QUADERNO SEGRETO

Autore: Maxxx

 

Timeline: La storia parte all’inizio della settima stagione, per proseguire nel tempo.

 

Riassunto: Cosa sarebbe successo se Buffy avesse avuto un terribile segreto capace di confessare solo ad un intimo diario di cui nessuno conosce l’esistenza? Un segreto riguardante una certa Strega Rossa…

 

Note: Questa è la mia prima fanfiction. Ho sempre visto come molto bello il rapporto tra Willow e Buffy, e mi sono sempre chiesta come sarebbe stato se fossero state qualcosa di più. Ecco la mia visione delle cose. Per qualunque commento ( e sono più che ben accetti ) maryferr_87@hotmail.it

 

Disclaimer: I personaggi utilizzati sono di proprietà di Joss Whedon, di David GreenWalt e della 20th Century Fox Television Production. Sono stati utilizzati senza il consenso degli autori, ma non a fini di lucro. Non rivendico su di loro alcun diritto per averli utilizzati.

 

|| Prologo/Cap. 1 || Cap. 2 || Cap. 3 || Cap. 4 || Cap. 5 || Cap. 6 || Cap. 7 ||

CAPITOLO 1

 

Erano gli ultimi giorni d’estate e Buffy Summers era seduta sul suo letto intenta a scrivere.

 

Dawn era uscita già da qualche ora; era andata con Janice per un pomeriggio di shopping sfrenato, uno degli ultimi prima dell’inizio della scuola.

 

Alla piccola Summers spiaceva lasciare la sorella da sola, ma cos’altro poteva fare; Xander era a lavoro fino a tardi e Buffy non voleva certo uscire con due quindicenni e passare tutto il pomeriggio a sentire gossip sui nuovi idoli degli adolescenti.

 

La cacciatrice bionda teneva in mano un piccolo quaderno a righe dalla copertina rigida. Nessuna etichetta su di esso, niente che desse a intendere quale fosse il contenuto di quel blocco di fogli.

 

Visto così poteva sembrare un qualunque ammasso di carta, ma in realtà era qualcosa di valore inestimabile, soprattutto per chi, tra gli intimi conoscenti di Buffy, si ritrovasse a leggerne il contenuto.

 

La bionda rimise il cappuccio alla penna e l’appoggio sul letto per poter tranquillamente rileggere quello che aveva appena terminato di scrivere.

 

 

 

5 settembre 2002

 

 

 

Cara Willow,

 

oramai è quasi un mese e mezzo che sei in Inghilterra, Giles dice che fai grandi progressi e che forse tra non molto potresti anche tornare.

 

Vorrei tanto sentire la tua voce per avere tue notizie direttamente da te, ma il caro vecchio Giles dice che è troppo presto e che sentire me e i ragazzi ti potrebbe suscitare emozioni troppo forti e forse difficili da gestire.

 

Willow devo dirti una cosa.

 

Non so se vorrai saperla; perché è una cosa così sconvolgente che non ho idea di come potresti reagire.

 

Ho paura, ma se non la dico io…

 

La dico e basta.

 

Ti amo Willow.

 

Dio suona così…così sbagliato anche solo a pensarlo; insomma tu sei Willow, non solo una donna, ma la mia migliore amica.

 

Ma è così. Io ti amo.

 

Ora che non ci sei ho potuto far chiarezza su tutti i dubbi che mi ossessionano da così tanto tempo.

 

Purtroppo però la conclusione a cui sono arrivata non mi aiuta a per niente a risolvere i miei problemi.

 

Fino ad ora avevo questo continuo senso di infelicità che mi attanagliava e pensavo che fosse perché mi dovevo riabituare a vivere, ma non è così.

 

E anche se ora ho capito, tutta la tristezza che mi accompagna non accenna a diminuire,  soprattutto perché di questo non ne posso parlare con nessuno. Neanche con te. Soprattutto con te.

