UN ANELLO CONTRO IL MALE

AUTRICE:ARTEMISIA

DISCLAIMER: I personaggi di AtS e BtVS non sono miei ma degli aventi diritto. La sottoscritta non scrive a fini di lucro, ma su consiglio dell’analista… Scherzo?!

E-MAIL: strixmisia@hotmail.com

RAITING: AU, con una parte PG-13 (ricordo della notte tra Angel e Buffy il giorno del suo diciassettesimo compleanno)

SPOILERS: Scrivendo su una serie mai trasmessa in Italia è normale che ce ne siano, ma tenete presente che l’autrice è completamente folle e ha cambiato più o meno tutto a suo piacimento.

 

N.d.A.: Le mie storie costituiscono insieme un universo alternativo o se preferite, una specie di serie parallela.

Molti avvenimenti sono stati cancellati, altri modificati completamente e spesso è stata cambiata anche la cronologia di tali avvenimenti.

Ciò che potrete prendere per errore o imprecisione è assolutamente voluto e ha un senso logico che potrà rivelarsi all’interno della stessa storia o in seguito.

Il carattere dei personaggi e la loro storia sono stati modificati, se non a volte completamente inventati.

Spesso saranno inseriti nelle storie dei flashback come ricordi dei personaggi, ma la “regola” è sempre la stessa: NON cercate più riferimenti a BtVS e AtS di quelli che troverete accennati perché, nella maggior parte dei casi, tutto sarà modificato dalla mano psicotica della sottoscritta!

Il protagonista pressochè assoluto di questo universo parallelo è Angel e il periodo è quello successivo alla sua partenza da Sunnydale, quindi le storie sono ambientate a Los Angeles. Per il resto avrete notato che l’autrice è piuttosto prolissa e se non siete già crollati dal sonno nel leggere queste note, allora… In bocca al lupo a voi, temerari lettori! Baci, Misia.

 

NOTE TECNICHE: i ricordi sono inseriti tra gli asterischi ***

RINGRAZIAMENTI: al webmaster per l’ospitalità, alle persone che mi hanno appoggiata e a tutti i coraggiosi che vorranno leggere questa fanfiction.

 

 

 

 

 

Le sirene della polizia echeggiavano ovunque, in lontananza e non, e solo i bagliori delle sirene con quegli accecanti lampi rossi e azzurri, potevano levare attenzione al cielo. Di certo non avrebbero potuto dei grattacieli. Non nella zona dove si trovava, almeno.

Le dimensioni dei palazzi, permettevano di osservare nella sua interezza quel blu costellato.

La luna aveva cominciato a calare da appena due giorni, ma aveva già perso molto della sua luminosità, permettendo alle stelle di contrastarla con la loro luce.

Il ragazzo fece un respiro profondo e riprese a camminare per la strada.

In mano teneva un ritaglio di giornale e sulla spalla un sacco. Si guardava intorno osservando tutti i portoni con estrema attenzione, quando a un tratto si fermò, sorrise e ripiegò il ritaglio soddisfatto.

Finalmente era arrivato.

 

Bussò alla porta ma non ebbe nessuna risposta. Dal chiasso che sentiva attraverso la soglia, dedusse che all’interno dovevano essere impossibilitati ad udirlo, così decise di fare altri due tentativi per pura formalità e poi di entrare ugualmente.

La scena che gli si presentò davanti agli occhi sarebbe stata assurda per chiunque, ma non per lui.

Nel complesso, anche se c’erano delle fondamentali variazioni, quella scena era incredibilmente normale per lui. Anzi, addirittura familiare.

 

Al centro della stanza, una ragazza stava discutendo animatamente verso due ragazzi.

Uno che era in totale contemplazione di lei e l’altro che cercava di estraniarsi da lei.

« Io non posso andare avanti così, Angel. Ho bisogno di un altro schedario. Questo è più piccolo di una cassetta delle lettere! Con tutto il lavoro che c’è da quando abbiamo messo l’annuncio, non esiste lo spazio per archiviare nemmeno una gomma da masticare… e io?! Io dove li metto tutti questi? »

Domandò Cordelia stizzita, indicando una pila di scartoffie considerevolmente alta.

Angel si girò verso di lei per la prima volta da quando avevano intrapreso quella discussione, o più precisamente da quando Cordelia aveva intrapreso quel monologo.

Guardandola dubbioso « Abbiamo messo? Tu hai messo quell’annuncio. Io non ero assolutamente d’accordo »

Il ragazzo decretò che era giunto il momento di palesare la propria presenza, quindi scese silenziosamente i due gradini della soglia, poggiò da una parte il proprio sacco e tossì attirando finalmente l’attenzione dei presenti.

 

« Ho bussato ma non mi avete sentito, così… »

« Oz? » fece il vampiro con una nota di stupore « Accomodati »

« Grazie » Rispose richiudendo la porta.

Cordelia, poggiandosi allo schienale con le braccia tese e le mani strette al bordo della scrivania « Oz! È dal diploma che non ci si vedeva… Che si dice di bello a Sunnydale? Willow sta bene? »

« Credo che stia per -sono felice di vederti- »

Oz sorrise « Ciao, Cordelia »

« Lui è Doyle, è un amico »

Facendosi avanti con la mano tesa « Piacere, Oz. Benvenuto a Los Angeles »

« Piacere mio, grazie »

Il vampiro si tenne in disparte ad osservarli. La presenza di Oz lo stupiva.

Erano sempre andati d’accordo ma il ragazzo di Willow, per quanto educato, non era certo il tipo da visite di cortesia e dubitava che Giles avesse reso pubblico il suo nuovo recapito, ergo... Doveva essere successo qualcosa.

Il solo fatto che fosse lì, dava la misura dell’importanza del motivo e pertanto del fatto che Oz non avrebbe parlato davanti a Cordelia, con la quale aveva sempre avuto poca confidenza, e men che meno con Doyle che non conosceva affatto.

Colse una breve pausa per interrompere quello scambio cortese di informazioni, che poteva essere definito con benevolenza ‘chiacchiere’.

« Oz, mi rincresce rubarti alla conversazione, ma vorrei parlarti in privato. Vi spiace? »

« No, no! »

« Prego »

I due si chiusero nell’ufficio e Cordelia con aria perplessa, rifletté a voce alta « Parlare. Quei due. Deve essere successo davvero qualcosa di grosso… »

« Cosa te lo fa pensare? »

« Il fatto che li conosco me lo fa pensare. Angel di per sé non è molto loquace, ma in confronto ad Oz risulta quasi logorroico. E perché quei due si chiudano a parlare in una stanza, beh… deve essere davvero successo qualcosa di grosso »

 

 

Angel ed Oz sedevano uno di fronte all’altro, in mezzo a loro era la scrivania del vampiro e si guardavano dritto negli occhi.

Il loro primo incontro era stato davvero strano.

Al tempo, Buffy e Willow non avevano potuto farli conoscere in modo tradizionale.

La maledizione di Angel si era rotta e Oz… Oz stava involontariamente cominciando a prendere confidenza con quello che sarebbe stato il resto della sua vita. Stava cominciando a conoscere il lupo che era in lui.

Si erano guardati dritto negli occhi anche quella notte. La notte del loro incontro.

Angel difendendo quel poco che restava della sua preda, Oz minacciandoglielo.

Era lecito pensare che se non avessero udito i reciproci cacciatori avvicinarsi, si sarebbero affrontati alla fine. Ma li avevano uditi e così si erano ritratti ognuno nell’ombra, evitando uno scontro di cui nessuno dei due avrebbe mai fantasticato l’esito.

Quando la maledizione di Angel era stata ristabilita, e lui aveva scoperto che poteva non rappresentare un pericolo se si rinchiudeva nel gabbiotto della biblioteca durante le notti di luna piena, Oz non aveva mai preso parte alle discussioni che avevano per oggetto il vampiro e la rottura della maledizione.

Nel bene e nel male preferiva starne fuori, perché la cosa migliore per l’interessato era comunque non parlarne.

Poi, cosa potevano sapere loro della sensazione che si provava all’idea di poter diventare di punto in bianco una minaccia per chiunque?

Niente. E certamente non l’avrebbero saputo o capito parlandone.

Lui invece sapeva e capiva.

… O almeno così credeva.

 

Il vampiro aveva apprezzato il suo solidale silenzio, ma a differenza del licantropo, conosceva perfettamente la diversità che intercorreva tra loro.

Nonostante l’autocontrollo conquistato col tempo, il globo di Thesulah aveva notevoli ripercussioni su di lui e in caso di rottura della maledizione, gli istinti e di conseguenza gli avvenimenti, potevano precipitare in modo del tutto incontrollato, ma Angel era ben lungi dalla situazione a cui lo accomunava il licantropo.

Senza contare che, al contrario suo, Oz non aveva voluto diventare ciò che adesso era…

Non era in ogni caso il momento di soffermarsi oltre su quelle riflessioni.

 

« Sono lieto di rivederti, Oz. Come hai fatto a trovarmi? »

« Vorrei potermi gloriare del mio olfatto, ma in realtà è stato grazie all’annuncio di Cordelia »

Angel sorrise. Almeno era servito a qualcosa di buono quell’annuncio.

« Perché sei qui? »

La domanda del vampiro era seria e diretta, ma dopo quello che avevano visto quella notte l’uno dell’altro, potevano permettersi di saltare i convenevoli.

 

Mentre Angel aspettava con molto interesse ma senza fretta che parlasse, Oz si sistemò meglio sulla poltrona.

Non era solito intraprendere lunghe discussioni, soprattutto se riguardavano la propria persona.

Da questo punto di vista aveva sempre avuto molto in comune con Angel anche se, ancora una volta, i loro silenzi erano guidati da motivazioni diverse.

 

Non sapeva esattamente da dove cominciare.

Dallo scontro col sindaco Wilkins erano successe svariate cose quell’estate e solo ai primi di settembre, era successo quel tanto in più che l’aveva convinto a lasciare Willow e Sunnydale alla ricerca di una soluzione.

Ecco, forse era proprio da lì che poteva cominciare. Da quello che era stato l’inizio di tutto

« Tempo fa ho incontrato un mio simile. So che non è il massimo come definizione, ma al momento non sono ancora in grado di fare meglio. Probabilmente se lei non mi avesse individuato all’istante, sarei ancora lì a chiedermi che cos’ha che non riesco a inquadrare… Era tutto quello che avrei voluto essere. Consapevole. Veruca sapeva cosa faceva, aveva memoria di tutto. Piccolo, insignificante particolare… non era lei ad avere il controllo sul lupo, ma il contrario. E così vidi l’aiuto che volevo chiederle andare in fumo. Io volevo addomesticare il lupo e non essere addomesticato da lui. Pensavo che col tempo anche lei avrebbe compreso che era un essere umano prima che un lupo ma… »

Interruppe il suo discorso. Era intento a fissare il vuoto completamente assente, come se stesse rivivendo la scena.

« Stava minacciando Willow. La mia Willow. … Sta diventando brava come strega ma sai com’è fatta. Se qualcuno l’aggredisce tende più a tirarsi indietro che a farsi avanti e io… L’odore della paura può annichilire fino a non farti capire più niente… »

Alzò il suo sguardo sul vampiro « L’avrebbe sicuramente uccisa »

Distolse nuovamente lo sguardo, appoggiandosi allo schienale della poltrona.

 

Quanto era… umano il suo rimorso.

Essere una creatura della notte con le proprie necessità ed istinti, non era di per sé una cosa semplice. Soprattutto avendo di base delle radici umane, vivendo in un contesto umano e portando con sé un bagaglio di credenze umane.

Ma essere una creatura della notte senza avere nessuna cognizione o capacità di controllo sulle proprie necessità ed istinti, doveva essere atroce.

Nonostante fosse lui, il lupo sembrava essere scisso da Oz. Come un ospite scomodo all’interno del suo corpo, come… un parassita.

Se Oz avesse avuto consapevolezza e padronanza della propria natura, forse…

« È stata la prima volta che sono riuscito ad avere un controllo sul lupo. La prima volta che sono riuscito a ricordare tutto il giorno dopo. E l’ho pagato ammazzando una parte di me, perché anche se non la conoscevo la capivo fino in fondo ed è questo quello che ho provato… Forse è questo quello che si prova quando si uccide un proprio simile… »

Angel si irrigidì impercettibilmente. Avrebbe voluto chiudere gli occhi alle parole di Oz, ma questo avrebbe significato riconoscere e aggravare un peso di cui il ragazzo era assolutamente cosciente.

 

La sua prima vittima.

 

Aveva reagito lucidamente di fronte alla situazione, ma non essendo padrone né della propria forza, né dei propri istinti, aveva avuto un eccesso di reazione e di difesa soccombendo ad essi.

Uccidendo in quel modo la sua antagonista.

 

Oh, se era umano il suo rimorso.

Umano e anche se poteva sembrare crudele definirlo così, infantile.

Se non era in grado di farlo lui, che il destino lo guardasse da quella futura incapacità di reazione di fronte a un proprio simile, in una realtà come quella che li circondava. Ma forse non aveva nulla da temere realmente.

La genia di Oz, salvo alcune situazioni appunto, non era come la sua.

I licantropi non erano tendenzialmente portati ad attaccare i propri simili, quanto piuttosto ad aiutarli.

Per la sua stirpe era diverso.

Quelli che venivano considerati in tutto e per tutto dei simili, erano coloro che venivano reputati degni di rispetto, più, talvolta, i diretti consanguinei, quelli stretti.

E se doveva essere proprio sincero, non aveva granché sofferto nel scaraventare il Maestro contro quello spuntone di legno…

C’era solo una morte di cui aveva sofferto. Non aveva guidato la mano di quella morte, eppure se ne sentiva responsabile ogni giorno.

Il respiro profondo di Oz lo riportò alla realtà.

 

« Quella è stata anche l’ultima volta che ho avuto controllo su di me e sapendo quello che sapevo, non potevo più restare. Una settimana dopo, decisi di partire per fare delle ricerche sulla mia razza e capire se potevo effettivamente imparare ad avere un autocontrollo su me stesso. Lasciai Willow e Sunnydale, ripromettendomi che sarei tornato qualora non fossi stato più un pericolo per gli altri e per me… »

Fece una breve pausa, ripensando al fallimentare inizio delle sue ricerche.

 

Per prima cosa si era recato dai suoi zii, poiché Jordy, il loro figlio, altri non era che il licantropo che lo aveva infettato.

Da S.Francisco si erano trasferiti in un ranch vicino a Tucson proprio per la sua natura e tutto quello che avevano fatto, era stato trasferirsi in quel ranch e costruire un recinto/gabbia al figlio per le notti a rischio, senza farsi mai domande su ciò che gli era accaduto.

