cartelle contenenti casi che non avevano mai avuto un senso, molta voglia di capire e un accordo implicito per cui lui le avrebbe spiegato ciò che non era umanamente comprensibile e lei avrebbe omesso massicci dettagli nei rapporti che stilava. Primo fra tutti la sua esistenza e per quanto possibile, quella dell’agenzia.

 

Adesso era lì che lo fissava accigliata. Come sempre quando le capitava qualcosa di più anomalo del solito.

Non che ce l’avesse con lui. Almeno non proprio.

Una lievissima, insolita e occasionale parte di lei, quella irrazionale, lo accusava di averla fatta finire nel pieno di –Ai confini della realtà-. Da quando si era imbattuta in lui, sembrava che tutte le assurdità del mondo le capitassero sotto il naso…

Finite quelle piccole parentesi insensate però, Kate era abbastanza onesta intellettualmente per rendersi conto che da quando aveva conosciuto Angel, semplicemente riusciva ad individuare ciò che gli altri potevano classificare come oscuri disegni del destino, per quello che erano effettivamente.

Nient’altro che realtà alternative ancora non concepibili a quella umana.

 

« Cosa è successo, Kate? »

Le domandò stando seduto sul bordo della scrivania di Cordelia, facendole cenno di accomodarsi in una delle sedie che gli erano di fronte.

Kate rifiutò cortesemente il suo invito e fece rapidamente memoria per illustrargli la situazione nel migliore dei modi.

Sapendo perfettamente che se esisteva qualcuno in grado di darle una risposta a quanto era successo, quello era il vampiro e di conseguenza non era il caso di tralasciare il benché minimo particolare.

 

 

La catena di danni era partita da una stazione degli autobus con una rapina, ma dato che il rapinato aveva a suo carico una serie di denunce per molestie, si era guardato molto bene dal denunciare il furto.

Se avesse descritto il rapinatore poi, con molte difficoltà qualcuno avrebbe preso le sue difese, anzi, sicuramente ne avrebbe riso valutando l’esistenza di una qualche giustizia divina.

Da lì era proseguita con il furto con scasso di un negozio di abbigliamento a tarda notte.

Nessun sistema interno di telecamere, nessun contatto telefonico diretto con la polizia, soltanto un allarme la cui sirena rassomigliava tanto come intensità, a quella del trillo del telefono di un’anziana vicina di casa un po’ dura d’orecchi.

Anche se in realtà la maggior parte dei danni al negozio era stata fatta dai visitatori successivi, che avevano usufruito del varco aperto dal primo.

A seguire, vi era stata una rissa in un locale alternativo di un quartiere non precisamente tranquillo, durante un concerto punk e due giorni dopo a quattro isolati più in là, l’aggressione a due agenti di polizia dislocati nell’ufficio di Kate.

 

Nonostante la detective fosse a conoscenza soltanto degli ultimi due fatti, questi bastarono ad Angel.

Una strana luce illuminò lo sguardo del vampiro, facendo supporre alla ragazza che lui sapesse esattamente di chi lei stesse parlando.

Tuttavia, per evitare di mettergli fretta o di spezzare il corso dei suoi pensieri, continuò il resoconto dei fatti come se non avesse notato nulla, concludendo alcuni minuti dopo « … Per farsi notare in un locale come quello, ci vuole notevole impegno, puoi credermi. Così come puoi immaginare quanto siano state considerate attendibili le testimonianze di quei ragazzini strafatti di popper e di crack. Quanto a Johnson e Ewing, al momento sono talmente imbottiti di valium e novocaina che non riconoscerebbero neanche la loro madre. L’unica cosa che so, è che la belva che ha combinato tutto questo, non è decisamente una ragazza normale. Quindi di che si tratta Angel, di una vampira? »

 

Avrebbe potuto dilungarsi in una conferenza su quali e quante fossero, almeno a suo sapere, le razze demoniache antropomorfe o dotate di un potere che gli permettesse di assumere fattezze umanoidi, invece si limitò a rispondere semplicemente « No. Ma di un qualcosa che gli è molto… vicino » intanto che usciva rapidamente dall’agenzia, senza neanche preoccuparsi della reazione che avrebbero potuto avere a quel suo comportamento, perché le supposizioni di Kate erano giuste.

Lui sapeva esattamente di chi lei stesse parlando.

 

 

 

 

   

seconda parte

 

 

 

 

Conosceva il locale di cui gli aveva parlato Kate, quello dove si era svolto il concerto punk.

Era un locale dove i ragazzi e i vampiri appena risorti convivevano pacificamente.

Non aveva niente a che vedere con le “ vampires societies ” europee che un tempo frequentava con la sua famiglia. Quelle dove gli esseri umani nutrivano un’adorazione, un culto vero e proprio nei confronti dei vampiri. No.

Era un semplicissimo locale per ragazzi educati da droghe, musica, tv e fumetti, dove il fatto che un appartenente al gruppo fosse stato seppellito la mattina, non creava eccessivi scompensi la notte successiva quando ricompariva davanti ai loro occhi.

Per quelli che abitavano nelle comuni della zona, ricavate da palazzi abbandonati, anzi era un conforto.

Perché il gruppo era ancora unito, compatto, solo un po’ più… stravagante.

Non vedevano la grandezza della cosa. Non la comprendevano.

Si facevano mordere innocuamente e il segno sul collo o nel polso, diventava l’equivalente di un tatuaggio di riconoscimento fra bande.

Il concetto non era molto distante dal morso all’interno di un clan, ma la logica che vi era alle spalle era totalmente insensata.

Quel segno li distingueva, ma non li cautelava da nulla. Per certi versi addirittura li penalizzava.

Bastava che un vampiro fosse solo di un anno più grande di quello appena risorto.

In un anno aveva imparato a sopravvivere, a crearsi il suo territorio e aveva trasformato gran parte del suo gruppo. E ricordava fin troppo bene quanto era stato duro e pericoloso sopravvivere in quell’anno, per rischiare che qualcun altro crescesse e si espandesse allo stesso modo.

 

Ma queste erano dispute territoriali che non valicavano mai le mura del locale.

Quella era terra di nessuno.

Un luogo pacifico dove ascoltare musica e rimandare i pensieri o i crampi della fame.

Il fatto che fosse un locale di coesistenza pacifica fra esseri umani e vampiri però, era una notizia che non era propriamente di dominio pubblico, tutt’altro.

E da questo doveva essere nato il problema che poi aveva dato luogo alla rissa.

 

Scosse la testa osservando la porta chiusa in ferro scrostato e parzialmente arrugginito su cui picchiava la pioggia, reggendo appena con due dita e notevole ribrezzo la cornetta della cabina telefonica che era di fronte al locale.

Ringraziò il destino che i vampiri avessero un udito tanto fine, da non dover appoggiare l’orecchio al ricevitore per sentire bene il proprio interlocutore. Compose il numero sulla tastiera con le stesse riserve dopodiché, aspettò una risposta.

 

La conversazione fu breve e sarebbe stata anche illuminante, se non fosse servita che da conferma.

Ripose la cornetta meditando immobile per alcuni istanti su quanti giorni di quell’intera settimana, fossero stati trascorsi a Los Angeles.

Quattro? Cinque? C’erano altri posti da verificare?

Prese la macchina dirigendosi al secondo che sapeva certo.

Quattro isolati più in là, era il luogo dove erano stati aggrediti i due poliziotti che lavoravano nello stesso distretto di Kate. Parcheggiò la convertibile e scese guardandosi intorno.

 

 

Ed eccole là. Le comuni.

Palazzi fatiscenti il cui intonaco di facciata, era ormai solo la chiazza scomposta di un ricordo, reso fradicio dal temporale. I portoni principali erano divelti, ma non erano certamente un invito ad entrare, e le finestre erano quasi tutte mancanti, chiuse da quel che restava delle porte interne agli appartamenti. A volte solo poggiate, altre inchiodate.

La spazzatura raggruppata agli angoli dei vicoli o nei cassoni, era giacente lì da almeno una settimana e gli scarichi della metà degli edifici erano stati chiusi, il che non contribuiva affatto alla salubrità dell’aria, resa appena respirabile dal temporale.

 

Il complesso degli stabili, si ergeva come un’isola in mezzo ai resti di diverse e parziali demolizioni. All’imbocco della strada vi era un cartello con il disegno di un centro commerciale su cui campeggiava la scritta gioviale “PRESTO FRA VOI!”.

Se era stato un progetto di recupero della zona, era morto insieme al mandato della consulta. Se era il progetto di un privato, avevano dato il via ai lavori prima di capire che non tutti si sarebbero lasciati sfrattare.

Così, in mezzo al nulla, si ergevano le comuni.

 

Era difficile vedere volti nuovi avventurarsi là dentro e la polizia, per quanto non osasse varcare l’ingresso della strada e addentrarsi fra i caseggiati, cercava di arginare i possibili, quanto improbabili incrementi di popolazione a quel luogo.

E quel problema invece, doveva essere nato così.

 

Kate gli aveva detto che Johnson e Ewing, in preda agli effetti degli analgesici, avevano asserito solo di aver puntato i fari e dalla macchina aver chiesto le generalità.

Potevano essere stati temibili come SS o rincuoranti come gli elfi di Babbo Natale, non aveva alcuna importanza. Si erano messi in mezzo a un rifugio e questo aveva determinato tutto.

Dopo l’intimazione avevano sentito un tonfo sulla cappotta della macchina ed in seguito a quello non si sapeva altro, se non che erano entrambi in trazione al reparto contusi.

Un bell’affare davvero…

 

La pioggia nel frattempo si era infittita, al punto da far risultare la strada una lunga pozzanghera con punti più o meno profondi, causati dalle toppe mancanti di catrame nell’asfalto.

California. Il paese del sole.

Almeno finché non arrivavano i ‘monsoni’.

Straordinarie precipitazioni che duravano un giorno o due. Il tempo di innaffiare a dovere le città e i loro abitanti.

Nonostante tuonasse e i lampi illuminassero a giorno il cielo, le gocce che gli insistevano addosso, cadevano linearmente senza alcuna opposizione del vento ed erano tiepide.

Il paese del sole, riusciva a rimanere invariabilmente torrido anche quando era maltempo.

 

Continuava ad avanzare lungo quella che doveva essere l’arteria principale del complesso, senza neanche prendere in considerazione i palazzi e concentrandosi sul contesto il più possibile.

Giunto all’incrocio principale, si fermò.

L’orlo dei suoi pantaloni era ormai zuppo, sulle scarpe era meglio calare un velo pietoso e per il resto era fradicio fino al midollo. Soprabito, camicia e pelle. Per quel che riguardava i pantaloni, era solo questione di tempo.

Avesse avuto davvero a che fare con un vampiro, questi si sarebbe probabilmente riparato dal temporale ma… non la belva in fuga di cui gli aveva parlato Kate.

 

Svoltò a destra.

Poteva anche non essere là in mezzo e in caso di esito negativo, da lì avrebbe poi compreso da che parte dirigersi e continuare le ricerche, ma non prima di aver perlustrato palmo a palmo il luogo e da qualche parte, doveva pur cominciare.

Imboccò un vicolo.

 

Avrebbe potuto essere quell’impossibile spostamento d’aria, o il cigolio che emise all’ultimo la scala antincendio che era alla sua sinistra, ma furono i suoi sensi a farlo scansare dall’altra parte del vicolo, una frazione di secondo prima che l’esile ombra nera gli piombasse addosso.

Neanche si era rialzato che era di nuovo a terra, con un tallone premuto sulla milza. E neanche aveva più la pressione sulla milza, che un pugno gli si stava già abbattendo sulla faccia.

Rotolò di fianco schivandolo, sentendo la mano del suo assalitore spaccarsi sull’asfalto con un lamento più di rabbia per aver mancato il bersaglio, che di dolore per l’urto.

Si rialzò prontamente in piedi, giungendo alle sue spalle e riuscendo un secondo dopo, a vedere in pieno la sua faccia.

« Faith… »

 

Sapeva già che era lei, e l’aveva riconosciuta dal primo istante che era piombata a terra, ma…

Pallida, no. Diafana.

I capelli bagnati le ricadevano ai lati del viso, mettendo ancora più in evidenza quanto fosse dimagrita. Aveva le labbra quasi bianche e delle occhiaia scurissime che le affossavano gli occhi.

Occhi che lo guardavano senza riconoscerlo minimamente.

 

Angel non se ne stupì o rammaricò.

Anche lui aveva rimosso tutto quello che apparteneva in un certo qual modo alla Bocca dell’Inferno, e finché Kate non era entrata in agenzia quella sera, non aveva più pensato a Faith. E certamente lei, per certi versi, aveva più attenuanti di lui nell’aver dimenticato.

Otto mesi di coma.

Ed era lì, in piedi, per di più pronta a combattere.

Per quanto evidentemente debilitata, la cacciatrice era un fascio di nervi pronto a scattare all’attacco.

 

La bruna si mosse lateralmente, senza cessare di guardarlo. Studiandolo alla distanza ancora senza riconoscerlo.

Per lui era perfettamente chiaro quello che stesse pensando.

Le bande e gli pseudo-clan, grazie al temporale, erano tutti dentro i rispettivi palazzi. Se qualcuno di loro era in caccia, certamente non lo era in quei vicoli, di conseguenza lui era un estraneo e se il suo formidabile istinto aveva già intuito l’essenza della sua natura, il prossimo attacco sarebbe seguito a pochi secondi.

 

Il fragore di un tuono fu accompagnato da uno schianto di vetri rotti.

Sfruttando come diversivo il lampo di luce di un fulmine, si era chinata a terra, aveva impugnato due bottiglie di vetro verde e le aveva fracassate al suolo, rialzandosi quasi immediatamente, stringendo i lunghi colli frastagliati e maneggiandoli come se fossero stati le else di due corte spade da scontro ravvicinato.

Tendendo le mani avanti, senza smettere di guardarla negli occhi « Faith… »

Scampò l’affondo della ragazza, ritrovandosi a eludere assalti su assalti, parandole i polsi con i propri, cercando di non spezzarglieli.

La situazione non era delle migliori, ma preferiva di gran lunga evitare di andicappare ulteriormente la cacciatrice. Non era davvero il caso, e per quanto lo riguardava…

Scansò la testa in tempo perché piccole schegge di vetro gli colpissero lo zigomo destro.

Le ferite da taglio erano facilmente rimarginabili, ma non la cavatura di un occhio. Quello non era sostituibile.

 

La mano destra se l’era rovinata sull’asfalto e quella sinistra adesso era totalmente insanguinata e tempestata da cocci di varie dimensioni.

Angel le afferrò i polsi con forza, torcendoglieli lentamente ma con decisione, sperando di riuscire a disarmarla completamente prima di provocare dei danni seri.

La bottiglia, con sollievo del vampiro, cadde a terra appena in tempo.

Le lasciò i polsi e l’afferrò per le spalle, prevenendo un qualsiasi tipo di reazione e scuotendola appena « Faith, guardami… »

La ragazza continuava a divincolarsi, senza riconoscerlo e a quanto pareva, senza sentirlo.

Le diede uno strattone più forte e alzando la voce « FAITH. GUARDAMI »

Si fermò di botto, col volto chino e lievemente nascosto da alcune ciocche di capelli.

 

Faith…

 

Era talmente tanto che non si sentiva chiamare per nome, che quando quella voce l’aveva fatto, non se n’era neanche accorta.

O meglio, l’aveva sentito, ma era come se non avesse realizzato. Come se non si fosse trattato di lei. Come se non potesse essere davvero rivolto a lei.

 

Seguitava a tenere il viso basso, ma la sua fronte adesso, mentre osservava il vuoto, era corrugata e la sua espressione era assorta, pensierosa. Allentò appena la presa sulle sue spalle.

 

La presa sulle sue spalle stava diminuendo, la stava lasciando andare…

« Faith… »

Socchiuse gli occhi.

Lei conosceva quella voce…

 

Faith…

 

… E tu sei Faith …

 

Faith…

 

… Faith, no. …

 

Alzò lo sguardo incerta « Angel? »

 

Non sentiva più alcuna stretta sulle spalle e la figura davanti a lei…

Il vampiro davanti a lei…

Angel, le sorrideva lievemente.

« Ciao Faith »

 

La bruna strinse gli occhi ed indietreggiò fino ad incontrare la parete, lasciandosi poi scivolare su di essa.

Le frammentarie notizie carpite in quei sette giorni, si dilatarono in otto mesi e le si riversarono addosso tutte insieme, di colpo. Come quegli stessi otto mesi.

Si sentiva una morsa opprimente alla cassa toracica, lo stomaco che si contorceva e sembrava che ai polmoni non arrivasse abbastanza ossigeno.

 

Wilkins era morto, fino a cinque minuti prima credeva così anche il vampiro, Wesley… Wesley?

 

Scosse la testa, soffocando un singhiozzo.

No. No. No.

Non ne aveva bisogno. Non ne aveva davvero bisogno.

Non adesso.

E nel frattempo un unico pensiero ricorrente nella testa.

 

Otto mesi.

 

Aveva dormito per otto mesi.

Il mondo le era passato affianco per otto mesi.

Quel poco avanzato di Wilkins, era marcito in quegli otto mesi.

Qualunque cosa fosse successa a Wesley, erano passati otto mesi.

In cui l’avevano pulita con delle spugne, l’avevano nutrita con delle flebo, l’avevano medicata per le piaghe da decubito.

 

Otto mesi.

 

Si morse il labbro e strinse i pugni, infischiandosene altamente delle schegge che affondavano nella sua carne.

Erano passati otto mesi.

OTTO MESI.

E non riusciva neanche più a connettere quando la chiamavano per nome.

La chiamavano per nome…

 

Sbarrò gli occhi con sgomento, cercando Angel « Ti ho colpito? »

« No »

« Dimmi la verità, ti ho ferito? Ti ho fatto del male? »

« No, Faith »

« Allora perché hai uno zigomo più colorito? »

« Sono solo un paio di frammenti penetrati sotto pelle »

 

Ed era vero. Un po’ di sangue, un ago appuntito e in capo a pochi minuti, nessuno avrebbe più visto un bel niente. Ma Faith non era evidentemente d’accordo.

Si guardò le mani, come se si fosse resa conto solo in quel momento di averle ferite dai pezzi di vetro e iniziò a sentire il proprio corpo percosso da singhiozzi sempre più forti, sempre più difficili da controllare.

Il risveglio, quella settimana di cui ricordava poco o niente e tutti gli arretrati emotivi e fisici che aveva in sospeso le si abbatterono addosso, stremandola al punto che non fu capace di frenarsi.

Cercò solo di voltare le spalle al vampiro, il quale, piegandosi a terra di fronte a lei « Le tue mani invece, vanno medicate al più presto »

« Lasciami stare! Non ti avvicinare e soprattutto non mi guardare! » Gli gridò mentre cominciava con brusca noncuranza a strapparsi i cocci via dal palmo.

Detestava piangere e si tratteneva sempre dal farlo. Ancor più davanti a degli spettatori, chiunque essi fossero.

Se piangeva, voleva dire che era ancora vulnerabile e quell’idea non le piaceva per niente.

 

« Ferma… ferma… FERMA! » l’ammonì bloccandole infine i polsi. « Così fai solo peggio. Hai bisogno di essere medicata e anche di alcuni punti »

La ragazza cercò di sottrarsi alla presa.

« Ti dispiacerà molto di più avere le mani preda di un’infezione, che non l’aver pianto davanti a qualcuno. Le tue difese sono ancora troppo basse, per affidarti alle capacità di recupero del tuo essere… Cacciatrice »

Il respiro fu profondo e teso.

Aveva ragione.

Non aveva bisogno anche di un’infezione alle mani.

Non dopo OTTO MESI…

 

« Cosa proponi »

« Propongo innanzitutto di lasciare questo luogo ameno, poi ti porterò in un posto sicuro, dove potrai essere medicata »

« Non puoi farlo tu? »

« No, te l’ho detto. Hai bisogno di punti e io ho una buona mano a disegnare, non a ricamare su epidermide »

Mentre l’aiutava ad alzarsi, sostenendola per i gomiti « Sta tranquilla, non ti porterei in una zona che non sapessi protetta, da creature che non fossero fidate »

Ormai in piedi, Faith aggrottò le sopracciglia e con la bocca piegata in una smorfia poco convinta « Hai detto, creature? »

« Ti fidi di me? »

Riconobbe all’istante l’assurdità della situazione. Un vampiro che chiedeva ad una prescelta di fidarsi…

« Sempre »

Rispose la bruna senza esitazione, meravigliandosi da sola.

Era indefinibile il modo in cui Faith riuscisse a sorprenderlo. Annuì come se non si fosse aspettato un’altra risposta all’infuori di quella e con determinazione « Allora andiamo ».

 

Prima di raggiungere la macchina, Faith si fermò davanti a una rientranza del muro posta fra un gruppo di bidoni della spazzatura e una scala antincendio, raccogliendo una sacca in tessuto tecnologico antracite ormai zuppa.

Dopodiché salirono sulla convertibile.

 

 

 

Kate si scansò per lasciarlo passare e insieme a Doyle e Cordelia, rimase per alcuni istanti a fissare la porta che Angel si era chiuso alle spalle.

« Beh, ti sei rivolta alla persona giusta a quanto pare »

L’espressione della bionda, che continuava ad osservare l’ingresso, era seria e concentrata.

« Rischia di finire nei guai? »

Domandò rivolgendo alla fine il suo sguardo dritto in quello del mezzo demone.

« Nah… Non credo proprio. Io non ho ancora visto niente e se fosse in pericolo, teoricamente dovrei saperlo no? »

La detective annuì e mentre si apprestava ad uscire, Doyle si rialzò dalla sedia ficcandosi le mani in tasca e dondolando sui piedi “Appena sappiamo qualcosa, ti telefoniamo e… Tranquilla Kate, Angel non finirà nei guai.”

La bionda annuì nuovamente e quando la porta fu richiusa, l’irlandese estrasse le mani dalle tasche, le poggiò entrambe sulla nuca e con una smorfia significativa commentò « Come potrebbe finire in qualcosa in cui sguazza abitualmente fino al collo… »

Rimanendo fermo sulle gambe, incrociò le braccia sul petto e corrugando la fronte « Se Kate è inquieta, vuol dire che questa presunta ragazza è sul serio una belva, però non ho ricevuto alcuna visione, quindi… Ad ogni modo, vista la sua reazione, Angel deve aver certamente capito chi è, non- » si bloccò di colpo alla vista di Cordelia, che era rimasta per tutto il tempo indietro alle sue spalle in silenzio « Mi sa che l’hai capito anche tu ».

 

La bruna si riscosse dai suoi pensieri e lo guardò.

« C’è forse qualcosa che dovrei sapere? »

Scosse la testa « No. … Perlomeno non credo… » terminò con lo sguardo nel vuoto, palesemente assorta.

« A, beh… Ora sì che mi sento confortato »

Cordelia rialzò il viso e stavolta, con un sorriso e un po’ più di convinzione « No, Doyle. Perlomeno- »

« Non credi. Ok, non insisto. Ma se cambiassi idea… Ti va un cappuccino? »

Accomodandosi sulla sua poltroncina « No, grazie, non ho voglia di uscire »

« Vado a prenderlo io »

« Sei sicuro? »

L’idea la tentava, lo capiva dalle sopracciglia inarcate e da come si mordeva appena il labbro inferiore.

Una bambina.

… che a lui non dispiaceva affatto viziare.

Con un sorriso sereno « Sì. Il solito? »

Cordelia assentì con un cenno del capo.

Doyle era praticamente uscito, quando rimise la testa dentro « Se riesco a recuperare anche un muffin cioccolato e cannella, cosa di cui non sono sicuro, posso sperare di riuscire a corromperti?! »

La ragazza gli rispose con uno splendido sorriso, scuotendo appena le spalle in un lieve moto di risa, il mezzo demone contraccambiò ed uscì definitivamente alla volta della caffetteria.

 

Il sorriso rimase sulle labbra di Cordelia per alcuni minuti e lentamente scemò.

Guardò il telefono e allungò una mano quasi a sfiorarne la cornetta, poi la ritrasse.

No. Non era possibile.

O perlomeno, non credeva che lo fosse…

 

 

 

Le creature fidate, erano alte circa un metro e venti, quasi calve, con la carnagione ocra e dei nasi enormi, simili a quelli dei Troll realizzati in legno e pelo di daino che vendevano in alcuni negozi.

Vestivano anche come dei Troll e parlavano in falsetto una lingua incomprensibile, Angel però comunicava con loro con un altro idioma, altrettanto incomprensibile ma decisamente non buffo.

 

I piccoli individui, si chiamavano Swimatch ed erano appartenenti ad una delle razze demoniache più pacifiche esistenti. Vivevano in un antro di nuda roccia e la parte di esso in cui furono condotti, era coperta da candele che lo illuminavano quasi a giorno, creando un delizioso tepore.

Faith ed Angel furono fatti accomodare in due panche scolpite nella pietra, una di fronte all’altro e lasciati soli.

Quando la bruna si decise a rompere il silenzio, che a suo parere stava diventando davvero imbarazzante, fece appena in tempo ad aprire la bocca che una ‘Trolla’ arrivò buttandole in testa un asciugamano e strofinandole i capelli con un grosso sorriso, raccomandandole chissà che cosa.

Sorrise anche lei per cortesia e il vampiro, vedendola un po’ a disagio le spiegò « Ti ha asciugato i capelli perché… Letteralmente: con le mani che hai, ti manca solo un’infreddatura »

Faith allargò il suo sorriso e in quel momento entrò una piccola delegazione di quattro Swimatch con le medicazioni.

 

La cacciatrice sbigottì quando i due che si occupavano di lei le richiesero le mani con le loro, perché più che ricoperte di calli, sembravano come scolpite in un unico gigantesco callo.

Stava quasi per ritrarle quando « L’apparenza inganna. Rilassati, Faith »

Lei annuì, tese le mani e i due cominciarono a medicarla.