 

Mi sembra tutto così assurdo; tu sei l’unica che in tutta la mia vita ho potuto davvero chiamare amica e ora non posso nemmeno parlarti di quello che mi sta sconvolgendo, temo sarebbe insormontabile anche per la nostra amicizia per quanto profonda essa possa essere.

 

Ecco perché questo diario, sarà l’unico a contenere questo terribile segreto che mi sta uccidendo e che devo esternare in qualche modo, anche se solo così

 

Ti chiederai perché te lo dico ora, in fin dei conti ci conosciamo da quasi sette anni.

 

Allora perché te lo dico solo ora?

 

Il fatto è che non so dire quando ho smesso di vederti come una semplice amica e sei iniziata a diventare qualcosa di più, l’unica cosa che so è che quando sei partita per l’Inghilterra con Giles ho iniziato a pensare a tutto quello che ci è capitato in questo ultimo anno.

 

Così tante cose in così poco tempo.

 

Pensavo e ripensavo a gli ultimi giorni in cui eravamo tutti felici, o almeno quei giorni che io pensavo fossero per tutti giorni felici.

 

Non riuscivo a capacitarmi di come in così poco tempo siamo passati dall’essere in pace, una serenità tra l’altro conquistata con le unghie, al finire nelle tenebre più nere solo a causa di uno stupito ragazzo e di semplici pezzi di metallo.

 

Pensavo e ripensavo a come tutto è precipitato senza che nessuno si rendesse davvero conto di cosa stesse accadendo, pensavo a cosa in definitiva era successo. A noi, a te e infine a Tara.

 

Poi un giorno semplicemente ho capito il senso e il perché di tutta quella tristezza.

 

Quella mattina, quella in cui ho finalmente capito, mi sono svegliata con ancora negli occhi quello che è successo quel maledettissimo giorno e ho cominciato a pensare che non era Tara a dover morire.

 

La tremenda verità è che ero io. Warren era venuto per me.

 

Mi sentivo così colpevole per questo.

 

Colpevole per non aver saputo fermarlo quando potevo, la sera prima. Colpevole per non aver nemmeno tentato di farlo quando l’ ho visto avvicinarsi a me e Xander con la pistola puntata verso di noi. Colpevole per essere ancora viva.

 

La cosa orribile è stata quando mi sono resa conto che mi angosciava di più non il fatto che Tara era morta e io no, ma tutto il dolore che tu stavi provando.

 

Tara mi manca e non sai quanto; era la ragazza della mia migliore amica, era l’amica che sapeva ascoltare e rincuorarti quando più ne avevi bisogno, era la sorella di cui Dawn aveva bisogno quando io non c’ero. Era una di famiglia; come potrei non volere bene.

 

Comunque sia, il fatto è che per me la sua morte è passata in secondo piano quando mi sono ritrovata a pensare a quello che tu potevi provare in quei momenti.

 

 Allora ho capito quello che provavo.

 

Non mi importava se avevi cercato di distruggere il mondo, se avevi tentato di uccidere me e perfino se avevi intenzione di uccidere Dawn.

 

Mi importava solo di te, di quello che avevi dovuto vivere.

 

E la mia non era pena, ma qualcosa di diverso.

 

Non mi ci è voluto molto per realizzare cosa volesse dire tutto questo, perché l’unica altra volta in cui sono stata così egoista da non pensare minimamente a tutte le orribili cose accadute, è stata quando abbiamo trovato la maledizione per ridare l’anima a Angel.

 

All’epoca ero così accecata dal mio amore per lui che non mi importava se aveva ucciso Jenny, pensavo solo che avrei ancora  potuto avere Angel accanto a me così come era sempre stato. Sentivo che l’unica cosa importante era avere accanto a me la persona che amavo.

 

L’unica cosa che riempiva la mia mente era la persona che amavo.

 

Quella mattina mi ci è voluto un po’, ma finalmente ho riconosciuto la sensazione che provavo; era la stessa di quella mattina in aula informatica, ora c’era una sola, piccola, ma sostanziale differenza.

