LA MATERIA DEI MIEI SOGNI

Autore: Bmatcom

Rating: NC-17 (V.M. 18 anni)

Avviso: Violenza, sesso, sadomasochismo, parolacce, stupro, morte di caratteri principali. C’è un po’ di tutto, ma ho cercato di non mettere nulla di gratuito.

Summary: Forse non c’è nulla che non abbiate già letto da qualche altra parte. Devo ammettere che ho deciso di scrivere questa fic sotto l’influenza di alcuni ottimi lavori trovati per caso sul web. Ho deciso di trattare il continuum temporale a mio piacimento, così alcuni avvenimenti sono come nella serie TV, altri come io voglio che siano.

Siamo comunque dopo la fine della quinta stagione. Il mio scopo è arrivare alla fine della settima a modo mio.

Disclaimer: Tutti i personaggi o quasi appartengono a Joss Whedon e alla sua cricca di sciagurati.

Pairings: Troppi per dirli tutti. Alcuni secondo il canone, altri no. È comunque una storia che ha al centro Willow. E non esiste una Willow senza Tara, per come la vedo io.

Feedback: Se vi va. Sarebbe molto gradita. Meglio se tramite e-mail (non ho molto tempo per controllare i threading boards).

bmatcom@tiscalinet.it

 

 

 

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!ATTENZIONE!

 

FAN FIC CON CONTENUTI NC - 17 SE HAI MENO DI 18 ANNI NON PUOI LEGGERLA

 

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Prologo: Quando iniziò la fine

 

Sto entrando nella nostra stanza. Sono furiosa. Ho cercato Rack in tutti i luoghi in cui va o si nasconde  di solito, luoghi che la gente normale avrebbe paura di frequentare, vicoli luridi, cripte che solo i vampiri frequentano, magazzini evitati anche dai demoni. Sembra scomparso dalla faccia della terra, stanotte. Sono furiosa e stanchissima. Con una mano pizzico insistentemente la mia camicetta all’altezza della spalla, con l’altra richiudo la porta dietro le mie spalle. Non mi accorgo quasi del fragore contro il battente, sono così persa nel mio furore che niente altro esiste. Vorrei che tu fossi qui. Hai sempre avuto il potere di calmarmi. Il tuo sorriso timido, le tue mani che mi accarezzano il viso e la schiena, i tuoi baci hanno sempre avuto il potere di farmi sentire in pace. Ho desiderato così tanto essere capace di proteggerti da tutti i mostri che ci circondano…Ho desiderato il potere necessario a tenerti al sicuro…e il potere si è rivoltato contro di me, ti ha fatta soffrire. Sono stata così stupida!

 

La nostra stanza sembra così vuota senza di te! La tua presenza aleggia ancora qui, tra le cose che ti sei lasciata dietro, il tuo profumo  pervade l’aria, le lenzuola del letto, gli angoli in cui ti sedevi a guardarmi e gli oggetti che hai toccato. E’ un mese quasi che sei andata via, senza far sapere più nulla di te.Spero tu stia bene.  Come te la passi su a San Francisco? Mi manchi da morire. Tornerai? Ti prego, torna da me…

 

Rinuncerei subito a tutto il potere, alla magia, per sempre, se tu tornassi da me. Ma temo di essermi spinta troppo in là. I miei errori stanno diventando troppo madornali e questa stanza che sa di te è l’unico rifugio sicuro che mi è rimasto. Non ho più amici né alleati. I primi li ho allontanati come ho fatto con te, non ho visto il pericolo  che la seduzione del potere rappresentava. Ho creduto che il potere fosse più importante di tutto il resto, dell’affetto reciproco, del rispetto, della semplice volontà di fare del proprio meglio. Ma ora ho capito e non mi è rimasto altro da fare che rivoltarmi contro i secondi.

 

Sono così stanca! Ho passato gli ultimi giorni a studiare le arti nere come mai avevo fatto prima e a gettare incantesimi. Ne ho fatti alcuni molto sottili e potenti in un tempo relativamente breve. Mi sento completamente svuotata.

 

 Non ho potere stanotte. Per i prossimi giorni avrò l’energia magica di un infante, ma non avevo scelta. Ne sono certa.

 

Mi lascio cadere sul letto. Vorrei dormire per una settimana. Il letto mi accoglie gentilmente. Ripenso a tutte le volte che abbiamo fatto l’amore su questo stesso letto che tra breve rimarrà vuoto. Tu non ci sei. Non sei qui di fianco a me e so che Buffy sta pensando di chiedermi di lasciare la casa. La capisco. Teme che possa fare del male a Dawn. Come darle torto? Come posso dirle che ho già messo la vita di Dawn in grave pericolo? Come posso  dirle che Rack mi ha chiesto Dawn in cambio di maggiore potere? Come posso dire alla mia migliore amica dai tempi del liceo che sono stata tentata di accontentarlo?  Mi vergogno profondamente, ma ho quasi ceduto alla tentazione. Quasi.

 

Stasera ho cercato Rack per chiedergli di rinunciare,  ma non sono riuscita a trovarlo. Sono andata pronta a supplicarlo o a minacciarlo. Farò di tutto perché Dawn non venga sfiorata dalle profondità di quel pozzo nero di cui sono vittima. Combatterò o offrirò me stessa al suo posto se necessario. Ma sono giorni  che si è reso irreperibile. In giro si dice addirittura  che forse si è alleato con Spike. Non è una buona cosa. Spike non è più il vampiro innocuo per gli umani che ha combattuto fianco a fianco con noi. William The Bloody è tornato sulla scena. Quello che con Angelus era il flagello d’Europa è tornato in attività qui a Sunnydale. Ed ha una passione morbosa per la Cacciatrice, che, guarda caso, è la mia migliore amica Buffy. Assolutamente non è una buona cosa.

 

Ma io ho già fatto le mie contromosse. Giuro su ciò che ho di più caro e di più sacro che non riusciranno a toccarle, dovesse costarmi la vita! Già da qualche tempo ho restaurato la protezione della casa contro i vampiri, dopo che Spike ha tentato di violentare Buffy nel bagno. Non potrà più entrare. Ho ammonito Dawn a non violare la protezione e sono certa che, per quanto il nostro rapporto sia un po’ teso ultimamente, non farà niente di così stupido come invitare Spike in casa. Almeno spero. Nessun essere della notte dovrà essere invitato. Spero che lo capisca e non faccia nulla di stupido. No, non lo farà! Non dopo che le ho raccontato cosa ha cercato di fare a Buffy.

 

Ho sonno. Vorrei dormire per una settimana. Vorrei dormire contro di te, rannicchiarmi contro il tuo corpo voluttuoso, svegliarmi con la mano sul tuo seno pieno, corsa contro la mia volontà cosciente sullo splendido monte di carne che protegge il tuo cuore. Vorrei svegliarti pizzicando lievemente i tuoi capezzoli, sentire il tuo desiderio salire insieme al mio mentre le nostre coscienze tornano simultaneamente alla vita. Vorrei sfregarmi contro di te e vederti aprire i tuoi magnifici occhi blu, già velati dall’eccitazione, sorridermi, mentre mi accogli tra le tue braccia, pronta e ansiosa a ricevere le mie carezze e i miei baci, a posare le tue mani e le tue labbra nelle pieghe più riposte del mio essere e del mio piacere.

 

Perché questa era la materia di cui erano fatti i miei sogni. Il tuo sguardo, il blu dei tuoi occhi, la morbidezza della tua carne, il calore scivoloso del tuo sesso, le tue dita sicure e gentili che scivolano dentro di me, il tuo sorriso e il mio, i nostri corpi che sussultano all’unisono, fino a quando l’orgasmo non ci coglie, sempre troppo presto e un po’ di sorpresa, come se non riuscissimo a capacitarci di poter essere così felici sotto le reciproche carezze.

 

La mia mano scende lungo il mio corpo, accarezzo i miei seni e lo stomaco in giri pigri.Riposo le mie dita sull’orlo spesso e ruvido dei pantaloni.  Non mi sono accorta di aver slacciato il bottone dei jeans, di aver fatto scorrere la lampo. Non mi sono accorta di aver infilato le dita sotto il tessuto delle mutandine, fino a quando il mio dito medio non ha sfiorato delicatamente il mio punto sensibile. Ho provato ad immaginare che fosse la tua mano a toccarmi, che tu fossi lì con me, e non lontana senza dare notizie da più di un mese. Il mio rilascio mi ha colpita ad ondate, sgradevole come un rimorso tenuto troppo a lungo in un angolo della mente, lasciandomi sfinita ed insoddisfatta. Mi sento in colpa per aver goduto da sola, senza di te. Mi chiedo se sei sola, o hai cercato un po’ di conforto in altre braccia, diverse dalle mie. Questo pensiero mi rende follemente gelosa, un brivido freddo mi percorre il corpo e si ferma nel mio stomaco, mi paralizza. Non voglio che nessun’altra ti tocchi, senta il tuo odore, assapori il gusto del tuo sesso. Non come facevo io. Poi mi assale la rabbia contro me stessa, ma non basta a scaldarmi. Che diritto ho di essere gelosa? Come posso pretendere di accampare diritti, dopo averti ferita e delusa così gravemente?

 

Finalmente mi addormento. Il mio sonno è tormentato da sogni di te di Buffy e di Dawn, Rack e Spike. Tutti i loro volti mi appaiono di fronte, confusi tra ricordi di ciò che è stato e paure di ciò che potrà essere. Il tuo viso sovrasta tutti gli altri. Il tuo viso che mi sorride, il tuo viso scuro per la delusione, contorto dalla rabbia. Dea, dimmi che c’è speranza! Non mi importa cosa sta facendo o cosa farà. Voglio solo che torni da me che sia di nuovo mia. Ed io  sua. Niente altro. Niente altro è importante.

 

Un rumore di vetri infranti mi sveglia. Quando mi sono addormentata? Che diritto ho di dormire? Per fortuna ci sono i brutti sogni a ricordarmi le mie colpe. Nel mio sonno agitato di incubi, ho pensato che il rumore sia solo nella mia testa. Poi scoprirò quanto mi sono sbagliata, quando le dita uncinate di un paio di demoni mi strapperanno al mio letto per consegnarmi nelle mani dei miei nemici. Per un attimo mi sono sentita come un’eroina di certe storie della bibbia. Mi accorgo quanto sia ridicolo nell’istante che una di quelle mani uncinate mi colpisce in faccia, rompendomi un labbro. Sento il sapore del mio sangue in bocca. Vorrei protestare, ma un altro colpo mi impone il silenzio.  Svengo prima di essere fuori dalla casa.

 

Quando apro gli occhi sono legata mani e piedi, appesa ad un gancio come un animale pronto per essere squartato, in una caverna illuminata dalle torce. Ho già rivissuto questa scena un migliaio di volte nei miei sogni. Non so dire cosa sarà peggio di ciò che seguirà, se gli stupri continui e ripetuti, le frustate con le cinghie di cuio, la fame, la sete, il pugnale che scava nelle mie carni, la mia bocca riempita a forza di terra ed escrementi, di sale e piscio, o il fatto che la mia mente rifiuta di abbandonare il mio corpo in balia dei suoi aguzzini.

 

Perché questa è ora la materia dei miei sogni. Sangue e merda. Odore stomachevole di sesso e putrefazione delle carni, morsi crudeli che bucano la mia pelle, bocche avide che bevono il mio sangue, sessi gelati di morti che camminano che entrano dentro di me, senza concedermi la pietà della morte.

 

Il mio cervello  continua a lavorare, nonostante il mio grido disperato di spegnersi.

 

Sei così intelligente, Willow Rosenberg! Memoria fotografica! Quoziente intellettivo superiore alla media! Voglio solo l’oblio. Lo desidero così intensamente che niente altro mi sembra importante. Solo l’oblio, spegnermi per sempre e non tornare più indietro. L’oblioooooooo! Ma l’oblio non arriva. Mai! E la memoria fotografica registra tutto, ogni languida carezza delle dita gelide dei non-morti, ogni volta che la loro lingua passa sulla mia pelle, ogni volta che il loro sesso entra nella mia vagina e per quanto, lasciandomi dolorante e con la voglia di vomitare. Come si può spiegare cosa significa essere penetrata un infinito numero di volte, quando negli ultimi due anni solo le tue dita gentili hanno avuto accesso tra le pieghe più nascoste del mio corpo? La loro brutalità sembra decuplicata, a confronto del tuo tocco gentile.

 

Il mio sangue e il mio vomito mi scorrono per il corpo, imbrattano i pochi brandelli di abito che le scudisciate non mi hanno strappato di dosso. Non sento più il dolore, tanto mi fa male ogni singolo lembo di pelle. Ogni volta che la cinghia mi colpisce, cerco di non gridare, ma è una battaglia persa in partenza. Mi aggrappo al pensiero di te. Nella mia mente urlo che ti amo. Tutto questo è la punizione per averti delusa.

 

Voglio svegliarmi! Voglio aprire gli occhi e scoprire che è solo un terribile incubo, un prodotto della mia fantasia, dell’iperattività delle mie sinapsi malate, una suggestione di un qualche film horror visto in una delle serate dedicate al cinema spazzatura con gli amici della Scooby Gang…

 

Ma non sto dormendo…

 

E la cinghia che sibila nell’aria e mi stria di sangue mi ricorda che sono solo all’inizio…

 

Willow si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Un’occhiata alla sveglia digitale sul comò le disse che aveva dormito per un paio d’ore. Allungò una mano verso il comodino e prese il suo diario. Rimase a fissarne la copertina per innumerevoli minuti, le lacrime che scendevano libere lungo le sue guance. Le sue spalle si alzarono e riabbassarono scompostamente, scosse dai singhiozzi che sembravano volerle strappare il cuore dall’esile petto.

 

Quando finalmente si calmò un po’ aprì il diario e ricominciò per l’ennesima volta la penosa lettura dei suoi peccati e delle conseguenze che ne erano derivate. Era questa la punizione che si era imposta: non dimenticare mai ciò che aveva fatto. Non dimenticare mai le conseguenze delle proprie azioni. Per questo aveva trascritto fedelmente gli avvenimenti come se si svolgessero nel presente, sotto i suoi occhi. Per questo rileggeva quelle pagine piene dei suoi peggiori incubi tutte le volte che sentiva che la vita potesse continuare.

 

Si passò una mano tra le corte ciocche rosse e si asciugò le lacrime con l’altra per poter leggere più chiaramente le pagine del diario in precario equilibrio sulle sue ginocchia.

 

Si reimmerse nella lettura, con il cuore gonfio di dolore e vergogna.

 

Per non dimenticare mai, si disse. Mai dimenticare. In ogni momento cosciente delle sue giornate.

 

Mai dimenticare.

 

Capitolo I: Un nuovo nemico alle porte

 

Un gruppo di figure incappucciate si muoveva furtivo per i boschi a nord di Sunnydale, passando tra gli alberi antichi e robusti, come un branco di spettri, silenzioso e attento ad ogni movimento all’intorno. Non temevano i lupi o gli orsi, né alcuno degli altri predatori naturali. Erano loro i predatori e si muovevano come tali.

 

Quando furono arrivati ai piedi di una collina la figura che li guidava alzò un braccio, imponendo l’alt. Si voltò e guardò il bosco alle sue spalle, contemplando la scena. I suoi figli -il suo clan- riempiva tutti gli spazi tra gli alberi, come un immenso sciame. Più di cento. Tutti non più giovani di trenta anni. Tutti con un minimo di potenziale magico. Ci erano voluti anni, decine di anni, per raggiungere quel risultato. Era dai tempi di Parigi che il suo clan non era così forte. Forse lo era di più. Più forte che ai tempi di Parigi. Più forti di quanto Boreanz, suo Sire e creatore avesse mai sognato. Pronti per comandare gli altri abitanti delle tenebre. Ed ora erano ad un passo dall’Hellmouth.

 

La figura sorrise sotto il cappuccio, lasciando scintillare le zanne alla luce delle stelle. Il suo pensiero si rivolse a tutte le decadi di sacrifici e lavoro nell’ombra, a tutte le umiliazioni che avevano dovuto patire per essere abbastanza forti per il grande giorno che li attendeva.

 

Quanto lavoro per arrivare fin qui! Era stato molto attento nell’impartire la disciplina. Aveva addestrato i suoi luogotenenti. Preparato i suoi discepoli. Il piano non poteva fallire. Non doveva! Sarebbero riusciti laddove il Maestro del clan di Aurelius aveva fallito per presunzione. Non bastava la pura forza del numero e della paura per controllare l’Hellmouth e le energie mistiche che sprigionava. Troppi erano i poteri che avrebbero potuto interferire. Era necessario avere forza bruta ed intelligenza.

 

La figura incappucciata sapeva di poter supplire alla seconda da sé. Ma per la prima, gli speciali talenti che le forze oscure garantivano a lui e ai suoi non erano sufficenti. Non davano la certezza di poter regnare a lungo su quel crocevia di energie così importante. Per di più non voleva commettere lo stesso errore che Lucius aveva commesso nell’universo parallelo di Anyanka, così convinto che la paura bastasse a tenere in riga il suo clan e i suoi oppositori. Sapeva di non essere vecchio e potente come lui, tanto per cominciare, anche se sapeva di pochi vampiri che potessero tenergli testa e avessero visto il tramonto di quattro secoli come lui. Boreanz lo sarebbe stato, a questo punto. Ma Boreanz era ormai solo un ricordo sparso nel vento lungo un boulevard di Parigi. Certo era il più forte del suo clan. Julius e Antoine, i suoi luogotenenti, erano gli unici che potevano a malapena tenergli testa nell’intero clan, se avessero unito le loro forze. Ma Xavier era stato attento a tenerli sulla corda, in continua competizione tra loro, a disputarsi i suoi favori.

 

No, non avrebbe commesso gli stessi errori del clan di Aurelius. Voleva una forza primordiale che fosse alle sue dirette dipendenze. Talmente brutale da incutere il timore a tutta la popolazione demoniaca, tanto forte da assicurargli una leadership indiscussa. Tanto forte da uccidere una cacciatrice con facilità. Voleva un hellgod alle sue dipendenze. E lo aveva trovato. Tra pochi giorni avrebbe eseguito il rito.

 

La figura, che rispondeva al nome di Xavier nella Francia di Luigi XIII, fece un gesto e tre delle figure incappucciate si staccarono dalle fila in attesa tra gli alberi e lo seguirono su per la collina.

 

Arrivati in cima, il quartetto si mise a guardare la cittadina sottostante, così piccola e quasi insignificante, poche decine di migliaia di capi di bestiame in attesa di essere macellati dalle creature della notte.

 

In quella cittadina apparentemente pacifica del sud della California le luci apparivano sfocate, quasi il buio non permettesse loro di risplendere come avrebbero dovuto; il mare che ruggiva furioso sulla destra, oltre la fila di moli e le navi da carico di medio tonnellaggio, all’ancora, sembravano in attesa di una fuga precipitosa.

 

“Così, Julius, questa è Sunnydale.” La voce di Xavier era carica di potere, mentre si rivolgeva ad uno dei suoi sottoposti, uno dei suoi figli. Era chiaro che non era abituato a parlare a vuoto. “Che luogo insignificante per un Hellmouth.”

 

Una figura incappucciata non troppo alta ma molto robusta si fece avanti. “Sì Maestro, è davvero…sconsolante.” Julius abbassò il capo in segno di rispetto. Non era saggio contraddire Xavier.

 

Xavier si voltò dall’altra parte e si rivolse ad un’altra delle figure incappucciate, alta quanto lui e molto snella, tanto che la tunica sembrava volargli attorno. “Antoine, hai già trovato un luogo adatto ai nostri scopi?”

 

“Sì, Maestro. Un luogo di morte e distruzione. Esiste da più di due secoli.”

 

“Perfetto.” Xavier annuì, soddisfatto. Si poteva sempre contare su Antoine e sulla sua fedeltà.

 

Julius osservò furioso lo scambio tra il suo fratello delle tenebre e il Maestro. Disprezzava Antoine con tutta la furia che il suo demone gli permetteva.

 

“Maestro, mi perdoni. Perché non usare il luogo di potere di Glorificus? La convergenza di potere oscuro del luogo è altissima.”

 

Xavier si voltò verso Julius, un lampo minaccioso negli occhi. “Sei una cocente delusione per me talvolta, Julius. Antoine spiega a questo sciocco il perché,” disse il Maestro, tornando a guardare la cittadina sottostante.

 

Julius era impetuoso. Un demone sadico, un cacciatore. Ma non uno stratega. Il suo braccio armato, ma non il suo erede alla guida del clan. Non che Xavier avesse intenzione di lasciare il suo posto a qualcuno. Ma se proprio avesse dovuto, Julius non era il candidato numero uno.

 

Antoine nascose sotto il cappuccio un sorriso di soddisfazione per il rimbrotto subito dal suo fratello delle tenebre. “Il crocevia di Glorificus potrebbe interferire con il rito,” spiegò, attento a mantenere un tono neutrale. “Inoltre, se anche funzionasse, il supremo demone che il maestro richiamerà sentirebbe il potere presente nel luogo e saprebbe a chi era appartenuto. Il demone potrebbe non apprezzare il luogo della sua resurrezione. Certi demoni possono essere estremamente…competitivi…l’uno con l’altro.”

 

Xavier sorrise soddisfatto verso Antoine. Intelligente e scaltro. Il perfetto capo. Doveva iniziare a guardarsi le spalle da lui.

 

Xavier fece cenno alla terza figura, che era rimasta qualche passo indietro, di avvicinarsi. Heinz era un sensitivo un empate con piccole doti precognitive- che si dilettava di magia, quando lo aveva trovato, ottanta anni fa. Sprecava il suo tempo in Germania, dietro le sciocchezze di Alistaire Crowley e la magia sessuale. Raggirava e violentava fanciulle della buona società. Un’anima nera che poteva tornare molto utile al suo clan. Aveva capito subito che era tempo per lui di creare un nuovo figlio. I suoi particolari talenti erano rimasti dopo la trasformazione e Xavier se ne serviva largamente, seppure vi si affidasse con cautela.

 

“Dimmi ciò che avverti, Heinz. La cacciatrice può essere un problema?” L’Hellmouth aveva ovviamente una cacciatrice. E una dannatamente buona, anche. L’idea che il suo clan venisse decimato prima di poter portare a termine il suo scopo non gli piaceva affatto.

 

“No, Maestro. Siamo troppi per lei. E non ha attitudini per la magia.” La risposta di Heinz fu pronta e sicura.

 

“E la sua strega? Cosa vedi per lei?”

 

“E’ difficile dirlo. L’Hellmouth interferisce con i miei sensi.”

 

“La Strega Rossa aveva fama di essere una praticante delle arti oscure molto potente e versata,” interloquì Antoine. “Ma si dice in giro che abbia abbandonato la magia nera da anni ormai, per quanto qualcuno sospetti che la potenzialità per il lato oscuro sia rimasta intatta.”

 

“E’ tutto qui?”

 

“No, Maestro. Ci sono delle altre cose,” riprese Heinz.

 

“Parla.”

 

“L’anno scorso il culto di Kalì ha tentato di riaprire l’Hellmouth per scatenare il caos sulla terra. Per farlo hanno usato un potente incantesimo. La cacciatrice è riuscito a contrastarlo in qualche modo. Ma non abbiamo la certezza che sia stata la Strega Rossa a farlo. Nessuno l’ha vista sul campo di battaglia. E anche in altri casi sembra aver usato degli incantesimi senza l’intervento della strega.”

 

“Hai appena detto che la cacciatrice non ha alcuna attitudine per la magia.” Heinz riconobbe subito la minaccia sottintesa nelle parole del suo Maestro. A Xavier non piaceva essere tenuto all’oscuro. La confusione gli provocava rabbia. Non una buona cosa per chi si trovava dalla parte ricevente di quella rabbia.

 

“Qualcuno dice che la strega sia capace di fare incantesimi a distanza; altri che sia capace di rinchiudere i suoi incantesimi in modo che chiunque possa poi attivarli.”

 

Xavier parve riflettere su quelle parole per alcuni minuti. “Dopo che il rito sarà avvenuto, vedremo di farla diventare una di noi. Sarà un grande acquisto per il nostro clan.”

 

“Maestro, l’incantesimo di Anyanka…” Protestò Antoine.

 

“Lo conosco. Ma ci sono modi per legare un vampiro ancora più strettamente al suo Maestro. E se i suoi poteri magici passassero intatti al suo demone, quale splendido, crudele, vizioso e sadico cacciatore si aggirerebbe nelle notti di Sunnydale. Qualcuno di cui anche voi dovreste avere paura.”

 

“Paura di un novellino?”

 

Le parole di Julius strapparono un sorriso crudele a Xavier. Julius. Troppo stupido per avere paura. Così certo della sua forza. Non si preoccupa mai del nemico che ha di fronte. Questo prima o poi segnerà la sua distruzione.

 

Xavier si voltò ed iniziò a scendere verso il punto dove il suo clan era rimasto in attesa del suo ritorno.

 

Gli altri tre lo seguirono.

 

“Anche tu eri più forte della media dei nuovi nati, quando ti ho creato. Sapevo che lo saresti stato. Come so che lei sarà più forte di quanto lo eri tu appena uscito dalla tua bara.”

 

Julius si passò la lingua sulle labbra con un senso di anticipazione. Come gli sarebbe piaciuto vederla questa vampira così terribile, che si era meritata in brevissimo tempo il posto di favorita alla corte del maestro del clan di  Aurelius nell’incantesimo di Anyanka. Certo, non era mai successo in questa linea temporale. Ma Heinz aveva percepito l’incantesimo del demone della vendetta Anyanka e aveva raccontato a Xavier cosa aveva visto. Quale splendido mondo era possibile.

 

Soprattutto, si disse Julius, se fossi io a crearla!

 

Arrivati ai piedi della collina, Xavier comandò: “Antoine, portaci al nostro nuovo rifugio. Guidaci alla caverna.”

 

“Sì, Maestro.”

 

“Sono pronte le scorte di sangue?”

 

“Sì, Maestro.” Xavier notò la delusione nelle loro parole. Loro erano predatori. Doversi accontentare delle buste di sangue rubate agli ospedali non era nella loro natura. Era un’offesa al demone che scalpitava in loro.

 

“Abbiate pazienza, figli miei. Tra breve tutta la città sarà la nostra riserva privata di caccia,” disse con un luccichio malvagio negli occhi. “E nulla potrà fermarci.”

 

Quattro paia di occhi scintillarono minacciosamente in risposta a quel pensiero, le zanne snudate in un atroce, pericoloso sorriso.

 

Capitolo II: In attesa del ritorno

 

Tara posò il ricevitore sulla forcella e rimase a fissarlo con aria sgomenta. Si appoggiò ancora di più contro il muro di fianco al basso tavolo da caffè che ospitava il telefono. Sospirò rumorosamente, ancora incredula delle sue stesse parole. Aveva davvero detto di sì a Dawn?

 

Come diavolo ha fatto a convincermi?

 

Si era ritrovata ad accettare quasi senza accorgersene. Certo la notizia che ad un certo punto, le aveva propinato senza tanti preamboli aveva aiutato non poco la giovane Summers a convincerla.  Ma come aveva fatto ad avere la meglio sul suo senso di responsabilità così in fretta e sui suoi dubbi rimaneva per lei un mistero. Forse era stato il fatto di aver tirato in ballo Willow. Il nome della sua ex-amante aveva sempre un effetto destabilizzante su di lei, anche dopo più di cinque anni. Dawn questo lo sapeva. Conoscendola, Tara avrebbe potuto giurare che Dawn avesse spostato apposta l’attenzione sulla strega dai capelli rossi in modo da poterla prendere in contropiede.

La sua tattica ha funzionato dannatamente bene!

 

Tara gettò un’occhiata all’orologio da muro di fianco al basso muretto che ungeva  da divisorio tra il soggiorno e la piccola cucina, dall’altra parte della stanza.

 

Le due e quarantre, lesse.

 

Aveva ancora un’ora prima di dover uscire per andare a prendere Liz all’asilo. Tempo sufficiente per rimuginare su come le sue difese fossero state abbattute così facilmente e lei avesse accettato di tornare a Sunnydale, anche se solo per dieci giorni.

 

Il telefono era suonato mentre si stava rilassando sul divano con un libro che aveva preso alla biblioteca del quartiere, vicino al fioraio dove lavorava cinque giorni la settimana. Il libro che stava leggendo trattava di erbe medicinali, una cosa che la interessava molto. La giornata sembrava perfetta per dedicarsi ad una buona lettura e tenere lontani i problemi quotidiani. Il martedi era il suo giorno sacro. Era la sua giornata libera dal lavoro e Liz era all’asilo fino alle quattro. Un giorno tutto per sé, dalle 7,45 del mattino fino alle quattro del pomeriggio. Un’oasi di pace in attesa del suo secondo lavoro alla tavola calda, dalle diciannove alle due.

 

Di solito lo passava leggendo e rilassandosi, o facendo una passeggiata. Dopo essersi assicurata che il suo magro bilancio quadrasse, naturalmente.

 

Quando stava ancora con Helen il martedi era talvolta diventato la LORO giornata. Un paio di volte l’avevano passato facendo l’amore, ma quello non era uno dei ricordi preferiti di Tara. Helen era una buona amante, attenta e capace, ma nel loro rapporto era sempre mancato qualcosa. Non si era mai sentita completa con lei. Mai compiutamente appagata, né fisicamente né in altri sensi. Uno dei motivi per cui si erano lasciate era stato che Tara era stanca di fingere. Fingere che tutto andasse bene. Fingere che fossero felici. Fingere che ci fosse una comunione di anime che non aveva mai sentito. E perché, ad essere onesti fino in fondo, con Helen erano stati più gli orgasmi che aveva finto che quelli che aveva avuto. E quando li aveva avuti, non aveva mai una volta pensato a lei.

 

Lo stesso era successo con Joan, la sua relazione precedente. Il problema era sempre lo stesso e Tara ne era ben conscia. Nessuna delle due era Willow.

 

Non credeva che si potesse simulare un orgasmo con un’altra donna, fino a quando non aveva dovuto farlo lei stessa. Certo, Willow era stata la sua prima ed unica, prima che si lasciassero; e il sesso con lei era sempre stato totalmente sfinente ed appagante. La rossa aveva una resistenza tale da far invidia a quella di una cacciatrice sotto adrenalina da combattimento. Più di una volta Tara aveva dovuto pregare Willow di interrompere le sue attenzioni per farle riprendere fiato. Ma non spesso, si disse con un sorriso malizioso che subito scacciò dal suo volto.

 

Poi invece…

 

Joan si era sempre dimostrata comprensiva e dopo le prime volte aveva smesso di chiederle se aveva goduto. Per un po’ si era accontentata di accettare il fatto che non sarebbe mai riuscita a soddisfarla. Ma poi la cosa aveva iniziato a pesarle e si erano lasciate dopo poco più di sei mesi. Helen invece era orgogliosa. La cosa era stata motivo di litigi, fino a quando Tara non aveva imparato a fingere. Si era sentita sporca nel farlo. Per non essere capace di dare quella soddisfazione alla sua amante. Si era sentita inadeguata. Allora aveva preferito chiudere il rapporto, piuttosto che continuare così. Certo non era stato l’unico motivo, ma per qualche strana ragione i più importanti motivi di fallimento delle sue relazioni post-Sunnydale erano legati al sesso.

 

Ora che il martedì era tornato ad essere il SUO giorno, Tara era intenzionata a goderselo.

 

Aveva proprio bisogno di un po’ di riposo. Aveva bisogno dei SUOI martedì.

 

Lì era diverso da Sunnydale. Le cose peggiori sembravano sempre succedere proprio il martedi, a ca…a Sunnydale… tanto che tutti avevano i nervi tesi fin quando la giornata non era passata. Xander lo chiamava Il Giorno Fisso Delle Apocalissi.

 

Il suono del telefono l’aveva distratta da un paragrafo molto interessante sugli stati di trance percettiva indotti dalla Salvia divinorum.

 

Tara aveva chiuso il libro attorno al suo indice come segnalibro e si era alzata dal divano con un grugnito di disappunto, con la speranza di liberarsi in fretta della scocciatura.

 

In quel momento si era ripromessa  di comprare una segreteria, non appena avesse avuto abbastanza soldi, pur sapendo dentro di sé, che una simile possibilità non si sarebbe presentata per molto tempo a venire. Essere una madre sola e senza laurea non le garantiva certo i lavori più redditizzi.

 

Aveva raggiunto il telefono dopo il quarto squillo, di malavoglia, temendo di sapere chi poteva esserci dall’altra parte. Si era portata la cornetta all’orecchio e mentre pronunciava un neutro ‘pronto?’, pregò non si trattasse di Helen, per quanto lo temesse. I suoi pochi amici erano tutti al lavoro a quell’ora. Lei non li vedeva spesso, poiché erano quasi tutte amicizie acquisite, tramite Joan o Helen, e le poche volte che le telefonavano era al negozio di fiori o nei week-end. Helen era l’unica, in quanto capo di se stessa, ad avere la possibilità di telefonare a proprio piacimento, a quell’ora.

 

La voce allegra dall’altra parte della comunicazione fu una gradita sorpresa, una volta superata l’idea che potesse essere accaduto qualcosa di butto, che la proiettò in una dimensione completamente differente dal tempo e dal luogo dove si trovava.

 

 

 

“Tara. Sei tu? Sono Dawn.”

 

“Dawnie! Che piacere sentirti!” Disse Tara, evidentemente sollevata. Poi un senso di timore s’impadronì di lei. È successo qualcosa. Oh, Dea, Willow. È successo qualcosa a Willow. Fa che stia bene ti prego. Anche se non vuole vedermi, anche se mi odia, fa che stia bene. “Dawnie,” chiese con timore, “è successo qualcosa? State tutti bene?”

 

Willow sta bene? Quella era la domanda che voleva fare e non avrebbe mai fatto. Era un argomento che non riusciva ad affrontare e che sperava Dawn non avrebbe sollevato. Ma non si faceva troppe illusioni. Dawn l’aggiornava sempre su Willow. Inguaribile romantica, la piccola Dawn.

 

“Benissimo. Tu piuttosto, come stai. Ti ho presa in un brutto momento?” La voce di Dawn era passata da gioviale a preoccupata.

 

Tara si lasciò scivolare a terra e appoggiò il libro di fianco a sé, liberando la mano che non reggeva la cornetta, dimentica di dover tenere il segno. “No, no, affatto. Stavo leggendo e temevo che potesse trattarsi di qualche scocciatore,” coprì Tara. In fondo non era una bugia. Helen era stata uno scocciatore i primi tempi dopo che si erano lasciate. Le aveva telefonato anche venti volte al giorno, a qualsiasi ora, fino a quando Tara non l’aveva convinta a smetterla. Se non per lei per Lizzie. Capiva il suo stato emotivo, ma non sarebbe tornata indietro. Non era giusto per nessuna delle due. Tara non poteva amarla e Helen non si sarebbe accontentata di meno. Ora i loro rapporti erano basati su una civile per quanto non semplice amicizia.

 

“Ma visto che sei tu, sono contenta di aver risposto.”

 

“Temevi che si trattasse di Helen, vero?”

 

“Sì.”

 

“Ti tormenta ancora? Perché se è così, io…”

 

Tara percepì la rabbia di Dawn e decise di interromperne la sfuriata sul nascere. “Dawnie, Helen non mi tormenta! Siamo state assieme per otto mesi e lei ci tiene ancora molto a me, cerca di capire,” disse in tono conciliatore. “Non è facile neanche per lei.”

 

“Ok. Ma dovrebbe capire quando una storia è finita.”

 

“Ci vuole tempo. Ci siamo lasciate solo da quattro mesi, in fondo.”

 

Io ci ho messo anni per dimenticare Willow. Se poi l’ho davvero dimenticata…Sì! Vero? Vero!

 

Una voce dentro di lei gridò: Falso! Tara finse di non averla sentita.

 

“Buffy come sta?” chiese con il chiaro intento di cambiare discorso.

 

“Come al solito. Acida e rompiballe solo come una sorella maggiore, zitella e con superpoteri può essere.”

 

Tara rise. “Non farti sentire!” Ammonì.

 

Nonostante il commento poco amichevole sapeva che Dawn era molto attaccata a Buffy. Quello di pungolarsi in continuazione a vicenda era il loro modo per ribadire l’affetto che provavano l’una per l’altra.

 

“Nessun pericolo. È di sopra.”

 

La voce di Buffy risuonò in lontananza nel ricevitore. “Super-udito, ricordi?”

 

Dawn imprecò a mezza bocca. “Dann…!” Poi rivolta alla sorella, in una scena che Tara poteva solo immaginare: “Non sta bene origliare le telefonate altrui.”

 

Buffy, in tono allegro: “A quanto pare ho fatto bene, però, visto che sparli di me con Tara. Manda tutto il mio amore a lei e a Liz.”

 

“Ok.” Dawn tornò a parlare con Tara. “Buffy e il suo dannato super-udito mandano tutto il suo amore a te e a Lizzie.”

 

Tara ridacchiò. Riusciva ad immaginare senza troppa fatica Dawn che ruotava gli occhi e faceva il broncio mentre arringava Buffy e i suoi talenti di cacciatrice male usati. “E Andrew come sta?” Chiese, per distrarla.

 

“Lui sta benissimo. Lo conosci. Ha il dono dell’imperturbabilità.” Poi in tono anche troppo casuale: “Anche Willow sta abbastanza bene, nonostante tutto.”

 

Se Tara avesse potuto vederla, avrebbe visto un sorrisetto soddisfatto sul volto di Dawn per essere riuscita ad inserire la sua ex-amante nel discorso alla prima occasione.

 

Tara sospirò. “Perché lo dici proprio a me?” Chiese fingendo disinteresse. “Io ti aveva chiesto di Andrew, non di Willow.”

 

“E non lo avresti neanche chiesto. Ma io so che muori dalla voglia di sapere come sta e sei troppo fifona per domandarlo.”

 

“Dawn!” la rimproverò Tara, mentre si chiedeva se la giovane non avesse ragione. Era vero che appena aveva sentito la voce di Dawn il suo primo pensiero era corso a Willow. Era più  forte di lei. Ma ormai non amava più Willow. Giusto?

 

Giusto!

 

Sbagliato?

 

Sbagliato! Tara sentì ancora quella dannata vocina dentro di sé. Perché non voleva tacere?

 

Che significa nonostante tutto?

 

“Che significa nonostante tutto?” Non si accorse di aver espresso la sua preoccupazione fino a quando non sentì la voce di Dawn risponderle, con un sospiro di preoccupazione.

 

“Lavora troppo. Ha un milione di contratti da portare a termine. Non dorme abbastanza e fa una vita troppo frenetica. Credo che potremmo riassumere il tutto così. Ah, sì. Non mangia quasi niente. A sentire lei rende ricchi tutti i ristoranti di Sunnydale, ma io ci credo poco. ”

 

Tara ascoltò in silenzio. Una miriade di immagini le si presentò alla mente. Willow che studiava freneticamente la magia nera, cercando un modo per portare Buffy indietro dal regno dei morti. Willow con le pupille nere come un pozzo infenale, bella e fredda come la statua di un grande artista. E altrettanto inavvicinabile. Willow con gli occhi cerchiati, denutrita e amareggiata. Bella comunque. Aveva voglia di piangere.

 

Cercò di scacciare quelle immagini e di pensare a lei come era all’inizio della loro relazione, dolce e innocente; ma l’altra Willow, quella che le aveva rubato i ricordi, continuava a sovrapporsi a quella.

 

“Come vanno le sue pratiche magiche?” Indagò con voce strozzata.

 

“Bene, per quanto ne so. È molto riservata da quel punto di vista, ma Buffy dice che i suoi incantesimi funzionano alla perfezione. Io al massimo la vedo meditare in giardino, sotto la quercia. Non vuole assolutamente che io mi avvicini alla magia! Dice che ho un carattere troppo impulsivo e simile al suo per praticare e che potrebbe essere pericoloso se non viene fatto con serietà. E purtroppo ha ragione. Non ho la pazienza necessaria per imparare i precetti morali.”

 

Le parole di Dawm impiantarono una minuscola speranza nel cuore di Tara, ma subito il dubbio si impadronì di lei.“Neanche lei ce l’aveva,” si lasciò sfuggire, pentendosene subito. Chi era lei per giudicare?

 

“Ottima scelta dei tempi verbali,” le rispose Dawn, inconsapevole del dibattito interno della strega bionda e lasciando intendere molto di più di quanto non avesse detto.

 

“Cosa vorresti dire?” La voce di Tara era divenuta un sussurro.

 

“Buffy dice che sa fare incantesimi molto complessi. E saranno ormai più di tre anni che un incantesimo non le va storto, da quel che so. Persino Xander, non si lamenta più del fatto che continua a praticare le Arti. Quindi niente magia nera.”

 

Tara sapeva che Xander non era stato felicissimo, per usare un eufemismo, del fatto che Willow continuasse ad essere una strega. Non sapeva perché avesse insistito tanto che smettesse. Aveva sempre pensato che Xander incolpasse la magia di ciò che le era successo con Rack e Spike. Ma con il tempo questa convinzione si era un po’ affievolita per diversi motivi. Uno era che lei non sapeva cosa era successo di preciso con Rack e Spike, solo che era stato molto brutto e che Willow era finita in ospedale per un mese e mezzo. Un altro che, quando lo aveva chiesto a Xander e Anya, durante una loro visita a SF, il giovane carpentiere aveva avuto fin troppa fretta nel confermare la sua idea ed Anya lo aveva subito spalleggiato, senza ulteriori commenti. Vista la brutale sincerità dell’ex-demone nel dire ciò che pensava, la cosa aveva insospettito non poco Tara.

 

Il problema che rimaneva era: quali arti continuava a praticare Willow?

 

“Non sai dirmi quale tipo di incantesimi fa?” Chiese con il timore nel cuore.

 

“Per quanto ne so non ha mai tradito la sua promessa,” disse Dawn, dimostrando, come sempre, perspicacia. Willow aveva giurato a Dawn, dopo gli avvenimenti ancora poco chiari della morte di Rack e Spike, che non avrebbe mai più praticato la magia nera. Anche se quella promessa avesse dovuto costarle la vita. Anche se fosse costata la vita di qualcuno a lei caro. Aveva suggellato quella promessa con il proprio sangue, le aveva detto Dawn, una volta, senza spiegare oltre. Quante spiegazioni le mancavano! Quante volte aveva chiesto cosa era accaduto in quei maledetti giorni solo per trovarsi di fronte ad un muro di risposte vaghe e silenzi?

 

Un’idea le occorse, pensando ad alte telefonate con la giovane Summers.

 

“Dawn? Una volta mi hai detto che se Willow avesse mai più usato le arti nere avevi un modo per saperlo senza ombra di dubbio. Come faresti a saperlo?”

 

“Ho un modo,” confermò Dawn in tono misterioso, giocherellando con l’antenna del cordless in evidente disagio. “Preferirei non dirlo.”

 

“Potresti controllare anche ora?”

 

“Potrei,” le confermò ancora Dawn, titubante. “Ma preferirei non farlo. Sarebbe come tradire la sua fiducia. Forse tu non puoi capire, ma per me è importante. A Willow non importerebbe, probabilmente. In fondo è stata lei a darmi il modo di sapere. Però preferirei davvero non farlo. Significherebbe che non mi fido di lei e dopo tutte le difficoltà che abbiamo avuto in passato mi sentirei come se la stessi pugnalando alle spalle. Io mi fido di lei, Tara. E dopo cinque anni dovresti anche tu. Potresti anche tu. Willow è cambiata molto.”

 

Forse troppo, si disse Tara. “Io ho bisogno di sapere, Dawn.” Le sue parole risuonarono disperate anche nelle sue orecchie.

 

Dawn pensò che era giunto il momento per un buon compromesso. “Tara, controllerò se tu sarai qui con me,” disse.

 

“Dawn, sai che non è possibile. Non posso lasciare il lavoro, i soldi mi servono.”

 

“Tara, non ti sei mai presa un giorno di ferie. Venire qui da noi ti farà bene. Eppoi muoio dalla voglia di rivedere Lizzie.”

 

“Dawn, non posso. Non ho i soldi,” protestò Tara con timidezza. Le pesava fare quell’ammissione, ma purtroppo era la verità.

 

“E se noi ci offrissimo di pagare tutte le spese, viaggio compreso?” propose Dawn, intenzionata a riportare Tara a Sunnydale a qualunque costo.

 

“Non posso accettare, Dawn.”

 

“Neppure per venire a un matrimonio Scooby?” Dawn sorrise soddisfatta contro la cornetta. Aspetta che ti dia il colpo di grazia e poi vedremo se non prenoterai i biglietti dell’aereo oggi stesso!

 

“Oh, Dea! Finalmente Xander ed Anya hanno deciso di riprovarci? Quando?” Chiese Tara, sentendosi invadere dall’eccitazione. Poi si sentì in colpa perché si era completamente dimenticata di chiedere delle condizioni di Anya. Era stata troppo assorbita dal discorso su Willow. Come sempre. “Come va la gravidanza? Come farà con il pancione? Si sposeanno dopo il parto?”

 

“La gravidanza di Anya va benissimo, a parte il fatto delle continue lamentele per la mancanza di sesso.” Le due donne ridacchiarono. “Ma non sono Xan e Anya a sposarsi. Siamo io e Andrew.”

 

La notizia fu talmente sconvolgente che quasi Tara lasciò cadere la cornetta, prima di riprenderla con esagerato vigore. “Dawn?” Chiese con timore. “Sei incinta?”

 

“Co…? No! Assolutamente no!” Rise Dawn. “Sono solo innamorata. E Will mi ha insegnato già da un po’ che cos’è il sesso sicuro. Anche se l’idea di una lesbica che ti insegna cos’è un preservativo e come usarlo sembra molto buffa.”

 

“Forse non così lesbica,” dichiarò Tara a mezza voce. La paura di essere stata solo una fase per Willow non l’aveva mai abbandonata. Non ebbe il tempo di pensarci sopra oltre. La voce arrabbiata di Dawn glielo impedì.

 

“Ancora con questa storia? Tara, stai diventando ridicola!”

 

Tara sentì Dawn respirare profondamente nel ricevitore, per calmarsi. “Tara,” la voce di Dawn era tornata amichevole. “ Willow è gay, fidati di me. In fondo sono tra i suoi confidenti per contratto,” scherzò. “Ora torniamo al mio matrimonio. Non ho molto tempo. Tra poco Andrew sarà qui e dovremmo uscire. Se vorrai ne riparleremo a quattr’occhi.”

 

Tara avvertì che Dawn era restia a continuare quell’argomento e decise di accantonarlo per il momento, anche se i suoi dubbi non facevano che aumentare. “Ok. Non sei un po’ troppo giovane per sposarti?” Chiese Tara.

 

“Anche tu come Buffy!” Si lamentò la giovane.

 

“Tesoro, Buffy non ha tutti i torti. Sei sicura che sia la cosa giusta da farsi. In fondo hai tutta la vita davanti. E se poi non fosse la scelta giusta? Se non fosse lui la persona giusta per te?”

 

Le obiezioni di Tara riguardo la giovane età di Dawn erano plausibili, ma Tara non potè non pensare che stava proiettando le sue delusioni personali sulla decisione della giovane e che anche Dawn potesse pensare lo stesso.

 

“L’unica cosa che so è che lo amo e lui ama me. Sono convinta di aver trovato la mia anima gemella, Tara. Come ho sempre sognato. Come eravate tu e Willow…” Dawn si bloccò temendo di aver fatto una gaffe. Il sentimento di riconoscenza che provava verso Willow e Tara per averle dimostrato che esisteva l’amore vero nel momento più difficile della sua vita era reale. Erano stati giorni terribili, che lasciavano poco spazio alla speranza. Dawn era ancora la Chiave di Glorificus a quei tempi e l’Hellgod era fermamente intenzionata ad aprirsi la via di casa con il suo sangue, a scapito delle conseguenze. Joyce, sua madre, la madre putativa della Scooby Gang, era morta da poco, e Buffy l’avrebbe seguita nella tomba non troppo tempo dopo, anche se solo per tre mesi.

 

In quei momenti Willow e Tara avevano rappresentato una specie di possibilità di normalizzazione da una parte e di eccezionalità dall’altra. Eccezionalità nell’amore infinito che si dimostravano l’un l’altra; nell’affetto e nella comprensione che dimostravano agli altri e nella volontà di andare avanti nonostante tutte le difficoltà, anche prendendo su di sé i più pesanti fardelli, quando era stato necessario.

 

Alla fine Willow si era assunta più responsabilità di quante le sue fragili spalle potessero sopportarne. Quello era stato l’inizio di una fine che secondo Dawn poteva essere scongiurata, forse, se tutti loro avessero agito diversamente. Ma quello era il passato e non poteva essere cambiato. Però il futuro poteva essere diverso. Willow aveva pagato lo scotto più alto per dare loro la possibilità di vivere. E lo aveva fatto perché da qualche parte nel mondo c’era Tara. E Tara doveva essere protetta dai pericoli del mondo. Tara era lo scopo per cui si doveva combattere la battaglia dei giusti, per Willow. Prima aveva creduto che per preservare quella purezza si doveva fare tutto ciò che era necessario. Anche perdere la propria anima. Poi Dawn l’aveva vista arrivare a capire l’insegnamento che Tara non era riuscita ad impartirle. Nella maniera più dura. Attraverso l’abbandono di Tara e la corruzione di Rack. E le torture di Spike. Aveva toccato il fondo più basso per incamminarsi verso la luce più alta.

 

Tutto quello che Willow aveva sempre fatto negli ultimi anni era legato in qualche modo a Tara. Dawn sapeva che dentro di lei la strega dai capelli rossi portava un’immagine indelebile di ciò che pensava essere la perfezione fisica e morale. Un’immagine che era intenzionata a non tradire e non deludere mai più. Quell’immagine era Tara.

 

Willow aveva messo Tara su un piedistallo altissimo,  quasi al livello della Dea in cui credeva, perché le fosse inaccessibile allo stesso modo. Willow aveva così rifiutato qualsiasi contatto con Tara negli ultimi cinque anni.

 

Forse era venuto il momento che tutti loro facessero qualcosa per le due streghe. Dovevano trovare un modo per far finire questa guerra fredda. Dovevano vincere le resistenze di Will e dare alle due quello che non avrebbero mai ammesso di desiderare di più: l’un l’altra.

 

“Il tempo, quando si vive sull’Hellmouth, è una cosa preziosa lo sai. Non ci si può permettere di sprecarlo. Soprattutto quando si è innamorati,” continuò Dawn, mettendo da parte le sue riflessioni fino a quando non avesse potuto ricavarne un piano d’azione. “E noi siamo innamorati. Questa è una delle poche certezze che ho. Non voglio sprecare tempo e voglio che Buffy e gli altri mi vedano sposata e felice.

 

Tara percepì l’amore nelle parole di Dawn. Amore per Andrew e per Buffy. Amore per tutta la famiglia Scooby. Era felice per lei, ma troppi dubbi le affollavano la mente e la preoccupazione per quella sorta di sorella minore le impediva di tenerli  per sé.

 

“Come fai ad essere così certa? Se fosse vero che Willow ed io siamo anime gemelle, perché non siamo più insieme? Perché mi ha sempre evitato negli ultimi cinque anni? Cosa ti fa credere che non succederà lo stesso a te e Andrew?”

 

Dawn sentì più sconfitta che astio nelle parole di Tara.

 

“Voi siete anime gemelle. Avete solo dimenticato di esserlo. E per quanto riguarda me…Cosa vuoi che ti dica? Sono certa che Andrew sia la persona giusta per me? Sì! Sono certa che durerà tutta la vita? No. Come potrei esserlo? Qui le certezze sono più labili che altrove, lo sai, con la percentuale di male puro più alta degli States- e già non è poco!- e tutto il resto. Ma bisogna sperare! E vivere!”

 

Tara si sentì terribilmente fiera delle parole di Dawn. Non riusciva a condividere appieno il suo pensiero, ma il coraggio che stava dimostrando era encomiabile. Sentì il suono di un campanello risuonare attraverso la cornetta.

 

“Tara, è arrivato Andrew. Devo lasciarti,” disse Dawn, apprestandosi ai saluti. “Ti mando i biglietti domani. E ricorda, ti voglio qui almeno dieci giorni prima. Abbraccia Lizzie per me.”

 

“No, aspetta. Non posso ac…” iniziò a dire Tara, presa dal panico. “…cettare. Io non…”

 

Il suono monotono del tono del telefono interruppe le sue obiezioni. Tara rimase a guardare la cornetta stretta nella sua mano. Quando finalmente realizzò del tutto di essere sola, allentò la stretta sulla cornetta e la lasciò cadere a terra con un thump smorzato sul parquet sconnesso. Si strofinò gli occhi con forza e li trovò bagnati da lacrime che non si era accorta di aver versato. Poi si passò una mano tra i capelli e trasse dei lunghi respiri per recuperare il controllo delle mille emozioni che si scontravano in lei.

 

“Dawn,” sospirò tra sé. “Piccola Dawn. Com’è difficile negarti qualcosa.”

 

Un piccolo sorriso fece breccia sulle sue splendide labbra piene. Le venne in mente che doveva dire a sua figlia che sarebbero andate a Sunnydale, a casa di zia Dawn e zia Buffy. Il sorriso le si allargo nel suo tipico, dolcissimo ghigno un po’ sghembo -ma così sexy –almeno a detta di Willow- mentre si prefigurava l’eccitazione che avrebbe colto la piccola alla notizia.

 

E aveva un milione di cose da fare nei prossimi giorni. Tipo dire a Carl Portman, il suo capo, che doveva prendersi dieci giorni di quelle ferie che non si era mai presa. E annunciare alla tavola calda dove lavorava saltuariamente, ma con costanza, che non sarebbe stata disponibile per un periodo di dieci giorni, con grande detrimento degli avventori e ancora più grande sollievo del suo sedere che avrebbe evitato i pizzicotti per un po’.

 

<Rivedrai Willow.>

 

La voce dentro di sé tornò a farsi sentire con ancora più insistenza.

 

Quello non è importante! Rispose Tara alla voce.

 

<Magari nuda…> Insistette la voce. <Dieci giorni nella stessa casa. Dieci giorni di deliziosa sottomissione…>

 

Ora basta! Si impose Tara, sentendosi riscaldare il cuore e tra le gambe al pensiero di quella possibilità, a dispetto della sua volontà. Cosa diavolo mi salta in mente? E cos’è questa storia della sottomissione?

 

Riprese la cornetta da terra, dove aveva continuato il suo noioso monologo e  se la portò davanti agli occhi.

 

Tirò giù la forcella del telefono e la appoggiò sul pavimento di fronte a sé, tra le sue gambe. Rimise a posto la cornetta e fissò il telefono meravigliata di stare già facendo programmi e progetti per la loro trasferta.

 

Come diavolo hai fatto a convincermi Dawn?

 

Capitolo III: In attesa della ronda

 

Willow alzò la testa dal pesante libro rilegato in pelle che teneva in mano e guardò il suo orologio da polso per l’ottava volta in mezz’ora. Le lancette le confermaroano che non erano passati che quattro minuti da quando aveva controllato in precedenza, esattamente quattro minuti prima. Si mosse sul cuscino del vecchio divano del salotto di casa Summers, cambiando posizione come se fosse seduta su un  rovo di spini.

 

Girò distrattamente una pagina, gettando occhiate distratte a parole e figure, ma in realtà non  aveva prestato la minima attenzione a ciò che stava leggendo. La demonologia impossibilmente reale di Reginald Herbert Clooster. Un testo rarissimo di cui Willow aveva sentito parlare da Giles qualche anno prima. Trovarlo le era costato un grande sforzo, ed aveva richiesto molte ricerche in internet e un pizzico d’aiuto di Anya. Lo aveva pagato molto caro anche, circa tremila dollari anche se, per fortuna i soldi non erano un problema per lei ed  Anya aveva un’abilità commerciale incredibile che le aveva permesso di averlo con un forte sconto.

 

Anya era un commerciante incredibilmente bravo e aveva degli eccellenti contatti commerciali nel mondo dell’occulto. L’ex-demone era capace di procurare praticamente quasi di tutto. Così, sapendo quanto lei desiderasse leggere quel testo, dopo alcune telefonate, le aveva dato un indirizzo e-mail, che era riuscita ad avere qualcuno che probabilmente Willow preferiva non conoscere.

 

Ed ora il libro era tra le sue mani. E lei lo stava praticamente ignorando.

 

Willow era a conoscenza dell’esistenza di un’altra copia di quel libro nella biblioteca del Consiglio degli Osservatori nell’Herefordshire, ma era praticamente inaccessibile per loro, visti i rigidi standard di riservatezza di quella sorta di deprecabile società segreta. Soprattutto dopo che Buffy si era completamente emancipata dalla loro tutela qualche anno fa e lo stesso Giles aveva tagliato i ponti con loro.

 

Ora, dopo che Chambers aveva sostituito Travers alla guida del Consiglio, i rapporti tra il Consiglio stesso e Giles erano notevolmente migliorati, tanto che l’ex-Osservatore di Buffy era stato reintegrato nei ranghi.

 

Ma la Cacciatrice, e tutta la Gang con lei, erano rimasti del tutto indipendenti e decisi a non avere nulla a che fare con i boriosi ed intriganti inglesi, se non per particolari casi di necessità. E sempre alle loro condizioni.

 

Girò un’altra pagina, cercando di concentrarsi sufficientemente da far passare il tempo. Neanche una parola su tre le era rimasta in mente. Le raffigurazioni dei demoni maggiori dell’inferno Ma’lok, con le loro descrizioni dettagliate, erano scritte in uno stile fluente e piacevole, ma le passavano sotto gli occhi senza imprimersi nella sua memoria, come se stesse sfogliando una rivista di pettegolezzi. I suoi pensieri erano altrove, proiettati equamente tra passato e futuro. Sentiva tutta la stanchezza accumulata negli ultimi quattro anni accumularsi sulle sue spalle, tutti i dubbi attraversarle la mente. Il suo cuore era stato diviso così a lungo tra la voglia di mollare tutto e lasciarsi andare e il sentimento di amicizia e il bisogno di ripagare Buffy e Dawn per tutto ciò che avevano fatto per lei.

 

Dopo quattro anni, dal momento della sua rinascita nel dolore, sentiva per la prima volta di dover dimostrare a se stessa e agli altri di poter dare di nuovo un contributo nella lotta dei giusti, se la necessità si fosse presentata. Inoltre aveva fatto un sogno. Non uno dei soliti sogni, uno di quelli che affollavano le poche ore di riposo che si concedeva ogni notte e la facevano svegliare con il terrore alla bocca dello stomaco e le lacrime agli occhi. Questo era uno dei sogni dell’altro tipo. Aveva iniziato ad averli quando era ancora intossicata di magia nera, come se le arti oscure l’avessero in qualche modo messa in contatto con una parte dei suoi poteri magici che non sapeva di avere.

 

Nel corso degli ultimi quattro anni ne aveva avuti una decina, tutti collegati alla famiglia allargata di cui faceva parte. Talvolta le comunicavano un pericolo immediato, altre volte erano delle visioni di un futuro più remoto. Willow, dopo che alcuni si erano verificati con precisione matematica, aveva iniziato a scriverne il contenuto in un quaderno, mettendo sulla carta tutti i particolari che riusciva a ricordare al suo risveglio.

 

Questa volta il suo sogno l’aveva atterrita in modo particolare, tanto che non aveva ancora trovato il coraggio di scrivere i dettagli nel suo quaderno, o sul suo computer perché fossero a disposizione degli altri. O nel suo Libro delle Ombre, perché…

 

Il pensiero del suo Libro delle Ombre che andava facendosi sempre più spesso e corposo giorno per giorno la intristì come sempre.

 

Nessuno avrebbe mai ereditato il suo Libro delle Ombre. Il pensiero si insinuò in lei, freddo e strisciante come un serpente. Non avrebbe mai avuto una figlia a cui insegnare la magia e le regole che ne erano le fondamenta inviolabili, regole che lei aveva imparato a caro prezzo. Non avrebbe mai avuto una figlia a cui impedire di fare i suoi stessi errori. Gli stessi errori che il suo sogno le diceva avrebbe commesso di nuovo in un futuro prossimo.

 

Hanna non era mai nata.

 

Willow aveva sognato se stessa, gli occhi due pozze nere, la magia nera che fuorisciva da lei, dalle sue mani protese, dagli occhi, dalla pelle stessa, in fasci luminosi rossi, avvolgendola completamente come in un bozzolo. Era sospesa a diversi pollici da terra, gloriosamente terrificante e soddisfatta di sé.

 

I suoi amici, la sua famiglia erano lì con lei, in una sorta di grotta che le pareva vagamente familiare, e la guardavano terrorizzati. Dawn era a terra, la faccia segnata da un grosso livido sulla fronte, le gridava di non farlo. Xander piangeva terrorizzato, un rivolo di sangue gli scendeva dalla bocca. Anya teneva tra le braccia un bambino molto piccolo, cercando di difenderlo con il proprio corpo. Giles la guardava con riprovazione, come a voler dire che sapeva che sarebbe successo. Aveva gli occhiali mezzi rotti e il viso escoriato. Buffy era ferita ad una spalla e sembrava impotente. Tutti sembravano in pericolo di vita.

 

C’erano molti vampiri che ridevano e uno di loro, vestito in una tunica blu scuro, tendeva le braccia verso di lei come per accoglierla.

 

E lei sorrideva. E avanzava verso il vampiro, pronta per essere accolta.

 

Di fianco al vampiro con la tunica blu scuro c’era un altro vampiro, in una tunica rossa, con una bambina in braccio. Il viso della bambina era in ombra e l’unica cosa che era visibile di lei alla luce delle torce appese ai muri erano i magnifici capelli biondi, sottili come la seta. In un angolo, dietro di loro, una figura femminile rannicchiata si teneva le mani sullo stomaco, un uomo la sovrastava con un’arma automatica in mano. L’uomo si leccava le labbra e si chinava a posare una mano sul petto della figura, in un modo che Willow potè definire soltanto come osceno.

 

La figura a terra tremava, scossa da brividi fortissimi, cercando inutilmente di scostare la mano che le frugava in petto. A Willow era parso di riconoscere la figura femminile, ma prima che potesse vederla bene in volto, Willow si era risvegliata coperta di sudore e con gli occhi pieni di lacrime. Il gelo del terrore si era impadronito di lei prima che si potesse rendere conto di trovarsi nel suo letto. Si era tirata su a sedere di scatto e aveva urlato con quanta aria aveva nei polmoni, gli occhi sbarrati nel vuoto, finchè Buffy e Dawn non si erano precipitate nella sua stanza e non l’avevano presa tra le braccia, una per parte. L’avevano cullata e le avevano sussurrato parole di conforto  per un tempo che era parso infinito e finalmente lei era uscita fuori dal suo stato di trance.

 

Quando era stata in grado di parlare, aveva detto loro con voce tremante: “E’ stato solo un incubo.”

 

Buffy e Dawn le avevano creduto, perché alcuni dei suoi incubi erano davvero terribili e loro lo sapevano. E perché desideravano crederle. Desideravano che il male che la ossessionava appartenesse al passato.

 

Ma non era vero. Willow si era resa conto immediatamente che il suo sogno non era un ricordo e non era simbolico. Quel sogno brutale e terribile era una premonizione che le mostrava il suo futuro fallimento, il suo ritorno alle arti nere, la definitiva perdizione della sua anima. Il tradimento del giuramento più sacro che avesse mai fatto. La promessa fatta sulla piccola bara bianca di Hanna.

 

Willow era più che decisa a fare in modo che quel sogno non si avverasse. Non dopo tutto ciò che aveva fatto per liberarsi dalla magia nera. Non dopo i crimini e i peccati che aveva commesso. Non dopo ciò che aveva fatto per rinchiudere la magia nera in fondo al èroprio essere, in un angolo così remoto di se stessa da renderla praticamente inaccessibile.

 

La magia nera era una parte di lei. Era dentro di lei, legata alle sue carni, e le sussurrava costantemente nell’orecchio come la malia di una sirena. Willow aveva imparato a non ascoltare il suo canto, ma talvolta la tentazione era forte. La magia era dentro di lei, sì. Come quella bianca. Perché esistevano molti tipi di magia al mondo. La magia non è qualcosa che scaturisce dalla persona. Il potere non è qualcosa che i maghi e gli stregoni creavano dal nulla. Gli usufruitori della magia non erano altro che dei canali viventi delle forze magiche. Ma quelle forze, passando attraverso i loro corpi lasciavano traccia di sé, come una sorta di sedimento in deposito, che poteva venire utilizzato per piccoli incantesimi. Era come se fossero in grado di assorbire le energie magiche dall’ambiente circostante. Il potere era la capacità di ridirigere quelle energie. Più si era capaci di farlo e più si era potenti.

 

Poi c’erano i modi. La magia bianca si otteneva pregando e chiedendo la benevolenza delle forze che le garantivano. La magia nera veniva estorta a forze che avrebbero dovuto rimanere confinate. Era proprio perché quelle energie magiche avevano una natura perversa che si radicavano all’interno di chi le usava. Ecco perché chi usava la magia nera sembrava aver maggior potere a disposizione e meno bisogno di usare incantesimi per utilizzarle.

 

La potenza di un mago o di una strega era data da un insieme di fattori. La benevolenza delle forze che concedevano il potere. La capacità di concentrazione. La forza di volontà. L’abilità di utilizzare gli incantesimi, di dare una forma definita alla massa informe dell’energia magica. LA capacità di essere in sintonia con quelle forze.

 

Tenendo conto di questi fattori, Willow Rosenberg poteva essere considerata tra i più potenti. Versata nelle arti bianche e favorita da quelle oscure, se avesse voluto farle rientrare nella sua vita. Ma non doveva succedere. Per questo, stanotte doveva dimostrare a se stessa che, se fosse stato necessario, poteva combattere senza cedere alla tentazione della magia nera. O morire senza incedervi, se necessario. Cosa che non la impresionava più di tanto. Non se la sua famiglia fosse stata al sicuro. Anche se vivendo su un Hellmouth il pericolo era sempre presente. Le volte in cui avevano rischiato la vita erano innumerevoli. Ma non era quello il motivo per cui aveva smesso di andare di pattuglia. E non era quello il motivo per cui stanotte voleva tornarci.

 

La sua mente scivolò via quasi senza che se accorgesse, in preda ad un turbinio di ricordi.

 

L’ultima volta che era andata di pattuglia con Buffy e gli altri fu un completo disastro. Un demone insignificante l’aveva colpita sulla sua gamba malata e lei non era riuscita a concentrarsi per il dolore, lasciando Buffy a vedersela con lui da sola. Non che fosse un gran compito per la Cacciatrice, con la sua forza e velocità, ma Willow si era sentita ugualmente in colpa. Tutto il potere che aveva avuto e padroneggiato nella sua breve vita e non riuscire a fronteggiare un piccolo demone. Poco prima del suo incidente -così come avevano preso a chiamare la sua personale ‘disavventura’ con Rack e Spike tra loro dopo che era uscita dall’ospedale- aveva avuto in mano il potere di distruggere il mondo con un pensiero, se avesse voluto. Una volta lo aveva quasi fatto, quando il dolore le era parso troppo insopportabile. Quando le avevano detto che Hanna non sarebbe mai nata.

 

Aveva rinunciato a quel tipo di potere tre anni e mezzo prima ed era decisa a mantenere fede alla promessa che si era fatta. Ed Hanna sarebbe stato un pezzo del suo cuore sepolto nel cimitero ebraico di Phoenix, al fianco di sua nonna di cui solo lei, Buffy e Xander sarebbero mai stati a conoscenza. Hanna Mabel Rosenberg, la sua erede, carne della sua carne, sangue del suo sangue, erede del suo Libro delle Ombre, giaceva in una piccola bara bianca, sotto terra. E lei aveva rinunciato al potere che forse poteva farla vivere. Certo era solo un feto, ma la magia nera poteva molte cose. Però lei vi aveva rinunciato ed era andata avanti.

 

 

 

Ma quella notte, durante una delle solite ronde, era bastato un piccolo demone per farla sentire insignificante e debole. Inutile e pericolosa. Perché quel potere era comunque dentro di lei e la voglia di usarlo era stata quasi soverchiante. Quasi. Almeno quella volta.

 

Mentre Buffy eliminava il demone, Willow aveva sentito dentro di lei il desiderio fortissimo di incedere nella magia nera e di vendicarsi del colpo subito. Sarebbe stato così facile.La magia scorreva forte in lei e le arti nere sarebbero state al suo comando in un attimo. Era riuscita a trattenersi, seppure con un grande sforzo, che i suoi amici, per fortuna, avevano scambiato per dolore. Il senso di colpa era stato fortissimo, soprattutto perchè era l’unica a conoscenza della verità dei propri sentimenti. Si era sentita terribilmente sola,  nuovamente sul baratro dell’abisso, con un piede già sospeso nel vuoto.

 

Era stato un semplice incidente, ma l’aveva convinta che in battaglia sarebbe stata solo un peso e niente di più. Se non un pericolo. Il giorno dopo aveva comunicato a Xander e Buffy la sua intenzione di non andare più di pattuglia con loro. Non aveva mai detto loro che la sua gamba destra non si era mai ripresa dalle torture subite e che spesso usava degli incantesimi per far cessare il dolore che sembrava bruciarle i nervi del ginocchio come se qualcuno vi stesse tenendo una fiamma ossidrica accostata dall’interno.

 

Erano incantesimi piuttosto lievi, all’epoca, buoni solo se l’arto non riceveva pesanti sollecitazioni. Purtroppo un calcio era una pesante sollecitazione, per quel tipo d’incantesimo. Willow aveva pensato che in uno scontro fisico lei avrebbe rappresentato un handicap per tutti loro. E allora aveva rinunciato a quella parte del lavoro nella battaglia contro il male.

 

C’erano state delle flebili proteste, ma di fronte alla sua risolutezza, erano presto cadute.

 

Xander aveva provato a dirle che quelle erano solo delle sue paranoie, ma poi, per una strana combinazione d’intuito e casualità, aveva scoperto quella verità sulla sua deambulazione che lei non avrebbe mai confessato spontaneamente. Xander non aveva più insistito, e di questo lei le fu grata, nonostante la vergogna della sua vulnerabilità fosse stata scoperta.

 

Buffy  le aveva detto che poteva succedere, ma, non conoscendo quella verità, si era trovata un muro di fronte, e non aveva insistito neanche lei, sicura che Willow sarebbe stata più al sicura a casa. Soprattutto dopo quello che aveva passato, negli ultimi due anni. Ma questo fu abbastanza cortese da non dirlo.

 

Così aveva abbandonato qualsiasi ruolo attivo che non richiedesse un diretto intervento della magia ed anche in quei casi si era assicurata che non ci fosse rischio per lei. Non  era diventata una vigliacca, e aveva notato che i sui amici non le avevano mai rimproverato niente di simile; né ne aveva trovato traccia nei loro sguardi. Willow non voleva che si trovassero in pericolo per causa sua, e loro non volevano che vi si trovasse lei. Era divenuto un muto accordo tra loro che Willow aveva ascritto nella lista delle sue cose-di-cui-vergognarsi-in-silenzio-da soli-nella-propria-stanza.

 

Ma stasera voleva depennare quella voce dalla lista. Doveva. Quel sogno non doveva avverarsi.

 

Dopo quella sventurata sera aveva intensificato ancora di più le sue pratiche magiche. Niente magia nera. Aveva abbandonato la necromanzia nella sua “Ultima gloriosa battaglia”, come la chiamava lei, non senza sarcasmo, e aveva cercato di rafforzare le sue conoscenza nella magia bianca. Alla fine era diventata  una strega potente nelle arti della Dea, tanto quanto lo era stata nelle arti nere; ma dopo aver perseguito così intensamente il potere con la magia nera dubitava che l’estensione che aveva raggiunto nelle arti bianche potesse essere di qualche utilità alla Cacciatrice.

 

La magia nera era un così facile metodo per distruggere! Era intossicante. Era un potere che si piegava e modellava tra le sue dita in qualsiasi forma lei avesse desiderato. La cullava, le sussurrava parole rassicuranti nell’orecchio, le prometteva potere. Era la fiamma della distruzione con cui  poteva mondare il male, anche se il costo era altissimo. Era la voce di una sirena bellissima nel mare delle sue insicurezze. E lei l’aveva ascoltata in passato, si era concessa, dapprima per desiderio di aiutare i suoi amici, poi perché completamente sedotta dal lato oscuro della forza, come avrebbe detto Xander, usando un palese riferimento cinematografico.

 

Era combattere il fuoco con il fuoco, con la certezza di bruciarsi.

 

La magia bianca era, al confronto, un falò gentile, atto a proteggere e non a distruggere. Era una richiesta a poteri superiori di usare un misero corpo umano come veicolo della loro volontà, come tramite del loro potere. Era rendere un servizio e ricevere una ricompensa meritata. Senza nessuna presunzione.

 

Willow riteneva il suo corpo particolarmente indegno per fungere da temporaneo avatar delle forze primordiali che, nondimeno, le accordavano il potere necessario per i suoi incantesimi. Temeva, però, che quegli stessi poteri potessero non accordarle più la loro grazia nel mezzo di una battaglia. Doveva scoprire se in lei vi fosse una purezza d’intenti necessaria nella battaglia tra il bene e il male. Scoprire quale era ora la sua forza e quale fiducia poteva meritare dalle entità elementali.

 

E dai suoi amici.

 

Perché quel sogno non divenisse mai realtà.

 

Con questi dubbi in mente  si apprestava a chiedere alla sua migliore amica un grande atto di fiducia.  Era da giorni che ci pensava. Aveva atteso finché non fosse sicura di essere pronta. Morire non era una gran cosa per lei; fallire era molto peggio, nella sua mente. Avrebbe chiesto ai suoi migliori amici di mettere la loro vita nelle sue mani, se necessario. Stasera si aspettava da molto loro.Più di quanto forse erano disposti a concederle.

 

 

 

La casa era immersa in un’oscurità quasi totale. Solo la luce della piccola lampada posta sul tavolino da caffè di fianco al vecchio divano di finta pelle mandava i suoi pallidi raggi gialli d’intorno, senza dissipare realmente le tenebre.

 

Dawn era già andata a letto, stanca e bisognosa di riposo per le incombenze del giorno seguente. Willow aveva taciuto del tutto la sua idea con lei, sebbene la giovane Summers avesse intuito qualcosa, vedendola guardare di sottecchi l’orologio per tutta la sera. Probabilmente aveva creduto che Willow avesse una qualche sorta di appuntamento di cui non voleva parlare o che si apprestasse ad uscire, come faceva molte sere. Per sua fortuna, Dawn non aveva indagato. Willow non se la sentiva di doverle mentire. Non avrebbe voluto.

 

Ora attendeva che Buffy scendesse dalla sua stanza per fare la sua richiesta, tormentata dai suoi pensieri. Si era già preparata ad un eventuale rifiuto, ma sperava così tanto che la risposta fosse affermativa, che si era cambiata lo stesso in panni comodi e adatti allo scopo e aveva applicato un forte incantesimo alla sua gamba malata.

 

Cinque minuti dopo la Cacciatrice apparve sulle scale con indosso un paio di pantaloni mimetici, molto resistenti, gli anfibi preferiti, quelli con le croci di acciaio sotto la suola, una maglietta nera e un giubbotto mimetico senza maniche pieno di tasche, di quelli da cacciatore. I suoi capelli erano raccolti in una coda di cavallo, per impedire che la infastidissero durante il combattimento.

 

“Pronta per la ronda?” Willow cercò di dare un tono noncurante alle sue parole, fingendo di stare leggendo il libro aperto sulle sue ginocchia con interesse, ma il tono della risposta che Buffy le rivolse le fece credere di non esserci riuscita del tutto.

 

“Sì. Xander dovrebbe essere qui a momenti.” Buffy notò i pantaloni marroni di tela spessa e il maglione da marinaio a collo alto, color ruggine, che Willow portava. Le sembrò un po’ eccessivo per stare in casa, ma non disse nulla.

 

“Volete compagnia?” Willow evitò di guardarla direttamente, temendo la reazione della bionda minuta di fronte a lei, mentre richiudeva il libro tenendo il segno con l’indice della mano sinistra.

 

Buffy andò a sedersi al suo fianco sul divano e si voltò nella sua direzione, un’espressione stupita sul volto. “Vuoi venire di pattuglia con noi, stasera? Perché?”

 

“Come perché?” Willow si mise sulla difensiva, pur sapendo che la domanda non era inopportuna.

 

“Will, non per essere cattiva, ma sono più di due anni che non vieni di pattuglia. Aiuti con le ricerche e con gli incantesimi quando serve, inoltre sei insuperabile per la parte organizzativa. Ma non sei più voluta venire dopo quell’incidente con il demone K’rath. Il giorno dopo mi hai detto, di punto in bianco, che volevi abbandonare la parte attiva del lavoro e io ho capito. Le ronde possono essere molto pericolose.” Nelle parole della Cacciatrice non c’era traccia di accusa, stava solo esponendo i fatti per come, secondo lei, erano avvenuti. “Perché oggi vuoi venire?” chiese con sincera curiosità.

 

Willow la guardò negli occhi prima di rispondere. Poteva dirle che doveva dimostrare a se stessa che non era una persona inutile? Poteva dirle che andava per lei? Perché voleva proteggerla e sentiva la sua vita così vuota da non importarle di perderla, se non ci fossero state lei, Dawn e Xander e Anya? Poteva confidarle che non aveva smesso di uscire di ronda per paura, ma perché credeva di essere inutile e d’intralcio? E che ora voleva andare per dimostrare a se stessa e agli altri il contrario? Poteva dirle che aveva fatto un sogno in cui la magia nera fluiva in lei ancora una volta e loro tutti la guardavano con biasimo e disprezzo e per lei quello era peggio del pericolo e della morte? Avrebbe capito? Avrebbe pensato che era pazza? O che non era all’altezza, dopo così tanto tempo?

 

In un istante tutte le scuse possibili le passarono per la mente come lampi. Riconobbe le contraddizioni che si erano affastellate nella sua mente e insieme il fatto che fossero alcuni aspetti della sua ormai frammentata personalità.

 

Avrebbe potuto mentire, ne era capace. Era diventata bravissima a tenere i segreti. Soprattutto quelli che riguardavano se stessa. Ma non lo avrebbe fatto. Se Buffy doveva fidarsi e mettere la sua vita nelle sue mani come lei metteva la propria nelle sue, allora doveva dirle tutta la verità che poteva. “Ho bisogno di farlo. Ho bisogno di dimostrare a me stessa che i demoni là fuori possono essere distrutti. E che io posso essere parte del meccanismo della loro distruzione.”

 

Buffy ricambiò il suo sguardo per alcuni istanti, riflettendo. Capiva il suo bisogno di credere in se stessa, di dimostrare a se stessa che il male poteva essere sconfitto. Willow aveva frequentato entrambe le linee del fronte in passato. Aveva combattuto con i buoni e giocato con i cattivi, scottandosi con il fuoco mentre lo faceva. Così tanto da non potersi spiegare a parole. Buffy l’aveva vista indurirsi piano piano, rafforzare il corpo e lo spirito in una sorta di impenetrabilità che la rattristava. Era come se dentro di lei ci fosse un nocciolo duro, dove nessuno poteva arrivare; un guscio dentro il quale la vecchia Willow, così dolce e strana si era ritirata, protetta dalle brutture del mondo. Ogni tanto, in qualche gesto o in qualche frase, riappariva ma sempre e solo per brevi attimi. La nuova Willow era, a suo modo, forte e spaventosa come la versione vampira di se stessa con cui avevano avuto a che fare una volta al Bronze. Altrettanto decisa di quanto lo fosse stata la Willow che praticava la magia nera come altri respirano. Quando distruggerai i tuoi demoni personali? si chiese per un attimo.

 

Buffy sapeva che Willow non si era scottata per presunzione, per aver voluto mischiarsi con i malvagi per il gusto di farlo, ma perché era Willow, e aveva commesso un errore nella sua profonda umanità ed insicurezza; perché era fondamentalmente buona, e alla fine non aveva potuto evitare di camminare dalla parte degli angeli, per quanto avesse  attraversato il male. Questo le era costato carissimo,  Buffy sapeva meglio di chiunque altro quale prezzo Willow avesse pagato.

 

La richiesta di Willow, nondimeno, le riempì il cuore di speranza. Dopo tutto ciò che la rossa aveva fatto per lei e Dawn non sarebbe riuscita a negarle nulla. Dopo tutto quello che aveva passato aveva ancora voglia di combattere le battaglie che dovevano essere combattute. Era un buon segno. Forse qualche demone di quelli che non provenivano dall’Hellmouth avrebbe trovato presto una fine ingloriosa.

 

La richiesta che le faceva, però, poteva metterla a rischio della propria vita. Ma poteva fidarsi di lei? Era all’altezza del compito? Poteva rischiare che Willow si trovasse in pericolo? Il suo pensiero andò a Dawn, quella sorella che sentiva così reale nonostante tutto. A Dawn che sarebbe stata disperatamente sola se entrambe avessero perso la vita. E che non l’avrebbe mai perdonata se fosse capitato qualcosa a Willow.

 

Dawn aveva un rapporto speciale con Willow. Dapprima Buffy ne era stata invidiosa. Aveva dato la vita per sua sorella nella battaglia contro Glory e aveva pensato che le spettasse un posto di preminenza nel suo cuore. Poi aveva capito che lei aveva realmente un posto di preminenza nel cuore di Dawn, ma che un altro posto era riservato a Willow, un altro a Xander, ad Anya, e a Giles. Ed uno per Tara e Liz. E un posticino era riservato a tutta la banda di L.A., Faith compresa. Perché Dawn aveva amore sufficiente per tutti loro nel suo cuore. Erano la famiglia, la SUA famiglia e Dawn non poteva non amarli tutti in modo speciale.

 

Ma il rapporto tra Dawn e Willow era qualcosa di più. Il patto che Dawn e Will avevano stipulato non c’entrava nulla con l’amore di sua sorella nei sui confronti. Era il loro modo di ricostruire un rapporto che aveva rischiato di deteriorarsi totalmente, dopo che Willow si era allontanata da tutti loro, preda della frenesia per la magia nera.

 

Buffy, doveva ammetterlo, aveva goduto di tutte le comodità del loro patto, che l’aveva lasciata libera da molte responsabilità e con una notevole quantità di tempo da dedicare alla sistemazione della sua vita e alla sua missione.

 

Willow guardò Buffy riflettere sulla sua richiesta finché un colpo di clacson conosciuto le avvisò dell’arrivo di Xander.

 

Buffy si tirò in piedi di scatto e allungò una mano verso il divano. “D’accordo, andiamo.”

 

Willow sorrise, contenta e spaventata ad un tempo. Prese la mano di Bufy e si alzò a sua volta, lasciando il libro sul divano. Presero le loro giacche dalla rastrelliera accanto alla porta ed uscirono. Willow  prese con sé il bastone che talvolta utilizzava per camminare, prima di infilarsi il lungo cappotto di pelle nera che teneva in mano. Era di almeno due taglie più grande, di ottima fattura ma con evidenti tracce di consunzione in alcuni punti. Era quello che si poteva definire un capo di vestiario ‘vissuto’. Willow lo considerava una sorta di cimelio di guerra, una spoglia da indossare a costante memento del prezzo che può avere una vittoria.

 

Quasi la propria anima.

 

Uscirono e si chiusero la porta alle spalle. Buffy si infilò un giaccone militare verde sopra quello da cacciatore e si diresse verso la strada, Willow che la seguiva ad un paio di passi di distanza.

 

Alla fine del vialetto d’accesso alla casa era parcheggiato il massiccio furgone nero Ford della Scooby Gang. Sul tettuccio aveva una serie di fari, montati in modo da poter illuminare il terreno attorno al furgone a 360 gradi e un’antenna satellitare spuntava dal metallo sul davanti, corta e massiccia, come un dito accusatore verso il cielo. I vetri erano oscurati e non lasciavano intravedere chi fosse alla guida. Erano anche anti-proiettile, il che non guastava.

 

I fari erano stati un’idea di Xander, quando avevano constatato di dover cambiare i propri sistemi di caccia al vampiro. Il peggior nemico dei vampiri era la luce del sole e così avevano deciso che non potendo sfruttare una così potente arma nel cuore della notte, potevano almeno parzialmente ricrearla. L’idea di usare dei fari a luce ultravioletta si era dimostrata con il tempo un’intuizione di grande efficacia. Assicurava loro il tempo necessario a prepararsi per la battaglia, quando necessario, e impediva ai vampiri di avvicinarsi al furgone, rendendolo una vera e propria fortezza mobile.

 

Buffy aprì il portellone laterale, facendolo scorrere lungo le guide della fiancata e salutò Xander, che si era voltato come al solito verso di lei per accoglierla. Willow la imitò immediatamente. L’interno era configurato come una vera e propria centrale operativa mobile. Le pareti erano coperte di scomparti mobili dietro cui erano nascoste le attrezzature di cui potevano avere bisogno. Da una parte stava una consolle radio satellitare, un computer portatile collegato anch’esso al sistema satellitare e un’altra consolle, molto più piccola, da cui si potevano accendere i fari superiori e accedere ad altri trucchetti utili contro i vampiri e i demoni; di fronte alla postazione erano inchiodate due poltroncine girevoli. Sopra c’erano degli scomparti chiusi con dei grossi lucchetti a combinazione. Dentro vi erano una serie di attrezzi per incantesimi. Erano gli scomparti di Willow, per quanto fosse molto che non venivano utilizzati. Dentro c’erano ingredienti per pozioni, amuleti e cose con cui non si doveva giocare neanche per errore.

 

Le due ragazze salirono e si sedettero sulle sedie girevoli di fronte alla consolle radio e agli interruttori delle difese del furgone.

 

Degli sgabelli apribili erano fissati sull’altro lato del furgone, sotto agli scomparti delle armi di Buffy.

 

La maggior parte delle armi e degli ingredienti per incantesimi si trovavano al Magic Box, tuttavia nel furgone c’era abbastanza materiale per le ronde. Tutti loro si preoccupavano di tenerlo in perfetta efficienza. Meno Willow. Non apriva i suoi scomparti da molto tempo e solo lei conosceva la combinazione.

 

In fondo al furgone, vicino al portellone posteriore, era fissato un piccolo tavolino in metallo.

 

Xander contraccambiò il saluto delle sue amiche. “Ciao, Buff. Ciao Will. Sei venuta a salutare il tuo Xan man preferito?”

 

Willow contraccambiò il sorriso del suo più vecchio amico increspando appena le labbra in una smorfia. “Non proprio, Xan. Stasera vi farò compagnia,” si limitò a dire, incerta di quale sarebbe stata la sua reazione.

 

Un’espressione stupita passò sul viso del giovane bruno, cancellandone il sorriso. La sua mascella si aprì e richiuse con uno scatto secco mentre i suoi occhi passavano da Willow a Buffy che annuiva, incerti su dove posarsi.

 

“Sì, stasera è dei nostri,” confermò Buffy, sporgendosi in avanti e richiudendo il portellone con un amossa decisa.

 

Xander si voltò nel posto di guida senza dire una parola e avviò il motore. Il furgone dal motore truccato si mosse con possente eleganza lungo le strade deserte di Sunnydale.

 

 

 

Mentre guidava il furgone nel giro prescelto per la ronda serale, Xander riflettè sul motivo che poteva aver spinto Willow a voler venire quella sera, dopo due anni che non faceva più una ronda. Lui era l’unico, per quanto ne sapesse, a conoscenza delle reali condizioni di Willow e dei trucchetti che utilizzava per mascherare la verità. Forse Faith sapeva, ma non ne era sicuro. Era stato un lampo d’intuizione a fargli capire come in realtà stavano le cose e quando aveva chiesto, Willow non aveva negato, ma in qualche modo era riuscita a strappargli una promessa di assoluto silenzio. Perché stasera voleva venire? Come avrebbe fatto con la gamba?

 

Ascoltò le due ragazze ridacchiare prese da quel profondo mistero che lui avrebbe definito una sciocchezza e loro ‘cose da donne’; quando il pensiero rischiò di farlo impazzire fece la domanda che gli ronzava in testa, mascherandola perché solo Willow potesse capire. “Will, la serata è umida. Non avrai problemi con la gamba?” Quella era la scusa ufficiale, e sia lui che Willow lo sapevano.

 

Willow, seduta nella sedia girevole alle spalle di Buffy, sollevò il bastone oltre la spalla della cacciatrice,  in modo che lui lo vedesse nel retrovisore. “Ho portato il bastone in caso di bisogno, ma non sento nessun dolore stasera,” gli disse con noncuranza, per evitare che le sue parole facessero suonare un campanello d’allarme nella sua amica. Quando Buffy si voltò verso il posto di guida, i suoi occhi mandarono un muta supplica di aiuto a Xander, che la recepì attraverso lo specchietto e decise di lasciar cadere il discorso.

 

“Meglio così” si limitò a dire, non troppo convinto. Poi dopo alcuni istanti, cercò di cambiare discorso, non volendo pensare a ciò che poteva succedere e notando negli occhi di Buffy la sua stessa preoccupazione. Non poteva incedere in quel discorso. Sarebbe stato come tradire Willow. Impensabile.

 

“Tito ti ringrazia per le migliorie al sito che hai fatto. Dice che sono fantastiche, anche se non capisco perché l’operaio che si da la martellata sul pollice deve proprio avere la mia faccia. Vuole sapere quanto ti deve.”

 

Willow ridacchiò. “Ha la tua faccia perché è la più buffa a cui sono riuscita a pensare. Di’ a Tito che dopo tutto quello che ha fatto per noi, può considerare il sito un mio regalo personale.” Aggiunse con un tono che non ammetteva repliche.

 

“Grazie Willster! Io non ho una faccia buffa!” Il suo viso si contorse in un’espressione che contraddisse ciò che aveva appena detto. “Comunque glielo dirò, anche se non la prenderà bene. E’ così entusiasta del tuo lavoro che ogni cifra gli sembrerebbe poco.” Xander notò che sul viso di Willow non c’era il sorriso soddisfatto che ci si aspetterebbe da una persona a cui sono appena stati fatti dei complimenti professionali.

 

Willow era molto brava nel suo lavoro, uno dei migliori programmatori sulla piazza. Così brava da essere richiestissima e da guadagnare cifre da capogiro, ma riteneva questa sua dote semplicemente un ottimo modo per sopravvivere. Aveva rifiutato lavori presso compagnie di prestigio, pur di poter rimanere a Sunnydale. Aveva accettato di lavorare per una compagnia della città, purchè la lasciassero lavorare da casa ed era una libera professionista. Poteva accettare qualsiasi lavoro volesse, a patto che non interferisse con il lavoro della compagnia. Guadagnava tra i trecento e i trecentocinquantamila dollari l’anno. Ma avrebbe potuto fare milioni, se avesse voluto.

 

Quando erano ragazzi, Willow si era dimostrata un precoce genio del computer. Gli occhi le si illuminavano quando si avvicinava alla tastiera e quando aveva avuto il suo primo portatile, Xander aveva dovuto spegnerglielo a forza e nasconderle il cavo di alimentazione per staccarla dal suo nuovo giocattolo e portarla fuori a prendere un po’ d’aria.

 

Altri tempi, si disse Xander, più ingenui e felici.

 

La passione, rifletté Xander, quella professionale così come ogni altra, se ne era andata in Willow, inghiottita dall’orrore. Era rimasta nell’angolo di una grotta, nei boschi a nord di Sunnydale, insieme alla sua gioia di vivere ed ad un paio di litri del suo sangue.

 

Mentre rifletteva, Xander guidò il furgone lungo un tragitto ben preciso, con gli ultravioletti accesi. Era quella che loro chiamavano ‘la ronda veloce’. Passavano per le vie, senza soffermarsi. Gli ultravioletti, anche in un passaggio breve, bastavano ad incenerire un vampiro e spesso potevano vedere nuvole di polvere apparire d’improvviso nell’aria.

 

Ad un certo punto svoltò a destra, mentre gli occupanti chiacchieravano quietamente come se andassero ad una scampagnata, e si fermò con un leggero stridio di gomme.

 

“Siamo arrivati,” annunciò Xander.

 

Capitolo IV: Preparativi

 

Mentre il sole stava appena iniziando a tramontare e Willow si dibatteva su come esternare alla cacciatrice il suo desiderio di tornare di pattuglia, Xavier sedeva sul suo trono in una delle sale più ampie della serie di gallerie che componevano la caverna che il clan Boreanz aveva scelto come rifugio.

 

Non era stata una scelta casuale. La caverna trasudava magia nera. Le macerie sparse all’intorno, le pareti, l’aria stessa ne erano intrise, gli riempivano le narici con il suo forte aroma di oscenità sussurrate, di grida di dolore rimaste inascoltate. E in quella particolare sala il sapore di magia e crudeltà era più forte che nelle altre. Lì era successo qualcosa di tremendo in un passato tutto sommato recente. Qualcosa che stuzzicava il suo demone e gli faceva desiderare di commettere atrocità innominabili. Ma era un lusso che non poteva permettersi. Gettò un’ultima occhiata all’intorno per la stanza, ignorando di proposito le tre figure in attesa, che iniziavano a dare segni d’impazienza.

 

La sala era stata davvero una piacevole scoperta. Antoine l’aveva trovata quasi per caso, attirato dal debole residuo di magia come una falena da una luce lontana. La sala era stata sigillata da una frana ed erano occorsi due giorni di lavoro e due squadre di dieci vampiri l’una per liberarne l’entrata. Chi l’aveva chiusa voleva che rimanesse inviolata per il tempo a venire. Non aveva pensato che un clan di vampiri potesse porre la propria residenza proprio in quella particolare caverna.

 

All’inizio avevano pensato che la causa della frana fosse dovuta a uno dei frequenti terremoti che colpivano il sud della California. Ma una volta liberata l’entrata, era stato subito chiaro che il luogo non era mai stato un rifugio per orsi in letargo. Lì dentro era stata torturata almeno una persona. E molto crudelmente, a giudicare dalle tracce di sangue sparse all’intorno. Era ancora possibile coglierne l’odore residuo nelle pietre e nelle fessure, dove si era raccolto in macchie scure disseccate.

 

Xavier passò lo sguardo sulle catene e i ceppi appesi al muro, sulle macchie di sangue che schizzavano la parete e sulla pozza disseccata sul pavimento; più in là dietro il suo trono, stavano i resti di un altare di pietra grezza e le rovine di quella che doveva essere stata una statua. La figura era stata distrutta con violenza sistematica. Il volto rivolto verso l’alto, appariva scarnificato e informe, ma Xavier se lo immaginava bellissimo e fiero, con gli occhi indomiti, scolpiti con sconcertante realismo dalla mano di un artista sapiente. Lo sterno mancava dei piccoli seni che, immaginava, dovevano ergersi impertinenti come una sfida alla tentazione di toccarli. La figura era inginocchiata, nuda, le braccia lungo i fianchi, leggermente discoste, le mani mancavano quasi del tutto e attorno ai polsi erano ancora presenti delle pesanti manette attaccate a catene. Gli piaceva pensare che fossero dei pugni chiusi in un atto di inutile ribellione. L’ultimo atto di riaffermazione della propria volontà prima che lo spirito venisse definitivamente spezzato. Xavier adorava quegli attimi, in cui la preda ancora scalpitava, mentre la coscienza di essere solo un pezzo di carne in balia del proprio carnefice si faceva lentamente largo nella mente.

 

Ma lo scempio più evidente e terribile, ciò che più gli infiammava il sangue e gli induriva l’uccello fino quasi a fargli male era la distruzione del ventre. Sembrava che qualcuno avesse provocato una piccola esplosione localizzata nell’esatto punto dove doveva trovarsi la vagina, lasciando al suo posto un buco informe, sbreccato.

 

Xavier percepiva la magia utilizzata per modellare la pietra, la rabbia che aveva guidato la mano di quell’artista perverso. Opera di un potente stregone, senza dubbio. L’idea delle torture che lo stregone poteva aver inflitto alla ragazza lo eccitava come altre poche cose avevano fatto nel corso dei secoli. Magia, sangue e torture, quale meraviglioso cocktail!

 

Avrebbe voluto essere lui quello stregone, spezzare il corpo e lo spirito della fanciulla. Quale magnifico e crudele essere della notte sarebbe stata, dopo qualche mutilazione minore. Così spietato e pieno di rancore, dopo tutte quelle torture!

 

Xavier sentì una reazione idraulica nelle parti basse ma si costrinse ad ignorarla. Aveva cose più importanti a cui pensare, ora. Ritornò con la mente e lo sguardo alle tre figure che aspettavano con pazienza sempre più labile le sue parole. I suoi luogotenenti. I suoi Figli. La sua Stirpe.

 

Si alzò dal suo trono e fece un gesto ad uno dei vampiri di guardia all’entrata. “Portaci da bere,” ordinò. Il vampiro scomparve per eseguire l’ordine impartito.

 

“Figli miei,” disse Xavier, rivolto alle tre figure. “Sapete che stanotte è la grande notte in cui porremo le basi del nostro dominio sull’Hellmouth. Il nostro piano è perfetto. Le altre creature della notte dovranno sottomettersi a noi senza neanche sapere il perché. Il rito ci garantirà una supremazia che neanche il Maestro di Aurelius ha mai osato immaginare. Sunnydale sarà la nostra prima riserva di caccia privata.” Fece una pausa e guardò i volti di Antoine e Julius infiammarsi per l’eccitazione. L’idea del dominio e della caccia risvegliava il loro demone, lo faceva fremere. Quali viziosi esemplari aveva creato! Era orgoglioso delle loro reazioni. Solo il volto del suo terzo figlio, il loro veggente Heinz, rimaneva impassibile come sempre.

 

Heinz, da parte sua, non condivideva pienamente l’eccitazione che pervadeva la caverna, anche se era molto attento a non lasciar trapelare i suoi sentimenti. I sogni di gloria e grandezza del suo padrone, un mondo di oscurità e depravazione tutto intorno all’Hellmouth, dominato dal clan Boreanz all’apice del suo splendore, erano ben misera cosa rispetto alle promesse del suo nuovo padrone. Ora stava a lui fare in modo che Xavier non intralciasse il cammino di chi gli era infinitamente superiore.

 

Il vampiro incaricato di portare da bere rientrò con un vassoio e quattro calici colmi di un liquido denso e scuro, quasi nero. L’odore del sangue riempì le narici del Maestro e dei suoi favoriti, dando loro l’acquolina alla bocca.

 

Xavier ordinò che il vassoio venisse posato su un tavolo di fianco al trono. “Prima del brindisi vi comunicherò i vostri compiti di questa sera.” Vide i suoi luogotenenti irrigidirsi e fremere d’impazienza, ognuno desideroso del compito più importante.

 

Così orgogliosi e competitivi! Sorrise. Era certo che qualcuno sarebbe stato scontento delle sue prossime parole, ma aveva i suoi motivi e poi tenerli sotto il suo tallone gli dava grande soddisfazione. Xavier amava impartire lezioni d’umiltà ai membri del suo clan.

 

“Antoine, tu rimarrai qui. Prepara gli altri. Non appena il rito sarà terminato sferreremo il primo attacco per la supremazia dell’Hellmouth.”

 

L’alto vampiro fece una faccia delusa e sentì la rabbia crescere in lui allo stesso ritmo in cui la soddisfazione cresceva nel petto di Julius. “Maestro, ti prego, concedimi l’onore di essere al tuo fianco in questa gloriosa notte per il nostro clan,” supplicò.

 

“No, figlio mio. Esegui i miei ordini. Stanotte ci sarà abbastanza gloria per tutti,” disse duramente Xavier con un luccichio negli occhi che prometteva cose orribili a chiunque avesse disubbidito. E se per qualche misterioso motivo il rito non andasse a buon fine e io venissi distrutto, ti voglio al sicuro. Ma Xavier possedeva un demone orgoglioso e questo non lo disse.

 

Antoine abbassò il capo sconfitto. “Come desideri, Maestro.”

 

Julius ridacchiò, felice dell’umiliazione del suo fratello.

 

Xavier guardò il suo secondo figlio, fingendo di ignorare la smorfia soddisfatta sul suo volto. “Julius, tu ti occuperai che nessuno interrompa il rito. Prendi tutti quelli che ti sembrano necessari e disponi un perimetro di sicurezza attorno al cuore del cimitero. Ma ricordati che venti anziani servono per il rito e voglio che quelli sotto i quaranta anni rimangano nella grotta. E ricordati che la città ha una cacciatrice.”

 

“Come tu desideri, Maestro,” disse Julius con un enorme mostra di denti bianchi, che spiccavano sul suo viso nero come un faro. Certo avrebbe preferito partecipare al rito, ma il fatto che Antoine fosse stato escluso era già una grossa soddisfazione e non voleva essere rimbrottato pubblicamente come il suo stolto fratello.

 

Xavier si rivolse al suo terzo figlio delle tenebre, osservando come il capo, privo di capelli e il pizzetto nero che ostentava gli conferissero un’aria di crudele viltà. “Heinz, voglio che tu ti trovi una postazione sicura vicino al cimitero e rimanga in meditazione. Cinque dei tuoi fratelli ti proteggeranno. Se vedi qualcosa grazie alle tue premonizioni, voglio saperlo subito.”

 

“Sì, Maestro,” disse Heinz mantenendo un’espressione imperturbabile.

 

“Bene. Ora brindiamo,” disse Xavier, passando i calici ai suoi figli. “Ad un regno di meraviglioso terrore!”

 

“Ad un regno di meraviglioso terrore!” Fecero eco i tre vampiri.

 

 

 

Dopo che Antoine e Julius furono usciti per andare a eseguire i suoi ordini, Xavier si ritrovò solo con Heinz. Il Maestro si risedette sul suo trono e rimirò ancora una volta i resti tumefatti della statua, quell’inno al dolore scolpito nella pietra con la magia più nera. “Heinz, credi che la strega rossa potrebbe interferire nel rito di stanotte?” Chiese senza staccare gli occhi dalla statua.

 

Heinz fu grato per la distrazione del suo Maestro. Mentire a Xavier non era mai facile. Talvolta sembrava leggerti in fondo agli occhi. “Potrebbe,” rispose, sincero.

 

“Forse dovrei preparare un amuleto di Kulaf per contrastare i suoi poteri.”

 

Heinz fu tentato di sorridere. Un amuleto di protezione generica contro la strega più forte del pianeta! Lui l’aveva visto. Nei suoi sogni, nelle visioni che lo perseguitavano da quando era ancora un bambino mortale. Una forza così tremenda da reggere il confronto con i più forti del suo padrone. Un campione della maledetta Dea! L’amuleto di Kulaf non sarebbe bastato a salvare Xavier, se la strega avesse deciso che dovesse diventare polvere. Forse avrebbe potuto funzionare se avessero avuto qualche goccia del suo sangue da aggiungere all’incantesimo, ma per fortuna, almeno per stanotte non ne avevano. “Un’ottima idea, Maestro,” mentì, approfittando della sua distrazione. “La cautela è sempre una buona cosa. Eppoi non credo che la strega rossa sia così forte da competere con voi, dopo la sua rinuncia alla magia nera.”

 

“Anche io penso che i suoi poteri siano molto inferiori, ora. Ma è meglio non rischiare. Vai, ora. Preparati. Stanotte ci attende la gloria,” disse volgendo uno sguardo penetrante su di lui.

 

Heinz rabbrividì suo malgrado e si ritirò in fretta, grato che Xavier non potesse leggergli nel pensiero.

 

Quando fu solo, nelle sue stanze, sentì una voce chiamarlo. “Heinz!“

 

Il vampiro si gettò subito in ginocchio, lo sguardo fisso a terra, le spalle piegate e il capo chino in un gesto di sottomissione. “Padrone,” disse con una nota di terrore reverenziale nella voce.

 

“Dimmi!” La voce era carica di comando. Un tono che non ammetteva discussioni.

 

“Tutto procede come previsto. Presto il clan di Boreanz sarà la tua avanguardia,” disse nel tono più dimesso che gli riuscì di trovare.

 

“Bene. Non appena sarai il nuovo capo, voglio che ti impegni per distruggere la cacciatrice.”

 

“Sarà fatto come ordini, padrone.”

 

“Non dimenticare, Heinz. Una grande gloria ti attende, se mi sarai fedele. Ma se mi tradirai…”

 

Il sottofondo di minaccia era così palpabile che Heinz si strinse ancora di più nelle spalle, temendo l’arrivo di un colpo.

 

Invece, la voce come era apparsa scomparve, lasciandolo solo con i suoi piani di distruzione e la certezza di non dover fallire.

 

Capitolo V: Ritorno in prima linea

 

Willow si sporse verso il davanti del furgone per vedere in quale dei cinque grandi cimiteri di Sunnydale si sarebbe svolta la parte a piedi della ronda serale. Riconobbe subito dove si trovavano e impallidì leggermente, cercando di tenere sotto controllo il senso di panico che rischiava di impadronirsi di lei.

 

Di tutti i posti proprio questo! Perché proprio qui?

 

Il ciclo della vita possedeva un’ironia molto particolare. Avrebbe dovuto tentare di iniziare dove tutto era finito, dove aveva fallito più miseramente. Strinse i pugni per impedire alle sue mani di tremare, conficcandosi le unghie nei palmi, fino a che la pelle non si ruppe e non arrivò alla carne.

 

Buffy le pose delicatamente un braccio sulla spalla, un’espressione preoccupata sul volto, intuendo immediatamente i suoi pensieri. “Scusa, Will. Non ci avevo pensato. Se non te la senti, capisco. Questo posto non è l’ideale per te, per ricominciare. Perché non rimani nel furgone? Conosci le routine meglio di chiunque altro,” disse, cercando di tranquillizzarla. “Puoi coordinarci da qui e…”

 

Willow si calmò al tocco gentile sulla sua spalla e si impose di allentare i pugni. Non poteva fallire alla prima difficoltà. Doveva farlo. Doveva almeno provare. Trasse un respiro profondo e la interruppe con un mormorio.

 

“No, va bene. Quello è il passato. Non può farmi male, giusto?” Le labbra le si incresparono in un sorriso tirato.

 

Buffy annuì in modo esagerato e si voltò verso le paratie scorrevoli, iniziando ad aprirle, troncando lì un discorso che avrebbe potuto protrarsi in maniera penosa. “Prepariamoci,” disse, trattenendo un sospiro e dandosi della vigliacca.

 

Willow premette una serie di tasti su di una consolle di fianco a quella radio, sperando che tenendosi occupata avrebbe fatto cessare il leggero tremolio delle sue mani. Altri fari sul tettuccio si accesero. Tutto intorno per un raggio di venti metri era illuminato dalla luce viola-bluastra degli ultravioletti. Mise in linea il sistema computerizzato del furgone, battendo velocemente sui tasti perché le opzioni necessarie ai loro scopi apparissero sul monitor.

 

Poi si alzò e iniziò ad armeggiare con i lucchetti dei comparti di fronte a quelli aperti da Buffy, sull’altra parete del furgone, dove erano riposte le forniture per incantesimi. Seppure non venissero aperti da più di due anni, i lucchetti non emisero il minimo lamento. Estrasse alcune boccette di diverso colore e sospirò sollevata quando sentì un lieve pizzicore percorrerle le dita, a dimostrazione che la magia intrappolata dentro le boccette era ancora attiva. Se ne infilò alcune nelle varie tasche, ma la sua mano esitò di fronte ad una verde scuro. Era una potente mistura che aveva preparato circa due anni prima e non aveva mai avuto il coraggio di usare, una variante dello stesso incantesimo che aveva usato con Rack e Spike, senza la componente della magia nera. Era sicura che non avrebbe mai funzionato, in questa forma depurata, ma la tentazione di prenderla era molto forte. Dentro vi erano una serie di erbe macerate buone per quasi tutte le invocazioni. Sarebbe stato sufficiente recitare la formula giusta e si poteva ottenere di tutto, da una semplice luce guida all’invocazione degli stessi dei della terra. Troppo generico e pericoloso da usarsi in un’eventuale battaglia. La prese comunque, come spinta da una volontà non sua.

 

Dea, confido in te, si disse, mentre la metteva in una tasca diversa da dove aveva messo le altre.

 

Richiuse gli scomparti e si voltò a guardare la Cacciatrice che passava in rassegna le armi con occhio esperto, valutandone l’efficacia.

 

Buffy sentì Willow rimettere i lucchetti alle sue paratie e si voltò verso la strega dai capelli rossi, facendo un eloquente gesto con il braccio in direzione delle armi da fuoco appese alla fiancata del furgone. ”Hai preferenze, Will?”

 

Willow passò lo sguardo sulle rastrelliere delle armi. Osservò la serie di fucili e pistole che facevano mostra di sé, tenuti fermi alla fiancata da appositi ganci e nicchie. Un vero incubo per chi sosteneva il controllo delle armi.  Come se l’America non avesse già abbastanza problemi.

 

“Penso che prenderò lo shotgun” disse, soffermando il proprio sguardo su un fucile con due corte canne.

 

Buffy le passò l’arma e una scatola contenente le munizioni speciali che utilizzavano con i vampiri con un sorriso. Cartucce con pallini di legno, l’incubo di ogni vampiro con un briciolo d’istinto di conservazione. “Ottima scelta, Will. Ha un corto raggio d’azione ma assicura una rapida distruzione dell’avversario.”

 

Willow posò le cartucce su di un piccolo tavolo fissato al retro del furgone.

 

La voce di Xander arrivò dalle loro spalle in tono canzonatorio. “Buff, rimandiamo le schede tecniche a dopo. Anya si arrabbia se faccio troppo tardi di questi tempi, lo sai,” le disse con un sorriso. Anche Will stava sorridendo, anche se appena.

 

Buffy contraccambiò lo sguardo divertito dei suoi amici e tornò ad occuparsi delle armi. Per se stessa scelse due pistole automatiche calibro 45 con caricatori a 15 colpi. Un’altra la passò a Xander, che se la infilò in una fondina appesa alla cintura. Estrasse alcuni caricatori che passò a Willow, perché li ponesse sul tavolo di fianco alla scatola delle cartucce e prese alcuni paletti dal loro posto e se li infilò nei ganci del giubbotto militare. Ne passò un paio a Willow che se li infilò nella cintura dei pantaloni.

 

Estrasse le fondine delle pistole da uno scompartimento inferiore e le agganciò con mani esperte a dei ganci del giubbotto senza maniche, sotto le ascelle. Infine sfilò una corta e spessa daga con intarsi in legno dai fermi della parete e la posò sul tavolo accanto alle munizioni.

 

Quando fu pronta si voltò verso Willow e chiese: “Vuoi fare tu il rito stasera?” Il suo sorriso era incoraggiante.

 

Willow rimase incerta per alcuni istanti prima di annuire. “Certo. Basta che Xander non si senta esautorato.”

 

“No, Will, fai pure. Dopo il rito mi rimane il formicolio alle mani per almeno dieci minuti. Sai quanto lo odi,” rispose Xander, con un ghigno di scherzoso disgusto sul viso e lieto di poter far sentire utile la sua migliore amica. “Eppoi, a cosa serve avere un’amica strega, se devo fare io il mojo-bojo?”

 

Willow rise, un luccichio malizioso negli occhi e si voltò verso il tavolo dove aveva posato la daga e le munizioni.

 

Buffy le passò una boccetta che conteneva una mistura a base di acqua santa ed altre cose a cui non avrebbe saputo dare un nome, ma che Willow conosceva bene.

 

Willow rifiutò la fiala con la mistura che usavano di solito per l’incantesimo di protezione. “Dammi una fiala di acqua benedetta pura,” chiese.

 

Buffy la guardò incuriosita e le passò una fiala di acqua benedetta già aperta che Willow accettò. “Grazie.”

 

Willow alzò le braccia e le tenne sospese sopra il tavolo, la fiala dell’acqua santa stretta tra la punta delle dita. Aveva l’impressione che le armi sul ripiano d’acciaio la guardassero, come sfidandola a fare qualcosa, deridendola ad ogni scintillio che emettevano catturando la debole luce interna del furgone.

 

Il rito di purificazione delle armi e l’incantesimo di fissaggio usati di solito erano molto semplici con la pozione giusta, tanto che anche una persona senza alcun talento magico come Xander poteva eseguirlo. Era però di breve durata. Non più di qualche ora, mai tutta la notte. Willow aveva in mente qualcosa di più duraturo stasera. E Willow aveva un enorme talento per la magia.

 

La giovane strega versò con cura l’acqua benedetta sulle munizioni e sulla daga ed iniziò a recitare:

 

“Acqua che dai la vita, divino portento, difesa dal Maligno, rendi questi oggetti il tuo strumento di purificazione. Dea, ascolta la mia preghiera.”

 

La voce di Willow era chiara e sicura mentre recitava il mantra di purificazione. Il suo viso era teso per la concentrazione, le palpebre serrate.

 

Sentì le energie magiche raccogliersi dentro di lei. Era come se delle braccia calde e rassicuranti la stringessero con dolcezza. Per un attimo pensò di aver sentito la voce della Dea sussurrarle in un orecchio che tutto sarebbe andato bene, che la sua richiesta sarebbe stata garantita, che la amava. Era come se le avesse detto: ‘Figlia mia’ e quelle due parole avessero significato il mondo per lei.

 

Willow si diede della sciocca e si impose di concentrarsi sul rito. Non era possibile che la Dea parlasse con lei e la chiamasse figlia. Non lei. Non dopo ciò che aveva fatto in passato. Non con tutta quella magia nera che scorreva in lei, nella profondità della sua anima, intrappolata nelle cicatrici che le percorrevano il corpo. Giusto?

Giusto! Concentrati, Rosenberg!

 

Le energie passarono dalle sue mani agli oggetti. Si udì una sorta di sfregolio e gli oggetti sul piccolo tavolo iniziarono a scintillare.

 

Willow recitò l’incantesimo per la seconda volta:

 

“Acqua che dai la vita, divino portento, difesa dal Maligno, rendi questi oggetti il tuo strumento di purificazione. Dea, ascolta la mia preghiera.”

 

L’incantesimo in sé poteva apparire banale. Una semplice invocazione alla Dea perché garantisse la sua protezione. Ma solo chi era ben addestrato nelle arti poteva richiedere la protezione di un’entità superiore senza l’utilizzo di una formula più specifica o l’aiuto di una pozione e sperare di essere realmente ascoltata.

 

Lo scintillio si intensificò quasi ad un livello doloroso per gli occhi.

 

Willow non sapeva perché aveva scelto proprio quell’invocazione. Conosceva almeno quindici formule per fare lo stesso lavoro, con l’aggiunta di un po’ di erbe che, del resto, avevano nel furgone. Sapeva solo che quella era la formula che doveva usare. Era giusto così, anche se non sapeva perché.

 

Buffy guardava il rito a bocca aperta. Quello non era il solito rituale che lei o Xander avevano imparato ad eseguire. Questo rito, nella sua semplicità, era di una forza e potenza ben superiore. Riusciva a percepirlo attraverso la pelle, le saliva ad ondate lungo la spina dorsale, come una pulsazione sorda ed inesorabile, seppure gentile. Si voltò e vide la sua stessa espressione riflessa sul volto di Xander.

 

Anche lui era profondamente stupito e guardava con la mascella che quasi toccava il terreno la sua amica d’infanzia che santificava le loro armi con una semplice preghiera e la pura forza di volontà.

 

Xander non poteva evitare di pensare che tutto ciò fosse innaturale. La magia lo metteva a disagio. Tanto più quando toccava a lui eseguirla. Aveva imparato a conviverci come con un male necessario, ma non per questo doveva piacergli.

 

Il volto di Willow si tese ancora di più per la concentrazione. Gli occhi erano ancora chiusi, le mani ancora protese sugli oggetti. Aveva posato la boccetta dell’acqua benedetta, ormai vuota, sul tavolo per avere le mani libere.

 

 “Acqua che dai la vita, divino portento, difesa dal Maligno, rendi questi oggetti il tuo strumento di purificazione. Dea, ascolta la mia preghiera.” Perché sono indegna di te, ma questi al mio fianco, che non ti pregano, e seguono il tuo sentiero pur senza saperlo, meritano la tua protezione.Accogli la mia supplica. Proteggili.

 

Buffy si chiese che tipo di magia stesse utilizzando la sua amica. Gli occhi chiusi di Willow non le permettevano di vedere le iridi, ma dubitava che si trattasse di magia nera. Era una cosa che sentiva dentro. Era come quando c’era un vampiro nelle vicinanze. Poteva percepirlo. Xander lo chiamava il suo ‘senso di ragno’, con ovvio riferimento ad uno dei fumetti che amava leggere.

 

Si domandò brevemente se Willow fosse ora così forte come quando utilizzava la necromanzia. Sapeva che la sua amica era molto versata e capace nelle arti magiche, ma era molto tempo che non la vedeva all’opera. Negli ultimi due anni aveva preso a preparare gli incantesimi in privato e in modo che si innescassero senza la sua presenza. Vederla eseguire l’incantesimo sotto i suoi occhi era sbalorditivo. Tutto quel potere in un corpo così esile, apparentemente fragile. Tutta quella magia in un corpo così dolorosamente segnato…

 

Scacciò quel pensiero che rischiava di deprimerla e portarle le lacrime agli occhi.

 

Lo scintillio si fece accecante, poi ci fu un flash e il rito finì, in modo quasi troppo improvviso. Willow emise un sospiro liberatorio. “Fatto!”

 

“Cavolo, Will, bel trucchetto! Me lo insegni?” Chiese Xander in tono allegro, uno sguardo ammirato negli occhi.

