LEZIONI DI PIANO

AUTRICE:B_FLY

 

La nebbia rendeva grigio un cielo che già sembrava non aver mai assunto le sfumature azzurre che lei ricordava dalla sua Inghilterra. Le onde si infrangevano contro la piccola barca, gli uomini remavano con indifferenza, probabilmente astio dato dal peso del suo pianoforte che gli portava una fatica che consideravano inutile. Uomini. Selvaggi. Non importava.

No, non importava nulla. Potevano dire quello che volevano ma il pianoforte non l’avrebbe lasciata, nemmeno per questo viaggio assurdo in Nuova Zelanda a sposarsi. Sposarsi con un uomo che non conosceva ovviamente, ma non importava molto, così andava per le donne dei suoi tempi ed era anche fortunata ad aver trovato marito nonostante lei già avesse una figlia, una bambina di ormai sei anni di nome Dawn. Quella bambina era stata una salvezza per lei, per farle da traduttrice verso il mondo esterno, perchè quella splendida donna aveva un particolare: non parlava. Nessuno si spiegava perché, un giorno a sei anni aveva semplicemente smesso di parlare. Il linguaggio dei segni era il modo in cui comunicava alla figlia, che era la sua voce verso il mondo. Ma lei aveva un altro modo di avere una voce: il suo pianoforte era tutto quanto fosse necessario per lei.

Ritornando al presente, erano sbarcate in nuova Zelanda lei, la figlia e il pianoforte. E ora aspettavano sulla spiaggia l’arrivo del suo nuovo marito e degli indigeni che avrebbero portato i suoi effetti alla nuova casa.

In ritardo… ma non importa, il suo pianoforte era con lei, in attesa di quel marito in cui lei infondo nutriva delle speranze. A lui non dava fastidio il suo mutismo, nella lettera le aveva scritto ‘Dio ama le persone mute, perché io non dovrei?’. Sperava solo avesse davvero molta pazienza, perché il silenzio a lungo andare stanca tutti.

“Signorina, con questo tempo non penso che chi vi aspetta potrà arrivare, riuscite a costruirvi un riparo per la notte?” le parlava il conducente della barca. Lo guardò con indifferenza e fece gesto alla figlia di ringraziarlo.

“Siete sicura? Per questa notte io e i miei uomini potremmo scortarvi a una città vicina”. A quel punto si voltò verso gli uomini rozzi e sporchi e poi verso di lui con aria severa e fece una serie di gesti rigidi. La figlia parlò:

“Mia madre dice che preferirebbe chiedere asilo ai Maori piuttosto che risalire nella sua barca”

L’uomo la guardò secco e si voltò per andarsene.

Per la notte imbastirono una tenda creata con uno dei supporti delle ampie gonne della donna e uno dei suoi teli. Ma era una donna raffinata, l’entrata della “tenda” era marcata da sassolini e conchiglie a formare un piccolo vialetto. Lì lei e la figlia avrebbero aspettato. “io lui non lo voglio chiamare Papà” disse Dawn “non lo chiamerò in nessun modo anzi non lo chiamerò nemmeno”. Le sorrise.

 

Angel Stuart osservava quella piccola fotografia della sua sposa. Esile, pallida ma così elegante, i capelli scuri erano per gran parte coperti dalla cuffia rigida che a quei tempi ogni donna portava, ma si potevano vedere due trecce facevano un giro intorno alle orecchie. Meravigliosa. Si fermò a guardare la foto pettinandosi i capelli. William Baines, suo amico e ora compagno di viaggio, si fermò a osservarlo chiedendosi se si sentisse bene. Baines era anche lui Inglese, ma arrivato in quella terra aveva stretto amicizie con gli indigeni Maori, li accoglieva in casa e stava con loro, loro lo avevano riconosciuto come amico e gli avevano disegnato le rune in viso come riconoscimento, due segni blu lungo la linea del naso. Ed era utile al suo amico appunto come traduttore verso di loro, dal momento che Banks era rimasto decisamente inglese nei suoi modi e nella sua cultura.

“Volete che facciamo una pausa?” gli chiese. Non sentendo risposta richiamò i Maori e gli disse di fermarsi. Stuart sembrò ridestarsi a quelle parole e si rialzò.

“Non possiamo fermarci, siamo in ritardo” disse riprendendo a camminare. Inutile dire che gli sguardi indigeni su di lui si fecero sprezzanti.

 

Ecco là, la spiaggia. Quella specie di tenda. Angel Stuart camminò calpestando senza molti accorgimenti il piccolo vialetto fatto di conchiglie.

“Signorina Graham, dovete svegliarvi, ho con me gli uomini per portare le vostre cose” disse nel modo più gentile che potè.

