ALL I EVER WANTED

AUTRICE:FLO 83

 

Capitolo Uno

 

L'attesa sarà lunga.

 

Il volo Los Angeles - Londra è stato appena annunciato con quaranta minuti di ritardo e la sala d'attesa dell'aeroporto, si sa, non è il posto più divertente del mondo.

 

Ho già letto tutte le riviste che avevo portato con me e visitato, almeno due volte ciascuno, i negozi del duty-free, questo senza comprare assolutamente nulla - non potrei permettermelo.

 

Non mi rimane molto da fare, solo osservare gli altri passeggeri in attesa come me e immaginarmi le loro storie. Chissà chi sono? Dove vanno? Perché? Mi incuriosisce…

 

Dopo un paio di minuti sono già stanca. In fondo è noioso e lo sguardo seccato di un tipo con gli occhiali che mi ha beccata a fissarlo, mi fanno decidere di alzarmi e di dirigermi al bar più vicino.

 

Mi siedo e ordino un cappuccino.

 

Sto mescolando lo zucchero nella tazzina quando sento l'inconfondibile rumore che preannuncia un messaggio riecheggiare nell'aeroporto.

 

“Il passeggero William Appelton è pregato di presentarsi al più presto al banco della British Airlines” dice una voce in tono piatto. “Il passeggero William Appelton è pregato di presentarsi al più presto al banco della British Airlines”

 

In realtà, non faccio molto caso al contenuto del messaggio. Solamente qualche istante dopo il mio cervello registra il nome che è stato chiamato.

 

- William Appelton -

 

Di scatto mi alzo in piedi e per poco non mi rovescio addosso il cappuccino. Imprecando sottovoce afferro al volo la tazzina e la sistemo di nuovo sul tavolo, poi volto la testa a scatti nella speranza di vederlo.

 

Ovviamente non ci riesco. L'aeroporto è grande e, dal tono dell'annuncio, probabilmente lui non è neanche nei paraggi.

 

In tutto questo il mio movimento ha catturato l'attenzione degli altri clienti del bar, che ora mi stanno guardando incuriositi e leggermente perplessi. Accenno un sorrisetto mentre mi risiedo.

 

“William Appelton” ripeto a voce bassa.

 

È un nome che non pronuncio, né sento pronunciare da un bel po'. Anche perché, a dire la verità, ormai non viene più usato. Ora ha un nome nuovo.

 

Un nome nuovo per una vita nuova.

 

Per un attimo mi chiedo se sia davvero lui, se sia lo stesso William Appelton che conosco io. Un caso di omonimia, altrimenti? Non credo. Sarebbe una coincidenza troppo grande. E comunque è verosimile che lui usi quel nome per viaggiare dato che è scritto sui documenti. Ed è ancora più verosimile la sua presenza in un aeroporto. Immagino che viaggi parecchio ultimamente…

 

Riprendo in mano il cucchiaino e ricomincio a girare lo zucchero nel mio cappuccino ormai gelido. La mia mente però non può fare a meno di ripensare ai tempi di William Appelton.

 

 

 

Quando l'ho incontrato per la prima volta mi ero appena trasferita a Los Angeles da Sunnydale, la mia città natale, per frequentare il college. Per non so quale assurdo motivo la mia domanda per una stanza nel dormitorio del campus era stata misteriosamente persa. Così mi ero ritrovata con l'inizio delle lezioni da una parte e la mancanza di un alloggio dall'altra. Ero veramente disperata. Di tornare a casa e fare la pendolare, neanche a parlarne.

 

Destino volle che un giorno, in bacheca, trovassi l'annuncio che cambiò la mia vita. Oh, niente di particolarmente eccezionale, intendiamoci, parlava di una stanza in un appartamento non molto lontano dal campus, ma era stranamente a buon mercato e per una studentessa con scarse disponibilità finanziarie com'ero io all'epoca, era un'occasione d'oro. La cosa che cambiò la mia vita, a dire la verità, fu l'incontro con colui che scrisse quell'annuncio, ovvero William.

 

Arrivai all'appuntamento temendo che la camera fosse già stata presa. Non avrei potuto fare affidamento sulla mia fortuna in quel periodo...

 

Suonai il campanello aspettandomi, quindi, il peggio. Invece non fu così. Ad aprirmi la porta un ragazzo. Inutile dire che rimasi gelata sul posto. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto in vita mia. Occhi blu nascosti dietro un paio di occhiali da vista che si affrettò a togliere non appena mi vide, capelli biondo miele leggermente scompigliati come se ci avesse passato in mezzo la mano più volte, zigomi marcati e bocca carnosa, a completare il quadro una t-shirt aderente che evidenziava i muscoli delle spalle e del torace.

 

Oddio, dopo tutto questo tempo ancora mi ricordo questi particolari…assurdo….sono malata.

 

Improvvisamente avevo la gola secca. Credo anche di aver dimenticato di respirare per un paio di minuti.

 

Devo proprio aver fatto la figura dell'idiota.

 

“Ehi, ciao. Tu sei quella delle tre, giusto?”

 

La sua voce - oh, sia maledetto il suo accento! Mi ha sempre fatto tremare le ginocchia, già dal primo momento - mi riportò con i piedi per terra. ‘Bene, brava, Buffy, adesso mettiti anche a sbavargli addosso!' mi ammonii mentalmente. ‘Di sicuro è all'ultimo anno e non vorrà condividere l'appartamento con una matricola adorante…quindi smettila subito! Immediatamente. Hai assolutamente bisogno di un posto dove stare'

 

Una mano mi passò davanti al viso e io battei le palpebre, indietreggiando un poco.

 

“Ehi, stai bene?”

 

William aveva inclinato la testa di lato e mi aveva guardato stringendo gli occhi. Quel suo gesto mi aveva catturato immediatamente.

 

Fortunatamente alla fine tornai in me.

 

“Sì, sto bene. Scusami” mormorai nel più completo imbarazzo. “Sono-sono Buffy. Buffy Summers. Tu devi essere William, vero? Ci siamo sentiti per telefono” Azzardando un sorriso, avevo allungato una mano verso di lui.

 

Lui l'aveva presa e se l'era portata alle labbra, in un gesto che mi aveva procurato un brivido lungo la schiena. Nella mia vita, fino a quel momento, nessuno mi aveva mai fatto il baciamano.

 

“William Appelton, al tuo servizio. Se vuoi puoi chiamarmi Will” aveva risposto, poi mi aveva invitato ad entrare e mi aveva offerto qualcosa da bere. Rifiutai, da quando l'avevo visto mi si era chiuso lo stomaco. ‘Ricorda, Buffy, smetti di sbavargli addosso. Fingi che non ti piaccia' E, cercando di dare ascolto ai miei stessi consigli, avanzai seguendolo fino a fermarci nel mezzo del corridoio. Lì mi guardai in giro.

 

“E' davvero carino” ricordo di aver commentato cercando di apparire tranquilla e rilassata.

 

William mi aveva sorriso, ringraziandomi. ‘Oddio, quando sorride è ancora più bello!', pensai immediatamente. ‘Geez, Buffy, cerca di tenere sotto controllo gli ormoni, ragazza!' mi ammonì la voce della ragione.

 

Poi William mi fece fare il giro dell'appartamento. Mi mostrò la cucina, le camere da letto, i due bagni e perfino il suo piccolo studio. Quella stanza, ricordo, mi colpì particolarmente: era piena di libri e fogli sparsi in ogni parte e in un angolo, appoggiata ad un sostegno, c'era una chitarra.

 

Ricordo di essere rimasta sorpresa e che, subito dopo, ho fatto la mia seconda figuraccia nell'arco di dieci minuti.

 

“Cos'è quella?” avevo chiesto infatti.

 

“E' una chitarra” mi aveva risposto lui nel più ovvio dei toni.

 

“E cosa ci fai?”

 

“La suono”

 

Dio, dovevo aver fatto proprio la figura della scema!

 

Sarei voluta sprofondare. Di solito non sono così imbranata, ma in quella situazione non brillai certo per la mia intelligenza.

 

Grazie al cielo William non mi fece pesare la mia idiozia.

 

“Sono un compositore. Scrivo canzoni quando non studio per laurearmi, cioè” mi aveva spiegato poi.

 

Scoprii così che anche William si barcamenava tra varie aspirazioni come me: la sua carriera musicale e la laurea in letteratura. Io, personalmente, all'epoca, ero una fotografa/studentessa di Belle Arti.

 

Era stato il lavoro di mia madre a far nascere in me la passione per l'arte. I pomeriggi trascorsi alla galleria che lei gestiva mi avevano portato ad apprezzare un bel quadro o una scultura, ma invece di dedicarmi ad una delle due arti, avevo puntato sulla fotografia.

 

Preferisco catturare le emozioni nell'istante stesso in cui si provano. Come si dice, cogliere l'attimo.

 

“Allora ti piace? La prendi?”

 

Di nuovo mi ero incantata a fissarlo e William doveva essersene accorto. Fortunatamente non sembrava dispiacergli. O almeno così credetti all'epoca.

 

“Ma come? Nessuna domanda? Non mi chiedi le referenze?” avevo obiettato stupita che fosse tutto troppo facile.

 

Lui si era stretto nelle spalle. “Mi sembri una ragazza a posto. Non è che dobbiamo per forza essere amici per la pelle o altro” mi aveva spiegato. “Fino a quando sarai puntuale e pagherai la tua parte di affitto senza creare guai, credo che andremo d'accordo. In fondo, non sembri una serial killer” aveva concluso con un sorriso.

 

Stavolta anche io avevo sorriso. La vita improvvisamente era meravigliosa. Uno stupendo appartamento da dividere con un'ancora più stupendo ragazzo, cos'altro poteva chiedere di più una ragazza?

 

“Va bene. Lo prendo”

 

“Perfetto. Puoi trasferirti quando vuoi”

 

Quella sera stessa portai tutte le mie cose a casa sua.

 

 

 

Capitolo Due

 

Per i sei mesi successivi era andato tutto benissimo. Ancora meglio di quanto mi sarei aspettata.

 

Tanto per cominciare, le nostre abitudini si armonizzavano alla perfezione. Quando non eravamo a lezioni, eravamo impegnati con le nostre passioni.

 

Io sviluppavo le mie foto in un piccolo stanzino che avevamo di comune accordo adibito a camera oscura e William, nel suo studio, componeva canzoni.

 

A volte, nonostante la porta chiusa, lo sentivo ripetere sempre la stessa parte. Aggiungeva e toglieva pezzi e a poco a poco il motivo prendeva forma e diventava una vera e propria canzone. Mi faceva sentire speciale il pensare di essere partecipe alla creazione di qualcosa di bello come la sua musica. Ero orgogliosa.

 

Quando avevamo bisogno di sfogarci, invece, andavamo a ballare in qualche locale, oppure facevamo una passeggiata o semplicemente guardavamo la tv fino a tarda notte raggomitolati l'uno accanto all'altro sul divano.

 

Una volta l'avevo portato a Sunnydale, da mia madre. Lui era rimasto molto colpito. E così lei, per non parlare di mia sorella minore che praticamente lo aveva adorato dal primo istante.

 

Alcuni giorni dopo che ce n'eravamo andati, mia madre mi aveva chiamato e mi aveva detto che William un giorno sarebbe diventato famoso. Lo aveva capito dal suo modo di fare.

