LA STORIA CONTINUA……

AUTHOR:DIDDY

 

California, Sunnydale, 14 giugno 2001

 

 

Un dio potente, imprigionato in un corpo umano, deciso a riprendersi il suo trono ad ogni costo e come unico ostacolo un gruppo di amici ben decisi a sopravvivere.

Ed ecco, alla fine della battaglia, quando il pericolo sembra ormai passato, delle goccioline vermiglie cadere nel vuoto, lentamente, come a sottolineare il loro catastrofico compito. All’improvviso, a metà del loro cammino, eccole tramutarsi in luce accecante che palpita e diventa più grande ad ogni battito.

Il chiarore che per Gloria avrebbe rappresentato la soglia di casa avvolge il cielo… ma lei, ora, non la può più vedere perché giace a terra, esanime.

La cacciatrice guarda il suo mondo sparire in quel bagliore guizzante. Non lo sopporta, non può finire in quel modo!

“La morte è il tuo dono”

Le parole le tornano in mente, più chiare e nitide che mai, saluta tutti e senza più dubbi corre; una corsa interminabile ed un salto nel vuoto… di colpo si trova in quel bagliore accecante, palpitante che la porta via, lontano…

Un vampiro piange senza riuscire a smettere. Piange la sua cacciatrice e non ricorda più che un tempo avrebbe definito quell’attimo come un “giorno speciale”

 

 

California, Sunnydale, 9 aprile 2002

 

 

Buffy uscì imbarazzata dal Magic Box senza riuscire a guardare il suo ex-fidanzato negli occhi, quasi senza ascoltarlo, ormai cercava solo le parole per spiegare quello che aveva visto.

Ma l’imbarazzo non era solo della cacciatrice, Riley cercava il modo per farle quella domanda che gli stava tanto a cuore. Quando finalmente ci riuscì si trovò davanti lo sguardo di una Buffy stralunata e confusa «Tu mi stai… Oh mio Dio, tu mi stai chiedendo se… -invece di finire la frase, disse quello che si era tenuta dentro fino a quel momento- io vado a letto con lui, vado a letto con Spike, poi tu torni qui e… -ma, non riuscì a terminare nemmeno la seconda frase perché la collera e la frustrazione stavano avendo il sopravvento- Hai aspettato che la tua vita fosse assolutamente perfetta e con la scusa di un demone me l’hai sbattuta in faccia!»

Riley tentò di farle capire che non era così semplice come lo descriveva lei, ma Buffy non lo ascoltava più, non voleva sentirsi dire da una persona che non aveva appena perso il paradiso “Quanto fosse difficile!”

«Credi che mi sia piaciuto vederti a letto con lui, o che il colore arancione sia il colore che ti stia meglio o che l’odore degli hamburger mi piace. Tutto questo non cambia quello che! La ruota gira continuamente Buffy, a volte va bene a volte va male, ma questo non cambia quello che sei…»

 

 

 

California, Sunnydale, 14 maggio 2003

 

 

Buffy andò al centro della stanza sotto gli sguardi di quelle ragazzine che l’avevano cacciata. La guardarono come per ricordarle che non c’era più posto per lei, che non erano intenzionate a darle una seconda opportunità. Per la cacciatrice, questo non aveva più importanza, ormai la missione era la sola cosa a contare, vincere la guerra era diventato ormai l’unico pensiero.

 

«Odio questo.

Odio dover essere qui.

Odio che voi dobbiate essere qui.

Odio che esista il male e che io sia stata scelta per sconfiggerlo!

Non essere mai stata scelta.

So che anche molte di voi vorrebbero non essere qui.

Ma non è questione di desideri!

Né questione di scelte.

 

Credo che potremo sconfiggere questo male.

 

Non quando arriverà.

Non quando la sua armata sarà pronta.

Ora!

 

Domani mattina aprirò il sigillo.

Scenderò nella bocca dell'inferno e finirò questa cosa una volta per tutte.

 

Fino ad ora vi siete chieste come questo cambierà le cose.

Che cosa ci rende qualcosa di più di un groppo di ragazze che verranno eliminate una ad una.

É vero, nessuna di voi ha il potere che Faith ed io abbiamo.

Quindi qua viene la parte dove dovete fare una scelta!

 

Questo è il momento in cui *voi* fate una scelta.

 

Cosa ne pensereste se poteste avere il potere...ora?

In ogni generazione nasce una cacciatrice perché un gruppetto di uomini che sono morti migliaia di anni fa hanno stabilito questa regola.

Erano uomini potenti.

Questa donna è più potente di tutti loro messi assieme.

Così, io dico: “Cambiamo la regola”.

Io dico che il mio potere dovrebbe essere il nostro potere.

 

Domani, Willow userà l’essenza della falce per cambiare il nostro destino.

D’ora in poi, ogni ragazza nel mondo che potrebbe essere una cacciatrice, sarà una cacciatrice.

Ogni ragazza che potrebbe avere il potere, avrà il potere

Cacciatrici.

Ciascuna di noi; fate la vostra scelta.

Siete pronte ad essere...potenti?»

 

 

California, Sunnydale, 15 maggio 2003

 

 

La battaglia, contro l’esercito del Primo, era cominciata, una trentina di cacciatrici, abbandonando paure e debolezze, stavano mostrando tutto il valore e la forza di cui disponevano.

«Buffy» disse tentando di attirare l’attenzione della sua cacciatrice, non sapeva cosa stesse accadendo, ma il vampiro cominciava a sentire il potere del medaglione attivarsi.

Buffy non sentì quell’appello, i rumori della battaglia coprivano tutto il resto.

«Buffy» ripeté nuovamente Spike; un cono luminoso partì dalla gemma che aveva al collo riempiendo la grotta e distruggendo ogni Turok-han che veniva sommerso da quel bagliore.

La cacciatrice raggiunse il vampiro, senza sapere come sarebbe andata a finire; la terra aveva cominciato a tremare senza tregua, le volte della grotta sembravano non riuscire più a sostenere il peso. «La sento, Buffy!» disse Spike sorridendo «Che cosa?» chiese Buffy, mentre le altre ragazze scappavano verso l’uscita «La mia anima c’è davvero! Punge anche un po’» rispose il vampiro sentendo la gioia che solo la riscoperta di una parte di se stessi che si credeva perduta può dare.

Buffy sentì Faith chiamarla mentre le pareti tutt’intorno crollavano.

«Devi muoverti dolcezza. Credo di poter dire che la scuola è sospesa per questa dannata estate» cercò di convincerla «Spike!» lo supplicò Buffy sentendo le lacrime premere sugli occhi. «Davvero devo farlo!» cercò di spiegargli il vampiro, sperando di vederla correre lontano da quel posto maledetto al più presto possibile. Buffy, sentiva di non poter andarsene così! Invece di dagli retta gli strinse la mano. Sentì il fuoco divamparle tra le dita, lo vide, lo sentì bruciare, ma non gli importava più «Ti amo»

Spike la guardò, sorrise a quelle parole «No, non è vero –rispose, ma in realtà avrebbe tanto voluto stringerla a sé e farle capire quanto fosse importante per lui- ma grazie di averlo detto»

La cacciatrice lasciò la sua mano e cominciò a scappare mentre Spike bruciava sotto il calore della sua stessa anima e con lui anche la Bocca dell’Inferno spariva, inghiottita in un’immensa voragine.

 

I sopravvissuti guardarono dall’alto ciò che restava di Sunnydale «sembra che la Bocca dell’Inferno non sia più in affari» esclamò Faith sollevata «Ce n’è un'altra a Cleveland. Non che io voglia rovinare il momento…»

Ma Buffy non ascoltava il suo osservatore, continuava a fissare quel cratere chiedendosi cosa avrebbe fatto d’ora in poi. Spike se n’era andato, aveva voluto salvarla, Sunnydale era sparita e con lei il suo compito di guardiana, ed ora…?

«Non sei più l’unica e sola prescelta ormai –le disse Faith- dovrai vivere come una persona normale. Come ti fa sentire questo?»

Ora, ora avrebbe riavuto la sua vita e a questo pensiero un sorriso le si disegnò sul volto.

 

 

California, Sunnydale, 27 agosto 2003

 

 

Angel prese distrattamente la busta dalla scrivania e mentre discuteva con il resto del gruppo, la strappò senza degnarla di uno sguardo. Il contenuto della busta cadde con un tonfo sulla moquette, facendosi così notare dal vampiro. Angel osservò per un attimo il medaglione sul pavimento, era lo stesso, che qualche mese prima, aveva dato a Buffy per combattere il Primo Male, ma com’era potuto arrivare nel suo ufficio? Per quel che ne sapeva doveva trovarsi sotto le macerie di Sunnydale!

Il ciondolo sembrò animarsi, costringendo Angel ad allontanarsi, da esso cominciò a sorgere una nuova creatura che prendeva forma sotto i loro occhi increduli. Quando il ciondolo si riassopì, Angel guardò l’essere che n’era scaturito. A causa della sua lunga esistenza e del suo lavoro era abituato alle sorprese, ma a questo non era preparato: Spike gli era davanti e lo fissava, forse, con uno sguardo più sorpreso del suo.

 

 

California, Sunnydale, 10 settembre 2003

 

 

Non era passato molto tempo da quando Spike era arrivato alla Wolfram&Hart, risputato dal medaglione senza un corpo e senza la possibilità di lasciare Los Angeles.

«Voglio anch’io un ufficio» disse inseguendo un esasperato Angel che non voleva più sentire la sua voce, ma avrebbe tanto gradito un po’ di silenzio.

«È arrivato questo per te!» cinguettò Harmony estraendo un pacchetto e appoggiandolo sulla scrivania davanti all’impalpabile vampiro. Spike fissò il pacchetto chiedendosi chi potesse averglielo spedito, Harmony, notando che il suo “orso biondo” restava fermo davanti alla posta, chiese «Non lo apri?» il vampiro alzò le mani, mostrandone i palmi alla biondina che aveva di fronte, esclamando «Secondo te?». A quelle parole Harmony sembrò ricordarsi che Spike, al momento, era completamente incorporeo e che quindi non era in grado di aprire il pacco. «Posso aprirlo io?» chiese come se si trattasse di un regalo natalizio, Spike annuì alzando gli occhi al cielo, la vampira nel frattempo tolse lo spago, strappò la carta scoprendo una comunissima scatola, quando la aprì ne emerse un lieve bagliore seguito da un piccolo POP.

«È vuota!» esclamò Harmony delusa fissando il fondo del pacco. Spike, pensando ad uno scherzo, non si preoccupò e si diresse verso lo studio di Angel con tutta l’intenzione di infastidirlo finché non gli avesse assegnato un ufficio con il suo nome scritto sulla porta. Stava ancora sorridendo all’idea di tormentare il suo Sire, quando sentì un tonfo immediatamente seguito da un forte dolore al naso e si trovò sdraiato sul pavimento proprio di fronte alla porta che avrebbe dovuto attraversare. Nel frattempo Angel, sentendo qualcosa sbattere contro la porta del suo ufficio, era uscito in tutta fretta per vedere di cosa si trattasse. Fu un attimo, i due vampiri si fissarono ed entrambi capirono cosa era successo: Spike era andato a sbattere contro la porta. In un lampo Spike era in piedi e aveva cominciato a tastarsi il corpo con le mani per controllare che fosse tutto vero. Abbracciò Angel, poi Gunn mentre questi cercavano in tutti i modi di divincolarsi dalla sua stretta troppo entusiasta.

«I telefoni fanno SHHHSSHH!» esclamò Harmony per indicare gli apparecchi che sembravano ormai impazziti in tutto l’edificio.

Spike non perse tempo, con una banale lusinga convinse la vampira a dimenticare i telefoni non funzionanti e tutto il resto per seguirlo in un posto più appartato.

Nel frattempo, nella Wolfram&Hart tutto sembrava sul punto di collassate: i telefoni squillavano in continuazione come in preda a qualche strano entusiasmo; comunissime persone, i cui occhi si mettevano improvvisamente a sanguinare, che cominciavano ad aggredire chiunque incontrassero e la cosa peggiore era che nessuno aveva idea di come fosse cominciato quel putiferio, né tanto meno come farlo finire.

Anche Harmony, mentre si trovava sdraiata su una scrivania gemendo ed accarezzando il torace nudo di Spike, divenne improvvisamente parte di quell’esercito dagli occhi sanguinanti e cominciò ad insultare il vampiro e tentò di aggredirlo.

 

«Abbiamo un problema, un grosso problema» disse Fred preoccupata rivolgendosi ad Angel «Sì abbiamo un grosso problema –disse Spike arrivano alle spalle del suo Sire- Harmony è impazzita, e non è la sola, c’è in giro un sacco di gente con gravi problemi agli occhi e…» «Grazie tante, come avremmo fatto senza di te! –lo interruppe Angel facendo del sarcasmo- non ce ne saremmo mai accorti!» Spike gli rispose irritato «Senti grande capo, volevo solo farti sapere che la tua segretaria si trova svenuta in uno di quelli uffici laggiù –disse indicando il corridoio da cui era arrivato- e non so cosa farà al suo risveglio. Ma,… forse… questo lo sapevi già!» Angel stava perdendo le staffe «Senti, o stai zitto e ci dai una mano a sistemare questo pandemonio oppure vattene! Non abbiamo bisogno del tuo sarcasmo!» Spike guardò un attimo Angel negli occhi e poi si diresse verso l’ascensore. «Dove stai andando?» chiese Angel ancora furibondo «Via di qui!» rispose Spike rimarcando l’ovvio «Non te ne puoi andare, tutto questo caos è collegato in qualche modo a te! Un attimo prima torni corporeo e un attimo dopo ecco scatenarsi l’inferno! Non ti senti in dovere di sistemare le cose?» Spike schiacciò il pulsante per prenotare l’ascensore «Tutto quello che posso dirti è che stamattina è arrivato un pacco per me, Harmony l’ha scartato, nell’aprirlo ha fatto PUF e io sono tornato corporeo, il pacco è ancora sulla scrivania di Harmony se volete controllarlo, prego. –disse con una calma che dava i brividi ad Angel- Questo è l’unico aiuto che posso darvi, quindi visto che qui non servo più, addio! Io vado in Europa» e detto questo salì sull’ascensore e selezionò il pulsante per i sotterranei. Angel lo guardò andarsene senza riuscire a trovare una buona scusa per impedirlo, ma con il forte desiderio di seguirlo prenderlo per il collo e riportarlo indietro. «Forza Fred, dobbiamo trovare un modo di fermare tutto questo»

 

Inghilterra, Londra, 7 ottobre 2009

 

 

L’odore di stantio regnava da anni in quella casa, prima ancora di essere abbandonata la muffa e la polvere avevano preso il sopravvento su tutto il resto. Dei quadri alla parete non restavano che i segni sulla tappezzeria ormai ingiallita, tutto quello che poteva essere venduto era stato messo all’asta per guadagnare qualcosa da quell’eredità così scomoda. L’unica ragione per cui non avevano raso al suolo quell’edificio era il costo troppo elevato dell’impresa di demolizione.