Da allora, aveva continuato a girare nella speranza di accumulare informazioni utili e con un po’ di fortuna, qualcosa era riuscito a trovare.

« Ho scoperto che in Tibet hanno delle tecniche di meditazione che potrebbero finalmente farmi acquisire l’autocontrollo quindi, sono in partenza. Tutto sommato devo dire che sono stato fortunato. Avrei potuto impiegare anni, invece di poche settimane… Stamattina per caso, ho letto sul giornale l’annuncio di Cordelia per la Angel Investigations. Ammetto che non speravo proprio fossi tu. Non è nel tuo stile. Tuttavia ho voluto provare lo stesso e… beh, eccoti qui »

Alzandosi dalla poltrona « Devo andare ora, ho l’aereo che mi aspetta. Spero di rivederti »

« Ti accompagno all’aeroporto. Dove sono i tuoi bagagli? »

« Grazie. Li ho lasciati all’ingresso »

 

Nessuno dei due disse nulla per tutto il tragitto.

Angel fermò la macchina davanti al gate delle partenze. Oz scese e recuperò dal sedile di dietro il suo bagaglio, dopodiché si appoggiò al finestrino con una mano, chinandosi appena per poter guardare in faccia il vampiro.

« Ti auguro tutta la fortuna possibile, Oz. Ne avrai bisogno »

Sorridendo con aria sottile e sicura « Grazie Angel, anche a te. Torna all’agenzia, non voglio farti perdere altro tempo »

Si guardarono e si lasciarono con un cenno del capo come saluto.

 

 

 

Le due di notte. Erano le due di notte e Doyle e Cordelia erano ancora in agenzia che parlavano.

Sebbene conversassero a voce bassa e il caos esterno, insieme alla porta, attutisse il loro dialogo, Angel poteva sentirli distintamente.

Il tragitto verso l’aeroporto era stato piuttosto veloce, ma il rientro non lo era stato altrettanto.

A causa di alcuni lavori in corso o forse un incidente, il traffico era stato deviato e ricondotto a un percorso alternativo piuttosto impervio, che aveva permesso al vampiro di tornare in agenzia solo diverse ore dopo.

E certamente non pensava a quell’ora di poter trovare ancora Doyle e Cordelia in chiacchiere.

 

Sicuramente la bruna, aveva colto come occasione la visita di Oz per illustrare a Doyle altri dettagli sugli scoobies o Sunnydale e lui, un po’ perché Cordelia era assolutamente affascinante quando si infervorava e un po’ per chiarirsi meglio una parte del passato del suo protetto, ascoltava sempre ogni parola in religioso silenzio.

Chissà cosa gli aveva raccontato stavolta per farlo esordire con « Allora a Sunnydale non sono tutti taciturni come Angel e Oz… »

« Parrebbe di no »

I due, riconosciuta la voce, si voltarono all’unisono verso la porta. Angel li guardava dalla soglia con la testa leggermente reclinata di lato, decisamente divertito.

Non sapeva se la loro espressione fosse più imbarazzata o colpevole, restava comunque che sembravano due colti sul fatto ed in effetti, lo erano.

Tentando di recuperare un tono « Bentornato, Uomo! C’era molto traffico? »

Il vampiro rimase fermo a guardarlo silenziosamente, con le sopracciglia inarcate. Bastarono pochi istanti in quella postura per disarmare Doyle e fargli confessare « Ok. È un penoso tentativo di cambiare discorso. Lo ammetto »

« Meno male »

Emise Angel con un leggero cenno del capo, che lo fece sembrare talmente inglese da far aggrottare la fronte a Doyle.

No. Non era il caso anche di irritarlo rivelando quella sua impressione, visto che tra l’altro era già in difetto.

« Comunque, si. C’era molto traffico »

Concluse ignaro, dirigendosi speditamente verso il suo ufficio e bloccandosi poco dopo, osservando stupito una cosa che non si aspettava. C’era una busta sulla sua scrivania.

 

« Da dove viene questa busta? »

I due si avvicinarono alla soglia dell’ufficio, la guardarono e risposero negativamente.

Presi com’erano dalla conversazione, non l’avevano neanche notata, quindi doveva averla lasciata per forza Oz.

Angel si appoggiò sul bordo della sua scrivania e prese in mano la busta, notando che era troppo pesante per essere solo una lettera. Difatti conteneva un anello.

Un anello dalla montatura particolare con dei ghirigori che tenevano salda una pietra nera dagli innaturali riflessi verdi.

Sembrava un pezzo di modernariato. Un esemplare di bigiotteria americana degli anni quaranta.

Ottone e pietra sintetica.

Sembrava… Ma nonostante l’aspetto dei materiali, lui percepiva l’antichità di quell’oggetto.

Lo prese e lo poggiò sul ripiano, dedicando tutta la sua attenzione al biglietto che lo accompagnava.

« Che strano questo anello, sembra uno di quei gingilli del dopoguerra… Mia nonna ne aveva un’infinità! Anche la pietra è strana… Nel complesso però non è male, peccato solo che sia enorme » constatò Cordelia con una smorfia, mostrando a Doyle il divario che intercorreva tra lo stelo dell’anello e il suo dito e riappoggiandolo poi sul ripiano, affianco al vampiro.

 

« Amarra »

 

La voce di Angel era ridotta a un filo, ma era talmente stravolta da attirare all’istante l’attenzione dei due.

Era ancora poggiato alla scrivania, le spalle curve e lo sguardo fisso sul biglietto che teneva stretto tra le mani.

A prima vista sembravano solo poche righe, ne potevano dedurre pertanto che Angel stesse rileggendo insistentemente quel biglietto e che ogni lettura lo sconvolgesse sempre di più.

 

« Amarra »

 

Non era certo della reazione che avrebbe avuto Angel se gli avesse strappato di mano quel biglietto. E non era neanche certo di volerla scoprire, ma poteva sempre strappargli un po’ d’attenzione…

Prese l’anello dal ripiano e piazzandoglielo davanti alla faccia « È questo Amarra? »

Era riuscito ad attirare la sua attenzione.

Adesso Angel fissava l’anello e aveva allentato la presa sul biglietto quel tanto che aveva permesso a Cordelia di sottrarglielo.

« L’anello che hai in mano sarebbe Amarra? »

Facendo un calmo e ripetuto cenno col capo « No. Amarra non è l’anello… » le rispose il vampiro al posto del mezzo demone, che ne sapeva quanto lei.

Doyle sembrava come smontato da quella affermazione e abbassò il braccio. Angel, allora, con incredibile delicatezza prese tra le sue mani quella del mezzo demone, sfilandogli dalla stretta l’anello.

Portò le mani al petto, fissandole con dolcezza e rannicchiandosi su se stesso come per salvaguardare il gioiello da ogni cosa.

 

La Pietra Filosofale, i giardini pensili di Babilonia, le Città dell’Oro, le porte di Gharghas, il sacro ordine del Grifo.

Culti.

Culti così antichi, così lontani da diventare leggende e da dimenticare la loro realtà.

Come la sua genia, i vampiri. Come… Amarra.

 

« Amarra è la pietra. Il castone che la imprigiona non serve a nulla, solo a tenerla a… vestirla. Potrebbe essere qualsiasi altro ninnolo o vestito od oggetto »

Si infilò lentamente l’anello al dito e quando l’ebbe vestito, lo strinse forte con l’altra mano, portò le mani alle labbra e chiuse gli occhi come se stesse pregando.

Quando li schiuse, la prima cosa che vide attraverso la porta, fu la scrivania della ragazza.

Si avvicinò ad essa con interesse e attenzione, senza badare a Doyle e Cordelia che alle sue spalle lo osservavano con inquietudine.

Il vampiro si chinò davanti ai cassetti della scrivania e ne aprì uno.

Quello dove venivano riposti croci, acqua santa e paletti.

La situazione stava precipitando velocemente, Cordelia fece per avvicinarsi ma Doyle la trattenne e non la lasciò andare neanche quando Angel si voltò e videro che impugnava saldamente un paletto.

 

Ma che accidenti stava succedendo?

Amarra… Amarra… Fare mente locale… Non era un nome nuovo…

 

Vederlo rivolgere il paletto contro di sé e conficcarlo nel cuore fu un attimo.

Come durò un attimo l’urlo di Cordelia mentre strattonava via Doyle e voltava le spalle a tutto, aggrappandosi con una mano alla scrivania di Angel e tappandosi la bocca con l’altra. Tenendo gli occhi sbarrati dall’orrore.

 

« Amarra! Il santo Graal dei vampiri… » Esclamò Doyle roteando gli occhi al cielo e lasciando ricadere le spalle. Cordelia scattò verso di lui, pronta a graffiarlo « Come puoi… Come- »

Bloccatala per i polsi « Principessa, prima di farmi la pelle, guarda per terra e dimmi se vedi cenere »

La bruna si fermò all’istante, voltandosi cautamente verso il punto dove Angel si era impalettato e vedendolo ancora. In ginocchio per terra, integro, che si sfilava il paletto dal torace.

Angel era vivo. Nei limiti in cui un vampiro può essere vivo ma in quei limiti, era vivo.

Il mezzo demone le lasciò andare i polsi e Cordelia, respirando difficoltosamente per lo spavento, si avvicinò esitante al vampiro che si era appena rialzato, guardandolo fissamente, non riuscendo a capacitarsi che fosse ancora tutto intero.

 

Il cielo sapeva se non voleva spaventarla. Era talmente preso dalla gemma, che non aveva pensato a quale sarebbe stata la loro reazione, ma…

 

« Idiota! »

 

Lo schiocco del ceffone fu più sonoro della sua voce.

Dopodiché si buttò fra le braccia di Doyle, nascondendo il viso sulla sua spalla. Respirando ancora più convulsamente di prima nel tentativo di trattenere le lacrime.

Non gli aveva fatto male. Neanche Buffy che era una cacciatrice avrebbe potuto fargliene solo con uno schiaffo, e meno che mai poteva Cordelia.

Sicuramente se ne era fatta più lei, visto che gliel’aveva dato forte, ma della sua reazione non si sarebbero visti nemmeno pallidamente i segni. Eppure quelle dita bruciavano sulla sua guancia come fuoco.

Le sfiorò lievemente i capelli e lei si voltò di scatto fissandolo duramente, senza lasciare le spalle di Doyle.

« Mi dispiace » le sussurrò dolente, per ottenere in risposta un rapido movimento di sopracciglia da parte di lei, che metteva in dubbio le sue scuse.

« Principessa, Amarra è una leggenda per i vampiri. Angel non voleva spaventarti, solo che- »

Guardando ancora Angel « Anche tu non sei da meno Doyle »

E appena detto, lo fissò levando le mani dalle sue spalle.

 

Doyle non aveva parole. E solo la sua espressione poteva esternare quanto avrebbe preferito ricevere anche lui uno schiaffo, invece di quello sguardo e quella voce piatta.

Cordelia prese la giacca, infilò la tracolla della borsa e uscì silenziosamente dall’agenzia lasciandoli smarriti.

Il mezzo demone era letteralmente abbattuto sullo schedario e fu proprio la sua vista che smosse definitivamente Angel.

 

Il vampiro raggiunse la bruna in strada con poche falcate e afferratole il braccio « Cordelia- »

« Lasciami stare! » ingiunse con uno strattone e lui, alzando le mani in segno di resa « Va bene. Hai ragione. Ed hai ragione ad avercela con me, ma Doyle non c’entra » Tornando indietro davanti a lui « Oh sì che centra. Lui lo sapeva »

« Se l’è ricordato all’ultimo. Ci ho messo un po’ anch’io a realizzare e sono un vampiro e lui- »

« E lui è un mezzo demone. Tu sei un vampiro, lui è un mezzo demone, entrambi sapevate con che cosa avevate a che fare, ma io NO » disse puntandosi le mani al petto poi, gesticolando e volgendogli le spalle

« Tu osservavi quel paletto con aria inquietante ma sapevi le conseguenze, lui mi teneva ferma in modo da non farmi interferire perché sapeva che stava per accadere e IO in balia di voi due che non sapevo niente ed ero spaventata a morte! ».

 

Si avvicinò a lei e l’abbracciò da dietro, irrigidendosi lievemente una frazione di secondo dopo per l’incertezza e il disagio.

Da quanto non lo faceva?

Una vita, forse anche di più calcolando in vite umane.

Quel gesto colse alla sprovvista anche la ragazza che, dopo un istante di contratta sorpresa, si lasciò andare indietro, aggrappandosi alle sue braccia che la sostenevano e poggiando la tempia sulla sua guancia.

« Mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto, Cordelia »

Lei tirò un respirò profondo, tremante per la tensione nervosa, facendo cenno di sì con la testa.

Voltatasi verso di lui, gli intimò minacciosa « Non lo fare mai più »

« Non lo farò mai più »

« Perché se lo fai un’altra volta e sopravvivi, poi ti impaletto io ma ti levo prima l’anello! »

« Va bene »

« E non voglio più rimanere all’oscuro di niente, intesi? »

« Intesi »

 

 

L’aveva vista uscire da quella porta e non aveva idea se l’avrebbe mai vista superarla di nuovo per tornare.

Come poteva essere uscita da quella porta, quando l’aveva varcata da così poco tempo?

Come poteva uscire dalla sua vita, quando non ci era neanche entrata con tutte le sue bellissime ed altissime scarpe?

E soprattutto come poteva uscire dalla sua vita e lui rimanere come un allocco, appoggiato a quello stramaledetto schedario?!

Si mosse di gran carriera verso la soglia e fu per un soffio che la porta non gli staccò via il naso, rivelando Cordelia che con passo deciso scendeva i gradini e tornava alla sua scrivania, appoggiando giacca e borsetta sul ripiano.

Cordelia che si voltava verso di lui e con lo stesso tono minaccioso gli dichiarava « E questo vale anche per te, Doyle! »

« Sì, certo. Va bene »

E resosi conto dell’idiozia di aver accettato delle condizioni su qualcosa che non sapeva, si rivolse appena col capo ad Angel che gli era dietro, senza staccare lo sguardo dalla ragazza e sottovoce « Che cos’è che va bene? »

Accomodandosi sulla sua poltroncina « Non voglio essere più tenuta all’oscuro di niente, è chiaro Doyle? Come farai ad informarmi in tempo reale è un problema tuo, ma non voglio più restare all'oscuro. Intesi? »

« Sì, certo. Va bene » ripeté, stavolta conscio della sua risposta.