 

Quando gliel'avevo raccontato, William aveva trovato la cosa divertente e l'aveva richiamata per sapere se aveva qualche altra cosa da dirgli.

 

Insomma, la nostra era la convivenza perfetta.

 

Ma, dopo sei mesi, quando ormai tutto procedeva alla grande, William aveva cominciato a comportarsi in un modo un po' insolito.

 

Avevo sempre pensato che fosse strano che non portasse mai amici a casa. Avevo pensato che temesse che io non fossi d'accordo, così gli avevo proposto di fare una piccola festa. Lui aveva rifiutato, dicendo di essere troppo preso con gli esami. Sapevo che con la sua famiglia c'era della tensione, che i suoi non approvavano la sua idea di una carriera musicale, ma ero sicura che dovesse avere degli amici da qualche parte, ma non riuscivo a capire perché non li invitasse mai a casa.

 

Quanto a me, invitavo sempre molta gente. Mia madre, mia sorella, il mio gruppo di studio, qualche ragazzo che mi piaceva.

 

Comunque questa storia degli amici di William non mi dava tregua. Continuavo a pensarci quasi ossessivamente fino a quando la situazione cambiò.

 

Tutto ad un tratto William cominciò a portare a casa gente. Tutti i weekend. Gente sempre diversa.

 

E tutte ragazze.

 

La prima volta mi era sembrato normale. Era un gran bel ragazzo, in fin dei conti. Anche io all'inizio ci avevo fatto dei pensierini su…

 

Un sabato mattina avevo trovato in cucina una ragazza bionda che non conoscevo. Sapevo che William era andato ad una festa la sera prima, quindi avevo dedotto fosse una sua conquista.

 

Nessun problema per me. L'avevo salutata, mi ero preparata una tazza di caffè ed ero tornata in camera mia. Quando ero uscita, un'ora dopo, la ragazza non c'era più e William non sembrava ansioso di parlarne.

 

La settimana dopo la stessa cosa.

 

Il sabato mattina avevo trovato in cucina un'altra ragazza. E la domenica mattina una ragazza ancora diversa.

 

Tutte bionde. Beh, forse ce n'era qualcuna un po' più scura, tutt'al più rossa, altrimenti tutte bionde. Nessuna eccezione.

 

Il weekend successivo una sorpresa: nessuna ragazza.

 

Forse perché non c'era neppure William.

 

Non era tornato a casa. Lo capii dopo aver controllato nella sua stanza.

 

Le cose erano andate avanti così per settimane. Un via vai misterioso di ragazze.

 

Quando in casa c'eravamo solo noi due, William se ne stava rinchiuso nello studio e lavorava come un matto, altrimenti mi evitava.

 

Completamente.

 

Mi ero subito preoccupata. Cosa gli stava succedendo? Perché, tutto ad un tratto, era diventato così chiuso? Fra di noi andava tutto bene…

 

Avevo cercato di parlare con lui, ma evitava le mie domande così come evitava me. A volte semplicemente non tornava neanche a casa.

 

Intanto le ragazze continuavano ad apparire e sparire ogni mattina.

 

Io me ne stavo rinchiusa in camera mia fino a che non erano andate via.

 

Ero imbarazzata. Entrare in cucina, di prima mattina, e trovarci una ragazza mezza nuda, in forma perfetta con un largo sorriso soddisfatto sulle labbra non era il mio ideale di buon risveglio.

 

Mi sentivo davvero a disagio.

 

Alla preoccupazione, dopo qualche tempo, era subentrata la rabbia.

 

Non ne potevo più di dover rimanere chiusa in camera tutte le mattine dei weekend. E non solo. A volte apparivano anche durante la settimana.

 

Era ora di finirla.

 

Ormai al limite - e dopo una settimana di trattamento del silenzio - avevo deciso che, se le cose fossero continuate così, gli avrei parlato a quattr'occhi per chiarire la situazione.

 

Ma le cose non erano continuate così. Perché all'improvviso avevano smesso di apparire ragazze e William aveva smesso di uscire.

 

Durante quella settimana William mi aveva invitato a cena fuori e si era scusato goffamente.

 

Aveva detto di essere stato stressato, che aveva perso un po' la testa e che non si era reso conto di quello che stava facendo. Ora l'aveva capito e mi aveva promesso che la cosa non si sarebbe mai più ripetuta.

 

Io mi ero sentita in imbarazzo e avevo accettato in fretta le sue scuse, concludendo lì la questione.

 

Alcune settimane dopo, il nostro rapporto era tornato quasi alla normalità.

 

Solamente con il passare del tempo avevo cominciato a capire una cosa, una cosa che mi aveva sconvolta.

 

Sapevo di aver reagito in maniera eccessiva alla presenza delle ragazze di William. Durante quelle settimane persino le mie fotografie ne avevano risentito. Continuavo a rimanere chiusa nella camera oscura per ore senza far nulla, fissando il pavimento, le pareti o il soffitto.

 

E continuavo a farlo soprattutto se lo sentivo suonare.

 

E c'era anche il fatto che ogni sabato e domenica puntualmente alle cinque i miei occhi si aprivano e rimanevo a chiedermi se in camera di William ci fosse una ragazza. Mi auguravo che non ci fosse e, quando era così, facevo i salti di gioia.

 

Avevo continuato in quel modo per mesi.

 

Quando stavamo per compiere il nostro primo anno di convivenza, proprio poche settimane prima, avevo capito che qualcosa non andava sul serio.

 

Avevo completamente messo da parte la mia macchina fotografica.

 

William, invece, studiava senza sosta e scriveva le sue canzoni. Sembrava ci fosse in ballo qualcosa di grande.

 

Ed era vero. Le cose per lui andavano bene.

 

Per me, invece, all'università ero bloccata su un esame da un po'. Non ero riuscita a superare dopo due tentativi l'esame di storia. E speravo di riuscire a farcela con il terzo tentativo.

 

Come se non bastasse, mi ero anche resa conto di una cosa.

 

Un giorno ero nella camera oscura a fare poco o nulla, come al solito ultimamente, e avevo sentito William che suonava e cantava. Era una nuova canzone, che non avevo mai sentito prima. Era semplicemente perfetta, e sapevo che doveva averla scritta lui, perché era fatta apposta per la sua voce.

 

A metà della canzone mi ero resa conto di aver dimenticato di respirare. Provavo una strana sensazione e il mio cuore batteva come impazzito.

 

Allora avevo capito.

 

Ero completamente, disperatamente, follemente innamorata di William.

 

Ero cotta di lui.

 

Come non avevo fatto ad accorgermene prima? Davvero non lo so.

 

Tutto tornava.

 

La mia reazione esagerata quando tornava a casa con quelle ragazze. I risvegli la mattina prestissimo durante i weekend. Quel restare seduta ad ascoltarlo invece di lavorare.

 

A quel punto mi ero domandata cosa fare.

 

Non mi ci era voluto molto a capire che non potevo fare un granché.

 

Sarebbe stato inutile.

 

E per un motivo ben preciso: la nostra convivenza fino a quel momento si era basata su un rapporto di amicizia, puramente platonico. Perciò, nonostante all'inizio l'avessi trovato irresistibilmente attraente, per amore della pace - soprattutto mia - avevo rimosso quelle sensazioni. Okay, lo ammetto, ho fatto davvero fatica a considerarlo solo un amico, specie quando mi era capitato di imbattermi in lui che girava mezzo svestito per casa, una vera tentazione, ma era giusto così.

 

William, invece, sembrava non avere questo tipo di problemi nei miei riguardi, per lui ero solo Buffy, l'amica. Niente di più.

 

E poi c'era un altro problema ancora più importante e difficile da risolvere: da lì a qualche settimana William se ne sarebbe andato.

 

Aveva dato il suo ultimo esame qualche giorno prima e subito dopo la cerimonia di laurea si sarebbe trasferito a New York. Aveva trovato un contatto importante, un tipo dell'industria musicale che avrebbe potuto dargli una mano e, se voleva sfondare, doveva frequentare i ‘giri giusti'.

 

Era alla ricerca della sua grande occasione, da qui il bisogno di trasferirsi. Quindi, in sostanza, ancora qualche settimana e tra noi ci sarebbe stato un intero stato.

 

Così decisi per l'unica cosa saggia da fare. Mettere a tacere i miei sentimenti.

 

 

 

Capitolo Tre

 

Probabilmente il mio piano non stava funzionando proprio bene. Intendo il nascondere i miei sentimenti.

 

Probabilmente ero trasparente come una velina.

 

Probabilmente vagavo per l'appartamento con aria trasognata.

 

Ma William non sembrava accorgersene, o comunque non diceva nulla. Forse era troppo preso dal suo imminente trasloco. In ogni caso, tutto procedeva come al solito.

 

Almeno fino al nostro terzultimo giorno insieme.

 

Fino a quel momento eravamo stati molto indaffarati, lui con i preparativi, io con gli esami e la ricerca di un nuovo coinquilino.

 

Il nostro terzultimo giorno insieme decidemmo di festeggiare la sua partenza. Da parte mia non c'era molto da festeggiare, ma pur di passare un po' di tempo con lui avrei brindato a qualsiasi cosa.

 

Fatto sta che esagerai un po' troppo con il bere. E, cosa che imparai da quella sera, Buffy e l'alcol non vanno mai mischiati. Specie in grandi quantità.

 

Ricordo che William dovette portarmi via di peso dal locale in cui eravamo andati. Ricordo che mi riportò a casa e che mi lasciò cadere con poca grazia sul divano del soggiorno. Poi non ricordo più niente. Immagino di essermi appisolata.

 

Sì, dovevo essermi per forza addormentata, perché ricordo di essermi svegliata ad un certo punto e di aver cercato con gli occhi la sveglia che tenevo sul comodino. Naturalmente non l'avevo trovata. Ricordo poi di essermi alzata e di essermi precipitata, per quanto possibile, in bagno.

 

Odio i postumi della sbornia.

 

Ero appoggiata contro le fresche mattonelle del bagno, alla ricerca di un po' di sollievo, quando William era apparso nel vano della porta.

 

Si era inginocchiato davanti a me. Sembrava che l'alcol su di lui non avesse avuto effetto. “Posso portarti qualcosa? Dell'acqua?”

 

Avevo cercato di dire di no, ma la mia voce non aveva collaborato.

 

“Buffy?”

 

Avevo scosso la testa di nuovo.

 

William si era alzato e poi si era seduto a terra accanto a me. Eravamo rimasti in silenzio per un bel po'. Senza fare o dire niente.

 

Quando iniziai a sentirmi un po' meglio, mi alzai.

 

“Forse è il caso che mi faccia una doccia” ricordo di aver detto.

 

William aveva annuito e mi aveva lasciata sola nel bagno. Rimasi sotto l'acqua per una buona mezz'ora. Mi sentivo triste, ero a pezzi. William stava per partire e io sarei rimasta sola.

 

Quando finalmente riemersi dal bagno, di lui non c'era traccia.

 

“Will?”

 

“Sono qui” La sua voce proveniva dalla sua camera.

 

Era sdraiato sul letto. A faccia in su. “Stai meglio?”