Ed eccola lì, dopo anni di’attesa, quasi per dispetto, quella vecchia costruzione si ergeva ancora, fiera di esistere, sulle rive del Tamigi.

Da tempo, però, qualcuno era entrato nella casa e dopo averla sistemata alla meglio, ne aveva fatto la sua dimora provvisoria. Nessuno aveva visto il nuovo inquilino né era certo della sua esistenza, infatti se ne stava ben lontano dagli sguardi di quella città che gli aveva procurato solo sofferenze.

I vicini, pieni d’immaginazione, vociferavano che si trattasse dello spirito della vecchia padrona morta tra quelle mura, altri sostenevano che una banda di ladri ne avesse fatto il suo covo.

Nessuno tra loro, però, osò andare a controllare le sue ipotesi, né denunciò alle autorità la cosa per timore di scoprire che non ci fosse niente su cui si potessero intavolare ore d’intriganti discussioni. Così la gente continuava ad evitare il vecchio edificio, fieri della loro ignoranza.

 

Nella stanza più grande della casa era stata sistemata una vecchia poltrona su cui un gatto aveva affilato le unghie, su un tavolino con una gamba di un materiale diverso dalle altre ed un materasso in un angolo. Il locale era buio, nonostante fosse pieno giorno, a causa della polvere che aveva oscurato completamente le vecchie finestre.

Sulla poltrona al centro della stanza era seduto un uomo, che allungò la mano verso il tavolino monco e afferrò la bottiglia di Brandy che era posata sopra e se ne versò un bel bicchiere.

«Hai intenzione di ubriacarti o lo fai per passare il tempo?» chiese una nocetta allegra alle sue spalle. La persona sulla poltrona si sporse per vedere chi aveva pronunciato quelle parole anche se conosceva già la risposta. «Cos’è, hai perso la lingua?» continuò con la sua voce argentina fissando i capelli ossigenati, gli occhi che passavano dal nero all’azzurro con la rapidità di un lampo, le mascelle pronunciate ed il sorriso che riservava solo alle sue domande più invadenti. «Spike… è così che ti fai chiamare, vero? -continuò la ragazzina imitando i ganster degli anni ’20- dimmi, cosa ti ha portato qui?»

Il biondo non rispose subito guardò quell’adolescente così vivace finire la sua commediola «Si può sapere cosa ci fai qui?» le chiese «Sono venuta per farti compagnia» rispose con ovvietà. Sembrava che niente potesse scalfire la sua allegria, persino i capelli ondulati della ragazzina sembravano partecipare alla sua gioia: oscillavano continuamente a destra e a sinistra seguendo ogni mossa della testolina tonta, sembrava quasi una danza. Gli occhi erano verdi e vividi e mostravano tutta la curiosità della loro padrona. «D’accordo puoi restare Funny, ma solo fino al tramonto, dopo ho un impegno!»

 

Messico, Teotihuacan, 7 ottobre 2009

 

 

«Ci troviamo ad una cinquantina di chilometri a nord da Città del Messico, nella zona archeologica più ricca di tutto il Messico…» declamò la guida a gran voce con orgoglio, mentre conduceva il gruppo di turisti lungo il Viale dei Morti, i visitatori la seguivano curiosi e ben consci di essere in un luogo che un tempo era considerato sacro.

«…sulla cima di queste piramidi i sacerdoti facevano i loro sacrifici agli dei per ottenere la loro benevolenza…» a quelle parole tutti i nasi si trovarono puntati verso l’alto, quasi si aspettassero di percepire ancora i segni di quegli antichi delitti. Solo una persona nel gruppo non scrutava l’apice di quei monumenti, ma osservava quello che accadeva nei paraggi, come se sperasse in una catastrofe ad interrompere la monotonia.

«…i sacrifici venivano compiuti, appunto, dai sacerdoti che con dei coltelli di pietra aprivano il petto delle loro vittime e ne estraevano il cuore ancora palpitante e…» un grande sbadiglio inondò l’aria e fece interrompere il cicerone, che si voltò di scatto e si mise ad osservare quell’impudente che l’aveva così brutalmente interrotto. Riley Finsi trovò così in mezzo a sguardi tutt’altro che amichevoli; primo tra tutti quello della moglie che sembrava furente e diede sfogo alla sua collera dando una gomitata al marito senza farsi notare troppo dagli altri turisti. «Mi scusi –tentò di rimediare Riley- il suo discorso era molto interessante, mi creda è… è solo che stanotte ho fatto le ore piccole, insomma, ho un po’ di sonno arretrato, capisce?»

«Sì, certo –rispose la guida indispettita- Questa sulla vostra sinistra è la più celebre tra le piramidi di questo sito, “la piramide del sole” su cui si rendeva omaggio al crudele dio Quetzalcoatl che sembra punisse tutti coloro osassero sfidarlo ed ignorarlo, gli impudenti insomma!» aggiunse guardando dritto negli occhi Riley che rispose con un sorriso imbarazzato, mentre tutti gli altri ammiravano l’imponente monumento la cui scalinata sembrava portare dritto al cielo.

 

«Non potevi evitare di sbadigliare così sguaiatamente? Non dico che doveva interessarti per forza, ma potevi almeno comportarti da persona civile!» lo sgridò Sam, non appena si furono allontanati dal cicerone, che dal momento dello sbadiglio non aveva fatto altro che sottolineare come Riley sarebbe potuto finire male se solo gli dei aztechi fossero vissuti realmente.

«Io non sono un civile, io sono un militare! E sono bloccato in… questa valle dei templi o come diavolo richiama!» la moglie lo guardò sconcertata «Si chiama Viale dei Morti, ma a parte questo… Abbiamo terminato la nostra mis… -poi si guardò intorno e vedendo che c’era molta gente si corresse- il nostro compito solo qualche giorno fa, non è così strano che non ce n’abbiano affidato un altro! Non riesci a vedere questi giorni come una vacanza da passare insieme?» «Non mi piacciono le vacanze, io voglio…» ma non riuscì a finire la frase perché Sam si era allontanata da lui decisamente stizzita.

 

 

Inghilterra, Londra, 7 ottobre 2009

 

 

I bassifondi di Londra, per quel che si riesce a ricordare, sono sempre stati luoghi da evitare soprattutto durante la notte; camminare tra quei vicoli, al buio, è considerato un atto che solo gli imprudenti, i forti o i coraggiosi si sono potuti permettere.

Nonostante fosse ancora estate la nebbia della grigia città inglese cominciava a farsi sentire nell’aria, rendendo tutto ancora più spettrale. «Ehi, siamo qui!» gridò allegramente una ragazzina di circa quattordici anni rompendo così l’atmosfera di mistero ed il silenzio; la sua compagna, che sembrava più grande di qualche anno, le fece immediatamente segno di tacere. «Ma che c’è di male? –si difese l’altra sussurrando- volevo solo fagli sapere dove eravamo!». Ad un tratto, le ante di una casa furono aperte di scatto, un uomo tanto assonnato che adirato si mise a sbraitare contro tutti i disturbatori notturni che non avevano niente di meglio da fare che radunarsi sotto la sua finestra e fare baldoria. «Cosa c’è di male?! Questo, per esempio…» la rimproverò l’altra indicando la finestra che venne chiusa con violenza.

Intanto la persona di cui la ragazzina aveva cercato di attirare l’attenzione si era avvicinata. «È una nuova tecnica, far arrabbiare gli abitanti del quartiere in modo che si barrichino nelle loro case?» chiese sarcastico il nuovo arrivato. «Scusa» disse la più piccola con un’espressione così mortificata che era impossibile non perdonarla. «Allora, voi siete due Sit» proseguì dopo aver sorriso a quell’adolescente tanto dispiaciuta «Cacciatrici, grazie» lo corresse la più grande notevolmente risentita. «D’accordo, cacciatrice, allora io sono…» «Tu sei Spike! Rona ci ha parlato di te, ha detto che sei un vampiro, ma stai dalla nostra parte perché sei innamorato cotto di una cacciatrice e…» sembrava che quella quattordicenne dai boccoli biondi non amasse il silenzio e che cercasse in ogni modo di riempirlo, la sua compagna, invece, aveva lunghi capelli corvini, il volto ostinato e la bocca incapace di dire una sola parola di troppo, insomma tutto l’opposto. «Vuoi stare un po’ zitta» l’ammonì l’amica.

«D’accordo –riprese Spike sperando di non essere interrotto nuovamente- io sono qui al posto di Rona e resterò fino al suo ritorno, da quel che so, a Londra, in questo periodo ci sono troppi fatti strani, quindi dovremo indagare» Le due ragazze annuirono con il capo e restarono entrambe zitte, la biondina, però, continuava a gettare occhiate alla sua compagna, come se desiderasse parlare ma non osasse farlo. «Mi dite i vostri nomi o dovrò chiamarvi “ehi tu bionda” “ehi tu bruna”?» la più piccola sorrise a quelle parole che mettevano fine al suo silenzio «Il mio nome è Evelyn, mentre lei è Sofia» disse con la solita vocina allegra e squillante, mentre l’altra aveva il volto arrabbiato per le parole, secondo lei decisamente offensive, del loro nuovo addestratore.

 

Arizona, Gran Canyon, 7 ottobre 2009

 

 

Tutto sembrava tranquillo nella base militare, alcuni soldati stavano facendo uno spuntino, altri si preparavano per il turno notturno, un abile stregone stava tentando di far fare ciò che voleva ad un demone con l’aiuto della magia, un elicottero aspetta l’ordine per poter partire verso la sua destinazione; insomma tutto come di rutine. Nel luogo era perfetto per gli esperimenti del governo, situato nelle viscere delle montagne del Gran Canyon, chilometri e chilometri di stanze, laboratori, uffici e nel cuore della montagna decine di gabbie per quelli che erano definiti “Ostili Sub Terrestri”; il tutto invisibile agli osservatori che amanti dei bei paesaggi si addentravano in quel luogo così suggestivo.

Nella base una sirena squarciò l’aria fresca della sera senza preavviso; tutti i militari lasciarono le loro attività e si diressero in punti stabiliti in attesa di ordini sul da farsi. «Non è un’esercitazione, non è un’esercitazione –urlava l’altoparlante- codice rosso, ostile in fuga, non è un esercitazione…»

Una squadra andò verso le gabbie per controllare se altri demoni fossero usciti dalle loro prigioni mentre un altro gruppo si diresse verso i laboratori, da dove era arrivato il segnale d’allarme. Quello che trovarono ero uno spettacolo davvero raccapricciante: la parete del laboratorio era sfondata, tutte le cose presenti nella stanza erano state gettate a terra o distrutte, sul pavimento c’era un’impronta di una mano dal colore rosso, sembrava sangue, era come se qualcuno in preda alla disperazione avesse cercato di aggrapparsi al pavimento, ma la cosa più agghiacciante era una massa informe al centro della stanza che emanava un odore acre. «O mio Dio, se li è mangiati!» gemette uno dei soldati sentendo lo stomaco che si ribellava a quella visione.

 

[elicottero], 8 ottobre 2009

 

 

I due piloti erano concentrati sui comandi del mezzo ben attenti a non sbagliare. Sul retro dell’elicottero otto soldati erano immobili e muti, mentre attendevano la fine del viaggio.

 

“Speriamo di non incontrare nessun temporale”.

”I vampiri con un paletto nel cuore e i demoni tagliandogli la testa e sperando in bene, ma perché la mia prima missione doveva essere proprio sulla bocca dell’inferno?”

“Che silenzio non né posso più!”

“Sapevo di non dover fare questo mestiere il verde marcio non mi dona”

“Quanto vorrei essere a casa a mangiare la torta di mele di Susan”

“Presto gli farò vedere di che pasta è fatto un soldato”

“Che cosa accadrà quando saremo a Sunnydale?”

“Ma non siamo ancora arrivati?!”

 

Questi erano alcuni dei tanti pensieri che vagavano nella testa dei militari che furono presto dimenticati quando il maggiore si alzò,per dare le ultime informazioni prima di separarsi dal gruppo. O meglio quasi tutti furono dimenticati! Il caposquadra non sembrò rendersi conto che il suo superiore avesse preso la parola.

“È passato molto tempo dall’ultima volta che ho messo piede a Sunnydale, sì, davvero molto tempo. Non è stata una bella visita: la missione è quasi andata all’aria e la mia ex-fidanzata è…” quel ricordo gli attraversò la mente provocandogli un tremito per la rabbia e il disgusto “quell’essere ha approfittato di Buffy e della sua fragilità”, per lui questa era una certezza, ed era stato molto sollevato nel costatare che Spike non l’aveva dominata completamente “nemmeno lui l’ha avuta… e sono quasi sicuro di averla convinta a tornare in sé…, sulla retta via”. Con quei pensieri Riley Finn tornava sulla bocca dell’inferno, cercando di non ascoltare quella vocina dentro di lui che gli ricordava una delle sue discussioni con Buffy: «…io provengo da una stirpe di `cuochi´ che non superano i 25 anni» e Buffy avrebbe dovuto averne 28 di anni.

