DESTINALE
Di Davide (dravid@libero.it)
Death is your gift.
I.
Inestesi frantumi di fiamma
Lacerati dal filo delle notti
Soltanto dischiudono l’engramma,
Per sempre tracciato negli avidi fiotti,
A quella che sopporta il tetro dramma
D’infiggere i cuori appena annotti.
Poiché prenderà la via del deserto
Chi desideri a sé farsi scoperto.
Con simili parole Giles mostrava
Il solo modo all’Ammazzavampiri
Per avere non libera da schiava
L’anima involuta entro altri respiri,
Ma tollerante almeno quanto grava
Futuro, prima che incompreso spiri
Come accadde alla vita di sua madre,
All’insensata morte di sua madre.
Né la fiducia nelle visioni
Che n’avrebbero solcato il pensiero
Risparmiò più trafiggenti sproni,
Quando un commiato sprezzante e fiero
Sorse dal falso velandone i toni,
Per mascherarsi alla sorella vero:
Poiché quel folle, avventato abbandono
Le dava forse la salvezza in dono.
Le fu Willow di profondo conforto
Ed inconsapevole resistenza
Nel suo saluto credette avere scorto,
L’alto sfolgorio d’una esistenza
Che non offusca o estingue il torto,
Presaga della sua virtuosa essenza:
In lei, che proteggeva Dawn e Tara,
Sorte fulgida era fatta, d’avara.
Per la difficoltà ed il travaglio
Deve forse dimettersi la sfida?
Là dove più bruciante s’apre il taglio
Maggiore verità dal fondo grida:
Buffy temeva l’opprimente maglio
Delle ancestrali, primigenie strida;
E pure sognava esserne pervasa,
Abitarne la disvelante casa.
II.
Un insolitamente breve viaggio
Estingueva il tumulto gli affari
Lasciandone il vacillante miraggio,
Senza l’ultima cura di sicari,
Riardere nella vampa del raggio;
Dal flutto di quei polverosi mari
Le sepolte, nell’immota tempesta,
Chiamavano un’anima ancora desta.
Distretta la memoria del rito,
Dispiegato il circolo dei simboli,
Giles cominciava scandendo l’invito
A scuotere le elette nei secoli
Con il nome di un male non sopito
Che disseta la vita di popoli:
Chiese attenzione per la loro figlia
Ed un sussurro corse la famiglia.
La dolorosa furia di un destino
S’apprese in una sola percezione;
Sorse con uno spasmo serpentino
Ad estrarre la ferma concezione
Pronunciante la figura il cammino:
Infine si levò l’incarnazione,
Nel convulso di un’attimale vita
Che v’infieriva come una ferita.
Domò l’allucinatoria fatica
Della persistenza, si volse infine
A Buffy, che la sapeva nemica
Dalle pupille nerastre e assassine,
Dall’efferata voluttà antica
Cui, trasalendo, si vedeva affine.
Ma ancora, in quella inquieta vicinanza,
Viveva l’ansito di una speranza.
“Dal nostro canto crudele sgorgasti
e il tempo che ci ha dimenticate
non può ancora reclamare i fasti
di una fulminea vittoria; date
alla terra, noi scrutiamo i vasti
imperi delle spoglie rinate
allo stesso angoscioso smarrimento:
perché si persiste, per un momento?”
“L’avventato terrore del confronto
Non vi porterà alcuna risposta:
Alla nostra stirpe nessun affronto
Avanzò una tessitrice nascosta
Figlia mia, nel nostro esile racconto
Nessuna verità giace riposta:
non essere, per questo, meno fiera
né, immobile, colei che dispera.”
“Poiché un meno visibile fine
rovescia la caccia più incalzante,
E ci consuma e trascina, assassine,
Nel centro da cui recede, distante
Arena, ultimo deserto confine,
il sangue, a cui cediamo pulsante
il nostro per salvarne la quiete
e spegnere l’innaturale sete.”
“Se una muore è perché altri viva.
La nostra legge appartiene ai salvati:
Così, il desiderio di cui priva
Noi, è la quiete degli altri nati.
Che nessuna dolce illusione riviva
Si decreta per chi è soggetto ai fati:
Il dono che ti diedero in sorte
Ha il nome ineluttabile di morte.”
Spezzato il circolo da un freddo vento,
Estinta la voce intollerabile
Sfumò nell’aria un tenue lamento:
Fissando la sua presenza labile
Buffy fuggiva adirata il tormento,
Sapeva menzogna l’immutabile.
non essere, ti prego, meno fiera
né, immobile, colei che dispera
FINE