 

“Sì. Il peggio sembra passato”

 

Ero entrata e mi ero sdraiata a pancia in giù accanto a lui, con il mento sulle mani.

 

Poi ci eravamo messi a parlare di New York. Non ricordo bene cosa abbiamo detto, ma ricordo che avevamo parlato per ore. Di tutto.

 

Poi devo essermi addormentata di nuovo perché quando avevo riaperto gli occhi la debole luce proveniente dalla finestra di William indicava che era già giorno.

 

Lui, da parte sua, doveva essersi mosso nel sonno, perché si era girato e il suo braccio era finito su di me. Eravamo tutti e due distesi su un fianco, vicini.

 

Molti vicini.

 

Impossibilmente vicini, dal mio punto di vista.

 

Ero rimasta immobile. Temevo che se mi fossi mossa si sarebbe mosso anche lui.

 

Poi mi resi conto che non sarei mai stata in grado di controllarmi. Il mio braccio si era insinuato sotto il suo ed era scivolato lungo la sua schiena. Un piccolo movimento e fummo ancora più vicini. Abbastanza vicini da…baciarci.

 

Cosa che avevo cominciato a fare. All'inizio talmente piano che lui non si era neanche svegliato, ma non per molto.

 

Mentre mi avvicinavo ancora di più, il mio cuore batteva impazzito come quella volta nella camera oscura. Ricordo che una sensazione strana si era impadronita di me. Ero terrorizzata per quello che avrebbe fatto William quando si fosse svegliato, e allo stesso tempo ero così eccitata che non vedevo l'ora che si svegliasse. Era un tormento.

 

Poi lui si era svegliato.

 

Aveva sbattuto un po' gli occhi ed il suo corpo aveva avuto un sobbalzo. Mi ero resa conto che, a seconda di come avrebbe reagito, avrei compreso i suoi sentimenti.

 

Per un orribile momento William aveva fatto per ritrarsi, ma poi si era avvicinato ancora di più e aveva cominciato a baciarmi a sua volta.

 

Era stato… Non riesco neanche a spiegarlo. Non ero mai stata baciata così, e non mi è più accaduto dopo. Non avevo mai desiderato nulla con tanta forza e anche lui lo desiderava, l'avevo capito perché, nell'attimo in cui aveva aperto gli occhi e si era accorto di quello che stava succedendo, era sembrato sollevato. Come se anche lui avesse aspettato che accadesse.

 

Ci eravamo baciati per un'infinità di tempo. Poi avevo deciso che non era abbastanza.

 

Lentamente, con cautela, mi ero messa sopra di lui. Avevo paura che tutto svanisse all'improvviso come era cominciato, che fosse tutto un sogno. Ma il fatto che continuassimo a baciarci mi aveva dato fiducia.

 

Ad un certo punto, avevo infilato le mani sotto la sua maglietta e gliel'avevo sfilata.

 

Il suo torace era bellissimo. Liscio e pallido. Non potei trattenermi dall'esplorarlo con le mani.

 

Lui nel frattempo mi aveva tolto la maglia.

 

Mi pareva di essere sul punto di svenire dalla felicità.

 

William aveva posato le mani sui miei fianchi, sul bordo dei miei jeans, e io avevo sperato che me li strappasse di dosso il più velocemente possibile. Ma non l'aveva fatto. Le sua mani erano scivolate lungo le mie cosce accarezzandole sopra il tessuto ruvido dei pantaloni.

 

A quel punto avevo cominciato a spazientirmi. Lo volevo e lo volevo subito. Però non volevo diventare aggressiva, perciò avevo cominciato a dimenare i fianchi finché non avevo trovato quello che volevo.

 

Ed era stata una bella sorpresa. Davvero. Una grossa sorpresa, non esiterei a dire. Ancora meglio di quello che mi ero immaginata. 'Adesso ci siamo, Buffy' mi ero detta.

 

Molto lentamente avevo infilato la mano nei suoi pantaloni, trovando la gradita sorpresa di nessun indumento intimo tra me e l'agognato tesoro. Ma non lo toccai. Volevo prolungare l'attesa. Così feci scorrere la mano sul suo fianco e lungo la sua gamba. Sul suo addome e…ovunque, ma non lì. Alla fine, quando non ero più riuscita ad aspettare, avevo allungato la mano verso l'oggetto del mio desiderio.

 

Ma poi qualcosa era andato storto.

 

“Buffy…” William si era irrigidito. “Levati di lì” aveva aggiunto sollevandosi e tirandomi fuori la mano dai suoi jeans.

 

Io mi ero spostata rapidamente ed ero rotolata dall'altra parte del letto. Poi ero rimasta in silenzio. Imbarazzata a morte.

 

Fortuna che la stanza era al buio, perché in quel momento avevo deciso che non avrei mai più voluto rivedere William. Avrei voluto che il letto mi inghiottisse, in modo da non dover sentire quello che stava per dirmi.

 

Mentre aspettavo che parlasse, mi sentivo piena di vergogna e di umiliazione.

 

Sulle prime William non aveva detto niente. Poi, seduto dall'altra parte del letto, aveva emesso una specie di grugnito. Tutto lì. Ma era stato un grugnito eloquente.

 

O almeno così era sembrato a me. Del tipo: ‘Che cosa imbarazzante. La mia coinquilina mi è appena saltata addosso'

 

E poi la tortura era cominciata sul serio.

 

“Buffy, io…”

 

Non potevo sopportarlo. “Forza, dillo. Fa in fretta”

 

Lui si era passato una mano fra i capelli e aveva sospirato. “Non so cosa dire…”

 

“Forse potresti dire che ti faccio schifo. Oh, è troppo tardi. Me l'hai già fatto capire”

 

A quel punto aveva acceso la luce.

 

Perfetto.

 

Così, non solo dovevo ascoltare quello che aveva da dirmi, ma dovevo farlo anche guardandolo in faccia. Davvero grandioso. E quel che era peggio era che lui avrebbe visto l'effetto che ogni sua singola parola avrebbe avuto su di me.

 

“Come puoi dire che mi fai schifo?” William mi aveva guardata come se fossi diventata matta.

 

“E' evidente che lo pensi”

 

Lui aveva allungato una mano per toccarmi un braccio.

 

“No” Mi ero ritratta di scatto.

 

“Sai benissimo quello che intendo dire. Non sei tu. Davvero. Sono io”

 

Allora mi ero messa a ridere. “Che frase originale. ‘Non sei tu, sono io'. Non l'avevo mai sentita prima”

 

Lui aveva posato i piedi sul pavimento, dandomi la schiena. “Parlo sul serio. Sono io”

 

“Già. Il problema non sono io, sei tu” Il fatto che volesse continuare con questa storia mi faceva imbestialire. Ero un'adulta, non c'era bisogno di mentirmi. Potevo benissimo sopportare la verità.

 

“Io…” Lui si era di nuovo passato le mani fra i capelli. “Non posso. Non ora. Non con te”

 

Okay, forse non potevo sopportare tutta la verità.

 

Ero rimasta lì, tramortita da tre semplici frasi. Il colpo era andato a fondo. Non con te. Così ero io. Non c'erano più dubbi. La cosa, però, non mi aveva fatto sentire meglio.

 

“Ma tutte quelle ragazze…” Credevo di averlo pensato, e invece avevo parlato ad alta voce.

 

William non aveva risposto.

 

“Beh, mi spiace di non essere all'altezza” avevo detto. Era più facile essere arrabbiata che imbarazzata, avevo pensato all'epoca.

 

Lui si era voltato. “Buffy, non essere sciocca”

 

“Sciocca? Che cosa c'è di sciocco in questo? Vai a letto con tutte le ragazze che ti capitano sotto mano, ma hai respinto me. Che cosa dovrei pensare?”                                                                                           

 

William si era alzato. “Vorrei poterti spiegare ma non posso”

 

“Che c'è da spiegare?” Mi stavo comportando da idiota ma non riuscivo ad evitarlo. Smettere significava crollare e scoppiare a piangere. E non potevo, non volevo farlo. Non davanti a lui, comunque.

 

Mi ero alzata dal letto. “Immagino di non essere abbastanza bionda per te” William aveva fatto per dire qualcosa, ma io avevo sollevato una mano per farlo tacere. “Non dirlo. Non parlarmi. Non voglio sentirlo” Stavo sempre più urlando.

 

Mi ero alzata ed ero uscita, sbattendo la porta.

 

 

 

Capitolo Quattro

 

Per tutta quella notte non riuscii a dormire.

 

Mi ero girata e rigirata nel letto rivivendo quell'orribile momento. Orribile, cioè, quando la situazione era precipitata.

 

C'era qualcosa che non capivo e che non mi dava pace. All'inizio, quando avevo iniziato a baciarlo, lui aveva accettato le mie avance, anzi aveva anche ricambiato. Cos'era successo poi per fargli cambiare idea?

 

Era qualcosa a cui non riuscivo a darmi risposta.

 

Quando mi ero svegliata il giorno successivo, avevo sperato come prima cosa che William non fosse in casa. Non avrei potuto guardarlo dopo la notte appena trascorsa.

 

Fortunatamente quando mi ero alzata per andare in bagno, non lo avevo incontrato. Mi ero lavata, vestita ed ero andata in cucina. Fu solo mentre facevo colazione che mi ero accorta che qualcosa era cambiato.

 

Quasi tutti gli scatoloni delle cose di William erano spariti. Ero andata nella sua camera e avevo sbirciato. Restavano solo il letto e alcuni dei suoi vestiti sparsi a terra. Ero subito tornata nel salotto.

 

Vicino al telefono avevo trovato un biglietto.

 

‘Buffy,

 

come credo avrai notato, ho portato via la maggior parte delle mie cose. Tornerò oggi pomeriggio verso le tre a prendere il resto. Non so se sarai in casa, ma sai che se vuoi parlare puoi chiamarmi sul cellulare. In ogni caso ti chiamerò io nelle prossime settimane non appena mi sarò sistemato. Non voglio che fra noi due sia finita.

 

William'

 

‘Non voglio che fra noi due sia finita' Avevo riletto il biglietto almeno tre volte.

 

Noi.

 

Noi chi? Non c'era nessun noi. C'ero solo io che desideravo William, e William che non ricambiava. Amore non corrisposto. Era una cosa antica come il mondo.

 

Avevo guardato l'orologio appeso alla parete. Mezzogiorno passato. Dovevo uscire, e in fretta.

 

Mi ero fatta la doccia più veloce della mia vita, mi ero vestita ancora più velocemente ed ero corsa alla fermata dell'autobus. Non mi importava dove sarei andata. L'importante era che non sarei stata in casa quando William fosse tornato.

 

Ero andata al cinema e avevo visto qualcosa, cosa neanche lo ricordo. Ricordo solo che durò due ore e che quella era stata l'unica ragione che mi aveva spinto a scegliere quel film. Dopo, ricordo di aver girato per negozi, aver comprato una maglietta che non mi piaceva e che non potevo permettermi, e aver continuato a vagare senza meta fino alle cinque. A quell'ora ero stremata, così avevo preso l'autobus per tornare a casa.

 

William non c'era, e in casa non c'era rimasto più nulla di suo.