Dentro la tenda le due si svegliarono. Dawn fissò la madre, che le lisciò i capelli e lisciò i propri. Una signora deve sempre presentarsi al meglio che può. Uscirono lentamente dalla tenda e rimasero un momento stordite dalla presenza di tutti quegli uomini, molti dei quali semi-svestiti.

“Signorina Graham, sono Angel Stuart.” le disse imbarazzato “vedo che avete portato molte casse…” cercava di guardarla ma lei sembrava che nemmeno lo avesse notato, era preoccupata a guardare sospettosamente gli indigeni che le si avvicinavano e che per curiosità non avevano timore di toccarla, come si toccherebbe un gattino di una razza mai vista. “Signorina…” nulla “Signora… ma mi sentite almeno?”. Ann si fermò. Mosse gli occhi in giro stizzita, senza nemmeno muovere il capo, poi lo fissò negli occhi, offesa. Lui non capì lo sguardo ma recepì la reazione.

“E’ già qualcosa…” disse lui piano. “Cosa tenete in quella cassa più grande?”

Dawn rispose per lei “Lì c’è il suo pianoforte!”

Angel la guardò semi stupito. “Baines, dite agli uomini di caricare le altre casse”si avvicinò a lui "Allora? Che ve ne pare?"

Baines la guardò "... sembra stanca..."

"Non è un po...gracilina?" disse Angel, ma fu ignorato.

Ann si avvicinò e fece qualche segno alla figlia, preoccupata. Dawn capì subito e parlò “Mia madre vuole il pianoforte a casa”.

Angel l’ascoltò senza molta importanza “Oh capisco, lo voglio anch’io, ma vedi, non ho con me uomini a sufficienza oggi”

“Ma mia madre non vuole lasciarlo qui.”

L’uomo si fermò un momento. “Vuole dirmi che preferirebbe lasciare qui i vestiti e le stoviglie?” chiese stupito.

La donna fece segni sempre più nervosi, gli occhi esprimevano un misto di angoscia, rabbia e supplica. Ma l’uomo sembrò non vederli. Dawn parlò di nuovo “Mia madre chiede se possiamo tornare subito a prenderlo dopo che avranno portato le altre cose”.

Angel fece un grande respiro guardando verso Ann “Mi dispiace, ma è inutile discutere. Il viaggio è ancora lungo, la foresta lacera i vestiti ed è pieno di fango ovunque”.

Angel superò la donna ripartendo e dando indicazioni sparse ai maori insofferenti. Ann lo guardava con odio.

 

Il viaggio era in corso. Ma dall’alto della collina boscosa e infangata, mentre i vestiti erano sollevati dal vento, lei guardava il suo pianoforte, riparato solo dalla cassa d’imballaggio e lasciato lì, immobile in mezzo ad una spiaggia grigia.

Capitolo 2

 

“No, dai fermo, dai che l’ho solo imbastito finirai per scucirlo!” disse ridacchiando la vecchia signora Anya al domestico che correva intorno alla stanza indossando un abito da donna bianco, per divertire lei e la cuoca.

“Ecco lo sapevo lo hai scucito, ora dovrò rifarlo” Non era certo un gran problema per la donna, dal momento che non era un intero abito ma una specie di grembiule, da infilare solo le maniche per coprire il davanti. Ann passò davanti alla cucina dopo aver sentito tutto quel chiasso, e vide quello che avrebbe dovuto essere la facciata del suo vestito da sposa logorato per il divertimento dei domestici. Non che le importasse molto ma le dava chiara conferma di quella che sarebbe stata la sua vita in quel posto. I domestici nel guardarla si fermarono un momento ma senza nemmeno interrompere le risate. Ann tornò alla sua camera.

La camera che condivideva con la figlia, perché sinceramente non teneva molto a condividere immediatamente la camera col marito nonostante fosse un uomo di bell’aspetto.

La signora Anya venne a chiamarla qualche minuti più tardi.

“Se non potete avere una cerimonia di nozze come si deve, che abbiate almeno la foto” si chiese perché la foto doveva essere fatta in questa giornata uggiosa, ma nemmeno questo la interessava più di tanto. Infilò per le maniche quell’insulso pezzo di stoffa bianco lavorato e uscì. Dovettero camminare su viscide assi di legno, perché aveva iniziato a piovere e la terra era diventata un unico ammasso di fango molle su cui sarebbe stato impossibile camminare con gli stivali stretti e le ampie gonne. Il suo promesso, o suo marito dando per scontata una cerimonia che non c’era stata, aveva allestito una piccola scenografia perché lo sfondo della foto non fossero gli alberi malmessi della palude, e aveva messo due sedie coperte da carta perché non si bagnassero. Come se facesse molta differenza, ormai era fradicia. Si sedette sulla sedia predisposta per lei, il marito di fianco, lui le prese la mano e il fotografo fece il suo scatto.