 

La persona che suscitava quelle sensazioni eri tu.

 

Allora ho capito che ti amavo.

 

Da quella mattina sono passate due settimane; 14 giorni durante i quali non ho avuto la minima idea di come poter andare avanti dopo aver capito quello che in fondo ho sempre saputo.

 

Poi questa idea, perché parlarne con qualcuno è fuori discussione. So che forse non è normale provare questo, ma mi sento sbagliata, non credo sia giusto quello che provo per te.

 

Dovrei provare pena, senso di colpa per quello che ti fatto, per quello che ho lasciato che succedesse. Non dovrei amarti, non così.

 

Allora perché provo questo? Cosa c’è di sbagliato in me per innamorarmi proprio di chi non può e non deve essere?

 

Non lo dico solo per i miei sensi di colpa, ma anche e soprattutto perché tu sei la mia migliore amica.

 

L’ ho già detto tante volte che senza di voi, Dawn, te e Xander,  non saprei come fare, che siete la mia forza. Voi tre siete tutto quello che mi serve per vivere e senza il quale non saprei immaginarmi, siete la mia famiglia, la mia ragione d’essere, la cosa più preziosa che ho.

 

Proprio per questo, per quanto siete importanti per me non posso parlare. Rovinerei tutto a tutti, ed è l’ultima cosa che voglio.

 

Se tu venissi a sapere di questo non riusciresti più a guardarmi come prima; e questo io non lo sopporterei.

 

Così ho deciso di lasciare le cose come sono, forse sono solo sentimenti passeggeri.

 

Almeno questo è quello che spero, se così fosse non correrei il rischio di rovinare la mia famiglia e non dovrei convivere con un amore rinnegato.

 

Purtroppo si è fatto tardi e devo andare a prendere Dawn perché tra poco dobbiamo andare a fare la ronda.

 

Non te ne ho ancora parlato, ma ho deciso che voglio insegnare a Dawn tutto quello che serve sapere per potersi destreggiare nel nostro ambiente.

 

Sfortunatamente, ho già sperimentato che non potrò essere per sempre accanto a lei e proteggerla, inoltre è abbastanza grande da decidere se aiutarmi così come avete sempre fatto tu e Xander.

 

Ma di questo ti parlerò meglio la prossima volta, come ho già detto è tardi,  Dawn aspetta da sola all’aperto e come sai a Sunnydale non è mai una buona cosa essere sole con l’avvicinarsi del tramonto.

 

Devo proprio lasciarti.

 

 

 

Un bacio,

 

Buffy

 

 

 

 

 

 

 

Finito di leggere, la cacciatrice bionda sospirò profondamente e si fermò per un istante come a far mente locale sperando di ricordare se avesse tralasciato qualcosa.

 

Poi uno sguardo all’orologio e un urlo. “Dannazione! Dawn mi ucciderà”.

 

Detto questo Buffy saltò giù dal letto e si affrettò ad uscire, era già in ritardo e mancavano solo pochi minuti al tramonto.

 

 

 

Dawn si trovava nei pressi del centro, stava guardando da sola le vetrine dei negozi nella via principale, in quanto Janice era già tornata a casa.

 

Spazientita guardò l’orologio per l’ennesima volta e con molto disappunto sbuffo imprecando per il ritardo della sorella. “Oramai sono quasi venti minuti di ritardo. E il sole sta per calare. Ma dove diamine si è cacciata.”

 

D’un tratto la piccola di casa Summer, che odiava essere definita ancora piccola, sentì un rumore provenire dal vicolo vicino. Si guardò intorno e notò che, ad eccezione di qualche persona alla fine della via, cioè a qualche centinai di metri da lei, non c’era praticamente nessuno lì attorno. La cosa non era per niente buona.

 

Dawn era del tutto intenzionata a girare i tacchi e mettersi ad aspettare la sorella in un luogo un po’ meno isolato, ma sentì di nuovo quel rumore. Decise di farsi forza e controllare se c’era davvero qualcosa che non andava.