 

Ero andata nella sua stanza ed ero rimasta lì. Non ero riuscita neppure a sentire il suo odore. Era come se non ci fosse mai stato, come se non fosse mai esistito. Avevo camminato lentamente per la stanza osservando tutto, poi mi ero voltata ed ero uscita, chiedendomi perché mai c'ero entrata.

 

Era stato stupido. Dovevo cercare di dimenticare.

 

Mentre andavo in cucina, mi ero fermata per controllare la segreteria telefonica. L'avevo accesa con l'idea di filtrare le chiamate.

 

In cucina avevo trovato un altro biglietto di William. Beh, non esattamente un biglietto, era più un'aggiunta in fondo a quello vecchio.

 

‘Speravo fossi qui, in modo da poter parlare. Ti chiamerò. W'

 

E, a dire la verità, aveva chiamato. Diverse volte. Ma io non l'avevo richiamato. E curiosamente non ero stata io, ma Dawn, mia sorella, a rivederlo, tre mesi dopo.

 

Eravamo a casa, a Sunnydale. Una sera, mentre guardava la tv, Dawn aveva urlato: “Buffy! Buffy, vieni qui, presto”

 

Ero corsa in soggiorno. “Che c'è?”

 

Lei aveva indicato la tv. “Quello non è William?”

 

Dopo aver fissato lo schermo per alcuni minuti con gli occhi sbarrati, il mio cervello aveva ripreso a funzionare. Ero sorpresa che Dawn l'avesse riconosciuto. Perché quello era William, ma allo stesso tempo non era lui. Adesso si chiamava… Spike.

 

Era vestito completamente di nero e indossava un lungo spolverino di pelle anch'esso nero. Era truccato. Fondotinta chiarissimo e eyeliner. I suoi capelli erano tagliati corti, sparati verso l'alto in tutte le direzioni e di un orribile colore platinato. L'acconciatura doveva essere opera di qualche parrucchiere delle star.

 

Nel vederlo ero trasalita. Mi ero lasciata scivolare sul pavimento e avevo guardato il resto della trasmissione. Era uno di quei programmi di attualità che si occupano soprattutto di cronaca scandalistica.

 

A quanto pareva, William - scusate, Spike - era il cantante di un gruppo chiamato Dingoes Ate My Baby. Il conduttore della trasmissione sembrava convinto che tutti conoscessero i Dingoes. Evidentemente se ne parlava da un po', ma essendo stata occupata con mia madre, io non ne avevo saputo nulla. Sembrava che il gruppo promuovesse pratiche poco raccomandabili fra le quali il culto del diavolo. La trasmissione dava anche parecchie informazioni su Spike. Erano divise in due categorie: le cose che gli piacevano e quelle che non gli piacevano.

 

Cose che gli piacevano: mangiare animali vivi, dormire nella sua bara costruita su misura, sedurre ragazze.

 

Cose che non gli piacevano: la religione organizzata, gli anziani, i vegetariani, Britney Spears.

 

Fine della storia.

 

“Oh” aveva detto Dawn, e io avevo avuto un sussulto. Mi ero completamente dimenticata che ci fosse anche lei nella stanza. “Oh” aveva ripetuto. “Meglio che vada dalla mamma”

 

Mi aveva lasciata sola.

 

Mi ero presa la testa fra le mani e aveva fissato la TV. Che diavolo gli era successo? Che fine aveva fatto il mio William?

 

Dopo quella scoperta non potevo certo chiamarlo, e quando lui aveva telefonato, circa un mese dopo, era un brutto momento. Mia madre era stata male per alcuni giorni e finalmente aveva lasciato che io e Dawn la portassimo all'ospedale. Detestava quel posto, evidentemente un tratto ereditario, perché anche io lo odiavo cordialmente, ma nonostante questo cercavo di stare con lei il più possibile. Ciò ovviamente aveva tolto tempo ai miei studi e alla mia fotografia. In pratica non stavo combinando nulla.

 

Ero preoccupata.

 

Quando mia madre era tornata a casa, avevo fatto in modo di perdere il numero di William. Perciò non lo avevo richiamato neppure quella volta. Sì, lo so che è una scusa poco credibile, ma avevo altre cose per la testa. Mia madre, Dawn, recuperare il sonno perduto…cose che allora mi sembravano molto più importanti.

 

La vita era continuata senza Spike finché non era venuto il momento di lasciare la casa di mia madre e riprendere in mano la mia vita. Mi sembrava fosse passata un'eternità dai tempi del college, ma in realtà erano trascorsi solo sei mesi. Sei mesi da quando avevo visto William per l'ultima volta. Beh, questo non è del tutto vero, perché dalla sera che io e Dawn l'avevamo visto in tv, Spike compariva dappertutto. I media impazzivano per i Dingoes. Non potevo accendere la Tv o comprare un giornale o una rivista senza trovare qualche articolo scandalistico su di lui.

 

Mentre facevo la valigia, avevo trovato il numero di William. Era finito nel cassetto della biancheria. Lo avevo tenuto in mano per alcuni secondi, decidendo se chiamarlo o meno. Poi avevo infilato il pezzo di carta nella tasca dei jeans.

 

Lo avevo trovato il giorno dopo, mentre ero in cucina. Lo avevo tenuto di nuovo in mano e forse avevo fatto anche per prendere il telefono, non ricordo, poi però mi ero versata un bicchiere di latte e lo avevo portato fuori, in cortile.

 

Mi ero seduta sui gradini del portico sul retro. Avevo lisciato il pezzo di carta tra le mani, lo avevo guardato finché non avevo finito di bere il bicchiere di latte e poi lo avevo fatto a pezzetti minuscoli. Mentre lo strappavo, avevo cercato di convincermi che ora tutto era diverso. Non solo fra noi due, a causa di ciò che era accaduto nell'appartamento, ma proprio tutto. Il piccolo mondo che ci eravamo costruiti assieme non esisteva più. Era inutile chiamarlo. Io non facevo parte della sua nuova vita e non volevo cercarlo proprio ora che era diventato famoso.

 

Doveva trascorrere quasi un altro anno e mezzo prima che rivedessi William di persona.

 

 

 

Capitolo Cinque

 

“Volo 248. Volo 248 per Londra. Imbarco immediato. I passeggeri di prima classe e di business class e quelli delle prime file con un numero superiore al 50 sono pregati di imbarcarsi per primi. I passeggeri delle altre file saranno chiamati a breve”

 

Smetto di pensare a William e torno al presente. Hanno chiamato il mio volo. Controllo la carta di imbarco, vedo che sono nella fila 55 e mi affretto ad imbarcarmi. Mentre mi allontano, mi accorgo che non ho bevuto neppure una goccia del mio cappuccino.

 

Aspetto in coda di presentare la mia carta di imbarco, aspetto che la hostess mi dica da che parte dell'aereo si trova il mio posto, aspetto che gli altri passeggeri sistemino il loro bagaglio a mano. Finalmente raggiungo il mio posto. Un posto dalla parte del corridoio, proprio come avevo chiesto…ma accanto ai gabinetti.

 

Questo non me l'aspettavo.

 

Come se non bastasse, questo deve essere l'aereo più vecchio del mondo. Niente schermo Tv per me, il più vicino è a chilometri di distanza.

 

Quando mi sono sistemata, controllo quali film non vedrò. Due li ho già visti e uno non mi interessa. Va bene così. Cerco di non pensare agli altri lati negativi del volare sull'aereo più vecchio del mondo - il fatto che potrebbe anche non rimanere in aria, per esempio.

 

Quando ho finito, allungo il collo e guardo fuori del finestrino per vedere se Dawn è rimasta ad aspettare il decollo del mio aereo. Aveva voluto accompagnarmi all'aeroporto, non aveva sentito ragioni. Sono quasi tre anni che non ci separiamo per più di un giorno e mi ha fatto uno strano effetto doverla salutare prima di entrare nella zona dell'aeroporto riservata ai possessori di un biglietto. Le avevo offerto di venire con me ma ha rifiutato. Inizierà il college a breve, ha molte cose da preparare. Anche lei frequenterà l'università di Los Angeles.

 

“Signorina, può allacciarsi la cintura di sicurezza, per favore?”

 

La hostess è in piedi accanto a me e mi guarda come se fossi una demente. Dalla sua espressione deve avermelo già chiesto più di una volta. Afferro le due estremità della cintura di sicurezza e l'aggancio.

 

Adesso non c'è rimasto più niente da fare, quindi tiro fuori dallo zainetto un libro e leggo finché non comincia la dimostrazione delle procedure di sicurezza. Poso il libro e ascolto attentamente. Come ho detto prima, l'aereo più vecchio del mondo…

 

Sto guardando attentamente la hostess che ci mostra come allacciare e slacciare le cinture di sicurezza, quando sento un rumore.

 

E qualcosa mi piomba addosso.

 

Spaventata, lascio cadere a terra il libro che avevo appoggiato sulle ginocchia.

 

Per un attimo non riesco a capire cosa sia successo. Quando abbasso lo sguardo, ho in grembo una videocassetta. Istintivamente mi sfioro la testa e mi accorgo che mi fa male. C'è un piccolo bernoccolo. Anzi, un bernoccolo di medie dimensioni. No, un grosso bernoccolo, per la verità. Decisamente grosso e che sta iniziando a fare decisamente male.

 

“Ehi, sta bene?” mi domanda il tizio seduto accanto a me.

 

Mi volto verso di lui. Vorrei rispondere di no. Non sto affatto bene. Ho un bernoccolo sulla testa. Ma non riesco a dire nulla. Abbasso la mano e guardo se c'è del sangue.

 

Non c'è. Probabilmente è un buon segno.

 

Arriva la hostess e si accuccia accanto a me. Tira su il libro e lo poggia da una parte. “Mi spiace. È la prima volta che succede”

 

La guardo senza espressione. Lei prende la videocassetta dal mio grembo e me la mostra. “E' il video sulle procedure di sicurezza. È uscito dal videoregistratore che è sopra di lei. La sua testa è a posto?”

 

Io continuo a guardarla. “Ho un bernoccolo”

 

Lei mi tasta la testa. “Ohh, ma certo. Le fa male? Ha mal di testa? Cerchiamo un medico?”

 

Troppe domande. “Non fa molto male” rispondo. Poi mi rendo conto delle possibili conseguenze di quello che ho appena detto. Meglio andare sul sicuro. “Per ora”

 

La hostess riflette per qualche istante. “Beh, forse è meglio che venga a sedersi davanti, così possiamo tenerla d'occhio più facilmente. Stiamo per decollare, perciò devo lasciarla sola per alcuni minuti. Tornerò appena possibile. Lei non si muova” Poi si dirige verso la parte anteriore dell'aereo.

 

La guardo allontanarsi. Dove pensa che possa andare? Voglio dire, siamo su un aereo. Non ho molte possibilità.

 

Come mi aveva promesso, la hostess torna appena decollati. Mi aiuta ad alzarmi. “Erica la terrà d'occhio. Le dica se comincia a farle male la testa, okay? Ha del bagaglio a mano?” aggiunge, indicando gli appositi spazi sopra le nostre teste.

 

Scuoto la testa e lei si dirige di nuovo verso la parte anteriore dell'aereo. La seguo.

 

Camminiamo per un bel po'.