« E tu… » fece tornando a rivolgersi ad Angel mentre le sue guance riprendevano colore « dovevi proprio impalettarti per verificare l’efficacia di quell’anello?! »

« Ammetto che è stata un po’ radicale come scelta… »

« Sì. Effettivamente… »

« Radicale per radicale, potevi scolarti una boccetta d’acqua santa! Almeno faceva meno impressione »

« Lo dici perché non hai mai visto un vampiro bruciare dall’interno… »

I due lo guardarono arricciando il naso dal disgusto a quell’orribile idea.

 

Riavvicinatisi a Cordelia, Doyle si sedette in una poltroncina vicino a lei ed Angel si accomodò sulla scrivania.

« Amarra, come diceva giustamente Doyle, è un po’ il santo Graal dei vampiri. Io ho passato parte della mia esistenza a cercare oggetti mistici che avessero determinate caratteristiche, ma non ho mai cercato Amarra. La credevo solo una leggenda e quando l’ho tenuta tra le mie mani, ho capito invece che era reale »

 

Amarra.

 

Era il completamento di ogni vampiro. Ciò che consacrava l’immortalità all’eternità. Il tassello mancante che determinava l’assoluta fusione fra demone e...

Raddrizzò la schiena come se avesse realizzato qualcosa e senza aggiungere altro, si alzò e uscì dall’agenzia.

 

 

Doyle e Cordelia sentirono il rumore dello sportello e poi quello della macchina che si allontanava.

La ragazza non disse nulla.

Era troppo stanca per arrabbiarsi oltre e aveva compreso gran parte della faccenda e forse, ciò che non poteva comprendere gliel’avrebbe spiegato il famigerato biglietto.

Doyle la vide alzarsi ed entrare nell’ufficio di Angel, per riuscire poco dopo con il cartoncino in mano.

Scambiandosi uno sguardo d’intesa « Durante le mie ricerche ho trovato questo gioiello. La leggenda dice che rende i vampiri immuni da croci, acqua santa, paletti e soprattutto dalla luce del giorno. Sii felice, Oz »

Sorrise continuando a fissare il biglietto del licantropo « Soprattutto dalla luce del giorno… Te l’avevo detto che se quei due parlavano, doveva essere successo davvero qualcosa di grosso »

« Ma manca ancora un bel po’ all’alba… »

« Nel posto da cui vuole vederla, farà appena in tempo ad arrivare » e detto questo, Cordelia prese di nuovo la giacca, la borsetta ed invitò Doyle con un gesto ad uscire dall’agenzia.

Prima di uscire si fermò sui gradini, si girò e diede un’occhiata all’ufficio, spense le luci, poi chiuse a chiave la porta e finalmente si girò verso il mezzo demone che le chiese « Dove si trova questo posto? »

Cordelia, dirigendosi verso casa e vedendo che il buio della notte stava schiarendo, gli rispose sorridendo

« A Sunnydale. Si trova a Sunnydale »

 

 

Sunnydale distava appena un paio d’ore da Los Angeles. Anche meno se si lasciava gravare il piede sull’acceleratore ed Angel in macchina divorò i chilometri, finché non vide davanti a sé un cartello con su scritto “WELCOME TO SUNNYDALE!”.

Gli sembrava di aver appena superato il manifesto che invitava a tornare presto alla Città degli Angeli e invece era già arrivato a Sunnydale.

 

Troppo in fretta.

Aveva guidato decisamente troppo in fretta.

Senza darsi neanche il tempo di riflettere.

 

Guardò l’anello alla sua mano. Amarra.

Il completamento di ogni vampiro. Ciò che consacrava l’immortalità all’eternità. Il tassello mancante che determinava l’assoluta fusione fra demone e... uomo.

Era bastato questo per farlo montare in macchina e guidare sin lì.

 

Impulsivo.

Come nei suoi cinque minuti peggiori. Come Spike.

Solo che avendo un centinaio d’anni e passa più di lui, non aveva neanche la scusante dell’età.

 

Ormai stava albeggiando e dopo secoli nel buio, valeva almeno la pena di godersi interamente quello spettacolo stando fermo comodamente. Invece che riprendere altrettanto impulsivamente la macchina e contemplare l’alba con sfuggenti occhiate sbieche dall’autostrada.

La collina di Sunnydale era un’altura che dominava tutta la città. Il primo posto dove brillava il sole.

Un punto così esposto da non offrire alcun rifugio o… ripensamento.

Vi era già stato una volta e proprio a quell’ora.

 

*******

 

 

 

Aspettavano timorosi di rivederlo.

Da un momento all’altro sarebbe comparso di fronte a loro e più il tempo passava, più la tensione aumentava.

Ignoravano che dall’ombra, lui li osservasse.

Poteva percepire la loro paura, il timore prevalere su qualsiasi altro sentimento in loro parlando, anche solo pensando a lui.

Così, silenziosamente come era giunto, se ne era andato senza palesare la sua presenza.

 

Li aiutava senza farsi vedere come faceva agli inizi, prima che sapessero della sua esistenza.

Solo Faith, in quei giorni, era riuscita a vederlo e a parlarci dopo averne sentito tanto raccontare.

Poi più nulla. Scomparso. Come inghiottito da quel buio di cui faceva parte.

Il suo rientro alla dimensione umana non era stato più generoso della sua permanenza in quell’inferno, questo era certo. E al di là del ‘caloroso’ benvenuto che aveva ricevuto, c’era ben altro a sgomentarlo e che l’aveva portato ad estraniarsi da tutto…

 

La prima volta era stato breve, fuggevole.

Solo un attimo in cui si era sentito osservato e con smarrimento aveva constatato che qualcuno lo stava realmente osservando.

Ma era qualcuno che non poteva essere lì.

Era qualcuno che aveva ucciso talmente tanto tempo addietro, che non poteva essere rimasta neanche polvere nella sua bara.

 

Quegli attimi brevi e fuggevoli, col passare del tempo erano diventati frequenti e sempre meno brevi, sempre meno fuggevoli.

Volti diversi che non avrebbe mai pensato di poter ricordare, finché non li vedeva riaffiorare tra la folla.

Gli venivano incontro, proseguivano al suo fianco attraversati dalle persone che non vedendoli, camminavano nella strada come se nulla fosse.

Poi come erano venuti, sparivano.

Cominciò a consultare degli antichi testi che aveva a portata di mano, se non fossero bastati, avrebbe rivoltato i magazzini di Los Angeles dov’erano contenuti gli altri.

Sicuramente oltrepassando quello stramaledetto varco, si era portato qualcosa appresso da quell’inferno.

Ogni tanto, al capo opposto del tavolo, si accomodava uno o una di loro. Una delle sue vittime.

Lui le osservava con determinazione, quasi durezza.

Anche quelle che in vita avevano avuto espressioni arroganti erano come corrose dal dolore, ma se c’era una cosa di cui poteva essere sicuro, era che quelle apparizioni non erano una ripercussione del globo di Thesulah.

Quindi cosa erano?

Rilasciò l’ennesimo libro sul tavolo con un gesto stizzito, per ritrovarsi davanti un altro volto affranto.

Basta. Questo era davvero troppo.

« Tienimi il segno »

Saltò su con insofferenza verso l’apparizione, poi uscì dalla villa e prese a camminare senza meta.

 

 

In lontananza notò che le case erano addobbate a festa.

Luci da tutte le parti, grandi corone con immensi fiocchi rossi appesi alle porte di ingresso, ciuffi di vischio sospesi sulle soglie e alcuni sfoggiavano sui prati davanti a casa orrendi Babbi Natale, renne e slitte ricoperti di improbabile neve posticcia.

Era già la Vigilia di Natale.

 

Il tempo era passato senza che lui, concentrato nelle sue ricerche, vi avesse badato e il clima non era stato indicativo di nessun cambiamento.

In California faceva sempre caldo, al massimo tiepido.

Bastavano 20° per far indossare i vestiti pesanti, sempre che quegli abiti potessero essere definiti pesanti…

Tutto così diverso dall’Europa, dall’Irlanda.

Quel clima poteva essere attribuito nella sua terra ad una prosperosa primavera o ad una timida estate.

Forse più estate che non primavera, non ne era certo. Aveva lasciato l’Isola di Smeraldo appena un mese dopo la sua rinascita per non farvi più rientro e i suoi ricordi in tal senso, erano vaghi e decisamente poco attendibili.

Ad ogni modo il loro inverno era diverso.

Era freddo. Di un freddo così intenso da penetrare nelle ossa e poterle sgretolare quasi.

E anche il Natale era diverso.

Non avrebbe mai creduto che nell’arco di tutti quei secoli, gli irlandesi fossero cambiati tanto da tenere delle renne di plastica in giardino…

Sorrise, tramutando la curva delle sue labbra in una piega amara e dirigendosi verso il cimitero. Non aveva più voglia di vedere case addobbate a festa e lì, non correva assolutamente il pericolo di trovarne.

 

Fece mente locale per ritornare al motivo che l’aveva fatto uscire dalla villa.

Al bisogno di un istante di tranquillità che lo aiutasse a capire cosa gli stava accadendo e perché, ma quando lo raggiunse, vide di fronte a sé Buffy che stava combattendo contro due vampiri.

Sembravano piuttosto forti ma non particolarmente insidiosi, tanto che poteva continuare a vivere nell’ombra senza rivelarsi e l’avrebbe fatto… se uno dei due non l’avesse scaraventata brutalmente a terra.

 

In mezzo alla nuvola di cenere che si stava depositando a terra, Buffy fece per alzarsi e lui istintivamente le offrì una mano per aiutarla. Una mano che lei schiaffeggiò rifiutandola, fissando lui con rabbia e rialzandosi da sola.

Angel indietreggiò di un passo guardandola confuso.

Non si aspettava una simile reazione da parte sua, anche perché nonostante non si fosse fatto più vedere, neppure lei era andata a cercarlo e tra l’altro aveva solo voluto aiutarla.

 

« Questi non sono più affari tuoi, Angel… »

 

Il suo atteggiamento, la sua voce, la sua espressione.

Quanto le avrebbe voluto dire che se si fosse fatto i fatti suoi come voleva lei, non sarebbero stati lì a parlare adesso.

Invece rimase a fissarla senza dir nulla, incapace di fare il minimo gesto intanto che lei continuava a rovesciargli addosso il suo rancore, a dirgli di farsi una vita sua, a dichiarargli che lei era riuscita a farsene una propria e che non aveva più bisogno di lui né del suo aiuto.

Fermo, zitto.

Cercava di estraniarsi dalle sue parole, consapevole del fatto che se le avesse udite fino in fondo e gli avesse dato il giusto peso, non si sarebbe più trattenuto e le avrebbe fatto scontare anche ciò di cui non aveva colpa.

E se poi avesse scoperto che quelle visioni erano dei concreti strascichi di quell’inferno in cui l’aveva catapultato? Avrebbe potuto continuare a dire che lei non aveva colpa di...

 

Basta.

Anche questo era davvero troppo.

Tutto era davvero troppo.

Le voltò le spalle, lasciandola lì. Sordo a quello che poteva ancora dirgli e insensibile agli sguardi che poteva mandargli. Ignaro della sua paura.

Paura di quello che era accaduto tra loro, delle conseguenze che aveva portato, di quei tre mesi in cui si era annullata, di quella solitudine che tutt’ora la circondava. Paura che l’aveva portata ad allontanarlo nel modo più crudele.

Perché non si ripetesse tutto daccapo, perché non si dovesse trovare un’altra volta di fronte a lui per doverlo uccidere ancora.

Preferendo ferirlo a morte verbalmente spingendolo ad andarsene, che ferirlo a morte fisicamente spingendolo nuovamente all’Inferno.

 

Stupendo.

Davvero grandioso.

Non che si aspettasse niente.

Non si aspettava niente da nessuno e da un pezzo ormai.

 

Rientrò alla villa sbattendo rumorosamente la porta dietro di sé, per poi appoggiarvisi stremato.

Si lasciò scivolare lentamente a terra e abbracciò le gambe, poggiando la testa sulle ginocchia, come faceva quando era bambino.

Era stanco. Tremendamente stanco.

E se scappare avesse voluto dire lasciarsi alle spalle quell’inferno una volta per tutte, lo avrebbe fatto.

Lo avrebbe fatto contro tutto e tutti.

Anche contro se stesso…

 

In fondo voleva solo un po’ di pace. Un attimo di pace in cui non dover pensare a come combattere, difendersi, sopravvivere. Solo un attimo di pace.

Totale, assoluta.

 

« Sei sicuro che sia questo quello che vuoi? »

 

Angel rialzò il viso di scatto.

« No, perché adesso lo sai cosa capita quando sei in pace con te stesso, quindi… »

Janna.

L’ultima componente dei Kalderash, la tribù di zingari che l’aveva maledetto.

L’ultima vittima ‘eccellentÈ. Quella che Buffy e gli altri piangevano col nome di Jenny Calendar.

Continuava a fissarla mentre gli veniva incontro. Vestita con una tunica color sabbia smanicata e sopra una mantella di voile.

Gli sorrideva con aria compiaciuta e fu allora che comprese.

 

« Avrei dovuto capirlo che eri tu » fece il vampiro scuotendo la testa.

« Non te ne dolere, io non me ne dolgo. Con quel che hai passato, sarebbe stato sorprendente il contrario »

Il vampiro sorrise di scherno, mentre la figura davanti a lui si piegava per avvicinarglisi meglio.

Rialzò il capo e con fare formale « A cosa debbo l’onore? ». La figura allargò il suo sorriso « Anche a questa risposta. Volevo rivederti… Mi sei mancato Angelus. Pochi se non nessuno sarebbero riusciti a tornare come hai fatto tu »

« Smettila di adularmi. È solo questo il motivo per cui sei qui? »

I suoi occhi brillarono « No. Sono qui al tuo servizio. Sono qui per esaudire i tuoi desideri. E se è un attimo di pace assoluta quello che vuoi, io… »

« Io non voglio nulla da te. Men che meno un attimo di pace » e detto questo, si scostò dalla porta camminando verso il salone.

Ancora accovacciata a terra, si rivolse a lui con accanimento « Preferisci continuare a vivere così? Credi che aggrappandoti al globo di Thesulah, a quello che credi il meglio di te le cose si sistemeranno? Quando hai perso il meglio di te si sono sistemate. Quando sei tornato quello che eri »

« Io non ero così. Non sono mai stato così »

Rialzandosi in piedi e moderando il tono « Era comunque una parte di te. Forse non la migliore per te, ma a conti fatti… »

« Che intendi dire? »

« Intendo dire… È preferibile vivere al peggio delle tue possibilità tenendo il meglio di te, o è più opportuno vivere al meglio delle tue possibilità tenendoti solo il peggio di te? »

« Domanda oziosa »

« Lo crederei anch’io, se non sapessi che quando si è rotta la maledizione, hai riavuto quanto di più caro nella tua esistenza affianco… »

 

Angel abbassò lo sguardo, si diresse verso una poltrona e vi si sedette pesantemente.