I loro rimedi, suture a parte, erano antichi ed esclusivamente naturali e Faith sentì più dolore quando le passarono un unguento dal colore indefinibile e dal tanfo orrendo, che quando le tolsero i cocci e le misero i punti nella mano sinistra. La destra era tumefatta e presentava alcuni tagli sulle nocche, ma per il resto era miracolosamente integra, visto come l’aveva stroncata sul marciapiede.

Alzò lo sguardo e vide di fronte a lei gli altri due che stavano medicando lo zigomo di Angel.

 

Circa un’ora dopo il loro ingresso nell’antro, la cacciatrice e il vampiro uscirono dirigendosi verso la convertibile.

Angel aveva minimizzato quando le aveva parlato di una zona protetta.

L’antro si trovava all’interno di un varco che si apriva sulla corteccia di un cipresso, vicino a dei campi da tennis di un circolo privato, e vi si poteva accedere solo avanzando con una lieve inclinazione da sinistra.

Era impossibile che un uomo potesse finirci dentro o scoprirne l’esistenza, in compenso però, l’immenso ingresso della caverna, era disseminato da più di un centinaio di Dunlop, Wilson e Roland Garros gialle fosforescenti.

Prima di uscire, si piegò e ne raccolse una, continuando a rigirarla fra le mani finché non furono in macchina e anche dopo, durante il tragitto.

 

A tratti giocava con la pallina e a tratti osservava, senza reale attenzione, la strada che stavano facendo.

Il vampiro avrebbe potuto attraversare in lungo e in largo tutta L.A. per portarla a due metri e mezzo da dove erano partiti che lei, dato che non conosceva minimamente la città, non se ne sarebbe accorta.

E d’altro canto, ovunque stessero andando, Faith non aveva tutta questa fretta di arrivare. Il cullare dell’auto la rilassava.

Prese un respiro profondo e si raggomitolò sul sedile, riposando gli occhi senza dormire.

Da quando si era svegliata, era la prima volta che aveva modo di fermarsi un attimo per fare mente locale e se prima le informazioni le erano grandinate addosso tutte in un colpo solo, adesso poteva esaminarle con più calma.

 

 

*******

 

 

Si era girata su un fianco per trovare una posizione più comoda e qualcosa le aveva tirato il braccio, pizzicandole la pelle e guastandole definitivamente il sonno. Ciò nonostante doveva aver riposato e parecchio, perché si sentiva pesante e leggermente intontita come per un’eccessiva dormita.

Con la mano destra toccò il punto del braccio sinistro che la infastidiva.

 

Un pezzo di …cerotto? bloccava qualcosa di consistente con una sporgenza tonda ruvida e da un lato partiva

…un tubicino?

 

Aprì gli occhi e li richiuse subito per il bruciore. Non ricordava di essere così refrattaria alla luce e quando riuscì ad abituarsi alla luminosità della stanza, vide di cosa si trattava.

C’era l’ago di una flebo infilato nel suo braccio.

 

Cosa ci faceva l’ago di una flebo nel suo braccio? Cosa ci faceva lei in ospedale…

Se era uno scherzo non era affatto divertente.

 

Alzandosi in piedi rovinò a terra, tendendo il tubicino e strappando la cannula dal braccio e il catetere dal ventre, che non si era neanche accorta di avere.

Si rannicchiò piegata in due sul pavimento, stringendosi fra le braccia. Ma che accidenti le era capitato?

Strisciò ai piedi del suo letto per vederne la cartella.

 

Faith M. Clark… nata a Boston… ricoverata il….

 

Otto mesi? Era lì da otto mesi? E per cosa?!

 

Lesioni interne… forte emorragia… trauma cranico esteso… stato attuale: coma profondo.

 

Lanciò la cartella lontano tappandosi la bocca e respirando convulsamente.

Come era accaduto? Possibile che non ricordasse niente? Eppure avrebbe dovuto, visto che sembrava l’avessero massacrata.

Si aggrappò alle lenzuola del letto per tirarsi in piedi e ricadde in ginocchio.

Pazienza.

Doveva andarsene da lì e se poteva farlo solo stando a carponi, l’avrebbe fatto comunque, solo che…

I suoi vestiti.

Dopo otto mesi, potevano ancora essere là i suoi vestiti?

Gattonò il più rapidamente possibile verso l’unico mobiletto della stanza, aprendone tutti i cassetti e trovando sul fondo dell’ultimo i suoi vecchi abiti.

Sapevano di chiuso, di stantio, ma passavano decisamente più inosservati di un camice.

 

Arrancando aggrappata alle pareti dei corridoi, si era appropriata di un paio di stampelle ed era uscita dall’ospedale ignorata, complice l’orario della pausa pranzo.

La luce del sole era ancora più fastidiosa di quella sintetica, ciò nondimeno non poteva fermarsi, anzi doveva allontanarsi il più possibile dall’ospedale, prima che si accorgessero che qualcuno mancava all’appello.

 

Quando fu abbastanza distante, si sedette su una panchina a ridosso di un piccolo giardino pubblico.

Poggiò le stampelle di lato e stese le gambe il più possibile.

Sentiva un fastidioso formicolio agli arti inferiori e quelli superiori erano malamente indolenziti per essersi dovuti sobbarcare tutto il peso del corpo, nel complesso la muscolatura le faceva un male cane.

Le sembrava di essere una bottiglia formato famiglia di acido lattico e quel che era peggio, non ricordava ancora nulla.

Si chinò in avanti, cercando di alleviare il dolore alla lombare.

Spostando lo sguardo a terra, vide una delle placche che tenevano inchiodata a terra la panchina. Su di essa vi era scritto che quella era proprietà comunale…

Frugò dentro le tasche del suo giubbotto jeans, grazie al cielo non le avevano rubato niente, e riprese le stampelle si rimise in marcia, fermandosi al primo telefono.

Sorrise canzonatoria mentre formava il numero con la cornetta appoggiata alla spalla, non ricordava di essere stata massacrata, ma quel numero lo ricordava molto bene.

 

« Pronto? »

Rimase zitta per alcuni istanti, poi azzardò « … Richard? »

« Chi desidera? »

« Vorrei parlare col sindaco Wilkins »

« Cos’è uno stupido scherzo? »

Riattaccarono e Faith lasciò cadere nel vuoto la cornetta, aggredita dal primo ricordo.

 

L’Ascensione.

 

C’era stata l’Ascensione e senza alcun dubbio era andata male.

Lei era finita in ospedale e Wilkins era morto.

Per forza di cose era morto. L’Ascensione non era una frode di bilancio e se qualcosa era andato storto, Richard non era certamente finito in galera ma sotto parecchi metri di terra…

Wesley.

Ci voleva coraggio, per non dire altro, a presentarglisi davanti ma solo Wesley le avrebbe spiegato cos’era accaduto e lei doveva sapere.

 

A furia di trascinarsi sulle stampelle, le gambe stavano ricominciando a muoversi autonomamente.

Zoppicava in modo goffo adesso, ma era decisamente una gran conquista.

Ancora pochi metri per il Sunnydale High e l’unica cosa che sperava era di non trovare la gang al completo. Le ci mancava solo quello…

Svoltò nella strada principale e si aggrappò al tronco di un albero sul ciglio del marciapiede, sperando inutilmente di non cadere per terra.

 

Rovine.

Macerie.

Era tutto quello che restava del liceo.

Nient’altro.

 

« Ti senti male? »

« Cosa? » Rispose alcuni istanti dopo all’anziano signore che si era fermato di fianco a lei, vedendola per terra con le stampelle abbandonate alla rinfusa.

« Ti senti male, hai bisogno di qualcosa? »

Non riusciva a seguire quello che le diceva, né a guardarlo. Il suo sguardo tornava di continuo a ciò che restava del Sunnydale High.

« Poverina… Sei una delle sopravvissute vero? »

Faith si girò di scatto ed annuì « Sì, ma non ricordo molto. Anzi, nulla »

« È stato un brutto giorno quello dei diplomi... »

« Lei c’era? Ricorda qualcosa? »

« Non c’ero, ma la mia casa è quella laggiù e vidi praticamente tutto. Alla fine aiutai anche a tirare fuori i superstiti dalle macerie »

« Furono molti? Dico, i morti… »

« Sì. Tantissimi studenti e quasi l’intero corpo docente »

 

Quasi l’intero corpo docente… Wesley…

 

« Vuoi che chiami qualcuno per riaccompagnarti a casa? »

Riprendendo le stampelle e rialzandosi in piedi « No… No, grazie. Non si disturbi, va tutto bene » e allontanandosi mormorò « Va tutto alla grande… »

 

Tutti morti, salvo lei. Una cosa che non le suonava affatto nuova.

Tutti morti. Wilkins, Wesley, Angel…

No.

Si bloccò di colpo.

Angel no.

Non nell’Ascensione, non per quel motivo…

 

Chiuse gli occhi cercando di fare mente locale.

L’ultima immagine che le tornava alla memoria, era un sandalo color panna che le arrivava a tutta velocità in faccia…

« B »

Era stata B a massacrarla.

E l’aveva fatto perché lei… aveva ucciso Angel col pugnale intriso di veleno che le aveva dato Wilkins.

 

*******

 

 

 

Oltre a quello e alla sgradevole sensazione che aveva provato nel sentirsi nuovamente l’unica sopravvissuta, ricordava di aver raggiunto in qualche modo la stazione degli autobus.

Il resto, non erano altro che una serie di immagini senza capo né coda.

 

La macchina si fermò e la pallina da tennis che teneva debolmente nella mano, rotolò ai suoi piedi facendole aprire gli occhi.

« Siamo arrivati »

 

 

terza parte

 

 

 

 

Angel era uscito dall’agenzia intorno alle cinque e mezza, ed erano appena le dieci di sera.

Razionalmente non era passato poi così tanto tempo, tuttavia Cordelia era in preda a un nervosismo piuttosto evidente.

Giocherellava con penne e matite in modo irritante, metteva in ordine cose che erano già al loro posto e aveva scavato coi suoi tacchi un piccolo solco nel mezzo della stanza a furia di camminarvi avanti-indietro.

Doyle l’aveva trovata proprio così quando era tornato con il cappuccino per lei, intenta a passeggiare.

E sebbene apparisse più chiaro che mai quanto fosse certa l’identità della belva per Cordelia, avrebbe soprasseduto.

Aspettando che lei si calmasse, che Angel ritornasse o che gli venisse una visione in proposito.

All’ennesimo giro di boa, la vide irrigidirsi drizzando le spalle e voltarsi verso l’ingresso.

Se Principessa non avesse saputo così spudoratamente d’umano, l’avrebbe creduta un demone per come aveva captato la presenza del vampiro fuori dalla porta…

 

 

Il sorriso ironico che le si era dipinto sulle labbra nel leggere -Angel Investigations- sul vetro della porta, svanì di colpo quando vide Queen C nel mezzo della stanza.

 

Il peggio di Sunnydale non era la Bocca dell’Inferno. Sarebbe stato troppo ovvio.

No. La sua maledizione, e te ne accorgevi ovviamente solo dopo, era che una volta che vi avevi messo piede, qualcosa o qualcuno della ridente cittadina, prima o poi ti capitava davanti.

Fossi stato a L.A. per un’apocalisse come al Polo Nord per studiare i pinguini.

Una sfilza di ricordi le attraversò la mente.

Cominciava a rimpiangere l’amnesia…

Istintivamente avrebbe mosso un piede indietro, retrocedendo in difesa da tutti quei flashback, ma l’espressione della bruna la fece rimanere ferma sui suoi piedi ed alzare il mento quasi con sfida.

Al contrario suo, Cordelia Chase non sembrava affatto sorpresa di vederla quanto... delle sue condizioni.

L’impassibile serietà del suo atteggiamento mentre stava lì retta in mezzo alla stanza, era svanito con la stessa rapidità del suo sorriso quando l’aveva messa finalmente a fuoco.

Le spalle si erano abbassate, gli occhi dilatati e aveva stretto le mascelle per impedire alla bocca di spalancarsi, dato che le labbra si erano già suo malgrado dischiuse.

In quei giorni anche se avesse incrociato uno specchio non se ne sarebbe accorta, ma… Diavolo.

Doveva veramente fare spavento se era riuscita a impressionare Queen C a quel modo.

 

Doyle, appostato comodamente da ore sulle due poltroncine all’ingresso con un libro, non si capacitava di come quello scricciolo impermalito, malconcio e zuppo potesse essere stato motivo di tensione per Cordelia e ancora meno di come potesse essere sul serio la belva descritta da Kate.

 

Angel, come se non si fosse accorto delle loro reazioni si diede ai convenevoli « Faith, tu e Cordelia vi conoscete già… »

Le due annuirono.

La cacciatrice sempre più rigida, l’altra sempre più sconcertata.

Di seguito, indicando le poltroncine « Lui invece è Doyle »

Voltando appena il viso, fece un cenno di saluto con la testa in sua direzione.

Il mezzo demone si raddrizzò, portandosi in punta di sedile e mantenendo con la mano destra il segno nel libro che stava leggendo, le sorrise appena restituendole il cenno « Ciao Faith »

Al di là di tutto, che non era certamente un granché di buono, quella ragazza gli piaceva ad istinto.

 

Poggiandole una mano sulla spalla, invitandola così a scendere i gradini « Laggiù c’è il mio ufficio. Entra, sali su nell’appartamento e accomodati, io arrivo subito »

Faith lo guardò fissamente e lui le fece cenno di sì come per incitarla, lei assentì a sua volta e scesi i gradini, si diresse verso l’ufficio passando di fianco a una Cordelia alquanto disorientata.

Quando udirono scattare la serratura dell’ufficio, la bruna chiuse gli occhi espirando, rivolgendo subito dopo lo sguardo al vampiro, che appoggiandosi alla porta la richiuse alle sue spalle.

 

« Stai bene? »

Angel annuì silenziosamente e nel momento in cui sentirono anche lo scattare della porta che dava all’appartamento, si staccò dall’ingresso.

« Sicuro? »

« Sì »

« Qualcosa di molto vicino ad un vampiro… Modo simpatico per definire una cacciatrice » concluse pungente mentre Doyle sgranò gli occhi, facendo quasi cadere a terra il libro.

Una cacciatrice.

Adesso sì che cominciava a farsi un’idea, eppure… Eppure non riusciva ancora a vedere quella ragazza come un pericolo. Forse, se avesse saputo qualcosa di più sul suo conto…

Stava per aprire bocca, ma « Quando l’hai capito, hai chiamato qualcuno per averne conferma? Che so, Willow… »

Il suo tono era così palesemente preoccupato che risultò offensivo alle orecchie di Cordelia, la quale « No. Non ho chiamato Willow. Ho pensato che se Buffy doveva sapere che Faith era qui a L.A., tanto valeva che lo sapesse direttamente da me. Successivamente però, ripensandoci ancora, ho capito che era meglio lo sapesse dalla tua viva voce, così ho lasciato perdere »

Terminò incrociando le braccia e voltandogli la faccia.

« Scusa »

« Te l’ho mai detto che sei un idiota? »

« Già una volta… »

Il mezzo demone, vista la situazione, valutò che se c’era un momento in cui domandare della ragazza e sapere esattamente cosa stesse accadendo, certamente non era quello e stavolta non si sarebbe nemmeno messo in mezzo, anche perché Cordelia, a quanto pareva, aveva ricordato ed era già visibilmente meno arrabbiata.

Storcendo appena la bocca « Volevo chiamare il Sunnydale Hospital, ma non l’ho fatto »

« L’ho fatto io »

« Quanto tempo è passato? »

« Otto mesi »

Scosse la testa incredula « Non sembra vero… Da quanto si è svegliata? »

« Una settimana »

« Ed è successo solo quello che ci ha raccontato Kate? » Chiese Doyle facendosi finalmente avanti.

Fu Angel allora a scuotere la testa « Non saprei dirlo. Non penso, ma non ne ho la certezza e anche se può sembrare assurdo… credo che non ce l’abbia nemmeno lei »

Doyle inarcò le sopracciglia « Se è davvero così, allora è molto più spaesata di quanto non le secchi mostrare ed è meglio che tu la raggiunga »

« Sì »

« Vuoi che restiamo? »

« No, grazie Cordelia. Andate tranquilli. Non mi succederà nulla »

La bruna annuì, ma senza alcuna convinzione.

 

 

 

La porta nell’ufficio di Angel, si apriva su tre gradini di cui il terzo, largo appena cinquanta centimetri per cinquanta, consentiva di svoltare a destra per intraprendere la scala vera e propria. La rampa terminava con un altro microscopico spazio uguale al primo, davanti al quale era la porta dell’appartamento.

L’ingresso era costituito da un’anticamera sulla quale si affacciava a sinistra il salotto e a destra la cucina, entrambi a vista e chiusi da porte a scomparsa nel muro. Di fronte invece, era un corridoio largo, ma piuttosto corto che presentava due porte socchiuse una di fronte all’altra e una svolta a destra che dava all’ingresso condominiale.

Faith era ferma a circa un metro dalla porta, con la sacca poggiata a terra e i lacci tenuti in mano.

« Ti avevo detto di accomodarti… »

Scrollando le spalle « Non sto scomoda in piedi »

Il vampiro la osservò poco persuaso e lei, eludendo i suoi occhi, si guardò intorno.

 

Le pareti, che terminavano con una semplice cornice bianca come il soffitto, erano in stucco veneziano grigio che conferiva all’appartamento un’aria austera ma non tetra.

I pavimenti erano rivestiti con un parquet a tolda di nave di legno biondo, privo di tappeti, salvo che nel salotto, dove ve n’era uno quadrato il cui disegno geometrico a riquadri neri, rosso sangue e un grigio più chiaro di due nuance a quello delle pareti, richiamava alla mente Mondrian.

 

« Mi piace. Si sente che ci abiti tu. Lo stile è inconfondibilmente il tuo. Sobrio… » fece girando lungo il perimetro dell’anticamera « ma di grande effetto ».

Concluse dando le spalle alla cucina e volgendosi a lui, che le sorrise.

Se Faith avesse immaginato quanto c’era voluto, perché l’appartamento assumesse quelle sembianze…

 

Il giorno che Doyle gli aveva mostrato l’agenzia, non aveva fatto una piega all’idea di abitare in un appartamento piccolo, sebbene fosse abituato a muoversi in ampi spazi e quando poi erano saliti a visionare la sua nuova abitazione, aveva scoperto con piacere che non era piccola come aveva immaginato.

Ma aveva decisamente bisogno di una ‘sistemata’.

Per quasi l’intero mese successivo, aveva abitato in un albergo, consegnando nelle prime due settimane a un Doyle disorientato e in un secondo tempo a una Cordelia entusiasta, i dettagli di come gli operai dovessero compiere i lavori, verificando la sera l’esito delle ristrutturazioni.

In circa trenta giorni, con un buon incentivo monetario, l’appartamento aveva cambiato verso, tramutando l’ingresso privato in quello principale e quello del palazzo come secondario, prendendo l’aspetto che adesso la cacciatrice guardava con ammirazione.

 

Tirando appena su la sacca « Dimmi che in tutto questo, hai anche una lavatrice… »

« Dentro la cucina »

 

Le pareti erano in mattoni a vista di un caldo color terracotta e incassati fra strutture in muratura e scaffalature pratiche e moderne di legno fulvo, erano degli elettrodomestici dal design anni ‘50.

Il pavimento non era in parquet ma ne richiamava la lavorazione e il colore e nel mezzo vi era un grande tavolo rettangolare circondato da quattro sedie, dello stesso legno con cui erano realizzati i mobili.

Faith la giudicò immediatamente come la stanza più accogliente.

Sulla destra vi era un’altra porta a scomparsa che dava su un piccolo disimpegno. Una volta avvistato l’elettrodomestico, vi rovesciò dentro tutto il contenuto, sacca compresa, estraendo poi dei pantaloni di pelle dal cesto. Dopo averla messa in funzione « Hai qualcosa per pulire la pelle? »

« Sì. Ma prima di ripulire i pantaloni o la giacca, non preferiresti asciugarti o farti un bagno? »

« Magari… »

 

La condusse fino ad una delle due porte, entrò e aperte le ante di un armadio, scomparve dalla vista. Lei rimase sulla soglia, notando appena la svolta a destra del corridoio a cui non aveva badato prima e rimanendo ad osservare la stanza.

Le pareti erano uguali al resto della casa, così come il parquet ma anche nella camera vi era un tappeto, bianco stavolta e che sporgeva da sotto il letto.

Cercando di sbirciare in punta di piedi cosa stesse facendo il vampiro « Camera tua? »

« Sì… Tanto vale che entri, visto che dormirai qui »

« Posso stare sul divano »

Rispose ritraendosi appena dalla soglia, mentre Angel, continuando a rovistare « Non farei dormire il mio peggior nemico su quel divano. È bello quanto scomodo per riposarci »

« Ma… »

Riemergendo con in mano un fagotto scuro « Poche storie Faith, dormirai qui »

« E tu? »

« Mi sistemerò »

Prima che potesse protestare, la guardò in modo eloquente e le porse i vestiti che aveva in mano, una maglietta girocollo nera a maniche corte e un maglione melange con un ampio scollo a ‘V’ a maniche lunghe.

« Temo che ti staranno come dei mini abiti… »

« Le alternative sono poche, dato che tutti i miei vestiti sono dentro la lavatrice »

Indicandole la porta di fronte « Dentro troverai tutto quello che ti occorre, dagli asciugamani a, eventualmente, l’occorrente per rifarti le medicazioni e… Prenditi pure tutto il tempo che vuoi »

La bruna annuì e poco prima di entrare « Angel? »

« Sì? »

« … Grazie »

« Di nulla, Faith »

 

 

Fece scorrere la mano sulla parete, cercando l’interruttore finché non lo trovò e rimase per alcuni istanti ferma a guardare il proprio riflesso nello specchio di fronte a lei.

Adesso comprendeva bene lo smarrimento di Queen C …

 

Si appoggiò alla porta e sentendola più fredda del normale si girò. La superficie era coperta da un altro specchio a figura intera.

Si avvicinò quasi da sfiorare col naso la propria immagine.

Aveva le labbra bianche, dei capillari spaccati sugli zigomi, frutto delle prime volte che aveva tentato di mangiare e il suo stomaco non si era trovato d’accordo, le guance lievemente scavate e due occhiaia scure che, se mai era possibile, mettevano ancora più in evidenza quanto fosse ridotta male.

Fece per toccarsi il volto, ma non appena vide le fasciature alle mani, le riabbassò immediatamente cambiando idea. Fu dopo aver risolto che era decisamente meglio pensare ad altro piuttosto che alle sue condizioni, che si rese conto di qualcosa che teoricamente, le sarebbe stato impossibile fare.

Aveva potuto specchiarsi.

 

Si voltò per guardarsi rapidamente in giro.

L’intera stanza era rivestita con delle piastrelline quadrate bianche che rendevano ancora più luminoso l’ambiente e nella parete destra vi era un altro specchio, a fascia larga che percorreva quasi tutto il muro.

Per un totale di tre.

Tre specchi nell’appartamento di una persona priva di riflesso.

Era quantomeno singolare…

 

Sulla sinistra, incassata nel muro, era una vasca da bagno piuttosto grande. Faith sorrise estasiata, pensando alla successiva ora di relax che l’attendeva e chiuso lo scarico, cominciò a far scorrere l’acqua.

Sulla destra invece erano tre ganci in porcellana bianca dove nell’ultimo era appeso un ampio telo di spugna, anch’esso bianco e immediatamente affianco, partiva una lunga struttura in muratura che terminava in un divisorio che nascondeva i sanitari.

La costruzione inglobava sulla superficie due lavabi e sotto una serie di sportelli, dove trovò sia gli asciugamani che le medicazioni come Angel le aveva detto, dopodiché prese a spogliarsi.

 

Il bagno era privo di finestre e l’unica fonte di luce, era una lunga plafoniera che seguiva il contorno dello specchio di destra, ma fu più che sufficiente perché lei potesse verificare ancora una volta quanto fosse diversa da ciò che ricordava di sé.

Sulla pelle i nuovi segni delle cuciture dei vestiti, che aveva portato pressochè ininterrottamente per tutta quella settimana, si confondevano con gli ultimi pallidi residui di ciò che dovevano essere state delle lesioni dovute al decubito, tuttavia non erano quei segni ad impressionarla.

Era dimagrita.

Di cinque se non… Non.

Erano sicuramente più di cinque chili.

Le costole erano malamente in vista e se torceva il busto, riusciva a vedere dallo specchio sulla porta, che le sue vertebre stavano seguendo lo stesso esempio.

« Sto scomparendo… »

 

Entrò nella vasca e un forte formicolio le pervase le gambe, salendo su fino alla colonna vertebrale per il calore dell’acqua.

Quella piacevole sensazione la fece sorridere. Si accomodò lentamente, cercando di abituarsi alla temperatura mentre la pelle le si accapponava per il formicolio che finiva di diffondersi nel corpo.

Una volta distesa, sghignazzò appena.

Quella vasca era così grande che avrebbe potuto nuotarci dentro come Ester Williams…

Prese un respiro profondo e si immerse del tutto, tendendosi completamente fino a toccare con la pianta dei piedi un’estremità e tastare con la punta delle dita l’altra.

Che cosa fessa da fare…

Sghignazzò ancora mandando delle bolle in superficie, riemergendo quasi subito.

Però, non era così male essere fessi ogni tanto…

Certo, a poterselo permettere…

 

Si appoggiò al bordo in muratura, che aveva un margine così ampio da poter essere utilizzato come ripiano e sul quale infatti erano poggiati un bagnoschiuma, un docciaschiuma, uno shampoo, un balsamo e una ciotolina di porcellana con dentro una spugna naturale.

La cosa non la sorprese, anche perché non ricordava di aver mai visto il vampiro in disordine… Considerazione che fece mentre annusava le bottigliette.

Il profumo era gradevole, nettamente maschile e… proprio il suo.

Rimise l’ultimo flacone a posto.