 

Improvvisamente lei apre la tenda che divide i privilegiati dalle persone comuni e mi ritrovo in business class. Ottimo. No, aspetta. Continuiamo a camminare. Superiamo un'altra tenda ed entriamo…in prima classe.

 

Accidenti.

 

Mi guardo intorno piena di meraviglia. Adesso, decisamente non siamo più in economy.

 

Le persone sedute nei pochi posti all'entrata si voltano a guardarci. Io cerco di dare l'impressione che ora la testa mi faccia davvero male. Male come può far male in prima classe, su una poltrona completamente reclinabile.

 

In prima classe ci sono circa cinque persone e - li conto - circa venti posti. Che spreco.

 

Arriva un'altra hostess. Immagino che sia Erica. Quando è più vicina, leggo il suo cartellino con il nome. Sì, è Erica. La hostess che è stata con me fino a questo momento se ne va.

 

“Si sieda qui” dice Erica, facendomi accomodare dietro ad un uomo. “Mi avverta se comincia ad avere nausea o le viene mal di testa, d'accordo?”

 

Annuisco.

 

“Desidera un biscotto e del succo di mela? Gli altri passeggeri hanno appena fatto uno spuntino”

 

Annuisco di nuovo. Non rifiuto mai un biscotto. O del succo di mela. E certo non rifiuto i biscotti e il succo di mela di prima classe, che posso godermi su una poltrona completamente reclinata mentre guardo la mia TV via cavo personale e se mi va parlo al mio telefono personale.

 

“Sì, grazie” rispondo educatamente.

 

Erica si volta e si allontana. Mentre l'aspetto mi appoggio allo schienale della mia poltrona e poso le mani in grembo. Peccato che non mi sia messa qualcosa di più elegante del mio vecchio giacchetto di jeans. Come la pashmina rosa pallido che indossa la signora poche file più avanti.

 

Mentre sto pensando a questo, noto il braccio del tipo seduto davanti a me. Indossa un giacchetto di jeans molto simile al mio, cosa che mi fa sentire decisamente meglio. Il giacchetto è piuttosto vecchio e logoro. Per un attimo rimango stupita, poi mi dico che probabilmente il suo aspetto malconcio è voluto. Dev'essere stato invecchiato artificialmente e sicuramente costa almeno dieci volte il mio, che comunque era al di sopra delle mie possibilità.

 

Mi sporgo un pochino per vedere se riesco a leggere l'etichetta in fondo al giacchetto. C'è una scritta che mi sembra vagamente familiare. Se solo potessi…

 

Sento qualcuno che si schiarisce la voce e sollevo lo sguardo. È Erica. Con il biscotto e il succo di mela. Su un piatto. Un vero piatto. E un vero bicchiere. Devo avere gli occhi spalancati. Probabilmente sembro uscita da un cartone animato giapponese.

 

Le sorrido. Lei non ricambia il sorriso.

 

Oh, oh.

 

“Se disturba gli altri passeggeri, temo che dovrò rimandarla in…” Poi si interrompe quando il tipo seduto davanti a me si volta.

 

“Oh, mio Dio!” esclamo a voce un po' troppo alta, riconoscendolo.

 

Lui mi fissa.

 

“Ora basta” sibila Erica.

 

Ho la sensazione che stia per cacciarmi dalla prima classe.

 

Il tipo continua a fissarmi.

 

È William.

 

 

 

Capitolo Sei

 

E' senza trucco e i capelli sono lisciati all'indietro ma sempre di quell'orribile colore, in ogni caso è molto più facile riconoscerlo in questo modo.

 

Forse indossa addirittura lo stesso giacchetto di jeans che aveva quando vivevamo insieme.

 

Accanto a noi, Erica sta ancora manifestando tutta la sua disapprovazione di hostess di prima classe.

 

“Tutto a posto” dice William, alzandosi. “Ci conosciamo”

 

“Ah” Lei non ne sembra particolarmente contenta e per un attimo si liscia la gonna. “D'accordo. Allora lascio qui questo, va bene?” Posa il vassoio con il biscotto e il succo di mela e si allontana rapidamente.

 

Anch'io mi alzo in piedi con un certo imbarazzo. Non so come reagirà William. Le star non si lamentano sempre delle persone che sostengono di essere loro vecchie conoscenze di quando non erano famosi?

 

“Ho sentito che ti chiamavano, all'aeroporto” mormoro con gli occhi bassi, confusa.

 

Lui fa una smorfia. “Ero in ritardo”

 

Sorrido e incontro il suo sguardo. “Come al solito”

 

C'è una pausa. Nessuno dei due sa cosa fare. Io sto per rimettermi a sedere. Temo di seccarlo. Ma William prende l'iniziativa.

 

“Che diavolo sto aspettando?” Mi bacia su una guancia e mi abbraccia.

 

Anche io l'abbraccio. Ha un odore incredibilmente familiare, nonostante il nuovo look. L'abbraccio mi fa piacere e mi mette a mio agio.

 

“Vieni. Siediti vicino a me” dice lui.

 

Mi sistemo comodamente nella poltrona accanto al finestrino e William mi passa il biscotto e il succo di mela. “Non credo che laggiù mangino biscotti del genere” dico, indicando l'economy class. Poi racconto a William come sono finita qui in mezzo alla gente famosa.

 

Alla fine del mio resoconto, lui mi tasta delicatamente il bernoccolo.

 

“Ahi!”

 

“Scusa. È piuttosto grosso. Sei sicura di stare bene?”

 

“Di certo sto meglio ora” rispondo, prendendo il biscotto e addentandolo. Con l'altra mano mi sfioro il bernoccolo. William, intanto, mi guarda. Il suo sguardo fisso mi mette in agitazione. Mi dimeno un po' sul mio sedile, poi borbotto. “Che hai da guardare?”

 

William si mette a ridere e io corrugo ancora di più la fronte. “Scusami. È solo che è strano rivederti. Tutto qui”

 

Sollevo le sopracciglia. “Strano rivedere me ?” Mi interrompo per un attimo, poi decido di continuare. Dopotutto, prima o poi deve pur venire fuori o no? “Strano rivedere me?” ripeto. “E' stato molto strano rivedere te con il tuo nuovo look, questo è certo”

 

William geme. “Oh, per l'inferno! Sapevo che sarebbe venuto fuori”

 

“Davvero? E pensare che stavo per dimenticarmi che da circa due anni fingi di adorare il diavolo, di mangiare animali vivi e di sedurre ragazzini”

 

“Bisogna pure avere qualche hobby, no?”

 

Sbuffo piano. “No, sul serio, raccontami tutto”

 

Così lui lo fa.

 

Ed è proprio come immaginavo. William è andato a New York e ha incontrato quel suo contatto proprio al momento giusto. Una grossa compagnia discografica stava mettendo insieme una band che avrebbe dovuto sconvolgere il pubblico, e lui si è presentato per un provino. Era piaciuto ma avevano voluto rifargli il look. Via gli occhiali, i riccioli e il look da bravo ragazzo. Gli avevano fatto un contratto e l'avevano bardato di pelle nera. Poi l'avevano affidato alle cure di un parrucchiere, di uno stilista e di un pubblicitario. Dopo poche settimane era diventato Spike e i Dingoes Ate My Baby avevano decollato. A quanto pare, il fatto che William sa davvero cantare é solo un dettaglio.

 

“La prima volta che ti ho visto in Tv non riuscivo a crederci. Ho ascoltato il servizio a bocca aperta”

 

“Non mi sorprende”

 

“Ma è fantastico, no? Non è quello che hai sempre desiderato?”

 

William fa una pausa. “No. Ho sempre desiderato scrivere canzoni. Lo sai”

 

“Ma scrivi le canzoni dei Dingoes, no?”

 

“Certo” Lui si mette a ridere. Poi si guarda intorno con aria furtiva. “No” sussurra.

 

“Ah” Non c'è molto da dire.

 

“Ma per il momento mi va bene così, non posso lamentarmi” aggiunge lui, appoggiandosi all'indietro sul suo sedile. “E tu?” domanda. “Come sta tua madre? Dawn?”

 

Silenzio.

 

“La mamma è morta, William”

 

Lui solleva lentamente la testa e io mi volto a guardarlo. Vedo il suo orrore. “Merda, Buffy. Mi spiace. Avrei dovuto…”

 

“Non c'è problema” In fondo è successo già da un po'. Solo che preferisco non ricordarmene.

 

“Quando?”

 

“Molto tempo fa. Il gennaio dopo che te ne sei andato”

 

“Pensavo stesse bene… Io non sapevo…”

 

Scuoto la testa. “Ci abbiamo messo un po', io e Dawn, a convincerla a farsi vedere da un medico. E quando lo ha fatto, le restavano solo poche settimane”

 

“Cancro?”

 

“No, cioè si…. Le era stato diagnosticato un tumore al cervello, ha anche subito un'operazione ma è stato un aneurisma cerebrale a portasela via” racconto in tono piatto.

 

William fa una pausa. “Ricordi la settimana che abbiamo trascorso da lei a Sunnydale?”

 

Annuisco.

 

“Abbiamo parlato molto, io e lei. Di tutto . Era così facile parlare con lei. Tua madre era una donna in gamba”

 

Annuisco di nuovo.

 

William solleva la testa. “Ti ho cercata più o meno a quell'epoca… gennaio. E anche prima e dopo. Come mai non mi hai richiamato?”

 

“Lo so, mi spiace, non era un buon periodo. Ero molto impegnata con mia madre, e Dawn, e poi, non so…” Distolgo lo sguardo.

 

“Non preoccuparti. Non ha importanza”

 

Invece ha importanza, ma non so come spiegarglielo.

 

“Dimmi che cosa hai fatto nel frattempo” dice William.

 

Ci penso su. “Niente di eccitante, in confronto a te”

 

“Lo credi tu. Tutti pensano che il mio lavoro sia ultrabrillante, ma non è così”

 

Gli lancio un'occhiata. Oh, certo. Che cosa ci può essere di più brillante della vita di una rockstar?

 

“Sul serio” insiste William. “Trascorro la maggior parte del tempo in viaggio, come adesso” Si passa una mano sul giacchetto. “Vestito così. Su, dimmi tutto”

 

Sospiro e inizio a raccontargli di come, dopo la morte di mia madre, abbia avuto molto da fare. Ho dovuto sistemare i suoi affari, vendere la sua casa e comprare un minuscolo appartamento a Los Angeles.

 

“E Dawn? Sta con te?” domanda William.

 

“Sì, ovvio, dove credevi che vivesse?” Scuoto la testa. “Occuparmi di Dawn è una delle mie principali attività” Sospiro. “O forse dovrei dire era ” William mi rivolge uno sguardo interrogativo. “Sta per andare al college, a settembre”

 

William sorride. “Sarà contenta di frequentare lo stesso college dove si è laureata sua sorella. Una specie di passaggio delle consegne”

 

Non rispondo. Mi concentro sul finire il biscotto e il succo di mela.

 

“E' una bella cosa che tu sia riuscita a laurearti nonostante tutto, dovendo anche badare a Dawn”

 

Di nuovo silenzio.

 

William mi guarda come se stessi scherzando. “Ti sei laureata, giusto? Sono passati tre anni, Buffy”

 

Ancora silenzio. Un silenzio eloquente.