La figura si accomodò accanto a lui sul bracciolo « Drusilla e Spike. …Era tutto tornato così semplice con loro, così sereno. Il mondo, l’eternità, il nutrirsi… »

Su quell’ultima parola gli accarezzò le labbra con un dito e insinuandosi in esse, gli sfiorò i denti. Il vampiro ritrasse immediatamente il capo, gettandolo leggermente indietro.

L’entità sorrise « Ecco, vedi… Loro, per esempio, non ti avrebbero mai lasciato da solo a combattere contro tutto questo. Sarebbero rimasti al tuo fianco a costo di impazzire o di morire con te » Si zittì per un attimo, poi con tono denigratorio concluse « Solo il ritorno del meglio di te poteva farli andar via e così è successo. Questo non ti fa riflettere neanche un po’? »

 

Drusilla e Spike.

Era tutto vero quello che aveva detto.

In quegli incredibili mesi, aveva riavuto la sua famiglia con sé.

Anche nei momenti peggiori erano rimasti, anche quando era talmente inquietante il suo comportamento, da non permettergli quasi di riconoscerlo erano rimasti. Con lui, al suo fianco.

La sua famiglia, quello che ne restava.

Se ne erano andati solo quando avevano percepito che la maledizione era stata ristabilita, ma loro non sapevano…

« No. Neanche un po’ »

 

Lei gli sorrise nuovamente, come se avesse capito il suo intento con quella risposta.

« Puoi negare agli altri che tu rivoglia tutto quanto, ma non a me. Per evitare che la maledizione ti riprecludesse tutto, mi hai spezzato il collo »

Si voltò con irruenza « Io non ho spezzato il collo a te, ma a Janna »

« Lo so. È per questo che ho indossato il suo volto. Perché tu ricordassi. Tutta quella rabbia, tutto quell’odio mentre le parlavi, mentre la guardavi, quando hai tenuto il suo collo tra le tue mani prima di spezzarlo. E il bello è che se potessi le rispezzeresti il collo anche adesso che sei maledetto. Nonostante le ripercussioni del globo e dei giudizi di quegli umani, non esiteresti un istante »

Con sguardo torvo « Dimentichi che le ho salvato la vita »

« Già. Ed è stato quando l’hai liberata da quel demone, che ti sei reso conto di chi fosse realmente. Dimmi, non ti sei sentito gelare in quel momento? »

 

Nessuna risposta. L’entità si alzò, girovagando davanti a lui.

 

« No? E non ti sei sentito bruciare di rabbia, quando hai realizzato che lei sapeva quanto sarebbe accaduto e non aveva mosso un dito per evitarlo? Bastava che si sdebitasse raccontandoti tutto e solo quello sarebbe servito ad impedirti di essere tranquillo e sereno… Oh si che le rispezzeresti il collo. Oggi come allora, quando non volevi essere rimaledetto, quando non rivolevi quel guinzaglio che ti stringeva la gola, l’esistenza. Quando volevi rimanere libero ad ogni costo, perché tu volevi essere libero… E lo vuoi ancora »

 

Con sereno distacco « Il tuo problema è sempre stato quello di essere convinto di sapere tutto »

« E il tuo problema è sempre stato quello di essere convinto di poter sopportare tutto »

A denti stretti « Tu non sai nulla di me »

« So quanto amassi la tua famiglia e quanto la tua famiglia amasse te. Quanto ti stimasse, quanto ti rispettasse. Quanto fosse orgogliosa di te »

La osservò irridente, con un sorriso sbieco.

« Non giocare con me. Sai che non parlo della famiglia che hai ucciso, ma alludo al tuo Sire e ai tuoi Childe »

Riabbassò lo sguardo assorto, l’entità fece un sospiro profondo e sedendosi nella poltrona di fronte « Dicono che Natale sia la festa più bella dell’anno. Malgrado ciò, le medie dei suicidi aumentano vertiginosamente di questo periodo… »

« È la solitudine »

Mormorò Angel. La sembianza di Janna strinse gli occhi.

« Ricordi i Natali di quando eri vivo? »

 

Quella domanda interruppe le sue riflessioni ed annuì con una notevole rigidità nel capo.

Cosa voleva sapere? Se erano stati belli i suoi Natali da vivo?

Che terreno facile e fertile avrebbe avuto…

 

Il primo Natale che ricordava, era quello dei suoi cinque anni.

Solo, in collegio.

Suo padre l’aveva portato là quell’estate senza più dare un cenno, nulla. Credeva che per Natale sarebbe stato diverso, ma sbagliava.

Il giorno della Vigilia aveva visto i suoi compagni andarsene uno ad uno, presi dalle famiglie per le feste, rimanendo alla fine l’unico.

 

Era restato solo in piedi nel cortile.

Tutto il giorno.

Tutta la notte fino all’alba del giorno di Natale.

Aspettando che venissero a prendere anche lui.

Aspettando inutilmente.

 

Il giorno di Natale si ritrovò da solo nell’enorme sala del collegio.

Tenendo lo sguardo basso per non vedere il vuoto che lo circondava. Immerso in un silenzio da ferire profondamente l’anima. Ingoiando a fatica la zuppa insieme alle lacrime che cercavano di salirgli agli occhi.

Trascorse svariati Natali successivi allo stesso modo, ma ormai la solitudine e il silenzio erano la normalità e le lacrime non salivano più a bruciargli gli occhi e a chiudergli la gola…

 

No. Non erano stati belli e neanche decenti i suoi Natali da vivo.

Nonostante ci avesse creduto, sperato. Nonostante si fosse impegnato a convincersi che non era importante. Nonostante ogni sforzo per piacere ai suoi genitori. Nonostante…

Si. Faceva male ammetterlo, ma… nonostante Caitlin.

Un perenne fondo di amarezza nella bocca e nel cuore, impedivano che lei, con la sua sola presenza, cancellasse tutto il resto rendendolo bello.

 

« Ricordi i Natali passati con Loro? »

 

Socchiuse leggermente gli occhi, annuendo stavolta con una dolce malinconia.

Certo che li ricordava. Come avrebbe potuto dimenticarli…

I primi Natali, nel tempo in cui erano lui e Darla soli.

Quando l’unico pensiero era ridere, decidere la prossima meta di viaggio e fare l’amore. Quando niente altro aveva importanza all’infuori di loro.

 

Ricordava quelli passati lontano da lei, quando era partito alla ricerca di leggende, miti e conoscenza.

I Natali di quando era tornato portando con sé la sua Childe, Drusilla.

Ricordava di come avessero preso la buffa abitudine di decorare le loro temporanee abitazioni, con corone e festoni di agrifoglio e vischio per accontentare l’infantilità di Drusilla.

Di come, in fondo, la cosa fosse piaciuta anche a loro. Di come nel tempo, quel vezzo gli fosse rimasto.

Ricordava l’arrivo di Spike a completare il quadro e chiudere il cerchio.

Spike che suonava il pianoforte, mentre Darla e Drusilla decoravano la residenza del momento e lui che li ritraeva da un angolo appartato. Come se fossero ancora dei semplici esseri umani.

Ma non erano esseri umani.

Non più.

Non del tutto.

 

Lo si poteva evincere anche dal tipo di regali che ogni tanto solevano scambiarsi. Cruente attenzioni volte a dimostrare l’affetto che provavano l’uno nei confronti degli altri.

O anche dal passatempo che avevano creato poco dopo l’arrivo di Spike…

Era un gioco semplice.

Nascosti nell’ombra, osservavano nel piazzale le famiglie che aspettavano di entrare in chiesa per la messa di mezzanotte.

Con l’esperienza umana che bene o male avevano tutti e quattro alle spalle, sarebbero potuti andare sul sicuro al primo colpo, ma siccome Natale rendeva tutti più buoni, aspettavano che la campana suonasse chiamando a raccolta i fedeli.

Coloro che passavano dritti alle mani tese dei poveri, sarebbero diventati i loro passatempi.

Poi entravano in chiesa anch’essi.

Si dividevano e camminando per le navate laterali, cercavano i volti dei loro ‘protetti’.

La mancanza di coerenza o il falso cordoglio che sfoggiavano in ginocchio chiedendo il perdono divino, diventava la misura con cui avrebbero stabilito quanto si doveva calcare la mano.

 

Spesso erano solo i capi famiglia, a volte le mogli e raramente, ma con molto svago, le intere famiglie.

Il bello veniva poi, quando li seguivano nelle loro case.

Il vampiro giovane definiva quel diversivo ‘dickensiano’.

Sosteneva che erano dei novelli Jackob Marley in una versione tetra, truce e alternativa di -Canto di Natale-.

Lettura per altro immancabile anche per loro, in quel periodo dell’anno…

La varietà di racconti che udivano e narravano davanti al focolare, quando si riunivano all’alba, era incredibile.

Spike rideva con la meraviglia di chi è ancora agli albori della sua nuova esistenza, lui spesso lo seguiva contagiato dalla sua sorpresa e divertimento, Darla sorrideva scuotendo la testa con fare falsamente austero e consigliando di tanto in tanto, se non fosse giunto il momento di inventarsi qualcos’altro, e Drusilla riusciva a tramutare i racconti peggiori in poetiche fiabe, dilettandosi talvolta a sottrarre i canditi dall’albero.

Più per il divertimento di essere fintamente sgridata, che non per il vero desiderio di mangiarli…

 

Sì. Erano degli assassini.

Era una realtà inconfutabile e anche se non lo fosse stata, non c’era nessuna intenzione a negare. Le persone che avevano ucciso in loro le speranze, i sogni, i desideri, le necessità, erano forse migliori poi?

In ogni caso, la dolcezza di quei ricordi avrebbe sempre travalicato in lui, l’orrore che avrebbe potuto provare chiunque altro.

 

« Ricordi i Natali dopo la maledizione? »

Un moto di scherno gli fece scuotere appena le spalle. Non c’era molto da ricordare, almeno non del Natale.

 

« Le tue emozioni tradiscono le tue parole, Angelus »

« Mi manca la mia famiglia, è vero. Ma non l’ho neanche mai negato. Tutta questa colossale messa in scena, per sapere quello che non è un segreto? »

« No. Per ricordarti chi sei e qual era il tuo vero meglio »

« I vampiri non soffrono di amnesia, per la cronaca »

« Allora che aspetti? »

Certamente non aspettava lui. Se avesse potuto spezzare la maledizione senza deleterie conseguenze, l’avrebbe già fatto da tempo, ma non era così semplice.

Le ripercussioni c’erano e non erano da sottovalutare, soprattutto se mettevano a rischio anche ciò che rimaneva della sua famiglia.

Una volta annullato il globo di Thesulah tutti erano a rischio, senza distinzione alcuna.

 

Congratulazioni.

Aveva passato dei mesi a tormentarlo su qualcosa che sapeva già, senza bisogno del suo intervento.

Probabilmente gli era sfuggito quel dettaglio, preso com’era a mettere su quel circo. O forse non gli era importato. … Che non lo sapesse?!

Sghignazzò sommessamente.

L’idea di impartire lezioni di maledizione gitana al Primo Male, era quanto meno ridicola.

 

« Lieto che la cosa ti diverta tanto… »

Cominciava davvero ad irritarlo ora.

« Evidentemente non hai un vero attaccamento per nessuno »

Specialmente se si permetteva di azzardare commenti del genere sul suo conto.

« Il buon gusto impone il silenzio quando non si sa qualcosa »

« Io traggo le mie conclusioni da ciò che vedo. Hai detto che ti manca la tua famiglia… »

Era indubbio che gli mancasse la sua famiglia e non solo la sua famiglia, ma tutto ciò che essa aveva significato, rappresentato, costruito e… sì. Distrutto.

« Ma dalle tue azioni, non sembri intenzionato a fare nulla per ritrovarla e ricomporla »

Uno sguardo sottile e tagliente come una lama uscì dai suoi occhi « Ricomporla… Non si tratta di una composizione floreale »

« Sai bene a ciò che mi riferisco »

« È proprio perché so a cosa ti riferisci, che ti pregherei di fare attenzione a come ti esprimi »

 

Intimidatorio.

Presto la rabbia sarebbe esplosa. Niente di meglio.

Niente che desiderasse di più di vedere in lui.

 

« Ancora così pronto a difenderli… Ritrova Drusilla e Spike, cerca una degna compagna e ricostruisci la tua famiglia. Riprenditi quello che avevi, al globo penserò io »

Angel si alzò dalla poltrona.

« Tu parli senza sapere »

Fu quasi un ringhio e l’entità seppe che non aveva altro da fare se non rincarare ancora un po’

« Loro ti amavano, ti accettavano, ti volevano e non ti avrebbero mai lasciato solo. Tu avevi tutto questo »

Fermò il suo passo solo per emettere un sussurro « Avevo… »

Solo un altro po’…

« Se ti manca, riprenditelo. Riprendi tutto questo! »

 

« NON ESISTE PIÙ TUTTO QUESTO »

 

Quella risposta urlata con tanta furia lo paralizzò gelandogli l’anima.

Era vero.

Non esisteva più niente.

Era tutto vero.

Lo aveva sempre saputo.

Lo sapeva dal giorno in cui aveva lasciato Bucarest, eppure… Eppure non ci aveva mai creduto fino in fondo.

Nonostante tutto quello che gli era accaduto, non ci aveva mai creduto davvero. Non aveva mai concretizzato.

Non esisteva più niente.

… E non c’era modo di ricostruire niente.

 

Darla era morta, Dru e Spike erano svaniti chissà dove, ma anche se avesse saputo dove cercarli, non avrebbe potuto raggiungerli in ogni caso. Con la maledizione attiva non gli avrebbero permesso di avvicinarsi per spiegargli.

Spiegargli cosa ormai?

E senza la maledizione… No.

Non poteva avvicinarglisi comunque.

Non con il rischio di uscire fuori di testa e aggredirli.

Spike avrebbe potuto difendersi più che egregiamente, ma… Ma che stava pensando? Spike obbligato a difendersi da lui?!

E se si fosse trattato di Drusilla invece?

L’angoscia lo pervase.

 

No.

Non esisteva davvero più niente.

E non c’era davvero modo di ricostruire niente.