 

I tempi non erano ancora sospetti e sembrava che fosse solo quella prima, la notte che lo incontrò al cimitero di Shady Hill…

 

*******

 

 

 

Camminava lungo il viale alberato di uno dei dodici cimiteri di Sunnydale, giocherellando con un paletto e annoiandosi come non mai.

Il tipo di caccia a cui l’avevano istruita, era parecchio differente da quello.

Locali affollati, pieni di gente. Dove anche se si era in gruppo, non risultasse strano sparire dalla vista degli altri e bastava un attimo perché potesse accadere.

Un bel sorriso, uno sbattere di ciglia e il giorno dopo, sul giornale, c’era un necrologio di più.

A meno che uno non fosse morto in circostanze poco chiare e dovesse risorgere dalla propria tomba, era molto improbabile incontrare un vampiro nei cimiteri.

Perlomeno a Boston andava così, ma Sunnydale era un centro infinitamente più piccolo, nonché la Bocca dell’Inferno e… Aveva controllato le pagine degli annunci mortuari del giorno, come le aveva insegnato Emily.

Un solo funerale e per uno che tra l’altro era stato investito in pieno giorno.

Sapeva già che la sua si sarebbe rivelata una passeggiata salutistica e basta quindi, ma non le costava nulla uniformarsi alle abitudini del posto.

Soprattutto visto che erano stati tutti piuttosto gentili nell’accoglierla… Beh, quasi tutti.

 

Quando Emily le aveva detto di non essere l’unica, aveva provato un immenso sollievo e un piacevole senso di comunanza, certo però che la reazione a una simile scoperta era ovviamente una cosa molto soggettiva…

Ed era proprio a questa soggettività che aveva attribuito quello stare sempre sulle spine di B.

A lei probabilmente sarebbe andato bene il fatto di essere l’unica invece, e la sua costante presenza là, supponeva dovesse essere come un irritante promemoria.

 

Si sedette su un sarcofago di pietra, davanti alla tomba fresca dell’incidentato e si guardò intorno, quando sentì una presenza alle sue spalle.

Chiuse gli occhi augurandosi fortemente che non fosse solo un vagabondo, poi si voltò di scatto, tenendosi in posizione di difesa e… rimanendo alquanto interdetta alla vista del suo avversario.

 

Davanti a lei, appoggiato ad una lapide, era un ragazzo vestito di nero.

Alto, imponente ma snello, aveva i capelli castani e i lineamenti del viso erano dolci, sebbene il mento fosse leggermente affilato. Pallido, con le labbra di un rosa scuro piuttosto marcato. La fissava tranquillo coi suoi occhi di un intenso color nocciola.

Le bastò un attimo per capire di chi si trattasse.

 

Angel.

 

Willow e Xander le avevano parlato molto di lui e in modi assolutamente diversi, contrastanti.

La rossa con ammirazione, riconoscenza e una punta di rammarico perché avesse deciso di non farsi più vedere. L’altro invece, manifestando involontariamente un considerevole complesso d’inferiorità, gliene aveva parlato con disprezzo, odio e un velo di soddisfazione nel fatto che non si fosse fatto più vivo, se quel modo di dire, come amava sottolineare, poteva essere valido anche per il ‘morto vivente’.

Non aveva grandi rapporti con Cordelia, ma avendo assistito ad alcune conversazioni, poteva affermare che il suo giudizio sul vampiro, sicuramente non era molto differente da quello di Willow.

Quanto ad Oz, aveva notato che era solito astenersi da simili discussioni e certamente non perché non avesse un giudizio o perché questo fosse negativo, tutt’altro. Si era convinta che la reticenza del licantropo fosse dovuta all’evitare guai, non solo per sé ma anche per il vampiro, dato che in un modo o nell’altro i dibattiti sul suo conto non finivano mai bene.

Giles e B erano sistematicamente estromessi da simili conversazioni.

Con quello che le aveva raccontato Willow, non c’era da meravigliarsi che l’osservatore non partecipasse, chi la colpiva viceversa era B senza ombra di dubbio.

Lei era il primo avvocato difensore del vampiro. Così come il suo primo accusatore…

 

Le sue riflessioni erano durate pochi secondi, ma erano bastate perché lo sguardo del vampiro si velasse di curiosità.

Sorrise e stringendo leggermente gli occhi per inquadrarlo « Tu devi essere Angel »

« E tu sei Faith »

« Mi hanno parlato molto di te. Cose assolutamente diverse da quelle che avevo letto sul tuo conto… Sai, sei un po’ diverso da come ti avevo immaginato »

« Delusa? »

« Affatto… Colpa di Willow. Il suo buonismo ha viziato anche il tuo aspetto. Ti avevo immaginato con un’aria un po’ melensa, invece non è quella l’aria che hai »

« Ah, sì? E che aria ho? »

La bruna l’osservò con notevole attenzione « … Consapevole, sicura... gentile anche »

 

Il vampiro le sorrise a labbra serrate.

Faceva una certa tenerezza il fatto che una forza simile, un potere talmente intenso fosse racchiuso in ragazze così giovani da essere talvolta ignare di tanta grandezza.

Sebbene Faith, di primo acchito, gli sembrasse molto distante non solo dall’essere inconsapevole delle proprie capacità, ma anche dalle prescelte che aveva incontrato.

 

La ragazza piegò la testa di lato.

Era troppo presto per trarre delle conclusioni sul conto del vampiro.

D’istinto avrebbe fatto affidamento al giudizio della strega e di Queen C, sebbene i diari degli osservatori che aveva letto, suonassero tutt’altra musica sul suo conto.

Bisognava dargli atto però che aveva azzeccato in pieno nello scegliersi il nome. E ciò che c’era di più inquietante in lui, erano proprio le sue fattezze angeliche, che lo facevano sembrare innocuo al punto da rasentare l’innocenza.

Chissà quanti erano morti facendosi abbindolare da quegli occhioni nocciola da cerbiatto…

 

Con fare indagatore « Come mai non stai con gli altri? »

« Potrei farti la stessa domanda »

« Beh… Non è che siano proprio tutti entusiasti della mia presenza, ecco. E tu? »

« Potrei darti la stessa risposta »

Si sorrisero ironicamente, abbassando la guardia più di quanto avrebbero solitamente permesso.

 

 

*******

 

 

Era tutto molto lontano quella sera. Non scorgeva il precipizio e tanto meno immaginava che ce ne fosse uno.

 

In tutto il periodo che era seguito alla morte di Finch, Angel, a rischio di perdere quella fiducia che gli scoobies sembrava avessero di nuovo riposto in lui, continuò a non schierarsi, evitando in quel modo, per quanto gli fu possibile, che si arrivasse ad uno scontro.

E non necessariamente nella speranza che lei si redimesse. Affatto.

A differenza di molti altri, per Angel non era mai stato tutto riconducibile semplicemente a buoni e cattivi e pur non avendone mai parlato apertamente, aveva compreso la sua scelta, ne aveva preso atto e vi si era adeguato normalmente, come se lei avesse deciso solo di cambiare casa e non ‘fazione’.

 

Se ne rendeva pienamente conto solo adesso, ma dopo quella sera, dalla morte di Emily, Angel era stato il suo unico punto fermo. L’unica cosa che non fosse mai cambiata.

L’unico che le avesse sempre detto le cose come stavano.

Senza inutili giri di parole, senza mezzi termini. A volte anche duramente, ma senza mai ingannarla…

 

Si tirò seduta, appoggiando la testa alla mano destra e storcendo la bocca per la sensazione sgradevole che le dava la fasciatura bagnata… e non solo per quella.

Doveva veramente aver toccato il fondo.

E certamente non per aver ucciso erroneamente Finch con tutto quello che poi era seguito.

Ma per avere quasi ammazzato Angel.

E perché?

Perché credeva che l’avesse ingannata…

Si immerse nuovamente del tutto nella vasca per estraniarsi da ogni cosa, ma senza riuscirci.

Ritornò in superficie e dopo un istante di esitazione prese il flacone del bagnoschiuma.

L’acqua era appena tiepida e doveva ancora lavarsi.

 

 

 

Continuavano a camminare stando in silenzio.

Tempo altri dieci minuti e le loro strade si sarebbero separate, come sempre. E ognuno se ne sarebbe tornato a casa propria, come sempre.

Era evidente che lei non avesse alcuna voglia di parlare e anche se nessuno l’avrebbe mai detto, vista la sua parlantina sciolta, Doyle sapeva molto bene quando era il caso di restare in silenzio.

Per quella sera le avrebbe fatto solo da scorta, dato che Cordelia era già in compagnia dei suoi pensieri.

A un tratto la ragazza si fermò bloccandolo per un braccio e guardandolo fissamente negli occhi « Dobbiamo tornare indietro »

Il mezzo demone scosse la testa « Principessa, non mi sembra il caso. Sono sicuro che- »

« Fidati di me, Doyle. Dobbiamo tornare indietro. Perché tu sei sicuro che non accadrà nulla, e probabilmente hai anche ragione, ma io sono sicura di con chi abbiamo a che fare e… Dobbiamo - tornare - indietro »

L’irlandese scosse di nuovo la testa. Non era per niente una buona idea.

« E va bene. Torniamo indietro »

Tanto era così determinata, che ci sarebbe tornata anche da sola…

 

 

 

Azionò la dryer e rientrando in cucina le diede un’ampia panoramica, rendendosi finalmente conto di quello che non era un insignificante dettaglio.

Era un vampiro, ergo la sua dispensa era vuota.

In realtà vi era stato un tempo in cui, nonostante fosse un vampiro, non era stato ad ogni modo così ovvio che nella dispensa non vi fosse traccia di cibo, tutt’altro.

Al di là delle manie di purismo che propagandava l’Ordine di Aurelius a cui appartenevano, la sua famiglia non aveva mai smesso del tutto di consumare cibo umano.

 

Un puro vezzo di curiosità e conoscenza, nient’altro.

Anche perché, pur volendo, il cibo non dava loro più alcun tipo di sostentamento.

Da quando erano rinati, solo il sangue era vera e propria fonte di nutrimento, il resto, erano solo capricci.

 

Già. Un tempo davvero lontano.

Un tempo che era stato sostituito da un altro dove non vi erano state dispense e tanto meno sangue…

Scosse la testa.

Non amava quel tipo di pensieri e poi doveva occuparsi di Faith, che chissà da quanto tempo non mangiava decentemente.

Saltò il frigorifero a priori, sapendo perfettamente che non era pieno d’altro se non di flaconi di sangue e si diresse con false speranze verso gli scaffali. Sapendo altrettanto perfettamente che non erano pieni d’altro se non di tè.

 

Il tè era l’unica abitudine umana che avesse ripreso, malgrado fosse stato un ottimo gourmet e un raffinato somelier.

Adorava il tè e lo beveva sin da quando non era che un bambino.

Nel collegio gestito dagli inglesi dove aveva studiato, era quasi obbligatorio il suo rituale, ma rammentava di aver gustato il suo sapore già da prima, quando era ancora nella casa paterna.

Molti più ricordi aveva da adolescente. Ricordi dolci, pieni d’affetto.

Galwey, anche se fiorente, non era che una minuscola cittadina sul mare e quando il vento spirava per il verso giusto, i profumi di spezie ed essenze giunti dall’oriente, permeavano l’aria, ma su tutti, prevaleva sempre l’inconfondibile odore delle foglie di tè.

E quando l’aria si impregnava di tè, significava solo una cosa, che la flotta era rientrata…

 

Dalle casse di legno foderate di iuta contenenti pacchetti sigillati a vasi di porcellana, dalle scatoline di latta a quelle di cartoncino.

Nonostante prediligesse i gusti forti e decisi, nella sua raccolta possedeva svariate e pregevoli qualità che talvolta, avevano anche gusti morbidi.

Aprì gli sportelli e diede una scorsa alle diverse varietà.

 

Dall’Isola di Sri Lanka, dove nonostante tutto il tè continuava genericamente a tenere il vecchio nome dell’isola, Ceylon, provenivano dal distretto di Uva due miscele particolarmente forti di tè dai retrogusti di cedro e di spezie. Una rara e particolare varietà di tè verde in foglie arrotolate dal gusto morbido e intenso e il più banale, ma sempre valido, Orange Pekoe.

 

Attraversando il golfo del Bengala, coltivati in India nella zona di Assam, famosa per la produzione di tè ‘robusti’, erano presenti sei diverse miscele di tè dal gusto forte, con gradevoli variazioni aromatiche e che differivano di intensità a seconda del quantitativo di tannino in esse contenuto.

Fra queste, spiccava in particolare una proveniente dai giardini del Brahmaputra, dal gusto più classico forse, ma con una selezione infinitamente più accurata delle altre.

Dall’area di Darjeeling, ai piedi dell’Himalaya, con i suoi ottantasei giardini, producenti ognuno un tipo di tè differente, e i suoi quattro raccolti annuali, vi era un tè del ‘secondo raccolto’, quello estivo, il cui aroma sapeva profondamente di noce moscata e uno dell’ultimo, cioè quello autunnale, dal gusto piuttosto deciso.

Un assaggio di vellutato tè bianco della piantagione di Poobong, la cui produzione era pressochè infinitesimale e dalle piantagioni più alte del Nilgiri, ricavato secondo antica lavorazione, il Korakundah.

Sconfinando nel Nepal, era il Golden Nepal Maloom, una miscela dal retrogusto di noce moscata e chiodi di garofano.

 

Richiuse lo scaffale e aprì quello affianco.

I tè cinesi.

Dalla provincia di Yunnan, vi era un genere di tè, meglio noto come rosso, dal gusto morbido e pieno, uno nero miscelato con altre qualità provenienti dalle province meridionali e tre diverse varietà di quello verde, più il PuÈhr. Il tè pressato, dalle qualità curative.

Tre tipi di tè, uno verde e due neri che erano stati lavorati secondo un parziale metodo di ossidazione, Oolong, e che variavano di colore e di intensità di sapore a seconda di quanto fossero stati sottoposti a tale processo.

Proveniente dalla regione di Anhui, corposo e dal sapore leggermente affumicato era il Keemun, o Qhiong come avrebbe corretto William, una delle qualità di tè nero più pregiate in Cina.

Mai quanto il Tegola di tè nero, ad ogni modo.

Ricordava che quando erano stati in Cina, in alcune regioni il Tegola di tè nero valeva ancora come moneta sonante. Per quanto fosse prezioso però, non era raro comunque come il Meng Ding, le cui origini erano riconducibili alla dinastia Han, risalente al 206 a.C fino al 24 d.C, e che faceva anche lui bella mostra di sé nello scaffale.

Dal Fujian erano i due bianchi Yin Zhen e Pai Mu Tan, talmente delicati che li beveva assai raramente e che forse, anzi certamente, aveva comprato più per seduzione che per utilità, dato l’uso che ne faceva…

Sempre dal Fujian era quello che probabilmente poteva definire come il suo preferito.

Il Lapsang Souchong.

Un tè nero a foglia larga che veniva sottoposto a un lento procedimento di affumicatura e che, nonostante fosse obiettivamente discutibile, gli piaceva bere a tutte le ore.

Osservò interdetto il Gunpowder e diverse qualità. Hyson, Lung Ching, Chun Mee e Dafang.

Sicuramente William, data la sua passione per quella terra, avrebbe saputo ricondurre meglio di lui le qualità di tè alle province di quell’immenso paese…

 

Il terzo scaffale si apriva con i giapponesi, che rispetto a quelli degli altri paesi, erano comunque pochi.

Il Matcha, il tè da cerimonia, il pregiato Gyokuro coltivato ad Uji e i più comuni Bancha e Sencha.

Appena in distanza, l’Irish Breakfast capeggiava poche altre varietà provenienti un po’ da tutto il mondo, dopodiché seguivano gli aromatizzati su basi di Sencha e Chun Mee e pochissimi fra infusi e tisane.

L’unica cosa che si potesse considerare solida da consumare, erano gli zuccheri. Raffinati, di canna e canditi.

 

Invece che con il solito orgoglio, guardava tutto quel tè con aria perplessa.

Alle cinque del pomeriggio era un cerimoniere perfetto, e anche su quello ci sarebbe stato da recriminare, dato che un cerimoniere davvero perfetto, avrebbe avuto almeno una scatola di dolci a tiro… ma per le restanti ore del giorno, era davvero un pessimo ospite.

 

Sopra il tavolo vi era un sistema di ganci dove erano appese in grande numero, pentole dalle diverse dimensioni, nelle credenze aveva piatti, stoviglie e bicchieri, tuttavia non c’era la benché minima traccia di cibo.

Solo scatole su scatole di tè e flaconi di sangue.

Aveva un che di assurdo, di presa per i fondelli.

Come gli era saltato in mente di allestire in quel modo la cucina, se tanto aveva fatto sì che rimanesse vuota?

Non finì di domandarselo che rammentò dandosi così una risposta.

Doyle e Cordelia.

Lui si era occupato degli elettrodomestici e del lato estetico della cucina, di quello pratico invece se ne erano occupati loro.

I servizi di piatti, di bicchieri e di posate li aveva scelti lei, mentre le pentole le aveva ricercate il mezzo demone, che era più ferrato della bruna in cucina.

E non era solo questo.

Dentro alcuni cassetti vi erano delle coloratissime tovagliette all’americana con i tovaglioli in coordinato, vicino ai fornelli dei set di presine e di guanti da forno. Poi altri dettagli erano sparsi qua e là.

Un poggia-mestoli, una saliera, uno scolatoio sopra il lavello e mille altri particolari, più quattro tazze grandi da cappuccino, che non potevano essere opera che di Cordelia, data la sua passione per la bevanda…

Abbassò le spalle sgomento, sentendosi improvvisamente male quanto profondamente stupido.

 

Aveva torto a definirsi un pessimo ospite, perché lui non era un ospite.

E non c’era una scatola di dolci perché lui non ne mangiava più e non aveva mai invitato nessuno.

Nemmeno Doyle e Cordelia.

Lui, che più di chiunque altro avrebbe dovuto comprendere l’importanza di un invito, non l’aveva formulato.

Tagliandosi fuori e tagliandoli fuori da tutto, non solo da quell’appartamento.

Perché non era mai capitato che fossero andati in un locale se non per lavoro.

Perché tutte le volte che avevano preso un take away, erano rimasti giù nell’agenzia.

Perché nonostante si fidasse di loro, e lo connetteva solo in quel momento ma era la pura verità, non aveva mai condiviso nulla.

E forse non voleva davvero una risposta, ma si chiedeva come avessero passato le feste natalizie…

E il peggio di tutto quello, era che non capiva perché l’avesse fatto o perché non se ne fosse accorto.

 

O forse, più onestamente, era perché lo sapeva, ma aveva preferito lo stesso restare cieco e sordo.

 

Ricordava solo adesso tutte le volte che era sceso in agenzia e in cui Cordelia e di tanto in tanto Doyle, l’avevano accolto con qualcosa che avevano trovato e che poteva andar bene per la cucina.

Piccoli involucri rivestiti di carta da pacchi o gommata che contenevano oggetti che facevano pendant o erano il completamento di qualcosa che era presente sugli scaffali o nelle credenze.

 

Spontanei gesti d’amicizia.

Atti con cui gli dimostravano la loro vicinanza.

Silenziose richieste d’invito.

Non ad invadere la sua privacy, il suo passato o i suoi ricordi, ma a condividere alcuni momenti del presente che vivevano insieme tutti i giorni. Andando oltre il rischiare la vita.

Combattere fianco a fianco, non significava necessariamente creare un legame affettivo, era quello che veniva dopo che contava.

Quando si curavano le ferite, quando si rimarginavano, quando non si vedevano più o anche quando non c’erano mai state. Semplicemente dopo.

Giles e Wesley avevano combattuto insieme, ciò non li aveva legati in alcun modo.

Lui e Xander avevano, per estensione del termine, ‘combattuto’ insieme, eppure non era più legato al ragazzo di quanto non lo fosse al proprietario del drugstore del quartiere…

 

Quell’ultima considerazione, insieme al rumore proveniente dal bagno di una delle bottiglie di sapone che cadeva a terra, lo fecero ritornare immediatamente alla radice delle sue riflessioni.

 

Faith.

 

Facendo una rapida proiezione del tempo in cui la ragazza era stata in bagno, valutò che con un po’ di sveltezza e fortuna, avrebbe potuto raggiungere il drugstore che distava circa cinque, dieci minuti prendendo la convertibile. Là avrebbe potuto comprare qualcosa con cui rifocillare la cacciatrice e riuscire a rientrare non solo prima che uscisse dalla vasca, ma addirittura con un disavanzo che gli permettesse di apparecchiare.

Tutto questo, ovviamente, se la smetteva di cincischiare all’istante.

Corse a precipizio giù per la scala interna, attraversando in un soffio il suo ufficio e paralizzandosi immediatamente, appena varcata la soglia dell’agenzia.

 

Con un incedere degno di Gloria Swanson, Cordelia scese i due gradini mentre con enfasi esclamava avanzando in sua direzione « Ed eccolo là… Il nostro campione… L’eroe che scapicollandosi, si lancia nella notte. E dove mai andrà? …A combattere contro le tenebre? …A salvare degli innocenti? »

Ormai raggiunta la propria scrivania, la bruna vi poggiò sopra il largo cartone che fino a quel momento, aveva tenuto come un mazzo di fiori e sostenendosi con le braccia al ripiano, guardò fissamente il vampiro, cambiando totalmente tono di voce « No. Scommetto che la tua meta era un drugstore »

 

Sul viso di Angel, senza che se ne rendesse conto, si allargò senza riserve uno straordinario sorriso e abbassando la testa con fare imbarazzato e buffamente colpevole « Beccato »

Cordelia si voltò verso il mezzo demone che l’aveva raggiunta affianco e che sorrideva guardandola con notevole considerazione « Te l’avevo detto che dovevamo tornare indietro » e rivolgendosi nuovamente al vampiro « Tenendo presente che non sapevo da quanto tempo fosse a digiuno, ho optato per una pizza con funghi e prosciutto. Mi sembrava abbastanza sostanziosa e tuttavia non troppo pesante… »

Finito di illustrare il piatto forte, Doyle poggiò la busta che reggeva sul tavolo.

« Qui ci sono delle lattine di Coca-Cola. Light al limone e alla vaniglia, più un barattolo formato famiglia di gelato. Vaniglia variegata al mou con gocce di cioccolato »

Angel fece per parlare ma Cordelia, prevenendolo « Lo so. Effettivamente qui ci sono andata pesante. Ho pensato più all’apporto calorico che non alla digeribilità, ma il fatto è che… È così magra che fa spavento »

 

Rimase alcuni istanti in silenzio con le labbra strette, ma ancora piegate in un sorriso e scuotendo appena la testa « Non era questo che volevo dire »

« Allora cosa? »

« Grazie »

I “grazie” del vampiro non erano molti, ma decisamente sentiti e a volte, colmi d’affetto.

Mentre non aveva eccessive difficoltà ad esternare collera o disprezzo, le restanti gamme di sentimenti che a suo parere potevano esporlo o coinvolgerlo più del dovuto, gli causavano un blocco quasi cronico, rendendolo in certi casi, addirittura goffo.

Doyle l’aveva compreso da quella prima sera che si erano incontrati e in cui gli aveva mostrato l’agenzia, Cordelia aveva scoperto quel suo lato quando l’aveva abbracciata per calmarla, subito dopo essersi impalettato per verificare l’efficacia della gemma di Amarra, occasione fra l’altro, in cui gli aveva dato per la prima volta dell’idiota, e per entrambi era una cosa assolutamente normale.

Il cielo era azzurro, l’erba verde ed Angel era…

« Non so come farei senza di voi »

 

Il mezzo demone dilatò gli occhi e la bruna piegò lievemente di lato la testa.

Si fosse trattato di qualcun altro, sarebbero fioccate battute come “Vivresti più tranquillo…” o “Diventeresti un cliente fisso dei take away…”, ma non era qualcun altro e forse… Forse qualcosa stava cambiando.

Sorrisero entrambi inorgogliti e allo stesso tempo impacciati.

Nessuno disse nulla e si salutarono con dei cenni.

 

Angel sparì nell’ufficio con le vettovaglie e sebbene le cose fossero andate diversamente da come aveva pianificato, i tempi si rivelarono giusti.

La cacciatrice uscì dal bagno non appena ebbe finito di apparecchiare.

 

Doyle e Cordelia invece si diressero finalmente a casa.

Era notte e non c’era nemmeno un’aiuola nelle vicinanze, ma se l’indomani si fossero svegliati e avessero visto che il cielo era lilla e l’erba bordeaux, non avrebbero fatto una piega.

 

 

 

 

quarta parte

 

 

 

 

Sentì la porta che si affacciava nel corridoio scorrere.

« Come ti senti adesso? »

Alzando la voce « Cinque su cinque… Ma se quello che vedo è vero, potrei arrivare anche a sei » Affermò sulla soglia della cucina nel vedere il tavolo apparecchiato.

 

Angel le diede una lunga occhiata.

Gli abiti che le aveva dato, nonostante le arrivassero quasi al ginocchio, non sembravano affatto dei mini abiti, ma dei sacchi.

« Sembra che ci sia cascata dentro, eh? »

Fece seguendo lo sguardo del vampiro, sporgendosi a guardare gli anfibi oltre il fagotto di vestiti e asciugamani che teneva fra le braccia.

« Effettivamente… Se vuoi mettere anche quelli nella lavatrice, gli altri dovrebbero essere pronti »

« Splendido, ma… Ci sono rimasta così tanto? » chiese mentre si dirigeva nel disimpegno.

« Sono degli elettrodomestici piuttosto validi… »

« Ok, ci sono rimasta così tanto »

 

« Mi dispiace. Non sapevo che ci fosse anche della biancheria intima quando ho messo i vestiti nella dryer, altrimenti non mi sarei permesso… Sono asciutti almeno? »

La distanza era troppo breve fra loro perché la sua voce potesse essere così bassa, quindi non era imputabile ad altro che al disagio. E aveva addirittura aspettato a dirglielo nel momento in cui lei non potesse vederlo.

