CHIAMATEMI FOLLE

 

Autrice: Francesca

 

 

 

Note: Questa non è una fanfiction su grandi battaglie, nemici indistruttibili, idilliache passioni, lotte fin troppo logorate fra “bene e male”. È solo una storia come tante e come sempre le protagoniste sono due belle streghe! Abbiamo analizzato, sognato, cercato e consumato Willow e Tara da ogni possibile punto di vista interno. Tutti ci siamo voluti sentire, in un modo o nell’altro parte della loro storia…Ne abbiamo vissuto i sentimenti e cercato le somiglianze in ogni nostra fanfiction. Abbiamo cercato di vedere le cose dall’interno…E tutti ci siamo dimenticati come le abbiamo viste all’inizio, quando i nostri occhi erano quelli degli spettatori immobili e silenziosi. Ho scritto storie lunghissime tentando di poterle tenere con me, di fare quel sogno anche mio e vostro. Ed ora sto per distruggere ogni sforzo, per tornare a capire…Per tornare a guardare con gli occhi di un tempo, dall’esterno di ciò che non è mai stato nostro.

 

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a Joss Whedon.

 

 

 

Chiamatemi folle

 

 

 

 

 

         C’era una volta una fanciulla, il suo nome è stato dimenticato, si è perso, né è mai stato degno d’essere ricordato. Ma il suo nome non conta, poiché non è lei la protagonista di questa storia. I suoi occhi saranno i vostri occhi, ciò che lei un tempo ha visto entrerà nei vostri cuori. Fate tesoro delle emozioni che attraverso lei vibreranno dentro voi…poiché quella fanciulla non è altro che questo,lo specchio della vostra anima e un ponte verso il paradiso o l’inferno…

 

       

 

 

 

E quei solchi d’inchiostro nero graffiavano il muro come ferite fresche ed inguaribili, quel muro sporco e vecchio, stanco. Lei si perdeva dentro quelle linee, nate dalla sua mano decisa ed innamorata.

 

         Tutti la chiamavano “pazza”. Ma lei non si chiamava affatto, era inqualificabile, inclassificabile… era nessuno e “nessuno” non è né pazzo né sano, solo niente, nessuno. E in quelle linee riusciva ad intravedere il sorriso un po’ sbieco della bionda; l’angelo, la fata, intrecciate in armoniosa complicità con quelle della rossa; l’amica della guerriera, la strega. Le contemplava… Non si erano ancora sbiadite, il suo capolavoro era ancora intatto, perfetto, visibile a tutti e per tutti.

 

       

 

Ammirava silenziosa, nel suo orgoglio di autrice anonima, i giovani passare e gettare l’occhio incuriosito sul vecchio muro del Campus. A qualche ragazza brillava lo sguardo, timidamente, silenziosamente, quasi vergognosamente… Qualche ragazzo rideva divertito, eppure tutti si voltavano verso la grossa scritta nera, sul muro esterno: “Willow e Tara per sempre”.

 

D’improvviso si irrigidì, si nascose dietro un angolo, convinta della propria invisibilità, ma timorosa di sé stessa. Ed eccole lì, avanzare sull’erba umida dei giardini, insieme, luminose nel sole d’un mattino di Sunnydale… Le due streghe del Campus. Lei si perse con paura ed euforia nei riflessi luminosi che danzavano su capelli dorati d’una delle due donne. Aveva sentito qualcuno pronunciare il suo nome: Tara. Tara, Tara, Tara. Lei non lo aveva mai neppure sussurrato, e già ne era dolorosamente sazia.

 

Mentre rifletteva sull’accostamento giocoso e perfetto fra capelli di fuoco e dolci occhi smeraldo, di quella che chiamavano Willow, s’accorse, ancora una volta che questa era straordinariamente bella, da mozzare il fiato, da far arrestare il cuore nel petto… ma il suo non si arrestò, batté al ritmo doloroso e sublime di quei due nomi ripetuti come un unico suono perfetto. Amava quelle due donne che non sapevano neppure chi lei fosse, le venerava; le adorava; le desiderava; le contemplava; le divinizzava. Loro la ossessionavano; la colmavano; la perseguitavano; la martoriavano; la rallegravano e la rattristavano. Sorrideva di gioia mentre lacrime di sconforto le rigavano il piccolo volto.