Vuoto.

Sospeso nel nulla.

Come isolato da tutto e da tutti.

Solo.

Nella realizzazione di qualcosa che sapeva da sempre, per un tempo che non era quantificabile.

 

 

Non si accorse di aver lasciato la villa, né di aver camminato per ore.

Non si sarebbe neanche accorto di cosa stava osservando se « Mi sembra una valida idea. Potresti guidarla nell’eternità come l’hai guidata nelle tenebre. Ti seguirà. Lei ti vuole e non credo che si farà troppi problemi… Soprattutto se saprai essere convincente come sei capace. Potresti riformare con lei la tua famiglia… »

 

Buffy.

 

Seduto com’era in cima alla collina, la poteva vedere perfettamente adesso.

Girava per il cimitero, osservando le lapidi con la naturalezza di una ragazza che guarda le vetrine in un centro commerciale. L’ultima ronda prima di andare a dormire.

Sorrise con dolcezza.

L’aveva accompagnata migliaia di volte in quel ‘giro della staffa’, senza che lei immaginasse minimamente.

Prima che sapesse della sua esistenza e anche dopo.

 

« Loro l’accetteranno, amandola e difendendola come hanno fatto con te »

Il sorriso che era sul suo viso divenne ironico « L’ho detto che il tuo peggior difetto è sempre stato quello di essere convinto di sapere tutto… Soltanto Spike, preferirebbe immolarsi su una croce come novello Gesù Cristo, piuttosto che accettare Buffy. In quanto a Dru, sono convinto che saprebbe inventarsi qualcosa di eclatante. Ha sempre avuto molta fantasia… »

Con stupore « Ma allora perché sei qui? »

Facendo spallucce e guardandosi intorno « È un bel luogo. Tranquillo. Con una splendida visuale. Il posto migliore per godersi l’alba »

« Cosa… »

Il rintocco delle campane che annunciavano la mezzanotte lo interruppe.

Angel distolse lo sguardo per alcuni istanti poi tornò a rivolgersi a lui con tono serafico « L’hai detto tu che di questo periodo aumentano i suicidi, no? »

 

Era talmente enorme quello che stava accadendo, che non poteva essere reale.

Anche se allo stesso tempo, capiva più di quanto avrebbe voluto che era assolutamente vero.

« E così perdo anche te, dopo aver perso Darla… »

Levando lo sguardo nel vuoto « Che che tu ne dica o pensi, non hai mai avuto me » e guardandolo fissamente

« Così come non hai mai avuto lei »

 

Fece per ritrarsi nell’ombra ma prima di sparire, con una punta di netto disprezzo mista a delusione « Ti credevo più forte degli altri »

Senza voltarsi, con un sorriso amaro « Lo credevo anch’io »

 

Troppo rancore, troppo dolore e soprattutto troppa solitudine covavano nel profondo della sua anima.

Poteva sopportarli per quanto alla fine? Era forte, ma non così tanto.

Non abbastanza per uno che avrebbe continuato a vivere oltre se stesso e le sue volontà. Non per uno che aveva cambiato la sua strada più volte senza fortuna.

Ma poteva ancora scegliere e aveva scelto.

Il ricordo della sua inesorabile calata a picco, era troppo vivido perché potesse semplicemente immaginarne il ripetersi.

 

Nel cielo solo Hesperos e l’ombra di una luna stremata a fargli da testimoni.

Vide il cielo rischiararsi lentamente e il blu intenso fare largo ad un azzurro polvere carico e poi quasi a un grigio nebbia.

Alla distanza cominciavano a ridelinearsi i contorni del panorama e si poteva nuovamente riconoscere la distinzione dal cielo alla terra o al mare.

L’aria era fresca, umida. Carica di rugiada che avrebbe brillato al sole nelle prime ore del giorno.

In lontananza poteva udire il rumore delle prime macchine che lasciavano le case.

Un lungo viaggio per raggiungere il resto del parentado, forse la prima messa o più semplicemente qualcuno lavorava anche quel giorno.

Il vento portava a sbalzi, flebili profumi di caffè dalle case più vicine. Alcune finestre erano illuminate.

C’era già luce, ma non abbastanza da consentire una buona visibilità all’interno di una stanza chiusa.

In passato aveva più volte ammirato quello spettacolo, senza giungere mai ovviamente alla conclusione, ma stavolta c’era qualcosa di strano.

Il cielo sembrava immobile nella sua luce e nella sua mutazione di colore. Tra l’altro all’orizzonte non si vedeva un gabbiano a fendere l’aria con il suo volo o a spezzare il silenzio con i suoi versi.

Era tutto fermo ed irreale.

 

Ad un tratto il cielo cominciò a scurirsi, facendosi da prima pervinca intenso, poi grigio antracite.

L’aria divenne fredda al punto da poter pizzicare il viso ed era pervasa da uno strano silenzio.

Un silenzio da, anche se poteva sembrare assurdo, neve.

Strabuzzò gli occhi e si alzò di slancio, quando scorse qualcosa di esile, impalpabile e bianco danzare nel cielo.

Tese la mano per afferrarlo. Un fiocco di neve.

Seguito da un altro e un altro ancora, finché ce ne furono troppi per individuarli singolarmente.

Si appoggiò boccheggiante all’albero che era alle sue spalle.

Stava nevicando fittamente, come non ricordava di aver mai visto neanche da ragazzo negli inverni irlandesi più rigidi.

Semplicemente, letteralmente, meteorologicamente assurdo.

 

Le entità che interagivano nelle varie dimensioni, o anche solo tra cielo e terra, erano troppe anche per lui che nei secoli aveva affrontato tante cose quante ne aveva viste e imparate. Ed evidentemente oltre al Primo Male, c’era qualcosa o qualcuno che positivo o negativo che fosse, non voleva che lui la facesse finita.

Sorrise irrisorio verso il cielo. Una maledetta fortuna lo aveva salvato ancora.

Rimase puntellato con una spalla al tronco per un po’. Osservando la neve che cadeva oscurando il sole, non riuscendo ancora a farsene una ragione.

 

Mentre si avviava lentamente alla villa, scorse nella strada Buffy che si dirigeva verso la collina.

Era in lacrime, spettinata, stravolta.

Notò che sotto al cappotto aveva solo il suo pigiama di raso azzurro e ai piedi le sue pantofoline di stoffa, ormai intrise di gelida neve.

Si era svegliata in preda ad uno dei suoi sogni premonitori e lo stava cercando disperatamente.

Non appena l’aveva visto, gli era corsa incontro e gli aveva buttato le braccia al collo, baciandogli il viso e le labbra senza fermarsi e chiedendogli perdono. Stringendosi a lui con tutta la forza di cui disponeva, per poi respingerlo e prenderlo violentemente a pugni sul petto.

Lui non aveva il diritto di prendere simili decisioni. Di fare simili sciocchezze.

Lui non aveva il diritto di lasciarla sola, perché lei… Lei lo amava.

E non avrebbe potuto vivere stavolta, sapendo di averlo perso di nuovo e definitivamente.

 

Le deterse con delicatezza le lacrime dagli zigomi.

Non aveva mai pensato in tutto quel tempo che, seppure lui era stato in quell’inferno, lei non avesse precisamente vissuto in un paradiso.

Con calma si tolse il cappotto e glielo mise sulle spalle. Faceva troppo freddo per lei.

La prese in braccio perché le sue pantofole non si inzuppassero oltre e le disse solo « Scusami Buffy, non accadrà mai più. Ora ti riporto a casa »

 

*******

 

 

 

Se un’alba può essere il preludio del buio, quell’alba lo era stato.

Molte cose, dopo quegli istanti di tenerezza, erano sfumate via. Determinando ancora una volta il mutamento di corso della sua esistenza.

 

Era stata un’alba molto diversa da quella a cui si accingeva ad assistere adesso.

Vide ancora una volta il cielo rischiararsi lentamente e il blu sbiadire piano, gradualmente, diventando ceruleo.

Gli uccelli notturni si ritiravano, sostituiti da quelli diurni. Gabbiani sfrecciavano in un cielo striato di ciclamino sulla linea dell’orizzonte che annunciava l’arrivo imminente del sole.

Incredibili sfumature e tonalità di celeste, giocavano con quel ciclamino e con il pervinca delle nuvole lunghe e sottili che era difficile stabilire se fossero le prime del mattino o le ultime della notte.

L’aria sarebbe stata fresca e umida per pochi minuti ancora, poi il sole l’avrebbe riscaldata e tersa.

I primi rumori umani si diffondevano nelle vicinanze.

Un intero mondo si stendeva ai piedi di quella collina e si stava risvegliando sotto i suoi occhi e nelle sue orecchie, nel suo olfatto.

Si appoggiò a quello stesso albero da cui aveva osservato quell’inspiegabile nevicata.

Sunnydale si stava svegliando mentre la sua genia si ritirava nel riposo.

 

A voler essere franchi, era stanco anche lui.

Amarra, la corsa fin lì con tutta la costruzione di improbabili e incompleti castelli in aria, erano implosi in un crollo dell’adrenalina dovuto alla sua razionalità, che aveva ridimensionato tutto e spazzato via i tetti di quei castelli fatti per aria.

Già i tetti. Valide fondamenta non ce n’erano mica.

In tutto questo, i suoi atavici bioritmi non aiutavano di certo e…

Strinse gli occhi.

Era solo uno spiraglio, ma talmente potente da dovergli far socchiudere gli occhi e si stava spandendo con notevole rapidità.

 

Ocra. Come potevano essere certi tipi di terra in India, di sfumature nei Canyon o alcune varietà di henné.

Poi oro. Di un oro caldo, impuro come quello dei gioielli antichi.

Sempre più luminoso, tanto che dovette ripararsi gli occhi con una mano e sbirciare attraverso le dita quella visione.

Si sentiva stordito e inondato da quella luce così potente.

La cosa più incredibile era che Amarra attutisse col suo potere reazioni che in sua assenza, al di là della morte, lo avrebbero sicuramente sopraffatto rendendolo inerme.

Poteva apparire assurdo, ma effettivamente solo il sole poteva dare la misura ad una creatura come lui, di quanto appartenesse alla notte.

 

Sempre più forte, più caldo.

Sembrava che anche il sole si stesse risvegliando dopo una nottata di sonno e che si stesse risvegliando rinvigorito come mai.

Nella sua condizione era impossibilitato a patire sia il caldo che il freddo, ma li poteva distinguere con precisione e potevano influire sulla sua temperatura corporea. E un calore simile a quello, non era paragonabile a nulla.

Accecanti lampi ocra nel buio, sfumavano fino a diventare bianchi sulle sue palpebre chiuse.

Quando riaprì cautamente gli occhi, la prima cosa che vide nitidamente fu il suo Claddagh. Indossato alla mano che lo nascondeva dal sole.

Forse era il caso di darsi un altro po’ di tempo…

   

 

 

 

           

terza parte

 

 

 

La villa della via Crawford era un’imponente, austera residenza Decò.

Situata in un quartiere ai margini di Sunnydale, dietro al cimitero, era disabitata almeno da vent’anni quando lui la trovò ed effettivamente la cosa non lo sorprese. Oltre all’ubicazione, la dimora aveva un aspetto sì affascinante, ma anche fortemente sinistro. Cosa che di per sé non lo infastidiva affatto, tutt’altro.

Era perfetta per lui.

Vasti spazi dove poter passeggiare in attesa del buio e ampie finestre che permettevano una piacevole e soprattutto sicura luminosità degli ambienti. Uno splendido giardino e una totale assenza di vicini. Ficcanaso o discreti che potessero essere, dopo la maledizione aveva sempre preferito non averne.

Si diede un’occhiata in giro.

In cinque mesi d’assenza, la polvere aveva avuto modo di velare tutto ma per il resto, era esattamente come l’aveva lasciata.

L’aveva arredata sobriamente, con pochi pezzi scelti e di grande effetto, sempre Decò.

Quanti ricordi… Troppi.

Concluse dopo un’occhiata ad Achatla.

Si ritirò nelle sue stanze ed entrato in bagno, fece scorrere l’acqua di modo che il getto ritornasse limpido.

Aveva bisogno di una doccia che lo svegliasse e lo rinfrescasse.

Rientrò nella camera e si stese sul letto allargando le braccia. Voltando la testa rivide il Claddagh alla sua mano.

Il gemello l’aveva donato a Buffy proprio in quella stanza…

 

*******

 

 

 

Aveva cominciato col parlargli di un possibile nuovo demone a Sunnydale, per poi finire col fargli l’interrogatorio di terzo grado sul perché non si fosse presentato al suo compleanno.

Non sapeva cosa risponderle e lei lo guardava dritto negli occhi, in attesa di una risposta convincente.

Lui la conosceva da molto più tempo di quello che lei potesse immaginare e aveva capito cosa le passava per la testa, solo che non riusciva ancora a mettere a fuoco quello che passava per la sua.

Com’era cresciuta…

 

Era solo una bambina quando gliel’affidarono.

Una bimba di soli tredici anni che cominciava ad intravedere la ragazza che sarebbe diventata.

Che si sentiva sola, nonostante fosse circondata da uno stuolo di ragazzini e ragazzine che la indicavano come la migliore della scuola e per quell’età, quindi del mondo. Che piangeva chiusa in bagno davanti allo specchio, ascoltando le urla dei suoi genitori. Una bimba di tredici anni che ignorava di essere la prescelta e che aveva ancora forti remore nei confronti del buio.

Quanto aveva pianto la notte che aveva scoperto qual era la sua missione.

Potevano condurla per gradi a quella realtà, invece che scaraventarla in un cimitero con un paletto in mano, davanti alla tomba di un vampiro che doveva risorgere.

Solo lo shock di quella rivelazione avrebbe paralizzato chiunque, rendendolo una preda facile e se per istinto di sopravvivenza lei non fosse riuscita ad annientarlo, si sarebbe occupato lui di quel vampiro e probabilmente avrebbe fatto fuori anche quell’idiota del suo osservatore.

Aveva passato tutta la notte seduto affianco al davanzale della sua finestra, sentendola piangere e desiderando solo poter fare qualcosa per consolarla.

 

Il divorzio dei suoi e il trasferimento a Sunnydale, erano stati un colpo peggiore dell’espulsione dal Hemery High e Buffy aveva detestato quella cittadina dal momento in cui avevano varcato il cartello di benvenuto.

Non solo per tutto ciò che simboleggiava quel cambiamento, ma anche perché il divario tra Sunnydale e

Los Angeles non era indifferente.