Faith sorrise disorientata, riconoscente e altrettanto inosservata per tanto riguardo, mentre azionava di nuovo la lavatrice e tirava fuori gli abiti asciutti dall’altro elettrodomestico.

 

« Nessun problema e… sì, sono asciutti » confermò rientrando in cucina scalza, finendo di risistemare il maglione e la maglietta.

Un chiaro segno che si fosse messa degli slip e per il quale Angel distolse lo sguardo in modo piuttosto evidente per la sua solita non chalance, al punto da farle dire « Scusa, non volevo metterti in imbarazzo »

Il vampiro scosse la testa, come a dirle di non preoccuparsi e scostò la sedia dal tavolo per farla accomodare, dopodiché aprì il forno ed estrasse il cartone che vi aveva riposto perché non si freddasse e glielo porse davanti aprendoglielo.

Faith chiuse gli occhi aspirando profondamente il profumo della pizza e sorrise deliziata « Sì. Decisamente sei »

Affermò allargando il suo sorriso, servendosi della prima fetta.

« Va bene? »

Tutta assorta nell’assaporare il primo boccone, rispose con una frazione di ritardo « Mhmm… Sì. È perfetta »

Confermò portandosi una mano davanti alla bocca, con una guancia ancora rigonfia. Il vampiro le si sedette di fronte e scuotendo appena la testa « Intendevo dire- »

« Se posso mangiare? »

Angel annuì e lei, dando un altro morso « Sì. … I primi due giorni, nonostante avessi i crampi dalla fame, lo stomaco non ha collaborato un granché, mi sono rimessa l’anima… Così sono andata avanti a frullati e frappè. Alla fine, dopo una serie di tentativi se n’è fatto una ragione… »

« Quindi hai mangiato in questi giorni… »

« Per tenermi in piedi, quando me lo ricordavo e se c’era la possibilità »

Rallentando la masticazione e storcendo appena la bocca di lato « Non è certo per aver mangiato ‘sregolatamente’ in questa settimana comunque, che posso addormentarmi contando le costole… »

Il vampiro abbassò lo sguardo e la cacciatrice riprese a mangiare serrando la mascella più duramente di quel che sarebbe servito. Dopo alcuni istanti di silenzio « Devo essere rimasta davvero un sacco di tempo a mollo nella vasca, se i vestiti hanno avuto modo di asciugarsi e tu sei riuscito ad andare a prendere questa… »

 

Cordiale e rilassata come una lastra di granito.

Ma non c’era nulla che la infastidisse e la imbarazzasse quanto il silenzio in alcune circostanze. Come per esempio, quella di essere ospite nella casa di qualcuno che aveva quasi fatto fuori…

Si servì della seconda fetta, intanto che lo stomaco le si contorceva più per quell’ultima considerazione, che per segno di sazietà.

Mentre fissava incerta la pizza, indecisa se continuare a mangiare o meno « L’idea di uscire c’era, ma poi non ne ho avuto la possibilità… »

Forza e coraggio… addentò la fetta e già più rilassata « Mh.. L’hanno portata? »

Stavano davvero parlando della pizza?!

Scioccata da quella constatazione, diede una panoramica alla cucina, alla disperata ricerca di un argomento che esulasse la salute e il tempo.

« Più o meno… »

Rispose il vampiro quasi senza riflettere, con un mezzo sorriso che illuminò Faith, facendole abbassare la fetta di pizza, senza poggiarla nel piatto.

« Queen C… »

 

Angel stirò le labbra, si alzò in piedi e facendo finta di nulla, spalancò la porta del frigorifero domandandole « Vuoi una Coca-Cola? Light al limone, oppure vaniglia… »

La cacciatrice scrollò le spalle « Tranquillo, non smetterò di mangiare solo perché la reginetta del ballo di primavera si è redenta, entrando a far parte delle Dame di Carità… Mi secca da morire, questo sì, ma… mi sono vista. E se stento a riconoscermi io, posso immaginare quale effetto abbia la mia vista sugli altri… »

La bruna restò immobile continuando a dargli le spalle, rimanendo silenziosa per diversi istanti e proprio quando lui stava per richiudere l’anta « Vaniglia » e girandosi appena gli sorrise ironica « Al diavolo la dieta »

 

Ritornò al tavolo porgendole la lattina e un bicchiere grande, squadrato, di vetro spesso.

Si sentì sollevato nel vedere Faith prendere una terza fetta dal cartone e avendo stabilito di porle soltanto a fine cena determinate domande, rimase allibito quando le chiese « Smetti di mangiare, se ti chiedo cosa ricordi? »

Ma che bravo… Da dove gli venivano certe alzate d’ingegno?

 

La cacciatrice prese un respiro profondo e rallentò nuovamente la masticazione, fissando il nulla. Riflettendo se un argomento simile potesse davvero bloccarle lo stomaco.

Prese un boccone ricominciando a masticare normalmente e puntando lo sguardo sulla fetta che reggeva in mano, risolse distaccata « No »

Detto questo, calò un silenzio assoluto.

 

Al diavolo. Tanto la pizza stava diventando fredda e poi aveva mangiato più che abbastanza.

Buttò il bordo di pasta che le era avanzato nel cartone e si ripulì le mani sul tovagliolo. « So che il Sunnydale High è stato distrutto e che sicuramente Richard è morto. Del resto, degli altri, non so nulla »

Non gli aveva risposto.

Lo sapeva lei come, a giudicare dalla luce nei suoi occhi, lo sapeva lui.

 

Distolse lo sguardo afferrando la lattina e dopo averla studiata a lungo, l’aprì e la versò interamente nel bicchiere.

Osservando le bollicine che crepitavano in superficie « Wesley…? »

« Alla fine dell’Ascensione, sebbene ammaccato era ancora vivo. Dopo non so. Ho lasciato Sunnydale quella sera stessa »

 

Vivo, ma disperso chissà dove…

E per una che a detta di tutti aveva i giorni contati, il mondo era un posto smisuratamente grande.

Le cacciatrici avevano una longevità simile a quella dei cani. Un anno di un semplice essere umano, corrispondeva dai cinque ai sette di una cacciatrice come intensità.

Alla sua tenera età, poteva considerarsi una nonnetta centenaria per i loro criteri quindi.

Mettendo poi che decidesse assurdamente di andare a cercarlo e che altrettanto paradossalmente riuscisse a trovarlo, che accidenti avrebbe potuto dirgli?

 

 

… Nuovo osservatore?…

 

… Sì, Faith. Io sono Wesley. Wesley Wyndam…

 

… Risparmi il fiato Lord Melbourn. Si dà il caso che a me non freghi un accidente della corsa al trono…

 

 

Prese una lunga sorsata, dopodiché ripoggiò il bicchiere sul tavolo.

Continuando a tenerlo saldamente in mano « È un vero peccato che non le facciano ‘corrette’ »

 

E c’era ben altro.

Ad occhio e croce doveva essere scoppiato un pandemonio coi fiocchi… Quanta parte aveva avuto lei in tutto quel caos?

Avrebbe dormito anche senza saperlo. In fondo non era mai stata un tipo curioso…

Al diavolo tutto.

« Come facevi a sapere che ero a Los Angeles? »

Si congratulò con se stessa.

Continuando ad aggredire l’unico che non l’avesse ancora mollata a piedi, sarebbe andata lontano…

 

« Qualcuno ti ha notata »

 

Breve, ma affossante.

« Notata quanto? »

« Abbastanza da chiedere consiglio altrove »

Essenziale e… scoraggiante.

Forse se prima l’avesse aggredito con reale convinzione invece che per attitudine, adesso non si sarebbe sentita tanto in difetto.

« Allora, sono… stata fortunata, che fossi tu a passare di lì per caso… »

Non le disse niente e non la guardò.

Faith strinse i denti e abbassò lo sguardo.

Perso Angel, era ufficiale. Camminava ben ancorata sul fondo.

Di qualunque cosa fosse e comunque fosse, al momento vi era tenacemente saldata.

Afferrò il bordo del tavolo e spinse indietro la sedia tendendo le braccia, ma prima che riuscisse ad alzarsi « Come facevi ad avere quel pugnale? »

 

Ecco il punto.

Il motivo di quell’imbarazzo fra loro che non era mai esistito prima, la domanda diretta che le aveva posto inizialmente di traverso e che lei aveva saltato a piè pari senza una motivazione logica.

Ora voleva una risposta.

… e le stava dando il beneficio del dubbio.

Non le aveva chiesto perché, ma come ed effettivamente, lei non era colpevole di nulla.

« Me l’aveva dato Richard, caso mai fossi diventato un problema »

« E lo ero diventato? »

« No. Non per me »

Scosse la testa « Perché lo portavi con te, allora? »

« Perché al di là del veleno era un’arma. E poi, se Richard sapeva che lo avevo sempre con me, non mi tormentava. Ti ho colpito con quello perché era l’unica cosa che avevo a portata di mano, ero furente e i cazzotti non mi sembravano abbastanza. Mi sono resa conto del casino che avevo combinato solo dopo »

Il vampiro assentì assorto, appoggiando i gomiti alle ginocchia e incassando la testa nelle spalle.

 

Non le credeva. Lo capiva dalla sua postura.

Espirò dalle narici con forza, voltandogli appena la faccia.

Che non le credessero i salvatori della patria, d’accordo, ma che non le credesse lui…

Fine. Chiuso. Pazienza.

Aveva tirato avanti diciotto anni senza di lui, fortuna permettendo ne poteva vivere altri diciotto.

« Libero di non crederci se vuoi » e detto questo si alzò di scatto dalla sedia.

Quasi contemporaneamente al suo slancio « La miglior difesa, è l’attacco »

Faith si fermò all’istante.

Angel aveva rialzato la testa e la guardava con un fondo di ironia negli occhi, sorridendole impercettibilmente.

« Quasi sempre… »

Rispose appoggiando le mani allo schienale.

Il vampiro convenne con lei annuendo, poi, come se niente fosse « Cordelia ha preso anche il gelato… Ne vuoi un po’? »

« Volentieri… Mi faresti compagnia? »

Non era mai successo nulla fra loro.

 

 

Dentro il barattolo, la superficie del gelato era piatta e opaca. Candida.

La vaniglia era solcata da lievi diramazioni di caramello e da qualche parte, nascoste nel composto, dovevano essere le gocce di cioccolato.

 

Il vampiro socchiuse gli occhi.

Dal barattolo spandeva un odore di freddo che attutiva il profumo dolce e persistente della vaniglia mescolata al mou e di quello, in netto contrasto, più forte e appena pungente, del cioccolato.

Doveva essere fondente…

Riempì due ciotole, ripose il barattolo nel congelatore e si accomodò a tavola, osservando il suo cucchiaino ricolmo di gelato e accostandolo poi cautamente alle labbra.

 

La vaniglia si scioglieva gradevolmente in bocca mentre il mou rimaneva denso, rapprendendosi appena nel palato e… Sì. Quello era cioccolato fondente, il cui aroma amaro mitigava il sapore dolce della vaniglia e quello del mou, dal retrogusto lievemente smaccato.

Nel complesso, per quanto gli fosse insolito, quel gusto non gli dispiaceva.

Così diverso… complicato, rispetto ai semplici e granulosi sorbetti di neve e frutta che aveva gustato da ragazzo. Sempre o troppo acidi o troppo stucchevoli e collosi per l’eccesso di miele che vi mettevano per dolcificarli, eppure allora gli sembravano chissà cosa…

E così diverso anche dal sofisticato gelato alla crema di cioccolato e pistacchi che gli aveva fatto assaggiare Darla al Café Procope a Parigi, dopo la sua rinascita.

A quel tempo il gelato era qualcosa di così ricercato e fine che veniva servito in porzioni ovoidali dentro piccolissimi bicchieri di vetro, di modo che, nell’insieme, le dimensioni parevano uguali a quelle di un oeuf à la coque nel suo portauovo…

 

Sì. Molto oltreoceano. Inequivocabilmente americano nell’insieme, per scelta di ingredienti e corposità.

Assolutamente differente dall’Europa, soprattutto dal sud Europa…

Prese un ultimo cucchiaino.

La consistenza era morbida, ma il gelato era freddo abbastanza da rimanere compatto e congelare il setto nasale attraverso il palato, se avesse caricato di più il cucchiaino.

Come Faith, che adesso con la mano si teneva la bocca e un po’ il naso. Bisognava rifarle la fasciatura…

« Non ti sei medicata dopo il bagno… »

La cacciatrice riabbassò istintivamente la mano « Ho passato del disinfettante sulle suture, ma… No, non ho rimesso le garze »

« Poco male »

Fece Angel alzandosi e uscendo dalla cucina, per rientrare poco dopo con bendaggi vari, acqua distillata, disinfettante e una boccetta anonima che la bruna non ricordava di aver visto nel nécessaire medico.

Con aria schifata « È quello che penso io? »

« Sì. Me l’ha dato la ‘Trolla’… » confermò poggiando garze, boccetta e flaconi sul ripiano « È stata carina, non trovi? »

« Come no. Un’amore… »

Ribatté sarcastica senza distogliere gli occhi dall’ampolla.

 

Il vampiro scostò la propria sedia dal tavolo e si avvicinò alla ragazza che ormai aveva finito il gelato.

« Angel, non vorrai sul serio usare quell’impiastro, vero? Tu non vuoi che rimetta tutta la cena, vero? »

« Faith, è un potente cicatrizzante e- »

« E ha un tanfo orrendo » obiettò con forza incrociando le braccia.

Angel non controbatté, rimase semplicemente a guardarla in silenzio finché lei, estenuata, non gli porse la mano.

Allora le passò un batuffolo di cotone intriso d’acqua distillata dove lei aveva applicato il disinfettante, poi l’asciugò con una garza e aprì l’ampolla.

Effettivamente la cacciatrice aveva ragione, quel medicamento aveva un puzzo davvero insostenibile…

« È un incubo... » gemé cercando di allontanarsi il più possibile da quel fetore. « Pensa a me, che ho un olfatto più sviluppato del tuo »

La ragazza fece una smorfia. Poteva anche essere, anzi era così, peccato che non le sembrasse comunque di conforto…

« Porta pazienza. Due minuti e abbiamo finito ».

 

Mentre le fasciava la mano « Era da tanto che non mangiavi del gelato? »

Angel sollevò appena lo sguardo sorpreso, per tornare immediatamente alla medicazione e con un lieve sorriso di sbieco « Si notava molto? »

La bruna annuì « Abbastanza. Comunque sei in buona compagnia, anch’io non ne mangiavo da un pezzo. Otto mesi almeno sono sicuri… » concluse ironica. Il vampiro allargò il proprio sorriso e scuotendo la testa « Ti batto… Ecco fatto, dammi l’altra mano »

Ritraendola « In questa non ci sono punti… »

« Lo so, infatti non voglio passarci l’unguento, ma solo il disinfettante »

La rassicurò richiedendo con la propria mano la sua. Faith storse la bocca e gli porse la mano.

Intanto che le passava il batuffolo di cotone sui tagli « Quanti anni avevi quando sei diventato un vampiro? » Sollevando nuovamente lo sguardo, le chiese divertito « Tu quanti me ne dai? »

« Mhm… Non più di venticinque »

Aggrottando la fronte « Non credevo di portarmeli così male… »

Rimase paralizzata. Non poteva aver fatto una gaffe proprio adesso…

« … Perché? Quanti anni avevi? »

Ghignando appena « Ventiquattro »

Gli avrebbe tirato il collo… se non fosse stata profondamente sollevata.

 

 

 

Le loro conversazioni erano prive di continuità o conclusione. Simili a scatole cinesi, gli argomenti si aprivano uno dentro l’altro. Era sempre stato così.

Dai primi fugaci scambi di battute che avevano avuto incontrandosi casualmente durante le ricognizioni notturne della città, alle conversazioni che duravano quasi fino all’alba in ronde prestabilite.

 

Spaziando da un argomento all’altro, qualcosa doveva aver dato il via in Faith a una lunga associazione di idee che man mano, le aveva fatto scemare il sorriso dalle labbra.

Appoggiata al tavolo con le braccia tese, quasi sdraiata, rimase ferma per diversi istanti, quando « Aveva fatto in tempo a trasformarsi? »

Angel assentì. Non aveva bisogno di domandarle a chi si riferisse.

« Cos’era diventato? »

« Una sorta di… serpente »

Lei annuì, gli occhi bassi.

« Come l’avete sconfitto? »

« Faith, io non credo che- »

« Per favore »

« L’abbiamo fatto saltare in aria col Sunnydale High »

La bruna si raddrizzò, poggiandosi allo schienale della sedia « Ecco il perché delle macerie… » riflettè ad alta voce, poi « Wesley? Hai detto che era ammaccato… Colpa dell’esplosione? »

« Sì. Dopo la trasformazione di Wilkins è scoppiato il caos. E alla fine, più che un combattimento, era diventato una rissa confusa. Ci siamo persi di vista gli uni con gli altri, eravamo totalmente scoordinati e quando Giles ha fatto saltare le cariche, Wesley era troppo vicino »

« È durato molto lo scontro? »

« Oltre il tramonto »

« E l’eclissi? »

Angel confermò con un cenno del capo.

Ancora appoggiata allo schienale, con le gambe distese, Faith prese a mordicchiarsi l’unghia del pollice destro senza reciderla. Aveva un’aria profondamente assorta e probabilmente, stava cercando di ricostruire nella sua mente l’Ascensione con le informazioni che il vampiro le aveva appena dato.

Tempo. Aveva solo bisogno di un po’ di tempo per riordinare le idee e metabolizzare il tutto.

 

 

Angel raccolse l’apparecchiatura e le stoviglie dalla tavola con una discrezione tale, che Faith si accorse di quanto stava accadendo, solo quando sentì lo scroscio dell’acqua e lo vide con le maniche sollevate e le braccia immerse nel lavello.

Alzandosi di scatto « Veramente i piatti dovrei farli io. Dopotutto sono io che ho mangiato, non credi? »

« Il tuo ragionamento non farebbe una piega, se non fosse che non hai utilizzato il piatto e che il gelato l’ho mangiato anch’io… E poi, ricordi? Hai le mani ferite e io non ci penso neanche a riaprire quella boccetta malsana »

La cacciatrice abbassò le spalle sconfitta, l’idea di risentire quel tanfo non solleticava nemmeno lei.

Si alzò e rimise a posto in bagno le medicazioni, tornò in cucina, ripiegò la tovaglia e chiuso il cartone della pizza, domandò « Dove lo metto? »

Il vampiro si voltò a guardarla e indicando il disimpegno « Vicino alla lavatrice c’è la spazzatura »

La bruna osservò prima il cartone e poi lui « Vuoi buttarla? »

« Faith, entrambi sappiamo sopravvivere in condizioni disagiate sfruttando quello che ci capita sottomano… Fortunatamente, questo non è uno di quei momenti. Domani il cartone sarà floscio e la pizza sembrerà di gomma, in sintesi uno schifo »

« Di fianco alla lavatrice? »

« Sì. Sulla destra, grazie »

 

Una volta finito di riordinare si avvicinarono entrambi al tavolo della cucina, ma non si sedettero.

Faith era visibilmente stanca e aveva inoltre un mucchio di cose da assimilare per abbandonarsi nuovamente in chiacchiere, quanto ad Angel, visto che poteva ancora permettersi il lusso di tergiversare, lo avrebbe fatto.

Dopotutto, nessuno li inseguiva. … Per il momento…

« Hai bisogno di riposarti. Che ne diresti di andartene a dormire? »

« Che sono troppo stanca per discutere il tuo tono paternale… » sbadigliò stiracchiandosi appena « pertanto, buonanotte »

« Buonanotte »

 

Sì. Era decisamente troppo stanca per discutere e ancor più per indagare.

Le sembrava che qualcosa fosse rimasto in sospeso. Forse erano solo percezioni falsate dallo spossamento, ma se così non fosse stato, avevano tutto il tempo di parlarne l’indomani. Il vampiro non le avrebbe certo consigliato di andare a dormire se ci fosse stato qualcosa e fosse stato qualcosa di urgente.

Fermandosi sulla soglia « Sicuro di voler rinunciare al tuo letto?… Ultima possibilità di scambio »

« Se hai bisogno di qualcosa mi trovi qui o di sotto »

La bruna annuì con gli occhi socchiusi e scomparve nel corridoio.

 

 

 

Era da un po’ che fissava il soffitto, forse mezz’ora.

Aveva catalogato una decina di crepe più o meno visibili e stava diventando sempre più irrequieto.

Non credeva che fosse vero, invece lo era.

La cucina era a posto. La casa era in ordine e per la prima volta, si ritrovò a pensare che forse lo era fin troppo. Una volta adocchiati i vestiti di Faith, li aveva sistemati facendo incredibile attenzione a non toccare i capi più personali, dopodiché era rimasto a camminare avanti e indietro per il salone, l’anticamera e la cucina finché non aveva pensato di poter svegliare Faith. Allora era sceso in agenzia, si era sdraiato sul divano e aveva compreso la veridicità di alcune scene cinematografiche sull’insonnia.

Ecco, se avesse avuto una televisione, forse… Che poi la sua non era insonnia. Era notte, era un vampiro ed era più che logico che fosse sveglio e… Dannazione.

Si alzò di scatto dal divano nel suo ufficio e attraversata l’agenzia, aprì la porta d’ingresso per scrutare il cielo.

Non mancava molto all’alba, tuttavia continuava a diluviare e se non c’erano rovesci climatici miracolosi, sarebbe stato al sicuro dal sole.

 

 

I luoghi comuni sulle metropoli si sprecavano da sempre, ma contrariamente a quello che la gente potesse pensare, anche le grandi città dormivano.

In quartieri e zone diverse, avvicendandosi certo, ma dormivano.

Tutti.

Anche il poliziotto alla reception del dipartimento.

… e anche Kate, ma molto probabilmente a casa, visto che il suo ufficio era vuoto. Meglio.

Si diresse con circospezione verso l’archivio, indubbiamente una mossa azzardata, ma i tutori della legge erano sempre pochi in prossimità del cambio di turno. Diede un’ultima occhiata alle proprie spalle e

« Mi cercavi? »

Come detto niente… Indicando dietro « Non eri nel tuo ufficio… »

« No, infatti. Ero giù nell’archivio »

« Ah. Trovato niente di riconducibile ai due casi che mi hai detto? »

Avviandosi verso il suo ufficio « No. D’altro canto come potrei? I ragazzi dello “Sputnik”, i pochi che ragionavano, hanno parlato di una ragazzina esile, bruna e non troppo alta. Nessuno che sia riuscito a tirare fuori lo straccio di un dettaglio e come descrizione è piuttosto sommaria. Sì, insomma, potrebbe essere chiunque »

« Altri testimoni? »

« Nessuno »

« E i due poliziotti? »

« Johnson e Ewing ne sanno anche meno di quei ragazzini. La loro descrizione si ferma a: una figura esile dai capelli lunghi. L’avevano appena avvistata con i faretti che quella è balzata con un tonfo sul tettuccio e poi li ha stesi »

Chiudendo la porta dell’ufficio di Kate alle sue spalle « Hai mai pensato che potrebbero essere due persone differenti? »

« Hai mai pensato di prendere un po’ di sole?!… Certo che no. La persona che ha provocato quella rissa e che ha mandato all’ospedale quei due poliziotti, non può essere che la stessa, è sicuro »

« Sei tu che hai detto che la descrizione è sommaria e che potrebbe essere chiunque »

« Chiunque in questa città, chiunque in questo mondo, ma mi sembra ovvio che sia la stessa persona, no? Non fosse altro per la stessa zona in cui sono avvenute le aggressioni e non è solo questo »

« Anche per il fatto che entrambi i sospettati sono esili? »

Appoggiandosi alla propria scrivania incrociando le braccia « Dico, ma da che parte stai? » e vedendo l’espressione sulla faccia del vampiro, il mezzo sorriso che aveva scomparve immediatamente « Da che parte stai »

Guardandola fissamente « La belva che cerchi, è sotto la mia protezione »

« Oh splendido, ma… avevo capito. Arrivi con una frazione di ritardo sul mio e non è questo quello che ti ho chiesto »

« Non è così semplice… »

Scostandosi dalla scrivania per poi aggirarla « Fantastico. Davvero grandioso. Quando sei uscito di filato dall’agenzia, ho creduto che la ritenessi un pericolo, invece… Un’altra faglia di S.Andrea. Avrei dovuto fare la geologa. …Cos’è? Una tua vecchia fiamma? »

Cercando di mantenersi calmo « Sei fuori strada e non è una vampira »

Sedendosi sulla propria poltroncina « Arrivati a questo punto, chi se ne frega di quello che è. Cielo! Se penso che sono venuta a chiedere il tuo aiuto… il tuo aiuto! Dammi un solo motivo perché non dovrei prendere e rivoltare la tua agenzia come un calzino adesso… »

« Perché ti ci vorrebbe un mandato, non hai alcuna motivazione per ottenerlo e anche se ci riuscissi, una volta arrivata in agenzia non troveresti più neanche la targa alla porta »

Si accorse dell’atteggiamento che aveva preso, solo quando vide i suoi grandi occhi celesti ridursi a due fessure.

Abbassando le spalle « Senti- »

« Dovrebbero assumerti alla Wolfram&Hart »

Angel corrugò la fronte e scosse la testa « Kate, se avessi voluto raggirarti ti avrei lasciato un messaggio in segreteria dicendoti che la belva aveva lasciato la città, o che era effettivamente una vampira e non ne restava che polvere. Non mi sembra di averlo fatto, però. »

Inarcando le sopracciglia con falsa meraviglia « Davvero ragguardevole. Mi fossi rivolta a Nick la ‘caccola’, certamente non sarei stata trattata con altrettanta onestà… »

Stirando le labbra in un sorriso sarcastico « Oh, grazie per avermi accomunato al più nobile e meritevole dei tuoi informatori »

Il resto, gli morì fortunosamente in gola.

 

Si guardarono a lungo in cagnesco.

Consapevoli entrambi che la conversazione, se così poteva essere definita, stava prendendo decisamente una piega sbagliata.