 

 

 

Due donne, un cuore, un amore… Dentro di lei bruciavano togliendo spazio a qualsiasi altra cosa, anche al suo nome, che non contava più. Era nulla, solo la fiaccola umana, la testimonianza vivente che un’ossessione può uccidere.

 

 

 

Vide Tara fermarsi, ancora una volta davanti al vecchio muro, stanco d’essere sempre fissato:

 

 

 

<< Secondo te chi l’ha scritto?>>

 

 

 

E l’altra, la rossa, Willow, sorrise imbarazzata, radiosa, stringeva la mano della sua ragazza, persa ed innamorata:

 

 

 

         << Chiunque sia stato non ha voglia di farsi conoscere!>>

 

 

 

La bionda si guardò intorno, con uno scintillio bluetto negli occhi grandi:

 

 

 

         << Ormai saranno più di sei mesi che è lì. Vorrei tanto capire perché lo ha scritto!>>

 

 

 

Willow sorrise contemplando il disegno armonioso del suo nome intrecciato ad altre dolci parole.

 

 

 

         << Non sei stata tu, vero Will?!>>

 

 

 

         << No, Amore, è stato qualcuno che vuole restare invisibile!>>

 

 

 

Tara accarezzò leggermente i mattoni chiari in cui era marchiata con amore e venerazione la scritta anonima.

 

 

 

         << Ma noi continueremo a cercarla!>>

 

 

 

Erano lì, vicinissime eppure lontane… non aveva mai osato passare lì accanto mentre loro fissavano la sua opera di silenziosa spettatrice ossessionata.

 

 

 

         Si allontanarono, continuando a sorridere affettuose a quel muro taciturno ed ignaro, quasi a poter intravedere il volto di colui che cercavano. E lei sentì la brezza sfiorarle il volto cereo, quasi a poter sentire sulla propria guancia fredda, la loro carezza gentile, il loro affetto caloroso, nel freddo del vento. Attraverso quelle parole che solcavano le mura del Campus, indelebili, si sentiva vicina ai loro cuori, viva, ogni volta che qualcuno si voltava verso “Willow e Tara per sempre”.

 

 

 

         La chiamavano pazza! Aveva un’anima stanca, martoriata, folle. Le seguì nel silenzio della sua solitudine enfatizzata sino all’esasperazione. La strega rossa e la sua donna si sedettero sull’erba, bagnata dalle lacrime di fata, sotto un vecchio pesco in fiore. Si fermò ad osservarle da lontano. Quello era tutto ciò che le bastava. Non era degna di far parte del dipinto di colori perfetti, dell’immagine delle due streghe distese all’ombra dell’albero in fiore, che esplodeva in uno scintillio di colore rosa pallido. Era tagliata fuori dall’immortalità di quella scena d’amore, desiderosa.

 

 

 

Gettata ai margini, chiusa fuori ai cancelli del paradiso, rigettata nel suo inferno, con lo sguardo sempre rivolto al cielo e all’albero di pesco. Si sentiva una ladra di perfezione. Intravide un’aura di dolcezza calare sulle due streghe di Sunnydale. Ma lei non poteva entrare… né avrebbe mai voluto guastare la perfezione d’un abbraccio immortale, fra gli scintillii argentei di invisibili fate.

 

 

 

 

 

<< Ancora a fissare quelle due? Tu sei malata, hai qualcosa che non va! Se ti piacciono le donne trovatene una tua e lasciale in pace!>>

 

 

 

Scattò indietro e si voltò verso la voce un po’ roca e profonda che l’aveva fatta sobbalzare. E Peter era lì, il ragazzetto vivace e tenero che le aveva messo un cerotto sul ginocchio, quando aveva 5 anni ed era caduta dalla bici. Il ragazzetto che l’aveva aiutata a trovare il coraggio per scrivere e disegnare ciò che aveva nel cuore. Le lentiggini chiare e dolci sul suo volto chiaro, ancora troppo infantile le ricordavano un tempo migliore, in cui non la chiamavano folle.

 

 

 

         << Se saziarmi di loro; se trovare pace saziandomi dei loro sguardi dolci; se desiderare ed adorare solo quella magia che c’è fra loro, significa essere folle… Allora continuate pure a chiamarmi pazza! Perché voglio essere pazza, folle… se non ho bisogno di bere, mangiare, dormire, camminare, vivere, quando posso restare qui a fissarle…>>

 

       

 

         Vide Peter chinarsi su di lei, con quel sorriso un po’ imperfetto, i capelli chiari e lunghi alzati dal vento, gli occhi piccoli e vivaci. Le diede un bacio sulla fronte.