 

Il viaggio era lungo per arrivare alla meta, ma Riley non lo notò, così come non sentì sua moglie chiamarlo, e si accorse a malapena di essere atterrato per lasciar scendere il maggiore Spitefull. L’elicottero proseguì il suo viaggio fino a destinazione, atterrò distante dalle case per far scendere il suo equipaggio e poi ripartire. Tutti sistemarono le loro cose, contenti di essere finalmente arrivati, ma Riley sentì di essere giunto a destinazione solo dopo una lunga camminata, quando si trovò davanti al cartello, ormai consumato, con la scritta “Benvenuti a Sunnydale”.

Ora avrebbe dovuto solo occuparsi della missione e, se ce ne sarebbe stata l’occasione, scoprire che fine avessero fatto i suoi amici.

 

2004

 

 

In una città, in una barca sulle scure acque del Tamigi qualcuno si sta radunando; in una bettola a poca distanza dal `Moulin Rouge´ sta avvenendo una riunione; al di là dell’Atlantico molti attendono la notte per dirigersi nel luogo dove hanno un appuntamento; in tutta l’Asia, dove ormai è mattina un’importante decisione è stata presa.

Vampiri, demoni di ogni specie, stregoni, adoratori del caos e di tutte le sette sataniche si sono alleati con lo scopo di porre fine al problema `cacciatrici´.

Rimaneva un solo, ma cruciale, dilemma «Come fare?» le cacciatrici continuavano ad aumentare; nascevano, ma non morivano.

Molte riunioni seguirono, ma non risolsero niente, crearono solo attriti ed altri caduti tra i demoni.

Questo finché un uomo non fece una proposta «Invece di cercare un modo per sterminare completamente la razza delle cacciatrici perché non facciamo tornare le cose com’erano? Prima non si stava poi così male con una sola di loro!»

Un vampiro beffardo chiese «E come pensi di fare, un colpo di spugna e tutto come prima?» «Una magia ha cambiato la regola, una magia la farà tornare com’era. Una volta compiuto l’incantesimo resterà solo una cacciatrice in grado di crearne di nuove, tutte le altre, morendo non lasceranno traccia!». «Oh, che bello!»continuò il vampiro «Dovremo solo uccidere migliaia di cacciatrici» molti dei demoni presenti sembravano essere d’accordo con quello che era appena stato detto. «Pensateci bene!É vero, sono molte, ma in parte sono bambine e poi la maggior parte non sanno del loro potere. Inoltre» continuò «il fatto che non ne nascano altre è tutto a nostro vantaggio…» li aveva convinti e grazie a ciò aveva evitato il linciaggio.

 

Un mese dopo un grande incantesimo, compiuto da molti maghi, scosse il mondo della magia.

La regola era tornata alla forma originaria e le cacciatrici cominciarono a fare un po’ meno paura.

 

Mississipi, Cleveland, 24 settembre 2009

«Oggi cominceremo un nuovo argomento» disse Willow ai suoi allievi, che, a quelle parole rimasero ad ascoltarla più attentamente del solito sperando in un soggetto interessante. Tutti sanno quanto è difficile che una materia risulti piacevole e degna di attenzione per un adolescente, figuriamoci per un intero gruppo, soprattutto al liceo in cui i ragazzi hanno mille attività molto più importanti dello studio…

Willow era una brava insegnante e lo aveva dimostrato spesso, aveva dovuto, però, rimboccarsi le maniche e ritirare fuori tutta la sua pazienza.

 

 

Aquisgrana, anno 793

 

 

Non poteva esserci sfortuna peggiore, tra tulle le cose che potevano capitagli, proprio quella! Tra tutte le persone che c’erano al mondo, proprio a lui!

Mentre guardava i suoi simili bere sangue da quei cadaveri, un nodo chiuse la bocca del suo stomaco; nonostante l’istinto gli dicesse che avrebbe dovuti imitarli, la consapevolezza di ciò che aveva perso glielo impediva.

Aveva perso il suo riflesso e la luce del sole, ma soprattutto non aveva più tutto il potere che aveva un tempo.

Aveva dovuto scambiare il suo titolo nobiliare e la sua grande tenuta per una vita nei sobborghi più umili come uno dei tanti vampiri. Solo una settimana prima era uno degli uomini più stimati e temuti, ed ora solo uno dei molti senza nome di cui tutti ignoravano l’esistenza.

L’odore di quel liquido rosso e ferroso la cui vista l’aveva fatto rabbrividire ora lo stava chiamando, l’istinto stava avendo il sopravvento su di lui, evitandogli così un giorno insonne a causa dei morsi della fame.

La città sembrava indifferente a tutto e a tutti; ogni giorno si risvegliava ed andava avanti, era come un grande essere vivente con l’ambizione di crescere e raggiungere il massimo splendore senza preoccuparsi di sacrificare qualcosa di sé.

In quelle due settimane in cui aveva impianto la sua vita passata, quel vampiro si era reso conto della terribile verità: tutto ciò in cui aveva creduto e che l’avevano reso forte non erano che un miraggio. Una patetica illusione!

Si era sempre ritenuto indispensabile per il suo regno ed invece aveva scoperto che la sua scomparsa non era che una bazzecola. Certo, l’avevano pianto, avevano proclamato quale grande persona fosse stata, qualcuno si era persino rallegrato per la morte di un così scomodo rivale, ma poi la vita era continuata, come se nulla fosse successo.

«Questa è la peggiore delle maledizioni -disse bevendo il sangue di uno sventurato viaggiatore- poter vedere cosa segue alla propria morte! Ma non temere, tu sarai più fortunato!»

 

 

Inghilterra, Londra, 8 ottobre 2009

 

 

La notte stava per volgere al termine, non si vedeva ancora nessun chiarore verso est, ma il lungo sbadiglio della biondina era un chiaro segnale che il giorno era alle porte. «Andiamo a casa, io ho bisogno di dormire un po’! -disse mentre Sofia piantava un paletto nel cuore di un malcapitato, riducendolo in polvere- ormai è quasi giorno!». La brunetta guardò l’amica severamente, mentre questa faceva un altro sonoro sbadiglio che le fece lacrimare gli occhi assonnati. «Dobbiamo ancora pattugliare un quartiere, Evelyn!» la esortò Sofia.

«No! –disse Spike, fino a quel momento le aveva seguite e aiutate nella ronda senza quasi parlare- per oggi basta!». Evelyn sorrise felice di quella inaspettata fortuna, finalmente avrebbe potuto abbracciare il suo sospirato cuscino almeno per qualche ora e poi avrebbe dovuto adattarsi e sonnecchiare sui duri banchi di scuola. Sofia, invece, era di tutt’altro avviso, fissò Spike con sguardo diffidente mentre nella sua testa riecheggiavano le parole di Rona “Mai fidarsi di un vampiro, qualsiasi cosa dica o prometta, devi metterti sempre nell’ottica che un vampiro ha sempre qualche sporco proposito”.

«Su andiamo!» le disse Spike vedendo che non si era mossa di un passo «Dobbiamo ancora pattugliare un quartiere, non vedo ragione per non farlo!» lo sfidò Sofia con una voce gelida che non era la sua, l’amica la guardò accigliata, ma Spike non sembrava né stupito, né, tanto meno, intimorito. Si avvicinò a quella cacciatrice testarda studiando il suo sguardo, era chiaro che era in cerca di un confronto, avrebbe potuto giocare alla pari, ma non era venuto a Londra per battersi con una sedicenne cresciuta troppo in fretta. In fondo gli avevano affidato il compito d’osservatore e quello avrebbe fatto.

«Devi sapere –cominciò Spike distogliendo gli occhi dalla bruna e guardandosi attorno per poi tornare a fissarla- che una volta l’unica e sola cacciatrice passava tutta la sua vita combattendo demoni e forze oscure –disse a mo’ di filastrocca- ora le cose sono cambiate. Per una cacciatrice è possibile fare anche una vita come le altre persone.

Rimane un però!

Per fare una vita diurna bisogna dormire la notte, per fare una vita notturna bisogna dormire di giorno, quindi capisci da sola che per farle entrambe devi trovare un compromesso.

Puoi pattugliare ogni notte tutti i quartieri, ma se fai questo o rinunci alla tua vita come persona oppure una notte ti troverai così stanca e spossata che verrai battuta con estrema facilità.

Io non so che razza di vita conduci, ma anche se fosse orribile, buttarla via così sarebbe stupido!»

Detto questo, il silenzio li avvolse, Sofia non lo fissava più negli occhi, stava pensando al da farsi, le parole di quello strano essere che si atteggiava ad insegnante non l’avevano convinta ma solo confusa. Non sapendo cosa fare decise che per il momento andare a casa a riposare era la soluzione migliore, perché per quanto non le piacesse ammetterlo il discorso che gli era stato fatto era vero, almeno in parte, e forse dopo aver dormito qualche ora avrebbe avuto le idee più chiare.

Così Sofia raggiunse la sua amica e si avviarono verso casa.

Le parole sembravano essere state inghiottite dalla nebbiolina che ormai cominciava ad alzarsi; nessuno osava aprire bocca. «Come sono nati i vampiri?» chiese Evelyn, era come se fosse compito suo rompere il silenzio. «Scusa?» chiese Spike che non la stava ascoltando «Volevo sapere da dove vengono i vampiri, insomma so che un vampiro può darne vita ad altro mordendolo e facendogli bere il suo sangue –si spiegò allo sguardo esasperato dell’amica- ma, il primo vampiro da dove è saltato fuori» Spike sorrise «Ci sono tante teorie, una più strana dell’altra, ma non saprei dirti come sia andata veramente, sai non sono così vecchio da saperlo» Evelyn storse la bocca in segno di disappunto, ma lasciò perdere «Si può sapere perché lo volevi sapere?» chiese Sofia con il suo solito tono burbero «Così!» esclamò la piccina alzando le spalle.

 

 

Tanto tanto tempo fa…Preistoria

 

 

Quando la specie umana non era che un piccolo branco relegato sugli alberi da predatori e da feroci demoni, sembrava che nulla potesse salvarla da un’imminente estinzione.

Gli esseri umani avvertivano il pericolo, ma non avevano di che difendersi, tutto quello che possedevano e grazie al quale andavano avanti era la speranza. Potevano, infatti, solo augurarsi che quelle minacce restassero tali.

 

Non tutti gli uomini, a dir la verità, vivevano sugli alberi, alcuni si erano allontanati ed avevano trovato alti luoghi in cui vivere. Per queste persone trovare cibo era molto più difficile e la vita era senz’altro più dura, ma nonostante questo per niente al mondo sarebbero tornati a vivere con gli altri, consideravano le difficoltà, infatti, come il prezzo della loro libertà.

Ad uno di questi esseri umani, tornando nella sua caverna, capitò di trovare acquattato in un angolo buio, un grosso demone, tutto sporco di sangue a cause delle ferite. Ormai morente, il mostro, aveva trovato rifugio in quell’antro buio ed era spirato.

L’uomo scorgendo la sua enorme sagoma prima si era spaventato e nascosto, ma notando che la bestia non reagiva, uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò con passo prudente. Prese un bastone e glielo premette contro il braccio per controllare che non stesse dormendo e poi corse nuovamente a rifugiarsi in un angolo, vedendo che restava immobile provò a lanciargli un sasso, per essere certo che non stesse fingendo. Vedendo che il demone non reagiva si avvicinò brandendo una pietra appuntita e, contro ogni buon senso, se ne nutrì. Era da giorni che non metteva qualcosa sotto i denti, quindi aveva davvero bisogno di rifocillarsi , ma non fece in tempo a rallegrarsi della pancia finalmente piena che cominciò a sentirsi male. Il sangue del demone si stava diffondendo nel suo corpo ad enorme velocità, fino a raggiungere il suo cuore e quando anche questo fu imbevuto di quel letale veleno, si arrestò.

 

Dopo due giorni il demone si rialzò, non più nel suo corpo, ma in quello dell’essere umano che, senza rendersene conto, l’aveva fatto sopravvivere. Andò verso il laghetto, all’interno della caverna, e bevve, ma si rese conto che quel liquido cristallino non lo dissetava. Guardò il suo riflesso nell’acqua e si rese conto che era un volto perfettamente umano. Con le sue nuove mani tastò i tratti di quel volto sconosciuto: la pelle era estremamente fragile ed i denti smussati, non sarebbe stato facile sopravvivere in quello stato!

Pieno di rabbia prese il bastone che giaceva a terra e lo spezzò, dopo un attimo si rese conto che un normale essere umano non sarebbe riuscito a farlo con la stessa facilità, in quel momento si sentì molto più forte, come non lo era mai stato prima di allora!

Di colpo il demone fu consapevole della realtà, non si era impossessato di quel corpo, non del tutto almeno, lo stava solo condividendo con quel fragile essere umano. E questo non era tutto! Le loro conoscenze e le loro sensazioni si stavano fondendo; ad ogni istante che passava sentiva di perdere la sua identità, stavano cambiando entrambi e presto non ci sarebbe stata più distinzione tra loro.

 

Il demone, spaventato, tentò di scappare di uscire da quel corpo… e in un certo senso ci riuscì: gli occhi erano diventati gialli, proprio come un qualche giorno prima, i denti affilati ed il volto umano si era completamente sfigurato. Il demone andò ancora una volta a guardare il proprio riflesso nell’acqua, con sua gran sorpresa notò che stava svanendo. Ad ogni secondo che passava l’immagine si affievoliva.

Non potendo fuggire da quel corpo, scese a compromessi con la parta umana che ancora vi abitava. L’ultima cosa che pensò, come solo demone, fu che in fondo era stata una fortuna entrare in quel corpo così adatto a quel mondo tanto diverso dal luogo in cui veniva.