 

“Certo Xander. Però se poi non funziona, perché -non avendo tu alcun talento magico- come stregone faresti pena, e ti mordono, sarei costretta a piantarti un paletto nel cuore. E Anya ne pianterebbe uno nel mio per averti distrutto e aver lasciato suo figlio senza padre e lei senza….ew. Anche il pensiero è disgustoso!”

 

Xander pensò alla sua fidanzata e valutò che ne sarebbe stata pienamente capace, anche se non sapeva se più per il bambino che portava in grembo o per gli orgasmi mancati. “Come non detto, Will. Per quanto sono certo che sarei un vampiro fichissimo, non sopporterei di farmi distruggere dalla mia migliore amica. Però capirei i motivi per cui Anya vorrebbe vendicarmi.” Alzò le braccia in un gesto di resa, un sorriso malizioso in volto.

 

Willow sostenne il suo sguardo senza battere ciglio, decisa a non dargli nessuna soddisfazione.

 

“Come ci organizziamo?” chiese Xander, tornando subito serio.

 

Buffy prese il comando delle operazioni. “Io e Willow usciamo di ronda e tu coordini da qui. Dovrebbe essere una nottata tranquilla, quindi è inutile andare tutti. Distruggiamo qualche vampiro e torniamo a casa in tempo per l’ultimo spettacolo alla tv.”

 

“Will, sei sicura?” Xander era davvero molto titubante riguardo all’idea che Willow si esponesse ai pericoli là fuori. Avrebbe preferito che il suo ritorno ad un ruolo attivo fosse più graduale. “Forse sarebbe meglio che stasera andassi io e fossi tu a coordinarci.”

 

“No, Xander. Penso di doverlo fare.” I suoi occhi le chiedevano, anzi le supplicavano di fidarsi di lei. Xander si sentì combattuto tra la volontà di tenerla al sicuro e quella di fidarsi di lei come se non fossero passati più di due anni dalla sua ultima ronda.

 

Dopo alcuni attimi di riflessione l’amore vinse sul dubbio. “Ok, Will. Ma stai attenta!” si raccomandò.

 

Willow lo abbracciò di slancio e sussurrò un grazie solo per il suo orecchio.

 

Senza lasciarla andare, Xander annunciò l’inizio del piano operativo. “Ok, bimbe. Trenta secondi per venti metri. Conoscete la procedura. Dal momento in cui sarete fuori, avete solo trenta miserabili, brevissimi secondi per allontanarvi dal furgone. Non fatemi avere il rimorso per un eventuale cancro della pelle che potrebbe venirvi per eccessiva esposizione a raggi UVA concentrati. Preparatevi e andate a suonarle ai cattivi.”

 

Willow si staccò da lui pronta ad uscire.

 

Buffy le passò una piccola cuffia con microfono, da cui spuntava una piccola antenna, che usavano durante le missioni per tenersi in contatto con il furgone e un altrettanto piccolo congegno GPS. Willow si sistemò la cuffia all’orecchio seguendo l’esempio di Buffy e si agganciò in vita il GPS. Raccolsero le armi e le munizioni dal tavolo. Buffy caricò le sue pistole e ripose alcuni caricatori di riserva negli appositi fermi sotto le fondine. Un paio ne passò a Xander che caricò la propria.

 

Buffy si tolse il giaccone verde e aprì il portellone. Guardò fuori nella pozza di luce bluastra che circondava il furgone. L’aria era abbastanza calda. L’autunno non era ancora arrivato. La notte sembra quieta, ma l’esperienza gli diceva che era in queste notti che dovevano stare più attenti. La quiete non era mai un buon segno sull’Hellmouth. Si voltò verso l’interno del furgone e fece un gesto con la mano a Xander che si era seduto dietro la consolle di comando. Alcune luci laterali si spensero lasciando un corridoio libero di fronte al portellone.

 

Le due ragazze uscirono nell’oscurità, affrettandosi verso il cancello d’entrata del cimitero, mentre la porta scorrevole del furgone si richiudeva alle loro spalle con un sonoro clack.

 

Buffy tirò fuori la copia delle chiavi del cancello, che erano riusciti a farsi tempo addietro. Appena ebbero varcato i pesanti battenti del cimitero Buffy diede l’ok a Xander. “Xan, siamo dentro. Puoi riaccendere.”

 

Xander ascoltò la voce di Buffy provenire dagli altoparlanti. Le sue mani si mossero sui comandi, riaccendendo i fari ultravioletti. “Fatto, bimba. Buona caccia, ragazze.”

 

“Grazie. Ah…Xander? Chiamami bimba un’altra volta e ti prendo a calci in culo da qui fino a Los Angeles,” disse, fingendosi offesa.

 

Xander sentì una risatina acida da parte di Willow arrivare attraverso i cavi della radio satellitare. Rise a sua volta. “Ricevuto, o possente super-eroina. Testosterone alto stasera, eh?” Canzonò nel microfono.

 

“Ecco, adesso va meglio. Un po’ di rispetto, cavolo!” Disse Buffy, non riuscendo a trattenere oltre la propria risata.

Capitolo VI: L’attesa nella ronda

 

Dopo che la routine iniziale della ronda fu espletata e dopo aver resistito all’idea di caricare Resident Evil 2 nel pc per passare il tempo, Xander caricò un programma sullo schermo e selezionò la carta topografica del cimitero da un menù a tendina.

 

L’idea di mappare i principali luoghi di riunione e rifugio dei vampiri in città era stata di Willow. Xander stupiva ogni volta, vedendo l’accuratezza del lavoro e pensando al talento della sua migliore amica con la tecnologia digitale. L’utilizzo delle mappe dava loro una maggiore efficacia nel coprire le varie parti della zona da controllare. Inoltre l’uso dei GPS permetteva a chi rimaneva nel furgone di controllare che non venissero fatti giri a vuoto e di sapere in ogni momento dove si trovava chi era di ronda. Ogni zona era stata suddivisa in settori, che si illuminavano sullo schermo di una luce gialla quando entravano e di una luce rossa ad ogni successivo passaggio. Buffy aveva aderito entusiasticamente all’uso dei GPS, che davano una posizione piuttosto precisa di ognuno di loro in qualsiasi momento, soprattutto dopo il rapimento di Willow di quattro anni e mezzo prima.

 

Xander sentì il solito nervosismo crescere in lui. La parte peggiore del lavoro di coordinamento era l’attesa. Essere là fuori poteva essere molto pericoloso, ma stare dentro il furgone, solo ascoltando le voci, senza vedere cosa accadeva, spesso costretti ad ascoltare i rumori della battaglia senza poter intervenire, era frustrante.

 

E oggi c’era anche Willow là fuori. Dopo due anni. Non era una buona cosa.

 

Sì, c’era anche Buffy, ma lei era la prescelta e ormai le routine della ronda le erano così familiari, che i rischi per lei si erano ridotti del cinquanta per cento da quando avevano adottato i nuovi sistemi.

 

Dopo quello che era successo a Willow, il suo rapimento e il tempo che aveva passato in ospedale, tutti loro avevano sentito come se un periodo della loro vita fosse definitivamente finito. Tutte le tragedie a cui avevano assistito prima di quell’evento, i pericoli a cui si erano esposti nel corso degli anni, le morti e le resurrezioni di Buffy (due morti e due resurrezioni), li avevano illusi per molto tempo di vivere in una sorta di bozzolo protetto dove il male non poteva realmente toccarli. Dove la morte era al massimo una cosa temporanea.

 

Ma dopo che Willow era stata rapita e torturata fin quasi alla morte, ogni illusione era scomparsa, invischiata in una ragnatela di dolore e sfiducia in ciò che facevano. Il male poteva toccare anche loro. Addirittura insinuarsi dentro di loro. Anche loro erano a rischio.

 

Il rapporto di amicizia tra loro si era rafforzato molto. Si sentivano ancora investiti di una missione di straordinaria importanza, ma ora non erano più sicuri di voler dare la vita per essa. Di sicuro non volevano vedere qualcuno degli altri doverla dare.

 

Quella che aveva subito i cambiamenti maggiori da quell’esperienza, oltre alla stessa Willow, era stata Buffy.

 

All’inizio Buffy era stata tutt’altro che contenta di essere stata riportata indietro dal paradiso, dopo la battaglia con Glorificus e il suo sacrificio per sigillare il portale che avrebbe scatenato un migliaio di inferni sulla Terra. Il suo atteggiamento era indisponente, anche se forse non aveva tutti i torti. Non era certo tornata da una qualche dimensione infernale, dopotutto.

 

Era come se durante il suo ritorno avesse perso la capacità di avere sentimenti reali, di sentire veramente qualcosa oltre il senso di tradimento. Nel suo estremo tentativo di sentirsi nuovamente umana aveva iniziato una relazione con Spike, alla fine traboccata in una sorta di ossessione da parte del vampiro ossigenato.

 

Una notte Spike aveva cercato di violentare Buffy nella sua stessa casa. Per fortuna la cacciatrice era riuscita a difendersi. Poco tempo dopo avevano scoperto il microchip che aveva in testa, grazie al zelante lavoro dell’ormai defunta Iniziative, era andato in tilt e che Spike era di nuovo in grado di cibarsi di esseri umani e che lo avesse fatto almeno una volta, in occasione di una breve visita di Drusilla. Quella era stata l’ultima goccia per Buffy. Quei due eventi avevano fatto sì che non volesse avere più niente a che fare con il vampiro.

 

Quell’azione aveva, in qualche modo, segnato l’inizio di un riavvicinamento tra loro e la Cacciatrice.

 

Ma intanto Willow era sempre più sprofondata nella magia nera, tanto che Tara l’aveva lasciata e aveva deciso di trasferirsi per un po’a San Francisco, dove la comunità omosessuale era molto estesa e dove aveva contatti con dei gruppi Wicca. La fine dell’idillio tra Willow e Tara aveva colpito tutti loro molto duramente, soprattutto Buffy. Il rapporto tra le due streghe era stato una specie di àncora per lei. Rappresentava la possibilità dell’esistenza di sentimenti veri e immutabili in un mondo grigio e pericoloso. Un mondo a cui sentiva di non appartenere più.

 

Inoltre, il mentore di Buffy, Rupert Giles, era tornato in Inghilterra per la seconda e definitiva volta, convinto che lei dovesse camminare ormai da sola e ritrovare da sé ciò che sentiva inevitabilmente perduto e incapace di aiutare Willow con la sua dipendenza dalla magia.

 

Stranamente, che al mondo esistessero dei sentimenti forti e puri, e che quegli stessi sentimenti esistessero anche dentro di sé, Buffy lo riscoprì proprio nel modo peggiore, quando Willow fu rapita da Rack. Quell’episodio, che segnò l’inizio dell’addio di Willow alle arti nere, sembrò risvegliare i sentimenti di amore e affetto che Buffy credeva non avere più in sé. Furono giorni d’angoscia profonda per tutti loro. Ma Buffy aveva ritrovato i suoi sentimenti, e da allora aveva fatto di tutto per coltivarli invece di reprimerli.

 

Xander non aveva potuto fare a meno di registrare nella sua mente la terribile ironia della cosa.

 

Era stato un nuovo, terribile, doloroso inizio. Come la rinascita di una fenice. Rigorosamente dal fuoco, lentamente, una piuma alla volta. Perché loro, purtroppo, non erano una fenice.

 

Un giorno, circa otto mesi dopo che Willow era uscita dall’ospedale, Buffy li aveva convocati tutti, perfino Dawn, che da qualche tempo aveva iniziato a venire saltuariamente di pattuglia con loro. Li aveva fatti sedere tutti al solito tavolo per le ricerche del Magic Box, il negozio di Anya, e aveva fatto loro il discorso più sconvolgente che avessero potuto immaginare.

 

Anya aveva addirittura acconsentito a tenere chiuso per alcune ore, rinunciando ai suoi adorati profitti, convinta dall’urgenza delle parole di Buffy.

 

Tutti loro, Xander, Buffy, Dawn, Anya e Willow- che ancora camminava con le stampelle- si erano seduti a quel tavolo e avevano ascoltato le sue parole con crescente stupore.

 

Xander ricordò Buffy che spiegava quanto si sentisse cambiata nell’ultimo anno, da quando la tragedia di Willow li aveva colpiti e quanto fosse addolorata da ciò che era successo. Disse che era stanca di comportarsi come una stronza, solo perché temeva di perdere ancora qualcuno che gli era caro. Il rischio c’era ed era enorme, come i fatti avevano dimostrato. Ma proprio per quello credeva che la vita dovesse essere vissuta intensamente in tutte le sue piccole gioie.

 

Willow era rimasta con gli occhi bassi per tutto il tempo che Buffy aveva parlato, ricordò Xander.

 

Buffy ringraziò pubblicamente Willow per quello che stava facendo per lei (tra lo stupore generale scoprirono che Willow stava lavorando per un’importante compagnia di software di Sunnydale da quando era ancora in ospedale, contribuendo non poco alle spese di casa Summers; che aveva riscattato l’ipoteca sulla casa in cui lei, Buffy e Dawn vivevano, intestandola poi alle due Summers, ed era addirittura riuscita a farsi accordare da un giudice la custodia congiunta di Dawn fino ai suoi ventun anni, assicurando così una costante presenza di un adulto in loco parentis, per la giovane) e le disse quanto era fiera di lei per gli straordinari progressi che aveva fatto in un tempo relativamente brevissimo.

 

Non accennò minimamente al fatto che, solo un mese dopo essere uscita dall’ospedale, era scomparsa per tre giorni e quando era tornata Spike era ormai solo un mucchietto di polvere, Rack era morto e aveva due tatuaggi sul corpo che prima non c’erano. Non che a lui personalmente dispiacesse in modo particolare che i due fossero dipartiti. Ciò che lo infastidiva era che Willow fosse stata capace di uccidere. Spike era un vampiro e lo avrebbe distrutto volentieri lui stesso, ma Rack, per quanto avesse un’anima nera, era pur sempre un essere umano, e loro non uccidevano gli umani. Solo demoni e vampiri, la regola era quella. No? E il fatto che sia Willow sia Buffy avevano rifiutato di dare maggiori dettagli lo aveva inquietato ancora di più.

 

Buffy proseguì dicendo che da quando era stata resuscitata si era comportata molto male. Anche se era tornata dal paradiso e non da una dimensione infernale come Willow credeva, era comunque grata a tutti loro per averla riportata indietro. Anche il paradiso poteva attendere, se tornare significava poter vivere più a lungo insieme a loro e vedere sua sorella crescere. La sua voce era rotta dall’emozione.

 

Perfino Anya, di solito così fredda e annoiata da tutto, aveva le lacrime agli occhi.

 

Quando gli abbracci e le parole di gioia e conforto reciproco si furono esaurite, Buffy fece promettere loro che non ci sarebbe stata più nessuna resurrezione. Se lei fosse morta avrebbero dovuto cercare di contattare Faith e convincerla a prendere il suo posto, o andare avanti in qualche altro modo. Oppure smettere.

 

A quel punto si era arrivati alla domanda cruciale: se la sentivano ancora di combattere una battaglia che non era il loro destino? Volevano davvero continuare a condividere un fardello che in fondo era solo suo?

 

La risposta fu più che scontata. Tutti dissero di voler continuare, ma i motivi di ognuno erano profondamente diversi da quelli di tutti gli altri. Non di meno nessuno si tirò indietro. Qualcuno doveva combattere la battaglia dei giusti e quel qualcuno erano loro.

 

La fenice era uscita dal guscio di fiamme, pronta a muovere i primi passi nel mondo.

 

La vera sorpresa però, ricordò, venne dopo. Buffy ribadì di essere felice di essere viva e disse di volerlo rimanere più a lungo possibile e questo era il reale motivo per cui li aveva convocati. Annunciò che per una settimana non sarebbero usciti di pattuglia. Tutti rimasero esterrefatti. Non era da Buffy lasciare la cura dei suoi doveri per un’intera settimana, anche se tutti capivano che potesse avere la necessità di staccare la spina per un po’. Ovviamente avevano frainteso le sue intenzioni. Lei avrebbe continuato ad uscire da sola. Loro non sarebbero usciti di pattuglia. Xander protestò vivacemente e così Dawn e Will, ma ogni protesta cadde quando Buffy spiegò la sua idea.

 

Quando Buffy terminò di parlare nulla fu più come prima.

 

Mettendo a frutto l’esperienza fatta nel breve periodo in cui si era affiliata all’Initiative, il gruppo militare segreto di controllo delle attività paranormali di cui Riley, il suo ex-boyfriend faceva parte, spiegò di sentire la necessità di cambiare i loro sistemi operativi e di ridurre, così facendo, i rischi per tutti loro. Nella seguente settimana si sarebbero dedicati, se erano tutti d’accordo, a trovare metodi alternativi che permettessero loro di essere più efficaci contro demoni e vampiri e di godersi maggiormente le gioie della vita. Nessuna struttura militare. Solo smetterla di andare di ronda come se facessero delle passeggiate nel parco.

 

Ovviamente, avevano aderito tutti entusiasticamente.

 

Così si erano messi al lavoro, mentre Buffy si limitava a veloci e prudenti ronde, giusto per essere certa che nulla bollisse in pentola mentre si riorganizzavano.

 

Xander si era dato malato per tutta la settimana seguente. Tito, il suo capo e attuale socio, non se l’era bevuta, ma gli voleva bene come ad un figlio e aveva lasciato correre senza fare troppo domande. Xander era un eccellente carpentiere e un gran lavoratore. Tito era stato felice di concedergli un po’ di giorni di riposo se ne aveva bisogno. E si era guardato bene dal fargli delle domande.

 

Willow non aveva problemi, visto che non aveva scadenze impellenti o orari di lavoro fissi da rispettare. Era la punta di diamante della compagnia di software e servizi informatici per cui lavorava, tanto che le era permesso lavorare da casa e gestirsi il tempo come meglio preferiva, purché consegnasse in tempo le commesse.

 

Buffy aveva minacciato di licenziarsi dal dojo in cui lavorava, se non le avessero concesso i giorni che le servivano; essendo il migliore istruttore che avessero mai avuto, grazie ai suoi talenti di Cacciatrice, non ci furono eccessive proteste. Inoltre si era data malata presso il liceo (Buffy lavorava presso il Sunnydale High tre mattine alla settimana, occupandosi di ragazzi con problemi comportamentali), e aveva tenuto Dawn a casa con la scusa di aver bisogno di sua sorella perché l’accudisse. L’idea di far impersonare la malata a Buffy e dare il ruolo di responsabilità a Dawn fu di Willow (che era da poco diventata l’altro tutore legale della giovane, ma non lo aveva ancora comunicato alla scuola) che gliene fu oltremodo grata.

 

Anya era stata, senza dubbio, la più stupefacente. Aveva addirittura messo un cartello con su scritto ‘Chiuso per ferie’ sulla porta del negozio e aveva mandato via dei possibili clienti mentre lavoravano, seppure con un leggero sospiro di frustrazione.

 

Quella settimana fu una delle più importanti e delle più esaltanti della loro vita. Quella settimana, dopo tante divisioni, attriti ed incomprensioni erano tornati ad essere qualcosa di più della Scooby Gang. Erano tornati ad essere una famiglia.

 

Si ritrovavano al mattino presto nel negozio e facevano colazione tutti assieme con le vivande che Xander portava, essendo l’esperto riconosciuto in snack e cibo da intrattenimento, nonché mago del take-away.

 

Dopo la colazione passavano ad esporre le proprie idee, dibattendole per migliorarle, o scartandole se inapplicabili. Lavoravano alacremente con un’energia che non avevano più avuto dagli inizi, quando lui, Buffy e Will erano ancora tre liceali senza prospettive per il futuro e dare la caccia ai vampiri sembrava un gioco non troppo differente dal Risiko e un modo migliore di passare le serate che lo Scarabeo.

 

In quei giorni il negozio sembrava un accampamento saccheggiato dopo una battaglia, eppure Anya non si era lamentata neanche una volta. Sapendo quanto teneva alla sua proprietà, Xander era stato molto fiero di lei e anche tutti gli altri avevano mostrato all’ex-demone solidarietà e gratitudine, promettendo di aiutare a rimettere tutto a posto una volta terminato quel lungo briefing.

 

Inaspettatamente i contributi maggiori al nuovo ordinamento della Scooby Gang vennero dalla conoscenza della tecnologia e della magia di Willow e proprio da Xander. Anzi dalla sua passione per i film d’azione e dalle sue conoscenze nel campo delle costruzioni (e dalle sue reminiscenze militari, dovute all’incantesimo di Ethan Rayne).

 

Inoltre entrambi guadagnavano ora abbastanza bene, Willow addirittura benissimo, e potevano permettersi di finanziare le loro idee senza grossi problemi.

 

Durante quella settimana erano nate l’idea del furgone e quella dei fari ultravioletti; erano stati sviluppati i progetti riguardanti i GPS e la possibilità dell’uso di armi da fuoco. Straordinariamente la proposta per tutti loro di prendere il porto d’armi e di usare pistole e fucili per combattere i vampiri fu di Willow, che affermò di conoscere degli incantesimi per rendere i proiettili efficaci anche per i non-morti. Come era da prevedersi Will si dimostrò, nonostante la brillante idea, la peggiore tiratrice del gruppo, laddove invece primeggiavano Buffy per i suoi riflessi e Dawn per una sorta di attitudine naturale. Per allenarsi avevano deciso di insonorizzare la stanza d’allenamento, anche per ovviare al fatto che la giovane Summers non sarebbe stata accettata per legge in un poligono fino alla maggiore età.

 

Si erano tenuti in costante contatto con Mr. Giles in Inghilterra, tramite telefonate via Internet, che avevano addirittura permesso all’ex-osservatore di Buffy di interagire con le loro riunioni in tempo reale più di una volta. Quella delle telefonate via Internet si era dimostrata una soluzione pratica e abbastanza economica.

 

Willow non era entusiasta all’idea di coinvolgere Giles, ma Buffy era riuscita a convincerla dell’utilità di contattare il suo ex-mentore.

 

Avevano addirittura convocato la banda di L.A. per discutere con loro il progetto e rinnovare i rapporti di collaborazione e possibilmente estenderli. Il loro arrivo era stato salutato in un’aria di festa quasi insolita, in una serata fresca di Marzo. Angel, Gunn, Cordelia e Fred si erano presentati alla porta del negozio e ne erano usciti tre giorni dopo, con la certezza che Los Angeles e Sunnydale non fossero più a ore di macchina l’una dall’altra e che i due gruppi non erano più due entità separate.

 

Nel corso di quei tre giorni i componenti della Angel Investigations avevano fornito contributi basilari al loro sviluppo: Gunn aveva dichiarato di poter procurare loro tutte le armi e le munizioni di cui avessero avuto bisogno; Angel si era dimostrato molto utile nella definizione di alcuni dettagli riguardanti le strategie. Avere 250 anni gli aveva insegnato in presa diretta cose che loro neanche immaginavano. Lui e Xander erano spesso coinvolti in fitte discussioni sulla tattica. (Xander aveva scoperto che preparare una battaglia e costruire un palazzo avevano forti analogie. Per entrambe le cose si doveva procedere passo a passo, gettare le fondamenta, sistemare le infrastrutture, affinché il lavoro compiuto non ti crolli sulla testa, preparare gli accessi e le vie di fuga in caso di bisogno.)

 

Solo una volta durante quei giorni, Angel si era distratto dal compito di aiuto che si era prefissato nei confronti della Scooby Gang. Era accaduto nel corso del tardo pomeriggio del secondo giorno, circa due ore dopo che si era svegliato. In quell’occasione si era appartato nella stanza d’allenamento chiedendo a Willow di seguirlo. Nessuno di loro sapeva con esattezza ciò che si erano detti.

 

Quando ne erano usciti, un’ora dopo, con la faccia triste, Angel teneva una mano sulle spalle di Willow in un atteggiamento protettivo e la strega dai capelli rossi aveva gli occhi lucidi e il segno di un morso tra il collo e la spalla. Tutti gli altri li guardavano ansiosi di sapere, ma il vampiro con l’anima si era limitato a dichiarare che ora Willow era pare del suo clan e come tale godeva della sua protezione. Chiunque avesse osato farle del male avrebbe dovuto vedersela con lui.

 

Non era stato difficile immaginare, vedendo i segni sul suo collo, che il vampiro con l’anima avesse chiesto alla strega dai capelli rossi di raccontargli i particolari della morte del suo nipote delle tenebre, William. Tutti loro sapevano che Angel aveva sentito l’esatto momento della morte di Spike, essendo il Sire di Drusilla, che era responsabile della creazione di Spike. Appena era accaduto, si era precipitato a Sunnydale per conoscere i dettagli ed eventualmente vendicare il membro del suo clan. Ma quando Buffy gli aveva detto chi aveva ucciso William il Sanguinario, come era conosciuto Spike cento anni prima, e perché (nei limiti del possibile), ogni proposito di vendetta era scemato.Gli rimaneva da sapere il come, ma aveva accettato il rifiuto di Willow a fornirgli tutti i particolari, accontentandosi della promessa che gli avrebbe spiegato in un’altra occasione. E così era stato. Dopo quel giorno il nome di Spike non uscì più dalle labbra del vampiro con l’anima e Willow era entrata a far parte del clan di Aurelius che aveva aiutato a distruggere anni prima. Ironia della vita.

 

In seguito Willow aveva coperto i residui mistici del morso con la magia, pur sapendo dai suoi studi che non sarebbe sfuggito ad un antico. Poteva accettare le implicazioni che comportava quel gesto, non di dover spiegare ad un novellino durante uno scontro perché portava il marchio di Angelus su di sé.

 

Cordelia si era limitata a riempire la loro testa di chiacchiere, ma fu ugualmente molto piacevole averla d’intorno per un po’; Fred si era limitata ad osservarli nelle loro infervorate discussioni e a fare in modo che non avessero mai bisogno di nulla. Sembrava capace di leggere loro nel pensiero e di anticipare i bisogni di tutti. L’avevano quasi rimpianta quando era ripartita con gli altri. Solo Wyndham-Pryce, il giovane ex-osservatore di Faith, era rimasto a Los Angeles a tenere il forte.

 

La sorpresa più grande fu la presenza della stessa Faith. Dopo l’iniziale disagio che tutti loro provavano nei suoi confronti, l’atmosfera si era fatta più distesa. Angel aveva affermato che da quando era uscita di prigione, Faith era molto cambiata e che collaborava attivamente con loro già da un po’. Con molta buona volontà e non senza un leggero sospetto, avevano avuto modo di constatare quanto quelle parole fossero vere.

 

Faith sembrava realmente pentita delle sue azioni passate e aveva nello sguardo un velo persistente di tristezza e una nuova gentilezza dietro i modi rudi che non le avevano mai conosciuto prima. Lo stesso velo di tristezza che, dopo l’incidente, era riscontrabile nel fondo degli occhi di Willow, la quale, come intuendo che erano accomunate da uno stesso segreto dolore, era stata la prima ad accettare la nuova Faith e a cercare di farla sentire accettata. Da quel giorno una forte amicizia era andata maturando tra le due.

 

Xander sapeva che si tenevano in contatto con periodiche telefonate e che la loro amicizia era piuttosto forte di questi tempi, tanto che ora Faith annunciava le sue eventuali visite a Sunnydale tramite Willow e non più lasciando che Angel fosse il suo portavoce, come all’inizio.

 

Faith ora veniva a Sunnydale almeno sette o otto volte l’anno e ogni volta usciva di pattuglia con loro, dimostrandosi un valido aiuto. Inoltre, all’inizio, era stata utilissima nel testare l’efficacia delle nuove tecniche e avere due cacciatrici in squadra aveva dato a Buffy il tempo necessario per prendere confidenza con le strategie operative che avevano deciso di applicare.

 

Xander considerava quella situazione come un paradosso. Una sorta di tuffo nel passato e salto nel futuro. Contemporaneamente.

 

E senza rete.

 

Ma quella splendida, controversa fenice, in qualche misterioso modo, volava.

 

 

 

Heinz e le sue cinque guardie erano sul tetto di un mausoleo, in cima alla collinetta vicino al lato sud del cimitero, ben nascosti alla vista. La cacciatrice era passato sotto di loro una mezz’ora prima, limitandosi a guardarsi attorno allarmata. Da allora non l’avevano più persa di vista.

 

Come lui aveva previsto la strega rossa era con lei. Le informazioni che avevano raccolto discretamente dicevano che non usciva più di ronda da almeno due anni. Sarebbe stata una bella sorpresa per Xavier. Anche sapere che Heinz non aveva meditato neanche per un istante sarebbe stata una bella sorpresa. Meritevole di punizioni esemplari. Era per questo che stava pensando attivamente a come sbarazzarsi dei cinque baby-sitter che gli avevano affidato.

 

Heinz guardò all’intorno la disposizione delle guardie per il cimitero. Vide alcuni suoi compagni appoggiati distrattamente a lapidi e mausolei, in attesa annoiata del grande evento. Era evidente che quello stupido di Julius non li aveva stimolati nel modo giusto. Il merito di questo lassismo era anche merito suo. Prima che uscissero aveva fatto intendere al suo fratello di clan di aver visto per lui un glorioso futuro e una facile vittoria, senza specificare se fosse per questa notte. Julius era uscito sovraeccitato e troppo sicuro di sé e aveva trasmesso la sua baldanza ai venti uomini sparsi per la parte interna del cimitero.

 

Heinz si voltò verso due dei suoi cinque custodi. “Andate da Julius e dal Maestro e avvisateli che la cacciatrice è qui. State attenti a non farvi scoprire.”

 

I due annuirono e saltarono giù dal tetto e si diressero in direzioni opposte movendosi con cautela. Heinz li osservò scomparire dietro un muro l’uno e un’alta siepe l’altro. Pensò che muovendosi con cautela avrebbero impiegato più tempo per eseguire i suoi ordini. Ora toccava agli altri tre.

 

“Due di voi si appostino qui attorno e si assicurino che la cacciatrice e la sua compagna sono sole. L’altro rimarrà qui e proteggerà la mia trance.”

Altri due dei tre vampiri rimasti di guardia scesero dal tetto del mausoleo. Heinz si portò al centro del tetto e si sedette a gambe incrociate. Chiuse gli occhi e finse di immergersi in trance, mentre attendeva la sua occasione di disfarsi senza rischi dell’ultimo compagno rimasto.

 

 

Capitolo VII: Durante la ronda

 

Xander tornò al presente dal suo viaggio sul viale dei ricordi. L’orologio del pc gli disse che si era distratto per almeno venti minuti. Imprecò per aver scelto un momento così poco propizio e cercò di concentrarsi sul suo lavoro.

 

Le due luci blu che si muovevano sulla schermo indicavano che Willow e Buffy avevano quasi terminato il controllo del settore due. Erano ancora nella parte esterna del cimitero, in luoghi relativamente tranquilli. Vedeva le luci muoversi lungo i sentieri, accanto a simboli di gruppi di lapidi e mausolei, superando veloci incroci e svolte, prendendo sicure una direzione ai bivi. Ricordò che quelle luci erano le sue migliori amiche e non qualcosa di astratto o uno stupido videogame. La sua concentrazione aumentò, focalizzandosi sullo schermo come se, solo guardando le luci spostarsi, potesse tenerle lontane dal male.

 

Ascoltò le loro voci che chiacchieravano tranquille; riempivano il furgone di una strana pace, che Xander sperava durasse, per quanto non vi credesse affatto.

 

Buffy: “Come vanno i preparativi del matrimonio, a proposito?

 

Willow: “Mi stanno facendo impazzire. C’è sempre un problema dell’ultimo minuto. Sono quasi pentita di aver accettato di occuparmene. E Teresa è una rompipalle tremenda.”

 

Buffy: “Davvero vorresti rinunciare?”

 

Silenzio. Un secondo. Due. Tre.

 

Willow: “No.”

 

Xander poteva facilmente immaginare lo scintillio negli occhi di Willow, lo stesso che avrebbe ritrovato in quelli di Buffy e nei suoi stessi, al pensiero di Dawn che si sarebbe sposata in meno di un mese.

 

Una normale chiacchierata tra amiche. Felicità e pettegolezzi.

 

Non poteva durare. Non durava mai. Stasera toccava a lui fare in modo che non durasse, ricordò con un sospiro. Tra poco le avrebbe indirizzate verso il cuore del vecchio camposanto, dove era più facile che si annidassero dei pericoli.

 

Avevano diviso il cimitero in nove settori: quelli da uno a tre comprendevano in un arco discedente la parte che andava da nord-ovest a sud ovest; quelli da sei a nove comprendevano in modo speculare i settori da nord-est a sud-est, in modo che il settore uno e il nove, così come il tre e il sette, confinassero in un ideale cerchio; il quattro e il cinque erano i settori più interni, le aree calde dove era più facile che si annidassero i mostri.

 

E Willow era là fuori.

 

Pensò a quanto fosse cambiata da quando era uscita dall’ospedale. Il suo carattere si era indurito, si era fatta più cinica, più risoluta e meno disposta ad ascoltare i consigli altrui. Parlava molto meno delle sue decisioni e quando si intestardiva, l’unica che riusciva a distoglierla dai suoi propositi era Dawn, e non sempre.

 

Inoltre Xander era preoccupato da due cose soprattutto. Willow, dopo un piccolo incidente in quello stesso cimitero, aveva deciso di smettere di uscire di ronda, pur continuando a dare un valido contributo con le ricerche e con preparati magici molto efficaci, che potevano essere utilizzati senza la sua presenza. Aveva anche insegnato loro la semplicissima invocazione per benedire le armi, molto diversa e meno efficace, ne era certo, di quella che lei aveva utilizzato quella sera. Ma niente più ronde.

 

Xander aveva provato a convincerla che non era colpa sua e che poteva capitare di prendere qualche colpo durante la lotta. Tanto più che era convinto che non fosse stata la paura della battaglia a farla rinunciare ad andare di pattuglia. Avevano combattuto fianco a fianco troppe volte, prima e dopo l’episodio con Rack, per sapere bene quanto coraggio possedesse la sua amica e avrebbe potuto affermare che dopo la sua riabilitazione, Wilow fosse divenuta anche più spavalda, meno timorosa di farsi male. Aveva addirittura iniziato a prendere lezioni di arti marziali da Buffy prima, e poi dagli altri istruttori della palestra in cui Buffy lavorava.

 

Poi un giorno d’improvviso, mentre la guardava venirgli incontro nel vialetto di casa Summers con il suo passo lievemente rigido, aveva avuto un’intuizione. La gamba che Rack aveva segnato con il suo pugnale magico non era mai realmente guarita. In qualche modo Willow riusciva a tenere sotto controllo il dolore e la zoppia. Quando le aveva esposto la sua teoria, Willow non aveva negato. Era però, riuscita a strappargli una promessa di assoluto silenzio. Da quel giorno lui non aveva più insistito perché tornasse di ronda con loro.

 

Due cose: perché era voluta venire, dopo due anni? Era davvero pronta per i pericoli là fuori?

 

Scacciò via quegli interrogativi mentre pigiava il pulsante che apriva la comunicazione.

 

Capitolo VIII: Ritorno in prima linea II

 

Il cimitero era silenzioso come sempre. Buffy e Willow camminavano già da un’ora, chiacchierando tra le tombe e le cripte, attente ad eventuali movimenti d’intorno.

 

Quando avevano ispezionato il lato sud Buffy aveva avuto la strana sensazione di essere osservata. Si era guardata attorno alla ricerca di eventuali pericoli, ma non aveva visto nulla e aveva pensato di essere nervosa per la presenza di Will. Tanto più che la sensazione di leggero pizzicore alla nuca non gli era ancora passata. Era come se il ‘senso di ragno’ fosse perennemente attivo, stasera, anche se in forma attenuata.

 

“Come vanno i preparativi del matrimonio, a proposito?” chiese Buffy ad un certo punto, senza smettere di scandagliare il cimitero alla ricerca di vampiri.

 

Willow si appoggiò al suo bastone da passeggio con un gesto casuale e si fermò, passandosi una mano tra le corte ciocche di capelli rosso tiziano dritte sulla sua testa, che apparivano eternamente spettinate. “Mi stanno facendo impazzire. C’è sempre un problema dell’ultimo minuto. Sono quasi pentita di aver accettato di occuparmene,” disse con un’espressione buffa. “E Teresa è una rompipalle tremenda.”

 

L’espressione di Willow e il riferimento alla madre di Andrew, il fidanzato di Dawn strappò un ghigno divertito a Buffy. “Davvero vorresti rinunciare?”

 

Willow finse di pensarci per un lungo istante, prima che un sorriso da orecchio ad orecchio le illuminasse il volto: “No.”

 

Gli occhi le scintillarono d’orgoglio al solo pensiero di Dawn nel suo abito da sposa.

 

Buffy le diede un buffetto scherzoso sul braccio, i suoi occhi che riflettevano gli stessi sentimenti della sua amica.

 

Pensò che era bello vederla sorridere in modo spontaneo, cosa che non accadeva tanto spesso. Forse quell’argomento avrebbe fatto sì che il suo buonumore perdurasse. “Di che colore saranno i nostri vestiti?” chiese.

 

“Dawn pensava a un pesca tenue per me, perché si accorda con il colore dei miei capelli, e ad una tenuta da motociclista di pelle nera per te. Con borchie.”

 

“Divertente! E Anya? Qualcosa di demoniaco?”

 

“Nuda.” Willow sorrise con un guizzo cattivo negli occhi.

 

“Willow! Stai veramente diventando impossibile!” Disse Buffy, fingendosi offesa, ma non potendo evitare di sorridere al pensiero di se stessa e di Anya tra le damigelle, agghindate nei completi che Willow aveva suggerito.

 

Le loro risate furono interrotte dalla voce di Xander. “Ehy, è della mia ragazza che state sparlando, cavolo!”

 

“Scusa Xander,” disse Willow, ricacciando indietro a fatica le risa.

 

“Scusa Xan,” le fece eco Buffy, anche lei troppo divertita per riuscire realmente a smettere di ridere.

 

Sentirono un profondo sospiro di noia arrivare attraverso la cuffia. “Ok, ok. Vi perdono. Ma basta cattiverie contro Anya.”

 

“Promesso,” risposero all’unisono, senza smettere di ridacchiare.

 

Appena si fu ripresa abbastanza Willow disse: “Ok, ok! Saranno color pesca con delle bellissime sfumature. La prova ci sarà tre giorni prima del matrimonio. Quindi vedi di non ingrassare.”

 

“Io non ingrasso. Iper-metabolismo, ricordi? Posso mangiare come tre leoni e non prendere un etto.”

 

“Ah, già.” Dopo una pausa aggiunse con un sorriso malizioso: “Chi porterai al matrimonio?” Sapeva di avventurarsi in un campo minato, ma non riuscì a resistere.

 

Buffy tornò a guardarsi intorno, con veramente poca voglia di rispondere. Si incamminarono nuovamente per continuare la ronda. “E tu?” chiese nello stesso tono malizioso, venti metri più in là. Quello era un tasto dolente di cui entrambe avrebbero preferito non parlare, ma le pareva che non avrebbe avuto un’altra occasione per fare aprire Willow in quel modo. La sua vita sentimentale era praticamente nulla da un bel po’. E quella di Will era a dir poco strana.

 

“Non so.“ Willow si era già pentita di aver sollevato l’argomento. Era certa che non avrebbe portato niente di buono.

 

“Forse Pat?” suggerì Buffy, sebbene il suo pensiero non fosse propriamente focalizzato sulla prima opzione che aveva presentato alla sua amica. “Lei ne sarebbe molto felice. Ti sta facendo una corte spietata.”

 

“Davvero?” Willow finse innocenza. Sapeva benissimo che Pat aveva un debole per lei. Aveva anche pensato di accettare uno dei numerosi inviti che la collega di Buffy le faceva ogni volta che andava ad allenarsi, ma non era certa di voler incoraggiare Pat verso qualcosa di più di una semplice amicizia. Ciò significava che di certo non l’avrebbe portata al matrimonio di Dawn come sua accompagnatrice. “Non me ne sono mai accorta. Io ho sempre pensato che mi stesse solo insegnando l’Aikido,” disse con leggera malizia.

 

“Non fare la furba con me. Te ne sei accorta eccome! Ed è ora che tu ti impegni in un rapporto serio!”

 

In un qualche modo il tono e le parole di Buffy l’avevano infastidita. Willow voltò lo sguardo intorno, per non dover incontrare gli occhi della sua amica e lasciò passare il suo sguardo sulle lapidi e le cripte di marmo che le famiglie più ricche di Sunnydale si erano fatte costruire, come pubblica dimostrazione di posizione sociale. Costruzioni che solo vampiri e affini avrebbero apprezzato fino in fondo. Riflettè sull’inutilità di quei monumenti, mentre le parole di Buffy le fluivano nell’orecchio.

 

“Forse dovresti darle una chance,” continuò Buffy, senza rendersi conto del cambiamento d’umore della sua amica.

 

“Questa non è assolutamente una buona idea,” mormorò piano Willow, ma in un tono che non ammetteva repliche.

 

Buffy finse di non aver sentito e assestò un colpo che premeditava da tutta la sera, inconsapevole del cambiamento d’umore in atto nella sua amica. “Altrimenti potresti portarci Tara.”

 

Willow si girò di scatto verso la Cacciatrice, un lampo di furia negli occhi. “Che c’entra Tara?”

 

Buffy si maledisse mentalmente per non essersi accorta del cambiamento d’umore di Willow. La valvola era stata aperta e non c’era modo di richiuderla.

 

Who-ho-ha! Colpita ed affondata! Be’, tanto vale insistere.

 

“Dawn non te l’ha detto? Ha invitato Tara al matrimonio e lei ha accettato. Sarà anche lei tra le damigelle. Arriverà tra un paio di settimane,” annunciò soddisfatta.

 

Buffy immaginò il cervello di Willow che processava a iper-velocità le informazioni che le aveva dato. Il matrimonio era tra circa venticinque giorni. A questo punto Willow doveva stare domandandosi perché Tara arrivasse addirittura dieci giorni prima della data prefissata. Decise di spingere di un’altra tacca, sull’acceleratore delle novità. “Dawn l’ha convinta a venire con largo anticipo, cosicché lei e Liz passino un po’ di tempo con noi. E Liz farà il paggio.”

 

Il nome della figlia di Tara raggelò ulteriormente la strega dai capelli rossi, mozzandole il respiro in gola. Il cervello di Willow stava ora andando ad un migliaio di pensieri al secondo. Quello era stato davvero un colpo basso! Valutò tutte le possibili risposte. Il suo respiro riprese un ritmo regolare, mentre un’idea tutt’altro che gentile le faceva capolino in testa. Anche lei poteva giocare sporco, se provocata.

 

Spense a fatica la rabbia che le montava dentro e nel tono più calmo che riuscì a darsi, decise di calare anche lei l’asso: “Oggi ho telefonato a Faith, poiché ho un lavoretto a Los Angeles. Anche lei ha accettato l’invito di Dawn. Arriverà due o tre giorni prima della data, non essendo tra le damigelle…Forse dovresti portare lei al matrimonio. Oppure potreste scambiarvi semplicemente i corpi, tanto per fare qualcosa di nuovo,” disse con forte sarcasmo.

 

Willow guardò il volto di Buffy inorridire al pensiero di un nuovo scambio di corpi con Faith, come era accaduto alcuni anni prima, quando lei e Willow erano al primo anno di college. Prima che Buffy avesse tempo di riprendersi Willow infierì. “Ho forse dovrei chiederle se vuole accompagnare me…”

 

Gli occhi di Buffy si spalancarono ancora di più. Non poteva essere vero. Era solo un incubo. Doveva esserlo. Quello era uno dei pensieri che Buffy evitava più accuratamente. L’idea che Faith e Willow potessero essere più che buone amiche le mandava un brivido freddo lungo la schiena.  Qualcosa tra il disagio e il disgusto. Sì, Faith dormiva in camera di Willow ogni volta che era a Sunnydale, ma Buffy aveva sempre rifiutato di pensare a quello come a qualcosa di più di un atto di ospitalità. Ma quella frase di Willow portava a galla delle implicazioni che Buffy avrebbe preferito lasciare nell’oblio.

 

Faith e Buffy avevano ritrovato un buon rapporto da quando la cacciatrice bruna era stata loro ospite nel lungo briefing operativo della Scooby Gang, anche se non si poteva dire che avessero un’amicizia idilliaca o forte come quella che lei e Willow avevano sviluppato negli ultimi tempi. Né una così forte come quella che Buffy e Willow condividevano dai tempi del liceo.

 

Avevano imparato a rispettarsi di nuovo reciprocamente, anche se Buffy non approvava la sua condotta sessuale fatta di incontri occasionali con rappresentanti di entrambi i sessi. Capiva che quello era il modo di Faith di sentirsi meno sola durante certe interminabili notti o di scaricare l’adrenalina. Ma l’idea di Willow impegnata in una relazione o più semplicemente in un rapporto con Faith la disturbava profondamente.

 

“Ragazze, ricordate che non siete sole, per favore,” gracchiò una voce in cuffia. Xander sperava di porre fine all’improvviso battibecco tra le due, seppure sapeva che i sensi di Buffy dovevano essere all’erta anche durante questo scambio di battute al veleno.

 

“Zitto Xander!” intimarono contempoaneamente Buffy e Willow. La radio tacque.

 

D’un tratto qualcosa catturò lo sguardo di Buffy, sulla destra, dietro una lapide, a circa dieci metri alle spalle della strega dai capelli rossi.

 

La Cacciatrice si mosse con rapidità fulminea, dandosi della stupida per non essersi accorta che il suo ‘senso di ragno’ stava urlando come una sirena impazzita.

 

Raggiunto il punto dove aveva visto il movimento furtivo, Buffy immerse le mani nell’oscurità dietro la lapide e ne cavò fuori un vampiro con i lineamenti mutati in quella che loro chiamavano la ‘faccia da gioco’. Il vampiro emise un suono gutturale e rabbioso, ma Buffy non si lasciò impressionare, preda della sua personale furia.

 

“Non…” Gancio destro. “…si può…” Gancio sinistro. “…nemmeno…” Calcio rotante alla mascella. “…più…” Calcio nello stomaco. “…litigare…” Montante sinistro. “…con la propria…” Gancio destro. “…migliore amica…” Altro gancio. “…senza che uno …” Colpo a mano aperta al plesso solare.

 

Il vampiro tentò una reazione. Allungò il braccio per prendere la Cacciatrice per il collo. Buffy evitò la mano protesa con grazia. “…sporco…” Kata numero quattro.

 

Il vampiro volò su una lapide con un terribile tonfo e rimase lì, probabilmente con la schiena spezzata.

 

“Sento degli strani rumori. E Buffy sembra alterata. Cosa succede?” Gracchiò la radio.

 

La voce di Willow rispose con calma totale: “Un vampiro all’entrata occidentale del settore quattro, vicino la cripta dei Rugowski. Indossa una tunica nera con un disegno di una luna rosso sangue. Ci spiava. Dato che non ci ha attaccato mentre eravamo parzialmente distratte, forse è una sentinella.

 

Buffy non ne avrà per molto.”

 

“D’accordo Will. Inserisco le informazioni nel data-base.” La voce in cuffia si spense e Willow tornò ad osservare lo scontro con rinnovato interesse.

 

Nel frattempo Buffy continuava la sua personale reprimenda nei confronti del vampiro.

 

“…vampiro…” Calcio dall’alto verso il basso, dritto sullo sterno. Le ultime vertebre sane e varie costole vennero ridotte in poltiglia. Il vampiro grugnì di dolore. “… ti spii?” Buffy gli fu sopra in un baleno, un paletto in mano. Affondò la punta del paletto aguzzo nel petto del vampiro. Si rialzò e si scosse la polvere di dosso.

 

“Perfetto! Davvero perfetto! Mia sorella si sposa in meno di un mese, non ho nessuno da portare al matrimonio –diavolo, non ho nessuno, punto! da un’infinità di tempo- sto litigando con la mia migliore amica perché sono una stronza e perché forse lei vuole farsi accompagnare da una ex-psicopatica per cui i rapporti occasionali sono come per me bere un caffè- e tutti sanno quanto caffè bevo- e devo anche venire spiata da un maledettissimo vampiro?”

 

A quel punto Willow non riuscì più a trattenere una risata. “Scusami Buffy. La stronza sono io.” Si abbracciarono per un istante, consce che non erano necessarie altre parole di scusa tra loro.

 

“Devo anche andare dal parrucchiere a fare la tinta. Ho i capelli che sono un disastro. E mi sta anche per arrivare il ciclo,” aggiunse Buffy. “Quindi mi sento anche abbastanza nervosa e dovrò…”

 

“Ragazze, ricordate che non siete sole, per favore!” ripetè la voce di Xander nella radio, prima che Buffy potesse incedere in maggiori particolari. C’erano delle cose delle sue amiche che Xander non voleva ASSOLUTAMENTE sapere.

 

“Scusa Xan.” Si limitò a replicare la cacciatrice di vampiri. Poi tornando con la mente al lavoro. “Verso quale settore dobbiamo andare ora?”

 

“Dirigetevi verso la parte vecchia, visto che siete già nei pressi. Settore quattro. Se è vero che è una sentinella è probabile che i suoi compagni siano là, intenti in qualcosa di poco piacevole.”

 

“Già.” assentì Buffy. “Che bello! Proprio quello che mi ci voleva stasera!”

 

“Will, massima attenzione, mi raccomando.” La voce di Xander era carica di preoccupazione.

 

“Ok. Starò attenta, non preoccuparti.” Willow e Buffy si stavano ancora fronteggiando, ma tutto l’astio e la rabbia erano spariti dai loro occhi. Rimasero in silenzio per alcuni istanti, poi Buffy coprì con una mano il microfono e chiese: “Will, posso farti una domanda?”

 

Willow annuì senza dire una parola. Immaginava cosa volesse chiederle.

 

“Tu e Faith…” iniziò la bionda, incespicando sulle parole. “Sì, insomma… tu e Faith… avete mai…?”

 

Willow comprese il senso della domanda, anche se le sembrava strano che glielo chiedesse proprio ora, visto che Faith dormiva nella sua stanza ogni volta che capitava a Sunnydale da almeno due anni. Come poteva spiegarle il suo rapporto con Faith?

 

Imitò il suo gesto e coprì il proprio microfono in modo da escludere Xander. “Faith è cambiata molto rispetto al passato. La prigione le ha insegnato l’autodisciplina.” Così come il dolore l’ha insegnata a me, avrebbe potuto aggiungere. Ma non lo fece.

 

“Faith è anche una giovane donna molto passionale ed è stata segnata da molte tragedie che ne avevano minato la fiducia in se stessa e nelle sue buone qualità. Fondamentalmente è una persona molto sola. In questo ed altro io e lei siamo simili. Forse per questo siamo diventate buone amiche.” Tacque per un istante, abbassando gli occhi. Sapeva di non aver realmente risposto alla domanda di Buffy, che la guardava silenziosamente, in attesa, valutando ciò che le aveva appena detto.

 

Rialzò gli occhi, fissandoli in quelli di Buffy e riprese a parlare. “Mi chiedi se io e Faith siamo mai state amanti?” Buffy aprì la bocca per rispondere, ma nessun suono uscì dalle sue labbra aperte, mentre le sue guance si arrossavano lievemente. Si limitò ad assentire.

 

“Avremmo potuto…” continuò Willow, togliendo la sua amica dall’imbarazzo ”…e ci sono state un paio di volte che ci siamo anche andate vicino. Ma…no! Mai.”

 

Fece per voltarsi per allontanarsi, ma la mano di Buffy sulla spalla la trattenne. “Come mai…?”

 

Willow scivolò via dalla sua presa gentile. “Perché due solitudini non fanno una buona compagnia. Non per noi, almeno.”

 

Prima che Buffy potesse replicare aggiunse: “Andiamo.”

 

Willow si incamminò verso il settore quattro, mentre Buffy restò a guardarla per alcuni secondi senza muoversi, in preda ai suoi pensieri.

 

“Che succede? Sento un ritorno nella trasmissione”chiese Xander dal furgone.

 

“Nulla Xan. Stiamo andando,” rispose Buffy, affrettandosi per mettersi al fianco di Willow.

 

Dieci minuti dopo erano nel cuore del Memorial Park, il più grande e vecchio cimitero di Sunnydale, camminando fianco a fianco in assoluto silenzio. Quel tipo di silenzio confortevole che solo due persone che si stimano e si conoscono bene possono tenere senza sentirsi a disagio.

 

Willow ripensò al silenzio che scendeva talvolta tra lei e Tara, quando spendevano ore intere solo a guardarsi negli occhi o a tenersi per mano. Un silenzio magico. Le parole non servivano in quei momenti.

 

L’unica cosa che contava era che loro ci fossero.

 

Insieme.

 

Le mancava molto quel silenzio.

Tara sarà qui presto. Solo quindici giorni…!

 

Scacciò quel pensiero dalla sua mente e l’inquietudine che l’accompagnava e tornò a concentrarsi sulla ronda.

Capitolo VIII: Cattiva magia all’opera

 

Xavier, figlio delle tenebre di Boreanz e Maestro del Clan, era nel mezzo di una piccola radura all’interno del più vecchio camposanto di Sunnydale, pronto per realizzare la sua più grande gloria. Intorno a lui, tra tombe e mausolei che avevano circa la sua stessa età, venti membri anziani del suo clan, tutti di almeno cento anni, vestiti nelle tuniche cerimoniali e disposti come due ali nere ripiegate in avanti, pronte a dispiegarsi nel volo di un incubo.

 

Xavier passò il suo sguardo carico di soddisfatta e fremente anticipazione su di loro.

 

“Iniziamo, figli miei,” comandò. I membri del suo clan si sistemarono in un cerchio perfettamente simmetrico, pronti all’espletamento del rito.

 

Uno dei vampiri si fece avanti con un oggetto tra le mani, coperto da un drappo di raso rosso. Non appena tolse il drappo, gli occhi di Xavier si illuminarono di un’eccitazione che non provava più da decadi. Sotto il drappo vi era una statuetta che poteva essere considerata brutta da qualsiasi senso artistico, anche il più stravagante. Era di legno scuro, con chiazze ancora più scure, come bruciacchiato, e rappresentava una figura antropomorfica metà uomo e metà serpente, scolpita con grande ricchezza di particolari. Quello che la rendeva orrenda, era il fatto che i particolari sembravano essere stati scolpiti da un artista impazzito o con una vista molto scarsa. Le braccia erano sproporzionatamente lunghe; le tre corna sulla fronte erano contorte e di diversa misura; il petto esageratamente largo; la parte inferiore, a forma di serpente, troppo corta e tozza per avere anche una minima sembianza di armonia. Il tutto sembrava poi mancare anche della minima simmetria, rendendo la statuetta grottesca.

 

Il vampiro appoggiò la statuetta a terra in mezzo al cerchio, in equilibrio precario, e tornò al suo posto.

 

Xavier fece uscire il suo demone e iniziò a salmodiare in una lingua antica, dimenticata da millenni. Dopo pochi istanti tutto il cerchio lo imitò e si unì a lui.

 

Il canto era composto da parole di potere che qualcuno diceva essere appartenute al linguaggio sacro degli antichi sacerdoti di Atlantide. Xavier non vi aveva mai creduto, ma sentendo la pulsazione di potere entrare in lui e riempirgli i suoi organi morti di un’energia malvagia come il peggiore degli inferni, si disse che forse non era così falso.

 

La statuetta iniziò a pulsare appena di una luce verde e sinistra..

 

Bene, sta iniziando. Dopo stanotte, con un Hellgod alle mie dipendenze, sarò il sovrano assoluto dell’Hellmouth!

 

 

 

Willow era molto inquieta. Il fatto che ci fosse una sentinella nel settore tre, la spingeva a pensare che ce ne fossero certamente delle altre, nascoste da qualche parte, per quanto non ne avessero incontrate negli ultimi dieci minuti. Una rapida occhiata al modo in cui Buffy procedeva, le disse che la sua amica doveva pensarla allo stesso modo.

 

Buffy, come se avesse percepito la sua preoccupazione, tirò fuori una delle 45 automatiche dalla fondina e scarrellò per mettere il colpo in canna. A Willow parve che il sonoro ta-clack echeggiasse nell’aria quieta del cimitero come un colpo di cannone. Si guardò attorno per vedere se il rumore avesse attirato compagnia indesiderata. Quando vide che erano sole, si disse che probabilmente era stata una sua impressione e che il rumore non era poi così forte come le era sembrato.

 

Nondimeno lasciò vagare il suo sguardo d’intorno, sulle lapidi e sulle cripte, scrutando i sentieri e le collinette, gli alberi e i cespugli alla ricerca di eventuali pericoli nascosti.

 

Ad un tratto, mentre si avvicinavano alla parte più antica del cimitero, sentì come un formicolio lungo la spina dorsale e dietro la nuca. Si accorse che un velo di sudore freddo le stava imperlando la fronte e una pulsazione sorda le risuonava nella gamba malata e nelle cicatrici, in un fastidioso prurito. Sapeva per esperienza cosa significava. Magia nera all’opera. Molto nera e molto potente. Da qualche parte, non lontano, qualcuno stava eseguendo un rituale che era meglio non riuscisse a portare a termine.

 

Si sfregò il petto leggermente sulla sinistra con una mano, mentre alzava l’altro braccio per attirare l’attenzione di Buffy.

 

Buffy si fermò subito dopo di lei. “Che c’è?” chiese, subito allarmata dall’espressione di intensa concentrazione sul volto della strega.

 

“Ci sono forti energie all’opera,” rispose Willow.

 

“Magia?”

 

“Magia.” Willow aumentò la concentrazione e si guardò freneticamente attorno, espandendo le sue percezioni magiche. “Vengono da…” Le energie che stava percependo le mettevano i brividi, erano assolutamente malvagie e, quel che era peggio sembravano chiamarla, risuonando in quelle intrappolate nel suo corpo dal pugnale di Rack.

 

Willow alzò un braccio, indicando un punto indefinito davanti a sé, sulla sinistra. “…là!”

 

Buffy, nonostante Willow non venisse di pattuglia da molto tempo, sapeva di potersi fidare di lei, per certe cose. Non dubitò neanche per un istante della correttezza delle sensazioni che la strega rossa stava provando. Il suo pollice scivolò sul retro della canna della pistola fino a trovare la sicura. Un piccolo gesto e l’arma fu pronta ad eseguire il suo compito.

 

Mentre Buffy si avviava verso il punto indicato, lo sguardo di Willow si fissò su una bassa collinetta alla sua sinistra, ben oltre il punto di provenienza delle energie mistiche. Al centro della collinetta si ergeva una quercia solitaria, completamente disseccata e contorta, i suoi rami che attraversavano il cielo notturno come le dita nodose di una gigantesca Baba-Yaga. Tutto intorno alla base della collinetta correva una larga striscia marrone di terra nuda e brulla, in netto contrasto con il verde dell’erba bassa, tagliata di recente. Altre strisce di dipartivano da questa, attraversando la collinetta in una serie di “V” leggibili di lontano, come se qualcuno avesse voluto fissare in eterno nel prato il simbolo ripetuto della vittoria su ogni lato attorno all’albero.

 

Willow sapeva che non era così. Quel luogo rappresentava la sua più amara vittoria, la perdita definitiva di ogni residuo d’innocenza che le era rimasto. Ma stanotte poteva essere utile ad un altro scopo.

 

Buffy, avanzò di qualche passo. Notando che Willow non si era mossa e dove era diretto il suo sguardo, tornò indietro e le posò una mano su un braccio. “Will, non abbiamo tempo,” le disse il più dolcemente possibile. “Cattiva magia all’opera, ricordi?” Scherzò con un sorriso.

 

Willow la guardò per un istante, prima di comprendere l’errore della sua amica. Sorrise tristemente. “A dire la verità, pensavo che fosse un ottimo punto d’osservazione. Da lassù potremo vedere agevolmente cosa sta succedendo.”

 

Buffy annuì, soddisfatta che Willow fosse concentrata sul loro compito e felice di essersi sbagliata.

 

“Xander. Qualcuno si sta dando da fare con del cattivo mojo. Usciamo dal sentiero 4- 21 per dare un’occhiata,” annunciò Willow nel microfono.

 

“Ricevuto. Fatemi sapere,” arrivò la risposta nervosa in cuffia.

 

“Ok.”

 

Si diressero cautamente verso la bassa collina. Non appena varcarono la striscia brulla alla base, la strega rossa sentì le energie magiche intrappolate nelle linee disegnate nel terreno, la loro malvagità radicata, che neanche il potere della terra riusciva a rigenerare. Tutto quel potere magico al servizio della distruzione le avrebbe dato un brivido lungo le spalle, se a provocarlo fosse stato qualcun altro e non lei stessa.

 

Buffy era davanti a lei di circa quindici metri, Willow dietro che si aiutava con il bastone nella salita. I loro avversari potevano aver avuto la stessa idea e la Cacciatrice voleva essere sicura che il terreno fosse sgombro.

 

Quando furono in cima Willow accarezzò distrattamente il tronco disseccato dell’albero, in un punto particolare, dove una profonda scalfittura intaccava la rugosità della scorsa e una macchia scura era visibile nella pigmentazione grigiastra della quercia un tempo viva, mentre i suoi occhi guizzavano d’intorno alla ricerca del pericolo che aveva avvertito.

 

Fu Buffy, con la sua vista acutissima, a localizzare per prima cosa stava accadendo. “Là!” disse indicando un punto a circa quaranta metri da loro, leggermente sulla destra.

 

“Dove?” chiese Willow, scandagliando freneticamente il cimitero alla ricerca del punto che Buffy aveva individuato.

 

“A sinistra del mausoleo degli Smythson, parzialmente coperti da quello dei Do Rey, nella radura al centro del settore. Non capisco cosa stiano facendo, da qui, ma non mi piace lo stesso.”

 

Willow puntò lo sguardo seguendo le indicazioni. Era ironico che molte persone conoscessero a memoria il nome di monumenti e vie della propria città e loro invece sapessero a memoria il nome e il luogo di ogni singola tomba di Sunnydale. “Sì, li vedo. Sono vampiri, secondo te?”

 

“È probabile. Sembrano vestiti come l’altro.”

 

“Cosa succede, ragazze?” Chiese Xander dal furgone.

 

Buffy strinse il microfono tra la punta delle dita della mano libera e iniziò a parlare, mentre iniziava a dirigersi verso il punto in cui si trovavano i vampiri. “Xan, tre vampiri, a circa 40 metri da noi. Sembrano indossare lo stesso tipo di tunica dell’altro che ho distrutto. Stiamo andando là.”

 

 

 

Nel furgone, Xander sentì l’adrenalina nelle vene mischiarsi alla paura e il sangue scorrergli con impossibile rapidità, come ogni volta che la battaglia stava per cominciare. Seguì le luci che indicavano la loro posizione sullo schermo e tracciò con il dito la radura dove dovevano trovarsi i vampiri secondo le segnalazioni di Buffy.

 

Avrebbe preferito essere là fuori, per quanto lì dove si trovava non correva alcun pericolo. Non gli piaceva l’idea di dover aspettare e ascoltare i suoni e i rumori della battaglia, senza capire cosa accadeva. Però non voleva far sentire alle ragazze i suoi dubbi, soprattutto a Willow, che riteneva ancora non pronta per i pericoli. “Ok, ragazze. Aggiornatemi appena potete. Buona caccia!” E state attente!

 

 

 

Willow si voltò per un istante verso la poderosa quercia, la sua mano che ancora ne accarezzava la ruvida scorza. “Presto.” Mormorò. “Presto ti restituirò quello che ho ti preso. Te lo giuro! Fosse l’ultima cosa che faccio nella mia vita. Ne significasse anche la fine.” Poi si affrettò con la sua andatura un po’ rigida giù per la collina dietro a Buffy, che si era avviata a passo spedito verso il punto in cui i vampiri che avevano individuato stavano immobili, le braccia protese in avanti verso qualcosa che non potevano vedere.

 

A mano a mano che si avvicinavano, udirono una sorta di canto levarsi d’intorno. Willow non riuscì a capire di che lingua si trattasse, ma ad ogni passo verso il loro obbiettivo la sensazione di disagio le cresceva in petto. “Dobbiamo affrettarci,” disse a Buffy, accelerando ancora di più il passo, ma senza mettersi a correre. Correre in bocca al nemico era da stupidi.

 

Buffy la imitò immediatamente raggiungendola con facilità.

 

Quando furono a circa venti metri, con la visuale non più ostruita dalle tombe familiari, poterono finalmente vedere cosa stava accadendo. I vampiri non erano tre, come sembrava dalla collina. Erano circa venti e più, riuniti in cerchio e stavano salmodiando attorno ad una statuetta nera, dall’aspetto artistico discutibile, posta nel centro.

 

Il suono delle parole era sconosciuto ma di indubbia natura arcana. La statuetta pulsava di una luce verdastra tutt’altro che rassicurante. Alcuni dei vampiri sembravano avere un’età ragguardevole, almeno un secolo se non di più. Uno di loro aveva un simbolo più intricato di quello che campeggiava sulle tuniche degli altri. Tutti avevano su la ‘faccia da gioco’. Erano senza dubbio un clan e quello era il loro Maestro. La serata non prometteva niente di buono.

 

Willow e Buffy si fermarono per alcuni istanti per fornire a Xander maggiori dettagli possibili, prima di avvicinarsi ulteriormente.

 

“Xander. Abbiamo un intero clan qui. Almeno venti elementi. Sono riuniti in cerchio. Sulle tuniche hanno un simbolo stilizzato diverso da quello dell’altro che abbiamo incontrato. Un’ascia con una catena che gli gira intorno e degli strani segni disposti in cerchio attorno al disegno…”

 

“Rune,” interloquì Willow.

 

La cacciatrice la guardò confusa. “Huh?”

 

“Sono rune magiche.”

 

Buffy annuì. “Una serie di rune attorno al disegno principale,” disse scambiandosi un sorriso d’intesa con la strega. “Uno di loro ha un simbolo molto più intricato. Non saprei descriverlo da qui.”

 

“Scatta delle foto. Vedremo in seguito di cosa si tratta,” propose Xander. “Se pensate di non farcela, rientrate. Niente rischi inutili. Li ridurremo in polvere un’altra volta.”

 

Buffy tirò fuori una piccola macchina fotografica digitale, aggiustò lo zoom e scattò alcune foto del Maestro e dell’intero cerchio. “Fatto!” Disse, riponendola in una delle numerose tasche. “Xan, non credo che possiamo permetterci di lasciarli proseguire.”

 

“È così grave?”

 

“Al centro del cerchio c’è una statuetta nera,” disse Willow, entrando nella comunicazione, mentre la sua mano sfregava il petto e lo stomaco con maggior vigore di prima. “Pulsa di una brutta luce verdognola. Sembra la rappresentazione di una sorta di centauro, solo che dove dovrebbe esserci la parte di cavallo cattivo, c’è quella di un serpente. Non sappiamo cosa stanno facendo, ma non è niente di buono, questo è certo. Vedi se abbiamo dei riscontri nel database.”

 

“Ok, Will. Controllo subito!”

 

Buffy guardò Willow con un sorriso. La strega sembrava molto pallida ma anche estremamente concentrata. Buffy non era contenta che il ritorno di Willow coincidesse con un problema di quell’entità, ma sapeva che non avevano molta scelta a quel punto. “Entriamo in azione?” Chiese con maggiore spensieratezza di quanta non ne provasse in realtà.

 

Willow annuì e le due si avvicinarono fino a trovarsi a una decina di metri dai vampiri riuniti in cerchio, Buffy appena un passo più avanti.

 

I vampiri non si erano ancora accorti della loro presenza, presi dal loro rituale. Una leggera foschia si era alzata da alcuni minuti intorno a loro, dando alla scena un’aria ancora più spettrale.

 

“Dobbiamo fermarli prima che completino il canto,” disse Willow sottovoce, rabbrividendo vistosamente. L’energia che emanava dal rituale la chiamava sempre più forte, risuonando attraverso le sue ferite. La magia nera nel suo corpo e quella del rituale sembravano comunicare tra loro. Willow sentì un senso di nausea crescente sorgere dentro di lei. Una voce nel profondo della sua mente le diceva di liberare la sua magia, di far vedere loro cosa fosse il potere, di dare sfogo al suo odio per i vampiri e distruggerli, facendoli soffrire mille volte di più di quanto avesse sofferto lei.

 

Willow scacciò quella voce dalla sua mente. Doveva rimanere concentrata sul problema. La vendetta poteva aspettare. Per un po’.

 

Buffy era pronta a gettarsi all’attaccò. Il sangue iniziò a scorrerle nelle vene con la forza di un fiume in piena, ma sentì una mano trattenerla per una spalla. “Ti spiace se faccio io gli onori di casa, per questa volta?” Chiese Willow con un lieve sorriso tirato.

 

Per un attimo Buffy guardò titubante il sorriso appena accennato sul volto della rossa. “No, figurati!” Le disse ricambiando il sorriso. Era molto curiosa di vedere quali fossero le sue intenzioni.

 

Willow si sfilò lo shotgun dalla cintura, dove lo aveva riposto appena entrata nel cimitero, ed armò il doppio cane. Buffy stava per dirle che forse era troppo lontana per sparare con precisione con quell’arma, ma si bloccò vedendo che Willow aveva puntato con decisione le canne verso l’alto. La sua curiosità accrebbe di un’altra tacca.

 

Willow fece scattare la molla che nascondeva il paletto all’estremità del suo bastone e lo piantò nel terreno di fronte a sé. Alzò la mano libera verso il cielo e mormorò alcune parole in latino, mentre tirava il grilletto del fucile. I due colpi risuonarono come boati nella quiete quasi totale del cimitero.

 

I vampiri smisero di colpo il loro canto, ora consci della presenza delle due. Il Maestro fece un gesto e due vampiri si staccarono dal cerchio per andare loro incontro.

 

“Continuate!” Sbraitò agli altri vampiri del suo clan, che subito ripresero a salmodiare dietro a lui.

 

La strega stava ferma nel trench di pelle di due taglie più largo che era appartenuto a Spike, il fucile in una mano con le canne ancora fumanti. L’altro braccio era teso verso l’alto. Sembrava lo sceriffo di un western di John Ford, una figura esile e coraggiosa, che si stagliava contro i cattivi a rischio della vita.

 

Devo smettere di guardare quei vecchi film, si disse Buffy.

 

I pallini di legno eruttati dal fucile rimasero sospesi a pochi centimetri dalle dita protese della strega, come uno sciame di mortali moscerini, pronti al suo comando.

 

Buffy guardava Willow con occhi colmi di ammirazione e preoccupazione al contempo. Cercò di immaginare il potere e la concentrazione necessari per mantenere quella stasi. Vide i due vampiri avanzare e si preparò a distruggerli, ma prima che potesse fare una mossa, Willow puntò il braccio verso i loro assalitori. Lo sciame di pallini si precipitò addosso ai due vampiri con una forza e una velocità devastanti, lacerando le tuniche e le carni, facendo a brandelli tutto ciò che incontravano sulla loro strada. Alcuni dei piccoli proiettili trovarono la loro via al cuore dei non-morti, trasformandoli in polvere.

 

“Bel trucco, Will!”Disse Buffy, ammirata.

 

“Mi spiace ma non posso insegnartelo,” le rispose con una smorfia di amaro divertimento Willow, mentre riprendeva fiato.

 

“Nah, non mi interessa. Ho i miei metodi, lo sai. Meno spettacolari, ma più diretti. Proprio come piace a me!”

 

Buffy alzò la pistola che teneva in mano e prese la mira verso la schiena di uno dei vampiri in cerchio. Le tuniche larghe e svolazzanti non le permettevano di vedere con precisione le schiene dei vampiri e, di conseguenza, il punto dove si trovava il cuore. Sparò due colpi in rapida successione. Poi un terzo.

 

Non le andava di rischiare di mancare il bersaglio.

 

I primi due colpi contorsero il vampiro con il loro impatto, ma non raggiunsero il cuore. L’incantesimo di benedizione sui proiettili bruciò le carni del vampiro. Il suo grido di dolore squarciò la notte, ma fu di breve durata. Il terzo colpo arrivò a bersaglio e un buco si aprì nel cerchio dei vampiri, mentre il non-morto diventava polvere.

 

Il Maestro urlò di frustrazione, mentre un altro vampiro faceva la stessa fine degli altri tre. “Distruggetele!” ordinò. Subito quasi tutti i vampiri si staccarono dal cerchio e le attaccarono. Soltanto in cinque, compreso il Maestro, rimasero a salmodiare il rituale. “Concentratevi di più,” ordinò Xavier agli altri quattro rimasti con lui. Il canto riprese e la pulsazione verdastra si intensificò.

 

Ora Buffy e Willow erano certe di aver ottenuto la loro completa attenzione.

 

Buffy ne distrusse altri due con la pistola prima di avere il caricatore vuoto. Maledisse le tuniche che le impedivano di prendere la mira con precisione e di capitalizzare i colpi. Che fine avevano fatto i vestiti di pelle attillati? Rimise via la pistola nel fodero e si preparò al corpo a corpo, sapendo di non avere il tempo di prendere l’altra o di ricaricare. Le si buttarono addosso in cinque.

Capitolo IX: Ritorno in prima linea III

 

Heinz aspettava pazientemente seduto a gambe incrociate sul tetto del mausoleo che arrivasse il momento in cui avrebbe potuto sbarazzarsi del suo baby-sitter. I suoi occhi erano chiusi, ma tutti gli altri sensi erano all’erta. Sentiva il suo compagno muoversi per il tetto, teso e vigile, i suoi passi risuonare attorno a lui con crescente irritazione. Era nervoso. Meglio.

 

D’un tratto degli spari risuonarono per il cimitero come due colpi di cannone. Heinz aprì gli occhi e vide l’altro vampiro sporgersi dal parapetto e guardare in direzione della parte vecchia del cimitero, dove il Maestro e il resto del clan stavano eseguendo il rituale.

 

Con uno scatto improvviso si mise in piedi e tirò fuori un paletto che teneva nascosto sotto la tunica. Si portò alle spalle del vampiro intento a scrutare l’orizzonte.

 

L’altro vampiro percepì distrattamente la sua presenza. Non sospettava minimamente le sue intenzioni.

 

“Viene dalla zona dove si trova il Maestro. Cosa facciamo Hei…nzzzz…”

 

Sentire il suo nome pronunciato da un suo compagno che diveniva una pila di polvere sul parapetto diede ad Heinz un sottile piacere.

 

 

 

Julius se ne stava pigramente appoggiato contro la parete di una cripta, perso nei suoi pensieri. Aveva disposto il perimetro di guardia in modo che coprisse una vasta area del cimitero e già pensava che forse il Maestro era ormai troppo vecchio, fuori moda e paranoico per rimanere alla guida del clan.

 

Julius si stava annoiando. Era un tipo tutta azione lui. Non temeva nessuno, tanto meno una ragazza, superpoteri o non superpoteri. La cacciatrice non si era fatta vedere e quasi gli dispiaceva. Avrebbe almeno movimentato un po’ la serata. Stare così, in attesa del nulla, non era degno di un predatore come lui. Forse, dopo il rituale, il Maestro gli avrebbe permesso di dare la caccia alla loro nemesi.

 

Sbuffò e scalciò una piccola pietra che si trovava ai suoi piedi. Aveva ragione quello stupido vigliacco di Heinz. Loro erano il clan più forte di tutto il mondo dei non-morti. Solo uno stupido si sarebbe messo contro di loro. Heinz. Gli aveva promesso grande gloria. Forse sarebbe stato proprio lui a sbarazzarsi di quella- com’era il nome?- Bumpy Suffers? Che nome ridicolo per una che dichiarava di essere l’anatema della sua specie e aveva distrutto persino Kakistos. Chissà quale trucco aveva usato. Be’ con lui non avrebbe funzionato.

 

Julius vide una delle guardie che avevano il compito di vigilare su Heinz venire verso di lui. Si raddrizzò e chiese come mai avesse abbandonato il suo posto.

 

“Che diavolo ci fai qui?” Chiese con durezza. “Il tuo compito è di proteggere Heinz!”

 

Il vampiro si fermò di fronte a lui. “La cacciatrice è arrivata,” disse il vampiro. “Heinz ti manda a dire…” continuò, ma fu subito interrotto dal rumore distinto di due colpi di fucile.

 

“Merda!” Sibilò Julius, gettando da parte l’altro vampiro e incamminandosi verso la parte vecchia del cimitero. “Lancia il segnale! Tutti dal Maestro!” Ordinò da sopra la spalla, il suo passo che si faceva sempre più svelto.

 

 

 

Buffy non ebbe quasi il tempo di accorgersi di quello che stava accadendo che già si trovò nel mezzo della battaglia. Si abbassò schivando un potente pugno giusto in tempo. La sua reazione fu fulminea, mentre il suo io cosciente passava in secondo piano e la Cacciatrice con dieci anni di esperienza subentrava alla ragazza di ventisei anni con una passione esagerata per i vestiti nuovi. Si mosse con velocità e accuratezza, cercando di arrecare il maggior danno possibile con il minor numero di colpi.

 

Calcio rotante basso ad uno, per fargli perdere l’equilibrio; parata del calcio di un altro; serie di ganci al terzo; calcio frontale al quarto; estrazione dei paletti dai ganci del giubbotto e il quinto era già polvere. Così mi piace! Si disse, mentre l’eccitazione della battaglia si impossessava di lei. Loro attaccano e io sono l’unica a rimanere in piedi.

 

Willow nel frattempo aveva il suo daffare. I vampiri avevano scelto un approccio più prudente nei suoi confronti, accorgendosi forse che era una strega. Sembravano timorosi su come affrontarla, come se avessero una sorta di timore reverenziale verso la magia. L’avevano circondata ma aspettavano ad attaccarla.

 

Willow sentì una maschera di indifferenza calarle sul volto. Le pareva che tutto ciò che la circondava non fosse reale, che tutto si muovesse con una strana lentezza sfocata, come se tutta la scena si svolgesse sott’acqua. Persino il prurito insistente che le torturava le cicatrici sembrava non essere più così fastidioso come fino a pochi minuti fa.

 

Prima del suo ‘incidente’ con Rack e Spike aveva sempre avuto paura di fronte alle creature della notte. Non un terrore paralizzante, ma quel tipo di paura che ti fa restare vivo, che ti dice quando è il momento di scappare e quando invece è meglio combattere. Ora, invece, sebbene la sua mente fosse freneticamente al lavoro e la sua concentrazione fosse al massimo, l’unico pensiero nella sua mente era distruggere i vampiri, o morire tentando. La fuga non era più un’opzione accettabile. Il suo sguardo era vagamente fisso e nel suo cuore non c’era la minima traccia di paura. Se fosse stata sola, vincere o perdere questa battaglia non avrebbe avuto molto significato per lei.

 

Ma Buffy era lì ed era la cacciatrice. La cacciatrice doveva rimanere viva. Questa più di qualsiasi altra, perché questa era Buffy ed era la sua migliore amica. Parte della sua famiglia.

 

Lanciò il fucile in faccia ad uno dei vampiri che avanzavano timidamente verso di lei, per provocarlo e guadagnare tempo prezioso. Mentre il vampiro si riprendeva dal momentaneo sconcerto, Willow si infilò rapidamente una mano in tasca e ne estrasse una boccetta azzurra.

 

Vedendo che stava per usare la sua magia, i vampiri le si lanciarono addosso. Willow aprì velocemente la boccetta e ne lanciò il contenuto in aria attorno a sé. Il potere liberato la investì, saturandole le vene e le ossa, facendola sentire forte. Evocherò un lampo di luce per prendere tempo, si disse.

 

<Dimostra loro il tuo potere! Disse una voce dentro di lei. Fa che temano la strega rossa e siano terrorizzati dalla strega nera! Uccidili lentamente! Strappa loro la pelle e mutilali, finché non ti scongiureranno un paletto nel petto come atto di pietà! Una pietà che gli negherai!>

 

Che diavolo sto pensando? Concentrati Will! Non è il momento di fantasticare scene splatter nel ruolo di torturatore di vampiri. Quelle sono cose da farsi a letto con una bella ragazza. Be’, casomai senza mutilare, scorticare, uccidere e così via. Impalare, invece, con il giusto giocattolo…Stop,Willow!

 

Willow scacciò quei pensieri dalla mente chiedendosi come mai stesse pensando al sesso in un momento come quello. Quasi fossi io il vampiro!

 

In un baleno, senza perdere altro tempo, iniziò a recitare l’incantesimo. “Prego la forza del tornado di proteggermi.”

 

Subito un vento di incredibile potenza si alzò attorno a lei, impedendo ai vampiri di avanzare di un solo passo e costringendoli a ripararsi il volto e il petto dai detriti che vorticavano all’impazzata. Fu come se Willow si trovasse nell’occhio di un ciclone per alcuni istanti. Tutto era spazzato dal vento attorno a lei nel raggio di dieci metri, ma nell’esatto punto dove lei si trovava, la quiete era assoluta.

 

Il vento intensificò, gettando i vampiri a terra, alcuni passi più in là e disperdendo completamente la foschia. Non appena l’incantesimo si fu esaurito, la foschia tornò a riformarsi attorno ai suoi piedi, velocemente come si era dispersa.

 

Che diavolo è successo? Come ho fatto ha richiamare un elementare con quella pozione? Non era quello l’incantesimo che volevo fare! Anche se ha funzionato molto bene.

 

Willow mise da parte quei pensieri per un momento migliore e tornò a concentrarsi sui suoi opponenti.

 

Uno dei vampiri, più lesto degli altri a rialzarsi, le si gettò contro. Con un fluido movimento, Wilow estrasse il bastone che era piantato a terra di fronte a sé e, ruotando sulla gamba sana per evitare l’assalto, sfruttò il peso del suo opponente contro di lui. Il vampiro si ritrovò sbilanciato. Willow  gli piantò la punta di legno del bastone nella schiena e lo polverizzò prima che potesse riprendersi.

 

Viva l’Aikido! Esultò. Pat, ti devo una cena.

 

La sua mano tornò ad immergersi nella tasca del trench. La forma e il colore di ciò che cercava si materializzarono nella sua mente. Estrasse un’altra boccetta, gialla questa volta.

 

<Non così. Fai vedere loro il vero potere! Ricorda ciò che ti hanno fatto! Ricorda la caverna!>

 

No! Non voglio pensare alla caverna! E quel potere non mi interessa! La strega nera non esiste più! Mai più!

 

Willow scacciò quella voce che la incitava a tornare ad un passato che aveva giurato di non percorrere mai più. Vide un altro vampiro che le si stava gettando contro; quando le fu a tre metri circa, gettò la boccetta a terra e lo indicò con una mano mentre l’altra, che teneva ancora il bastone, indicò la quercia disseccata che si stagliava solitaria sulla collina da cui erano discese, alle sue spalle. Le sue braccia tese formavano un’asse perfettamente diritto tra il vampiro e l’albero. La giacca troppo grande sul suo esile corpo le dava l’aria dell’apprendista stregone del film di Walt Disney. “Ianua Ianualis aperio claudoque,” pronunciò in un veloce soffio.

 

Una luce, di due metri di altezza per uno e mezzo di larghezza, apparve tra le sue dita protese e il vampiro, che vi entrò sotto la forza del suo stesso slanciò. Un secondo dopo la luce era scomparsa e il vampiro riapparve a mezz’aria vicino alla quercia-Baba Yaga. Lo stesso slancio che l’aveva fatto entrare nella luce lo spinse ad impalarsi contro i possenti rami morti dell’albero.

 

Non era un incantesimo di teletrasporto. Le avrebbe richiesto troppa energia, che non poteva permettersi di sprecare in battaglia. Aveva semplicemente aperto una porta in un punto e l’aveva richiusa in un altro. Il vampiro aveva fatto il resto.

 

Funzionano ancora benissimo, si disse soddisfatta. Anche se non capisco ancora perché sto usando degli incantesimi così complessi, invece di qualcosa di più diretto.

 

Willow non vide il non-morto divenire polvere. Era concentrata contro gli opponenti che aveva di fronte, che ora si erano fermati, spaventati dalla sua esibizione di potere.

Non siete più tanto pronti ad attaccare, eh?

 

Sfruttò lo stallo per vedere come se la stava cavando Buffy. La vide alle prese con tre vampiri. Il Maestro e gli altri quattro avevano quasi terminato il rituale. Poteva sentirlo lungo la spina dorsale e nello stomaco, darle quasi dei conati, dirle di impadronirsi di quel potere e usarlo a suo piacimento per distruggere i suoi nemici. Rifiutò di cedere a quella lusinga, seppure a fatica.

 

Si passò una mano sulla fronte per asciugarsi un copioso velo di sudore. “Buffy!” Chiamò, senza perdere di vista i suoi nemici. “Ferma il rituale. Ora!”

 

 

 

Buffy vide con la coda dell’occhio, mentre combatteva, altri vampiri provenire da diverse direzioni, probabilmente attirati dagli spari. Dovevano essere le altre sentinelle sparse per il cimitero. Non aveva tempo di vedere come se la stava cavando Willow e sperò che riuscisse a difendersi da sola. I primi due erano stati facili. Praticamente dei novellini, dal suo punto di vista. Gli altri tre erano tosti ed esperti nell’arte del combattimento. Inoltre, invece di attaccare per ucciderla, si limitavano a tenerla occupata in modo da tenerla lontana dal punto dell’invocazione e da Willow. I loro attacchi ripetuti facevano sì che non potesse prendere l’altra pistola, né sfoderare la daga.

 

Ad un tratto udì Willow che le diceva di fermare il rituale con un’urgente nota di panico nella voce.

 

“Sono un po’occupata qui, Will.,” rispose parando un altro attacco.

 

“Capito,” le arrivo la risposta. “Aspetta.”

 

Ma Buffy, senza aspettare, pensò che forse era il caso di usare il piano per le situazioni disperate. “Xander!” chiamò nel microfono, mentre parava un colpo e lo restituiva. “Omega uno!”

 

 

 

Xander ascoltava i rumori della battaglia provenire dagli altoparlanti fissati agli angoli del furgone. Non gli piaceva starsene lì senza poter fare niente. Non era un uomo d’azione, ma non mancava di coraggio. E il fatto di non poter aiutare le sue amiche, la sua famiglia, nel corso della battaglia, lo frustrava enormemente.

 

Aveva lanciato la ricerca nel loro database, ma ancora non aveva ricevuto risposta. Sperava che il computer si sbrigasse e di poter dare loro delle preziose informazioni per fermare il rituale.

 

Ascoltò Buffy grugnire mentre colpiva o parava i colpi e la voce di Willow recitare sconnesse frasi in latino. Almeno a lui parevano sconnesse. Il latino gli ricordava sempre il liceo. Tempi difficili e felici, si ripetè.

 

Ad un tratto la voce di Buffy diede l’ordine per una strategia che raramente usavano. “Xander! Omega uno!”

 

Dapprincipio fu tentato di chiedere conferma. L’Omega uno era una tattica che usavano così raramente che si chiese se davvero la Cacciatrice aveva pronunciato quelle due parole.

 

Poi si riscosse. Se Buffy aveva richiesto l’uso di quella tattica voleva dire che le cose non andavano per il meglio. L’Omega uno era un protocollo semplice. Significava: ‘vieni a tutta birra, ultravioletti a massima potenza.’

 

Xander si spostò al posto di guida e avviò il motore. Senza alcun ripensamento abbattè il cancello di entrata del cimitero con il paraurti rinforzato del furgone e iniziò la sua corsa serpeggiante per i viali. In cinque minuti sarebbe stato là. Pregò che resistessero tanto.  Soprattutto Willow. Non era più abituata.Era la sua migliore amica da tutta la vita.

 

Un’ondata di disperazione lo assalì, al pensiero che qualcosa di brutto potesse accaderle nei pochi minuti che gli erano necessari per arrivare al luogo dove lei e Buffy si trovavano. Pigiò sull’acceleratore con rabbia e indirizzò il furgone che scodava ad ogni curva lungo i viali del cimitero.

 

Svoltò bruscamente a destra, lungo un sentiero e imprecò ad alta voce quando gli pneumatici slittarono sulla ghiaia e il furgone sembrò non volersi muovere per lunghi attimi.

 

Quando finalmente la marcia tornò regolare, Xander schiacciò l’acceleratore con ancora più rabbia, cercando contemporaneamente di concentrarsi sui suoni e le voci che gli arrivavano dagli altoparlanti.

 

L’urlo di Buffy, un alto e incredulo ‘Oh no!’ gli gelò il sangue nelle vene.

 

 

 

Willow ascoltò Buffy dare l’ordine operativo attraverso la cuffia. Pensò che Xander ci avrebbe messo almeno cinque minuti ad arrivare. Loro potevano non avere cinque minuti, se non fermavano il rituale subito. Si frugò nuovamente nelle tasche ed estrasse due boccette, una verde scuro ed una rossa. Lanciò quella rossa verso dove stava Buffy e quella verde scuro ai suoi piedi. Approfittò della confusione dei suoi opponenti per recitare il primo incantesimo.

 

Alzò un braccio in direzione del luogo dove era caduta la boccetta rossa, conscia del fatto che sia lei che i suoi opponenti erano troppo lontani per essere minacciati dal fuoco che l’incantesimo avrebbe originato: “Prometei, ductori sacri foci, audi me! Flammae purificationis, vivete. Malum devorate! Malum devorate! Malum devorate!” Disse, la sua voce che cresceva d’intensità ad ogni sillaba pronunciata.

 

La boccetta rossa sibilò ed esplose. Le fiamme che si originarono si diressero verso i tre vampiri e li assalirono, come animate di vita propria. In brevissimo tempo i non-morti erano in terra, avvolti dalle fiamme mistiche, urlando per il dolore.

 

“Buffy! Ora! Vai!” urlò Willow, senza perdere la calma. “Fermali!”

 

 

 

Buffy vide una boccetta rossa volare e atterrare a pochi passi da sé e dai vampiri che stava combattendo. Subito dopo l’aria si riempì di fiamme che sembravano possedere una loro volontà e che attaccarono i suoi opponenti.

 

Buffy non stette a pensarci su. Si voltò un attimo verso Willow e la vide ferma in mezzo al cerchio dei suoi opponenti. Per un attimo sentì l’impulso di andare a combattere al suo fianco e di proteggerla. Registrò lo sguardo spento di Willow e il cuore le si chiuse in una morsa di tristezza. Fu grata che comunque non vi fossero tracce di magia nera nei suoi occhi. Per il resto Willow sembrava molto sicura delle sue azioni e il rituale doveva essere fermato. O non ci sarebbe stato più nulla e nessuno da proteggere.

 

“Buffy! Ora! Vai! Fermali!” La spronò la voce della rossa, come se le avesse letto nel pensiero. “Non pensare a me. Me la caverò!”

 

Senza dare risposta, Buffy si diresse a passo svelto verso il cerchio di vampiri salmodianti, decisa a porre fina alla loro esistenza. L’idea di lasciare Willow a combattere contro tutti quei vampiri non le piaceva affatto, ma se il rituale fosse terminato, il problema di proteggere la sua migliore amica poteva divenire accademico.

 

Si mosse oltre i vampiri che si contorcevano a terra cercando di spegnere le fiamme mistiche, ormai completamente dimentica di loro. Fissò la sua attenzione su quello che era stato il grande cerchio di vampiri ed ora era composto solo da cinque elementi.

 

Estrasse l’altra pistola e fece scattare la sicura.

 

“Su, ragazzi, ora basta. Invocare i demoni è così…demodé, ormai,” disse mentre avanzava, un ghigno derisorio che le piegava gli angoli delle labbra in un mezzo sorriso. Il Maestro e i suoi accoliti ruppero il cerchio per affrontarla.

 

Il sorriso le morì sulle labbra, quando si accorse che la statuetta, che prima pulsava di luce verde, era ora attorniata da un alone crescente di luce dello stesso colore. Il rituale era finito. Era stata troppo lenta.

 

Senza quasi accorgersene emise tutta la sua rabbia e frustrazione in un grido, due parole che dicevano tutto: “Oh no!”

 

 

 

Willow percepì la rabbia e la frustrazione nel grido disperato di Buffy, ma non aveva il tempo di guardare ciò che era successo. Era facile intuire che la situazione fosse molto grave, e anche se l’idea di diventare lo spuntino di mezzanotte dei vampiri che aveva di fronte non la solleticava per niente, quello poteva dimostrarsi a breve il problema minore, stando alla sensazione che sentiva nelle ossa.

 

Quanto odiava i vampiri! Stupidi parassiti del genere umano! Succhiasangue bastardi non diversi da certe specie di funghi saprofiti!

Buffy…

 

Cavalcando il proprio odio e la propria rabbia, richiamò quanta più energia le riuscì e la trasferì nel bastone che teneva in mano. Lo piantò nuovamente in terra con un’espressione truce in volto e, prima che i vampiri potessero anche solo immaginare le sue intenzioni, recitò; “Madre Terra, ascolta questa tua figlia indegna. Imprigiona i nemici di chi lotta nel tuo nome, affinché non subiscano alcun male. Distruggi i demoni che li circondano, sgombra il loro cammino.” Sentì il potere salirle alle mani lungo il bastone, dolce e rassicurante come una carezza materna. Era come se le dicesse di non temere alcun male.

 

Alla prima invocazione, sembrò non accadere niente. Dall’esterno la situazione sembrava esattamente la stessa. Una ragazza sui ventisei-ventissette anni, esile e pallida, dall’aria stanca e lo sguardo spento, segnato da borse scure sotto gli occhi, accerchiata da quattro-cinque vampiri pronti a dissanguarla. Sembrava non esserci speranza. Ma i vampiri non si muovevano,come in attesa di capire cosa li avrebbe assaliti stavolta.

 

Willow recitò la formula per la seconda volta, con ancora più astio: “Madre Terra, ascolta questa tua figlia indegna. Imprigiona i nemici di chi lotta nel tuo nome, affinché non subiscano alcun male. Distruggi i demoni che li circondano, sgombra il loro cammino.” Willow sentì l’ondata di potere rafforzarsi, passare dalle sue mani su fino alle sue spalle e giù, fin dentro il suo cuore.

 

Vide Buffy girarsi verso di lei indecisa sul da farsi e la spronò con un gesto del capo a fermare il rituale, mentre, finalmente, uno dei vampiri si accorse di cosa stava accadendo.

 

“E’ un incantesimo maggiore” sbraitò il vampiro. “Deve recitarlo tre volte perché abbia effetto.”

 

Gli altri vampiri sembrarono risvegliarsi da un torpore paralizzante. “Tre volte” ripeté il più sveglio e fece per gettarlesi addosso.

 

Ma ormai era troppo tardi. Willow stava già recitando l’incantesimo per la terza volta. “Madre Terra, ascolta questa tua figlia indegna.” Una mano dalla forza soprannaturale la prese per il bavero della giacca e la trascinò lontano dal bastone piantato a terra.

 

Willow non lasciò che il gesto la distraesse, per quanto la forza dell’urto le avesse mozzato parzialmente il fiato e la gamba fosse tornata a farle male con una furia vendicativa. “Imprigiona i nemici di chi lotta nel tuo nome, affinché non subiscano alcun male.”

 

La voce le uscì debole e strozzata, ma sapeva che il contatto con il bastone non era più necessario. Sentiva l’energia affluire verso di lei dal bastone e ritornarvi, in un feed-back dolce, eppure potente.

 

Si disse che morire non era poi questa gran cosa. Ma non avrebbe mai concesso ad un vampiro la soddisfazione di mostrarsi spaventata. Piantò i suoi magnifici occhi verdi, resi più scuri dalla rabbia, dritto negli occhi gialli del vampiro, senza nessuna paura, sorridendo sardonicamente. Un sorriso che si fermava alle labbra e non avrebbe mai raggiunto i due smeraldi che la natura le aveva donato.

 

La mano del vampiro tentò di strozzarle le ultime parole in gola. Willow, appellandosi alle ultime energie che sentiva di avere, completò l’incantesimo. “Distruggi i demoni che li circondano, sgombra il loro   cammino.”

 

Appena ebbe terminato, la pelle iniziò a pizzicarle leggermente. La sensazione di calore che aveva provato la circondava ora completamente. Era come una coperta che la proteggeva da un vento impetuoso e freddo. Era l’abbracciò di una madre che ti culla dopo la prima delusione amorosa. Se solo mia madre mi avesse mai abbracciato così, pensò per un istante, cercando di inviare aria ai suoi polmoni attraverso la laringe chiusa nella morsa del vampiro. Perché mi vengono questi pensieri proprio prima di morire?

 

“Ora sei mia strega!” disse il vampiro, chinandosi su di lei per affondare le zanne nel suo collo.

 

Willow non rispose, faticando a respirare sotto quella stretta che le stringeva la gola. Ad un tratto la stretta si allentò abbastanza da farla respirare. Le ci volle un istante per capire cosa stava accadendo. Respirò profondamente.

 

Si sentiva la gola in fiamme. Ma non era ancora la sua ora.

 

Quasi immediatamente delle crepe si aprirono nel terreno, dipartendosi dal bastone e venendo verso di lei. Delle misteriose radici spuntarono dalla foschia che ricopriva il terreno e si aggrovigliarono attorno alle gambe del vampiro intenzionato a banchettare con il suo sangue.

 

Le radici risalirono su per il corpo del non-morto con velocità sorprendente. Nel momento esatto in cui il vampiro era convinto di avere la strega alla sua mercé e che gli rimanesse solo da decidere se spezzarle il collo o cibarsi di lei, si trovò quasi completamente immobilizzato dalle radici.

 

Usare quell’incantesimo era stata una scelta estrema. Non era sicura che avrebbe funzionato, per quanto sentisse nel profondo della sua anima che era la scelta giusta. Non aveva mai fatto un incantesimo del genere, prima. Certo aveva invocato altre volte, negli ultimi tre anni, l’aiuto della Madre Terra, ma mai in modo così generico, senza sapere quali sarebbero stati gli effetti del suo incantesimo. Sapeva solo che era la scelta giusta e che qualcosa sarebbe accaduto. Lo sentiva.

 

Nel fondo della sua mente si chiese perché una così potente entità benefica fosse disposta a proteggerla incondizionatamente, anche quando non chiedeva il suo aiuto per sé. Lei certamente non lo meritava. Nel suo periodo nero aveva comandato, anche alla Dea, senza alcun rimorso. Ora stava supplicando un incantesimo che solo pochi avrebbero osato.

 

Supplicava e la Terra l’ascoltava. Quell’incantesimo era un’ultima risorsa da usarsi in momenti disperati, convinta che non sarebbe mai riuscito. Lo aveva preparato tre anni prima. Quasi aveva dimenticato che la boccetta fosse nel furgone finché non l’aveva vista lì, stasera.

 

Il vampiro la guardava, spaventato. “Cosa hai fatto, maledetta?”

 

Willow sentì per un attimo un sentimento che pensava di non poter avere nei confronti di un non-morto, ma la pietà fece ugualmente breccia nel suo cuore, destandole un po’ di preoccupazione. Non era sano provare pietà per un vampiro. Non era da lei. Ma del resto cosa c’era di sano nella sua vita?

 

“Se non tenterai di farmi del male, non avrai nulla da temere,” riuscì a dire, le parole che le uscivano a fatica dalla gola, mentre cercava di respirare di nuovo con regolarità.

 

Il vampiro parve non ascoltarla. Ripeté la sua domanda, avvicinando le zanne al collo di Willow per dimostrare la validità della sua minaccia. “Cosa hai fatto, maledetta strega?”

 

“Nulla” rispose Willow con voce arrochita e tagliente, l’odio di nuovo presente nella sua voce, misto al sarcasmo. “Ho solo chiesto aiuto alla mia mamma. Non ero sicura che avrebbe risposto. Invece l’ha fatto. Potresti chiamarmi la Figliola Prodiga. L’unica cosa che so è che se provi a farmi del male, morirai.”

 

“Bel tentativo, troietta! L’unica a morire qui sarai tu!” Il vampiro serrò nuovamente la presa attorno al suo fragile collo, abbassandosi ulteriormente verso la sua giugolare, ma prima di poter stringere o di poter affondare le zanne nel suo collo, una delle radici penetrò con inaudita violenza nella sua schiena, rompendo pelle e ossa, scavando nella carne marcia fino a conficcarsi nel suo cuore.

 

Il vampiro divenne polvere prima di accorgersene.

 

Gli altri vampiri, che prima si erano fermati a guardare il loro compagno, convinti di assistere all’esecuzione della strega, ora erano immobili e attoniti. Non capivano come e perché il loro compagno fosse morto.

 

Willow pensò che era il caso di approfittare del loro sbigottimento.

 

Massaggiandosi il collo per attenuare il dolore che le aveva provocato la stretta, avanzò fino a raggiungere il suo bastone ancora piantato in terra e vi poso una mano sopra, senza alcuna intenzione di estrarlo. Fin tanto che il bastone restava infisso nel terreno l’incantesimo avrebbe funzionato. Non doveva fare altro che indurli ad attaccarla.

 

Finalmente potè guardarsi attorno per vedere quale fosse la loro situazione.

 

Tre cose catturarono la sua attenzione: la prima era che Xander non era ancora arrivato, seppure i cinque minuti necessari ad arrivare con il furgone fossero già passati.

 

La seconda era che Buffy stava ora combattendo con i vampiri che erano rimasti a completare il cerchio.

 

Ma era la terza quella che la preoccupava maggiormente. La statuetta era ora attorniata da una luce verdastra poco rassicurante.

 

Willow capì immediatamente che il rituale doveva essere stato portato a termine. Brutta cosa! Non sapendo quale entità fosse stata invocata, dovevano solo aspettare che apparisse prima di decidere in quale modo si potesse distruggerla.

 

Poi le capitò di accorgersi anche di una quarta cosa poco rassicurante. Da diversi punti del cimitero, stavano accorrendo numerosi gruppetti di vampiri. Non più di due o tre per gruppo. Contò almeno sei gruppi. La situazione si mette di bene in meglio, vedo. Una ventina andati ed altrettanti in arrivo. Più un demone, che non sappiamo quanto essere forte. Magnifico! Iniziava ad essere davvero frustrata!

 

Willow decise di dover dare a Buffy tutto il tempo necessario e il modo di prepararsi a ciò che stava per succedere. Doveva concentrare l’attenzione dei vampiri su di sé. Di tutti i vampiri. Doveva sfruttare lo stallo con i suoi diretti opponenti a suo vantaggio e riuscire a distruggerne quanti più poteva in un colpo solo. Doveva essere precisa e usare quanta più forza magica le riusciva di raccogliere. Il che avrebbe significato, dovendo occuparsi di almeno venticinque vampiri, che le sarebbe occorsa una quantità di potere davvero enorme. E che, avendo terminato le boccette con i preparati degli incantesimi maggiori, quell’enorme quantità di potere avrebbe dovuto canalizzarla direttamente dentro di sé. Non che non ne fosse capace. Ma se non fosse riuscita a ucciderli tutti o almeno a farli scappare, non avrebbe avuto la forza di fare un altro incantesimo. Sempre che fosse sopravvissuta allo sforzo. Che fare?

 

Una voce risuonò dentro di lei.

 

<Uccidili. Falli soffrire come hanno fatto soffrire te! Ne hai il potere. Usalo! Sai cosa fare>

 

Guardò brevemente in direzione di Buffy che combatteva faticosamente contro il maestro del clan e si disse che valeva la pena tentare e che forse l’incantesimo che aveva in mente avrebbe funzionato. In fondo chi può essere più puro di chi combatte il male tutte le notti, no?

 

Però prima poteva usare metodi più tradizionali per sfoltire le fila, casomai. Si sfilò i duer paletti dalla cintura e li lanciò in aria. I vampiri alzarono lo sguardo verso il cielo e seguirono l’arco descritto dai due pezzi di legno. Willow sorrise con cattiveria.

 

Idioti come sempre, vedo! Alzò un braccio in direzione dei paletti, che si fermarono un istante nel cielo prima di scendere a velocità folle verso due dei vampiri che l’attorniavano. Uno dei paletti raggiunse il suo bersaglio al cuore, guidato dalla telecinesi della strega. L’altro stava per conseguire lo stesso risultato, ma il suo bersaglio si spostò all’ultimo momento. Il paletto gli si conficcò nel petto ma mancò il cuore. Il vampiro lanciò un urlo di dolore così acuto da sembrare umano.

 

Peccato, si disse Willow. Uno su due. Meglio che niente, però. È ora di passare alla fase due del mio piano di distrazione.

 

“Maledetti succhiasangue bastardi.” Willow sputò in faccia ai vampiri tutto il suo disprezzo. Alzò un braccio verso il cielo e pronunciò con voce chiara: “Lux mundi lacerare tenebras. Veneat sol animis puris resplendere. In corpore replenire eae.” Willow sentì come se l’aria attorno a lei si facesse più sottile e infine si lacerasse, quasi fosse fatta di sottili veli. Un’energia calda e potente sembrò venire da ogni parte del cielo e penetrare nel suo corpo. Poi fu come se il flusso s’invertisse, e l’energia fuoriuscisse da lei rapidamente, ma più concentrata. Non più delicata, ma rabbiosa e implacabile come lei si sentiva.

 

D’improvviso una forte luce iniziò a propagarsi dal suo corpo e nell’aria, costringendo i vampiri che l’accerchiavano a ripararsi gli occhi.

 

Willow vide i vampiri che stavano accorrendo cambiare leggermente direzione e venire direttamente verso di lei, incrementando la loro velocità. In pochi minuti le sarebbero stati addosso. Be’, la luce doveva provenire da Buffy e farli venire verso di me, in realtà. Ma visto che proviene da me e vengono comunque verso di me, chi sono io per lamentarmi? Eppoi si sa che la magia può essere capricciosa, talvolta. Anche se non dovrebbe.

 

Il malfunzionamento del suo incantesimo poteva tornare a suo vantaggio. La seconda ondata di vampiri che stavano arrivando contro di lei non sapeva che l’incantesimo non era un semplice gioco di luci. Se l’incantesimo avesse preso il via dal corpo di Buffy, come era sua intenzione, ci sarebbe stato un accecante lampo di energia distruttiva, come se la cacciatrice fosse divenuta per alcuni istanti il sole stesso. Questo perché Buffy non aveva l’esperienza e il talento magico necessario per gestire un incantesimo come quello. Ma visto che invece il suo mezzo fiasco aveva indirizzato l’incantesimo su di sé, e che lei aveva l’uno e l’altro talento per gestirlo, Willow pensò di modificare leggermente il suo piano d’azione.

 

Chiuse la maggior parte delle energie dentro di sé, limitandosi ad emettere una luce semplicemente fastidiosa. Lo sforzo necessario a reprimere le energie era smisurato, ma doveva attendere l’arrivo degli altri vampiri, prima di dare libero sfogo alla sua rabbia. Ci sarebbero finiti dentro senza neanche sapere cosa li avrebbe uccisi.

 

Ora doveva occuparsi degli opponenti di Buffy. La cacciatrice aveva già eliminato due dei vampiri del cerchio, sparando loro in pieno petto i proiettili benedetti. Uno era stato centrato in pieno nel cuore, trasformandosi subito in polvere. L’altro invece si era contorto sotto i colpi, ma non era stato centrato nel punto vitale e avrebbe potuto riprendersi, con il tempo necessario, se Buffy non l’avesse finito con un paletto.

 

Ora era impegnata con il Maestro stesso e aveva perso anche l’altra pistola. Willow vide Buffy parare un forte colpo del vampiro, che la fece arretrare, impedendole di avvicinarsi alla statuetta pulsante.

 

D’improvviso un sibilo assordante squarciò il relativo silenzio della notte, seguito da un lampo di luce verde, che costrinse la cacciatrice a socchiudere gli occhi. Quando la luce si affievolì e il sibilò fu scomparso, sia lei che Buffy poterono vedere quale era lo scopo dell’invocazione.

 

Un mostruoso, enorme e grottesco demone, metà umanoide e metà serpente, era apparso dove prima era situata la piccola, orrenda statuetta.

 

 

 

Il Maestro si allontanò da Buffy con un movimento fluido, quasi felino. Quando fu a distanza di sicurezza fece un gesto con la mano in direzione del demone che era apparso nel cimitero praticamente dal nulla.

 

“Distruggila,” ordinò all’orrenda creatura, indicando Buffy.

 

Il demone si diresse verso la cacciatrice a velocità sorprendente, vista la sua stazza, e la colpì in pieno petto con forza incredibile, facendola volare molti metri più in là.

 

Buffy pensò per un attimo che la gravità fosse impazzita. Volò in aria incapace di fare alcunché per limitare i danni della caduta. Per un istante, mentre volava via sotto l’impatto del colpo, i suoi occhi incontrarono quelli di Willow. Le parve di vedere lo stupore e la rabbia spegnersi nei suoi occhi, come se un velo le fosse sceso sullo sguardo.

 

Le stelle che luccicano così forte non possono avere lo sguardo di un morto, pensò.

 

Poi tutto divenne nero.

 

Willow sentì il suo battito accelerare all’impazzata quando vide il terrificante volo di Buffy e l’atterraggio tutt’altro che gentile. L’angoscia accrebbe in lei, quando vide i suoi occhi chiudersi nella morsa dell’incoscienza.

 

Ordinò al suo cuore di calmarsi e di riprendere a battere normalmente. Se quel demone era così forte da stendere la cacciatrice con un solo colpo, le cose non si mettevano per il meglio. Sentì la rabbia tornarle in petto in una sorta di pulsazione sorda. Non più un fuoco, ma un ghiaccio bruciante. Fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto, il Maestro non sarebbe sopravvissuto a questo scontro.

 

Rilasciò in ondate sempre più intense l’energia che stava contenendo dentro di sé. I vampiri che l’accerchiavano iniziarono a prendere fuoco uno dietro l’altro, gridando e rotolandosi in terra per il dolore e nel vano tentativo di spegnere le fiamme mistiche.

 

Mano a mano che l’energia lasciava il suo corpo, anche alcuni dei vampiri più vicini tra quelli che stavano accorrendo iniziarono a bruciare. Willow calcolò che almeno una decina erano ormai prossimi a diventare polvere. Quando sentì che il potere si era quasi del tutto dissipato, smise di emetterlo e richiamò quel poco rimasto dentro di sé per mantenere attivo l’incantesimo. Voglio te, si disse guardando l’antico vampiro che aveva scatenato la furia del demone contro la sua migliore amica.

 

Subito il suo corpo smise di emettere luce. Supplicò ogni forza naturale che potesse ascoltarla di darle il potere necessario per il suo proposito. Sperò di avere la forza necessaria a modificare l’incantesimo come voleva. Era una cosa molto rischiosa, ma non le importava sopravvivere, fin tanto che avesse raggiunto il suo scopo e Buffy fosse stata in salvo.

 

<Ma tu puoi avere entrambe le cose. Puoi proteggerla e salvare te stessa. Abbraccia il potere che è tuo di diritto.Senti come ti chiama, come scorre nella profondità del tuo essere. Sarà diverso, stavolta. Con un pensiero la magia si plasmerà come creta nelle tue mani. Non ci sarà dipendenza.>

No! Ci sono altri modi!

 

Ignorando il suo dibattito interno Willow iniziò a pregare. Una preghiera antica, scritta in una lingua non più parlata da più di due millenni, che aveva studiato in uno dei testi che Anya le aveva procurato negli ultimi anni. Un’invocazione alla Natura perché le cedesse parte della sua vitalità. La magia aveva sempre un prezzo, ma Willow era più che disposta a pagarlo.

 

In cambio avrebbe dato una parte della propria energia vitale. Alla fine sarebbe stata completamente prosciugata per almeno un giorno. Se fosse sopravvissuta allo scontro, naturalmente.

 

<Non è necessario che sia così, lo sai. Prendi il potere come prenderesti una delle tue amanti.>

No! L’ho promesso a Dawn. Così deve essere! Non più promesse tradite! Mai più magia nera!

 

Un’immagine che per lei rappresentava il modello della perfezione nell’onorare i precetti della Natura si formò naturalmente nella sua mente. Quell’immagine aveva capelli biondi e occhi azzurri. Un mezzo sorriso che riusciva ad essere timido e sexy allo stesso tempo. Un corpo voluttuoso e matronale, come in un dipinto del cinquecento. Tara.

 

Con quell’immagine nella mente, continuò a pregare, finché non sentì il terreno sotto i suoi piedi, gli alberi, l’erba, ogni fiore e foglia, pietra e radice all’intorno ascoltare la sua supplica, prestarle la loro energia.

 

Alzò un braccio in direzione del Maestro, che guardava soddisfatto la cacciatrice a terra e l’operato del suo demone, si chiese perché la terra fosse disposta a concederle il potere che chiedeva per un incantesimo volto a distruggere. Forse anche la Dea sapeva che questa cacciatrice era necessaria. Mentre il maestro era solo un demone immondo che non meritava di calcare il suolo dove riposavano i corpi di tanta brava gente.

 

La rabbia crepitava dentro di lei come un intero spettacolo di fuochi artificiali alla festa del 4 Luglio. L’energia che aveva nuovamente imprigionato dentro di sé, decuplicata, le scorse attraverso il corpo e andò a concentrarsi sulla punta delle sue dita che iniziarono ad illuminarsi di una luce bianca. Willow rilasciò l’energia accumulata in un unico possente colpo.

 

L’energia bianca si propagò dal palmo della sua mano e si abbatté sull’antico vampiro, colpendolo in pieno petto con la furia distruttiva di un meteorite.

 

Xavier urlò di dolore. Strabuzzò gli occhi in un’espressione di puro stupore. Le sue personali difese magiche abbattute in un istante; abbattute come la marea disfà un castello di sabbia costruito in riva al mare. Il cristallo dell’amuleto di Kulaf esplose, conficcando schegge taglienti nel suo petto. Il ciondolo d’argento in cui l’aveva incastonato si sciolse, liquefacendosi e bruciandogli le carni.

 

Così vicino alla realizzazione dei suoi piani… Così in fretta! Dopo quattrocento anni, ucciso da una stupida, piccola strega…Mentre diventava polvere, ripensò alle parole di Heinz, prima che uscissero dalla caverna, quando pareva che solo la gloria li attendesse: La tua magia è più forte della sua, Maestro. La strega non pratica più la magia nera. Non vale niente…

 

Pochi istanti dopo, dove era stato il maestro vampiro, c’era solo cenere che volava nell’aria. E un cratere fumante, profondo almeno un metro.

 

Willow sentì la furia smorzarsi nel suo petto, sostituita da un incredibile senso di stanchezza che rischiava di sopraffarla.

 

Riabbassò lentamente il braccio tremante e lo appoggiò pesantemente al bastone. Avrebbe voluto correre da Buffy, vedere come stava, accertarsi che fosse solo svenuta, ma doveva occuparsi dei vampiri che erano accorsi e ora la circondavano. Aveva poco tempo, prima di dover pagare la sua parte del patto con la natura.

 

Pensò brevemente di costringerli ad attaccarla, in modo da lasciare che fosse l’incantesimo ancora attivo nel suolo attorno a sé a fare il lavoro. Si sentiva sfinita e forse non era in grado di lanciare un altro incantesimo. Forse poteva modificare quello difensivo tramite la sua volontà, ma non era certa di riuscirci.

 

Era già molto che fosse riuscita a sopravvivere a quello che aveva distrutto l’antico vampiro.

 

Le gambe le tremavano, rifiutandosi di sostenere il suo seppur scarso peso ancora a lungo.

 

Mentre ponderava velocemente queste possibilità nella sua mente, accadde l’impensabile. Il demone, che era stato sotto il controllo del maestro vampiro, libero dal legame di servitù, iniziò ad attaccare tutto ciò che gli si muoveva intorno. Con forza incredibile distrusse i due vampiri a lui vicini decapitandoli con la forza delle braccia. Poi si volto e avanzò verso Willow e i suoi opponenti.

 

Willow realizzò subito che l’incantesimo protettivo non sarebbe bastato per quella cosa mostruosa che strisciava velocemente con la grazia di un possente, gigantesco cobra.

 

Si concentrò per modificare il suo incantesimo protettivo in uno di attacco, sperando di avere ancora tempo e che le forze non la tradissero proprio ora. Se Buffy non fosse stata ancora svenuta, non ci avrebbe neanche provato, avvenisse quel che doveva avvenire. In preda alla disperazione, chiese alla Madre Terra di abbattere i suoi nemici, di cercarli e di distruggerli, affinché i giusti non corressero alcun pericolo. Era una semplice preghiera nata dalla paura per Buffy e per chiunque altro potesse trovarsi in pericolo a causa di quel demone e di quei maledetti vampiri che lo avevano richiamato.

 

Non si accorse di non aver pronunciato alcuna formula.

 

<Brava, così! Plasma il potere!> Disse una voce nella sua testa.

 

Willow sentì la magia sorgere ancora una volta attraverso il suo corpo. Senza pensare, la liberò. In testa aveva un unico pensiero: allontanare ogni pericolo da Buffy.

 

Un vento fortissimo si alzò all’improvviso d’intorno sollevando pezzi di legno e staccando rami secchi dagli alberi. I paletti improvvisati spazzarono il campo intorno a lei, falcidiando i suoi opponenti. Le misteriose radici che avevano distrutto il vampiro che aveva tentato di morderla fuoriuscirono dal terreno, correndo verso i suoi compagni e il demone come animati da una volontà propria. I non-morti furono sterminati con precisione chirurgica, ridotti in polvere in pochi secondi. Quando tutti i non-morti furono distrutti, il vento si placò e la calma tornò nel cimitero.

 

Le radici tornarono nel terreno e l’unico segno del potente incantesimo era la terra appena smossa all’intorno.

 

Gli unici due in piedi erano Willow e il demone, pronti a fronteggiarsi a pochi metri di distanza l’uno dall’altro.

 

Il vento improvviso aveva stordito il demone, che ora appariva più guardingo, ma non era certo bastato a sconfiggerlo.