 

Devo dire qualcosa. Spiegare. “E' che era tutto così…”

 

Allora William mi interrompe. “Maledizione, scusami. Ci risiamo. È logico che fosse difficile dopo la morte di tua madre”

 

E siccome in parte è vero, non aggiungo altro.

 

 

 

Capitolo Sette

 

Continuiamo a parlare.

 

Non ci interrompiamo neanche mentre pranziamo. Siamo talmente rumorosi che Erica arriva al punto di chiederci ufficialmente di stare tranquilli.

 

Parliamo - o meglio, sussurriamo - fino a Londra.

 

Quando sbarchiamo dall'aereo e andiamo ad aspettare i nostri bagagli, siamo quasi senza voce.

 

Il mio bernoccolo però sta meglio. Merito degli impacchi di ghiaccio che mi ha portato Erica, seppur di malavoglia.

 

Il bagaglio di William arriva subito. Mentre lui prende la sua valigia, mi accorgo che ha attaccata un'etichetta arancione con su scritto priority .

 

Non commento il trattamento privilegiato riservato alle star, ma mi limito a sperare silenziosamente che la mia valigia non sia andata in vacanza alle Bermuda senza di me.

 

“Com'è la tua valigia?” mi domanda William.

 

“Verde con le rotelle” rispondo io e non faccio neanche in tempo a finire la frase che la vedo apparire sul nastro trasportatore.

 

Ringrazio il mio santo protettore e mi faccio largo in mezzo alla folla per prenderla ma William mi ferma.

 

“Aspetta. La prendo io”

 

“Mio eroe” dico e gliela indico.

 

Lo guardo afferrare la valigia e sollevarla con fatica. La sua espressione è stupita.

 

“Ma che diavolo c'è qua dentro?”

 

“Vestiti. Metà dei quali non mi serviranno. Non sono capace di fare i bagagli. Esagero sempre”

 

“A me non capita”

 

Sorrido guardando il suo giacchetto. Qualcosa mi dice che a Londra non farà molto shopping. Quanto a me… Non posso promettere di trattenermi, anche se il mio budget è limitato.

 

Insomma, ce ne stiamo lì, con le valigie in mano, ben consci che il momento di salutarsi è arrivato, ma nessuno dei due vuole andarsene per primo.

 

Vorrei chiedergli di vederci a cena stasera, ma decido di lasciar perdere. Avrà altre cose da fare. Cose che fanno le persone famose. Probabilmente alloggerà al Savoy o al Ritz, posti dove io non metterò mai piede.

 

“Credo che…”

 

“Bene…”

 

William posa la valigia e mi abbraccia. “Buon soggiorno a Londra” dice. “Divertiti”

 

Sorrido. “Grazie. Lo stesso vale per te”

 

“Ci proverò” Mi porge qualcosa. Un biglietto da visita. “Così puoi chiamarmi, se vuoi. I cellulari funzionano anche qui”

 

“Grazie” rispondo. Ma non credo che lo farò. Potrebbe pensare che ora sono interessata a lui solo perché è famoso. Dopotutto negli ultimi due anni non l'ho cercato neanche una volta. Perché mai dovrei cominciare ora? “Beh…allora, ciao” Faccio per voltarmi ma William si china, mi posa le mani sulle spalle e mi bacia sulle guance.

 

“E' stato bello rivederti, Buffy”

 

Deglutisco.

 

Lui fa un passo indietro e sorride. “Questa volta chiamami, okay?”

 

Annuisco. “Okay. Grazie” Sollevo il biglietto da visita poi mi volto e mi allontano.

 

Mi dirigo verso i telefoni. Mi sono ricordata che avevo promesso a Dawn di chiamarla appena scesa dall'aereo.

 

Si preoccupa davvero per me.

 

Dawn risponde al secondo squillo. “Buffy?”

 

Okay, forse si preoccupa un po' troppo.

 

“Sì, sono io. Sono arrivata sana e salva. In prima classe, tra l'altro”

 

“In prima classe?”

 

Le spiego cos'è successo e le dico del mio incontro con William, alias Spike.

 

“Com'è andata?”

 

“E' strano. Lui sembra esattamente lo stesso. Pensavo che ora tutto fosse diverso, invece è stato proprio come ai vecchi tempi”

 

“Ha mangiato animali vivi?”

 

Rido. “Sì. Erano in una gabbia, in modo che potesse andare a prenderseli quando ne aveva voglia. E per terra c'era addirittura una sputacchiera per ossa e pellicce”

 

Dall'altro capo della linea c'è una pausa.

 

Rido di nuovo. “Dai, Dawn…” In realtà, mi sento in colpa, perché fino a non molto tempo fa, grazie ai media, ci credevo un po' anche io. “Stavo scherzando”

 

“Lo so. Per chi mi hai preso?” Dawn mi sembra un po' punta sul vivo. Poi mi chiede cosa farò ora.

 

“Prenderò un autobus fino all'albergo e poi me ne vado un po' in giro”

 

“Ma non sei stanca? Dovresti riposarti”

 

“Sto bene. Smettila di preoccuparti” Intanto sorrido. È bello per una volta che i ruoli siano invertiti e che sia Dawn ad essere la sorella ansiosa e protettiva.

 

Prima di riagganciare, Dawn mi fa promettere due volte che le telefonerò nei prossimi giorni.

 

Mi guardo intorno. Da qualche parte ho visto l'indicazione della fermata degli autobus. Oltre i nastri trasportatori, credo. Ah, eccola. Mi avvio in quella direzione e intanto leggo le altre indicazioni.

 

In tutto questo mi trascino dietro la mia valigia. Sto seriamente considerando di lasciarla qui vista la fatica che sto facendo per spostarla…

 

Arrivo - grazie al cielo - alla fermata dell'autobus e mi metto in attesa. Passano un paio di taxi, vorrei tanto fermarli e farmi portare al mio albergo ma, come al solito, il mio budget limitato non prevede corse su costosi taxi londinesi.

 

Ecco che se ne ferma un altro. Mi preparo per dirgli che può anche andare oltre quando rimango a bocca aperta: davanti a me, oltre il finestrino abbassato, c'è William e non uno sconosciuto autista.

 

William ride della mia espressione sorpresa poi torna serio.

 

“Ti serve un passaggio?”

 

Mi riprendo appena in tempo per accorgermi che la mia valigia è stata caricata nel bagagliaio del taxi e l'autista mi sta aspettando con lo sportello aperto. Non ho molta scelta, mi sembra.

 

“Andiamo, entra”

 

Salgo in macchina, l'autista chiude lo sportello, fa il giro del veicolo e partiamo. Ma… dove stiamo andando?

 

Mi rendo conto di averlo detto ad alta voce quando William mi risponde, o meglio, mi domanda.

 

“Come si chiama il tuo albergo?”

 

Per la prima volta da che sono salita sul taxi mi volto a guardarlo. Qualcosa è cambiato in lui: indossa un paio di occhiali da sole e il colletto del giacchetto di jeans è alzato a coprirgli il viso. Evidentemente questo è il suo look per sfuggire ai fan. Già, come se con quel colore di capelli potesse passare inosservato!

 

“Allora?” chiede ancora lui, piegando la testa di lato. Credo che il fatto che non abbia spiccicato parola da quando ci siamo rivisti stia iniziando a preoccuparlo. “Buffy?” Corruga la fronte. “Mi hai sentito? Cos'hai? Ti senti male? Il bernoccolo ti fa ancora male?”

 

“Lord Jim”

 

La sua fronte si corruga un po' di più. “Eh?!”

 

“Lord Jim Hotel, è il nome del mio albergo. Non è quello che volevi sapere?” Scuoto la testa.

 

Lui mi sorride sollevato. “Oh, meno male. Pensavo che stessi male a causa della botta in testa” Si ferma e mi guarda. “Non ti fa più male, giusto? O…vuoi che andiamo da un medico? Possiamo…”

 

Stavolta sorrido anche io. “Sto benissimo, grazie. Solo, mi hai colto di sorpresa. Non pensavo di rivederti…così presto” O del tutto , aggiungo mentalmente.

 

Sul serio, ormai mi ero convinta che non l'avrei più rivisto. O forse sì. Magari l'avrei rivisto, magari per caso, magari tra altri tre anni, magari di nuovo su un aereo. Non si può mai sapere il destino…

 

“Lo sapevo che non avevi nessuna intenzione di chiamarmi” lo sento borbottare.

 

“Scusa?”

 

“Non pensavi di rivedermi, ergo non pensavi neanche di chiamarmi” mi spiega. “Ti conosco, Buffy, di certo avresti fatto in modo di perdere il mio numero…proprio come hai fatto con l'altro”

 

“E tu come sai che ho perso l'altro numero?!”

 

“Quale altra buona ragione avresti avuto per non chiamarmi, allora?” Mi osserva alzando un sopracciglio. C'è una cicatrice sopra. Corrugo la fronte. Quella prima non c'era…

 

“Come te la sei fatta?” Allungo una mano.

 

Lui si allontana prima che la mia mano abbia fatto contatto con la parte in questione. “Un incidente con un fan. Niente di grave” spiega conciso. “Ma non cercare di cambiare argomento”

 

“Non stavo cercando di cambiare argomento!” ribatto piccata.

 

“Perché non mi hai mai chiamato?”

 

“Io…io…” balbetto in fretta. Non posso, di certo, dirgli la verità. Mica posso uscirmene con una cosa del tipo: Vuoi sapere perché non ti ho chiamato? Perché ero follemente innamorata di te e quando mi hai rifiutato quella sera mi hai spezzato il cuore, ecco perché! Una risposta del genere comporterebbe troppe domande. Domande a cui non voglio rispondere.

 

“Allora?” Di nuovo quel sopracciglio interrogativo. Sto iniziando ad odiarlo, giuro!

 

“Io… sono stata occupata, va bene?! Avevo cose più importanti da fare che chiamare te che fai la rockstar!” sbotto alla fine.

 

Ecco, lo sapevo. Sapevo che avrei finito per rispondergli male. Lo faccio sempre quando mi faccio prendere dall'agitazione e mi sento messa con le spalle al muro. Uffa! E in più sapevo che lui mi avrebbe guardato con quei suoi occhi da cucciolo abbandonato. Lo faceva sempre, anche quando vivevamo insieme. Gli si può perdonare ogni cosa quando ha quell'espressione.

 

Abbasso gli occhi. “Scusami” mormoro. “Non dovevo risponderti a quel modo, io…”

 

Lui alza una mano per farmi cenno di tacere. “Non preoccuparti. Non dovevo essere così insistente. Avrai avuto i tuoi buoni motivi per non chiamarmi” Mi sorride. “Mi ero dimenticato della Buffy permalosa”

 

“Ehi, io non sono permalosa!” ribatto corrugando la fronte.

 

“Sì, già, come no” taglia corto lui.

 

“Ehi!” esclamo di nuovo.

 

“Scusate se interrompo, ma posso chiedere dove siamo diretti?”

 

La voce dell'autista ci fa sobbalzare entrambi. Non ci siamo neanche accorti di essere fermi. Io personalmente mi ero perfino dimenticata di essere su un taxi. Battibeccare con William mi ha riportato indietro negli anni. È una bella sensazione.

 

“Com'è che hai detto che si chiama il tuo albergo?” mi chiede lui.