 

Il primo pensiero della nuova creatura, invece, fu quello di nutrirsi. Non più umano, né demone, non più vivo, ma nemmeno morto quella nuova creatura avrebbe dovuto essere inesistente, proprio come il suo riflesso ormai. Quando il vampiro tentò di uscire dalla grotta sentì un gran dolore e rientrò di corsa nella caverna: un raggio di sole l’aveva colpito.

 

California, Sunnydale, 12 ottobre 2009

 

 

Tutti i militari, scelti per quella missione, erano riuniti in un magazzino inutilizzato da qualche anno. Era antecedente a tutte le altre costruzioni, eretto in parte in mattoni in parte in lamiera e con altri materiali di fortuna. Era stato creato in un momento in cui non c’era tempo per fare le cose per bene. Qualche capocantiere l’aveva fabbricato come magazzino per contenere il necessario per erigere una nuova città

Sei anni prima il Governo si era trovato con una bella gatta a pelare: un’intera città sprofondata in un enorme cratere e i suoi abitanti fuggiti prima del disastro senza una buona ragione.

La situazione era stata risolta brillantemente, il tutto era stato dichiarato alla stampa sotto il nome di “calamità naturale”. Una catastrofe che, naturalmente, il Governo aveva previsto e grazie alla sua prontezza era riuscito ad organizzare quell’esodo di massa giusto in tempo.

La stampa si era messa subito in moto per cercare fondi per dare un tetto ai poveri sfollati che, furono ben lieti della versione datagli dal Governo in quanto è più facile credere ad una grande operazione militare segreta che a demoni ed energie mistiche.

Grazie ai soldi raccolti si era potuta costruire una nuova città che era stata battezzata ‘Sunnydale’ esattamente come quella vecchia, distante quanto basta dal cratere per evitare altri crolli.

Ma alla fine, come ogni altra notizia vecchia, Sunnydale fu presto dimenticata e come tacito monumento del crollo della vecchia città e della menzogna del Governo rimaneva solo quel magazzino. Forse quel deposito non era adatto per macchinari sofisticati anti-demone o armi laser, ma la voglia di dimenticare il passato era tale che lo rendeva ideale per le riunioni segreti.

 

Il caposquadra stava esponendo il punto della situazione per l’ennesima volta al suo team “Sono stati ritrovati i resti di uno stregone che lavorava per un progetto del governo…” un brusio d’insoddisfazione si levò dai soldati, qualcuno ironizzò «Il governo fa i guai e noi rimettiamo a posto». Riley, fingendo di non aver sentito, continuò il suo discorso «…che consisteva nel controllare con la magia particolari esemplari di demoni» il capitano Finn fece una pausa e finalmente il brusio cessò del tutto. «Dai suoi appunti» riprese «abbiamo scoperto che l’ostile aveva già dato segni d’irrequietezza, probabilmente perché attratto da qualche energia mistica. Da studi analoghi si è giunti alla conclusione che sono attratti dall’Inferno. Il nostro obiettivo è scoprire se il mostro si trova nelle vicinanze; questo fino a nuovo ordine. Non sappiamo se sia davvero qui, ma non è da escludere dunque massima all’erta!!!

Ricordatevi che il terreno intorno al Punto caldo è accidentato a causa dell’inabissamento della città avvenuto sei anni fa. Non conosciamo ancora le ragioni di questo fenomeno, quindi non sappiamo se questo possa riaccadere in futuro. Un’ultima cosa, non dimenticate che qui siete vicino alla “Bocca dell’inferno” dove risiedono la peggior varietà di demoni, quindi nessuno dovrà andare in giro da solo, portate sempre con voi un paletto, ANCHE in libera uscita, e soprattutto prima di appartarvi con una ragazza assicuratevi di poter vedere la sua immagine allo specchio. Ci siamo capiti!».

Gli uomini non erano molto entusiasti dell’ultima parte del discorso, ma nessuno avrebbe messo in discussione il capitano Finn, era molto ammirato, aveva la fama di aver evitato massacri grazie al suo intuito e alle sue precauzioni, era un grande uomo d’azione ma soprattutto era il nucleo stesso del gruppo.

 

Le ricognizioni erano cominciate e l’operazione aveva tutta l’aria di essere semplice se affrontata con giudizio. Era proprio questo il problema, per quanto Riley tentasse di nasconderlo c’era qualcosa che annebbiava la sua razionalità, quel terrore che aveva dentro di sé che quell’ultima volta che aveva visto Buffy era stata anche l’unica possibilità di chiarirsi con lei. Aveva questo dubbio dentro di sé da quando Willow gli aveva riferito tramite e-mail come avessero sconfitto Gloria e la morte di Buffy. Sì, quando aveva saputo che era morta gli si era gelato il sangue nelle vene “adesso capisco molte delle cose che mi ha detto” aveva pensato Riley.

Il cratere che si stendeva a qualche km dalla ricostruita Sunnydale non lo faceva stare meglio. Tutto ciò che gli rimaneva era un immenso vuoto, che solo la verità avrebbe potuto colmare; il problema è che nessuno può sapere se la realtà ti darà una gioia o un dolore e Riley non era sicuro di essere disposto a scoprirlo.

L’unica persona che si era accorta del cambiamento del capitano Finn, da quando si era cominciato a parlare di Sunnydale e ne intuiva i motivi, era Sam. Sapeva, infatti, cosa Sunnydale aveva significato per il marito e anche quanto può essere dura e breve la vita di una cacciatrice, ma l’addolorava molto non poter far nulla.

 

Gli ordini erano molto chiari indagare su nuovi demoni giunti da poco in città individuare la loro cavia e sopprimerla, nel frattempo evitare danni a civili ed eliminare più ostili possibili.

Così Riley, per smettere di rimuginare aveva deciso di non darsi un attimo di tregua gettandosi a capofitto nel lavoro, anche quando non era il suo turno…

Cominciò a fare ronde nei bassifondi e presso il cimitero sempre deciso a non avere niente a che fare con il passato. Era stato solo un caso a farlo finire sulla spiaggia in cui Buffy aveva letteralmente assassinato il pallone da rugby e alla diga dove Sam aveva conosciuto la cacciatrice bionda.

“Hai visto, sei riuscito tranquillamente a non far diventare un’ossessione l’idea che Buffy possa essere morta” così s’ingannava Riley “Non ho fatto nemmeno una piccola indagine” mentre pensava a questo si trovò faccia a faccia con un uomo, dietro a questi apparve uno della sua squadra che gli gridò: «è un vampiro!!» fu un attimo il capitano prese il suo paletto e lo conficcò nel cuore del demone; prima di scomparire in un mucchietto di cenere riuscì a dire «Pensare che ho appena evitato una cacciatrice!!!»

 

Aquisgrana, anno 793

 

Dopo i primi tempi, il demone aveva preso sopravvento in lui ed ora, stare con i suoi simili e bere sangue umano, cominciava a fagli piacere, anche se non si era ancora abituato al vino scadente. «Dai Bruit, -gli gridò uno dei suoi compagni di quella sera- che ne dici di fare una gara per rendere più interessante la notte?» «Dicci le regole» «Facciamo così,- riprese urlando e tracannando l’ennesima caraffa di vino- il primo che uccide qualcuno e lo porta qui vince!» detto questo si mise a ridere da solo, mentre un coro di dissensi si levava dai compagni di bevute. «Ancora questo gioco –mugugnò un altro- l’abbiamo fatto anche due sere fa!»

«Io avrei una proposta –disse Bruit, e tutti tacquero per ascoltarlo- il primo che riesce a portare un sant’uomo in questo locale senza minacce ma solo con l’inganno vince» nessuno dava segno di aver capito la proposta tutti fissavano davanti a se con gli occhi appannati dall’alcool «Non mi piacciono i giochi in cui si rimane a stomaco vuoto» bofonchiò uno di loro.

«Mi sembrava ovvio, una volta decretato il vincitore, serviremo i nostri ospiti per cena» disse con un sorrisetto divertito all’idea, quelle parole furono subito seguite da grida di gioia che indicavano inequivocabilmente che la gara era cominciata.

 

California, Sunnydale, 12 ottobre 2009

 

«Pensare che ho appena evitato una cacciatrice!!!»

 

«Sei stato grande!» si congratulò Brad «Come?!Oh, sì certo» rispose Riley come se fosse appena caduto da una nuvola e si fosse trovato in un mondo del tutto sconosciuto; ma essendo un ottimo soldato riuscì a riprendersi immediatamente «Mi spiace doverti ricordare che devi andare al quartier generale per il rapporto» disse riuscendo così a dissimulare il suo smarrimento «Ma sono in licenza!» cominciò a lamentarsi l’altro «Questo era solo un vampiro, la nostra missione è…» «Ogni attività degli ostili è inerente con il nostro lavoro ed ogni informazione preziosa» rispose Riley«Ma…» «Niente ma questo è un ordine. Ad ogni modo, fatto il rapporto, non vedo perché tu non possa tornare a divertirti» «Grazie» rispose quello molto più sollevato.

Riley continuò il suo giro, appena tornato però controllò subito il rapporto.

 

 

Inghilterra, Londra, 13 ottobre 2009

Tu… tu… tu… tu… tu…

Spike posò il ricevitore contrariato, possibile che fosse sempre irreperibile! Erano ore che tentava di chiamare il signor Giles per farsi spiegare dettagliatamente la ragione per cui l’aveva fatto venire fino a Londra. Tutto quello che sapeva era contenuto in una che l’osservatore gli aveva spedito per spiegagli la situazione, il guaio era che il testo della lettera faceva concorrenza ad un telegramma, sia per quantità di parole che per chiarezza, mancavano solo gli stop al posto dei punti.

 

“Rona a dovuto lasciare Londra per qualche tempo e mi serve qualcuno per sostituirla con le SIT, inoltre prima di partire mi ha riferito che aveva notato dei problemi in città e quindi bisogna provvedere.”

 

Il tutto era firmato con un’elegante firma all’inglese che occupava più spazio di tutto il resto.

 

 

California, Sunnydale, 13 ottobre 2009

 

 

Sam entrò nella stanza, sorrise nel vedere il marito intento a leggere `ancora scartoffie´ come le definiva sempre lui.

«Scoperto qualcosa di nuovo?» gli domandò «Come?» Riley sembrava molto sorpreso di vederla «Santo cielo, eri così intento a leggere che non ti sei nemmeno accorto che qualcuno è entrato!» lo schernì lei «Cosa c’è di così importante da non farti notare nemmeno tua moglie » «È solo un rapporto, un rapporto di Brad, sai ieri sera stava inseguendo un vampiro» bastò lo sguardo della moglie per far capire a Riley che voleva una risposta più esauriente. «Beh, Brad, come sai era in licenza così ho pensato di scoprire come avesse fatto quell’incontro; da quello che ha scritto Brad si trovava al `Brickwork´, sai quel locale…» «Sì lo so dove si trova, vai avanti» lo interruppe Sam «Beh, vedendo un ragazzo che non aveva l’immagine riflessa l’ha seguito per salvare la sua accompagnatrice che con molta probabilità sarebbe diventata presto il suo pasto» «E lui ha ucciso eroicamente il vampiro fine della storia, ho indovinato?!» tentò la moglie «Sbagliato!È qui che comincia il bello; non appena Brad è uscito il vampiro è scappato finché non me lo sono trovato davanti e l’ho polverizzato» «Perché mai il vampiro è scappato? Brad non ha certo l’aria di essere aggressivo o pericoloso» «Eppure quel vampiro ha avvertito un pericolo» «Chi Brad?!» «No il nostro demone» mentì Riley “o una cacciatrice” pensò Sam, ma non osò dirlo.

 

Mississipi, Cleveland, 13 ottobre 2009

«Ora rilassatevi, ricordate per fare un incantesimo dovete sentire il potere passarvi attraverso, ma non dovete mai farvi dominare da lui! Dovete sentirlo entrare ed uscire da voi, questo è molto, molto importante! Se vi capitasse una volta, anche una sola volta di sentire che siete voi ad avere bisogno del potere e non il contrario allora è meglio che smettiate subito con la magia!» così Willow spiegava alle sue tre allieve, due quindicenni e una bambina di nove anni, che stavano tentando di far levitare una matita.

«Chissà da dove viene la magia?» si chiese la più grande fissando l’oggetto giallo che le fluttuava davanti al naso e che dava segno di cadere da un momento all’altro.

«Ma da te no?!» le rispose la bambina con semplicità.

 

 

 

Preistoria

 

 

Tutto era precipitato da quando sulla Terra si erano aggiunti altri predatori. Erano diversi da quelli che gli esseri umani avevano dovuto affrontare fino a quel momento perché questi potevano prendere un aspetto umano.

All’inizio si erano verificate solo delle strane morti: la gente veniva trovata morta con dei strani segni sul collo. Così, per difendersi gli esseri umani avevano fatto l’unica cosa ragionevole: tutto era cominciato con l’arrivo di uno straniero, tutto sarebbe finito mandando via lo straniero. Il ragionamento, però, non funzionò bene in pratica quanto funzionava in teoria.

Troppo tardi gli uomini si resero conto che la causa della loro decimazione erano loro stessi, o meglio, persone che un tempo appartenevano al loro gruppo. E ancora più tardi si resero conto che i loro cari erano troppo cambiati per tornare ad essere come prima.

La verità, però, fu il colpo di grazia! Gli esseri umani sopravvissuti, ormai consapevoli di non avere più un posto sicuro dove rifugiarsi o di persone di cui fidarsi furono sopraffatte dal caos.

 

L’unico modo per difendersi era trovarsi ogni giorno in un punto stabilito protetti dal sole e diffidare di chiunque non si presentasse. Non era difficile immaginare che un simile espediente non desse molta sicurezza; i giorni in cui il sole rimaneva nascosto dietro la nuvole provocavano un senso di panico generale.