Con un cenno della testa che gli indicava di accomodarsi in una delle sedie di fronte « Che cos’è »

Il suo tono aveva un’evidente nota di esasperazione, ma che quei casi fossero bollati come irrisolti o meno, voleva una spiegazione.

Angel si sedé poggiando i gomiti sulle ginocchia, del tutto conciliante. La faccenda non riguardava solo lui e fino a quel momento l’aveva gestita nel peggiore dei modi.

« È una cacciatrice. Le cacciatrici nascono con l’istinto e le capacità di uccidere vampiri e demoni »

« Quelli che ha messo k.o. erano umani »

Scosse la testa « Non tutti. Lo “Sputnik” è un locale promiscuo. Frequentato pacificamente sia da vampiri che da umani, talvolta appartenenti addirittura a uno stesso gruppo. Lei non sapeva questo, ha sentito la presenza dei vampiri e gli umani che ci sono finiti in mezzo, devono aver cercato di aiutare i vampiri appartenenti alla propria compagine »

« E Johnson e Ewing? »

« Stava cercando un posto dove ripararsi e loro erano in mezzo »

« Ti sembra davvero una buona motivazione? »

« Detta così probabilmente no, ma credimi, inserita nel suo contesto, è molto migliore di quanto tu non pensi »

Il suo sguardo la diceva lunga su quale fosse la misura della sua convinzione, ma c’era dell’altro…

« Tu sei un vampiro, perché la difendi? »

 

Gran bella domanda.

Esisteva una risposta che potesse essere condensata in poche frasi stringate?

Scuotendo nuovamente la testa « L’origine delle cacciatrici è piuttosto vaga, come quella dei vampiri. Dacché si ha memoria, ogni testimonianza che tradisca la nostra esistenza, riporta quasi invariabilmente anche la loro. Cosa che sottolinea in modo evidente la possibile concomitanza delle nostre nascite… E se fosse realmente così, certamente non sarebbe a caso. Le affinità tra noi sono straordinarie, almeno quanto sono profonde le differenze. Basilarmente umani, dotati di una forza molto superiore alla norma, così come i sensi… Assassini naturali. In fazioni differenti… Forse la difendo perché in quelle affinità mi riconosco, riesco a riconoscerla e quindi a comprenderla, o forse perché ho rispetto di quelle profonde differenze… Di sicuro è perché conosco Faith e lei comprende e rispetta me nello stesso modo in cui io comprendo e rispetto lei »

 

Kate fissò lo sguardo sulle cartelle sopra al ripiano della sua scrivania. Erano le cartelle della rissa allo “Sputnik” e dell’aggressione a Johnson e Ewing.

Angel si alzò dalla sedia mentre la bionda le osservava assorta, ancora incerta sul da farsi.

Sollevando gli occhi dalle cartelle « Vorrei vederla »

Angel annuì col capo, era una richiesta lecita ma non spettava a lui prendere una decisione.

« Ti farò sapere stasera »

Aveva raggiunto quasi la soglia quando

« Faith…? »

« Sì »

 

Rimasta sola nel suo ufficio, Kate si sporse e dal portapenne estrasse un pennarello nero. Lo tenne fra le mani, pensando più volte di aprirlo, dopodiché lo rimise a posto.

Prima di ogni altra cosa voleva vederla.

Il solo fatto che Angel si fosse esposto a quel punto, in realtà dava una certa garanzia, ma prima voleva vederla.

Si alzò dalla scrivania, prese la giacca dallo schienale e si diresse alla porta. Il suo turno era finito da un pezzo e nessuno le avrebbe pagato quello straordinario.

Quello, come tutti gli altri…

Tornò indietro, prese le cartelle, le ripose nel secondo cassetto con noncuranza dandogli un giro di chiave e finalmente uscì.

 

quinta parte

 

 

« Cosa desidera? »

Sentendosi improvvisamente richiamare, Angel corrugò la fronte.

L’immensa fila che si poneva di fronte a lui, era stata evidentemente smaltita durante le sue riflessioni e ora il ragazzo in divisa aspettava la sua ordinazione.

« … Un cappuccino con latte scremato e cacao, due caffè neri molto forti, del latte a parte, un muffin cioccolato e cannella, una ciambella alla cannella e… due al cioccolato da portar via »

Concluse poggiando soldi e gomiti sul bancone in attesa del suo pacco.

Rientrando in agenzia aveva notato distrattamente una caffetteria e memore delle considerazioni fatte la sera prima, prendere la colazione per Doyle e Cordelia gli era sembrata una buona idea.

Le otto e un quarto…

Forse non poi così buona.

Supponeva che Faith fosse un possibile motivo per farli arrivare prima del solito, ma non così tanto prima.

Scrollò le spalle dicendosi che ci sarebbe stata di sicuro un’altra occasione e una volta arrivato in agenzia, aprì la porta di slancio bloccandosi subito dopo sui gradini « … Buongiorno »

« Ciao »

« … Ciao, Uomo »

C’era qualcosa che non quadrava in quella situazione…

« Come mai già in piedi? Aspetta un momento… »

La bruna guardò l’orologio alla parete e poi fissò il vampiro che stava richiudendo la porta d’ingresso. Stava richiudendo…?!

« È una mia impressione o sei appena entrato dalla porta d’ingresso? » Domandò l’irlandese aggrottando la fronte e prima che lui potesse rispondergli, Cordelia lo travolse dicendo « Pazzo incosciente che non sei altro, è mattina! »

« Sì, ma è tutto coperto. Diluvia »

« E ti sembra un buon motivo?! »

« … Sì »

« Perché sei appena entrato dalla porta d’ingresso? »

Non era esattamente questa l’apparizione che aveva immaginato di fare…

« Per rientrare?! »

« Oh oh oh, ma come siamo spiritosi! »

No, decisamente…

 

Rimasero alcuni istanti in silenzio a guardarlo.

Abbassando le spalle e avvicinandosi alla scrivania « Sono andato al distretto e ho parlato con Kate »

Doyle inarcò le sopracciglia mentre Cordelia le corrugò « Mi era sembrato di capire che volessi proteggere Faith »

« Infatti. Non era mia intenzione parlare con Kate, o almeno non così presto, ma- »

« Scusa, se non volevi parlarle, perché sei andato al distretto? » chiese Doyle sempre più perplesso ed un tratto, come folgorato « Non dirmi che hai cercato di frugare nell’archivio della polizia… » disse tendendo le mani in avanti.

« Sì »

« Volevi vedere se c’era altro che potesse essere a carico di Faith? » fece Cordelia.

« Sì »

« Ma hai incontrato Kate » concluse Doyle.

« … Sì »

« Agente 007 stiamo perdendo colpi, eh? » affermò la bruna con ironia mentre Angel storceva la bocca in una smorfia.

« Ti prego, dimmi che ti ha beccato in modo che sembrassi alla sua ricerca… » proruppe Doyle sulle spine.

« Fortunatamente sì » lo rassicurò il vampiro e l’altro, abbassando le spalle « Almeno questo… E come l’ha presa Kate? Dico, di Faith… Perché gliel’hai detto, vero? »

Angel annuì « Vuole vederla »

« E tu che le hai risposto? »

Intervenne Cordelia, inclinando la testa e raddrizzando la schiena in allerta.

« Che le farò sapere stasera. Questa è una decisione che può prendere Faith soltanto »

« E Come pensi di dirglielo? » continuò la bruna dubbiosa.

« Non ne ho idea »

Dichiarò poggiando il pacco della colazione sulla scrivania e lanciando il proprio cappotto, umido di pioggia, sulle poltroncine di fianco all’ingresso, destando il profondo disappunto di Cordelia.

« Come credi che reagirà? » chiese allora Doyle « Non bene » affermò la ragazza appoggiandosi con le braccia alla scrivania, guardandone compresa la superficie.

Il mezzo demone spostò lo sguardo sul suo protetto « Di che portata potrebbe essere il male? »

Scuotendo la testa e sedendosi sul ripiano « Non è prevedibile. Potrebbe semplicemente prendere i piedi e sparire nel nulla »

« Così come potrebbe lasciare sul parquet un bel mucchietto di cenere… Il tuo » concluse fissando in modo eloquente il vampiro.

« Non credi di stare esagerando? »

« Chi può dirlo »

 

Si voltarono all’unisono verso l’ufficio di Angel.

Faith era appoggiata allo stipite della porta che li guardava gravemente con le braccia conserte.

Rivolgendosi al vampiro « Tu che dici, Angel? Ha esagerato? »

Tre paia d’occhi la fissavano e ognuno di essi rifletteva un pensiero differente.

Per Doyle sembrava essere giunto il momento della verità, avrebbe saputo finalmente se la ragazza era una belva o meno, Cordelia si augurava fortemente di non averle dato un buon suggerimento ed Angel era piuttosto cupo nella sua espressione, e con ragione.

Non avevano neanche fatto in tempo a chiarirsi che…

 

« Ieri notte mi hai detto che se avessi avuto bisogno di qualcosa, ti avrei trovato qui e avevo bisogno di un po’ di grasso per i miei Underground… ma penso che farò a cambio con una spiegazione »

Staccandosi dalla porta raggiunse il vampiro, prese una delle sedie che gli erano davanti e una volta seduta, lo guardò dritto negli occhi.

« Sentiamo, Angel »

Si erano chiariti appena la notte prima e non aveva nessuna voglia di far finire così velocemente in vacca la situazione. Stavolta sarebbe stata lei a concedergli il beneficio del dubbio.

 

« Tu ti fidi di me, ma c’è un’altra persona che si fida di me »

« Kate… giusto? È quella che mi ha notata? » chiese sollevando il mento.

« Sì. È una detective del dipartimento di polizia »

No. Non aveva voglia di far finire la situazione in vacca, ma dato che la situazione lo era già in vacca…

Facendo per alzarsi « Beh, è stato bello… »

« Hai intenzione di fuggire per tutto il Paese? »

Piegando la testa di lato « A dire il vero no. Non erano queste le mie intenzioni, ma tu hai variato un tantino i miei programmi » Rispose alzandosi definitivamente e quasi raggiunta la soglia dell’ufficio « Sa chi sei »

Si fermò.

 

Non aveva mai avuto modo di dire a qualcuno che era una cacciatrice.

Non c’erano mai stati motivi per cui condividere quell’informazione e in seguito, le poche persone a cui avrebbe voluto dirlo lo sapevano già.

Perché Richard l’aveva avvicinata proprio per quel motivo. Perché Wesley era il suo osservatore e perché ad Angel, quasi certamente doveva averlo detto B.

Degli altri non le importava. Lo sapessero o meno.

Intuiva che ciò che le aveva appena detto Angel, avesse un peso non indifferente, soltanto non capiva in che modo.

Il fatto che la poliziotta sapesse della sua vita, come poteva da solo cambiare le cose?

« Che altro sa di me? »

« Nulla. Ma quello che sei potrebbe darti delle… attenuanti »

« Attenuanti a cosa? »

« Agli esseri umani che ci sono passati di mezzo »

Le pupille della ragazza si dilatarono.

Se si fosse presa una sbronza colossale, avrebbe senza dubbio ricordato di più di quei giorni…

Rammentava vagamente di aver rotto la vetrina di un negozio, dove certamente si era procurata la sacca e i vestiti che aveva adesso, dato che era partita senza bagagli… E rammentava vagamente anche un locale affollato e della musica a tutto volume, ma… niente esseri umani.

« Mi stai dicendo che avrei dovuto essere più discreta? »

Dettagli. Le servivano dei dettagli.

« Cinque ragazzi contusi allo “Sputnik” e due poliziotti in trazione all’ospedale, non passano inosservati »

Sette persone ammaccate. A causa sua, d’accordo ma… vive.

Sentì il sollievo invaderla e abbassando le spalle soffiò « No. Direi di no… »

 

Lo smarrimento e il sollievo sul viso di Faith erano stati evidenti ed Angel dubitava che la cacciatrice fosse felice di una tale condivisione emotiva.

« Devo aspettarmi altre sorprese? »

Le pose quella domanda sapendo che non aveva più possibilità di ottenere una risposta, di quante ne avesse Cordelia di vincere alle corse dei cani senza le visioni di Doyle.

In un certo senso stava cercando di salvarle la faccia e Faith non credeva di essergli mai stata tanto grata. Recuperando un tono « Se ci fosse dell’altro, penso che lo sapresti. La tua amica sembra in gamba… »

« Lo è »

La sua determinazione la distolse momentaneamente da alcune considerazioni e tra mille pensieri, per un istante le balenò assurdamente quello che Kate fosse la spiegazione a quegli specchi in bagno…

« Che cosa vuole da me? »

« Incontrarti. Conoscerti »

« Per? »

« Per farsi un’idea »

Che bello. Era la settimana del beneficio del dubbio e nessuno l’aveva avvertita…

Si morse una guancia senza sapere che fare o che decisione prendere, quando Angel, alzando il pacco sulla scrivania di Cordelia « Colazione? »

 

 

Erano in cucina ed era una prima assoluta. Almeno per Doyle e Cordelia, i quali, notò Angel, si muovevano in maniera decisamente meno disinvolta di Faith.

Scosse appena la testa, ripromettendosi che avrebbe risolto e mise su il bollitore per farsi il tè, dopodiché prese la zuccheriera e si voltò verso di loro.

La cacciatrice era seduta nel posto che aveva occupato la sera prima, Cordelia le stava davanti e Doyle era a uno dei capotavola.

Il pacco era intonso e campeggiava proprio nel mezzo del tavolo.

E nessuno dava l’idea di volersi prendere la confidenza da sfiorarlo anche solo per sbaglio.

Si avvicinò e cominciò a tirare fuori i bicchieri termici, distribuendoli « Cordelia, cappuccino con latte scremato e cacao… Doyle caffè nero molto forte, senza zucchero »

Era capitato alcune volte che si fossero incrociati la mattina e con buona fortuna, aveva casualmente registrato le loro abitudini. Prendendo l’ultimo bicchiere termico « Faith… non sapevo cosa preferissi, così ti ho preso un caffè nero con latte a parte e lo zucchero è qui »

« Assolutamente perfetto »

 

L’altra bruna strinse appena le labbra. Sì, era tutto perfetto…

Aveva azzeccato con Faith, ricordato quello di Doyle e, beh, anche il suo era giusto. E se per una volta usava lo zucchero invece del dolcificante, non sarebbe di certo morto nessuno…

« Cordelia, il dolcificante » disse allungandole la bustina, appena recuperata dal fondo del pacco.

Vedendo che la ragazza non diceva, né faceva nulla, ritrasse appena la mano “Ho sbagliato?”

Riprendendosi all’istante « No » rispose con un sorriso smagliante, strappandogli quasi via la bustina « È… assolutamente perfetto »

Rassicurato tirò fuori una scatola rosa shocking, l’aprì e la mise al centro.

« Il muffin cioccolato e cannella è di Cordelia mentre la ciambella alla cannella è di Doyle e… idem come sopra. Spero ti piacciano le ciambelle al cioccolato, Faith »

 

Non c’era un motivo logico, o forse sì, ma tutt’a un tratto le tornarono alla mente dei particolari…

Emily. E le gelide serate invernali di Boston che trascorreva con lei.

Da lei c’era sempre un confortante, sonnacchioso tepore. Che odorava di legna da ardere e tè e aveva il gusto di biscotti al burro e allo zenzero…

Richard. Quando la convocava nel suo ufficio.

E l’aria era impregnata di incensi decisamente inusuali e deodoranti Glade per camuffarli. E davanti, sulla scrivania, le metteva un piatto di biscotti, un bicchiere di latte e una scatola di salviette disinfettanti perché si potesse pulire le mani…

Casa. Quei particolari sapevano di casa per lei.

Come adesso sapevano di casa perfino il cacao sulla schiuma del cappuccino di Queen C, o il profumo della ciambella di Doyle, o ancora il fischio del bollitore che aveva messo su Angel ed era tutto assurdo.

Perché li conosceva poco, o niente, o… non abbastanza.

Ed era meglio che si scrollasse di dosso quella voglia di restare, prima che ci sbattesse nuovamente la faccia.

Oh, sì, davvero.

Molto, molto meglio.

Questo non voleva comunque dire dover prendere i piedi e andarsene, così di punto in bianco, o… essere scortese.

« Mi piacciono moltissimo »

 

Angel annuì, si scostò dal tavolo e si preparò una tazza di tè, un Lapsang Souchong piuttosto pesante, dopodiché ritornò sui suoi passi, sedendosi all’altro capo del tavolo.

Doyle e Cordelia non poterono fare a meno di osservarlo mentre si serviva dello zucchero.

… Due cucchiaini colmi…

E tutti e due si ripromisero di tenere a memoria quanto visto.

« Come facevi a… » iniziò Doyle e poi scosse la testa, decidendo di lasciar perdere.

In fondo non aveva importanza come Angel sapesse quali erano le cose che prendevano per fare colazione, ma che lo sapesse e basta.

Cordelia lo guardò sorridendogli lievemente, come se concordasse a quella decisione, poi prese il suo muffin dalla scatola e cominciò a spilluzzicarlo. Seguita a ruota dallo stesso Doyle e da Faith.

 

Il vampiro strinse la tazza con entrambe le mani, rinsaccandosi appena sullo schienale, guardandoli con celata soddisfazione e un pizzico di incertezza.

Stavano diventando una famiglia.

… forse.

Non lo sapeva.

Da tempo non aveva più una famiglia, ma quella era una situazione decisamente familiare…

Richiedeva impegno avere una famiglia.

Cura, attenzione, affetto.

Cose spontanee, naturali.

Come l’inquietudine, l’amarezza, lo smarrimento…

 

 

… C’è chi pensa che tu non sia nato per meditare sui gradini di un liceo…

 

… Ti si chiede di rimanere in gioco per non sguarnire una parte…

 

Quando aveva deciso di seguire Doyle, credeva di dover dare solo una mano e nient’altro. Ma poi avevano cominciato a parlare

 

… Chi era William?…

 

… So chi sei e la cosa non mi terrorizza …

 

Era arrivata Cordelia

 

… Allora? Da che parte è l’agenzia?…

 

I rapporti si erano stretti profondamente

 

… Dormi bene…

 

… Forse un altro sarebbe salito su per quelle scale e invece di rimanere fermo come un idiota senza neanche trovare il coraggio di bussare, avrebbe buttato giù la porta a spallate e si sarebbe fatto sentire!…

 

… Sono rimasta anch’io lì, ferma come un’idiota dietro a quella porta…

 

… Ciao, Uomo. È bello… rivederti.

 

Molto profondamente

 

… Non so come farei senza di voi. …

 

E adesso c’era anche Faith...

 

« Angel? »

Sollevò lo sguardo abbandonando i suoi pensieri.

« Perché ieri sera non mi hai detto di Kate? »

Già. C’erano ancora delle spiegazioni in sospeso…

« Perché ieri sera Kate non aveva idea di chi tu fossi »

« E hai pensato di rimediare correndo a dirglielo… »

Se Kate fosse stata davvero il motivo a quegli specchi nel bagno… Beh, forse ci sarebbe rimasta meno male, ma…

« Non sono corso da lei, sono corso all’archivio del distretto e nell’archivio del distretto ho trovato lei in pieno straordinario »

 

Ah.

Evidentemente la fortuna che non la perseguitava, girava al largo anche da quelli che la frequentavano…

« Comunque Kate non sa altro e auspico che non troverà altro »

Terminò trapassandola con lo sguardo, senza variare il tono di voce.

Faith strinse le labbra.

Non aveva studiato e non aveva neanche la giustificazione… Al diavolo.

Era sempre riuscito a far sentire così in difetto gli altri, o era un dono che aveva ricevuto col suo essere vampiro?

Alzò la testa e si limitò a ripetere ostinata « Se ci fosse stato altro, l’avrebbe già scoperto »

… Se ci fosse stato altro, l’avrebbe già scoperto?

Probabilmente se lo erano chiesto entrambi e questo, spiegava perché Angel si fosse recato al distretto e perché, in modo più o meno esplicito, continuasse testardamente a sperare che lei si ricordasse qualcosa.

Tempo sprecato… almeno per il momento.

 

« E negli archivi di Sunnydale? C’è qualcosa su di te, là? »

La cacciatrice sgranò gli occhi « Sai, non l’ho mai vista, ma col mio intuito di cacciatrice giurerei che il naso di Kate è sempre umido e che da quando le hanno tagliato male la coda e le orecchie, è diventata piuttosto scontrosa… Cos’è un mastino? »

Doyle e Cordelia strinsero e si morsero le labbra per evitare anche il minimo cenno di sorriso, mentre il vampiro la fissò impassibile finché lei non roteò gli occhi e sbottò « Non c’è niente su di me a Sunnydale. Richard, a suo tempo, insabbiò ogni cosa che potesse riguardarmi »

Il nome di Finch aleggiò sgradevolmente fra loro, ma nessuno lo pronunciò.

Faith abbassò lo sguardo con disagio, stropicciando nervosamente i jeans con le mani.

Si sarebbe mai buttata alle spalle quella storia?

 

Doyle non aveva idea di chi fosse Richard, ma comprese al volo che doveva trattarsi di una vecchia e non troppo piacevole storia del passato della ragazza.

« Vuole sapere se sono una belva o no e se fa bene a chiudere un occhio… Non è così? »

Chiese sollevando lo sguardo su Angel, il quale si limitò a chiudere brevemente e marcatamente le palpebre in segno d’assenso.

Faith riabbassò gli occhi annuendo col capo.

 

Senza troppe cerimonie avrebbe potuto prendere le sue cose, i suoi piedi e andarsene.

Punto, fine delle trasmissioni.

Niente spiegazioni, niente esami, niente rogne. Niente.

Appunto, niente…

Si morse nuovamente la guancia sfuggendo lo sguardo nel nulla.

Quella di Queen C, quantunque involontaria, non era un’opzione.

A parte il fatto che non sarebbe stata di certo una passeggiata, non si riduceva a un mucchietto di polvere l’unica persona che non ti avesse mai trattato come un’appestata…

Angel aveva agito in buona fede.

Senza contare che l’aveva portata dai ‘Troll’, che le aveva offerto un riparo e che le aveva preso addirittura due ciambelle al cioccolato, quando non era mai stata neanche abituata a fare colazione…

Ecco. Una considerazione del genere segnalava che era proprio giunto il momento di fare fagotto. Il muro era a pochi centimetri e la sua faccia era già conciata abbastanza male per potercisi spiaccicare contro ben bene.

Forza e coraggio.

Non ci voleva molto. Si alzava, ringraziava e se ne andava.

Uno, due…

 

« Accidenti! »

 

L’esclamazione e lo sguardo fuori dalle orbite di Cordelia, sottolinearono ulteriormente un tuono talmente forte da far vibrare i vetri alle finestre di tutto l’appartamento.

La cacciatrice storse la bocca.

Scuse a parte, andarsene durante il remake del diluvio universale, la faceva somigliare davvero troppo alla sorella patetica della piccola fiammiferaia…

Prima che il silenzio riprendesse spazio « La mia fedina penale è candida come un giglio » affermò e sollevando il mento e lo sguardo « Se non altro, lo era fino a stanotte… »

« Lo è ancora »

Le assicurò Angel.

« E lo sarà anche dopo che avrò incontrato Kate? »

Domandò infilando, senza pensare, la mano nella scatola per prendere l’altra ciambella e paralizzandosi quasi all’istante. Considerando che non poteva fare altro che prendere quella stramaledetta ciambella ormai, ragionò che almeno poteva rimediare la sparata fatta.

Raddrizzandosi appena « Sempre che decida di incontrarla, è ovvio »

… Qualcuno avrebbe comprato i suoi fiammiferi, anche se zuppi?

 

« Penso che sia come hai detto tu. Che si tratti solo di una pura formalità »

Faith. La cacciatrice. La belva…

Magari una ragazza scontrosa, questo sì. Difficile, senza dubbio ma una belva… quello proprio no.

… E forse non era neanche in fuga.

« La incontrerai? »

Senza alzare lo sguardo dal dolce « … Quando le devi dare una risposta? »

« Stasera »

Continuando a tenere gli occhi bassi, Faith prese a sezionare la ciambella dividendola a piccoli tocchi, mangiandoli lentamente, un po’ per volta.

 

Stasera…

Non le aveva certo lasciato un gran margine decisionale… Vero dire che la sua, non doveva essere una riflessione sui massimi sistemi. O restava, o non restava.

Ma dover decidere così su due piedi… E intanto il silenzio era ripiombato un’altra volta e… Al diavolo.

Possibile che non avessero niente di meglio da fare che guardarla mangiare quella stupida ciambella?

« Fammici pensare un po’ su, ok? »

Concluse spiccia, ingoiando l’ultimo boccone senza quasi masticarlo. Alzandosi subito dopo dalla sedia, sfregando via le briciole dalle mani ed entrando nel disimpegno per buttare il bicchiere termico.

 

Angel assentì, ma anche se non fosse stato d’accordo, si era già messo abbastanza in mezzo per poterlo fare oltre.

Senza contare che… Che cosa accadeva dopo aver terminato di fare colazione?

Normalmente lui lavava la propria tazza ed era finita. Invece erano seduti là. Fermi, immobili.

Ad annuire col capo in segno di conferma e a sorridere lievemente come per confortarsi quando si incrociavano con lo sguardo.

Che cosa dovevano confermare? La propria presenza?

Su che cosa si dovevano confortare? Sul fatto che stava per finire?

 

 

Per essere un disimpegno era piuttosto grande, per essere una stanza era piuttosto piccola…

Poteva essere così piccola una cella?

Sarebbe stata così piccola la sua cella?

Al diavolo.

Quello doveva essere solo un incontro e questo era solo un disimpegno.

… Anche se al momento le sembrava più una gabbia e questo la rendeva nervosa.

Prese con slancio il giubbotto che era poggiato sulla lavatrice e senza neanche aver mosso un passo verso la soglia, lo scagliò con forza dove l’aveva preso, dopo aver sentito il fragore di un altro tuono.

Meglio sembrare scontrosa.