 

 

 

         << È inutile che usi tanti paroloni con me. Tu le stai spiando! Io voglio aiutarti, non capisci che stai male? Cosa c’è che non va? Cosa ti manca?>>

 

 

 

Gli occhi azzurro chiaro della fanciulla silenziosa si persero nel bacio tenero e leggero della bellissima, dolce strega bionda sul collo della rossa in estasi. Sembrò assente, ma stava solo scolpendo dentro di lei anche quell’ultima immagine dolce.

 

 

 

         << Licenza di strega!>>

 

 

 

         << Cosa vai blaterando?>>

 

 

 

         << Non ho “Licenza di strega”!>>

 

 

 

Il ragazzo rinunciò, prese una mano piccola dell’amica assente e la trascinò via, lontana dalla sua tormentosa passione. Mentre le due streghe continuarono a gareggiare col sole. E lei non seppe mai capire chi, in quell’istante brillava di più.

 

 

 

         << Dai andiamo a lezione, quelle due ti fanno male!>>

 

 

 

         << Loro sono tutta me stessa Peter, io non esisto che in loro funzione… Sono folle!>>

 

 

 

         << Sei ossessionata!>>

 

 

 

Lei si voltò un’ultima volta verso lo scintillio opaco di rosa delicato del vecchio pesco in fiore:

 

 

 

         << Sono innamorata… Innamorata del loro essere innamorate!>>

 

 

 

 

 

Il volto scuro e piagato dal tempo della vecchia professoressa di lettere la squadrava curiosa, perplessa. Ma lei non la guardava, riviveva dentro di lei le immagini vorticose di due donne. Occhi, sorrisi, capelli color oro e rossi come il fuoco…. “Willow&Tara”. Cosa erano? Due streghe. “Streghe”. Possibile che la sua ossessione derivasse dalla loro natura ambigua, sinistra, misteriosa, paurosa. Chi o cosa era una “strega”?

 

 

 

Stava male! Afferrò la penna, e la sua lingua d’inchiostro scuro portò alla luce d’un mattino di Sunnydale, ciò che la sua lingua di carne non osava pronunciare.

 

 

 

Chi o cosa è una “strega”?

 

 

 

Licenza di strega

 

 

 

Progenie bastarda della luna partoriente,

 

ammaliata e violata dall’esoterico seme.

 

Danzatrici maledette: streghe!

 

 

 

Attorno al fuoco si compie la magia dell’amore immortale.

 

Anima perdute; anima sconsacrate; anime abbandonate.

 

Dio non le guarda, poiché non è lecito guardare

 

Il rito obbrobrioso del male.

 

 

 

L’una che beve dell’altra il sangue;

 

L’una che azzanna dell’altra la carne;

 

L’una che succhia dell’altra l’essenza.

 

 

 

Danzando all’unisono, con veemenza,

 

senza malizia, senza pudore,

 

sulle sacre parole del Signore.

 

 

 

Le labbra nelle labbra; i capelli nei capelli;

 

gli occhi grandi e scuri, negli occhi tristi e belli.

 

 

 

Strega contro strega; cuore contro cuore;

 

Anima contro anima; nome contro nome.

 

Il respiro contro il respiro,

 

per il respiro, dentro il respiro.

 

 

 

Sangue e candele, rito e maledizione.

 

Il sortilegio, le streghe e il loro amore.

 

 

 

Allieve dannate d’un tiasio dimenticato,

 

abili nel suonare la lira che fu di Saffo.

 

 

 

Lascive, schive, della notte vallette.

 

E pur immorali, così sorridenti, le donne maledette.

 

 

 

Poiché un incantesimo ha dato loro lo stesso cuore;

 

Poiché sono state ribattezzate con lo stesso nome;

 

Poiché il medesimo sangue scorre in entrambe;

 

Poiché il fuoco dell’inferno le accerchia ma non le invade.

 

 

 

Ecco, dunque l’eternità per le streghe,

 

Giacché Dio, ravveduto, alitò sul loro amore muliebre.

 

L’Amore, se Amore non è mai nelle tenebre.

 

 

 

E io attendo l’era in cui

 

Mi sarà data licenza di strega.

 

Ma è vana l’attesa?

 

Alla me stessa, strega errante

 

Verrà poi data licenza d’amare?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

D’un tratto percepì l’alito pesante della vecchia insegnante sul proprio collo cereo. Alzò lentamente gli occhi cristallini dal foglio macchiato delle sue parole insensate e venne come perforata dal nero impietoso dello sguardo della vecchia donna.