Nel tornare in casa fu seguita da Anya e dalla domestica per essere aiutata a togliersi la veste, ma non volle dare retta a loro e finì per strapparla dalla foga con cui se la tolse lasciandole attonite.

Lei doveva correre alla finestra, doveva guardare anche se faceva male.

Tutta quella pioggia, e il suo pianoforte sulla spiaggia, con solo la cassa d’imballaggio a proteggerlo.

 

La sera con la figlia nel letto della loro stanza, Ann le raccontava di come si fosse incontrata con suo padre, il suo maestro di pianoforte, e del loro amore. Era la storia che la bambina preferiva, e capiva ogni gesto della madre. D’un tratto si aprì piano la porta e loro si voltarono, era Angel.

“Io.. avrei voluto darvi il bacio della buonanotte…” disse dolcemente.

Sul viso delle due donne non passò nemmeno un ombra di espressione.

Angel trattenne un sospiro di delusione, si disse di avere pazienza, e richiuse piano la porta dietro di se.

Il mattino dopo, mentre Ann faceva colazione, le si avvicinò.

“Devo partire. Starò via qualche giorno, c’è della terra più a nord che mi interesserebbe comprare. Io spero che usiate questo tempo per ambientarvi meglio, così forse quando tornerò potremo riprendere daccapo” le disse.

Ann non ebbe nessuna particolare espressione tranne un ombra di serenità che il marito interpretò come un consenso, così si congedò con un cenno del capo e uscì di casa.

 

 

 

Quello stesso pomeriggio Ann e Dawn uscirono di casa, nonostante il viaggio nel fango non fosse incredibilmente comodo per una signora e una bambina coperte da strati di pesanti vestiti come la moda del tempo voleva. Il percorso era stato interamente tracciato da assi di legno scivolose, partiva dalla porta della casa e ad un certo punto c’era un bivio. Ann sapeva da che parte andare, aveva visto il marito prendere la strada di destra per andare a lavoro attorno a uno dei suoi campi, quindi lei doveva andare a sinistra.

Dopo circa mezz’ora di cammino era arrivata dove voleva, o almeno era quello che supponeva. La casa non poteva proprio definirsi tale, era più una capanna un po’ grande, le assi abbastanza sconnesse. Aveva con se il taccuino in cui scrivere e pronto il biglietto con la sua richiesta, e bussò alla porta.

Quell’uomo, James Baines, venne ad aprire con uno sguardo piuttosto stanco. In parte sorpreso, certo, ma più che altro turbato, come se la cosa lo infastidisse. Affacciò solo il viso inizialmente.

“Si? Che c’è?” disse lui.

Ann tenne la sua solita aria austera e porse il biglietto a testa alta. Baines lo prese e lo guardo, ma poi lo porse di nuovo a lei.

“Mi dispiace, io non so leggere” disse freddamente.

Ann rimase stupita. Un uomo che non sapeva leggere, non le era ancora capitato. Eppure aveva un aria abbastanza intelligente. Ben presto riprese la sua aria leggermente altezzosa e compì un paio di gesti rigidi in direzione della figlia, che parlò per lei.

“Mia madre chiede se può accompagnarci alla spiaggia in cui siamo sbarcate” disse la bambina

L’uomo posò di nuovo lo sguardo sulla donna.

“Non posso farlo… mi dispiace. Sono impegnato, non ho tempo… mi dispiace” disse chiudendo di nuovo la porta leggermente stizzito.

Ann rimase un momento a fissare la porta chiusa. Era stata istruita lei, sapeva leggere ed essere educata e lo erano tutte le persone con cui aveva avuto a che fare. Ma lo scopo per cui era lì era troppo importante per lasciarsi distrarre da queste cose. si sedette con la figlia su un tronco d’albero appoggiato a terra e si mise ad aspettare.

Qualche minuto più tardi l’uomo uscì dalla casa e iniziò a sellare il proprio cavallo. Era vestito in modo molto semplice, nel senso che i suoi vestiti sembravano ricavati da tovaglie e tende più che cuciti da una donna esperta. Il che poteva significare solo che una donna nella sua vita non c’era, almeno al momento. Baines le guardò di nuovo.

“Vi ho detto che non posso portarvi, non ne ho il tempo” disse di nuovo continuando a sellare il cavallo. Le due donne lo fissarono. Poi inclinarono la testa in modo dolce, simultaneamente.

“No ho detto che non ho il tempo” ripetè l’uomo.

 

 

Un ora dopo erano alla spiaggia.

Capitolo 3

 

Un ora dopo erano alla spiaggia.