Meglio sembrare una belva in gabbia, che una patetica fiammiferaia…

 

 

Il tempo, la salute, il lavoro…

Era da un po’ che pensava a un possibile argomento di conversazione che potesse accomunarli e rilassare l’atmosfera, ma tutto quello che gli era venuto in mente, erano stati: il tempo, la salute e il lavoro.

E non c’era neanche l’ombra di una visione all’orizzonte.

Chissà, forse era la prima volta che Faith veniva a Los Angeles e… Era meglio se si inventava una visione.

Il tempo, la salute, il lavoro…

 

 

Se Faith avesse distrutto l’appartamento, l’avrebbe capita.

Le sarebbe dispiaciuto, in fondo aveva contribuito anche lei al suo allestimento e poi era davvero bello, ma… l’avrebbe capita.

Otto mesi di coma.

Sorprese, sorprese, sorprese.

Cattive, brutte, pessime notizie.

… E tre imbranati ammutoliti in attesa che lei proferisse verbo.

Sugli altri due non poteva pronunciarsi con certezza, ma lei sapeva di sicuro di non essere così.

Perciò, non appena vide la bruna varcare la soglia e passare dallo sconforto a un neutrale distacco, esordì

« L’agenzia dovrebbe essere aperta da un pezzo. Perché non scendete giù a dare un’occhiata mentre io e Faith sparecchiamo qui? »

L’espressione perplessa era di Doyle, ma la voce fu la sua « Sparecchiare? »

Cordelia allargò il proprio sorriso senza scomporsi. Era ovvio a tutti loro che quanto era sopra il tavolo, non richiedesse due persone per sparecchiare. Di conseguenza, se al prossimo turno della selezione naturale fosse stato escluso, non avrebbe recriminato in alcun modo.

« Sparecchiare, sì, certo… L’agenzia, certo… Andiamo, Uomo? »

La bruna li accompagnò alla porta con uno sguardo affettuoso e comprensivo.

Dopodiché impilò i bicchieri termici e li mise dentro la scatola, con la mano libera prese la zuccheriera e con l’anulare e il mignolo afferrò il manico della tazza di Angel. Entrò nel disimpegno, buttò la scatola nella spazzatura, uscì, mise la zuccheriera a posto nella credenza, si recò al lavello e sciacquò la tazza.

Quando ebbe finito si asciugò le mani e finalmente si girò a guardare la cacciatrice « Ti va un po’ di compagnia? »

 

E così gli alieni non erano piccoli omini verdi con grandi occhi scuri e un numero imprecisato di dita per mano, ma delle normali ragazze con grandi occhi scuri e un pompon per mano. Bastava saperlo…

« Senti… Non sono così stupida da credere di poter sorvegliare una cacciatrice, quindi se ti va resto, se no me ne vado »

Faith rimase immobile per alcuni istanti, poi incerta « … Ok »

Tanto non aveva senso fare la belva solitaria in gabbia…

Cordelia assentì e con un cenno della mano, le indicò il salotto « Ti direi se vuoi dell’altro caffè, ma Angel non ha che tè in quelle credenze… »

 

 

Intanto che attraversavano l’ufficio « Principessa è stata grande, non trovi? »

« È sempre stata un’ottima P.R. »

« Ieri sera, oggi… È davvero una ragazza incredibile »

Fermandosi appena all’altezza della scrivania della ragazza, Angel si voltò a scoccargli un’occhiata.

Doyle se la stava prendendo veramente brutta per Cordelia…

Il mezzo demone si sedette sul ripiano con disinvoltura, mentre l’altro proseguì fino alle poltroncine d’aspetto e preso il cappotto « Io esco »

« Come sarebbe a dire che esci? Dobbiamo badare all’agenzia e poi è giorno, ricordi? »

« Basta uno di noi per l’agenzia e poi diluvia, ricordi? »

Alzandosi dalla scrivania « Andiamo, Uomo. Cordelia mi ammazza se sa che ti ho permesso di uscire in pieno giorno. Mi ammazzerebbe anche se ci fosse un’eclissi totale di sole, figuriamoci per un semplice temporale »

Il vampiro rimase interdetto ad osservarlo.

« Che c’è? »

« Che mi hai permesso di uscire…? »

« … Scelta errata di parole? »

« Spiacente per la tua situazione, ma in casa non c’è nulla a parte tè, zucchero e flaconi di sangue e- »

« Se Faith decide di restare… Capisco. Verrei con te, ma- »

« Doyle. Onestamente credo che con un tempo simile, non sarà il nostro telefono ad impazzire, ma quello dei pompieri per allagamenti e simili »

« E se scendono? » domandò avanzando ancora un po’ verso la soglia, mentre Angel era già sul primo gradino che apriva la porta « Sarei portato ad escluderlo » rispose quello uscendo, intanto che l’altro, ormai al secondo gradino, recriminava debolmente « Se solo avessimo una segreteria telefonica… »

« Stai cominciando a parlare proprio come Cordelia, lo sai? Ne compreremo una per farci perdonare »

Il mezzo demone abbassò le spalle vinto e chiudendosi la porta alle spalle mormorò « Speriamo che basti… »

 

 

Faith era alla finestra già da diversi minuti. Osservava assorta e in silenzio la pioggia che scrosciava incessantemente sui vetri e Cordelia non aveva voluto distrarla con futili chiacchiere.

Anche lei, come Doyle, sapeva quando rimanere in silenzio.

« Credevo che in California splendesse sempre il sole. Invece questa pioggia mi ricorda tanto Boston… »

Pronunciò con sguardo lontano.

« Normalmente è così, ma ogni tanto, per due o tre giorni, capita che piova in questo modo. Avresti dovuto vedere il mese scorso… » buttò là, Cordelia.

La bruna si girò a guardarla, avanzò sedendosi nel divano di fronte a lei e raccolse.

« Ha piovuto molto? »

In fondo era un modo come un altro per iniziare a fare conversazione…

« C’è stata una grandinata terribile, la temperatura si è abbassata di colpo e i chicchi di ghiaccio sembravano palline da golf per quanto erano grandi. La città è impazzita. Qui siamo abituati a vedere il ghiaccio nei bicchieri, non cadere dal cielo! E i danni. Vetrate infrante, macchine ammaccate… La gente gridava alla collera divina, ma non appena è spuntato di nuovo il sole, se l’è presa con l’effetto serra »

Si interruppe guardando compresa il nulla.

« Per un attimo ho desiderato che quella grandinata fosse stata davvero indice di qualcosa di… ‘strano’. Qualcosa che la gente non potesse razionalizzare. È davvero fastidiosa la tendenza che hanno le persone a negare certe cose. … Di tanto in tanto mi domando se anch’io ero così, prima. Se anch’io nascondevo la testa dentro la sabbia come gli struzzi… »

Rialzando lo sguardo vide la cacciatrice, i gomiti poggiati alle ginocchia, che la guardava corrugando appena le sopracciglia accennando un sorriso stupito e si sentì in imbarazzo. Non riuscendo a capire come da qualcosa di così impersonale come il tempo, fosse potuta arrivare a qualcosa di tanto personale.

« Tutto questo per dire che in fondo queste piogge, per quanto sporadiche, sono ordinaria amministrazione e che comunque la California resta il paese del sole »

La cacciatrice marcò il proprio sorriso e scuotendo la testa « Io non credo fossi uno struzzo. Non ti ho mai conosciuta bene, ma le cose che dicevi erano così grosse, così vere e non ti uscivano mai per sbaglio che… non potevi essere uno struzzo »

 

La comprensione fra due persone, era davvero qualcosa di inspiegabile.

Non aveva canoni, non aveva regole e tanto meno tipologie…

« Ti va di uscire? »

« Sì » rispose Faith senza esitazione.

Ne aveva davvero bisogno e dopotutto, anche se pioveva, non si era mai letto di due piccole fiammiferaie, giusto? E anche se le avesse proposto di tornare in quei casermoni fatiscenti dove Angel l’aveva trovata, le sarebbe andato bene comunque in quel momento. Peccato che…

« … Non vorrei che Angel si facesse strane idee… »

Roba da non credere.

Se tutte le belve fossero state come Faith, anche lei avrebbe potuto diventare una cacciatrice…

Guardandola fissamente negli occhi « Senti. Sebbene sia più vecchio, data la situazione non può essere tuo padre. Siccome appunto è troppo vecchio, non può essere tuo fratello… E non credo sia mai stato il tuo amante, pertanto Angel non può permettersi di esigere spiegazioni di alcun tipo, ti pare? »

Cominciava ad adorare Queen C…

« Quindi scendiamo giù? »

« Certo che no! Vieni »

Sì, decisamente.

 

Arrivate alla fine del corridoio, svoltarono e si trovarono di fronte uno scaffale pieno di libri e soprammobili, ai piedi del quale era un gigantesco baule.

Cordelia abbassò le spalle sconfortata « Quell’uomo mi farà uscire fuori di testa! »

Intravedendo la porta che era nascosta oltre ai mobili « Che cosa c’è là dietro? Una cripta con le vittime di Angel?! »

« No. La cosa che teme di più al mondo… I suoi vicini. Una volta questo era l’ingresso principale »

Osservando lo scaffale e il baule « Non sembrano saldati alla parete… »

« Credi davvero di poterli spostare? »

« Sì »

« Allora non c’è problema. … A parte la mia giacca e la mia borsa che sono giù »

« Il mio bancomat dovrebbe ancora funzionare. Credi di poterti adattare a un giubbotto jeans? »

« Sì »

« Allora non c’è problema »

 

 

Era zitto da quando avevano lasciato l’agenzia.

Zitto e meditabondo.

Nonostante si guardasse di tanto in tanto in giro, era palesemente pensieroso, silenzioso in modo inquietante.

E se ne stava lì seduto, anzi stravaccato sul sedile, con un piede discutibilmente sul cruscotto… Certi suoi atteggiamenti gli ricordavano incredibilmente William, a volte…

« Tutto bene? »

L’irlandese voltò la testa, ma il suo sguardo distante indicava che era ancora perso nei suoi ragionamenti.

« Sì. Stavo pensando alla stranezza della cosa… Tu ed io che andiamo a fare la spesa »

Impareggiabile Doyle.

Perché anche se non fosse stato distratto da quei pensieri, gli avrebbe risposto comunque a quel modo, con disarmante sincerità.

Sebbene alcune volte avesse avuto la sensazione che non fosse esattamente un santo, il Braken riusciva comunque a rimanere un puro.

Sorprendente, per non dire quanto raro…

« Stranezza? » domandò in tono casuale.

Non credeva che la stranezza, potesse essere in quella sequenza da barzelletta che voleva un vampiro e un mezzo demone a fare la spesa per una cacciatrice, difatti

« Sì. Da quanto tempo ci conosciamo? Circa otto mesi. E non è mai successo niente del genere in questi otto mesi. E penso che non si tratti della differenza di abitudini alimentari… Sì, insomma, io potevo accompagnarti dal macellaio, tu potevi accompagnarmi al KFC o in un Dunkin’ Donuts e invece di rimanere come due scemi, avremmo potuto mangiare e chiacchierare durante gli appostamenti come i poliziotti nei telefilm. Ci fosse capitato una volta di rimanere fermi per ore, invece niente e tutt’a un tratto… BAM! Andiamo a fare la spesa insieme mentre Cordelia, anche lei coerente, rimane in chiacchiere con Faith che fino a ieri sera, temeva più di un attacco virulento di acne… E la stranezza non sta in tutto questo, come sarebbe logico, ma nel fatto che mi sembra assolutamente normale e in quel po’ di razionalità che mi è rimasta, so che non dovrebbe essere così »

Un altro avrebbe chiamato il 911, ma Angel rimase imperturbabile ad ascoltarlo.

Doyle aveva ragione. La cosa più strana di tutte, era che tutto sembrava assolutamente normale.

« Andiamo nel mercato rionale del quartiere? »

« No, andiamo in quello di Venice »

 

sesta ed ultima parte

 

 

Trentasettemila dollari.

Con la punta dell’indice contò gli zeri segnati sul biglietto del saldo.

Nessuno sbaglio. Il suo conto esisteva ancora e ammontava a trentasettemila dollari.

Richard e la sua assurda idea di mandarla al college…

Scosse la testa mandando indietro i capelli. Era meglio non pensarci.

Ritirò cinquecento dollari e raggiunse la ragazza.

Il centro commerciale in cui si trovavano era immenso e visitarlo l’avrebbe certamente distratta.

« Era ancora attivo? »

« Sì… Curioso. Questa è la prima volta che lo uso. La settimana che l’ho avuto, è quella in cui sono finita in coma… Da che parte andiamo? »

« Di là? »

« Ok »

Mentre l’altra si guardava intorno con indifferenza, Cordelia azzardò « Com’è stato il risveglio…? »

E dopo un paio di passi in silenzio, Faith decise che poteva starci.

« Mi sono svegliata intorpidita come se avessi semplicemente dormito troppo e mi sono ritrovata all’ospedale… Non è stato il massimo » le sorrise con ironia e fermandosi davanti a una vetrina di scarpe « Otto mesi… Tutto cambiato, tutto diverso. Senza il pieno uso delle gambe, con una voragine nello stomaco che non potevo colmare senza piegarmi in due e senza troppa memoria… »

Già. Non era stato davvero il massimo.

E non lo era neanche adesso… Considerò scorgendo il proprio riflesso sul vetro.

Diavolo, sembrava una desaparecida.

Le occhiaia, i capillari spaccati, l’aria smunta, denutrita e anche i capelli non la aiutavano.

Prese una ciocca fra le dita. Chiunque le avesse tagliato i capelli, si era preoccupato solo che non diventassero un groviglio di nodi a metà schiena…

« Potremmo andare dal parrucchiere, se vuoi. Qui ce n’è uno »

« Fuori diluvia… »

« Piove sempre quando uno decide di andare dal parrucchiere. Dovrebbe essere inserita fra le leggi di Murphy » affermò prendendola per un braccio, conducendola verso il negozio di coiffeur.

 

 

« Sai, ignoravo che sapessi cucinare… »

« Come sai che so cucinare? »

« Alcune delle cose che hai preso sono troppo specifiche per averle prese così a caso »

« Spero vadano bene… »

« Direi di sì. Faith non mi da l’idea di una che è stata particolarmente viziata… » fece Doyle sedendosi.

« No, infatti » convenne il vampiro accomodandosi a sua volta.

… A dire il vero, neanche Angel gli dava l’idea di uno che fosse stato particolarmente viziato, anzi l’esatto opposto.

Supponeva che fosse questo il motivo che rendesse al suo protetto tanto facile comprendere Faith e venirle incontro. Che fosse questo il motivo che lo portava ad esserle tanto vicino.

Abbassando lo sguardo « Sai, mi sento un po’ a disagio a mangiare quando tu non hai neanche un bicchiere vuoto davanti » considerò osservando il cibo che aveva di fronte.

Appoggiandosi allo schienale del divanetto « Beh, adesso sai perché non siamo mai andati in un Dunkin’ Donuts o in un KFC prima »

Con aria poco convinta « Stai dicendo che non l’hai mai proposto pensando altruisticamente a me? »

« No… Ma se vogliamo seguire questo tipo di pensiero, neanche tu l’hai mai proposto a me »

« Non volevo sembrare invadente »

Angel lo guardò visibilmente stupito, al che il mezzo demone « Dico davvero. Io ho uno stomaco di ferro, non mi da fastidio la vista del sangue, ma ho pensato che avrebbe potuto dar fastidio a te, bere di fronte a me… La verità è che non so ancora esattamente cosa ti urta i nervi e cosa no, così mi tengo un po’ abbondante rispetto alla distanza di sicurezza raccomandata. Tutto qui »

« Anche Cordelia segue questo sistema? »

« Non lo so, non ne abbiamo mai parlato »

Angel assentì, stirando appena le labbra.

« Scusa, non volevo essere brutalmente sincero… »

« No, hai fatto bene »

E lo pensava sul serio. Era realmente arrivato il momento di cambiare le cose…

 

Guardando la sua espressione, Doyle travisò pensando che fossero finiti in zona minata. Cercando di cambiare argomento « Certo che potevi prenderti almeno un bicchiere di tè, però… »

Rianimandosi « Sì, come no. Dritto, dritto giù dalla macchinetta in un bel bicchierone di carta. Probabilmente già zuccherato e… Ew. Sicuramente al limone »

L’irlandese ridacchiò e allungandogli il cartoccio delle patatine fritte « Allora prendi almeno una patatina »

Il vampiro rimase interdetto a guardare l’involucro e il mezzo demone, poggiando il pacchetto sul ripiano del tavolo « Non mi risulta che i vampiri non possano mangiare come persone comuni e se sai cucinare, vuol dire che ho ragione. Puoi mangiare. Mi spieghi perché non lo fai? »

Ci sarebbe voluto un mucchio di tempo per spiegargli quella che non era stata una decisione vera e propria, ma un lasciar correre delle cose, delle abitudini, degli anni… Senza capire come, perché. Senza neanche chiederselo, lasciando semplicemente stare.

E messa così sembrava tanto facile, come la prima volta che si erano incontrati nello spiazzo dell’Hemery…

 

… O rimani in gioco, o fai il figliol prodigo e ritorni al tuo clan, o torni su quei gradini…

 

Sorrise di sbieco prendendo una patatina.

« Questo è un giorno storico! »

Senza guardarlo « Non cantare ancora vittoria… »

« D’accordo. Continua pure a studiarla, ma sappi che una volta fredde, le patatine perdono più della metà del loro fascino »

« Grazie, lo terrò presente… Come credi che stia andando tra Faith e Cordelia? »

« Non ne ho idea. Non so nemmeno perché Principessa fosse tanto sulle spine ieri, ma… tu probabilmente sì »

Una domanda discreta, presa molto da lontano e che non richiedeva necessariamente una risposta… all’apparenza.

« Sì. Io… credo di sì »

 

 

*****

 

 

 

Non era stata una bella discussione.

Ultimamente non lo erano mai, ma stavolta si era lasciato trascinare più di quanto volesse e gli era uscito fuori più di quanto pensasse. Solo per colpirla. Per farla stare zitta una buona volta.

… e c’era riuscito.

Alla grande anche.

 

Il preside Snyder, sua madre, i suoi amici e Giles che la ‘vessavano’ continuamente.

Far coincidere l’allieva, la figlia e la cacciatrice non era semplice. Senza contare Lui, ovviamente.

Il suo eterno tormento, il suo perenne dilemma… Lei, una cacciatrice, che stava con Lui, un vampiro.

Perfino quella pazza di Faith aveva una vita più normale della sua…

La parola normale, sommata a cacciatrice e vampiro, ottenne in risultato la parola BASTA.

In tutto il suo splendore e la sua chiarezza, quel ‘basta’ apparve nella sua mente a caratteri cubitali e la sua bocca agì di conseguenza.

 

… Hai perfettamente ragione. Non dovendo rendere conto di niente a nessuno, Faith può occuparsi solo della caccia. Non deve pensare ai compiti, non deve scendere puntuale a cena perché se no si fredda, non deve perdere tempo a sentire delle confidenze, o a cercare di mantenere una vita sociale. Lei ha solo quello. Pensa che semplicità, che spasso. Se avesse tanti impegni come te, dovrebbe limitarsi a passeggiare per i cimiteri in tacchi e tubino per salvare le apparenze, invece così può fare ciò che vuole…

 

Nel dettaglio, Angel sapeva che se Buffy si era abituata a perlustrare solo i cimiteri, in parte era colpa sua che non aveva mai interferito con l’impostazione datale da Giles, ma in quel momento era un mero dettaglio.

Aveva affermato che Faith era diversa da lei e lei aveva inteso quella differenza come ‘essere migliorÈ.

E lui non aveva fatto nulla per farle credere l’opposto e aveva lasciato che la rabbia le facesse alzare la voce.

Aveva goduto di quella rabbia cercando di rimanere, se non altro all’esterno, calmo il più possibile e poi aveva sorvolato sul fatto che si fosse irrigidita e se ne fosse andata via in silenzio, senza piangere o dargli contro.

Solo dopo si era reso conto.

Quando era già di fronte all’ingresso della villa di Crawford street.

Solo allora.

Quando forse era già tardi.

Perché Buffy poteva dirgli qualsiasi cosa, poteva gridargli contro, picchiargli i pugni sul petto anche, ma non avrebbe mai reagito come poteva contro di lui. Mai.

E quella sera non le sarebbe comunque bastato. E affrontando il suo opposto, avrebbe risolto il problema.

 

Splendido, davvero grandioso.

Aveva appena fomentato lo scontro che per mesi aveva cercato di evitare.

 

 

Faith aveva un’area di battuta ampia e piuttosto varia e Buffy la conosceva.

Aveva accompagnato la cacciatrice bruna nei suoi giri per diverso tempo, dopo che aveva sostenuto il Cruciamentum. Anzi, si poteva dire che dopo quella prova, la bionda non si fidasse d’altri che della sua sorella cacciatrice. Poi le cose erano cambiate.

Finch era morto e le loro reazioni erano state diverse. Loro erano diverse. Loro erano… inconciliabili.

Le strade si erano divise, i territori si erano divisi e per quanto Sunnydale fosse piccola, risultava abbastanza grande perché non potessero pestarsi i piedi fino all’Ascensione.

O almeno così supponeva Faith, finché non si ritrovò Buffy davanti…

 

 

Non utilizzava quasi mai la macchina, ma quella sera non aveva tempo da perdere e quello che aveva appena perso poteva rivelarsi fondamentale.

Quando dopo diversi giri giunse nella zona industriale, alla vecchia raffineria, il danno era già fatto.

Le due cacciatrici erano su una balaustra che lottavano.

Troppo distante e troppo preso nel cercare di raggiungerle, il vampiro non sentì la loro conversazione

 

« Angel? »

Facendo buon viso a cattivo gioco « Sapeva che sarei venuta a cercarti »

« È qui per separarci allora »

« Tu credi? »

« Sarà anche il tuo ragazzo B, ma ha detto che non si sarebbe schierato e non lo farà »

« Scommettiamo? A chi credi che si rivolgerà quando sarà qui? A te o a me? »

« Credi sempre di essere la migliore, eh? »

« No, non più. Ma io sono certa almeno di non essere sola… E tu, Faith? Puoi dire altrettanto? »

 

Faith smise di essere certa nel momento in cui Angel la sorpassò urtandola, facendola cadere addirittura a terra per rivolgersi alla cacciatrice bionda « Buffy… »

Non vide la collera nei suoi occhi, non fece caso neanche al suo tono di voce, ma solo a quello che disse, a chi si rivolse.

Non un –smettetela- generale, no. Buffy. Solo Buffy.

Buffy che non avrebbe mai creduto di poter gioire a… quello negli occhi di Angel era davvero odio, o soltanto collera furibonda? Non importava. Non adesso. Adesso, qualunque cosa fosse le serviva.

Lo guardò dritto negli occhi e piegando le labbra in un rigido sorriso « Hai visto Faith? Chi aveva ragione? »

Lo stupore e l’inquietudine si alternarono sul viso del vampiro « Che cosa…? »

« Complimenti B. E complimenti anche a te, Angel »

Si voltò, la bruna era ancora carponi a terra.

« Faith cosa… Faith, no. Qualunque cosa ti abbia… No, Faith, no »

Ma lei non l’ascoltava più « Bravo. Mi hai fatto fessa come l’ultima delle idiote… Non ho intenzione di schierarmi, Faith, per nessun motivo… E io lì a crederti »

« Faith, ascoltami… »

Voltandosi di scatto a guardarlo « Credo di averlo fatto abbastanza, non credi… Angelus? »

« Faith… »

« Sei riuscito a fregarmi, congratulazioni. Ma questa e l’ultima cosa che fai »

E preso il pugnale che teneva alla cintura, si slanciò verso di lui riuscendo, dopo una breve lotta, a conficcarglielo in una spalla.

L’altra cacciatrice non si mosse.

Che si sbranassero fra loro. Lei si era fidata e loro l’avevano portata dove non era sicuro, dove non si toccava.

Al largo di se stessa, dove era profondo e buio. Dove non sapeva più, non capiva più e non esisteva il nord per ritrovare una direzione.

Che si sbranassero pure… ma…

 

Nel momento in cui il vampiro sentì il veleno diffondersi nel corpo e dilatò gli occhi per la sorpresa, Faith dilatò i suoi rendendosi conto del gesto che aveva compiuto.

Sostenendolo perché non crollasse a terra « Angel… »

« Che cos’è… Cosa… »

« Veleno. L’Assassino dei Morti »

Angel sgranò ulteriormente gli occhi.

Ne aveva sentito parlare, sapeva cos’era.

 

Dopo tanto tempo, dopo secoli di vita, finiva così. Come non aveva mai pensato, come non avrebbe mai creduto. In un modo così raro da non poter essere contemplato.

Finiva con del veleno, come un mortale.

… Si diventava polvere anche con del veleno? Almeno era su una balaustra all’aperto e non a ridosso di una fogna…

Non sentiva più le estremità. Non le sentiva già più.

Avrebbe voluto la sua famiglia.

Avrebbe voluto vedere Spike e Drusilla.

Avrebbe voluto Darla, ma Darla non c’era più da tempo…

Esisteva un posto dove avrebbe potuto rincontrarla e chiederle scusa?

Lei lo aspettava là?

 

« Non è finita » si ribellò Faith stringendolo forte, cercando di frenare il panico. « Non è finita. Mi senti, Angel? Non è finita. Non è finita »

 

Qualcosa era andato per il verso sbagliato…

Scostandola violentemente « Che cosa gli hai fatto? »

« Io non volevo davvero… »

« Che cosa non volevi davvero? Che cosa c’era su quel pugnale? »

« Veleno »

« Veleno? »

« L’Assassino dei Morti »

Incredula « L’hai ucciso… »

« No. Posso ancora salvarlo »

« L’hai ucciso… »

« Buffy, ascoltami. Il sangue di una cacciatrice può salvarlo. Il nostro sangue può salvarlo »

 

Quanto rumore. Troppo rumore.