 

Willow si sentiva esausta fisicamente e non sapeva quanta energia avrebbe potuto ancora richiamare. Moriva dalla voglia di andare a controllare come stesse Buffy. Pregò la Dea che fosse ancora viva, che l’incantesimo protettivo fosse sufficiente, o avrebbe scatenato un inferno che quello da cui proveniva il demone sarebbe sembrato un luogo di villeggiatura.

 

Con la coda dell’occhio la vide iniziare ad agitarsi per riprendere conoscenza e tirò un sospiro di sollievo.

 

D’un tratto il demone sembrò disinteressarsi di lei ed iniziò a strisciare verso il punto in cui Buffy giaceva, attirato dai suoi gemiti di dolore mentre riprendeva conoscenza..

 

Quando Willow vide il demone volgersi nella sua direzione sentì il terrore impadronirsi di lei. Buffy non sarebbe mai riuscita a riprendersi in tempo da fronteggiarlo.

 

Ad un tratto, alle sue spalle arrivò il rumore assordante di un clacson.

 

Willow cercò di approfittare dell’arrivo della cavalleria, mentre un’idea le si faceva largo in testa. “Xan, avvicinati e punta i fari sul demone,” ansimò nel microfono.

 

Xandetr fermò il furgone a pochi metri da Willow, si affrettò alla consolle delle luci e diresse tutti i fari ultravioletti sul davanti del furgone contro il demone, attirandone l’attenzione e intercettandone il percorso verso la Cacciatrice.

 

Willow pensò di provare a metterci del suo. Sapeva di non avere abbastanza forza per lanciare un incantesimo serio contro il demone. Era troppo sfinita. Ma forse poteva bluffare. Le venne alla mente un’antica malia scritta su una delle tavolette ritrovate ad Ebla. Non era un incantesimo che normalmente avrebbe fatto scappare un demone forte come quello, ma forse poteva riuscire.

 

Iniziò a cantilenare in una lingua antica. Il canto si fece mano a mano più spedito, fino a che dal suo corpo non emanò una luce dorata, del tutto simile a quella del sole. A prima vista poteva sembrare che stesse utilizzando lo stesso incantesimo usato in precedenza, ma Willow conosceva bene la differenza. Una differenza che poteva risultare mortale per lei e Buffy. Speriamo che se la beva!

 

Convogliò l’energia nelle sue mani e alzò le braccia verso il demone indirizzando l’energia verso di lui. “Non toccarla!” Intimò, mentre gli scagliava addosso l’incantesimo.

 

Il demone per un attimo parve titubante come se non sapesse cosa fare. La sua incertezza bastò perché venisse investito in pieno dalla luce che si sprigionava dalle mani di Willow. Un urlo animalesco provenne dalla bocca irta di zanne del demone. Frustrato per non poter raggiungere la sua preda, si voltò e fuggì, sparendo alla vista con una velocità incredibile per un essere così grosso.

 

La luce che si era propagata dal corpo di Willow si attenuò e sparì così come era apparsa. Willow crollò in ginocchio, esausta, le mani avvinghiate al bastone per sostenersi almeno un po’; le sue iridi per alcuni attimi si dilatarono come quando usava la magia nera, sfocandole la vista in una serie di ombre e contorni indefiniti. Uno spesso strato di sudore le imperlò la fronte e la schiena e un rivolo di sangue le scese copioso da una narice. Il respiro che le usciva dalla bocca in rantoli faticosi. Sentì un dolore acuto salirle dal ginocchio destro. L’incantesimo di guarigione si era esaurito chissà quando ed ora non era certamente in grado di farne un altro. Si asciugò il sangue con la manica del trench, mentre la sua vista tornava normale. Poi venne il momento di rispettare il patto. Una parte della sua energia vitale iniziò a defluire da lei, rendendola ancora più sfinita. Iniziò a tremare in modo incontrollato.

 

Xander spense i fari ed uscì immediatamente dal furgone, le pistole spianate. Dopo essersi assicurato che non ci fossero pericoli ed aver visto Buffy rimettersi in piedi, si affrettò al fianco della sua migliore amica.

 

“Come stai, Will?” Le chiese, mentre l’aiutava a rimettersi in piedi.

 

“Sfi-sfinita,” rispose la rossa in un rantolo, mentre inghiottiva ossigeno a lunghe sorsate. La voce le era uscita come se fosse anni che non parlava.

 

Buffy, appena si fu rialzata, le fu subito al fianco, dall’altra parte, una mano stretta al petto, una smorfia di dolore trattenuto in viso per le costole incrinate. “Will!”

 

“S-sto b-bene. Anche se sono a pezzi e ho preso una botta sulla gamba destra che mi fa un male tremendo,” mentì per giustificare il dolore alla gamba che, una volta in piedi, sarebbe stato evidente.

 

“Stai tremando, Will. Vieni. Appoggiati a me,” le disse Buffy, sollevandola da terra e sostenendola contro di sé. Poi rivolgendosi a Xander. “Metti in moto. Voglio essere fuori di qui il più presto possibile. Willow deve andare a casa. Subito! E anche noi. Per stasera abbiamo chiuso.”

 

“Vado,” disse Xander lanciando uno sguardo preoccupato in direzione di Willow che tremava violentemente e cercava di riprendere fiato per parlare.

 

“Buff, s-sto bene. M-Mi serve s-solo un po’ d-di t-tempo per riprendere fiato,” disse Willow con voce appena più ferma.

 

“No, non stai bene. Non discutere con me, Will,” disse Buffy, assumendo il suo tono da comandante sul campo.

 

“A-Agli ordini,” cedette Willow con un piccolo sorriso. Le era grata per la sua preoccupazione anche se non pensava di meritarla.

 

Xander annuì e corse al posto di guida del furgone mentre le ragazze entravano dal portellone laterale. Buffy, aiutò Willow a salire, attenta che tenesse il peso contro di lei. “Che fine hanno fatto tutti i partecipanti alla festa, Will?” Le chiese curiosa, una volta che il portellone si fu richiuso alle loro spalle. Prese una coperta da uno degli scomparti e gliela avvolse attorno.

 

Willow le sorrise grata, cercando di reprimere con scarso successo una serie di brividi. Si sedette su una delle sedie di fronte alla consolle. “Il demone è scappato. Alcuni dei vampiri lo hanno imitato. Altri non sono stati così fortunati,” disse Willow con voce sfinita e un sorriso molto tirato. “Certo che il mio secondo battesimo del fuoco non me lo aspettavo così movimentato.”

 

Il furgone iniziò a muoversi verso l’uscita. Buffy, seduta di fianco a Willow, notò il volto cupo di Xander che guidava per i vialetti, ora con più calma. Si chiese come mai gli ci fosse voluto così tanto ad arrivare, ma si disse che poteva chiedere in seguito.  Ora doveva tenere alto il morale, ricordare ai suoi due migliori amici che la battaglia di questa notte se la erano aggiudicata loro. Anche se ai punti.

 

“Volevamo che fosse in grande stile. Lo sai, noi Scooby non abbiamo mezze misure. Comunque se non ti è piaciuto, la colpa è di Xander,” disse, lanciando un’esca che il ragazzo bruno alla guida non tardò ad ingoiare.

 

“Mia?! Perché è colpa mia?” Xander, si voltò leggermente verso l’interno del furgone piagnucolando. Non si accorse della figura che si rigettò dentro una fossa in attesa della sua bara per evitare il fascio mortale delle luci ultraviolette.

 

“Vorresti dirmi che stasera non hai pensato ad alta voce qualcosa del tipo: ‘Speriamo che sia una serata tranquilla’?”

 

Xander arrossì colpevolmente e tornò a concentrarsi sulla guida. Mentre guidava il possente veicolo, pensò che la municipalità avrebbe dovuto sostituire il cancello d’entrata ancora una volta. Sospirò e sorrise.

 

Poteva andargli peggio.

 

“Visto? E noi abbiamo dovuto affrontare un esercito di vampiri!” Si lamentò Buffy con voce finto severa.

 

“E un demone,” aggiunse Willow, con voce malferma, entrando nello spirito del loro gioco preferito: Tutti Contro Uno.

 

“E un demone,” le fece eco Buffy, stringendo la spalla di Willow in un gesto di simpatia. “Brutto, grosso, mezzo serpente e che mena come un forsennato,” disse sfregandosi le costole illividite.

 

“E un Maestro vampiro,” contò Willow con voce un po’ più di convinzione. Il suo corpo era sfinito ma il suo spirito era un po’ più sollevato e la coperta le stava donando un po’ di benvenuto calore.

 

“E un Maestro vampiro,” fece di nuovo eco Buffy, guardando Xander farsi piccolo dietro il volante mentre elencavano i pericoli imputati al suo pensiero a cui erano andate incontro stanotte.

 

“Ragazze, ho capito, ho capito. È colpa mia, ok?”

 

“Sì, ok,” concessero le due con una risatina.

 

Poi Buffy si rivolse a Willow come se un pensiero l’avesse colta all’improvviso. “Will, il demone è scappato, giusto?” Willow annuì. “E il Maestro vampiro?”

 

“Non è stato così fortunato.” Willow notò con una punta d’invidia che, come al solito, nonostante il colpo ricevuto, Buffy sembrava fresca come se si fosse appena svegliata. I suoi tempi di recupero erano davvero eccezionali. Sorrise al pensiero che era anche merito suo.

 

“Come è successo?” chiese Buffy, curiosa.

 

“Mi era antipatico?” scherzò la rossa in modo enigmatico, passandosi una mano sulla fronte come per asciugarsi del sudore.

 

“Eh?…Ooooooohhhh…” Buffy strinse la mano a pugno e subito dopo allargò le dita come per indicare un’esplosione. Willow annuì. “Will, sono così orgogliosa di te,” le disse Buffy con un sorriso sincero. “Voglio sapere tutto.”

 

Willow sentì un’ondata di gratificazione farsi largo tra il dolore e la stanchezza. Era andata bene. Forse era pronta ad affrontare anche il suo peggiore incubo.

 

Forse avrebbe resistito al richiamo della magia nera.

 

Forse.

 

Di certo aveva molte cose su cui riflettere dopo stanotte.

 

 

 

Julius sputò la terra che gli era entrata in bocca. Due volte nella stessa notte era davvero troppo. Aveva dovuto gettarsi una prima volta nella fossa quando un lampo con la forza stessa del sole era apparso nel cielo notturno. Uno dei due vampiri che erano con lui non era stato altrettanto veloce. L’altro, il messaggero di Heinz, era stato colpito dalla luce distruttiva dei fari del furgone e aveva preso fuoco sotto i suoi occhi.

 

E per di più aveva dovuto sentire la morte del vampiro che lo aveva creato con la faccia nel fango.

 

Qualcuno avrebbe dovuto pagare per lo smacco subito dal suo orgoglio. Si tirò su dalla tomba aperta in cui si era gettato per sfuggire alla furia dei fari ultravioletti. Uscito dalla buca, guardò le luci di coda del mezzo allontanarsi lungo il vialetto, meditando vendetta.

 

Il Maestro è morto. Io sono stato umiliato. Giuro che la pagherete cara.

 

Si ripulì come meglio poteva la terra di dosso. Già sentiva nelle orecchie le risate di scherno di Antoine e dei suoi fratelli rimasti alla caverna. Non era riuscito a proteggere Xavier ed era stato costretto a nascondersi come un coniglio in una buca. La sua furia era enorme e la sua umiliazione anche maggiore. Sospirò tutta la sua rabbia e si avviò verso l’uscita nord e oltre, verso i boschi e la caverna.

 

Mentre Julius si incamminava a testa bassa verso lo scherno della sua stessa stirpe, Heinz uscì dalla cripta in cui si era nascosto in attesa che la battaglia di stanotte finisse. Aveva percepito l’esatto momento della morte di Xavier. Il pensiero del suo ormai defunto Maestro gli portò un sorrise alle labbra.

 

Credo che il padrone sarà molto soddisfatto, mormorò tra i denti, mentre si avviava a sua volta verso l’uscita nord del cimitero.

 

 

 

Il viaggio verso casa fu tranquillo. Ora che l’immediato pericolo era passato ed erano lontani dal luogo della battaglia, tutto quello che era accaduto sembrava quasi irreale. E ancora più irreale sembrava a Buffy il racconto che Willow le stava facendo di ciò che era accaduto da quando era svenuta fino a quando la battaglia non si era conclusa.

 

“Mi stai dicendo che hai scacciato un demone con un giochetto di luci, dopo che hai scagliato un mezzo inferno sulle teste di un intero clan di vampiri?” Chiese Buffy, gli occhi spalancati dallo stupore.

 

“Più o meno,” rispose Willow ad occhi bassi. “Del resto non è che potessi fare di più, a quel punto. Pile scariche.”

 

“Wow! Decisamente…wow! Mi rimangio tutto! Non sono orgogliosa di te. Sono invidiosa!” scherzò Buffy, stringendole una mano nella sua in modo rassicurante e sorridendole amichevolmente, mentre con l’altra si teneva il punto dove era stata colpita.

 

Willow guardò Buffy massaggiarsi lo sterno nel punto in cui il demone l’aveva colpita. “Domani avrai dei lividi orribili. Dovrai metterci una fasciatura molto stretta,”constatò, felice di avere una scusa per cambiare discorso.

 

“Già. Mi sono lasciata colpire come una novellina. Sono stata fortunata, stavolta, anche se mi sento come se mi avesse colpito un treno.”

 

“Be’, sei nella piena maturità fisica. Il tuo corpo recupera più in fretta di quanto abbia mai fatto in passato. Te la caverai in due o tre giorni, come al solito,” buttò là Willow, ben sapendo che quello non era l’unico motivo.

 

“E tu come stai?” chiese Buffy di rimando.

 

“Devo aver preso in corsa lo stesso treno con la gamba,” provò a scherzare, strappando un sorriso complice alla sua amica.

 

Buffy ripensò allo sguardo di Willow nel mezzo della battaglia, dopo che era stata colpita. Per un attimo, mentre veniva scaraventata via, i loro occhi si erano incontrati. Quello sguardo è lo stesso che aveva nella caverna, si disse, lo stesso che aveva quando la trovai in questo stesso cimitero dopo l’ultimo incontro con Spike e Rack. Lo sguardo di un sopravvissuto. Di chi ne ha viste troppe e non sa più se è meglio essere vivi o essere morti.

 

Avrebbe fatto di tutto per cancellare quello sguardo, ma sapeva di non averne il potere. Ma forse c’era al mondo qualcuno che ce lo aveva. E stava per arrivare. Solo dieci giorni di attesa. Stavolta ha ragione Dawn. Ovviamente non glielo dirò mai, ma credo che abbia ragione. Dobbiamo fare qualcosa. Sono stanca di vedere la mia migliore amica trascinarsi attraverso la vita. Tara può cambiare le cose.. Devo solo convincerla a volerlo. Non dovrebbe essere troppo difficile, se riesco a convincere Will ad indossare quei pantaloni aderenti di pelle che ha comprato a Los Angeles qualche tempo fa. Le fasciano il sedere così bene, che quasi fanno venire strani pensieri anche a me.

 

Mise da parte quei pensieri, ripromettendosi di fare in modo che Tara vedesse la strega nelle sue combinazioni più sexy.

 

“Allora Will, rimarrà un esperimento isolato quello di stasera?” Indagò Buffy, attenta a non lasciar trapelare i suoi pensieri.

 

“Credo di no. Temo che qualche volta mi avrete ancora tra i piedi, anche se non proprio domani.” Willow era molto soddisfatta di come erano andate le cose. Era riuscita a dimostrare a se stessa di poter essere utile nelle ronde e di non avere bisogno della magia nera per farlo. Certo non le bastava per essere certa che avrebbe potuto sostenere una routine regolare nelle ronde o che prima o poi non avrebbe ceduto al richiamo della magia nera che cantava costantemente nelle sue vene, ma era un inizio.

 

“Dawn sarà così fiera di te, quando glielo racconterò!”

 

“No!” Si affrettò a dire, con un’espressione allarmata in volto. “Dawn non deve sapere che io ero sul campo, questa sera. Si preoccuperebbe troppo. Semmai glielo diremo dopo il matrimonio.” Nella voce di Willow c’era una nota di panico che non sfuggì a Buffy. Decise di accontentarla, almeno per il momento.

 

“Ok, Will come vuoi.”

 

Rimasero in silenzio finché Xander non annunciò loro di essere arrivati a casa. “Ci siamo, ragazze. Ultima fermata: Revello Drive.”

 

Buffy scese dal furgone e aiutò Willow a scendere a sua volta. Prima di richiudere il portellone si rivolse a Xander. “Domani sera, riunione della Scooby Gang, Xan. Dobbiamo scoprire quello che possiamo su questo clan. Soprattutto se non lo abbiamo sgominato. Non mi va l’idea che vadano in giro a combinare qualche altro guiao come quello di stasera. Eppoi c’è il demone. Se Anya non se la sente di muoversi possiamo farla da voi,” suggerì.

 

“Ti faccio sapere domani,” rispose Xander.

 

Willow avrebbe preferito non muoversi la sera successiva, così, conoscendo bene Xander, tentò la carta della corruzione. “Se venite voi da noi, prometto una cena speciale. Niente take-away, per una volta. Che ne dici, Xan?”

 

Xander rispose al debole sorriso di Willow. L’idea di un buon pasto fatto in casa lo stuzzicava molto. “Cercherò di convincere la mia dolce metà. Prometto che ci proverò, ma niente di più.”

 

Willow annuì. Di più non poteva estorcergli.

 

Le due ragazze salutarono e si avviarono verso la porta d’entrata.

 

Appoggiandosi pesantemente al bastone e alla minuta ragazza con i capelli biondi, Willow entrò in casa. Si chiese cosa altro poteva aspettarsi dalla sua vita ormai, subito pentendosi di quel pensiero. Se si vive su un Hellmouth può essere pericoloso farsi certe domande.

 

Ogni passo le mandava acute scosse di dolore su per la gamba fino allo stomaco e alla testa. La nausea le imperlava la fronte di un sudore freddo, minacciando di farle rigettare  tutti i magri pasti degli ultimi giorni. In quel momento fu grata al suo stomaco di non essere molto in confidenza con il cibo. Ne era valsa la pena, però. Il dolore le ricordava di essere ancora viva e di doverlo rimanere ancora un po’. Per la sua famiglia.

 

Appena entrate in casa, Buffy, notando il cambiamento di umore nella sua amica, propose quella che riteneva la soluzione a molti dei mali del mondo. “Gelato al cioccolato?”

 

“Con sciroppo,” aggiunse Willow. “E una montagna di praline. Per te. Per me tè caldo e il mio letto. Non per forza in questo ordine.”

 

Buffy scosse la testa con disappunto. Willow e il cibo erano ancora due nemici giurati. Fece sedere Willow sul divano del soggiorno e si diresse verso la cucina per preparare un tè bollente e due enormi coppe di gelato. Chissà, forse era tempo per una tregua.

 

Capitolo X: Cena a casa Summers

 

“Dawn, Xander e Anya stanno per arrivare. Prepara la tavola,” disse Buffy rivolta a Dawn, seduta sul divano.

 

Sua sorella alzò lo sguardo di malavoglia verso di lei e posò la rivista d’arredamento che stava sfogliando sul tavolino da caffè. “Perché non lo fai tu?” Chiese alzandosi stizzita e avviandosi verso la sala da pranzo per tirare fuori il necessario dalla credenza. “Smetterò di essere la teen-ager della casa una volta che sarò sposata?”

 

“No. Il ruolo di sorella minore dura tutta la vita,” rispose Buffy con un sorriso birichino, avviandosi verso la cucina. “Equivale praticamente ad essere una teen-ager a vita, in questa casa.”

 

“Che bello!” Disse Dawn con sarcasmo. “Quindi non basta che io sia nata solo sei anni fa da una palla d’energia capace di aprire portali interdimensionali ed affidata ad una sorella maggiore rompipalle e con super-poteri. Leggi: super-rompipalle. La cosa doveva anche essere permanente!”

 

“Io aiuto Will con la cena,” disse Buffy, scomparendo alla vista in una rapida ritirata strategica per evitare l’assalto verbale di Dawn.

 

“Oh, no!” Esclamò sottovoce Dawn. “Perché vuoi rovinare tutta la fatica di Will? Dopo tutto l’impegno che ci ha messo per prepararla…”

 

Buffy riapparve per un istante nel vano della porta con un dito ammonitore alzato contro sua sorella. “Ti ho sentita! Udito di cacciatrice, ricordi?”

 

“Dann…!” Mormorò Dawn. Poi in tono accusatorio: “Vedi? E’ questo che intendevo!” Dawn si portò le mani ai fianchi, esasperata. “Neanche mugugnare si può, in questa casa, con te in giro.”

 

Buffy decise di non tirare la corda e scomparve di nuovo in cucina, attardandosi qualche secondo sotto l’arco della porta ad osservare la sua migliore amica che apportava gli ultimi ritocchi al pasticcio di tonno. “Che devo fare, Will?” Chiese, entrando nella stanza.

 

“Se la tavola è pronta, inizia a portare di là le bibite. Poi prendi le carote al limone e le verdure alla piastra.” Willow si staccò dal piano di lavoro e si chinò davanti al forno per controllare che il dolce che aveva preparato non bruciasse. Mentre si chinava una forte fitta le attraversò il ginocchio destro, strappandole un piccolo gemito di dolore. Imprecò tra i denti. “Merda!”

 

Rimpianse di non potuto fare un rito risanatore per la sua gamba. Anche meditare, quella mattina non era stato come al solito. Non aveva sentito le sue energie magiche rigenerarsi come al solito mentre pregava la Dea e la ringraziava di averla assistita nella battaglia e di aver protetto Buffy. La cosa non l’aveva stupita più di tanto. Aveva immaginato che fosse parte del patto necessario a lanciare quell’incantesimo senza offerte e senza pozioni. Si era quindi rassegnata di buon grado al fatto che per un po’ lei e la magia sarebbero state lontane, anche se sperava non troppo a lungo. Non che la magia le servisse, però era una sensazione strana ritrovarsi di colpo senza qualcosa che è stato costantemente con te ogni momento.

 

L’unico effetto realmente positivo della battaglia della notte prima era stato che quando aveva raggiunto finalmente la sua stanza, era così esausta e svuotata da essersi addormentata appena la sua testa aveva toccato il cuscino.

 

La notte di sonno e la giornata tutto sommato tranquilla non erano bastate a restituirle completamente le forze e senza la magia il dolore era ben più di un persistente fastidio, ma il fatto di non aver avuto emergenze dell’ultima ora compensava abbondantemente, ai suoi occhi, ogni dolore con cui le sue articolazioni protestavano la loro presenza.

 

Willow si aggrappò al ripiano e chiuse gli occhi, in attesa che il dolore passasse. Buffy scattò al suo fianco per aiutarla. “Come va il ginocchio, Will?”

 

“Fa male, ma passerà,” disse a denti stretti. “Ho preso altre botte prima. E le tue costole?”

 

“Bene, gia quasi completamente guarite. È fantastico avere dei poteri rigeneranti, disse con un sorriso soddisfatto. Poi aggiunse in tono leggero: “Cavolo, Will, sembra che tu abbia messo un cartello con su scritto: ‘Ginocchio ferito. Colpire qui,’” scherzò Buffy.

 

“Già. E hanno tutti una mira dannatamente buona,” le rispose Willow chinandosi a controllare il forno con ancora maggiore cautela, un debole sorriso che le increspava appena le labbra.

 

Non dovrei mentire in questo modo, si disse. Ma non posso dirle dopo così tanto tempo che il ginocchio non è mai guarito. Buffy si sentirebbe in colpa per me e questo non potrei sopportarlo.

 

“Vuoi che controlli io?” Propose Buffy, ansiosa di toglierle quell’incombenza così fastidiosa.

 

“Assolutamente no. Dopo tutto il tempo che ho passato a prepararlo, questo dolce…” la sfottè Willow, mentre girava la manopola del forno sullo zero, riacquistando un po’ di buon umore mano a mano che il dolore tornava ad essere solo un costante fastidio. “E’ pronto,” affermò, raddrizzandosi. “Puoi tirarlo fuori ed appoggiarlo sul ripiano, per favore? Deve raffreddarsi.”

 

“Io non cucino così male,” si difese Buffy, togliendo la teglia dal forno ed appoggiandola sul ripiano in marmo di fianco al piatto delle carote al limone.

 

Willow la guardò come se avesse dichiarato che la terra è piatta.

 

Buffy incrociò il suo sguardo mentre apriva il frigorifero ed iniziava a tirare fuori diversi tipi di soda e alcune bottigliette d’acqua. “Ok, ok. Hai ragione. Cucinare non fa per me. Io ci provo ma proprio non ci riesco. E pensare che tu eri proprio come me. Ancora mi chiedo come diavolo hai fatto ad imparare così bene.”

 

Willow alzò un sopracciglio con aria furba. “Magia?”

 

Buffy la guardò un attimo con aria scioccata, poi la sua espressione si addolcì quando si accorse che la sua amica la stava ancora sfottendo. Scosse la testa ridacchiando. “No, davvero. Ancora non me lo spiego.”

 

“Ho dovuto,” si lamentò Willow. “Dawn ha minacciato di denunciarci entrambe ai servizi sociali se avesse dovuto continuare a mangiare solo pizza o gli hamburger del Double Meat,” ridacchiò Willow. “Era o me o te. Tu non avevi margini di miglioramento in quel campo, e così ho dovuto sacrificarmi io.”

 

Buffy si unì alla risatina con uno sguardo leggermente colpevole. Non potrò mai ringraziarti abbastanza, pensò. “Non avevo magini di miglioramento, eh?” Avanzò verso di lei in posa scherzosamente minacciosa, ma Willow conosceva quella tattica e sapeva che sarebbe finita in abbracci dimostrazioni di affettuosa amicizia. Quando Buffy fu a non più di un passo da lei il campanello della porta suonò.

 

“Salvata dalla campana. Se no ti avrei fatta sentire in debito per i prossimi trenta anni,” disse Willow alzando le sopracciglia in un’espressione furba.

 

Sarebbe bello. Almeno saprei che vuoi vivere altri trenta anni almeno, pensò Buffy.

 

Willow raccolse il grande piatto di portata con il pasticcio e si avviò zoppicando leggermente verso la sala da pranzo. Buffy la seguì con le bibite proprio nell’istante in cui Anya e Xander entravano nel soggiorno dietro a Dawn.

 

“Xander, Anya!” Salutò Buffy.

 

“Ciao Xan. Anya. Come va il pancione?” Chiese Willow mentre posava il piatto al centro della tavola imbandita.

 

Xander si diresse verso Willow e la strinse in un abbraccio sotto lo sguardo vigile della sua eterna fidanzata. “Will! Come stai? Come va la gamba?” Disse piano, in modo che gli altri non sentissero.

 

“Abbastanza bene. Prima che si staccassero Willow gli mormorò in un orecchio: “Io ero nel furgone, ricordati.”

 

Xander la guardò e seguì il suo sguardo che si posava su Dawn. Annuì perplesso.

 

“Mi sento grassa,” si lamentò Anya, passandosi le mani sul ventre prominente per l’avanzato stato di gravidanza.

 

Xander le andò alle spalle e la circondò con un braccio. “Anya, non sei grassa. Sei semplicemente incinta,” la rassicurò pazientemente per la sedicesima volta quella sera.

 

“E raggiante,” aggiunse Dawn con un gran sorriso.

 

Anya incrociò le braccia sul petto con un’espressione annoiata. “Come posso essere raggiante? E’ più di un mese che non faccio sesso, solo perché uno stupido dottore dice che è rischioso per il bambino. Come si fa ad essere raggianti senza avere la propria quota giornaliera di orgasmi per più di un mese? E come può essere pericoloso per il bambino qualcosa  di così assolutamente fantastico come avere un orgasmo dal pene dell’uomo che ti ama? Avrei voglia di eviscerarlo, quello stupido dottore!”

 

Buffy roteò gli occhi, esasperata dall’ennesima lamentela dell’ ex-demone concernente il sesso. “Anya, non puoi eviscerare Thomas. E neanche Caitlin,” la prevenne prima che potesse portare avanti quella linea di pensiero. “Sono membri part-time della Gang e sono gli unici che ci prestano delle cure in caso di bisogno senza che dobbiamo inventarci delle balle.L’aiuto della clinica ci serve.” Poi dopo aver visto un sorriso scaltro apparire sul volto di Anya: “E neanche Janet! Non mi è particolarmente simpatica, ma avere una ginecologa che crede in demoni e magia può fare sempre comodo!”

 

“E ti pareva!” Anya era evidentemente delusa.

 

Willow le sorrise conciliante. “Mettila cosi, Ahn,” le disse. “Tra un paio di mesi potrai fare tutto il sesso che vorrai con in più l’energia derivante dall’astinenza forzata. E con uno splendido bambino nella vostra e nostra famiglia. Un piccolo Harris nella Scooby Gang!”

 

Lo sguardo di Anya si illuminò alla prospettiva. “E’ vero. Forse per quando io potrò ricominciare a fare sesso stabilmente, ricomincerai a farlo in modo non casuale anche tu. Ma niente cose a tre e niente Xander per te. Perché tu sei gay adesso e il pene di Xander è solo per me e io non sono interessata, okay?”

 

Willow rabbrividì al solo pensiero di trovarsi nuda nello stesso letto con Anya e Xander e dovette appoggiarsi allo schienale di una sedia per non soccombere al leggero senso di nausea che l’aveva assalita, ma non controbatté.

 

Dawn guardò la rossa come se stesse male. Willow si era lasciata sfottere da Anya senza reagire per l’ennesima volta. Da quando Anya era incinta, Willow era diventata molto conciliante e protettiva nei suoi confronti. Dawn non vedeva l’ora che Anya partorisse. Non ne poteva più di vedere la sua rossa preferita abbozzare alle battute oscene di Anya. Non era naturale per nessuno – a parte forse Xander – accettare le battute a sfondo sessuale di Anya senza replicare, ma soprattutto non era naturale per Willow.

 

Come aveva fatto la sua amica ed ex-tutrice- praticamente un’altra sorella maggiore -a passare da una tolleranza male digerita per amore di Xander a quella stretta rassomiglianza di un’amicizia con l’ex-demone?

 

“Come se volesse stare nello stesso letto con te,” disse roteando gli occhi, nel tentativo di prendere le difese di Willow. “Giusto Willow?”

 

Willow si limitò a sorridere timidamente allo scambio di battute, pensando che certe cose nella loro famiglia sembravano non cambiare mai. “Mangiamo?” Propose per cambiare il soggetto del discorso.

 

Buffy lanciò alla sua migliore amica uno sguardo triste e saputo. Willow glielo restituì con l’usuale supplica al silenzio.

 

Xander, sentendo parlare di cibo si animò. Scortò Anya al tavolo e la fece accomodare; si mise seduto al suo fianco, sfregandosi le mani. Dawn si sedette alla sua sinistra, a capotavola; Buffy e Willow si sedettero vicine alla destra di Anya, con Buffy direttamente di fronte a sua sorella.

 

“Non essere così ansioso, Xan. Stasera ha cucinato Buffy,” disse Dawn maliziosamente.

 

Il giovane bruno strinse le labbra in una smorfia preoccupata. Non era più tanto ansioso di mangiare, per quanto il cibo avesse un ottimo aspetto.

 

“Tranquillo, Xan. Non è vero. Ha cucinato Willow,” ridacchiò Dawn, divertita dall’espressione che era passata per la faccia del suo amico.

 

Xander si rilassò visibilmente. “Sei proprio cattiva, Dawn. Non dovresti spaventare un uomo in questo modo!” Si lamentò con voce quasi femminea.

 

“Hey, non cucino così male,” protestò Buffy.

 

Quattro paia d’occhi si voltarono verso di lei come se avesse dichiarato qualcosa di assolutamente scnvolgente. “Sì, e la terra è piatta,” disse Dawn, esprimendo quello che era nella mente di tutti.

 

Xander annuì energicamente e così Anya. Willow ebbe il buon senso di sorriderle mestamente e non dire nulla.

 

“Xander!” Rimproverò Buffy, offesa. “Ok, concedo che Will ha imparato davvero bene a cucinare, ma mi stai dicendo che tu o qualcun altro preferireste mangiare un pasto fatto, che so, da Dawn o da Janet piuttosto che da me?”

 

Xander abbassò le spalle sotto la sfuriata. “No, no, certo che no. Buffy, chi mai potrebbe pensare che io preferisca la cucina di qualcun altro rispetto a quella della grande, potente e violenta cacciatrice?” Xander prese una mano di Dawn sotto il tavolo, nella sua ruvida mano da carpentiere, per farle capire di essere costretto a mentire. Anya, come risposta alla domanda retorica di Xander, alzò timidamente un braccio, riabbassandolo quando il suo fidanzato sibilò sottovoce: “Anya!”

 

“Ma è vero!” Disse l’ex-demone con la solita schiettezza. “Cucina talmente male che neanche un demone Ferschuam vorrebbe mangiare quello che prepara. E ti assicuro che i Ferschuam mangiano davvero di tutto!”

 

Il gesto di Xander sotto il tavolo e le parole di Anya non passarono inosservate. “Grazie tante davvero, Anya,” disse Buffy con leggero sarcasmo, curvando le spalle in segno di sconfitta.

 

“Prego,” rispose Anya inconsapevole.

 

“Vado a prendere le verdure,” Buffy si alzò e si avviò verso la cucina, seguita da un coro di risatine.

 

Quando tornò vide Xander allungare una mano per rubare un pezzetto di cibo da uno dei piatti da portata. Willow lo fermò prima che potesse portarselo alla bocca. “Xander, aspetta!” Ordinò con voce ferma.

 

Il giovane uomo si interruppe a mezz’aria con aria colpevole. Willow attese che Buffy tornasse al suo posto, poi abbassò il capo e mormorò una breve preghiera alla Dea perché benedisse il cibo e la sua famiglia. Terminata la benedizione alzò il capo con un sorriso. “E ora sotto!”

 

Nessuno si tirò indietro.

 

 

 

Tre quarti d’ora dopo, finito il pasto e ormai sazi, la Scooby Gang era quasi pronta ad affrontare il motivo per cui era stata indetta la cena-riunione.

 

“Cena fantastica, Will. Il pasticcio era eccezionale. Sarà dura andare di ronda con questa zavorra aggiunta,” disse Xander passandosi una mano sul ventre in segno di soddisfazione. “Dovresti dare la ricetta ad Anya.”

 

“Non credo di potere, Xan.” Willow scambiò un sorriso d’intesa con l’ex-demone.

 

“Perché no? Anche Anya è diventata una cuoca provetta, ormai,” protestò Xander.

 

“Non ne dubito. Infatti questa ricetta me l’ha data lei.”

 

Xander guardò Willow, poi la sua compagna che annuiva vigorosamente, poi di nuovo Willow. Infine si rivolse ad Anya. “Ahn, tesoro, perché non mi hai mai cucinato questa delizia?”

 

“Perché è un piatto piuttosto pesante e avrebbe potuto incidere sulle tue prestazioni sessuali,” gli rispose Anya, con la stessa naturalezza con cui avrebbe detto che il sole tramonta ogni giorno ad ovest.

 

Dawn guardò tutto lo scambio con perplesso divertimento. Ora si scambiano anche le ricette, pensò. Forse dovrei chiamare Mr. Giles in Inghilterra e chiedergli di investigare sulla questione. Non può essere naturale!

 

In quel momento il telefono suonò. Dawn, di ritorno dalla cucina dopo aver portato via dei piatti sporchi, era la più vicina, ed andò a rispondere. Gli altri iniziarono a sgomberare il tavolo dalle altre rimanenze del pasto, in attesa di iniziare ufficialmente la riunione della Scooby Gang.

 

“Pronto,” disse Dawn nel ricevitore. “Andrew!” Il suo viso si illuminò nel sentire la voce del suo futuro marito. “Sì, certo, nessun problema. Allora ti aspetto tra breve. Ciao, amore.” Dawn era così assorbita dalla telefonata che non vide gli altri parlare brevemente sottovoce tra loro e ridacchiare.

 

“L’amour. L’amour,” canticchio Xander, non appena Dawn ebbe riagganciato il ricevitore e fu tornata al tavolo, ora sgombro dalle rimanenze della cena.

 

Buffy lo tacitò con un gesto e si rivolse a sua sorella con uno strano luccichio negli occhi. “Qualche problema?”

 

“No. Andrew era in macchina di ritorno dal lavoro. Ha fatto dello straordinario. Passerà qui a trovarmi.”

 

Dawn aveva un’aria trasognata all’idea, tanto da non accorgersi che c’era qualcosa nell’aria.

 

Willow la guardò con divertimento. “Allora faremo meglio ad iniziare la riunione finché hai il cervello…” “…ancora al suo posto e non…” continuò Anya.

 

“…nei lombi,” terminò Willow.

 

Le due si scambiarono un sorriso.

 

Lo scambio portò Dawn violentemente fuori dal suo stato di grazia. La ragazza impallidì. Guardò freneticamente prima l’una poi l’altra, con aria inorridita. Dio, no! Ora terminano l’una le battute dell’altra. No, Will lo faceva solo con Tara. Non può farlo con Anya. Non è naturale! Deve essere una qualche sorta di maledizione o d’incantesimo. Domani chiamerò Giles e gli chiederò di indagare. Poi, quando arriverà Tara le chiederò di fare l’incantesimo per mettere le cose a posto. Perché mi guardano tutti ridacchiando?

 

“Smettila di rabbrividire, Dawn. Si sono messe d’accordo,” disse Buffy, togliendole un grosso peso dalla mente.

 

Dawn guardò Willow con occhi smarriti. Willow annuì. Dawn s’infuriò. “Will! Questa è stata davvero una cosa terribile da parte tua. Mi sono talmente spaventata che pensavo di dover chiamare Mr. Giles a Bath per trovare un qualche incantesimo per rimettere le cose a posto! Sei davvero diabolica! E smettetela di ridere!”

 

Le risate intensificarono, tanto che l’unica a sentire il suono del campanello fu Buffy, grazie al suo super udito.  Si alzò da tavola ed andò ad aprire. Poco dopo tornò con un alto ragazzo biondo che le cingeva amichevolmente le spalle con un braccio. “Vedo che siete allegri, stasera ragazzi,” disse, vedendo che tutti ridevano tenendosi lo stomaco e asciugandosi le lacrime dagli occhi.

 

“Ehy, Andy,” salutò Xan. “Come va, uomo?”

 

“Ciao Andy,” saluto Willow.

 

“Ciao, Andy,” disse Anya. “Sei venuto a dare a Dawn qualche orgasmo…”

 

“…prima di tornare a casa?” Terminò Willow per lei.

 

Tutti meno Dawn e un attonito Andrew scoppiarono di nuovo a ridere.

 

Dawn rabbrividì ancora una volta. “Smettetela voi due. Questo gioco non è divertente!”

 

Andrew, che dopo qualche istanti aveva capito che era in corso una seduta di Tutti Contro Uno a spese della sua fidanzata, si avvicinò a Dawn e dichiarò: “Be’, veramente lo è!” E scoppiò a ridere con tutti gli altri.

 

Sapeva quanto quanto l’interazione tra Willow e Anya preoccupasse la sua fidanzata, ma era convinto che le sue preoccupazioni fossero nettamente esagerate.

 

“Andy! Non anche tu, ti prego!”

 

“Scusa tesoro, ma è vero. È divertente!” disse chinandosi a baciare la sua futura sposa sulle labbra.

 

“Ciao a tutti, comunque,” disse sedendosi in una sedia vuota accanto a Dawn. “Cena informale o riunione?”

 

“Riunione,” rispose Dawn in un sussurro, appena le sembrò che le sue labbra potessero muoversi in una nuova configurazione che non fosse quella del bacio.

 

“Allora forse dovrei andare.” Fece per alzarsi ma una mano sulla spalla glielo impedì.

 

“Ormai sei uno Scooby per quasi-matrimonio. Resta,” comandò Willow che si era alzata con l’intenzione di andare a preparare il caffè.

 

Andrew voleva bene a tutti loro e gli piaceva passare il suo tempo con loro. Erano la famiglia di Dawn. E lui amava profondamente Dawn. Ma se c’era una persona in quella casa di cui temeva la furia o apprezzava gli sforzi, era proprio Willow. Era lei che aveva cresciuto Dawn negli ultimi cinque anni. Dawn la adorava e si riferiva a lei con il tono di rispetto dovuto alla figura d’autorità. Andrew rispettava molto quella posizione nella vita di Dawn, perché aveva contribuito enormemente a renderla la donna che amava con tutto se stesso e quanto fosse stato difficile per entrambe trovare quello splendido rapporto, dopo tutte le difficoltà che avevano avuto in passato.

 

Ricordava ancora perfettamente quando Willow gli aveva fatto il terzo grado, la prima volta che Dawn lo aveva portato a cena. L’aveva fatto sudare freddo per due ore. Gli aveva spiegato alcuni dei misteri della famiglia Scooby per altre due. O il giorno che avevano annunciato di volersi sposare. Gli aveva fatrto tante di quelle domande e di quelle minacce che aveva creduto che non sarebbe uscito vivo da quella casa. Ma alla fine aveva dato la sua benedizione ed accettato di occuparsi con loro dei preparativi del matrimonio.

 

In quella casa, se Willow diceva che dovevi restare, allora c’era poco da ribattere. Se diceva che dovevi andartene, era meglio essere fuori della porta prima che avesse finito di parlare.

 

Ricordò una volta, circa otto mesi prima, quando una delle solite Apocalissi annuali era alle porte, e Buffy cercava le scuse più assurde per fare in modo che lui se ne andasse. Willow era intervenuta dicendo: ‘Lascia che resti. Se vuole uscire con una Scooby, tanto vale che sappia a cosa va incontro.’ Buffy aveva annuito e lui era rimasto. Finita la riunione Buffy gli aveva confessato di pensare che la casa appartenesse più a Willow che a lei. Non c’era recriminazione nelle sue parole, ma un senso di accettazione profonda. E forse anche un pizzico di gratitudine.

 

Buffy decise che era ora di iniziare e prese la guida della riunione. “Allora. Per prima cosa i fatti. Ieri notte, durante la ronda, abbiamo incontrato un clan piuttosto numeroso di vampiri,” disse gettandosi nel racconto agrandi linee degli avvenimenti della sera precedente.

 

“Praticamente il solito, no?” Interloquì Dawn ad un certo punto.

 

“Ti direi di sì, se non fosse che erano molto bene organizzati, con tanto di sentinelle, disposte per il cimitero, come a sorvegliare un perimetro,” puntualizzò Buffy.

 

Andrew era rimasto in silenzio, con il mento sulla spalla di Dawn, che gli si era seduta in grembo, le braccia attorno alla sua vita. Solitamente interferiva poco nelle riunioni della Scooby Gang, per quanto gli avessero dimostrato più di una volta che i suoi commenti erano apprezzati. Ma questa volta c’era qualcosa nella noncuranza con cui Buffy aveva raccontato i fatti che non riusciva ad afferrare. “Scusa, Buffy, ma quando dici ‘un clan piuttosto numeroso’ di quanti elementi parliamo?”

 

“Parecchi,” si limitò a dire Buffy. Dawn le gettò un’occhiata inquisitoria. “Hey, non sono stata a contarli. Avevo altro per la testa, tipo come fermare il rito che stavano facendo per evocare quel demone mostruoso, cercare di ridurli in polvere senza che mi mordessero o mi rompessero le chiappe…cose così, insomma.”

 

“Buffy, quanti?” Insistette Dawn.

 

Buffy guardò Willow e Xander che le restituirono lo sguardo come a dire: vedi tu.

 

“Una quarantina circa,” disse a bassa voce, facendo spallucce.

 

“Quanti?!?” Urlò Dawn con una nota di panico nella voce. “Da quando ci sono clan di vampiri così numerosi a Sunnydale? È dai tempi del Maestro di Aurelius che non si vede un clan così numeroso da queste parti. E tu lo dici come se avessi incontrato quattro novellini?” Lo sconcerto era molto evidente sul viso della giovane. Quaranta vampiri organizzati non erano una bella cosa. Niente di cui essere felici. “Sei diventata scema o hai preso una botta in testa?”

 

“È per questo che siamo qui, Dawnie. Dobbiamo decidere come muoverci nel caso ci sia qualcosa sotto,” disse Xander, cercando di calmarla.

 

Dawn lo guardò come se fosse impazzito. “Qualcosa sotto? Hai dimenticato quello che ha detto Buffy? Hanno evocato un demone! Grosso, brutto, cattivo e con una forza spaventosa?”

 

“Hey, io non l’ho vis…”

 

Willow gli gettò un’occhiata che gli fece morire le parole in gola.

 

“Il fatto è,” disse Buffy, “che per quanto ne sappiamo, il clan non si è estinto ieri notte.”

 

“In più non sappiamo che demone hanno evocato.” Willow cercò di essere, come sempre, la voce della logica.

 

“Lo hanno evocato i vampiri? Questo è strano,” dichiarò Anya.

 

“Perché strano?” chiese Buffy. “Angelus tentò di evocare Achatla.”

 

“Angelus era un pazzo,” dichiarò Anya, come se fosse un dato di fatto.

 

“Ahn, tesoro, se sai qualcosa che non sappiamo, diccela, per favore,” supplicò Xander.

 

Anya lo guardò con dolcezza. “Niente di speciale,” disse, “solo che di solito i vampiri non fanno evocazioni. Sono troppo pieni di sé, troppo confidenti nella loro forza. Non sono soliti affidarsi alla magia, tutto qui. E non sono neanche troppo portati, di solito.”

 

“Lucius non la disdegnava del tutto, però,” disse Willow, usando l’antico nome del maestro.

 

“Be’, ci sono delle eccezioni, ma sono rare,” disse Anya. “La maggior parte degli incantesimi prevedono la prevalenza dell’anima che agisce come una sorta di batteria spirituale. Il demone ostacola il passaggio delle energie magiche. È nella sua natura. Non dovrei spiegarlo proprio a te questo, Will, visto che sei tu la strega ufficiale del gruppo.”

 

“Ma molta della magia nera tecnicamente non ne ha bisogno,” ribattè Willow.

 

“Non proprio,” confermò Anya a metà. “Ne avrebbe bisogno, ma può essere rimpiazzata dalla natura demoniaca del praticante in quei demoni e vampiri che riescono ad accettarla.”

 

Xander, come ricordandosi di qualcosa ed evidentemente perso nel discorso che stava assorbendo la sua fidanzata e la sua migliore amica: “A proposito di gruppo…dove sono Caitlin e Thomas? Perché non sono venuti?”

 

“Non sono venuti per evitare di essere sviscerati da Anya. No, scherzo,” disse Willow. “Caitlin è di turno, stasera e Thomas festeggia il suo tredicesimo anniversario di matrimonio stasera. Domani mattina alle otto ho la mia visita periodica. Informerò io Caitlin.”

 

“È lei la tua nuova compagna di orgasmi?” Chiese Anya con il solito tatto.

 

Tutti meno Xander si volsero verso l’ex-demone. “Anya!” Urlarono all’unisono.

 

Xander ascoltò lo scambio di battute. Per stemperare l’imbarazzo della mancanza di tatto della sua fidanzata, disse: “Ritornando allo scopo della riunione, proporrei di organizzarci per scoprire se questa è una di quelle eccezioni. Che ne dite?”

 

“Buona idea, Xan,” si affrettò a concordare. Buffy, lieta di poter deviare il discorso dalla vita sessuale della sua migliore amica. Quella era una cosa che attualmente preferiva non sapere. Almeno fino al ritorno di Tara la settimana prossima. Allora avrebbe anche potuto accettare di sapere che avevano due streghe che si comportavano come conigli in calore, su nell’attico.

 

Sempre che il piano di Dawn andasse a buon fine. Perché era certa che Dawn avesse un piano in proposito, o almeno un’idea; sia Willow che Tara significavano troppo per lei perché Dawn rinunciasse all’idea di un loro riavvicinamento, ora che sarebbero state entrambe sotto lo stesso tetto. Avrebbe dovuto chiedere, più tardi. Ora aveva cose più importanti a cui pensare.

 

“Will, come pensi che dovremmo muoverci?” Chiese.

 

Willow si sentì improvvisamente in una posizione poco confortevole al centro dell’attenzione, ma sapeva che la domanda di Buffy mirava a darle modo di decidere quanto volesse far sapere a Dawn della scorsa notte. “Direi che per questa sera non possiamo fare molto di più. Proporrei di incontrarci domani al Magic Box. Mentre aspettiamo che tu e Xander usciate dal lavoro, noi possiamo iniziare a compilare i rapporti, aggiornare il database e scaricare le foto che abbiamo fatto del demone e dei vampiri. Domattina chiederò a Caitlin e gli altri quali turni hanno questa settimana, e se può liberarsi per intervenire. Che ne dici?”

 

“Mi sembra che vada bene,” disse Buffy. Poi si volse verso dove l’ex-demone era seduto. “Per te va bene, Ahn?”

 

“Solo se Willow mi aiuterà a fare i riordini,” disse Anya in modo petulante.

 

“Per me va bene,” disse subito Willow.

 

Troppo strano, domani controllerò se i demoni della vendetta in pensione hanno qualche tipo di potere per il controllo mentale, pensò Dawn prima che una voce le ricordasse i propri impegni. “Dawn ed io non possiamo aiutarvi domani. Siamo a pranzo dai miei e poi abbiamo un appuntamento con padre O’Brien,” disse Andrew.

 

“È vero, finiremo molto tardi.” Dawn era meno che entusiasta al pensiero di pranzare con i suoi futuri suoceri. “Peerò, se è coooosì importante…”

 

Andrew la guardò con finto rimprovero, tradito dal sorriso amorevole con cui la guardava. “Dawn…!” Ammonì gentilmente.

 

“Scherzavo, scherzavo. Giuro!” Poi sottovoce: “Uff!”

 

Willow le poso una mano sulla spalla in una stretta di simpatia. “Se abbiamo finito con la parte seria, potremmo passare al dolce. Che ne dite?”

 

“Yaheeee!” Gridarono in coro Andrew e Xander, sotto lo sguardo materno delle rispettive metà. Poi come per un ripensamento Xander chiese: “Chi lo ha fatto?”

 

“Torta di mele con il gelato,” annunciò Dawn, come indizio.

 

“Forza Willow!” Gridò Andrew. Xander concordò immediatamente. “Vai Willow!”

 

“Ehy, voi due! Non potevo averla fatta io?” Protestò Buffy. Gli sguardi che le arrivarono erano più eloquenti di qualsiasi risposta.

 

Dawn osservò la sua famiglia chiacchierare e ridere, mentre mangiavano il dolce e bevevano caffè. La mano di Andrew tra le sue placava ogni sua possibile paura. Si sentiva felice in quel momento. L’Hellmouth era lontano da quella casa, almeno per quella sera.

 

È così che dovrebbe sempre essere, si disse. Dovremmo essere felici e spensierati. Ce lo siamo meritato. E Tara dovrebbe essere qui con noi. Con la sua famiglia. Presto sarà così. Forse è egoista da parte mia pensare che Will e Tara dovrebbero tornare insieme. Ma che io sia dannata se non ci proverò!

Capitolo XI: Traditori inaspettati

 

Il giorno dopo la cena-riunione Scooby a casa Summers, Anya e Xander sedevano al tavolo della Scooby Gang al Magic Box. Xander stava ammucchiando i cartoni del take-away cinese che era stato il loro pranzo in una busta di plastica, mentre Anya lo osservava immersa nei suoi pensieri.

 

Xander aveva passato la mezz’ora successiva al pranzo di sotto a spedire i rapporti a Giles. Anya sospettava dalla brevità della permanenza del giovane carpentiere alla postazione computer che si fosse limitato a spedire le registrazioni, come spesso faceva per risparmiare tempo. Sperò per lui che Willow non lo venisse a sapere. Quella era una  cosa che faceva infuriare la giovane strega.

 

L’ex-demone sedeva con le mani intrecciate sul ventre prominente. L’inattività forzata non le piaceva, non era nel suo carattere. Ma , all’inizio del nono mese di gravidanza, non riusciva a stare in piedi per lunghi periodi di tempo e si stancava facilmente. Erano quelli i momenti in cui le mancava di più aver perso i suoi poteri. Come demone della vendetta, il sonno, il riposo, le voglie improvvise e i cambiamenti d’umore ingiustificati dovuti agli ormoni non sarebbero stati un problema. Invece come essere umano era costretta a subire tutto ciò che l’umanità comportava, comprese le sue molte limitazioni.

 

Non faccio sesso da mesi e per di più forse sarò costretta a rinunciare anche ai miei adorati guadagni, oltre ch ai miei adorati orgasmi, meditò con aria cupa.

 

Doveva trovare, una soluzione se non voleva essere costretta a chiudere il negozio. Rinunciare ai suoi adorati guadagni giornalieri non era un’opzione accettabile. Lei e Xander stavano parlando proprio di come evitare quella cosa che le faceva così orrore.

 

“Su, Ahn. Non sarebbe così grave se dovessi chiudere per un po’.” Xander portò la busta con gli avanzi del pranzo fino al cestino dietro il bancone e ritornò al suo posto. “E non dovresti neanche tenere chiuso tutti i giorni. Solo i giorni in cui ti senti troppo stanca per lavorare. In fondo non abbiamo problemi di soldi. Io guadagno bene, tu hai messo via parecchi soldi e sei un genio degli investimenti, e, se proprio ce ne fosse il bisogno, ci sono i fondi del conto Scooby.” Xander cercò di presentare le sue argomentazioni in modo ragionevole, attento a non irritare la sua molto irascibile (causa ormoni) fidanzata. Non era felice che Anya si stancasse così tanto, soprattutto con il loro primo figlio in grembo. Amava Anya teneramente, con tutto se stesso e il loro rapporto funzionava magnificamente da quando avevano smesso di preoccuparsi di officializzarlo agli occhi della legge. L’unico motivo per cui non si erano ancora sposati era che sembrava esserci sempre qualcosa a congiurare contro la santificazione della loro unione. Un’apocalissi una volta, un demone vendicativo un’altra, un’epidemia di influenza magica un’altra ancora, e così via.

 

Xander si era ripromesso di rimediare a quella situazione entro il prossimo anno, costasse quel che costasse, anche se poi, le uniche persone davanti a cui dovevano preoccuparsi di giustificare la loro relazione erano loro stessi. Ma ora il giovane carpentiere aveva problemi più imminenti da risolvere, tipo convincere una stakanovista a riposarsi e a rinunciare alle sue entrate regolari per un po’. “In fondo si tratta di un paio di mesi. Puoi rinunciare a un paio di mesi di guadagni, giusto?”

 

Xander sperava che la sua testarda fidanzata concordasse con lui, ma l’espressione d’orrore sul bel viso della donna gli disse che non era così. Anya si passò una mano tra le ciocche tinte di biondo, riavviandole e lo guardò con occhi scintillanti- un misto di incredulità per ciò che stava ascoltando e tenera comprensione per la sua preoccupazione- cosa che non mancava mai di dare una leggera scossa di innegabile tipo erotico al ragazzo bruno. “Xander, so che sei preoccupato per me e questo fa sì che ti ami ancora di più. Ma non ho nessuna intenzione di lasciare che i soldi dei miei clienti entrino nelle tasche di qualcun altro, con il rischio di non vederli tornare mai più.”

 

“Mai non puoi continuare a lavorare,” piagnucolò Xander, mentre la sensazione di stare combattendo una battaglia già persa si faceva largo in lui. Caitlin e la dottoressa Sisko, la ginecologa, erano state categoriche. Niente fatiche inutili. Il problema era spiegare a Anya che fare soldi rientrava proprio in quella categoria, per i loro medici di fiducia. “Caitlin e Janet hanno detto che devi ridurre lo stress al minimo.”

 

“Lo so. Per questo ho intenzione di chiedere a Willow e Tara di pensare al negozio fino a che non potrò tornare a lavorare,” disse Anya con un sorriso raggiante in volto.

 

Xander, gli occhi spalancati e la bocca che toccava il piano del tavolo per lo stupore, era certo di non aver sentito bene. Per un attimo pensò che Anya fosse impazzita. “Anya dimmi che stai scherzando,” supplicò, cercando in fondo agli occhi della sua donna una risposta che sapeva non esserci. “Dimmi che vuoi farti una risata alle mie spalle ed è per questo che mi stai dicendo che vuoi mettere Willow e Tara nella stessa stanza per dieci ore al giorno! O che sono gli ormoni, Devono essere gli ormoni, per forza. Sono gli ormoni, vero?”

 

“Niente affatto,” controbattè l’ex-demone, risoluta.

 

“Dimmi che sei impazzita, ti prego!” Supplicò ancora Xander. “Willow ha troppe cose da fare e Tara vive a San Francisco. Come credi che possano occuparsi del negozio? Senza contare che sono più di cinque anni che non si vedono e non si parlano. Eppoi Tara ha Liz a cui…”

 

“Sciocchezze!” Lo tacitò Anya. “Buffy ha telefonato per confermare che verrà più tardi e si è lasciata sfuggire che Dawn ha qualcosa in mente per far tornare insieme Willow e Tara e io voglio aiutare. E nel frattempo loro possono aiutare me. Vedi, è una soluzione perfetta!”

 

“Non accetteranno mai.” Willow non accetterà mai! Ci ucciderà tutti solo per averlo proposto.

 

Anya poteva quasi vedere il piagnucolio mentale dell’uomo che amava. Talvolta era così sciocco, si disse con un sorriso. “Accetteranno,” disse Anya, sprizzando sicurezza.

 

Xander non riusciva a capire perché fosse così convinta che avrebbero accettato di cadere in una trappola tanto evidente. Sapeva che se sarebbe pentito, ma doveva chiederlo. “Perché loro?”

 

“Come perché? Sono le uniche persone di cui mi fidi che si intendano di magia. So che non venderebbero mai radici di mandragola a un demone Ch’Tork, tanto per fare un esempio. Certo c’è anche Giles, ma non mi va l’idea di un Osservatore che gestisce il mio negozio. So che ha ancora il quaranta per cento del negozio e che quindi sarebbe la scelta più logica,” disse a prevenire ogni possibile obiezione, “ma preferirei che fossero Willow o Tara, o meglio ancora entrambe, ad occuparsene. E i miei incassi sarebbero assicurati.”

 

Xander sorrise al pensiero che Anya avesse così frainteso l’intenzione della sua domanda. “No, tesoro. Perché loro? Sì, insomma…perché vuoi fare parte del piano di Dawnster? E come farai a convincerle a lavorare assieme?”

 

“Xander, io ti amo, ma talvolta penso che tu sia ottuso. Come perché? Willow è la tua migliore amica da quando avevate quattro anni. Sei la persona che la conosce meglio. Secondo te è felice?”

 

“No, ma…”

 

Anya lo interruppe, soddisfatta che iniziasse a vedere il suo punto di vista. “E Tara è felice?”

 

“Be’ finchè stava insieme ad Helen sembrava contenta.”

 

“Non dire scemenze! Quella era rassegnazione!” Disse Anya, animandosi in modo veemente. “Secondo te perché Tara ed Helen si sono lasciate? Te lo dico io perché! Perché a Tara non basta sopravvivere. Quello può farlo anche stando da sola, senza un’amante! Tara aspira ad essere felice. Per se stessa e per Liz. E non può esserlo senza Willow.”

 

Poi nello stesso tono categorico, ma più dolcemente: “Xander, Willow e Tara sono anime gemelle e sono entrambe streghe. È una cosa rarissima. Il loro unico modo per essere felici è stare insieme.”

 

Xander non sapeva se dover essere sbalordito per le intenzioni di Anya o per la preoccupazione che aveva percepito nelle sue parole. “Perché ci tieni così tanto che tornino assieme. Non fraintendermi, sarebbe fantastico. Ma perché sembri desiderarlo così tanto? In fondo tu e Willow non siete mai state in rapporti idilliaci e con Tara il rapporto era buono, ma lontano da un’amicizia così stretta.”

 

“Willow ne ha passate così tante negli ultimi anni dopo che Tara se ne è andata. Rack e Spike. Hannah. Tutte le situazioni e gli incantesimi e le ricerche che ha fatto per noi. Il lavoro con cui ha impedito a Buffy e Dawn di andare a fondo sommerse dai debiti. La sua gamba...

 

Si è chiusa sempre di più nel suo guscio. Si preoccupa sempre per tutti. C’è sempre stata per tutti noi, dopo aver smesso con la magia nera. Ricordi quando sei stato avvelenato da quel demone e sei quasi morto?” Xander annuì. “È stata lei a salvarti e quasi morivate entrambi. Noi tutti abbiamo qualcosa a cui attaccarci la sera, dopo sedici apocalissi sventate. Io ho te e tu hai me. Dawn ha Andrew. Buffy ha tutti noi e il suo boyfriend di turno. Ed è la cacciatrice. È il suo destino. Ma Willow…? Willow non ha nessuno e lo sa. Non so quanto sia disposta ad andare avanti in questo modo. E io non voglio seppellire un’amica. Le vite degli esseri umani sono così brevi…”

 

Xander avrebbe voluto suggerire che Anya stava certamente esagerando e che loro ci sarebbero sempre stati per Willow, ma Anya sembrò leggergli nel pensiero. “Noi non siamo abbastanza per lei. Ha bisogno di qualcosa di più. Ha bisogno di innamorarsi e di tornare a vivere. E quindi ha bisogno di Tara.”

 

Il tono di Anya gli sembrò così risoluto e triste che Xander sentì i suoi occhi inumidirsi di lacrime trattenute. “Tu chi sei e che ne hai fatto della mia fidanzata?” Disse con finto orrore, cercando di nascondere le lacrime. Poi tornando serio: “È incredibile il rapporto che avete sviluppato negli ultimi anni tu e Will. Come ho fatto a non accorgermi che stavate diventando amiche?”

 

“Forse perché non sapevi dell’incantesimo di protezione che ha fatto su di me e sul negozio. Lei lo chiama il buttafuori magico. E tante altre piccole cose. Mi ha aiutata molto a scendere a patti con la mia umanità.”

 

“Mhmm? E come funziona? L’incantesimo, intendo. La tua umanità la conosco bene,” disse Xander alzando le sopracciglia in modo provocante, un sorrisetto che prometteva peccati appena abbozzato sulle labbra.

 

Anya lo colpì scherzosamente sul braccio. “Smettila di lanciarmi quelle occhiate almeno fino a quando non potremo fare di nuovo sesso,” disse in modo acido. Ma il sorriso che a malapena riusciva a trattenere, raccontava una storia diversa, fatta di complicità e profondo apprezzamento della parte umana della sua nuova natura. Poi tornando all’incantesimo: “Mettiamola così: non farmi mai sentire minacciata qui dentro, se non vuoi trovarti scaraventato fuori della porta da una forza che non puoi vedere ma che potresti davvero sentire.”

 

“Non lo farei mai.” Xander si tese in avanti e le accarezzò una guancia. Anya si accostò con il viso alla sua mano, un’espressione dolce sul volto. “Lo so,” disse teneramente. Poi con frustrazione: “Voglio fare sesso. Che senso ha scambiarsi tutte queste coccole se  poi non le si possono finalizzare in un orgasmo?”

 

Xander si alzò e le si accosto. “Presto, tesoro. Appena Caitlin dirà che possiamo, recupereremo tutto il periodo d’inattività,” le sussurrò all’orecchio. Si chino su di lei e la baciò. Un bacio lungo e appassionato che li lasciò entrambi con lo sguardo sfocato e il respiro ansante.

 

“Promesso?” Chiese Anya appena potè parlare di nuovo.

 

“Promesso.”

 

Anya sorrise felice. Xander guardò il suo orologio e annunciò che era ora di tornare al lavoro proprio mentre il campanello sopra la porta annunciava l’arrivo di un cliente. Xander raccolse le chiavi della macchina, dal tavolo e diede un ultimo bacio ad Anya, ma molto più casto. “A proposito, non mi hai ancora detto come farai a convincerle a lavorare assieme.”

 

“Semplice. Le convincerò separatamente e non dirò all’una di averlo chiesto anche all’altra,” disse Anya, alzandosi dal suo posto per servire il cliente appena entrato.

 

“Sarà divertente, se sopravviveremo alla furia della nostra strega residente.” Xander scosse la testa un po’ divertito e un po’ preoccupato, avviandosi verso l’uscita proprio mentre il campanello risuonò un’altra volta. Willow entrò con calma nel negozio, il portatile a tracolla, sorreggendosi al bastone, mentre Anya andò a servire il cliente in attesa.

 

“Hey, Will! Sei parecchio in anticipo,” la salutò Xander, abbracciandola brevemente, prima di staccarsi da lei per  guadagnare l’uscita. “Giornata umida, oggi. Scusa ma devo scappare. Buon lavoro.”

 

“Mi stavo annoiando a casa,” disse Willow mentre lo guardava uscire. Per qualche motivo le era parso di notare del sarcasmo nell’augurio di Xander. Decise di lasciar perdere, almeno per il momento. Passò di fronte al bancone dietro cui Anya stava discutendo con  un cliente, gesticolando platealmente di fronte alla sua faccia. La salutò con un gesto della mano, facendo segno che sarebbe andata di sotto. Anya contraccambiò il cenno prima di ritornare la sua attenzione all’uomo che le stava di fronte. “È proprio sicuro di volere delle ali di libellula-drago? Perché di solito si usano solo per fare pomate per l’accrescimento del pene e se lei ne ha bisogno deve averlo molto piccolo e non essere in grado di soddisfare il suo partner d’orgasmi. E forse potrei averle finite. Dovrei prendere la scala e controllare e sono incinta di otto mesi…”

 

Willow si fermò di fianco ad uno degli scaffali con un sorriso divertito. Immaginava la faccia del cliente di fronte alla crudezza e alla mancanza di tatto di Anya. Però capiva perché Anya volesse scoraggiare il cliente dal suo acquisto. Le ali di libellula-drago era tra le merci meno richieste del negozio e per questo erano state riposte in alto, sull’ultimo ripiano dello scaffale sotto cui si trovava lei ora, inaccessibile ad un ex-demone incinta di otto mesi. O a una ragazza storpia. A meno che non fosse una strega.

 

Willow si appoggiò in modo più fermo al bastone. Con un pizzico di telecinesi tirò giù il vaso che conteneva le ali di libellula-drago e lo fece volare discretamente in direzione del bancone, attenta che fosse fuori dalla vista del cliente. Quando il vaso ebbe percorso metà del tragitto, attirò l’attenzione di Anya che stava andando avanti con il suo monologo e le fece cenno con il capo di guardare verso il basso. Anya portò le mani sotto il bancone e sentì il vaso arrivarle dritto in mano.

 

“…bè, comunque se è ancora interessto alle ali di libellula-drago, ne ho proprio qui,” disse al cliente ormai stordito, mentre dirigeva un sorriso di gratitudine verso Willow.

 

La strega lo ricambiò con un cenno del capo e si ridiresse verso l’entrata dello scantinato, accompagnata dalla voce dolce di Anya che eruttava i soliti commenti completamente privi di tatto.

 

“Non stia lì imbambolato. Quanto ne vuole? …arrivederci e porti ancora i suoi soldi qui da noi! Buoni orgasmi! Spero che il suo pene…”

 

Willow ringraziò la Dea che il resto di quella frase fu attutito in una serie di sillabe indistinte dai muri che portavano alo scantinato, mentre scendeva con attenzione la scala che portava alla postazione computer della Scooby Gang.

 

 

 

Willow era al lavoro già da un’ora e mezza. Aveva collegato il suo portatile agli altri due terminali presenti nello scantinato, aggiornato la rete, mandato le routine antivirus e aggiornato e controllato che i siti della Scooby Gang e della Angel Investigations fossero operativi nel modo corretto in tutte le loro funzioni, soprattutto in quelle non accessibili al pubblico.

 

Poi aveva controllato la propria posta elettronica e risposto ai messaggi più urgenti, ripromettendosi di rispondere a gli altri quella sera stessa nel comfort della sua stanza a casa. Del resto era lì che svolgeva quasi tutto il suo lavoro di programmattrice, quello stesso lavoro che le garantiva i soldoni.

 

Infine aveva battuto i rapporti, lavoro che le aveva portato via non più di tre quarti d’ora, grazie alla sua mente pronta, una memoria prodigiosa anche per i dettagli più insignificanti e una velocità quasi supersonica nel battere sui tasti.

 

Finito il lavoro Scooby aveva deciso di rilassarsi sprofondando più comodamente nella poltroncina da ufficio su cui era seduta, rileggendo con calma ciò che aveva scritto, per essere certa di non aver messo notizie che non volevano finissero all’attenzione del Consiglio degli Osservatori e di non averne omesso delle altre che era necessario Giles sapesse per poter prestare il suo aiuto.

 

“Credo che vada bene,” disse tra sé quando ebbe finito di rileggere le dieci pagine di rapporti, foto allegate e richieste d’informazioni riguardanti l’ordine di vampiri che avevano incontrato la notte prima e il demone che i vampiri avevano invocato. Forse l’ordine era andato disperso dopo che lei aveva distrutto il loro Maestro ma era meglio non rischiare, per non avere brutte sorprese in futuro.

 

Willow posò il dito sul mouse digitale del portatile e portò la freccia  sopra l’icona di una bustina. Cliccò sul tasto blu sotto il mouse e il programma di posta si aprì. Inserì l’indirizzo di Giles nell’apposita barra e cliccò sul tasto di invio. “Buon viaggio, piccola!”

 

L’e-mail era partita. Sorrise soddisfatta.

 

Dio, come le piacevano i computer. Non le pareva vero che tre anni prima Giles avesse fatto per sé un account di posta elettronica. Rendeva tutto molto più semplice. Non c’era più bisogno di lunghe e costose telefonate quando avevano bisogno di informazioni dal loro ex-mentore, o di aspettare giorni per ricevere poche pagine fotocopiate da un vecchio e polveroso libro. Non che Willow avesse problemi con i libri antichi e polverosi; anzi le piacevano abbastanza. Dei libri le piacevano la consistenza delle pagine, la ruvidezza della pelle di certe copertine antiche, l’odore di polvere e colla; la sua natura di secchiona anelava alla conoscenza, da qualunque fonte provenisse. E più la fonte era ricca di auctoritas e più lei l’apprezzava. Però una giornata era fatta di sole ventiquattro ore, e talvolta non avevano molto tempo da perdere dietro a lunghe ricerche o a sfogliare libri leggendo tutto per ottenere poche informazioni utili, soprattutto quando avevano un’apocalisse imminente dietro l’angolo.

 

Be’, lei lo aveva pure, ma era solo un ingranaggio nella complessa ruota della lotta contro il male e neanche il più importante. Spesso Buffy doveva agire in fretta, seguire il suo istinto. D’altra parte, però, gettarsi in una battaglia senza conoscere il proprio opponente era una pessima strategia. Buffy era forte, ma poter usufruire di un po’ di intelligence non guastava. Seguendo questa logica erano nati gli scambi di e-mail con Giles, oltre quelli già esistenti e molto fitti con la Angel Investigations e con altre fonti più volubili ma non meno utili; seguendo quello stesso principio avevano fondato l’archivio elettronico di tutti i casi e di tutte le creature che i due team avevano affrontato, in modo da poter raffrontare in maniera efficace le informazioni. Willow aveva addirittura creato due siti internet, uno per Angel ed uno per gli Scoobies, con tanto di  ‘threading board’ per lasciare messaggi in caso di bisogno. Entrambi i team potevano accedere reciprocamente al sito web degli altri, ma non potevano modificare che il proprio.

 

A parte lei ovviamente, se avesse voluto. Avere delle backdoor era il privilegio del webmaster, o della webminstress, in questo caso.

 

Mentre rifletteva sui cambiamenti che la tecnologia aveva apportato negli anni nella loro lotta contro le forze del male, Willow digitò alcuni comandi sulla tastiera del suo laptop ed aprì un piccolo programma che le aveva mandato un hacker messicano suo amico. Be’, amico era una parola un po’ forte, visto che non lo aveva mai incontrato e si erano parlati solo in qualche chat. Ma si erano scambiati molti consigli e diversi programmi e la loro collaborazione era stata abbastanza fruttuosa negli ultimi sedici mesi, tanto che Willow pensava di potersi fidare abbastanza di lui.

 

Ora era ansiosa di provare questa ultima novità che le aveva inviato e constatare da sé se davvero era così efficace come Nuevo Bandido, questo era il nome dell’hacker, le assicurava essere. Il programma era di tipo Tracer, in grado di seguire una traccia elettronica ovunque, nonostante tutti i mascheramenti possibili. Almeno così le assicurava Nuevo Bandido.

 

Lanciò il programma e impostò la nazione di partenza sul cursore del prompt. La scritta USA lampeggiò per un paio di secondi come una parola abbandonata al suo destino in un mare di pixel. Pochi istanti dopo, una cartina stilizzata degli Stati Uniti si dispiegò sotto i suoi occhi. Un cursore lampeggiava in basso a sinistra e appena sopra una voce apriva una piccola finestra di opzioni. Willow immise le opzioni che desiderava e il nome Sunnydale nel cursore. Dopo aver specificato lo stato e la città di origine del segnale, apparve un puntino rosso  sulla sinistra della mappa a segnare la posizione e la scritta ‘Sunnydale, CA’ appena sopra. Una linea rossa partì da Sunnydale verso nord, subito seguita da una blu, che iniziò a propagarsi seguendo l’e-mail che aveva spedito a Giles attraverso i vari snodi della rete, sovrapponendosi alla linea rossa. Al confine nord una cartina del Canada sostituì quella degli Stati Uniti. A Vancouver il messaggio elettronico lasciò il continente nord-americano e la cartina sparì dallo schermo per alcuni secondi per essere rimpiazzata quasi per magia da una della Gran Bretagna. A Willow sembrò piuttosto ironico che il suo messaggio entrasse nella terra d’Albione attraverso Dover. Abbastanza clichè. La linea blu continuò a seguire gli snodi elettronici fino a una piccola località a circa 60 miglia a nord-est di Londra.

 

Direttamente nella tana del dinosauro, pensò Willow, riconoscendo la località come quella che, a detta di Giles, ospitava la fortezza-QG degli Osservatori. L’intero percorso non era durato più di un minuto.

 

Ma ora arriva la parte divertente, si disse, mentre una linea verde rifaceva il percorso all’inverso sotto il suo sguardo, sovrapponendosi e cancellando mano a mano quella blu. Non appena la linea verde toccò il puntino rosso che segnava Sunnydale sulla mappa elettronica, si aprì sullo schermo una finestra con su scritti una serie di numeri, raggruppati sotto delle sigle comprensibili solo per chi avesse una certa confidenza con il linguaggio macchina.

 

Willow sorrise soddisfatta. Ora il computer che Giles stava utilizzando era suo. Ogni computer attivo su quella rete era suo, in realtà. Poteva leggere e vedere ogni documento che fosse aperto al momento su quel terminale. Poteva vedere i documenti aperti su ogni terminale collegato a quello. Con un po’ di violenza virtuale poteva aprire qualsiasi documento di quella rete. Volendo avrebbe potuto contaminare l’intera rete con un virus. Decise di concentrarsi sul terminale su cui era arrivata l’e-mail e di dare un’occhiata agli studi che Giles stava facendo in quei giorni, così per divertimento. Digitò alcuni tasti  creando una copia virtuale della schermata di codici e iniziò a modificarla. Quando fu soddisfatta, mantenne la schermata in background e richiamò una finestra su cui copiò parte dei codici modificati. Una lista delle finestre aperte sul terminale di Giles apparve sotto i suoi occhi.

 

Prima che potesse leggere la lista una voce la distrasse dallo schermo, facendola trasalire leggermente.

 

“Non hai ancora finito?” L’ex-demone la guardava dall’entrata dello scantinato, le braccia incrociate mollemente sopra l’evidente gravidanza.

 

“Anya! Non dovresti apparire alle spalle di una strega in questo modo,” le disse seccata dall’interruzione. “Potrebbe essere pericoloso.”

 

“Minaccia vecchia,” controbattè Anya con noncuranza. “Sbrigati, che devo parlarti. Ti aspetto di sopra quando hai fatto.” Il suono del campanello d’entrata del negozio si propagò dall’entrata del negozio. “Il capitalismo chiama.” Anya sparì con un sorriso contento.

 

Willow seguì con uno sguardo tra l’annoiato e il divertito Anya che saliva faticosamente su per le scale. Quando l’ex-demone non fu più in vista, tornò a concentrarsi sullo schermo, mettendo da parte per dopo qualsiasi pensiero concernente i motivi per cui Anya volesse parlarle.

 

Tornò a guardare la lista delle finestre aperte sul terminale di Giles.

 

- Demonis Inferibus Codicillo: indice ragionato

 

- Watcher’s Mail: Rupert Giles

 

- Rapporti dagli Scoobies

 

- Note personali

 

- Watcher’s Word Pad

 

Cinque finestre tutte in una volta, Willow era quasi stupefatta. Che Giles avesse davvero imparato a padroneggiare gli strumenti telematici a disposizione del Consiglio? No. Se così fosse avrebbero dovuto esorcizzarlo.

 

Scorse velocemente la lista spinta dalla curiosità. Scartò il Demonis Inferibus Codicillo senza degnarlo neanche di un occhiata. Ne aveva una copia, e trovava lo stile di scrittura del monaco armeno del sesto secolo che l’aveva scritto terribilmente noioso e banale. Scartò anche l’idea di spiare nella posta di Giles. Non aveva voglia di leggersi le comunicazioni di servizio che si mandavano tra loro quei boriosi bastardi. E per quanto riguardava i rapporti della Scooby Gang, li supervisionava lei stessa il novantacinque per cento delle volte, quando non li scriveva su quello stesso computer, quindi sapeva già cosa c’era scritto.

 

Le altre due voci le parvero subito più interessanti. Le note personali di Giles e quello che appariva essere un documento di scrittura non ancora classificato e salvato. Willow decise di dedicare un po’ di tempo alle note. Battè alcuni tasti e vide apparire un documento di scrittura tipo il word della Microsoft. Con una veloce occhiata attraverso il documento constatò che Giles non aveva messo alcun indice al documento, ma una scritta in alto sulla titolazione della pagina catturò la sua attenzione.

 

 

 

D:/giles/notepersonali/buffysummers

 

Un sospetto le balenò in mente. Digitò velocemente sui tasti, forzando il documento affinchè retrocedesse fino alla sua sub-directory senza che il documento sul terminale di Giles venisse alterato. Sullo schermo apparvero una serie di voci in ordine alfabetico. Ognuna recava il nome di un membro della Scooby Gang o della Angel Investigations. Willow sentì un rivolo di sudore freddo scenderle giù per la schiena e come se delle dita gelide le serrassero la nuca. Rabbrividì.

 

Scorse il cursore con il mouse digitale del suo laptop e i capelli dietro il collo le si rizzarono quando vide il suo nome in fondo alla lista, tra gli ultimi. Il senso di tradimento che provò le si restrinse in un nodo alla bocca dello stomaco, ma si costrinse ad ignorarlo fino a che non fosse stata certa che in quel documento non ci fosse stato qualcosa di realmente brutto su di lei.

 

Con dita tremanti batte il proprio nome nella directory, sbagliandone lo spelling tre volte prima di riuscire a scriverlo correttamente. Willow Rosenberg. Poi si accorse che aver scritto correttamente il proprio nome non era la cosa giusta da farsi. Apportò le necessarie modifiche finchè la directory non fu scritta nel modo corretto.

 

 

 

D:/giles/notepersonali/willowrosenberg

 

 

 

Quello che si trovò di fronte era una specie di diario. Iniziò a leggere a caso, per farsi un’idea del contenuto del documento, aprendo alcuni sub-folders senza nessun criterio logico.

 

 

 

Una delle cose più tristi che riguardano Willow Rosenberg è che abbia posto in secondo piano le sue naturali e ipersviluppate capacità nella ricerca a favore di un’infatuazione per la magia.

 

(…)

 

Ho sempre creduto, vista l’assoluta affidabilità di Willow, che il fatto di trafficare con la magia non fosse altro che una fase nella sua crescita come giovane donna di cui si sarebbe stancata presto.

 

(…)

 

Visto l’approccio inaffidabile con le arti che sembra avere scelto, se non accadrà qualcosa che cambi il mio punto di vista, sono pronto a proibirle di continuare nelle sue sperimentazioni.

 

(…)

 

Willow Rosenberg, una volta completato il suo sviluppo mentale,  ha tutte le capacità per essere uno dei migliori Osservatori mai esistiti, se volesse. L’unico ostacolo sembra essere la sua volontà di continuare a giocare con le forze arcane. I continui pericoli a cui siamo stati esposti mi hanno impedito dal dissuaderla dal continuare. Per fortuna sembra avere scarso talento a contrastare un  potere di discreta entità, e quindi anche i danni che ne risultano sono piuttosto limitati.

 

(…)

 

Willow lesse con un senso di tradimento crescente le entrate del diario personale di Giles. Tra lei e l’ex-osservatore di Buffy i rapporti si erano deteriorati dopo la seconda resurrezione della Cacciatrice, di cui Willow era stata protagonista assoluta, ma non immaginava Giles capace di simili meschinità. Scorse velocemente il documento fino ad arrivare alle entrate del periodo della loro battaglia con Glory e della morte di Buffy.

 

 

 

Oggi è successo  un avvenimento terribile. Nella sua ricerca della Chiave, la dea infernale Glorificus ha letteralmente succhiato la mente di Tara Maclay, la ragazza di Willow, lasciando la giovane e gentille strega  in uno stato di follia e confusione profonda. Il processo è irreversibile, almeno  secondo le cronache. Questo conferma la mia supposizione di un suo bisogno, perlomeno parziale, di un qualche tipo di nutrimento. È probabile, se la mia asserzione riguardo  questo suo bisogno si dimostrerà corretta, che Glorificus sia legata ad un ospite umano, e che abbia bisogno di nutrirsi di onde cerebrali, per così dire, per compensare il degrado a cui la mente dell’ospite va soggetta a causa della vastità dei suoi poteri infernali.

 

Ma quello che mi stupisce di più è la mia stessa cecità nei confronti di Willow. La giovane strega, dando sfogo alla sua frustrazione per le condizioni della sua amica si è imbarcata in una disperata crociata di vendetta. Ha usato degli incantesimi molto potenti e molto oscuri e ha quasi perso la vita nello scontro, seppure sia riuscita a tenere testa e addirittura fare male a Glorificus. L’intervento di Buffy le ha comunque risparmiato una fine prematura.

 

La grossolanità del mio errore è imperdonabile. Mai avrei creduto che nella giovane si celasse tutto quel potere e la capacità di controllarlo. La cosa mi spaventa a tal punto che vorrei chiederle di abbandonare il sentiero che sta seguendo e rinunciare per sempre alla magia, ma sono costretto a riconoscere che al momento è l’arma più potente di cui disponiamo, seppure altrettanto oscura ed imprevedibile quanto il male che combattiamo. Io lo so bene. Forse dovrei abbandonare queste speculazioni morali. In fondo non sappiamo se sopravviveremo anche a questa apocalisse. Nel caso non ce la facessimo, il tutto diverrebbe accademico, compresa la rovina dell’anima pura di Willow.

 

(…)

 

Willow continuò a leggere per diverso tempo. Ogni entrata di quella specie di diario era come una pugnalata al cuore. Giles commentava i fatti più importanti della sua vita con freddezza clinica, riportando tutto ad una possibile delusione e fragilità psicologica da parte sua. I suoi commenti ai fatti avvenuti quando Giles era a Sunnydale era terribile. I momenti da lei vissuti durante tutto il periodo della battaglia contro Glorificus; le sconfitte e le piccole vittorie; la fuga dai cavalieri dell’ordine di Bizantium; la cattura di Dawn; la morte di Buffy e tutto quello che aveva rappresentato per lei. Tutto, fino all’abbandono di Tara. Ma quella successiva era anche peggio. Nulla era stato risparmiato. Né la sua discesa negli inferi danteschi della magia nera, resurrezione di Buffy e dipendenza comprese, né le cose che aveva fatto successivamente, per quanto sembrasse che Buffy non avesse rivelato proprio tutto quello che sapeva.

 

Willow pensò che Buffy doveva essersi sentita molto giù e che avesse bisogno che il suo mentore la rassicurasse. E di certo non poteva parlarne con la sua migliore amica, visto che la sua migliore amica era il problema. E quindi si era rivolta a Giles per avere consiglio. Non ce l’aveva con lei per questo, ma vedere i peggiori avvenimenti della propria vita dissezionati con occhio critico non le piaceva affatto. Per quello mi basto da sola, si disse. E per di più non riusciva a togliersi dalla testa che forse, in qualche modo Giles avesse ragione. Almeno per il suo passato. Il senso di colpa ne era stata una parte importante. Lo era ancora a dire la verità. Ma Giles sbagliava nel pensare che Willow fosse la stessa incosciente che era stata durante la sua adolescenza. Il dolore e la perdita l’avevano cambiata e fatta maturare più di quanto lei stessa credeva possibile. E invece cos’è che diceva Giles?

 

Tornò indietro alle entrate risalenti ad un anno fa circa e la scorse velocemente con gli occhi fino a quella che le interessava.

 

La nuova abitudine di Willow di ‘imbottigliare’ i suoi incantesimi e di lasciare ad altri il compito di utilizzarli- per quanto manifesti un’accresciuta capacità di dominare le arti bianche- dimostra ancora una volta ad un atteggiamento irresponsabile da parte sua. Non posso fare a meno di pensare che questa strega così dotata sia in realtà, nel profondo, solo una ragazzina terrorizzata dalla battaglia che ha trovato una nuova scorciatoia. Ma se è davvero così, allora sarebbe meglio che smettesse di dare il suo aiuto per tenere chiuso l’Hellmouth, prima di diventare una minaccia se non maggiore, uguale a quella che era quando praticava la magia nera e che in un istante di rabbia ha quasi distrutto il tessuto del mondo stesso. Nessuna tortura giustifica il rischio in cui mette i suoi amici e l’intero genere umano.

 

 

 

Willow scosse la testa prima di tornare a fissare lo schermo con furia glaciale. Ancora convinto che io sia una dilettante, vero Rupert? Che non abbia imparato nulla. Credi davvero che metterei in pericolo la mia famiglia? Che non sia andata di ronda per due anni per paura? Davvero pensi che affiderei a Buffy o a Xander o a Dawn una boccetta con un incantesimo se non pensassi che non fosse più che sicuro? Non permetterei mai che capiti qualcosa alla mia famiglia. Non se posso impedirlo. Dovesse costarmi anche la vita! Nulla di male accadrà loro. Non dopo la vergogna di non aver saputo proteggere né Dawnie né Buffy.

 

Le lacrime scesero liberamente per le guancie di Willow. La giovane hacker non si era neanche accorta di stare piangendo.

 

 

 

Rupert Giles si pulì gli occhiali con la cravatta rossa regimental che indossava con il consueto completo di tweed. Era almeno la decima volta da quando si era seduto davanti al terminale che ripeteva quello che qualcuno riteneva un suo gesto nervoso.

 

Giles odiava i computer. Li odiava visceralmente. Erano macchine senza anima. Almeno fino a quando non venivano possedute da qualche demone. Erano fatte per far impazzire gli studiosi seri e per togliere ogni piacere alla conoscenza. Una comoda scorciatoia per qualcosa che si doveva ottenere grazie alla fatica e a sano utilizzo del proprio tempo.

 

Il computer che stava utilizando, insieme a molti altri, era situato in un’apposita stanza nel piano adibito a biblioteca del QG degli osservatori. Lui avrebbe preferito di gran lunga essere seduto in una delle scomode sedie antiche tra gli amati libri nell’altra stanza, che di fronte a quell’infernale marchingegno a perdere il resto della vista e della sanità mentale che possedeva. I libri sì che avevano un’anima. Avevano odore, consistenza al tatto, peso. Avevano bellezza, grazia. Erano come un prezioso lavoro artigianale. E parlavano una lingua che il più delle volte era in grado di capire.

 

Si guardò un attimo attorno e vide che nella stanza erano presenti una ventina di osservatori, tutti molto giovani rispetto a lui e tutti immersi negli schermi con grande interesse. Li osservò lavorare per alcuni istanti. Vedere che non appartenevano alla sua generazione gli diede un po’ di sollievo ma al contempo lo fece sentire vecchio. Inforcò gli occhiali e tornò a concentrarsi sul suo lavoro, rassegnato all’idea di dover passare ancora delle ore di fronte al terminale.

 

Sul suo schermo erano aperte diverse finestre. Su una stava stilando l’indice ragionato del Demonis Inferibus Codicillo, un testo che quasi tutti gli osservatori della sua età conoscevano a memoria e tutti trovavano utilissimo ma oltremodo noioso. Quasi quanto il compito che gli era stato affidato. Lo consolò l’idea di non essere il primo e neanche l’ultimo a dover affrontare quel tipo di compito. C’erano altri testi altrettanto noiosi e qualcun altro ne stava stilando, o ne avrebbe stilato, i riferimenti incrociati. Negli ultimi tre anni Chamberlain, dopo aver assunto la guida del Consiglio al posto di Travers, aveva ordinato che tutti i libri fossero descritti nel database in maniera chiara e di facile consultazione. Giles capiva l’utilità del progetto ma era in quei momenti che desiderava che ci fosse Willow lì con lui, ad occuparsi del computer, come era sempre stato in  passato. Ma i suoi rapporti con la giovane strega erano a dir poco pessimi, ormai.

 

Giles salvò e chiuse alcune delle finestre di appunti aperte sul terminale e decise di aprire la sua casella di posta per distrarsi un po’ dall’arzigogolata prosa latina del monaco armeno del sesto secolo AD che aveva composto il Codicillo.

 

Vide che aveva due messaggi in entrata di grandezza molto diversa. Mentre aspettava che fossero stati scaricati nella casella andò a prendersi un caffè ad una delle macchine automatiche poste in un angolo dell’ampio salone, una delle poche concessioni alla modernità, a parte i computer, di tutto quel piano. Ritornò appena in tempo per vedere il cursore completare il suo percorso che significava il termine del download dei due messaggi. Mentre si sedeva al suo posto lo schermo sembrò tremolare per un istante e poi tornare normale. Giles imprecò tra i denti. “Maledetta macchina! Cosa avete contro i telefoni e le lettere?”

 

Poi rassegnato a dover trattare con la tecnologia, si risolse a leggere la posta appena arrivata. I due messaggi portavano la stessa dicitura nella casella Oggetto: <<Rapporti dagli Scoobies>>.  Uno, il più piccolo, era di Xander. L’altro era di Willow.

 

Giles decise di leggerli immediatamente, prima di salvarli nell’apposita cartella che uno degli osservatori più giovani aveva creato per lui su sua richiesta. Gli Scoobies, soprattutto per volontà di Buffy, avevano fatto in modo di tenerlo al corrente di ciò che accadeva sull’Hellmouth da quando se ne era andato. Giles sospettava che fosse un modo di tenere lontano il Consiglio dai loro affari, oltre che un modo per non escluderlo completamente dalla squadra e di avere informazioni a cui, altrimenti non avrebbero potuto avere accesso.

 

Iniziò con quello di Xander, sperando di farsi un’idea in sintesi degli eventi che volevano raccontargli.

 

Il messaggio era di numerose pagine. Iniziò a leggere prima di comprendere che non gli sarebbe stato di nessuna utilità. Scosse la testa deluso. Ha caricato un’altra volta le registrazioni della ronda. Ci metterei delle ore a capire se hanno bisogno di qualcosa. Per fortuna Willow ha spedito il proprio rapporto, si disse. I loro rapporti potevano essere tesi, ma Giles non aveva motivo di lamentarsi delle capacità di chiarezza ed ordine dei rapporti della giovane strega.

 

Di fatti quando Giles passò al secondo messaggio vide subito che, nonostante le dimensioni, era scritto in modo chiaro e ordinato. Guardò le foto allegate e lesse il resoconto della ronda avvenuta un paio di sere prima. La prima sorpresa fu che Willow vi aveva preso parte. Da quanto ne sapeva lui Willow non andava più di ronda da almeno due anni. Registrò quell’informazione ma la dismise in fretta. Pensò che forse, con il matrimonio di Dawn così imminente, avessero pensato che andare in forze fosse la cosa migliore da farsi.

 

La seconda sorpresa fu che Willow aveva messo in fuga numerosi vampiri e un demone. Questa notizia suscitò una maggiore attenzione e un senso di timore profondoin lui, ma quando vide dalla descrizione degli incantesimi utilizzati che non aveva utilizzato la magia nera si rilassò notevolmente, per quanto il solo fatto che Willow continuasse a praticare le arti dopo tutto quello che era successo in passato lo disturbasse non poco. Lo stesso Giles, nei suoi folli anni giovanili, quando era Ripper l’adoratore del caos, il proselita di Eyghon, era stato uno stregone nero di notevole talento. Aveva usato la magia nera a suo piacimento e aveva scoperto a caro prezzo che l’unico modo di rinunciare al potere era farlo interamente, senza mezze misure. Per questo nel corso dei suoi anni come osservatore di Buffy raramente si era concesso il lusso di fare incantesimi e sempre per assoluta necessità e di mala voglia. Quando Willow aveva dimostrato una certa predisposizione per le arti aveva passato volentieri a lei quella parte dei suoi compiti, sempre senza alcuna intenzione di addestrarla per farla divenire più potente, perché più potere si ha e più è il rischio di venire corrotti. Ora si pentiva di entrambe le decisioni. Avrebbe dovuto imporsi. Impedirle di praticare anche il più semplice degli incantesimi.

 

Nonostante tutto ciò, la curiosità prese il sopravvento. Quali incanti conosceva Willow così forti da mettere in fuga un clan di vampiri e un demone che non fossero magia nera? Si giustificò dicendosi che era nella sua natura di intellettuale voler sapere. Cercò di scacciare dalla sua mente ciò che gli aveva detto Ethan Rayne, quando aveva deciso di rinunciare alla magia: una volta stregone, per sempre stregone.

 

Proseguì con la lettura, le sue labbra che si muovevano in un mormorio monotono mano a mano che le parole gli correvano sotto gli occhi.

 

Quando ebbe terminato non seppe se dover essere più sollevato o arrabbiato. Willow aveva usato dei fuochi artificiali e aveva fatto credere ai vampiri di poter evocare la luce solare in piena notte. Esisteva un incantesimo per farlo e una volta Willow e Tara lo avevano usato. Ma se ce l’avesse fatta da sola significava che i suoi poteri erano enormemente accresciuti. Comunque i vampiri le avevano creduto e si erano dati alla fuga quando avevano visto la luce e avevano dato a lei, Xander e Buffy il tempo per ritirarsi. Giles non riusciva a credere che Willow avesse fatto correre ai suoi amici un rischio così grande. Se solo uno dei vampiri non avesse abboccato al suo bluff le conseguenze sarebbero state terribili. Doveva esserci un altro modo! Perché Willow non l’aveva cercato? Perché continuava a considerare la magia un gioco?

 

Comunque quello che era stato non poteva essere cambiato. Si ripromise di chiamare Buffy per convincerla ad impedire a Willow ad andare di ronda almeno fino al suo arrivo per il matrimonio di Dawn. Meglio ancora, mai più.

 

Gli eventi della ronda come li spiegava Willow davano comunque l’idea che qualcosa di brutto si stesse muovendo a Sunnydale, ma una parte della sua mente non riusciva a non pensare che il fatto che Willow fosse tornata di ronda e il suo ruolo nella messa in fuga del clan di vampiri e del demone non fosse così fortuito come lei lasciava intendere.

 

Premette il comando di stampa e si mise in attesa che il messaggio e le foto uscissero dall’infernale macchina, con l’idea di cercare più tardi le informazioni richieste. Non avrebbe certo lasciato Buffy senza informazioni solo perché pensava che la sua migliore amica era un’incosciente.

 

Per di più quando leggeva le e-mail di Willow aveva sempre l’impressione che una parte della verità gli venisse nascosta.

 

Giles si tolse gli occhiali e si strofinò le palpebre per scacciare quel pensiero. Sapeva che se c’era una verità ulteriore Willow non gliela avrebbe mai detta. Non si fida più di me da molto tempo, pensò tristemente. È ora di tornare

 

al lavoro. E gli altri avrebbero taciuto per rispetto verso Willow. Testardi e protettivi l’uno con l’altro. Come una vera famiglia. O come un clan di vampiri.

 

Quando anche l’ultimo foglio fu uscito dalla stampante, Giles prese il mouse in mano e chiuse la finestra contenente l’email di Willow. Il messaggio scomparve lasciando il posto all’e-mail sottostante di Xander. Per un attimo fu tentato di chiuderla senza leggerla, ma poi fu colto dagli scrupoli. Andò direttamente alla fine del messaggio nella speranza che Xander avesse scritto qualcosa che gli facilitasse la lettura o giustificasse il suo desiderio di archiviarlo senza leggerlo. Quello che vi trovò fu al contempo illuminante ed irritante. E spaventoso.

 

Hey, G-man, come te la passi  nella piovosa Inghilterra? Spero che tu stia bene. Scusa se ho mandato di nuovo le trascrizioni automatiche delle registrazioni, ma io non sono bravo come Willow con ‘sti cosi. A proposito della nostra strega streghetta residente…Visto che forza? È davvero forrrrrrrrrrte! Ha distrutto almeno venti vampiri, tutto da sola. Ci crederesti che quelle boccette erano ferme nel furgone da almeno due anni? La nostra Willow ha imparato a fare gli incantesimi a lunga scadenza. Che dici, dovrebbe commercializarli?

 

Ora ti lascio, Anya mi aspetta di sopra per parlarmi. La gravidanza la rende nervosa. Deve essere perché un ex-demone non si aspetta di rimanere incinta come un comune essere umano.

 

Ci vediamo tra un paio di settimane al matrimonio di Dawn.

 

XXX See u man! XXX

 

Xander

 

Giles si tolse gli occhiali e li pulì meticolosamente ancora una volta, per quanto non fosse necessario. Quindi se li rimise e rilesse il messaggio finale di Xander.

 

Poi lo rilesse di nuovo.

 

E di nuovo.

 

E di nuovo.

 

Fino a che quelle parole non gli si furono impresse nella memoria come un marchio a fuoco.

 

Ha distrutto almeno venti vampiri, tutto da sola. Ci crederesti che quelle boccette erano ferme nel furgone da almeno due anni?

 

Prese la tazza di plastica del caffè ormai freddo e lo bevve per darsi forza.

 

Ha distrutto almeno venti vampiri, tutto da sola. Ci crederesti che quelle boccette erano ferme nel furgone da almeno due anni?

 

Riappoggiò la tazza vuota di fianco al mouse. Non si accorse nemmeno di averla stritolata tra le dita tremanti.

 

Ha distrutto almeno venti vampiri, tutto da sola. Ci crederesti che quelle boccette erano ferme nel furgone da almeno due anni?

 

Quella frase lo fissava dallo schermo come minacciandolo e irridendolo.

 

Ha distrutto almeno venti vampiri, tutto da sola. Ci crederesti che quelle boccette erano ferme nel furgone da almeno due anni?

 

Quelle parole avevano occhi verdi che divenivano pupille nere e malevole, nella sua mente. Avevano voce gracchiante e toni di scherno. Avevano poteri magici che potevano porre fine al mondo per capriccio.

 

Ha distrutto almeno venti vampiri, tutto da sola. Ci crederesti che quelle boccette erano nel furgone da almeno due anni?

 

Giles tornò freneticamente all’inizio del messaggio. Iniziò a leggere con un senso di ansia crescente. Sorvolò velocemente la parte iniziale della ronda e l’incontro con il vampiro di sentinella. Scorse le parole alla ricerca della battaglia che doveva essersi svolta.

 

Willow che sparava.. Buffy che combatteva contro i vampiri, abbattendo i primi con la pistola. Buffy che dai rumori passava al corpo a corpo e faceva battute sarcastiche nei loro confronti. No, non ancora. Non era quello che lo interessava. Buffy che ordinava l’Omega Uno. Dovevano trovarsi proprio in una brutta situazione.

 

Willow che lanciava incantesimi. Ecco ci siamo, pensò.

 

Prego la forza del tornado di proteggermi.

 

 “Oh mio Dio!” Esclamò Giles ad alta voce. “Non è un incantesimo! Ha richiamato un elementale del vento!”

 

Molti volti nella sala si girarono a guardarlo, ma Giles neanche se ne accorse, tanto era assorto nella lettura. Non sapeva se essere stupito o furioso.

 

Ianua Ianualis aperio claudoque.

 

Una trasmigrazione. Aveva usato una trasmigrazione in battaglia. Quello era un incubo per Giles. Cosa sarebbe arrivato ora? Fin dove si era spinta Willow? Perché gli aveva mentito nella sua e-mail?

 

Prometei, ductori sacri foci, audi me! Flammae purificationis, vivete. Malum devorate! Malum devorate! Malum devorate.

 

L’incantesimo del fuoco vivente di Prometeo! Il fuoco, con l’aria, era l’elemento naturale più instabile. Era difficile controllarlo per la sua natura volatile e altamente distruttiva. Unito al fatto che aveva chiesto l’aiuto del titano che si era ribellato a Zeus…Willow aveva utilizzato un incantesimo di cui pochissimi si fidavano. Se avesse perso la concentrazione, il fuoco vivente avrebbe attaccato tutto ciò che aveva attorno e non solo ciò che avvertiva di malvagio. Doveva essere davvero impazzita.

 

Madre Terra, ascolta questa tua figlia indegna. Imprigiona i nemici di chi lotta nel tuo nome, affinché non subiscano alcun male. Distruggi i demoni che li circondano, sgombra il loro cammino.”

 

Un appello diretto alla Dea! Nessuna offerta! Una semplice richiesta di protezione. Cosa credeva che fosse la Dea? Un poliziotto che doveva fare il suo dovere?

Lux mundi lacerare tenebras. Veneat sol animis puris risplendere.

 

Conosceva quell’incantesimo, ma non era certo. Si guardò attorno per vedere se ci fosse qualcuno nella stanza che potesse aiutarlo. Fortuna volle che in quel momento entrasse nella stanza un anziano Osservatore per cui Giles nutriva un profondo rispetto e che era stato tra i consulenti per le attività dell’Hellmouth per tutto il periodo in cui Giles era stato l’osservatore di Buffy.

 

Giles attirò la sua attenzione con un gesto della mano e lo chiamò ad alta voce, disturbando il quieto ronzio degli hard-disks, con grande disappunto dei suoi giovani colleghi presenti nella stanza. “Brian!”

 

L’anziano osservatore contraccambiò il gesto e rimase un attimo interdetto, senza capire perché Giles continuasse a sbracciarsi nella sua direzione. Poi si diresse verso di lui con il suo passo stanco e un po’ strascicato, che parlava di molteplici, naturali acciacchi, frutto delle sue quasi settantasette primavere.

 

“Salve Brian,”disse Giles, non appena l’anziano osservatore gli fu accanto.

 

“Salve Rupert,” rispose cortesemente Brian.

 

“Voglio farti vedere qualcosa.” Giles gli cedette la propria sedia e indicò lo schermo.

 

Brian strinse le palpebre nel tentativo inutile di focalizzare le parole sullo schermo, mentre si tastava le tasche della giacca alla ricerca degli occhiali. Quando li ebbe trovati li inforcò e i suoi lineamenti si rilassarano. Lesse con attenzione le parole sullo schermo, con crescente meraviglia ed interesse.

 

“Ah, l’incantesimo della luce solare di Marcus Nero Bellatrinus. Molte semplice e molto potente se si conoscono gli ingredienti della pozione, che come tu ben saprai è andata perduta. E qui sotto cosa abbiamo?” Disse continuando a leggere. “La modifica fatta dal suo allievo, Giunius Tertius.” Voltò verso Giles l’intrico di rughe che componevano la sua faccia. “Credevo che anche l’ingrediente per quella modifica fosse andato perduto. Ogni tentativo per ricostruirla ha sempre dato risultati catastrofici, come ben sai, perché la modifica prevede di permettere all’usufruitore di contenere dentro di sé una forza spaventosa come quella del sole stesso. Anche se qualcuno trovasse l’ingrediente giusto dovrebbe essere un praticante molto versato e potente per non venire distrutto dal suo stesso incantesimo.”

 

Giles guardò la breve frase che aveva il potere di rendere uno stregone una batteria solare vivente.

 

In corpore replenire.

 

Una frase così sciocca. Così…breve.

 

In corpore replenire.

 

“Quanto potente?” Chiese seriamente.

 

“Molto. Perché me lo chiedi?”

 

“Ha funzionato,” disse in mogiamente. “La strega che lo ha usato è viva e vegeta.”

 

L’osservatore più anziano guardò lo schermo con occhi ammirati. Un’eccitazione che non provava più da molto tempo si impadronì di lui. “Chi è stato? Possiamo contattarla e chiederle di svelarci l’ingrediente? Ha rapporti di lavoro con noi? Sarebbe disposta a darcene una dimostrazione?”

 

“Non credo che ce lo dirà. A dire la verità non sono neanche certo che abbia usato una pozione per fare la modifica,” disse con tono sconfitto. “È stata la strega rossa, Brian. Questo incantesimo è opera di Willow Rosenberg.”

 

“Oh, mio Dio, Rupert! Hai un bel problema per le mani! Sai cosa devi fare vero?”

 

Giles annuì e mandò in stampa anche il secondo messaggio. Quando i fogli furono impilati sul tavolo, di fianco allo schermo, si preparò a chiudere il terminale sotto gli occhi attenti e curiosi dell’anziano osservatore.

 

“È magia nera?” Chiese come attaccandosi ad una flebile speranza.

 

“Diciamo che Bellatrinus non si guadagnò il nomen di Nero, grande oscuro, per caso. Ma non è detto che la Rosenberg abbia necessariamente usato la magia nera.”

 

Giles annuì di nuovo con aria pensierosa.Sì, davvero sapeva cosa doveva fare. Doveva parlare di tutta la faccenda a Chamberlain. E doveva farlo al più presto. Non oggi forse. Ma domani al massimo. Non poteva rischiare di perdere tempo.

 

Sì, doveva avvisare Chamberlain. E, soprattutto, doveva parlarne al capo della Divisione Affari Hellmouth. Doveva denunciare uno dei suoi ex-pupilli all’unico uomo di cui non si era mai fidato in tutta la sua vita, perché prendesse i provvedimenti del caso. Doveva mettere Willow Rosenberg, uno dei suoi ex-pupilli, nelle mani di Quentin Travers.

 

 

 

Willow appoggiò il cappotto, il bastone e la valigetta del suo portatile sul tavolo delle ricerche e si sedette di fronte ad Anya.

 

Aveva la strana sensazione di sentire ancora lo scatto metallico della porta d‘acciaio che dava accesso allo scantinato dove risiedevano la loro postazione computer e la loro libreria di testi magici pericolosi. La tana dello Scooby Infernale, come la chiamava Xander. Considerando che era lei quella che ci passava più tempo, le sembrava un nome quanto mai azzeccato.

 

Anche oggi vi aveva passato alcune ore. Dopo la visita di Anya aveva letto ancora alcuni passi del diario che la riguardavano. Poi aveva scaricato l’intero file su un cd-rom per poterlo studiare con più comodo a casa. Quindi, quando i suoi occhi avevano iniziato a farle male, aveva deciso di staccare la spina, limitandosi a lanciare una ricerca incrociata sui simboli delle tuniche che i vampiri indossavano. Forse l’aiuto di Giles non sarebbe servito.

 

Quando era tornata di sopra aveva trovato il negozio vuoto e Anya seduta a quello stesso tavolo, visibilmente stanca. Il colloquio con l’ex-demone prometteva di essere tutto meno che invitante. Lei stessa si sentiva piuttosto sfinita dopo le rivelazioni che aveva scoperto frugando nei files di Giles. Il tradimento dell’ex-mentore di Buffy le pesava adosso come un macigno. Non che si fosse aspettata qualcosa di diverso dal sospetto e dal biasimo. Ma il risentimento che le era parso di percepire dietro quelle parole le gravava sull’anima come se un dio spietato avesse deciso di tenere l’esile Willow Rosenberg sotto il suo pesante tallone. Scosse leggermente la testa e si preparò ad ascoltare ciò che aveva da dirle Anya.

 

“Sembri molto stanca anche tu,” esordì, pentendosi immediatamente della banalità di quella frase.

 

Anya le regalò un sorriso tirato. “Lo sono. Non pensavo fosse così dura portare in giro questo pacco,” le rispose, passandosi una mano sopra la pancia.

 

Willow notò, non per la prima volta, un debole sorriso passare per i bei tratti della donna ogni volta che si accarezzava il ventre prominente. Anya poteva non sopportare le limitazioni della gravidanza, ma l’idea che una vita crescesse dentro di lei la rendeva indubbiamente felice. “Sai, ancora fatico a credere che presto sarai madre.“

 

Anya si corrucciò visibilmente. “Già, noi ex-demoni non siamo degni di tanto onore vero?”

 

Il sarcasmo nelle parole di Anya ferì Willow. Quello non era certamente ciò che intendeva. “Non volevo dire questo, Anya. Anzi, sono sicura che sarai una madre stupenda,” protestò Willow debolmente. “Qui se c’è qualcuno che la Dea ritiene non degno di essere madre, sono io,” sentenziò con voce appena percettibile, guardandosi le mani posate sul ripiano del tavolo, che si agitavano nervosamente..

 

Anya ricordò ciò che le aveva detto Xander a proposito delle lesioni che Willow aveva riportato durante i suoi tre giorni di prigionia. Si maledì per la sua stupidità e insieme maledì i suoi ormoni che peggioravano terribilmente il suo umore, rendendo la sua schiettezza totalmente indipendente dal suo cervello. Allungò faticosamente una mano e la posò su quelle di Willow, effettivamente fermando il giocherellio nervoso delle sue dita. “Scusami. Ho parlato senza riflettere. Xander dice che è colpa degli ormoni,” si giustificò, sapendo di stare attaccandosi ad una scusa.

 

Willow alzò lo sguardo verso di lei e le sorrise comprensiva. “Anya Emerson, non avrò mica sentito quello che ho appena sentito, vero?” Chiese con la chiara intenzione di allontanare ogni possibile residuo di tensione.

 

“Dipende cosa credi di aver sentito. Voi streghe siete famose per sentire cose che in realtà non esistono,” replicò Anya con una luce furba negli occhi.

 

Willow decise di stare al gioco. “Ah! Davvero?”

 

“Uh-uh!” Confermò Anya con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

 

“Quindi se io giurassi di averti sentito chiedermi scusa sarebbe stato solo un parto della mia fantasia, giusto?” Disse Willow seguendo il ragionamento di Anya.

 

L’ex-demone annuì energicamente e si sistemò comodamente contro lo schienale della sedia, facendo così scivolare via la sua mano da sopra quelle della strega. “Senza alcun dubbio,” disse. “E comunque se dirai a qualcuno che l’ho fatto, negherò nella maniera più decisa.” Anya prese a guardarsi le unghie, fingendo un notevole interesse, il palmo della sua mano ancora a contatto con il tavolo, le dita divaricate e tese in aria. Sorrideva come una bambina che ha fatto una marachella e sa già che sarà perdonata.

 

Willow si sporse in avanti ed intrecciò le sue dita con quelle di Anya, dandole una stretta gentile. Anya contraccambiò la stretta e per alcuni istanti rimasero così. Due alleate sul fronte della vita, due amiche che si tenevano per mano cercando di farsi forza una con l’altra.

 

Poi il momento passò, lasciando il posto ad alcuni secondi di silenzio imbarazzato. Entrambe ritrassero la propria mano, ma nessuna delle due abbassò lo sguardo. Avevano ormai accettato che da un po’ di tempo fosse nata tra loro una forma di complicità. Non se ne vergognavano dopo anni di aspri battibecchi e sopportazione reciproca. Bastava che non lo sapesse nessuno.

 

La prima a ritrovare le parole fu Anya. “Come vanno i preparativi del matrimonio di Dawn?” Chiese casualmente.

 

Willow abboccò in pieno. “Vanno bene. Tutto procede a meraviglia.”

 

“Questo significa che Teresa ha smesso di lamentarsi di ogni decisione che prendi e di accusarti di dare un’impronta troppo omosessuale al matrimonio?” Anya aveva già iniziato a ridacchiare, sapendo quanto la madre di Andrew ci tenesse a rendere la vita difficile a Willow.

 

La rossa si unì a lei quasi immediatamente. “Non così bene,” disse, continuando a ridacchiare. “Ha addirittura detto che il prete le sembrava troppo effemminato. Diavolo, il poveraccio ha settanta anni ed è cosi massiccio da poter essere scambiato per un portuale!”

 

Anya rise forte. Willow rincarò la dose. “Davvero! Ha una faccia che sembra un criminale. Ha persino una cicatrice sulla guancia destra! Dovresti vederlo. Sembra appena uscito da una rissa! Ha delle mani così grandi e callose che ho avuto paura a stringergliela la prima volta che l’ho incontrato.”

 

Willow vide Anya passare da un’argentina risata all’isterismo più completo nel giro di una manciata di secondi. Rideva così forte che la strega temeva che potesse farsela addosso. Due righe di lacrime le solcavano verticalmente il bel viso. “Ti prego smettila!” Implorò la giovane negoziante.

 

Willow decise di fermarsi lì. Anya era in condizioni particolari e non voleva crearle alcun disagio. “Okay. Ma sei tu che l’hai chiesto,” disse con una punta di timido infantilismo nella voce.

 

“Lo so. Non farmene pentire più di quanto già non lo sia,” replicò Anya ridacchiando alla linguaccia che le sue parole avevano ottenuto da Willow e cercando di riportare il suo respiro alla normalità. “E per il resto? Sei in pari con la tua multicolore tabella di marcia?”

 

Willow rimase a bocca aperta. Come faceva a sapere Anya  della sua tabella delle sue cose da fare? Come faceva a sapere che era scritta con penne di diverso colore?

 

“Non fare quella faccia. Nella tua vita credo che tu non abbia fatto mai nulla senza avere una tabella pronta- be’, sì a parte alcune cose da qualche anno a questa parte- tipo distorcere il tessuto stesso dell’universo e qualche altra cosetta di quel tipo.”

 

“Il solito illuminante tatto,” disse Willow sarcasticamente.

 

“Be’, è vero.”  Anya congedò il discorso con un gesto della mano. “In ogni modo, come procede la tua lista?”

 

“Piuttosto bene direi. Stranamente non ci sono stati intoppi significativi finora.”

 

“Quindi ti aspetti qualcosa di realmente brutto per il giorno delle nozze.”

 

“Assolutamente.”

 

“Per il resto sei in linea?” Anya aveva deciso che era giunto il momento di sferrare il suo attacco per portare Willow alle sue dipendenze. Almeno per il tempo necessario perché lei e Tara si innamorassero l’una dell’altra ancora una volta. Nessuno avrebbe mai detto che Anya avesse un animo romantico. Nessuno a parte Xander, forse, che la conosceva come nessun altro. E D’Hoffryn, che spesso le aveva rimproverato di essere troppo tenera. in certi casi in cui intravedeva una possibilità di vero amore, nei suoi giorni come santa patrona delle donne tradite. Ma quella era una cosa che non avrebbe mai detto a nessuno, neanche sotto tortura.

 

Willow iniziò a sospettare che Anya volesse chiederle qualcosa che lei avrebbe preferito non le chiedesse. “Perché tanto improvviso interesse per i preparativi del matrimonio di Dawn?”

 

“Niente. È che forse un giorno anche io e Xander riusciremo a sposarci. E se tu sei così brava potremmo chiedere a te di organizzarlo,” disse Anya cercando di prenderla alla larga. Voleva che fosse Willow a insistere per sapere, di modo che quando le avesse fatto la sua proposta fosse costretta ad accettare. Le sue aspettative non furono tradite.

 

“Anya,” disse Willow con tono annoiato. “Cosa c’è?”

 

“Nulla. Sono solo molto stanca. Sono un ex demone di 1126 anni incinta di otto mesi. Sai quanto sia stressante per me tutto questo? Rimpiango i bei tempi in cui giravo per il mondo a sventrare e castrare gli uomini fedifraghi.”

 

“Già, immagino,” disse Willow roteando gli occhi. Ma se se è così difficile, perché non chiudi per un po’?”

 

Anya inorridì all’idea di non guadagnare. “Dico, ma sei impazzita? Tu e Xander  state congiurando contro di me e i miei amati soldi, ecco cosa!”

 

“Calma, calma. Se proprio non vuoi chiudere fatti aiutare da qualcuno. Certo, non può essere un qualcuno qualsiasi. Perché ci sono troppe cose che potrebbero essere pericolose nelle mani sbagliate qui dentro e ehy, questo è l’Hellmouth, quindi la probabilità di assumere qualcuno che poi si dimostri malvagio è molto alta e poi deve essere competente, deve conoscere la magia, non vendere cose pericolose ai cattivi che vogliono conquistare il mondo e deve essere onesto e…adesso basta,” disse Willow in due secondi netti. Poi: “Nuovo record?”

 

“No, hai fatto di meglio,” disse Anya con un sorriso. “Però hai ragione. Non posso rischiare di assumere qualcuno con il rischio che si riveli un pericolo, incompetente o, peggio, un ladro.”

 

A Willow il sorriso che apparve sul viso di Anya non piacque affatto. Le pareva il gatto che aveva appena ingoiato il canarino. Cosa sta tramando? E perché mi sta parlando delle assunzioni che vuole fare? A meno che…

 

“Non pensarci neanche!” Affermò, capendo dovevoleva andare a parare l’ex-demone.

 

“Perché no? Tu saresti la candidata ideale.”

 

“Anya, non ho proprio tempo! Ho i preparativi, il mio lavoro, il lavoro con gli Scooby. Come faccio?”