 

La paura e le forti tensioni avevano indotto molti a sfidare i pericoli della foresta piuttosto che continuare a restare in mezzo a gente di cui non si poteva sapere le intenzioni, ma alcuni difendevano ancora la loro casa e la loro fiducia di avere un futuro.

 

C’era una bambina in una delle tribù degli esseri umani che era davvero speciale, guardandola si sarebbe detta una mocciosetta qualsiasi, ma in sé nascondeva un grande segreto. Tutti, prima o dopo, si erano accorti che non era un’orfanella qualunque. E da quel momento avevano cominciato a sognare un roseo futuro per la propria specie, che sarebbe arrivato quando quell’insolita bambina sarebbe diventata grande.

 

I vampiri era ormai ovunque e *lei* non era che una ragazzina, la ragazzina che tutti proteggevano.

 

Una notte, uno degli anziani, architettò un piano, ma perché funzionasse avrebbe dovuto agire in fretta ed in gran segreto, così senza attendere oltre si mise in cammino.

 

La brezza notturna portava con sé i profumi della frutta che maturava sugli alberi lasciando nell’aria un sapore dolciastro, i rami più sottili nel frattempo si lasciavano cullare dal lieve ritmo di quel venticello creando sconosciute melodie.

La foresta sembrava come tutte le altre notti, eppure un osservatore attento avrebbe potuto insinuare che fosse in attesa di qualche avvenimento; sì, tutto in lei dava l’idea di un grande essere vivente che tratteneva il respiro in attesa di qualche mutamento. Eppure il suo tentativo di non emettere suoni era coperto da ruggiti, suoni di passi, ronzii d’insetti.

Le stelle, nel frattempo, rimanevano impassibili a fissare il mondo continuando a lampeggiare ad intervalli di un battito di ciglia; l’unica che sembrava un po’ interessata al paesaggio sottostante era una falce di luna che sorrideva benigna a chiunque posasse uno sguardo benevolo su di lei.

 

L’uomo distolse uno sguardo dal cielo, un po’ sollevato: aveva sempre amato le falci di luna perché gli ricordavano un sorriso, il più bel sorriso che potesse vegliare sul mondo. Rincuorato da quell’immagine dolce, il saggio continuò a camminare verso il suo obiettivo.

Se qualcuno avesse visto quell’uomo passare da un albero all’altro e se non ci fossero stati i rumori della foresta di contorno si sarebbe potuto pensare di essere sordi, perché ad ogni suo movimento non corrispondeva nessun rumore.

 

Il saggio, raggiunta la sua metà si fermò, si avvicinò di soppiatto ad un ragazzo, un quindicenne probabilmente, che dormiva rannicchiato in un letto di foglie e pelli ormai logore.

L’uomo gli posò una mano sulla spalla e lo scosse debolmente chiamandolo per nome. Il ragazzo dapprima sembrò non capire, gli occhi erano appannati per il sonno e la testa ancora intorpidita, ma il vecchio non aveva tempo di aspettare che si svegliasse del tutto, doveva fare presto affinché il piano riuscisse.

Il ragazzo non protestò e seguì l’uomo senza fare domande.

 

Appena prima di arrivare a destinazione il saggio si arrestò: doveva spiegare al ragazzo la sua idea, ma prima di ogni cosa doveva dimostragli di non essere uno di quei demoni con il volto umano. Il saggio si sporse su un piccolo stagno mostrando, al suo giovane accompagnatore, il proprio volto riflesso; il ragazzo sembrò rilassarsi a quell’immagine e smise di pensare alla piccola arma di legno che teneva nascosta tra i vestiti.

 

 

Tutto di quei semi-umani dava l’idea che fossero irreali: non avevano un’ombra, non avevano un riflesso, il loro mondo era il buio e sbucavano così all’improvviso che sembravano comparsi dal nulla eppure riuscivano a creare tanta morte e disperazione e questo toglieva ogni dubbio sulla loro concretezza.

 

 

L’alba cominciava a dipingere il cielo scuro con il suo candore e le lunghe onde degli alberi cominciavano a ridelinearsi sul terreno umido. Era il momento in cui la natura dormiva davvero, in quell’attimo in cui il cielo diventava color latte niente osava muoversi, infatti, come ogni giorno, gli esseri notturni andavano a nascondersi nelle loro tane e quelli diurni ne uscivano per continuare la lotta per la sopravvivenza, ma durante il cambio della guardia c’era un istante in cui tutto era immobile.

Tutto mutava al risveglio del sole, l’atmosfera, i suoni e perfino gli odori non erano più gli stessi.

 

Solo lo scalpiccio di una bambina e i passi affrettati di un ragazzo erano rimasti gli stessi, l’arrivo del giorno non gli aveva fermati.

Dovevano fare presto perché le belve feroci si stavano risvegliando. Il saggio era stato molto chiaro, dovevano raggiungere delle grotte che si trovavano in una spaccatura della montagna, erano difficile arrivarci, ma erano un ottimo posto per nascondersi. Nessuno avrebbe trovato la bambina in quel posto, l’unica pecca era che se il vecchio fosse diventato uno di quei demoni gli avrebbe rivelato il loro nascondigli, ma il saggio aveva pensato anche a questo e non appena fu solo si tolse la vita sperando di aver scelto la persona giusta per quell’impresa.

 

La bambina guardava il suo accompagnatore con crescente curiosità, non sapeva dove fossero diretti, ne la ragione del viaggio; aveva seguito il ragazzo senza fare storie solo perché si fidava ciecamente di lui. Nonostante non fossero consanguinei lo considerava come la sua famiglia, nessuno sapeva la ragione di tanta fiducia, ma, a dirla tutta, nessuno capiva davvero il potere di quella piccina.

 

Rami, insetti e foglie secche cedevano sotto il peso dei passi con piccoli CRACK che potevano essere sentiti solo da orecchie tese.

Ma nonostante tutte le precauzioni prese, qualcuno, o meglio, qualcosa li aveva fiutati ed ora li stava inseguendo,

 

Il ragazzo continuava a farsi strada tra le fronde degli alberi che, nonostante fossero nel cuore della foresta, si stavano diradando sempre più.

Il cuore gli batteva a mille, come se avvertisse un pericolo che la mente stentava a percepire; istintivamente strinse la mano attorno a quella della piccola, che lo fissò con i suoi occhi penetranti nel tentativo di capirne la ragione.

Il ragazzo accelerò il passo, adesso distingueva chiaramente la minaccia, non avrebbe potuto dire né il numero né la specie a cui gli inseguitori appartenevano, ma di certo non aveva intenzione di lasciarsi raggiungere per scoprirlo.

 

Nel mezzo della foresta c’era come un tunnel, da quel poco che si sapeva quel passaggio era lì dall’inizio dei tempi. All’apparenza sembrava solo un’anomalia della foresta, un lungo corridoio in cui gli alberi sembravano via via scomparire.

I racconti dicevano che nessuno era mai tornato dopo aver imboccato quella strada, ma dicevano anche che il luogo in cui il tunnel portava era un luogo diverso da ogni altro, un posto dove non c’erano esseri viventi. Qualche ascoltatore critico aveva tentato di far osservare che quelle storie non avevano senso, che non era possibile descrivere un luogo da cui nessuno è tornato, ma i saggi, coloro che narravano, spiegavano che non tutto si vede con gli occhi. Un’altra cosa curiosa su questo passaggio era la difficoltà con cui si trovava, “nessuno poteva trovarlo due volte sul proprio cammino” così recitavano le leggende, era come se cambiasse luogo ogni volta per poter rimanere avvolto nel proprio mistero.

I ragazzi correvano e correvano a perdifiato e non si erano accorti di aver imboccato proprio quella strada

 

La bambina continuava a guardarsi attorno sempre più terrorizzata, non le piaceva ciò che vedeva attorno a sé, gli alberi che si diradavano ad ogni passo, gli animali che sembravano essere scomparsi da quel pezzo di foresta; tutto questo le diceva che avrebbero dovuto cambiare via. La sua guida, però, non sembrava essersi accorta del pericolo a cui andavano incontro ma solo di quello che avevano alle spalle e per sfuggigli continuava a correre dritto davanti a sé. La piccola aveva altre ragioni per essere spaventata, nella sua mente non facevano che vorticare mille immagini: del fuoco, il ragazzo disteso sul suolo esanime, ancora il fuoco, una luce abbagliante, gli occhi sbarrati della sua guida, la sabbia, tanta sabbia…

La bambina sapeva che ogni volta che aveva avuto una visione, questa si era avverata, nessuno aveva mai trovato un sistema per evitare il compimento delle sue predizioni; era questa una delle ragioni per cui tutti la proteggevano e allo stesso tempo la temevano.

 

Ormai erano arrivati alla fine del tunnel, gli alberi erano quasi del tutto scomparsi ed il sole puntava i suoi raggi dritto verso di loro abbagliandoli, uno degli inseguitori si era messo a correre furiosamente e fece un balzo dritto verso il suo pranzo, la bambina avrebbe tanto voluto fermare quello che stava per avvenire, ma il tutto si svolse in un battito di ciglia.

Senza preavviso il corridoio finì e sia il demone che il ragazzo si trovarono a precipitare nel vuoto, riuscirono a scorgere per un istante il dirupo dal quale erano caduti e poi…

La bambina vide avverarsi la propria visione sotto i propri occhi, impotente nonostante tutto il suo potere.

 

Alla piccola ci volle un po’ di tempo prima di discendere il dirupo, e quando arrivò in fondo e appoggiò i piedi nudi sulla sabbia calda sentì una sensazione indescrivibile attraversarle il corpo. L’effetto non era ancora svanito, ma lei si diresse verso il corpo ormai vuoto del ragazzo.

Non guardò nient’altro, non notò che il corpo del demone aveva preso fuoco nell’istante stesso in cui aveva toccato il suolo, né che gli altri inseguitori erano scomparsi e neppure che la foresta ed il dirupo da cui era scesa si erano volatilizzati.

 

Si accoccolò a lato del ragazzo, con la testa appoggiata alla sua schiena, quasi aspettandosi di sentirlo respirare. Poco lontano da lei c’era un masso gigantesco e alla base si poteva notare l’ingresso di una caverna. Quando la piccola posò il suo sguardo su di essa vide una ragazza incatenata e degli uomini con dei bastoni che producevano una musica inquietante; la ragazza tentava in tutti i modi di liberarsi, poi qualcosa di oscuro le entrò dentro… la bambina chiuse gli occhi e la visione finì, era stufa di vedere e non poter far niente.

 

Rimase lì, immobile con gli occhi chiusi per molto tempo, sentendo il corpo sotto di lei diventare via via sempre più gelido e percependo il tramonto del sole e il silenzio della notte.

 

California, Sunnydale, 16 ottobre 2009

 

 

Tutti i giorni il gruppo dei soldati si divideva per l’ora dei pasti, perché era un bel modo per controllare la città senza dare troppo nell’occhio. Così qualche giorno dopo Sam propose a Brad di pranzare con lei visto che Riley era impegnato. Presero posto ad un tavolino all’aperto e ordinarono insalata e un hot dog e cominciarono a chiacchierare. «Che ore sono?» chiese ad un certo punto il ragazzo «Non preoccuparti abbiamo ancora un quarto d’ora prima del ritorno» «Meno male è già un paio di volte che arrivo in ritardo e ti assicuro che è davvero orribile» «Ne ho una vaga idea, cambiando discorso -disse, cercando di arrivare all’argomento che le premeva- ho sentito dire che hai avuto un incontro del 4° tipo» «Pare proprio di sì, e pensare che avevo fatto colpo su una bella ragazza, io ancora non capisco perché sia scappato» si chiese il ragazzo senza riuscire a trovare una risposta. Fortunatamente Sam conosceva già la vicenda altrimenti non avrebbe mai capito i riferimenti disconnessi di Brad. «Forse ha capito che potevi essere un pericolo per lui» «Chi io?! -rispose Brad sorpreso- A parte io e quelle due ragazze non c’era nessun altro e ti assicuro che nessuno di noi tre era un valido avversario per quel mostro dai canini affilati!» «Tre?» l’attenzione di Sam era stata attratta da quel piccolo numero che forse avrebbe potuto chiarire la vicenda «Sì, una era a terra spaventata l’altra sembrava appartenere a una banda perché era pronta a combattere a suon di pugni e calci. Fortunatamente sono arrivato io altrimenti l’avrebbe massacrata e sarebbe stato un peccato perché era molto carina! Adesso è meglio che mi avvii, purtroppo il caposquadra non è mio marito e se non arrivo giusto è la volta buona che mi dà turni di ronda finché campo» “E se la ragazza carina fosse stata Buffy?” pensò Sam mentre tornava alla base, in fondo avrebbe potuto essere possibile.

La signora Finn aveva tutta l’intenzione di chiarirsi una volta per tutte con il marito, era stufa di continuarci a girare attorno, il problema rimaneva: le probabilità che la cacciatrice fosse morta erano tante e l’unico modo per sapere la verità era cercarla. Sì, gli avrebbe detto proprio così ‘Per scoprire la verità bisogna cercarla’ e non avrebbe accettato repliche.

 

Possibile che quando una persona prende una decisione risoluta tutto le si metta contro!

 

Quando arrivò alla grotta in cui avevano depositato tutto il loro equipaggiamento, scoprì che Riley non era ancora arrivato, era in ritardo. Questo era molto preoccupante, non era da lui. A meno che… non fosse andato a cercare Buffy… in fondo poteva aver pensato anche lui che la terza ragazza poteva essere benissimo lei.