Chiuse gli occhi rannicchiandosi su se stesso.

Troppo caos, troppe urla, troppi colpi.

E lui voleva solo un po’ di silenzio. Per andarsene in pace, da solo.

Quanto avrebbe voluto farsi sentire da Dru e da William.

… Se solo non fosse stato così inutile, meschino e… patetico.

 

« Buffy, morirà se non facciamo qualcosa… BUFFY- »

 

Quell’urlo. Quel tonfo…

Socchiuse gli occhi.

Era tutto sfuocato, confuso.

Due braccia lo stavano tirando su per metterlo seduto « Angel, avanti… »

« Faith… »

« Faith è andata » asserì la bionda con voce dura ma tremante, tirando su col naso.

« Che cosa hai fatto… »

« Mi sono vendicata, ecco cosa ho fatto. E adesso mordimi »

Scosse appena la testa in segno di diniego.

« Piantala Angel, mordimi »

« No »

« MORIRAI SE NON MI MORDI, HAI CAPITO? E TU NON PUOI MORIRE. TU NON PUOI FARMI QUESTO ADESSO, CAPITO? NON PUOI » gridò esasperata strattonandolo, senza ottenere alcuna reazione.

Si sfregò il viso con le mani e quando fece scorrere le dita fra i capelli, trovò lo spillone che li teneva.

Senza esitazione lo impugnò sfregiandosi il collo abbastanza profondamente da farlo sanguinare e prendendo il vampiro fra le braccia, avvicinò il suo viso alla ferita « Che ti piaccia o no, io non ti lascerò morire »

 

La sensazione di bagnato sulle labbra, l’odore del sangue, il suo sapore sulla lingua…

L’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio sulla sua volontà e quando l’istinto fu placato, essa riprese forza gettando lontano il corpo che stringeva fra le braccia.

Lentamente tutto riprese forma, colore, odore.

Quando ogni cosa fu a fuoco, vide Buffy a terra priva di sensi e poco più in là il parapetto sfondato.

Faith aveva fatto un salto di dodici metri, sbattendo nella caduta contro diverse tubature e atterrando sul fondo di una cisterna.

 

*****

 

 

 

 

« Adesso mi è tutto molto più chiaro… Scusa se ti ho fatto quella domanda, ma- »

« Nessun problema. Tieni ad Angel, è comprensibile »

Sollevando le sopracciglia « Certo che devi odiarla a morte… »

Rimescolando con la cannuccia i cubetti di ghiaccio sul fondo del bicchiere « B? »

Cordelia annuì, Faith portò il bicchiere alle labbra, fece scivolare un cubetto in bocca e masticandolo « No. … Non per quello almeno » e tornando a guardare la cheerleader « Quello è uno dei pochi gesti di B che abbia compreso fino in fondo. Se avessi amato qualcuno come lei amava Angel, avrei fatto lo stesso. Piuttosto… Adesso come sono messi? »

« Non sono messi »

« Immaginavo. Ieri sera ho intuito qualcosa, ma ho preferito non indagare »

« Hai fatto bene » affermò prendendo il proprio bicchiere dal tavolino e sorseggiando appena dalla cannuccia.

Non si erano mai saputi i particolari sulla separazione di Buffy ed Angel, forse nemmeno Willow sapeva tutto, ed era proprio per quello che si poteva presupporre che non fosse finita bene tra i due…

D’altro canto, ricordando la scappata a Sunnydale di Angel quando aveva ricevuto da Oz la gemma di Amarra, neanche allora si era saputo un bel niente di come fossero andate le cose, ma dal comportamento del vampiro, non era stato necessario chiedere dei dettagli per capire che era andata male…

 

« Che mi dici di Kate? »

Cordelia, ancora presa dai propri ragionamenti, non badò eccessivamente a quelli di Faith, rispondendo solo « È bella, è in gamba ed è fredda come un iceberg. … Almeno all’apparenza. Comunque non sei andata troppo distante nel darle del mastino… »

O Cordelia era fedelissima ad Angel, o Kate non era il motivo di quegli specchi in bagno.

Al di là delle possibili relazioni sentimentali di Angel, però, l’idea di avere a che fare con una pedante regina dei ghiacci non le piaceva affatto…

« Faith… »

No. No. No.

Erano le prime ore tranquille che passava quelle, e non aveva nessuna voglia di affrontare il discorso –resti o te ne vai-. Ed era sicuramente quello che le avrebbe chiesto Queen C, lo capiva dall’intonazione.

« Che facciamo, andiamo? » tergiversò. « Va bene » accettò la ragazza di buon grado, lanciandole un’occhiata per farle capire che aveva afferrato il messaggio.

 

Bianco e nero. Giorno e notte. Quartieri alti e periferia.

Eppure Queen C cominciava a piacerle sul serio.

Si alzarono dal tavolino, raccogliendo dalle due sedie vuote le buste con i loro acquisti.

Sospirando « Era da circa un anno che non passavo una giornata così »

« Così come? »

« Shopping e coiffeur »

« Immagino che lo facessi spesso… »

« Almeno una volta alla settimana. Normalmente con Harmony, o con Aura. Un paio di volte è capitato anche con Ginger… »

« E come mai hai smesso? »

« Il fisco si è reso conto che mio padre non si era mai degnato di pagare le tasse e ha pareggiato i conti »

In mezzo a una discussione tanto futile, l’ultima cosa che la cacciatrice si aspettava era una rivelazione di quella portata.

Nel giro di neanche ventiquattrore, Faith si ritrovò a guardare nuovamente Cordelia con occhi diversi.

Il salto sociale dalle stelle alle stalle che doveva aver fatto la cheerleader, in un certo qual modo era paragonabile a quello fisico di dodici metri che aveva fatto lei dalla balaustra al fondo della cisterna…

« … Mi dispiace » biascicò imbarazzata.

« Acqua passata. E tu? L’hai mai fatto? »

« Cosa? Shopping e coiffeur? »

« A-ah… »

« Un paio di volte con B, ma senza coiffeur »

Bene… Guardando i propri pacchi « Non so come hai fatto a convincermi a comprare questi vestiti… »

« È stato semplice. Ti stavano bene e lo sapevi anche tu »

« Vero, ma appena rientriamo ti restituisco i soldi »

« Non metterti problemi. Contrariamente a quel che volevo io, Richard pensava di spedirmi al college, quindi, come puoi immaginare, il mio conto è lontano dallo scoperto »

… Un’uscita veramente brillante.

Soprattutto alla luce delle ultime rivelazioni.

Al diavolo. Avesse camminato con delle cavigliere di piombo nelle paludi della Florida, se la sarebbe cavata meglio…

« Ti voleva molto bene vero? »

Riprendendosi dal proprio malumore « Sì. Non è stato difficile scegliere »

« Mi dispiace »

« Per cosa? »

« Non gli hanno dedicato nemmeno una sepoltura e so che tu…”

« Non fa niente. Piangere non è uno dei miei passatempi preferiti e comunque, da quel che mi ha detto Angel, sarebbe stato impossibile rinchiuderlo in una bara, per cui è stato meglio così. Acqua passata, come hai detto tu »

Che strana, stranissima giornata…

« Perché non volevi andare al college? »

« Perché era già stato un incubo essere una cacciatrice al liceo, figuriamoci cosa sarebbe stato essere una cacciatrice al college… »

 

Ormai giunte all’ingresso del centro commerciale, rimasero alcuni minuti ferme ad osservare la pioggia.

Non aveva molto tempo.

Stavano per rientrare e l’aveva voluto lei. E avrebbe dovuto scegliere se restare o andarsene.

Quindi le rimaneva poco per sapere e i giri di parole, ora più che mai, non erano il suo forte.

Continuando ad osservare la pioggia « Che n’è stato di Wesley? »

Cordelia voltò la testa presa alla sprovvista dalla domanda, poi abbassò brevemente lo sguardo e quando lo rialzò « Non saprei. Doveva essere interrogato dal Consiglio degli osservatori, ma quando me ne sono andata, non erano ancora arrivati »

 

Povero Wesley. L’aveva inguaiato proprio per bene…

E tra le altre cose… Già. Il Consiglio degli osservatori.

Se cercavano conti da Wesley, certamente li avrebbero cercati anche da lei.

Grandioso. Un’altra rogna a cui pensare, ma… non in quel momento.

« Angel mi ha detto che alla fine dell’Ascensione era un po’ ammaccato… »

« Io non lo definirei esattamente ‘ammaccato’ » esordì ricordando il viaggio al suo fianco nell’ambulanza. Poi si voltò e vide l’espressione della ragazza.

Era mai possibile che ogni volta che le rivolgeva la parola, si sentisse come un elefante in un’immensa cristalleria?

« Perché che cosa aveva? »

« Alcune ossa rotte e delle lievi lesioni, ma lui diceva che gli era andata alla grande e che, anzi, stava cominciando pericolosamente a credere di essere immortale! »

Sdrammatizzò sul finale.

Faith sorrise appena e proprio quando cominciava a sentirsi più leggera per il sollievo « Ha fatto il diavolo a quattro per essere sistemato nella stanza di fianco alla tua, nonostante non fosse il reparto adatto, e tante ne ha dette che alla fine ci è riuscito…. Risvegliando un odio atavico verso gli inglesi in tutto il personale, ma ci è riuscito »

Il sorriso di Faith si cristallizzò.

Se aveva sbagliato davvero tutto con qualcuno nella sua vita, quel qualcuno era Wesley Wyndam Pryce…

 

Nella mente di Cordelia rimbombò un rumore di cristalli rotti. Non sapeva come, ma a giudicare dalla paresi di Faith, era riuscita a far fuori un servizio da ventiquattro in pura Boemia stavolta…

Cercando di distrarla « Sarà il caso di rientrare in agenzia… È quasi l’ora del tè e rischiamo di essere colte in flagrante… »

La ragazza convenne con un cenno del capo.

« Appena rientriamo saldiamo i conti »

Ironizzando « Mi raccomando, li voglio tutti e subito sull’unghia »

« Sul subito senza problemi, sul tutti… beh, devo controllare »

« Cordelia, senza problemi. Non ho nessuna fretta, davvero »

Lasciando la cacciatrice senza parole, la cheerleader si girò con un mezzo sorriso e le domandò sottile « Questo vuol dire che hai deciso di restare? »

 

 

 

 

Con precisione maniacale, rimisero a posto il baule e la libreria con tutto ciò che conteneva.

E quando finirono, invece di guardarsi con soddisfazione, la loro espressione fu l’esatto opposto.

Anche mettendo il caso che nessuno dei due, in quanto uomini, si rendesse conto che erano state dal parrucchiere, in nessun modo si poteva far credere che le buste dello shopping si fossero materializzate dal nulla.

 

 

Si erano preparati un bel discorso.

O meglio, Doyle aveva preparato un bel discorso e Angel si sarebbe limitato ad assentire per camuffare la fragilità di alcune argomentazioni.

 

L’incontro si svolse nel bel mezzo dell’anticamera, ognuno con le prove del proprio misfatto bene in vista, quando il vampiro si accorse di un particolare nella voce di Cordelia « Aspetta un attimo. Ma se siete uscite anche voi, ed è ovvio che siete uscite dopo di noi, perché siete così sorprese… »

E mentre ragionava realizzò.

Piantandoli in asso nell’anticamera, raggiunse la fine del corridoio e indicando l’ex ingresso principale « Avete spostato l’étagère e il baule? »

« Sì, ma- »

« Non dovete mai spostare l’étagère e il baule »

« Abbiamo rimesso tutto a posto e non abbiamo rotto nulla » assicurò Cordelia.

« Soprattutto il baule »

L’atteggiamento irremovibile di Angel, indispettì Cordelia al punto da farle dimenticare il fatto che era in difetto e altrettanto sostenuta « Se tu non avessi ‘murato’ il fu ingresso principale… »

« Se voi foste passate dal neo ingresso principale… »

Doyle abbassò le spalle e alzò lo sguardo al soffitto. Sapeva che sarebbe finita in quel modo dal momento in cui erano usciti…

Faith lo guardò brevemente perplessa, poi tornò a seguire il diverbio.

« E se avessimo voluto passare inosservate? »

« La prossima volta che volete giocare alla pantera rosa, calatevi dalla scala antincendio passando per la finestra del disimpegno »

« Ad aver saputo che ce n’era una… »biacicò Faith.

« Roba da non credere! Si può essere tanto fobici a trecento anni suonati?! O in quello stramaledetto baule c’è qualcosa di così fondamentale da doverlo anteporre a due esseri umani? »

« Tanto per cominciare, io non non sono fobico e non antepongo proprio un bel niente. Dico solo che per ovvie motivazioni non sono né vostro padre, né vostro fratello e non essendo state messe in ‘punizione’ non c’era motivo di scappare di nascosto dall’appartamento smontandone il mobilio, tutto qui »

Scandalizzata « Smontando…?! »

« Il mobilio »

Nel momento in cui Cordelia aprì la bocca per ribattere « Ehi! Sbaglio o siete state dal parrucchiere? »

Potere della disperazione…

« Hai visto, Uomo? Anche Faith ha cambiato taglio… State bene. Vero che stanno bene? »

Era sincero nel suo complimento, ma soprattutto scoraggiato all’idea che quella discussione potesse protrarsi oltre e con lo sguardo stava chiedendo spassionatamente appoggio.

Il vampiro annuì senza slancio e con pochissima convinzione. Non tanto perché le ragazze non stessero bene, quanto per il fatto che non riuscisse mai a terminare una discussione con Cordelia…

Tornò sui suoi passi e ripresi i suoi pacchi entrò in cucina, quando proprio la ragazza « Scusate, ma se anche voi siete usciti, chi si è occupato dell’agenzia? »

Questa poi…

La schiena di Angel si irrigidì, ma prima che potesse voltarsi e dare inizio al secondo round, Doyle prontamente

« Hai ragione Principessa e per farci perdonare… Segreteria telefonica! » disse tirando fuori il pacco che conteneva l’apparecchio e consegnandolo alla bruna che gli rivolse un’occhiata e un sorriso compiaciuti.

Almeno un’ascia era seppellita…

« Così da oggi in poi, saremo sempre reperibili. Casomai noi non ci fossimo e voi decideste di uscire… »

 

 

Noi… e voi…

Che strana sensazione…

Che strana, stranissima giornata…

Avrebbero potuto essercene altre di giornate così?

 

Non sapendo come interpretare l’espressione di Faith « Sempre che tu decida di restare… Voglio dire di incontrare Kate. Sai, non è sempre così qui… »

E dal fondo della cucina, con un tono ancora sostenuto che non era rivolto a lei ma all’altra bruna « Io non ci farei affidamento »

« Oh, è da un pezzo che non faccio più affidamento a niente » fece Faith e il vampiro strinse gli occhi, maledicendosi.

La stizza nei confronti di Cordelia, l’aveva indotto a un passo falso e adesso probabilmente…

« Hai già sentito, Kate? »

Riaprì gli occhi affacciandosi nell’anticamera a guardarla « No. Vuoi che… »

La ragazza annuì.

Era vero. Da un pezzo non faceva più affidamento a niente, ma le piaceva ancora scommettere e l’unico modo per scoprire se ci sarebbero state altre giornate come quella, era restare.

 

« Hai qualche preferenza? »

« Non conosco Los Angeles, quindi mi va bene qualsiasi luogo che non sia il distretto »

Angel assentì, prese il cellulare e compose il numero di Kate sperando che rispondesse immediatamente, prima che nel tempo di uno squillo di troppo, Faith cambiasse idea.

« Ciao Kate… Sì, sono io »

Era fatta.

« Sì… C’è un locale a circa quattro isolati dal distretto. All’incrocio fra… Sì, proprio quello… Perfetto a dopo »

Doyle e Cordelia si scambiarono una lunga occhiata perplessa.

Certamente avevano capito male l’ubicazione del locale…

 

 

 

L’insegna al neon era tanto sobria da passare quasi inosservata e l’ingresso dava su un’anonima, microscopica e poco illuminata anticamera che certamente non invogliava a proseguire.

Angel fece strada dirigendosi verso la stretta e ripida scalinata in discesa che si stendeva di fronte a loro e dalla quale arrivava un brusio intenso.

Quando entrarono nella sala, dai tavoli scattò un entusiastico applauso rivolto verso un… palco.

Un piccolo palco dietro al quale era un drappo di raso blu e sul quale una tipa con le treccine stava iniziando a cantare… Let’s get loud?!

Faith si voltò di scatto verso il vampiro « Mi hai portato in un locale Karaoke dove cantano J.Lo?! Ti ha dato di volta il cervello, Angel? »

« No. E grazie al cielo non cantano solo Jennifer Lopez… Mi serviva un luogo neutrale, tutto qui »

« Un luogo neutrale… » ripeté Faith oltremodo seccata, tornando a guardare la tipa che aveva addirittura altre tre tizie che le facevano da corpo di ballo.

Sollevò gli occhi al cielo, poi corrugò la fronte guardando più attentamente.

La cantante era vestita esattamente alla maniera di J.Lo ed era… squamata come un coccodrillo.

Un coccodrillo rosa e bianco per l’esattezza e quelle che aveva preso per delle treccine, in realtà erano dei lunghi aculei simili a quelli di un porcospino. E il suo corpo di ballo non era certo da meno…

Come d’altro canto non lo era neanche il resto della clientela.

Doveva essere finita nella stazione di servizio del IV° capitolo di Star Wars…

« Oh, scusami »

« Non c’è di che… » Farfugliò imbambolata al tipo alto quasi due metri e ricoperto di pelliccia che l’aveva appena urtata.

Sì, senza ombra di dubbio, dato che si era appena scontrata con Chewbacca…

« Faith? »

« … Arrivo… »

Raggiungendo il vampiro e gli altri, Faith non poté fare a meno di chiedersi come accidenti avesse fatto a non accorgersi di cosa/chi la circondasse.

Probabilmente si trattava dei postumi del coma, o se non altro, ci sperava…

Finirono in un tavolo a ridosso della parete, discretamente distante dall’agglomerato di quelli occupati sotto al palco. Una volta accomodati « Ma che razza di posto è questo? »

 

« Un posto come un altro dove svagarsi, splendore »

 

Avendo già fatto l’occhio alla platea, la bruna non fece eccessivo caso alla carnagione verde del nuovo arrivato, quanto alla camicia leopardata sul dorato e al completo rosso fiamma che indossava e che faceva pendant con le labbra, gli occhi e i cornini che aveva in fronte, ma soprattutto al fatto che l’avesse chiamata splendore…

« Angelus, choux, è sempre un piacere vederti… Doyle, Cordelia-Mousse… Non mi presentate questo delizioso scricciolo? »

… Scricciolo?!

« Ciao Lorne » lo salutò il vampiro e rivolgendosi alla ragazza « Faith ti presento Lorne. Lorne, lei è Faith »

« Incantato Faith. Circostanza interessante, è la prima volta che incontro una cacciatrice »

« Come…? »

« Credevo che non potessi leggere un bel niente se uno non canta… » fece Cordelia contrariata e Doyle, sporgendosi verso di lei « Il suo potere è tale che non ha bisogno che uno canti per conoscerne l’essenza »

« Proprio così, Mousse »

« Scusate, ma credo di aver perso il filo logico che guida questa conversazione » intervenne Faith e Angel « Lorne è un demone empatico. Se uno canta, ha il potere di- »

« Leggergli la vita? » azzardò Faith.

« L’anima » la corresse il demone « Qualcuno potrebbe anche fraintendere… Se tu canti io posso leggere la tua anima. Capire chi sei, cosa ti angustia e di conseguenza capire cosa farai, o quale può essere la soluzione a ciò che ti tormenta e dirtelo… Siete qui per questo? »

La cacciatrice si girò verso Angel e lo guardò fulminandolo « Gelerà all’inferno prima che io canti » dichiarò.

« Se avessi ricevuto un nichelino per ogni volta che l’ho sentito dire, sarei un ultra miliardario… » affermò Lorne sorseggiando il suo Martini.

« Nessuno te lo chiede Faith, anche perché non siamo qui per questo Lorne »

Faith sembrò rilassarsi e tornando a rivolgersi al demone verde « Tutta la gente che si trova qui, canta perché tu gli dica cosa deve fare? »

« Non tutti. C’è chi canta per divertirsi, chi lo fa per esibizionismo e chi perché, sì, ha bisogno di un aiutino a comprendere la propria situazione »

Il cantante del momento, che si stava esibendo in una non troppo riuscita esecuzione di Rock Dj di Robbie Williams, prese una stecca atroce.

Sgranando gli occhi e portandosi una mano all’orecchio « E chi lo fa senza rendersi conto di essere più stonato di una campana scheggiata » considerò a voce alta, prendendo un altro sorso del suo drink per dimenticare.

Continuando a guardare gli spettatori « Io non potrei mai. Neanche per disperazione… Che dico? Soprattutto per disperazione »

« Mai dire mai, scricciolo. Per disperazione chiunque potrebbe arrivare a cantare… » concluse guardando appena Angel e Faith, voltandosi « Tu hai cantato?! »

« Grazie infinite Lorne… » lasciando gli occhi rossi del demone « Ebbene sì »

« Non ci posso credere… »

« Ben inteso, non in pubblico. Mi ha colto in un momento di estrema debolezza »

« Miele, detto così suona tanto, tanto meschino, sai? Ho idea che nonostante non abbia colpa, tu non me l’abbia ancora perdonata… »

« Se così fosse, pensi che tornerei qui? »

Scuotendo la testa « Chissà… Non è semplice comprenderti… Ma le porte del Caritas saranno sempre aperte per te » e con aria sconsolata e drammatica finì il proprio Martini. « Allora? Cosa vi faccio portare? »

Una frazione di secondo prima che ordinassero « Scusate… »

Fece Angel lasciando il tavolo e gli altri, voltandosi nella direzione presa dal vampiro « Dev’essere arrivata »

« Sì infatti, eccola lì »

Faith aguzzò la vista e poco distante dal vampiro, scorse quella che doveva essere la pedante regina dei ghiacci…

 

 

La sua intenzione era di dare una panoramica generale al locale, ma si fermò suo malgrado al palco.

Quattro energumeni stavano cantando YMCA dei Village People.

Il primo, vestito da poliziotto, era giallo taxi con la bocca e gli occhi violetti; il secondo, camuffato da capo indiano, era arancione e aveva delle escrescenze sulle braccia e sulla testa, simili a dei coltelli; il terzo abbigliato da marinaio, aveva delle chele simili al dottor Zoidberg di Futurama e il quarto, bardato tutto di pelle, era il ritratto di Gonzo dei Muppets.

Solo che questi non erano pupazzi, erano veri…

 

« Ciao »

Continuando a guardarsi intorno « Scelta originale, complimenti… Ti spiace se la prossima volta, lo stabilisco io il luogo d’incontro? »

Angel sorrise di sbieco, tutto sommato aveva reagito bene…

« No, nessun problema »

Mentre si dirigevano al tavolo « Sai, è la prima volta che Faith viene a Los Angeles e volevo che fosse un posto neutrale per tutte e due »

« Hai pensato che se fossimo state entrambe distratte dal panorama pittoresco, le possibilità di non piacerci si sarebbero dimezzate »

« Anche… »

Pochi istanti prima che arrivassero al tavolo, scorse Doyle, Cordelia e quella che doveva essere la cacciatrice.

 

Era mora, coi capelli mossi che le arrivavano alle spalle, magra per non dire esile e sembrava inverosimile che una creatura così smilza, avesse potuto fare tanti danni. Era vestita con una maglia attillata rosso fuoco dallo stretto ma profondo scollo a “V” che si arricciava sulla nuca creando una sorta di colletto, il fatto che fosse smanicata permetteva di vedere sul destro il tribale a schiava che le contornava l’esterno del braccio. Jeans blu scuro stinti in alcuni punti e da come aveva le gambe accavallate si intravedevano degli stivaletti in pelle nera dal tacco piuttosto alto.

Le sue mani erano ferite in malo modo, tuttavia le unghie erano piuttosto curate, corte e smaltate con un rosso cupo che tendeva al marron, identico a quello che portava sulle labbra. I suoi occhi erano castani ed intensamente truccati con della matita nera e del mascara ed oltre ad essere piuttosto provati come espressione, la stavano squadrando da capo a piedi…

 

Era bionda, coi capelli lisci che le arrivavano alle spalle, alta quasi quanto Angel e sembrava inverosimile che una creatura simile a quelle che ritraeva Tamara De Lempicka, facesse davvero la sbirra. Era vestita in modo semplice, lineare, con una giacca color sabbia dal revers corto e la chiusura con la zip a scomparsa e una camicia bianca dal taglio maschile, il cui colletto sbottonato lasciava intravedere una croce d’oro che le fece piegare un angolo delle labbra in un impercettibile sorriso. Jeans chiari e scarpe scamosciate, pratiche, senza tacco.

I pochi vezzi femminili che aveva, erano delle boccole d’oro a lobo, le mani curate dalle unghia corte con lo smalto traslucido e un trucco essenziale per non dire inesistente. Un velo di lucidalabbra neutro e del mascara trasparente a piegare le lunga ciglia che le incorniciavano degli occhi celesti così limpidi, da sembrare acqua fresca o anche lamine di ghiaccio. Occhi che le avevano già fatto un’accurata radiografia prima ancora che fosse giunta al tavolo…

 

Tendendole la mano « Kate »

« Faith » rispose la bruna ricambiando la stretta.

Concise, telegrafiche.

Senza accampare scuse di alcun tipo, i tre si congedarono lasciandole sole con Lorne a prendere l’ordinazione.

 

 

« Come mai hai scelto questo posto, Uomo? »chiese appollaiato sul proprio sgabello al bancone, rigirando l’ombrellino dentro il Margarita che aveva davanti.