Un solo liceo, un solo college, un solo locale, un solo cinema… E se veniva bollata anche lì come ragazza problematica, poteva direttamente levare le tende prima ancora di averle piantate.

Stava cambiando. Stava diventando fredda, dura e scostante. E si sentiva sempre più sola.

Poco sarebbe servito che lui preservasse la sua incolumità fisica, se lei fosse morta dentro…

Ed era stato proprio per questo motivo che alla fine aveva deciso di palesarle la sua presenza.

… Ed era stato un errore.

 

Se fosse stato appena poco più paziente, avrebbe potuto vedere che il suo nuovo osservatore, Rupert Giles, non era un idiota come Merrik, il precedente. Avrebbe potuto vedere che era riuscita a farsi degli amici e inevitabilmente, anche a destare le prime diffidenze.

 

Sì, forse era stato un errore, ma gli piaceva parlare con lei.

I discorsi che Buffy faceva, erano i tipici discorsi di un’adolescente che ancora non comprende appieno il peso delle parole, degli sguardi e dei gesti che le accompagnano.

Discorsi in cui i sogni fatti la notte invadono anche le ore della veglia, con la capacità di distorcere la realtà. Discorsi fatti a bassa voce col terrore che orecchie estranee e nemiche possano ascoltarli. Discorsi di cui l’aveva reso partecipe con tutta la fiducia possibile e che lui, con assoluto rispetto, ascoltava con la stessa serietà con cui lei glieli esponeva. Discorsi innocui che potevano solo destare la sua tenerezza e che lentamente, erano stati squarciati da sempre più frequenti riflessioni serie, concrete, logiche. Che rivelavano un mondo di pensieri, di timori, di scelte. Riflessioni di cui solo lui era a conoscenza.

La serenità e la frivolezza delle conversazioni a cui aveva modo di assistere tra lei e i suoi amici, sfumavano in inquietudine e durezza quando restavano soli.

Vedere come sussurrava sciocchezze di nascosto e parlava apertamente di cose serie, era amaramente buffo.

Cercava di comportarsi da adulta mentre tentava disperatamente di riprendersi una lecita immaturità che le era stata sottratta. Guardandola era difficile comprendere se fosse una bambina che faceva finta di essere una donna o viceversa, ma in definitiva lui sapeva che Buffy era entrambe le cose.

 

A un certo punto era stato tentato di tornare nell’ombra, ma poi si era reso conto che farlo avrebbe significato tradire la fiducia che lei aveva riposto in lui. Una fiducia dettata in parte da un amore nei suoi confronti che l’aveva disarmato e che aveva cercato di arginare mostrandosi ai suoi occhi, principalmente, come un tutore e limitando i loro contatti fisici ai soli allenamenti.

Il solo modo per restarle affianco.

Sapendo che lui era l’unico che poteva condividere con lei le tenebre e ciò che esse significavano.

L’unico che potesse rendere innocui quei demoni che lei non poteva fisicamente combattere e che associava a quelli reali che doveva sconfiggere.

Andare adesso al suo compleanno, avrebbe significato infrangere quelle barriere che aveva costruito con tanta fatica. Significava entrare ufficialmente in un contesto che aveva accuratamente evitato.

« Non era il caso »

 

Lei lo guardò sbarrando gli occhi incredula.

« Non era…?! Scusa. Dimenticavo che era SOLO il mio compleanno e non una riunione di lavoro »

Aveva pronunciato quelle parole con una voce più tremante dal pianto che non dall’ira e per quanto si sforzasse di mostrarsi arrabbiata, in realtà era più che altro ferita.

 

Buffy si mosse per andarsene e istintivamente, Angel la prese per un braccio tirandola a sé, stringendola tra le sue braccia e quel contatto annientò ogni sua difesa.

In quel momento, motivazioni logiche come la differenza di età, di conoscenze, di modi di vivere e di fazioni gli apparvero solo come patetiche scuse.

Si sentì smarrito, confuso.

Come era potuto accadere? Non sarebbe mai dovuto accadere.

Il suo compito era proteggerla, non amarla. E invece proteggendola se ne era innamorato.

Avrebbe dovuto scostarsi e continuare a rimanere a debita distanza, ma non ci riusciva.

Stringerla era così familiare, così… bello.

 

Buffy lo vide per la prima volta spaesato e quando lo sentì sussultare, capì che l’avrebbe lasciata andare.

D’impulso si strappò via dal collo la croce che lui stesso le aveva dato la prima volta che si erano incontrati.

 

Rimase colpito da quel gesto.

Lei aveva cercato più volte un contatto intimo, con scuse anche puerili, ma dimenticandosi sempre che indossava una croce e marchiandolo costantemente ogni volta che gli buttava le braccia al collo stringendolo.

Era proprio così, infatti, che aveva scoperto la sua vera natura.

Abbracciandolo per ringraziarlo di averla salvata dai Tre e bruciandolo con la croce che indossava.

Avvicinò una mano, sfiorandole delicatamente parte del viso e il collo.

 

Chiuse gli occhi.

 

Attraverso la fine filigrana della pelle, poteva sentire il battito del suo cuore pulsare nelle vene, il defluire del sangue nel corpo e il suo calore.

Lei era… calda.

Viva.

 

Quella constatazione gli fece riaprire gli occhi e avrebbe ritratto la mano, se lei non l’avesse fermata sul proprio viso guardandolo, cercando di essere rassicurante.

Con l’altra mano, Buffy accarezzò il suo volto e un lampo di sorpresa si manifestò sulla sua faccia.

La sua pelle era lievemente tiepida e non fredda.

Durante gli allenamenti aveva avuto modo di avere dei contatti con Angel diverse volte, tuttavia il fatto che non fosse freddo, che non fosse… morto come doveva essere, come aveva sempre trovato fossero i vampiri, le faceva costantemente uno strano effetto.

 

Si avvicinò al viso del vampiro ancora con quell’espressione e lui non poté trattenersi dal sorriderle teneramente.

In quel momento sembrava che per Buffy, fosse più un oggetto curioso che un oggetto del desiderio.

Si fece ancora avanti.

Aveva negli occhi una richiesta silenziosa e sulle labbra un sorriso delizioso.

Anche se avesse voluto, e non voleva, non avrebbe mai potuto negarle nulla.

La baciò.

E fu come se una parte di lui perdesse i sensi ritrovandoli, contemporaneamente, dopo tanto tempo.

Lasciò scivolare una mano tra i suoi capelli e con l’altro braccio le strinse la vita, poi la rilasciò guardandola rapito. Come batteva forte e in fretta il suo cuore.

Per lui. Solo per lui.

 

Lei lo strinse con tutta la forza che aveva.

Non le sembrava vero che fosse suo. Solo per lei.

Lo prese per la mano e tendendogliela infantilmente, lo canzonò chiedendogli se per caso non avesse deciso di mancare al suo compleanno perché non le aveva fatto il regalo.

« Potrei sorprenderti… » Le rispose sorridendo enigmatico.

Gli occhi le luccicarono e come se fosse una sfida « Se è qui dentro, lo troverò! »

Abbandonò la mano di Angel e si scatenò in una caccia al tesoro per tutta la casa.

Lui la seguiva da lontano, estasiato dalle sue risate di presunta vittoria e dagli sbuffi di cocente sconfitta.

Rivoltò tutte le stanze e si diresse al piano di sopra, dove attuò la medesima strategia finché non si trovò di fronte la camera di Angel.

Si appoggiò agli stipiti della porta, indecisa se entrare o meno mentre lui la guardava dal fondo del corridoio, poi varcò la soglia.

 

Mancavano poche stanze, oltre la sua, da perquisire e se doveva fermarla, doveva fermarla adesso.

Sapeva che ogni stanza visitata sarebbe divenuta rabbia, ma ancora non riusciva a decidersi.

Un regalo ci sarebbe stato, anzi, c’era.

L’aveva tirato fuori proprio quel giorno, dopo tanto tempo e la cosa lo aveva perplesso non poco, sebbene il gesto fosse stato spontaneo. Evidentemente il suo cuore sapeva già qualcosa che lui non si decideva ad accettare. Come non si decideva se rivelarle quel regalo o meno.

Buffy avrebbe potuto non comprenderne appieno il significato e a ragione. In fondo non vi era mai stato nulla…

 

Vedendo che non usciva dalla stanza, si avvicinò e quando giunse alla porta, la vide seduta sul letto con aria assorta.

« L’hai trovato? »

Era bastato guardarla così seria per farlo risolvere, ma a quel punto fu lei a sorprenderlo.

Fissò la propria mano carezzare il copriletto e poi rivolse il suo sguardo su di lui « Credo di sì… » gli disse porgendogli quella stessa mano.

Camminò fino a giungerle davanti e si piegò a terra.

Forse fu proprio il suo sguardo incerto e confuso che la rese sicura della decisione presa e che le fece dire con un sorriso meraviglioso « Niente che potessi amare di più »

 

Ancora piegato, Angel puntò le ginocchia a terra e prese a baciarla dolcemente.

A fior di labbra prima, poi sempre più profondamente. Premendo il suo corpo contro quello di lei, corrisposto con la stessa intensità, lo stesso desiderio.

Sentì il corpo caldo di Buffy cominciare a scaldarsi di più per l’eccitazione, il fluire del sangue farsi più veloce, il battito del cuore aumentare, l’odore della sua pelle accentuarsi, il respiro affannarsi…

Si staccò violentemente da lei, voltando il viso il più possibile perché lei non potesse vederlo e vergognandosi come non gli era mai accaduto.

Aveva perso ogni controllo.

 

Lei rimase sconcertata da quell’improvviso distacco, non comprendendone il motivo, quando vide il volto di Angel e capì.

Con delicatezza prese il suo viso tra le mani e lo voltò verso di sé, guardandolo con amore.

Si avvicinò, lo baciò e quando si allontanò gli sorrise teneramente.

Per lei non era cambiato nulla.

Gli occhi di Angel erano ancora cangianti. Per chi non era della sua razza sarebbero sembrati occhi inespressivi, ma in quel momento lui la guardava titubante per quell’amore.

Istintivamente nascose il volto nel suo grembo, in cerca di conforto.

E quando si rese conto del proprio gesto e fece per scostarsi, lei lo trattenne nuovamente, prendendo ad accarezzargli il capo.

Non aveva mai visto Angel esporre tanto i suoi sentimenti e questo le destò non poca sorpresa.

 

Quel tocco protettivo e rassicurante, lo distese rilassandolo e inconsciamente la strinse leggermente di più.

Quando rialzò il capo, il suo volto era nuovamente umano e Buffy lo guardò con un’eloquente intensità.

 

Carezze.

Morbide, languide, delicate.

Che percorrevano la stoffa dei vestiti desiderando la pelle dei corpi.

Lunghi sguardi e labbra che sfioravano lentamente il viso, il collo, le mani. Ogni lembo di pelle che non fosse coperto dagli abiti finché lei, in un gesto, non gli tolse la maglia togliendo poi la propria.

Un gesto naturale, o forse no visto che si fermò imbarazzata.

Era tutto così nuovo per lei. Gesti mai compiuti se non nei sogni.

Riprese a stringerla, a baciarla e ad accarezzarla.

Sorridendole, incitandola con lo sguardo, negandosi ai suoi baci, sottraendosi appena per incitarla ancora e farla sorridere e renderla complice col suo sguardo.

Liberandola da ogni paura di essere sconveniente, da ogni timore di essere impacciata, da ogni vergogna di voler capire, guardare e provare.

Pronto ogni istante a fermarsi, se mai avesse visto un cenno di incertezza o disagio.

 

Le aveva visto sempre respingere chiunque.

All’inizio col timore che il suo affetto finisse in frantumi come quello dei suoi genitori, poi per il romanticismo di trovare il suo vero grande amore e sempre con l’ingenuità che dovesse essere uno solo, per sempre.

 

A quindici anni, quando scoprì di essere la prescelta, la vide rinunciare all’amore senza averlo neanche sognato pienamente. La paura di coinvolgere nella sua lotta con le tenebre la persona che amava e vederla morire, gliel’aveva fatta respingere prima ancora di trovarla.

Ora era lì, che schiudeva il suo cuore e il suo corpo a lui.

Aveva lasciato che lo spogliasse, che lo guardasse, che l’accarezzasse e che gli mostrasse cosa poteva fargli provare e cosa poteva provare lei stessa.

 

La sua meravigliosa dea bambina.

A cavalcioni sopra di lui che lo dominava fiera e maestosa senza neanche sfiorarlo.

La sua meravigliosa dea bambina che aveva imparato a giocare all’amore.

Come dea aveva innumerevoli possibilità di vincere a quel gioco e come bambina ne aveva altrettante per fare del male, ma… non quella notte.

Non adesso che sorrideva a quel modo. Impertinente, estroversa.

 

Si rialzò portandola, in quel modo, a sedersi sulle sue gambe.

Incuriosita.

Impaziente di scoprire cosa avrebbe fatto.

Irresistibile.

La osservò con minuzia, accarezzandole la vita e lasciando scorrere le mani su fino ai seni e di nuovo giù fino alle anche, fino a che non la riguardò negli occhi.

Allora si piegò in avanti stendendola completamente sotto di sé, all’altro capo del letto, portandole le gambe sopra le proprie anche, gravando leggermente sul suo corpo per farle sentire il suo e rimanendo fermo, aspettando un gesto.

 

Un bacio pieno di trasporto e un sorriso con gli occhi socchiusi bastarono perché lui diventasse parte di lei.

 

L’aveva vista crescere, diventare da una bambina una ragazza e non avrebbe mai pensato che sarebbe stato lui a fare di lei una donna.

Sorrideva tra le sue braccia, con gli occhi che le brillavano come stelle e la testa abbandonata sulla sua spalla.

Gli carezzò il viso e sussurrò « Niente che potessi amare di più… »

Le sorrise e chinò il capo per baciarle l’incavo tra il collo e la spalla sinistra.

Non avrebbe mai potuto averla a quel modo, ma esistevano anche dei metodi tradizionali per dimostrare al mondo che era sua.

Con riluttanza si scostò da lei e sceso dal letto, si avvicinò al comò aprendone il primo cassetto.

 

Due Claddagh.

Era tutto ciò che era sempre rimasto con lui, dalla sua vita umana alla sua esistenza immortale.

Due anelli che tra la sua gente sancivano promesse e speranze, simboleggiando ciò che vi era di più nobile tra i sentimenti. L’amicizia, la lealtà e l’amore.

Due Claddagh d’argento di cui uno era sempre stato alla sua mano.

In passato aveva pensato infinite volte che l’altro potesse essere indossato dalla sua Regina, eppure lei ignorava anche l’esistenza di quell’anello.