Dopo una decina di minuti, però, era già di ritorno a spiegare il motivo del suo ritardo «Ho importanti notizie abbiamo trovato il nostro demone.» Tutti sembravano molto colpiti dall’annuncio, fino a qualche minuto prima erano tutti convinti che il mostro non si trovasse affatto a Sunnydale «Ho appena parlato con il maggiore Spitefull -continuò il capitano- che mi ha riferito che lo hanno localizzato presso Cleeveland. Il maggiore ci ha ordinato di lasciare immediatamente questa città e raggiungerlo il prima possibile»

Sam come tutti era contenta della buona notizia, ma l’idea che la storia ‘Buffy’ non fosse chiusa, e forse non lo sarebbe mai stata, la faceva soffrire molto. Non tanto perché pensava che Riley l’avrebbe lasciata per la sua vecchia fiamma, ma perché sapeva che il marito si sentiva angosciato e questo creava una forte spaccatura fra loro.

Tutta l’attrezzatura fu, in breve, smontata e impacchettata per bene giusto in tempo per caricarla sull’elicottero ed andarsene da Sunnydale verso un nuovo inferno…

 

Mississipi, Cleveland, 16 ottobre 2009

 

 

Il viaggio da compiere era lungo: prima in elicottero fino alla pista di atterraggio, poi trasportati fino alla base dell’esercito più vicino a Cleveland dove si sarebbero rifocillati e ripuliti prima di compiere l’ultima tappa del viaggio.

 

La pioggia aveva appena cominciato a cadere quando i soldati scesero dall’aereo; si diressero ognuno nella stanza che gli era stata assegnata.

 

Sam varcò una porta grigia…e si trovò in un cubicolo nella quale non c’era che una branda e un tavolino in metallo, che avrebbe dovuto essere il comodino. Non era certo un problema per lei, durante tutti quegli anni in giro per il mondo a combattere demoni aveva dovuto adattarsi a condizioni ben peggiori.

Si sedette sul letto, quasi meccanicamente, aveva mangiato, a differenza dei suoi compagni, senza dire una parola, senza ascoltare nessuno, Riley non aveva cenato con loro, come suo solito stava raccogliendo più informazioni possibili sulla loro nuova meta per non trovarsi impreparato.

Sam si sentiva strana un misto fra delusione e rabbia;

No, proprio non capiva il marito, sapeva che ogni volta che sentiva pronunciare il nome Buffy qualcosa il lui cambiava: la sua parte debole ed incerta tornava a farsi sentire. Sapeva che per lei era andato contro la sua natura; per lei, per tutto quello che gli aveva detto, aveva disertato!

Quando Riley glielo aveva raccontato le era riuscito difficile crederlo. Eppure l’aveva fatto.

Ma la cosa che proprio non capiva era il comportamento del marito a Sunnydale. La prima volta che Riley aveva rivisto Buffy era normale che fosse nervoso, che temesse quell’incontro; altrettanto normale era temere che fosse morta, “Ma perché non tentare di scoprirlo, maledizione, perché mentire?!”. Ecco il pensiero che la faceva sentire così irrequieta era uscito “Perché non si era confidato almeno con lei?”

Pensare, rimuginare e pesare…Sam continuò a seguire l’onda delle sue riflessioni finché queste non si trasformarono pian piano in sogni…

 

Era lì, ma lì dove? Era nel vuoto più assoluto…poi all’improvviso cominciò a sentire delle voci dietro di sé. Si voltava. Le voci si erano spostate ed erano ancora alle sue spalle. Non riusciva a capire né di chi fossero, né cosa stessero dicendo eppure si sentiva male a sentirle. All’improvviso si trovò davanti al suo capo che non faceva che dagli ordini, una strana forza lo obbligava ad ubbidire senza potersi opporre… e poi ancora vuoto…

 

TOC TOC…TOC TOC

 

Riley si svegliò di soprassalto a causa dell’incessante bussare, era tutto sudano per l’incubo appena fatto; guardò l’orologio erano le 4:00. Il maggiore Spitefull era al telefono e chiedeva urgentemente la presenza di tutta la squadra, avevano due ore di tempo per prepararsi e partire. «Un’ultima cosa» disse il maggiore «dovete arrivare in abiti civili…»

Riley strappò dai loro letti tutti i membri della squadra e diede loro le nuove disposizioni: arrivare a Cleveland in gruppi separati; alle otto esatte si sarebbero trovati in punti stabiliti; qui avrebbero ricevuto ulteriori ordini.

 

 

 

Mississipi, Cleveland, 17 ottobre 2009

 

Ovviamente Riley e Sam andarono insieme come due normalissimi coniugi.

Durante il tragitto Sam scorse un negozietto con dei piccoli abitini, avrebbe tanto voluto avere dei bambini. L’idea di lasciare il marito solo a quel difficile lavoro, di doverlo aspettare con l’ansia senza sapere né dove fosse né come stesse, la straziava; ma soprattutto desiderava che suo figlio avesse accanto entrambi i genitori.

Aveva già provato a proporre a Riley di farsi assegnare ad una caserma, lontano da inferni e mostri, ma lui era stato irremovibile «Faccio il più bel lavoro del mondo e non ho intenzione di lasciarlo, non adesso!». Così si era chiusa la questione e non era più stata riaperta. Era stata ferita da quelle parole, ma non l’aveva dato a vedere; dopo quello che era accaduto a Sunnydale, però, le facevano ancora più male.

Un dubbio si era insediato nel suo cuore, un dubbio che prima di allora non l’aveva mai sfiorata, il timore che tutto l’attaccamento di Riley per il suo lavoro fosse dovuto a Buffy. Per lei l’aveva lasciato e per questo aveva sofferto, si era sentito una nullità. Senza il suo lavoro Riley aveva cominciato a non sentirsi più all’altezza della cacciatrice, ma non solo, la sua breve esperienza da civile gli aveva dimostrato la sua incapacità ad affrontare quel tipo di vita. Ed ora si rifiutava di accettare un qualsiasi incarico che potesse, anche vagamente, avvicinarlo a quell’esistenza fatta di routine e normalità.

“Non avrebbe più compiuto quell’errore che l’avrebbe nuovamente fatto sentire inutile”. Sì, doveva essere questa l’idea che frullava nella testa del marito.

 

 

Willow accolse il trillo della sveglia con un mugolio di disapprovazione, alzò il braccio e, a tentoni, cercò il pulsante per farlo smettere.

Un attimo dopo era seduta sul letto fissando il vuoto, aspettando che il cervello riprendesse la sua normale attività.

Si alzò ancora assonnata e si diresse verso il bagno sperando che almeno l’acqua fredda avesse il potere di accelerare il doloroso risveglio.

 

 

Riley si accorse che la moglie lo stava guardando in modo strano «cosa c’è?» Sam, tornata coi piedi per terra a quelle parole gli rispose «eh…? Ero solo soprappensiero» «A cosa stavi pensando?» «Beh! Niente di particolare… sai, mi è venuto in mente che è molto che non abbiamo notizie della tua famiglia…» riuscì a dissimulare Sam. «Hai ragione! Appena ho un po’ di tempo libero li chiamo, scommetto che la mamma mi sgriderà perché non le lascio mai il mio numero di telefono, non riesco proprio a farle capire che è segreto».

Riley sorrise all’idea della madre che cercava invano di tirargli fuori di bocca qualche informazione riservata, solo per avere qualcosa di nuovo da raccontare alle vicine.

 

 

A volte era davvero difficile vivere da sola, ogni giorno alzarsi ed andare a dormire senza nessuno accanto, ma questa era stata la cosa più giusta da fare, di questo Willow ne era convinta.

Voleva molto bene a Kennedy, la sua presenza l’aveva aiutata molto, le aveva permesso di cominciare ad uscire da quel baratro in cui la magia e la morte di Tara l’avevano gettata.

Forse era stato proprio quello il problema tra di loro: Kennedy le aveva indicato la via, ma per uscire dal buio in cui era caduta doveva essere da sola.

Ogni giorno, come la maggior parte delle persone si alzava ad andava al lavoro; ed anche quella giornata non sarebbe stata diversa dalle altre

 

 

«Secondo te perché ci hanno fatto entrare in gruppi separati ed in abiti civili?» chiese Sam cercando un argomento prima che calasse il silenzio «Dalla telefonata del maggiore Spitefull -le rispose un po’ preoccupato- mi è sembrato di capire che oltre al nostro demone c’è qualcos’altro in giro, qualcosa che attira i demoni e li spaventa al tempo stesso. Non conoscendo la natura del nemico il maggiore ha preso queste precauzioni» «Dunque il nostro prudente arrivo potrebbe essere anche una perdita di tempo per quel che ne sappiamo» «Beh, immagino di sì» le rispose perplesso Riley.

« Io credo di no!» i due si voltarono, era il maggiore in persona che detto questo gli fece un cenno per farsi seguire.

 

 

Willow cercò la salvietta, con gli occhi chiusi, e se la portò al viso per asciugarlo, nello stesso tempo continuava a muovere le dita dei piedi per limitare il contatto con il pavimento gelido.

“potrebbero far passare i tubi dell’acqua calda sotto i pavimenti come nell’antica Roma…” pensò mentre tornava in camera per cercare le ciabatte.

 

 

Li condusse fino ad una vecchia casa in mattoni rossi, che si faceva notare in mezzo a quegli squallidi palazzi intonacati. Le poche ante aperte permettevano di vedere delle tendine bianche che impedivano di scorgere cosa ci fosse al suo interno. L’unico segno che tradiva la presenza di gente era una mano alla finestra del secondo piano che compì uno strano gesto. Il maggiore se ne accorse e gli rispose con la stessa mossa; il trio salì le scalette davanti all’ingresso ed entrò.

L’interno era diviso in vari settori, come presto poterono costatare: una parte era rimasta arredata come in origine, si trattava del pian terreno che era usato come copertura, ma per il resto era un centro operativo a tutti gli effetti. Strumenti di ogni genere erano stati installati in tutto il secondo piano, dove tecnici scelti traevano informazioni vitali o mortali, secondo il punto di vista.

Sam e Riley dopo una breve gita turistica, furono condotti nella cantina dove scoprirono si trovava ‘la sala riunioni’ come la chiamava il maggiore.

 

Quando tutti furono arrivati il maggiore si schiarì la voce e cominciò «Tutti voi vi starete chiedendo come mai tutte queste precauzioni per un demone, la risposta è questa: da quando siamo qui sono accaduti fatti insoliti» si schiarì di nuovo la voce e proseguì «Abbiamo rilevato ormoni lasciati dalla nostra cavia e da altri suoi simili, ma di loro neanche l’ombra, sembra che questi ostili arrivino qui e vengano inghiottiti dal nulla. Inoltre i nostri stregoni hanno captato pratiche magiche compiute da persone molto potenti e, come se non bastasse, abbiamo subito due aggressioni: una fatale e l’altra in pieno giorno. Queste sono, in breve, le ragioni del vostro arrivo in questo modo. So che ad un soldato non servono tutte queste spiegazioni per compiere una missione. Il motivo, per cui vi sono state date, è per farvi capire quel qualcosa da cui potrebbe dipendere la lunga o breve durata della vostra vita: qui siete in territorio nemico, non dimenticatelo!» disse le sue ultime parole con un tono solenne e allo stesso tempo di minaccia come solo lui sapeva fare.

 

 

 

 

Inghilterra, Londra, 18 ottobre 2009

 

La notte era resa più pesante dalla nebbia che, come un sinuoso serpente, aveva invaso tutta la capitale; i lampioni, le luci tutto veniva offuscato da quelle goccioline sospese a mezz’aria rendendo il paesaggio irreale.

 

Era chiaro che i londinesi erano ormai abituati, l’umidità e l’ora tarda non sembrava spaventarli, e per le strade si potevano incontrare ragazzi camminare lungo i marciapiedi ridendo e scherzando tra di loro.

La maggior parte dei rumori, che si spostavano nell’aria, provenivano da un punto ben preciso; si potevano distinguere chiaramente i rombi delle moto ed il brusio delle automobili e le risa e le chiacchiere di sottofondo.

 

Spike si stava avvicinando al punto da cui proveniva tutto quel casino tenendo sotto il braccio una piccola scatola di legno ormai logora. Voltato l’angolo si trovò davanti ad un locale con un’enorme insegna al neon, anch’essa offuscata dalla nebbia; l’ingresso pullulava di gente che stava aspettando il proprio turno per entrare e nel frattempo riempiva la notte di suoni.

 

Ragazze in minigonna ancheggiavano fino all’ingresso fingendo di non sapere che molti dei presenti seguivano con lo sguardo i loro movimenti. Alcuni ragazzi sembravano sul punto di mettersi a saltellare per la gioia, dato che, dopo un’estenuante attesa, avevano finalmente l’età adatta per entrare in un simile locale; mentre i veterani del sabato sera erano lì perché consideravano un vero e proprio delitto non uscire.

 

Spike per un attimo pensò di unirsi a loro, non sarebbe stato male passare una notte come una volta: bevendo e conoscendo gente nuova… poi guardò il cofanetto che teneva in mano e sorrise “no, non poteva proprio fermarsi, aveva altro da fare…”

 

 

Mississipi, Cleveland, 19 ottobre 2009

 

«Siete in territorio nemico -disse Brad con voce grossa imitando il maggiore- è mai possibile che quell’uomo pensi sempre che tutto ci attaccherà da un momento all’altro?! Durante l’addestramento mi hanno insegnato che non è così strano che accadano fatti del genere presso un luogo mistico» «Sì, bello!» gli rispose la sua compagna «e quando gli ho fatto notare tutto ciò -continuò lui- si è messo a sbraitare e…» «Sì, bello!» «Ehi! Non mi stai ascoltando!!!» «nemmeno tu se è per questo!» «No, io ti ho ascoltato: hai detto `sì, bello!´» «Certo che l’ho detto, era da molto che non passeggiavo tra negozi di vestiti e bei ragazzi, insomma sai…» «Lo sai che i negozi di bei ragazzi non esistono?» «Sì, lo so è un vero peccato! Ma è un commercio che non ha futuro a causa della rarità della merce» «Piantala! Facciamo questa ronda in pieno giorno ed in pieno centro» disse brontolando «Se tu fossi stato con noi nel deserto, ora non ti lamenteresti!» «E’ mai possibile che tutti quanti, in un modo o nell’altro, mi sottolineiate sempre che sono alla prima missione!!!» «Io non stavo sottolineando proprio un bel niente! -le rispose lei notevolmente stizzita- ho odiato essere l’ultima arrivata e così mi sono ripromessa di non trattare nessuno dall’alto al basso solo perché non ha esperienza, se ha gusti orridi sì, ma per mancanza d’esperienza mai! E questo lo sottolineo!» «Scusa» le rispose Brad un po’ imbarazzato «E ti avviso, questa cosa del nonnismo non finirà certo quando avrai portato a termine delle missioni, nossignore, finirà solamente quando arriverà un’altra povera matricola da bersagliare al tuo posto. É il cerchio della vita, quindi stringi i denti e resisti».