 

“Ma non possiamo rischiare di mettere il negozo in mano a qualcuno di cui non possiamo fidarci. E non chiuderò il negozio!”

 

Willow sospirò. L’ex demone era troppo cocciuto per certe cose. Sapeva che non sarebbe riuscita a dissuaderla dall’idea di non chiudere neanche un giorno, però doveva trovare un modo di non rimanere intrappolata nei suoi piani. “Perché non ti fai sostituire da Giles, quando verrà. Almeno fino al parto. In fondo il quaranta per cento del negozio è ancora suo.”

 

“Solo perché rifiuta ostinatamente di vendermi la sua parte. E vuoi davvero un osservatore nel cuore operativo della Scooby Gang? Uno intelligente e curioso come Giles?”

 

A questo Willow non aveva proprio pensato. Lì tenevano la maggior parte delle riunioni, avevano la loro libreria di riferimento e la loro postazione computer. Potevano rischiare che Giles mettesse le mani su informazioni che non erano disposti a dargli? Non solo perché Giles non godeva più della stessa fiducia di un tempo, ma soprattutto perché non volevano rischiare di dare il benché minimo vantaggio su di loro a quella deprecabile associazione di mentecatti con cui Giles lavorava.

 

Quando Anya vide la rossa immersa nei suoi pensieri, seppe di aver scongiurato una delle possibili obiezioni. Decise comunque di dare un’ulteriore spintarella, tanto per essere certi.

 

“Cosa accadrebbe se riuscisse ad entrare nella Tana e mettesse gli occhi sulla tua collezione privata di libri?” Oppure…”

 

“Mi hai convinta! Mi hai convinta! Non c’è bisogno che tu vada avanti,” disse Willow alzando le mani in segno di resa. Anya sorrise da orecchio a orecchio. Ma anche se Giles non è la persona adatta, io non posso farlo lo stesso. Quando vide il sorriso di Anya affievolirsi Wllow sorrise debolmente. Non mi lascerò incastrare così facilmente.

 

“Perché no?”

 

“Te l’ho detto. Non ho tempo. Anche io ho un lavoro, ricordi?

 

Anya era già pronta anche per quell’obiezione. “Puoi lavorare qui. Ci sono anche più attrezzature di quante tu ne abbia nella tua stanza, di sotto.  Tanto lavori sempre con quel coso lì,” disse indicando la valigetta del portatile appoggiata sul tavolo. “Terresti il forte al sicuro.”

 

Willow non riuscì a controbattere. In fondo era vero che poteva lavorare ovunque avesse una connessione modem e il sistema a fibre ottiche che aveva istallato nel negozio era la connessione più veloce che potesse trovare. Però non era disposta a cedere senza aver tentato. Si disse che forse lavorare con Anya le avrebbe comunque risparmiato di passare imbarazzanti momenti con Tara.

 

Subito si maledì per la sua stupidità. Perché non ci aveva pensato prima? Tara poteva aiutare Anya al negozio. In fondo ne sapeva anche più di lei di magia. Tara non avrebbe mai lasciato Anya in difficoltà. “Perché non chiedi a Tara di aiutarti finché starà qui, visto che ormai Dawn l’ha invitata al matrimonio?”

 

Anya fece una piccola danza della gioia dentro di sé, mentre fuori mantenne la sua faccia da poker. “Tara rimarrà solo pochi giorni. E arriverà solo tra due settimane. Io sono stanca anche ora.”

 

“Chiudi finché non arriva.”

 

“Neanche per sogno! Eppoi non sono sicura che sarebbe in grado di farlo.”

 

Willow la guardò con aria scettica. ”Che intendi dire? Sarebbe benissimo in grado di farlo! La sua conoscenza della magia è pari alla mia, anzi superiore!”

 

Anya ascoltò la difesa appassionata di Willow. Si diede del genio per come stava gestendo la cosa. “Davvero? Quanto credi che abbia praticato o studiato negli ultimi cinque anni, dovendosi occupare di crescere una figlia piccola? E, scusa se te lo dico, ma quanto ne sa Tara di magia nera? Al contrario…” Anya lasciò la frase in sospeso. Le dispiaceva terribilmente dover rispolverare certe brutte esperienze di Willow, ma la strega era troppo cocciuta per essere convinta in altro modo.

 

“…al contrario di me?” Chiese Willow, evidentemente offesa. “Quello è il passato!”

 

“Lo so, lo so. Ma sta di fatto che tu hai quelle conoscenze. Sull’Hellmouth conoscere il proprio nemico è un vantaggio considerevole. Sei tu la persona più indicata a sostituirmi.”

 

Willow si calmò. Purtroppo Anya aveva ragione. “Hai vinto. Farò il possibile per aiutarti.”

 

“Hurrah,” esclamò Anya tirando un pugno al cielo. Il suo primo commesso era arruolato. Tra due settimane avrebbe convinto anche il secondo. E speriamo che il negozio sopravviva. Poi con tono allegro: “Iniziamo l’inventario elettronico?”

 

“Hurrah,” disse Willow in tono mogio, iniziando a tirare fuori il suo portatile dalla custodia. Come se non le bastasse tutto quello che aveva scoperto!

Capitolo XII: La riunione

 

Quando Buffy e Xander arrivarono al Magic Box, quella sera verso le sette, trovarono un piccolo gruppo di persone sparso per la stanza, immerso in discussioni spicciole. Il suono del campanello posto sopra la porta attirò l’attenzione dei più, che gratificarono i due di un saluto, mentre alcuni continuarono a parlare senza accorgersi del loro arrivo.

 

I due risposero con un ‘Ciao a tutti’.

 

Xander si fermò un istante sulla porta per girare il cartello appeso al vetro su ‘Chiuso’, mentre Buffy avanzò nell’ampia stanza con un sorriso sulle labbra. C’era quasi tutta la sua famiglia, lì davanti ai suoi occhi. Più qualche aggiunta. Era uno spettacolo che le riempiva ogni volta il cuore di serenità, vederli tutti sani e salvi nella stessa stanza.

 

Cercò con gli occhi la sua migliore amica e la vide intenta in una discussione con Caitlin McGregor, una delle dottoresse della clinica per la cura delle malattie del sangue e dell’anemia di Sunnydale. Vedendole una di fronte all’altra, così vicine, Buffy stupì una volta di più di quanto si somigliassero, pur con notevoli differenze. Entrambe avevano gli occhi verdi e i capelli rossi, anche se quelli di Caitlin scendevano lunghi e ondulati oltre le spalle, mentre quelli di Willow erano tagliati oltraggiosamente corti e le davano un’aria contemporaneamente sbarazzina e sexy, tirando fuori una parte di lei che fino a pochi anni prima la cacciatrice non pensava neanche esistesse in lei.

 

Anche la sfumatura di verde dei loro occhi era diversa. Quella di Cat era più chiara di quella degli occhi di Willow e senza le stesse screziature dorate nel fondo della retina.

 

Caitlin era anche più alta di un tre o quattro centimetri ed aveva una corporatura leggermente più piena di quella di Willow, con forme ben proporzionate che qualsiasi uomo avrebbe trovato appetitose, seppure senza avere l’alone aggressivamente sexy che la strega dai capelli rossi aveva sviluppato negli ultimi anni.

 

Non che Caitlin fosse interessata a quello che un uomo potesse pensare di lei, essendo dichiaratamente gay. Un'altra cosa che la dottoressa e la strega avevano in comune. Oltre al fatto che c’era qualcosa nei loro lineamenti che le rendeva simili. Forse la forma del naso o quella del mento. O il taglio degli occhi. O più probabilmente un qualcosa di indefinito che faceva pensare a Buffy che avrebbero potuto essere facilmente scambiate per sorelle. Oltre al fatto che Caitlin spesso si comportava davvero come se Willow fosse la sua sorellina minore. Era terribilmente protettiva nei suoi confronti, soprattutto quando veniva attaccata sul fronte delle sue condizioni fisiche o delle preferenze sessuali.

 

La sua mente scivolò naturalmente nei ricordi. Avevano conosciuto Caitlin nel periodo in cui Willow era stata ricoverata in seguito alle ferite riportate durante la sua breve prigionia. Aveva poco più di venticinque anni all’epoca, ed era una semplice interna del Sunnydale General Hospital, che studiava molto duramente per prendere la specializzazione in medicina generale e in psicologia.

 

Caitlin aveva preso subito a cuore il suo caso. Vedere una ragazza giovane martoriata così gravemente nel corpo e nello spirito aveva mosso dentro di lei un profondo senso di pietà, tanto da spingerla a fare tutto ciò che era in suo potere per aiutarla, sia nei sei mesi del suo ricovero, sia dopo. Era stata lei a firmare l’idoneità psicologica di Willow all’adozione di Dawn e a convincere un suo ex professore a fare lo stesso. E pensare che era addirittura presente la notte che Willow aveva quasi distrutto l’universo. Ma si era detta convinta che occuparsi di un’altra vita a tempo pieno fosse un’ottima terapia per la strega.

 

Ora, a trenta, lavorava nella clinica sia come psicologa che come medico, dividendosi nel doppio ruolo con uguale passione e trovando il tempo di uscire di pattuglia con gli Scooby di tanto in tanto.

 

Buffy sospettava che la loro somiglianza fisica fosse uno dei fattori che avessero spinto Caitlin a prendere così a cuore il caso di Willow, anche se forse non era il motivo principale. Ma era come se si riconoscesse in lei e vedesse se stessa nel letto d’ospedale.

 

Quando Caitlin era andata a lavorare per la clinica, appena terminato l’internato, era diventata anche la dottoressa di Willow e dell’intera Scooby Gang, che aveva così trovato un ottimo compromesso tra una buona assistenza medica, non una brutta cosa quando si passavano le notti a cercare guai di natura sovrannaturale, e la libertà di non doversi inventare le scuse più assurde. Oltre al fatto che la clinica li assisteva in maniera quasi del tutto gratuita, dopo che avevano risolto per loro un piccolo problema di furti di buste di sangue, perpetrati da una piccola banda di vampiri.

 

Caitlin aveva detto più volte di sentirsi onorata della fiducia che la Gang le accordava. L’unico limite, dal suo punto di vista, era l’ostinazione con cui Willow rifiutava le sedute terapeutiche che Caitlin non mancava mai di consigliarle ogni volta che si vedevano. Caitlin era convinta di poter aiutare molto di più Willow se si fosse affidata a lei professionalmente, invece di coltivare un’amicizia sempre minata da una parte del suo lavoro. Cat sentiva come se dovesse rinunciare ad una parte di sé, per poter interagire con Willow. Non per questo avrebbe rinunciato, ma talvolta era frustrante.

 

Certamente non stavano parlando di quello comunque, in quel momento, visto che stavano entrambe ridacchiando in modo complice.

 

Come due vere sorelle, pensò Buffy con una punta d’invidia e un po’ più di una punta di gelosia.

 

Una voce dai toni aspri la tirò fuori dalle sue considerazioni.

 

“Smettila di fare il mio lavoro, Thomas!”

 

Il commento era stato fatto da una donna dall’aspetto austero, sui quarant’anni, i lunghi capelli biondo-cenere raccolti in una crocchia sul capo. Janet Sisko, eccezionale ginecologa della clinica e omofoba di notevole livello.

 

Il piccolo battibecco non era insolito. Soprattutto tra Janet e il suo interlocutore, che risultava essere Thomas Bernard Williams, direttore della clinica. Thomas era un ottimo medico e un eccezionale chirurgo, oltre che un uomo di buon cuore. Il suo aspetto, a più di cinquant’anni, era quello di uomo felicemente sovrappeso. Buffy lo vide tastare il ventre prominente di Anya, con un atteggiamento tra il paternale e l’esperto, intento ad un controllo fuori programma della sua gravidanza.

 

“Devo ricordarti che sono un medico anche io, Janet?” Fu la risposta di Thomas, che continuò nell’esame senza degnarsi di voltare la testa. “O devo ricordarti che sono anche il tuo capo?”

 

Janet arrossì visibilmente di rabbia. Odiava che Thomas le ricordasse le gerarchie, tanto quanto odiava che dovessero dipendere da Willow per evitare a demoni e vampiri di entrare nella clinica di notte. Ma non era tanto stupida da pensare che la situazione potesse cambiare a breve nell’uno e nell’altro caso. Aveva imparato da tempo a ingoiare il suo spiccatissimo orgoglio e a fare buon viso a cattivo gioco, in previsione di opportunità per cui valesse la pena di alzare la voce. Non che le sue idee fossero un mistero per qualcuno in quella stanza.

 

Ma, come la stessa Buffy aveva ricordato ad Anya solo la sera prima, era comodo avere una ginecologa che credesse in demoni e vampiri dalla propria parte.

 

Proprio pensando a quel vantaggio, Buffy decise che era il caso di salvare Janet dall’imbarazzo e di iniziare a discutere il motivo per cui era tutti lì riuniti.

 

“Signori e signore,” disse a voce alta, in modo che tutti la sentissero. “Mi spiace interrompere questa bella festicciola, ma penso che sia ora di iniziare.”

 

Xander e Buffy spostarono un altro tavolo di fianco all’altro, in modo che tutti fossero più comodi, mentre alcuni prendevano delle sedie. Tutti, uno dopo l’altro si sistemarono attorno al tavolo delle ricerche, i tre medici vicini e i membri della Scooby Gang con maggiore anzianità tutti attorno a loro.

 

“Perché siamo stati convocati tutti qui stasera? Possibile che ci sia qualcosa in città che VOI Scooby non riusciate a risolvere?” Chiese Janet con forte sarcasmo. Era evidente che l’idea di essere inclusa tra gli Scooby non era in cima alla sua lista delle cose di cui andare fieri.

 

“Janet, perché non stai zitta ed ascolti per una volta?” La rimproverò Caitlin.

 

“Allora,” inizio Buffy, tacitando sul nascere il battibecco. “Siamo tutti qui perché forse abbiamo un grosso problema. Will, visto che tu c’eri, vorresti andare a prendere i testi di riferimento mentre io racconto i fatti?”

 

Willow annuì e si alzò dalla sua sedia sotto lo sguardo stupito di Cat, che le mormorò:

 

“Che vuol dire che tu c’eri? Da quando sei tornata di ronda?”

 

“Dopo,” le sussurrò la strega, avviandosi verso l’entrata della Tana. Xander, spronato da una gomitata di Anya nelle costole, si alzò dal suo posto e la seguì. “Ouch! Ah, sì, c’ero anche io Buff! Quindi penso che aiuterò Willow a portare su i libri.”

 

Buffy annuì e si gettò nel racconto dei fatti avvenuti nel cimitero due notti prima, mentre i suoi migliori amici scendevano in silenzio le scale che portavano alla Tana.

 

Una volta di sotto, Willow si diresse alla postazione computer per controllare se la ricerca che aveva lanciato avesse dato dei buoni frutti.

 

“Come va la gamba, Will?” Chiese Xander, mentre la strega imprecava contro lo schermo. “Che c’è, Will? Che succede?”

 

“La gamba va abbastanza bene,” disse digitando furiosamente alcuni tasti. “È questa dannata macchina che mi delude!”

 

Xander, mai e poi mai, in tutti gli anni dai cui la conosceva avrebbe creduto di sentirle pronunciare una frase del genere. Willow, come intuendo il suo stupore senza neanche voltarsi continuò.

 

“È mai possibile che non ci sia proprio nulla nel web, su quei simboli che abbiamo fotografato?”

 

“Quindi dobbiamo affidarci al vecchio sistema? Su, Willster, non è così grave. Tu adori questi vecchi libri polverosi,” disse Xander con un ghigno infantile sul volto.

 

Willow si voltò verso Xander e la parete della tana che custodiva la loro libreria. Una serie infinita di  scaffali di legno, opera del loro carpentiere preferito, occupava ogni spazio disponibile sulla parete in una serie di linee elegantemente simmetriche. Su ogni scaffale erano depositati diversi tomi, alcuni spessi ed antichi, originali ottenuti con fatica e notevole spesa; altri erano delle copie più recenti, ma non meno importanti. Alcuni erano manuali e testi di riferimento, altri testi di magia. Alcuni erano pericolosi e resi inaccessibili da sbarre d’acciaio, altri innocui. E quasi tutti erano suoi.

 

Era vero. Lei adorava quei vecchi libri polverosi. Conosceva la posizione e il contenuto di ognuno.

 

“Allora, quali prendiamo?” Chiese Xander, affidandosi d’autorità alla sua esperienza.

 

Willow passò il suo occhi esperto sulle costole dei libri, anche quelle in alto che in realtà non riusciva a leggere.

 

“Prendi la scala,” ordinò. Xander prese una scala da muro munita di un predellino sull’ultimo scalino, e la tenne in mano in attesa di sapere dove cercare.

 

“In alto a destra. Storia dei clan dei non-morti tra il 1300 e il 1550, di Malcom De Geoffrey,” iniziò ad elencare a memoria la strega. Xander salì sulla scala e prese lo spesso volume e lo appoggiò sul predellino. “Poi?”

 

“Quattro libri più a sinistra, nella scansia inferiore. Vampiri ed Hellmouth, di Janus Grygera,” disse mentre lei stessa si recava ad estrarre un libro da una delle scansie basse della libreria, proprio di fianco alla sezione in cui si trovavano i testi pericolosi.

 

Il suo occhio cadde su alcuni dei testi e un piccolo brivido le passò per la schiena. Dietro le sbarre d’acciaio incassate nel cemento del muro vi erano testi di magia nera di rara pericolosità. Con uno di quei testi nella borsa era andata a dare la caccia a Glorificus, dopo che aveva fatto del male a Tara.

 

Ma ce ne erano di anche più potenti ed oscuri. Le venne in mente che la sezione custodiva un libro che si chiamava Gli incantesimi dei vampiri, di Fra’ Giorgio da Cassino. Era un testo scritto da un frate italiano dell’inizio del settecento che spiegava piuttosto bene quali tipi di incantesimi fossero possibili per i non-morti e perché spesso i vampiri non avessero attitudine per la magia.

 

Per un attimo pensò di prendere su quel testo con gli altri, ma vi rinunciò. Era un testo che andava letto con cautela, poiché dentro vi erano numerosi incantesimi molto oscuri. Se lo prendeva doveva assicurarsi di essere lei a consultarlo e che nessun altro vi mettesse sopra le mani, seppur per errore. Non era certa di poterlo fare, con i nuovi membri di sopra.

 

Estrasse dalla scansia il libro che era andata a prendere e disse a Xander che poteva scendere dalla scala.

 

Solo qualche altro testo di demonologia e sarebbero potuti tornare di sopra.

 

 

 

Dieci minuti dopo Xander e Willow si chiusero la porta blindata della Tana alle spalle e tornarono dagli altri, giusto in tempo per sentire la fine del racconto di Buffy e l’inizio delle prime proteste.

 

“Oh, andiamo! Stai dicendo che Willow ha distrutto venti vampiri e fatto scappare un demone che ti aveva steso con un giochetto di luci stroboscopiche?” Chiese Janet incredula.

 

Buffy annuì. “Proprio così. Non chiedermi come ha fatto, perché non lo so. Però ha funzionato. E i vampiri erano ben più di venti.”

 

Xander posò una mano sulla spalla di Willow come a dirle che era fiero di lei. Willow gli rispose con un sorriso timido che gli fece pensare a un’altra Willow, altrettanto intelligente ma più dolce ed ingenua. E certamente più piena di vita.

 

Xander aveva amato fraternamente quella Willow con tutto se stesso. Allo stesso modo amava questa Willow più indipendente e decisa. Però quell’altra era speciale, con tutte le sue bizzarrie e le guance sempre rosse d’imbarazzo.

 

“Forse il demone era una femmina e Willow lo ha invitato a cena per sabato,” commentò sarcasticamente Janet, strappando Xander dai suoi pensieri. Il giovane carpentiere sentì Willow irrigidirsi sotto la sua mano e provò l’impulso di difenderla da quell’attacco verbale insensato e gratuito.

 

Prima che potesse dire il fatto suo a Janet si alzò una voce, dura e ferma. “Come osi fare un commento del genere, stupida bigotta? O hai dimenticato perché le nostre case, le nostre macchine e il nostro posto di lavoro sono i luoghi più sicuri di tutta Sunnydale?”

 

Xander vide Cat schiumare rabbia. Non era inusuale sentire Janet fare commenti acidi su Willow, così come non era inusuale sentire Cat rimettere la ginecologa al suo posto. Tutti in quella stanza sapevano che Cat era molto attaccata alla loro streghetta. Cat aveva avuto modo di dimostrarlo più di una volta. E tutti sapevano che Cat e Janet non si trovavano proprio simpatiche, nonostante lavorassero nella stessa clinica tutti i giorni. Forse a causa dell’intolleranza di Janet, che non perdeva occasione di rimarcare quanto fosse inappropriato che delle donne se la facessero con altre donne e che sarebbe stato meglio che si trovassero un bravo ragazzo (qualcuno mormorava che per bravo ragazzo lei intendesse un suo fratello incapace ai limiti dell’idiozia o del morbo di Down).

 

Janet sostenne lo sguardo irato di Cat, ma si guardò bene dal fare ulteriori commenti, limitandosi alla segreta soddisfazione di vedere con la coda dell’occhio una Willow ancora più pallida del solito riprendere il suo posto attorno al tavolo.

 

Mentre Willow andava a capo chino a sedersi al suo posto con il suo carico di libri in braccio, Thomas decise di prendere la parola ed evitare ulteriori scene imbarazzanti.

 

“Buffy, scusami,” disse a voce abbastanza alta da attirare l’attenzione di tutti. “Ti siamo grati come sempre di tenerci informati sugli eventuali pericoli che potrebbero aggirarsi per Sunnydale, così come lo siamo a Willow per gli incantesimi di protezione alle nostre macchine e alle nostre abitazioni,” disse gettando un’occhiataccia verso Janet, che parlava più di qualsiasi parola. Buffy sorrise nel vedere Janet sulla graticola, prima di ritornare la sua attenzione al dottore che aveva ripreso a parlare. “Ma perché convocarci qui, stasera. Sì, insomma una telefonata sarebbe potuta bastare,” disse accarezzandosi la barba ben curata in modo pensoso.

 

Buffy gli sorrise. “Essenzialmente i motivi sono due. Oltre il piacere della vostra compagnia, ovviamente,” iniziò Buffy.

 

“Perché sento odore di fregatura?” Mormorò Thomas tra sé, ascoltando la piccola sviolinata di Buffy.

 

“Perché ti sta fregando,” gli rispose Anya che era seduta di fianco a lui, con la solita schiettezza.

 

“Anya!” Rimproverò Xander.

 

“Ahem,” disse Buffy, evitando di incontrare lo sguardo del direttore della clinica. “Il primo motivo è che non sappiamo se il clan si è estinto l’altra notte. Se così fosse, tanto di guadagnato! Se li abbiamo decimati in modo significativo, prima o poi polverizzeremo anche i rimanenti, se non sono già scappati da Sunnydale.” Finalmente Buffy tornò a guardare Thomas, puntando i suoi occhi nocciola dritto in quelli neri del dottore. “Ma se erano solo una sorta d’avanguardia, prima o poi avranno bisogno di rifornirsi di sangue. Scorte numerose. Quello che vorrei da voi è che teneste gli occhi e le orecchie aperti per un paio di settimane. State attenti a eventuali sparizioni di sangue. Parlate con i vostri colleghi del Sunnydale General e sentite se succede qualcosa di strano.”

 

“Perché mi sembra di intuire che tu sia convinta che la terza ipotesi sia la più probabile?” Interloquì Caitlin, mentre guardava Willow persa nei suoi pensieri.

 

“Perché hai ragione. Non ho un reale motivo, ma ho una brutta sensazione. Forse perché la loro organizzazione sul campo mi ha ricordato un po’ quella del Maestro di Aurelius. Forse perché non mi piacciono i vampiri capaci di trafficare con la magia. Forse perché non mi va di finire affogata un’altra volta,” disse con un sorrisetto, alzando le mani al cielo con i palmi rivolti dietro le sue spalle. “O forse perché sono riusciti ad evocare un demone capace di stendermi per quindici minuti con colpo un solo!”

 

“Sì, ma super-strega può sistemarlo, no? In fondo pare che abbia fatto un grande show l’altra notte.” La voce di Janet era irritante come sempre.

 

Xander la guardò male per un istante, prima di voltarsi verso la strega. “Non voglio assecondare né il tono né il modo, Willster, ma forse ha ragione, no? Sì insomma, tu sei il nostro grosso calibro in questa situazione. Giusto?”

 

“No,” disse Willow semplicemente, senza alzare la testa, mentre la scintilla di speranza di una facile risoluzione si spegneva negli occhi di Xander. “Se sono così tanti prima o poi mi fermeranno in qualche modo, Xan. Non sarò sempre così fortunata. E loro si faranno più furbi. Inoltre, sono ancora a livelli minimi energetici dopo due giorni. La mia magia ha appena iniziato a ritornare. Non riuscirò a scacciare un demone così forte e di cui non sappiamo praticamente nulla due volte con lo stesso trucchetto da illusionista.”

 

“E questo ci riporta al secondo motivo per cui è stata indetta una riunione a ranghi completi. Bisogna fare un po’ di…” disse Buffy creando un’aspettativa da presentatore di telequiz. “…ricerca!” Concluse con uno strillo pieno di un’allegria che in realtà non provava.

 

Molti condivisero esplicitamente il suo sentimento e un coro di ‘Oh, no!” si levò attorno al tavolo mentre Willow iniziava a distribuire i testi secondo le capacità di ognuno.

 

“A proposito di ranghi completi…dove sono Andrew e Dawn?” Chiese Cat.

 

“Ad incontrare un portuale,” rispose Willow d’istinto. Anya ridacchiò e la strega le rispose con un sorriso.

 

“Uh?” Fece Cat, senza capire, ma comunque contenta che Willow si fosse rianimata un po’. Era certa che ci fosse una sorta di scherzo dietro quelle parole, da qualche parte, ma non riuscva a capire dove fosse. Sospirò e si immerse nella lettura della demonologia che Willow aveva fatto scivolare verso di lei.

 

 

 

Alcune ore più tardi, dopo aver sfogliato libri, mangiato cibo cinese ordinato per telefono (ma non prima che Willow lo ebbe benedetto, con disappunto di qualcuno e i sinceri ringraziamenti di qualcun altro), spulciato altri libri, rischiato crisi depressive per l’assoluta mancanza di notizie, imprecato, sospirato, dato forfait almeno dieci volte a testa e invidiato a lungo Buffy e Xander usciti per una veloce ronda, Willow decise che forse era il caso di aggiornare la riunione.

 

“Sembra non esserci proprio nulla in questo libro,” si lamentò, alzandosi in piedi e lasciando cadere il pesante tomo che aveva appena consultato su un’alta pila di libri sul tavolo. Il thud che si levò, insieme alla poco caratteristica evidenza che persino Willow era irritata e delusa dalla ricerca, bastò ad attirare l’attenzione di tutti.

 

“Qualcuno ha avuto più fortuna?” Chiese passando lo sguardo all’intorno. Tutti scossero la testa negativamente. “Allora direi che per stasera non c’è più molto da fare. Abbiamo spulciato tutti i libri di riferimento che abbiamo e che possono essere consultati senza precauzioni.” Sospirò vedendo quanti libri aveva portato su dalla Tana. Aveva dovuto fare altri tre viaggi, dopo il primo con Xander. Ed ora le sarebbe toccato rimetterli tutti a posto.

 

Consultò il suo orologio da polso e si decise a muoversi. “È tardi. Chi vuole andare a casa, vada pure,” disse iniziando a raccogliere una prima bracciata di libri.

 

“Ti aiuto,” si offrì Cat, imitandola.

 

Le due scesero nella Tana, con Willow che faceva strada con il suo passo rigido e leggermente claudicante.

 

“Come va la gamba, Will? Hai preso gli antidolorifici che ti ho dato stamattina?” Chiese la dottoressa.

 

“No e non ho intenzione di farlo, se posso evitarlo. Anya mi ha preparato un decotto di erbe nel pomeriggio. Ho bevuto quello. È ottimo per il dolore.”

 

Cat alzò un sopracciglio, incredula. “Anche per i dolori dovuti a danni permanenti?”

 

“Certo. Finché dura,” disse Willow, mentre appoggiava i libri su un tavolo posto in un angolo. Poi iniziò a rimetterli a posto cominciando dalle scansie più basse, mentre Cat glieli passava a uno ad uno.

 

“Non posso credere che non abbiamo trovato assolutamente niente,” disse la strega riponendo un libro al suo posto. “Tante ore perse, solo perché degli schifosi vampiri hanno deciso che iniziare un’apocalisse è un buon modo per passare un martedì sera! Avrei una voglia di distruggerli tutti solo per questo!”

 

La parte di Cat che considerava Willow come una sorella ascoltò in silenzio lo sfogo della rossa, ma la parte di lei che aveva preso una laurea in psicologia non poté fare a meno di rabbrividire al pensiero di tutto l’odio che la strega covava in petto. Non era la frase in sé, ma il carico di veleno e il tono fin troppo calmo con cui era stata pronunciata, oltre al fatto che come suo medico Cat sapeva tutto quello che le era successo e i motivi del suo odio.

 

Quello che la preoccupava era proprio il fatto che Willow cercasse disperatamente di trattenere dentro di sé quell’odio, come se fosse un focolare privato con cui cercare di scaldarsi nel profondo della notte più buia. Un fuoco che non rischiarava nessuna strada. Un fuoco che non aveva calore.

 

Cat sapeva per esperienza professionale che non era sano coltivare dentro di sé un simile sentimento. Doveva trovare un modo per convincere Willow ad accettare il suo aiuto o quello di un altro serio professionista.

 

Prese gli ultimi due libri rimasti sul tavolo e li passò a Willow che intanto era salita sulla scala. “Penso che non sia sano che tu ti tenga tutto dentro in questo modo, Will. Gli studi più recenti dimostrano…”

 

Cat si accorse di aver fatto un grosso errore per due buoni motivi. Il primo, che Willow si irrigidì sulla scala, così tanto da far pensare che sarebbe caduta. Il secondo che scese dalla scala come una furia e le si era parò davanti con scintillante furore.

 

“Pensi che me ne freghi qualcosa di quello che dicono gli studi più recenti? So tutto di psicologia. Mia madre è un’ottima e stimata docente di psicologia dello sviluppo e psicologia delle dinamiche comportamentali. Certo, come madre fa schifo, ma ho imparato prima che cos’è un lapsus freudiano che ad allacciarmi le scarpe! Quindi se vuoi parlarmi da amica, ok. Ma se è lo psicologo in te che vuole prendere la parola, è meglio che tu stia zitta!”

 

Cat ascoltò tranquillamente la sfuriata, in attesa del momento adatto per poter parlare. Era abituata alle sfuriate di Willow quando veniva citata la parola psicologia. Willow non aveva avuto dei bei trascorsi con i cosiddetti esperti. Il suo rapporto con la madre era stato inconsistente prima dell’incidente e completamente nullo dopo. Il suo rapporto con lo psichiatra dell’ospedale era stato a dir poco difficile. Del resto il dottor Paskowsky era un vero e proprio idiota!

 

“Will,” disse Cat dolcemente. “Io sono una psicologa. E non tutti siamo come Karel Paskowski.”

 

“Tu sei anche una psicologa, Cat,” Willow portò una mano sul braccio di Caitlin e con l’altra le accarezzo la guancia in un gesto di sincera amicizia. La furia l’aveva abbandonata. “Ma se vuoi parlare dei miei problemi, preferirei che tu lo facessi da amica.” Cat annuì.

 

Una voce arrivò alle loro spalle, facendole trasalire entrambe. “Ora è lei la tua compagna di orgasmi?”

 

Willow e Cat si voltarono verso Anya e ruotarono gli occhi nello stesso identico modo. Speriamo di no, si disse. L’incesto è un po’ troppo da sopportare anche per i miei gusti.

 

Willow era terribilmente annoiata dai commenti di Anya. “Vediamo,” disse, passando uno sguardo lascivo sulle forme ben proporzionate di Cat, con particolare attenzione ai seni. “Ora che mi ci fai pensare…che fai stanotte, Cat? Ti piacerebbe venire a letto con me?”

 

Anya e Cat spalancarono gli occhi per la sorpresa, finché la dottoressa non notò la lucina divertita negli occhi verdi della strega. “Non ci penso neanche! E smettila di guardarmi le tette!” Cat diede a Willow un colpo amichevole sul braccio.

 

Willow sospirò di finta delusione. “Eh! Un vero peccato!”

 

“Quindi non è la tua amante?” Insistette Anya.

 

“Purtroppo no,” disse Willow, mantenendo la smorfia di finta delusione, mentre faceva girare la fedina nera che portava all’anulare sinistro con il pollice.

 

“Bene,” replicò Anya misteriosamente.Guai a te se ti prendi un’amante fissa prima dell’arrivo di Tara, Willow Rosenberg! “Buffy è tornata. Thomas e Janet vogliono sapere se possono andare a casa. E voglio saperlo anche io.”

 

“Certo che puoi andare a casa se lo desideri, Ahn. Nelle tue condizioni non c’è neanche da chiederlo,” disse Willow leggermente preoccupata dalle condizioni dell’ex-demone. “Ti senti stanca? Vuoi che dica a Xander di prendere la macchina? Se vuoi posso farti lievitare fino a su di sopra…”

 

Anya alzò una mano spazientita. “No, non hai capito. Io voglio sapere se Janet può finalmente levarsi di torno.”

 

Willow e Cat si guardarono per un istante e scoppiarono a ridere.

 

“Che c’è?” Chiese Anya annoiata.

 

“Perché tutta questa fretta di mandarla via? Non gradisci la sua compagnia?” Chiese Cat con tono canzonatorio.

 

“A parte il fatto che è un’omofoba bigotta e che ha attaccato Willow senza motivo invece di esserle grata per tutto ciò che ha fatto per lei?”

 

La voce di Anya era carica di sarcasmo, ma Cat non poteva fare a meno di annuire a quelle parole. Il comportamento di Janet di qualche ora prima era stato inqualificabile.

 

“Quanto mi piacerebbe portarla alla parata in primavera!” Aggiunse Anya.

 

“Anche a me,” disse Willow. “Sarebbe impagabile.”

 

“Ma se tu sono anni che non vieni!” Protestò Anya. “Sei la lesbica più dichiarata di tutta Sunnydale e sei venuta solo alla prima parata dell’orgoglio gay.”

 

“Vero. Di solito preferisco dimostrare il mio orgoglio gay facendo qualcosa di più…pratico…che marciare per i viali del campus fino alla City Hall.”

 

Anya e Cat ruotarono gli occhi. Willow era diventato un essere davvero profondamente sessuale negli ultimi anni. Si era fatta una reputazione da conquistatrice non indifferente nei circoli omosessuali e non della città. Tutte le lesbiche di Sunnydale le sbavavano dietro, sperando di entrare nelle sue grazie e le poche prescelte come passatempo di una notte speravano di poter ripetere l’esperienza.

 

Ma ciò che aveva detto Anya era vero. Dopo la prima volta in cui Cat aveva convinto l’intera Scooby Gang ad andare (con l’eccezione di Janet, ovviamente), dicendo loro che tutte le diversità andavano difese e che in fondo anche essere uno Scooby era in qualche modo una diversità, quello del Gay Pride di Sunnydale era diventato un appuntamento fisso nel loro calendario di Marzo. Ogni volta si erano divertiti tantissimo, tanto da inventarsi una loro tradizione, comprensiva di riti e abitudini che andavano avanti fino a tarda notte. La prossima sarebbe stata la loro quinta partecipazione di gruppo. Solo Willow aveva sempre rifiutato di andare di nuovo alla marcia, dopo la prima volta. Di solito spariva la mattina presto e si rifaceva viva verso sera, quando tutti si riunivano a casa Summers.

 

“Forse ci tornerei, se vedessi la faccia di Janet in mezzo ad una schiera di gay festanti,” aggiunse Willow.

 

Forse è ora di farla tornare, allora, si disse Cat, mentre un’idea iniziava ad apparirle in testa.

 

“Senti Will, io aiuto Anya a risalire e porto giù i libri rimasti di sopra,” disse d’un tratto Caitlin, lanciando un’occhiata significativa ad Anya.

 

“Oh, uh, sì già. Certo,” disse Anya. Le due donne iniziarono a salire le scale, lasciando una frastornata Willow a chiedersi cosa fosse successo.

 

“Allora, cosa hai mente?” Chiese Anya, una volta che furono fuori della portata dell’udito di Willow.

 

Cat aiuto l’ex-demone a fare gli ultimi scalini con un sorriso. “Lascia che ti spieghi,” disse Cat accompagnandola per un braccio verso il tavolo delle ricerche.

 

 

 

Buffy guardò Caitlin ed Anya bisbigliare in modo complice, mentre la dottoressa radunava gli ultimi libri rimasti sul tavolo e Xander spostava l’altro tavolo al suo posto. Aveva la cornetta del telefono attaccata all’orecchio da dieci minuti buoni e il suo cervello era focalizzato sulle parole che stava ascoltando, anche se una parte di sé avrebbe preferito non doverle sentire.

 

Le sembrava impossibile dover ascoltare quelle parole e anche più impossibile che a pronunciarle fosse il suo ex-mentore Rupert Giles.

 

“Hai capito cosa ti ho detto, Buffy?”

 

Eccome se aveva capito. L’unico problema era che secondo lei Giles stava impazzendo.

 

D’accordo, lui e Willow non erano in buoni rapporti da un bel po’, ormai. Ma che lui arrivasse a dirle certe cose sulla sua migliore amica era davvero troppo.

 

“Vediamo. Willow le ha suonate a un buon numero di vampiri, ha fatto fuori il loro maestro e mi ha salvato la vita. Per farlo ha usato un buon numero di incantesimi. Visto che è una strega  mi sembra abbastanza naturale. Per questo tu vorresti che io facessi la spia su di lei? Per il consiglio, poi? Dico, ma sei diventato scemo?”

 

“Buffy, non sappiamo neanche se ha usato la magia bianca o quella nera,” protestò Giles. Il bicchiere di Laphroaig che si era versato prima di iniziare quella conversazione gli appariva sempre più invitante. Perché Buffy non voleva capire quale pericolo Willow avrebbe potuto diventare per tutti loro?

 

“Be’, io lo so!” Strillò Buffy. Le teste di Xander e Anya che si stavano baciando, si voltarono verso di lei. Per fortuna Cat era di sotto con Willow e Janet e Thomas se ne erano già andati. Buffy fece un gesto noncurante e i suoi amici tornarono alla loro precedente occupazione di amoreggiare.

 

“Lo sai o non ti importa?” Chiese Giles.

 

“Credi che faccia differenza da queste parti?” Sibilò la cacciatrice, attenta a non alzare troppo la voce. “Lo sai ciò che le devo, Rupert? Hai la minima idea di quanto noi tutti le dobbiamo? Mi ha addirittura riportata dal mondo dei morti, Cristo! E se ti facessi parlare con chiunque altro della Gang, ti darebbero mille motivi per fidarti di lei! Persino i nuovi!”

 

“Non devo esserre io a ricordarti che non eri troppo contenta di essere stata strappata dal Paradiso, vero?” Disse Giles con rabbia.

 

“Be’, le cose sono cambiate da allora. E parecchio. Ora tu mi chiedi di fare la spia su una persona di cui mi fido con tutta me stessa, proprio nel momento in cui si sente di nuovo abbastanza forte da tornare di ronda e riprendere un ruolo attivo contro le forze del male. C’è voluto tempo per tornare a fidarci completamente l’una dell’altra, Rupert. Non ho intenzione di tradire quella fiducia.”

 

“Buffy, non puoi essere così egoista!” Scattò l’osservatore, con irritazione crescente. “Willow potrebbe essere pericolosa. Non puoi fidarti di lei.”

 

“Lei è parte della mia famiglia,” affermò Buffy in tono gelido che lasciava intendere che la telefonata non sarebbe durata ancora a lungo. “Come posso non fidarmi di lei?”

 

Giles sospirò nella cornetta. Sarebbe stato un lungo lavoro di convincimento e non era certo di riuscire. “Come puoi essere certa che non commetta gli stessi errori del passato. Willow ha dimostrato di possedere un enorme potere. E il potere corrompe. Soprattutto se ha radici nell’oscurità.”

 

Buffy sapeva che quello che Giles le stava dicendo era la verità. Willow si era spinta molto in profondità sulla strada della perdizione, in passato. Ma c’erano motivi che testimoniavano per la sua redenzione e azioni che controbilanciavano ogni suo errore. Motivi e azioni che solo lei conosceva e che nessun altro avrebbe mai saputo. Aveva giurato.

 

“Io lo so,” disse con fermezza. “Willow è una super strega? Sa fare incantesimi che nessun altro è capace di fare? Be’, sai che ti dico? Meglio per noi. Willow è una dei buoni, Rupert. Libero di non crederci, ma è così.”

 

L’ottusità che la sua ex-pupilla stava dimostrando iniziò a dare sui nervi a Giles. Cercò di riprendere la calma sorseggiando il suo scotch torbato, ma quello che ottenne fu l’esatto contrario.

 

“Dannazione, Buffy! Non essere stupida. Almeno impediscile di uscire di ronda finché non arriverò!”

 

“Non ci penso neanche!”

 

“Buffy io ti ordino…”

 

“Tu mi ordini?” Lo interruppe Buffy con tono glaciale. Un risentimento che credeva di aver sconfitto molto tempo prima riaffiorò con la forza di un tornado. “Hai perso quel diritto quando hai deciso che qui non servivi più a nulla. È stata dura per noi, ma ce l’abbiamo fatta. Avremmo seguito le tue insegne anche all’inferno, ma hai preferito abbandonarci. Ora non prendiamo più ordini da nessuno.”

 

Giles capì di aver commesso un grave errore. Non credeva che Buffy ce l’avesse così tanto con lui, ma era evidente che il suo ritorno in Inghilterra non era stato ancora superato. E lui non poteva neanche darle torto. Avrebbe dovuto fare di più, invece di lasciare i suoi figli a camminare su gambe incerte. “Buffy, calmati, ti prego,” provò a dire, ma Buffy non era in vena di ascoltare.

 

“Buonanotte Giles. Spero di vederti al matrimonio. Dawn ci rimarrebbe davvero male se non fossi presente per accompagnarla all’altare.

 

Giles, nella sua casa di Bath, capì di doversi arrendere, almeno per il momento. Guardò il suo bicchiere ormai vuoto e desiderò scolarsi la bottiglia. “Non mancherò,” disse, prima di riagganciare al suono ripetitivo del tono.

 

“Buonanotte anche a te Buffy,” mormorò al suo soggiorno vuoto, mentre si avviava verso un piccolo mobile bar con l’intenzione di ubriacarsi.

 

Capitolo XIII: Tutti contro la strega

 

Il giorno dopo Rupert Giles si recò di buon ora al QG degli osservatori, combattendo i postumi della sbornia della sera precedente a forza di caffè, doccia fredda, caffè, aspirine e ancora caffè. Aveva già citato il caffè?

 

Quentin Travers guardò Rupert Giles con sguardo impassibile. Non aveva fatto altro che guardarlo con occhi neutri da quando era arrivato, un’ora prima, per riferirgli dell’exploit di Willow, del demone che aveva steso Buffy e del clan di vampiri che lo aveva evocato.

 

Si sarebbe fatto uccidere piuttosto che lasciar trapelare la segreta soddisfazione di averlo lì a supplicare un favore e di avere una scusa per agire contro quella banda di mentecatti al servizio della cacciatrice Summers.

 

“È tutto qui, Rupert?” Chiese con voce piatta, segretamente gongolando.

 

Giles si chiese se Travers era semplicemente ottuso o se stesse lasciando che il suo risentimento personale nei suoi confronti avesse la meglio sul suo raziocinio.“Come tutto qui? Ti sto dicendo che la Rosenberg è in possesso di abbastanza potere da prendere a calci nel sedere metà della congrega del Devon con una mano sola!”

 

“Cosa dovrei fare io, dopo averlo saputo, Rupert? Andare a Sunnydale con una Derringer e spararle?”

 

In realtà non gli sarebbe dispiaciuto farlo fare a qualcuno al posto suo, se non altro per farla pagare alla Summers. Ma il solo paventarlo per essere smentito da Giles era una soddisfazione impagabile per il capo operazioni Hellmouth Sunnydale. Un occasione da non lasciarsi sfuggire. L’importante era non fargli vedere quanto in realtà avrebbe voluto fare proprio quello.

 

“Ovviamente no,” disse Giles, neanche troppo convinto, proprio come Travers si aspettava.

 

Dentro di sé Giles non sapeva davvero cosa fare. Come doveva affrontare l’idea che uno dei più grandi pericoli che Buffy e gli altri potevano trovarsi ad affrontare era proprio Willow? Doveva consigliare un’azione drastica contro di lei? O doveva tentare un approccio più morbido di quello che il normale protocollo del consiglio prevedeva in questi casi?

 

Gli incantesimi che Willow aveva dimostrato di saper padroneggiare la mettevano sotto una luce che il consiglio riteneva senza alcun dubbio preoccupante. Preghiere e formule e pozioni vecchie di tre anni non era quello che i suoi colleghi chiamavano un corretto uso della magia. E il fatto che fossero ancora attivi la diceva lunga sul suo potere.

 

Giles sospettava poi che il comportamento di Quentin Travers  potesse essere una sorta di mossa per costringerlo a consigliare un comportamento avventato. L’unica remora che lo tratteneva era la consapevolezza di non avere un gran che in fatto di potere all’interno del consiglio. Era vero che era entrato a far parte dei membri aggiunti della cerchia interna, ma era anche certo di essere un membro che godeva più di sopportazione per la sua esperienza che di amicizie. L’unico motivo per cui l’avevano accettato nei ranghi più alti dopo averlo licenziato era stato per il suo ruolo nell’addestramento della cacciatrice più longeva mai stata in attività e per la grande esperienza accumulata in quel periodo. Oltre alla sua amicizia con Buffy che gli permetteva di avere notizie di prima mano dall’Hellmouth.

 

“Ma è chiaro che bisogna fare qualcosa,” disse, tenendosi sulla difensiva.

 

“Tu conosci quella ragazza da quando ha tentato il suo primo incantesimo,” gli ricordò Travers, cercando di metterlo in una posizione scomoda. “Cosa consigli?”

 

Ecco una risposta da evitare, si disse Giles. “Le faccende che riguardano Sunnydale non sono più di mia competenza,” disse passando nuovamente la palla nel campo di Travers.

 

Travers fece un’espressione grave, lasciando trapelare la sua preoccupazione, se non i motivi, e rimase a guardare Rupert che reagiva come si aspettava. Aggrottò le sopracciglia in una posa pensierosa, prima di parlare. “Su questo siamo tutti d’accordo. Ma è la prima volta da almeno trecento anni che incontriamo qualcuno che supera il dieci sulla nostra scala di valori. Avremo bisogno di tempo per decidere.”

 

“Tempo? Bisogno di tempo?” Chiese Giles incredulo e perplesso al contempo. “Già una volta ha quasi distrutto il tessuto del mondo, quando praticava la magia nera. Ora non sappiamo neanche se i suoi incantesimi siano votati alla luce o all’oscurità. Dobbiamo fare qualcosa!”

 

Quentin Travers aveva voglia di sorridere. Certo che faremo qualcosa, Rupert. Ma non possiamo permettere che tu ti tiri indietro nel momento cruciale. Eppoi una strega così potente sarebbe un tale spreco! Se potessi trovare il modo per farla lavorare per me, sarei di nuovo a capo del consiglio in men che non si dica.

 

“Hai intenzione di andare a Sunnydale?” Chiese, senza dare alcuna indicazione delle sue intenzioni.

 

“Sarei dovuto partire tra circa dieci giorni per il matrimonio di Dawn, ma credo che anticiperò di qualche giorno la mia partenza.”

 

“No. Credo che sarebbe una pessima idea. Come ho detto, tu sei quello che la conosce meglio. Vai a parlare con la congrega nel Devon. Dì loro ciò che sai,” consigliò Travers. “Vedi quali contromosse consigliano e poi vai a Sunnydale il giorno previsto. Comportati  normalmente, se è possibile. Cerca di impedirle di fare altri danni se ti riesce. Hai già contattato la Summers perché la tenga d’occhio?”

 

“Avevo intenzione di farlo dopo aver parlato con te,” mentì Giles.

 

“Ottima idea,” disse Travers. “Lascio a te il compito di tenerci informati. Ti hanno chiesto informazioni o simili?”

 

“Sì,” confermò Giles. “Riguardo quel clan di vampiri che, come ti ho detto prima, gioca con la magia e che pare abbia evocato un forte demone.”

 

“Lasciami le informazioni. Incaricherò i miei di fare le ricerche mentre vai nel Devon a parlare con la  congrega. Nel frattempo consiglia loro prudenza ma digli che gli darai le informazioni di persona. Cerchiamo di evitare nuovi exploit della Rosenberg.”

 

Giles annuì. La linea di condotta gli sembrava ragionevole. “Sorvegliarla è una buona idea, ma non so se sarà sufficiente. Forse dovremmo iniziare a pensare alla necessità di isolarla dalle fonti del suo potere.”

 

Travers annuì gravemente. “È un’ipotesi che non possiamo permetterci di scartare. Vai nel Devon e vedi se è fattibile per una strega così potente. So che una telefonata basterebbe, ma vorrei che tu controllassi di persona quello che Miss harkam e le altre possono fare.”

 

“Temi che potrebbero rifiutarsi?”

 

“Chissà. La Rosenberg è pur sempre una strega come loro. Se scoprissimo che è votata alla magia naturale, potrebbero non voler interferire. Devi convincerle che potrebbe essere pericolosa comunque.”

 

Giles si alzò dalla sedia pronto ad accomiatarsi e ad affrontare il viaggio alla congrega.

 

“Spero che sia tutto un enorme equivoco,” disse con voce spenta. In fondo non voleva fare alcun male a Willow. La considerava come la figlia ribelle. E i padri hanno sempre un posto speciale nel cuore per i figli ribelli. Forse perché  gli ricordava da vicino se stesso a quell’età. Speriamo non commetta i miei stessi errori, si disse con timore.

 

“Tutti noi lo speriamo, Rupert,” disse Travers, comprensivo. “Ma non possiamo rischiare, lo sai.”

 

Anche Travers si alzò. Prese gentilmente Giles per un braccio e lo accompagnò fuori dal suo ufficio. “Ora se vuoi scusarmi, devo andare da Chamberlain a dirgli che uno dei difensori dai pericoli dell’Hellmouth potrebbe essere uno dei nostri problemi attuali più grandi.”

 

Giles annuì e si allontanò per andare a prepararsi per il suo viaggio nel Devon.

 

Travers rientrò nell’ufficiò e prese il telefono in mano. Compose un numero che conosceva con la memoria del cuore.

 

“Pronto…Roger? Sono io, tuo padre. Ti va di dare una spintarella alla tua carriera?” Chiese sorridendo contro la cornetta, pensando a quale spinta sarebbe stato per la sua carriera avere una simile forza al suo servizio.

 

“Bene, bene…No, niente case infestate nell’Herefordshire, stavolta. Un viaggetto negli States…A Sunnydale. È una cosa importante, prepara la tua squadra. Prendi chi vuoi. Fa che sia gente capace e pronta a fare ciò che è necessario. Abbiamo un’Alfa Uno magico per le mani.”

 

 

 

Rupert Giles sedeva in una comoda poltrona di pelle di fronte alle tre Anziane nel comodo salotto dell’edificio principale della congrega del Devon già da un’ora.

 

Il viaggio era stato lungo e poco confortevole. La sua mente era affollata dai fantasmi dei passati scontri che aveva avuto con Willow e dai mille dubbi che lo tormentavano sul da farsi. Aveva ripercorso a lungo la sua telefonata con Buffy. Aveva telefonato a Sunnydale con la scusa di confermare il suo arrivo e aveva parlato con Buffy della necessità di evitare ronde troppo estese fino a che non fosse stato in grado di darle informazioni precise sul demone evocato dai vampiri. Aveva fatto apparire il suo consiglio alla prudenza ragionevole, lasciando trasparire la sua preoccupazione ma non i motivi. Aveva convinto Buffy a limitare i rischi per se stessa e per gli altri al minimo indispensabile almeno fino al suo arrivo.

 

Ed ora lì, di fronte alla triade che comandava la più forte congrega di streghe conosciuta. Le donne avevano un aspetto amichevole ma da loro emanava un’aria di severità capace di mettere a disagio chiunque. Anche Giles non era immune alla gravità che circondava le tre Anziane.

 

E ancora non aveva ancora combinato nulla. Le Anziane della congrega avevano rifiutato di parlare dell’argomento che gli stava a cuore fino a quel momento, raccontandogli invece in un tono colloquiale come alcune delle più promettenti allieve stessero dando buoni frutti. La cosa in un altro momento sarebbe stata molto interessante, visto che un paio le aveva raccomandate lui stesso in passato, ma ora gli sembravano solo chiacchiere inutili. Chiacchiere a cui purtroppo non poteva sottrarsi. Offendere i propri anfitrioni era una pessima linea di condotta, soprattutto se si era venuti a supplicare il loro aiuto.

 

Giles osservò di nuovo le tre Anziane signore di fronte a lui. Essere un osservatore aveva sviluppato in lui la capacità di andare oltre l’ovvio e quelle che gli stavano di fronte non erano tre care innocenti vecchiette. Non solo erano l’autorità indiscussa della congrega, ma erano anche persone molto rispettate, e in certi casi anche temute, nei circoli in cui la magia non veniva considerata come il mestiere di David Copperfield.

 

Miss Harkam era il capo indiscusso della comunità. Il suo aspetto roseo e fresco negava con forza la sua età, che Giles sapeva essere sopra i sessanta. Era una donna energica, con grandi capacità organizzative e un’ottima conoscenza delle arti. Inoltre aveva aiutato più di una volta il consiglio in delicate questioni concernenti la magia.

 

Miss Aurora era l’autorità riconosciuta della congrega in fatto di incantesimi oscuri. Era alta e minuta, apparentemente fragile, con una voce roca che sembrava provenire da una tomba anche quando assumeva toni gentilie e un aspetto austero. Giles era certo che non fosse saggio dire qualcosa che potesse irrritarla. Da lei proveniva un’aura di potere inequivocabile, che unita al sarcasmo di cui faceva largo uso, la rendevano una donna difficile con cui trattare.

 

Miss Aurora era anche una veggente, capace di vedere nel futuro in alcune circostanze. Per quanto potesse apparire clichè, il dono della seconda vista non le aveva impedito di perdere l’uso degli occhi in seguito a un grave glaucoma che l’aveva colpita all’età di undici anni, in tempi in cui la medicina non era troppo distante dalle antiche sperimentazioni dei cerusici.

 

Il suo viso era un intrico di rughe, ma i suoi movimenti e la sua forza di carattere la facevano sembrare una donna nel fiore degli anni, nonostante dovesse affidarsi ad una delle giovani per i suoi spostamenti. Miss Aurora avrebbe dovuto essere il capo della congrega per anzianità, ma aveva accettato di buon grado il ruolo di consigliere, conscia che la sua limitazione le avrebbe impedito la presenza necessaria in molte circostanze.

 

Alcuni dicevano che Miss Aurora aveva quasi cento anni e che sapesse tutto e che vedesse tutto. Giles sospettava che aver perso la vista così presto avesse sviluppato in lei un ottimo udito che, unito alla preveggenza e a un eccellente sesto senso, le permetteva di capire facilmente le persone con cui interagiva e le dava un’aria di misteriosa onniscenza.

 

La terza Anziana era Miss Martha. La donna aveva un aspetto gentile e gioviale e un evidente predilezione per il cibo. Era grassa e rotonda, con un largo faccione su cui si aprivano due occhi azzurri e ridenti, molto espressivi e gentili. Aveva un sorriso aperto e una parola buona per tutti. Tutti la consideravano la figura materna della congrega, anche se le sue conoscenze delle arti non andavano sottovalutate. Per la sua gentilezza e per i suoi modi si era meritata il soprannome di Aunt Martha. La donna lo portava con fierezza, come un soldato avrebbe portato una medaglia conquistata in combattimento.

 

Tutte e tre portavano i capelli raccolti in una crocchia e sedevano composte ma a proprio agio, nel silenzio che si era creato dopo che le chiacchiere spicciole erano terminate. Giles attendeva impaziente accavallando prima una gamba e poi l’altra, ansioso di procedere.

 

Una ragazza molto carina, capelli biondi e occhi azzurri, diversa da quella che aveva servito loro il tè inizialmente, entrò con un vassoio su cui stava una teiera fumante e alcune bustine di Earl Gray. Giles la osservò avanzare nella stanza, rimirandone le forme generose e perfette e il passo svelto e slanciato, ma silenzioso, come se si muovesse levitando nell’aria. La ragazza era bionda con capelli lunghi finò a metà schiena, occhi grigio-azzurri. La semplice tunica che indossava si piegava in tutti i punti giusti. Il suo viso era un ovale quasi perfetto, con il mento leggermente appuntito che conferiva carattere al suo aspetto e la rendeva una bellezza meno stereotipata dell’idea comune, cosa che a Giles non dispiaceva. Gli ricordava vagamente Tara, ma questa ragazza era leggermente più alta, sebbene sembrasse altrettanto timida e riservata come la strega che lui conosceva, ed aveva un corpo appena meno pieno.

 

Fossi vent’anni più giovane…si disse con una punta di malinconia.

 

“Ah, i miei occhi sono tornati,” disse Miss Aurora con la sua voce gracchiante. “E noto che il nostro ospite se ne è accorto.”

 

Giles arrossì di vergogna per essere stato sorpreso ad osservare la ragazza con interesse. Poi si accorse che il commento era stato fatto dall’Anziana cieca. Un’espressione di stupore si dipinse sul suo volto.

 

Come faceva a sapere che era rientrata? Si muove come se non toccasse terra. E come faceva a sapere che la stavo guardando?

 

“Non sia così stupito, Mister Giles. Juliet è i miei occhi da ormai tre anni. Riconoscerei il suo passo ovunque e in qualunque momento. Inoltre, tutti dicono che è molto bella. Mi avrebbe stupito di più se non l’avesse guardata. Avrebbe dato adito a molte chiacchiere,” disse con evidente malizia con la sua voce di pietre sfregate l’una contro l’altra. “La bellezza va apprezzata.”

 

Giles si pulì gli occhiali, imbarazzato e preferì  non commentare. La ragazza, ora rossa in volto per il complimento dell’Anziana, gli chiese se voleva dell’altro tè con un sussurro musicale.

 

Giles si sentì battere il cuore più forte per un attimo. Che diavolo mi succede? Sembro un liceale con una cotta. Sono un uomo di mezz’età, non posso reagire così per un bel faccino e  una voce dolce! Rupert, non ti starai mica prendendo una sbandata per una ragazzina? Be’ non proprio ragazzina. Avrà almeno 25 anni. Sì, ma tu ne hai molti di più. Rupert, concentrati!

 

“Si grazie, mia cara,” rispose educatamente l’osservatore, stupendosi di quanto fosse musicale la voce della giovane e della sua stessa reazione e cercando di mascherare il suo turbamento interiore.

 

Mentre la ragazza versava l’acqua bollente nella sua tazza e vi metteva una bustina di tè in infusione, Giles si rimise gli occhiali e riportò a fatica l’attenzione sulle tre Anziane, cercando di evitare di guardarne i movimenti aggraziati. “Mi spiace dovervi pressare signore, ma non potremmo tornare al motivo della mia visita,” disse con una punta di rammarico. Questo significava che la ragazza- Juliet, se aveva colto bene il nome- doveva essere congedata. Esistevano argomenti che non tutti potevano ascoltare.

 

Miss Harkam sospirò. “Hai ragione Rupert. Penso anche io che sia ora. Juliet,” disse il capo della congrega alla ragazza, “siediti di fianco a Miss Aurora, per favore.” La ragazza eseguì scambiandosi uno sguardo confuso con Giles, finchè la voce dolce di Miss Martha non lo distrasse.

 

“Come puoi ben immaginare, l’idea di schierarci contro un’altra strega con così poche informazioni non ci esalta. Non siamo solite fare operazioni di polizia e certamente non contro una sorella strega, senza sapere se ha tradito i principi della Dea.”

 

Quella era la sottostima del secolo, secondo Giles. “Capisco,” disse. Se lo era aspettato, che fossero riluttanti a agire contro un’altra strega. Le streghe come ogni altra categoria, erano come una lobby quando veniva tirato in causa uno di loro. Credevano fermamente nel principio di non creare precedenti a loro sfavorevoli e nel fatto che i panni sporchi si dovevano lavare in famiglia. Quindi che un osservatore fosse venuto a fare pressioni perché si agisse contro un’altra strega non faceva loro molto piacere. Stava a lui convincerle che il pericolo era reale e poteva divenire davvero immenso. “Ma Willow Rosenberg potrebbe rappresentare un problema serio e disonorare la categoria a cui appartenete. Già in passato è stata sopraffatta dalla magia nera e ha quasi distrutto il tessuto magico dell’universo. Avrete certo avvertito lo squilibrio nelle energie mistiche.”

 

Quando vide le tre Anziane annuire continuò. ”Inoltre vive sopra un Hellmouth semi-attivo, pieno zeppo di vampiri. Se venisse trasformata e divenisse come il suo alter ego dell’universo parallelo creato dall’ex-demone della vendetta Anyanka, sarebbe una forza oscura di proporzioni inimmaginabili con cui fare i conti. Forse inarrestabile.”

 

“Sei preoccupato per la tua cacciatrice?” Chiese Miss Harkam, lanciandogli uno sguardo indagatorio.

 

“Anche,” ammise Giles, per nulla stupito che il nome di Buffy fosse saltato fuori. Tutti quelli che sapevano dell’esistenza di un Hellmouth  sapevano che Rupert Giles era stato l’istruttore della cacciatrice con il ruolino di servizio più lungo della storia del consiglio. Come tutti sapevano che Buffy Summers aveva rinnegato il ruolo guida degli osservatori nella sua missione.

 

“Willow Rosenberg è la migliore amica di Buffy Summers. Non so se sarebbe capace di distruggerla, se dovesse.”

 

“Non sai se vorrebbe,” chiarì il suo pensiero, Miss Harkam.

 

“Proprio così.” Era inutile tenere nascosta quell’informazione se voleva il loro aiuto.

 

“E non so se potrebbe, se Willow fosse una strega vampira,” continuò. “La sua versione vampira che venne a Sunnydale quando Anyanka tentò di riavere i suoi poteri era molto forte e potente, anche se non possedeva conoscenze magiche. Nel giro di poche ore aveva già una sua gang. E la sua crudeltà era enorme. Se solo l’aveste vista…”

 

Miss Aurora lo tacitò con un gesto imperioso, quando parlò la sua voce fin troppo calma. “Stai dimenticando chi ha descritto al consiglio l’universo alternativo in cui la tua preziosa Buffy Summers non ha sconfitto il Maestro di Aurelius, Rupert Giles?”

 

Giles chinò il capo al rimprovero. Era stata la congrega a dare al consiglio i particolari del primo incantesimo di Anyanka, anche se non sapeva come avessero fatto a sapere di preciso gli avvenimenti di una linea temporale mai avvenuta in questo continuum. Poi d’un tratto capì e si maledisse per non esserci arrivato prima. I suoi occhi si spalancarono e la sua bocca si aprì in una ‘o’ di stupore.

 

Le tre Anziane e la giovane Juliet ridacchiarono. Giles arrossì della sua reazione e meditò su tre cose. La prima che la giovane stava ridendo di lui. La seconda che aveva una risata dolce e musicale. La terza fu chiedersi un’altra volta perché stava pensando a lei in quel modo, quando avrebbe dovuto preoccuparsi di ben altre cose. E intanto la sua bocca rimaneva aperta, anche se per un altro motivo, ora.

 

“Chiudi la bocca Rupert caro, o ci entreranno le mosche,” disse Aunt Martha con la sua vocina dolce.

 

Juliet lo guardò attentamente e pensò che il suo imbarazzo era dolce. E sexy.

 

“Sì, certo, certo.” Giles si tolse gli occhiali e prese a pulirli metodicamente per coprire il suo imbarazzo ed evitare di ritornare lo sguardo della ragazza che sentiva su di sé.

 

Miss Aurora cercò a tastoni e trovò la mano che Juliet, seduta accanto a lei, teneva in grembo e gliela strinse forte. “La Vista è un grande dono,” disse rivolta Giles. “Ti fa vedere cose importanti, alcune molto belle,” la sua stretta sulla mano di Juliet si intensificò ancora un po’. “Altre orribili. E talvolta un po’ di entrambe. Come il vampiro Willow e i suoi giocattili.” Un brivido la prese al pensiero e si costrinse ad allontanare almeno temporaneamente ciò che aveva visto dalla sua mente. La sua mano lasciò quella di Juliet.

 

Giles tornò a concentrarsi sul motivo della sua visita. “Appunto per questo dobbiamo essere pronti ad agire se l’eventualità che Willow venga trasformata dovesse farsi reale.”

 

“È comunque difficile che la magia passi allo stato di non morto,” disse Miss Martha. “Se venisse cambiata, potrebbe essere un forte vampiro, ma non per forza quel male assoluto e imprevedibile che tu temi. È più probabile che i suoi poteri si dissolvano.”

 

“È vero,” concesse Giles. “Ma possiamo rischiare che accada? La percentuale per quanto minima, è inaccettabile.”

 

“La giovane Rosenberg vive sull’Hellmouth da tutta la sua vita e finora è stata in grado di evitare di finire tra le fauci di molti forti vampiri. Cosa ti fa pensare che la situazione possa cambiare?” Chiese Miss Aurora con i suoi toni gravi. “In fondo ha non una, bensì due cacciatrici disposte a proteggerla e a far sì che non accada.” La sua voce era, come sempre, due pietre sfregate una contro l’altra. Il sottofondo di minaccia chiaro. “Non starai forse permettendo al tuo risentimento personale di avere la meglio sulle tue capacità di giudizio?”

 

Giles non seppe se ritenersi offeso. Era vero che tra lui e Willow non correva buon  sangue. Ma era vero che il fatto che la riteneva un’irresponsabile gli stava impedendo di valutare la situazione con chiarezza? “Sono accadute delle cose ultimamente. Cose che mi hanno spinto a pensare che il rischio di una sua trasformazione sia più reale del solito. Willow è tornata di ronda con Buffy, alcuni giorni fa. Dopo più di due anni che non andava.”

 

“Tutto qui?” Chiese Miss Harkam. “Forse si sente pronta a riprendere la battaglia contro il male. In fondo ha fatto molto bene prima della sua…intossicazione. E se le informazioni che ci hai riferito a suo tempo sono vere, il fatto di averla vinta da sola depone a suo favore.”

 

Giles ebbe la netta impressione che quella delle Anziane non fosse una difesa di un’altra strega tout-court. Sembrava che sapessero molto di più di quanto non volessero rivelare e che le informazioni che stava dando loro non fossero così nuove per le loro orecchie. Ma era impossibile. Lui stesso lo aveva scoperto solo l’altro ieri. “Ma il punto è proprio questo. Non siamo sicuri che abbia abbandonato la magia nera.”

 

“Che altro c’è?” Lo spronò Miss Harkam, tirandolo fuoi dai suoi pensieri. “Hai delle prove che suffragano questi tuoi dubbi?”

 

“Insieme lei e Buffy hanno decimato un clan di vampiri antico e potente. E molto vendicativo.”

 

“Ancora non capisco cosa il consiglio vuole da noi. La distruzione di un tale clan dovrebbe rendervi felici, non sospettosi nei suoi confronti,” disse Aunt Martha.

 

“Onorevoli Anziane, il clan non è stato distrutto, solo decimato. E si tratta del clan di Boreanz. Secondo le nostre cronache è sempre stato un clan molto numeroso. Almeno cento elementi…”

 

“Ah, ora capisco,” lo interruppe Miss Aurora. “Ho sentito parlare di questo clan. È il clan di vampiri che ama giocare con la magia, giusto?”

 

Giles annuì. “Sì. Usano trasformare solo persone che hanno un minimo di potenziale magico. E Willow ha ben più di un minimo, dalle ultime voci che mi sono arrivate. Inoltre usa la magia in modi non consoni a nessuna etica. Se riuscissero ad averla e mantenesse il suo potere inalterato, riuscirebbero a ricreare l’incubo del Maestro sotto la loro guida. Willow è divenuta davvero molto potente,” aggiunse per enfasi.

 

“Sappiamo quanto la nostra sorella sia forte, Rupert. Lo sappiamo bene, credimi” disse Miss Aurora in modo enigmatico. Più di quanto immagini. “Ma davvero pensi che un singolo vampiro possa spostare così tanto gli equilibri?”

 

“Spero di no. Ma con tutto quel potere è possibile,” dichiarò Rupert con fermezza.

 

“Cosa vorresti che facessimo?” Chiese Miss Harkam.

 

“Il Consiglio ritiene che il clan Boreanz sia a Sunnydale per due scopi: il primo e più ovvio è quello di avere il controllo sull’Hellmouth e forse riaprirlo. Il secondo quello di avere Willow. Vorremmo sapere se siete disposte a fare un incantesimo isolante su di lei, se necessario.”

 

Le tre Anziane impallidirono e si guardarono l’un l’altra, mentre Juliet corrugò la fronte, non riuscendo a capire perché le tre donne, di solito così decise, sembrassero d’un tratto spaventate.

 

“Non ci stai chiedendo una cosa da poco, Rupert,” disse Miss Harkam con voce grave. “Sai cosa significa legare i poteri di una strega? Quale senso di perdita si provi?”

 

“Sì, lo so. Ma non è quello che vi sto chiedendo.” Si tolse gli occhiali e pulendoli meticolosamente con un lembo della giacca. “È molto di più, purtroppo. È possibile che attinga da altre fonti il suo potere. Forse fonti oscure.” Si rimise gli occhiali e guardò dritto negli occhi Miss Harkam. “Sarà necessario che venga isolata da tali fonti.”

 

Le tre streghe lo guardarono come se fosse impazzito.  “Rupert,” disse Miss Aurora. “Questo equivale ad uno stupro mistico, te ne rendi conto? Non è una misura che prendiamo a cuor leggero. Devi portarci delle prove irrefutabili che le sue fonti siano di natura demoniaca, se vuoi anche solo che prendiamo in considerazione ciò che chiedi.”

 

“Non crediate che mi faccia piacere suggerire una soluzione del genere. In passato ho considerato Willow come una figlia. Ma con le poche remore che ha nell’uso di magie superiori ed elementali, se divenisse una strega vampira…”

 

Giles ebbe l’impressione che le tre streghe si fossero fatte più attente quando aveva nominato l’uso di Willow della magia elementale.

 

“Basta così, per il momento,” comandò Miss Harkam. “Lasciaci sole per qualche minuto, per favore, Rupert.” Il suo tono non lasciava adito a proteste.  “Ti faremo chiamare tra poco per comunicarti la nostra decisione.”

 

Giles si alzò dalla poltrona, raccolse la sua tazza di tè e uscì dalla stanza, rassegnato ad una lunga attesa.

 

Juliet lo guardò uscire e sospirò, delusa. Miss Aurora ridacchiò piano, consapevole che la sua protetta non era insensibile al fascino dell’uomo. “Mia cara,” le disse in tono dolce, quello che non avrebbe mai usato di fronte ad un estraneo, “posso sentire che il nostro ospite ti ha colpito positivamente.”

 

“È un uomo…interessante,” rispose la ragazza diplomaticamente, arrossendo con un sorriso, lo sguardo ancora fisso sulla porta.

 

“Allora forse ti farà piacere sapere che presto sarete entrambi nello stesso luogo,” disse Aunt Martha, con la sua voce comprensiva.

 

Juliet guardò le tre Anziane a turno, non riuscendo a capire il perché di quella frase.

 

Dopo alcuni attimi di silenzio fu Miss harkam a prendere la parola. “Mia cara, abbiamo un compito molto importante per te. Devi sapere che noi eravamo già a conoscenza del potere manifestato dalla nostra sorella a Sunnydale. Sappiamo anche che la sua devozione alla Dea è più forte di quanto Rupert  non immagini. “ Miss Harkam notò l’ombra che stava passando per il bel volto della giovane donna. “Ti stai chiedendo perché non glielo abbiamo detto, vero?”

 

Juliet annuì, i capelli dorati che le danzavano attorno al viso.

 

“Noi sappiamo anche che c’è una macchia nell’animo puro della strega rossa. Una macchia che si allargherà presto. Diverrà così grande, che la inghiottirà, pur senza contaminare la sua purezza. Questo è il volere della Dea.”

 

Juliet scosse la testa frastornata. “Non capisco.”

 

La mano di Miss Aurora cercò di nuovo la sua e gliela strinse. “Juliet,” disse, richiamando la sua attenzione. “Non c’è bisogno che tu capisca. La Dea agisce in modi misteriosi, talvolta. Sappi però che io l’ho visto. Tra breve Willow Rosenberg sarà una grande forza del male votata al bene. Lei sarà un essere di assolutà malvagità e sarà il campione della Dea, anche se ancora non lo sa.”

 

Juliet alzò le sopracciglia, confusa. “Come può un essere di assolutà malvagità essere il campione della Dea?”

 

Missa Harkam sorrise brevemente della sua confusione. Poi tornando seria: “Una grande battaglia tra il bene e il male avrà luogo di qui ad un anno,” disse. “Per questo chiederemo a Giles di convincere Willow a venire qui. Se sarà possibile addestreremo noi stesse il campione della Dea al suo compito. Ma le visioni di Aurora ci hanno detto che probabilmente non è questo il nostro compito. La Rosenberg è testarda e non lascerà mai il suo posto in prima linea. Ma come hai imparato, visioni e profezie non dicono tutta la verità, solo quella parte che è sufficiente per spingerci ad agire. È probabile che sia giusto così, che Willow debba seguire la sua strada fino in fondo. Ed è una strada che non conosciamo. Non possiamo intervenire senza saperne di più. E non possiamo permettere che disperda il suo potere futilmente. Se saremo costrette faremo l’incantesimo isolante come richiesto. Ma non sarà permanente come il consiglio vorrebbe.

 

“Se poi avrà successo, visto il potere di cui la Rosenberg dispone,” disse Aunt Martha.

 

“Già,” confermò Miss Harkam. “Il consiglio è convinto che la Rosenberg sia un pericolo. In questo momento ci fa comodo che lo pensino, in modo che siano i nostri occhi. Rupert è un brav’uomo che ha perso la strada, ma sappiamo che ci dirà tutto ciò che servirà a tenere il mondo in salvo.”

 

“Allora gli direte ciò che state dicendo a me,” disse Juliet confusa.

 

“No. Se non sarà necessario, no. Rupert non gode di molte simpatie tra i suoi colleghi. Temiamo che possano tacergli informazioni preziose. Anche se è un uomo d’onore. O proprio per quello.”

 

“Per questo abbiamo deciso di mandare qualcuno a Sunnydale che sia i nostri occhi e la nostra voce,” disse Miss Aurora. “E quel qualcuno sei tu.”

 

“Io. Perché io? Io non posso. Non saprei cosa fare.”

 

“Noi pensiamo che tu sia la persona giusta. Il tuo compito è semplice e noi siamo convinte che tu sia la persona più indicata a svolgerlo. Dovrai contattare Willow Rosenberg ed entrare nelle sue grazie. Sì, insomma, fartela amica… Devi tenerla d’occhio e riferirci se inizia ad usare la magia in modo scorretto o se ci sono avvenimenti strani o fuori dalla norma,” disse Miss Aurora.

 

“È  importante che tu capisca quanto è importante questo tuo compito,” disse Miss Harkam. “Devi fare tutto ciò che sarà necessario per tenerla d’occhio. Tutto. Per il resto lasciamo a te decidere il come.”

 

Le parole di Miss Harkam risuonarono minacciose nelle orecchie di Juliet. Che voleva dire tutto? Fin dove doveva spingersi, pur di essere certa di sapere gli eventuali cambiamenti nella vita di questa Willow Rosenberg? Cosa avrebbe dovuto fare?

 

“Io…capisco,” disse Juliet, abbassando lo sguardo a terra.

 

Le tre Anziane annuirono. “Un’altra cosa,” disse Miss Aurora. Juliet alzò lo sguardo e incontrò quello dell’Anziana. Miss Harkam le stava sorridendo. “Un’altra piccola missione per te. Prima della fine di tutto questo dovrai trovare il modo di riportare Rupert sulla retta via. Ricordargli le priorità della vita e la nobiltà che risiede nel suo animo. Pensi di farcela?”

 

Lo sguardo di Juliet si illuminò e un sorriso apparve sui bei linementi. “Tenterò,” disse onestamente.

 

“Brava. Ora vai con Miss Aurora a prepararti per il viaggio. Dovrai partire il più presto possibile.”

 

L’Anziana e la ragazza uscirono da una porta secondaria, la giovane che guidava il cammino delle due tenendo la donna cieca per un braccio.

 

Aunt Martha attese che la porta si fosse richiusa alle loro spalle, prima di parlare. “Verso cosa la stiamo mandando?” Chiese retoricamente, un velo di tristezza sul volto.

 

Miss Harkam riflettè sulla domanda e cercò di giustificae le loro azioni nella sua mente la missione che avevano affidato alla giovane strega. Non ne trovò alcuna così diede l’unica risposta possibile. “Che altra scelta abbiamo?” Chiese comprensiva il capo della congrega. “Aurora ha visto che patirà sofferenze indicibili, ma anche molta felicità per lei. Noi non possiamo evitarle il suo destino più di quanto possiamo evitare che il volere della Dea si compia.”

 

“Come può la Dea chiederci questo?” Lamentò la grassoccia Anziana.

 

“Visto cosa attende il mondo, come può non chiedercelo?” Ritorse Miss Harkam in tono triste.

 

Aunt Martha annuì gravemente e abbassò il capo sopra l’ampio petto maternale in segno di sconfitta.

 

“Ti prego fai rientrare Rupert,” disse Miss Harkam, distogliendola dai suoi bui pensieri.. “È ora che ascolti la nostra risposta.”

 

Aunt Martha annuì di nuovo e si diresse verso la pesante porta di quercia per far rientrare il loro ospite.

 

 

 

Julius si aggirava inquieto per la caverna, passando di cuniculo in stanza senza una meta precisa. Erano passati solo pochi giorni dal loro completo fallimento durante il rito di evocazione nel cimitero. Pochi giorni da quando la strega aveva bruciato il demone chiamato Xavier, il loro maestro, fino alle radici della terra.

 

Julius si sentiva addosso gli sguardi accusatori dei suoi fratelli mentre camminava a testa bassa, perso nei suoi pensieri, incurante di dove i suoi piedi lo stavano portando. Il suo demone, fiero e feroce come pochi, smaniava dal desiderio di metterli al loro posto e ricordare loro perché lui, e non loro, era stato tra i favoriti di Xavier. Non aveva ricordato loro la sua forza e la sua ferocia, solo perché una parte della sua mente gli ricordava costantemente che la sicurezza del rito era stata affidata a lui e il fatto che la cacciatrice e la strega rossa fossero riuscite ad arrivare fino al loro Maestro e a distruggere il suo piano ricadeva interamente sulle sue spalle. Non era senso di colpa il suo, ma un offesa indelebile al suo orgoglio. I vampiri non provavano senso di colpa. Però avevano un distorto senso di lealtà verso il proprio Sire. E il suo distorto senso di lealtà gli ricordava che per la sua troppa sicurezza nella forza del loro clan quella maledetta puttana della strega aveva ucciso Xavier, il suo Sire. Giurò a se stesso che gliela avrebbe fatta pagare. E forse poteva trarre un doppio beneficio dalla sua vendetta. Soprattutto ora che il clan era diviso. I suoi fratelli non sapevano ancora con chi schierarsi tra lui ed Antoine e lui era intenzionato ad aiutarli a decidere.

 

Per fortuna la decisione di Xavier che Antoine rimanesse nella caverna, aveva intaccato la credibilità  del suo antagonista. Julius sapeva che il Maestro di Boreanz aveva preso quella decisione per preservare il suo figlio prediletto da ogni possibile rischio, ma la sua prematura dipartita aveva gettato un’ombra su Antoine così come il fallimento nel preservare la vita di Xavier l’aveva gettata su Julius. Ed ora il clan era in agitazione. Non ancora in un guerra intestina, ma profondamente scosso. Gli insegnamenti che Xavier si era così duramente premurato di impartire con crudele fermezza avevano impedito un’immediata lotta per la successione. Xavier aveva sempre creduto che il loro clan dovesse essere numeroso ed unito per prosperare e aveva inculcato la sua visione nella sua stirpe con punizioini esemplari e nessuna pietà. Il ricordo del fato del manipolo di scellerati che sessanta anni prima aveva cercato di detronizzarlo era ancora vivo nella mente di tutti loro, insieme alle urla di dolore che avevano emesso incessantemente prima che il sole li raggiungesse con il suo pietoso e mortale abbraccio. Dopo quell’episodio, nessuno aveva più osato mettere in discussione la sua leadership.

 

Ma Xavier ora era morto e Julius sapeva che se il clan non avesse avuto presto un jnuovo indiscusso leader gli scontri tra le due fazioni non avrebbero tardato a iniziare. E lui voleva essere quel leader, a dispetto di quello che Xavier potesse aver desiderato o forse proprio per quello. Per conseguire quello scopo gli serviva la strega rossa. Morta per mano sua. La sua morte avrebbe vendicato la fine del Maestro e gli avrebbe dato la credibilità di cui aveva bisogno per succedergli. La sua vita dopo la morte gli avrebbe assicurato una potentissima sottoposta, se anche solo una parte della visione che Heinz aveva avuto dell’universo parallelo creato da Anyanka si fosse mantenuta. Se poi anche i suoi poteri magici si fossero trasferiti al demone, avrebbe avuto una strega vampira talmente potente al suo servizio che il demone evocato dal maestro sarebbe sembrato un innocuo animaletto da compagnia al confronto.

 

Julius sorrise. Ora aveva uno scopo e un piano stava iniziando a formarsi nella sua mente. Niente di troppo complicato. Julius era un tipo diretto e non sopportava le sottigliezze tanto care ad Antoine. Quando si accorse che il suo vagabondare lo stava dirigendo alla larga stanza con l’altare di pietra grezza in pezzi che Xavier aveva eletto come sua stanza del trono. Il suo sorriso si allargò e il suo volto mutò istintivamente in quello deol suo demone, facendo scintillare le sue zanne minacciosamente alla luce delle torce fissate alle pareti. Arrivato sulla soglia della sala si raddrizzò maggiormente ed entrò, tutta la fierezza che provava evidente nei suoi gesti.

 

Era ora di dare un nuovo capo al clan di Boreanz.

 

 

 

Heinz se ne stava in disparte in un angolo della sala quando Julius entrò sorridendo tra sé con passo ancora più baldanzoso del solito. Istintivamente si appiattì contro la parete e si confuse con le ombre, curioso di vedere cosa sarebbe successo. Il linguaggio del corpo di Julius gli diceva che qualcosa bolliva in pentola.

 

Antoine era al centro della stanza,  e stava impartendo ordini ad un paio di servi per assicurare che il clan continuasse a tenere un basso profilo e avesse tutto ciò di cui aveva bisogno. Antoine era un leader naturale, anche se questo non bastava ad assicurargli di sedere al posto di Xavier.

 

Nella sala c’erano numerosi altri vampiri, alcuni silenziosi altri immersi in conversazioni sottovoce o impegnati nei compiti loro assegnati. Tutti smisero ciò che stavano facendo quando Julius si parò davanti ad Antoine e ne attirò l’attenzione e nella sala calò un silenzio carico di attesa.

 

“Fratello,” disse Julius, parandosi di fronte ad Antoine con le braccia incrociate sul petto, attento ad evitare un confronto diretto. Julius riteneva Antoine molto forte e furbo. Julius voleva essere riconosciuto come capo, non venire distrutto mentre tentava di diventarlo. Una volta che la strega rossa sarebbe stata la sua nuova figlia delle tenebre, avrebbe pensato lei ad eliminare il suo rivale. Adesso ci voleva calma.

 

Antoine si voltò verso di lui. “Dimmi Julius.”

 

Julius odiò la condiscendenza con cui Antoine lo stava trattando, come se fosse già il capo. “Devo parlarti,” disse già mostrando segni d’impazienza.

 

Antoine congedò i servi con un gesto e si girò completamente verso di lui. Così uno di fronte all’altro era facile vedere quanto fossero diversi.

 

Julius aveva la pelle d’ebano, era massiccio e muscalore non più alto di un metro e settantacinque. Aveva un carattere impaziente ed impulsivo e una forza terrificante. Antoine invece era più alto di almeno dieci centimetri, slanciato e con lineamenti fini, quasi effemminati, che tradivano la sua origine francese. Era molto intelligente e la sua esperienze nelle pratiche magiche era stata notevole in vita, anche se quasi nulla era passato al suo demone.

 

Julius vestiva sempre con la tunica del clan o con abiti comodi, come si aspettasse sempre di dover combattere in qualsiasi istante. Antoine, quando non portava la tunica, amava vestire completi tre pezzi firmati da grandi stilisti.

 

Heinz li osservò fronteggiarsi dal suo angolò. Il terzo figlio di Xavier sapeva che qualcosa doveva accadere prima o poi ed era pronto a schierarsi con il vincitore, fino a quando non avesse potuto disfarsene. Sfidare apertamente uno dei due sarebbe stata una follia da parte sua. Heinz era più forte di quasi tutti i suoi fratelli, ma Julius e Antoine lo avrebbero reso polvere prima che potesse fare una mossa. Le sue doti di preveggenza lo avevano reso un elemento significativo del clan, ma molti pensavano che fosse più utile che indispensabile, nonostante le sue visioni si fossero rivelate spesso fondamentali per Xavier dalla sua creazione.

 

Per sua fortuna c’era qualcosa che Heinz non aveva detto neanche al suo Sire e Maestro. Heinz non era solo un vegente, ma era anche un telepate di medio livello. Non molto potente, ma abbastanza abile da riuscire a carpire delle informazioni vitali qua e là. La lettura del pensiero gli costava molte energie, però, e quindi non poteva usarla spesso quanto gli sarebbe piaciuto.

 

Ora però sentiva che era importante sapere cosa passasse per la testa di Julius. Rimanendo contro le ombre della parete si rilassò e lasciò che il suo pensiero toccasse la mente del vampiro dalla pelle nera. Si mosse furtivo tra i suoi pensieri, attento a non farsi scoprire e a non interferire con i suoi normali processi logici. Non voleva farsi scoprire e non voleva immergersi completamente nella sua mente tanto da estraniarsi dalla realtà. Le parole di Julius potevano essergli utili tanto quanto i suoi più reconditi segreti.

 

Heinz vide le aspirazioni di Julius, i suoi sogni di potere, il desiderio di avere la strega rossa ai suoi piedi.

 

Si ritrasse dalla sua mente e si sentì molto stanco. Povero folle, la strega rossa ti mangerà vivo.

 

“Dobbiamo decidere chi sarà il nuovo Maestro del nostro clan,” buttò là Julius senza preamboli.

 

Antoine assunse una posa guardinga, senza però essere apertamente difensiva “Mi stai sfidando per il trono Julius?” Sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Avrebbe preferito che non arrivasse così presto, ma era inevitabile che lui e Julius si scontrassero in qualche modo per il comando.

 

L’aria attorno a loro si fece d’improvviso incandescente. Rimasero a fissarsi per lunghi istanti fino a quando Julius non indietreggiò di un passo con deliberata calma per allentare la tensione. Julius voleva il comando e voleva Antoine ai suoi ordini fino a quando non avesse avuto il suo personale killer a fare il lavoro sporco per lui, una forza tale che nemmeno gli dei avrebbero potuto opporglisi. Finchè non avesse avuto la strega rossa. Che magnifica figlia delle tenebre sarebbe stata! La sua figlia delle tenebre.

 

“No. Non è questo che voglio. Gli insegnamenti del Maestro sono ancora vivi in me. Dividere il clan in una lotta intestina sarebbe sciocco e controproducente e noi siamo entrambi indispensabili in questo momento e per molti anni a venire.”

 

Antoine lo guardò con aperta curiosità, cercando di capire cosa il suo non troppo brillante fratello stesse elaborando. “Cosa proponi, allora?”

 

“La vendetta. Il prossimo capo del Clan di Boreanz sarà colui che tra noi ucciderà la strega dai capelli rossi.”

 

Antoine riflettè sulla proposta di Julius. Era certo che ci fosse di più. Una sfida alla pari gli sembrava una proposta improbabile da parte del suo antagonista. Lui godeva di maggiore consenso nel clan e quindi di più seguaci pronti ad eseguire i suoi ordini. Julius doveva essere convinto di avere una qualche sorta di vantaggio per fare una proposta del genere. Non era una situazione ideale, pensò Antoine, ma non poteva tirarsi indietro da una pubblica sfida che coinvolgeva la possibilità di vendicare il loro Maestro Xavier. E anche lui voleva il trono. Xavier glielo aveva promesso.

 

Prima che potesse accettare, Heinz si fece avanti dalle ombre in cui si era nascosto con fare sussequioso. “Fratelli, se mi è permesso…?” Chiese in modo da non sfidare la loro autorità.

 

“Parla Heinz. Dicci cosa pensi,” disse Antoine, grato del tempo che l’interruzione gli concedeva.

 

“Come Julius ha ricordato, il nostro clan ha subito delle perdite notevoli ultimamente. Lo scontro con la strega e la cacciatrice durante il rito ci è costato quasi trenta elementi. Forse non sarebbe il tempo migliore per inseguire una vendetta. Ma abbiamo bisogno di un nuovo capo, e presto!” Disse a tacitare le ovvie obiezioni. “E la strega rossa sarebbe una magnifica acquisizione.” Heinz fece una pausa ed indagò i loro visi per vedere se lo stavano seguendo sulla strada su cui li stava conducendo. Quando gli sembrò di avere la loro completa attenzione continuò nel suo tono rispettoso. “Se mi è concesso vorrei suggerire un compromesso.”

 

Julius lo guardò minacciosamente. Il suo istinto gli diceva di non fidarsi, anche se la sua mente gli opponeva il fatto che Heinz non era così stupido da cercare di fregarli. Gli sarebbe costato carissimo provarci. “Che compromesso?” Chiese, guardingo.

 

“Ognuno di voi avrà con sé non più di cinque seguaci per cercare di vendicare Xavier. In questo modo il clan non subirà perdite massicce in caso di fallimento e la vostra vittoria sarà più grande in caso di successo. Avrete un mese di tempo per compierla. Nel caso falliate entrambi, uno duello tra voi due deciderà il nuovo Maestro. In questo mese, con il vostro permesso, io mi prenderò cura del clan fino a quando il nuovo leader non si insedierà. Cosa ne pensate?”

 

I due vampiri rifletterono sulla proposta di Heinz. Antoine fu lesto a vedere l’opportunità di giocare il proprio avversario in una caccia alla pari. “Per me va bene,” disse.

 

Julius non poteva sottrarsi, dopo che il suo fratello aveva accettato. Inoltre una caccia alla pari escludeva la possibilità per Antoine di utilizzare il maggior numero di servi di cui disponeva. “È un’ottima idea, fratello.”

 

“Allora è deciso,” disse Heinz.

 

Julius senza aggiungere una parola si voltò ed uscì dalla sala. Doveva mettere in moto i suoi piani. Cercò Jonah, il suo fidato figlio e lo trovò nelle sue stanze che lo attendeva. “Jonah, scegli quattro compagni di assoluta fedeltà. Trovami la strega rossa e non perderla mai di vista. Sii cauto, la cacciatrice ha un posto speciale per lei nel suo cuore.”

 

“Come comandi, Sire.” Jonah uscì per eseguire i suoi ordini e lo lasciò solo.

 

Nella sala del trono Antoine si apprestava ad uscire per dare gli stessi ordini, quando la voce di Heinz lo trattenne. “Fratello, aspetta.”

 

“Cosa c’è ancora, Heinz?” Chiese Antoine con voce annoiata.

 

“Ho avuto una visione,” mentì Heinz, felice di vedere l’interesse dell’alto vampiro salire notevolmente.

 

“Cosa hai visto?”

 

“Rovina e distruzione per il primo che cercherà di uccidere la strega rossa. Lascia che Julius corra incontro alla sua distruzione insieme ai suoi più fedeli. Poi sarà il tuo turno. Vendicherai il Maestro e nessuno oserà sfidare la tua leadership. Con la strega rossa ai tuoi ordini sarai più grande di quanto Xavier sia mai stato.”

 

“Sei certo che è questo ciò che accadrà?”

 

“Sì…Maestro.”

 

Antoine sorrise. Gli piaceva il suono di quella parola. “Bene. Che lo sciocco sia l’artefice della propria rovina,” disse, uscendo dalla sala.

 

Heinz sorrise. Il suo piano era iniziato. Chiunque avesse vinto, alla fine sarebbe stato lui a regnare sul clan di Boreanz. Lui e il suo padrone.

 

Capitolo XIV: Tutti a Sunnydale

 

Tara posò la tazza di tè che stava sorseggiando sul basso tavolino da caffè del soggiorno e si guardò attorno, alla ricerca della più recente acquisizione della famiglia Maclay. Era un acquisto davvero recente. Lo aveva trovato solo tre mesi prima in uno scatolone dietro il palazzo e non aveva avuto cuore di lasciarlo lì.

 

Mentre passava lo sguardo in giro notò una volta di più quanto il suo appartamento fosse piccolo e brutto.

 

Una camera da letto, una cameretta, un soggiorno e un cucinino, tutte minuscole e fatiscenti nonostante i suoi sforzi di dargli un aspetto invitante e confortevole. Soprattutto per tre persone, contando oltre se stessa e Lizze anche Miss Kitty seconda.

 

Come mi sono ridotta a vivere così? Quanto ancora dovrò far vivere mia figlia in mezzo a questa miseria? Dovrei accettare di tornare con Helen anche se non la amo? Lei può garantire a Liz una vita decorosa. Ha una bella casa e può permettersi di comprarle tutto ciò di cui ha bisogno.

 

L’appartamento era situato al quarto piano di un palazzo che era parte di un complesso di costruzioni tutte uguali in uno dei quartieri popolari di San Francisco. Tutti gli appartamenti di quei palazzi erano piccoli e umidi, con pareti sottili, e porte d’ingresso così vicine l’una con l’altra da farli assomigliare alle celle di un alveare.

 

Per fortuna il quartiere è abbastanza tranquillo, si disse, continuando a cercare.

 

Un piccolo gatto dal manto completamente nero, a parte due macchie bianche, una sulla zampa destra e l’altra sul petto, fece capolino da dietro il divano squinternato.

 

“Ah, sei qui, piccolina,” disse Tara con voce dolce, prendendosi la gattina in grembo e sedendosi sullo scomodo divano. Subito le molle protestarono vivacemente contro il suo peso.

 

Ha ragione Helen, pensò. Questo divano è davvero scomodo.

 

Helen si era offerta molte volte di darle dei soldi per cambiarlo, ma Tara si era sempre rifiutata di accettarli. A nulla erano valse le proteste della sua ormai ex-amante che non c’era bisogno che glieli restituisse, o che se proprio voleva, poteva farlo con comodo.

 

Per Tara l’idea di ricevere dei soldi era inaccettabile. Era come ricevere la carità e il suo orgoglio non poteva ammettere che la sua situazione finanziaria fosse così disperata. Certo, era costretta a fare due lavori e non nuotavano nell’oro, ma riuscivano ad avere una vita dignitosa, seppure con tutte le limitazioni del caso.

 

“In fondo non ce la caviamo così, male, giusto Miss Kitty?” Chiese all’animale raggomitolato nel suo grembo, mentre gli scuoteva la testolina in un’energica carezza.

 

Il gatto alzò i suoi occhi verdi verso di lei ed emise un miagolio di protesta.

 

“Oh, andiamo! In fondo hai la pappa tutti i giorni e tutte le coccole che vuoi. Oggi la mamma ti porterà dalla zia Helen.” Il gattino miagolò una nuova protesta. “La mamma deve andare via per un po’ di giorni e non può portarti con lei,” disse Tara, cercando di sedare le proteste del suo animaletto. “Ma da zia Helen starai benissimo, vedrai. Ti darà tanto buon cibo e tanti giocattoli e ti farà tantissime coccole.”

 

La gattina non sembrava troppo convinta e alzò una zampa contro l’ampio petto di Tara, come a supplicarla di portarla con sé a Sunnydale.

 

Tara continuò ad accarezzarla e iniziò a pensare al viaggio che attendeva lei e Lizze il giorno dopo. I biglietti aerei erano arrivati tre giorni prima. San Francisco-Sunnydale in prima classe, più un buono da trenta dollari per un taxi, un biglietto che diceva di chiedere di un tassista di nome Felipe non appena arrivata e l’ordine di chiamarla non appena ricevuto il tutto.

 

Aveva telefonato a Dawn per ringraziarla. E come ogni volta aveva sperato che fosse Willow ad alzare il ricevitore, ma la strega fai capelli rossi sembrava sapere infallibilmente quando era lei a telefonare.

 

Tara si era detta che forse era meglio così, ma la delusione era evidente nella sua voce.

 

Dawn aveva ovviamente fatto finta di niente e aveva preso la palla al balzo per raccontarle nei minimi dettagli l’ottimo lavoro che Will stava facendo per il suo matrimonio e quanto andasse bene il suo lavoro, attenta a non dimenticarsi però, che, secondo lei, mancava qualcosa nella vita della rossa.

 

Avevano passato al telefono quasi due ore. Una parte della mente di Tara aveva pensato alla bolletta che le sarebbe arrivata, ma non era riuscita a dispiacersi di aver passato tutto quel tempo al telefono con Dawn. L’amava come una sorella ed era senza dubbio la zia preferita di Lizzie. Forse perché la viziava in modo osceno o forse perché entrambe conoscevano il peso di non avere due figure parentali. Sia come sia, Dawn e Lizze andavano molto d’accordo, anche se vincere la timidezza naturale di sua figlia era costata molte energie alla giovane Summers.

 

Lizze era eccitatissima all’idea di andare a Sunnydale a trovare le zie. Negli ultimi tre giorni non aveva parlato d’altro che di quanto sarebbe stato bello rivedere zia Dawn e zia Buffy, e zia Anya e zio Xander. Aveva addirittura chiesto se ci sarebbero stati anche zio Giles e zia Willow. Di nascosto da Tara aveva frugato nei cassetti e tirato fuori le vecchie foto di lei e Willow, che la strega bionda conservava gelosamente in una scatola, sparpagliandole sul letto. A Tara era poi toccato rimetterle a posto e, per fortuna della bambina, sua madre non si era accorta che ne mancavano alcune che Lizze aveva pensato bene, chissà per quale istinto, di nascondere dentro a un libro di fiabe illustrate che Joan, la prima ragazza di Tara dopo Willow, le aveva regalato.

 

Madre e figlia sarebbero partite l’indomani mattina e Tara doveva ancora finire di preparare i bagagli. Ma soprattutto doveva affidare Miss Kitty alle cure di Helen, sperando che la gattina, che aveva sempre mostrato una particolare antipatia verso la donna, si comportasse bene. Per fortuna non era con loro quando ancora stava insieme, senno chissà cosa sarebbe successo. Come se l’antipatia di Liz verso Helen non fosse abbastanza!

 

Tara si sforzò di non pensarci e si alzò dal divano. Mise la gattina in una cesta con un paio dei suoi giocattoli preferiti. Era tempo di andare.

 

 

 

Helen camminava avanti e indietro per il soggiorno della sua villetta in uno dei quartieri residenziali di SF. Essere una stimata donna d’affari le aveva permesso di vivere in maniera abbastanza agiata. Sentiva però che quella casa che si era comprata con tanta fatica era vuota senza qualcuno con cui dividerla. Le sarebbe piaciuto che quel qualcuno fosse Tara.

 

Si erano conosciute ad un incontro di uno dei gruppi Wicca di S.F. ed era stata una sorpresa scoprire che anche quella giovane così timida era una strega. Per di più ben più potente di quanto lei avrebbe mai potuto sperare di diventare.

 

L’idea di una ragazza così dotata ma così passiva aveva smosso in Helen il predatore che era dormiente in lei. Aveva fatto una corte serrata a Tara finché non aveva ceduto. Era stata attenta a non essere troppo insistente e a non farla sentire a disagio, soprattutto pensando al fatto che una ragazza madre sarebbe stata una conquista ancora più difficile.

 

Alla fine era riuscita a conquistarla. Erano uscite insieme per otto mesi, e durante quel periodo Helen aveva capito che Tara era la donna giusta per lei. Il problema era che Tara non la pensava allo stesso modo.

 

Se solo Helen fosse stata capace di entrare nelle grazie di sua figlia Liz! Helen era una donna energica e capace, ma con i bambini non ci sapeva proprio fare. E neanche con gli animali.

 

Perché mi sono offerta di tenere quello stupido gatto? Poi perché vada al matrimonio di quella rompipalle di Dawn, che non fa altro che parlare di quanto sia fantastica la sua ex. Se è così fantastica, perché non ha mai provato a riavere Tara?

 

Helen sapeva perché si era offerta di tenere Miss Kitty. Non era tipo da raccontarsi delle bugie. Non con se stessa. Voleva rientrare nelle grazie e nel letto della strega bionda, voleva convincerla che insieme potevano essere felici. Bastava trovare il giusto compromesso. Tra poco, quando Tara sarebbe venuta a portargli il suo animaletto avrebbe sferrato il suo attacco perché tornassero insieme.

 

Doveva non era servita la dolcezza e la comprensione forse un altro tipo di approccio poteva riuscire.

 

Helen si diresse verso la camera da letto e osservò la scena che aveva preparato. Tutto era in ordine. Se la sua intuizione era giusta, l’aspettava un pomeriggio come non ne avevano mai avuti. L’inizio di una nuova, eccitante fase nel loro rapporto. Quello di cui avevano bisogno era un po’ di pepe.

 

Tra i problemi che avevano portato le due a lasciarsi c’era anche il sesso. Helen avrebbe voluto sperimentare cose nuove, valicare i limiti della morale comune, fare di tutto perché abbandonassero l’impasse in cui erano cadute, ma Tara si era sempre rifiutata. Ad Helen non era sfuggito che Tara sembrava molto poco coinvolta quando facevano l’amore. Talvolta aveva addirittura pensato che simulasse l’orgasmo, ma aveva scartato l’idea. Il suo orgoglio non le permetteva di considerarla possibile.

 

Rimaneva però il fatto che Tara sembrava essere una donna molto passionale che tratteneva tutto il fuoco di cui era capace dentro di sé. Doveva riuscire a sbloccarla.

 

Tornò in soggiorno e guardò l’orologio appeso al muro. Ormai mancava poco. Decise di attendere l’arrivo di Tara con un bicchiere di vino bianco.

 

Cinque minuti dopo il campanello della porta suonò. Helen andò ad aprire e si trovò davanti la strega bionda vestita con i soliti abiti larghi e dimessi.

 

Non capiva proprio perché una ragazza con il suo corpo facesse di tutto per nasconderlo.

 

La invitò ad entrare e la fece accomodare. “Vuoi del vino?” Chiese.

 

“Sì grazie,” rispose educatamente Tara.

 

Helen versò il vino in un flute che aveva preparato. Aveva sperato che accettasse. Era certa che il vino l’avrebbe aiutata a sciogliersi.

 

Tara accettò il bicchiere e sorseggiò il vino bianco secco, mentre con una mano accarezzava Miss Kitty che dormiva nella sua cesta.

 

Helen allungò una mano verso la cesta con l’intenzione di accarezzare contemporaneamente la gattina e la mano della sua padrona, ma l’animale, come se sentisse l’avvicinarsi della nuova presenza, si svegliò e iniziò a soffiare.

 

Helen ritrasse la mano, maledicendo mentalmente il gatto e tutti i felini del mondo.

 

“Sta buona, Miss Kitty,” disse Tara con tono calmante. Il gatto si quietò, ma rimase a guardare in modo ostile la padrona di casa.

 

Tara continuò ad accarezzare l’animaletto senza accorgersi dello sguardo di sfida nei suoi occhi.

 

“Ti ringrazio molto di tenere Miss Kitty finché starò via,” disse Tara. “Sei una vera amica.”

 

“È un piacere,” le rispose Helen. “Anche se non lo faccio solo per senso di amicizia.”

 

Tara sentì improvvisamente il nervosismo impadronirsi di lei. “C-Che intendi?”

 

Helen le sorrise in modo seducente. “Oh, andiamo, lo sai. Vorrei che tornassimo insieme,” disse chinandosi in avanti per accarezzarle il braccio, mostrando così la generosa scollatura dell’abito che indossava.

 

A Tara non sfuggì la vista di quel panorama e per non deglutire a vuoto sorseggiò un altro po’ di vino.

 

Bene, pensò Helen. È ancora sensibile al mio fascino. Devo evitare che come al solito sia solo una reazione iniziale.

 

Helen si alzò e andò a mettersi dietro le sue spalle. “Io ti desidero, Tara. So che abbiamo avuto dei problemi, ma se tu ti lasciassi andare un po’ di più…”

 

Si chinò in avanti a baciarla sul collo e dietro l’orecchio, sfregandole i seni contro la schiena. Quel gestò provocò un piccolo brivido di piacere in Tara, che sentì il suo nervosismo trasformarsi velocemente in eccitazione.

 

Le mani di Helen si spostarono sul davanti accarezzandole i seni in una rude carezza.

 

Tara, che non si era aspettata un assalto così tenace da parte della sua ex, piegò la testa all’indietro ed emise un piccolo gemito. Per un attimo pregò che non fosse solo un fuoco fatuo come al solito. Il suo corpo aveva bisogno di allentare la tensione e il piacere che riusciva a darsi da sola non le bastava più. Il problema era che nessuna era più riuscita a darle piacere dopo… Nella sua mente emersero in un lampo tutti i dubbi che aveva avuto negli ultimi anni. Tra questi anche il fatto che dopo Willow, né Joan né Helen erano state capaci di coinvolgerla davvero tra le lenzuola. Anzi. A coinvolgerla, punto e basta.

 

Tara non era mai stata una puritana in camera da letto con Willow. E talvolta anche fuori della camera. Con la rossa tutto le era sembrato accettabile e bello. Tara aveva scoperto che le piaceva molto il sesso, purché non fosse disgiunto dall’amore. Allora tutto era fattibile e con Willow avevano sperimentato alcune cose, tipo farlo in posti e in momenti in cui era facile venire scoperte.

 

Ma dopo di lei, Tara non aveva più sentito l’impulso ad osare. Anzi spesso non aveva proprio sentito l’impulso. Con Willow Tara avrebbe fatto di tutto in qualunque momento. Ma era un istinto che solo la rossa era riuscita a tirare fuori in lei, con le sue carezze e i suoi baci, la sua incredibile resistenza che le permetteva di passare notti intere tra le sue cosce a leccarla e a bere i suoi fluidi, lasciandola solo al mattino, appagata e piacevolmente dolorante.

 

Questo pensiero, unito alle sollecitazioni che stava subendo le provocarono un altro gemito, più lungo e carico di eccitazione del precedente. Sentì un calore umido ormai inusuale formarsi tra le cosce. “Oooooh, sì così. Non smettere…” …Willow!

 

Helen sentendo Tara gemere, raddoppiò i suoi sforzi, accarezzando e pizzicando con forza i capezzoli della strega bionda attraverso il tessuto e lasciando scie di saliva sul suo collo, alternate a morsi feroci e appassionati.

 

Tara, sentendo le dita pizzicarle i seni con forza tale da lasciare dei segni trattenne il respiro, mentre un velo di eccitazione le scendeva sugli occhi, offuscandole lo sguardo.

 

Se fossero le tue mani a farmi questo, Will…

 

Helen la fece alzare e la girò verso di sé. Mentre si baciavano appassionatamente la condusse in camera da letto e iniziò a spogliarla. I suoi vestiti furono in breve sul pavimento e Tara si ritrovò nuda e stesa sul letto senza sapere come ci era arrivata. Finalmente sembrò accorgersi di dove si trovava e di cosa stava succedendo. Ma quello che la turbò maggiormente furono gli oggetti sparsi per la stanza. Appesi ai montanti del letto c’erano delle corde e ovunque frustini e falli artificiali facevano mostra di sé.

 

Tara si bloccò immediatamente, cercando di capire perché quegli oggetti si trovavano lì. Stranamente non aveva paura. Sentiva una quieta eccitazione scaldarle lo stomaco e bruciarle il sangue nelle vene, scorrendo all’impazzata nelle orecchie con il rombo di un tuono, impedirle di dare reale consistenza alla scena.

 

Chissà cosa si prova a ricevere la rude carezza del frustino. Buffy una volta mi ha raccontato della versione vampira di Willow. Così sadica e dominante. Mi sarebbe piaciuto vederla e non solo, ammise con se stessa.

 

Quel pensiero la stupì e abbassò l’eccitazione che pervadeva il suo corpo.

 

Allontanò delicatamente da sé Helen, che non si era accorta del suo cambiamento di umore e continuava a baciarla e a strizzarle i capezzoli in modo quasi violento.

 

“Non aver paura,” disse Helen, passandole una corda attorno a un polso e la lingua su un lobo. “Ti piacerà, vedrai.”

 

“Helen, fermati ti prego,” supplicò Tara. Ma Helen non l’ascoltava. Assicurò anche il secondo braccio di Tara al montante del letto. “Aprì bene le gambe e aspettami.” Poi si diresse verso un cassettone e prese uno dei falli che si trovavano sopra.

 

Per un attimo Tara vide nella sua mente l’immagine di se stessa legata al letto ed aperta e Willow, con indosso un arnese come quello, che scendeva su di lei e la penetrava con foga quasi animale. Quell’immagine le mandò un brivido di lussuria per tutto il corpo. Istintivamente aprì le gambe e chiuse gli occhi, nuovamente dimentica di dove fosse e con chi.

 

“Prima ti frusterò,” disse la voce di Helen, così bassa e carica di desiderio da essere quasi palpabile. Ma nella testa era la voce di Willow a pronunciare quelle parole. “Lascerò dei segni rossi per tutto il tuo corpo. Non ti farà male. Pizzicherà un po’.”

 

Tara sentì un rivolo dei suoi stessi fluidi scivolare dalle grandi labbra e bagnare le lenzuola sotto il suo sedere.

 

Helen a quella vista, si complimentò con se stessa per aver avuto ragione. Tara era la perfetta sub. L’ideale per una predatrice come lei.

 

“Poi ti sculaccerò così forte da farti il sedere ancora più rosso,” disse mentre legava una delle sue gambe al letto.

 

Tara non ricordava di essersi mai sentita tanto eccitata. Nella sua mente c’era una Willow che pochi conoscevano. Tara aveva sempre saputo che in Willow c’era un lato oscuro e un po’ sadico. Ma la strega rossa aveva sempre avuto paura di esplorare quel lato di se stessa, incedendo in quelle piccole perversioni. Non che Tara fosse all’epoca più coraggiosa. Ma ora si sentiva stranamente pronta. Willow poteva fare di lei ciò che voleva, anche chiederle di essere la sua schiava.

 

Helen, ignara del mondo in cui Tara si era persa, continuò con il suo proposito di eccitarla e farle accettare il ruolo di sottomessa che credeva avrebbe rianimato il loro rapporto. “Poi,” disse con senso di anticipazione mentre si avvicinava al letto con un frustino in mano.

 

Poi ci fu un gatto che soffiava rabbiosamente.

 

Tara aprì gli occhi e invece di vedere Willow pronta a maltrattarla e a scoparla senza pietà prima e a coccolarla con infinita dolcezza poi, vide Helen in piedi in fondo al letto, un enorme fallo di plastica rossa legato in vita e un frustino in mano; e se stessa legata al letto in una posizione oscena.

 

E una gattina, poco più di un batuffolo di pelo, che esprimeva tutta la sua furia, snudando denti e artigli e protestando vocalmente in modo feroce e possessivo.

 

Tara per un attimo non seppe se trovare la scena ridicola o se vergognarsi. Ben presto la vergogna ebbe la meglio. Tirò contro i lacci che la tenevano ferma ma i nodi erano troppo stretti.

 

Mormorò un piccolo incantesimo e le corde si sciolsero e ricaddero sul letto. Si alzò come una furia, raccolse i suoi vestiti e si rifugiò di corsa in bagno, seguita dalla gattina che entrò mentre stava chiudendo la porta, rischiando anche di venire schiacciata contro il battente.

 

Oh mio Dio! Pensò non appena la chiave scattò nella serratura impedendo l’accesso dall’esterno. Cosa mi sta succedendo. Non ero venuta per questo. Cosa penserà di me Helen, ora? Come posso dirle che non era a lei che pensavo? Che ho il terrore di fare cosa del genere con chiunque, ma che sarei disposta a fare di tutto con la mia ex che non vedo da cinque anni?

 

Tara iniziò a rivestirsi a velocità sorprendente iniziando con il reggiseno e la maglia.

 

Si sentiva profondamente turbata da quello che era successo. Quello che la preoccupava di più non era la facilità con cui Helen aveva vinto ogni sua possibile resistenza. In fondo erano state amanti per otto mesi. No, quello che la sconvolgeva era che se non fosse stato per Miss Kitty si sarebbe offerta a quel fallo enorme come una vittima sacrificale consenziente, lei che non amava particolarmente la penetrazione e che non aveva mai permesso più di due dita nel suo canale. E quel che era peggio era che si sentiva in colpa. In colpa verso Helen per aver ceduto e poi essere scappata. E perché neanche per un istante aveva pensato che fosse la donna nell’altra stanza a prenderla a quel modo che fino a poco tempo prima avrebbe considerato inaccettabile.

 

L’immagine di Willow che la possedeva con un fallo mostruoso, pizzicandole i capezzoli con violenza e mordendole il collo, lasciandole segni che confondevano la linea tra piacere e dolore, era ancora così vivida nella sua mente che sentì subito i fluidi riformarsi tra le cosce.

 

Tara rinunciò alla sua gonna e alle mutandine e prese a masturbarsi furiosamente, dimentica di avere un piccolo testimone.

 

Dopo poche ruvide carezze sentì il suo corpo tremare e venne.

 

Si ripulì e rivestì e si sedette sulla vasca, cercando di capire cosa le stava accadendo. Miss Kitty le saltò in grembo e la guardò con aria complice.

 

“Mi hai proprio salvata, piccola mia,” disse dando una grattatina dietro le orecchie della micetta. “Ma se ho queste fantasie, chi mi salverà da Willow, domani?”

 

Questo era il vero problema. Non il fatto che Helen l’aveva convinta ad andare nel suo letto senza una parola, o che stava per penetrarla con un fallo enorme la cui sola vista la terrorizzava. Ma il fatto che se ci fosse stata Willow al posto di Helen avrebbe allargato ancora di più le gambe e avrebbe aspettato con trepidazione la sensazione di venire squartata da quel mostruoso pene finto, implorandola di non fermarsi nonostante il dolore.

 

Di certo non si trattava di una sua improvvisa conversione all’eterosessualità. L’idea che fosse un uomo a prenderla in quel modo le rivoltava. Anche l’idea che fosse una donna, a pensarci bene.

 

Così si ritrovò al punto di partenza.

 

Willow.

 

Ciò che l’aveva eccitata così tanto era l’idea che fosse Willow a legarla e maltrattarla in quel modo. Non aveva mai avuto di quei pensieri prima nei confronti della sua ex. Altre fantasie sì. Moltissime. Ma mai l’idea del sadomaso.

 

“Miss Kitty rispondimi! La desidero davvero ancora così tanto che sarei disposta ad essere la sua schiava pur di stare con lei?” La gattina emise un prrrr compiaciuto che a Tara suonò come un: “Nessuno” e un “sì” allo stesso tempo.” Non le risposte che avrebbe voluto ascoltare.

 

“Meglio se non te lo chiedevo.”

 

 

 

Mentre Tara rifletteva su ciò che sarebbe potuto accadere nei prossimi giorni a Sunnydale, Helen si tolse l’arnese e lo ripose insieme agli altri oggetti sulla cassettiera, domandandosi cosa diavolo fosse successo.

 

Aveva visto quale effetto le sue carezze più rudi stessero avendo su Tara, come il suo corpo rispondeva. C’era persino una chiazza sul lenzuolo a testimoniarlo.

 

Il loro gioco era appena iniziato, stava a malapena arrivando a farsi interessante quando era intervenuto quello stupido gatto.

 

Tara era quasi sembrata risvegliarsi da una sorta di trance e Helen aveva capito che l’incantesimo del momento si era spezzato. Allora un’altra magia era subentrata, quella con cui Tara aveva sciolto i lacci che la legavano al letto.

 

Helen aveva sentito il flusso delle energie ed era rimasta a guardare attonita e stordita le corde di seta che ricadevano sul materasso. Tara era scappata in bagno lasciandola nuda, sola, frustrata e con un dildo di trenta centimetri appeso in vita. Non era proprio come l’aveva programmata.

 

Si guardò per alcuni istanti nel grande specchio della cassettiera d’antiquariato, constatando che a trentacinque anni aveva ancora uno splendido corpo, poi si infilò una vestaglia leggera di seta viola e andò in cerca della sua (ancora) ex-amante.

 

Quando si avvicinò alla porta del bagno sentì la voce di Tara che parlava con qualcuno. Non riusciva a capire le parole ma il tono era dolce come se parlasse ad un bambino.

 

Bussò alla porta, sperando che il pomeriggio non fosse irrimediabilmente compromesso. “Tara, sei lì? Va tutto bene?”

 

Dopo alcuni istanti sentì il chiavistello della porta scattare e Tara uscì dal bagno ad occhi bassi.