Tra loro quel monile sarebbe stato superfluo, ma per un motivo che non aveva mai del tutto compreso, e che ormai non poteva avere più senso scoprire, non glielo aveva neanche mai mostrato…

Si risedette sul letto e le porse l’anello tenendolo con l’indice e il pollice.

Buffy si accomodò sul letto portandosi con una mano il copriletto al seno e prendendo con l’altra l’anello che Angel le porgeva.

Rimase senza parole ad osservare quel piccolo gioiello, intanto che Angel si riaccomodava al suo fianco.

« Lo usa la mia gente… Portato con la punta del cuore verso di te, significa che appartieni a qualcuno » disse alzando la mano per mostrarle come andava indossato.

Lei baciò il proprio anello, lo infilò e poi baciò il suo « Allora io ti appartengo »

Affermò cingendogli il collo con le braccia, lasciando ricadere il copriletto.

« Buffy- »

Annuì con forza « Sì. Io ti appartengo »

Lo baciò, chiudendo gli occhi e permettendo a poche lacrime di uscire.

 

Era sereno. Come mai più gli era accaduto di essere dopo la maledizione.

Guardò Buffy addormentata con un’aria tranquilla e felice tra le sue braccia e si addormentò a sua volta, dimentico di tutto.

Ignorando che la sua pace, avrebbe in seguito portato il tormento ad altri.

 

*******

 

 

 

Fu una notte dolcissima.

Una notte che ebbe esiti molto differenti da quelli che avevano pensato entrambi…

Per assurdo, quella notte che doveva essere l’inizio della loro unione, era stata invece l’inizio della loro separazione.

Sotto il getto della doccia, l’unico pensiero costante fu che, forse, non era stata una bell’idea andare lì.

Eppure, con quello che Oz gli aveva donato, non avrebbe potuto essere in nessun altro posto.

 

Si rivestì e decise di raggiungere Buffy al college. Non era esattamente il luogo appartato che aveva avuto in mente, ma a quell’ora ormai non poteva trovarla che lì.

Mentre si apprestava a uscire, diede un’ultima occhiata alla casa.

Ogni angolo brulicava di ricordi e ben pochi erano davvero felici.

Uno di quegli angoli era l’ingresso e il ricordo legato ad esso, era quello che aveva determinato, alla fine, quel cambiamento che aveva cominciato a delinearsi dopo la notte del compleanno di Buffy.

 

Joyce e la sua sensata e gentile richiesta di prendere i piedi e andarsene.

In quel momento non aveva saputo che darle ragione. In quel momento non avrebbe potuto fare altro che darle ragione. Perché tutto ciò che stava accadendo, ogni singolo avvenimento, non faceva che darle ragione.

Non erano state infatti le sue parole a convincerlo a prendere la decisione di andarsene, ma mille dettagli, mille enormità. Mille momenti di cui quella donna ignorava completamente l’esistenza e che veniva nella sua residenza per cercare di imporgli una propria decisione.

Buffy e Giles dovevano averle taciuto un’infinità di cose…

Era vero sì che non fosse un esperto, ma dubitava che, se avesse saputo una minima parte di aneddoti sul suo conto, il coraggio materno sarebbe giunto a tanto, fin dentro alla villa. Quindi non poteva trattarsi che di stoltezza o… inopportunità.

Era stato comunque sgradevole sentirsi paragonare ad una cotta adolescenziale dall’importanza passeggera.

Quella donna non aveva capito nulla del destino della figlia.

Credeva che se lui se ne fosse andato, Buffy avrebbe smesso di essere una cacciatrice e avrebbe trovato un bravo ragazzo normale con cui sposarsi, avere dei figli, una casa con lo steccato di paletti bianchi e un cane.

Non aveva capito che il giorno in cui Buffy avesse smesso di essere una cacciatrice, avrebbe voluto significare solo che era morta.

Perché era sempre stato e sarebbe sempre stato quello il destino delle prescelte.

Quello di vivere per combattere e di smettere di combattere per soccombere alla morte e Buffy era una prescelta.

 

… Era anche una donna però.

Una donna che avrebbe potuto avere dei figli e che un giorno, avrebbe potuto volere dei figli.

Dei figli, un marito, una casa con lo steccato di paletti bianchi e un cane.

A quel tempo sembrava che ormai tutto facesse la differenza e che Buffy necessitasse della normalità, più che del respiro.

Facendolo pesare a tutti quelli che le stavano intorno e a lui per primo.

Perché era quello più vicino a lei e quello più vicino a lei meno normale di tutti quelli che le stavano intorno.

 

Avrebbe potuto spiegarle che nella sua condizione di cacciatrice, quella era la normalità.

O più semplicemente che non esiste la normalità come uno potrebbe volerla, desiderarla o immaginarla.

Ma doveva già sostenere i suoi cambi d’umore, le sue paure, la sua rabbia e dopo che erano riusciti a farsi male per bene, non c’era più la voglia di risistemare tutto, di fare la pace.

C’era solo la voglia di cercare un po’ di silenzio e di calma per leccarsi le ferite.

E siccome la voglia di queste cose era cresciuta in maniera esponenziale di giorno in giorno, era stato facile dire di sì a quella donna.

Era stato facile radere tutto al suolo pensando che, a quel punto, fosse più semplice ricostruire tutto daccapo.

Ma già dopo che aveva accettato, dopo che quella donna era uscita dalla villa, dopo che aveva cominciato a radunare le sue cose in modo che Buffy non se ne accorgesse ancora, si era chiesto se dentro di sé non avrebbe trovato ancora un po’ di forza per cercare di tenere in piedi…

Non era riuscito neanche a definire ciò che li univa e se non riusciva neanche a definire ciò che li univa, che senso poteva avere proseguire a lottare?

Aveva continuato a radunare le sue cose. Rispondendo in quel modo a quella domanda.

 

Non era passato un giorno in cui non si fosse chiesto cosa sarebbe accaduto, se non avesse dato la sua parola a Joyce di lasciare Sunnydale.

Amarra era l’opportunità che gli permetteva finalmente di scoprirlo.

Uscì, chiuse la porta e si diresse verso il college di Buffy.

 

 

quarta e ultima parte

 

 

 

 

Giunto nei pressi del college rallentò il passo.

E se Buffy l’avesse odiato per quello che era accaduto?

No.

Proprio per tutto quello che era accaduto, per tutto quello che avevano passato insieme, non avrebbe potuto odiarlo.

Omettendo il ‘particolarÈ di Joyce, se si parlavano invece di ringhiarsi contro, avrebbero capito in che labirinto di equivoci erano finiti e ne sarebbero potuti finalmente uscire.

Stavolta, qualsiasi cosa lei avesse potuto dirgli, avrebbe continuato a lottare per tenerli in piedi, perché in quel ‘loro’ era già racchiuso ogni significato, ogni motivo, ogni ragione.

Sorrise pensando alla faccia che avrebbe fatto Buffy a vederlo al sole.

Se non fosse svenuta dallo shock, sarebbe corsa da lui buttandogli le braccia al collo piangendo dalla gioia… E poi lo avrebbe respinto prendendolo a pugni sul petto, come faceva quando era arrabbiata, perché aveva passato dei mesi orrendi.

Sorrideva da solo di tutti quei pensieri, avanzando furtivo per il giardino del college per vedere Buffy senza essere scoperto. Si sentiva un bambino, ed a un tratto la vide.

 

Com’era diverso vederla al sole stando anche lui sotto i suoi raggi.

Gli era davanti, leggermente di spalle. Radiosa come il sole stesso, felice, incredibilmente bella.

No. Non l’avrebbe odiato. Ne avevano passate troppe e si amavano troppo perché lei potesse portargli rancore, perché non lo amasse ancora.

Lo sentiva, ne era certo.

Si avvicinò lentamente dietro di lei, per stringerla fortemente a sé e farle quell’incredibile sorpresa, ma…

 

« Ciao tesoro! »

Disse il ragazzo stringendola e dandole un bacio.

« Riley, amore! »

Rispose lei buttandogli le braccia al collo.

« Ti amo ogni giorno di più, sai? »

« Lo so! »

E presolo a braccetto, guardò il cielo. Sospirando « Non è favoloso? »

« Cosa amore? »

« Passeggiare insieme alla luce del giorno! » fece lei con aria ovvia.

« Non mi sembra così straordinario in fondo… Mi ami? »

« Certo che ti amo! Cammino con te alla luce del sole e respiri, il tuo cuore batte e per tutti questi motivi so che mi ami e che non mi lascerai mai » detto questo, lo strinse a sé.

Riley la guardò perplesso, non sempre riusciva a capirla.

Buffy a volte era davvero stravagante quando parlava, ma era anche per questo che la amava.

 

Camminavano ridendo abbracciati sotto il sole ed entrarono dentro il college per l’inizio delle lezioni.

Tutti erano entrati per via delle lezioni.

Nel giardino del college c’era solo Angel.

Impietrito, muto.

Continuava a sbattere le palpebre davvero come un bambino stavolta.

Un bambino che non capisce cosa sta accadendo.

 

Lo aveva già visto quel ragazzo…

Sì.

L’aveva visto nei primi tempi, dopo che se ne era andato.

Quando faceva ancora la spola tra Sunnydale e Los Angeles per continuare a proteggerla.

Stando nell’ombra, senza farsi vedere.

E avrebbe continuato… se non si fosse messo d’accordo con Giles che l’avrebbe chiamato in caso d’aiuto senza dir nulla a Buffy.

Sì.

L’aveva visto allora quel ragazzo…

 

Abbassò lo sguardo e sorrise duramente stringendo i denti e la gemma.

Non si rese conto di quanto tempo fosse passato dacché li aveva visti abbracciarsi ed entrare dentro l’edificio.

Lo capì solo quando suonò la fine delle lezioni.

Erano passate delle ore, ma lui era rimasto fermo, immobile come fossero stati pochi minuti.

Era solo, in mezzo al giardino e alla luce del sole.

Non si era mai sentito tanto scoperto.

Se ne andò via prima che lei potesse uscire e vederlo lì.

Lei non doveva vederlo lì.

… Non doveva vederlo mai più.

Tornò alla villa, salì in macchina e altrettanto velocemente di come era giunto a Sunnydale, si diresse alla volta di Los Angeles.

 

 

 

Fermo sulla riva, Angel guardava il tramonto senza più ripararsi gli occhi.

Il sole non era più così caldo e dava l’idea che stesse andando a riposarsi sotto la coperta dell’oceano.

Il suo calare era calmo, lento.

Sorrise ironicamente.

Era buffo come per un vampiro, il sole tendesse a sorgere tanto velocemente quanto indugiava a tramontare.

Ma poteva aspettare, di tempo ne aveva.

 

Un pianto dirotto destò la sua attenzione.

Una bambina piccola che correva in lungo e in largo per la spiaggia, era caduta vicino a lui sciogliendosi in lacrime. Si chinò al suo fianco per vedere se si fosse fatta realmente male.

La bambina smise immediatamente di piangere guardandolo sorpresa.

Singhiozzando e tirando su col naso « Anche tu ti sei fatto male? »

Angel annuì e con un triste sorriso le rispose

« Un po’… »

Prendendo un’aria seria « Dopo passa. A me sta già passando… Sono caduta altre volte e all’inizio sembra che il male non passi mai, ma poi dopo un po’ passa e non c’è più »

« Nancy, sei caduta di nuovo! »

La bambina si voltò immediatamente verso la mamma che era accorsa da lei e impossibilitata a negare l’evidenza, assentì con una smorfia impacciata.

Tendendole la mano « Vieni tesoro, abbiamo già infastidito abbastanza questo signore gentile ». E rivolgendosi a lui « Scusi tanto per il disturbo »

Angel le fece cenno di non preoccuparsi, quando tutto il suo interesse venne riattirato dalla bambina che, ignorando la mano tesa della madre, era scattata in piedi riprendendo a correre inseguita dalla genitrice stremata.

Si fermò di botto e si girò verso di lui per dimostrargli che era vero che dopo un po’ il male non c’era più, lui le sorrise con dolcezza e fece cenno di sì con la testa, confermandole che credeva alla sua teoria.

La bimba, in preda a un impeto di orgoglio e gioia, scoppiò a ridere e corse via sparendo all’orizzonte seguita da una madre ormai sfinita.

 

La vera età della saggezza è l’infanzia e non la vecchiaia.

Quando le cose si vedono ancora per quello che sono.

Con semplicità, senza malizie.

Consentendo al male che ne deriva da loro di sparire come è venuto.

 

Angel quell’età l’aveva superata da molto e per lui, il male poteva solo attenuarsi.

Guardò l’anello alla sua mano. Il Claddagh.

Il simbolo di quanto vi era di più nobile nei sentimenti.

L’amicizia, la lealtà e l’amore.

Non era stata solo Amarra, ma anche il Claddagh a farlo montare in macchina e guidare sino a Sunnydale.

Senza darsi neanche il tempo di riflettere, aveva agito impulsivamente.

Come nei suoi cinque minuti peggiori. Come Spike…

 

C’era ancora molta luce, ma il sole era già annegato nelle acque dell’oceano.

Sfilò l’anello dal dito e lo strinse forte.

Così forte che il castone gli tagliò il palmo facendolo sanguinare, poi con tutta la forza che aveva, lo scaraventò in mare.

Tornò alla macchina e impugnò il volante. La ferita si era già rimarginata.

 

 

 

« Altro lavoro? »

Chiese Doyle, ancora parzialmente coperto dalla porta d’ingresso, che osservava con la fronte corrugata tre cartelline nuove fiammanti sulla scrivania di Cordelia.

« Sì »

Gli rispose quest’ultima, stando sulla punta dei piedi, tesa e concentrata nel cercare di mettere a posto un volume ingombrante su una delle mensole alte.

« Sono già riuscita ad identificarne uno… Mi mancano gli altri… du-! »

« Due! »

Prima che il libro potesse caderle in testa trascinando con sé gli altri tomi del ripiano, il mezzo demone era corso in suo aiuto e facendo un breve salto, aveva rispinto il testo indietro sullo scaffale mettendolo così a posto.

« Grazie »

Con un sorriso smagliante « Di nulla. Hai già idea di dove trovare informazioni sugli altri due demoni? »

« No, ma guarda le cartelle che ho compilato. Dai loro profili, forse tu riesci a capire chi sono »

Doyle prese una delle cartelle in mano e poggiandosi sul bordo della scrivania, cominciò ad analizzarne il contenuto, quando « Pensi che tornerà? »

 

Cordelia aggrottò le sopracciglia, poi notò che era appoggiato nel posto dove solitamente stava Angel.