« Aveva una peculiarità adatta all’occasione »

Guardando con preoccupazione il tavolo dov’erano Faith e Kate « Lorne, tu che ne pensi? » il demone osservò fugacemente la bruna che gli sedeva di fronte, continuando a prepararsi un Tequila Sunrise « Parli delle due fanciulle a cui ho appena portato un Orange Blossom e una Vodka Sour? Un sacco di cose, ma principalmente che rischiano di diventare due pericolosi vasi di Pandora. Non fa mai bene tenersi tutto dentro… »

« Ogni riferimento a cose o persone, è puramente casuale, eh Lorne? »

« Miele, tu sai come la penso… Un altro Brandy? »

« Sì, grazie »

« Non per incalzarti Uomo, ma quale sarebbe la caratteristica che rendeva adatto il locale? »

Prendendo in mano il nuovo ballon colmo di Brandy « Secondo Kate è il fatto che trovandosi in netta minoranza etnica, lei e Faith si sarebbero intese invece di azzannarsi… In realtà, ciò che ha influenzato la mia scelta, è stato l’incantesimo di non violenza che grava sul Caritas »

« Non credi di stare esagerando un tantino, Angel? »

« Sì, davvero… »

Scuotendo la testa « L’incantesimo non si limita ad impedire le reazione fisiche violente, ma blandisce il carattere, rendendo più socievoli »

« Questa non la sapevo… »

« E tu credi che stia funzionando davvero? »

« Puoi contarci Mousse. Non l’ho scelto mica a caso… » la rassicurò porgendole un Bellini ghiacciato.

 

 

Con i gomiti sul tavolo e la faccia sorretta da una mano « Come hai deciso di diventare poliziotta? »

« Ammiravo molto mio padre e il lavoro che faceva, così… Eccomi qui » rispose l’altra appoggiata allo schienale del divanetto e fissando il proprio bicchiere « Una fortuna che mi sia piaciuto realmente, se no, dati i rapporti che ci legano, sai che scena… »

« Non andate d’accordo? »

Sollevando il mento « La considerazione che ha per me, è pari allo zero assoluto »

« Una fortuna davvero allora… »

« Già… Tu vai d’accordo con tuo padre? »

« Non sono neanche certa che sia suo il cognome che porto… »

« Mi spiace… »

« A me no. Conoscendo mia madre, neanche lui doveva essere un granché… Comunque anch’io per un breve periodo, l’anno scorso, ho avuto un padre. Insomma, più o meno… »

« E ci andavi d’accordo? »

« Molto. Così come gli ero molto affezionata, ma non avrei mai potuto emularlo… »

« Perché no? »

Rigirandosi il bicchiere fra le mani « Beh sai, lui voleva Ascendere e- »

« Che cosa significa che voleva Ascendere? »

« Significa che voleva diventare un demone al cubo » e mimò con l’indice la forma geometrica nell’aria. « Credimi, non è una gran cosa e per quanto gli volessi bene, obiettivamente mi rendo conto che la sua era una scelta di vita discutibile … Io non avrei mai voluto diventare un serpente gigante… »

Sporgendosi verso di lei « Mi prendi in giro? »

« Chiedilo ad Angel, se non mi credi. Lui c’era quando l’hanno eliminato »

« È morto? »

Bevendo l’ultimo sorso « Già… »

« Dev’essere stata dura… »

« A dire il vero non so ancora come prenderla… Se con filosofia o… Non è ho davvero idea… Così come non ho neanche idea del perché ti sto raccontando tutto questo… »

« È da un po’ che me lo chiedo anch’io. Normalmente non do tanta confidenza… »

« Nemmeno io »

« Credi che ci abbiano messo qualcosa nei bicchieri? »

« Spero di no. E non posso credere che sia colpa solo dell’alcol »

« Non al primo bicchiere almeno »

« No davvero… »

Decidendo di accantonare il problema « Ad ogni modo, quindi, se non ho capito male, tuo padre è morto da poco »

« Otto mesi fa, per la precisione, ma io l’ho scoperto solo questa settimana dato che prima ero in coma… »

« La settimana scorsa eri in coma? »

« Già… Ci facciamo un altro giro? »

« Non credo sia una bella mossa che tu beva del Gin, se fino alla settimana scorsa eri in coma… »

« Le cacciatrici hanno delle strabilianti capacità di recupero, un’altra al posto mio sarebbe morta e se non è riuscita una ‘collega’ a farmi fuori, dubito che ci possa riuscire il signor Gordon… »

« È stata una cacciatrice a mandarti in coma? »

« A-ah… »

« Tutto sommato, l’idea di un altro giro non è malvagia… »

 

 

 

La strana, stranissima giornata, era diventata una strana, stranissima serata tutto sommato piacevole.

E Queen C aveva ragione a dire che Kate era un icebreg solo all’apparenza.

Nonostante non si spiegasse ancora come avesse potuto spiattellare parte dei fatti suoi a una perfetta estranea, aveva comunque la consolazione di averli spiattellati a un’estranea intelligente e di godere del mal comune.

Anche lei sapeva i fatti di Kate e… No. Lei non era la spiegazione di quegli specchi in bagno.

 

Una volta rientrati in agenzia « Nessuno di voi ha fame? » avanzò Doyle.

« Io sì, da morire…Tu Cordy? »

« Beh, ammetto che un languorino piccolo piccolo…”

« Cosa volete fare? » chiese il vampiro e la cacciatrice facendo spallucce « Non saprei… Voi cosa siete abituati a fare? A me andrà bene »

Non era una domanda complicata e la risposta era ancora più semplice.

Nulla.

Almeno tutti e tre insieme.

Le poche volte che erano finiti in un locale, era stato per lavoro e quanto al mangiare, Angel non aveva mai preso parte ai loro pasti e ancora meno ai loro spuntini fuori orario, quindi…

« Se non avete in mente niente di particolare, potremmo organizzare qualcosa di sopra… »

 

Mani in tasca, dondolamento sui piedi, proposta assolutamente casuale…

Angel era in imbarazzo.

Come Doyle e Cordelia stentavano a credere di vedere e dubitavano che avrebbero più visto.

 

Erano passati pochi istanti dalla proposta del vampiro e la bruna, sebbene fosse tentata di lasciarlo a cuocersi un po’ nel suo brodo per sadico divertimento e per imprimere nella memoria quella sua buffa espressione, vedendo lo sguardo entusiastico di Doyle, rispose con uno smagliante sorriso « Si può fare… Chi cucina? »

Chiese voltandosi a guardare Doyle e Faith, ma a risponderle fu proprio il vampiro « Cucinerò io »

Con evidente stupore « Tu? »

« … Sì. Hai visto che abbiamo fatto la spesa, no? »

« Sì, ma non credevo che… »

Non era esattamente questa la reazione che sperava di ottenere…

« Sai cucinare? »

« Sì »

No, decisamente…

Con aria assorta « Alto, bello, intelligente, buon gusto… E sai pure cucinare. Perché non mi sono innamorata di te?! » gli chiese Faith con ironia e lui, sorridendole « Non saprei… »

Arricciando il naso “Che sia questo, quel qualcosa che non andava in me? »

Sentendo aleggiare il nome dell’altra cacciatrice, scosse la testa « Non entrerò in merito a una simile discussione »

« Perché no? » Domandò Queen C fintamente ingenua.

« Perché no » Rispose lapidario.

« Dai, forse riesco a capire il motivo per cui anch’io non sono mai riuscita ad inserirmi! »

« Cordelia… »

« Non mi dirai che hai sofferto per questo? » intervenne Faith allibita. « Figurati! Non mi è mai piaciuto Scooby Doo. E poi il ruolo di Daphne era già preso… »

« Neanche a me esaltava l’idea di essere Velma… »

« Velma era Willow »

« Sei perfida! Non era tanto male Will… »

« No, ma era la secchiona del gruppo, ecco perché Velma »

Angel roteò gli occhi al cielo e mentre si incamminava verso l’appartamento, si ritrovò dietro Doyle « Sei fortunato a non capire di che stanno parlando. Almeno non rischi che ti chiedano se hanno ragione… »

« In realtà capisco. Cordelia mi ha raccontato praticamente tutto di Sunnydale, ma non avendo visto nessuno, capisco solo a metà »

« Secondo te chi era Fred? » la interrogò Faith e Cordelia, corrugando le sopracciglia « Di sicuro non Xander, lui poteva andare bene come Shaggy. Angel poteva essere Fred »

« Fred era biondo… »

« Un Fred tinto di bruno »

« Oh cielo… » mormorò il vampiro stralunando gli occhi.

 

 

Al contrario di quello che era successo a colazione, adesso tutti si muovevano disinvoltamente in cucina.

Cordelia e Faith si erano messe ad apparecchiare la tavola, Angel si stava apprestando a cucinare e Doyle, seduto sopra al ripiano, passava occasionalmente utensili, piatti, pentole o alimenti che potessero servire in quell’istante.

« Doyle, saresti così gentile da prendere il vino? »

« Certo. È nel disimpegno giusto? »

« Sì »

Roba da non credere.

Aveva addirittura comprato una piccola credenza porta bottiglie ed era rimasta vuota fino a quel pomeriggio…

Quando Doyle si allontanò, Cordelia si avvicinò incuriosita a guardare il vampiro, intanto che Faith sceglieva i bicchieri. Dopo alcuni istanti « Sentiamo. Che stai pensando? »

« Che ci sarebbe da scattarti una foto, peccato solo che dopo non uscirebbe »

La guardò con una smorfia di finto rimprovero, al che la ragazza « Stavo pensando che ce n’è voluto di tempo… »

Senza guardarla « Già, tanto. Forse troppo… »

« Fosse stato troppo non saremmo qui »

Angel si interruppe e si girò « C’è mancato poco, vero? »

Scrollando le spalle « Lungi da me rassicurarti, ma avevi ancora un po’ di margine… Pentito? »

« No »

Nel frattempo, Doyle era riemerso nella cucina, aveva preso il cavatappi e stappato la bottiglia.

Faith gli si avvicinò con i calici e al momento di riempire il quarto « Uomo, vino o sangue? »

Glielo aveva chiesto con così tanta naturalezza, da rendere la questione quasi banale.

Come se non ci fosse alcuna differenza…

 

Angel aveva deciso di mangiare con loro, non solo per evitare di mantenere le distanze, ma anche per mettere fine alla damnatio memoriae che aveva attuato automaticamente su tutto ciò che erano state le sue abitudini e il suo modo di fare e di essere prima della maledizione, di conseguenza avendo optato per il cibo, avrebbe scelto il vino, ma dato che erano più di ventiquattrore che non si nutriva e che aveva stabilito di superare determinate inibizioni, rispose altrettanto disinvolto « Il sangue andrà benissimo, grazie »

Doyle poggiò la bottiglia e tirato fuori dal frigo uno dei flaconi di sangue, riempì il calice.

Il sangue era di un rosso cupo quasi nero, molto più scuro del vino che avevano loro nei propri calici e allo stesso tempo riusciva ad essere denso e fluido, velando il vetro di vermiglio lì dove veniva versato.

L’irlandese porse il bicchiere a Cordelia perché a sua volta lo desse al vampiro, ma proprio un istante prima di cederglielo, la ragazza si fermò osservando compresa il bicchiere.

Probabilmente si sarebbe rovinata la cena, ma ne valeva la pena…

Impugnò il calice più saldamente « Posso? »

E senza aspettare una risposta, prese un piccolissimo sorso stringendo le palpebre e subito dopo la mascella per frenare l’evidente disgusto.

Quando riaprì gli occhi, vide davanti a sé Angel che la guardava totalmente spiazzato.

Si umettò le labbra, pentendosene immediatamente e cercando di ignorare il sapore che le invadeva la bocca, scosse la testa affermando « Sembrava così allettante… Adesso so che di allettante ha solo l’aspetto »

Il vampiro schiuse la bocca sconvolto, senza sapere cosa dire e lei « Beh, dopotutto c’è un sacco di gente che divora sandwich alla gelatina e burro di arachidi, no?… Quindi… Come diceva la signorina Perkins, de gustibus eccetera, eccetera… »

Nel momento in cui tese il braccio per passare il bicchiere ad Angel, Doyle glielo prese di mano « Andiamo, non può essere tanto terribile… » buttò fissando concentrato il contenuto.

Aveva capito il gesto di Cordelia e aveva capito anche quanto fosse importante.

Avvicinò il calice alle labbra, ma prima che potesse sfiorare il bordo del bicchiere « Ti avverto che bagnarci le labbra è già troppo »

Il mezzo demone annuì, fissò interdetto per un altro istante il liquido purpureo e poi assaggiò.

Dio che schifo immane…

Non lo disse, ma comparve ostentatamente sulla sua faccia a caratteri cubitali.

Più che succhiarsi le labbra, ci raschiò i denti sopra e quando schiuse gli occhi « Sicuro di non preferire il vino? »

Chiese scherzosamente al suo protetto.

… Oh mamma, se ne sarebbe mai andato quel gusto dalla sua bocca?

Stava per restituire il bicchiere al legittimo proprietario quando si fermò per un istante e come se avesse cambiato idea, ritirò il braccio e volgendosi verso Faith, le porse il bicchiere domandando « Vuoi favorire anche tu? »

« Oh sì, ho idea che ti tocchi » fece di rimando Queen C.

Stavano sorridendo entrambi, ma dietro a quell’apparente gioco, c’era un serio invito.

 

La stavano invitando.

La stavano invitando a far parte di qualcosa di importante che nessuno di loro focalizzava ancora appieno, ma che si poteva già intravedere, intuire…

Faith sapeva cos’era, l’aveva sfiorato un paio di volte e l’aveva perso.

Sollevò lo sguardo e li guardò attentamente negli occhi.

Stavolta non sarebbe accaduto.

Tese la mano e preso il calice, lo avvicinò a sé guardandolo attentamente, dopodiché inalò profondamente l’odore del sangue e socchiuse gli occhi corrugando appena la fronte.

C’era qualcosa…

Portò il bicchiere alle labbra e ne trasse un sorso, leccandosi le labbra per assaporare ulteriormente il gusto.

Era salato, metallico ma in qualche modo differente da quello umano. Distinguibile…

Osservò perplessa il bicchiere poi rianimandosi, si fece largo tra i mortali, prese dalla credenza il pacco del pane in cassetta e tirando fuori due fette, le porse a loro sorridendo « Per levarvi il gusto dalla bocca. Non sembra, ma è efficace » e girandosi verso il vampiro « Vuoi che ti versi un altro bicchiere? »

« No »

Rispose con un filo di voce, scuotendo la testa, prendendole il bicchiere e avvicinandolo a sé come qualcosa di estremamente prezioso, come una reliquia.

Non aveva stretto neanche Amarra con lo stesso turbamento e tanto meno con lo stesso… amore.

C’era una bella differenza fra il vino e il sangue ma… non fra loro.

Per questo Doyle gliel’aveva domandato con tanta naturalezza, per questo sembrava tanto facile, perché non vedevano alcuna differenza. Semplicemente non c’era… per loro.

 

Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per lui, nessuno.

La sua famiglia avrebbe potuto compiere un gesto simile, ma erano vampiri come lui mentre loro…

Loro non lo erano. Non erano vampiri, non avevano lo stesso sangue a scorrere nelle vene.

Destino, storia, nascita…

Tutto diverso, niente di accomunabile.

Era stato così semplice e assurdo perdere la sua famiglia e se era stato semplice perdere gli altri, lo sarebbe stato anche di più per perdere loro e… non se lo poteva permettere un’altra volta.

Avrebbe dovuto continuare a tenere le distanze.

Avrebbe dovuto barricarsi dentro a quell’appartamento, anzi… Non avrebbe mai dovuto alzarsi dai gradini della Hemery.

Si sentiva opprimere.

Aveva bisogno di riprendere un po’ d’autocontrollo, di riprendere un po’ di spazio, di…

« Sembra che l’acqua stia per bollire… Che hai intenzione di fare? »

 

Sollevò lo sguardo e negli occhi di Faith, vide riflesso il suo stesso smarrimento. Il suo stesso timore.

Non era facile e non lo era per nessuno, non solo per lui.

Tempo di cambiare, di voltare pagina.

Riabbassò lo sguardo brevemente al bicchiere e sorridendo di sbieco rispose

« Spaghetti ». Scrollando le spalle « Semplice, veloce e di sicura riuscita… Se vi va bene »

« Benissimo »

« Sì, sì »

« Anche per me »

 

L’irlandese e la cheerleader erano rimasti immobili a guardarlo sbattere le palpebre come chi non comprende o non riesce a credere a qualcosa, poi avevano visto subentrare all’incredulità il panico e quest’ultimo aveva assalito anche loro.

Per un attimo Doyle era stato certo che Angel avrebbe varcato velocemente la soglia per scomparire nel nulla, o che avrebbe addirittura lasciato la propria sagoma sulla parete come un cartone animato pur di andarsene.

Una frazione di secondo soltanto e se Faith non fosse intervenuta, l’avrebbe visto per davvero ne era sicuro.

Avevano compiuto un gesto forte che aveva sopraffatto Angel, strappandolo con eccessiva violenza alla solitudine a cui era abituato e che evidentemente, era durata più di quanto il mezzo demone avesse preventivato.

Promemoria per loro: in futuro avrebbero dovuto muoversi con più cautela nei confronti del vampiro.

Promemoria probabilmente inutile, dato che, più che rotto, avevano già sbriciolato il ghiaccio.

 

« Va meglio? »

Chiese la cacciatrice indicando le fette di pane che tenevano in mano.

Splendido, non si era neanche accorta di avere un pezzo di pane ancora in bocca…

Finì di masticare e una volta deglutito « Assolutamente, avevi ragione. Come lo sapevi? »

La bruna sorrise, sedendosi sul ripiano nel punto dove prima era stato seduto Doyle.

« In uno dei miei primi scontri, mi ferii di brutto alla mano sinistra. Un taglio bello profondo e succhiai il mio sangue per cercare di frenare l’emorragia. Per quanto non mi infastidisse, non riuscii a togliermi il gusto di bocca finché non tornai a casa e non mangiai un pezzo di pane »

A dire il vero non l’aveva fatto solo per frenare l’emorragia.

L’odore, il colore, la vista del taglio…

Era strano, ma ricordava più nitidamente quell’episodio di tante altre cose…

Rivolgendosi ad Angel « È differente da quello umano… » e lo disse quasi come a chiedergli se non gli costasse troppo quella privazione.

« Sì. Ma non è sgradevole » la rassicurò riprendendo ad armeggiare tra i fornelli.

 

 

Pochi minuti dopo li fece accomodare a tavola, ponendo al centro del ripiano un piatto da portata mediamente largo con dentro degli spaghetti aglio, olio e una punta di peperoncino.

Il profumo catturò l’attenzione generale.

Quando tutti furono serviti, Angel si sedette e notò con compiacimento le espressioni estatiche dei suoi commensali.

Dopo la prima forchettata, fioccarono i complimenti.

« Semplicemente divini »

« Davvero, Uomo. Neanche a Little Italy »

« Sono buoni sul serio… » fece Cordelia con un’evidente nota di sorpresa nella voce.

Tutti si girarono a guardarla e cercando di spiegare « È che io sono stata in Italia e, ecco, non ho praticamente più osato mangiare pasta da allora »

Angel annuì intendendo « Ti comprendo. Purtroppo gli italiani emigrati in America si sono adeguati ai gusti indigeni e credo che sia per questo, che perfino nei quartieri italiani può capitare di mangiare della pasta scotta… Personalmente penso che in cucina, non ci sia nulla di più ripugnante… Un giorno vi porterò da Mario. Lì la pasta è al dente »

« Mario? » chiese Faith, arrotolando un altro boccone sulla forchetta.

« È un ristorante di Venice, a conduzione familiare. Piccolo, ma un vero gioiello culinariamente parlando »

« Come l’hai scoperto? » chiese Doyle.

« Casualmente, per necessità… »

« Casualmente per necessità? » ripetè il mezzo demone cercando di comprendere e Cordelia « Quando? »

« Alcuni anni fa… »

Rispose evasivo e voltandosi verso Faith, vide che metteva da parte sul bordo del piatto un tocchetto d’aglio.

Incrociando il suo sguardo la bruna sorrise « È davvero tanto quello che la gente ignora, eh? » Angel ricambiò il sorriso, annuendo appena, poi inarcando le sopracciglia « Ebbene? Ora che hai in mente di fare? »

« Non ne ho idea… Non appena il Consiglio degli osservatori saprà che sono di nuovo in circolazione, ammesso che non lo sappia già, ho idea che verrà a chiedermi conti di quanto successo l’anno scorso »

« Che significa questo, che vuoi andartene? »

« Beh… »

« Un momento, qualunque cosa tu abbia fatto resti sempre una cacciatrice »

« Indubbiamente Doyle, ma secondo il manuale delle coccinelle, ormai risulto un po’ troppo al di là dei canoni usuali richiesti, per continuare a far parte del club. Una cacciatrice fuori controllo gode della stessa considerazione di un demone e quindi dello stesso trattamento »

« Pensi che potrebbero mandare anche un’altra cacciatrice? » chiese serio Angel.

« Non mi sento di escluderlo »

« Vuoi dire che potrebbero farti fuori? »

« Ci potrebbero provare e francamente non saprei come comportarmi… »

Concluse guardando in modo eloquente Angel.

Non sarebbe di certo rimasta lì a farsi ammazzare, ma se avessero mandato un essere umano a sopprimerla, probabilmente, alla luce di quanto successo con Finch, non sarebbe stato semplice come bere un bicchier d’acqua imporsi.

« Non per farmi i fatti tuoi, ma che hai combinato? » le domandò Doyle scuotendo la testa.

« Ho trasgredito la scala gerarchica muovendomi da sola senza consultare nessuno, ho mandato a spasso quello che avevano designato come mio osservatore e ho aiutato un mezzo demone ad Ascendere »

Inarcandò le sopracciglia « Però. Hai avuto un anno movimentato… »

Convenendo con un gesto del capo « Se escludiamo il coma… »

« Ad ogni modo non credo che dovresti andartene. Se si mettono in testa di prenderti, proveranno a farlo che tu resti qui o circumnavighi il mondo, no? »

Angel assentì « Cordelia ha ragione e il Consiglio non è poi così organizzato come sembra… Hanno tentato di catturarmi per anni e godo ancora di ottima salute » affermò con una certa soddisfazione.

« Vero. Ma dopo Castel Sant’Angelo hanno anche deciso di evitarti » gli ricordò Faith sottolineando con lo sguardo quali e quante fossero differenti le rispettive situazioni.

Angel guardò fugacemente il nulla, ricordando in un istante quella primavera del 1826.

Stringendo le labbra « Effettivamente… Non sapevo che i diari degli osservatori potessero essere consultati dalle cacciatrici… »

« Emily era una donna molto permissiva »

« Capisco… Ad ogni modo, all’occorrenza, anche dei documenti falsi e un po’ di discrezione possono fare miracoli in simili frangenti e con un’altra identità, un posto vale l’altro »

« Assolutamente. E almeno qui avresti qualcuno a cui appoggiarti » rincarò Doyle.

Faith rimase sconcertata da quell’affermazione.

« Non sono abituata ad appoggiarmi… » disse più a se stessa che a Doyle ed Angel « È facile abituarsi, credimi »

La bruna lo guardò intensamente.

Non metteva certamente in dubbio le sue parole, anzi ci credeva al punto che era proprio questo a preoccuparla di più, la possibilità di farci l’abitudine…

 

Ignorando la sua espressione « Finché non ti sistemi potresti rimanere da me, io dormirei in salotto »

« L’alloggio non è un problema »

« Nel mio condominio ci sono diverse abitazioni libere se ti interessa. Non è male, ma… Poco distante da qui, c’è un appartamento da urlo. L’affitto non è bassissimo ma in due si coprirebbe con facilità, ed è talmente grande che potrebbe passare anche un anno, prima di incontrarci! »

La cacciatrice non fece in tempo ad aprire la bocca per rispondere a Cordelia che Doyle « E per quanto riguarda l’attività, potresti darci una mano in agenzia. Il lavoro che accettiamo rientra nel tuo campo dopotutto. Demoni, magia e in generale tutto quello che non è umanamente spiegabile »

« Naturalmente » puntualizzò Angel « Finché non vediamo da che parte tira il vento, si tratterebbe di semplice lavoro d’ufficio »

« Scartoffie? »

« … Sì. Almeno per i primi tempi e soprattutto se ti va. Sei libera Faith, senza alcun vincolo né obbligo »

« Era questo che intendevi quando parlavi di discrezione? »

« Sì. Credi di potercela fare? »

 

Non che la paura non ci fosse più, ma era come se a un tratto Angel, Doyle e Cordelia si fossero frapposti fra lei e quel muro su cui aveva temuto di sbattere la faccia per tutto il giorno. E c’era di più.

C’era che tutto le sembrava assolutamente normale.

Anche l’idea di poter coabitare con Queen C e sguazzare fra gli incartamenti…

Al diavolo.

In fondo era sempre stata brava nel lavoro di ricerca e sotto sotto, aveva sperato con tutta se stessa in una simile offerta… Sebbene la contentezza che le fosse stata realmente fatta, sgomitasse furiosamente dentro di lei con l’imbarazzo di ammetterlo…

Al diavolo tutto.

Anche se stessa.

Mordendosi una guancia assentì con la testa « Posso provarci… »

« Splendido! » Esordì Doyle e sollevando il proprio calice « Allora… Benvenuta Faith » dichiarò seguito subito dopo da Cordelia « Sì, benvenuta »

Alzando il proprio bicchiere e chinando leggermente il capo in segno di omaggio « Benvenuta Faith » Fece Angel per ultimo.

« Grazie… A tutti » disse schiva con un sorriso imbarazzato « Spero solo che nessuno abbia a pentirsene… » concluse sotto voce mentre Angel allargava il proprio sorriso.

 

Appoggiandosi allo schienale e dando un’occhiata generale « È rimasto del gelato? »

Faith si rianimò all’istante e alzandosi per prenderlo « Sì Doyle, è nel congelatore »

« Ottimo. Prendo le coppette per tutti? » domandò il mezzo demone una volta davanti alla credenza.

« Certo » rispose Cordelia con ovvietà e mettendosi in piedi, cominciò a sparecchiare insieme ad Angel.