 

Vedendo come si vergognava e pensando che il linguaggio del corpo della strega bionda suggerisse una conferma ai suoi sospetti, Helen si disse che forse poteva ancora rimediare.

 

Seguì Tara in soggiorno e la osservò rimettere la gattina nella sua cesta.

 

“Perché sei scappata via?”

 

“Ti prego Helen non parliamone,” supplicò Tara senza alzare lo sguardo.

 

Helen le si avvicinò, le mise una mano sotto il mento, costringendola a guardarla. Poi senza dire una parola si chinò a baciarla con foga.

 

Tara all’ultimo momento girò il viso, presentando la guancia alle sue labbra.

 

“Insomma, cos’hai?” Chiese la donna in tono vagamente accusatorio.

 

Tara sentì la vergogna arrossarle le gote. Aveva sbagliato tutto oggi. Sbagliato a cedere, sbagliato a scappare, sbagliato a pensare a Willow sia quando cedeva che quando scappava.

 

“Niente. Scusa Helen ma devo andare.

 

“Non sarebbe meglio che parlassimo di questa cosa, invece?”

 

Parlare? E di cosa avrebbero dovuto parlare? Del fatto che sentiva di aver bisogno di liberare la tensione del viaggio a Sunnydale e del suo prossimo incontro con Willow facendo sesso? Del fatto che pensava alla sua prima ragazza mentre Helen la baciava? Che quello era l’unico motivo per cui aveva lasciato che la spogliasse e la legasse al letto? Che se ci fosse stata Willow al suo posto non sarebbero in soggiorno a parlare ma nel letto a darci dentro come animali in calore e che lei sarebbe stata ancora legata ai montanti e felice di esserlo?

 

Perché la vita era così complicata? Cosa provava per Willow? E cosa per Helen?

 

Voleva bene ad Helen, di questo era certa. Ma l’amava? Era disposta a riprovare con lei, a dare un’altra chance alla loro relazione? O voleva invece coltivare il sogno di un riavvicinamento con Willow dopo cinque anni e nonostante la strega rossa avesse rifiutato qualsiasi contatto con lei negli ultimi cinque anni? Era perché Willow era stata la prima che coltivava tutte quelle fantasie su di lei? E perché la materia dei suoi sogni le diceva di essere disposta a tutto purché Willow tornasse ad amarla?

 

Era troppo confusa per potersi dare una risposta. Doveva andarsene da lì. Doveva pensare.

 

“Mi spiace, Helen,” disse raccogliendo la sua giacca e dirigendosi verso la porta in una fuga precipitosa. “Tornerò a prendere Miss Kitty al mio ritorno.”

 

Prima che Helen potesse dire o fare qualcosa Tara era uscita e si era richiusa la porta alle spalle. Alla donna non rimase che vedere la schiena di Tara che si allontanava verso l’uscita e poi fissare il legno di quercia della porta in assoluto sbigottimento.

 

Dopo un po’, quando la delusione fu passata, si voltò verso la gattina che era tornata ad accucciarsi nella sua cesta, con un sospiro. “Pare che siamo rimasti io e te, piccola.”

 

Miss Kitty tirò su la sua testolina nera e soffiò irritata. Helen non le stava proprio simpatica e tanto meno che disturbasse il suo beato riposo.

 

Helen sospirò di nuovo. “Cominciamo bene!”

 

Il campanello della porta suonò. Helen si precipitò ad aprire sperando che fosse Tara che ci aveva ripensato. Se era lei avrebbe dovuto punirla per il suo comportamento. In modo lungo e piacevole per entrambe. Del resto aveva comprato tutta una serie di frustini che non vedeva l’ora di sperimentare.

 

“Tara, sei stata proprio cattiva,” disse aprendo la porta. “Ora dovrò legarti e sculacciarti.”

 

Solo che fuori della porta non c’era la strega bionda, ma un uomo che aveva all’incirca la sua età, capelli castani tagliati a spazzola e occhi dello stesso colore, piccoli e penetranti. Indossava un completo scuro a tre pezzi molto elegante, certamente di sartoria, che gli ricadeva addosso come solo i vestiti tagliati su misura possono fare, ma che in qualche modo sembrava stonare su di lui.

 

L’atteggiamento con cui stava fermo sulla soglia, i muscoli tesi come se si aspettasse che dovesse succedere chissà che da un momento all’altro, dava l’idea che fosse un uomo più abituato all’azione che a starsene con le mani in mano.

 

“Per quanto potrei considerare interessante una simile piega degli eventi,” disse l’uomo con forte accento inglese senza scomporsi minimamente, “preferirei parlare con lei Miss Harden. Lei è miss Harden, vero?”

 

L’uomo le porse la mano e Helen gliela prese automaticamente ancora frastornata dalla figura che aveva fatto.

 

“Sì, sono Helen Harden. Chi vuole saperlo?” Chiese con voce scioccata.

 

“Mi chiamo Jack Merryman e vengo dall’Inghilterra per parlarle di un problema che potrebbe affliggere una nostra comune amica,” disse l’uomo facendo un passo all’interno della villetta.

 

Helen si scostò e lo fece entrare, chiudendo fuori della porta il mondo in cui Tara, con i suoi sogni di capelli rossi e occhi verdi, si era avventurata.

 

 

 

Jenny McCormack non aveva mai desiderato così tanto non essere sola in tutti i suoi quindici anni di vita. Kennedy le mancava terribilmente. Avrebbe tanto voluto che fosse lì con lei.

 

Le due ragazze si erano divise già da un po’. Avevano pensato di avere più chances se si fossero mosse da sole. Jenny all’inizio aveva pensato che fosse un’idea assurda, che se fossero rimaste insieme avrebbero avuto più possibilità di rimanere vive. In fondo erano riuscite a sfuggire ai loro inseguitori per un bel po’. Più di cinque settimane, ormai, da quando avevano lasciato l’Inghilterra, nascoste nella stiva di un cargo che aveva attraccato a New York.

 

Una volta arrivate, per un paio di giorni si erano sentite al sicuro, convinte di avercela fatta, di aver fatto perdere le loro tracce, finché una notte gli uomini incappucciati, che avevano ucciso il suo osservatore, erano riapparsi con le loro daghe in mano e lo scopo dichiarato di aprire loro la pancia.

 

Avevano dovuto mettersi a scappare di nuovo, sempre con la paura di venire ritrovate, sempre costrette a lottare per la loro vita, a guardarsi le spalle da quegli incubi incarnati di cui non avevano mai visto neanche la faccia e che le volevano morte per qualcosa a cui avrebbe rinunciato molto volentieri.

 

Jenny non aveva mai desiderato altro che essere una teen-ager come le altre, con le sole preoccupazioni della scuola, di non mettersi lo stesso completo due volte di seguito e di non far entrare le mani di un ragazzo nelle sue mutandine troppo in fretta. No, lei non era come Kennedy. Aveva accettato l’addestramento perché era necessario. Capiva l’importanza del compito. Ma non aveva mai desiderato essere una prescelta. Non in quel senso almeno.

 

No, lei non era proprio come Kennedy. Se ne era convinta sempre di più negli ultimi tempi. Non era tagliata per passare la vita a combattere il male. Se fosse toccato a lei succedere, lo avrebbe fatto, ben intesi. Solo che non lo desiderava.

 

Invece Kennedy sembrava nata per quello. Era evidente mentre combattevano per la loro vita, respingendo gli assalti degli uomini incappucciati. In quei momenti aveva dimostrato tutta la sua forza di volontà e le sue straordinarie doti di combattente. Le aveva salvato la vita più di una volta e quello era uno dei motivi per cui Jenny era stata restia a separarsi da lei. L’altro era che aveva paura. Paura di non farcela da sola. Paura di essere sola contro chi voleva ucciderla per qualcosa che non aveva chiesto.

 

Ma ora che il cartello che diceva ‘Benvenuti a Sunnydale’ stava scorrendo davanti ai finestrini del pullman Greyhound su cui stava viaggiando, illuminato debolmente da un faretto, iniziava a pensare che Kennedy avesse avuto ragione. Potevano davvero farcela. Lei ce l’aveva quasi fatta. Tra pochi minuti sarebbe arrivata alla sua destinazione. Poi non le rimaneva che trovare Buffy Summers, la cacciatrice a guardia di questo Hellmouth.

 

Sperò che ce la faccia anche tu Kenn! Ti aspetterò con la cacciatrice e allora gliela faremo vedere a quegli stronzi incappucciati!

 

Guardò il suo orologio e vide che era quasi l’una del mattino. Dove poteva trovare la cacciatrice a quest’ora? La risposta poteva essere tristemente facile. Probabilmente in un qualche cimitero, di ronda. Però forse non era saggio mettersi a cercarla stanotte. Una ragazza di quindici anni in giro da sola per cimiteri era un invito a nozze per i vampiri dell’Hellmouth. Per quanto fosse addestrata, non era il caso di sfidare la fortuna ora che riuscita ad arrivare fin qui.

 

Forse farò schifo anche ai vampiri e mi lasceranno perdere, si disse mentre studiava il proprio riflesso nel vetro del finestrino. I suoi capelli biondi apparivano opachi e bisognosi di un buon taglio. I suoi begl’occhi grigi erano cerchiati e stanchi. Non ricordava neanche più l’ultima volta che aveva dormito in un letto. I suoi vestiti erano sporchi e mandavano un odore terribile. E aveva bisogno di un bagno. Lungo, caldo e con tanto di sali.

 

Eppure giurerei che ero addirittura carina prima di lasciare Londra. Ho bisogno di un bel bagno caldo e di un fuoco per bruciare questi stracci. Per fortuna siamo arrivati, si disse, mentre il pullman parcheggiava lentamente sotto la pensilina della stazione delle corriere di Sunnydale.

 

Jenny raccolse le sue poche cose e si avviò verso l’uscita. Una volta all’aperto ringraziò che il tempo si stesse mantenendo così bello anche in Settembre. Poi si diede della sciocca. Quella era la California. Probabilmente faceva caldo tutto l’anno, come in Baywatch.

 

S’incamminò verso il centro della città, sentendosi sempre più tranquilla mano a mano che procedeva. Era a Sunnydale. Domani avrebbe trovato Buffy Summers e tutto si sarebbe sistemato.

 

Ora devo solo trovare qualcosa da mangiare, un posto dove passare la notte, e casomai un bel bagnino che mi abbracci con tutti i suoi muscoli e mi tenga al sicuro.

 

Fu proprio mentre si cullava nell’idea di incontrare un focoso bagnino che assomigliasse a Brad Pitt che cinque figure incappucciate, armate di daga, saltarono fuori e la circondarono.

 

Il terrore si impadronì di lei, seguito a breve dalla rabbia. Aver fatto tanta strada per venire intercettata ad un passo dalla sua meta.

 

Jenny lottò furiosamente, riuscendo a tenere la situazione in stallo per alcuni minuti. Ma i suoi opponenti erano troppi e in breve venne sopraffatta.

 

Le figure incappucciate la immobilizzarono e la infilzarono con le loro daghe. In un ultimo disperato tentativo di rivolta Jenny si aggrappò all’uomo più vicino, strappandogli via il cappuccio dal volto.

 

Si chiese perché avessero gli occhi completamente neri, ora che poteva vederli. Pensò che erano particolarmente indicati per uomini così malvagi, che uccidevano delle ragazze come lei, con l’unica colpa di essere nate per portare un fardello troppo grande per le loro fragili spalle.

 

Poi morì.

 

 

 

In un magazzino della zona industriale di Sunnydale, Roger Quentin Travers si sedette al suo posto a capo del lungo tavolo e appoggiò una pila di fascicoli accanto a sé. Si guardò attorno e vide la sua squadra sparsa per il magazzino che aveva scelto come base operativa. Erano tutti impegnati a svuotare scatoloni e connettere cavi. Dovevano diventare operativi al più presto possibile. Ma ora era anche tempo di iniziare il briefing e di dare loro le informazioni necessarie. Almeno, quelle che lui pensava che potessero servirgli.

 

“Venite tutti qui,” disse con voce abbastanza alta perché tutti lo sentissero. I presenti, quattro uomini e due donne, si avvicinarono lentamente al tavolo e si misero seduti.

 

Roger passò il suo sguardo su ognuno di loro. Tre li conosceva già da tempo. Erano venuti dall’Inghilterra con lui e facevano parte della sua squadra da almeno tre anni ormai. Tra loro non c’era amicizia. Erano dei professionisti. L’amicizia non era necessaria.

 

Gli altri tre presenti al tavolo li avevano reclutati sul posto. Erano tre tipi strani che gli erano stati suggeriti da una delle loro spie lì a Sunnydale. Erano dei veri geni per quanto riguardava l’informatica e la tecnologia, anche se avevano l’aria dei cervelloni sfigati che non vedevano mai abbastanza sole nel corso dell’anno. Un paio di loro si dilettava anche di magia, a quanto gli avevano detto. Roger sapeva che un neofita che gioca con le forze mistiche poteva essere un problema, ma in questo caso avere un po’ di back-up magico non gli dispiaceva e se il signor Levinson o il signor Wells fossero diventati un problema lo avrebbero semplicemente rimosso o avrebbe chiesto a Sarah, la strega della squadra, di legare i loro poteri.

 

Roger prese le cartelle e iniziò a passarle in giro, facendole scorrere sul ripiano del tavolo. In ogni cartella c’erano i dati della missione, più una scaletta dei compiti precisi che spettanti ad ognuno di loro.

 

“Mercy,” disse Roger spingendo uno spesso fascicolo di cuoio verso una donna nera dai lineamenti forti e scultorei. Mercedes Smythe era, insieme a Tobias McGill, il loro braccio armato. Roger non la trovava particolarmente simpatica, ma doveva ammettere che le sue capacità nel corpo a corpo e con ogni tipo di arma erano davvero fantastiche. Quello che lo inquietava erano i suoi modi da virago e certe allusioni a pratiche sadomaso di cui andava particolarmente fiera, oltre al fatto che tentasse in ogni modo di entrare nelle mutandine di Sarah ad ogni occasione, creando talvolta delle tensioni non necessarie.

 

“Sarah,” disse, passando una copia del fascicolo ad un’avvenente brunetta che sembrava la gemella di Wynona Rider. La ragazza accettò il fascicolo, attenta a tenersi lontana da Mercy, che le sedeva a fianco, per tutto il tempo.

 

“Grazie, Roger,” disse la strega con voce dolce.

 

“Tobias,” Roger spinse una copia verso un uomo sui trent’anni che sembrava costruito come un carro armato.

 

“Grazie, Roger. Non siamo venuti qui per la solita casa infestata, vero?” Chiese con una smorfia sarcastica il tank.

 

“Niente case infestate, Toby. Di quelle ne abbiamo abbastanza a casa nostra. È una cosa seria stavolta. Signor Mears. Signor Levinson. Signor Wells,” disse passando i rispettivi fascicoli ai tre ragazzi seduti alla sua destra.

 

Quando tutti ebbero ricevuto la loro copia del fascicolo, Roger iniziò a spiegare la situazione.

 

“Il motivo per cui siamo qui è che i capi vogliono che monitoriamo una situazione delicata. Se aprite i fascicoli che vi ho dato vi troverete dentro delle foto.”

 

Per alcuni istanti vi fu solo il rumore della carta contro il cuoio. Poi due fischi si levarono all’unisono uno più basso e roco, l’altro più squillante e femminile.

 

“Dio santo, è così sexy anche dal vivo?” Chiese Tobias.

 

“Mmmmm! Quante cose si potrebbero fare, con un tipetto del genere!” Gli fece eco Mercedes.

 

Nessuno notò Andrew Wells e Jonathan Levinson impallidire leggermente. Le loro mani tremavano leggermente mentre osservavano la foto di una ragazza dai capelli rossi, vestita in un completo attillato di pelle nera. La ragazza aveva un alone di aggressiva sensualità anche nella posa seria di quella foto. Ma non era quello il motivo che metteva i due ragazzi a disagio. Loro conoscevano da tempo quella ragazza. Mettersi contro di lei e i suoi amici poteva significare solo guai.

 

“Davvero niente male,” affermò Warren Mears. “Ma io le preferisco più in carne.”

 

“Quello che state osservando con tanto interesse è il nostro problema,” dichiarò Roger Travers. “O almeno una delle parti principali. Si chiama Willow Rosenberg, come potete vedere dalla sua scheda. Ed è un’Alfa Uno magico.”

 

Stavolta a impallidire fu Sarah Hastings. “Un’Alfa Uno? Sei sicuro? Sono trecento anni che non c’è in giro un’Alfa Uno.”

 

Roger annuì gravemente e sorrise alla giovane strega. Aveva previsto che la sua reazione sarebbe stata quella. Sarah Hastings era molto versata nelle arti magiche, ma in una scala di valori da uno a dieci raggiungeva a malapena il cinque. Forse sarebbe arrivata fino al sei, al massimo della sua evoluzione. Ma certamente non oltre. Lo sapeva lui e lo sapeva lei. La possibilità di doversi confrontare con chi era oltre il dieci non era una prospettiva invitante.

 

“Il nostro compito è di organizzare una rete di osservazione visiva ed elettronica attorno a lei. Noi ci occuperemo di tenerla d’occhio e seguirla. Tobias e Mercy. Da voi mi aspetto che siate pronti a tutto. Potrebbe essere necessario intervenire drasticamente. I due annuirono. Sarah. Prepara degli amuleti che ci permettano di contrastare la sua magia se fosse necessario.”

 

“Non so se basteranno con una così potente,” protestò la strega.

 

“Inventati qualcosa,” decretò Roger.

 

“Se vuoi ti aiuto io,” disse Mercy, toccandole il braccio in modo provocante.

 

Sarah si scansò bruscamente, sottraendosi a quella carezza indesiderata. “Pensa a fare la tua parte e io farò la mia!”

 

“Proprio quello che pensavo anch’io,”replicò la donna di colore con un sorrisetto invitante. Sarah la guardò con una smorfia disgustata.

 

“Basta così!” Ordinò Roger. Poi si rivolse ai tre esterni. “A voi è richiesto di occuparvi della sorveglianza elettronica. Piazzate microspie e microfoni ovunque sia necessario. Voglio sapere tutto quello che fa.”

 

Warren annuì. “Sarà un gioco da ragazzi.”

 

Non si accorse che i suoi due compari apparivano riluttanti. La cosa non sfuggì a Roger che però decise di approfondirla in un secondo momento. “Non sottovalutatela,” ammonì. “Ha il quoziente intellettivo di un genio e abbastanza potere da spedirvi sulla luna senza space shuttle!”

 

Warren fece una smorfia annoiata. Andrew e Jonathan annuirono con serietà.

 

Roger annuì soddisfatto. Almeno due su tre avevano capito che non si trattava di uno scherzo. Il problema era farlo capire a quello che sembrava essere il leader dei tre. Avrebbe dovuto tenerlo d’occhio per essere certo che non commettesse stupidaggini.

 

“Dov’è Jack?” Chiese Sarah. “Non fa parte di questa missione?”

 

“È a San Francisco. Si sta occupando di tenere d’occhio un’altra parte del problema. Se smettete di sbavare sopra la foto della Rosenberg e girate pagina…”

 

Tutti girarono pagina.

 

“Questa è più il mio tipo,” affermò Warren.

 

“Sì, carina,” fece eco Tobias. “Ma non ha quella carica di sessualità selvaggia della rossa.”

 

“Questa è Tara Maclay,” disse Roger, ignorando i commenti. “È una strega anche lei, anche se completamente votata alla magia banca, per quanto ne sappiamo. È anche la ex della Rosenberg. Anche su di lei, voglio sapere tutto ciò che fa.”

 

La notizia fece rizzare le orecchie a Mercy. “Stai dicendo che la Rosenberg batte per la mia squadra? Interessante!”

 

Roger la ignorò. Poi si voltò verso Warren, Andrew e Jonathan. “A pagina tre c’è la foto della persona che è la causa per cui è richiesta la massima discrezione in questa operazione.” Altro rumore di pagine sfogliate. E poi silenzio. Tutti fissarono la foto di Buffy Summers senza dire una parola.

 

“Willow Rosenberg è la migliore amica della cacciatrice Summers,” continuò Roger. “So che tutti voi avete avuto a che fare con lei, in qualche modo. Quindi sapete che non è saggio irritarla. Pretendo segretezza e cautela! Ora iniziate a preparare il materiale e studiate bene il fascicolo.”

 

Tutti si alzarono in silenzio e tornarono alle loro faccende. Roger sfogliò le foto ancora una volta. Prima le tre che avevano già visto, poi quelle della sorella della cacciatrice, del suo fidanzato, dell’ex-demone Anyanka e di Alexander Harris.

 

Tornò alla foto di Willow e iniziò a tracciare i contorni del viso con la punta delle dita.

 

“Sei davvero sexy,” mormorò tra sé. “Chissà se riuscirò a portarti dalla nostra parte come vuole mio padre. Sarà interessante provarci. Potresti anche imparare ad apprezzare un uomo dotato ed ambizioso come me, giusto?”

 

Il viso serio sulla foto parve rispondergli il suo fiero disprezzo.

 

Roger Quentin Travers, perso nelle sue fantasie, non se ne accorse.

 

 

 

Un’ora e tre quarti dopo, Jack Merryman uscì dalla villetta di Helen Harden. Era mediamente soddisfatto. La donna lo aveva ascoltato con molta attenzione quando le aveva prospettato la possibilità di perdere definitivamente la strega bionda. Certo era stato molto attento a nascondere le sue ragioni e a lasciare che la donna arrivasse alle conclusioni che lui voleva da sola.

 

Doveva ammettere di essere stato piuttosto bravo. Alla fine il quadro di Willow Rosenberg che ne era uscito fuori era stato sufficiente a far sì che la Harden si convincesse di dover tenere molto lontana la ragazza bionda, la Maclay, dalla sua ex.

 

Per di più non doveva neanche passare altre serate a fare la posta sotto al suo appartamento, in quel quartiere che gli ricordava alcuni sobborghi di Londra dove era meglio non girare soli di notte. Sapeva già dove sarebbe stata la Maclay da domani. Quello che non sapeva era perché i suoi capi ci tenessero tanto a impedire un riavvicinamento tra la strega bionda e l’amica della cacciatrice.

 

Si disse che comunque non erano affari suoi. Il maggior pregio di Jack era proprio quello di non discutere mai gli ordini. E per farlo il Consiglio degli Osservatori lo pagava profumatamente.

 

Inoltre sapeva che Roger era ambizioso, forse anche più di suo padre. Non era saggio non ubbidire ai suoi ordini e se se la fosse giocata bene forse sarebbe salito sul cavallo vincente. Un cavallo che lo avrebbe portato ad avere potere e rispetto all’interno del consiglio.

 

Mentre percorreva il viale dell’abitazione di Helen Harden con questi pensieri in testa, notò un taxi libero venirgli incontro lungo la strada. Alzò un braccio per attirare l’attenzione del conducente. Il taxi si fermò di fianco a lui. Jack salì e chiese di essere portato al suo albergo.

 

Non gli rimaneva che fare le valigie e prenotare un biglietto per Sunnydale. Entro domani si sarebbe riunito alla squadra di Roger direttamente sopra alla Bocca dell’Inferno.

 

Capitolo XV: Una classica giornata da Scooby

 

Quando Buffy entrò in cucina trovò Willow seduta al bancone con una tazza di caffè fumante in mano. La strega era totalmente assorbita dalla lettura della prima pagina del giornale, tanto che non si accorse dell’arrivo della sua migliore amica nella stanza.

 

Non si accorse neanche del sospiro di sollievo che emise la cacciatrice, mentre il sole, che veniva dalla finestra e dalla parte superiore della porta della cucina, danzava di riflessi ramati attraverso i suoi capelli e colorava l’incarnato pallido del suo viso di una sfumatura rosata, nascondendo alla vista la sua preoccupazione.

 

Buffy si era svegliata pochi minuti prima, al suono dell’allarme, con la sensazione di aver sognato qualcosa di brutto e che quel qualcosa riguardasse Willow. Ricordava vagamente vampiri enormi e mostruosi e un pericolo terribile. E un’immagine di una vampira Willow che lottava ferocemente, ma non ricordava contro chi.

 

Quell’immagine l’aveva disturbata così tanto che aveva dovuto accertarsi subito che fosse solo un parto delle sue fantasie inconsce. Aveva cercato Willow nella sua stanza ma l’aveva trovata vuota. Allora era scesa in tutta fretta, ancora in pigiama, e aveva attraversato il soggiorno con trepidazione finché non l’aveva vista seduta al bancone, gli occhiali da lettura inforcati, le sopracciglia aggrottate, come ogni volta in cui era concentrata su una lettura che la interessava.

 

Quell’immagine e il saluto che Willow le rivolse quando si accorse della sua presenza riuscirono a far evaporare ogni residuo del suo sogno e a farle dimenticare la sua preoccupazione.

 

“Hey, Will! Buongiorno,” disse cercando di dare alla sua voce un tono allegro.

 

Willow sobbalzò leggermente, presa alla sprovvista, e alzò la testa dal giornale, inconsapevole di essere stata l’oggetto di studio della cacciatrice per molti istanti. “Buongiorno, Buffy,” disse, portandosi la mano che reggeva il giornale al petto, leggermente sorpresa. “C’è del caffè fresco se vuoi.” La strega le donò un piccolo sorriso, rilassandosi, che però, come sempre non raggiungeva i suoi occhi.

 

Meglio di niente, si disse Buffy. Almeno non fa poof al sole.

 

Buffy notò che Willow sembrava comunque abbastanza riposata. “Hai dormito bene?” Chiese.

 

Willow evitò di guardare la sua amica. “Abbastanza bene,” disse a mezza bocca.

 

“Davvero?” Insistette Buffy.

 

Willow sospirò. “Ho dormito un po’ e ho meditato in giardino fino a poco fa. Hai fame?” Chiese con il chiaro intento di cambiare discorso, mentre giocherellava con una ciocca dei suoi capelli sulla fronte un po’ più lunga delle altre.

 

Buffy odiava il fatto che Willow non riuscisse a dormire una notte intera, ma sapeva che non c’era qualcosa che potesse fare. Non riusciva a distruggere i suoi di sogni, figurarsi quelli di qualcun altro!

 

“Grazie, te ne sarei grata,” disse, sentendo improvvisamente il suo stomaco dichiarare la sua presenza.

 

Willow sollevò gli occhiali sulla testa, posò il giornale sul ripiano del bancone e si tirò su dallo sgabello. Diede un ultimo sorso al suo caffè prima di lasciare la tazza di fianco al giornale e di dirigersi verso i fornelli. Accese uno dei fuochi e vi mise sopra una padella. “Uova al prosciutto vanno bene?”

 

“Perfetto,” disse Buffy, versandosi una tazza di caffè caldo. Non poté evitarsi di pensare che Willow avesse un che di saccente, nella sua camicetta nera di seta, pantaloni bordeaux di velluto e gli occhiali da lettura in testa, intenta a spadellare per lei. Sembrava un intellettuale parigino fuori posto. Uno di quegli artistoidi che dichiaravano di conoscere il mondo nei caffè alla moda della Rive Gauche e non erano capaci di fare nulla. Ma Willow, invece, sapeva cosa fare, davanti ai fornelli. Lo sapeva dannatamente bene, con grande stupore di Buffy, che ogni volta che cucinava la guardava come se fosse appena stata appena rilasciata da un rapimento alieno.

 

“Tre o quattro?” Chiese Willow, tirando fuori Buffy dai suoi pensieri.

 

“Uhmmmm…quattro, direi. Ho fame!”

 

Willow prese il prosciutto dal frigo e lo mise a soffriggere nella padella, poi aggiunse le uova, un pizzico di sale, una spruzzata appena di pepe nero e una grattugiatina di cannella.

 

Buffy posò il caffè sul bancone e con un balzo raggiunse il frigo, prima che si richiudesse. Tirò fuori il succo d’arancia e se ne versò un bicchiere sotto lo sguardo divertito di Willow.

 

“Cosa?”

 

“Sono convinta che ci siano modi più nobili per usare i tuoi super riflessi,” disse la strega con una smorfia canzonatoria, spegnendo il fuoco sotto la padella.

 

“Ehy, io non ti impedisco mica di cucinare con la magia!” Ribattè Buffy nello stesso tono.

 

Willow spalancò gli occhi con orrore al pensiero di un così futile utilizzo delle arti. Poi tornò alla sua espressione furba. “Dove sarebbe il divertimento, se lo facessi?” Notando lo sguardo confuso di Buffy aggiunse: “Vedere te che mi guardi cucinare come se stessi congiurando una magia superiore è a dir poco impagabile.”

 

“Dann! Non passerai mai sotto silenzio il fatto di essere riuscita a imparare mentre io sono una frana, vero?”

 

“Nessuna speranza,” disse Willow posando il piatto su cui aveva lasciato scivolare le uova sul bancone.

 

La cacciatrice si armò di forchetta e iniziò a mangiare di gusto. “Ti perdono sciolo perché sciono ottime,” dichiarò con la bocca piena. Willow le fece un piccolo inchino con la testa in risposta al complimento e le passò una baguette che aveva comprato fresca quella stessa mattina in una panetteria in Main Street, quando era uscita con Dawn a comprare il giornale.

 

Buffy inzuppò un pezzo di pane nel tuorlo tremolante con la stessa gioia di una bambina con una nuova bambola. Si portò il pezzo di pane gocciolante del sugo giallo delle uova alla bocca e iniziò a masticare di gusto.

 

Willow sorrise mentre si rimetteva gli occhiali da lettura e tornò alla lettura del giornale e al suo caffè ormai quasi freddo. Il giornale era una delle loro fonti preliminari essenziali. Le notizie a Sunnydale erano tutto sommato abbastanza scarse per quanto la cittadina contasse quasi ventimila abitanti e un porto commerciale abbastanza attivo. Considerando anche il fatto che il numero dei suoi abitanti aumentava di altre cinquemila unità grazie all’UCS, sembrava comunque una noiosa e sonnolenta cittadina dell’area di L.A.

 

Quello che la rendeva speciale e riempiva le pagine dei giornali, assicurando il cibo sulla tavola a giornalisti e redattori del Sunnydale Post era l’elevatissimo numero di morti dovuti a scontri violenti tra bande, atti di vandalismo, e l’incredibile fatto che la polizia non fosse mai riuscita a trovare anche solo una prova che esistesse un fiorente traffico di PCP che spingesse i suddetti componenti delle bande a macabri riti satanici e omicidi seriali con dissanguamento. Certo la verità era un’altra, ma in pochi erano disposti a credere che sotto la patina da sobborgo benestante della cittadina si celasse un Hellmouth con tutti gli annessi e connessi, compresi vampiri e demoni. Non più di quanto il resto dell’America fosse disposta a credere che gli atti di violenza inaudita che accadevano con la stessa regolarità del sorgere del sole un po’ in tutto il paese fosse causato dal tipo di educazione impartita ai giovani, nutriti di un patriottismo basato sul mito della forza e sulla sopraffazione dei propri simili.

 

Era meglio chiamarlo sogno americano.

 

Ma la Scooby Gang conosceva l’incubo.

 

La popolazione e le autorità di Sunnydale avevano l’incredibile capacità di ignorare la verità e di plasmarla in qualcosa a loro comprensibile. A loro, in fondo, andava bene così, si disse Willow. Evitava inutili allarmismi, la creazione di vigilantes non preparati ad affrontare le creature della notte e che qualcuno disturbasse il loro lavoro. In fondo se non si crede a demoni e vampiri, non si crede neanche che qualcuno esca tutte le notti per combatterli.

 

Così, ogni mattino, Willow, essendo con Dawn la persona più versata per la ricerca della Scooby Gang, sfogliava il giornale alla ricerca di strane morti ritualistiche e omicidi da parte di soggetti sotto PCP, con particolare attenzione a rotture del collo e dissanguamenti. La colonna dei necrologi era sempre una valida fonte, di solito. Ma non oggi.

 

Oggi, la notizia più interessante era in prima pagina, quattro colonne in alto a sinistra, continuazione a pagina tre.

 

Willow lesse l’ultima colonna fino in fondo e stava per passare alla continuazione dell’articolo, quando la voce della cacciatrice la distrasse.

 

“Senti, Will, stavo pensando che oggi avrò una giornata molto pesante. Sarò a scuola fino alle quattro, poi al dojo a fare lezione dalle cinque alle sette. Inoltre Dawn mi ha chiesto di aiutarla a scegliere alcune cose per la casa e ci terrei davvero molto a farlo, considerato che passiamo così poco tempo assieme e che per una volta lo ha chiesto a me…non che mi dispiaccia che si rivolga a te per tante cose…”

 

Will alzò lo sguardo verso Buffy e ripiegò il giornale in quattro, l’articolo che le interessava in evidenza. Osservò Buffy parlare con la forchetta in mano a mezz’aria come un direttore d’orchestra impazzito. Si chiese come mai stesse canalizzando uno dei suoi tratti tipici, come il parlare a ruota libera. Quando la vide titubante le concesse di riprendere fiato.

 

“Cosa c’è Buff? Cosa vuoi chiedermi?”

 

“Ecco…” Iniziò Buffy guardando ovunque meno che la strega che le sedeva di fronte. “Visto che anche tu sei tornata di ronda…e con ottimi risultati per di più, devo dire…” Buffy mosse la forchetta, facendo entrare in scena i violini, supportati da tutta una serie di archi da imbonimento. “…non che ne abbia mai dubitato…”

 

“Buffy,” chiamò Willow, catturando lo sguardo della cacciatrice. “Credi che arriverai al punto entro oggi?”

 

Buffy abbassò lo sguardo sul ripiano del bancone e trasse un profondo respiro. “Vorrei saltare la ronda di stasera e che tu e gli altri andaste al posto mio,” disse in un soffio.

 

Willow cercò di ricostruire le parole di Buffy, non sicura di aver capito bene cosa le avesse detto. Possibile che Buffy le avesse chiesto di sostituirla nella ronda di stasera? E perché doveva chiederglielo proprio oggi che Willow doveva dire a Buffy che avevano un problema da risolvere? Perché doveva accordarle la fiducia che desiderava con tutta se stessa proprio quando non poteva accettarla?

 

Willow sospirò rumorosamente e si rabbuiò un po’. “Normalmente sarei più che felice di accettare e correrei a chiamare Xander per annunciargli il cambiamento di programma. Casomai chiamerei anche Caitlin, che sembra sempre divertirsi molto, quando viene di ronda. Inoltre non sai quanto significhi per me la tua richiesta e so quanto ci tieni a passare un po’ di tempo con Dawnie,” disse, alzando su Buffy uno sguardo che diceva più di ogni parola. “Ma credo che sarebbe meglio che tu rinunciassi ai tuoi piani serali,” concluse con forte rammarico.

 

Buffy, che nel frattempo si era rifugiata dietro un’altra forchettata di uova, si fermò a mezz’aria, la forchetta ad appena pochi centimetri dalla sua bocca. “Abbiamo qualche problema?” Chiese, aspettandosi già il peggio.

 

Willow girò il giornale verso di lei e lo spinse in avanti, picchiettando con l’indice l’articolo che stava leggendo in precedenza. Poi si alzò ed andò a versarsi un’altra tazza di caffè.

 

Buffy lesse il titolo ad alta voce. “’Sindaco McGuffey promette riduzione delle tasse cittadine e aumento della sicurezza.’” Poi, più sotto:

 

“’Previsto discorso alla cittadinanza per oggi alle diciassette nella sala consiliare.’ Dobbiamo aspettarci un’altra ascensione? Devo rotare l’ascia grande?” Chiese completando il percorso della forchetta alla bocca.

 

“L’altro articolo, Buffy!” Rimproverò Willow in tono annoiato, mentre tornava a sedersi di fronte a lei con una nuova tazza di caffè in mano. “Quello a sinistra. E niente ascensione, che io sappia.”

 

“Meglio! Non mi va di far saltare anche il municipio.”

 

Buffy tornò a leggere sottovoce. “’Orrore a Green Park!’” Dopo pochi secondi alzò lo sguardo dal giornale. “Cosa c’entriamo noi con un attacco vandalico in una casa? Sì, insomma, capisco che un omicidio è un omicidio…ma perché è tanto importante? Di certo non può trattarsi di vampiri. Troppo caos. I vampiri non sradicano le porte e non possono entrare nelle case, se non invitati. Anche i più ciechi tra i cittadini di Sunnydale sanno che non è saggio far entrare qualcuno in casa dopo il tramonto. E non ho mai sentito di un demone che si comporti a questo modo.”

 

Willow la guardò con finto rimprovero, le sopracciglia aggrottate in una smorfia divertita e annoiata al contempo. “Hai di nuovo letto solo le prime cinque righe, eh?”

 

Buffy abbassò lo sguardo in modo colpevole. “Di solito basta,” si giustificò a mezza bocca in tono contrito.

 

Willow si sporse in avanti e le tolse gentilmente il giornale dalle mani. “Ho capito. Te lo riassumerò io in modo che tu possa comprendere, evitandoti di dover leggere l’articolo. Così non daremo credito alle voci che ti vogliono analfabeta,” la sfottè Willow.

 

“Hey! Chi dice che sono analfabeta? Chi ha osato?” Chiese indignata.

 

“Credimi, non vuoi saperlo,” le rispose con un sorrisetto furbo la strega.

 

“Oh-uhm! Mi stai sfottendo, vero?” Piagnucolò Buffy.

 

“Solo un po’.”

 

“Va bene. Allora, spiegami perché dovrei rinunciare al mio tempo di qualità con la mia sorellina che si sposa tra meno di venti giorni, dopo che nelle ultime sere ho totalizzato appena sei nuovi nati e un demone che non valeva l’ascia con cui l’ho abbattuto. Per di più per dare la caccia a dei vandali!” Il tono petulante di Buffy strappò un sorriso a Willow. “A proposito, dov’è Dawn?”

 

“Già uscita. Ora se vuoi che ti riassuma i fatti, fai silenzio e ascolta.”

 

Buffy tornò alla sua colazione e sorseggiò il succo d’arancia. “Ok,” mormorò sconfitta, riprendendo a mangiare.

 

“Sembra che ieri notte qualcuno sia entrato nella casa della famiglia Harrison, in Clinton Street, a Green Park,” disse Willow. Mano a mano che parlava il suo tono si fece sempre più grave. “Quel qualcuno ha sradicato la porta dai cardini e distrutto tutto ciò che ha incontrato sul suo cammino. Compresa la famiglia Harrison. Padre, madre e due bambini di sei e otto anni. La polizia ha ritrovato i corpi della famiglia in varie stanze della casa.” Willow si passò una mano sul viso e sotto gli occhiali, come a scacciare una brutta immagine.

 

“Non tutti i pezzi appartenevano al corpo ritrovato. Il giornale dice che c’era così tanto sangue sparso per la casa da farla sembrare una piscina…”

 

Buffy lasciò ricadere la forchetta sul piatto con un sonoro clang! “Non credo di avere più tanta fame, Will.”

 

Willow abbassò il capo e cercò invano di trattenere un brivido d’orrore. Capiva come si sentiva Buffy. Lei stessa si era sentita stringere lo stomaco ancora più del solito, non appena aveva letto quella notizia.

 

Dawn si era rifiutata addirittura di bere il caffè, dopo averla letta.

 

“Sembra che siano stati in parte sbranati,“ disse Willow più per il bisogno di condividere l’orrore con qualcuno che di informare la cacciatrice.

 

“Ora sono certa di non avere più tanta fame,” disse Buffy, impallidendo.

 

Willow alzò uno sguardo sfocato su di lei. Non era tutto lì. Buffy ne era certa. Riusciva a leggerlo nel fondo degli occhi della sua migliore amica. Willow non le aveva ancora dato la parte peggiore.

 

“Che altro?” La spronò Buffy.

 

Willow trasse un profondo respiro. “Tobias, un altro figlio, il più piccolo, non è stato ritrovato. Il piccolo Toby ha solo quattro anni!” Un altro brivido scosse Willow.

 

Quattro anni! Pensò Buffy a testa bassa. La stessa età della figlia di Tara. La stessa età di Lizzie!

 

Buffy alzò lo sguardo su Willow come per dire qualcosa, ma quando vide la strega mordersi nervosamente il labbro inferiore fu certa che c’era ancora qualcosa. “Dimmi il resto, Will,” comandò gentilmente, posando una mano sul braccio coperto dalla maglietta viola scuro che Willow indossava quella mattina.

 

La ragazza dai capelli rossi si irrigidì istintivamente e fu tentata di allontanare da sé quella carezza consolatoria. Il pensiero che non c’era nulla che Buffy non conoscesse di lei, la spinse a rinunciarvi.

 

“Il piccolo Toby…hanno ritrovato una scarpa semi-masticata quattro isolati più in là…la scarpa era uguale ad un’altra ritrovata in casa. La polizia ha continuato le ricerche, ma non ha trovato niente altro. La pista sembrava portare al cimitero dove abbiamo fermato il rituale.”

 

“Pensi che sia stato il demone che hanno evocato a rapirlo, vero?”

 

“Sì, credo che sia stato lui.”

 

“Perché credi che abbia rapito il bambino?”

 

“Chi lo sa? Potremmo fare alcune ipotesi. Ma la più probabile sembra la peggiore.” Buffy la sprono a continuare con gli occhi. “Scorte alimentari,” disse con un filo di voce.

 

Buffy le strinse il braccio e annuì, prima di raddrizzarsi sullo sgabello, un fuoco bruciante negli occhi. L’orrore delle parole di Willow l’aveva colpita con la forza di un maglio. Scorte alimentari. Là fuori c’era un demone che entrava nelle case e strappava le famiglie al sonno per cibarsene. Un demone che aveva rapito un bambino di quattro anni, probabilmente per fare uno spuntino alo risveglio. Un demone che lei non era riuscita a fermare.

 

No, Toby Harrison doveva essere vivo! Lei lo avrebbe salvato e si sarebbe presa la rivincita su quel mostro. Aveva fermato sedici apocalissi, da quando era arrivata a Sunnydale, dodici anni prima. Alcune sul nascere e altre all’ultimo momento. Non avrebbe permesso a una sorta di serpente mal riuscito di trasformare la sua città nella sua dispensa personale.

 

”Dobbiamo fermarlo, Will! Non domani, né oggi. Dobbiamo fermarlo ieri!” Disse Buffy con decisione. “Siamo già in ritardo di quattro vittime. Non voglio che Toby Harrison sia la quinta! Dobiamo ritrovarlo! Vivo!”

 

Willow annuì, un po’ rinfrancata dalla forza di volontà della sua amica.

 

Buffy, invece, si sentiva bruciare di rabbia. “Ascolta, Will. Mi spiace chiedertelo, ma voglio che annulli tutti gli impegni che hai per oggi. Attaccati al computer e scopri tutto ciò che sa la polizia e che la stampa non ha ancora scoperto. Telefona anche al capitano Barrett se è necessario. Se non vuole sbottonarsi, ricordagli il debito che ha con noi. Ci deve la vita di suo figlio…”

 

“A dire la verità, la deve a Xander,” disse Willow per allentare leggermente la tensione, ma Buffy ignorò il suo tentativo. Poteva accettare molte cose, vivendo su un Hellmouth. Ma non che si toccassero i bambini. I bambini erano la speranza del futuro. I bambini erano il motivo per cui ancora combatteva. Le cacciatrici venivano e passavano. E tutte morivano giovani. I bambini erano il futuro ed erano la sua missione. Dare una speranza al futuro.

 

“Allora fai telefonare a Xander!” Disse alzando la voce senza accorgersene. “Voglio la testa di quel demone appesa al muro della mia stanza il più presto possibile! Se per farlo dovrò riscuotere tutti i debiti e i favori che abbiamo accumulato fino ad oggi, lo farò!”

 

Willow sorrise, vedendo quanto fosse decisa Buffy. Le piaceva quella dimostrazione di forza nella sua amica. In quei momenti la sentiva molto simile a come era lei ora. Testarda e decisa, con un pizzico di violenza nel mezzo.

 

Le fece uno sbilenco saluto militare. “Agli ordini, generale! Ci riuniamo al negozio più tardi?”

 

“Sì, verso le sette e mezza. Chiama tutti. E intendo tutti. Anche i riservisti.”

 

“Paulo, Felipe, Kit e tutti gli altri? Bisognerà dire a Xander di dare il meglio di sé nella scelta degli snack!”

 

Buffy respirò a fondo e si calmò. Restituì a Willow il sorriso divertito che le stava donando e decise che allentare la tensione non era poi una cattiva idea. “Dio, due riunioni in due giorni! E chi la sente Janet stasera?”

 

“Ci faremo parlare Cat.” Willow ridacchiò in modo maligno e Buffy si unì a lei. “E tu che farai invece?” Chiese gettando un’esplicita occhiata all’orologio a muro.

 

Buffy seguì lo sguardo di Willow e spalancò gli occhi. Le risa le morirono in gola. “Andrò a scuola e supplicherò il preside Wood di non licenziarmi,” disse, scattando via dallo sgabello e fiondandosi fuori dalla stanza.

 

Willow si alzò a sua volta e raccolse il piatto e le tazze dal bancone e li portò al lavello. Li sciacquò e li asciugò prima di riporli nella scansia sopra il lavello.

 

Poi passò nel soggiorno e prese il telefono in mano. Non era tanto annullare tutti i suoi impegni, o passare l’intera giornata a fare ricerche ed eventualmente estorcere favori, che la preoccupava o la infastidiva, si disse, componendo un numero.

 

Ciò che davvero la disturbava era dover dire a Teresa, madre di Andrew e futura suocera di Dawn, che non sarebbe andata da lei nel pomeriggio a compilare gli inviti come previsto.

 

Willow ascoltò il tono del telefono fino a quando qualcuno non prese la comunicazione dall’altra parte.

 

“Pronto?” Chiese una voce stridula all’altro capo.

 

La sua voce ha un tono saccente persino attraverso la cornetta, pensò Willow.

 

“Pronto Teresa…”

 

“Willow, mia cara,” la salutò Teresa in un tono tanto mellifluo quanto falso.

 

Willow ricordò un vecchio detto di sua nonna Mabel. Il miele nasconde il fiele.

 

“Come mai hai chiamato?” Continuò la futura suocera di Dawn. “Non ci saranno mica problemi per oggi pomeriggio vero?”

 

Ci siamo! Sospirò. “Ecco vedi…a dire la verità avrei un piccolo contrattempo…”

 

 

 

Tic-tac, deng! Tikiti-tac, deng! Tic-tic-tic-tikititikitic-tac, deng!  Tic-tic-tic. Tac Deng!

 

Click! Click-click!

 

Tic-tac, deng! Tikiti-tac, deng! Tic-tic-tic-tikititikitic-tac, deng!  Tic-tic-tic. Tac Deng!

 

Le mani di Willow volavano per la tastiera del laptop a velocità sorprendente, aprendo una finestra dopo l’altra rompendo i codici, abbattendo difese telematiche in successione, irridendo antivirus garantiti come impenetrabili, violando gli ice con la stessa facilità di un coltello caldo nel burro.

 

Ogni volta che si trovava da sola di fronte a quella macchina si sentiva libera e a suo agio. Era come decifrare un linguaggio parlato da pochissimi. In quei momenti, quando erano lei e il suo computer, capiva come dovevano sentirsi gli abitanti di qualche sperduto villaggio del Galles o dell’Irlanda nei confronti degli estranei. Capiva la necessità di mantenere vivo un linguaggio parlato da pochi, per non perdere la propria identità.

 

Ma ora, dopo aver violato tutti i siti che potevano darle informazioni sul demone che avevano affrontato senza ricavarne nulla e dopo aver mitigato la sua frustrazione a forza di caffè e whisky, avrebbe preferito non conoscere quel particolare linguaggio.

 

Aveva tentato di tutto. E con tutto, intendeva proprio TUTTO. Aveva scorso i files più privati dell’intera amministrazione pubblica di Sunnydale, del quotidiano locale e di tre quotidiani nazionali che avevano riportato la notizia e del SPD. Era entrata addirittura nel database della CIA, dell’FBI e dell’ATF. Senza contare gli archivi generali del Consiglio degli Osservatori. Senza ricavarne nulla.

 

“Arrrrrgh!”

 

Willow era così presa che non si accorse della porta di casa che si apriva e si richiudeva. Continuò a lavorare ancora per qualche minuto, fino a che una voce non la distrasse. “Problemi?” Chiese Dawn, entrando in soggiorno mano nella mano con Andrew e notando subito la bottiglia del whisky di fianco alla tazza del caffè.

 

Willow alzò la testa dallo schermo e fece spallucce. “Il solito. Quando cerchi qualcosa, non lo trovi mai dove dovrebbe essere o dove vorresti che fosse.”

 

“E cosa stai cercando di preciso?” Chiese Andrew.

 

“Informazioni,” disse la strega, senza spiegare in realtà nulla. Non le andava di dare altre preoccupazioni a Dawn e Andrew. Con l’imminenza del loro matrimonio avevano già le mani abbastanza piene.

 

Ma Dawn non si fece ingannare dal tono dismissivo. Inoltre la giovane Summers sapeva che il caffè corretto al whisky era la sua arma segreta per alleviare la tensione in momenti delicati. Se ne stava bevendo alle tre del pomeriggio voleva dire che c’era un serio problema. “Sui fatti del giornale di stamattina? Va così male?” Chiese, indicando con lo sguardo la bottiglia di scotch di fianco alla tazza del caffè.

 

Willow arrossì leggermente e annuì. Andrew si sedette in una delle poltrone e attirò Dawn accanto a sé sul bracciolo. “Come possiamo aiutarti?”

 

“Oh, no, no! Non potete! Avete troppo da fare in vista del matrimonio…”

 

“Will, non essere sciocca,” protestò Dawn. “Il male non si ferma solo perché noi ci sposiamo. E anche tu sei troppo indaffarata per via del nostro matrimonio!”

 

“Troverò il tempo,” disse Willow testarda.

 

“Anche noi,” replicò Dawn nello stesso tono.

 

“Già,” confermò Andy, mentre Dawn si alzava e andava a prendere il suo laptop personale. “Dicci solo cosa possiamo fare per aiutarti. Poi, deve essere importante se hai rischiato le ire di mia madre per questa storia.”

 

Willow si arrese. “Ok. Grazie.” Poi, come dopo un ripensamento. “Teresa ti ha telefonato per lamentarsi di me?”

 

Quanto sono cretina! Si disse, tornando al lavoro. Se Teresa ha chiamato Andrew e gli ha detto che ho disdetto l’appuntamento del pomeriggio, non può essere altrimenti che per lamentarsi di me.

 

“Ovviamente,” le confermò il ragazzo, con un sorriso sarcastico. “Sai che è lo sport preferito di mia madre lamentarsi di te. Ma comunque sai…”

 

Willow smise di ascoltare ciò che le stava dicendo. La sua attenzione era assorbita dallo schermo di fronte a lei. Stava frugando di nuovo tra i file del SPD, nella speranza che ci fosse stato un aggiornamento dei rapporti. All’inizio non era parso esserci gran che. I poliziotti non erano famosi per compilare dei rapporti esaurienti e particolarmente leggibili. Ma, quasi per caso, aveva aperto un file criptato. Era stata più curiosità che altro a spingerla a violare il file e a decrittarlo. Dopo averlo fatto, quasi non aveva voglia di leggerlo. Il divertente era entrare. Ma poi si era detta che valeva la pena dargli un’occhiata. Ed era finita con l’avere un colpo fortunato in canna.

 

“Mosè santissimo!” Esclamò.

 

“…che è veramente inqualificabile…Cosa c’è?” Andrew si interruppe immediatamente nel suo racconto divertito delle lamentele della propria madre. Dawn, che intanto era tornata a sedersi di fianco a Andrew, sollevò la testa dal suo laptop con un espressione interrogativa sul bel volto. Entrambi guardarono Willow in attesa di una spiegazione.

 

“Ho trovato qualcosa. Sembra che qui a Sunnydale ci siano stati almeno altri due casi come quello. La differenza è che pare non ci siano stati sopravvissuti nei primi due casi.”

 

Dawn impallidì leggermente. “Quante vittime?”

 

“Compresi gli Harrison, quattordici.”

 

Dawn annuì. “Dobbiamo fare qualcosa.”

 

Andrew prese la mano di Dawn tra le sue. “Faremo tutto ciò che è in nostro potere per fermare il demone. Te lo prometto. Vero Will?”

 

“Sicuro. Stamattina ho anche informato Buffy. È più che decisa ad avere la testa del demone tra i suoi trofei appesi al muro. E vuole una convocazione generale per stasera.

 

“Una convocazione generale? È più di un anno che non ne facciamo una,” disse Dawn leggermente sbigottita. “Deve stargli proprio sulle palle questo demone!”

 

“Dawn!” Strillarono contemporaneamente Andrew e Willow.

 

“Scusate.”

 

“Forse, se glielo chiedi gentilmente te la darà come regalo di nozze,” suggerì Willow maliziosamente.

 

“Ewww!” Dawn fece una smorfia di disgusto. “No, grazie. Piuttosto, cosa facciamo, ora che sappiamo che non è la prima volta?”

 

“Tu convocherai gli stati generali come vuole Buffy. Io e Andrew andremo alla stazione di polizia a parlare con Barrett e con il detective che ha firmato il rapporto.”

 

“Chi è?” Chiese Andrew.

 

“Stein,” disse Willow con una nota di chiara antipatia nella voce, come se quello spiegasse tutto.

 

“Ora capisco perché vuoi che Andrew ti accompagni,” disse Dawn, lanciando un’occhiata significativa a Willow. “Di solito vai sempre da sola, quando sei a caccia di informazioni.”

 

Poi voltandosi verso il suo fidanzato: “Il detective Stein è quello che si è occupato degli omicidi di Kendra e di Allan Finch, oltre che della sparizione di Teddy, il fidanzato robot psicotico di mia madre. È convinto che Buffy sia coinvolta in tutti e tre i casi e il fatto di non riuscire ad accusarla…diciamo che non l’ha presa bene.”

 

Willow alzò una mano verso Dawn, il palmo rivolto all’insù, come a dire: ecco la tua risposta. Poi, rivolta a Dawn. “Voglio che venga Andrew perché è un avvocato. Giustificherebbe un eventuale interesse. Se si sono premurati di tenere nascosta la notizia così bene, non è improbabile che non abbiano avvertito i parenti riguardo a ciò che è successo. Voglio che Andrew parli con Stein come se avesse ricevuto incarico da qualche parente. Inoltre io e il detective Stein…ecco…diciamo che non siamo in buoni rapporti.”

 

Dawn e Andrew le lanciarono un’occhiata interrogativa, ma Willow si limitò a scrollare le spalle.

 

Rivolgendosi di nuovo al giovane, disse: “Tieni presente anche un altro fatto, quando parli con lui.”

 

Andrew la vide esitare. “Di cosa si tratta?”

 

“Pare che abbia scoperto che ci sono stati dei casi simili a Praga, circa due secoli fa. Cerca di scoprire se ritiene che sono collegati e come.”

 

“Perché è così importante?”

 

“Perché a Praga, all’epoca, c’era un Hellmouth semi-attivo identico a questo.”

 

“Oh!”

 

 

 

 “Vuoi darti una mossa? È già troppo tempo che siamo qui dentro!” Disse Warren dal primo piano di casa Summers all’indirizzo di Andrew, che aveva il compito di piazzare delle telecamere e dei microfoni in camera e nel bagno di Willow. Avevano visto la rossa e un ragazzo biondo uscire un paio d’ore prima. Avevano dovuto attendere un’altra ora e mezza prima che la ragazza rimasta dentro uscisse.

 

Una volta che la casa era rimasta vuota, era stato facile eludere il sistema d’allarme e intrufolarsi. Oddio, il sistema era buono, piazzato da qualcuno che se ne intendeva, probabilmente la Rosenberg stessa. Ma Warren era un vero genio di elettronica e robotica. Così come Jonathan e Andrew lo erano per l’informatica.

 

“Ho quasi fatto. Hey, ha dei modellini originali di Star Trek e Star Wars!” Esclamò Andrew con voce eccitata, guardando gli scaffali pieni zeppi di libri, peluches e altri oggetti che solo un profondo conoscitore delle arti avrebbe potuto conoscere.

 

Jonathan che stava piazzando altro materiale in giro per la casa, abbandonò tutto e si fiondò di sopra.

 

“Cavolo! Guarda quanta roba!” Disse, passando in rassegna gli oggetti sparsi ordinatamente in giro per la stanza. Sfiorò distrattamente con un dito una piccola sfera di cristallo viola, che serviva a focalizzare le capacità precognitive. “Quanta paccottiglia, però. Ehy, ha pure Obi Wan!” Prese in mano uno dei modellini e lo guardò con grande invidia per un po’, fino a che il suo occhio non cadde sul contenuto dello scaffale dai cui il modellino proveniva. “Guarda quanti libri di magia! Credi che se accorgerebbe se ne portassi via un paio?” Chiese allungando una mano verso un tomo particolarmente spesso che riportava sulla costola ‘Principi di transmutazione’.

 

“Meglio non farlo Jonathan!” Ammonì Andrew. “Chissà quali protezioni ci sono su quei libri!”

 

Jonathan ritrasse la mano scocciato. “Che cavolo ne sai tu?” Chiese acido, mentre riponeva la statuina un paio di centimetri più a destra di dove era in precedenza.

 

Prima che Andrew potesse giustificarsi, Warren apparve come una furia nel vano della porta. “Brutti deficienti, volete darvi una mossa? Se la Summers è quello che dite essere e torna e ci trova qui, saranno dolori.”

 

I due, spronati dalla minaccia si rimisero al lavoro. Venti minuti dopo erano usciti senza lasciare traccia del loro passaggio. A parte una statuina di Obi Wan Kenobi fuori posto.

 

 

 

Andrew sedeva in silenzio sul sedile del passeggero di fianco a Willow e osservava le ombre del pomeriggio che si allungavano, pronte a lasciare il posto all’oscurità della sera. L’aria era calda, e l’estate sembrava non voler finire tanto presto, quest’anno.

 

Stava ripassando mentalmente il pomeriggio, appena concluso, mentre la sua compagna di viaggio li conduceva sicura verso il luogo dove avrebbe ritrovato la sua maggiore ragione di vita: Dawn.

 

Certo non era così che si era prefigurato di passare un pomeriggio di libertà dal lavoro. Una passeggiata mano nella mano, parlando dei dettagli del loro imminente matrimonio; un gelato da dividere in due; o andare in camera di Dawn e passare il pomeriggio a fare l’amore. Ecco, queste erano delle opzioni accettabili.

 

Anzi era proprio la terza ipotesi, il modo in cui lui e Dawn avevano programmato di spendere il loro tempo. Ma quando erano arrivati a casa di Dawn, Willow era là. Niente di strano, visto che ci viveva. E niente di cui essere imbarazzati, visto che Willow li pescati più di una volta in momenti imbarazzanti, nel loro tragitto verso la camera da letto. Li aveva addirittura coperti con Buffy, sapendo quanto la cacciatrice potesse divenire puritana quando le parole Dawn e sesso entravano nella stessa frase.

 

Ma avevano visto sul suo viso una furia e una frustrazione insolite persino per lei. A quella vista Dawn non se l’era sentita di abbandonarla. Per di più il fatto di aver dato buca a sua madre, nota Furia in certi casi, e di certo non una grande estimatrice di Willow, per usare un eufemismo, deponeva per qualcosa di serio.

 

Così, si erano offerti di aiutarla e lui era finito a spendere il pomeriggio al comando di polizia, cercando di carpire informazioni su un demone a un detective con turbe maniacali, invece che a fare l’amore.

 

Qualcuno avrebbe potuto persino pensare che non fosse il luogo giusto per cercare notizie di carattere esoterico. Ma, come Willow gli aveva detto una volta, viviamo in un mondo regolato da leggi fisiche. Anche la parte più esoterica e spirituale delle cose deve piegarsi a quelle leggi.

 

Erano arrivati al comando verso le quattro. La loro entrata non era passata inosservata. Le teste di molti agenti di servizio, sia uomini che donne, si erano girate ad osservare Willow che camminava sicura, diretta verso l’ufficio del capitano Barrett. O meglio il suo sedere (che, Andrew doveva ammettere, era una visuale che valeva la pena), seguendolo con ammirazione fino a quando la porta dell’ufficio del capitano Barrett non si era richiusa alle loro spalle. Andrew doveva ammettere con se stesso che Willow riusciva ad essere dannatamente sexy, quando voleva. Era certo che vedendola camminare, nessuno degli agenti avesse notato che si appoggiava ad un bastone per aiutarsi.

 

Quegli sguardi, uniti ad altri sguardi carichi d’invidia diretti a lui, avevano smosso quel po’ di vanità che possedeva. Lo avevano fatto sentire bene.

 

Speriamo che Dawn non lo venga mai a sapere, altrimenti sarà la mia testa a finire appesa a un muro!

 

Il capitano Barrett, che era stato preavvertito del loro arrivo da una telefonata della strega, li attendeva dietro la sua scrivania zeppa di foto, fascicoli di casi e cianfrusaglie varie. Era un uomo di grandi principi e un eccellente poliziotto, nonostante l’alone d’indolenza che sembrava circondarlo.

 

Era anche una delle poche autorità cittadine che non fingesse che i vampiri fossero una leggenda metropolitana. Certo aveva ricevuto incentivi in tal senso che altri non avevano avuto. Sua moglie era stata uccisa da un vampiro, nove anni prima, e per un crudele scherzo del destino, il suo unico figlio era stato sul punto di fare la stessa fine, un paio di anni fa, non fosse stato per Xander Harris.

 

Da quel giorno il capitano Barrett era stato sempre più che disponibile a dare loro tutte le informazioni di cui potessero avere bisogno.

 

Questa volta non aveva fatto eccezione. Aveva fatto vedere loro la pratica che gli interessava e aveva organizzato un incontro con il detective Stein.

 

Dopo una mezz’ora, Andrew aveva lasciato Willow col capitano Barrett ed era andato all’appuntamento da solo, come programmato.

 

Mentre si avvicinava alla porta con il nome del detective inciso sopra aveva ricordato il consiglio che Willow gli aveva dato. Mai nominare Buffy e gli Scooby.

 

Gli era sembrato strano che Willow gli desse un consiglio del genere. Cosa poteva volere un poliziotto da Buffy, o da Xander, per fare un altro esempio.

 

Dopo i convenevoli di rito, la risposta a quel criptico consiglio gli divenne chiara. Sul muro alle spalle del detective, tra i suoi diplomi e riconoscimenti di merito, c’era una foto di ciascuno dei tre membri fondatori della Scooby Gang. Le foto erano cerchiate con un pennarello rosso in modo a farle assomigliare a dei bersagli. Numerosi buchi erano evidenti sulle foto e una freccetta spuntava da un occhio di un sorridente Xander.

 

“Vedo che avete notato i miei bersagli,” gli aveva detto il detective. “Li conoscete?”

 

Andrew studiò per un lungo istante il detective Stein. L’uomo era quasi calvo con lineamenti decisi e baffi castani spruzzati di grigio. La sua aria sembrava amichevole, ma Andrew era convinto che avrebbe potuto immobilizzarlo in un attimo se avesse voluto. Quello che glielo faceva pensare era l’abbronzatura naturale che gli dorava la pelle, segno di un uomo più abituato a battere le strade che a passare la vita dietro una scrivania.

 

“No,” gli aveva risposto un po’ incerto.

 

“Davvero?” Aveva insistito il detective, non del tutto convinto. “Vede, avvocato, quei tre ragazzi, dall’aria così innocua, sembrano avere a che fare con alcune stranezze avvenute qui a Sunnydale. Il loro nome o la descrizione di qualcuno che gli assomiglia dannatamente, continua a saltare sempre fuori in cose poco pulite.

 

“Questa biondina,” disse indicando Buffy, “è coinvolta in almeno due omicidi e una strana sparizione. Questo ragazzo,” disse, passando alla foto di Xander, “sembra essere sempre dove si trova la ragazza. Inoltre in giro si mormora che sia coinvolto in uno strano traffico d’armi. Compra pistole, fucili e munizioni in quantità industriale, ma non vende mai nulla. E gira disarmato. Però è anche un assassino. Io stesso l’ho visto piantare un bastone acuminato nel cuore di un uomo.”

 

“Perché non l’ha arrestato, allora?”

 

“L’ho fatto. Ma senza un cadavere non c’è reato. Così hanno detto i miei superiori.” Il detective fece una pausa prima di tornare al suo quasi monologo. “Ma dei tre la più intrigante è senza dubbio questa,” disse, sfiorando la foto di Willow con la punta delle dita. “Questa ragazza all’apparenza cosi fragile e vitale è uno degli ossi più duri che mi sia mai capitato di interrogare. Vede, dove appaiono gli altri due, prima o poi salta fuori anche lei. Allora un giorno l’ho sbattuta dentro. Ricordo che si reggeva con le stampelle, in seguito a non so quale incidente. Sembrava una ragazzina spaurita. Mi sono detto che sarebbe stato facile ottenere le informazioni che volevo da quell’uccellino impaurito. L’ho messa sotto torchio per due ore. Non ha neanche battuto ciglio. Sembrava di parlare con un morto.”

 

Andrew non faticò ad immaginare la scena di una Willow appena dimessa dall’ospedale messa sotto torchio da quell’omone. Aveva assistito a un paio d’interrogatori, come avvocato, e sapeva che potevano essere duri. Quell’idea avrebbe dovuto irritarlo profondamente, eppure aveva ancora l’impressione che quell’uomo fosse un onesto poliziotto che cercava di fare il suo dovere con i mezzi che aveva a disposizione. Forse troppo cieco, ma era difficile chiedere a qualcuno di pensare che esistessero vampiri e demoni.

 

“Quindi non si è convinto ce non c’entri niente?”

 

“Tutt’altro. Ho riguardato la sua scheda e mi sono accorto di una cosa. Quoziente intellettivo altissimo. Praticamente un genio.” Stein scosse la testa. “Probabilmente è lei il capo e io non me ne sono neanche accorto. Ma ormai non c’è più niente da fare.”

 

“Come mai?”

 

“Questi tre,” disse, picchiettando la foto di Willow con la punta dell’indice, “per qualche oscura ragione godono della protezione del capitano Barrett. Il capitano è un uomo onesto, questo lo so per certo. Si farebbe uccidere piuttosto che spalleggiare un’organizzazione criminale. Mi ha chiesto di smettere d’investigare su di loro. E io l’ho fatto. Glielo devo.”

 

Stein abbassò gli occhi al terreno. Andrew provò simpatia per lui. Un uomo serio sconfitto da un segreto di cui non poteva fare parte.

 

“Vogliamo tornare al motivo della mia visita?” Propose Andrew, per evitare ulteriori imbarazzi al detective.

 

 

 

Andrew aveva ritrovato Willow all’uscita un’ora dopo essersi lasciati. Stava conversando con una poliziotta più intenta a squadrarla e a trovare un modo fantasioso per metterle le manette, che interessata a quello che la strega le stava dicendo.

 

“Interrompo?” Aveva chiesto con il chiaro intento di fare proprio quello.

 

“No, no,” si era affrettata a rispondere l’agente. “Ci vediamo,” aveva detto a Willow prima di tornare ai suoi compiti.

 

“Certo,” aveva risposto la strega con un sorriso predatorio.

 

“La conosci?” Aveva chiesto a Willow, stupito da quella confidenza in un luogo pubblico. La strega era sempre molto riservata riguardo alle sue relazioni private.

 

“Intimamente,” gli aveva risposto con un sorriso malizioso.

 

Andrew era arrossito d’imbarazzo e si erano diretti alla macchina in silenzio.

 

Willow aveva manovrato e si era immersa nel traffico del tardo pomeriggio. Destinazione: Magic Box.

 

Nessuno dei due si era accorto di una Ford blu, con dentro una ragazza di colore e di un uomo grosso come un tank, che li seguiva.

 

 

 

“Allora, cos’hai scoperto?” Chiese Willow, mentre superava una macchina.

 

La domanda portò fuori Andrew dai suoi pensieri. “Che Stein è ossessionato da te, Buffy e Xander.”

 

“Questo lo sapevo già.”

 

“Ho comunque l’impressione che sia un uomo onesto.”

 

“Sapevo già anche questo.”

 

“Allora sai più o meno tutto. Pensa che ci sia un serial killer all’opera.”

 

“Niente banda di vandali satanismi, stavolta?”

 

“Non per Stein. Disperano di trovare Toby Harrison ancora vivo. Sono anche preoccupati perché non riescono a delineare il modus operandi del killer. Non sanno dove colpirà la prossima volta.”

 

Willow annuì. “Difficile dargli torto.” Erano in vantaggio sulla polizia, per il momento. Ma il fatto che avessero affidato il caso a un detective scrupoloso come Stein non era un vantaggio per loro.

 

Però, finché la polizia brancolava nel buio, loro avrebbero potuto agire indisturbati e cercare di porre fine a quelle stragi. Almeno fino a quando Stein non avesse notato che il fulcro di tutti gli omicidi era il vicino cimitero. A quel punto forse avrebbero pianto la morte di un poliziotto onesto.

 

“Si è bevuto la tua storia?”

 

“Non lo so, ma non credo facesse differenza. Era così ansioso parlarne con qualcuno che avrei potuto anche essere un marziano.”

 

“Neanche un sospetto?”

 

“Voleva sapere come ero venuto a conoscenza dei fatti, ma mi sono appellato al segreto professionale e non ha insistito.”

 

E per i casi di Praga?”

 

“Pensano che sia opera di un imitatore. Ci sono diverse similitudini ma anche una notevole differenza. Nei casi di Praga non c’era quasi sangue sulla scena del delitto, mentre qui c’era sangue ovunque.”

 

Willow sbuffò decisivamente.

 

“Che c’è?” Chiese Andrew.

 

“C’è che siamo in guai seri. Dobbiamo a riferire a Buffy quello che hai scoperto.”

 

“Già. Cosa ho scoperto?”

 

“Che il demone che l’ha stesa è ancora mezzo addormentato. Tanto che non ricorda neanche bene come cibarsi.”

 

“Ed è una brutta cosa?”

 

“Se si sveglia del tutto, sì!”

 

Il viaggio verso il Magic Box durò altri dieci minuti, nei quali né Andrew né Willow pronunciarono più una parola.

 

 

 

Il demone si mosse all’interno della cripta in cui aveva trovato rifugio. Il sole era alto fuori. Mancavano ancora molte ore alle tenebre e la luce lo irritava. Istintivamente sapeva che non aveva nulla da temere dalla luce, però preferiva che non lo toccasse. Era più debole alla luce.

 

Il demone si mosse ancora. Era irrequieto. E aveva fame. La carne tenera del bambino era stata una delizia, ma era già finita da tempo.

 

Una sorta di foschia gli avvolgeva la mente, da quando era stato risvegliato, dopo più di un secolo di sonno all’interno del suo simulacro. I suoi pensieri si stavano schiarendo, col passare dei giorni, ma c’era ancora così tanto che gli sfuggiva.

 

Ogni tanto, nel suo riposo, ricordava un tempo ancestrale in cui la terra era il suo terreno di caccia e il suo campo di gioco. Allora uomini e demoni lo adoravano e rispettavano. Tremavano come foglie in sua presenza e la loro vita e la loro morte appartenevano al suo capriccio.

 

Altre volte ricordava casa, un luogo di deliziose torture. Ma erano solo dei flash sfocati.

 

Il demone si mosse ancora. La cripta tremò leggermente. Un custode di passaggio guardò con curiosità le massicce pietre tremare. Il custode si chiama Henry.

 

Henry vive a Sunnydale da quarant’anni e lavora al cimitero da trenta. Non si avvicinerà al sepolcro. Il suo lavoro lì è finito per oggi. Deve potare le siepi sul lato sud, poi se ne andrà. Uno di questi giorni riferirà quella stranezza a degli amici. Giovani con una missione per cui Henry nutre la massima stima. Gli hanno salvato la vita una notte di tre anni fa. Da un vampiro. Roba da non crederci.

 

Sì, lo dirà a loro e loro controlleranno. E se c’è qualcosa che non va, metteranno a posto le cose.

 

Ma non stasera. Stasera è invitato a cena da sua figlia. Non vede i suoi nipotini da due settimane e muore dalla voglia di passare un po’ di tempo con loro.

 

Sì, poterà i cespugli sul lato sud, andrà a casa per darsi una rinfrescata e poi a cena da sua figlia.

 

Il demone sentì l’odore di carne fresca allontanarsi. Quell’odore gli porta alla mente altri ricordi lontani. Gli stimola qualcosa dentro, che ruggisce, alla bocca del suo stomaco. Lo fa sentire debole. Avrebbe voglia di uscire e dare la caccia a quell’odore, succhiare il midollo dalle ossa della preda. Ma non lo farà. La luce gli da fastidio e lui deve pensare e ricordare.

 

Con il tempo tutto tornerà. Col tempo ricorderà tutto. Anche perché è certo di essere di più di quanto tutti immaginino.

 

Col tempo scenderà la notte. E lui tornerà a caccia di prede tenere e giovani con cui placare la fame. Ma per ora sta lì, nella sua cripta, a rivoltarsi e sognare. O forse a ricordare. E attende che scenda la notte.

 

 

 

La giornata di Buffy era stata schifosa sin dal mattino ed era continuata su quella falsa riga. Prima c’erano state le notizie di Willow sul demone che non era riuscita a fermare e di come se ne andasse tranquillamente in giro trasformando la gente di Sunnydale in succulenti bocconcini per il suo insano appetito.

 

Poi c’era stata la sua giornata a scuola: cominciata male anche quella. E finita molto peggio. Il preside Wood l’aveva rimproverata duramente per il suo ritardo e Buffy si era ritrovata a desiderare che il demone sbranasse anche lui. Solo per un attimo, ma l’aveva desiderato. In fondo Flutie era stato sbranato da un branco di studenti-iena e Snyder dal sindaco trasformato in un demone-serpente. Perché non Wood da un serpente-vampiro?

 

Aveva comunque evitato di dirlo ad alta voce, casomai ci fosse Halfrek in giro a combinare altri casini come quello con Dawn il giorno del suo ventiduesimo compleanno.

 

Poi c’erano state quelle tre ore di assoluta pace, che l’avevano indotta in un falso senso di sicurezza. Aveva addirittura pensato che il lavoro di consulente scolastico fosse facile. Fino all’arrivo di Cassie la psichica. Cassie che era più timida di quanto Tara fosse mai stata. Cassie che diceva di parlare con Kendra e con Spike. E con Jessie.

 

Cassie che non era riuscita ad aiutare.

 

E che era uscita dal suo ufficio per andarsi a suicidare nei sotterranei della scuola, a due passi dall’entrata dell’Hellmouth.

 

Questo fallimento professionale l’aveva gettata nello sconforto per tutta la giornata, tanto che era rimasta in una specie di apatia per tutta la durata degli Stati Generali che lei stessa aveva convocato.

 

E infine le ultime notizie: il demone che gliele aveva suonate era mezzo addormentato. Hurra!

 

Per fortuna Xander e Willow avevano preso la guida della riunione al posto suo. Lei non era neanche riuscita a richiamare all’ordine Dawn e Kit che discutevano animatamente del matrimonio invece che del loro problema imminente. Né a chiedere scusa a Dawn per la loro serata tra sorelle che era sfumata.

 

L’unica nota positiva era che Willow era sembrata molto decisa quella sera, come non la vedeva da molto tempo. Sembrava quasi pronta a sigillare definitivamente l’Hellmouth con le sue mani e un secchio di cemento. E, più importante, sembrava avere uno scopo.

 

La riunione era andata bene e le defezioni alla chiamata erano state minime. Mancavano solo Tessa, Giselle e Henry, ma tutti e tre avevano chiamato per avvertire della loro assenza e dei motivi che avrebbero impedito loro di presenziare. Non che dovessero farlo, ma faceva piacere. Testimoniava quanta stima avessero per loro e che non pensavano che quello che facevano fosse solo un gioco.

 

Tutti i loro collaboratori esterni presenti avevano ascoltato con grande attenzione le raccomandazioni a tenere gli occhi aperti e a evitare le zone limitrofe al vecchio cimitero per almeno qualche tempo.

 

Carlos, l’ex compagno di scuola di Dawn, e Felipe, suo zio, avevano voluto sapere con precisione le zone da evitare. Facendo i taxisti dovevano esser certi di non incorrere nella zona vietata durante una corsa.

 

Gli altri avevano ascoltato con interesse, ma le domande erano state poche, così se l’erano sbrigata in un paio d’ore. Perfino Janet, di solito così caustica e arrogante, aveva evitato i soliti commenti. Non aveva fatto neanche una battuta contro Willow. Forse perché in quella stanza più d’uno l’avrebbe scorticata viva se lo avesse fatto. Era Willow a tenere i contatti con tutti loro e a far sì che le loro case, auto e posti di lavoro fossero protetti. Una volta Giselle, la bigliettaia della stazione, aveva scherzato dicendo che, grazie alla sua magia, c’era un po’ di Willow in quasi tutta Sunnydale.

 

Buffy aveva pensato allora che quell’affermazione era più vera di quanto chiunque potesse sospettare.

 

 

 

Appena finita la riunione avevano deciso per una ronda estensiva. Dawn, Andrew, Kit e Caitlin, guidati da Xander, avrebbero coperto con il furgone un perimetro più esteso. In caso di brutti incontri le risorse del furgone erano più che sufficienti per risolvere la situazione.

 

Buffy e Willow, in tenuta da combattimento (abiti molto comodi e una marea di armi), avrebbero coperto il cimitero e la zona limitrofa a piedi, come ai vecchi tempi.

 

La notte sembrava anche troppo calma. In più di un’ora avevano distrutto un solo vampiro che stava uscendo dalla terra. Era come se perfino l’usuale popolazione della notte evitasse il vecchio cimitero e dintorni.

 

Quell’unico vampiro non era riuscito a dissipare la frustrazione di Buffy, ma Willow si era accorta che c’era qualcosa che non andava.

 

Non le ci era voluto molto a convincere la cacciatrice a farsi raccontare ciò che era successo.

 

“Parlava con Jessie?” Chiese Willow incredula, mentre Buffy rimetteva il catenaccio al cancello del cimitero e si chinava a raccogliere la sua ascia, una gigantesca bipenne che Willow non sarebbe neanche riuscita a sollevare.

 

“Ah-ha.”

 

“Ma Jessie è morto!” Esclamò Willow giocherellando con la propria ascia, una versione molto più piccola e leggera di quella della cacciatrice.

 

“Come non lo sapessi. C’ero, ricordi?”

 

“Sì, scusa. Ma è talmente assurdo…Si è uccisa nei sotterranei della scuola vicino a dove era una volta la biblioteca?”

 

“Sì,” disse Buffy spazientita. “Will, sono cinque volte che mi fai le stesse domande.”

 

“Lo so,” piagnucolò Willow. “Sto solo cercando di capire.”

 

“Sì, scusa. È che non è stata una bella giornata.”

 

Le due ragazze camminarono in silenzio lungo la strada che fiancheggiava il cimitero.

 

Dopo un po’ fu Buffy a parlare. “Ieri mi ha telefonato Rupert.”

 

Willow voltò il viso verso di lei incuriosita.

 

“È successo mentre eri di sotto a sistemare i libri. A quanto pare il rapporto che gli hai mandato non era preciso come al solito.”

 

Il bastone di Willow picchiò il selciato con più forza. “In che senso?”

 

“Nel senso che ha scoperto che non hai usato solo trucchetti da baraccone e fuochi artificiali contro quel clan e contro il demone.”

 

Willow impallidì e per un attimo si fermò, il piede sospeso a mezz’aria. Poi riprese a camminare e si affiancò di nuovo a Buffy. “Come?”

 

“Temo che Xander abbia di nuovo mandato le trascrizioni automatiche delle registrazioni.”

 

“Questa volta lo strozzo,” disse Willow con aria cupa.

 

Buffy sorrise. “No, non lo farai. Gli vuoi troppo bene.”

 

“Non è una scusa perché eviti parte dei suoi compiti!”

 

Svoltarono un angolo in un silenzio carico di pensieri e si trovarono a un bivio. Presero sicure a destra e si avviarono verso Green Park, dall’altra parte del cimitero.

 

Dopo dieci minuti che camminavano Willow chiese: “Come l’ha presa?”

 

“Voleva che ti impedissi di uscire di nuovo di ronda fino al suo arrivo.”

 

“E tu?”

 

“Sei qui, no?”

 

Willow sorrise. Il suo sorriso si allargò ancora di più, mano a mano che Buffy le raccontava come si era svolta la telefonata, comprese le poche informazioni che Giles le aveva dato per telefono. “Ha detto che nei prossimi giorni mi manderà le informazioni dettagliate via fax.”

 

“Buffy, grazie,” disse Willow abbracciandola in maniera goffa per paura di ferirla con l’ascia.

 

“E di cosa?” Le rispose la cacciatrice, rispondendo al suo abbraccio nello stesso modo. “Se tu sei una super-strega, tanto di guadagnato per noi!” Buffy si stacco leggermente dall’abbraccio e sventolò un dito della mano libera in faccia a Willow in segno di finto ammonimento, tradito dal sorriso affettuoso sulle sue labbra. “Ma promettimi che non diventerai cattiva e che non ti farai mordere da nessun vampiro!”

 

“Farò il possibile,” promise Willow. “Certo che sapere che c’è in giro un clan di vampiri che trasforma solo adepti delle arti non mi fa sentire molto al sicuro.”

 

“Ti capisco. Mai che scelgano piccoli maniaci vigliacchi!”

 

Le due ragazze sciolsero l’abbraccio ridacchiando. “Non ti senti lusingata nemmeno un pochino?” Canzonò Buffy.

 

“Neanche un po’! Anzi, se devo dirla tutta, l’idea…”

 

Willow non ebbe tempo di terminare la frase che un urlo terribile squarciò la quiete della notte, propagandosi per la calda aria di fine agosto con un’intensa nota di disperazione.

 

La strega e la cacciatrice si guardarono per un lungo istante. Il grido sembrava provenire da una delle case un centinaio di metri più avanti.

 

Buffy si irrigidì ma restò lì, titubante. Sapeva di doveva agire in fretta, ma l’idea di lasciare Willow da sola non le piaceva affatto.

 

Willow decise di risolvere la situazione. “Vai! Io starò bene. Non preoccuparti per me. So cavarmela!”

 

Buffy annuì e si gettò in una corsa folle per raggiungere il punto da cui provenivano le urla.

 

Willow si incamminò a passo svelto dietro di lei, richiamando quanto più potere poteva durante il tragitto.

 

Aveva anche la spiacevole sensazione di essere osservata e sperava che l’alone di luce giallo rossastra che il suo potere non finalizzato le stava creando attorno, servisse a scoraggiare eventuali assalitori.

 

 

 

Protetti dalle ombre, un gruppetto di vampiri spiava tutta la scena. Non appena l’urlo si levo nell’aria e la cacciatrice corse ad investigare, uno dei vampiri parlò.

 

“Facciamolo adesso Julius. La strega è sola.”

 

Il vampiro dalla pelle color ebano che rispondeva al nome di Julius si voltò verso il suo seguace con sguardo duro. “No, sciocco. Non vedi l’alone di potere che la circonda? In questo momento è pronta a tutto e sta immagazzinando abbastanza energia magica da distruggerci tutti in un sol colpo. Aspetteremo un momento migliore.”

 

I vampiri si allontanarono, protetti dal favore delle ombre.

 

 

 

In un altro punto, poco distante, altre due figure, un uomo e una donna, avevano osservato la scena tra la cacciatrice e la strega con interesse. Quando Buffy corse via, l’uomo si rivolse alla donna.

 

“È sola, Mercy. Cosa facciamo?”

 

“Niente.”

 

“Niente?” Chiese Toby, spostando il notevole peso da un piede all’altro. All’uomo-tank non piaceva l’inazione.

 

“Conosci gli ordini,” gli rammentò Mercedes Smythe senza staccare gli occhi di dosso a Willow che aveva quasi raggiunto la casa dove era entrata la cacciatrice. “Osservare e riferire. Agire solo se strettamente indispensabile. Dio, quanto è sexy!”

 

“Già,” disse Tobias McGill in tono neutro, tanto che Mercy non seppe dire se fosse una nota di delusione per non poter agire o la constatazione del suo ultimo commento.

 

 

 

Willow era quasi giunta all’entrata della casa coloniale a due piani quando sentì una serie di spari provenire dall’interno. Il sudore lungo la schiena le si gelò. Ebbe a malapena il tempo di fare altri due passi prima che un oggetto volante non identificato di forma umanoide femminile volasse attraverso la porta scardinata. Buffy atterrò ai piedi degli scalini del porticato. Subito dopo un essere mostruoso strisciò nell’arco della porta, ancora più irreale per il gioco di luci e ombre che l’illuminazione del patio creava sul suo corpo. Aveva l’enorme ascia della cacciatrice piantata saldamente nel petto, un liquido verdastro che colava dalla ferita, ma sembrava non accorgersene.

 

“Cristo!” Imprecò la strega.

 

Senza pensare scagliò la sua ascia e usò la sua magia per guidarla contro il viso del demone, ma quello, nonostante la sua incredibile mole, si spostò con una rapidità incredibile e il colpo andò solo parzialmente a segno, ferendolo ad una tempia e scheggiando uno dei corni grotteschi sulla sua fronte.

 

“Merda!”

 

Le cose non stavano andando per il meglio. Willow gettò un’occhiata a Buffy e vide che stava iniziando a tornare in sé. Anche il demone se ne accorse e si voltò verso di lei, con un grugnito di rabbia.

 

Willow concentrò tutta l’energia magica che aveva raccolto durante il tragitto fino alla casa, in una sfera di fuoco nella sua mano ora libera e si appoggiò saldamente al bastone, pronta a colpire. Non avrebbe permesso al demone di arrivare a Buffy. Era pronta, carica e incazzata. Aveva uno scopo. Il demone doveva passare su di lei se voleva fare del male alla sua amica.

 

La sua mascella si serrò, le labbra strette in una linea sottile, i muscoli tesi. Le venne in mente una scena di uno dei film preferiti di Xander, quando Gandalf affronta il Balrog sullo stretto ponte di pietra, nel cuore delle montagne.

 

‘TU!…NON PUOI!...PASSARE!’

 

La cosa era quasi comica. Willow non aveva nessuna voglia di ridere.

 

Il demone avanzò fuori della porta e per alcuni istanti fu in piena luce, quasi un bersaglio ideale. C’era un solo problema. Il demone stringeva in una mano un bambino, tenendolo per un tallone.

 

Willow esitò e la sfera di energia tremolò nella sua mano.

 

Nonononononononononono! Maledetto! Maledetto! Maledetto! Ora cosa faccio? Devo agire in fretta!

 

Willow prese una decisione e la sfera di fuoco tornò a risplendere di rinnovato vigore nella sua mano. Willow la scagliò in terra di fianco al demone, colpendolo parzialmente al fianco. Poi subito riformò una sfera più piccola e gliela scagliò addosso. Poi un’altra. E un’altra. E un’altra. E un’altra. Senza dargli il tempo di pensasre. Le sfere di fuoco andarono a bersaglio una dietro l’altra, poco più che fiammiferi sulla pelle ignifuga del demone. Ma lo scopo non era distruggerlo ora. Lo scopo era disorientarlo. Dare a Buffy modo di riprendersi. E salvare un innocente. Così Willow continuò a scagliare le sue sfere di fuoco, attenta a mirare verso la parte opposta alla mano che reggeva il bambino, colpendo il demone al fianco, sul torace e al viso.

 

La sorpresa per quell’attacco furioso fece sì che il demone mollasse la presa sulla gamba del bambino, che cadde a terra, dove rimase immobile, una piccola forma ricoperta da un pigiamino bianco.

 

Il demone si fermò e ruggì in faccia a Willow, pronto a colpirla.

 

Ecco, qui finisce questa triste storia, pensò la strega, mentre il demone si strappava l’ascia di Buffy dal petto e l’alzava sopra la testa per sferrare il suo attacco.

 

Improvvisamente risuonarono degli spari alle loro spalle. Willow sentì il sibilo dei proiettili e vide dei buchi aprirsi nel torace del demone e subito richiudersi. L’aiuto inaspettato disorientò la creatura bestiale. L’ascia gli cadde di mano. Il demone si guardò attorno, annoiato dall’interruzione.

 

Willow ne approfittò per indietreggiare sugli scalini, fuori dalla portata delle sue braccia, ed azzardò un’occhiata alle sue spalle. Niente. Solo strade deserte e buio. E Buffy di nuovo in piedi.

 

Sembra che abbiamo amici nell’oscurità. Be’, me ne preoccuperò più tardi.

 

Buffy intanto si era rialzata e aveva sfoderato una delle sue .45 e la spada che teneva sulla schiena. “Will, scansati!”

 

Willow si fece di lato, lasciando campo libero alla cacciatrice.

 

Buffy avanzò decisa verso il demone, un lampo di pura furia negli occhi. Quando fu a pochi passi, alzò la pistola a livello della faccia e scaricò l’intero caricatore della .45.

 

Il demone ruggì di dolore e stupore, ma Buffy non aveva nessuna intenzione di perdere il vantaggio acquisito con quella mossa e prese a colpirlo furiosamente con la spada.

 

Il demone, accecato dalla rabbia di quell’assalto si agitò convulsamente. Il suo pugno connetté fortuitamente con la faccia di Buffy, scagliandola lontano.

 

Willow assistette impotente alla scena. Poi, vedendo il demone avanzare alla cieca ebbe un’idea.

 

Se ha funzionato una volta, può funzionare ancora, si disse. Certo, l’altra volta era solo un vampiro. Niente di così grosso e potente. E non ho neanche la pozione!

 

<Fallo! Puoi farcela!>

 

Dio, sto straparlando nella mia testa! Sento le voci!

 

Willow si concentrò e puntò una mano contro il demone. “Ianua Ianualis aperio…” Una luce di due metri per due si aprì di fronte al demone.

 

Troppo piccola! Avanti, Rosenberg, puoi fare di meglio. Concentrati. Più potere. Hai bisogno di più potere. Sentì le fonti. Escludi l’Hellmouth e prendi tutto il resto. Ecco! Una piccola fonte. Energia mistica bianca. È tenue, ma dovrà bastare.

 

Willow si concentrò di più. Rivoli di sudore le scesero copiosi dalla fronte. Sangue prese a scenderle dal naso. Le sue pupille si dilatarono fino a che il verde non inghiottì completamente il bianco.

 

Per un attimo sembrò non accadere niente. Poi l’energia affluì in lei come un torrente in piena. Willow la reindirizzò verso l’incantesimo. Le diede forma come uno scultore fa con la creta. La luce si ingrandì abbastanza da inghiottire il demone che vi entrò senza accorgersene.

 

Willow puntò il bastone verso il cielo e prese una stella come riferimento. “…claudoque!”

 

La luce scomparve e con lei il demone. Per un attimo una luce minuscola si accese in cielo, come se qualcuno avesse acceso una lampadina in alto sopra le loro teste e subito l’avesse spenta.

 

Willow sorrise. Ce l’ho fatta!

 

Poi svenne.

 

 

 

Due minuti dopo, quando riprese conoscenza, la prima cosa che vide fu la faccia preoccupata di Buffy, a pochi centimetri dalla sua. “Stai cercando di baciarmi?” Chiese, sforzandosi di scherzare.

 

Buffy sorrise, ma subito il suo sorriso si trasformò in una smorfia di dolore. “Ti piacerebbe. Ouch!”

 

Willow notò che Buffy parlava a mezza bocca e la parte sinistra del suo volto sembrava rigida. Un’ecchimosi nero-bluastra le copriva lo zigomo sinistro e parte della guancia. Altri piccoli tagli erano sparsi per il suo volto.

 

Willow si tirò seduta. “Non parlare, Buff,” disse esaminando il livido e tastandolo con dita esperte.

 

Buffy trasalì per il dolore.

 

“Credo che tu abbia uno zigomo rotto.” Willow si tirò in piedi. “Finiamo qui e andiamo alla clinica. Voglio che Cat esamini quel livido.”

 

Buffy annuì. Si indicò il labbro superiore con espressione preoccupata, poi quello di Willow.

 

Willow si portò le dita sotto il naso e sentì qualcosa di bagnato. Ritrasse le dita e vide che erano sporche di sangue. Per fortuna i suoi occhi erano tornati normali. “Niente di cui preoccuparsi,” rassicurò. “Ho dovuto dare fondo alle scorte con quell’incantesimo. Questo è uno dei postumi,” disse mentre si asciugava il sangue con il dorso della mano.

 

“Dove hai spedito il demone?”

 

“Lontano. Nel deserto spero.”

 

“Chi ha sparato per aiutarci?”

 

“Non lo so. Ora zitta e controlla il bambino. Io raccolgo le armi.”

 

Buffy annuì e andò ad assicurarsi che il bambino fosse solo svenuto. Quando sentì il battito tirò un sospirò di sollievo. Willow le si affiancò e le passò la spada. “Quella mostruosità devi raccoglierla tu,” disse, indicando l’enorme ascia di Buffy. “Dammi un caricatore.”

 

Buffy le passò il caricatore e Willow lo infilò nella .45. Scarrellò e entrò nella casa, aiutandosi con il bastone. Buffy la seguì con il bambino tra le braccia.

 

 

 

Willow credeva di aver visto molte cose nella sua breve vita. Più orrori di quanti Lovecraft potesse descriverne. Mostri di ogni tipo. Demoni che potevano separare un uomo robusto dalla sua spina dorsale con due dita. Streghe che volevano vivere la vita delle proprie figlie per mezzo della magia nera. La bestiale ferocia di un attacco di un licantropo. Vampiri antichi quanto la memoria di Giulio Cesare. Un mostruoso ibrido di demoni e macchina. Addirittura una dea infernale.

 

Il concetto di apocalisse apparteneva più alla sfera della quotidianità che a quella dei testi sacri, nella sua vita.

 

Ma mentre aspettavano che il furgone venisse a prenderle non riusciva comunque a scacciare dalla mente ciò che aveva visto nella casa.

 

Insieme a Buffy avevano ispezionato la casa stanza per stanza, con le pistole spianate, pronte a tutto.

 

A tutto meno che all’aria opprimente che la pervadeva. Un odore dolciastro e metallico che si impregnava al palato, rendendo difficile respirare. L’odore del sangue e della morte. Lo avevano sentito appena entrate. Allora avevano lasciato il bambino in soggiorno ed erano salite di sopra, dove quell’odore nauseabondo era più forte.

 

Quello che avevano trovato non poteva essere descritto. C’era sangue ovunque e parti umane semi-sbranate sparse in giro, come se un macellaio pazzo avesse dimenticato di ripulire terminato il suo turno.

 

In quel momento Willow aveva sperato con tuta se stessa che l’atterraggio del demone fosse doloroso, se proprio non poteva essere mortale. Mentre fissava i volti semi-scarnificati di quelli che una volta erano il signor Peter Van Groom e di sua moglie Olga, aveva desiderato essere lì per poter sentire le sue ossa che si spezzavano nell’impatto con la terra e vederlo contorcersi dal dolore. Essere lì e infierire e assicurarsi che morisse.

 

Dopo aver controllato ogni stanza ed essersi accertate che non vi fossero altri superstiti, Buffy aveva recuperato il bambino ed erano uscite.

 

L’aria calda e pulita della serata estiva le aveva colpite come uno schiaffo. L’improvviso afflusso di aria non pervasa dalla morte nei polmoni era stata come uno shock. Willow si era accucciata a terra e aveva vomitato, mentre Buffy le teneva i capelli scostati dalla faccia e le dava dei colpetti consolatori sulla schiena.

 

Ora desiderava solo andare a casa, rifugiarsi nella sua oasi sicura. Lo desideravano entrambe. Ma ancora non potevano. Dovevano portare il bambino alla clinica.

 

“Sarà come l’altra volta?” Chiese Buffy, sforzando le parole nonostante il dolore al volto.

 

Willow si pulì la bocca e la guardò senza capire.

 

“La tua magia…sarai a secco per qualche giorno come dopo il cimitero?”

 

“Credo proprio di sì. Non sforzarti di parlare.”

 

Buffy annuì pensierosa. “Peccato,” disse, prima di tacere.

 

Visto che avevo ragione io, Rupert, pensò. Avere una super strega in famiglia è meglio per noi. Willow ha tolto le castagne dal fuoco un’altra volta. Anche se sta diventando un’abitudine snervante. La cacciatrice sono io. Dovrei essere io a proteggerla. Chissà chi ci ha aiutati, poi. Be’, ci penseremo domani, si disse, mentre guardava il furgone della Gang che girava l’angolo e si avvicinava alla casa fino a fermarsi di fronte a loro. Il portellone laterale si aprì, e Willow e Buffy furono accolte da Caitlin e Kit.

 

“Dove sono Andrew e Dawn?” Chiese Willow, mentre Xander ripartiva.

 

“A casa di Andy,” rispose Kit, ravviandosi i lucenti capelli neri. “Teresa si è inventata un’altra delle sue emergenze. Però hanno distrutto tre vampiri con il balestrone, prima che li lasciassimo. E altri due li ho colpiti io,” disse sporgendo all’infuori orgogliosamente il petto prosperoso rivestito da una maglietta degli Iron Maiden. “Will, sei pallida. Stai male?”

 

“Non è niente,” rispose Willow e si girò verso Cat che stava controllando i segni vitali del bambino. “Come sta?”

 

“Fisicamente abbastanza bene, ma è sotto shock. Xander vai alla clinica. Appena arrivati voglio sottoporlo a degli esami. Poi chiamerò la polizia, in modo che avverta i servizi sociali.” La dottoressa si girò verso Buffy. “E voglio fare una lastra del tuo zigomo. Probabilmente ti servirà solo un po’ di riposo e le tue capacità di guarigione faranno il resto, ma non voglio rischiare.”

 

Buffy annuì distrattamente. Dentro di sé bruciava di rabbia. Il demone l’aveva stesa un’altra volta. E aveva fatto un’altra strage sotto il suo naso.

 

Doveva fermarlo. Ad ogni costo.

 

Il viaggio alla clinica fu silenzioso.

 

 

 

La caduta, in termini umani, sembrò non finire mai. Il demone piombò giù dal cielo come un meteorite, la sua corsa non rallentata dai gesti convulsi che fece mentre passava attraverso una nuvola, scoprendo che non aveva né consistenza né appigli.

 

Quando finalmente toccò l’arida sabbia del deserto californiano, l’impatto fu terribile e rumoroso. Una nuvola di polvere si alzò alta nel cielo e la sabbia attorno al punto d’impatto vetrificò all’istante per il calore generato dall’attrito.

 

Se un uomo fosse caduto da quell’altezza sarebbe morto molto prima di toccare terra. Forse per la mancanza di ossigeno. O per il freddo degli strati alti dell’atmosfera. O per l’impatto col terreno. Anche un demone sarebbe morto, per almenouno di questi tre motivi.

 

Ma non questo demone. Perché questo demone era in realtà un Hellgod, anche se non ricordava di esserlo.

 

L’impatto fu comunque doloroso. Il demone si accucciò nella buca creata dalla sua caduta e raschiò la sabbia vetrificata con le poche forze rimaste, fino a ricoprirsi del tutto. Poi si addormentò, in attesa che il suo corpo si riprendesse dalle ferite.

 

E per sognare come avrebbe ucciso la strega dai capelli rossi.

 

Capitolo XVI: Incontri felici e infelici

 

Dawn osservò Willow rifare avanti e indietro per il soggiorno per la centesima volta. La cosa stava veramente iniziando ad intaccare la sua pazienza e il suo sistema nervoso.

 

Ma che vuole fare, scavare una trincea sotto i suoi passi?

 

“Smettila di camminare su e giù per la stanza come un animale in gabbia!”

 

Non posso credere che questa è la stessa persona che mi ha insegnato a guidare, ha fatto le veci di un genitore ai miei colloqui scolastici e mi ha perfino coperta con Buffy dopo che mi ha scoperta a fare sesso con Bruno sul tavolo della cucina. Cosa che spero Buffy non venga MAI a sapere, o non ne vedrò mai più la fine!

 

Dawn sperava ardentemente che accadesse qualcosa in tal senso, nei dieci giorni della permanenza di Tara a Sunnydale.

 

Perché tutto il nervosismo di Willow era dovuto unicamente al ritorno della sua ex-fiamma.

 

Certo non che stia attendendo il ritorno di un ex-fiamma qualsiasi. In fondo Tara è stata la donna della sua vita, e probabilmente lo è ancora…forse.

 

Dawn cambiò posizione sul vecchio divano su cui era seduta e si portò una gamba sotto il corpo. Continuò ad osservare distrattamente l’ansioso andi-rivieni di quella che poteva considerare una sorella maggiore a tutti gli effetti, se non una madre vera e propria, se non fosse altro, per i pochi anni di differenza tra loro.

 

Ormai è quasi ora che Tara arrivi. Felipe ha chiamato un’ora fa dicendo che non erano previsti ritardi del volo. E quando Tara sarà qui Willow sarà di nuovo felice. Se il mio piano funziona. Un loro nuovo avvicinamento sarebbe così romantico.

 

E lei di certo si sentiva totalmente in uno status romantico. Forse perché tra dieci giorni si sposava. E forse perché, finché il loro rapporto era durato, Willow e Tara erano state il suo modello di perfetta storia d’amore.

 

Certo erano accadute molte cose da allora.  Né Willow né Tara erano più le stesse persone che si erano occupate di lei dopo la morte di Buffy e il suo ritorno da un abisso infernale che non era tale.

 

Tara se ne era andata, ferita dalle azioni di Willow e dal suo sconsiderato della magia, con l’intenzione di schiarirsi le idee e scoprire se poteva perdonare Willow ed era finita a ricostruirsi una vita altrove contro tutte le intenzioni, e per di più aveva avuto una figlia, per quanto le circostanze non fossero state delle migliori.

 

Rimanere incinta a causa di uno stupro non è certo il modo migliore di ricevere un dono così grande. Eppure Tara ha trovato, in qualche modo, la forza necessaria a trasformare quell’atto così sporco in una cosa splendida per sé e per la piccola Elisabeth.

 

Liz…

 

Liz che ora aveva 5 anni e non aveva mai visto la “zia” Willow neanche una volta. Perché la “zia” Willow non voleva vederla.

 

Perché Willow non era riuscita a fare lo stesso? Perché non riusciva a mettersi le spalle i dolori che la vita le aveva imposto? Era egoismo il suo se pensava che Willow avesse dovuto fare di più, trovare una soluzione perché tutto tornasse come prima? Sì lo era. Ma non poteva fare a meno di volerlo lo stesso. Perché proprio questo Dawn desiderava. Che tutto fosse come prima. Con in più Liz. Cosa c’era di male? La piccola era deliziosa. Era certa che Willow l’avrebbe adorata se soltanto l’avesse incontrata anche solo una volta.

 

Invece Willow si era sempre rifiutata di andare con lei e Buffy nelle loro estemporanee visite a SF. Buffy a volte diceva che Willow non era ancora riuscita a richiudere la ferita della loro separazione e che non se la sentiva di ritrovarsi faccia a faccia con la donna che aveva amato tanto.

 

E se anche fosse così, doveva fare di più! Tara è la sua vita, sono sicura! Al diavolo Buffy e i suoi discorsi da migliore amica!

 

Dawn era anche convinta che la verità non fosse tutta lì e che sua sorella le nascondesse molti particolari.

 

Particolari che, di questo era certa, Buffy non le avrebbe mai detto. Mai la forte e potente cacciatrice avrebbe tradito i segreti della propria migliore amica! Non con tutto quello che le doveva. Questo Dawn poteva capirlo. Perdonarlo del tutto, no. Ma capirlo sì.

 

Era però anche vero che, se, con il passare degli anni, il rapporto di confidenza tra sua sorella e Willow si era rafforzato in modo incredibile, d’altra parte si era fatto anche più difficile, scontroso.

 

Willow era diventata molto indipendente. Non era più la ragazza debole che andava protetta dal mondo e dalle sue brutture. Aveva rafforzato il suo spirito al limite del cinismo e talvolta anche oltre. Senza parlare del suo corpo. Tutti loro avevano preso lezioni di auto-difesa. Facendo la loro vita sarebbe stato stupido non farlo. E tutti loro se la cavavano piuttosto bene. Xander era addirittura diventato cintura marrone sia di judo che di full contact. Ma Willow aveva stupito davvero tutti. In quattro anni era diventata cintura nera di karate I dan e molto presto lo sarebbe stata anche di Aikido, a sentire Pat. Certo che allenarsi con le cacciatrici era un bel vantaggio. Ma i suoi progressi avevano fatto sospettare addirittura che avesse usato la magia. Il che non era vero, per inciso. Dawn lo sapeva. Nessun utilizzo futile della magia. Willow glielo aveva promesso dopo l’incidente di macchina in cui lei si era rotta il braccio. E finora non aeva mai mancato ad una promessa nei suoi confronti.

 

La causa dei suoi cambiamenti era certamente imputabile alle tragedie a cui aveva dovuto fare fronte e di cui di solito evitavano accuratamente di parlare in casa. Del resto, già il fatto che fosse ancora viva, ricadeva a pieno titolo nella categoria dei miracoli.

 

Il cambiamento di Tara era stato certamente per il meglio, per quanto fosse possibile per una persona splendida come la giovane ragazza madre. Tara era sempre stata l’immagine della dolcezza e della pazienza. Nulla sembrava mai turbarla e aveva una parola di conforto per tutti, umani e non.

 

Quello di Willow, invece, rimaneva ancora indefinito, per quanto la sbandata verso il peggio fosse, per fortuna, già arrivata e passata. Era diventata indecifrabile, decisa, indipendente e talvolta distaccata fino quasi all’indifferenza di sé, anche se poi c’era sempre per tutti quando avevano bisogno.

 

“So che sono più di cinque anni che non vi vedete” disse Dawn, con tono appena più gentile, cercando di calmare la leonessa che si aggirava nervosamente per il soggiorno. “È solo un incontro. Eppoi è anche ora che voi vi incontriate di nuovo in modo civile e che parliate. Quindi smettila di essere così terrorizzata da questo incontro!”

 

Willow si voltò verso la giovane donna come una furia. “Solo un incontro? Non è solo un incontro! È…è…”

 

Quando vide lo sguardo perplesso e colpevole di Dawn si raddolcì.

 

Era impossibile avercela con Dawn. Aveva dedicato così tanto della sua vita a quella ragazza. Aveva fatto di tutto perché crescesse in modo responsabile e fosse felice. E non era colpa sua se lei aveva il terrore di rivedere Tara. E di incontrare Liz.

 

“È difficile per me,” disse, riprendendo a camminare per la stanza con passo appena più calmo. “Tara ha significato molto per me, tu lo sai. È strano pensare che saremo di nuovo sotto lo stesso tetto dopo cinque anni. È vero che nessuna delle due ha scelto questa situazione come è vero che io ci ho messo del mio per…”

 

Willow si morse il labbro superiore immediatamente pentita della scelta delle sue parole.

 

A Dawn non sfuggì che in quella frase c’era più onestà di quanta Willow avesse voluto esprimerne. Ma Willow era così, e Dawn la conosceva bene. Poteva non dirti tutto, ma difficilmente ti mentiva. Al massimo si concedeva qualche ‘innocente omissione’.

 

Be’, forse anche qualcosa di più, ma mai per egoismo.

 

C’erano infatti anche delle omissioni più grandi, tutte concernenti i fatti-di-cui-non-si-poteva-parlare. Dawn credeva che Willow non le avrebbe mentito se avesse insistito per sapere i motivi per cui aveva agito in un certo modo in quei frangenti. O di spiegarle certe incongruenze che aveva notato. Tipo che non aveva mai voluto farsi vedere da lei neanche in costume da bagno negli ultimi cinque anni.

 

Ma la reticenza della strega dai capelli rossi era talmente evidente che Dawn preferiva non sollevare l’argomento, per quanto le pesasse quella forma di quieto vivere, che aveva accettato dopo il ritorno di Willow dal suo personale inferno.

 

In più c’era quello sguardo negli occhi di Willow, le poche volte che aveva tentato di sapere. Quello sguardo così pieno di malinconia ed amore nei suoi confronti era bastato ad impedirle di indagare più a fondo. Quello sguardo le chiedeva di non indagare, di non cercare di sapere. Tutto questo spaventava Dawn fin nel profondo del suo essere, portandola spesso a chiedersi quale fosse la reale entità di ciò che Willow aveva subito quando fu rapita.

 

Cosa aveva visto e sopportato da spingerla addirittura a commettere un omicidio? Quali segni portava addosso da spingerla a vergognarsi di farsi vedere anche da lei? Perché quello non era pudore, secondo Dawn. Era pura e semplice vergogna.

 

Alla fine non aveva mai chiesto, ovviamente. Amava troppo Willow per violare il suo desiderio di privacy. Ma questo non le impediva di darsi della vigliacca.

 

Dawn tornò ai suoi ricordi.

 

Negli ultimi giorni del rapporto tra Willow e Tara erano volate frasi pesanti e Dawn, personalmente, alla fine era arrivata alla conclusione che non tutta la colpa della loro separazione era imputabile al sempre maggiore interesse di Willow per la magia nera.

 

Tara si era allontanata molto da tutti loro, dopo essere ritornata dal limbo di follia in cui era stata relegata temporaneamente dalla malvagità di Glorificus.

 

Dawn aveva amato Tara quasi come una madre, ma, se avesse dovuto essere onesta fino in fondo, riteneva che Tara avrebbe dovuto lottare di più per la persona che l’aveva riportata indietro da quella terra di nessuno, quasi a discapito della propria anima immortale.

 

Nel corso degli anni seguenti avevano faticato non poco lei e Buffy a tenere in piedi il rapporto con Tara. Aveva richiesto tempo, molta pazienza e amore. Ma del resto, superare le difficoltà era ciò che gli amici fanno e così Dawn, Buffy, Anya e Xander, perfino Giles prima del suo ritorno nella vecchia terra d’Albione, avevano continuato l’amicizia con Tara.

 

Tranne Willow. La rossa aveva semplicemente rifiutato ogni contatto.

 

Per Dawn, la cosa più insopportabile dei lunghi cinque anni intercorsi dall’ultima volta che le due giovani ex-amanti erano state nella stessa stanza, come sarebbero state nei prossimi 10 giorni, era che non avessero mai neanche tentato un riavvicinamento.

 

Se non proprio ricostruire il loro rapporto, almeno mantenere una qualche amicizia, un contatto, una relazione sessuale- si ritrovò a pensare con un largo sorriso mentale- ricordando quanta elettricità ci fosse solo negli sguardi che si scambiavano le due.

 

Qualsiasi cosa sarebbe stato meglio di quella mancanza assoluta di contatti.

 

La rendeva furiosa e triste al contempo, vedere che quella che era stata per lei la coppia perfetta, la coppia che le aveva fatto pensare, quando era solo una teen-ager piena di dubbi, che al mondo esistesse il vero amore in un qualche involucro umano (d’uomo o di donna che fosse), avesse lasciato sfaldarsi ciò che avevano senza lottare.

 

Soprattutto perché era convinta che Willow amasse ancora Tara. Anche se ogni volta che l’argomento veniva sollevato, la rossa si rinchiudeva in un impenetrabile mutismo o cambiava velocemente discorso. Se non abbandonava la stanza in una veloce ritirata. E così il discorso era stato tirato fuori sempre meno, fino a scomparire completamente dal menù degli argomenti di casa Summers. Almeno con Willow presente.

 

E che Tara amasse ancora Willow era, invece, un semplice dato di fatto, di cui la stessa Tara non aveva mai fatto mistero con Dawn e Buffy, seppure dicesse di essere convinta che non cambiasse nulla e la vita dovesse andare avanti. Quando lo diceva, però aveva uno sguardo così triste che si sarebbe detto che il solo pensarci le riaprisse una ferita fresca dritto in mezzo al cuore.

 

“Sono passati quasi sei anni” le disse in tono dolce, sapendo di avventurarsi su di un terreno minato. “Sei passata attraverso tragedie immani- sulla tua persona e su quella di altri -hai visto cose orribili- senza contare quelle che hai subito.

 

Dawn lasciò per un istante la frase in sospeso come cercando con cura le parole per continuare. Sapeva di essere l’unica, più della stessa Buffy, che aveva sempre goduto da parte di Willow di uno status speciale, a poter sollevare certi discorsi senza essere lasciata su due piedi a parlare da sola. Era il loro patto: in certi momenti l’una ascoltava i consigli dell’altra fino in fondo, senza ribattere o fuggire, per quanto spiacevoli potessero essere.

 

Dawn aveva accettato che Willow avesse autorità non solo legale su di lei, e da parte sua, la strega dai capelli rossi aveva accettato che Dawn fosse la sua personale bocca della verità. Un patto semplice ma ben definito, di quelli prendere o lasciare.

 

 “…sei stata come un’incredibile sorella per me. Quando hai ottenuto dal tribunale la custodia congiunta fino ai miei 21 anni perché Buffy non poteva essere presente costantemente per via dei suoi doveri di Cacciatrice... Sei stata incredibile! Perfino quando avevi a che fare con quello stronzo di Rack” continuò ripensando al periodo in cui Willow fu praticamente risucchiata nel vortice della  stregoneria più nera, culminato nei momenti più tragici della sua vita, accompagnandosi a quella sorta di escremento, che l’aveva precipitata in un abisso di dolore, poco dopo che Tara se ne era andata.

 

“Non usare certe parole, per favore” rimproverò Willow, fermandosi di fronte a Dawn e mettendo su la sua espressione Signorina-non-si-dicono-certe-cose, con il chiaro intento di distrarla da un discorso che non le andava proprio di sentire. Quelli che per Dawn erano grandi meriti, per Willow non erano altro che un modo di alleviare il suo enorme senso di colpa.

 

Dawn non era disposta ad allentare la presa e continuò come se l’altra non avesse parlato “Non hai mai mancato ad un appuntamento della mia vita di quelli importanti. E non gli hai mai permesso di entrare nemmeno in casa, anche quando minacciò di distruggerti...E quasi lo fece… Sei stata…incredibile! Non ho altre parole per descrivere quello che hai fatto per me, anche se non ho mai approvato, e lo sai, quella maledetta vendetta che hai voluto prenderti ad ogni costo.”

 

Willow riflettè sulle sue parole. Se solo sapessi Dawn…La mia rabbia, l’orrore che ho provato, non furono mai per me. Se tu sapessi, avrei ancora il tuo disprezzo per quella storia? Che importanza ha, del resto. In fondo mi sono meritata tutto quello che mi è successo.

 

Dawn si fermò, aspettando che la sua rabbia a quel ricordo scemasse, inconsapevole del treno di pensieri della sua interlocutrice. Quando sentì di poter parlare di nuovo in modo calmo, disse:

 

“So anche, però, che la ferita della vostra separazione è ancora aperta e che è tempo di lasciare che risani. Non puoi continuare a serbarle rancore solo perché le vostre vite ad un certo punto si sono divise. E non puoi agire come se lei non avesse contato niente per te.” E non potesse contare ancora tutto, aggiunse mentalmente. “Non so se capisci ciò che intendo.”

 

Willow sorrise alle parole della giovane, per quanto non del tutto esatte, inorgoglita dalla considerazione di Dawn nei suoi confronti, per poi mutare espressione quando le sue lodi terminarono in quella semplice constatazione, dolorosamente offensiva e forse vera. “Credi davvero che io sia diventata così meschina?” Domandò come a chiedere conferma del contrario.

 

“So che non lo sei. So anche che l’ami molto,” le rispose Dawn, felice di vedere che il suo lapsus semi-involontario non era stato contraddetto. “Ma non devi essere così nervosa per il suo arrivo. Quello è il passato. Siete due persone adulte. Sono sicura che tutto andrà bene. Ha una figlia. Ok. Non l’ha voluto lei, ma è successo. Non è VOSTRA figlia, come forse tu volevi, ma potrebbe divenire una benedizione per te come lo è diventata per lei.” Ignorò l’occhiata incredula che le arrivò da Willow e terminò: “Non puoi evitarla anche stavolta.”

 

“Da quando sei diventata così saggia? E così verbosa? Ti rendi conto che stavi straparlando?” Willow non era così convinta che la figlia di Tara potesse portare qualcosa di nuovo nella sua vita. L’idea di tentare la terrorizzava. Cosa potrei mai offrirle? Il mio dolore o le mie cicatrici? Già me l’immagino…Liz, vuoi vedere le cicatrici di zia Willow?

 

“Ho avuto un’ottima maestra per entrambe le cose. Eppoi qualcuno deve pur farlo, visto che la detentrice del titolo mondiale ha abdicato qualche tempo fa e ora fa solo sporadiche apparizioni.”Il sorriso furbo di Dawn riuscì ad ottenere di far arrossire Willow e a strapparle un sorriso sincero ed aperto, cosa molto rara di questi tempi. L’espressione sul volto di Dawn si fece per un attimo triste all’idea di un’eventuale fuga di Willow. Poi, forzando un sorriso a sua volta: “Ricordati che in fondo mi sposo una volta sola!” Ammonì. “Almeno spero. E tu devi andare fino in fondo con i preparativi. Me lo hai promesso!”

 

“Già!” Gli occhi di Willow erano pieni di orgoglio e felicità, pensando al matrimonio. Tutto ciò che era inerente a Dawn la riempiva sempre di orgoglio e felicità. Non era incorretto dire che dalla morte della madre e da quando Tara se ne era andata, era stata Willow a crescere Dawn dal rumoroso animaletto che era a 16 anni fino alla splendida giovane donna che era ora, a quasi 22. Poi come seguendo il filo dei propri pensieri: ”Non è per Tara. Be’, anche per Tara. Non che non sia nervosa all’idea di rivederla. Del resto come potrei non essere nervosa. Era la mia fidanzata. Anche se poi non c’è stato un fidanzamento ufficiale e quindi, tecnicamente, non eravamo proprio impegnate… e… io sto straparlando. ARGH! Mi hai contagiata!”