« Sei la sua guida. Dillo tu a me »

Lui scosse la testa serio « Da Los Angeles in poi… »

« Io penso che tornerà. Se non altro per prendersi un cambio! » e vedendo i suoi occhi dilatarsi « Doyle, stavo scherzando. Io sono certa che tornerà »

« La ama molto? »

« Direi di sì. Ma non prenderebbe comunque i piedi e se ne andrebbe via così. E se proprio volesse andarsene, tornerebbe per sistemare le cose prima. Dovresti imparare ad avere un po’ più di fiducia nel tuo protetto »

« Non è in lui che devo imparare ad avere più fiducia, Principessa… » esalò sinceramente con lo sguardo basso perso nel vuoto.

 

Si fidava di Angel e le insicurezze che aveva, non erano da attribuirsi a lui. Solo che…

Non era mai stato la guida di nessuno prima e a dire il vero era molto più di questo. Non era un ruolo facile da svolgere il suo, né da far comprendere.

Se Angel fosse tornato a Sunnydale lasciando il resto, molte cose sarebbero cambiate. Il suo compito in un certo senso sarebbe fallito e più che per sé, il dispiacere sarebbe stato per…

Se c’era qualcuno in grado di poter fare grandi cose, quel qualcuno era proprio il taciturno vampiro di cui si occupava e lui lo sapeva, lo avvertiva, ne era sicuro.

Tuttavia se Angel fosse stato felice con la cacciatrice, avrebbe anche accettato di buon grado la cosa.

In cinque mesi, l’aveva conosciuto quel tanto da potersene affezionare e da sperare il meglio per lui.

Cordelia strinse le labbra vedendo la sua espressione.

Non avrebbe mai immaginato che l’irlandese mettesse tanto in dubbio il proprio ruolo, invece…

 

« E lei lo ama altrettanto? »

La ragazza sorrise teneramente a quell’atteggiamento tanto speranzoso, intendendone l’obiettivo.

Si sedette sulla sua poltroncina, stese le gambe accavallando le caviglie e con i gomiti poggiati ai braccioli, assunse un tono molto confidenziale « Beh, ricordo che Buffy era follemente gelosa di Angel e dava di matto ad ogni minima cosa. Una che fa così o è innamorata altrettanto follemente o è schizofrenica, ti pare? »

« Questo dovrebbe confortarmi? »

Fece finta di pensarci sopra, poi accondiscese seriamente « Sì, dovrebbe »

Risero appena.

« Allora che mi dici dei profili di quei due demoni? »

« Il nulla più assoluto. Tanto che ho idea ci dovremo lavorare parecchio… La mia proposta è: usciamo, ceniamo, torniamo qui e vediamo di cavarne piede. Ti va? »

« Mi va! » assentì solennemente col capo.

Doyle mollò la scartoffia che consultava e si scostò dalla scrivania.

 

Mentre si apprestavano ad uscire « Che ne pensi della Cordelia Investigations? »

« Di cosa?! »

« Beh, questo se Angel volesse sistemare le cose e andarsene. La ‘Mezzo-demone Investigations’ non suona bene… Comunque troveremo poi un nome, ma non vedo perché noi non dovremmo continuare. In fondo tu hai sempre le tue visioni e io faccio progressi di giorno in giorno con la balestra. Non sono la cacciatrice, ma nel mio piccolo… »

Lo stava palesemente prendendo in giro.

Eppure, per quanto folle potesse essere, l’idea non sarebbe stata del tutto malvagia…

 

 

Alle quattro del mattino stavano ancora lavorando. Avessero chiacchierato e scherzato di meno, avrebbero finito molto prima ma erano ancora là.

Gli piaceva parlare insieme.

Doyle la prendeva sempre sul serio, anche troppo a volte e Cordelia l’esatto opposto. Questo permetteva che la maggior parte del tempo passasse in risate ed era bello. Distensivo, rilassante.

L’aver divagato tanto quella notte, li animò ancor di più quando sentirono scattare la serratura della porta.

Angel era tornato.

 

« Ehi, Uomo! Bentornato! »

« Un paio d’ore all’alba! Ora che hai la gemma di- »

Cordelia non finì la frase e lasciò il braccio a mezz’aria con la mano indicante l’anello che… non c’era più.

Doyle, seguendo la mano di Cordelia, si accorse anche lui della mancanza.

Smisero di botto di scherzare e lo guardarono in faccia pensando di non aver badato alla sua espressione e di aver fatto una gaffe imperdonabile, ma non c’era nulla da notare.

Angel era completamente inespressivo, distaccato come se le ventiquattro ore precedenti non fossero mai esistite. Si era stupito entrando in agenzia di trovarli lì, ma niente di più.

Aveva bisogno di stare da solo, era chiaro, e cosa fosse successo potevano solo intuirlo.

 

« Dico, ma ti rendi conto?! » esordì Cordelia scandalizzata « Stiamo prendendo i tuoi bioritmi! ».

Stava seguendo l’umore di Angel.

Non era successo niente.

Non davanti a lui almeno, non quella sera poi.

 

Doyle la supportò immediatamente « Già. Senza contare che stiamo diventando davvero troppo zelanti col lavoro. Troppo zelanti anche per te, giusto Uomo? Giusto. Bisogna porre una fine a tutto questo, giusto Cordelia? Giusto. Andiamocene a casa »

Se avesse camminato sulla brace, sicuramente sarebbe stato più calmo e disinvolto.

Era bastato comunque a far sì che potessero radunare le carte sparse, recuperare le loro giacche e sgattaiolare via da lì il più in fretta possibile.

Erano quasi usciti quando Cordelia si fermò sulla soglia, stringendo saldamente la maniglia, con un piede ancora fermo sul penultimo gradino.

Aveva il capo chino ed era titubante. Girandosi di scatto « …Angel? »

Il vampiro si rivolse a lei con aria sbadata e quell’atteggiamento la preoccupò più del resto.

Se Angel fosse stato abbastanza in sé, non avrebbe mai assunto una difensiva tanto ingenua, tanto… bambinesca.

Ora più che mai avrebbe voluto dirgli qualcosa che lo confortasse, ma in quel momento bastava solo che sapesse che non era solo « Dormi bene »

 

Che uscita idiota.

Come poteva capire che quell’augurio striminzito significava mille altre cose?!

« Cordelia… »

La fermò appena in tempo, ormai era praticamente fuori e nel momento in cui la testa fece di nuovo capolino dalla porta « Grazie » disse guardandola con riconoscenza.

Cordelia sorrise dolcemente di rimando e uscì chiudendo la porta dietro di sé.

Aveva capito.

 

 

 

Erano in silenzio, entrambi persi per i fatti propri.

Cordelia continuava a leggere quello che aveva scritto, senza riuscire a comprenderlo e ricominciando a leggere daccapo all’infinito. Era la terza volta.

Doyle se ne stava praticamente sdraiato sulla sedia davanti a lei, oltre la scrivania, con lo sguardo perso nel vuoto e il mento poggiato a una mano.

Avrebbero potuto continuare così per ore.

In fondo erano circa tre settimane che andavano avanti in quel modo.

Lei alle prese con altre cartelle, lui sdraiato su qualche altra sedia, ma in definitiva il quadro era lo stesso da tre settimane. Da quando Angel era rientrato da Sunnydale.

 

Era raro vedere il vampiro in agenzia, al punto che Cordelia aveva preso l’abitudine di lasciargli dei post-it con segnate le indicazioni sui casi che accettavano o sulle visioni del mezzo demone.

Quest’ultimo si era fatto la rampa di scale che dall’ufficio conduceva all’appartamento del suo protetto, almeno un centinaio di volte in quelle tre settimane. Un centinaio di volte di cui più della metà era risceso senza neanche bussare. Alzando magari il pugno e fermandolo a pochi millimetri dalla porta, riabbassandolo rassegnato.

Avrebbe voluto solo offrirgli un po’ di conforto, ma continuava a tornargli alla mente quel suo essere distaccato di quella sera e si convinceva del fatto che bussando, sarebbe solo riuscito a infastidirlo.

Per quel che valeva poi, le poche occasioni in cui era riuscito a bussare, non aveva ottenuto nessuna risposta.

 

I rari momenti in cui Angel si era mostrato ai loro occhi, erano stati peggiori di quelli in cui era assente.

Lui faceva finta di nulla e così loro, ma con risultati interpretativi esattamente opposti.

I silenzi dei due mortali erano colmi di esitazioni e di tentativi di aprire la bocca e dire finalmente qualcosa.

Angel risultava spesso silenzioso, non era quindi il suo silenzio a tenerli tanto sulle spine, ma quel suo disinteresse continuo a tutto.

 

« Credi che stia ancora dormendo? »

La voce di Doyle la risvegliò dal suo torpore.

Controllò il nuovo orologio che avevano appeso alla parete e la poca luce che filtrava dalle finestre.

« Forse sì, ma ancora per poco. Ho idea che il sole sia già tramontato… »

« Credi che oggi si farà vedere? » chiese speranzoso fissandola negli occhi.

Con un cenno sconsolato di diniego « Non lo so, Doyle »

Poggiando i gomiti sulle ginocchia e fissando il nulla davanti a sé « Non so che cosa fare. Forse un altro lo avrebbe saputo, ma io non so davvero cosa fare. Nonostante siano passati quasi sei mesi, sono ancora più i momenti in cui non so come prenderlo che i momenti in cui so esattamente come stargli affianco. Forse dovrei essere meno discreto e ficcanasare di più negli affari suoi, forse un altro sarebbe riuscito ad evitare che si creasse una situazione simile. Forse un altro sarebbe salito su per quelle scale e invece di rimanere fermo come un idiota senza neanche trovare il coraggio di bussare, avrebbe buttato giù la porta a spallate e si sarebbe fatto sentire! »

« Certo, come no. E si sarebbe fatto anche due mesi di convalescenza all’ospedale! Sfondare la porta di Angel mentre ha quell’umore, credimi che è una mossa molto più idiota del rimanere fermo lì senza bussare »

Rialzando lo sguardo su di lei « Io non so davvero che fare. Forse avrebbero dovuto sul serio affidare a un altro il mio posto… »

Su quelle ultime parole distolse nuovamente lo sguardo.

Alla fine, dopo tre settimane, qualcuno era riuscito a svuotare il suo sacco.

Cordelia fece il giro della scrivania e piegatasi davanti a lui « Questo è il tuo posto Doyle e nessun’altro. Hai fatto tutto ciò che di giusto si potesse fare e vuoi sapere una cosa? Io sono senza dubbio meno discreta di te, eppure… » si fermò un attimo e lui inclinò la testa osservandola incuriosito « Eppure sono rimasta anch’io lì, ferma come un’idiota dietro a quella porta »

« Sul serio? »

La ragazza stirò le labbra in un sorriso e annuì, facendolo sorridere a sua volta.

« Non possiamo fare altro che aspettare adesso. L’unica cosa che mi preoccupa è che, data la natura di Angel, spero non si tratti di ‘troppo’ tempo. Sì, insomma, spero di esserci ancora! »

Il mezzo demone rise appena e lei tornò alla sua scrivania rasserenata mentre Angel, dentro al suo ufficio, si sostenne leggermente alla propria.

 

Era talmente preso dall’idea di riprendersi ciò che aveva perduto, da non fare caso a quello che aveva lasciato.

Non se n’era accorto.

 

Aveva fatto male rendersi conto del fatto che Joyce avesse avuto ragione nelle sue parole. Aveva fatto male rendersi conto del fatto che un anello, per quanto potere potesse avere, non poteva cambiare niente di quello che era.

Sì, poteva stare alla luce del sole ma neanche il sole così caldo, avrebbe mai potuto scaldare realmente il suo corpo e il suo cuore continuava a restare fermo, i suoi polmoni vuoti.

A conferma di tutto, era il fatto che se quel pomeriggio sulla spiaggia, si fosse tolto l’anello prima del tramonto, di lui non sarebbe rimasto assolutamente nulla.

Polvere era e polvere sarebbe tornato.

Si sarebbe confuso con la sabbia. Si sarebbe dissolto nelle acque del mare. Chissà, forse il vento l’avrebbe riportato in Irlanda ma in conclusione, non sarebbe rimasto nulla di lui e tutto sarebbe accaduto nel giro di pochi istanti e non lentamente con gli anni.

Aveva assistito allo spettacolo del tramonto e alla fine, invece dei classici fiori, aveva gettato al sipario del mare quello che si era rivelato un inutile ninnolo.

Dopodiché aveva pensato solo a se stesso e non se n’era accorto.

 

Non si era accorto che Doyle e Cordelia potessero stare male per lui.

Non a causa sua, ma per lui.

E faceva paura l’idea che se non li avesse ascoltati da dietro quella porta, avrebbe potuto non accorgersene mai. Un giorno avrebbe potuto scendere in agenzia e trovarla deserta, senza Doyle e Cordelia a ridere, scherzare, discutere.

Senza Doyle e Cordelia ad aspettarlo.

Aveva di nuovo rischiato di perdere tutto e stavolta la colpa sarebbe stata solo sua.

 

 

« Ciao… »

Si voltarono all’unisono, meravigliati dal suo tono di voce e da quel timido ingresso.

Dopo un attimo di smarrimento, la bruna sfoderò un magnifico sorriso « Ciao! » mentre Doyle, alzandosi dalla sedia, accennò con emozione un « Ciao, Uomo. È bello… rivederti »

 

Era tornato.

Tutto in lui lo diceva apertamente, a chiare lettere.

Non importava cosa fosse successo a Sunnydale o che fine avesse fatto la gemma di Amarra, la tempesta era finita e lui era tornato.

Angel assentì col capo, infilandosi le mani in tasca e stringendosi nelle spalle.

Con impaccio « Novità? »

Cordelia piegò la testa di lato, stringendo gli occhi ancora sorridente « Qualcuna… Siediti che ti illustro »

« Sì, vieni… » fece Doyle spostandosi di lato e scansando la sedia per fargli posto.

Come previsto, il vampiro tolse le mani dai pantaloni e si appoggiò sul bordo della scrivania, il mezzo demone invece, afferrato lo schienale della sedia, si accomodò di fianco alla ragazza.

Era tutto a posto, tutto normale di nuovo.

Loro gli parlavano dei casi che accettavano durante il giorno, poi insieme stabilivano qual era la strategia da adottare.

 

Smise solo un istante di seguirli.

Nell’attimo in cui osservò le sue mani e vide il Claddagh.

Dopodiché rialzò lo sguardo e riprese ad ascoltarli.