 

“Lord Jim” ripeto.

 

William aggrotta la fronte per un attimo. “Dal nome non mi sembra un bel posto. Mi sa tanto di marinaio ubriacone…”

 

Scrollo le spalle. “A me non importa. Mi basta avere un letto e un tetto sopra la testa”

 

William allora fa un sorrisetto astuto. Un sorrisetto che non vedevo da tempo, ma che conosco bene.

 

“Oh, no. Cos'hai in mente?”

 

Lui mi porge entrambe le mani strette a pugno. “Scegli” dice.

 

Gli lancio un'occhiata perplessa. “Perché? Con quale delle due vendo la mia anima a Spike?”

 

“Spiritosa. Scegli”

 

Continuando a fissarlo negli occhi, allungo una mano e tocco la sua destra. William mi fa l'occhiolino. “Scelta squisita, Riccioli d'Oro”

 

“E cosa avrei scelto di così squisito?”

 

“Il Brown's Hotel”

 

“Alloggerai lì?”

 

“ Alloggeremo lì”

 

Mi allontano un poco, per quanto lo stretto ambiente del taxi mi permetta. “Alloggeremo lì?” ripeto con voce stridula.

 

William annuisce. “Offro io”

 

“Ah, sì?” Furiosa, scuoto la testa. L'autista ci sta guardando. Si è accorto che stiamo litigando. Non mi importa. Chi si crede di essere? Rockstar dei miei stivali! “Senti, non so cosa tu ti sia messo in testa, ma…”

 

“Ma dai” William si china verso di me. “Non mi sono messo in testa niente. Voglio solo fare qualcosa per te. È molto che non ci vediamo e mi sembrava carino. Tutto qui”

 

La sua espressione mi pare convincente. “E' solo che mi piace fare le cose come sono programmate, lo sai”

 

“Lo so” Lui annuisce. “Ma non vedo comunque niente di male nel fatto che un vecchio amico, che ha disponibilità finanziarie e non vuole niente in cambio, ti faccia un regalo”

 

Gli lancio un'altra occhiata. E' ancora convincente. “Beh, no” Finalmente smetto di tenere le braccia incrociate sul petto. “Non voglio sembrare ingrata, sul serio…non c'è problema. Capisco che stai solo cercando di essere gentile. Alloggeremo in quel Brown, o come si chiama”

 

William fa una smorfia disgustata. “Il Brown's Hotel è il più antico albergo a cinque stelle di Londra. Meriterebbe un po' più di rispetto”

 

Io gli punto contro un dito. “Rockstar?”

 

“Scusami” Mi sorride poi si china in avanti, verso l'autista, e gli comunica l'indirizzo della nostra destinazione.

 

Ci rimettiamo in marcia.

 

“Che cosa c'era nell'altra mano?” domando curiosa dopo un po'.

 

“L'estremo opposto. Il Sanderson. Molto moderno”

 

“E il Brown's non lo è?”

 

“No. È tutto parquet e focaccine imburrate per il the”

 

“Sembra niente male. Ma insisto per offrire la cena”

 

“Okay. Sono una rockstar, ricordi? Non posso pagarmi da solo la cena”

 

Sono così stanca che riesco solo a lanciargli un'occhiataccia.

 

 

 

Capitolo Otto

 

Arriviamo davanti al Brown's Hotel dopo neanche un viaggio di dieci minuti. Il tempo che il taxi si ferma e vedo che qualcuno sta già portando dentro i nostri bagagli.

 

“Hanno un servizio di prim'ordine” dice William, che è già sceso dal taxi e mi sta sorridendo. Raddrizzo la schiena e mi porto una mano alla faccia. Devo essere orribile. Un volo transoceanico non è uno scherzo, anche se lo fai in prima classe. “E' tutto a posto” aggiunge lui. “Sei sempre bellissima”

 

E mi lascia lì, bocca aperta e sguardo incredulo, mentre lui entra nell'albergo e si informa delle stanze disponibili.

 

Dopo qualche istante mi riprendo. Andiamo, mi ha solo fatto un complimento…non è mica la fine del mondo, giusto? Ringrazio l'autista del taxi e mi avventuro all'interno della hall.

 

Avvisto William davanti alla reception - potrà mai passare inosservato?, mi chiedo. Mi avvicino e lui si volta brevemente dalla mia parte, mi sorride poi torna a parlare con l'impiegato dell'albergo. Quando sento i prezzi delle stanze, mi viene un'accidenti. Lo prendo per un braccio e lo allontano velocemente dal bancone.

 

“Ma sei pazzo o cosa?!” gli chiedo con gli occhi sgranati.

 

Lui piega la testa da una parte e mi guarda perplesso. “Non ti capisco”

 

“Ovvio. Se mi capissi, capiresti anche che è da matti pagare una cifra del genere per una camera d'albergo!”

 

Mi sorride. “Non devi preoccuparti. È tutto a carico della mia casa discografica” mi spiega.

 

Come se questo risolvesse ogni problema! Alzo gli occhi al cielo e mi chiedo quanto il fatto di essere una rockstar abbia cambiato veramente William. “Non sono d'accordo. A questo punto preferisco tornare al Lord Jim” dichiaro incrociando le braccia.

 

“Questo è ridicolo!”

 

“No. È ridicolo che tu spenda 2500 sterline per una camera d'albergo. È un'esagerazione e le persone che lavorano qui si dovrebbero vergognare di…”

 

William mi prende per un braccio e mi trascina lontano da orecchie indiscrete. Effettivamente sto urlando un po' troppo, specie nell'ultima parte. Ma non ho nessuna intenzione di abbassare la voce. È roba da matti!

 

“Vuoi che ci caccino?” mi apostrofa subito dopo.

 

“No” Incrocio di nuovo le braccia. “Voglio che tu capisca l'assurdità di quello che stai facendo”

 

Lui alza gli occhi al cielo e sospira. Odio quando la gente fa così. “Ti ho già spiegato che paga tutto…”

 

“La casa discografica, lo so” finisco per lui. “Ho capito. Non sono sorda. Quello che non capisci tu, invece, è che…”

 

“Dividiamo la stanza, okay?”

 

Per un attimo, sbatto gli occhi e indietreggio. Devo aver capito male. “Scusa?”

 

“Ti lamenti talmente del prezzo di una camera che ti ho appena proposto di dividerne una con me. Così risparmiamo. Logico, non ti pare?”

 

Il suo ragionamento, effettivamente, non fa una piega. Quello che la fa, la piega voglio dire, è che improvvisamente dal non rivederlo da tre anni mi ritrovo a dormire nella sua stessa camera. Come è stato possibile?

 

“Allora siamo d'accordo?” mi chiede con un mezzo sorriso.

 

“No!” esclamo di scatto.

 

Lui corruga la fronte. “Perché no? Cosa c'è che non va nel dividere la camera con me?”

 

“Oh, niente. Assolutamente niente” rispondo ironica.

 

Evidentemente lui non coglie l'ironia.

 

“Perfetto” Accenna con la testa e si dirige verso la reception.

 

“Già. Perfetto” mormoro io ancora mezza intontita. Non so come, ma ho l'impressione che in qualche modo mi abbia imbrogliata.

 

Dopo qualche minuto, torna indietro, sorridente e con in mano la chiave di una stanza. La nostra stanza.

 

“Andiamo, non fare quella faccia” mi esorta. “In fondo non è che non abbiamo mai vissuto insieme…”

 

Chissà perché ma questo pensiero non mi conforta. Per niente.

 

 

 

Capitolo Nove

 

La stanza è bellissima. E dotata di due letti.

 

Dopo aver superato l'iniziale imbarazzo e con un moto di sollievo - chissà cosa mi ero aspettata - inizio a disfare i bagagli.

 

William mi guarda per alcuni minuti in silenzio poi, anche lui, sistema la sua roba. O meglio, si limita ad appoggiare la sua valigia sul tavolinetto ai piedi del letto. Poi torna a guardarmi.

 

Mi muovo silenziosamente sotto il suo sguardo per alcuni minuti, poi mi volto. “Perché mi fissi?”

 

Lui sembra riscuotersi e mi sorride. “Così” Si stringe nelle spalle. “Non ti ho visto da talmente tanto di quel tempo che sto cercando di recuperare”

 

“Scemo” Sorrido anche io e torno alla mia occupazione. Un tempo avrei lasciato tutto in valigia o sparso ogni cosa per la stanza ma adesso, dopo essere diventata il modello comportamentale di una teenager, ho imparato che certe cose vanno fatte con un preciso ordine.

 

A proposito di teenager.

 

Telefono a Dawn per avvertirla del cambio di albergo. Insiste per farsi passare William. È ancora nel ruolo di sorella ansiosa.

 

Alla fine, sbrigate tutte le formalità del caso, William mi propone di uscire. Accetto volentieri. In fondo, era nei miei programmi fare un giro per Londra ma mi chiedo se William non abbia niente di meglio da fare che seguire me nei miei giri da turista per caso. Non che mi lamenti della sua compagnia, ovvio, ma lui è una rockstar…non dovrebbe andarsene in giro in questo modo.

 

Attraversiamo Mayfair e Hyde Park.

 

A metà di Hyde Park, siamo già stravolti. Raggiungiamo Rotten Row e ci sediamo un attimo sul prato a guardare i cavalli.

 

William si appoggia sui gomiti e comincia a strappare fili d'erba. Osserviamo in silenzio una coppietta che passeggia a braccetto.

 

“Andiamo al sodo, Riccioli d'Oro. Dimmi tutto della tua vita amorosa” dice lui, quando i due non possono più sentirci.

 

“Ah! Quale vita amorosa?”

 

“Non stai con nessuno?” William si volta verso di me.

 

“No. Niente affatto” Sospiro. “Ho avuto una serie di primi appuntamenti. Prima a Sunnydale e poi a Los Angeles, perfino Dawn si è messa in mezzo per cercarmi un fidanzato”

 

“Niente?”

 

Mi sdraio sullo stomaco. “Non permettermi di addormentarmi, okay?”

 

William annuisce. “Dovessi russare…”

 

Lo ignoro. “Stavo dicendo, non erano un gran che. Ed era così faticoso…”

 

“Cosa? Faticoso?”

 

“Non in senso fisico. Intendo dire mentalmente. Bisogna fare un sacco di sforzi. Prima bisogna scoprire più cose possibili sulla persona con la quale si uscirà, poi prepararsi per l'appuntamento, pensare a cosa dire in modo che la conversazione non langua e infine c'è la questione del bacio al termine della serata…”

 

“La parte migliore se non ricordo male…” commenta con un sorrisetto.

 

“Se non ricordi male?” Alzo un sopracciglio. “Vuoi darmi ad intendere che…”

 

Sospira. “I primi appuntamenti sono stressanti. Anche per me”

 

Sbuffo. “Sì, certo. Sono sicura che uscire con qualcuno è un vero problema quando si è famosi in tutto il mondo. Nessuno che sia interessato a te. E poi bisogna andare in posti così noiosi ed economici. Per esempio, a pranzo sulla Torre Eiffel ”

 

William sbuffa a sua volta. “Credevo che avessimo già parlato, che avessi capito che forse tutte le cose che hai sentito su di me non sono vere. Che la mia vita non è brillante come…”

 

“Così per te è più difficile, eh? Più difficile che per chiunque altro?”