 

Dawn ridacchiò.

 

Willow torturò l’orlo della manica della sua felpa leggera, gli occhi abbassati a terra come se le sue scarpe fossero la cosa più interessante che avesse mai visto.  Si sforzò di ignorare il ghigno divertito, completo di risolini, che Dawn le stava donando. Forse Dawn poteva aiutarla a fare chiarezza su un punto che la torturava, una cosa sciocca, un pensiero assurdo che pure non riusciva a scrollarsi dalla mente. “Ad essere onesta ho paura di incontrare Liz, soprattutto.”

 

Aveva combattuto mille battaglie, fatto mille ronde, visto e sopportato più di quanto qualunque uomo avrebbe potuto sopportare.

 

Hai affrontato e distrutto quel figlio di puttana di William The Bloody, maledizione a te, Rosenberg!

 

Eppure l’idea di incontrare una bambina di cinque anni la terrorizzava nel profondo.

 

A quelle parole, il sorriso di Dawn si spense, tramutandosi in un’espressione realmente stupita. “Perché? Cioè, capisco che appena nata sia stato difficile per te da accettare, tanto più che hai sempre sognato dei figli e dopo…quello che è successo...” Il volto della giovane Summers irradiava comprensione, essendo a conoscenza della sopravvenuta incapacità di Willow a procreare in seguito al suo penultimo ‘incontro’ con Rack, per quanto sia lei che Buffy avessero sempre rifiutato di raccontarle tutti i particolari.

 

Quando vide l’espressione afflitta sul volto della rossa, Dawn decise di lasciar cader il discorso, intuendo il dolore ancora vivido, anche dopo gli anni trascorsi.

 

Willow cercava di celare quel dolore ogni volta che l’argomento veniva toccato, facendosi schermo dietro la scusa scherzosa che molte donne gay non procreano, non apprezzando la parte sporca del lavoro, poiché prevedeva una presenza maschile. Ma era solo un modo per allontanare il pensiero.

 

“Non so perché, in realtà,” disse flebilmente Willow, sollevando lo sguardo come a dirle che capiva ciò che cercava di dirle e non era arrabbiata per aver toccato dei tasti dolenti, ricevendone in cambio uno sguardo dubbioso che decise di ignorare. “Forse non voglio rimanere antipatica alla figlia dopo essere riuscita a farmi odiare dalla madre?”

 

Willow si massaggiò le tempie con forza, schiacciata dai propri dubbi.

 

“Tara non ti odia, Will,” provò la giovane Summers, incerta delle proprie parole.

 

“Oh, sì che mi odia,” ribadì Willow con tono stridulo, uno sguardo di sfida negli occhi.

 

“Be’, forse un po’. Ma è colpa tua perché non volevi mai portarla fuori” Scherzò Dawn stemperando la tensione che andava accumulandosi. Poi tornando seria “Se tu non avessi inventato le scuse più assurde pur di evitarla…”

 

La rossa sospirò tristemente “Lo so, sono una vigliacca! Ma non me la sentivo proprio.”

 

Dawn era un po’ stupita dalla sua disposizione alla sincerità e cercò di approfittarne per indagare quali sentimenti avesse nel cuore. “La ami ancora?”

 

Willow cercò di ignorare il sorriso tenero e speranzoso che si ergeva sulla faccia di Dawn, sentendosi arrossire come non le capitava da tempo.

 

“Che importanza ha?” Rispose in un sussurro triste, senza alzare lo sguardo.

 

“Sì o no?” Insistette la giovane, cambiando nuovamente posizione sul divano con un‘aria quasi trasognata, senza riuscire a celare del tutto il turbine di pensieri e progetti che le passavano per la testa.

 

“Cosa stai architettando?” Ribatté la rossa con uno sguardo inquisitorio, messa in allarme da tutta quell’insistenza.

 

“Sì o no?”

 

Willow si voltò, dando le spalle alla sua giovane protetta, cercando di prendere tempo. Il rumore secco di una portiera che si chiudeva e le grida concitate di una bambina le diede modo di evitare di rispondere.

 

“Credo che siano arrivate” Cambiò discorso. “Vai ad aprire.”

 

“Perché non vai tu?” Propose Dawn.

 

Willow non accettò la provocazione. “Perché ho detto a te di farlo,” ribatté, facendo leva sulla sua autorità.

 

Dawn si alzò in piedi controvoglia e si diresse alla porta, fingendo di tenerle il broncio come quando era una ragazzina. “Dittatrice! Guarda che non sono più sotto la tua tutela da più di un anno, ormai. E comunque non mi hai risposto!”

 

“E non lo farò! Vado di sopra a telefonare al fioraio”. Willow raccolse il suo bastone da passeggio dall’angolo della cucina dove lo aveva lasciato in precedenza e si mosse a passo incerto verso la scala, cercando di scomparire più in fretta che le era possibile al piano superiore, seguita da uno scherzoso rimprovero di vigliaccheria. Sospirò gravemente.

 

Sì, sono una vigliacca!

 

Sentì il suono del campanello subito prima di richiudersi la porta della propria stanza alle spalle. Scosse la testa e prese l’agenda dal ripiano del comodino per telefonare al fioraio. L’occhio le cadde su una pila di fogli stampati. Erano tutte le informazioni sul clan di vampiri e sul demone. Lì accanto c’era un’altra pila con il diario privato di Giles che aveva rubato dal suo pc. Ne aveva letta solo una parte. Ma adesso non le interessava.

 

Chi meglio di un demone può conoscere un demone?

 

Come colta da un’idea improvvisa, richiamò un numero dalla memoria del suo cellulare e pigiò il tasto d’invio chiamata. Attese la risposta per alcuni lunghi secondi, il suono monotone di linea libera che le riverberava nelle orecchie.

 

Su, avanti! Rispondi! Non deludermi proprio oggi! Non sono proprio dell’umore giusto…

 

Finalmente una voce maschile rispose dall’altra parte della linea. Willow sospirò di sollievo.

 

“Pronto, Mathias? Sono Willow. Dovrei vederti…”

 

Dawn aprì la porta e, prima di accorgersi di ciò che stava accadendo, si ritrovò una bambina con lunghi capelli biondi e un sorriso adorante stampato in volto attaccata alle caviglie.

 

“Zia Dawn! Zia Dawn! Siamo arrivate!”

 

“Lizzie!” Dawn sollevò la piccola bambina bionda tra le braccia, dandole un bacio sulla fronte. “Non ti ricordavo così espansiva,” disse in tono dolce e pieno di meraviglia.

 

Dawn tenne Lizze scostata leggermente da sé per guardarla meglio. “E come sei cresciuta!”

 

“Non dire ciocchezze, zia Dawnie! Sono passati solo quattro mesi dall’ultima volta che ci siamo viste. “

 

“Sciocchezze, Liz. Si dice sciocchezze,” la corresse Tara, che era rimasta oltre la soglia a guardare dawn e sua figlia.

 

“Ciocchezze. È quello che ho detto, mamy.”

 

Tara e Dawn risero e si salutarono con un abbraccio con Liz nel mezzo.

 

“Sono così felice che tu sia venuta Tara,” disse Dawn.

 

“Anche io sono felice di essere qui. Ma fatti guardare. L’idea di sposarti ti rende ancora più radiosa e bella del solito.”

 

Dawn arrossì leggermente. “Grazie. Come è andato il viaggio?” Chiese, mentre entravano in casa.

 

“Bene, anche se Lizzie era sovraeccitata all’idea di essere qui con tutti voi. L’autista del pullman voleva quasi sbatterci fuori.” Tara guardò amorevolmente la bambina che, scesa dalle braccia di Dawn, aveva iniziato l’esplorazione del nuovo territorio.

 

“Stai attenta a non farti male,”la ammonì. “E non distruggere nulla.”

 

Liz la guardò per un attimo, poi guardò Dawn che le strizzò l’occhio in modo complice. Annuì e sgambettò via allegra, già completamente persa nell’importante compito di investigare il suo nuovo regno, toccando tutto quello che le capitava a tiro.

 

Dawn e Tara sorrisero, guardandola. “Liz! Non mi ascolta neanche.”

 

“Sa che qui è la padrona. Vuoi del tè prima di sistemarti?” chiese la più giovane.

 

“Grazie, forse più tardi” rifiutò Tara. “Prima vorrei rinfrescarmi e mettermi qualcosa di più comodo addosso, se non ti spiace. Poi devo portare dentro un mare di bagagli. Sembra che le cose non bastino mai, con una bambina. E il taxi che mi hai mandato sta ancora aspettando fuori.”

 

“Allora andiamo. Ti aiuto a prendere le borse.”

 

Dawn e Tara uscirono e si diressero verso un taxi giallo in attesa, vicino al quale stava un uomo sulla cinquantina di chiara origine messicana.

 

“A proposito…Tu e Lizzie dormirete nella camera grande, quella che dividevi con…” Dawn si fermò, rendendosi conto di stare per risollevare un ricordo che forse era meglio lasciare sepolto, almeno per il momento.

 

Tara le sorrise comprensiva “Non preoccuparti, puoi dirlo. E’ solo un nome. E’ passato tanto tempo. Ormai non piango più per così poco,” scherzò la donna bionda, seppur tradendo un sospiro che sperava Dawn non avesse colto.

 

Dawn allargò gli occhi, cercando di non tradire la mezza idea che le stava balenando in testa.  Pagò Felipe, senza dar retta alle proteste di Tara, e insieme portarono dentro alla casa al 1630 di Revello i bagagli assiepati alla fine del vialetto.

 

Erano così cariche di valigie e sacche, che il breve tragitto fino alla porta sembrò interminabile.

 

Mentre camminavano fino alla porta Tara, dandosi un tono casuale, non poté fare a meno di chiedere ciò che le stava più a cuore, seppure cercando di far apparire la propria domanda meno interessata di quanto non fosse in realtà: “A proposito, come sta?”

 

Fu certa di non esservi riuscita quando vide apparire sul volto di Dawn un sorriso furbo e un’espressione del tipo: «finalmente l’hai chiesto».

 

Poi la sua espressione cambiò in un cipiglio pensieroso. Dawn era in dubbio su quale risposta dare. Meglio una risposta diplomatica e lasciare che Tara constatasse da sola lo stato emotivo di Willow o spingere sul senso di colpa e di preoccupazione e vedere se non potesse forzare da subito un po’ la mano al destino? Decise che giocare a fare Cupido non le sarebbe dispiaciuto.

 

“Non bene,” rispose. L’idea che le era balenata in mente iniziò a prendere forma a velocità sorprendente. Forse la verità, che solitamente rimaneva taciuta, avrebbe potuto lavorare laddove il solo sentimento poteva non riuscire. “Se vuoi, dopo che ti sarai sistemata ti racconterò.” L’espressione sul suo viso era triste e Tara sentì una morsa di preoccupazione, stringerle lo stomaco.

 

“Ok,” rispose con voce flebile, mentre il suo cuore perdeva alcuni battiti, al pensiero che la sua ex-amante potesse soffrire. Non appena dentro portarono di sopra i bagagli, seguite da una sovraeccitata Liz.

 

“Sistemati pure con calma,” disse Dawn, congedandosi nel corridoio. Poi inginocchiandosi al livello della bambina: “Corri dentro. Ci sono dei regali per te.”

 

“Regali?”

 

Dawn annuì con serietà.

 

“Hyaiii!”

 

Liz corse dentro la stanza seguita dal sorriso di Dawn e dallo sguardo di Tara che scorreva la testa.

 

Demolirà l’intera casa, pensarono entrambe, la prima divertita, la seconda un po’ preoccupata.

 

 

 

Dieci minuti dopo che Dawn fu tornata di sotto, una Willow titubante, quasi timorosa sui suoi passi, entrò in salotto, le mani strette attorno al bastone da passeggio, che usualmente si portava dietro quando usciva, le nocche bianche per la pressione esercitata sul legno.

 

Dawn notò immediatamente l’andatura rigida ed incerta della rossa, ma dubitò fosse imputabile alla gamba che le faceva male, anche se giornate dal tempo incerto come questa erano per lei un vero martirio.

 

“Puoi avanzare tranquillamente. Tara e Lizzie sono ancora di sopra,” sbottò con un’espressione irritata. “ Il campo è libero.”

 

Willow si guardò i piedi e non disse nulla.

 

Un fischio si propagò nell’aria. Dawn andò in cucina, tirò via il bollitore dal fuoco e versò l’acqua bollente in due tazze già pronte nel tinello.

 

Okay, giochiamoci la prima carta! Si disse respirando a fondo per calmarsi.

 

Fece per prenderne una terza, sperando di non venire contraddetta. “Tè alle erbe. Direttamente dalla tua scorta personale.  Ne vuoi?”

 

Willow rifiutò con un gesto della mano. “No grazie, devo uscire a parlare con il padrone della sala del banchetto. E poi devo incontrarmi con Teresa per la sistemazione degli addobbi.” Tralasciò volutamente l’incontro con Mathias. “Non posso darle buca un’altra volta. Mi ammazzerebbe. Poi devo andare al negozio ad aiutare Anya. Non so come, ma mi ha incastrato fino alla nascita del bambino.”

 

Dawn annuì, rabbonita. “Tornerai per cena?” Chiese, notando che Willow si era cambiata in abiti che lasciavano presagire una serata fuori.

 

“Non lo so,” le rispose la rossa, passandosi una mano tra le corte ciocche di capelli rossi e scendendo giù fino a massaggiarsi la base del collo. Si diresse alla porta. Con la mano già sulla maniglia si fermò per un istante e  si voltò come per voler dire qualcosa, ma poi vi rinunciò ed uscì, lasciando la giovane futura sposa seduta al tavolo, a fissare una porta chiusa e a pensare a quanto fosse strano che l’amore potesse talvolta allontanare così tanto da ciò che si ama.

 

Prima che potesse indulgere troppo in questi pensieri, una voce dolce la distolse, facendola sussultare leggermente. “Liz è rimasta di sopra a giocare con le bambole nuove. Grazie per i regali. Spero che la stanza sopravviva alla nostra permanenza. E anche il resto della casa.”

 

Dawn vide che Tara si era cambiata in una tenuta molto più casalinga. Felpa leggera di cotone blu cielo, dello stesso colore dei suoi occhi, e pantaloni della tuta grigi.

 

Dawn sorrise a malapena divertita, ancora persa in pensieri riguardanti la rapida e vergognosa fuga di Willow.

 

“Non ti ho sentito arrivare. Il tè è pronto.” Passò una tazza fumante a Tara che l’accettò con gratitudine.

 

Fu a quel punto fece Tara qualcosa che davvero risollevò lo spirito di Dawn. Fece per sedersi al bancone del tinello, poi come ripensandoci si raddrizzò in piedi, infine si risedette, prendendo in mano la tazza fumante ed iniziando a sorseggiare il tè alle erbe, conscia dello sguardo stupito di Dawn su di sé.

 

La giovane aspettava una spiegazione dello strano comportamento e ciò non faceva che accrescere il senso di vergogna che Tara provava. Sentì le guance divenirle di un rosso acceso.

 

Appoggiò la tazza sul ripiano del tavolo cercando di spiegare la sua precedente titubanza. “Ecco…” iniziò in preda al nervosismo “a-avevo p-pensato che forse anche W-willow ne avrebbe g-gradita una tazza. Ma f-forse non è il caso che s-sia i-io a-ad i-invitarla. N-Non c-che n-non vorrei” sospirò. “Ma sono successe t-troppe cose e-e…” Si maledì per il balbettio che la coglieva ogni volta che si sentiva molto nervosa. Nel corso degli anni era molto migliorato, ma non era del tutto scomparso e riappariva quando si sentiva veramente agitata.

 

O quando c’è di mezzo Willow, notò mentalmente Dawn. C’è speranza, almeno da una parte.

 

“E’ uscita pochi minuti prima che tu scendessi,” la interruppe Dawn con un sorriso, prima che potesse immergersi in un interminabile soliloquio, cosa di cui Tara le fu grata.

 

“La ami ancora, vero? Anni che non la vedi, eppure la ami ancora.”

 

Tara vide l’infinita dolcezza che gli occhi di Dawn le trasmettevano a quel pensiero, ma, nondimeno, rimase a bocca aperta all’affermazione diretta della giovane che aveva aiutato a crescere quando era solo una teenager, dopo che Joyce era morta.

 

Ora era una giovane donna decisa e dalla mente acuta. Si riprese dallo shock e annuì con il capo, abbassando lo sguardo sulla tazza da cui proveniva sempre meno vapore. Bevve un sorso di tè, prendendo tempo e sperando che il tepore della bevanda le desse la forza di parlare. “N-Non h-ho mai s-smesso d-di amarla. S-Sei a-anni o-o sessanta è l-lo s-stesso. Lei è… u-una p-parte di m-me, d-della m-mia a-anima. Come Liz.”

 

Una parte per cui sarei disposta a tutto, anche a umiliarmi completamente, si disse, ricordando come l’idea di essere schiavizzata da Willow l’avesse eccitata a casa di Helen. Ma…dovrei?

 

Tara scansò con dita tremanti le ciocche dei lunghi capelli dorati che le erano ricaduti davanti al viso, nascondendolo come dietro un sipario.

 

“Dovresti dirglielo,” propose Dawn. “Io sono certa che lei prova lo stesso per te.”

 

Un lampo di paura mista a speranza attraverso il viso di Tara a quel pensiero. Abbassò gli occhi nel tentativo di nasconderlo.

 

“Non ne sono così certa Dawnie. E non sono così certa di voler ricominciare con lei.”

 

“Davvero?” Indagò Dawn. Non le era sfuggita la titubanza nelle sue parole, né l’improvviso interesse che il ripiano del tavolo suscitava improvvisamente in lei. Soprattutto non le era sfuggita la lacrima che era scesa dai suoi occhi.

 

Tara guardava il fondo della tazza come alla ricerca delle parole giuste, quasi galleggiassero nel liquido ambrato. “Senti, lei sarà sempre parte di me,” disse, asciugandosi il viso. “E sento un desiderio fortissimo di rivederla e sapere come sta. M-ma m-mi sento a-ancora…

 

…ferita?

 

…co-confusa, d-diciamo.” Odiò ancora una volta il balbettio nelle sua stessa voce, ma sapeva di non poterci fare niente. Era sempre così, quando era nervosa. Era una delle poche cose che il tempo non era riuscito a cambiare in lei. Respirò profondamente.

 

“Prima di capire se voglio ricostruire qualcosa che mi ha fatto così tanto soffrire, devo capire se c’è ancora qualcosa da ricostruire.” Lo disse d’un fiato, quasi senza accorgersi di cosa stava dicendo.

 

“E’ la mezza ammissione più contorta che abbia mai sentito,” sospirò Dawn.

 

Tara rimase in silenzio, cercando il modo di replicare senza apparire sulla difensiva.

 

La discussione fu interrotta dal rumore di una chiave che veniva infilata nella serratura. Tara sentì il cuore sobbalzarle in petto.

 

Forse è Willow che rientra. Oh, Dea! Cosa le dico? Cosa faccio? Sarà felice di rivedermi?

 

Appena la porta si aprì, tutti i dubbi di Tara sparirono. Una figura minuta dai capelli biondi entrò con un largo sorriso e un bruttissimo ematoma sullo zigomo sinistro.

 

“Ciao, Dawn. Tara! Sei arrivata!” Buffy salutò allegramente sua sorella e abbracciò Tara di slancio, felice della sua presenza.

 

Dawn puntò il dito verso l’ecchimosi violacea sul volto della sorella maggiore. “Non potresti evitare di farti prendere a pugni almeno fino a dopo il matrimonio?” disse un po’ stizzita. “Cosa cavolo è successo?”

 

“Credi che il mio fascino non ne guadagni?” La sfotté la Cacciatrice, senza staccarsi completamente dall’amica che non vedeva da molti mesi. “Non sarei una perfetta damigella? E comunque, se vuoi saperlo, la prossima volta rimani fino alla fine della ronda, invece di filartela a metà.”

 

“Non è colpa mia!” Si difese Dawn. “Sai com’è Teresa in questo periodo. E perché Will non mi ha detto niente.”

 

“Buffy non badò alle sue scuse. “Allora, forse non è successo durante la ronda.”

 

Dawn sbuffò esasperata. “Tanto prima o poi saprò com’è successo.”

 

“Cosa ti è successo?” Chiese Tara, facendo un passo indietro per osservare meglio il volto di Buffy.

 

“Ho degli ottimi studenti al dojo,” mentì Buffy. “Se mi distraggo me lo ricordano.”

 

Non aveva nessuna intenzione di parlare alle due donne del suo incontro della scorsa notte con il demone. Tanto meno del fatto che quell’ematoma era uno zigomo rotto solo la notte prima. Adoro il modo in cui sono aumentate le mie capacità rigeneranti negli ultimi anni.

 

“Avrò una damigella con il fascino di un boxer suonato!” Continuò Dawn quasi tra sé. “Spero che i tuoi poteri rigeneranti siano davvero diventati veloci ed efficienti come affermi. Sennò, non presentarti nemmeno, in chiesa!”

 

“Come sei antipatica! Del resto lo sei sempre stata. Vero Tara?” Disse, strizzando l’occhio alla strega bionda. “Mi chiedo come tu abbia fatto a trovare questo stupendo ragazzo che ti porterà all’altare sabato prossimo.”

 

“Non è vero che sono antipatica! Tara, diglielo anche tu!” Supplicò Dawn esasperata. “ Eppoi è meglio non parlare di vita sentimentale, per te. L’ultima relazione di un qualche valore che hai avuto, è stata quella di essere l’oggetto del desiderio morboso di un vampiro. E per tua sfortuna è stato incenerito da Willow!” Dawn lanciò alla sbigottita sorella uno sguardo furbetto, sapendo di aver ottenuto un buon punto.

 

“Ehi, non è vero! Semplicemente non ho trovato nessun demone che mi andasse bene!” Scherzò di rimando.

 

Buffy chiese aiuto con lo sguardo a Tara, che però alzò le braccia in un gesto di resa, sorridendo divertita al piccolo battibecco tra le due sorelle. “E’ bello essere qui con voi, dopo così tanto tempo. Ma non tiratemi in mezzo a queste cose!”

 

“E’ bello che tu sia qui.” Buffy si voltò verso di lei, gli occhi che sprizzavano felicità. “Ora che sei arrivata tu, mangeremo qualcosa di decente, finalmente! Con Willow impegnata con i preparativi ed io sempre fuori per via del lavoro e delle ronde, Dawn ha insistito di volersi occupare lei dei pasti, per poter fare pratica. Anche con i miei poteri di guarigione rapida inizio a risentirne.” Le strizzò nuovamente l’occhio, in attesa delle proteste della sorella minore che non tardarono ad arrivare.

 

“Non sono io quella che brucia perfino il gelato!”

 

Tara annuì. “Va bene, se Dawn non ha nulla in contrario, preparerò io la cena.” Poi voltandosi verso la più giovane delle due sorelle: “Dawn vorresti occuparti tu di Liz mentre io mi do da fare?”

 

“Certo.” Dawn si diresse verso le scale per salire nella stanza in cui Liz stava giocando, con un gran sorriso dipinto in volto. Il pensiero di passare un po’ di tempo da sola con la piccola non le dispiaceva affatto.

 

Buffy guardò sua sorella salire le scale allegramente e pensò che Tara si era certamente trovata una baby-sitter per i dieci giorni che avrebbe trascorso con loro.

 

La voce di Tara la distrasse da quel pensiero e la costrinse nuovamente a voltarsi.

 

“Da quando Willow ha imparato a cucinare?”

 

“Oh, se è per questo, ha imparato anche piuttosto bene. E’ una vera fonte di sorprese,” disse in modo misterioso.

 

Sapessi quante…

Capitolo XVII: Strane alleanze

 

Willow varcò il cancello laterale del piccolo cimitero ebraico di Sunnydale una mezz’ora prima del tramonto. Si inoltrò per alcuni minuti all’interno, seguendo i sentieri di ghiaia ben curati, fiancheggiati da basse aiuole di fiori, e lanciando occhiate distratte alle lapidi e ai mausolei d’intorno. Il luogo sembrava ameno come avrebbe dovuto essere un luogo dove si onora l’eterno riposo dei propri cari. In un altro momento ne sarebbe stata felice. Lì riposavano le spoglie mortali dei suoi nonni materni.

 

Ma Willow non aveva il tempo, né la voglia di ammirare, la bellezza architettonica dei mausolei, né di incantarsi nella quiete profonda che la circondava. Era stanca. Il pomeriggio passato al Magic Box ad aiutare Anya era stato più faticoso di quanto immaginasse. E prima di quello c’era stato l’appuntamento con Teresa. Due interminabili ore a spiegare che non c’era nessun sottinteso gay nell’accostamento dei fiori d’arancio con le rose gialle. Quella donna riusciva ad essere ottusa contro ogni buon senso. Ma era davvero felice della scelta di Andrew, se non altro perché pensava che suo figlio stesse salvando la povera Dawn da una situazione familiare diseducativa e compromettente. Non voleva neanche immaginare cosa avesse sopportato Dawnie per farsi accettare dalla famiglia di Andrew. E quali cataclismi sarebbero accaduti quando Teresa avrebbe scoperto che Dawn avrebbe continuato a vivere sotto lo stesso tetto colei per tutta la durata del lungo viaggio in estremo oriente di suo figlio.

 

Allontanò quei pensieri dalla sua mente mano a mano che si inoltrava cimitero. Ora non aveva tempo per quei pensieri. Aveva un appuntamento. Di quelli dopo il tramonto, che lasciano poco spazio per ammirare il paesaggio. Almeno se si tiene a rimanere vivi. Non che ci fosse un reale pericolo. Il piccolo regno di Mathias era piuttosto sicuro per i vivi. Ma una vita spesa a Sunnydale insegnava che se proprio dovevi stare in un cimitero al tramonto, era saggio tenere gli occhi bene aperti ed evitare le distrazioni.

 

Alcuni minuti dopo Willow arrivò ad una scalinata che scendeva giù verso un prato da cui le lapidi si ergevano come enormi fiori bianchi in un giardino. Si sedette sul gradino più alto e mise il bastone in terra di fianco a sé. Ora non le rimaneva che attendere. Mathias non avrebbe tardato ad arrivare. Mathias era molto protettivo verso di lei e non l’avrebbe fatta aspettare a lungo.

 

Rimase a guardare il cielo ormai rosso tingersi di una sfumatura molto più scura verso est. Inconsciamente tornò a guardare giù, ai piedi della scalinata, dove le lapidi si stagliavano in linee simmetriche nell’erba ben curata, come un campo coltivato a marmo, le ombre lunghe che accarezzavano erba e ghiaia.

 

L’unico cimitero che non abbiamo bisogno di pattugliare, ricordò a se stessa, grata per una volta di non dover temere l’arrivo del tramonto.

 

“Cosa abbiamo qui, se non la più bella strega di tutta Sunnydale!”

 

Una voce allegra e gentile arrivò da un punto dietro alle sue spalle, provocandole un piccolo spavento.

 

“Mathias,” strillò Willow.

 

Nonostante l’avesse fatta sobbalzare dallo spavento Willow girò appena la testa per salutare la figura a cui la voce apparteneva. Un uomo che sembrava avere circa la sua età, forse leggermente più vecchio, alto più di un metro e ottanta, capelli e occhi castani, spalle da atleta, si stagliava contro la luce del sole morente, vestito in una semplice maglietta giallo pallido e un paio di jeans blu.

 

 “Ciao, Willow. Scusa se ti ho spaventata. A cosa devo l’onore della tua visita?” Mathias si sedette accanto a lei sul gradino, attento a non invadere il suo spazio personale, in un gesto al contempo rispettoso e timido.

 

Willow gli si avvicinò e fece scivolare il braccio coperto di pelle nera del trench sotto quello nudo dell’uomo, colpita come ogni volta dalla riservatezza di quel potente vampiro. Perché nonostante i modi gentili e una cavalleria d’altri tempi, il bel ragazzo seduto di fianco a lei era un vampiro. Un Maestro per di più.

 

Ma Willow si fidava di lui come non avrebbe fatto con nessun altro, neanche Angel. Forse per i suoi modi, sempre impeccabili nei suoi confronti, o forse perché rappresentava un caso più unico che raro.

 

Mathias era nato vampiro. Sua madre era stata trasformata da un vampiro molto potente e molto antico quando lui era poco più di un ovulo in evoluzione. Per qualche misterioso motivo, quell’ovulo invece di morire aveva continuato a svilupparsi e il germe mistico del vampirismo si era trasmesso a lui nel grembo materno. Madre e figlio non ancora nato avevano condiviso il loro demone per tutta la gravidanza, fino a quando, con la sua nascita, il demone si era legato a lui.

 

Così Mathias era nato con tutti i tratti propri di un vampiro, mentre sua madre era tornata un normale essere umano. Fin da piccolo possedeva forza sovrumana, velocità incredibile, sensi acutissimi, possibilità di cambiare fisionomia nella ‘faccia da gioco’. Per di più, il tutto acuito dal fatto di essere stato creato da un vampiro così potente e antico.

 

Sua madre si era suicidata pochi mesi dopo, tormentata dal rimorso verso le sue vittime e dal pensiero di aver dato vita ad un mostro. Mathias era stato allevato da un vampiro nella New York degli anni venti.

 

Ma, ironia delle ironie, sua madre non aveva fatto in tempo a scoprire che il ‘mostro’ che aveva generato era nato con un’anima, e per di più incredibilmente gentile, e che per qualche strano motivo, la luce del sole non lo affliggeva come accadeva per quelli della sua specie. In più aveva un codice d’onore ferreo. Mathias era davvero una rarità. Un nemico implacabile per i suoi avversari e un leale alleato per chi aveva la sua fiducia.

 

“Ho bisogno di informazioni.” Willow tirò fuori da una tasca interna una serie di fogli stampati con la mano libera e li passò al vampiro. “Che sai dirmi di questi?”

 

Mathias osservò con interesse i disegni impressi sui fogli e lesse le note che li accompagnavano per diversi minuti, emettendo di tanto in tanto strani mormorii.

 

Uno strano cipiglio si formò sul suo volto. “Sei sicura che fossero questi i simboli sulle tuniche?”

 

“Sì. Perché me lo chiedi? Sai cosa significano quei simboli?” Una leggera preoccupazione le velava la voce.

 

“Posso prendere in prestito queste note?” Chiese, alzandosi in piedi.

 

“Sì, ma…”

 

“Torno subito!” Mathias le voltò le spalle e si avviò a velocità sostenuta verso una serie di cripte sul lato sud-ovest del cimitero.

 

“Dove stai andando?” Gli gridò dietro Willow, allarmata dall’improvvisa fuga di Mathias.

 

“Da Julia,” arrivò la risposta attraverso l’aria immobile del cimitero, mentre Mathias si mise a correre a una velocità tale che l’occhio umano poteva cogliere la sua figura solo come una macchia di colore indistinta nel sole morente, al limite della percezione visiva.

 

Il nome che Mathias pronunciò diede i brividi a Willow, che si sforzò di non pensarci.

Oh, no! Quella troia vampira! Proprio lei deve avere le informazioni che ci servono?

 

Cinque minuti dopo Mathias fu di ritorno, a mani vuote, e tornò a sedersi al fianco di Willow. “Julia ci raggiungerà appena fa buio,” affermò, in tono informativo. “Lei ne sa di certo più di me.” Un sospiro preoccupato sfuggì dalle sue labbra, nonostante respirare non fosse tra le sue necessità primarie.

 

Willow cercò di non pensare che esistesse qualcosa che potesse far sospirare di preoccupazione Mathias. “Dimmi ciò che sai, mentre aspettiamo che la tua dark lady faccia la sua entrata,” disse con sarcasmo, non riuscendo a mascherare un altro brivido di malcelato disagio al pensiero dell’arrivo della donna vampiro.

 

“Non ti è molto simpatica, vero?” Era più un affermazione che una domanda.

 

“Sembra sempre guardarmi come se fossi la cena. No, non mi è molto simpatica.”

 

Voleva accorciare quella visita il più possibile, per quanto provasse della simpatia per Mathias e i suoi modi gentili.

 

“I simboli sulle tuniche,” disse, appoggiando le braccia sulle ginocchia e posando lo sguardo lontano, oltre le lapidi  “appartengono al clan Boreanz. Quello più intricato dovrebbe essere quello del capo clan.”

 

Willow notò qualcosa che non aveva mai sentito nella voce di Mathias nei due anni da cui lo conosceva.

 

Paura.

 

Il vampiro che le sedeva accanto, nato da una donna con la forza di un Maestro vampiro aveva paura di qualcosa.

 

Questo non è assolutamente un buon segno, si disse Willow cercando di non reagire eccessivamente alla sua intuizione. “E’ così pericoloso questo Boreanz? Come mai non ne abbiamo mai sentito parlare, se è così potente?” La sua predisposizione alla curiosità la spinse a chiedere, anche se qualcosa le diceva che le risposte non le sarebbero piaciute.

 

“Normalmente ti direi di sì, anche più che pericoloso, se non fosse morto da almeno 170 anni.”

 

“Ma…?”

 

Willow percepiva chiaramente nelle parole del suo ospite la presenza impendente di un ‘ma’ sottinteso. La sua reticenza a continuare era evidente e la cosa preoccupava Willow. Mathias non era mai stato reticente nel darle le informazioni in passato. Anzi cercava di essere più dettagliato ed esaustivo che poteva. In certi momenti Willow avrebbe giurato che Mathias si compotava come una sorta di fratello maggiore nei suoi confronti, addirittura che provasse dell’affetto per lei. E poi c’era il loro patto. L’accordo che il clan di Mathias aveva stipulato con la Scooby Gang prevedeva che loro procurassero discretamente informazioni altrimenti difficilmente reperibili sulle attività sovrannaturali nel sottobosco demoniaco di Sunnydale e loro, Buffy in testa, evitassero spedizioni punitive nel piccolo cimitero che chiamavano casa.

 

Era un buon accordo, soprattutto visto che la particolarità del clan di Mathias era quella di non andare a caccia di prede per nutrirsi, preferendo altri metodi per ottenere il sangue che era il loro sostentamento. Sunnydale, così come molti altre città, aveva un sistema parallelo di fornitori non ufficiali, per lo più umani, che potevano procurare, al giusto prezzo, praticamente ogni tipo di sostentamento di cui vampiri o demoni potessero avere bisogno. Quando Mathias  era arrivato a Sunnydale, circa trenta mesi prima, in quello stesso cimitero risiedeva un clan di sedici elementi, tutti vecchi almeno un secolo, spaccato tra chi voleva continuare a cacciare gli esseri umani come cibo e chi voleva servirsi di quel fiorente mercato nero. Non che avessero sviluppato un’anima. Pensavano semplicemente che fosse più facile e meno rischioso, soprattutto in un luogo dove era attiva una cacciatrice del calibro di Buffy Summers.

 

Utilizzare il mercato nero era come poter mangiare al take-away, e le fonti non si esaurivano.

 

Mathias, avendo un’anima era stato ovviamente propenso a schierarsi dalla parte dei secondi.

 

Una notte era infuriata una terribile battaglia alla fine della quale Mathias era stato eletto capo clan dai soli quattro vampiri sopravvissuti e che erano parte dello schieramento che aveva appoggiato.

 

Fare quel tipo di patto era quindi stato abbastanza agevole per gli Scooby, anche se non dimenticavano che erano pur sempre dei vampiri. Il giorno che fossero venuti meno alla propria parola, la Scooby Gang si sarebbe mossa contro di loro senza pensarci sopra due volte. Ma a Willow sarebbe dispiaciuta la morte di Mathias. Se non altro perché era stata lei a stipulare il patto con il suo clan. Il tradimento sarebbe stato un fallimento personale e un tradimento da parte di…sì…di un amico.

 

Willow si voltò a guardarlo, aspettando che procedesse nel darle le informazioni di cui era venuto in possesso.

 

“Dopo la morte di Boreanz, il clan invece di indebolirsi si è addirittura rafforzato,” continuò il vampiro. “Alcuni dicono che sia il clan più forte e numeroso in circolazione in tutto il mondo. Conta molti elementi di almeno duecento anni. Il mio clan non ha mai avuto motivo di scontrarsi con loro. Non sapevo neanche che fossero in città. Ma se accampassero diritti sulla nostra zona,” disse, facendo un gesto all’intorno, per indicare la serie di lapidi che era il loro regno, “saremmo probabilmente costretti a scappare.” Mathias abbassò la testa in un gesto rassegnato.

 

Lo stupore pervase Willow. Mathias era l’unico vampiro che aveva visto combattere come il Neo di Matrix. Vederlo così rassegnato, già sconfitto, le dava i brividi ed un profondo senso di disagio. Era il crollo di una certezza. Mathias non era tipo da arrendersi, come aveva dimostrato più di una volta. Almeno finora.

 

“Comunque Julia saprà dirti certamente di più su chi li guida ora e sulle loro intenzioni. E’ davvero brava a raccogliere informazioni ed è abbastanza vecchia da sapere cose che io non posso sapere, con i miei soli ottantasei anni di vita.”

 

Tornò a guardarla con rinnovato interesse, notando come se fosse la prima volta i segni scuri sotto i suoi occhi e quanto apparisse magro il suo corpo, nonostante i costanti allenamenti che sapeva  tutti gli Scooby facevano. Il suo aspetto avrebbe ingannato un normale osservatore, ma ai suoi sensi sovrumani appariva palese che gli abiti sembravano caderle addosso e il volto fosse scavato e stanco.

 

“Tu come stai?” Chiese con una nota di preoccupazione nella voce.

 

Willow valutò la possibilità di mentirgli, ma poi decise che sarebbe stato inutile. Per di più aveva già visto di quale discrezione era capace il suo ospite e sapeva di potersi fidare abbastanza. “A volte vorrei che Kores avesse terminato il suo lavoro. Vorrei che avesse prosciugato il mio sangue e mi avesse lasciato lì, come un sacco vuoto, in attesa che qualcuno trovasse il mio cadavere e lo seppellisse.” Una profonda amarezza la pervadeva, mentre il ricordo del loro primo incontro rifluiva nella sua mente. “A volte vorrei che tu non lo avessi fermato.” Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la faccia tra le mani, le spalle incurvate come se un incredibile peso vi gravasse sopra.

 

“Invece sono felice di averlo fatto. Kores era una bestia ed andava fermato!”

 

Kores era stato l’unico vampiro dello schieramento opposto a quello di Mathias che era riuscito a scappare la notte in cui lui era divenuto il nuovo capo clan. Era un vampiro vecchio più di un secolo, con un aspetto fisico imponente e aveva giurato vendetta nei confronti di tutti i sopravvissuti.

 

Mathias, non volendo guardarsi le spalle per il resto dei suoi giorni e desideroso di porre fine alla vendetta di Kores che aveva già mietuto due vittime tra i suoi, aveva deciso di dargli la caccia. Lo stava cercando da quasi una settimana, quando lo aveva finalmente trovato, nel parcheggio di un palazzo di una compagnia di software, dove stava fronteggiando una giovane ed esile ragazza dai capelli rossi, che si reggeva in piedi faticosamente, appoggiata a una stampella, un’altra gettata in terra ai suoi piedi.

 

Mathias aveva notato subito che la ragazza era una strega. Certo che vederla creare una sfera di fuoco e tenerla in mano era stato un bell’indizio. Ma ciò che aveva stupito di più Mathias quella notte era stato vedere la strega dissipare le proprie energie magiche ed abbassare il capo, come in attesa della morte, quando avrebbe potuto lottare e probabilmente vincere senza neanche troppo sforzo, nonostante le limitazioni fisiche.

 

A quel punto Kores si era leccato le labbra e le si era avvicinato con le zanne protese, sicuro di aver trovato una preda succulenta. Sembrava minaccioso ed imponente mentre torreggiava su quella ragazza così esile e stanca di vivere. Era stato a quel punto che Mathias aveva agito, con velocità e furia, colpendo senza pietà l’altro vampiro al corpo e al viso e sbarazzandosi in breve tempo e con facilità sorprendente dell’imponente avversario.

 

Willow, nel breve scontro era finita a terra. Mathias l’aveva aiutata a rialzarsi e con grande sorpresa della strega, le aveva offerto un caffè invece di attaccarla e cibarsene. Erano rimasti a parlare tutta la notte, fin dopo l’alba. Per la prima volta Mathias aveva raccontato a qualcuno la sua storia e Willow aveva ascoltato in silenzio. Un vampiro che cercava di trovare ragioni per vivere ad una strega umana. Esisteva qualcosa di più ridicolo? Avevano riso di gusto entrambi. Una risata liberatoria per Willow. Era durata finché non era toccato a lei raccontare la sua storia. Tutto. Compresi i suoi fallimenti personali.

 

Mathis aveva sempre sperato che le cose migliorassero per Willow. “Va così male?” Chiese.

 

Willow non rispose, limitandosi a scrollare le spalle.

 

“Anche ora che la metà mancante della tua anima è qui?” Insistette con sincero interesse, pur consapevole che si stava avventurando in un terreno minato.

 

Willow sollevò il viso dalle mani, le sopracciglia aggrottate in un arco di stupore sopra gli occhi spalancati notando appena che l’oscurità era calata sul cimitero, rendendo le forme all’intorno indistinguibili.

 

Che diavolo significa? Sta parlando di Tara? Cosa c’entra lei in tutto questo? Come fa a sapere dell’arrivo di Tara?

 

Mathias le appoggiò una mano sulla spalla per calmarla, vedendo che la preoccupazione e l’ira si stavano impadronendo della sua giovane ospite. “Calma, Willow. Non c’è nessun pericolo verso di lei. Te lo posso giurare.”

 

“Ma allora…?” Willow non riusciva a capire come Tara fosse entrata nel discorso.

 

“In giro si dice che oggi sia tornata a Sunnydale un’anima di una purezza accecante. Una strega potente, anche se con il temperamento della guaritrice, piuttosto che della guerriera. Qualcuno giù da Willy, che era qui qualche anno fa, l’ha riconosciuta come la donna della Strega Rossa. La tua donna,” finì con gentilezza Mathias. “Ti sei fatta una certa reputazione, negli ultimi anni.”

 

A Willow non sfuggiva il fatto che quel qualcuno era probabilmente un demone o qualche altra creatura della notte. Erano gli unici a chiamarla Strega Rossa. Una reputazione negativa quanto la loro e altrettanto meritata in tempi in cui credeva che la magia fosse un mezzo per ottenere i suoi scopi, non diverso dalla sua intelligenza. La chiamavano la Strega Rossa per via dei suoi capelli, ma avrebbero potuto chiamarla la Strega Nera a causa delle sue azioni passate senza sbagliare. In fondo, non tutti i praticanti delle arti erano stati capaci di fare quasi finire il mondo in un momento di rabbia. O di suonarle ad un Hellgod.

 

Willow guardò Mathias per alcuni istanti, cercando di capire se le stava tenendo nascosto qualcosa. “Non è la mia donna. Non più almeno. E’ venuta per il matrimonio della sorella della Cacciatrice,” rivelò, quasi certa che non gli stesse celando nulla che già non sapesse e desiderosa di far sapere che tra lei e Tara non c’era alcun legame. Sperava così di tenerla al riparo da eventuali ritorsioni nei suoi confronti.

 

“Capisco,” disse Mathias, cercando di mascherare l’interesse che il solo citare Buffy provocava in lui. Mathias si irrigidì impercettibilmente sentendo dei passi nell’oscurità alle loro spalle. Riconobbe istintivamente il rumore degli stivali di Julia sul selciato e tornò a rilassarsi. Willow sembrava non essersi accorta di nulla.

 

La giovane donna incrociò le sue braccia sopra le gambe di Mathias, il mento sopra, come in cerca di conforto. “Se te lo chiedessi, daresti la pace alla mia anima e al mio corpo?” Aveva pronunciato le parole in un sussurro talmente basso che solo i suoi sensi iper-sviluppati avevano permesso al vampiro di sentire ciò che aveva detto.

 

Prima che Mathias potesse rispondere una mano si allungò e le accarezzò languidamente il collo.

 

“Io sarei più che felice di farlo. Ma non lascerei mai il tuo corpo ai vermi. Sarebbe un tale spreco! Quella puttana della guaritrice non merita tutta questa fortuna!” La voce era bassa e sensuale, con un sottotono intrigante, probabilmente francese. Il suo tono era carico di un misto di promesse e desiderio, sferzante sarcasmo e bramoso veleno.

 

Willow si irrigidì immediatamente, mentre un brivido la scuoteva fulmineo. Sentì la sua gola contrarsi e le parole uscirle strozzate e cariche di rabbia. “Togli quella mano o te la faccio esplodere,” minacciò con voce malferma.

 

Julia ritrasse la mano con una carezza e un sorriso seducente, mentre Willow si voltava a guardarla con occhi pieni di una furia che si spense presto.

 

Come ogni volta che vedeva la vampira, Willow non poté evitarsi di deglutire a vuoto. Julia era bellissima. Il suo volto pallido risplendeva ai raggi lunari, mettendo in evidenza i lineamenti finemente cesellati, gli zigomi alti e le labbra piene, il sorriso caldo ed invitante, da predatore. Aveva capelli nero corvino e occhi neri di un’intensità che sembravano scrutarti dentro l’anima. Il suo viso sembrava non poter essere definito in una categoria razziale. Certamente mediterraneo, ma con un qualcosa di orientale. E il suo corpo, messo in evidenza dai pantaloni di pelle nera e dalla semplice maglietta nera attillata, era a dir poco sensazionale.

 

Ma c’era qualcosa in lei che le metteva i brividi.Un che di famelico nel suo sguardo che la faceva sentire come un topolino tra gli artigli del gatto.

 

Lo stesso sguardo che aveva Spike, mentre la cinghia sibilava contro il mio corpo.

 

Il ricordo le accese un lampo bianco di dolore nel cervello. Un attimo di accecante dolore nella sua brutale chiarezza. Il viso di Willow si contorse in una smorfia involontaria di paura.

 

“Vedo che ti sta ancora a cuore. Peccato,” disse Julia, travisando la sua espressione, il sorriso invitante ancora fermo sulle sue labbra. “Speriamo almeno che quella puttana, dopo averti lasciata, sappia apprezzare ciò che ha, ora che è tornata.” Il sorriso le si allargò in una smorfia provocatoria.

 

Willow sentì di nuovo la rabbia montarle dentro, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Mathias scattò in piedi e afferrò la sensuale vampira per il collo, sollevandola da terra. “Non ti ho convocata qui per insultare i miei ospiti, Julia! Ti avevo detto già nella tua cripta che esigevo che ti comportassi bene. Non mi piace che tu sfidi la mia autorità in questo modo,” sibilò.

 

In un istante il viso di Mathias mutò nei tratti demoniaci e le sue zanne mandarono riflessi minacciosi.  Julia impallidì visibilmente, più del naturale pallore dovuto alla sua condizione di non-morta. Mathias le strinse il collo ancora più forte, fino a farla gemere di dolore. Se avesse potuto sudare, la vampira avrebbe sudato freddo in quel momento.

 

“Pretendo che i miei ospiti vengano trattati con rispetto e non intimiditi,” continuò Mathias, accentuando ancora un po’ la presa sul collo della vampira che penzolava gemendo dalla sua mano, impietrita dal terrore. “Risponderai educatamente alle sue domande o scoprirai che la furia di un vampiro con l’anima può essere altrettanto terribile di quella di un Antico che non ce l’ha!”

 

Detto questo la scagliò giù dalla scalinata e restò a guardarla rotolare e fermarsi contro una lapide. Poi si avvicinò a Willow e le posò una mano sulla spalla, mentre i lineamenti del suo viso tornavano umani.

 

Willow non era per nulla intimidita dalla scena a cui aveva assistito. Forse se si fosse trattato di qualcun altro… Ma Mathias aveva sempre avuto un atteggiamento quasi fraterno nei suoi confronti. Accettò il gesto di conforto con un senso di amara ironia.

 

I vampiri si schierano dalla mia parte! Sarebbe quasi comico. Sono l’oggetto di una contesa tra vampiri! Un vampiro mi difende! Ma che razza di vita sto vivendo? Perché diavolo non la faccio finita e mi tolgo da questa farsa?

 

Mathias non era un vampiro comune, ma l’affetto e il bisogno di proteggerla che sembrava provare nei suoi confronti le sembrava quasi assurdo. Avrebbe addirittura potuto pensare che fosse innamorato di lei, se non fosse stata certa che Mathias aveva una cotta per Buffy. Addirittura la seguiva nelle sue ronde, quando poteva, per coprirle discretamente le spalle.

Ma cos’ha Buffy, che tutti i vampiri che incontra vogliono o ucciderla o portarsela a letto?

 

Mentre attendevano che Julia si riprendesse e tornasse da loro Willow chiese: “La segui ancora per proteggerla?”

 

Mathias capì che l’argomento era cambiato. “Ogni tanto, ma non ha bisogno di essere protetta. Combatte in modo fantastico!”

 

Willow notò lo sguardo trasognato che apparve sul volto del vampiro, come ogni volta che si parlava di Buffy. “Perché non la inviti ad uscire?”

 

“Willow, lei è la Cacciatrice. Io sono un vampiro. Che faccio, mi presento alla sua porta con un mazzo di rose e un paletto e le chiedo: ‘Scegli: esci con me o impalami?’ Secondo te quale sarebbe la sua risposta?”

 

“Be’, non è detto. In fondo ha già avuto relazioni con dei vampiri e non erano la metà del gentiluomo che sei tu.”

 

Le relazioni di Buffy con Angel e Spike erano di pubblico dominio. Nel primo caso Buffy non si era preoccupata di nasconderla, nel secondo non era stata così attenta quanto credeva, evidentemente.

 

Willow era certa che Mathias sarebbe arrossito, quando lo vide chinare il capo per non incontrare il suo sguardo. “Vedremo che si può fare,” concluse Willow, con un sorrisetto furbo.

 

Mathias aprì la bocca per controbattere, ma prima che potesse farlo Julia li raggiunse, guardandolo con ostilità, seppure mantenendosi a distanza di sicurezza.

 

 “Hai letto le carte che ti ho portato. Dille tutto ciò che sai sul clan Boreanz,” ordinò, puntando uno sguardo di fuoco sulla vampira alcuni gradini più in basso, che lo contraccambiò con un gesto di sfida.

 

Julia si scosse la polvere di dosso con le mani lunghe e affusolate e si rilassò. Il suo sguardo scivolò su Willow, come se stesse giudicando con apprezzamento un capo di bestiame. Aveva voglia di giocare e di farla pagare a Mathias per l’umiliazione subita. Siccome non poteva sfidare l’autorità e la forza del suo capo clan e non ne aveva una reale intenzione, poteva almeno mettere a disagio la sua ospite. Un’ospite che, del resto, Julia apprezzava molto. Come le sarebbe piaciuto potere passare qualche ora da sola con lei! La rossa doveva essere un’amante fantastica. Tutto quel fuoco…

 

Willow sentì il disagio crescerle dentro e quando la vide passarsi la lingua sulle labbra non poté evitarsi di deglutire a vuoto ancora una volta ed abbassare lo sguardo.

 

“Voglio che me lo chieda lei. Voglio che sia la Strega Rossa in persona a chiedermelo. E gentilmente,” disse Julia, senza staccare lo sguardo da Willow ma rivolta a Mathias.

 

Julia adorava mettere Willow a disagio. Le piaceva giocare con lei. E la desiderava anche. Non si faceva illusioni né si dava scuse in proposito. Bramava bere il suo sangue e farle bere il proprio. Non ucciderla, ma farle provare le più intense sensazioni erotiche che avesse mai provato. Possedere il suo corpo era un chiodo fisso ogni volta che la vedeva. Ed era certa che la Strega Rossa avrebbe provato le stesse sensazioni se solo si fosse lasciata andare. Ne intuiva istintivamente la potenzialità per il lato oscuro. Ma non poteva spingere troppo o Mathias gliela avrebbe fatta pagare cara.

 

Ma se fosse consenziente…

 

“Non tirare la corda, Julia!” la ammonì il forte vampiro in un basso sibilo di minaccia.

 

D’un tratto Willow alzò la testa e le sorrise. Ora sapeva come giocarsela con Julia. Aveva visto uno spiraglio ed era decisa ad infilarcisi dentro. L’arroganza nelle parole della vampira le aveva fatto perdere quel senso d’inferiorità psicologica che Willow provava nei suoi riguardi.

Quanta arroganza, piccola vampira!

 

Willow odiava l’arroganza. Anche lei ne era stata malata e ne aveva subito lo scotto. Era una lezione che aveva imparato molto bene attraverso il dolore.

 

Non dovevi ignorarmi! E’ una mancanza di rispetto che mi fa arrabbiare.

 

Raccolse il bastone posato di fianco a sé e se lo mise in grembo con un gesto casuale. “Potresti raccontarmi ciò che sai sul clan Boreanz…” iniziò a chiedere gentilmente, quasi con umiltà, mentre lasciava scorrere la sua mano lungo il bastone fino a far scattare la molla che nascondeva la punta di legno affilata. “…per favore?”

 

I suoi occhi si fecero si scurirono in una tonalità verde cupo e si fecero duri come l’acciaio. Fissò intensamente negli occhi la vampira, lasciandole vedere che era più che disposta a condividere il suo mondo interno con lei. Un mondo che avrebbe terrorizzato il peggiore dei demoni. Se gli occhi erano lo specchio dell’anima, quelli di Willow Rosenberg avrebbero dovuto rimanere sempre chiusi in quei momenti. Sembravano un passaggio dritto per l’inferno.

 

Il bastone si alzò magicamente in volo ed iniziò a descrivere degli ampi cerchi attorno alle tre figure, la punta che sfiorava minacciosamente i loro corpi ad ogni passaggio. Poi all’improvviso si fermò di fianco alla strega e ruotò sul suo asse longitudinale, in modo che la punta fosse diretta verso il cuore della vampira.

 

In tutto questo Willow non staccò mai lo sguardo dal viso della vampira.

 

Julia colse immediatamente il significato di quello sguardo e di quella manifestazione di potere. Quegli occhi la ammonivano a non giocare con lei, le ricordavano che aveva quasi distrutto il mondo intero, che era sopravvissuta a William The Bloody, che aveva combattuto abbastanza battaglie in ventisei anni da non temere più nulla, tanto meno un piccolo vampiro come lei, per quanto antico di quasi due secoli. Le ricordavano che un Hellgod aveva urlato di dolore sotto i suoi colpi.

 

E che quel bastone poteva trovare la via al suo cuore in un battito di ciglia, se solo la strega avesse pensato che era ora che la vampira dovesse morire.

 

Sotto il peso di quello sguardo Julia rabbrividì impercettibilmente. Per coprire il disagio improvviso che l’aveva colta voltò le spalle a Willow e al suo capo clan e prese a raccontare ciò che sapeva.

 

“La tua Cacciatrice si è fatta un pericoloso nemico, stavolta. Peggiore del Maestro che le è costato la vita la prima volta. Boreanz era un maestro potente, ma non perché era forte e antico. Non solo per quello almeno.” Julia lasciò gravitare la notizia nell’aria immobile del cimitero.

 

Willow si accorse che le piaceva far aumentare la tensione e decise di lasciarla fare.

 

Vediamo se la tua pazienza è lunga come i tuoi anni, si disse.

 

Mathias vide il sorriso che piegava gli angoli della bocca di Willow e non poté trattenersi dal sorridere a sua volta.

 

Hai trovato pane per i suoi denti stavolta, Julia. Attenta a non perderli tutti, zanne comprese.

 

“La sua vera forza gli veniva dalla sua abilità di pasticciare con le arti nere,” riprese Julia, stanca di aspettare una reazione che sembrava non arrivare.

 

“Cosa?” Chiese Willow scioccata.

 

Julia sorrise tra sé. Almeno questo ti ha scosso un po’, eh? Si voltò a vedere l’espressione confusa sul suo volto, ma il sorriso svanì in fretta quando vide che Willow aveva già recuperato dal suo stupore.

Non c’è proprio nulla che ti scuota?

 

Si decise ad andare avanti, per non lasciar trapelare il suo disappunto. “Per quanto sia raro che noi vampiri si faccia ricorso alla magia, può succedere che qualcuno sia in grado di padroneggiarla molto bene. Boreanz era un potente stregone prima di essere trasformato e ha mantenuto parte delle sue capacità in quel campo. Inoltre aveva la tendenza a trasformare in vampiri solo persone che avessero almeno un minimo di talento magico. Se non altro perché fossero in grado di riconoscere un incantesimo quando ci sbattevano il naso contro.”

 

Ora Julia aveva tutta l’attenzione di Willow. Le sorrise maliziosamente. “Ti interessa? Vuoi sapere anche il resto?”

 

“Vai avanti,” disse Willow in tono piatto, mentre processava le informazioni che le arrivavano.

 

“Questo li ha resi un clan potente e invidiato. Così invidiato che un giorno, un certo numero di clan, che prima erano nemici, si mette insieme e gli dichiara una guerra totale. La guerra che si fecero fu così cruenta che a Parigi non c’era traccia di demoni in quei giorni. Tutti troppo spaventati di finirci in mezzo. Perfino il clan di Angelus e del suo sire Darla si teneva alla larga.” Julia vide con soddisfazione uno sguardo sconcertato apparire sul volto di Willow.

 

Ti servono questo tipo di storie per sbilanciarti un po’?

 

“In uno degli scontri più feroci, in cui si dice che finirono in polvere almeno settanta della nostra specie, anche il grande Boreanz andò a sporcare con la sua polvere il pavimento di uno dei tanti boulevard.”

 

“Non posso dire che mi dispiaccia che settanta succhiasangue, compreso un Maestro vampiro stregone nero, siano finito nei secchi degli spazzini parigini,” dichiarò Willow con un sorriso.

 

Ancora quel sorriso beffardo.

 

Julia sentiva quel sorriso penetrarle nel profondo, irridere il demone che era indissolubilmente legato al suo corpo e che aveva sostituito la sua anima; provocarlo e stuzzicarlo in una carezza rude che le piaceva terribilmente e al contempo la frustrava. Aveva voglia di urlare per la frustrazione, ma non avrebbe dato alla Strega Rossa quella soddisfazione.

 

Troverò il modo di entrare sotto la tua pelle, si ripromise.

 

“Vai avanti, Non voglio stare qui tutta la notte,” disse Willow, facendo uno gesto spazientito.

 

“Dopo la sua morte, tutti si aspettavano che il clan si disgregasse in clan più piccoli, che si sbandasse e tutto finisse lì. Del resto la battaglia aveva inciso su entrambi gli schieramenti. Invece il clan di Boreanz approfittò del momentaneo sbandamento e dell’euforia degli altri clan per la morte del loro maestro e attaccò con una crudeltà e una precisione mai dimostrate prima. Poche notti dopo la guerra era finita e il clan di Boreanz era

 

l’assoluto dominatore del campo. Dopo breve tempo il clan lasciò Parigi e fece perdere le sue tracce.”

 

“Perché se ne andarono se avevano vinto?” Chiese Mathias.

 

Julia si voltò verso il suo capo clan con un sorriso a metà tra il benevolo e il canzonatorio. Era un buon capo, tutto sommato, ma talvolta l’ingenuità di Mathias la lasciava davvero perplessa.

 

“In quei giorni, con tutta quella concentrazione di vampiri, i morti per le strade erano a decine. Sembrava che fosse scoppiata un’epidemia. Solo che chi ne veniva colpito moriva per dissanguamento. Troppa attenzione su di loro, troppi sospetti. Anche la cacciatrice dell’epoca era arrivata in città per indagare. E i loro ranghi si erano assottigliati. Tempo di cambiare aria, per così dire.”

 

“Bella storiella,” interloquì Willow. “Ma pensavo di aver già spiegato di non voler passare tutta la notte ad osservare lapidi.” La vampira la stava tirando troppo per le lunghe, per come la vedeva Willow. E non era disposta ad essere passata al setaccio da una succhiasangue pentita o di sottostare ai suoi giochetti perversi, solo per farle avere un surrogato di eccitazione nel vedere che pendeva dalle sue labbra per le informazioni o nel farla sussultare. In definitiva, Willow Rosenberg iniziava ad essere molto incazzata.

 

Lo sguardo di Julia tornò sulla Strega Rossa, non del tutto consapevole del suo stato d’animo. Quegli occhi verdi la inchiodavano dove si trovava. Si chiese se potesse averle gettato un incantesimo. “Vuoi che tagli corto? Proprio non ti piaccio, vero?” Chiese in modo seducente, cercando di prolungare il gioco.

 

“Sì. E no. Sì, taglia corto. Non voglio starti a sentire tutta la notte. Quindi dammi solo i dati essenziali. E no. Non mi piaci,” le disse in tono gelido.

 

Willow sapeva di stare tirando la corda. Provocarla a quel modo poteva essere pericoloso, ma non riusciva a resistere alla tentazione di canzonarla.

 

Forse perché ogni volta che mi guarda mi sento come un topo da laboratorio. E questo non mi piace affatto. Però è lei a sentirsi così adesso. E questo mi piace! Oh, se mi piace!

 

Era certa che Julia non ci avrebbe pensato due volte a trasformarla in un vampiro, se lei lo avesse chiesto. Non avrebbe contravvenuto alle regole del clan.

 

Almeno spero, si disse Willow, sentendo un brivido passarle lungo la spina dorsale al pensiero. Ma se lei fosse stata consenziente…

 

Al più presto preparerò l’amuleto, si disse. Meglio non rischiare. Non voglio diventare come lei, succedesse il peggio.

 

Julia sospirò di desiderio frustrato e riprese a parlare. “Boreanz aveva un Figlio delle tenebre, creato circa trecento anni fa.  Il suo nome è Xavier. Sotto la sua guida il clan è proliferato fino a raggiungere addirittura i duecento elementi, a quanto si dice. Lui è forse più bravo del suo sire nelle arti nere. E altrettanto implacabile. Quindi vi conviene sperare che consideri come un alterco il vostro sco…” Julia fu interrotta dall’immagine di una ragazza dai capelli rossi, seduta sui gradini di una scalinata del cimitero ebraico, con un bastone che terminava in un paletto, a mezz’aria al suo fianco, che mormorava quasi a se stessa: “Non così bravo. E’ bastato un semplice incantesimo. Una sfera di fuoco e poof! Niente di che.”

 

“…ntro.” Julia rimase a bocca aperta, senza parole.

 

“Vuoi ripetere?” chiese Mathias, rivolto a Willow, anche lui non sicuro di aver udito quelle parole.

 

“Penso che Xavier non sia più un problema,” disse Willow. “Almeno se quel simbolo più intricato che ti ho mostrato è quello del capo clan.”

 

Julia annuì stupefatta. “Chi?” mormorò cercando di riprendersi. “La cacciatrice? È riuscita a far fuori Xavier? Cristo, mica male!”

 

Willow sorrise con deliberata cattiveria verso la vampira e scosse la testa in un chiaro diniego.

 

“Allora chi?”

 

Willow si passò una mano tra i corti capelli rossi, arruffandoli ancora di più. Le vennero in mente le parole di Anya di quel pomeriggio, mentre le metteva una boccetta in mano: «“To’, prendi!” Willow l’aveva guardata confusa.”Non vorrai mica presentarti al matrimonio di Dawn con quei capelli? Questo estratto te li farà crescere fino a una lunghezza decente in pochissimo tempo.”»

 

Mi sa che ha ragione. Inizierò a usare il suo estratto già da stasera, ridacchiò tra sé, mentre l’unica sillaba che le uscì di bocca ripiombò la vampira nel suo stato di stupore semi-catatonico. “Io.”

 

“Tu hai ammazzato Xavier!?” chiese Mathias. Willow annuì senza preoccuparsi di nascondere la sua soddisfazione.

 

“Allora, forse, ti sei fatta dei brutti nemici. Forse neanche la tua Cacciatrice potrà tenerti al sicuro. A meno che…”

 

“A meno che…?” Ripeté Willow.

 

“Xavier aveva due Figli creati da lui personalmente, quasi della stessa età. I due non si trovano simpatici, se ti piacciono gli eufemismi. Forse spaccheranno il clan in una guerra intestina e si ammazzeranno tra loro.”

 

All’improvviso Mathias si alzò in piedi e iniziò a scrutare il cimitero all’intorno, allarmando sia Willow che Julia. I suoi tratti mutarono nella faccia da gioco. “Julia, porta via Willow, passate dal cancello sud,” ordinò.

 

“Che succede?” Willow sentì la paura montarle dentro insieme allo sconforto. Essere scortata dalla vampira non le piaceva affatto. Ora anche Julia mostrava il suo demone e si guardava attorno freneticamente, pronta per uno scontro.

 

“Ospiti indesiderati. Sono numerosi. Forse dei demoni sbandati. Può succedere,” disse evitando di incontrare lo sguardo beffardo di Julia. “Forse no. Non voglio rischiare.” Poi voltandosi verso la vampira: “Proteggila. Accompagnala ovunque vuole andare. Raccontale tutto ciò che sai e ancora non le hai detto.” Si girò per andarsene. Poi come se qualcosa gli fosse venuto alla mente all’improvviso, si voltò verso Julia e disse: “Minacciala in qualche modo o falle del male e farò in modo che il sole di mezzogiorno ti conosca da vicino. Intesi?”

 

Julia annuì, guardandolo dritto negli occhi. “Non correrà alcun pericolo,” promise.

 

Mathias parve soddisfatto. Si voltò e scomparve nelle tenebre.

 

Willow era rimasta in silenzio cercando di capire cosa stesse accadendo. Essere affidata alle cure della vampira non le piaceva affatto. La rincuorava appena un po’ l’esplicita minaccia di Mathias al membro del suo clan che stava scendendo la scalinata voltandosi appena per vedere che lei la seguisse.

 

“Allora andiamo,” chiese Julia, strizzandole l’occhio da sopra la spalla, prima di iniziare a scendere la scalinata.

 

Willow si alzò ed iniziò a scendere i gradini a sua volta, aiutandosi con il bastone. Mentre si avviava giù per la scalinata dietro la vampira, pensò che sarebbe stato meglio non alzarsi dal letto quella mattina.

 

E la gamba iniziava a farle un male terribile.

 

Capitolo XVIII: Rivelazioni

 

 

 

Con grande disappunto di Tara, Willow non si fece vedere per cena, né in seguito, quella sera.

 

Si ripeté più volte che non era vero, ma non riusciva a togliersi dalla mente la sgradevole sensazione che la stesse evitando. Certo non aveva prove per asserirlo, visto che non l’aveva ancora neanche vista. Però lo temeva e la sensazione non era confortante.

 

Faccio migliaia di km per vederla e lei neanche si presenta! Ehy…un momento. Questa da dove esce fuori? Io sono venuta per il matrimonio di Dawnie.

 

Tara riuscì comunque a passare una piacevole serata, dopo la delusione iniziale. La cena si era svolta in un’allegra aria di mondanità e ritrovata confidenza. Avevano parlato delle proprie vite, del lavoro, delle novità in campo amoroso (argomento sollevato in maniera tutt’altro che innocente da Dawn) e dell’imminente matrimonio.

 

Tara non poté fare a meno di notare che a Dawn brillavano gli occhi quando parlava di Andrew e che presto sarebbe stata sua moglie. E anche Buffy non era immune alla felicità che l’idea della sua sorellina che si sposava le procurava.

 

La cacciatrice inoltre raccontò alcuni piccoli aneddoti riguardanti il suo lavoro a scuola, con gran divertimento di Tara.

 

Ma la sorpresa più grande fu la vivacità dimostrata da Liz che letteralmente tempestò di infinite domande Dawn e Buffy, le quali rimasero piacevolmente stupite di quanta confidenza concedesse loro, sapendola di solito estremamente timida con chiunque. Persino la stessa Tara rimase esterrefatta dal comportamento di sua figlia, ma lo considerò dovuto al cambiamento di clima. Essere in un luogo nuovo poteva suscitare reazioni strane in una bambina di quattro anni.

 

Dopo cena -e dopo che Tara ebbe messo a letto Liz nonostante le proteste della bimba di non aver visto zia Buffy e zia Dawn da molti moltissimi mesi- le tre donne si sedettero in salotto a prendere il caffè.

 

Tara sedeva sul divano, di fianco a Dawn, e insieme ridacchiavano e commentavano il broncio irresistibile della piccola in alcune foto che la strega bionda aveva portato giù di ritorno dalla sua faticosa missione.

 

“Dio, è davvero deliziosa!” Disse Dawn osservando una foto in cui Liz giocava con un gattino. “Vorrei averla sempre qui per poterla vedere in questi momenti.”

 

“Io ti consiglio di lasciare che Dawn si occupi di Liz quanto più spesso puoi, in questi giorni che starai qui, Tara,” propose Buffy dal suo posto in poltrona, le gambe a penzoloni su un bracciolo, mentre sorseggiava il suo caffè. “Così tu avrai tempo per riposarti, e la mia sorellina avrà modo di fare pratica per il futuro.”

 

“Sai che io la tengo volentieri,” concordò Dawn, lanciando un’occhiata stizzita verso Buffy, che, come suo solito, cercava di far divenire una croce qualsiasi cosa lei avrebbe fatto con piacere. “Ma perché la adoro e non perché io debba fare pratica. Almeno non così presto, spero.”

 

“Sì, sì. Dicono tutte così, finché non capita. Vero, Tar?”

 

Buffy strizzò l’occhio a Tara, che le rispose con una scrollata di spalle, poi alzò un dito ammonitore verso Dawn, mise su uno sguardo indagatore, le sopracciglia aggrottate e la testa un po’ di traverso. “Questa l’ho già sentita, signorina!” Disse, mistificando la propria voce nel tono serio ma dolce che la strega dai capelli rossi usava in certi casi.

 

“La faccia risoluta!” Esclamarono all’unisono Dawn e Tara. Le tre donne scoppiarono a ridere.

 

 

 

Mathias si mosse furtivo e veloce dietro una fila di cipressi che costeggiava uno dei viali principali del cimitero, attento a non essere visto. Avvertiva delle presenze confuse, una traccia sottilissima di magia, mista all’odore dolciastro di una putrefazione eternamente rimandata. Un odore non dissimile dal suo. Se, come sospettava, quell’odore apparteneva a dei vampiri del clan Boreanz, il suo piccolo gruppo era nei guai. Forse avrebbero dovuto scasare. E molto in fretta. Per fortuna solo lui e Julia erano a Sunnydale in quei giorni.

 

Ora doveva assicurarsi che Julia e Willow avessero abbastanza tempo per uscire dal cimitero e sperare che non fosse una trappola.

 

Scrutò il luogo all’intorno stando al riparo di un cipresso secolare più grande degli altri.

 

Dei movimenti sulla sinistra colsero la sua attenzione. Due figure si muovevano furtive, abbassandosi dietro le lapidi e circumnavigando cripte per non farsi vedere. Un uomo e una donna. Si muovevano nella direzione presa da Willow e Julia. Qualcosa nei loro gesti ricordò a Mathias i militari.

 

Dei veri professionisti, molto furtivi. Ma potrebbe non bastare contro i pericoli di Sunnydale, pensò con un sospiro. Stava quasi per andare ad intercettarli quando qualcosa colpì i suoi sensi preternaturali. Battito cardiaco. Sono umani. Che cavolo ci fanno qui questi due soldatini dopo il tramonto? Di nuovo un misto di magia e marciume, così sottile che solo un maestro vampiro come lui avrebbe potuto cogliere, gli assalì le narici. Alla sua destra, a una cinquantina di metri, cinque figure stavano imboccando la scalinata da cui erano scese Willow e Julia.

 

Mathias doveva prendere una decisione. Bloccare i soldatini prima che si facessero male o confrontare l’avanguardia di Boreanz.

 

Al diavolo i soldatini, si disse.

 

In fondo erano solo umani. Quale minaccia potevano rappresentare?

 

Mathias si mosse con velocità innaturale e raggiunse il gruppo di vampiri a metà strada dal cancello nord.

 

“Nessuno vi ha invitati, qui,” disse, sbarrando loro la strada, un chiaro sottofondo di minaccia nella voce. “Chi siete e cosa volete?”

 

I cinque vampiri si irrigidirono. Quello che sembrava essere il loro capo digrignò le zanne, quasi fosse pronto alla lotta. Mathias fece lo stesso e l’altro si rilassò leggermente.

 

Julius si disse che aveva cose più importanti da fare che lottare contro uno della sua specie. Doveva regolare dei conti con la Strega Rossa. “Siamo solo di passaggio, fratello,” disse, mentre scrutava il suo opponente da capo a piedi. Sentiva molto potere nel vampiro che gli sbarrava il passo, misto a qualcosa di indefinito. Era indubbiamente un maestro. Poteva rivelarsi un avversario pericoloso nel caso si arrivasse ad uno scontro.

 

Julius si guardò discretamente attorno alla ricerca dei sottoposti del vampiro che gli stava di fronte, ma non ne vide. Questo non significava che non ve ne fossero. Notò che anche gli altri del suo gruppo stavano facendo lo stesso e sembravano nervosi. “Non abbiamo motivi di lotta con te.”

 

“Allora cosa fate qui nel mio territorio?”

 

“Io sono Julius, del clan di Boreanz.” Julius sorrise quando vide che il nome del suo clan aveva scosso, anche se quasi impercettibilmente, il suo opponente. “Siamo coinvolti in una missione di vendetta. Ne va del nostro onore. Ti prego di lasciarci passare.”

 

“Vendetta contro chi?” Le regole d’onore tra vampiri gli interessavano poco, in realtà. Gli serviva però una scusa per evitare lo scontro senza perdere la faccia.

 

“Contro un malvagio che, con uno sporco trucco, è riuscito ad uccidere il nostro glorioso Maestro.”

 

Bingo!

 

Ora Mathias aveva l’apertura che gli serviva. Per sicurezza estese i suoi sensi mentre Julius parlava. Colse tutti i battiti cardiaci in zona. Solo ratti, qualche gatto e un paio di cani randagi. Anche i due soldatini erano spariti. Bene! Willow e Julia dovevano essere ormai lontane e lui non poteva protrarre ancora il suo bluff.

 

“In questo caso avete il mio permesso di passare,” disse, facendosi da parte, ma rimanendo in guardia. Per buona misura fece un gesto come se segnalasse qualcosa a qualcuno. Tanto per far credere di non essere solo.

 

“Ti ringrazio,” disse Julius con falsa cortesia.

 

I cinque vampiri si tesero ancora di più e sfilarono di fronte a lui, in direzione del cancello nord.

 

Mathias rimase a spiarli finché non uscirono dal cimitero. Poi tornò nella sua cripta in attesa del ritorno di Julia.

 

 

 

Kennedy era ben lontana dall’allegria di casa Summers. Kennedy era in un treno diretto a Las Vegas. Ma quella non era la sua destinazione finale. Lei doveva arrivare a Sunnydale. Doveva trovare la cacciatrice. Avvisarla di ciò che stava succedendo.

 

Chissà quanto manca ancora? I crampi alle gambe mi stanno uccidendo!

 

Kennedy non era seduta in una comoda poltroncina in uno degli scompartimenti. No, lei era seduta sul lavabo del piccolissimo bagno del treno da più di tre ore. Ormai non sentiva più le gambe e il suo stomaco brontolava furiosamente. Non ricordava quando aveva mangiato l’ultima volta.

 

Almeno non aveva dovuto inventarsi scuse col controllore perché non aveva il biglietto. Quello era stato il suo primo colpo di fortuna in molti giorni.

 

Trovare un bagno rotto in cui potermi infilare!

 

Le venne quasi da ridere. I suoi genitori adottivi avrebbero potuto comprarselo, quel treno!

 

Ma ora tutti gli agi in cui era cresciuta iniziavano ad essere un pallido ricordo. Faticava addirittura a credere che fino a poco più di un mese fa dormiva tra morbide lenzuola di lino e aveva una schiera di servitori pronti ad esaudire ogni suo capriccio.

Ma quando diavolo finisce questo dannato viaggio! Be’, almeno non avrò problemi in caso di bisogno, si disse, guardando il piccolo water di metallo. Il suo stomacò protestò la sua presenza ancora una volta.

Certo se avessi qualcosa nello stomaco, approfittarne sarebbe più facile. Guardò fuori dal finestrino e vide un infinita serie di luci, poi le prime insegne luminose dei club e degli alberghi e infine le sgargianti luci dei casinò più grandi, che ammiccavano promettendo fortuna e soldi facili.

 

Io mi accontenterei di un po’ di fortuna. Dei soldi facili posso farne a meno, almeno per il momento. Per fortuna sono arrivata. Ora devo trovare un modo per arrivare a Sunnydale.

 

Groaaaaaaan!

 

E qualcosa da mangiare.

 

 

 

Willow Rosenberg si sedette ad un tavolo dell’Expresso Pump poco dopo le otto e mezzo ed ordinò un caffè, in attesa dell’arrivo di Janet. Una cameriera carina, sui diciassette, la servì con solerte sollecitudine, indugiando con lo sguardo sulla sua figura e sull’aria di intrigante mistero che emanava. Willow le sorrise maliziosamente, quasi per riflesso, ma non fece nulla per intavolare una conversazione con lei.

 

Aveva i suoi pensieri per ingannare il tempo e non si sentiva in vena di conquiste. Sorseggiò il caffè fumante.

 

Dea, che giornata piena era stata! Aveva passato la mattinata tra il suo computer e gli scaffali del Magic Box, fedele alla sua promessa di aiutare Anya, che aveva pensato bene di lasciarle copia delle chiavi ed andarsene a casa subito dopo il suo arrivo.

 

Poi aveva visto Teresa per pranzo. Uno dei pasti più indigesti della sua vita. Tanto che era felice di aver solo spiluccato dal piatto. Si era alzata da tavola completamente frustrata ed era tornata a casa nervosamente cosciente che di lì a un paio d’ore sarebbe arrivata Tara.

 

E appena era arrivata era scappata.

 

Proprio scappata. Una fuga organizzata nei minimi dettagli, pur di non incrociarla.

Che vigliacca, sono!

 

Così era tornata al Magic Box e aveva aiutato Anya fino alle sei circa. Poi era andata a caccia di informazioni nel cimitero che ospitava i resti dei suoi nonni paterni. La visita era stata fruttuosa, anche se aveva dovuto sopportare la presenza e la compagnia di quella troia di Julia.

 

In compagnia della vampira era tornata al Magic Box ed era entrata grazie alle chiavi che Anya le aveva dato. Lì aveva congedato la vampira, che con qualche reticenza aveva acconsentito a lasciarla sola e aveva trascritto e stampato le informazioni ricevute nel cimitero e durante il tragitto.

 

Poi aveva telefonato a Janet, una vera amica, oltre che la sua ex-fisioterapista. Sentiva il bisogno di una spalla su cui piangere. Una che non fosse legata alla Scooby Gang.

 

Mentre rifletteva, la giovane cameriera tornò. “Dell’altro caffè?” Le chiese, sbattendo le ciglia con civetteria evidente. Willow le sorrise e la giovane s’illuminò.

 

Se credessi nella teoria del caos, in questo momento qualche parte del mondo sta subendo un terribile uragano per questi occhioni.

 

“Sì, grazie.”

 

La ragazza fece per andarsene, poi ci ripensò. “C’è qualcosa che non va?” Le chiese, flirtando apertamente, un sorriso invitante in volto. “Posso aiutarti in qualche modo?”

 

“Se anche c’è qualcosa che non va, non sei tu a dovervi porre rimedio, ragazzina,” disse una voce alle sue spalle. la voce apparteneva a una donna di colore, sulla quarantina, vestita in colori allegri, giallo e verde in prevalenza. “Ora sii gentile e portami un caffè.”

 

La cameriera lanciò un’occhiataccia alla donna e si allontanò per eseguire il compito richiesto.

 

“Dio, Rosenberg! Non puoi rimanere da sola per cinque minuti che subito qualcuna ci provi con te! Esiste per caso una sorta di segnale di riconoscimento tra voi lesbiche, qualcosa che avvisa della disponibilità ad una notte di sesso sfrenato o qualcosa del genere.”

 

“Sì, si chiama gaydar. Comunque ciao anche a te, Janet,” disse Willow con un sorriso. “Come stanno tuo marito e il bambino.

 

“Ciao anche a te Will,” disse la donna chinandosi a baciarle una guancia. Janet si sedette di fronte a lei prima di rispondere. “Stanno bene. Kurt ha portato Elijah alla partita di pallacanestro, così stasera sono tutta tua fino ad almeno alle undici e mezzo. Ma non farti strane idee. Kurt e Elijah ti vogliono bene, ma non così tanto da permetterti delle libertà nei miei confronti.”

 

“No, grazie. Ci mancherebbe solo questo,” rispose Willow. “Ho già abbastanza problemi con le donne.”

 

Janet notò il tono semi-serio di Willow. C’era qualcosa che non andava. Ma prima che potesse chiedere la giovane cameriera tornò con le loro ordinazioni. Posò le tazze fumanti di fronte a loro e lasciò cadere un foglietto minuscolo in grembo a Willow.

 

La strega lo prese e lo rigirò tra le dita, sorridendo in modo indulgente alla ragazza e poi a Janet. Non appena la ragazza si fu allontanata, Janet stese la mano con il palmo all’insù.

 

“È il suo numero di telefono, vero? Dammelo.”

 

Willow scrollò le spalle come a dire, ‘che dovevo fare?’ e glielo passò.

 

Janet lo strappò platealmente, facendo in modo che la giovane la vedesse. “Non è un po’ troppo giovane per te?” Chiese alla strega.

 

“Senza dubbio. E giuro di non averla incoraggiata minimamente,” le rispose Willow.

 

“Bene. Ora dimmi cosa succede? Che problemi hai e con quali donne.”

 

Willow divenne subito seria. “Tara è arrivata oggi,” disse semplicemente.

 

Janet strabuzzò gli occhi. “Quella Tara?”

 

Willow annuì.

 

“Dimmi,” ordinò.

 

E Willow le disse tutto.

 

 

 

“Ti assicurò che è così!” Disse Buffy, ridendo.

 

“Non ci credo,” protestò Dawn. “Davvero l’ha fatto?”

 

Tara ascoltò le risate ma la sua mente era lontana da quella stanza. Sorseggiò il caffè che teneva in mano, e i suoi pensieri andarono di nuovo all’assenza della propria ex-amante e alla sensazione che stesse cercando di evitarla. Emise un sospiro, guardando verso la porta, non sapendo se sperare in un suo arrivo imminente o essere felice per la maggiore disponibilità di tempo prima di un inevitabile incontro. Aveva così tante cose da chiederle. Ma non sapeva se avrebbe trovato il coraggio per chiedere alcunché. O se avrebbe ottenuto delle risposte.

 

Buffy notò che Tara si era completamente estraniata dal presente e non le fu difficile, seguendo il suo sguardo, immaginare dove stesse vagando la sua mente. Lo sguardo della strega bionda era praticamente incollato alla porta d’entrata. Buffy non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che tutti loro si trovassero ad una sorta di svolta nelle loro vite. Non era una di quelle sensazioni da cacciatrice. La pelle non le pizzicava, non aveva avuto sogni premonitori e il suo ‘senso di ragno’, come Xander chiamava il suo istinto che le permetteva di sentire guai imminenti, non le mandava nessuna scossa. Eppure era convinta che in breve tempo molte cose sarebbero cambiate. Era tutta la sera che ci pensava. Non sentiva un senso di presagio tale da quando aveva convocato la riunione della Scooby Gang per cambiare i sistemi operativi delle ronde.

 

Il suo sguardo incrociò per un attimo quello della donna bionda seduta accanto a sua sorella e vi lesse ansia e curiosità. Buffy si sentì sopraffare dalla simpatia e dalla tristezza e non riuscì a trattenersi dal cercare di aiutarla, senza sapere che sarebbe stata proprio lei a mettere in moto la serie di eventi che avrebbero cambiato tutte quelle cose. Del resto, una cosa così piccola come dare conforto ad un’amica, può cambiare la vita di molte persone? E’ davvero possibile?

 

Sì. Perché, come Willow aveva cercato di spiegarle mole volte, tutte le cose sono collegate in catene causali più o meno estese, e tutto ciò che si fa ha delle conseguenza, talvolta minime, altre volte inimmaginabili.

 

“Tara?” Buffy richiamò dolcemente l’attenzione della propria amica. “Ti leggo la curiosità negli occhi. Cosa c’è che non va?”

 

Tara mantenne gli occhi incollati alla porta, mentre la sua mente correva attraverso tutti i suoi dubbi. Cosa poteva chiedere? Cosa le avrebbero detto?  Buffy era la migliore amica di Willow. Non avrebbe mai tradito i suoi segreti. Quanto era disposta a rivelarle? Buffy era anche sua amica in fondo, no? All’inizio forse lei era stata solo la ragazza di Willow, ma poi lei e Buffy era diventate amiche, giusto? Quindi le avrebbe detto ciò che voleva sapere, no? Le avrebbe detto perché Willow si era rifiutata di vederla negli ultimi cinque anni. Perché non è qui, stasera. Perché mi sta evitando.

 

Le avrebbe detto se c’era qualcuno nella sua vita, uomo o donna che fosse? O perché non era lì, a condividere il suo imbarazzo e a studiare l’arredamento insieme a lei, l’una cercando disperatamente di evitare lo sguardo dell’altra.

 

Glielo avrebbe detto?

 

E Dawn?

 

E Dawn le voleva bene. Dawn l’aveva sempre considerata come la sua madre sostitutiva da quando era morta Joyce Summers. Dawn le voleva bene e avrebbe risposto alle sue domande. Avrebbe dissipato i suoi dubbi.

 

Giusto?

 

Tara Maclay voleva sapere. Voleva sapere perché la donna che aveva amato con tutta se stessa aveva rifiutato qualsiasi contatto con lei per cinque lunghissimi anni.

 

Voleva davvero?

 

Sì, voleva.

 

Almeno sapere. Sapere che non era per Liz, che non la odiava per sua figlia. Una figlia che le era capitata nel modo peggiore e che era la cosa più bella ed importante della sua vita.

 

Willow non poteva odiare Liz, giusto? Poteva odiare Tara, questo sì. Tara se ne era andata, l’aveva abbandonata in balia della magia nera, non le era stata accanto quando Willow aveva più bisogno di lei. Tara non era riuscita a farle capire i principi etici della magia, aveva lasciato che Willow sprofondasse sempre di più nella solitudine e nel mare del suo sentimento di inadeguatezza, nel suo dolore per la morte di Buffy, nel senso di colpa dopo averla resuscitata dal paradiso. Aveva lasciato che la ricerca del potere riempisse il vuoto che sentiva dentro di sé.

 

Quindi avrebbe potuto odiare lei. Ma non Liz. Non sarebbe stato giusto.

 

Perché non era riuscita a colmare quel vuoto che Willow sentiva?

 

Non essere vigliacca. Sai la risposta. Hai avuto paura.Paura di non essere abbastanza per Willow, abbastanza per alleviare la sua disperazione. Willow cercava il potere per proteggere te e Buffy e Dawn e Xander. Anche Anya.

 

Non per se stessa.

 

Cercava tanto potere e molto in fretta. Quale scorciatoia migliore di un potere con cui era riuscita a fare male ad una divinità infernale?

 

E lo ha fatto per te.

 

E tu sei stata troppo debole per schierarti al suo fianco, per farle vedere la forza intrinseca della magia bianca. Hai fallito perché hai avuto paura di mostrare a Willow la bellezza e la forza connaturate alla vita.

 

Come poteva rimediare al suo fallimento? Quali speranze aveva Willow di tornare a vivere? Ci era riuscita anche senza di lei? Perché questo pensiero le attraversava la mente? Perché, nel profondo del suo cuore, sperava che non fosse così? Perché sperava che Willow non riuscisse a vivere senza di lei, anche se non era certa di volere che la loro relazione ricominciasse? Questo era un pensiero egoista.

 

Sono un’egoista?

 

Perché non poteva cancellare tutti i dubbi e le domande, tornare indietro con uno schiocco delle dita e sistemare tutte le cose per magia. No, non per magia. La magia non era la risposta. Tara lo sapeva per certo. Anzi era stato il problema. Ma le sarebbe piaciuto far tornare tutto com’era nei primi giorni della loro relazione. Con in più Liz. Lei, Liz e Willow. Sarebbe stato bello essere una famiglia. Loro tre.

 

Sì, sono un’egoista. Ma perché non può essere così? È questo ciò che voglio davvero?

 

Perché tutte quelle domande e quei dubbi le affollavano la mente? Come poteva penetrare il mistero che Willow era diventata? Buffy e Dawn potevano aiutarla?

 

Dissiperanno i miei dubbi? Mi diranno finalmente tutta la verità, tutte le cose che non hanno voluto dirmi negli ultimi anni?

 

Finalmente, dopo quella che le sembrò un’eternità e non erano che un paio di minuti, Tara si riscosse dai suoi pensieri.

 

“N-non è semplice,” disse, cercando di articolare dubbi e desideri in un discorso coerente. “C-Ci sono cosi t-tante cose che vorrei s-sapere. Be’, pra-praticamente tutto.”

 

Buffy notò il balbettio di Tara con un’espressione preoccupata. Tara balbettava solo quando era davvero molto nervosa.

 

“Davvero?”

Davvero?

 

Nel corso degli anni- nonostante si fossero tenute in contatto in ogni modo possibile- la loro amicizia si era rafforzata, ma ogni volta che l’argomento scivolava su Willow, una sorta di pudore e di reticenza era sopraggiunta da entrambe le parti, lasciando Tara con la voglia insoddisfatta di sapere e ben poche informazioni reali. Sapeva che più o meno quattro anni e mezzo prima Willow era stata in ospedale per circa un mese e mezzo a seguito di un rapimento da parte dello stregone nero Rack e che durante quel periodo non voleva vedere nessuno, nemmeno i suoi genitori e a malapena anche Buffy che l’aveva salvata.

 

Tara aveva rispettato i suoi desideri, anche se le era costato moltissimo rimanersene a casa, mentre la donna che amava- aveva amato, si corresse- con tutta se stessa, giaceva gravemente ferita. Non le avevano mai detto i dettagli di ciò che era successo, lasciando intendere che fosse la stessa Willow a non volerne fare partecipe nessuno, compresa la sua ex-ragazza. La cosa l’aveva ferita, ma era comprensibile.

 

In fondo lei era solo una ex, no?

 

Sapeva anche che alcuni mesi dopo essere uscita dall’ospedale, sia Rack che Spike erano morti per mano  sua, ma anche in questo caso non era riuscita a sapere nulla in dettaglio.

 

Allora era quasi stata sopraffatta dall’orrore per il gesto di Willow. Uccidere era sbagliato. Farlo usando la magia ancora di più. Uccidere un essere umano con la magia nera era, per lei, assolutamente inaccettabile.

 

Ma quando ne aveva parlato con Buffy, l’unica frase che le aveva sentito pronunciare al riguardo era stata: “Rack non era un essere umano, credimi,” sottolineando con convinzione la particella negativa. “Ho conosciuto demoni più meritevoli di rispetto. E anche alcune specie di invertebrati.”

 

In seguito, i commenti di Dawn non furono affatto più teneri o dispiaciuti, anche se l’idea della vendetta di Willow non era proprio nella lista delle buone azioni da farsi per la giovane Summers. Ma ancora una volta nessun tipo di condanna arrivò nei confronti di Willow. E nessuna parola di pietà, anche solo formale, nei confronti di Rack. Qualche tempo dopo ne aveva parlato con Anya e Xander. Il carpentiere aveva cercato di eludere ogni tipo di domanda. L’ex-demone si era mostrata entusiasta e aveva tentato di gettarsi in una descrizione della tecnica usata da Willow, ma un’occhiataccia di Xander l’aveva tacitata e non c’era più stato modo di cavarle nulla a parte poche parole: “Dovresti chiederlo a lei. O a Buffy. Buffy dice che era giusto così.”

 

L’accettazione di quegli eventi come se si fosse trattato di un’azione necessaria da parte dell’intera Scooby Gang, aveva minato velocemente il senso di reprimenda che Tara provava. Doveva esserci qualcosa che le sfuggiva, se quelli che erano la prima linea contro le forze del male, persone con un altissimo senso della vita, erano disposti non solo ad accettare passivamente un omicidio commesso da uno  di loro, ma anche a giustificarlo.

 

Tara aveva così deciso di non dare un giudizio sulla vicenda finché non ne avesse saputo abbastanza. Era rimasto in lei il sospetto che fosse avvenuto qualcosa di molto più grave di quanto non fosse riuscita a capire o immaginare.

 

Aveva cercato, ovviamente, di saperne di più, ma Buffy aveva rifiutato categoricamente di approfondire l’argomento. E Dawn era, o sembrava, anche lei all’oscuro dei particolari.

 

Ora che era in quella casa, però, sentiva di dover coprire quei vuoti, di dover capire se nella storia personale di Willow c’era ancora posto per lei, se lei dovesse tentare di prendervi parte e come.

 

Quale Willow era questa che aveva potuto uccidere un uomo senza pentirsene e ricevendone l’assoluzione della Cacciatrice, la cui missione era di difendere il genere umano, e di Dawn, che lei conosceva come una ragazza sensibile e con molto rispetto per la vita?

 

Questo pensiero la fece arrossire e si ritrovò a ponderare sulle possibilità di un loro nuovo riavvicinamento e a chiedersi se era disposta a lottare per questo, ora che le sue personali ferite si erano richiuse abbastanza da farla guardare di nuovo verso il futuro. Un futuro che, nell’angolo più riposto della sua mente, faticava a vedere, se non in compagnia di sua figlia e di una ragazza dai capelli rossi.

 

Si ritrovò a pregare che non fosse cambiata così tanto, anche se tutto faceva presagire il contrario.

 

Voleva raccogliere quei pensieri prima di ascoltare quanto le due sorelle potessero dirle, o almeno riporli. “Vado a controllare Liz.” Fece per alzarsi ma Buffy la bloccò facendola sedere nuovamente, inconsapevole di stare dando un’altra piccola spinta agli eventi.

 

“Vado io. Mi fa piacere. La maggiore delle sorelle Summers si alzò dalla poltrona e attraversò il soggiorno, avviandosi su per le scale per scomparire gradualmente alla vista, seguita dal commento ironico di Dawn riguardo chi fosse, in realtà, a volere fare pratica con i bambini.

 

Il commento strappò a Buffy un sorriso che fu felice sua sorella non potesse vedere.

 

Tara tamburellò con le dita per alcuni istanti sulla tazza che aveva in mano. Quando parlò, la sua voce era flebile e incerta. “Parlami di lei. Come sta? Cosa è successo da quando…?”

 

…me ne sono andata.

 

Non ci fu alcun bisogno di finire la frase. Dawn capì immediatamente. “Be’, ecco…” iniziò a dire. Cosa doveva dirle? Quanto doveva rivelarle? Poteva raccontarle i segreti di Willow? E Willow come l’avrebbe presa?

 

Voglio che tornino assieme! Si disse Dawn. Voglio che questi dieci giorni servano a farle tornare insieme. Solo la piena, incondizionata verità poteva far sì che questo suo piano innocente avesse successo. Solo la pietà e l’amore di Tara potevano far tornare Willow alla vita. Ma era giusto che Tara sapesse contro cosa doveva lottare.

 

Tara guardò Dawn cercare per alcuni lunghissimi istanti le parole per iniziare.

 

“E’ come ti ho detto nel pomeriggio. Non sta bene, anche se a vederla non si direbbe,” Sospirò la giovane Summers. “Lavora troppo, sempre attaccata allo tastiera, costruendo siti o facendo qualcos’altro giorno e notte, immersa nel suo computer per interminabili ore. Guadagna molto bene ma a discapito della propria salute fisica e mentale. Non che stia impazzendo,” si affretto ad aggiungere, quasi scusandosi. “Ma sta diventando sempre più chiusa ed immusonita. È sempre nervosa. E molto di più da due settimane a questa parte, da quando hai confermato il tuo arrivo.”

 

Dawn fece una pausa, poi riprese notando l’ansia negli occhi di Tara. “Ehi, non sto dicendo che sia colpa tua! Semplicemente era molto nervosa per il tuo arrivo. Credo sia comprensibile.”

 

Tara annuì, poco convinta.

 

“Quando non lavora si tiene super occupata in casa o si esercita in complicati incantesimi. Mr. Giles disse, prima di tornare in Inghilterra per la seconda volta, che nonostante la rinuncia alla magia nera Willow era potenzialmente, una delle streghe della sua età più potenti che lui avesse mai visto.”

 

“Ora è anche molto più potente,” aggiunse la voce di Buffy rientrando nella stanza.

 

Si diresse verso la poltrona che occupava prima di salire a controllare Liz, e si lasciò cadere sui cuscini con un gesto di drammatica stanchezza.

 

Il suo udito iper-sviluppato le aveva permesso di sentire ciò che Dawn stava dicendo. Era chiaro per lei che sua sorella avesse deciso di adottare la linea ‘niente più segreti’. Dawn era dietro a qualcosa ne era certa. E se era ciò che pensava lei, Buffy era più che disposta ad aiutarla.

 

“Liz dorme come un angioletto,” disse con un sorriso la cacciatrice.

 

Tara annuì, ricambiando il sorriso e pensando che, se conosceva sua figlia, la cosa non sarebbe durata, anche se sperava il contrario. Poi, come se finalmente le parole della cacciatrice avessero assunto significato nella sua mente: “Come fai a dire che sia così migliorata? Non che metta in dubbio la tua parola. Ma per tua stessa ammissione, non sei un’esperta in certe cose.” La curiosità di Tara cresceva di minuto in minuto. Più cose le dicevano, più sembrava ce ne fossero da sapere.

 

Buffy annuì, senza la minima traccia d’offesa in volto. “Un paio di settimane fa Willow è tornata di ronda, come sai.” Aspettò il gesto di assenso di Dawn prima di continuare. “Ma non era nel furgone come ti abbiamo detto. Era nel cimitero con me. Nel furgone c’era Xander.”

 

“Cosa?” Il volto di Dawn era una maschera di stupore. Buffy annuì e fece un gesto che diceva che comprendeva la meraviglia di sua sorella. “Perché non me lo avete detto? “E perché è tornata di ronda dopo tutto questo tempo? Ha sicuramente qualcosa per la testa!”

 

Buffy annuì. “Sì, lo penso anch’io, ma non ho idea del perché. Cioè, lei dice che è necessario. Per quanto riguarda il fatto che non ti abbiamo detto nulla…Will ha insistito che tu non sapessi niente.”

 

“Perché?”

 

“Non voleva che ti preoccupassi.” Dawn fece per controbattere, ma Buffy la zittì con un gesto. “Non è questa la cosa importante, ora. C’è di più e per una volta sono buone notizie. Vedi, anche io all’inizio ero molto titubante quando mi ha detto di voler venire. Erano due anni che non veniva più di pattuglia, da poco dopo che si era ripresa. Tutto quel tempo in ospedale e il resto ...”

 

Si pentì quasi subito di avere accennato all’ospedale ed al periodo che Willow vi aveva trascorso, per di più sapendo che in realtà i mesi che della sua degenza erano stati quasi sei, e non uno e mezzo, come Tara credeva per esplicito desiderio di Willow. Ma si rese conto che era uno dei fatti che Tara desiderava conoscere e che avrebbe dovuto finalmente chiarire i punti oscuri che vi gravitavano attorno, se voleva che il piano di Dawn- perché Dawn aveva certamente un piano- andasse a buon fine. Decise comunque di aspettare che fosse Tara stessa a chiederglielo.

 

“Si è limitata a fare le ricerche e a preparare delle pozioni. Conosci la sua abilità con il computer e nello spulciare libri, al contrario di me che sono negata per certe cose.”  Buffy sorrise con modestia. “Comunque…abbiamo incontrato un folto gruppo di vampiri intenti in un qualche oscuro rituale. Almeno venti. In un primo momento, il fatto che ci fosse anche lei mi ha resa inquieta. Non sapevo neanche se era pronta per uno, figurarsi per un clan così numeroso.”

 

Buffy si soffermò, lasciando crescere l’attesa nelle due donne che le stavano di fronte, conscia che neanche Dawn era al corrente dei dettagli del recente exploit di Willow. Buffy respirò a fondo raccogliendo i pensieri.

 

“Smettila di girarci attorno e racconta quello che è successo,” disse Dawn con impazienza.

 

Ora era sicura che la pausa aveva ottenuto il suo effetto. “Ne ha distrutti un bel po’ in poco tempo. Quasi tutti lei a dire la  verità. E un Maestro vampiro.” Si prese il mento tra le dita come se stesse cercando di ricordare. “E ha scacciato pure un demone bello grosso, adesso che ci penso.”

 

Tara rimase a bocca aperta, nonostante l’enfasi evidente nelle sue parole.

 

“E usando incantesimi diversi.” (Sempre più a bocca aperta). “E niente magia nera!” Concluse convinta, alzando tre dita come un bravo scout, il sorriso che andava allargandosi sul suo volto, mano a mano che lo stupore si intensificava nella sua amica e in sua sorella.

 

Ora anche Dawn era esterrefatta. “Vuoi dire che è stata lei in realtà a decimare quel clan?

 

“Parola di Cacciatrice!” Dio, quanto si divertiva. Le loro facce stupite erano impagabili.

 

“Gli occhi erano quelli di Willow, verdi come un bosco in primavera,” continuò. “E l’energia che i suoi incantesimi irradiavano era così fresca e pulita da potersi avvertire anche a distanza. Metteva gioia, anche se c’era poco da stare allegri in quei momenti.” Buffy sentì un senso di contentezza nell’essere lei a poter dare quella notizia.

 

“Non ha più usato la magia nera da almeno quattro anni, per quanto ne so. Comunque, poi ne sono accorsi un’altra ventina e lei ha sistemato pure quelli. Alcuni di quei vampiri sono riusciti a fuggire. Io troppo stupita per inseguirli.” Omise di dire stordita, dolorante e a terra per averle prese da un demone. “Da quello che ho sentito in giro di recente, ormai i vampiri hanno più paura di lei che di me!” Terminò divertita dal suo stesso aneddoto, mentre Tara cercava di recuperare l’uso dei muscoli facciali, seriamente compromessi dallo stupore.

 

L’idea che la sua ex-amante fosse diventata così brava nelle arti magiche e che al contempo avesse abbandonato ogni forma di necromanzia le riempiva il cuore d’orgoglio e di gioia, tanto più che quello era stato il motivo del loro iniziale distacco.

 

“Niente più magia nera…”sussurrò più a se stessa che e alle due donne che la guardavano. “Forse, allora…” Ricacciò indietro il pensiero non osando sperare, la sua mente in volo libero.

 

“Dopo la morte di Rack e Spike ha giurato che non l’avrebbe più usata,” confermò Buffy, pentendosi subito con un brivido di aver pronunciato il nome dello stregone e del vampiro di fronte a Tara e di aver lasciato trapelare che la necromanzia non fosse estranea alla loro morte. Buffy fece per continuare ma poi ci ripensò.

 

Il nome dello stregone nero riportò Tara nella stanza. Un nome che appariva troppo spesso accanto a quello di Willow e sempre legato a quella reticenza che avrebbe voluto abbattere, se aveva ben giudicato l’inquietudine che aveva colto d’un tratto la sua amica bionda. “Cosa è accaduto in realtà con Rack?” chiese guardando Buffy negli occhi.

 

Le due sorelle si guardarono, come cercando di decidere cosa potesse essere detto e cosa dovesse essere taciuto. Con un tono dispiaciuto nella voce, Buffy le consigliò di chiedere i dettagli direttamente a Willow, sollevando ancora una volta in lei l’idea di qualcosa di eccezionalmente grave. Sentì le lacrime salirle e cercare di forzare la barriera delle ciglia.

 

Dawn vide Tara arrovellarsi, le sue nocche sbiancare attorno alla tazza. Gliela tolse delicatamente dalle mani e la posò sul tavolino da caffè di fianco al divano. Le prese le mani tra le sue per alcuni istanti, stringendole per trasmetterle un muto segnale di sostegno. Poi si rivolse a Buffy: “Credo che dovrebbe sapere.”

 

Buffy, scioccata dall’uscita della sorella, cercò di protestare, fino a quando non vide le lacrime rigare il volto della strega bionda. Sentendosi triste per Tara, a cui del resto aveva suggerito lei stessa di chiedere. C’erano troppi segreti. Forse era tempo di sollevare il velo e lasciare che il sole li inondasse. Come cacciatrice la notte era sua amica. Come Buffy Summers il giorno, con la sua luce, era il suo protettore. Era tempo di vedere se quella luce potesse aiutare anche Willow Rosenberg.

 

Sperò dentro di sé che la sua migliore amica potesse perdonarla, mentre assentiva con un cenno del capo, dando il via libera a sua sorella. Se doveva accadere, preferiva non essere lei a dare il via alle rivelazioni.

 

“E’ bene che tu sappia che quello che sto per dirti è tutt’altro che piacevole. Io non ne conosco tutti i particolari e per quanto ne so, anche Buffy…” si voltò per cercare conferma in sua sorella, che però rimase immobile, un’espressione indecifrabile in volto, “…ne sa poco di più di quanto mi ha raccontato. Willow si è sempre rifiutata di dare i particolari di cosa è successo prima che Buffy la trovasse. E quello che è successo poi con Rack e Spike, quando sono morti...è assolutamente un tabù. Credo che il ricordo la faccia soffrire terribilmente.”  Dawn fece una pausa per riprendere fiato.

 

“Già sai che Rack la rapì. Quello che non sai è che Rack l’ha rapita e l’ha anche…” cercò le parole per descrivere in modo neutro l’accaduto. Quando si accorse che le mancavano, non poté far altro che dirlo nella maniera più diretta, anche se era la più brutale ”…torturata.” Fece una pausa per vedere quali reazioni avesse provocato nella strega bionda quella notizia.

 

“Per tre giorni.”

 

Un’altra rapida occhiata. Quando le parve che la stesse prendendo abbastanza bene, continuò, il suo sguardo fisso al pavimento.

 

“Ha tentato di spezzarne lo spirito e il corpo. Nel secondo caso non fu difficile per quel bastardo. Buffy la ritrovò con quasi tutte le costole rotte, diversi traumi agli arti e lacerazioni da coltello un po’ovunque. Maledetto figlio di puttana!” Sibilò, incapace di tenere a bada il proprio disprezzo.

 

La voce di Dawn era rotta dalla rabbia. Sembrava che sputasse ogni parola come se fosse un boccone avvelenato.

 

Tara non l’aveva mai sentita parlare con tale furia e disprezzo per qualcuno. Quando finalmente le parole si posarono nella sua mente in tutta la loro terrificante verità, capì il perché.

 

Rapita e torturata…

 

Per tre giorni…

 

Traumi agli artii…

 

Quasi tutte le costole rotte…

 

Oh, Dea…

 

Come poteva qualcuno aver fatto qualcosa di simile a Willow? Come era possibile infierire in maniera brutale su quella persona così dolce e comprensiva? Come si poteva voler fare del male ad un essere che con la sua sola presenza riusciva a farti sentire speciale?

 

Cercò di processare le informazioni, sforzandosi di rimanere calma, dicendosi che quello era il passato, e che la nuova ondata di lacrime, che sentiva le stavano salendo agli occhi e alla gola non avrebbero in alcun modo cambiato quegli eventi. Fu una battaglia persa in partenza. Il suo corpo venne scosso dai singhiozzi e la vista le si offuscò. Sentì la testa girarle, al pensiero del corpo esile di Willow martoriato da tanta brutalità, mentre un’ondata di nausea le bruciava lo stomaco come acido.

 

Nel turbine dei suoi pensieri, Tara non vide la Cacciatrice muoversi, ma ringraziò silenziosamente le braccia che le cinsero le spalle nel tentativo di confortarla, evitandole di cadere dal divano.

 

Respiro a fondo per riprendere il controllo di sé. Suo malgrado sentiva, anche attraverso la stretta di dolore che la attanagliava, di dover sapere quanto più possibile. “Vai avanti,” disse impercettibilmente, faticando ad articolare le parole, la bocca improvvisamente secca.

 

Dawn riprese a parlare in tono incerto, ora non del tutto convinta che fosse un bene per la strega bionda venire a conoscenza di quei fatti. Ma lo sguardo supplice di Tara la costrinse a riprendere il discorso. “Era ridotta molto male...” Il volto di Dawn si fece cinereo. Non riusciva ad andare avanti, sopraffatta dal proprio dolore al ricordo.

 

“Vado avanti io,” le venne in soccorso Buffy. “Del resto io c’ero e Dawn ha saputo da me tutti i fatti.”

 

Buffy pensò che era meglio dare la versione breve, ma quello che non aveva previsto fu l’ondata emozionale che la investì mentre raccontava e che le impedì di filtrare il suo racconto come avrebbe desiderato. C’erano cose di cui non aveva parlato con nessuno, se non con la stessa Willow, che certo non le era stata d’aiuto, essendo lei tra i protagonisti della storia.

 

Nei suoi pensieri voleva raccontare gli eventi nel modo più neutrale possibile, evitando i particolari più crudi.

 

Ma quando le parole le uscirono di bocca, si accorse di non riuscire a fermarle, di avere bisogno di raccontare tutta la storia come mai l’aveva raccontata; per la sua stessa sanità mentale doveva disfarsi di quel fardello, condividerlo con qualcuno.

 

“Era disidratata, ridotta pelle ed ossa dalla mancanza di acqua e cibo. Il suo corpo imbrattato dal suo stesso sangue,”continuò Buffy, continuando a cullare una Tara sconvolta, mentre si perdeva nella trance del ricordo, le lacrime che invadevano l’angolo dei suoi occhi. Un senso d’orrore che ancora non riusciva ad allontanare dopo quattro anni, le risalì lungo la spina dorsale verso il suo cervello, come un serpente che si arrampica su un albero in cerca della preda.

 

Dawn vide l’espressione sul viso di sua sorella, di solito così forte, e ringraziò silenziosamente per il fatto che Tara non potesse vederlo. Nondimeno quell’espressione l’atterrì. Se spaventava Buffy, doveva essere un ricordo terribile. Ben peggiore di quanto le avessero mai raccontato lei o Willow. Ricacciò indietro un leggero tremito, cercando di nascondere quanto fosse turbata.

 

“Se l’avessi trovata prima…” mormorò Buffy, ormai persa nei propri ricordi.

 

 

 

«…tre giorni! Le ci erano voluti tre giorni! Buffy era furiosa con se stessa. Tre giorni a fare domande a tutti i vampiri, i demoni e i troll su cui aveva potuto mettere le mani. Tre giorni a cercare Rack in tutti i cimiteri, le chiese sconsacrate, i boschi, i vicoli di Sunnydale, in una caccia metodica, rabbiosa ed instancabile. Infruttuosamente.

 

L’unica informazione che era riuscita ad ottenere era che forse Rack si era alleato con Spike. E la sua angoscia era cresciuta al limite della disperazione.

 

Erano mesi che Spike era sparito. Quando era tornato? Perché non si era fatto vedere da lei? Perché non era venuto a cercarla? In fondo avevano avuto una relazione, anche se non era andata benissimo.

 

Cosa c’entrava Spike con Rack? Cosa diavolo avrebbe fatto se davvero era coinvolto nel rapimento di Willow? Perché piangeva ogni volta che ci pensava? Aveva ragione Willow quando le aveva detto, in un moto di rabbia, che per la delusione di essere stata strappata al paradiso si era gettata tra le braccia dell’inferno?

 

Come aveva fatto Willow a sapere di lei e Spike? Era stata una relazione breve -un paio di mesi- ed era stata molto attenta. Come faceva a saperlo? Willow aveva riso quando glielo aveva chiesto.

 

‘Lo sanno tutti,’ le aveva detto sarcasticamente. ‘Sei la barzelletta di ogni demone e vampiro tra qui e Los Angeles.’

 

Poi si era messa a piangere e aveva detto che era solo colpa sua. Si erano abbracciate ed erano rimaste così a lungo, consapevoli che l’abbraccio non avrebbe colmato la distanza che ormai era tra loro. Forse l’affetto avrebbe potuto.perché quello era rimasto immutato. Sì con l’affetto, un giorno. Con il tempo…

 

Ma dopo averla ritrovata. E dopo aver strappato le budella a Rack. E a Spike, se era coinvolto.

 

‘Willow sta bene,’ continuava a ripetersi, mentre girava a vuoto alla ricerca di notizie. ‘Willow sta bene.’

 

Ma tre giorni erano un sacco di tempo…

 

Tre giorni di disperazione, angoscia, rabbia, paura, preoccupazione, che neanche la super attività come Cacciatrice era riuscita a lenire.

 

Aveva torchiato ogni entità soprannaturale che aveva incontrato. Aveva rivoltato il bar di Willie ogni notte, in cerca di informazioni, come mai aveva fatto prima.

 

Niente!

 

Aveva reso chiaro ai ‘clienti’ che era meno saggio del solito nasconderle quello che voleva sapere stavolta. Non era salutare. Ma nessuno aveva voluto aiutarla. O non erano semplicemente in grado di farlo.

 

La terza notte era così frustrata che aveva fatto a pezzi il locale e dato una ripassata a metà dei presenti, giusto per sfogarsi, al diavolo il porto franco!

 

Le bruciava terribilmente di non riuscire a trovare una minima traccia. Ma quello che le bruciava di più, sopra ogni altra cosa, era il senso di colpa per aver permesso che Willow potesse essere rapita proprio sotto il suo naso, a casa sua!

 

Tre giorni, appunto, passati in preda alla preoccupazione ed ai rimorsi del suo orgoglio ferito, per poi sapere da un demone del sonno- un insignificante demone dalla pelle gialla con tre corni appena abbozzati in fronte, composto più da cartilagini che ossa- che forse uno stregone e un vampiro avevano portato una strega dai capelli rossi in una caverna a nord della città.

 

Tre giorni prima di incontrare per caso vicino ad una cripta un fottuto, insignificante demone, che si nutriva dei sogni degli uomini lasciando in cambio un lieve mal di testa, per riuscire a sapere finalmente qualcosa.

 

Era talmente fuori di sé che lo aveva ucciso a mani nude sul posto.

 

Poi era corsa a casa, aveva aperto il baule delle armi che teneva sotto il letto e aveva fatto scorta di paletti. In più aveva preso la spada preferita e una cote.

 

Le erano occorsi dieci minuti.

 

E altri venti minuti per trovarne l’ubicazione della caverna di cui gli aveva parlato il demone del sonno su una mappa.

 

Trenta minuti in tutto.

 

Trenta ridicoli, forse fondamentali, minuti.

 

Troppo nella vita di una Cacciatrice!

 

Soprattutto se incazzata più di quanto si potesse dire e pronta ad affrontare tutto l’inferno schierato contro di lei, se fosse necessario.

 

Mentre percorreva la strada a grandi passi decisi, passando e ripassando la cote sul filo della spada, sperò ardentemente che Willow stesse bene. Willow non era più la stessa da molto ormai. Certo non era più la dolce strega hacker della loro adolescenza. Era divenuta una strega nera molto potente, e questo le faceva sperare, per la prima volta, –anche se faticava ad accettare quel motivo- che chi l’aveva rapita avesse interesse a mantenerla viva e in buona salute.

 

Willow non era più la stessa, ma era pur sempre la sua migliore amica e lei era intenzionata a liberarla e a farla pagare ai suoi rapitori.

 

Il conto che avrebbe presentato sarebbe stato così salato che neanche il diavolo in persona avrebbe potuto saldarlo!

 

Una volta arrivata relegò quei controproducenti pensieri in un angolo della propria mente. Si ripeté il giuramento fatto a se stessa che se era accaduto qualcosa di brutto a Willow, l’avrebbe fatta pagare molto cara sia a Spike, se era coinvolto, che allo stregone e si mise ad osservare l’entrata della caverna dal suo riparo tra gli alberi, scrutando alla ricerca di eventuali guardie. Nessuno. Si sentivano molto sicuri. Li avrebbe fatti pentire di questo.

 

Sentì l’adrenalina scorrerle libera per il corpo, aumentando le sue percezioni. Buffy Summers era scomparsa. Ora c’era solo la Cacciatrice. Una Cacciatrice molto, molto incazzata per di più. Era come se una maschera le fosse calata sul volto, onnubilando ogni pensiero cosciente, spingendo oltre il limite i suoi sensi e i suoi istinti, allontanando ogni possibile remora, ogni traccia di pietà dalla sua mente.

 

Si sentì come un animale ferito che protegge i suoi cuccioli, pronto alla lotta fino all’ultimo; c’era solo la guerriera, ormai, e la sensazione la inebriava, facendole la testa leggera e i passi spediti.

 

Entrò cautamente nell’antro, la pelle che le pizzicava e il suo sesto senso che le urlava nel cranio. Anche da lì poteva sentire le potenti energie in gioco, provenire dal fondo della caverna.

 

Molto potenti e molto oscure.

 

Si addentrò con un brivido lungo un ampio tunnel. Quasi subito trovò due vampiri di guardia dove la caverna si ramificava in altri passaggi più stretti e bassi. Non aveva bisogno che le dicessero da che parte andare, le energie la attiravano come un’insegna luminosa. Poi, aveva voglia di distruggere qualcosa proprio in quell’istante e loro capitavo al momento giusto.

 

Per un istante pensò a Spike, a come probabilmente si era nuovamente calato nel ruolo di maestro vampiro. Si vergognò della fiducia che gli aveva accordato, con quanta facilità gli avesse permesso di entrare nella sua vita e nel suo letto.