 

 

 

         << Cosa fai?>>

 

 

 

Non le importava il giudizio e il rimprovero, moriva della voglia di saziare ancora i propri occhi con le due streghe e assaporare, ancora, anche se da lontano, quell’amore muliebre che tanto adorava.

 

 

 

         << L’unica cosa che so fare, scrivo d’Amore e follia! Di bene e male, di ciò che viene reputato sbagliato ed obbrobrioso quando è il più dolce dei miracoli di Dio!>>

 

 

 

Le prese il foglio macchiato e liscio dalle mani piccole. Lei restò immobile a fissare la sua anima folle esposta al cuore degli altri, senza difese.

 

 

 

         << Sono curiosa di capire cosa significano queste parole!>>

 

 

 

Lei si alzò dalla sua piccola sedia sconnessa, guardò quella donna seria ed impenetrabile negli occhi e capì d’essere davvero folle.

 

 

 

         << Avete mai visto un albero in fiore? Un pesco in fiore brillare nel sole d’un mattino come tanti? Lei non può capire…Non sono io la protagonista della mia storia, e a loro va ogni cosa!>>

 

 

 

Si può amare la stessa persona per sempre? Lei credeva di no, era impossibile, impensabile: gli uomini, gli animi, i cuori, cambiano, solo i nomi restano uguali, ne era convinta. Eppure fuori dalla finestra grande, brillavano ancora le due streghe abbracciate e sorridevano, ancora. Si può “essere” per sempre!

 

 

 

         << Queste non sono parole che lei può comprendere, non potrà mai arrivare alla verità nascosta nelle mie storie! Non può leggere, le manca un cuore di strega e un’anima folle!>>

 

 

 

Si riprese la sua follia, lasciando la vecchia donna sola e silenziosa a riflettere sulle sue parole e se ne andò. Attraversò la soglia sorridendo della propria dolce pazzia. Uscì dall’aula e si ritrovò sull’erbetta tenera e bagnata di rugiada di fata, camminò lungo il mare verde opaco e d’un tratto le vide, ancora loro. Loro che erano “per sempre”. Loro che erano tutta la sua vita e tutto il suo tormento e dolore.

 

         Continuò per la sua strada, camminando decisa verso il sole e sentì il calore delle due streghe stringerle quel suo cuore folle. Percepì vicina, come il più dolce degli abbracci la corporeità delle dee che aveva divinizzato a tal punto da crederle incorporee.

 

E Willow e Tara la fissarono. Per un istante, mentre i loro tre cuori batterono un ritmo analogo a meno d’un metro di distanza, si guardarono negli occhi. Si trovarono le une nel riflesso dell’altra.

 

 

 

E tutta la sua anima si perse a e si sdoppiò n quei due sguardi, tutta la sua anima si perdeva dentro loro… Quelle due donne, vicine e distanti, come emblema irraggiungibile, come Dee ineguagliabili, intoccabili. Quell’amore muliebre, unica ragione della sua esistenza folle. Ella, ossessionata dall’amore, schiava d’un desiderio di emulazione, come pura e semplice “lira”, strumento per cantare le note d’una dolce melodia di perfezione.

 

 

 

E si allontanò, sparendo per sempre. Divenne poeta d’amore. Si trasformò in quell’Aedo dannato ed indegno di due streghe di Sunnydale e continuò a cercarle per il mondo.

 

Chiamatemi folle

 

 

 

Chiamatemi folle, o sani mortali e passate.

 

Chiamatemi folle

 

E come al mirar l’ignavia pena il Dante,

 

non curate,

 

ma guardate e passate.

 

 

 

Chiamatemi folle, poiché della mia pazzia

 

Non sono mai sazia;

 

Chiamatemi folle e della mia follia

 

Lasciatemi prigioniera e schiava

 

Desiderosa ed indegna.

 

 

 

Chiamatemi folle o voi sani perfetti, e passate

 

Poiché di questa pazzia dolce ed eterea voglio vivere

 

E basta!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non siamo protagonisti/e, neanche degni d’essere Aedi, ma solo spettatori e spettatrici sofferenti, relegati ai cancelli...

 

 

 

         E nel mio e nel vostro cuore di streghe silenziose, “Willow e Tara, per sempre”.

 

 

 

...Fine...