 

Alla fine le aveva accompagnate senza dire una parola. Donne… ne sapevano sempre una più del diavolo per ingannarti. Proprio così. Arrivati alla spiaggia la donna si fiondò immediatamente dalla cassa abbandonata mettendosi a tirare una delle assi laterali. Baines decise di aiutarla, era pur sempre un uomo e quindi dotato di una certa forza fisica. Una volta tolta l’asse si rese conto che ora i tasti del piano erano liberi, ed Ann iniziò a suonare immediatamente come se… come se qualcuno dopo giorni di prigionia le avesse tolto il bavaglio dalla bocca e lei ora stesse parlando, riversando tutta la sua passione soffocata ed il suo senso di liberazione. (N.d.a la canzone è “The heart asks plesure first” da lezioni di piano). La bambina, felice per il familiare suono della musica della madre in una terra che di familiare non aveva nulla, iniziò a correre e saltare le onde in riva, giocando con loro e danzando come una bambolina. E la madre era sorprendentemente… felice. Non staccò le dita dai tasti per un solo secondo come se fossero una proiezione di lei, un'unica entità, necessari, a volte guardava la sua bambina giocare, altre volte chiudeva gli occhi come un’amante che rivede l’innamorato dopo averlo creduto morto. Baines non diede segni di apprezzamento, anzi al suo solito non diede segni di alcun tipo. Ma nemmeno al calare del sole gli venne anche solo in mente di proporre il rientro alle case.

Solo molto tardi Ann decise da se che era il momento di rientrare, e quelle tre figure si allontanarono dalla cassa abbandonata sul bagnasciuga. Due di esse avevano il cuore di nuovo libero. L’altra lo aveva imprigionato.

 

La scena che si presentò ad Angel Stuart quando rientrò a casa il giorno dopo fu lontana dalla sua comprensione. La piccola Down cantava una filastrocca tedesca, accanto alla madre che seduta ad un tavolo da cucina teneva le mani sopra di esso come fosse un pianoforte con cui accompagnare la melodia della bambina.

“Buongiorno” disse lui cordiale. Ann si alzò in piedi andando accanto alla figlia con un leggero sorriso e fece un cenno con la testa, e Down salutò. Angel si avvicinò incuriosito al tavolo, e ne alzò la tovaglia di pizzo, sotto la quale trovò delle incisioni a bordo tavolo… come i tasti di un pianoforte. Alzò lo sguardo stupido verso le due donne, ma nessuna delle due sembrò stupita, ne sembrò capire il suo stupore.

Più tardi, all’ora inglese del tè, Angel si trovò nel salottino assieme alla signora Anya e ad alcune Maori che aiutavano a cucire i costumi per la recita parrocchiale dei bambini. Angel le parlò:

“Anya… io sapevo che la mia sposa era muta ma ora inizio a pensare… che ci sia qualcosa di più”

“Come dite?”

“Si penso sia… forse malata di mente? L’altro giorno l’ho sorpresa a suonare il tavolo da cucina come fosse un pianoforte”

“Ma non suonava?”

“Eh no era un tavolo, non usciva alcun suono”

“Che cosa insolita…”

I due non sapevano che oltre la soglia una terza persona veniva resa partecipe della loro conversazione. Infatti avevano dimenticato, o dato poca importanza, al fatto che Baines fosse stato invitato a prendere il tè e ora fosse semplicemente nella stanza accanto. Attento. Anya continuò a parlare:

“Non resterei sorpresa se quella donna avesse qualcosa che non va nella mente. Pensate che il giorno che arrivò qui, dopo la vostra foto da sposi, andai ad aiutarla a sfilarsi l’abito e lei non ne prestò alcuna cura, finendo anche per strapparlo! Come fosse persa nei suoi pensieri…”

Un pensiero si formò nella mente dell’ascoltatore. Un pensiero che andava ragionato.

 

Qualche ora più tardi Angel e William erano fuori casa a spaccare legna.

“Angel” inziò William “di quei venti acri oltre il ruscello… che ne pensi?” disse lui.

Angel ci pensò su “Mi piacerebbero, ma sai che non posso permettermeli”

“Stavo pensando di proporti un baratto. Quelli per il pianoforte” azzardò.

Angel mise giù l’accetta “Il vecchio pianoforte sulla spiaggia? Di un po’, non è che poi scopro che quei venti acri sono palude?”

“No no, garantisco.”

Angel ridacchiò “William, non conoscevo questa tua passione per la musica! Accetto” sorrise.

“Bene” disse Baines ricominciando a spaccare la legna, imitato da Angel. Poi continuò “Naturalmente dovrò prendere lezioni…” disse in tono casuale “se no mi sarebbe inutile.”

“Ann lo sa suonare. Io non l’ho mai sentita ma in una lettera mi diceva che era molto brava. La manderò a darti lezioni”.

Era stato fin troppo facile.

Tbc…