 

Una fredda determinazione entrò in lei. Scivolò silenziosamente alle spalle dei due vampiri, che montavano una guardia annoiata, con un paletto per mano. Affondò i colpi con una rapidità tale che l’occhio umano non sarebbe riuscito a cogliere. Dentro-fuori. Meno due. Avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione durante il loro turno di guardia. Ora era troppo tardi.

 

Si sentì soddisfatta della propria forza e precisione. Il pensiero la incupì. Da qualche parte, nei meandri del suo cervello, nei gangli preposti al raziocinio, si ammonì a non incedere in facili trionfalismi, seppure l’eccitazione della battaglia imminente le stringesse le viscere e le tirasse i muscoli come in una febbre, facendole desiderare lo scontro con un’intensità che raramente aveva provato.

 

Biasimò quell’atteggiamento con se stessa. Decise di dover stare molto attenta e cercare di essere veloce. Veloce e spietata. Ecco come si sentiva. Come avrebbe dovuto essere, stanotte.

 

Respirò a lungo e profondamente per calmarsi. Se voleva portare Willow fuori di lì senza troppi rischi, non poteva permettersi di ingaggiare combattimenti prolungati.  Doveva attuare una guerriglia pratica ed efficace.

 

Doveva lasciare che Buffy mitigasse la cacciatrice.

 

Come tutte le buone intenzioni, anche questa era destinata a fallire, quella notte.

 

Avanzando nell’oscurità e confidando nei sensi iper-sviluppati che possedeva, Buffy arrivò in un ampio antro illuminato da torce. Le venne da pensare che le forze del male erano un po’ troppo attaccate a certi cliché. In altre occasioni avrebbe sorriso di questo, ma non questa volta.

 

Questa notte qualsiasi sorriso le sarebbe morto sulle labbra.

 

Buffy si avvicinò con cautela, attenta a non farsi scoprire. Era vicinissima. Sentiva ormai le voci e i rumori. Rumori strani, a dire la verità. Come un sibilo che fendeva l’aria. E ogni tanto dei mugolii sommessi, che appartenevano a voci diverse, interrotti da un occasionale gemito di dolore.

 

Buffy aggirò un grosso macigno e un gancio lì accanto, che pendeva dal soffitto. Non si avvide di una piccola pozza di una sostanza scura e secca che imbrattava il pavimento direttamente sotto il gancio.

 

Si arrampicò sul grande masso e si stese prona, le braccia all’altezza delle spalle. Sentì qualcosa di appiccicoso sotto le dita. Se le guardò e vide che si trattava di sangue.  Provò l’impulso di emettere un grugnito disgustato, ma si contenne.

 

Che diavolo era successo lì, perché del sangue fosse arrivato così in alto? Di chi era quel sangue? Non di Willow. Dio, ti prego. Non di Willow.

 

Si spostò leggermente più a sinistra fino a ritrovarsi nascosta in una posizione leggermente sopraelevata, che le permetteva di studiare la situazione.

 

La scena che le si presentò la colpì con la forza di un maglio nelle mani di un gigante.

 

Nel grande antro semi circolare c’erano circa 15 vampiri, accostati lungo le pareti, con un sorriso cattivo sulle labbra, le zanne che scintillavano alla luce delle torce. Molti si leccavano le labbra, come pregustando qualcosa di squisito, altri mugolavano e sospiravano, come se fossero preda di sensazioni particolarmente piacevoli. Tutti erano intenti a guardare qualcosa al centro della stanza, e fremevano, inspirando a pieni polmoni.

 

Ma perché lo facevano? I vampiri non avevano bisogno di respirare. Buffy fece lo stesso. Sentì un forte odore che permeava la stanza.

 

Sangue.

 

Seguì con gli occhi la direzione dello sguardo dei vampiri. Ciò che vide la raggelò.

 

Al centro della stanza era posta una lastra di pietra grezza sorretta da altre lastre poste verticalmente nel terreno.

 

Un altare. Orribile, ma non quanto il resto.

 

Sull’altare era posta una figura esile, una ragazza esangue. Aveva le braccia e le gambe legate con una spessa corda ai montanti dell’altare. I suoi arti erano rotti e contorti in un angolo innaturale. Era completamente nuda, il suo corpo esposto alla vista ed a ogni possibile umiliazione. Aveva gli occhi aperti ma vacui, lo sguardo perso verso un punto indefinito del soffitto.

 

Aveva i capelli, il viso, le braccia, le gambe e il torace imbrattati di uno spesso strato di sangue e sporcizia che disegnavano sulla carne pallida come il marmo figure grottesche e irreali, come quelle dei guerrieri maori.

 

Il suo corpo era segnato da una serie di striature irregolari. Ne aveva dappertutto. Sul collo, sulle braccia , sulle gambe, sul ventre. Particolare accanimento era stato riservato ai piccoli seni e alle natiche, da quello che Buffy poteva vedere dalla sua posizione.

 

Le avevano posto sotto il bacino una grossa pietra scabra che le penetrava in profondità nelle carni. La pietra le sollevava i fianchi in una posizione oscena, inarcandole la schiena e divaricandole le gambe così tanto che i suoi piedi erano posti sotto il livello della lastra.

 

Quella posizione doveva essere terribilmente dolorosa e scomoda.

 

Era difficile riconoscere chi fosse nascosto sotto quella maschera grottesca. Anche perché tutte le ferite continuavano a sanguinare copiosamente, come se qualcuno vi avesse applicato dell’antiemostatico.

 

Buffy seguì il percorso del sangue e lo vide raccogliersi in piccole ciotole, probabilmente perché i vampiri potessero berne.

 

Si chiese come poteva una figura così pallida, fragile ed esangue avere così tanto sangue da versare.

 

Ma quella non fu la cosa più terribile. La cosa che le strinse lo stomaco in una serie di violenti spasmi e minacciò di farle rigettare cibo semi-digerito, bile e anima tutto in una volta fu vedere il rivolo costante di sangue che scendeva dal suo ventre -dal suo sesso- imbrattando la pietra grezza e scabra dell’altare improvvisato e gocciolando giù fino a terra, dove aveva formato una larga pozza, dove i vampiri a turno, in una sorta di macabro dileggio, andavano ad intingere le dita per un assaggio, come un bambino farebbe nella ciotola della crema.

 

Buffy sentì un misto di disgusto e furia prenderle la bocca dello stomaco.

 

Stai calma, si disse, mentre uno spesso velo di sudore le copriva la fronte. Se vuoi aiutare quella ragazza, devi mantenere la calma. Osserva e aspetta il momento propizio.

 

Una figura alta, vestita di una tunica nera con fregi rossi avanzò nella caverna e si avvicinò all’altare. Teneva un lungo pugnale in mano, da cui irradiava una luce verdastra, che non si faceva scrupolo di usare, stava lasciando lunghe striature, nella carne di Willow.

 

Il vampiro intento a bere dalla pozza alimentata dal ventre della ragazza si fece da parte.

 

Rack iniziò a parlare alla ragazza legata all’altare. “Dimmi come,” chiese con voce che voleva essere suadente. “Sei stata così brava finora. Ora fai contento il mio amico Spike. Dimmi come annullare l’altro incantesimo.”

 

Nessuna risposta.

 

Il mutismo della ragazza spazientì lo stregone. “Parla! Dimmi come!” ordinò mentre il pugnale scavava un nuovo solco nelle carni della ragazza.

 

La ragazza non fremette minimamente, mentre un nuovo sfregio si apriva sul suo seno, proprio accanto all’aoreola, più vizioso e profondo dei precedenti, lacerando in profondità muscoli e tessuti, mutilandolo per sempre. Non una parola. Non un gemito. Non girò neanche lo sguardo verso il suo macellaio.

 

Buffy rabbrividì dal suo nascondiglio. Le mani le tremarono violentemente. Iniziò a pensare a come agire per salvare quella povera ragazza.

 

“Va bene. Sia come vuoi tu!” Disse lo stregone. Sotto  lo sguardo impietrito di Buffy si arrampicò sull’altare, mettendosi tra le gambe oscenamente divaricate della ragazza, si sollevò la veste e mostrò la sua erezione. Senza aggiungere una parola si distese su di lei e la penetrò con violenza. “Dimmi come sciogliere l’incantesimo e tutto questo finirà,” disse, dando peso alle sue minacce con convulsi movimenti dei suoi fianchi. “Tutto tornerà come prima.” Le mani dello stregone cercarono i piccoli capezzoli della ragazza e li torsero con viziosa malvagità. Il sangue uscì a fiotti dalla nuova ferita appena inflitta.

 

La ragazza gemette di dolore e voltò la testa verso Buffy, distruggendo ogni sua illusione. La cacciatrice sbiancò e quasi si sentì male.

 

Willow! Non una ragazza qualsiasi! Willow! Non volevo crederci, ma lo sapevo!

 

Buffy aveva sperato di essersi sbagliata, che quella non fosse la sua migliore amica; aveva egoisticamente sperato che quella esile figura frantumata che veniva violentata sotto i suoi occhi non fosse Willow ma qualcun’altra. Ma i capelli rossi, gli occhi verdi e un qualcosa di indefinito, a cui non aveva saputo o voluto dare un nome, le dissero che era proprio lei.

 

Buffy distolse lo sguardo dalla scena, cercando di controllare la rabbia che le saliva dallo stomaco al cervello come un’onda implacabile. Ma quando vide Spike dietro l’altare, con le braccia incrociate sul petto nudo e un sorriso assolutamente malvagio sulle labbra, che si godeva la scena, seppe di aver perso la battaglia.

 

Quello che era stato un loro alleato, quasi un amico e, per un certo periodo, il suo amante, era lì in piedi, con la faccia trasformata nei suoi tratti vampirici, e guardava quello strazio con un ghigno sadico.

 

Come poteva?

 

Aveva passato interminabili ore con loro, sotto la minaccia di Glorificus. Aveva combattuto al fianco di Willow nel periodo che lei era morta. Era stato il suo amante fino a pochi mesi fa. Possibile che tutto questo fosse dovuto al fatto che Buffy aveva voluto interrompere la loro relazione? Vero era che Spike aveva cercato di violentarla. Ma era una cosa tra loro. Perché Willow? Perché aveva fatto questo a Willow? Perché? PERCHÉ?

 

Buffy lanciò un urlo strozzato, dimentica di ogni intento di segretezza. Si gettò giù dal macigno con il cuore pieno di rabbia. La rabbia le montò al cervello come l’onda di uno tsunami, s’impadronì di lei, impedendole di ragionare.

 

Voleva vederli tutti morti! Al diavolo le precauzioni!

 

I vampiri le si gettarono contro per fermarla.

 

Uccise il primo vampiro quasi sfondandogli il petto. Un colpo preciso del suo fido Mr. Pointy, ma così violento che gli trapassò il torace, il cuore infilzato sul paletto, prima di diventare cenere. Un calcio all’indietro ne fece volare un altro lontano. Si passò il paletto nella sinistra ed estrasse la spada. Menò fendenti con furia cieca, decapitandone un altro ancora.

 

Bramava solo la morte dei suoi nemici. Null’altro le interessava. Ucciderli, smembrarli, farli a pezzi. Solo quello. Voleva dimostrare loro che cosa era la forza bruta e la violenza. Voleva impartire loro una lezione sul dolore.

 

Si voltò verso un quarto vampiro, scaricando la sua furia in una serie devastante di pugni e piattonate con la spada, prima di trafiggerlo con il paletto. Ne uccise altri tre decapitandoli, i suoi movimenti fluidi e aggraziati come quelli di un antico samurai. Aveva dimezzato le loro fila in meno di cinque minuti.

 

Poi, fuori dal nulla, le arrivò un calcio preciso alla base del collo che la sbilanciò e l stordì. Per alcuni istanti tutto divenne nero e la spada le cadde di mano. Buffy si rifiutò di cadere, ma il colpo fu sufficiente perché gli altri vampiri le fossero addosso e le bloccassero le braccia in una morsa ferrea. La sua spada fu gettata lontano, la mano che.stringeva Mr. Pointy immobilizzata.

 

Buffy si dimenò alla cieca e riuscì a liberarsi quel tanto da prendere un altro paletto dalla tasca interna della giacca, ma i vampiri serrarono la loro presa anche sull’altro braccio. Buffy si accorse subito che non sarebbe riuscita a liberarsi. Si rilassò e lasciò scemare la rabbia, mentre il senso di colpa ne prendeva il posto.

 

Stupida, si disse. Stupida! Stupida! Stupida! Stupida! Stupida! Stupida!

 

Aveva lasciato che la rabbia si impadronisse di lei, che mettesse il guerriero in primo piano e lo stratega in un angolo della soffitta.

 

Non solo non salverai Willow, ma neanche se stessa, così!

 

Le sue rimuginazioni furono interrotte dalle parole di Spike. “Sei stata gentile a venirmi a trovare, Cacciatrice”. Il vampiro dai capelli tinti di un biondo quasi bianco aveva aggirato l’altare non appena lo scontro era incominciato e aveva fatto in modo di avvicinarsi alla sua preda alle spalle. Non il momento gli era parso propizio le aveva sferrato un violento calcio alla nuca. Ora le stava di fronte, a pochi passi da lei, le zanne che rilucevano alla luce delle torce. “Ma è stato un grave errore venire qui nella mia tana. Qui sono io a giocare in casa. Pensavo che il tuo Osservatore ti avesse addestrata meglio. Hai perso ogni vantaggio che potevi avere all’esterno. Molto sciocco da parte tua. In ogni caso, non appena avessi avuto abbastanza servi sarei venuto io da te, se questo può consolarti.” Avanzò ancora di qualche passo, un sorriso denigratorio che Buffy avrebbe voluto togliergli molto volentieri dalle labbra alla prima occasione. “Ma forse il fatto che sia venuta tu significa che sentivi la mia mancanza.” Aggiunse sarcasticamente il Maestro vampiro, toccandosi in modo osceno tra le gambe.

 

Buffy si sentì avvampare e cercò inutilmente di liberarsi dalla presa dei servi. Sapeva che Spike aveva ragione almeno in parte e questo la rendeva ancora più furiosa. Fuori avrebbe potuto muoversi più liberamente, trovare armi occasionali, posizioni di vantaggio. Lì la battaglia si era svolta sul terreno del nemico e lei aveva perso con sorprendente facilità. Aveva perso perché non aveva ragionato.

 

Guardò Spike avanzare e per la prima volta notò che era completamente nudo. Distolse lo sguardo, cercando di non pensare alle implicazioni sulla sua persona del fatto che il suo ex-amante, il suo più grande errore, non avesse nulla addosso a parte gli stivali.

Come diavolo ho fatto a non accorgermene? Dio, ma sono tutti nudi!

 

Guardò e vide che Rack la stava fissando con un sorriso malevolo, mentre continuava imperterrito nel suo stupro.

 

“Lasciala stare, porco maledetto!” Urlò. Il sangue le ribolliva, ma le mani che la tenevano stretta le impedivano di liberarsi.

 

Lo stregone sbuffò derisivamente e prese a stantuffare in Willow con rinnovata violenza.

 

Buffy distolse lo sguardo e si concentrò su Willow. La giovane strega aveva i capelli rossi arruffati, strappati, intrisi di sporcizia. Il suo volto era una maschera tumefatta e gonfia. Aveva un taglio vicino all’attaccatura dei capelli. Le labbra erano spaccate.

 

I suoi occhi erano gonfi e pesti, uno quasi completamente chiuso, ma la fissavanocome se non la vedessero, persi chissà dove, sfocati come se non riuscisse a focalizzare nulla di ciò che aveva attorno; come se si fosse completamente estraniata.

 

Buffy ricordò di aver letto una volta che per sfuggire ad un dolore troppo grande si poteva scivolare nella pazzia. Vedendo il corpo martoriato di Willow, quello che le stava accadendo, quasi sperò che fosse successo proprio così, che la sua amica fosse impazzita, e avesse in questo modo evitato il dolore e l’umiliazione delle torture e degli abusi che le erano state inflitti.

 

E tutto quel sangue!

Come può sanguinare tanto ed essere ancora viva?

 

Ma più la guardava e più notava che c’era qualcosa di strano. Non era tanto il fatto che Willow non si lamentava minimamente e sembrava assente. O che neanche una lacrima scendesse dai suoi occhi.

 

Era che…per un istante, solo per un istante, avrebbe giurato che negli occhi pesti e gonfi di Willow fosse passato un lampo di riconoscimento. Avrebbe giurato che la figura dai corti capelli rossi, legata come un animale sacrificale a quell’altare di pietra grezza, avesse fatto un impercettibile cenno verso di lei, un accenno di sorriso, un lieve incresparsi delle labbra spaccate e gonfie, come per dirle che era pienamente cosciente di tutto e che non doveva preoccuparsi.

 

Buffy pensò di stare impazzendo.

 

Non è possibile! Avanti Buffy, pensa! Trova un modo di uscire da questa situazione. Salvati e salva la tua migliore amica. O quello che ne è rimasto. No! Non è il momento per certi pensieri!

 

Tornò a guardare Willow con le lacrime agli occhi, sperando che quella vista le desse abbastanza forza o furia da liberarsi.

 

E vide ancora quell’enigmatico brevissimo sorriso. Ma la cosa che la turbò di più fu che quel sorriso sembrava esprimere una segreta soddisfazione. Quasi trionfale.

 

Buffy non ebbe tempo di pensarci. Non poteva permettersi il lusso di certe speculazioni. Tornò a fissare negli occhi Spike che se ne stava dritto davanti a lei, godendosi la scena.

 

“Ti piace ciò che vedi?” Chiese il vampiro. “Tranquilla, poi toccherà anche a te. E ti piacerà come è piaciuto a lei.”

 

Buffy era decisa a non cedere di un millimetro e a sputargli in faccia tutto il suo disprezzo. “Non farti illusioni. Sei stato solo un errore nella mia vita. E neanche troppo grande. Tutto in te è modesto. Di poco conto. Direi addirittura nullo. E preferirei morire pur di non dover avere a che fare con le tue scarse attenzioni,” concluse con un sorriso derisorio, sottolineando l’ultimo aggettivo.

 

Sentendo il chiaro riferimento alle proprie prestazioni, Spike avvampò di rabbia, gettandosi addosso a Buffy per colpirla. “Vedremo.” Le disse, sconvolto dall’ira.

 

Buffy sbiancò, sperando che la morte sopraggiungesse in fretta. Naturalmente non sarebbe stata così fortunata e lo sapeva. Certamente non ne avrebbe atteso l’arrivo come un agnello mandato al macello. Cercare di farlo arrabbiare per poi sfruttare la rabbia a proprio vantaggio le era sembrata una buona idea. Si irrigidì, aspettando il colpo.

 

Quando lo schiaffo arrivò con una violenza tale da girarle la testa da una parte, pensò che forse aveva fatto male i suoi conti. Aveva sperato che nella torsione sarebbe riuscita a liberarsi e a dare battaglia, ma le mani che la stringevano non allentarono la presa.

 

Mentre la sua testa si piegava si era ritrovata a guardare per un istante in direzione dell’altare. Aveva visto la bocca di Rack deformarsi in un sorriso di trionfo. La disperazione la colse quando le sembrò di scorgere ancora quello stesso identico sorriso sulle labbra di Willow.

 

Che le azioni della strega fossero in qualche modo comandate dallo stregone e che ella non fosse altro che una disgraziata parodia di se stessa?

 

Ma poi le parve che, seppur a fatica, Willow le avesse fatto l’occhiolino, sbattendo l’unica palpebra a malapena aperta che le restava.

 

Scacciò l’idea che tutto ciò fosse un modo dello stregone per farsi beffe di lei. Doveva avere un minimo di fede se voleva sopravvivere. E in Willow ne aveva sempre avuta. Be’, quasi sempre.

 

Sentì il sapore del proprio sangue in bocca, e un dolore pulsante al labbro inferiore.

 

Spike stava ad occhi chiusi di fronte a lei, a non più di un metro, come per concentrarsi e ritrovare la calma.”Non sarà così facile piccola,” le disse e la sua voce era come un freddo sussurro che le gelava il cuore. “Me ne sono andato fino in Africa per trovare un’anima e invece ho perso un chip,” ridacchiò toccandosi una tempia. Le sue palpebre si aprirono e Spike fissò i suoi occhi azzurri e freddi come l’acciaio in quelli nocciola di Buffy. “Ho aspettato così a lungo questo momento,” le disse. “Ho in mente qualcosa di tranquillo e sistematico per te. Non mi arrabbierò. Sarò calmo ed accurato. Non ti darò la scappatoia di una morte veloce. Vedrai, ci divertiremo ancora molto insieme. Io, tu e i miei arpioni. Sono famoso per i miei giochetti con gli arpioni, sai?” La canzonò sadicamente. “Ti piacerà, vedrai. Non quanto piacerà a me, però.”

 

I servi che la tenevano stretta risero di gusto all’idea di una Cacciatrice ridotta a mero giocattolo sessuale del loro padrone. Spike allungò una mano per accarezzarle il viso nella parodia di un gesto gentile.

 

Buffy vide Spike riaprire gli occhi e posarli avidamente su di lei, come se già pregustasse le proprie nere intenzioni. Quello sguardo e quelle parole la atterrivano e la disgustavano. Ma la cosa peggiore era che al momento non vedeva alcuna via di scampo.

 

E poi, ad un tratto, accadde l’inverosimile. Le pupille di Spike si dilatarono e si rovesciarono nelle orbite fino a mostrare il bianco. Il vampiro ossigenato iniziò ad urlare come in preda ad un dolore atroce, coprendosi gli occhi con un braccio e cercando con l’altro di scacciare un qualcosa che in realtà non c’era. “Va via maledetto, vattene! No! Non mi avrai! Noooooo!” Urlò disperatamente, prima di mettersi a correre verso una nicchia sul lato della caverna e di scomparire alla vista come se avesse tutto l’inferno alle calcagna. Un paio dei suoi servi lo seguirono nel passaggio laterale, invocando il suo nome e cercando di fermarlo.

 

Buffy non capiva cosa fosse successo ma capì che era la sua sola occasione. Nel tentativo di scacciare ciò che solo lui vedeva, Spike aveva colpito uno dei suoi servi che bloccavano la cacciatrice. Il vampiro colpito da Spike aveva allentato la presa, sorpreso dal comportamento del suo maestro e un po’ stordito dal colpo.

 

Appena sentì la presa attorno alle braccia allentarsi, Buffy agì.

 

Ruotò il polso in modo da divincolarsi, liberò il braccio e infilò il paletto che stringeva in mano nel petto del vampiro frastornato. Poi rifilò una testata ad un vampiro alle sue spalle con una mossa di judo scaravento a terra un terzo che le stringeva l’altro braccio. Altri due li spinse lontano con un calcio frontale, mandandone uno addosso all’altro.

 

Una volta libera impalò i due vampiri a terra con tutta la forza che aveva. Si rialzò velocemente per fronteggiar gli altri.

 

Uno dei non-morti che le stavano di fronte la colpì in pieno volto con un pugno, facendola arretrare di un passo. Quando cercò di colpirla di nuovo trovò sulla sua strada l’avambraccio di Buffy che, con un sorriso per niente amichevole in volto, gli bloccò il braccio.

 

“Ora tocca a me!” Disse, sferrando un pugno di tremenda potenza. Il flebile schiocco dello zigomo che si rompeva risuonò nelle sue orecchie come un piccolo boato. Buffy fece un sorrisetto felice.

 

“Adesso sì che va come piace a me.”

 

Cinque minuti e tre vampiri dopo, la Cacciatrice si diresse a passi lenti e calmi verso l’altare. Si sentiva esausta e la testa leggera, ma era decisa a non mollare. I suoi occhi fiammeggiarono quando videro

 

Lo stregone era ora accanto a Willow il pugnale stretto al corpo,indeciso sul da farsi.

 

“Se osi toccarla ti farò molto male. Lo giuro su ciò che ho di più caro,” lo minacciò con un sibilo velenoso che si sparse nell’aria immobile della caverna in modo nitido. Onestamente Buffy aveva ugualmente intenzione di fargli molto male. Quello che aveva fatto a Willow era imperdonabile, ma non era necessario che Rack lo sapesse. Almeno per il momento.

 

Lo stregone guardò la Cacciatrice con occhi esterrefatti, cercando di decidere il da farsi. Il suo sguardo saettò per un istante sul pugnale dalla luce verdastra che stringeva in mano, ma scartò subito l’idea quando vide la Cacciatrice tendersi come un arco e le sue nocche sbiancare, mentre il paletto passava dal suo pugno in punta delle sue dita con un movimento fluido, pronto per il lancio.

 

Alzando le mani sopra la testa, lo stregone lasciò cadere il coltello, e prese a pronunciare alcune arcane parole. Subito una nebbia nerastra lo avvolse. Quando si diradò dello stregone non c’era più traccia.

 

Buffy si affrettò al fianco dell’altare e si assicurò che lo stregone se ne fosse davvero andato. Poi si voltò verso la figura legata alla lastra di pietra. Willow. Qualcosa le si mosse dentro, mentre la osservava da vicino, e mentre armeggiava con le corde per liberarla fu costretta ad interrompersi. Una serie di irrefrenabili conati la scosse e si ritrovò in ginocchio a vomitare, ai piedi dell’altare, la sua bile che andava a mischiarsi con il sangue semi rappreso. Quando si fu ripresa un po’ riprese ad armeggiare con le corde, mentre sussurrava frasi sconnesse che sperava arrivassero all’orecchio di quella figura distrutta, la sua amica, la sua Willow, come rassicuranti.

 

 

 

Buffy sentì il corpo di Tara scosso dai singhiozzi premere contro il proprio in cerca di conforto. Accentuò il suo abbraccio desiderando trasmettere alla strega bionda un po’ di forza. Sapeva di aver raccontato più di quanto avesse voluto, seppure avesse taciuto delle cose. Le era parso che anche così fosse più che abbastanza. Aveva raccontato dei particolari che neanche Dawn conosceva e non aveva la più pallida idea di quale sarebbe stata la reazione della giovane.

 

Sua sorella la guardava sconvolta, il volto rigato dalle lacrime, incapace di parlare per l’orrore di ciò che aveva ascoltato. Dawn non aveva mai visto i segni della devastazione sul corpo di Willow. Era stato impossibile tacerle il fatto che erano molto estesi e che era uno spettacolo meno che piacevole, vivendo sotto lo stesso tetto. Ma Willow e Buffy avevano deciso di risparmiarle lo svolgimento preciso dei fatti e cosa fosse avvenuto nello specifico.

 

Buffy si accorse che anche i suoi occhi erano pieni di lacrime ma rinunciò ad asciugarli per non dover allentare la presa di conforto su Tara. Ripercorrere quegli avvenimenti le dava sempre un leggero senso di malessere, ma ora non poteva permettersi il lusso di pensare a sé. Continuò a tenere stretta la strega bionda fra le braccia finché non le parve che i singhiozzi che la scuotevano fossero diminuiti un po’.

 

Dopo alcuni minuti, Tara si scostò da Buffy per poterla guardare in faccia. “D-Dimmi t-tutto. S-so che n-non è t-tutto qui. D-dimmi a-anche il resto.” Nelle sue parole c’era un senso di urgenza e di disperazione che le stringeva il cuore, come se il suo desiderio di sapere fosse per Tara un modo per assumere su di sé parte dello schiacciante fardello di Willow.

 

È questa la cifra del vero amore? Si domandò. Voler condividere anche le cose più terribili di chi si ama, seppure chi le ha subite rifiuta di farti entrare nella sua vita?

 

“Non è una buona idea,” avrebbe voluto dirle, ma la fermezza nei suoi occhi inondati di lacrime non ammetteva repliche. “T-ti p-prego.” Insistette la strega bionda, seppure sentisse il suo stomaco sul punto di rivoltarsi contro di lei.

 

Allora Buffy annuì e si costrinse a continuare, incapace di sostenere quello sguardo e puntando un punto del pavimento accanto ai suoi piedi. “C’è poco ancora da dire. La slegai, facendo attenzione a non farle male, per quanto possibile. Mi assicurai velocemente che non ci fosse più nessuno e andai a chiamare il pronto intervento con il mio cellulare. Willow mi fissava, quando mi allontanai, ma era tranquilla perché sapeva che sarei tornata. Avrei voluto rimanerle accanto ma non c’era campo nella caverna. Tornai dentro ad aspettare i soccorsi, dopo aver dato all’operatore tutte le indicazioni possibili. Fui grata a non so quale divinità che fosse solo svenuta quando ritornai da lei e la trovai con gli occhi chiusi e sembrava non respirasse.” Cercò di tagliar corto contenta della sua decisione alla vista di ciò che seguì.

 

Come se non riuscisse più a sopportare il peso di quelle parole, Tara si alzò di scatto e attraversò di corsa il soggiorno, diretta in bagno. Sentiva il suo stomaco non reggere più la tensione che si era impadronita di lei, come se qualcuno avesse stretto il pugno attorno alle sue viscere e le stesse strizzando.

 

Buffy e Dawn la seguirono alcuni istanti dopo, ma prima di arrivare sull’uscio udirono distintamente i rumori strozzati di una persona che sta rigettando. Quando le si accostarono videro gli occhi gonfi e arrossati e il viso mortalmente pallido della loro amica accovacciata sul pavimento, di fianco al water. Percepirono il dolore che provava per ciò che era accaduto alla donna che amava così intensamente e il senso di colpa che le velava gli occhi di lacrime.

 

Forse sarebbe stato meglio non dirle niente, pensò cupamente Dawn.

 

Senza dire una parola aprì il rubinetto e immerse nell’acqua fredda un asciugamano, prima di passarlo delicatamente sul volto di Tara, che rimaneva immobile, lo sguardo fisso nel vuoto delle parole che aveva ascoltato.

 

Buffy aiutò la strega bionda a rialzarsi e tenendola stretta a sé la ricondusse in soggiorno. La fece stendere sul divano, e si sedette in modo che poggiasse la testa sulle sue gambe, accarezzandole i capelli e sussurrandole parole di conforto, sperando di calmare i singhiozzi che ancora la scuotevano.

 

Dopo un po’, Tara si tirò su lentamente, mettendosi seduta. Il respiro era divenuto più regolare e le lacrime non scendevano più lungo le sue guance. Aveva ripreso un po’ di colore.

 

Dawn le si portò di fronte e le porse un bicchiere d’acqua che Tara bevve avidamente. Restituendo il bicchiere, fece alcuni lunghi respiri come se volesse inghiottire più aria possibile, quasi dovesse farne scorta per il futuro.

 

“B-Buffy…” sussurrò, voltando appena il volto verso la figura bionda che le sedeva accanto. “Dimmi…” Le labbra appena increspate in un sorriso malinconico. Tara prese un grosso respiro e poi disse d’un fiato: ”Dimmi il resto. Co-cosa è successo d-dopo?”

 

Buffy fu presa in contropiede dalla richiesta e ricambiò lo sguardo supplichevole della sua amica, incerta sul da farsi. “Non è una buona idea”, replicò dolcemente. ”Forse un’altra volta…”

 

Dawn andò a sedersi con loro sul divano, dall’altra parte, prendendo una delle mani di Tara tra le sue e cercando di perorare le intenzioni della sorella “Ha ragione, sei troppo sconvolta.” Le disse preoccupata dalla precedente reazione al surplus di informazioni ricevute.

 

“Vi prego, posso farcela.” La sua voce era un sussurro quasi impercettibile ma i suoi occhi e il modo in cui tentava di non far tremare le sue mani esprimevano una volontà ferrea.

 

“Non lascerai cadere l’argomento,vero?” Buffy aveva l’impressione che l’inquietudine di Tara sarebbe aumentata di più se le avesse taciuto che se le avesse detto tutto con dovizia di particolari. Era come se Tara si rimproverasse di non aver subito lo stesso destino di Willow, o di non essere stata lì per impedirlo. Come se volesse punirsi.

 

Tara si sforzò di sorridere. “Non ti lascerò andare da nessuna parte finché non mi avrai detto tutto.”

 

“In realtà, ti ho già detto praticamente tutto” tentò la Cacciatrice.

 

“N-non a-attacca, comunque g-grazie di averci p-provato. S-sono s-sicura che ci sono molti punti sui quali hai intenzionalmente sorvolato. Mi spiace di essermi lasciata a-andare,” disse riprendendo il suo auto-controllo mano a mano che parlava, “Ora sto meglio e non c’è bisogno che tu mi protegga.” Tara le posò una mano sull’avambraccio che la cingeva attorno alla vita, assentendo in modo convinto e le regalò l’ombra di un sorriso.

 

“Va bene” sospirò Buffy, ancora incerta se fosse realmente il caso di dirle tutto. “Su cosa avrei sorvolato?” chiese cercando di sviarla. Si staccò da Tara, arrossendo lievemente per il fatto di essere stata scoperta, sebbene il suo viso si atteggiasse in un broncio furbo, Notò che la strega bionda non balbettava più e si chiese a cosa fosse dovuto.

 

“Ad esempio, come mai non si è difesa, se era una così forte strega nera? Tanto forte- e premetto che di una così forte,“ disse, sottolineando l’aggettivo, “non ho mai sentito parlare- tanto da rimettersi in meno di due mesi da tutte le orribili lesioni che le erano state inflitte.”

 

L’idea di qualcuno che avesse accumulato tutto quel potere nelle arti nere infastidiva Tara in modo terribile. L’idea che fosse stata Willow a violare le leggi naturali della magia le dava un senso di sconfitta profondo, che non riusciva a scrollarsi di dosso. In fondo lei era stata la sua prima maestra in un certo senso.

 

“Neanche tu con i tuoi poteri di Cacciatrice ce l’avresti fatta, all’epoca, se fossi ridotta in quel modo. E la magia nera si nutre di chi la pratica. Guarire con essa è un po’ un circolo vizioso.” Tara cercava di dare ordine ai pezzi disuniti di quel puzzle che continuava a non tornarle, per quanto si sforzasse. Il suo corpo era un susseguirsi di tremiti che solo la sua volontà riusciva a tenere parzialmente a bada.

 

“Era così stanca in quei giorni…” si lasciò sfuggire Buffy, sbigottita dalle doti d’intuito che Tara stava dimostrando. “Troppo stanca per combattere.”

 

Era evidente che nella lunga pausa seguita alla sua crisi, il cervello di Tara era venuto mettendo insieme tutti i fatti che aveva raccolto, sia i più recenti che quelli che aveva accumulato in precedenza. A questo punto deve essersi accorta delle incongruenze, pensò Buffy. Per di più il soggetto del discorso la rendeva probabilmente anche più percettiva.

 

Prima che Tara potesse commentare le sue parole Buffy la guardò e disse: “Ok. Hai ragione, non ti abbiamo detto tutto. Willow… non ha passato un mese e mezzo in ospedale... ce ne ha passati quasi sei. Sei lunghissimi mesi.” Sapeva di dover spiegare almeno questo e sperava che, per quanto sgradevole fosse ciò che stava per dire, facesse almeno cadere la prima domanda. Quello era un segreto di cui solo lei e Willow erano a conoscenza e lei aveva giurato che nemmeno Dawn e Xander lo avrebbero mai saputo. Qualcosa le diceva, però, che stanotte molte promesse sarebbero state infrante.

 

“Il primo mese è stato terribile. Giaceva in quel letto senza dire una parola, quasi completamente ingessata affinché le fratture non si muovessero provocandole dolore, con tubi che le uscivano da tutte le parti e monitor che vigilavano sui suoi segni vitali,” continuò, incapace di centellinare le informazioni.

 

“I medici stupivano che fosse viva, per via di tutto il sangue che aveva perso. Aveva segni di zanne un po’ ovunque, nascosti dagli ematomi e dalle ferite. Non fu troppo dura far credere loro la storiella della setta satanica e del resto non sembravano neanche prestare troppa attenzione. Sai com’è Sunnydale. Tutti sanno cosa succede, ma nessuno vuole saperlo davvero.”

 

Tara annuì.

 

“Nei primi dieci giorni si preoccuparono solo del fatto che respirasse, ma si poteva leggere nei loro occhi la convinzione che presto il letto in corsia sarebbe stato libero e uno di quelli della morgue avrebbe avuto un nuovo ospite. Una volta sentii dei paramedici parlare di un giro di scommesse che avevano messo su, una sorta di lotteria. Vinceva chi indovinava la data della sua…”

 

Tara sbiancò, capendo al volo. “…della sua morte” terminò per lei.

 

Buffy annuì, voltando lo sguardo verso un punto indefinito della stanza, la sua mente che volava incontro ai ricordi di quel tempo e alle sensazioni che aveva provato in quei momenti. “Avrei voluto ucciderli, far loro del male! Come potevano scommettere su quando la mia migliore amica sarebbe morta? Come potevano essere così cinici? Così insensibili?  Davvero credevano di poterlo fare?  Volevo dare loro una bella lezione!” Buffy scosse la testa cercando di scacciare la rabbia che il ricordo aveva riportato a galla.

 

“Ma poi, invece, mi è venuta un'altra idea”. Buffy tornò a guardare Tara, che la fissava intensamente, quasi le sole orecchie non le bastassero per comprendere tutto ciò che ascoltava. “Cosa hai fatto?”

 

Al ricordo una strana luce si accese nei suoi occhi, conscia dello sguardo interrogativo della strega, rilassandole i lineamenti. “Be’, ho puntato anch’io!” disse girando i palmi i verso l’alto come a dire ‘che altro dovevo fare?’. “Io e Xander a dire la verità.”

 

Tara spalancò la bocca stupita, non sapendo quale sentimento fosse più adatto tra la rabbia e il biasimo.

 

“Abbiamo vinto quanto bastava per una rata del mutuo!” aggiunse Dawn, sorridendo anche lei divertita dal ricordo, nonostante il suo viso fosse ancora rigato dalle lacrime.

 

“So che sembra insensibile e assurdo…” provò a dire Dawn, ma Tara la fermò con un gesto della mano,

 

evidentemente più rilassata. Aveva capito. Non era stato un gioco per Buffy e Xander. Nessun cinismo. Solo speranza incondizionata. Amore incondizionato. E fiducia incrollabile in Willow. Buffy e Xander avevano scommesso sul fatto che Willow non sarebbe morta. Avevano puntato sulla vitalità e sulla forza di volontà di Willow e avevano vinto. Era stato un atto di fiducia totale, preso senza alcun ragionamento a priori. Assoluto. Non poteva avercela con loro per questo.

 

“Dopo venne il peggio” riprese Buffy tornando seria, le mani che pizzicavano i pantaloni come a dover togliere chissà cosa. “Quando finalmente furono certi che le sue condizioni erano stabili cercarono di risistemarle gli arti…” Tara vide ricacciare indietro le lacrime, che lottavano per salirle nuovamente agli occhi. “Dopo venti giorni le ossa avevano iniziato a saldarsi…”

 

L’orrore della comprensione si fece avanti negli occhi di Tara. La sua mano serrò la presa su quelle di Dawn. “Ricordo ancora le urla che riecheggiavano per tutta la corsia, e come mi sentivo impotente, lì fuori, mentre la immaginavo distesa sul letto, come l’avevo vista poco prima, così esile, fragile, spezzata, incapace di muoversi, indifesa, costretta a farsi rompere le ossa ad uno ad uno per cercare di rimettere tutto a posto; mentre si contorceva dal dolore sotto i colpi del martelletto nelle mani del traumatologo.” Buffy non riuscì a trattenere un brivido sotto il suo stesso torrente di parole. Il dolore non trovò più ostacolo nella sua ferrea volontà. Si accorse che Tara era nella sua stessa situazione. Una singola lacrima oltrepassò la barriera delle ciglia, rotolando giù dalle guance fino al mento.

 

“Quando finalmente mi fecero entrare, le chiesi come andava. Sembrava così banale, così inutile fare una domanda del genere. Ma non sapevo cosa dire e gliela feci comunque.”

 

“Il dolore è l’unica prova che sono ancora viva,’ mi disse, dopo che l’ebbero ingessata di nuovo e messa di nuovo sotto trazione, quando le riferii come mi sentivo. Il dolore. Willow era sempre stata così piena d’amore, così…speciale. Riusciva ad illuminare una stanza con il suo buffo umorismo. Anche nel periodo nero, quando era intossicata dalla negromanzia, erano ben visibili le tracce della vecchia Willow, a tratti. Era il otivo per cui non riuscivo a prendere una posizione nei suoi confronti.” Il tono di Buffy si era fatto amaro, la voce appena più dura. “Le avevano lasciato solo il dolore per sentirsi viva. Mi sentivo sempre più arrabbiata ogni volta che la vedevo su quel letto, faticare terribilmente anche solo per prendere un bicchiere d’acqua dal comodino o per sistemarsi più comodamente il cuscino.”

 

Buffy scosse la testa, cercando di ricacciare indietro la rabbia, fallendo miseramente.

 

“Avrei voluto dargli la caccia a quei due maledetti bastardi, prenderli e torturarli come avevano fatto con lei, ma non volevo lasciare sola Willow per troppo tempo. Dawn aveva la scuola e io cercavo di stare lì quanto più il lavoro e gli studi me lo permettessero Senza contare le ronde.” La presa sul suo avambraccio si intensificò leggermente, testimoniando il muto ringraziamento di Tara alla Prescelta.

 

”Li cercai ovunque. Sembravano spariti, come inghiottiti dalla terra stessa. Nessuno sapeva dove erano finiti. Ero in preda ad una furia di cui non mi credevo capace. Pur di trovarli ero disposta a rivoltare l’inferno. Ero disposta ad andare avanti all’infinito. Al diavolo le conseguenze! Poi alla fine ho smesso di cercarli.”

 

“Cosa ti ha convinto a smettere di cercarli? Chiese Tara, intuendo che quella rabbia non poteva essersi estinta tanto facilmente.

 

 “Willow. Un pomeriggio Willow mi ha detto che era felice che non li avessi ancora trovati. Io non capii. Come poteva essere felice che non avessi trovato e punito chi le aveva fatto…quello? Fu come se mi leggesse dentro. Mi disse che in famiglia bastava una persona sola ad aver perso l’anima. Mi disse che il mio compito non era portare avanti vendette private. Che dovevo proteggere tutti e non solo la famiglia. Che lei sarebbe sopravvissuta se io l’avessi appoggiata e avessi dimenticato l’idea di vendicarmi. Era così seria e triste. Come potevo dirle di no?” Un’ombra attraversò il viso di Buffy, indecifrabile.

 

Continuò con fervore. “Willow mi fece capire che non dovevo farne un’ossessione. Non dovevo diventare come lei era stata nei confronti della magia. Probabilmente mi salvò l’anima.

 

“Tipico di Willow salvare gli altri e non se stessa, no?” Buffy sorrise mestamente facendo una pausa, sopraffatta dai ricordi. Tara non potè trattenersi dall’annuire a quella affermazione, attendendo che il torrente di parole di Buffy seguisse il suo corso. Quando le parve che Buffy avesse terminato, chiese: “Come stava lei? Cosa provava?”

 

“Quando sembrò essere completamente fuori pericolo iniziò la riabilitazione. Fu lunga e difficile all’inizio. Una parte di lei si vergognava di ciò che era accaduto, di non essere riuscita ad evitarlo, di provare dolore nel muoversi appena. Era terrorizzata dalla possibilità di non poter essere più indipendente. Poi c’era il dolore…” ‘di non poter avere figli. Mai più.’ Ma questo non lo disse.

 

D’un tratto accantonò quel pensiero e sembrò trovare nuova forza per continuare. “Ma un’altra parte bruciava dal desiderio di sconfiggere l’infermità, ricacciava indietro il dolore, rifiutava categoricamente di arrendersi.” Tara si accorse della luce negli occhi di Buffy mentre andava avanti. Puro orgoglio. “Per noi. Si attaccava alla vita come se fuori da quelle mura avesse uno scopo più alto.” Buffy si pentì quasi subito di quella frase, temendo che la strega bionda pensasse alla vendetta che Willow aveva poi messo in atto. Cercando di sorvolare riprese il suo racconto. “I medici stupivano per la sua tenacia. Non capivano come facesse a riprendersi così in fretta, come mai le sue ossa saldassero più velocemente di quelle di chiunque altro. Una figura così esile che passava in quattro mesi dal letto alla sedia a rotelle e da quella alle stampelle! Naturalmente sarebbe stato inutile dire loro che il processo era accelerato dalla magia nera. “ Si rese contò che quell’esposizione poneva Willow sotto una luce contraddittoria.

 

“Ha usato la magia nera per guarire? Credevo che avesse rinunciato dopo quello che era accaduto?” Tara sentì un’ondata di malessere assalirla. Perché aveva usato la magia nera? Era così importante per lei? La magia era ancora in cima alla lista delle sue priorità? Perché non c’era lei, Tara, in cima a quella lista? No, questo non doveva pensarlo. Come poteva non pensarlo?

 

Buffy cercò di spiegare gli eventi di quei momenti così difficili. “Mi rendo conto che avremmo dovuto fare qualcosa. Non avremmo dovuto permetterle di continuare a giocare con la magia nera. Ma l’idea che soffrisse era difficile da digerire. Noi eravamo semplicemente felici che si stesse riprendendo, tanto da essere portati a sorvolare sui modi. Potremmo dire che la felicità ci aveva ottenebrati e volevamo fidarci del suo giudizio quando ci ripeteva che non avrebbe permesso alla magia di renderla schiava un’altra volta. So che sembriamo degli ingenui, messa così, e forse lo siamo stati; ma che altro potevamo fare?” La scusa risuonò debole anche alle sue orecchie.

 

Buffy si accorse che la sua memoria stava lavorando a salti, portandele in primo piano dei singoli episodi e non permettendole di ricostruire i fatti con rigore cronologico. Le venne da pensare che comunque non aveva importanza. L’importante era la sostanza, la verità innegabile di due occhi  verdi capaci di dirigere magie così potenti da mettere in fuga un demone che l’aveva stesa e da distruggere un maestro vampiro rimanendo limpidi, oscurati solo dalla stanchezza, velati solo dalla preoccupazione derivata dal suo amore per la sua famiglia. Per loro. Un amore che affondava le sue radici nella tenacia e nell’intelligenza; nella volontà ferrea di proteggere con tutto ciò che era parte del suo essere. E la magia era una parte integrante dell’essere Willow Rosenberg. Dopo tutto quello che era accaduto, dopo che il dolore l’aveva quasi portata a voler distruggere l’universo per un lungo intero momento, dopo che la magia l’aveva sprofondata ai suoi minimi storici, era comunque innegabile che fosse una parte di lei. Willow Rosenberg era la sua migliore amica, un’anima tormentata, una giovane donna dalle capacità intellettuali incredibilmente avanzate, una programmatrice ed un hacker di indiscusso talento e molto altro. Ma era anche una strega potente che aveva conosciuto molto bene la magia nera ed era riuscita a vincere la sua dipendenza da essa. Era parte di lei, e sarebbe stato stupido da parte loro negarlo.

 

Buffy tornò al presente. “In un qualche modo venimmo premiati della nostra fiducia. Un giorno, di punto in bianco, mi disse di avere deciso di smettere di usare la magia nera. Mi disse che si era data una scadenza improrogabile. Faticavo a crederle, dopo la sua… ‘intossicazione’…e visto il suo stato.” Non trovava un termine migliore di quello. Intossicazione. Un termine alieno e calzante allo stesso tempo. “Io ero propensa a pensare che sarebbe stato meglio che smettesse del tutto con la magia. Xander fece delle scenate terribili per cercare di convincerla che la magia non le serviva, che noi l’amavamo aldilà delle sue capacità magiche.”

 

“Willow gli parlò come ad un bambino,” interloquì Dawn con un leggero sorriso. “Gli spiegò con  molta calma perché non poteva rinunciare alla magia, come fosse parte di lei, come fosse dentro di lei e non se ne sarebbe andata solo perché lui era spaventato. Come qualcosa  nel suo DNA. In questo le fu di aiuto Anya, con la sua tipica sfrontatezza, che disse che per Willow avere la magia era come avere la vagina. Non era una scelta consapevole, ma parte di ciò che la definiva come essere umano. La vagina come donna, la magia come strega.” Buffy arrossì mentre ricordava il paragone usato dall’ex-demone e vide Tara tingersi di una sfumatura di porpora dalla radice dei capelli fino al collo, dove la sua pelle scompariva sotto la felpa leggera che indossava.

 

Tara annuì. “A-Aveva ragione,” si limitò a dire.

 

Buffy annuì. Aveva capito da tempo quel tipo di dinamiche. Faceva ancora fatica ad accettarle, ma ora le capiva. Dawn d’altra parte aveva in Willow una fiducia incrollabile. La parola di Willow che non c’era altro modo le era stata più che sufficiente.

 

“Comunque aveva messo su la sua espressione risoluta e sembrava così ferma nelle sue intenzioni che mi sembrò naturale che ce l’avrebbe fatta,” concluse Buffy.

 

“E’ sempre stata molto testarda” interloquì  di nuovo Dawn.

 

Tara sorrise alla giovane e così fece Buffy. “Quando la riportammo a casa fu bellissimo e molto commovente” riprese la giovane dai lunghi capelli castani. “Non riuscivamo a smettere di piangere, nessuna delle tre, quando entrò sulle sue 4 gambe. Aveva insistito che doveva farcela da sola,” aggiunse notando l’occhiata stupita di Tara. “MOLTO testarda.”

 

Tara sospirò in un gesto di muto accordo alle parole della giovane, mentre la sua mente processava tutte le informazioni ricevute. I fatti erano iniziati finalmente ad affluire anche se mancavano di molti dettagli. Si disse che non importava, che avrebbe potuto chiedere in seguito. Ora le interessava solo sapere quali fatti erano accaduti e se c’era una speranza che Willow tornasse ad essere la sua Willow. La mia Willow. Un grosso sorriso le illuminò il bel volto al pensiero del piacere che provava solo nel ripetersi quelle parole nella mente. Quella frase le sembrava possedere una dolcezza semantica tutta particolare.La mia Willow.

 

Ma un’ombra rimaneva. Una minaccia alla dolcezza di quella frase. Un ostacolo più grande degli altri alla possibilità di relizzazione di quella frase. La magia nera non era un prodotto con data di scadenza. Non si poteva buttare via seguendo una qualche sorta di indicazioni sul retro della scatola, soprattutto se la si era usata per uccidere. Willow era una strega autodidatta dalle enormi capacità di apprendimento e tra loro due era stata lei, senza alcun dubbio, nonostante la sua timidezza, quella che non si tirava mai indietro da una battaglia. Forse per testardaggine, spesso perché temeva che il male potesse arrivare fino a Tara e a tutti gli altri che amava. Ed era potente. Tara l’aveva intuito la prima volta che le loro dita si erano sfiorate, tanti anni prima, quando avevani sbarrato la porta del seminterrato con la macchina delle soda, contro i Gentlemen che le stavano inseguendo. Era stato come se sopra la testa di Willow si fosse accesa un’insegna luminosa che diceva: ‘Qui grandi energie magiche.’ Quello che aveva sentito erano incredibili energie in corpo straordinariamente esile (anche se poi aveva scoperto che era pieno in tutti i punti giusti). Era stata certa che se avesse imparato a focalizzare quelle energie, il suo potere e la sua capacità di fare incantesimi sarebbero stati quasi illimitati.

 

Decise di accantonare per un attimo quel pensiero e di esprimere invece i suoi primi dubbi alle due che ora la guardavano incuriosite prima dal suo sorriso beato e poi dal suo sguardo serio, puntato risolutamente verso il muro. “Come si è liberata della magia nera dopo la morte di…?” titubò, non volendo sembrare troppo ossessiva con le sue domande e rifiutando di pronunciare il nome dello stregone nero. Quel nome le si associava sempre a qualcosa di freddo nello stomaco che poteva chiamare solo odio. Per evitare di provare quella sensazione cercava di escludere tutto ciò che riguardava Rack dalla sua mente, persino il nome.

 

“Non conosciamo i particolari. Willow non ne parla” rispose Dawn. “E’ un assoluto tabù.”

 

Buffy fu lieta che a rispondere fosse stata la sorella, non dovendo così mentire dando la stessa risposta. Lei aveva saputo, dopo la morte di Rack e Spike, che nei mesi d’ospedale e nel mese intercorso dal suo ritorno a casa, Willow si era molto esercitata con la complicità di Anya nell’uso della magia bianca nelle lunghe ore solitarie della degenza, attenta a non venire scoperta da nessuno, così come utilizzava ancora la magia nera.

 

Lo sentiva come un formicolio sulla pelle, grazie ai suoi poteri di cacciatrice. Aveva pensato che fosse  un percorso simile e parallelo a quello fatto con la magia nera, ma con una nuova consapevolezza e la volontà di non divenirne più dipendente. Le capacità che veniva acquisendo non erano però sufficenti a permetterle di combattere e vincere uno stregone così forte o un vampiro di circa 150 anni. Ecco perché aveva deciso di sostenere un’ultima battaglia affidandosi alla necromanzia, pur sapendo che, per non pagare lo scotto con la sua anima, avrebbe potuto doverlo pagare con la sua stessa vita.

 

Dawn si passo una mano tra i lunghi capelli prima di rispondere alla domanda che Tara le aveva posto e che Buffy, seguendo il filo dei propri pensieri non aveva colto. “Non proprio una data. Diciamo più una scadenza. Un mese esatto dal suo ritorno a casa, disse. E così fu. Il peggio fu che quando vi rinunciò, dovette fare a meno anche delle energie magiche che sostenevano il suo corpo. La sua guarigione tornò ad essere penosamente lenta e dolorosa. Inoltre la battaglia con Rack l’aveva svuotata, risucchiandole via tutte le forze come in un buco nero. Che non sia tornata sulla sedia a rotelle è un altro miracolo nella lunga serie de ‘L’anno Nero dell’Hellmouth e della giovane Willow Rosenberg, strega e hacker’, se così vogliamo chiamarlo,” cercò di sdrammatizzare Dawn con un sorriso.

 

Poi Dawn si alzò e andò in cucina senza dire una parola. Un minuto dopo ritornò tenendo in mano una bottiglia di cognac e tre bicchieri. “Penso che a questo punto un goccio di questo non ci farà male.”

 

Riempì due dei tre bicchieri con una generosa dose del liquore ambrato e versò una razione molto minore nel terzo. Era ben conscia della scarsa attitudine agli alcolici di Tara.

 

Distribuì i bicchieri che vennero accettati con un’espressione di gratitudine.

 

Sorseggiarono il liquore, lasciando il bruciore che provocava nel loro stomaco provasse a riscaldare loro il cuore. Dopo il primo sorso, il buon sapore sostituì il bruciore dell’alcol.

 

Quella era un’altra incongruenza della vita. Ciò che faceva più male a posteriori era talvolta ciò che dava i maggiori benefici immediati.

 

Come la vendetta.

 

Dawn non riuscì a tenere quel pensiero lontano dalla propria mente. Voleva bene a Willow. E la stimava come mai aveva stimato qualcun altro in vita sua. Ma ogni tanto…

 

Se Dawn Summers avesse dovuto mettere su di una bilancia i meriti e le colpe di Willow, sapeva da che parte, su quale piatto, sarebbe stato il carico maggiore. Era stata Willow ad assicurarsi che lei (e Buffy) avesse ancora un tetto sopra la testa, quando le cose andavano veramente male e il rischio di uno sfratto era divenuto concreto. Il suo lavoro di programmatrice l’aveva portata a guadagnare molti soldi in un tempo relativamente breve e la sua abilità aveva convinto i suoi capi a lasciarla lavorare a casa pur di non perderla, seppure avesse un ufficio, che visitava di rado, nella sede della Sunnydale Computer Services Inc. Ma all’inizio era stato un vero tormento per lei, battere sui tasti nelle sue condizioni.

 

Eppure era riuscita a riscattare dalla banca la casa in cui vivevano, e, come se non fosse ancora abbastanza, l’aveva silenziosamente intestata a lei e a Buffy, continuando a pagare loro l’affitto della sua stanza e la sua parte di spese.

 

Quando la cosa era poi venuta fuori, il giorno in cui Buffy era andata a chiedere una proroga per il pagamento della rata del mutuo, Willow si era difesa dicendo che in fondo erano solo soldi e che lei ne aveva ora più di quanti in realtà gliene servissero. Lo potevano considerare un piccolo regalo per l’assistenza che Buffy le prestava, aveva detto, e soprattutto, ci tenne a chiarire, per l’amicizia che le avevano dimostrato durante la sua infermità.

 

Il discorso era terminato lì. Willow non aveva voluto sentire alcun tipo di obiezione.

 

Poi erano venuto l’ultimo anno di liceo e l’inizio dell’università. Willow l’aveva aiutata e incoraggiata quando, dopo il diploma, aveva scelto di intraprendere gli studi in letteratura e scrittura creativa. Le aveva insegnato ad usare un computer in modo veloce ed efficiente. L’aveva ascoltata nei momenti di gioia e in quelli di tristezza, nelle piccole crisi che avevano puntellato la sua vita e che talvolta le apparivano insormontabili, riportando tutto, con sano buonsenso (e con forse un pizzico di cinismo di troppo, talvolta) alle giuste proporzioni.

 

Le aveva addirittura insegnato tutto ciò che aveva bisogno di sapere sul sesso. Di nascosto da Buffy, ma l’aveva fatto.

 

E le aveva dato dei principi morali perché potesse affrontare la vita adulta in modo responsabile.

 

Sì, sapeva da quale parte pendeva la bilancia. Ma la differenza non era così schiacciante come avrebbe dovuto essere.

 

Per quanto non trovasse nulla da eccepire nei principi che le aveva inculcato, aveva dei problemi a capire come quegli stessi concetti potessero provenire da una donna che aveva ucciso un uomo, per quanto così malvagio come Rack, senza mai mostrare un’ombra di pentimento in seguito. Non che Dawn avesse particolari problemi con la sua morte. Non dopo aver saputo da Buffy che Rack era tra i torturatori di Willow.

 

No, non era la morte di Rack in sé ad infastidirla. Semmai il comportamento di Willow a posteriori, cosi poco… da Willow. La strega rossa aveva certamente commesso molti errori in vita sua, ma sempre per eccesso di zelo nei sentimenti, per volontà di fare del bene. Mai per calcolo. Né per odio.

 

Willow aveva sempre avuto un cervello eccezionale che lavorava solo con il placet del suo cuore. Un cuore enorme, capace di un’immensurabile capacità di amare.

 

O almeno lo era stato fino al giorno della morte di Rack.

 

Poi qualcosa era cambiato, qualcosa che Dawn poteva percepire ma a cui non riusciva a dare una forma. Era come se i sentimenti fossero lì, avvolti in una cortina di nebbia e tutti i suoi demoni personali facessero la guardia perché non uscissero allo scoperto. Quando qualcosa riusciva a sfuggire a quel rigido controllo, era talmente labile e sfumato che si faticava a credere che fosse reale. Insomma il suo cuore aveva smesso di essere il controllore del suo cervello. E così il suo cervello aveva ridotto il suo cuore in catene.

 

Quando ci pensava, come in quel momento, Dawn sentiva formarsi nel suo cuore un groppo di rabbia, di cui si vergognava subito dopo. Aveva espresso questi sentimenti con Tara una volta, per telefono, ma da una parte c’era la necessità di non tradire segreti che non spettava a lei rivelare, dall’altra la strega bionda non aveva potuto aiutarla un granché, troppo presa dalle sue mille cose. Dawn non gliene faceva una colpa, ma darle i particolari che conosceva era sembrato fuori questione.

 

Almeno il tempo dei segreti è arrivato ad un doveroso capolinea stasera. Be’, almeno in parte.

 

Di questo, nonostante tutto, era felice, senza immaginare che le conseguenze peggiori, questa notte, riguardassero proprio lei.

 

Tara aspettò pazientemente che qualcuno riprendesse la parola e portasse a termine il racconto. Si sentiva stordita da tutti i fatti che le erano stati narrati, ma sentì anche la determinazione riscaldarla più del liquore che aveva sorseggiato appena, spingendola a voler sapere tutto, fino in fondo.

 

Quando le sembrò che nessuno ne avesse intenzione, si schiarì la voce, sperando che fosse un suggerimento sufficiente.

 

Buffy la guardò e capì. Bevve un lungo sorso del liquore ambrato e posò il bicchiere sul basso tavolino a fianco del divano. “Tre giorni prima della scadenza che si era imposta, Willow sparì di nuovo. Non era stata rapita di nuovo,” si affrettò ad aggiungere, notando il panico che stava apparendo negli occhi arrossati di Tara. “Se ne andò di sua volontà. Lasciò due lettere una per Dawn e una per me. Diceva di non cercarla, che ci amava e cose di questo tipo.”

 

Il  solito stile-Buffy, pensò Dawn. Più breve è, meglio è.

 

“Nella mia però c’era qualcosa di più,” continuò Buffy prima di prendere un lungo respiro. La pausa che ne risultò fu involontariamente di grande effetto, aumentando la tensione nella stanza.

 

“Dille cosa c’era scritto,” la spronò Dawn con voce stridula. “Così le farai venire un infarto prima che si arrivi alla fine!”

 

Buffy e Tara sorrisero, riconoscendo nel tono stridulo un briciolo dell’adolescente che Dawn era stata.

 

Buffy annuì. “Prima però devo dirti,” disse a Tara, “che in parte quello che è successo è anche colpa mia. Mi ero accorta che nel periodo subito prima che sparisse aveva intensificato i suoi studi e le sue pratiche nere. Ma ogni volta che la vedevo sembrava così serena che non ebbi il coraggio di dirle niente. Mi dicevo che avevo tempo, che gliene avrei parlato presto, che il mese era quasi passato e lei aveva promesso e non avrebbe mancato alla sua parola.

 

“Puoi immaginare come mi sentii quando non la trovammo in casa e dopo che trovammo le lettere.”

 

Tara annuì, incoraggiandola nel racconto.

 

“Nella mia lettera Willow mi chiedeva di rispettare la sua decisione e di andare la mattina del quarto giorno, poco prima dell’alba, al Memorial Park Cemetery. L’avrei trovata lì. Viva o morta.” La cacciatrice sospirò. “Voleva che andassi là a prendere lei o i suoi resti.”

 

Tara impallidì ancora di più.

 

Stai calma, si disse. quello è solo il passato e per fortuna non c’è stato alcun funerale a cui andare, in quell’occasione.

 

“Cosa trovasti quando andasti?” Perché non l’hai cercata? Perché non hai cercato di…”

 

“…impedirglielo?” terminò Buffy. “Willow è testarda, ma non stupida, lo sai. Assolutamente non stupida.” Buffy replicò in modo dolce. “Sigillò la casa con un incantesimo che si attivò quando aprimmo le lettere. Non potemmo uscire di casa per tre giorni e nulla poteva entrare. Aveva spedito Xander e Anya fuori città con un week-end premio per due a Disneyland, dicendogli che lei non lo avrebbe utilizzato e che tanto non aveva nessuno da portarci. Aveva riempito la dispensa di vettovaglie e tagliato i fili del telefono. Si era assicurata che nessuno dei suoi amici potesse seguirla. Vedi? Testarda…” ripeté. “…ma assolutamente non stupida.” Un mezzo sorriso di ammirazione apparve all’angolo della bocca della Cacciatrice.

 

Tara era sbalordita dalla precisione del piano di Willow. Le sue paure si accrebbero. Se aveva potuto agire in modo tanto premeditato, perché Buffy sembrava così…fiera…di lei?” Nessun altro aggettivo le parve calzare per l’espressione che aveva scorto sul viso della sua amica.

 

“Voleva vendicarsi! Pensava solo a quello!” Sbottò Dawn con amarezza. Poi in tono più comprensivo: “E’ difficile non comprendere. Ma è così…sbagliato! Così poco da Willow!”

 

Tara annuì il suo consenso.

 

Buffy pensò che non poteva permettere al latente risentimento di sua sorella di continuare a crescere, influenzando forse anche il giudizio di Tara. Era ora che Dawn capisse quale terribile scelta Willow aveva dovuto compiere. Perchè non aveva potuto fare altrimenti che uccidere Rack. Doveva tradire un ulteriore segreto e pregare che Willow le perdonasse tutta la fiducia che si stava bruciando in un colpo solo.

 

“Oh, stai zitta!” disse a quella sorella che era entrata così tardivamente nella sua vita ed era diventata così importante per lei tanto in fretta.

 

Due paia di occhi stupiti si girarono ad osservarla mentre riprendeva a parlare in tono più dolce. “All’inizio lo pensai anche io, cosa credi? Willow voleva chiudere in bellezza. Uccidere Rack e Spike e poi smettere di usare le arti nere. Probabilmente per decesso. La cosa mi sconvolgeva e mi faceva infuriare. Sospirò e riprese in mano il bicchiere, perdendosi nel fondo del liquore. Sentiva gli occhi delle due su di lei, la febbrile impazienza per le parole che non aveva ancora detto e lo stupore per la sua reazione. Terminò il cognac e ripose il bicchiere sul tavolo al fianco del divano.

 

“Quando arrivai al Memorial Park mancava circa un’ora all’alba. L’aria aveva appena iniziato a rischiararsi. La trovai nuda, seduta a terra. Aveva gettato le stampelle da una parte e se ne stava a gambe incrociate contro una vecchia quercia solitaria completamente avvizzita. Attorno a lei c’era un letto di foglie giovani, piene di linfa, in contrasto con la desolazione della pianta da cui dovevano essere cadute, che appariva completamente disseccata.

 

Willow piangeva e con una mano accarezzava la scorza dell’albero e gli prometteva di ridargli la vita che gli aveva tolto. I suoi gesti erano lenti e faticosi.

 

Poco lontano giaceva l’impermeabile di pelle che era stato di Spike e sotto un mucchietto di polvere che doveva essere stato Spike. Lo riconobbi subito. Il trench ovviamente.” Un sorriso le passo brevemente per il volto, subito risucchiato dai ricordi.

 

“Rack era poco più in là, morto. Gli occhi, completamente bianchi. Il resto era a malapena riconoscibile. Aveva il suo stesso pugnale piantato nel petto.

 

Volevo riportarla a casa e metterla a letto. Era così evidente che fosse sfinita. Muoveva a malapena le braccia. Quando mi vide sorrise, dicendomi che finalmente era finita. Mi disse di non potersi districare dalla sua posizione, di non averne la forza. Feci per aiutarla ma rifiutò, facendomi segno di sedermi di fianco a lei. Acconsentii. Era tempo di spiegazioni, mi disse, tra i brividi. Dopo averla coperta come meglio potevo, rimasi lì ad ascoltare cosa voleva dirmi, seduta di fronte a lei, col cuore combattuto tra la gioia che fosse ancora viva e il dolore di averla potuta perdere.” Buffy iniziò a piangere al ricordo di quei terribili momenti trascorsi con la sua migliore amica, comunque felice di aver omesso che la coperta di Willow, in quel momento, fu il trench di Spike e che lei ancora lo portava più spesso di quanto a Buffy facesse piacere vederglielo indosso.

 

Tara non sapeva più cosa pensare o dire. Si limitava a bere ogni parola che usciva dalla bocca di Buffy come un assetato nel deserto ad una fonte avvelenata.

 

Dawn non riusciva ancora a vedere il punto. Non le sembrava che questo, per quanto commovente, cambiasse le intenzioni di Willow. La semplicità con cui Buffy aveva sempre accettato le sue azioni non facevano che accrescere la sua irritazione. Lei era la Cacciatrice, preservava la vita. Perché non aveva mai biasimato le azioni di Willow? “E’ comunque una vendetta! Il fatto che se ne sia dispiaciuta non cambia i fatti! Perché dovrebbe?”

 

Buffy si sforzò di non arrabbiarsi, fallendo miseramente “Perché lo ha fatto per te, maledetta deficente!” sbottò alzando la voce, quasi mangiando la faccia di Dawn, gli occhi bagnati di lacrime. Poi con tono più dolce aggiunse “E per me.” Ormai non poteva non spiegare.  “Dawn, ricordi i giorni precedenti al rapimento di Willow?” chiese alla sorella, che sembrava raggelata dalla rivelazione e dal tono duro del rimbrotto.

 

Dawn annuì lentamente, stordita.

 

“Ricordi che Willow era sempre così stanca?” aggiunse annoiata da tutta la situazione e dalla scarsa ricettività di Dawn in quel momento. “Molto più stanca di quanto non fosse normalmente?”

 

Tara bagnò le labbra nel cognac, la sua mente che lavorava a velocità supersonica. Un’idea iniziò a farsi largo tra le mille che si erano affollate. Forse finalmente comprendeva le motivazioni che avevano spinto l’essere più dolce che aveva mai conosciuto a compiere azioni tanto esecrabili. Se era vero, rimpiangeva di non esserci stata per fermarla. O per aiutarla. Ormai non era più sicura di nulla. Neanche dei propri incrollabili principi.

 

Pensò che la vita talvolta ti spinge solo verso un bivio di scelte tra il minore tra due grandi mali. Il cuore le si riempì di tristezza. Fu come consapevole di dove il discorso di Buffy le avrebbe condotte, che le risposte che cercava fossero lì, tra le parole non ancora pronunciate ma ormai ineludibili. Si voltò verso Buffy in attesa che continuasse.

 

Senza aspettare risposta da Dawn, Buffy riprese a parlare, pensando di dover terminare prima di perdere il coraggio di farlo. “Ti sei mai chiesta il perché? Be’ te lo dico io.” Le sue parole erano un fiume in piena in un giorno di tempesta. Gli argini non tenevano più. Ogni reticenza era caduta sotto le sferzate della sua stessa rabbia a malapena trattenuta. “In quei giorni utilizzava tutte le sue arti e le sue energie gettando incantesimi protettivi su di noi! Su me e te!” Specificò, prendendo la mano di Tara, consapevole che ciò dava risposta anche ad una delle prime obiezioni della strega. Gettò uno sguardo dolce e triste sulla sorella, ingentilendo le proprie parole “Ne ha fatti di così potenti che non le rimasero energie per difendersi quando fu rapita.”

 

Ora sapeva. Il cuore di Tara si riempì di dolore e amore al contempo. Non riusciva ad avere altro pensiero coerente, se non un’immagine di Willow in piedi, con aria di sfida, contro un’orda di demoni che la colpivano da ogni lato, prostrandola. L’immagine le parve molto sciocca, ma non riusciva ad impedirsi di vederla così. Fragile ed eroica.

 

La rivelazione colpì Dawn come un macigno. Le lacrime le scesero dagli occhi, incontrollate, trasformandosi in fretta in singhiozzi che ne squassarono il corpo. Buffy si allungò, raccogliendo in un unico abbraccio entrambe le donne sedute con lei sul divano.

 

Dopo diversi minuti, quando sembrò che il loro respiro si fosse fatto più regolare aggiunse: “Rack aveva messo i suoi sporchi occhi su di te, Dawn. Eri la sua nuova ossessione. Willow non voleva che ti si avvicinasse e pensò di doverti proteggere. Fece un incantesimo così potente che neanche lo stregone nero poteva sciogliere. Subì tutte quelle torture perché si rifiutava di revocare gli incantesimi protettivi su di noi. Rack non poteva toccarti finché l’incantesimo agiva. Quello su di me mi salvò la vita nella caverna, come mi resi conto poi. Quando andò a cercarli e li uccise lo fece per lo stesso motivo. Per proteggere noi. Perché non avessimo mai più a che fare con un vampiro sadico e uno stregone che godeva nel distruggere l’innocenza. Come potevo non perdonarla?”

 

Capitolo XIX: Confessioni notturne

 

Willow rientrò per la porta posteriore verso le due del mattino. Dopo l’incontro con Janet era andata in un club ad ascoltare della musica indecente e a bere un paio di drink annacquati. Tutto pur di rimandare il suo rientro a casa. Almeno per un po’.

 

La chiacchierata con Janet le aveva fatto vedere quanto fosse stupido avere paura di qualcosa prima di sapere come sarebbe andata. Ma poi, una volta sola, la paura era ritornata. E così aveva dilazionato il rientro almeno per un altro paio d’ore.

 

Ora era lì, appena dentro la cucina in ascolto di eventuali rumori che testimoniassero la presenza di qualcuno ancora sveglio. Niente. La casa era immersa nell’oscurità e non si udiva nulla. Willow pensò, non senza un certo sollievo, che tutti gli altri fossero già a letto. A parte Buffy e Xander, naturalmente, che a quell’ora erano probabilmente in qualche cimitero a distruggere vampiri. Trovava quel pensiero rassicurante. Sapere che c’era Buffy là fuori, a combattere, come ogni notte, la battaglia contro le forze del male permetteva a tutti loro di dormire tranquilli. Almeno per quelli tra loro che la notte dormivano.

 

E sapere che Xander era con lei, al suo fianco ad aiutarla ad arrivare al fondo della notte, integra nella sua sanità mentale, contro un destino che non aveva potuto scegliersi…

 

Mentre si dirigeva verso le scale con l’intenzione di salire nella propria camera, Willow ringraziò la Dea per aver dato al mondo Buffy Summers la cacciatrice e Xander, l’amico dal cuore enorme. Mentre passava per il soggiorno, intravide una figura seduta in poltrona, la testa tra le mani e le spalle abbassate come se un enorme peso vi gravasse sopra. Un misto di stupore e preoccupazione la colse quando riconobbe in quella sagoma semi-invisibile nell’oscurità Buffy.

 

Buffy era seduta immobile, immersa nei suoi pensieri, e l’espressione del suo corpo non faceva presagire nulla di buono.

 

Willow le si avvicinò fino a porsi d fronte alla poltrona. “Buffy,” la chiamò. “Come mai sei a casa?  È successo qualcosa?” Chiese preoccupata.

 

Buffy non si accorse subito della presenza di Willow a pochi passi da lei. Quando sentì la sua voce trasalì. Dopo la lunga discussione serale, Dawn e Tara erano andate a letto, entrambe sconvolte e sfinite dal peso delle notizie apprese. Lei si era sentita troppo inquieta anche solo per dormire, per quanto la discussione l’avesse affaticata più di quanto potesse dire. Aveva accarezzato l’idea di fare una veloce ronda in cerca di qualche vampiro da eliminare per distendere i nervi, ma alla fine vi aveva rinunciato, temendo di non incrociare Willow al suo ritorno. Aveva telefonato a Xander e aveva annullato l’impegno serale.

 

L’idea le era sembrata sensata al momento. Era più che decisa a rivelare alla sua migliore amica quella sera stessa il fatto di averne tradito la fiducia. Ora che ne aveva l’occasione non ne era più tanto certa.

 

Buffy si scosse dai suoi pensieri e la salutò mestamente, nervosa su come affrontare l’argomento. Era stata un bel pezzo a chiedersi come spiegarle il fatto che aveva rivelato molti dei segreti che custodiva più gelosamente.

 

“Più o meno.”

 

Willow sentì tutto il peso della sua giornata piombarle addosso. Era stata una bella serata, tutto sommato. Il bar non era eccessivamente affollato, la musica era buona e il volume non esageratamente alto permetteva di poter parlare senza dover urlare spasmodicamente. Il pomeriggio era stato fruttuoso, nonostante Julia. E nonostante la madre di Andrew che ancora la guardava, dopo due anni, come se omosessuale significasse avere le corna sulla testa e strane appendici che uscivano dal corpo.

 

Per fortuna c’era Jenny, sempre così divertente, con le sue storie, e il suo umorismo tagliente. Jenny era davvero una gran persona e nel corso degli anni l’aveva aiutata molto, sia quando la prima e unica necessità era quella di rimettersi in piedi, sia dopo, con la sua capacità di ascoltare pazientemente i suoi balbettii sconclusionati traendone un significato coerente. Jenny era stata la sua fisioterapista e con il tempo erano diventate buone amiche. Le parlava spesso di suo marito e di suo figlio, ma mai facendola sentire un’aliena per la sua sessualità. Willow pensò che le piacevano molto le serate che passavano insieme, andando occasionalmente a qualche concerto, o a teatro, o semplicemente a bere un caffè e a conversare.

 

La vista della sua migliore amica, persa in un turbine di pensieri la mise subito in allerta, allontanando repentinamente tutti i pensieri della giornata. Cercò di non far morire del tutto il suo sorriso, ma l’allegria se ne era andata velocemente. “Ciao, Buff.” Salutò con finta contentezza. “Niente ronda stasera?”

 

“Non mi sentivo molto in vena,” si giustificò la ragazza bionda, rifiutando di incontrare lo sguardo della sua amica, gli occhi bassi che studiavano le dita che teneva in grembo.

 

Willow avvertì dall’atteggiamento di Buffy che la sua migliore amica era lì per dirle qualcosa di importante ma non era sicura di voler ascoltare ciò che aveva da dirle.

 

Il primo pensiero fu che Buffy fosse rimasta in piedi per rimproverarla di non essersi fatta vedere per tutto il giorno. Di avere evitato Tara. Le sembrò sciocco che Buffy perdesse ore di pattuglia, o di sonno, per un tale motivo. Buffy non si sarebbe mai intromessa così platealmente in un fatto concernente così da vicino la sua vita privata.

 

“Ok. Be’, io sono stanca,” disse e si diresse verso le scale, appoggiandosi pesantemente al bastone. “E’ stata una giornata piena. Mi sento distrutta. ‘notte Buff, ci vediamo domattina.”

 

Buffy alzò la testa e prese il coraggio a due mani. “Will, aspetta. Devo parlarti.”

 

Willow si fermò, il piede sul primo gradino, il peso del corpo contro la balaustra delle scale, la faccia in ombra. Ci siamo. Ed io che ero quasi convinta di avercela fatta.

 

“Non può aspettare fino alla colazione?” Chiese, sperando di riuscire a far morire lì qualsiasi tirata o rimprovero Buffy volesse muoverle.

 

“Preferirei di no,” ribatté la Cacciatrice con un’espressione seria sul volto.

 

“E’ così grave? Chi è morto stavolta? Quale apocalisse dobbiamo scongiurare? E’ la sedicesima, giusto?” Quando vide che l’espressione di Buffy non mutava, sentì un senso d’inquietudine salirle lungo la spina dorsale.

 

“Will, ti prego.” Buffy le era andata incontro, ed ora le stava di fronte, una mano sul suo braccio, gli occhi tristi.

 

“Ok. Prendi un paio di bicchieri e sali in camera mia,” disse, sforzandosi di non pensare a quanto si sentisse sfinita. “Ne approfitterò per darti le informazioni che mi avevi chiesto su come sconfiggere quel demone-serpente con quattro corna e i rostri…che ti ha battuto l’altra sera…che i vampiri hanno evocato.” Senza aspettare, si voltò e salì le scale, facendo attenzione a tenersi stretta al corrimano.

 

La gamba le faceva un male terribile. Un velo di sudore le imperlò la fronte per lo sforzo dell’ascesa. Sperò che Buffy non fosse lì a guardarla. Non avrebbe accettato l’aiuto di nessuno, ma la pietà era ancora peggio.

 

Arrivò con fatica alla porta della propria camera. L’aprì ed entrò, lasciandosi cadere sul letto nella più completa oscurità. Allungò un braccio in cerca dell’interruttore della lampada posta sul comodino alla destra del letto. Se qualcuno fosse stato lì ad assistere alla scena, l’avrebbe vista strisciare sul letto cercando di trovare una posizione per far cessare il dolore sordo che il ginocchio destro le provocava. Ma per fortuna era sola.

 

Si appoggiò contro la testata del letto matrimoniale, sistemandosi i cuscini con cura dietro la schiena e sotto la gamba, in modo da poter rimanere seduta diritta e da dare, al contempo, un po’ di pace al suo ginocchio martoriato. Iniziò a massaggiare l’arto lesionato lievemente con la mano. Pronunciò sottovoce alcune parole dal suono arcano. Il bastone quasi animandosi di vita propria, si staccò dal letto e volò lentamente in un angolo.

 

Mentre il bastone iniziava il suo silenzioso tragitto, Willow udì alcuni lievi colpi alla porta.

 

“Entra pure,” disse.

 

Buffy entrò con due bicchieri in mano, proprio mentre il bastone terminava il suo lento volo fino all’angolo della stanza. Buffy seguì il volo silenzioso senza dire una parola.

 

Willow colse lo sguardo stupito della sua amica e le sorrise mestamente. “So che non dovrei farlo,” si giustificò. “Ma stasera non ce la faccio proprio ad arrivare anche solo fin là.” Willow cercò inutilmente di trattenere uno sbadiglio, mentre Buffy appoggiava i bicchieri sopra la cassettiera di fianco alla porta. “E’ una serata così umida che sembra che la mia gamba voglia andare fino a Miami senza di me.”

 

Buffy notò l’aspetto stremato e il massaggio lieve che Willow stava distrattamente applicando al suo ginocchio destro. “Hey, io non ho nulla in contrario che tu usi i tuoi trucchetto!”

 

Nei giorni scorsi Willow era stata bene, non aveva quasi zoppicato. Se stasera aveva usato il bastone la gamba doveva farle davvero male. E chi era lei per dirle come usare la sua magia?

 

Si maledisse per dover apportare un altro dolore alla sua migliore amica, ma si disse che era inevitabile e che non poteva proprio aspettare.

 

Willow diede un paio di colpetti al materasso alla sua sinistra, invitando Buffy a mettersi seduta di fianco a lei. Quando le fu accanto, le prese una mano tra le sue. “Sopra il comodino lì di fianco,” indicò con un cenno del mento, “ci sono tutte le informazioni che ho trovato. Rupert non ha ancora mandato niente. “Rupert. Un altro argomento di cui dovremo parlare parecchio, prima o poi. Soprattutto dei suoi appunti. Non dovrebbe tenerli nel computer, se non vuole che qualcuno li veda.

 

“Te le ho stampate in modo che tu possa leggerle con più comodo. Se vuoi posso aggiornarti io,” propose poco convinta, “anche se preferirei non farlo ora. Sono troppo stanca.”

 

Willow notò che la ragazza bionda non aveva degnato neanche di uno sguardo i cinque fogli stampati sul comodino di fianco a sé. Tutta la sua attenzione era concentrata sulle loro mani intrecciate, mollemente adagiate sul copriletto decorato con disegni degli X-men, dono di Xander.

 

Buffy non aveva mai capito perché Willow continuasse ad utilizzare quella mostruosità. Va bene l’affetto, ma anche la dignità ha una sua importanza. Xander è capace di un singolare cattivo gusto.

 

Willow attese un paio di minuti che Buffy iniziasse a parlare, ma vedendo che nulla accadeva cercò di spronare la conversazione. Se davvero deve dirmi qualcosa, che almeno si decida, pensò. Così potrò dormire le mie due ore costellate di incubi!

 

“Buffy, cosa c’è?” chiese in tono preoccupato. La reticenza della sua migliore amica la indusse ad un tratto a pensare che la cosa dovesse essere grave. “Parla, per amor del cielo! Mi stai facendo preoccupare.”

 

Buffy sollevò lentamente la testa e si voltò in modo che i propri occhi nocciola guardassero direttamente nel verde degli occhi di Willow. “Ho detto loro tutto.”

 

La sua voce era un sussurro, tanto che Willow non fu sicura per diverso tempo che Buffy avesse realmente parlato.

 

“Scusa?  Non hai detto quello che penso tu abbia detto, vero?”

 

Buffy deglutì a vuoto. Ecco, ci siamo. Ora subirò la sua giusta ira. Giusta ira? Ho letto la bibbia di recente?

 

“Be’, non proprio tutto. Ho detto a Dawn e Tara cosa è successo con Rack e Spike,” disse, prendendo a due mani il coraggio prima di pentirsene. “Sia la prima che la seconda volta.” Non fu capace di aggiungere di più.

Negli istanti che seguirono il silenzio fu così totale, che Buffy poté sentire il rombo del sangue che le scorreva nelle vene. Willow sembrava non respirare e lei stessa non era certa che l’aria le stesse entrando e uscendo dai suoi polmoni.

 

”Tutto?” Chiese Willow, la voce che le tremava visibilmente. Si chiese come mai un’unica parola, due semplici sillabe, potessero terrorizzarla tanto.

 

“Mi spiace. Perdonami.”

 

Willow vide una lacrima scenderle lungo la guancia. “Mi spiace così tanto Will,” continuò Buffy, dopo una pausa che le sembrò interminabile. “Non ho potuto proprio farne a meno.”

 

Willow rimase in silenzio, persa nel treno dei suoi pensieri, il capo reclinato.

 

Buffy approfittò di quel silenzio per spiegarle tutta la discussione tenutasi in sua assenza. Con la coda dell’occhio la vide impallidire, mano a mano che le raccontava come si erano svolti i fatti. Le sue ragioni le sembrarono così futili una volta che dalla sua mente passarono alla sua bocca, e oltre, librandosi nell’aria in suoni incerti e vacillanti.

 

Willow rimase ad ascoltare in silenzio. Dapprima la rivelazione la colpì come uno schiaffo. Tutti i suoi segreti, le cose che avrebbe voluto tenere nascoste, che aveva rivelato solo a Buffy, e anche a lei a stento, portate alla luce in una volta sola. Era come se un vento freddo l’avesse colpita d’improvviso alla schiena, mandandole brividi per tutto il corpo. Ma lentamente la sensazione passò, sostituita da un senso di rilassamento e di pace. Era come se finalmente un nodo si fosse sciolto. Certo per farlo si era dovuto tirare la corda fino al punto di rottura - e molti altri nodi aspettavano forse lo stesso trattamento.

 

Ma ora, con la corda rotta in mano, le sembrava che in fondo era un sistema buono come un altro per raggiungere lo scopo.

 

Guardando il volto triste e rigato di lacrime della sua migliore amica non si sentiva arrabbiata come pensava avrebbe dovuto essere. In fondo si sentiva sollevata che finalmente che quella parte dei suoi segreti fosse stata rivelata. Più volte lei stessa aveva pensato di chiarire tutto con Dawn, soprattutto quando la sorprendeva a guardarla intensamente e le leggeva negli occhi un certo qual biasimo. Non aveva mai trovato il coraggio di farlo, anche per non apparire in cerca di compatimento, cosa che era mille miglia lontana dalle sue intenzioni. Almeno ha omesso i particolari peggiori, a quanto pare.

 

E per quanto riguarda Tara, pensò sentendosi riscaldare il cuore solo pensando il nome della sua ex-amante, ma allontanando subito quella sensazione dalla sua mente, be’ quel che fatto è fatto! Almeno hai omesso il fatto che ora assomiglio ad un puzzle tagliato male, ironizzò dentro di sé con un certo sollievo.

 

Aveva tenuto quel peso nel suo cuore per tento tempo e, non volendo, Buffy glielo aveva tolto.

 

“…che Dawn pensasse che l’avessi fatto solo per vendetta. Non sono riuscita a trattenermi. Mi dispiace davvero tanto.”

 

Willow ritornò alla realtà, un sorriso fece breccia sulle sue labbra alla vista di Buffy, a capo chino, che aspettava la sua probabile sfuriata. Quanto volte si era scusata Buffy negli ultimi cinque minuti? Willow era sicura non meno di undici. Davvero troppe!

 

Strinse più forte la mano avvolta mollemente nella sua. “Buffy?” la chiamò dolcemente. “Buffy?” Ripeté quando la sua amica rifiutò ostinatamente di incontrare il suo sguardo. “Guardami,” supplicò.

 

Buffy alzò lo sguardo e vide tra le lacrime Willow appoggiarsi ancora di più contro la testata del letto, un sorriso triste ma amichevole le illuminava il volto. “Non importa. Davvero!”

 

Buffy non era certa di aver udito realmente quelle parole. “Sei sicura?” le chiese, incredula.

 

Willow annuì con enfasi, abbassando gli occhi. “Era un po’ che pensavo di raccontare tutto a Dawn, ma non sapevo come fare. Praticamente mi hai fatto un favore.” Il sorriso tornò ad illuminarle il volto ancora una volta. “Questa volta.”

 

“E Tara?” Indagò Buffy. “Ora anche lei sa quasi tutto.”

 

Il sorriso divenne appena più triste. “Va bene. Prima o poi avrebbe saputo. Hai mai visto Dawn riuscire a tenere un segreto a lungo con Tara? E’ un miracolo che non le abbia raccontato quel che sapeva negli ultimi cinque anni,” ridacchiò e Buffy con lei.

 

“Ormai è passato molto tempo, e sono sicura che l’avrebbe scoperto. Posso convivere sotto lo stesso tetto con una mia ex per dieci giorni, anche se conosce qualche mio segretuccio. Basta che io non la incontri,” scherzò ancora. Ma non del tutto.

 

Buffy ridacchiò alla battuta, felice dell’esito di quello che nella sua mente si era prospettato come un duro confronto, in cui avrebbe dovuto subire e tacere. Accettò lo scherzo, felice che le cose si placassero così in fretta. Ma il pensiero che le acque si stessero placando troppo in fretta le si impiantò nella mente con persistenza. Decise di vedere se le sue intenzioni erano davvero di non incontrare Tara nei prossimi dieci giorni. ”Sarà difficile. La casa non è così grande. Anche se sei diventata bravissima a filartela di soppiatto,” puntualizzò con un ghigno malizioso, mentre si asciugava le lacrime con la manica della maglietta.

 

“Non è vero che me la filo di soppiatto!” Esclamò Willow, fingendo di portarle il broncio.

 

“Oh, sì che è vero!” obiettò Buffy. “Soprattutto se c’è una bellissima ragazza madre bionda in giro!”

 

“Sono solo guardinga! Si potrebbero celare chissà quali demoni e pericoli in casa…”Willow sospirò, conscia della puerilità della propria scusa.

 

La sua mente si proiettò verso Tara, i ricordi la assalirono, riempiendola di malinconia. Si trovò a dare ragione a chi aveva detto che il rimpianto più grande è per ciò che non si è vissuto, non per ciò che si è avuto e perso.

 

Quello che le era mancato di più negli ultimi 5 anni non erano i momenti felici vissuti con Tara ma quelli che non avevano vissuto insieme. Quelli che non avrebbero mai vissuto insieme. La colpa era solo sua! Su questo non c’erano scuse. Non che avesse voluto che Tara condividesse ciò che aveva subito, o il periodo più nero della sua breve vita, ma non di meno Tara le era mancata terribilmente, sia nei momenti buoni che in quelli brutti.

 

Notando il velo di tristezza che era sceso su Willow, Buffy fece per scusarsi ma la rossa la fermò con un gesto della mano. “E’ meglio così, credimi,” disse amaramente. “Che se ne farebbe una ragazza bella e vitale come lei di una povera storpia come me? Senza contare che non credo riuscirebbe a fidarsi ancora di me dopo quello che le ho fatto...”

 

“Lei ti ama ancora, Will,” obiettò Buffy, senza cogliere tutta la verità nelle parole di Willow. “E’ passato molto tempo, l’hai detto anche tu. Tara ha una capacità di perdono grandissima, lo sai bene.”

 

“Non è detto che basti,” replicò Willow. “E’ passato troppo tempo. Lei è cambiata. Io sono cambiata. Tu lo sai meglio di chiunque altro. E non credo di essere cambiata per il meglio.”

 

“Non dire sciocchezze, Will!” Ribattè la Cacciatrice, scioccata dalla poca autostima della sua migliore amica. “Sei una delle persone migliori che abbia mai conosciuto. Hai rischiato tutto per noi. Ci hai quasi rimesso la tua anima. E il tuo corpo…” si interruppe incapace di continuare.

 

Buffy pensò alla zoppia che coglieva Willow in certi giorni particolarmente umidi, che era solo il segno più evidente dei traumi che aveva subito. Solo il viso, per un qualche sadico disegno di Rack, non aveva riportato segni permanenti. Ma Buffy sapeva che, se quasi tutte le ossa erano state rimesse a posto, non si poteva dire altrettanto per i segni che lo stregone le aveva lasciato con il pugnale. Il corpo di Willow era pieno di cicatrici rossastre che spiccavano sulla carnagione pallida e tra le efelidi della ragazza. Lo stregone si era accanito soprattutto sul suo ventre e sulle braccia, per quanto anche le gambe, la schiena e persino le sue parti intime, non erano state risparmiate dalla furia sadica dello stregone. E dopo era toccato al chirurgo. Certo lo aveva fatto per il suo bene, ma aveva aggiunto dolore dove la misura era già colma.

 

Willow se ne vergognava e vestiva in modo che pochissima della sua pelle rimanesse esposta alla vista. A dirla tutta, le mani e il viso erano le uniche parti del suo corpo che lasciasse intravedere.

 

A Willow non piacque la piega che stava prendendo il discorso. Senza contare che era sempre stata convinta che le sue ferite fossero una conseguenza naturale delle proprie azioni passate, e come tali le aveva accettate, vergogna compresa. Una sorta di giusta punizione per i suoi peccati. “Non è stato nulla. Se giochi con il fuoco ti scotti,” sentenziò, lanciandole un’occhiata dal basso verso l’alto. “Tronchiamo qui, ti prego, Buffy. Vorrei provare a dormire un po’.” Non c’era astio in ciò che le disse, solo un senso di richiesta urgente nelle parole.

 

La Cacciatrice annuì. “Vuoi che ti aiuti a cambiarti?” Offrì.

 

“Te ne sarei grata,” accettò Willow, consapevole che quel semplice atto le sarebbe stato oltremodo penoso stanotte.

 

Buffy l’aiuto a sfilarsi la felpa, rimanendo a fissare per alcuni istanti le cicatrici che correvano lungo le sue braccia, come una serie di sinistri ghirigori. Gli occhi le scivolarono sul tatuaggio che campeggiava sulla spalla sinistra di Willow, avvolgendola. Quando lo aveva visto per la prima volta, pochi giorni dopo che se lo era fatto fare, era rimasta molto stupita. Willow con un tatuaggio suonava così strano.

 

Quando poi aveva scoperto che i tatuaggi erano due era rimasta realmente esterrefatta.  Ora che li vedeva ancora una volta, rifletté suo malgrado sulla radicale differenza dei due disegni e su come fossero una testimonianza indelebile degli avvenimenti avvenuti. Era come se Willow avesse voluto scolpirseli sulla pelle, così come le erano stati incisi nell’anima. Perché tra dentro e fuori non ci fosse differenza.

 

Il tatuaggio sulla spalla era stato fatto sopra una brutta cicatrice, dalla forma di zeta rovesciata che il pugnale dello stregone le aveva scavato nella carne. La cicatrice era stata colorata di rosso scuro, con bordi slabbrati e ben definiti, tanto da dare l’idea che la ferita fosse ancora aperta. Dietro la spalla, in coincidenza con uno dei margini della cicatrice, stava il disegno di una figura nera incappucciata, gli occhi due lampi neri in mezzo a dove doveva essere il viso. In mano teneva un lungo pugnale dalla lama serpeggiante, la cui punta era in perfetto asse con la fine stessa della ferita apparente, dando l’impressione, insieme al disegno di un piccolo rivolo di sangue, che il taglio venisse operato sotto gli occhi dello spettatore. L’effetto era piuttosto realistico e disturbante.

 

Quando Buffy le aveva chiesto perché avesse scelto un soggetto tanto macabro e vicino alla realtà, Willow si era limitata a dirle che le serviva a non dimenticare mai i propri errori.

 

Buffy non aveva potuto fare a meno di sentirsi infinitamente triste per quelle parole cariche di senso di colpa e biasimo verso se stessa.

 

Persa in quei ricordi, Buffy fece scorrere distrattamente le proprie mani dietro il corpo di Willow in un goffo abbraccio, sganciando il fermaglio del reggiseno della sua amica con un leggero impaccio. Ripresasi, afferrò delicatamente le spalline e le tirò via dalle spalle con gesti veloci ed efficienti, attenta a non toccare le cicatrici sulla sua schiena. Le sue mani si muovevano senza pensare a ciò che faceva o al fatto che Willow fosse a seno nudo di fronte a lei. I mesi in cui la rossa era stata persino incapace di allacciarsi le scarpe o grattarsi il naso da sola avevano forgiato una nuova complicità tra loro. Willow aveva avuto per diverso tempo bisogno di cure costanti. Buffy aveva imparato a prendersi cura di lei e Willow, facendo di necessità virtù, aveva superato ogni imbarazzo nei confronti della sua amica.

 

Willow allungò un braccio dietro la sua schiena e tirò fuori il pigiama da dove in precedenza si trovavano i cuscini. Buffy glielo prese delicatamente dalle mani e le infilò il sopra, dando un’occhiata fugace all’altro tatuaggio che si trovava due-tre centimetri sopra il suo seno sinistro, in coincidenza con l’orribile cicatrice che le attraversava il seno, deformandolo. Il disegno era di una bellezza impressionante, eseguito con rara maestria, gotico e triste al contempo, iperrealista nella descrizione dei dettagli. Ma Buffy, che ne conosceva il significato, non riusciva ad apprezzarne la qualità.

 

Willow se ne accorse e scosse la testa. “Ti infastidisce ancora molto, vero?” le chiese, più attenta alle proprie menomazioni che al capolavoro artistico impresso su di esse.

 

Buffy annuì. “E’ inutile parlarne ancora. Lo sai già. Non capisco perché tu ti sia fatta questo”

 

Willow capì e spiegò per l’ennesima volta, nessun risentimento nella voce. In fondo bisogna passarci, si disse. “Quello sulla spalla è per ricordarmi ciò che ho avuto,” l’ultima parola pronunciata con evidenti virgolette, mentre una mano corse ad artigliare il tessuto del pigiama, esattamente dove era situato l’altro tatuaggio. “Questo è per ricordarmi ciò che avrei voluto avere e non avrò mai.” Un’infinita tristezza venava le sue parole, mentre le sue dita si rilassarono sul cotone della maglia, e tornarono ad artigliarlo per alcuni istanti, come per uno spasmo involontario, prima di tornare a rilassarsi definitivamente.

 

Buffy finì di spogliarla in silenzio dei pantaloni di tela che indossava e l’aiutò a infilarsi i pantaloni del pigiama. Quando l’operazione fu compiuta, si apprestò ad andarsene. Come ricordandosi di qualcosa d’importante all’improvviso, si avvicinò alla cassettiera e prese una bottiglia di scotch mezza vuota che si trovava lì sopra, tra la spazzola di Willow ed alcuni trucchi. Versò una dose generosa in uno dei due bicchieri e lo appoggiò sul comodino di fianco a lei.

 

Willow la ringraziò in un sussurro, gli occhi bassi, quasi vergognandosi di dover ricorrere a quel suo scarso sonnifero.

 

Buffy colse le implicazioni del proprio gesto e tra verità e scherzo le disse con tono gentile: “Spero ti basti almeno per due ore.”

 

Willow non la guardò, lo sguardo fisso sul bicchiere, come se guardasse il Peccato in faccia. “Ne dubito,” disse con voce appena percettibile. “Grazie”. Sapeva che non erano necessarie ulteriori parole.

 

“Posso fare qualcos’altro?” chiese Buffy, d’un tratto, sentendosi a disagio nel pesante silenzio che era caduto come una barriera tra di loro.

 

“Un cauto abbraccio sarebbe molto gradito,” le sorrise Willow, riportando i suoi occhi su di lei.

 

Buffy la strinse a sé delicatamente, beandosi per alcuni istanti del calore che il fragile corpo di Willow le trasmetteva e respirando il lieve aroma di pino dei suoi capelli mentre la cullava dolcemente. Era come se quel calore le trasmettesse l’affetto che Willow provava per lei; come se le dicesse che quel corpo era ancora vivo e quindi c’era ancora speranza.

 

Dopo un po’ si staccarono. Buffy le augurò la buonanotte ancora una volta e si avviò verso la porta. Notò con la coda dell’occhio che Willow aveva preso in mano il bicchiere pieno quasi fino all’orlo del liquore ambrato. Non aggiunse più nulla. Parlare non era mai stato il suo forte e aveva accettato, seppure a fatica, di non poter agire in questa situazione. L’insonnia di Willow, i suoi incubi, era qualcosa che non poteva risolvere con calci, pugni e paletti. Willow le aveva parlato degli incubi che aveva ogni notte appena chiudeva gli occhi, di non riuscire a dormire più di un paio d’ore di seguito. Molte volte era rimasta a cullarla, mentre i sogni la scuotevano lasciandola in lacrime, ma presto aveva dovuto rinunciarvi. Era troppo penoso per lei, soprattutto vedendo che non aveva modo di porvi rimedio, Allora aveva accettato, non senza rimproverarsi d’incapacità e vigliaccheria, che Willow ricorresse a suoi personalissimi metodi per ottenere un po’ di ristoro. Anche se, dopo quattro anni, la loro efficacia sembrava sempre molto labile.

 

Seguendo il flusso dei propri pensieri, Buffy arrivò alla sua camera e si mise a letto. Il sonno la colse quasi subito, lasciandole al limitare della coscienza un vago senso di colpa che avrebbe cercato di ignorare al suo risveglio.

 

 

 

Una volta che Buffy fu uscita dalla sua stanza, Willow alzò lo sguardo, rimanendo per un po’ a fissare la porta ormai chiusa. Sperò che Buffy si perdonasse come lei l’aveva perdonata.

 

Willow inghiotti un lungo sorso di scotch pregando che il suo effetto fosse più lungo del solito. Aveva tentato anche con i sonniferi, ma era stata un’esperienza terribile. I farmaci non avevano tenuto lontano gli incubi. Le avevano soltanto impedito di svegliarsi. Aveva giurato che non avrebbe mai più ripetuto quell’errore.  Il ginocchio protestò il suo disaccordo alle intenzioni della giovane strega dai capelli rossi di entrare sotto le coperte per un po’ di riposo.

 

Willow aprì il cassetto del comodino e fece scivolare una mano dentro alla ricerca del tubetto degli antidolorifici. Non amava usarli, ma certe notti, solo per riuscire a chiudere gli occhi, non aveva altro mezzo che placare i nervi lesionati in un torpore chimico, accompagnato dalla solita razione di liquore.

 

Rovistò alla cieca tra gli oggetti nel cassetto, scartandoli mano a mano che il suo tatto li riconosceva. Diario…No. Scatola delle pillole anticoncezionali…No. Vibratore…

 

Riflettè per un istante sulla possibilità di procurarsi qualche attimo di piacere con il piccolo vibratore dorato che teneva nel cassetto. L’oggetto era davvero piccolo, non più di cinque cm di lunghezza per due di larghezza, con degli spuntoni arrotondati in lattice sulla punta, ma nelle sue mani esperte poteva fare meraviglie.

 

No. Meglio di no. Stasera non sono dell’umore giusto.

 

Lasciò ricadere l’oggetto nel cassetto e rovistò ancora alla cieca finché non trovò ciò che cercava.

 

Inghiottì la piccola pastiglia bianca con l’aiuto del whisky rimastole e appoggiò il bicchiere vuoto sul comodino. Scivolò più comodamente sotto le coperte e spense la luce della piccola lampada in attesa che l’effetto combinato dell’alcolico e del prodotto farmaceutico la stordissero abbastanza da poter dormire.

 

Quasi senza che Willow se ne accorgesse, il sonno arrivò. E con esso i sogni.

 

 

 

Sono di nuovo nella caverna. Non ci sono vampiri, stavolta. Non sono legata all’altare gambe aperte, in attesa del prossimo stupro.

 

Ma c’è lo stesso qualcosa di strano. Lo sento sulla pelle, nelle narici, come qualcosa di umido e disgustoso mescolato all’aria ristagnante di chiuso. Qualcosa che non riesco a decifrare con esattezza ma so essere lì, in attesa.

 

Rack è ai piedi dell’altare di pietra grezza e mi sorride felice come un bambino cattivo che ha appena tagliato in due un verme e lo guarda dibattersi aspettando che muoia. Mi parla ma non capisco cosa mi sta dicendo. Sono troppo distratta dai miei stessi pensieri, per registrare appieno quello che mi accade attorno.

 

Perché sono di nuovo qui? Io odio questo luogo. E odio questa patetica parvenza di essere umano, questo essere velenoso e schifoso ricoperto di epidermide e carne, ripieno di furente, lascivo desiderio e magia nera, che crede di avere un qualche potere su di me.

 

O peggio, qualche diritto.

 

Mi sforzo di capire cosa mi sta dicendo, se non altro, perché stare al gioco può essermi utile. Almeno finché non avrò avuto un’idea di quello che stava accadendo. O di come fare per rispedirlo nell’inferno da cui è tornato. So che era all’inferno. Ne sono assolutamente certa.

 

Ce lo avevo mandato io.

 

“Grazie per il bel regalo,” mi dicono le sue labbra menzognere, in un’oscena paradia di un discorso.

 

Nessun suono esce dalla sua bocca velenosa, ma in qualche modo riesco a capire ciò che dice, come se le parole risuonassero direttamente nella mia testa.

 

L’idea di stare sognando inizia a farsi consistente nella mia mente, ma la scena è troppo vivida, troppo reale, perché io possa credere che si tratti solo di un parto del mio subconscio.

 

Ma se fosse vero, quello che sto facendo dovrebbe atterrirmi profondamente e darmi disgusto di me stessa.

 

Invece non provo niente.

 

Mi vedo sorridere allo stregone nero, come se per un attimo mi fossi sdoppiata, ma dura solo un battito di ciglia. Poi la scena torna in atroce soggettiva.

 

Vedo avanzare due figure dal fondo della caverna. Nonostante l’oscurità che ci circonda e la poca luce che diffondono le torce appese alle pareti, mi sembra di poter riconoscere un’espressione ebete sui loro volti, come se fossero sotto l’effetto di una qualche droga tipo la morfina. La figura più alta è vestita in un completo doppiopetto grigio e porta un farfallino. Ha modi distinti, molto signorili.

 

L’uomo vestito di grigio conduce una giovane ragazza di circa 17 anni, avvolta in una tunica oscenamente trasparente, che lascia ben poco all’immaginazione. Le tiene una mano appoggiata con fermezza sulla spalla, per quanto la ragazza sembri accondiscendente e dotata di nessuna volontà propria.

 

Sul viso di entrambi campeggia lo stesso sorriso fisso e uno sguardo vuoto.

 

Per un momento passano in una pozza di luce e i loro volti sono rischiarati dalle torce. Una voce nella mia testa dice che dovrei conoscere l’uomo e la giovane. D’improvviso, come se qualcuno avesse aperto una porta nel mio cervello, dei nomi si associarono ai due volti.

 

Rupert Giles. Dawn Summers.

 

Che avanzano tra le ombre della caverna dove sono stata torturata e stuprata per tre giorni.

 

Cosa ci fanno qui? Perché non sono legata all’altare? Dove sono Spike e la sua posse? Perché sto sorridendo in modo quasi osceno?

 

La loro avanzata mi sembra lenta in modo agonizzante. Quando finalmente arrivano ai piedi dell’altare, l’uomo mi sorride come un padre comprensivo e mi dice:

 

«Sappiamo tutto di te. Troppo per un corpo così fragile. Non preoccuparti ora. Sarà tutto diverso, vedrai. Sarà veloce ed indolore. E’ solo magia, in fondo. Tu conosci bene la magia. È troppo tempo che non ascolti la sua voce. Rispondi.»

 

Per la seconda volta sento il mio corpo sdoppiarsi.

 

Vedo me stessa sorridere ai due corpi che corrispondevano ai due nomi che mi erano apparsi nella mente come due lampi, e che ho nuovamente dimenticato.

 

Giles e Dawn. La mia Dawnie!

 

L’uomo offre la ragazza a Rack e vedo me stessa fare un gesto d’approvazione con il capo.

 

Lo stregone nero fa un gesto nella mia direzione. Mi vedo prendere per un braccio la giovane e condurla all’altare su cui io stessa sono stata legata. Quel pezzo di pietra ruvida che odio con tutta me stessa e mi sono premurata di fare in mille pezzi il giorno prima di distruggere l’anima di Rack con ogni oncia di magia nera che possedevo. Quella pietra che ho distrutto e riformato con quello stesso potere che ho giurato di non usare mai più, plasmandola in una muta testimonianza del mio patetico dolore per poi ridistruggerla con tutta la potenza della mia implacabile rabbia!

 

Ora sono certa. Deve essere un incubo. Lotto per svegliarmi, ma non riesco. Sono ancora là e sto legando i polsi della ragazza (la mia Dawnie!) alle catene. Sorrido felice nel vederla inerme e finalmente terrorizzata, come se il clangore metallico delle catene l’avesse finalmente risvegliata dal suo torpore.

 

Rack intanto si sta sfilando la tunica nera a fregi dorati e rimanere nudo, il suo sesso eretto nell’aria come un obelisco alla memoria della sua malvagità, mentre strappa quell’oscena tunica trasparente che copre a malapena il corpo di Dawn.

 

Sono più che mai certa che si tratti di un incubo, mentre mi vedo passargli il pugnale che ha segnato le mie carni, tirandolo fuori da chissà dove.

 

Rack non è mai stato così ben dotato, io purtroppo lo so bene, visto che ha violato le mie carni quattordici volte (ma chi le ha contate?) mentre ero legata ed inerme su quello stesso altare.

 

Lo stregone si china sulla ragazza, sempre più minaccioso ed incombente, pronto a farle quello che ha fatto a me.

 

Sì, è solo un maledetto incubo. Perché questa è la materia dei miei sogni. Orrore e nefandezza.

 

Ma sono solo sogni, incubi, giusto?

 

Qualcosa dentro di me si rompe, nell’attimo in cui lui la penetra ed inizia a cavalcarla furiosamente, incurante della sua verginità.

 

Allora, solo allora, io, l’essere conosciuto al mondo dei miei cari come Willow Rosenberg, riesco ad urlare. E il mio urlo, ora che finalmente è scaturito, sembra non avere fine.

 

 

 

Willow si svegliò in un bagno di sudore gelato, il suo cuore come un cavallo impazzito in una tempesta. Un suono strozzato proveniva dalla sua bocca, come di un urlo rimasto soffocato in gola. Chiuse la bocca con uno scatto secco e per un po’ rimase immobile nell’oscurità più assoluta, incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse respirare affannosamente e ascoltare il rombo assordante del proprio sangue nelle orecchie.

 

Dopo un po’ la mente le si schiarì abbastanza da permetterle di cercare di riportare il respiro e i battiti del suo cuore ad un ritmo normale. Quando si fu calmata, la sua mano vagò sapiente in cerca dell’interruttore dell’abat-jour tra il comodino e il letto. Quasi istantaneamente una pozza di tenue luce gialla ricacciò le tenebre negli angoli della stanza. Willow sospirò di sollievo.

 

Il suo primo pensiero, al risveglio, dopo i sogni, era sempre lo stesso: Perché sono ancora qui? Perchè questo stupido corpo non restituisce le sue inutili energie al ciclo naturale delle cose? Perché la morte non arriva? Tanti altri meriterebbero di vivere…

 

<Tu hai uno scopo. Presto tutto ti sarà chiaro.> Disse una voce nella sua testa, ma Willow era troppo frastornata per darle retta.

 

Non credeva di poter andare avanti così. I sogni la tormentavano tutte le notti. Temeva il sonno e cercava di non incedervi, se non fino a quando era talmente sfinita da non poterlo evitare, come se fosse un vizio e non una necessità. Il sonno portava i sogni. Sempre. I sogni le ricordavano che cosa aveva fatto, che cosa aveva subito. Chi era stata e chi era. Le ricordavano soprattutto chi sarebbe potuta essere ancora una volta, se avesse permesso a se stessa di incedere nuovamente nella magia nera.

 

Come nell’altro maledetto sogno…

 

I sogni le ricordavano anche che l’esile ragazza spaventata dai capelli rossi, che sognava un futuro senza pericoli e l’amore eterno, e nondimeno aveva scelto a sedici anni di combattere la battaglia dei giusti, era morta durante quei tre giorni nella caverna.

 

E risorta dopo tre giorni. Come Gesù Cristo. Solo che Gesù Cristo non era una ragazza lesbica e traumatizzata di ventisei anni. Ed era risorto ad una nuova grandezza, non ad un compromesso patetico di esistenza. E almeno gli avevano fatto il favore di ammazzarlo, su quella croce, invece di limitarsi a rovinargli un ginocchio e spaccargli l’utero. Vero che Gesù l’utero non ce l’aveva, però a lui la lancia nel costato l’avevano spinta fino in fondo, mica si erano limitati a squarciargli un seno!

 

Avrebbe potuto riderne, se non fosse stata così terrorizzata. Ancora così terrorizzata dopo quattro anni. Eppoi non era nemmeno cristiana. Era un’ebrea che aveva rinnegato la religione dei suoi genitori a vent’anni, perché era certa di aver scoperto l’armonia insita nella natura tra le gambe di un angelo biondo di nome Tara. E perché, sia prima che dopo, aveva conosciuto più demoni e dei di qualsiasi altro profeta del Vecchio Testamento. E nessuno le era parso particolarmente amichevole o simpatico. Soprattutto in quella caverna.

 

Ah, già, anche Gesù Cristo era ebreo, ora che ci pensava. Chissà se sognava, se i suoi sogni erano come i suoi? Ma almeno lui era morto. Era addirittura un eroe adesso.

 

Ma almeno era morto.

 

E di certo non sognava più.

 

In quei momenti, subito dopo i risvegli dagli incubi Willow desiderava solo quello. Non sognare mai più. A qualsiasi costo.

 

Se ne avesse avuto il coraggio…

 

Ma aveva promesso a se stessa che non ci sarebbero più state facili fughe. Doveva resistere. Per Buffy e Dawn, che credevano in lei, nonostante tutto. Per Xander, che rifiutava di credere che lei potesse essere così vigliacca. Per Anya che la sosteneva silenziosamente, cercando fantasiose ragioni perché tentasse di tornare alla vita. Per Faith, che guardava a lei come a un’amica sincera e al collegamento necessario per potersi confrontare con gli errori del suo passato. E infine resistere per Tara e Liz. Per Tara che era sempre stata l’esempio di condotta che non era riuscita a seguire, e per Liz che rappresentava la speranza di un futuro migliore. Una speranza che Willow avrebbe voluto vedere crescere.

 

Willow si tirò su, e gettò un’occhiata alla sveglia digitale sulla cassettiera. Le 3 e 41. Aveva dormito un po’ più di un’ora. Un senso di stizza l’assalì per la sua incapacità a dormire una notte intera.

 

Maledetti incubi!

 

Chiudere gli occhi ora sarebbe stato impensabile. Il sonno era venuto ed andato. Se fosse stata fortunata le avrebbe fatto un’altra visita tra qualche ora. Se fosse stata fortunata sarebbe stata in grado di resistergli.

 

Domani dovrò meditare più a lungo del solito per recuperare un po’ di energie.

 

Si strofino gli occhi col dorso delle mani, cercando di spazzare via con quel semplice gesto, sia i residui del sogno che i suoi pensieri.

 

Non era così facile.

 Non è mai così facile…vero?

 

Capitolo XX: Mamma Willow racconta una storia

 

Lizzie si svegliò all’improvviso e aprì appena gli occhi. Intravide la mamma entrare nella stanza e dirigersi verso il cassettone dove aveva riposto le loro cose. Lizzie richiuse gli occhi con un sorriso. Ora che la mamma era lì i rumori e gli scricchiolii della casa non facevano più tanta paura. Non che lei avesse paura del buio. La mamma le aveva detto che non c’era nulla da temere e lei le aveva creduto, ovviamente. Ma adesso che la mamma era lì con lei, andava meglio.

Così mentre Tara si cambiava e si distendeva al suo fianco nel grande letto, Lizzie non aveva paura del buio. Almeno non tanto.

Il suo sorriso si allargò ancora di più, quando la mano della mamma le si posò sul capo in una gentile carezza. Lizze tenne gli occhi chiusi, fingendo di dormire. Pensò tra il sonno e la veglia, che il posto le piaceva. La casa era molto più grande di quella in cui vivevano lei e la sua mamma a San Francisco, ma c’era lo stesso tanto calore ovunque. Zia Buffy e zia Dawn approfittavano di ogni momento libero per giocare con lei e questo le piaceva molto e la rendeva molto felice. Inoltre appena arrivata aveva trovato dei regali sopra il letto. Aveva passato tutto il giorno a giocare con le nuove bambole nella grande stanza. Si era messa subito a giocarci, così aveva fatto la brava e non era stata ad ascoltare i discorsi dei grandi e la mamma era stata contenta.

Sì, c’era tanto calore ovunque. Meno nella stanza al piano superiore. Lizze sentiva tanta tristezza provenire dalla stanza in cima alle scale. La mamma le aveva detto di non andare mai lassù da sola, perché zia Willow aveva avuto dei momenti difficili e non si doveva disturbarla. Liz le aveva creduto, ma qualcosa la attirava con forza verso quella stanza. Eppoi, come poteva disturbarla se non l’aveva mai neanche vista, zia Willow?

Sotto l’effetto della carezza della mamma, si riaddormentò.

 

Tara era davvero distrutta quando salì nella stanza in che avrebbe diviso con sua figlia. Aveva gli occhi gonfi per le lacrime versate e un feroce mal di testa le aggrediva le tempie con un pulsare ritmico e fastidioso.

Fu felice di vedere che Liz stava dormendo mentre si richiudeva alle spalle la porta, così da non dover dare spiegazioni alla curiosa bambina del perché avesse pianto. Si cambiò in fretta e s’infilò sotto le coperte, sperando che il sonno la ristorasse, ma, non appena ebbe chiuso gli occhi, immagini di ciò che le era stato raccontato le balzarono alla mente, riempiendola d’orrore e tristezza, scuotendole il corpo in una nuova serie di singhiozzi. Cercò di ricacciarli indietro, con scarso successo.

Allora aveva guardato Liz e le aveva accarezzato a lungo i capelli biondi lisci come la seta, beandosi di quel miracolo che rispondeva al titolo di sua figlia.

Chissà se si scuriranno come i miei o se manterranno di questa sfumatura rossiccia anche in futuro? Si domandò distrattamente, mentre la stanchezza cominciava a vincere ogni sua possibile remora.

Dopo poco sprofondò in un sonno inquieto ma profondo.