«Bene» disse un po’ più sollevato «Un momento! Il team acquisisce nuovi membri solo quando…» «Beh è ovvio -lo interruppe Nancy- quando qualcuno di noi viene trasferito o lascia il lavoro o muore» «Cavoli!»

«Secondo te -riprese lei con tutt’altro tono- mi dona di più quella nera o quella rossa?» disse indicando due minigonne. Lui le sorrise, le mise un braccio intorno al collo e, con gran sorpresa di Nancy, la trascinò via.

 

«Allora soldato Johnson, come è andata la ronda?» «Beh…» rispose Nancy «tanta gente, tanti negozi di vario genere come ogni città all’ora di punta e…» Riley la interruppe prima che aggiungesse uno dei suoi personalissimi commenti «segno di ostili?» «Negativo, signore!» «Puoi andare» «Grazie, signore!».Il capitano Finn la osservò andarsene, Nancy con le sue stranezze e contro ogni aspettativa si era sempre rivelata un ottimo soldato.

«Ciao» lo salutò Sam «a cosa stai pensando?» «Mi stavo chiedendo perché una ragazza come Nancy Johnson sia finita a fare il nostro lavoro» «Secondo me, è una domanda senza risposta sai?!» ironizzò lei; pochi giorni lontano da Sunnydale e tutte le sue paure sembravano essere svanite, come risucchiate da un buco nero. «Sbrigati pigrone!» continuò lei «Stasera tocca a te per la ronda con Tom». Riley la squadrò «Potrei punirti seriamente per questo» «Perché?» chiese lei sorpresa «Cosa ho…» «Offesa ad un superiore.» «Che cosa?» balbettò lei incredula senza capire «Io non sono pigro, chiaro?!» disse lui imbronciato e Sam non poté che scoppiare a ridere.

 

 

 

«Uff, ma dov’è finita Willow?»

«È al telefono, non hai sentito che prima ha suonato?»

«Certo che l’ho sentito, quello che intendevo dire è che è incollata a quella cornetta da mezzora! Ed io ho voglia di esercitarmi con qualche incantesimo, hai capito mocciosetta!»

«Non chiamarmi mocciosetta!»

«La volete smettere voi due, sto cercando di studiare!» sbottò la ragazza dai lunghi capelli neri seduta a gambe incrociate su una sedia

«Che cosa sta studiando la grande Alexandra?» la derise l’altra.

Alexandra, senza staccare la testa dal libro che teneva appoggiato alle gambe, le rispose con una calma esasperante «E dai smettila Meg, lo sai che mi piacerebbe andare al college, e visto le mie “grandi” risorse economiche, devo mirare alla borsa di studio. E con l’addestramento per cacciatrici e le lezioni di Willow sulla magia non mi rimane molto tempo per studiare.»

Meg tentò di risponderle, ma la piccolina la batté sul tempo «Anche a me piacerebbe andare al college!» «Ma se non hai nemmeno l’età per andare al liceo?!»

«Meg, smettila di prenderla in giro solo perché è piccola! -Alexandra cercò di incoraggiarla - Susan non darle retta, fai bene a pensare a quello che vorresti fare» alzò la testa dal suo libro e sorrise alla piccina, cosa che fece arrabbiare Meg.

«Anch’io so quello che voglio fare in futuro -cominciò Meg decisamente alterata- anzi, penso che comincerò subito!» non aveva ancora finito di pronunciare le ultime parole che dal tavolo al centro della stanza si alzò una pila di libri che rimase a galleggiare a mezz’aria.

«Meg, mettili giù -le ordinò Alexandra che aveva dimenticato il suo libro e ora osservava quegli antichi volumi fluttuare- se ti cadono rischi di romperli, quei libri hanno circa 1200 anni!»

«La grande Alexandra si degna di guardarmi mentre mi parla, facciamo progressi! Io so a cosa stai pensando…» «E da quando leggi nel pensiero!» la interruppe Susan «Io non leggo nel pensiero, ma, a differenza di te, ho qualcosa che si chiama INTUITO. Tu -disse rivolgendosi nuovamente alla più grande- pensi che io non sia in grado di tener sollevato un paio di libri solo perché seguo le lezioni di Willow da solo una settimana e mezza, *ma* forse io sono una strega migliore di te!»

Alexandra alzò gli occhi al cielo, possibile che quella ragazza viziata dai capelli rossi e ricci cercasse sempre il confronto con lei, non poteva semplicemente impegnarsi e basta, invece di passare il tempo ad inventare modi per sembrare un talento della magia. «Quelli non sono un paio di libri -cercò di farla ragionare- e se dovessero cadere saremmo in guai seri, quei manoscritti non sono mai stati letti, sono stati ritrovati in una cripta solo un mese fa nel Nord della Francia. Non capisci che se si rompono nessuno potrà mai leggerli!»

«Sono solo libri, i libri non si rompono se cadono!» le disse Meg canzonandola «I libri con più di mille anni sì» le fece notare Alexandra. Meg stava per risponderle quando si accorse che qualcosa non andava «Dov’è finita Susan?» Susan, che era rimasta fino a quel momento ignorata nel suo angolino ad assistere alla discussione, adesso non c’era più. Nemmeno Alexandra si era accorta che la piccola era uscita dalla stanza, presa com’era a tentare di convincere quella testona di Meg a mettere giù i manoscritti. «Forse è andata da Willow» disse soprapensiero la ragazza dai lunghi capelli neri. «Cosa?!» esclamò Meg con voce soffocata e si diresse verso la porta, dimenticandosi dei libri che precipitarono verso il basso.

Meg rimase immobile vicino alla porta non ebbe nemmeno il coraggio di voltarsi a vedere cosa fosse successo, sentì solo Willow e Susan farsi sempre più vicine. Anche Alexandra all’inizio aveva osservato il disastro senza far nulla, ma al rumore dei passi, qualcosa scattò, andò vero i libri e impilò quelli che si erano salvati, poi raccolse dal pavimento tutte le parti dei manoscritti che si erano sfasciati e mise il tutto nel suo zaino, come ultima cosa afferrò per un braccio la causa di tutto quel trambusto e la costrinse a sedersi, giusto in tempo: in quel momento Willow e Susan entrarono dalla porta.

La strega entrò con una pila di libri tra le braccia e li appoggiò proprio sui manoscritti superstiti, senza rendersi conto che i volumi erano diminuiti, e come avrebbe potuto, il tavolo era completamente invaso di antichi testi provenienti da tutto il mondo. «Mi hanno affidato dei compiti che devo eseguire subito, quindi oggi vi va bene… niente lezione, avete la domenica libera! -le tre apprendiste streghe fecero per andarsene- Prima di andarvene non è che mi aiutereste a portare questi volumi?» le tre ragazze si scambiarono occhiate fugaci prima di aiutare la loro insegnante.

 

«Che cosa ne farai di quei libri?» chiese Meg cercando di assumere un tono aggressivo, aveva appena scoperto che, nonostante avesse fatto il diavolo a quattro, sia Alexandra che Susan le avevano dato una mano. La piccolina dopo aver ricevuto tutti quegli insulti era andata a cercare Willow, per trattenerla, in modo da dare ad Alexandra il tempo di convincerla a mettere giù i libri. «Tenterò di sistemarli» le rispose dopo averci pensato un po’ «Come hai intenzione di fare?! Sono libri antichi non basta il nastro adesivo!» «Non ho intenzione di usare il nastro adesivo! Mio padre faceva il filologo, non sono brava come lui, ma me la so cavare, d’accordo!» disse Alexandra con una punta di stizza che non le si addiceva. Meg stava per chiederle di suo padre, ma poi si rese conto che la compagna aveva usato il passato e decise di parlar di qualcos’altro. «Non è che invece di sistemarli possiamo semplicemente bruciarli?» «Niente affatto! -rispose Alexandra indignata- sono libri che provengono dall’antica Aquisgrana, la capitale del Sacro Romano Impero di Carlo Magno, potrebbero contenere importantissime informazioni per gli studiosi e…» ma si interruppe vedendo la faccia sorpresa di Meg «Certo che li ami proprio i libri, tu! -la fissò ancora per un attimo come se stesse guardando un’aliena. Poi senza preavviso- Non è che me tradurresti un pezzo?»

Alexandra rimase sbalordita dalla richiesta, ma anche molto felice, si tolse lo zaino, estrasse il manoscritto più in buono stato e cominciò a tradurre.

 

“Ho deciso di cominciare a scrivere questo libro perché sono stufo di passare la mia vita copiando gli scritti degli altri e guardando il mondo senza poter mai dire ciò che ho visto…”

 

 

 

 

Aquisgrana, anno 793

 

 

Le foglie avevano ormai abbandonato i rami degli alberi, l’uva era stata raccolta e trasformata in mosto, la gente andava per i boschi per procurarsi la legna per riscaldarsi dal freddo e per guadagnare qualche soldo in più. L’autunno stava volgendo al termine e l’inverno era ormai le porte; un freddo alone azzurro orlava la luna piena che disegnava sulla città delle fievoli ombre. L’aria gelida era dilagata tra le vie costringendo la gente a rifugiarsi in casa nella speranza di trovare un fuoco scoppiettante per riscaldarsi.

 

“Il gelo ha il potere di intaccare ogni cuore che palpita.

Non si deve credere, però, che ogni essere in grado di camminare abbia un cuore che batte.

Chi si nutre del calore altrui non può essere sopraffatto dal freddo,

non può nemmeno sentirlo.

Perché quando un cuore smette di funzionare tutto il corpo non è più in grado di percepire il freddo,

che sia un prodotto delle stagioni o sia originato dalla morte…”

 

Un monaco uscì da una casa, era completamente avvolto in uno scialle, aveva dovuto avventurarsi tra le strade ghiacciate per assistere un moribondo; ora si avviava verso casa, dove finalmente avrebbe trovato un caldo ristoratore. Il frate camminava in fretta, alla sua età quel clima non faceva che peggiorare i reumatismi.

Stava per uscire da un vicolo che dava sulla via principale quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla infreddolita «Padre mi aiuti!»

Il monaco si voltò, l’uomo che aveva appena parlato ritrasse la mano e la nascose sotto il mantello «La prego deve aiutarmi» continuò lo sconosciuto continuando a guardarsi in giro come se temesse che qualcuno spuntasse fuori e lo aggredisse. Il frate stava riflettendo sul da farsi; non era nella sua natura di lasciare un uomo che chiedeva di dagli una mano, ma come fidarsi di un perfetto sconosciuto, con i tempi che correvano già fidarsi degli amici era considerato un rischio.

«D’accordo -disse infine il padre- dai, forza seguimi!» Lo sconosciuto a quelle parole, non parve affatto felice, sembrava in qualche modo imbarazzato «Senta, padre, non è che potremmo… non è che potrebbe… insomma perché non viene da me! Mi sentirei più a mio agio in un luogo che… mi è famigliare, ecco»

Il monaco fissò l’uomo dritto negli occhi come se d’un tratto potesse vedere qualcosa che prima non riusciva a scorgere «Tu sei uno di loro? Non è così?» L’uomo, ora, sembrava davvero a disagio; continuava a guardarsi intorno, come in cerca di una risposta da dare a quel sant’uomo che sembrava saperne troppo.

Non sapendo che pesci pigliare, l’uomo seguì il suo istinto: i suoi occhi divennero gialli, e la faccia si deformò in una strana smorfia. «Forse non vincerò la gara, ma almeno non resterò a digiuno!»

 

“Esistono creature molto simili agli esseri umani che vengono chiamate Vampiri.

Sono tanto simili a noi che spesso ci dimentichiamo della loro diversità…

…e questo ci può essere fatale!”

 

Il vampiro aveva appena finito di parlare quando fu atterrato da un pugno. Un uomo che passeggiava si era reso conto che il padre stava per subire un’aggressione ed era intervenuto.

«Va tutto bene, padre?» «Grazie infinite figliolo, tu mi hai davvero salvato l’anima!» rispose il monaco ancora trafelato guardando le varie vie, stava cercando di capire se qualcun altro, oltre a lui, avesse visto la trasformazione del suo aggressore. Bruit nel frattempo stava cercando un modo per vincere la gara che aveva indetto, aveva appena salvato il frate da uno dei suoi compagni, ora bastava escogitare un bel discorso e avrebbe condotto il monaco con sé al bordello, bisognava solo cercare una scusa, una buona scusa.

Non appena il frate posò lo sguardo sul volto di Bruit rimase, dapprima solo un po’ sconcertato, ma poi sembrò rabbuiarsi sempre più. «Mostratemi le mani» chiese il frate cercando di non far vedere il suo turbamento, il vampiro allungo la mano. «Già come sospettavo» disse il padre tra sé e sé, mentre Bruit ritrasse istintivamente la mano e si mise a fissare l’uomo che aveva di fronte con fare inquisitorio «Cos’è che sospettavate? -chiese adirato, tenendo la mano che aveva mostrato con l’altra come per proteggerla- cosa volete da me?» «Vorrei sapere come vi è successo questo, voi, uno dei più illustri signori di questa città, di queste terre, come vi è potuta succedere una cosa simile? Vostra figlia ancora non si da pace per la vostra scomparsa e…».