 

Prima allungò la testa sperando di scorgere qualcosa, ma successivamente si rese conto che, purtroppo per lei, per verificare se c’erano guai doveva effettivamente andare a vedere di persona.

 

Si avvicinò molto lentamente al vicolo cercando di fare il minor rumore possibile quando all’improvviso sentì ancora quel frastuono; era come se qualcosa si muovesse tra i rifiuti.

 

Ancora un passo verso l’origine del suono e…d’improvviso un topo sbucò fuori da un mucchio di immondizia con un gatto al seguito.

 

Alla piccola Summer venne letteralmente un infarto. “Maledetto topo” .Pensò tra sé.

 

Immersa nei suoi pensieri non si accorse di chi le era giunto alle spalle. L’unica cosa di cui si accorse era una mano che si era appoggiata sulla sua spalla e che la fece voltare di scatto.

 

“Oddio Buffy non farlo mai più!” Urlò alla sorella.

 

“D’accordo, la prossima volta che ti vedo entrare in un vicolo buio, isolato e con il tramonto che incombe, non ti seguo. Va bene?” Disse sorridendo la cacciatrice.

 

Per tutta risposta Dawn le lanciò una occhiataccia e la rimproverò. “Sei in ritardo.”

 

“Lo so, Andiamo?” Rispose la bionda.

 

Dopo di che le sorelle Summer si diressero verso il cimitero principale di Sunnydale per la lezione di Dawn.

 

 

 

Le due stavano passeggiando per il cimitero in assoluto silenzio così da poter essere pronte e concentrate a ogni evenienza, quando la più piccola interruppe il silenzio.

 

“Allora, di cosa si tratta questa volta?” Chiese con tono esuberante.

 

“Di potere.”

 

“Wow, il potere è forte. Cosa devo sapere?”

 

“Quella è la tomba e questo è il paletto. Ecco quello che devi sapere.” Rispose la cacciatrice porgendo il paletto alla sorella.

 

Poi appoggiò la borsa con le armi a terra e si sedette su una lapide ad aspettare il risveglio del nuovo non-morto.

 

“Non è che sia poi così forte il potere.” Esclamò alla fine Dawn.

 

 

 

Nel frattempo dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, in Inghilterra, erano da poco passata le tre quando Willow Rosenberg si svegliò di soprassalto in quello che da qualche mese doveva essere il suo letto, ma che spesso e volentieri era solo il lago di sudore e lacrime nel quale si svegliava coi suoi incubi.

 

Negli occhi sempre la stessa immagine. L’espressione spaesata di Tara quando guardando Willow disse semplicemente “La tua camicia”, per poi accasciarsi tra le sue braccia oramai esanime.

 

Qualunque cosa pensasse Willow prima di addormentarsi, o qualunque cosa iniziasse a sognare, tutte le notti la scena si ripeteva immancabilmente.

 

E come ogni altra notte Willow annotava su di un quaderno quello che ricordava. Non le piaceva dover annotare i tremendi incubi che aveva, e ancora meno che qualcuno leggesse quello che lei scriveva, ma doveva farlo perché questo faceva parte della sua riabilitazione.

 

La cosa che più le dava fastidio non era tanto il dover ricordare gli incubi che aveva perché questi non erano che ricordi di quello che era accaduto dopo che Tara era morta, ricordi che la perseguitavano anche da sveglia per la maggior parte del tempo. La cosa che più dava fastidio alla strega rossa era dover condividere le parti dei suoi sogni in cui sognava di lei e Tara.

 

A volte sognava cose innocenti come i primi incantesimi, quando ancora il loro rapporto non era definito, le prime avventure all’epoca in cui Tara era entrata a far parte della Scooby Gang, insomma niente di troppo personale; altre volte invece sognava delle cose che lei reputava speciali e che faceva solo con il suo angelo biondo, senza tutti gli Scoobies al seguito.