 

Liz si svegliò di nuovo dopo circa un’ora. Aprì gli occhi e vide la sua mamma agitarsi mentre dormiva, il viso rigato di lacrime alla scarsa luce che veniva dalla strada. La sentì pronunciare il suo nome e quello di ‘Will’ nel sonno.

Will era zia Willow? La mamma sognava zia Willow? Però sognava anche lei, perché aveva detto il suo nome. Decise che la mamma stava sognando lei e zia Willow che s’incontravano. Ma allora doveva essere un bel sogno e se era un bel sogno perché la mamma piangeva?

Ripensò alle due foto che aveva nascosto dentro il libro delle favole prima di partire per Sunnydale. Erano due foto molto belle. C’era la mamma e c’era un bellissimo elfo con i capelli rossi dall’aria benevola e furbetta e un grande arco a forma di cuore, e la mamma e l’elfo si stavano baciando e sembravano tanto felici.

L’elfo era zia Willow? Era per colpa sua che zia Willow non voleva vedere la mamma? Ma se lei fosse andata da zia Willow e le avesse chiesto scusa, zia Willow avrebbe reso felice la mamma, giusto?

Ma certo!

Ne era sicura, perché zia Willow era tanto bella nelle foto, e aveva due occhi verdi luminosi e gentili.

Liz scese dal grande letto e si infilò ai piedi le sue pantofole con il viso di gatto che la mamma le aveva comprato a Natale. Facendo attenzione a muoversi quanto più silenziosamente potesse. Prese il libro di fiabe illustrate con dentro le foto dal suo comodino e si diresse a piccoli passi verso la porta. Girò la maniglia e si sentì paralizzare dal clack, che nella quiete della notte risuonò nelle sue piccole orecchie come un boato. Si girò a controllare che la mamma stesse ancora dormendo. Quando fu sicura che la sua mamma non si era svegliata, uscì e si richiuse piano la porta alle spalle.

Una volta in corridoio riprese a camminare normalmente. Si avviò su per le scale con un’espressione risoluta in volto, inconsapevole dell’ora tarda. Era decisa a farsi vedere da zia Willow e a parlare con lei.

Lei e zia Willow sarebbero diventate grandi amiche. Sì, lei e Willow sarebbero diventate grandi amiche e non l’avrebbe mai chiamata zia, perché non si chiama zia una grande amica, giusto?

E la mamma non sarebbe stata più triste.

 

Willow sospirò e scansò le coperte, poggiando i piedi sul linoleum freddo che copriva il pavimento della sua stanza. Si issò in piedi avendo cura di tenere il peso sulla gamba sinistra. L’antidolorifico aveva fatto il suo effetto, ma preferì non forzare l’arto lesionato. Arrivò alla scrivania situata a destra della porta, contro il muro. Sopra la scrivania, in mezzo a pile di libri di incantesimi, manuali tecnici per computer e non, un libro di poesie di Sylvia Plath, stava il suo computer portatile.

Willow sganciò il cavo di alimentazione e si portò il laptop nel letto con lei. Se non poteva dormire, tanto valeva lavorare un po’. Non era insolito per lei lavorare nel cuore della notte mentre tutti gli altri dormivano. Lavorare era un buon modo per contrastare il terrore che i sogni che la svegliavano -immagini di ricordi distorti di una realtà già di per sé raccapricciante- le lasciavano nel fondo della sua anima, come un pesante residuo. E poi, se non poteva avere un quieto sonno, tanto valeva non dormire affatto.

Aveva un sito da finire, per una grossa ditta di trasporti di San Francisco (ironia delle ironie). La presentazione ci sarebbe stata tra circa un mese e i suoi clienti volevano qualcosa di davvero speciale. Del resto con quello che pagavano, doveva loro anche qualcosa di più di qualche ora di sonno.

Aveva deciso che i soldi che avrebbe guadagnato con questo lavoro sarebbero stati parte del suo lascito a Dawn, il giorno che se ne sarebbe andata. Una parte del suo corredo, insomma. Dawn ovviamente non sapeva nulla del conto vincolato che Will aveva intenzione di aprire a suo nome.

Ventimila dollari sono meglio di niente, no? Un brivido la scosse. Dea, fa che non le accada nulla, pregò. Dalle una vita lunga e felice.

Si accorse di sentire freddo. Si accucciò di nuovo sotto le coperte, cercando di ritrovare un po’ del calore che aveva perduto nel breve tragitto, l’involucro di plastica e microchip una macchia nera sui colori vivaci del copriletto.

Quando si sentì sufficientemente riscaldata, si sedette con la schiena contro la testata del letto e s’infilò gli occhiali da lettura, che teneva sul comodino di fianco al letto. Incrociò con cautela le gambe, in una sorta di larga posizione del loto, e si tirò in grembo il compatto parallelepipedo che era lo strumento del suo lavoro.

Accese il pc. Chiuse gli occhi e ascoltò il ronzio della macchina che caricava i driver necessari al funzionamento. Sul desktop apparve una foto della Scooby Gang incorniciata di icone.

Aprì uno dei molti progetti e programmi che occupavano una buona parte dei sessanta giga della memoria. Willow chiuse gli occhi in attesa che il computer espletasse la routine iniziale del programma desiderato. D’un tratto si udirono dei lievi colpi alla porta. Willow aprì gli occhi, stupita che qualcun altro nella casa fosse sveglio a parte lei. La sveglia digitale sul comò le rimandò la certezza di un’ora molto tarda.

Forse si trattava di Buffy, di ritorno dalla ronda. Strano, però. Non l’aveva sentita uscire e pensava che per stasera avesse rinunciato.

Quando sentì di nuovo bussare lievemente quasi lo sperò, anche se qualcosa le diceva che quei colpi così timidi non potevano appartenere alla sua migliore amica.

Sperò ardentemente che non si trattasse di Dawn o di Tara. Non se la sentiva proprio di avere un chiarimento con una di loro a quest’ora della notte. Fu assalita da una lieve punta di panico.

Trattenne leggermente il respiro. “Avanti,”disse con voce debole.

La porta si apri con lentezza, quasi che la mano sulla maniglia fosse molto incerta o non avesse la forza necessaria per compiere il semplice gesto.

Quando finalmente la porta si aprì, lo spettacolo che si presentò agli occhi della giovane programmatrice fu quanto di più inaspettato potesse immaginarsi. Di fronte a lei, in una camiciola da notte gialla con disegni di piccoli, deliziosi fiori rossi, stava una bambina bionda di non più di cinque anni, le sopracciglia chiare sopra due scintillanti occhi verde-azzurri, atteggiate in uno sguardo deciso. Un broncio dolcissimo le sporgeva il labbro inferiore in fuori. Teneva in mano un libricino di fiabe.

Willow rimase letteralmente senza fiato per lo stupore. Sapeva che si trattava di Elizabeth, la figlia di Tara. Del resto non poteva trattarsi di nessun altro, anche se non la vedeva da anni. La somiglianza con sua madre era molto forte, gli stessi capelli biondi, le stesse labbra piene, lo stesso irresistibile broncio. Doveva però aver ereditato i lineamenti del viso dal padre biologico (Non chiamarlo ‘bastardo!’ Ormai è morto, a che servirebbe? Non chiamarlo ‘bastardo!’)…quel bastardo!

Il viso della piccola sembrava essere più delicato e fine di quello di Tara. Non aveva i tratti forti e pronunciati del bel viso di sua madre. Liz possedeva una bellezza più eterea, una grazia in bocciolo che sembrava promettere di fiorire in tratti meno carnali di quelli della strega bionda. Tratti carnali che Willow aveva del resto sempre apprezzato molto, comunque.

Certo che venire stuprati dall’unico teppista con un aspetto effeminato di tutta SF è proprio da ridere, si disse. Se ci fosse qualcosa da ridere in uno stupro. Certo sempre meglio di uno stregone nero.

Mentre Willow era persa nelle sue riflessioni, la bambina la osservava in silenzio, ferma sotto l’arco della porta aperta, illuminata appena dalla tenue luce gialla che l’abat-jour diffondeva per la grande stanza, disegnando una lunga ombra sottile sul piccolo pianerottolo alle sue spalle e giù per i primi gradini delle scale.

Willow, vedendola ancora immobile e a testa bassa che la guardava di sottecchi, piegò il capo di lato e aggrottò le sopracciglia interrogativamente, sforzandosi di sorridere. Ebbe la netta impressione che la bambina la stesse studiando.

Andiamo, Will, l’esame di una ragazzina di cinque anni non può essere così pericoloso.

Ma nondimeno si sentì un po’ a disagio. Non vedeva la bambina dal giorno di primavera in cui l’aveva spiata, stretta tra le braccia della madre e avvolta in una copertina, mentre riceveva la benedizione della Dea per la prima volta. Era stato un viaggio lungo e solitario fino a San Francisco, all’insaputa di tutti.

Buffy e Dawn l’avevano supplicata di andare con loro, ma il suo rifiuto era stato fermo. Era intenzionata a non andare per nessuna ragione. Poi, invece, rimasta sola nella casa silenziosa, qualcosa aveva fatto breccia dentro di lei, e aveva sentito il bisogno di essere presente. Come se fosse qualcosa di necessario.

Era partita e tornata nello stesso giorno con il primo volo disponibile. Aveva assistito al rito da lontano, nascosta dietro una sequoia al limite della radura. Ricordò di avere pianto con Tara, Buffy e Dawn. Di aver condiviso, non vista, la loro gioia. Di essere bruciata di rabbia e gelosia, quando una donna sui ventisette-ventotto anni aveva abbracciato Tara alla fine della benedizione, e l’aveva baciata. Non aveva resistito a quella vista. Aveva recuperato le sue stampelle e se ne era andata, pronta per il viaggio di ritorno verso la Bocca dell’Inferno, una tempesta di fiamme nel petto. Si era sentita tradita. E poi stupida per essersi sentita tradita, quando non ne aveva alcun diritto. Ma era solo un ricordo lontano, ormai. Era passato molto tempo.

D’un tratto, quasi non credesse che fosse possibile, Willow udì la vocina della bambina levarsi nel silenzio e portarla fuori a forza dal torrente dei suoi ricordi.

“Tu sei zia Willow.”

Era più una constatazione che una domanda.

Per Willow fu come tornare sul pianeta terra da un viaggio interstellare. “Sì sono io,” rispose con il tono più gentile che le riusciva, anche se non troppo sicura di esserci riuscita. “Entra pure, piccola,” la invitò con un cenno della mano. Lizzie avanzò di un paio di passi nella stanza, senza chiudere la porta e levò i suoi occhini sulla strega dai capelli rossi.

“Non hai l’aspetto di una zia,” disse.

Willow sorrise stupita. “Neanche con gli occhiali?” Chiese togliendosi gli occhiali da lettura e portandoseli davanti al viso perché la bimba potesse vederli bene.

“Na-aah.”

“Nemmeno se faccio la faccia severa e parlo così,” disse atteggiando la faccia a finta severità e impostando la voce in modo cavernoso.

La bimba ridacchiò timidamente e scosse la testa. I suoi capelli le danzarono attorno al viso. “No-oo!”

Così simile a sua madre, pensò Willow.

“E allora cosa sembrò?”

Liz sembrò pensarci su un secondo prima di rispondere. “Sembri una mamma,” disse con assoluta risolutezza.

Quella semplice frase lasciò Willow senza parole. Era stata descritta in molti modi nella sua breve vita. In passato era stata l’amica affidabile, l’hacker, la strega, la studentessa irreprensibile, la figlia responsabile, la ragazza del musicista, la lesbica, la paziente traumatizzata, la ribelle per i motivi sbagliati, la combattente sul fronte dell’apocalisse, la strega nera, il Pericolo Numero Uno.

Ora era Willow la programmatrice, la storpia, la ricercatrice della Scobby Gang, la ragazza ricca che si era fatta da sé, la Strega Rossa, il cui nome perfino i demoni e i vampiri pronunciavano con timore. E la lesbica. Perché quando si trova una forma di perfezione sarebbe stupido abbandonarla, per come la vedeva lei. Soprattutto se la si era trovata tra le braccia della più bella, dolce, comprensiva e sexy delle ragazze.

Ma mai nella sua vita qualcuno le aveva detto che sembrava una mamma. Il fatto che glielo avesse detto la figlia della suddetta dea della bellezza la riempì di orgoglio e le fece enormemente piacere. Il suo viso si fece rosso per l’imbarazzo e un sorriso smagliante le apparve sulle labbra. “Davvero?” Chiese facendo cenno alla bambina di avvicinarsi.

“Sì,” disse la bimba, rimanendo dove si trovava. Poi come se improvvisamente si vergognasse di qualcosa abbassò lo sguardo al pavimento. “E’ per colpa tua che la mamma piange sempre?” Le chiese in un sussurro.

Il repentino cambio di discorso colse Willow con la violenza di uno schiaffo. Impiegò diversi secondi per comprendere appieno quelle parole, un senso di colpa indefinito che le cresceva dentro sempre più forte, nonostante i suoi tentativi di ricacciarlo indietro. Sentì il bisogno di piangere, ma non si permise di far salire le lacrime agli occhi, sebbene sul suo viso fosse apparsa, senza che la sua volontà potesse impedirlo, un’espressione contrita. Aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la bimba riprese a parlare senza darle il tempo di replicare.

“La mamma piange quando pensa a te.”

Willow si bloccò, incerta su cosa dire o cosa fare. Le parve che le parole della bambina non fossero un’accusa, per quanto certamente non erano un complimento. Si sentì completamente spiazzata. Non riuscì a far altro che starsene lì, seduta nel suo stesso letto, a fissare la bambina.

Di’ qualcosa Rosenberg! Non stare a bocca aperta come una deficiente!

“Purtroppo sembra che io non riesca a far altro che far sentire la tua mamma triste.” Il proprio tono sembrò troppo auto-commiserativo anche alle sue orecchie.

La bimba alzò lo sguardo, leggermente impaurita. “Pure io,” disse. “La mamma è triste perché non vuoi vederla.” Il piede di Liz tracciò un’immaginaria linea sul parquet di fronte a sé. “È per colpa mia che non vuoi vedere la mamma?”

Willow si sentì riempire di pena.

“Oh, no, no, no, non è colpa tua,” disse senza pensare. Infatti è colpa mia.

Non era stata lei a rifiutarsi di andare a SF ogni volta che Dawn, Buffy o Xander e Anya erano andati? Aveva sempre temuto che vedere Liz e sapere che era figlia di Tara ma non sua sarebbe stato un dolore terribile. Ed ora quella figlia stava lì, di fronte a lei, spostando il peso da un piede all’altro, con gli occhi incollati a terra e il suo libricino in mano. Una bimba che biasimava se stessa per qualcosa che la sua giovane mente non poteva neanche comprendere.

Willow si sentì ancora più egoista. Ma anche qualcos’altro fece breccia in lei. Willow realizzò appieno che quella era la figlia di Tara e che davvero provava un dolore terribile sapendo che non era anche figlia sua. Ma vedendola così triste provò anche il desiderio irrefrenabile di prenderla tra le braccia e consolarla.

Hanna, piccola mia, come vorrei che tu fossi qui con me. Come vorrei essere davvero una mamma Willow. Giuro che non avresti mai conosciuto l’indifferenza!

“Lizzie, piccola, vieni qui,” disse allungando un braccio d’invito in direzione della bambina e ripetendo il cenno d’invito. La bimba si avvicinò ancora di più al letto, ma rimase a una certa distanza dal braccio proteso della giovane strega.

“Cos’hai là?” Le chiese Willow, indicando il libricino ancora stretto nella mano della bimba. Era fermamente intenzionata a vincere le resistenze della piccola.

Liz tese la mano in avanti e consegnò il libricino a Willow perché potesse guardare da sé, dimentica delle due foto custodite all’interno. “Cappuccetto rosso,” disse timidamente. “Stasera la mamma non me lo ha letto, perché doveva parlare con zia Buffy e zia Dawn. Però non importa perché me lo ha letto tante volte. Io non ho tanti libri come te. Tu ne hai anche di più della mamma.” Il broncio apparve di nuovo, piegandole le labbra in una smorfia triste assolutamente irresistibile.

Willow passò lo sguardo lungo i muri della sua stanza completamente ricoperti di libri di magia e di poesia e di manuali tecnici e di romanzi. Pensò a Tara e a come fosse sempre riuscita a mantenere la sua passione per la lettura in passato, nonostante le sue magre finanze.

“Quei libri non sono adatti per una bambina,” disse Willow dolcemente. Ma domani te ne comprerò di nuovi se vorrai. Va bene?”

Il viso della bambina si illuminò. “Davvero?” Chiese con un sorriso raggiante.

“Sicuro! Per stasera potremmo accontentarci di questo o potrei raccontarti io una storia.”

“Davvero?”

“Davvero.”

“Sììì,” strillò eccitata la bambina, le sue resistenze vinte da quella semplice promessa.

Willow era ormai completamente catturata dalla bambina. “Sì cosa? Libro o storia?”

Lizzie salì sul letto e le si avvicinò carponi. “Storia, per favore,” supplicò con un broncio irresistibile.

“Okay. Hai vinto. Ti racconterò una storia.” Willow spostò il portatile al sicuro da una parte ed aprì le coperte per permettere alla bambina di entrare nelle coltri, sorridendo dell’innocente ingenuità della piccola. Il cuore accelerò i battiti per un istante, riconoscendo la stessa espressione che tanto aveva amato in sua madre.

Liz entrò nel letto, ma invece di distendersi al suo fianco, avanzò carponi sul materasso fino a salirle in grembo. Quando cercò di scavalcare il muro rappresentato dalla gamba destra di Willow, urtò contro il ginocchio della giovane hacker. Willow non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un gridolino di dolore. Il libricino le sfuggì di mano, cadendo sulla coperta, mentre malediva l’inefficacia dell’anti-dolorifico.

Liz si immobilizzò all’istante, a metà in grembo alla giovane strega. Gli occhi le si riempirono di spavento.

Willow si riprese in fretta. “Shh, non è successo niente. Tranquilla piccola,” disse in modo dolce, accarezzandole una guancia con il dorso delle dita per tranquillizzarla.

“Non è colpa tua. Zia Willow ha qualche problemino con il ginocchio destro.”

Prese in braccio la bambina e se la sistemò meglio in grembo, accarezzandole i capelli, per rassicurarla. Quando vide che il pericolo di pianto era ormai scongiurato, Willow si tirò più su contro la spalliera del letto, portando con sé la piccola. Si sistemò un‘immaginaria ciocca dei corti capelli rosso-tiziano dietro l’orecchio destro, un gesto dovuto ad un’abitudine consolidata durante gli anni in cui i suoi capelli erano molto più lunghi.

“Allora, vediamo…vuoi sentire una storia che riguarda la zia Buffy?” Le sussurrò in un orecchio, solleticandola sul pancino, in uno dei punti in cui avrebbe solleticato sua madre.

La bimba annuì, ridendo e dimenandosi. Willow si stupì di come fosse simile a Tara anche in questo. Sensibile al solletico negli stessi punti e con la stessa, bellissima, sonora, spontanea risata.

Willow sistemò la coperta leggera attorno ai loro corpi uniti in modo che solo la testa della bambina sporgesse.

Liz si sistemò più strettamente contro il corpo di Willow, assaporando il tepore e godendo inconsapevolmente della dolcezza del momento. Pensò a tutte le volte che la sua mamma le leggeva le fiabe o si inventava delle storie, nello stesso modo, cullandola dolcemente, finché non si addormentava.

Si sentiva al sicuro lì, con quella zia che non aveva mai visto e che non aveva l’aspetto della zia. Protetta. Come tra le braccia della sua mamma.

Sbadigliò sotto lo sguardo divertito di Willow che, mentre narrava una storia bizzarra di mostri e di come zia Buffy li avesse sconfitti, non si perdeva un suo gesto.

Se avrò sonno dormirò qui, decise, mentre la stanchezza tornava ad impadronirsi di lei.

Sbadigliò sotto lo sguardo divertito di Willow che, mentre narrava una storia bizzarra di mostri e di come zia Buffy li avesse sconfitti, non si perdeva un suo gesto.

Era felice. Ora lei e zia Willow si conoscevano e la mamma non sarebbe stata più triste. E forse Willow avrebbe baciato la mamma e la mamma sarebbe stata ancora più felice, come nelle foto. Ecco sì, sarebbe successo proprio questo. Ne era sicura.

“…zia Buffy combatté contro Lucius il vampiro cattivo che voleva portare tutto il male sulla terra.”

Lizzie sbadigliò di nuovo e disse: “Zia Buffy è molto forte.”

“Fortissima. Ha i raggi laser dagli occhi, può sputare fuoco dopo certi hamburger e ha anche il potere di far arrabbiare tutti quelli che le vogliono bene, anche se non è molto utile in battaglia.”

“Non è vero! Te lo stai inventando!” Protestò la bimba. “Zia Buffy è forte e brava. Ti inventi le cose proprio come fa la mamma! Ti chiamerò mamma Will!”

Willow spalancò gli occhi per la sorpresa. Faticava a credere alle proprie orecchie. Davvero la bimba l’aveva chiamata mamma Will? E perché mle faceva così piacere che l’avesse fatto?

“Sì, che è vero! Ma questa è un’altra storia e te la racconterò un’altra volta,” disse, decidendo di ignorare il commento della bambina, almeno per il momento.

Riprese il racconto, mentre la sua mano continuava ad accarezzare la testa di Liz. Quasi non si accorse che la bambina si era addormentata.

Andò avanti ancora un po’ prima di essere costretta a cambiare posi zione quel tanto che bastava a riattivare la circolazione nelle gambe. Era conscia del fatto che tra un po’ le si sarebbero completamente intorpiditi i muscoli, ma non osava muoversi per mettersi in una posizione più comoda. Non voleva svegliare quel piccolo angelo che dormiva tra le sue braccia.

Allungò una mano e con dita esperte spense il pc che ancora ronzava di fianco a lei nel letto. Lo spostò sul comodino. Il lavoro poteva aspettare.

Liz si mosse appena contro di lei, la sua piccola mano ferma, inerte sopra il suo cuore, laddove un tatuaggio era testimone di uno dei suoi più amari segreti.

Avere la bambina tra le braccia la riempiva di una gioia sottile e profonda. Aveva sempre sperato di poter avere figli un giorno. Aveva desiderato essere madre più di ogni altra cosa. Si era sempre detta di avere ancora un po’ di tempo, che prima o poi...

Anche dopo che Tara se n’era andata non aveva escluso l’idea, anche se non aveva mai pensato ad altra donna accanto a sé per allevare un figlio. Aveva sognato una bambina, bella proprio come quella, con i capelli rossi come i suoi, casomai. Una bambina da cullare così come stava facendo ora. Aveva desiderato che Tara fosse l’altra madre dei suoi figli e anche quel sogno era scomparso. Ma di questo non poteva biasimare altri che se stessa.

Quel desiderio era andato in frantumi nei tre giorni di prigionia nella caverna. Aveva sempre creduto che sarebbe stato più difficile per lei avere a che fare con la figlia di Tara. Le aveva dato un meschino senso di fastidio il fatto che Tara avesse avuto una figlia e lei non ne fosse partecipe, per quanto sapesse che non era certo stata una scelta programmata.

Ed ora quella bimba le posava una mano sul cuore, artigliando il tessuto del suo pigiama, sfregando la sua manina come se volesse cancellare quel disegno che attestava la sua sopraggiunta sterilità con il tocco leggero della sue piccole dita, con la sua sola presenza. Come se volesse dirle: adesso non ha più importanza perché ci sono io, qui con te, nella tua vita.

Willow continuò il suo racconto alla piccola dormiente. Liz si mosse ancora nel sonno e posò un lieve bacio sulla guancia di Willow. La strega s’interruppe stupita. Sfiorò con la punta delle dita il punto in cui le labbra di Liz si erano posate e la sua bocca si allargò nel più sciocco e felice dei sorrisi.

Il velo persistente di tristezza che la accompagnava dal giorno in cui Tara l’aveva lasciata si sollevò per un istante. Tutto grazie ad una piccola creatura di quattro anni e alla sua ingenua tenerezza.

E pensare che si era sentita stupidamente tradita, nonostante lei e Tara non fossero più una coppia da più di un anno e la piccola Liz fosse stata concepita sotto i tragici auspici di uno stupro. Si sentì meschina.

Sapeva come doveva essersi sentita Tara non appena il fatto era accaduto. Ogni notte sognava Rack, Spike e gli altri vampiri che a turno le violavano le carni, i loro volti contorti dalla lussuria; sentiva ancora gli spasmi dei conati di vomito che l’aveva quasi soffocata. Ne risentiva l’odore acre e pungente, rivedeva i loro sessi eretti entrarle nella carne. Riprovava il dolore delle torture.

Ogni notte.

Lo stupro era la cosa più bestiale che un uomo, vivo o morto che fosse, potesse fare ad una donna. Lo stupro subito, quella violenza protratta per tre giorni, era stata peggio delle botte e delle torture. Aveva rischiato di impazzire. Aveva desiderato di impazzire.

Solo un freddo odio nei confronti dei suoi carcerieri l’aveva mantenuta lucida. Quello e la volontà di non permettere che arrivassero a Buffy o Dawn. Sarebbe morta, anche tra atroci sofferenze se necessario, ma non avrebbe mai revocato i suoi incantesimi protettivi. Le dispiaceva che non li avrebbe mai visti all’opera, dopo tutto il tempo che aveva speso nel crearli e perfezionarli, ma andava bene lo stesso. L’importante era che funzionassero e che quei due maledetti bastardi che la stavano facendo a pezzi piano piano, distruggendone il corpo e lo spirito, non riuscissero nei loro più neri intenti.

Talvolta ancora si svegliava piangendo o sudando freddo. Aveva fatto promettere a Buffy e Xander che Tara e Dawn non avrebbe mai saputo i fatti avvenuti nella caverna, soprattutto che anche lei aveva subito uno stupro. Diversi stupri, si corresse, con amarezza. Decine di stupri. Aveva cercato di smettere di contarli dopo il decimo. Aveva desiderato che la sua mente si ritirasse semplicemente in un luogo lontano da dove si trovava, assistendo alle proprie torture come se si trattasse di un brutto documentario. Ma la sua mente si era rifiutata di accontentarla per molto tempo.

Almeno quello Buffy non se lo è lasciato sfuggire, si disse con sollievo.

 

Ora Liz, nata da un altro stupro, era tra le sue braccia che dormiva e questo era stato sufficiente a scacciare l’orrore del ricordo. Almeno per un po’.

Willow baciò dolcemente la nuca della bimba che reagì abbracciandola più strettamente. Un sorriso le si formò sulle piccole labbra, mentre le sue dita correvano inconsapevoli lungo l’orribile cicatrice che attraversava il seno sinistro della strega.

Willow pensò al perfido sarcasmo del destino, a come una stessa dolorosa, maledetta prova desse adito a situazioni opposte. Lo stupro che Tara aveva subito da un delinquentello di San Francisco, morto poco dopo in uno scontro a fuoco tra gang giovanili, aveva dato vita allo splendido frutto che giaceva addormentato nel suo grembo.

Il proprio le aveva distrutto ogni speranza di avere figli, lasciandola in fin di vita e con lo spirito in un qualche modo spezzato irrimediabilmente.

Forse no…

Scacciò il pensiero e si concentrò solo sulla piccola Liz. Sul qui e ora.

Non farti illusioni, Rosenberg!

Eppure…

Una bambina così dolce e bella era proprio la figlia di Tara. Una figlia perfetta per una madre perfetta.

Willow ignorò il dolore che andava facendosi acuto alle terminazioni inferiori e spense l’abat-jour. La stanza piombò nell’oscurità quasi totale. Solo la lama di luce di un lampione, proveniente dalla strada, le permetteva di intravedere i contorni della piccola adagiata contro di lei.

Era tutto così naturale.

Inspirò il profumo della bambina, un misto di innocenza, vaniglia e spezie. Lo stesso odore che aveva Tara, quando rimanevano per ore abbracciate a letto, dopo l’amore, e lei non poteva fare altro che guardarla in adorazione e respirarla, cercando di imprimere nella memoria ogni particolare, ogni odore, ogni suono di ogni singolo respiro emesso dalla sua fidanzata.

Il pensiero di quegli attimi la fecero star male. Doveva ricacciare nel fondo della mente quelle considerazioni. Aveva perso la donna della sua vita e la colpa era stata totalmente sua. L’aveva persa ed ora non c’era modo di tornare indietro.

Anche i ricordi erano un lusso che intendeva negarsi.

La sua voce si incrinò leggermente. “Zia Buffy non poteva permettere che il cattivo vampiro Lucius aprisse la porta del male. Allora andò nella base dei cattivi, una caverna brutta e scura e…”

Si accorse che la malinconia le aveva riempito gli occhi di lacrime. Non fece nulla per asciugarle, piangendo in silenzio finché la stanchezza non le riportò il sonno. Pregò brevemente perché i sogni non tornassero a farle visita. Non con Liz stretta contro di lei. Ti prego, Dea, non questa volta. Non voglio terrorizzarla. Ti prego. Ti prego. Ti prego. Almeno per una volta, tieni lontani i sogni.

“…così, dopo una terribile lotta, zia Buffy uccise il vampiro cattivo e tutti vissero felici e contenti.

Passò la mano sul capo della piccola in una stanca carezza, prima di piombare nella disperata, indesiderata incoscienza del sonno.

 

 

Buffy si alzò dal letto e uscì dalla sua stanza con l’intenzione di andare in cucina a bersi un bicchiere di latte. Non aveva molto sonno, abituata com’era a pattugliare di notte e il pensiero di aver turbato Tara non le dava pace. Non tanto quanto l’idea di dover subire le ire di Willow, ma abbastanza da rimuginarci su.

Non era sua intenzione sconvolgere la strega bionda, ma dover mantenere tutti quei segreti le pesava. Tara aveva diritto di sapere. Soprattutto ora che temeva che Will fosse sul punto di cedere di schianto.

Appena fu per il corridoio sentì delle voci provenire dall’attico. Salì le scale silenziosamente in modo da non essere sentita. Si chiese se per caso Will non fosse al telefono. Ma con chi nel cuore della notte?

Arrivata quasi al piccolo pianerottolo, si accorse che la porta della camera di Will era aperta. Si fermò ad ascoltare. Da lì poteva vedere nella stanza senza essere vista. Avere dei super sensi era fantastico talvolta. Si concentrò sulla conversazione.

“Zia Buffy non poteva permettere che il cattivo vampiro Lucius aprisse la porta del male. Allora andò alla Fabbrica delle Carni, che era la base dei cattivi, e…”

Buffy sentì le lacrime bagnarle gli occhi. La voce di Willow aveva una sfumatura dolce che non le sentiva da tempo immemorabile. Sta raccontando del mio scontro con Il Maestro. Ma a chi?

Aguzzò lo sguardo e vide Willow imbacuccata nelle coperte accarezzare qualcuno sul capo. Gli occhi di Buffy si allargarono a dismisura quando colse dei capelli biondi spuntare da sotto le coperte.

Oh, mio Dio! Tara? No, non è possibile! Ma perché le parla come se fosse una ragazzina.

Guardò con più intensità e riuscì a vedere alla scarsa luce della stanza che il capo che si era impossessato del petto di Willow come cuscino era sì biondo, ma piccolo come quello di un bambino. La rivelazione colpì Buffy con forza.

Liz! È Lizzie! Hey, Lizzie non si è mai addormentata così con me! Si disse con una punta d’invidia. Però la cosa è interessante. Credo che vedremo molte cose stupefacenti nei prossimi giorni. Vai Lizzie!

“…così, dopo una terribile lotta, zia Buffy uccise il vampiro cattivo e tutti vissero felici e contenti,” disse una Willow sempre più stanca.

Un sorriso apparve sul volto della cacciatrice.

Willow spense le luci. Buffy rimase ancora un po’ ad ascoltare finché il suono quieto e regolare del respiro della strega addormentata non le arrivò all’orecchio.

Allora salì silenziosamente gli ultimi gradini e si affacciò nella stanza.

Restò per molti minuti a guardare la sua migliore amica e la bambina che dormivano abbracciate, una speranza iniziava a fare breccia nel suo cuore. Dopo un po’ si chiuse silenziosamente la porta dietro le spalle e iniziò a scendere verso la sua camera con l’intenzione di andare a dormire, ormai dimentica del bicchiere di latte che voleva bere. Quando fu nel suo letto, sbadigliò e cadde in un sonno beato, un ultimo pensiero, una speranza coltivata in silenzio, ad accompagnare i suoi sogni.

Abbiamo la chiave! Will tornerà quella di prima. Aspetta che lo sappia Dawn!

 

 

Capitolo XXI: L’incontro

 

Tara sentì il sole colpirle le palpebre, riportandola lentamente alla coscienza della veglia.

Si stirò con precauzione, ricordando che la piccola Liz dormiva accanto a lei e temendo di poterla colpire inavvertitamente. Si voltò nel letto con cautela, attenta a non disturbarla, gli occhi ancora chiusi.

Voleva che la prima cosa che avrebbero visto i suoi occhi questa mattina fosse il faccino di Liz. Voleva contemplare la vista della propria figlioletta immersa nel sonno e bearsi della sua fortuna.

Almeno per qualche istante, prima di doverla svegliare. Quanto bastava per avere nuove ragioni per affrontare la vita.

Era un gesto abituale per lei, ogni volta che Liz dormiva nel suo letto. Le dava tranquillità e gioia. La rassicurava vedere Liz domire serena. Spesso a casa permetteva alla piccola di dormire con lei nel suo letto solo per avere quel privilegio al mattino.

Questa mattina si sentiva frastornata. Sapeva di aver dormito molto male, scossa dai pensieri di quanto aveva appreso la sera precedente. Aveva l’impressione che una nebbia le avvolgesse la mente, impedendole di pensare correttamente. Era molto meglio non pensarci, almeno per il momento. Liz era proprio la cura giusta per schiarirsi le idee.

Mia figlia e il sole che sorge, si disse. Non c’è niente di meglio.

A parte mia figlia, il sole che sorge e una certa strega dai capelli rossi al tuo fianco.

Scioccata dal proprio pensiero, Tara si ammonì a non incedere in idee che potevano risultare inapplicabili.

Quando finalmente aprì gli occhi ebbe la sgradita sorpresa di ritrovarsi da sola nel grande letto. Per un istante il panico si impadronì di lei. La parte del letto dove dormiva Liz era vuota e fredda al tatto. Si tirò su in fretta e rabbrividì quando i suoi piedi toccarono la moquette. La stanza era inondata da una forte luce proveniente dalla finestra, ma il sole del mattino non la riscaldò. Guardando fuori aveva capito immediatamente di aver dormito molto più del solito. Tara era sempre stata mattiniera, anche prima della nascita di Liz. Di solito era in piedi anche prima dell’alba. Ma avere una figlia piccola non lasciava molte possibilità di poltrire a letto.

A parte quando ci sono delle zie che non vedono l’ora di toglierti qualsiasi incombenza, a quanto pare, si disse con un sorriso, ipotizzando che Lizzie fosse già scesa di sotto e le sorelle Summers si fossero prese cura di lei. Alla fine di questi dieci giorni dovrò fare un monumento a Buffy e Dawn. ‘Per meriti verso le ragazze madri.’ Be’ per meriti verso almeno una ragazza madre.

Una rapida occhiata all’orologio da polso posato sul comodino le confermò i suoi sospetti sull’orario. Erano quasi le nove del mattino.

Che dolce, la mia Lizzie! Ha lasciato la sua mamma dormire!

Ringraziò ancora mentalmente Dawn e Buffy per la loro infinita pazienza con la sua piccolina e per l’affetto che Lizzie provava per entrambe. E pensare che all’inizio Liz non aveva dato loro molta confidenza, seppure l’avessero vista nascere. Purtroppo sua figlia aveva ereditato tutta la sua timidezza e per quanto Tara si fosse fatta un punto d’onore di evitare che crescesse pensando di non valere nulla, aveva una naturale predisposizione a nascondersi dagli sconosciuti.

Ma non crescerai triste come me, lo prometto!

Le lezioni di suo padre erano servite a Tara per farle capire quale era la strada da non seguire nell’educazione di sua figlia.

Tara si cambio velocemente, sostituendo il suo pigiama a maniche corte con una blusa azzurra, molto larga, che ne nascondeva le forme generose, ed una gonna a fantasia blu notte che le arrivava fino alle caviglie. Il coordinato avrebbe dato un’aria troppo seria a qualunque altra donna di 27 anni. Su di lei era semplicemente delizioso. Le dava un’aria gitana e misteriosa. Si riavviò i lunghi capelli biondi con la spazzola, cancellando il disfacimento del sonno. Dopo un’ultima occhiata veloce nel grande specchio dell’armadio, stabilì di essere pronta. Uscì dalla stanza e si diresse di sotto, verso la cucina.

Salutò con un gesto Dawn, impegnata in una conversazione telefonica piuttosto impegnativa ai piedi delle scale.

Dawn le sorrise e le fece un cenno di saluto di rimando, continuando la sua conversazione. “Amore, non posso farci niente se tuo zio Albert…sì, ho capito... Smettila di essere così nervoso... Ok, ok...” Sospirò, ruotando gli occhi come a dire: <>. “Certo che capisco, ma cosa vuoi che faccia…? Sì ma…”

Tara rise della buffa espressione e riprese il suo percorso verso la cucina dove trovò la cacciatrice seduta ad uno degli sgabelli intenta a divorare la sua colazione a base di latte e cereali.

Buffy, non appena la vide varcare la soglia, alzò i capo dalla tazza e la gratificò di un sorriso.

“Buongiorno dormigliona. Come va? Hai dormito bene?” Le chiese in tono fin troppo casuale.

“Per quanto è stato possibile,” ammise Tara, guardandosi intorno in cerca della propria figlia, stupita di non averla vista correrle incontro, mentre si sedeva su uno sgabello di fronte a Buffy. “Dov’è Liz?” chiese.

Buffy la guardò con finto smarrimento. “Pensavo fosse con te,” replicò, alzando un sopracciglio in modo furbo.

Tara si si guardò attorno, preoccupata e non si avvide del gesto di Buffy. Poi si accorse che Buffy non sembrava minimamente preoccupata.

“Cosa?” Le chiese, sentendo l’ansia crescere in lei. E sporgendosi sopra il bancone della colazione per prenderle le mani in un gesto nervoso.

Buffy aggrottò le sopracciglia in una strana espressione e ricambiò la stretta con un sorriso.

“Be’ sai, neanche Willow si è ancora fatta vedere…” Buttò là guardando oltre la spalla di Tara.

Gli occhi di Tara si allargarono a dismisura. “Oh, Dea! Non dirmi che…”

Il sorriso di Buffy si allargò, ma pensò fosse più saggio non presentare ciò che sapeva come una certezza.

“Sai come sono i bambini. Forse la nostra piccola Liz è andata ad esplorare un’altra porzione del suo nuovo territorio.”

Tara si sciolse dalla stretta della cacciatrice e si alzò dallo sgabello per uscire dalla stanza. “Vado su a riprenderla,” disse d’impulso. Fece per incamminarsi ma la voce di Buffy la trattenne.

“Aspetta. Fai colazione prima.” Era evidente che Buffy stesse pensando a qualcosa. “Liz non corre alcun pericolo con Will e se avrà fame verrà giù da sola. Ormai questo è il suo nuovo regno.”

Tara si disse che era un piano d’azione accettabile. Ormai il danno era stato fatto e poi, avere un po’ più di tempo prima di rivedere la sua ex non le dispiaceva. Inoltre aveva fame.

Scosse la testa al pensiero dell’impudenza di Lizzie, di solito così quieta e obbidiente.

“Deve esserci qualcosa di veramente sbagliato nel mio codice genetico, se i due tratti principali che mia figlia ha ereditato da me sono la timidezza e una curiosità incontenibile,” disse passandosi una mano sulla faccia e tra i capelli. “Eppure le avevo proibito tassativamente di disturbarla,” sospirò.

La risata di Buffy la riportò alla realtà. Accorgendosi di ciò che aveva detto, chiese: “L’ho veramente detto a voce alta, vero?”

Buffy annuì tra le risate. “Yep!” Tara si unì a lei.

Appena le risate si furono spente Tara tornò al tavolo e si risedette. “Vuoi del caffè?” Le chiese Buffy.

“Preferirei del tè, se è possibile. Mi sento un po’ fastornata questa mattina.”

“Certo.” Buffy si alzò dallo sgabello e provvedette a riempire il bollitore e a metterlo sul fuoco. Poi tirò fuori una tazza e diversi tipi di tè, che posò di fronte alla strega.

Un pensiero percorse la mente di Tara mentre aspettavano che l’acqua per il tè bollisse. Cosa se Liz non era andata su da Willow? “Buffy, hai visto Liz andare di sopra, o l’hai sentita?”

“No, non proprio,” rispose Buffy evasivamente, mentre si versava del caffè.

“Allora non sei certa che sia di sopra? E se fosse uscita…”

Buffy notò l’accenno di panico nella voce di Tara. “Non credo che sia questo il caso,” affermò con sicurezza.

“Come fai ad essere sicura?”

Buffy si alzò al fischio del bollitore e lo tirò via dal fuoco. Quando si voltò di nuovo verso il bancone, Tara la stava guardando intensamente. Buffy pensò che attendesse una risposta, ma prima che potesse dire qualcosa Tara continuò. “Cosa significa ‘non proprio’?

Uh-oh!

“Cosa?” Chiese Buffy fingendo di non aver capito, mentre versava l’acqua bollente nella tazza di Tara.

“Non giocare con me Buffy!” Disse Tara, leggermente offesa ed irritata dalla reticenza della sua amica. “Ti prego dimmi ciò che sai,” supplicò in tono più gentile.

“Okay, okay.” Buffy alzò le mani in senso di resa. “Però prima devo fare una piccola premessa.” Buffy tacque per alcuni istanti cercando di raccogliere i pensieri.

Come faccio a dire a Tara che Will soffre d’insonnia e usa lo scotch come personale sonnifero? Come faccio a dirle dei suoi incubi? Come faccio a non dirglielo, se voglio aiutare Will? Perché se c’è una possibilità che la nostra Willster torni ad essere felice, quella possibilità è con Tara. Eppoi c’è Liz. Non ricordo quando è stata l’ultima volta che Will ha dormito così profondamente. E quando sono andata a controllare stamattina dormiva ancora! Di solito è sveglia già da ore quando mi alzo io! Ed erano così carine, tutte abbracciate!

Buffy sospirò. “Ecco vedi, Will non dorme più tanto. So che sembra strano visto che è sempre stata una dormigliona, ma dopo la caverna…” Buffy sospirò di nuovo. “Sembra che a me tocchi sempre dare le cattive notizie.”

“Buffy, spiegati meglio.” Tara era confusa.

“Ecco, questa notte, ho visto Liz in camera di Willow. Mi ero alzata per bere un bicchiere di latte, quando ho sentito delle voci provenire dall’attico. All’inizio ho pensato che Will fosse al telefono, ma quando mi sono avvicinata ho visto che stava parlando con Liz. Dopo un po’ si sono addormentate.”

“Liz si è addormentata in camera di Willow?” Chiese Tara stupefatta?

Buffy annuì. Si rendeva conto perfettamente di quale evento fosse. Liz si era addomentata tra le sue braccia solo dopo due anni che la conosceva.

“È incredibile!” Dichiarò Tara. “Liz non dorme mai con degli sconosciuti, lo sai. E Wilol è praticamente una sconosciuta per lei.”

Cosa poteva significare che Liz si fosse addormentata in camera di Willow? Perché Liz era salita su nell’attico, nonostante lei glielo avesse proibito? Come mai la sua iper-diffidente figlia si era sentita abbastanza tranquilla da passare la notte con una persona di cui aveva sentito parlare e non in termini entusiasti? Tara non potè fare a meno di porsi tutte quelle domande e molte altre ancora.

Ma il fatto era ancora più speciale di quanto Tara potesse immaginare.“Vedi, Will ha molti incubi la notte. È per questo che dorme poco. Spesso si sveglia sconvolta. Una volta si svegliava piangendo o urlando. Al massimo dorme due ore alla volta e…”

Le parole di Buffy riportarono Tara alla realtà. “Aspetta un secondo. Mi stai dicendo che hai lasciato Liz con Willow pur sapendo che si sarebbe svegliata urlando o piangendo? Ma sei impazzita? Liz sarà terrorizzata!” Tara era furiosa ora. Ma che diavolo passava per la testa degli abitanti di casa Summers. Fece per alzarsi, ma il sorriso sul volto di Buffy la trattenne. C’era qualcosa che Buffy non le aveva ancora detto, ne era certa. La rabbia si trasformò in sconforto. Si sentì ferita dalla reticenza di Buffy. Quanti segreti riguardanti Willow le stavano ancora tacendo? Quanto avrebbe dovuto sospirare perché qualcuno si decidesse a dirle chiaramente quello che era successo alla donna che aveva amato così tanto? Era davvero ormai così lontana dai loro pensieri e dalle loro vite da dover essere trattata come un’estranea? Aveva davvero perso ogni diritto di sapere quello che accadeva nella vita di Willow?

Il cuore le diceva che questi pensieri erano falsi, che era ingiusta nei confronti di persone che le erano state molto vicine in momenti molto difficili della sua vita. La logica invece stava percorrendo strade tutte sue, facendo di sospetti che sapeva meschini, delle verità incontrovertibili. E perché Buffy, la più longeva cacciatrice in attività, così fieramente protettiva con i suoi affetti, non era preoccupata dal fatto che Willow potesse in qualche modo spaventare Liz? Aveva scelto tra due affetti e Liz aveva perso il confronto? O c’era dell’altro?

“Per l’amor di Dio, Buffy, dimmi cosa sai,” implorò.

Buffy annuì. “I suoi incubi sono migliorati col passare del tempo, ma non hanno accennato a scomparire. Di solito arrivano dopo poco che Will si è addormentata, e la lasciano solo quando è sveglia. So che non è piacevole, ma è così. Io e Dawn non possiamo farci niente,” disse Buffy indicando il salotto da dove si sentiva la voce di Dawn che stava ancora parlando al telefono.

“Sì Frances, glielo dirò. Ehy, non è colpa mia se tiene sempre il cellulare spento. Va bene. La manderò in ufficio appena la vedo. Ok. Ciao.”

Buffy sorrise, prima di continuare, l’affetto per la sorella evidente. “Ma ieri notte ho osservato Will a lungo prima di tornarmene in camera mia. Dormiva pacifica come non la vedevo da anni.”

“Ma Liz è solo una bambina. Ha bisogno di così tante cose. Will non sa…” Protestò timidamente Tara, prima che Buffy la interrompesse. “Oh, andiamo. Vuoi che Will non sappia occuparsi di una bambina di quattro anni per qualche ora? Conosci qualcuno più responsabile di lei?”

“Cinque anni fa ti avrei detto di no. Ma cinque anni fa non praticava la magia nera,” disse Tara con amarezza.

“Non la pratica neanche adesso. Willow è la persona più responsabile che io conosca, fidati di me.”

“È difficile.”

“Lo so. Ma ne hai le prove sotto gli occhi. Questa casa è ancora nostra solo grazie a lei. Gli Scooby rischiano di meno andando di pattuglia solo perché lei ci ha fornito i mezzi per farlo. Ha cresciuto Dawn praticamente da sola. Quali altre prove servono?”

La fiducia e l’amore incondizionato nelle parole di Buffy fecero sorridere Tara. Ricordò quando, dopo aver conosciuto Willow, aveva temuto che tra lei e la cacciatrice ci fosse una relazione, tanto la loro amicizia era forte. Ma Liz era solo una bambina.

“Capisco il tuo punto dio vista. Ma non capisco ancora cosa c’entra Liz in tutto questo? Ok, Will si è addormentata tranquillamente stanotte. E Liz pure. Due eventi eccezionali, te lo concedo. Ma il rischio che gli incubi siano semplicemente venuti dopo esiste lo stesso. E Liz sarà terrorizzata se Will si sveglia urlando o piangendo.”

“Appunto.”

“Appunto?”

“Appunto per questo stamattina sono salita su nell’attico. Liz dormiva pacificamente. E Willow pure. Dormivano serenamente abbracciate.”

“Chi dormiva pacificamente?” Chiese Dawn entrando in cucina. “Buffy non devi andare a lavorare? Sono quasi le nove e mezza.”

“Dannazione! Se faccio tardi anche oggi il preside mi bacchetterà. Adesso è anche peggio di quando la frequentavo, quella scuola!” Buffy portò la sua tazza nel lavello e la sciacquò in tutta fretta prima di riporla nell’asciugatoio. Poi si avviò verso il salotto in preda alla frenesia. “Devo essere al lavoro alle dieci!”

“Buffy, chi dormiva pacificamente?” Le strillò dietro Dawn.

“Willow!” Le urlò di rimando Buffy dal salotto.

“Willow?” Dawn si spostò verso l’entrata della cucina per farsi sentire meglio da sua sorella.

Tara avvertì la nota di stupore nella voce di Dawn. Era davvero un evento così eccezionale per Willow qualcosa di così scontato per tutti come un’intera notte di sonno?

“Willow ha dormito un’intera notte?” Urlò ancora Dawn.

Buffy iniziò a salire le scale per andare a cambiarsi. “Sì-ììììììì!!!”

“SERENA?”

Buffy era ormai scomparsa alla vista. “Sì-ììììììì!!!”

“COME?”

“CHIEDI A TARA!!!” Arrivò la voce dal piano di sopra.

Dawn si voltò verso Tara con occhi scintillanti di trepidazione. “Allora? Avanti, dimmi tutto!”

Tara si sentì sommergere dalla propria timidezza. “N-non so p-proprio cosa dire. Bu-Buffy ha detto che Liz è andata su da Willow e che Will ha dormito tutta la notte.”

“La piccola Lizzie è andata su a conoscere la zia Will?” Dawn era stupefatta. “Ma è magnifico!”

“Lo è?” Chiese Tara, esternando uno dei suoi numerosi dubbi. Sembra tutto così chiaro prima del suo arrivo.

“Tara, tu sai cosa ha significato per tutti noi la nascita di Lizzie. Buffy è sempre stata convinta che prima o poi sarebbe giunto il suo momento e che avrebbe lasciato solo questioni irrisolte dietro di sé. Lei è in qualche modo l’elemento forte della famiglia. Se lei che ne ha la forza, smettesse di combattere, come potremmo noi. Ma d’altra parte se noi combattiamo non avendo profezie che ci obblighino, come non potrebbe lei. Questo almeno è il suo punto di vista. Noi traiamo forza gli uni dagli altri. Con quello che è successo a Will però sembrava che la battaglia iniziasse a costare troppo. Ma la sua decisione di continuare in qualche modo a far parte della battaglia, seppure indirettamente, ci ha dato nuovi stimoli. Ne ha dati a Buffy. Mentre Liz ci ha dato qualcos’altro.”

“Cosa?”

“La speranza di perpetuarci e di lasciare un mondo migliore. Buffy non combattè più solo perché una stupida profezia dice che deve farlo. O per proteggere quelli a cui vuole bene. Combatte per Liz e per quelli che verranno dopo. Perché il mondo sia un posto migliore quando verrà inevitabilmente il suo momento.”

Tara capì le parole di dawn e fu grata che Buffy fosse lì a combattere per tutti loro.

Come chiamata in causa dalle parole della sorella, Buffy passò come un fulmine per il salotto e si diresse alla porta. In un lampo fu fuori, lascindo dietro di sé lo schianto contro il battente e un ‘A dopo’ urlato a mezza bocca.

“Sempre se sopravvive al preside, ovviamente,” disse Dawn con un sorriso che Tara ricambiò.

“Dimmi perché è così importante che Willow abbia dormito,” disse Tara, dopo alcuni istanti di silenzio.

“Suppongo che Buffy ti abbia detti dei suoi incubi, vero?” Quella di Dawn era più una speranza che una certezza. Tara annuì.

“Ha provato di tutto per scacciarli, dalla meditazione ai sonniferi. È stato tutto inutile.”

“Potrebbero essere di origine magica?” Tentò Tara, improvvisamente interessata.

“Se lo sono, Will non è stata in grado di farli smettere.”Il tono di Dawn diceva molte cose, ma soprattutto che se non ci era riuscita Willow, nessun altro poteva. Tara rimase molto colpita dalla fiducia che Dawn riponeva nelle capacità di strega di Willow. Archiviò la notizia per un altro momento e si concentrò sulla situazione presente. “Ma Liz cosa c’entra in tutto questo? Se gli incubi di Will sono di natura magica o no, come può mia figlia fare qualcosa.”

“Se ho seguito il ragionamento della possente cacciatrice, lo ha già fatto. A quanto pare Buffy è convinta che sia stata la presenza di Liz in casa a permettere un buon sonno a Willow. Forse Liz rappresenta la pace per i suoi molti demoni. Del resto la tua piccolina è speciale,” disse Dawn con occhi scintillanti.

Tara sorrise. Liz era davvero speciale. Ma non aveva mai pensato che potesse essere speciale anche per tutti gli altri membri di quella che aveva considerato a lungo la sua vera famiglia. “Sì, lo è. Ma io sono sua madre, quindi è ovvio che per me lo sia. Quello che mi chiedo è come può esserlo anche per Will?”

“Speciale lo è di certo. Più di quanto credi. E non solo per Will.”

Tara rivolse a Dawn un espressione interrogativa.

“Perché credi che Anya e Xander si siano decisi ad avere un figlio?”

“Finiti i preservativi?” Chiese Tara con uno sguardo impertinente negli occhi.

Woha! Ora capisco perché Will diceva sempre che di Tara non se ne poteva mai avere abbastanza, pensò Dawn. Se in privato le tirava occhiate così…da far vacillare anche la ragazza più etero!

Willow aveva sempre affermato che esisteva una Tara segreta che nessuno aveva mai visto a parte lei. Una Tara non solo gentile e bella, ma anche terribilmente sexy. Ora Dawn sapeva che non era solo il punto di vista di un’amante. Se non fosse come una sorella…Si disse ridacchiando internamente.

“Be’, forse,” concesse arrossendo. “Ma Anya è un’ex-demone della vendetta e credo che Will ti abbia raccontato che la storia familiare di Xander è abbastanza brutta da scoraggiare la perpetuazione dei suoi geni. È dopo aver visto Liz e come si può crescere un figlio in modo che sia speciale come lei, con la sola forza di volontà come hai fatto tu, che hanno capito che possono farcela. Tu sei l’esempio da seguire come madre, per Anya. Tu e…”

“…e Joyce,” terminò per lei Tara. Dawn annuì. “Lei è stata la madre di tutti gli Scooby finchè era viva.”

Dawn sorrise alle parole gentili della strega bionda. “Già. Ma per Anya sono solo racconti. Il suo ruolo di madre putativa lo ha recitato soprattutto con Xander e Will. Tu sei il suo esempio vivente.”

“Davvero?”

“Sì. Lo ha detto lei stessa a Will, anche se probabilmente negherà tutto, se glielo chiedi. Lo sai, ha un’attitudine da stronza da difenfìdere.”

“Dawn, non dire certe cose!” La ammonì.

“Ehy, lo dico con tutto l’affetto possibile. Ormai Anya fa parte della famiglia da anni.”

“E Willow? Come possiamo essere d’esempio io e Liz per Willow?”

“Ma come, non capisci? Perché ha lottato così tanto per abbandonare la magia nera, secondo te. Perché non ha abbandonato la magia quando tutti noi eravamo terrorizzati che potesse ricaderci? Perché ha tenuto duro?”

“E’ difficile lasciarsi alle spalle la tentazione del potere,” disse Tara amaramente.

“E ancora più difficile controllarlo. E lei lo controlla.”

“Come fai ad esserne certa?”

“Lo so. Oddio, diciamo che potrei saperlo in qualsiasi momento.”

“Il tuo metodo misterioso? Non potresti controllare?”

“Non chiedermelo se non pensi che sia assolutamente necessario, ti prego.”

Tara vide gli occhi di Dawn farsi tristi. La ragazza voleva credere con tutta se stessa in Willow e se il suo infallibile metodo le avesse detto che la rossa era ricorsa alla magia nera ne sarebbe stata distrutta. Se invece le avesse mostrato che non l’aveva fatto si sarebbe sentita come se avesse pugnalato la sua amica alle spalle.

“Va bene, dolcezza. Solo se sarà assolutamente necessario. E lo faremo assieme,” disse prendendo una mano di Dawn tra le sue.

“Non capisci?” disse dawn animandosi. “E’ per te che Willow ha fatto tutto questo. Per essere la donna e la strega che tu volevi che fosse. Perché tu fossi fiera di lei.”

Tara si sentiva lusingata dalle parole di Dawn, ma come poteva essere certa che fosse vero? “Te lo ha detto lei?”

“No, ma credimi, non ce ne è stato bisogno. Quando fa qualcosa è come se si chiedesse: come farebbe Tara. Ha imparato a cucinare, onora la Dea quasi tutte le mattine, medita. Ha studiato la magia naturale per essere certa di non rifare gli stessi errori. Ha fatto le cose come tu avresti voluto che le facesse.”

Tara era stupefatta. Davvero Willow era cambiata così tanto? Era forse cambiata troppo? E Liz come entrava in tutto questo?

“Davvero sa cucinare?” Chiese. Proprio la domanda più stupida dovevo fare!

“Anche molto bene.”

“E onora la Dea?”

“Tutte le volte che può. E non si mangia finchè non ha ringraziato per il cibo. Inoltre ha costruito un altare con l’aiuto di Xander, dove medita e fa offerte. È una cosa molto seria per lei.”

“Sono felice che sia così, ma ancora non capisco il ruolo di Liz.”

Dawn si liberò dalla stretta di Tara e si passò le mani tra i lunghi capelli castani. “Will non dorme una notte intera da prima degli avvenimenti che ti abbiamo raccontato ieri sera,” disse in tono grave.”Se vai in camera sua mentre dorme, puoi vederla agitarsi e svegliarsi quasi immediatamente. È come se non sopportasse di avere qualcuno vicino a lei mentre è più vulnerabile. Anche se si tratta della sua famiglia. Ora arrivate tu e Liz e Wil dorme una notte intera. E Will continua a dormir con Liz nella stanza, se ho capito bene? Io il miracolo lo vedo.”

Tara rimase a lungo in silenzio. Quando parlò il suo tono era smarrito. “Cosa dovrei fare secondo te?”

“Aiutaci a riportare Will alla vita. Lascia che Liz sia per lei lo stesso simbolo che è per noi. Lascia che Will veda che esiste la speranza.”

“Potremo tornare ad essere amiche io e Will, secondo te?”

“Dipende. Tu cosa vuoi?”

“Non lo so più.”

Dawn sorrise soddisfatta. Allora dovremo darti una mano, suppongo. “Ora che farai?”

“Andrò di sopra a prendere Liz e a dire ciao a Will, credo.”

“Tutto qui?”

“Tutto qui. Non si possono sistemare cinque anni in cinque secondi, lo sai. E non sono neanche certa di volerlo.”

Questo lo pensi tu, mia cara Tara! “Be’, noi Scooby siamo specializzati nel fare l’impossibile.”

“Ma io non sono una Scooby,” protesto Tara.

“Oh, sì che lo sei. Una volta che si entra in questa famiglia, non se ne esce! Una volta Scooby, per sempre Scooby!” Dawn sapeva che Tara si era sempre sentita un po’ ai margini del gruppo. Una sorta di acquisizione esterna. Si era sempre vista prima di tutto come la ragazza di Willow, nella sua mente. Non si era mai accorta di quanto fosse importante per tutti loro.

Vorrei che fosse così semplice, Dawn. Tara sorseggiò il suo tè ormai freddo.

Quando lo ebbe finito si alzò dicendo: “Vediamo cosa succederà.”

Dawn sorrise in modo luminoso mentre la guardava avviarsi verso quello che era, secondo lei il suo destino. Willow e Liz.

 

Willow si svegliò verso le nove e trenta. Una sensazione di riposo le pervadeva il corpo e la mente, in contrasto ad una sorta di peso che sentiva sul petto. Rimase con gli occhi chiusi per qualche minuto, ascoltando i rumori della casa, in cerca di segni di attività. Dopo un po’ ebbe la netta sensazione che qualcuno la stesse osservando. Quando aprì gli occhi si ritrovò a fissare negli occhi una bimba bionda che le sorrideva timidamente, il capo poggiato sul suo petto. “Buongiorno piccola,” disse. “Dormito bene?”

Liz annuì senza smettere di guardarla e si scosto da lei con un gran sorriso.

“Ben alzata, mamma Willow,” disse educatamente.

Willow arrossì di piacere a quelle parole. La bambina era davvero adorabile. Le venne in mente quale avrebbe potuto essere la reazione di Tara e degli altri a quel nomignolo che la piccola le aveva assegnato. La bionda si sarebbe certamente infuriata. “Ascolta, Liz,” le disse dolcemente. “Sarebbe meglio che tu non mi chiamassi così di fronte alla tua mamma o a zia Buffy e zia Dawn. E neanche di fronte a zio Xander e zia Anya. Non vogliamo che pensino che sto rubando il posto della tua mamma, giusto?”

Lizzie scosse i capelli biondi in un esagerato diniego e sorrise. “Ma non è possibile, sciocca!” Disse con convinzione. “La mia mamma è insi… insosuibile…no…è unica! Ecco, sì, unica è la parola!” Disse in tono trionfale. “Ma tutti hanno una mamma e un papà. Io non potrei avere due mamme invece?”

Willow rimase a bocca aperta a metà di uno sbadiglio. Possibile che la bambina, che aveva solo quattro anni, potesse averle detto quelle parole? Eppure le aveva dette.

E ora cosa le dico? Si chiese, completamente spiazzata. Continuò a stirarsi per sgranchire i muscoli rattrappiti dal sonno e per darsi il tempo di trovare una risposta appropriata. Una fitta di dolore proveniente dalle articolazioni inferiori le strappò un piccolo gemito e le ricordò di aver dormito in una posizione scomoda.

Ho dormito…

Il fatto la colpì come una sassata dritta in fronte.

Ho dormito! E anche per diverse ore a giudicare dalla luce che entrava dalla finestra. Senza incubi! Devo iniziare a credere nei miracoli?

Un sorriso le affiorò sulle labbra, al pensiero di quel piccolo miracolo. La sua preghiera era stata ascoltata. Almeno per stavolta.

Le sue elucubrazioni vennero interrotte dalla vocina della bambina. “Sembri la mia mamma quando dormi!”

Willow si sistemò comodamente contro la spalliera del letto e attirò la piccola a sé in un abbraccio. “Lizzie, questo deve essere un nostro segreto, d’accordo?” LE disse in tono cospiratorio.

La bambina ricambiò l’abbraccio con forza e annuì vigorosamente contro la sua spalla. “Va bene.”

Dopo alcuni istanti si staccarono l’una dall’altra. “Allora, vuoi che ti faccia vedere qualcosa di bello?” Propose Willow, mentre un’idea le balenava in mente.

Gli occhi di Liz si allargarono per l’eccitazione. “Oh, sì!”

“Sicura, sicura?” Ripeté, portando un assalto a base di solletico sul pancino della piccola che tra risolini e convulsi tentativi di liberarsi faticava a rispondere. Willow si fermò. “Credi di riuscire a passarmi il computer che si trova sul comodino?”

“Sicura, sicura!” La bimba annuì vigorosamente, si voltò e prese il pc portatile. Con il volto atteggiato in una smorfia decisa lo passò a Willow che la ripagò con un ‘bravissima’. La bimba sorrise soddisfatta.

Willow accese il pc e si tirò Liz a fianco passandole un braccio dietro le spalle, mentre la macchina completava il booth.

Quando fu certa che tutto fosse pronto girò lo schermo verso Liz e caricò uno dei giochi registrati nella memoria. “Ti piacciono i giochi per computer?” chiese.

Liz guardava affascinata lo schermo pieno di icone mutare e divenire nero per poi riaccendersi sull’immagine di un paperotto ammiccante. Liz gorgogliò un risolino contento quando vide il buffo personaggio apparire sullo schermo. L’immagine iniziò a parlare ed una voce chioccia, simile a quella di Duffy Duck, uscì dai piccoli altoparlanti, strappando a Liz un sorriso da orecchio a orecchio.

“Ciao, io sono Maestro Papero. Tu come ti chiami?”

Un ‘ooohhhh’ di meraviglia uscì dalle labbra della piccola. Suppongo che questo risponda alla mia domanda, si disse la rossa con un sorriso.

Una striscia lampeggiante apparve sullo schermo dove poteva essere inserita la risposta.

Willow girò il viso verso Liz. “Sai già scrivere?”

Liz scosse la testa, un leggero velo di tristezza le scese sugli occhi. “Pochino.”

“Non importa. Scriverò io per te.” Le sorrise dolcemente, lasciando scivolare il braccio dalle spalle della bambina e posandoglielo attorno alla vita per poter battere più agevolmente sulla tastiera. Willow digitò le tre lettere del diminuitivo di Elisabeth. Il programma aveva anche una funzione vocale, ma il microfono si trovava sulla scrivania e Willow non aveva nessuna voglia di alzarsi e interrompere quel momento.

“Ciao, Liz!” disse Maestro Papero dallo schermo. Liz rispose con occhi rapiti.

Willow si incantò a guardarla, una strana felicità le pulsava in petto, quasi dolorosa. Ora capiva il senso delle parole di Bufffy e Dawn quando le dicevano che la nascita di Liz era stata una grande benedizione per Tara. Era una bimba così bella e dolce!

Willow si sentì tirare per la maglia. Liz la stava guardando con un senso d’urgenza negli occhi e un broncio leggermente arrabbiato. “Willow, scrivi! Per favore...” supplicò con la sua vocina infantile.

Willow si risistemò la maglia del pigiama che le era scesa un po’, lasciando scorgere il bordo superiore della cicatrice e del tautuggio sul petto. “Scusa, piccola.” Le sorrise, strizzandole lievemente le spalle. Le passo il braccio destro attorno alla vita e riprese a scrivere.

“Proprio come la mamma!” borbottò la bambina tra i denti, quasi a se stessa. Willow venne ripagata da un piccolo chiostro di dentini, aperti in un sorriso, mentre digitava la risposta, felice tanto quanto la bambina. “Sempre con la testa tra le nuvole.”

 

Tara salì le scale di corsa, scivolando quasi ad ogni gradino, decisa ad entrare nella stanza di Willow e a parlare con la strega dai capelli rossi fintanto che sentiva di averne il coraggio. Non aveva idea di cosa gli avrebbe detto, o di cosa Willow avrebbe detto a lei. E che avrebbe detto Liz? Perché era salita nell’unica stanza dove le aveva proibito di andare tassativamente? Come aveva preso Willow l’intrusione? Era contenta come dicevano Dawn e Buffy, oppure si era risentita e l’aveva sopportata per educazione? Willow aveva sempre avuto un animo gentile prima dell’intossicazione.

Con questi pensieri in mente, non appena si trovò in cima alle scale, di fronte alla porta della camera di Willow, tutto il suo slancio si esaurì. Si domandò in quale modo dovesse affrontare la sua ex-amante, se avrebbe trovato le parole giuste.

Cosa voleva in realtà da questi dieci giorni? Il suo amore per la rossa non era mai stato in dubbio. La possibilità di poterlo vivere nuovamente rimaneva invece un grande punto interrogativo.

E poi c’era Liz, di solito così schiva. Ora si intrufolava nella camera di una persona di cui aveva soltanto sentito parlare, decidendo di ignorare il preciso divieto a disturbare che lei le aveva fatto.

Tara si portò una mano alla fronte, massaggiandosi per alcuni istanti le tempie. Decise di stare a vedere cosa sarebbe successo.

Si apprestò a bussare, quando le arrivarono attraverso la porta i rumori distinti di risate. Fermò la mano a mezz’aria per un attimo, chiedendosi ancora se Buffy non avesse ragione, se sua figlia fosse davvero la chiave di un nuovo futuro di gioia, sgombro da malinconie e rimpianti.

Raccolse in un sospiro il suo coraggio e picchiò le nocche lievemente per tre volte sulla porta.

Una voce sottile, spezzata dai gorgoglii delle risate, la invitò ad entrare. Tara appoggiò la mano sulla maniglia, inspirò profondamente, ed aprì la porta.

La visione che ebbe, non appena varcata la soglia la paralizzò completamente per alcuni istanti.

 

 

Quaranta minuti dopo, Dawn vide Willow appoggiare il piede sul pianerottolo del soggiorno, facendo molta attenzione a reggersi contro la balaustra della scala con una mano, mentre nell’altra aveva il bastone di legno nero intarsiato che Xander aveva fatto per lei. Willow diceva che le era necessario solo in certe giornate in cui il dolore non le permetteva di camminare senza. Willow aveva l’abitudine di portarselo sempre dietro, poiché le aveva detto che il dolore al suo ginocchio destro era legato ai cambiamenti climatici e non le andava di rischiare di non averlo quando le serviva.

Dawn era ormai così abituata al bastone che quasi faticava a pensare A Willow senza la sua estensione di legno. Inoltre al suo interno era nascosto un paletto, il che a Sunnydale non guastava.

Non appena la rossa entrò nel soggiorno Dawn la mise al corrente degli ultimi sviluppi. “Andrew dice che stai facendo un magnifico lavoro e che ti offrirà la migliore cena della tua vita appena saremo tornati dal viaggio di nozze.” Cinguettò Dawn felice.

“Sua madre invece dice come sempre che stai dando alla cerimonia un’impronta chiaramente omosessuale. Ma Teresa di solito non conta.” Poi, fingendo un ripensamento, aggiunse scherzando: “Non stai dando un’impronta chiaramente omosessuale alla mia cerimonia di nozze, vero?”

Willow alzò un sopracciglio in modo interrogativo. “Tu che dici?”

”Be’ l’ho detto, l’opinione di Teresa non conta. Ho voluto che ti occupassi tu dei preparativi e non esiste niente al mondo che possa farmi pentire della mia decisione.”

“Grazie per il voto di fiducia. Almeno fino alla cerimonia avrai la convinzione che tutto procede per il meglio,” ritorse Willow con l’intenzione di far rabbrividire la sua giovane protetta.

Un’ombra di terrore passò per il volto di Dawn, finchè non colse lo sguardo divertito di Willow. “Oh, sei davvero insopportabile quando fai così!” Willow ridacchiò e Dawn si unì a lei.

“Ah, hai dei messaggi. Ha chiamato la tua segretaria. Ha detto che devi passare in ufficio appena possibile. E anche Pat. Vuole sapere se andrai al dojo ad allenarti oggi pomeriggio.”

Willow sorrise appena, gli occhi fissi al terreno. “Andiamo con ordine. Ringrazia Andrew da parte mia appena lo senti,” disse Willow, benedendo contemporaneamente nella sua testa il tempismo di Frances, la graziosa brunetta che le avevano assegnato per tenerla informata e che era il suo tramite con la compagnia. Ora aveva una scusa per uscire al più presto. “Hai ragione, il parere di Teresa non conta. Eppoi ormai è troppo tardi per fare dei cambiamenti.

Per quanto riguardava Pat, oggi non le andava proprio di farsi sbatacchiare dal suo sensei di Aikido. “Chiamerò Pat dall’ufficio e le dirò che oggi non vado. Ho voglia di riposare il fondoschiena.”

“Significa che passerai il pomeriggio a casa?” Chiese innocentemente Dawn. Be’, quasi innocentemente.

“Se mi vogliono in ufficio deve essere successo qualcosa.”

“Forse è la solita riunione di aggiornamento e te la caverai in un paio d’ore.” La speranza nella voce di Dawn era fin troppo evidente e Willow non voleva proprio illuderla. “Forse. Ma se sarò libera andrò a sentire cosa vuole Teresa stavolta.”

Dawn si accorse subito che qualcosa non andava. Non era un mistero per nessuno che Willow e la madre di Andrew non si sopportassero proprio. A tal punto che Willow l’aveva completamente estromessa dai preparativi del matrimonio. Non che a Dawn dispiacesse. Da dove le veniva la voglia di discutere le sue scelte per la cerimonia con lei? Doveva essere successo qualcosa. Si diede della stupida per non aver notato l’umore di Tara, quando era scesa mano nella mano con Liz e si era diretta senza dire una parola verso la cucina. Era chiaro che il loro incontro non era stato dei più felici, ma in quel momento stava prendendo il messaggio da parte della segretaria di Willow e non aveva fatto troppo caso all’espressione sul volto della strega bionda.

Ora, era come se gli ultimi pezzi di un puzzle andassero a combaciare, rendendo finalmente la figura visibile ma diversa da quella riprodotta sulla scatola.

“Che c’è Will?” domandò la giovane con uno sguardo inquisitorio.

“Niente,” rispose la rossa cercando di glissare, gettando un’occhiata alla bella ragazza castana dal basso in alto.

“Non provarci con me,” replicò Dawn. “Ti conosco abbastanza da sapere quando stai cercando di nascondermi qualcosa. Dimmi cos’è successo,” chiese in tono insistente.

Willow vide con la coda dell’occhio Tara avvicinarsi con passi lenti ed incerti, esitando sul da farsi. “Non si possono ignorare i propri peccati,” disse semplicemente, “E tantomeno perdonarli a se stessi.”

Dawn la guardò sconcertata, non capendo il significato di quella frase sibillina.

“Devo andare in ufficio e poi devo passare da Xander per sapere se ha finito quel lavoro.”

Dawn la guardò implorante. “Ti farai vedere più tardi?”

“Non so, forse.” Willow notò lo sguardo triste di quella che considerava una sorella acquisita e se la immaginò nell’abito da sposa che avrebbe vestito tra pochi giorni. Si sentì fiera di lei. Si chinò verso la giovane e le diede un bacio sulla fronte. “Ti ho già detto quanto sono orgogliosa di te, oggi?” domandò in tono semi-serio al suo orecchio, con un sorriso tenero.

Dawn sorrise a sua volta, compiaciuta. “Non ancora,” le arrivò la risposta quasi impercettibile di Dawn.

“Be’, lo sono.”

Willow si raddrizzò e si diresse verso l’uscita senza guardarsi indietro, conscia che Tara era ormai a pochi metri alle sue spalle.

Dawn vide Willow attraversare il soggiorno verso la porta di casa, infilarsi velocemente sotto il braccio il lungo trench di pelle nera appeso al muro, insieme al bastone, e raccogliere le chiavi di casa e della macchina da un basso tavolino posto lì accanto. Prima di poterle augurare buona giornata la strega dai capelli rossi era uscita zoppicando leggermente, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Tara guardò il vapore alzarsi in pigre volute dal caffè che reggeva in mano. Si sentiva furiosa anche se cercava di nasconderlo. Non voleva che Liz o qualcun altro se ne accorgesse. Dover dare spiegazioni era troppo in quel momento. Per fortuna Buffy era uscita e l’interrogatorio su come era andato l’incontro tra lei e Willow era procastinato di alcune ore.

Era furiosa con la sua ex-amante. Non le aveva quasi rivolto la parola e l’aveva baciata! Come se cinque anni fossero stati cinque ore. L’aveva colta di sorpresa. Altrimenti Tara non lo avrebbe mai permesso, ne era certa. Ed era altrettanto certa che un evento del genere non si sarebbe ripetuto. Ormai lo stupore iniziale era passato, non si sarebbe più fatta cogliere di sorpresa. Vero?

Eppoi c’era la magia. Stava per usarla di fronte a sua figlia. Aveva visto che i suoi occhi non erano cambiati, che probabilmente era magia bianca, ma sarebbe stato un gesto irresponsabile comunque.

Tara alzò il capo verso sua figlia, intenta a mangiare una tazza di cereali e latte. Che succederà, piccola mia? Cosa devo fare?

Come se richiamata da un qualcosa che non seppe riconoscere, il suo sguardo corse verso il divano in soggiorno, dove sedeva Dawn, intenta a leggere una rivista d’arredamento. Vide una figura esile dai capelli rossi accostarsi camminando in modo stranamente rigido verso la giovane dai lunghi capelli castani. La visione la colpì con forza, mescolando dubbi recenti e meno recenti nella sua mente. Perché cammina così? Perché è così bella? Perché mi ha rifiutata?

Osservò affascinata la sua ex-amante. Willow vestiva un paio di pantaloni di tela nera, stretti ai fianchi, che ne mettevano in risalto il sedere piccolo ma perfetto, una maglia di cotone a collo alto con le maniche lunghe e strette ai polsi. Sopra aveva un gilè di raso dorato largamente decorato con un intricato motivo di foglie d’edera rosso brunito, che richiamavano il colore dei suoi capelli. L’effetto era a dir poco devastante, completato da un piccolo ciondolo da cui pendeva una pietra verde dello stesso colore dei suoi occhi e da una sorta di fedina nera all’anulare della mano sinistra. Il viso, truccato in maniera leggera, nascondeva parzialmente i segni della stanchezza. Non potè fare a meno di pensare ancora una volta a quanto appariva sexy, lasciandosi sfuggire un sospiro di apprezzamento, mentre sentiva qualcosa di molto simile al fuoco del desiderio impadronirsi delle sue viscere.

Scacciò quel pensiero in tutta fretta, cercando di focalizzare la sua mente sulla rabbia, ma con scarso successo. Dopo alcuni lunghi istanti, si mosse a piccoli passi per andare nel soggiorno, ignorando il cipiglio interrogativo di sua figlia, che tornò a mangiare di gusto. Non sapeva cosa l’aveva spinta a muoversi, né cosa avrebbe detto una volta arrivata là. Sentiva che doveva fare qualcosa, qualunque cosa per spezzare quella tensione che l’attanagliava.

Mentre avanzava lasciandosi alle spalle la cucina, vide Willow chinarsi a fatica verso Dawn, baciarla sulla fronte e bisbigliarle qualcosa all’orecchio, che non riuscì a sentire. La giovane le rispose nello stesso tono con un sorriso compiaciuto sulle labbra.

Indecisa sul da farsi, Tara vide Willow risollevarsi ed avviarsi alla porta, pronta per uscire, senza avere il coraggio o la forza di fermarla.

 

Non appena Willow se ne fu andata, Dawn si rese conto della presenza di Tara a pochi passi da lei. Guardando la strega bionda ancora intenta a fissare la porta ormai chiusa, la giovane non potè fare a meno di ricordare la frase sibillina di Willow.

Forse dovrei chiederne il significato a Tara.

“Tara,” chiamò, distogliendo l’attenzione della donna dalla porta ormai chiusa “cos’è successo tra te e Willow?” Era convinta che la frattura fosse recente. Non sapeva come, ma sapeva che era così.

Tara la guardò nel panico più completo. Dawn si alzò e la portò sul divano con sé, senza staccarle gli occhi di dosso.

Tara pensò per un attimo che aveva lo stesso sguardo che appariva sul volto di Willow quando si intestardiva per qualcosa. In quei momenti era impossibile farle cambiare idea.

“Tara, voglio assolutamente saperlo.” Le arrivò la richiesta pressante.

La strega bionda sospirò con veemenza. Fino a poco prima non si sentiva molto dell’umore per un’amichevole chiacchierata, ma l’espessione risoluta di Dawn e il bisogno interiore di sfogarsi la convinsero a parlare, nonostante non avesse ancora le idee molto chiare.

“Ero così felice quando le ho viste insieme, che giocavano e ridevano,” sospirò, richiamando la scena di sua figlia e della sua ex-amante abbracciate nel letto, in un turbine di allegria e di gioco. “Era come un sogno. Liz e Willow fianco a fianco.”

Dawn sorrise contenta, ma il suo volto tornò serio quando si accorse che gli occhi di Tara non avevano lasciato un attimo il pavimento. “Che altro? Cos’è successo poi?”

Tara raccolse il suo coraggio. “Ci s-siamo ba-baciate,” balbettò in un sussurro.

Lo stupore invase il viso di Dawn, lasciandola per lunghi secondi senza parole. Quando le parve che le sue corde vocali fossero tornate a lavorare, l’unica cosa che riuscì a dire fu: ”E’ magnifico!”

E per Dawn lo era realmente. A meno di dieci giorni dal suo matrimonio la ricongiunzione delle due persone che erano state per lei il simbolo dell’amore perfetto fugava ogni possibile dubbio. Non che ne avesse. Almeno non di grandi. Solo quelli piccoli, normali, che ogni sposa ha alla vigilia delle nozze, tipo: ‘avremo una vita felice? o faremo ancora sesso tra vent’anni?’

Willow e Tara insieme le davano la speranza che la vita , aldilà di demoni e vampiri, potesse essere diversa. Addirittura speciale.

La risposta di Tara le arrivò come una martellata sui suoi sogni di vetro.

“N-no.” Le lacrime iniziarono a scenderle giù per le guance, la voce rotta dai singhiozzi. “M-mi h-ha respinta!”

La bocca di Dawn si aprì in una perfetta ‘o’ di stupore. Non poteva essere vero. Wilow non poteva avere respinto Tara. Non Willow! Willow l’amava! La desiderava con tutta l’anima! Glielo aveva chiaramente visto negli occhi, sempre, anche quando Tara non c’era. Bastava nominarla che le si accendeva quella lucina negli occhi. Desiderio puro!

“Raccontami tutto,” disse, sentendo di stare iniziando a piangere a sua volta.

 

Capitolo XXII: Distrazioni e preparativi

 

Willow salì nella sua jeep abbastanza agevolmente, ringraziando per l’ennesima volta dentro di sé l’estemporanea saggezza che l’aveva spinta a comprare una macchina con portiere molto grandi tre anni e mezzo prima.

Prima di scendere in soggiorno aveva fatto un piccolo incantesimo al ginocchio per impedirsi di zoppicare. Una cosa molto piccola, abbastanza per non incorrere nelle conseguenze del rede. Talmente piccolo che si era esaurito dopo neanche mezz’ora e il dolore era tornato, in un fitta improvvisa, proprio mentre si era avviata verso la porta per uscire.

Eppure anche quell’incantesimo di così breve durata le era costato un lampo di dolore così intenso da farla quasi piangere.

C’era un attimo, mentre la battaglia tra l’incantesimo guaritore e la magia nera radicata nel suo corpo infuriava, in cui era certa che gli eserciti delle sue energie magiche fossero in rotta, che stesse perdendo in modo ignominioso. Attimi in cui le sembrava di sentire ancora il pugnale incantato di Rack scavare nella carne e raschiare contro i tendini e l’osso, delicatamente attento che la sua operazione senza anestesia risultasse dolorosamente storpiante ma non invalidante (la cartilagine del ginocchio è l’unica che non si rigenera, le aveva detto con la sua voce cupa).

In quei momenti era come se il dolore decuplicasse all’improvviso, reso più acuto dalla sua vergogna e dai suoi sensi di colpa, finché una pace improvvisa calava nel suo cuore e tutto intorno a lei, lasciandola senza fiato. Solo allora si rendeva conto che il dolore era cessato.

Ma i sensi di colpa restavano. Non c’era incantesimo per quel dolore. Era come un pulsare sordo e costante che la lancinava, sempre.

Appoggiò la testa contro il poggiatesta e chiuse gli occhi, aspettando che il dolore divenisse l’usuale abitudine che poteva tenere sotto controllo.

Quando pensò di poter andare, riaprì gli occhi, passò la giacca e il bastone sul sedile del passeggero e prese un cd da una custodia di pelle da dodici nel cassetto del cruscotto.

Accese il motore proprio mentre le prime parole di Hey you iniziarono a riempire l’abitacolo.

 

“Hey you!

Out there in the cold

Getting lonely, getting old, can you feel me?

Hey you ! Standing in the aisles

With itchy feet and fading smiles, can you feel me?”

 

Sì, posso sentirti. Ma chi sentirà me? Nessuno. Ed è giusto così.

La voce di Roger Waters, così carica di disperazione e dolore, la trafisse immediatamente, sembrandole crudele ma necessaria. Era come se, in qualche modo, sintetizzasse la sua vita presente. La stessa incapacità di muoversi in una qualsiasi direzione, attanagliati da un immobilismo del cuore e dell’anima che era percepibile nei versi, Willow lo sentiva nella sua vita, come se la canzone parlasse di lei. Sapeva altrettanto bene che in quegli stessi versi si crogiolava, non volendo realmente staccarsi dalle sue routine e dalle sue auto-commiserazioni, e se proprio doveva farlo, pensò con ironia, voleva che fosse per un evento speciale. Come la morte.

La sua, ovviamente.

“Maledizione a te e ai tuoi regali, Xander!” Disse tra sé, senza alcuna acrimonia, ricordando che quello e altri cd erano stati un dono del suo migliore amico per il suo ventitreesimo compleanno. “Altro che classici del rock! Sono classici della depressione! Proprio ciò di cui ho bisogno!”

Eppure non cambiò né canzone né cd.

 

“Hey you!

Don't help them to bury the light

Don't give in without a fight.”

 

Willow si mosse dal vialetto e imboccò la strada.

Facile dire: non mollare senza lottare! Vieni a vivere a Sunnydale, mister Waters, e poi vediamo!

“Hey you!

out there on your own

sitting naked by the phone

would you touch me?”

 

Alla fine di Revello svoltò a destra e percorse Washington avenue fino a Wilkins square. Neanche si accorse di aver preso a canticchiare assieme al cd. Talvolta non poteva proprio fare a meno di canticchiarlo tra i denti mentre l’ascoltava. Talvolta lo canticchiava guardandosi allo specchio senza realmente vedersi.

 

“Hey you!

With your ear against the wall

Waiting for someone to call out

would you touch me?”

 

Altra svolta a destra, lungo Main Street.

Sìììììì-ìììììì. Vuoi toccarmi? Vuoi vedere il mio tessuto cicatriziale? Ne ho in abbondanza, sai?

 

“Hey you!

Would you help me to carry the stone?

Open your heart, I'm coming home.”

 

La mia casa era Tara. E io l’ho distrutta.

 

“But it was only a fantasy

The wall was too high as you can see

No matter how he tried he could not break free

And the worms ate into his brain.”

 

Già, solo fantasia! I miei pensieri sono come vermi che mi strisciano nel cervello. E il muro è bene che stia dova sta. A volte vorrei avere un pulsante da pigiare, come sul mio laptop, o una safety-word come quelle che concedo...sì insomma...vorrei poter far cessare il rumore costante che sento in testa, gli incubi, tutte le voci...la mia voce...che mi dicono quanto grande è il mio fallimento. Vorrei qualche attimo di pace. Dormire una notte senza sentirmi in colpa perché gli incubi che merito non sono arrivati.

 

“Hey you!

Out there on the road

Doing what you're told,

can you help me?

 

Hey you! out there beyond the wall

Breaking bottles in the hall, can you help me?

Hey you!

Don't tell me there's no hope at all...

 

Willow passò alla canzone successiva senza lasciare che quella che stava ascoltando finisse.

Di tutto quel lungo doppio album, uscito quando lei non era ancora nata, questo era il pezzo che preferiva, ma non ascoltava mai l’ultimo verso. Cercava di non pensarlo nemmeno. Non poteva permettersi di crederci. Non poteva permettere che qualcun altro vi credesse. Non voleva coltivare nessuna speranza in proposito. ‘Insieme’ era ormai solo un’utopia. E se caduta doveva esserci, voleva che fosse solitaria. Nel bene e nel male.

Dieci minuti dopo arrivò nel parcheggio della Sunnydale Computer Services Inc. Parcheggiò nello spazio a lei riservato, quello più vicino all’entrata, godendo del fatto che le veniva concesso per le sue capacità, e non in quanto disabile. Essere il programmatore di punta della società le concedeva alcuni privilegi, per quanto non richiesti. Aprì la portiera e prese il bastone dal lato del passeggero prima di scendere. Si avviò faticosamente verso l’edificio di quattro piani, dipinto di un orribile giallo ocra.

Entrò e salutò con un cenno della mano Pete, la guardia all’ingresso, senza fermarsi. Si diresse verso uno degli ascensori in attesa ed entrò. Pigiò il pulsante del terzo piano. Quando la porta dell’ascensore si fu richiusa alle sue spalle, si adagiò con tutto il peso ad una delle paratie, vergognandosi dello sguardo di pietà con cui Pete l’aveva accompagnata per tutto il faticoso tragitto verso l’ascensore.

Almeno ha smesso di offrirsi di aiutarmi, pensò con sarcasmo.

Quando l’ascensore segnalò con uno squillo metallico che era giunta al terzo piano, Willow si raddrizzò, in attesa che le porte si aprissero.

Scivolò fuori dell’ascensore e si diresse a sinistra, il bastone che ticchettava sul parquet del corridoio; superò una porta a vetri e si trovò di fronte ad una bella brunetta dalle forme generose, seduta dietro una scrivania stipata di linee telefoniche, lettere da inviare ed appunti in carta di ogni genere, intenta a scribacchiare qualcosa su di un block- notes.

“Ciao, Frances,” salutò con poco entusiasmo.

La brunetta alzò lo sguardo dalle sue note e si aprì in un largo sorriso. “Willow! Finalmentre torni a farci visita!”

Willow decise di ignorare l’ironia nelle parole di Frances. “Allora cosa c’è?” chiese, avviandosi verso una porta in noce alle spalle della scrivania della giovane e bella segretaria, di fianco a quella di Rick Metridios, un suo collega che Willow trovava veramente disgustoso, e che nella prima settimana di lavoro in ufficio le aveva fatto una corte sfacciata e grossolana, nonostante lei avesse messo in chiaro da subito le sue preferenze in materia di partners.

“I ragazzi del progetto Alien Magik sono nella merda,” le annunciò Frances con il suo solito modo diretto di esprimersi.

La frase strappò a Willow un lieve sorriso.

“E siccome tu sei l’asso della compagnia, il capo pensa che tu possa aiutarli a risolvere i problemi che hanno incontrato. E’ già tutto sulla tua scrivania.”

Willow annuì e si diresse nel suo ufficio. Mentre apriva la porta sentì un brontolio nello stomaco, che le ricordò di non aver fatto colazione. Si voltò verso Frances e le chiese gentilmente: “Mi porteresti un sandwich e una caraffa di caffè per favore?”

“Consideralo come fatto,” le arrivò la risposta pronta della ragazza. Ma lo mangerai? Si chiese Frances, mentre seguiva con lo sguardo la rossa che scompariva dietro la porta.

Willow entrò nell’ufficiò e si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona imbottita dietro la scrivania, distendendo la gamba destra in modo che il ginocchio fosse in una posizione di riposo. Mentre attendeva che Frances le portasse ciò che le aveva chiesto, si guardò attorno, constatando una volta di più quanto fosse spoglio quel luogo. Se se ne fosse andata, chiunque fosse venuto dopo di lei non doveva fare altro che mettere le sue cose. Di Willow Rosenberg lì non c’era traccia.

Accese il potente pc che campeggiava sulla sinistra, in un angolo della grande scrivania a forma di semicerchio, mentre Frances appoggiava il vassoio con il panino e la caraffa di caffè sul ripiano di vetro dall’altra parte. Verso il caffè in una tazza e glielo porse. Willow la ringraziò.

“Se hai bisogno di me, chiamami. Oggi resterò in ufficio fino a tardi. Devo sbrigare parecchio straordinario, quindi non penso che mi libererò prima delle otto,” le disse Frances avviandosi alla porta facendo ampia mostra dei suo fianchi larghi e ben torniti.

Willow distolse a fatica lo sguardo dallo sfacciato ancheggiare della bruna e decise di iniziare a guadagnarsi i soldini che riceveva dalla compagnia. Prese in mano un foglio di carta intestata da sopra una pila di cd-rom e stampati e lesse la nota che il suo capo le aveva mandato per spiegarle la natura del problema.

Infilò uno dei cd –rom nel lettore e lesse gli appunti che le erano stati lasciati mentre sorseggiava il caffè.

A quanto pareva, i ragazzi del progetto Alien Magik avevano trovato delle notevoli difficoltà con alcune delle equazioni e si erano arenati ad un punto morto. Alien Magik era un videogame portato avanti da una grossa compagnia di software e sarebbe dovuto uscire all’inizio del prossimo anno. Il compito che era stato affidato alla loro società era quello di sviluppare due personaggi, uno maschile e uno femminile e di integrarli nel gioco. Lei non faceva parte del progetto, per quanto, occasionalmente, aveva rifinito parte della texture degli sfondi o fatto delle piccole supervisioni su richiesta del suo capo.

Non aveva mai neanche visto lo sviluppo visuale dei personaggi. Solo equazioni matematiche.

Quando ebbe finito di studiare gli appunti alzò la testa e gettò un’occhiata all’orologio a muro di fronte a lei. Era quasi mezzogiorno. Tra poco sarebbero andati tutti a pranzo e lei avrebbe potuto contare sul fatto di non essere disturbata per altre due ore. Il problema non sembrava enorme. Contava di aver finito per le quattro se fosse riuscita a lavorare con buona concentrazione e senza eccessive interruzioni.

Willow prese il suo sandwich e lo addentò, portandosi contemporaneamente più vicino la prima stampata di equazioni. Il suo occhio esperto individuò il primo errore verso la fine della prima pagina. Ripose il panino mangiato a metà sul vassoio, si pulì le dita con un tovagliolo e si tirò la tastiera cordless più vicino. Richiamò la schermata della stampata sul video. Le sue dita iniziarono a scorrere sui tasti con rapidità fulminea, passando tra menù e liste, individuando i percorsi giusti, correggendo gli errori con sicurezza.

Quando ebbe finito con il primo blocco di dati, si versò un’altra tazza di caffè. Aveva impiegato appena un’ora e tre quarti con il primo cd-rom. Si sentiva moderatamente soddisfatta.

Qualcosa lo so fare ancora bene! Si disse con astio.

Infilò il secondo cd-rom nel lettore e riversò i dati nel terminale. Di solito il lavoro la faceva sentire bene, utile in qualche modo. Le evitava di pensare alla sua vita. Oggi le sarebbe stato impossibile. Lei aveva lavorato solo sulla parte matematica del programma. Quello che aveva davanti erano i processi di texture visiva dei personaggi. Praticamente come i personaggi dovevano apparire una volta finiti. Ora li aveva davanti, tremolanti sullo schermo, in attesa che lei li sistemasse. Uno stregone alieno vestito di nero e una strega bionda dalle forme generose, in abiti succinti. L’ironia della vita, si disse.

Almeno il primo in qualche modo l’ho già sistemato! pensò con un sorriso amaro che le piegò un angolo della bocca in una smorfia minacciosa. Brucia all’inferno, Rack!

Contrariamente ad ogni sua speranza e previsione, dopo il primo cd-rom il lavoro proseguì in maniera penosamente lenta tra telefonate di aggiornamento, visite del suo capo e immagini di Tara che le vagavano per la mente, impedendole di concentrarsi per lunghi tratti.

Il pomeriggio passò in maniera estenuante, lasciando il posto alle tenebre, scese in fretta come solo potevano nei pressi dell’Hellmouth.

Era stato un lavoro straziante, mentalmente faticoso, in una commistione di dati tecnici ed immagini, di streghe bionde in texture e reali, che nella sua mente si identificavano, sfocandosi fino a divenire una sola immagine.

Verso le quattro, quando si era accorta che non sarebbe riuscita a rispettare il tempo che si era prefissata, si era decisa a far ricorso alla sua arma segreta. Aveva aperto uno dei cassetti chiusi a chiave e ne aveva tirato fuori una bottiglia di scotch, che aveva iniziato a mescolare al caffè.

Quando ebbe finalmente finito, verso le sei e mezzo, una caraffa di caffè corretti più tardi, fatto tutte le telefonate necessarie per avvisare chi di dovere, masterizzato ed etichettato i cd-rom corretti, nella sua mente vagamente ottenebrata dall’alcol la strega digitale era scomparsa, lasciando il campo libero a quella in carne ed ossa, che avrebbe dormito sotto il suo stesso tetto per altri nove giorni.

Ingollò il sorso di caffè rimasto nella tazza e si versò una generosa porzione di whiskey, prima di riporre la bottiglia nel cassetto e di richiuderlo a chiave. Pigiò il pulsante dell’interfono e chiamò: “Frances?”

Una voce rispose tramite il piccolo altoparlante. “Dimmi.”

“Puoi venire a prendere il lavoro e portarlo giù ai ragazzi dell’Alien magik, per favore?” Chiese con voce stanca. “Philip dovrebbe esserci ancora. Mi aveva detto che sarebbe rimasto anche lui fino a tardi.”

“Verrò tra qualche minuto. Devo finire di battere una lettera molto importante per Rick.”

“Spero che siano le sue dimissioni,” replicò Willow in tono acido. Attraverso l’altoparlante le arrivò la risata divertita di Frances.

Willow chiuse la comunicazione e sorseggiò il suo scotch, ripensando agli eventi della mattinata, con particolare intensità a quello splendido bacio.

Ancora una volta si diede dell’idiota. Tara è così bella, pensò. Così dolce, intelligente e buona. Tu sei una sorta di Frankenstein dentro e fuori. Forse ti accetterebbe così come sei ora, ma resisteresti nel vedere nei suoi occhi una pietà costante? Il pensiero le fece orrore. Non poteva permettere a Tara di nutrire nessuna speranza. Doveva tenersi alla larga da lei, scoraggiarla.

Se fossero andate avanti, quella mattina, se lei l’avesse vista, avesse visto il suo corpo coperto di cicatrici, avesse scoperto che era solo una storpia ormai, incapace di fare due passi in fila senza il bastone, se non con l’aiuto della magia, era certa che Tara l’avrebbe disprezzata e ne sarebbe stata orripilata.

Il suo corpo era stato martoriato di ferite da un coltello magico, non c’era chirurgia che potesse far scomparire quei segni. I suoi errori, i suoi peccati di arroganza e egoismo, erano scritti chiaramente sulla sua pelle. Ad eterno ammonimento.

Gli stessi errori che avevano allontanato Tara da lei cinque anni prima, quando la sua intossicazione per la magia nera l’aveva spinta a commettere una delle azioni più riprovevoli della sua vita e a rubare una piccolissima porzione della memoria della sua amante.

Trangugiò il resto del whiskey proprio mentre una lacrima raggiungeva l’angolo della sua bocca triste. Posò il bicchiere e reclinò il capo sulle braccia conserte sul ripiano della scrivania. Ad occhi chiusi lasciò che i singhiozzi la scuotessero liberamente, dimentica di dove era e di chi potesse entrare.

Si accorse della presenza di Frances solo quando ne sentì le mani massaggiarle le spalle e la base del collo in modo dolce, con movimenti esperti. La bruna formosa si abbassò e le baciò dolcemente il collo, i suoi lunghi capelli sfiorarono il braccio di Willow. “Cosa c’è, piccola? Perché piangi?”

Tra Willow e la ragazza esisteva un buon rapporto professionale e di amicizia tra colleghi. Willow sapeva che a Frances non sarebbe dispiaciuto che il loro rapporto divenisse più personale. Glielo aveva fatto capire in modo chiaro più di una volta e in un‘occasione si erano addirittura baciate. Ma Willow aveva preferito che nulla accadesse.

“Niente, sono solo stanca,” le rispose, sentendo suo malgrado il massaggio sortire il suo effetto sulle sue spalle tese.

“Problemi di cuore?” Insistette Frances. Willow non disse nulla.

Centro! Pensò Frances. “Forse dovresti andare a casa a riposare.” La bruna le diede un altro bacio sul collo, questa volta un po’ più appassionato.

“Non ho nessuna voglia di andare a casa,” rispose Willow, sorpresa dalla propria onestà e non poco eccitata dai baci.

La bruna appoggiò lievemente il suo corpo prosperoso contro la schiena di Willow. “Se vuoi, potresti venire a casa mia, lo sai,” le disse in un sussurro, prima di impadronirsi di un lobo della rossa con le sue labbra e di iniziare a succhiarlo dolcemente.

Willow sentì il suo corpo rispondere, ma era decisa a non cedere. “Non è una buona idea,” gemette. “Non sarebbe deontologicamente corretto,” provò a scherzare con la voce già incrinata dal piacere, mentre un sospiro trovava la sua via attraverso la sua gola, nonostante i suoi sforzi di trattenerlo. “Sei la mia segretaria.”

“Ma io, tecnicamente, non sono la tua segretaria. Sono quella di Rick,” replicò Frances percorrendo il collo di Willow con baci sempre più appassionati.

In un angolo del cervello non ancora onnubilato dalla lussuria, Willow riconobbe la verità di quell’affermazione. Era sembrato inutile affidare una segretaria a tempo pieno ad una persona che lavorava a casa e veniva in ufficio solo di rado. Era sembrato più semplice ed economico affidare le mansioni necessarie a Frances, la segretaria dello stronzo che aveva l’ufficio accanto al suo.

Willow si costrinse a rifiutare le avances della bella ragazza che intanto continuava le sue ministrazioni di baci caldi e umidi sul suo collo. “Frances, basta, ti prego!”

Il tono deciso nella voce di Willow indussero Frances a fermarsi all’istante con un sospiro deluso. La segretaria fece il giro del tavolo e andò a piantarsi di fronte alla rossa. “Non so quale sia il tuo problema Willow Rosenberg. Non so se sia per la tua gamba, per quanto non ti impedisca di essere sexy in una maniera quasi animale!” La voce della ragazza era ferma, ma senza alcuna sfumatura accusatoria. “Non so se nascondi qualcosa sotto tutti quegli abiti che ti coprono dal collo fino ai piedi, senza lasciare intravedere un lembo di pelle, per quanto giurerei che sei donna e al cento per cento e gay…be’, che lo sei lo sappiamo entrambe.”

Il sorriso le si fece malizioso quanto lo sguardo di Willow era frastornato. “Quello che so è che prima o poi scoprirò qual è il tuo problema, e quel giorno sarai mia! Te lo prometto!” Detto questo uscì dalla stanza ancheggiando, sotto gli occhi ammirati della rossa, che non poté fare a meno di leccarsi le labbra a quella vista.

“Quel giorno potrebbe essere troppo tardi,” Willow mormorò a se stessa, come la porta si fu chiusa dietro alla bella ragazza che era appena uscita con il materiale da consegnare in mano.

Si alzò dalla poltrona e raccolse le sue cose, incerta su dove sarebbe andata, ma certa che non sarebbe stato a casa.

 

Frances uscì con aria soddisfatta dall’ufficio di Willow e si diresse verso la sua scrivania con uno sguardo leggermente trasognato. La ragazza l’aveva respinta ancora una volta, ma non c’erano dubbi che le sue attenzioni le avevano fatto piacere. Era solo questione di tempo. Prima o poi avrebbe ceduto alle sue avances. E allora avrebbe scoperto se la rossa era altrettanto sexy senza tutti quei vestiti che la coprivano. Non che avesse molti dubbi, da quello che riusciva a intravedere. Willow Rosenberg era uno strano miscuglio di elementi divergenti. Vestiva in modo molto castigato e provocante allo stesso tempo. Abiti che non lasciavano vedere un millimetro di pelle, ma molto aderenti, a mettere in risalto il più bel culetto che avesse mai visto. Labbra rosso ciliegia in un incanato pallido spruzzato di efelidi e occhi di un verde mesmerizzante. Dolce e ingenua da non crederci in certi casi. Grintosa e dura quasi fino al cinismo in altri. E la sua zoppia e il modo di affrontarla, a testa alta, impedendo che la limitasse fisicamente in qualche modo, la rendeva ancora più desiderabile.

Due mani le si avvolsero attorno ai fianchi, destandola dalla sua reverie. “Frances, passi molto tempo nell’ufficio della nostra secchiona, quando è qui,” disse Rick Metridios, avvicinando le labbra all’orecchio di Frances in un modo che riteneva molto seducente. “Mi chiedo cosa combiniate là dentro.”

“Niente che debba interessarti.” Frances si sciolse dal suo non gradito abbraccio e si allontanò da lui.

“Quindi devo supporre che sia inutile chiederti se vuoi venire a bere una cosa con me,” disse Rick passandosi una mano tra gli spessi capelli neri ondulati per riavviare un ciuffo ribelle. Rick era un uomo belloccio, sul metro e ottanta, occhi e capelli neri, lunghi fino alle spalle, un inizio di stempiatura e il terrore di invecchiare. Aveva una perenne abbronzatura da palestra, che solo lui sapeva coprire una forte anemia auto-indotta. Aveva un bel viso, dai tratti regolari, mascella decisa, sempre ben rasato, naso un po’ a patata che prometteva di divenire una massa informe in una vecchiaia che avrebbe fatto di tutto per scongiurare. Con il suo fisico atletico spesso riusciva a nascondere la mediocrità d’intelletto e la viltà morale, se non la pronunciata vanità. Ma non con Frances che doveva sopportarlo otto-dieci ore al giorno cinque giorni su sette.

“Esattamente. E ora se vuoi scusarmi, devo andare giù al secondo piano a portare questo materiale ai ragazzi dell’Alien Magik.” Frances si diresse verso la porta a vetri, dando le spalle a Rick. Non vide il lampo di disgusto e furia passare negli occhi dell’uomo.

“Pensò che i ragazzi dovranno aspettare. Non devo ricordarti che tu sei la MIA segretaria e non quella della sfigata lesbica e zoppa, vero?” Disse con tono glaciale.

Frances si voltò, rossa in volto per la rabbia. “Come ti permetti di chiamarla così? Sei un uomo spregevole.”

“Quello che è,” ribatté Rick calmo. “Comunque sia, voglio che tu vada in archivio a prendermi i tabulati del progetto Ombra della Nasa. Devo rivedere un paio di cose. Non ti ci vorranno più di dieci minuti.”

“Ma, Rick…i ragazzi aspettano questa roba!” Si lamentò la giovane segretaria.

“Posso aspettare dieci minuti di più,” sentenziò il suo superiore.

Frances sapeva che era inutile discutere con lui. Il lavoro le serviva e Rick, per quanto spregevole e non particolarmente brillante, godeva di protezioni all’interno della compagnia. Posò i dischi etichettati da Willow sulla sua scrivania e si diresse verso l’archivio, imprecando in italiano, la sua lingua madre. “Testa di cazzo!”

Era certa che gli incartamenti che le aveva chiesto fossero solo una scusa per complicarle la vita e fare un dispetto a Willow. Rick non sopportava l’idea, nel suo vanitoso egocentrismo, che Willow avesse declinato in malo modo i suoi approcci senza curarlo di una seconda occhiata.

Rick, non appena rimasto solo nell’anticamera del suo ufficio, sorrise in modo malevolo e soddisfatto. Un’idea si era fatta strada in lui durante il battibecco con la sua bella segretaria. Avrebbe punito quella troia della Rosenberg per non averlo preso nemmeno in considerazione e in più Warren lo avrebbe pagato per farlo. Quella maledetta lesbica lo aveva sdegnato come se fosse un lebbroso. Se solo avesse ceduto l’avrebbe fatta tornare etero, quella puttana! E invece lei lo aveva trattato come un verme. E per di più di fronte a tutti.

Prese i dischi dalla scrivania della segretaria e li portò nel suoi ufficio. Si sedette al suo computer e aprì il programma di masterizzazione. Oh, sì. La Rosenberg avrebbe pagato caro il suo sdegno. E con l’aiuto di Frances che sembrava esserle così fedele, per di più.

Sorrise, mentre i dati si riversavano sui dischi vergini uno dietro l’altro. Stasera avrebbe fatto festa. Prima al magazzino. E poi qualche puttana pescata in un bar per single per completare la serata. Talvolta la vita era davvero bella.

 

Alcuni minuti dopo che Frances era stata mandata in archivio da Rick, Willow uscì dall’ufficio con il bastone in mano e il suo spolverino di pelle nera indosso la cintura che le penzolava lungo i fianchi. L’anticamera dove Frances aveva la sua scrivania era vuota. Frances doveva essere ancora di sotto a consegnare i cd-rom. Stava per avviarsi verso la porta a vetri che dava sul corridoio quando notò la porta semichiusa dell’ufficio di Rick. Si avvicinò con cautela, senza usare il bastone che avrebbe fatto troppo rumore, e sbirciò dentro. Rick era seduto sulla sua poltrona e guardava lo schermo con soddisfazione. Si domandò cosa potesse rendere quell’essere viscido così felice. Poi, quando alcune delle cause, le vennero in mente, si pentì di esserselo chiesto.

Sicuramente non si trattava di straordinari. Rick non faceva mai straordinari. Era troppo pigro, imbecille e sleale per farne. Willow si scansò dalla piccola apertura tra porta e battente e si diresse verso il corridoio. Non voleva rischiare di essere vista, dopo essere riuscita a non incontrare il suo disgustoso vicino tutto il giorno.

Raggiunse il corridoio più silenziosamente che le riusciva, ignorando i segnali di protesta della sua gamba e il desiderio di appoggiarsi al bastone. Appena fu fuori della porta a vetri, legò i due lembi della cintura dello spolverino in un nodo stretto e si sistemò le falde attorno al corpo con l’unica mano libera. Quindi si diresse verso gli ascensori, odiando ogni singolo tonfo che il bastone lasciava sul pavimento.

 

Venti minuti dopo, quando Frances tornò con il materiale richiesto, trovò l’ufficio di Rick vuoto. Una veloce occhiata nell’altro le disse che anche Willow era già andata via. Sospirò frustrata. “Maledetto bastardo! Lo sapevo che era solo una scusa per rompere le palle!”

Ripose i documenti che aveva prelevato in archivio in uno dei cassetti della sua scrivania, sotto altri documenti e lo chiuse a chiave.

Li rimetterò a posto domattina.

Sapeva che era contro le regole, ma doveva andare al secondo piano a portare il materiale. E voleva andare a casa. Raccolse i cd-rom senza accorgersi che non si trovavano dove li aveva lasciati e si diresse agli ascensori. Che giornata interminabile, pensò.

 

Xander e Willow sistemano i supporti per le armi nell’anticamera della sala banchetti

Whriiiiip… Whriiiiip… Whriiiiip-whriiiiip

Willow era appoggiata contro un bancone bar sorseggiando una birra e osservava Xander a torso nudo fare dei fori con il trapano sul muro dell’anticamera della sala dei banchetti. Nella grande sala, oltre le pesanti porte di quercia istoriata, Dawn sarebbe andata in sposa tra meno di dieci giorni. In quella stessa sala la famiglia Scooby e i loro amici avrebbero festeggiato la sua unione sacra con Andrew Maximilian Jamison IV. Un nome pomposo per un ragazzo d’oro.

Willow non avrebbe mai permesso che nulla guastasse quel momento. Quel giorno doveva essere una festa. Un momento di pace nelle loro vite tumultuose, sempre incerte sul futuro. Per questo aveva chiesto a Xander di fare quel piccolo lavoro, rimuginando quei pensieri mentre osservava affascinata il corpo muscoloso del giovane carpentiere che riluceva di piccole goccioline di sudore mentre lavorava, i muscoli che si flettevano sotto la pelle, manovrando gli attrezzi con confidente casualità.

Ora ricordo perché pensavo di avere una cotta per lui al liceo, si disse con un sorriso malizioso.

Xander prese l’avvitatore e saldò al muro l’ultimo dei supporti che Willow gli aveva chiesto di applicare al muro. “Finito,” esclamò soddisfatto, osservando il suo lavoro. “Supporti per asce e spade. Sei proprio sicura che siano necessari per il matrimonio di Dawn?” Chiese, voltando appena la testa verso di lei.

“No. Però meglio essere preparati. Ora vieni qui a farti una birra, bel carpentiere!”

“Ci stai provando con me?” Chiese Xander dirigendosi verso di lei, un sorriso che gli addolciva i tratti mascolini, dando al suo intenso sguardo nocciola una sfumatura divertita.

Willow stappò due birre e ne passò una a Xander. “Semmai ci proverei con Anya, se dovessi scegliere,” gli sorrise in modo birichino. “Ha certamente forme più appetitose, per me.”

Xander prese una lunga sorsata dalla bottiglia. Un rivolo di birra gli scese dall’angolo della bocca giù per il mento, bagnandogli il pizzetto che si era lasciato crescere e che gli dava un’aria più adulta. Lo asciugò con il dorso della mano. “Devo preoccuparmi, visto quanto siete diventate intime?” Chiese asciugandosi la bocca con il dorso della mano che reggeva la bottiglia.

Willow gli passò un asciugamano che Xander iniziò a strofinarsi addosso per asciugarsi il sudore. “Naaah. Sarebbe un rapporto troppo autodistruttivo per entrambe.”

Tra un sorso e l’altro si misero comodamente seduti sul bancone e conversarono solo come due persone che si conoscono da tutta la vita potevano fare.

“Allora, come ti senti?” Chiese Xander, rimettendosi la maglietta che si era tolto prima di iniziare a fissare i supporti per le armi.

“Non capisco il senso della domanda,” rispose Willow, osservando ogni suo gesto alla ricerca di qualcosa di diverso dell’amico fraterno che conosceva fin dalla più tenera infanzia. Era solo un gioco dell’intelletto. In realtà sapeva dove giaceva il suo cuore, quali preferenze infiammavano i suoi sensi e quali rilievi e profondità le piaceva esplorare. Forse sapeva anche quali contorni dovevano contenere quelle caratteristiche, quali capelli biondi e occhi di un azzurro intenso, quali seni prosperosi, torreggianti sopra il lieve rilievo di uno stomaco liscio come seta e un ventre dal sapore dolce, che aveva già generato una splendida vita.

“Willow? Terra chiama Willow! Ci sei?”

Willow scacciò quei pensieri e guardò Xander che le parlava, cercando di capire cosa le stava dicendo.

“Scusa. Per un attimo ero su un altro pianeta,” disse con aria colpevole. “Cosa stavi dicendo?”

Xander la guardò intensamente da sopra il collo della bottiglia. “Stavo dicendo: davvero non capisci il senso della domanda?”

Willow sospirò. “Okay, so di cosa parli,” disse, ripensando al bacio che lei e Tara si erano scambiate, quasi subito dopo essersi riviste. “Non so se voglio parlarne.”

Xander le posò una mano sulla spalla e le accarezzò una guancia con la punta dell’indice. “Fallo lo stesso,” la incoraggiò.

Per alcuni istanti Willow si accosto alla carezza fraterna del suo migliore amico, piegando il collo come un cigno che si ripara dalla pioggia. Poi si risollevò, lasciando cadere la mano di Xander, e bevve un lungo sorso di birra. Si sentiva vicina a un tracollo emotivo. Forse parlare con Xander l’avrebbe aiutata.

“È difficile, Xan,” disse in un sussurro lo sguardo fisso sulle mani intrecciate in grembo, che stringevano la bottiglia di birra come un naufrago una boa. “Negli ultimi anni mi sono sentita come se una parte di me mi fosse stata strappata. E non sto parlando di una menomazione fisica. Con quelle posso convivere, finché sono sola…È stato come vivere nell’oscurità più totale pur avendo dieci decimi di vista. Nessuna luce da accendere. Nessun fuoco. Niente. Fino a stamattina pensavo che andava bene così. Che quello fosse ormai il mio destino. Ed ero pronta ad accettarla. Poi torna Tara e…non lo so…è tornata solo da un giorno e ha già sconvolto la mia vita.”

“Non ti chiederò come l’ha sconvolta. Ma è così male che l’abbia fatto?” Willow lo guardò sbigottita. “Sì, insomma…” Continuò Xander. “…Diciamoci la verità…non è che la tua vita sia stata poi così meravigliosa da qualche anno a questa parte…” La guardò per assicurarsi che non si stesse arrabbiando. Quando vide solo un’espressione triste si risolse ad andare avanti. “Non hai fatto altro che collezionare una serie infinita di insulse conquiste. Lavori come una pazza. Non hai nessuna stabilità. Se è questo che ha sconvolto ben venga. Perché…”

“Mi ha baciata,” mormorò con voce quasi impercettibile, interrompendo la sua tirata..

Xander rimase a bocca aperta sul punto di dire qualcosa e spalancò gli occhi per lo stupore. Ma durò solo per un istante. “Ripeto: è così male?”

Willow lo guardò sconvolta. Possibile che proprio lui non capisse? O aveva ragione?

“Non lo so,” sbuffò dubbiosa. “Perché ogni volta che la vedo l’unico pensiero che mi passa per la testa sono una serie di posizioni al limite dell’elasticità umana, che non prevedano la necessità di abiti? E perché lo sto raccontando a te?”

“Andiamo per ordine. Primo,” disse, contando sulle dite, un sorriso furbo stampato in faccia. “Perché Tara è bella, dolce e terribilmente sexy e tu adori le ragazze bionde con gli occhi azzurri belle dolci e terribilmente sexy? Secondo…” Slap! “…ouch! E questa perché?” Chiese Xander, lamentandosi del ceffone che gli era arrivato sulla nuca.

“Per le visuali che ti stavi facendo venire e per quello che stavi per dire,” lo ammonì Willow seriamente.

Xander sorrise in modo colpevole.

Willow scosse la testa con affetto. Sotto questa tua nuova maturità c’è sempre un po’ di quel bambinone che eri.

“Eppoi c’è Liz,” aggiunse Xander, curioso di vedere quale sarebbe stata la sua reazione.

“Eppoi c’è Liz,” confermò Willow, un sorriso che le increspava gli angoli della bocca. A Xander non sfuggì neanche lo sguardo sognante che apparve negli occhi della strega.

“Allora?” Spronò.

“È strano, ma mi sento naturalmente protettiva nei suoi confronti. Quasi come se fosse mia figlia e non la figlia di Tara. E la conosco da meno di 24 ore!”

Xander sorrise. “Sei così in trappola!”

“No, non lo sono!”

“Oh, sì che lo sei!”

Willow sospirò, mentre l’idea che Xander avesse ragione iniziava a farsi strada nella sua mente. “Mi sa che ho bisogno di qualcosa di forte.”

Il sorriso di Xander si trasformò in un ridacchiare divertito. “Già. Ma non credo che si tratti di alcool.”

Willow sospirò di nuovo.

 

Tbc……………………