Quelle parole cambiarono tutto. Il disprezzo per il sangue ed il disgusto per la razza dei vampiri che aveva provato scoprendosi uno di loro, ora era ritornato più forte che mai; avrebbe dato qualunque cosa per poter scappare dal proprio corpo indemoniato.

 

“Ogni volta che si fa di tutta l’erba un fascio

si è certamente in errore,

perché esistono sempre le eccezioni che sfuggono alle regole.

Il saper cogliere queste eccezioni è un gran dono”

 

Il padre fissò l’uomo che aveva davanti, non sembrava affatto un sanguinario vampiro in quel momento. «Cosa volete che facc…» ma il monaco non riuscì a finire la frase «Eliminatemi, non… io non sopporto questo -disse indicando la sua faccia deformata- vi prego, se mia figlia mi vedesse così, io… vi prego…»

«Amate vostra figlia, non è vero? Io credo di sì. È una ragazza molto dolce, sapete. Non le si addice l’essere orfana e sola e… penso sarebbe meglio che avesse un padre come guida…» «Guidatela voi, voi and…» «No, ha bisogno di suo padre!»

Bruit lo fissò sconcertato, all’ora quel frate non riusciva proprio a capire «Non posso fargli da guida in queste condizioni!» disse le ultime parole con rabbia, perché sapeva di voler quello che il monaco gli aveva proposto e il dover spiegare che non avrebbe mai più potuto ottenerlo gli doleva, anzi lo faceva imbestialire.

«Adesso calmami e ascoltami bene -si impose il frate e si strinse il mantello attorno alle spalle perché il gelo gli stava entrando nelle ossa- forse c’è un modo per farti tornare umano e per ridarti ciò che ti spetta, ma se vuoi questo ti dovrai fidare di me, forza seguimi»

 

“Può capitare che questi demoni mostrino così tanta indifferenza da farci dimenticare

che in sé hanno ancora un po’ di umanità…

…ma dove ci può portare la fiducia in questo lembo di umanità

ancora non lo so”

 

 

Inghilterra, Londra, 19 ottobre 2009

 

 

Spike sbatté furiosamente la porta, il rumore rimbombò per tutta la casa ed arrivò fino alle orecchie dei vicini curiosi che sobbalzarono di paura, scrutarono la vecchia casa e tornarono alle loro occupazioni ormai convinti che o si trattava della loro immaginazione oppure non era che lo stupido scherzo di un ragazzino.

«Maledizione porca p… la miseriaccia! -si corresse vedendo Funny seduta sulla sedia che lo aspettava- Cosa diavolo ci fai qui?»

La ragazzina sorrisa soddisfatta, adorava prenderlo alla sprovvista «Ti stavo aspettando, no! -disse in tono serio, ma poi non resistette e scoppiò in una risata- “porca p…la miseriaccia”» cercò di schernirlo rischiando di soffocarsi a causa delle risa.

«Molto brava! Non sai quanto è bello tornare a casa e trovarsi un’adolescente allegra in vena di scherzi!» ironizzò Spike, ma in realtà l’ilarità della piccola gli aveva fatto dimenticare i suoi problemi per un attimo. Funny smise di ridere e riprese fiato, quando rialzò la testa, però, i suoi occhi non sembravano aver affatto cambiato espressione. La ragazzina incrociò le braccia sul vecchio tavolino e vi appoggiò la testa «Mentre ti aspettavo ho notato che hai aggiunto nuovi elementi all’arredamento?» proseguì giocherellando con i propri capelli «Già, ho deciso che questo posto aveva bisogno di un tocco di classe» rispose Spike, che nel frattempo era tornato dello stesso umore con cui aveva varcato la soglia.

«Ma, si può sapere con chi ce l’hai?» chiese la ragazzina lasciando perdere i capelli e fissando intensamente il suo interlocutore, che si trovava ancora in piedi vicino alla porta.

«Con il signor Rupert Giles -rispose Spike sottolineando ogni parola- che, prima mi fa venire a Londra per sostituire Rona e perché c’è qualcosa di molto pericoloso; poi si rende misteriosamente irreperibile prima di dirmi che cosa minacci questa città. Allora comincio a pensare che gli è successo qualcosa…

…invece, l’illustre signore sta benissimo, aveva solo molto da fare…

-continuava a parlare gesticolando e camminando nella stanza, mentre Funny non perdeva una sola parola- e sai qual è il lato comico della faccenda? -la ragazzina scosse la sua testolina bionda- il caro signor Giles non sa niente! Il “pericolo londinese” è stata una scoperta di Rona, che ora è in America da amici o paranti a fare non so cosa!» disse infine esausto sprofondando sulla poltrona.

Funny alzò la testa con aria pensosa «Hai provato a contattare Rona?» «Ha provato Rupert, ma pare che anche lei abbia molto da fare!» la ragazza rimase ancora più perplessa; era mai possibile che Rona non avesse detto niente al signor Giles prima di partire, ma non ci fu bisogno di chiedere, il biondo aveva già capito cosa significava quell’espressione. Spike fece una faccia contrariata, non era molto felice di dover parlare dei pochi elementi che aveva perché così sarebbero sembrati ancora più pochi ed insignificanti.

«Rona si è imbattuta in due demoni che trasportavano alcune particolari sostanze. A detta del signor Giles, se mischiate con gli ingredienti giusti e con l’aiuto di alcuni incantesimi è possibile causare un’apocalisse. Oppure possono essere fumate.» «Fumate?!» «Sembra siano adatte per preparare delle belle canne per demoni, io simpatizzo per questa seconda possibilità!»

 

 

Mississipi, Cleveland, 24 ottobre 2009

 

 

Uno spicchio di luna si ergeva sopra la città addormentata, in giro c’erano solo ragazzi che volevano dimostrare di essere più forti delle tenebre, sfidandole…chi stando alzato l’intera nottata ubriacandosi, chi cercando una qualsiasi ragazza per ingannare l’attesa, qualcuno, invece, camminava tra gli oscuri vicoli cercando qualche traccia: erano predatori di esseri notturni. Il loro pericoloso compito era eliminare tutto ciò che può nascondersi nel buio senza rimanerne vittima.

Riley e Tom giravano tra i bassifondi della cittadina, ormai troppo abituati a tutto questo per rendersi conto di quanto il `male´ fosse in agguato. «Susan ti manca?» «Sì, moltissimo» rispose Tom «soprattutto il suo sorriso, il suo calore, la sua cucina e… ma chi voglio imbrogliare mi manca ogni cosa di lei» Riley lo guardò con profondo rispetto, non doveva esser facile vivere così lontano dalla propria moglie senza sapere quando la si sarebbe potuta riabbracciare, lui non ci sarebbe mai riuscito.

Stava cercando una frase per dirgli tutto questo, quando un essere dagli occhi gialli e dai canini affilati sbucò dall’oscurità. Con una gran prontezza di riflessi gli bucarono il cuore, ormai inutilizzato, con un paletto di legno, riducendolo così in cenere. Ed ogni volta che una nuova creatura notturna cercava di azzannarli, loro l’abbattevano e nell’aria rimaneva solo un breve e straziante urlo a cui i militari erano troppo avvezzi perché potessero farci ancora caso.

Ben presto rimasero solo in due `stanchi per la lotta, ma ancora vivi´ come recitava il loro motto.

Riley si tolse la polvere dalla giacca con un gesto che si sarebbe detto più abituale che veramente efficace. In quel momento si accorse di avere qualcosa di diverso, sentiva quell’orribile sensazione di quando dopo mesi che porti l’orologio un bel mattino te lo dimentichi a casa e ne senti la mancanza e…

Ecco la parola che stava cercando MANCANZA, a Riley mancava qualcosa…

…la sua arma!

Come aveva fatto a non accorgersene immediatamente, qualsiasi bravo soldato l’avrebbe notato subito, cosa gli stava succedendo?!

La pistola doveva essergli caduta durante la lotta.

Ed infatti, eccola lì che risplendeva colpita da un fascio di luce proveniente da chissà quale lampione.

Ad un tratto l’arma cominciò a sollevarsi da terra, lentamente quasi con grazia, fino ad arrivare all’altezza del busto e con la canna puntata dritta verso il loro cranio.

L’unica cosa visibile oltre alla pistola era la mano che la sorreggeva, il resto, del loro astuto nemico, era rimasto avvolto nelle tenebre, ma la parte del corpo visibile e cadaverica era come un’etichetta che diceva VAMPIRO.

A differenza dei suoi simili recentemente inceneriti aveva capito che se voleva continuare a `sopravvivere´ avrebbe dovuto almeno eliminare quei due nuovi antivampiro appena giunti in città, in fondo ce n’erano già abbastanza!

Uscì lentamente dal suo elemento naturale, il buio, in questo modo Riley e Tom poterono vedere il ghigno che aveva in faccia mentre premeva il grilletto.

Con uno schiocco secco il colpo partì raggiungendo il bersaglio, il ghigno si trasformò e con un tonfo la pistola ricadde dove era poco prima, ormai al demone non serviva più.

 

Accanto all’arma da fuoco era apparsa una freccia di legno, che poco prima aveva trafitto il cuore del vampiro.

 

Tom disse qualcosa e Riley si voltò meccanicamente, era lì, una ragazza con una balestra in mano.

 

Fait era lì davanti a loro, ma Riley non la riconobbe, in fondo il suo unico incontro con lei, almeno con il suo corpo, era stato all’ingresso di una chiesa per un solo attimo.

La cacciatrice si avvicinò e con la sua solita non curanza andò a raccogliere il dardo, alzò lo sguardo e finalmente si accorse dei quattro occhi che la guardavano con aria più che interrogativa.

«Beh, che avete?! Siete ancora vivi, sapete? Volete un consiglio, tornate a casa nel vostro letto o quello della vostra ragazza, se ne avete una, e dimenticate quello che avete visto stanotte; tanto è quello che fanno tutti» finì la frase con una strana espressione in faccia, forse un sorriso amaro.

Il capitano Finn la fissava sempre più convinto di aver già visto quella brunetta.

Fait proprio non aveva mai sopportato la gente che non distoglieva lo sguardo da lei con quel fare inquisitorio; per questo sbottò scocciata «Non hai mai visto una bella ragazza per caso, eppure mi avevano assicurato che tua moglie era piuttosto carina!»

Fait si aspettava una frecciatina o una risposta arrabbiata o per lo meno un cenno, ma tutto ciò che ottenne fu un silenzio di tomba che ben si adattava al luogo.

La brunetta lo scrutò chiedendosi il perché di quel mutismo finché non gli balenò un’idea in testa «Sai chi sono io?» chiese con quel tono beffardo che sfoggiava sempre.

Tom, che non aveva proferito parola fino ad allora, decise che era il momento di farla con quell’insolita discussione e, spazientito, disse: «Se non lo sai nemmeno tu c’é da preoccuparsi! Comunque chi tu sia o non sia, non è un nostro problema e ora se non ti dispiace abbiamo del lavoro da fare» e cominciò ad andarsene. Riley lo seguì senza pronunciare una sillaba.

«Più bassa, più magra, più bionda, occhi verdi e forte uguale…anzi un po’ meno forte, ma a letto sempre una vera bomba… ero così quando ci siamo incontrati ecco perché non mi hai riconosciuto».

Nonostante le ultime parole di Fait, il capitano Finn continuò a camminare come se niente fosse. In realtà ora sapeva chi aveva alle spalle, la cacciatrice che più volte aveva tentato di uccidere Buffy; la sua presenza in quel luogo faceva riaffiorare tante domande che Riley pensava di aver lasciato in quel cratere in California.

 

Fu come se tutto il vicolo si fosse riempito d’ovatta, un irreale senso di vuoto aveva invaso la testa di Riley; poi come un lampo prese il sopravvento l’uomo d’azione che si diresse verso la cacciatrice bruna in cerca di risposte.

Il capitano Finn non ricordava con quale scusa avesse abbandonato Tom, tutto ciò che rimaneva del razionale e prudente caposquadra si era dileguato lasciando spazio ad una animalesca disperazione.

Ripercorse tutto il vicolo senza in realtà vederlo;

Fait non era più lì, ma lui continuò la sua corsa in una direzione ben precisa, senza sapersi spiegare perché avesse scelto proprio quella…

Correva, correva, passò di fianco ad una casa bordeaux, poi ad una bianca, una grigia, ancora bianca, gialla… i colori delle abitazioni si fusero insieme mentre lui continuava a correre con lo guardo dritto davanti a sé.

In un attimo le fu addosso, le prese il polso, la fece voltare di scatto e la scaraventò contro la parete di una casa.

Fait rimase da prima sbalordita, poi sul suo bel volto comparve un leggero sorriso.

«Cosa ci fai qui? Cosa vuoi da me? Cosa hai intenzione di fare?» disse, Riley, con il poco fiato che gli era rimasto per la forte corsa e per l’ira che lo invadeva.

Fait rimase tranquilla e rispose «Ci vivo, ti ho incontrato per caso e adesso volevo proprio andare a dormire perché domani devo andare al lavoro». Per il cervello, annegato nella rabbia, di Riley non fu facile riuscire a collegare quelle risposte tanto calme e assolutamente ovvie alle rispettive domande dette con tanto astio un attimo prima.

 

 

Riley si trovò di colpo con la faccia a qualche millimetro dal muro; Fait si era stufata di stare buona buona sotto la sua presa. Solo in quel momento, il capitano Finn, si era reso conto della cretinata che aveva fatto: si era gettato tra le braccia di una pazza criminale molto più forte di lui. Da quella posizione non riusciva a vedere niente, ma riuscì a sentire un rumore metallico, un tintinnio, poi lo scattare di una serratura ed infine una porta aprirsi. Con uno strattone fu allontanato dal muro e spinto verso l’interno della casa, o come sarebbe stato più appropriato dire, la tana del lupo.

 

Tbc..