 

Sognava di loro che si baciavano, dei loro discorsi sotto le stelle a cui loro stesse avevano dato i nomi, loro che facevano l’amore. Insomma loro quando Willow ancora credeva che il mondo fosse perfetto e che nulla avrebbe mai potuto dividerla dal suo amore.

 

 

 

Con molta tranquillità Willow accese la lampada vicina al suo letto, aprì il cassetto del comodino e prese carta e penna per annotare con poche righe quello che aveva appena sognato.

6 Settembre 2002

 

 

 

Anche stanotte lo stesso sogno.

 

Sono di fronte alla sua tomba e le sto parlando quando sento che c’è qualcuno che mi fissa. Mi giro e vedo l’immagine sfocata di una donna che scappa, la rincorro e quando la raggiungo lei è di spalle.

 

Si gira e, si mette a piangere dicendo che non doveva andare così; anch’io sto piangendo ma non so perché. Non ricordo che sto sognando e che lei è morta.

 

Poi corre dentro casa e arrivate in camera mi dice che devo andare oltre, che loro avranno bisogno di me, che tutto è collegato e che per tutto c’è un motivo, ma io ancora non capisco.

 

Infine sempre il solito finale, lei è girata verso di me quando la pallottola la colpisce e io mi sveglio con in testa quella frase, l’ultima che mi ha detto.

 

La tua camicia.

 

 

 

 

 

Finito di scrivere la rossa ripose il quaderno e, infilate le pantofole, scese al piano inferiore per un po’ di tè e con l’intenzione di meditare almeno fino all’alba così da potersi rilassare il più possibile e cercare di dimenticare, per quanto le fosse concesso, i suoi incubi.

 

I suoi buoni propositi vennero però interrotti dalla presenza di Giles in cucina.

 

L’osservatore stava sorseggiando amabilmente una tazza di tè e quando vide Willow sulla soglia della cucina si affrettò a prendere una tazza anche per lei e preparare un po’ di tè anche per la rossa.

 

Non appena presa la tazza tra le mani la giovane Rosenberg si rivolse all’inglese. “Mi aspettava o questa è solo una coincidenza?”

 

“Credo tu sappia che non credo troppo nelle coincidenze. Volevo parlarti.”

 

“Alle tre del mattino? Non poteva dormire, lei che ci riesce?”  Chiese con tono scherzoso la rossa.

 

“Willow,  hai fatto ancora lo stesso sogno, non è vero?” Domandò serio Giles.

 

“Cosa crede significhi esattamente? Voglio dire; so cosa significa, ma è quasi una settimana che faccio sempre lo stesso sogno. Dovrà pur significare qualcosa.”

 

“Forse, significa solo che abbiamo ancora poco tempo.” Disse con sguardo preoccupato.

 

“Quindi lei crede che presto loro avranno bisogno di me? Ma per cosa esattamente?”

 

“Non lo so Willow, però temo che presto lo scopriremo.” Concluse.

 

Dopodiché salì le scale e tornò in camera sua, lasciando Willow immersa nelle sue congetture davanti alla sua tazza di tè.

 

 

 

Chissà se però il sogno ha ragione. Dice che loro hanno bisogno di me, ma forse il mio aiuto non lo vogliono per niente.

 

In fin dei conti in tutto questo tempo non si sono mai fatti sentire, forse non vogliono più vedermi. Ma d’altra parte come dargli torto, ho cercato di ucciderli tutti, nessuno escluso.

 

Non ci voglio pensare, mi devo solo concentrare sul mio recupero, così se mai avranno bisogno io ci sarò.

 

Però chissà come se la cavano senza di me.

 

Gli mancherò? A me loro mancano tutti da morire.

 

 

 

Pensò la strega tra sé e sé, poi finì il suo thè e andò a meditare convinta più che mai che si doveva impegnare a sistemare le cose per poter tornare prima che poteva dalla sua famiglia.

 

Continua…………