 

William strappa altri fili d'erba e se li avvicina alla faccia per esaminarli meglio. “In un certo senso, sì” Poi mi lancia una rapida occhiata.

 

“Ah!”

 

“No. Non scherzo. Ti assicuro che è più difficile adesso di prima. Fai così fatica a crederci?”

 

“Che ti posso dire? Forse dovrebbero fare un nuovo show in Tv. Anche le star piangono ”

 

“Okay, okay. Ho capito. Non intendo esattamente più difficile. Solo diverso. Ci sono dei problemi in più”

 

“Per esempio?”

 

Prima di rispondere, William ci pensa su. “La colpa è soprattutto dei media. La gente si fa delle idee su di te. Pensa di conoscerti già da quello che ha letto, e in realtà non sa assolutamente nulla”

 

“Mmh?”

 

Lui mi guarda. “Hai creduto a tutto, vero? Hai vissuto con me per quasi un anno e ci hai creduto lo stesso”

 

“A cosa, per esempio?”

 

Ci pensa un po' su. “La faccenda dei maiali” dice poi.

 

Corrugo la fronte.

 

“Ma sì, la faccenda dei maiali” continua. “I maiali veri. È un buon esempio. La mia supposta zoofilia. Bello, eh? A quanto pare, ho una propensione per i maiali. Bell'argomento da affrontare la prima volta che si esce con qualcuno”

 

Sono sorpresa. “A dire la verità, questa non l'avevo sentita. Forse dovresti controllare quello che sa la gente prima di parlare. Mi immagino il tuo profilo all'agenzia per cuori solitari. William, ventinove anni, alto un metro e ottanta, ama le passeggiate romantiche sulla spiaggia e trascorrere le domeniche a letto. E i maiali. Più sono grossi e rosa, meglio è. Dai, Will. Devi lasciare un po' di mistero per il secondo appuntamento”

 

“Già”

 

“Almeno non è tutta colpa tua. È Spike il responsabile delle tue difficoltà” Mi metto a ridere. “Forse dovresti consolarti con il fatto che almeno lui scopa. Anche se con i maiali”

 

“Sarebbe divertente se non fosse quasi vero” William si azzittisce per un attimo.

 

“Quindi, mi vuoi dire che non c'è stato nessuno?”

 

Gli ci vuole un attimo per rendersi conto che sto parlando di nuovo di questioni sentimentali.

 

“Maiali a parte? No, sul serio, anche se il primo appuntamento va bene, non ce n'è mai un secondo. Magari è la persona giusta ma è sempre nello stato sbagliato, nel paese sbagliato o non ho tempo per frequentarla. Dovrei trovare il modo di portarla sempre con me”

 

Rido, un po' a disagio. Poi mi guardo intorno. È arrivato il momento di cambiare argomento. “Ehi, non ci sono negozi qui attorno?” dico. “Harvey Nichols? Harrods?”

 

“Non credo che ci siano negozi qui attorno…” risponde William. Poi comincia a fischiettare.

 

“Chi credi di prendere in giro?” Mi tiro su e poi gli tendo una mano.

 

“Ci ho provato” Mi sorride.

 

Per le due ore successive trascino William per Knightsbridge a fare shopping.

 

***

 

Quando torniamo in albergo, sono talmente priva di energia che l'unica cosa che mi riesce di fare è buttarmi di peso sul mio letto. Sono troppo stanca anche solo per sistemarmi meglio, così le mie gambe rimangono penzoloni dal bordo del letto.

 

“Hai fame? È quasi ora di cena” mi chiede William dopo aver sistemato le borse con i miei acquisti.

 

Non ne ho fatti molti, solo qualche regalino per Dawn da darle al mio ritorno.

 

Sollevo appena la testa dal letto. “Da morire. Ma sono troppo stanca. Ho i piedi in fiamme” mi lamento. “So che avevo promesso di offrirti la cena ma…”

 

“Non preoccuparti. Chiamo il servizio in camera”

 

Mezz'ora dopo banchettiamo allegramente con il cibo del servizio in camera. Prometto a William che domani sera lo inviterò al ristorante per una cena con i fiocchi ma lui storce per un attimo la bocca.

 

“Domani arriverà il resto del mio gruppo” spiega. “Non so se sarò libero per cena”

 

Mi stringo nelle spalle, fingendo noncuranza. “Non preoccuparti. Non è un problema”

 

“Oh, ma li devi conoscere!” esclama. “Tutti quanti. Sono ragazzi simpatici, vedrai, ti piaceranno. E credo che qualcuno verrà anche con la sua ragazza, così non ti sentirai in minoranza”

 

Annuisco e acconsento ad incontrare i membri del suo gruppo a cena. In questo modo staremo comunque insieme, nonostante tutto.

 

Alle undici riesco a malapena a tenere gli occhi aperti. Il viaggio e il giro per Londra mi hanno veramente distrutto.

 

Ci infiliamo nei nostri letti.

 

Io spengo la mia lampada per prima, mentre William sta ancora guardando la televisione. Mi sto addormentando, quando lui spegne la Tv e la sua lampada. Emergo un poco dal mio torpore e, mentre fisso il muro, lo sento respirare. Ora sono del tutto sveglia.

 

È davvero strano essersi incontrati di nuovo così. E tutto a causa di una videocassetta che mi è caduta sulla testa.

 

Pensavo che non avrei mai più rivisto William e ora è qui che respira accanto a me. Ed è lo stesso. Beh, quasi esattamente lo stesso. Voglio dire, ha più soldi e sembra un po' più sicuro di sé - lo si vede da come cammina e da come parla con la gente - ma, a parte questo, è lo stesso vecchio William. Il ragazzo con il quale dividevo l'appartamento. Mi sembra passato un secolo.

 

Continuando a fissare il muro, sospiro.

 

Fra di noi le cose sono diverse, questo è certo. Vorrei tanto sentirmi come una volta. Poter dire a William qualsiasi cosa. Oggi l'ho sorpreso un paio di volte a guardarmi con aria interrogativa e dover essere reticente mi ha fatto sentire malissimo. Come quando mi ha chiesto dell'università. Devo essergli sembrata davvero svogliata. Mi rendo conto di aver detto a William pochissimo di quello che ho fatto dall'ultima volta che l'ho visto, e lui deve essersene accorto. Ma è difficile. Complicato. Che senso ha raccontargli tutto quello che è successo in questi ultimi due anni? Non voglio affrontare l'argomento. Mia madre. Me. Dawn. È più facile per entrambi divertirsi e basta. Non preoccuparsi del passato. Ricominciare da capo e godersi semplicemente il breve periodo che abbiamo da trascorrere insieme prima che lui torni al suo lavoro e alla sua nuova vita.

 

Sento William voltarsi verso di me e, involontariamente, mi irrigidisco. Sento il suo sguardo sulla mia nuca e so cosa sta per dire.

 

“Buffy, dobbiamo parlare”

 

Vorrei fingere di dormire, invece parlo. “No” rispondo, scuotendo un poco la testa. “Davvero. È tutto a posto. Ho… ho superato la cosa. Non provo più quei sentimenti. Nei tuoi confronti, voglio dire. È tutto passato”

 

 

 

Capitolo Dieci

 

Mi sveglio alle otto e mezzo. - Cavolo, perché mi sveglio presto anche quando non devo andare a lavoro?! - Tento di riaddormentarmi.

 

Alle nove meno un quarto non riesco più a stare ferma. Mi siedo e mi guardo intorno.

 

“Sei sveglia?” mormora William nella semioscurità.

 

La sua voce mi fa sobbalzare. “Ti ho svegliato? Scusami”

 

“No. È un'ora che guardo il soffitto. Chiaramente sono andato a dormire troppo presto”

 

“Si vede che sei abituato a fare le ore piccole” commento con leggerezza. “Ti sembrerà di essere andato a letto con le galline”

 

“Ci risiamo” Accende la luce e me lo ritrovo davanti con i capelli scompigliati e gli occhi ancora un po' impastati di sonno. Mhmm, un look davvero niente male… , mi ritrovo a pensare, poi torno a concentrarmi su quello che mi sta dicendo. Sembra infastidito. “Cosa ti fa credere che faccia le ore piccole tutte le notti? Okay, a volte vado a delle feste, ma il più delle volte rimango a casa e…”

 

“Ohi, calmati” Poso i piedi a terra. Ora sono contenta di essermi comprata un pigiama nuovo per questo viaggio. “Non era mia intenzione farti innervosire. Stavo solo facendo una battuta” aggiungo alzandomi. Mi ero dimenticata che appena sveglio William è piuttosto suscettibile.

 

“Beh, non era divertente” Avevo ragione: è infastidito.

 

“Vuoi fare colazione? Una tazza di the, magari?” gli chiedo per cambiare argomento.

 

“Sì, grazie”

 

Sorrido. Sapevo che non avrebbe mai detto di no ad una tazza di the. Lo conosco troppo bene. Mi dirigo verso il telefono e chiamo il servizio in camera. Dopo aver ordinato ritorno a letto, sistemandomi di nuovo sotto le coperte.

 

William nel frattempo ha acceso la Tv e sta guardando il telegiornale. Sembra talmente assorto che evito di parlare.

 

Dopo una decina di minuti bussano alla porta. È la colazione. Ritiro il vassoio, stracolmo di prelibatezze, e lo appoggio sul tavolino. Poi gli preparo una tazza con un piattino e gliela porto.

 

“Accidenti che impegno! Non solo il servizio in camera, anche la colazione a letto” commenta William prendendo la tazza dalle mie mani. “Allora sono davvero una rockstar!”

 

“Non ti ci abituare” mormoro mentre torno al vassoio. “Non sono la tua assistente personale”

 

“Potresti sempre diventarlo” bofonchia lui, mentre sorseggia il the. “Ehi, te ne sei ricordata!” esclama dopo. “Nero con tre quarti di cucchiaino di zucchero”

 

Mi volto e sollevo un sopracciglio. “Certo che me ne sono ricordata. Ero sempre costretta a prepararti il the”

 

“Anche se a te non piace” mi ricorda lui con un sorriso.

 

“Appunto. Ti ricordi quando tentavi di farmi apprezzare le meraviglie del the?” Trattengo una risatina. “Non mi sei mai sembrato più inglese che in quei momenti!”

 

Lui mette il broncio, ma è tutta una finzione perché nei suoi occhi c'è uno scintillio divertito.

 

“Avanti, è vero!” Mi lascio cadere di peso sul mio letto con una tazza di caffé in mano. “Stavi lì, seduto al tavolino della cucina e borbottavi contro gli americani che bevono solo brodaglia e non sanno apprezzare i veri piaceri della vita come una buona tazza di the… Inglese fino al midollo!”

 

La mia – pessima - interpretazione del suo accento ci fa scoppiare entrambi a ridere. Lo squillo del telefono però ci interrompe.

 

Borbottando William si alza dal letto e per un attimo rimango a bocca aperta. Ieri sera quando mi ero messa a letto non ci avevo fatto caso ma oggi, alla dura luce del giorno, mi accorgo del fatto che ha dormito nudo. Completamente nudo. La fugace apparizione di un fondoschiena bianco come il latte, prima di venir coperto da un paio di jeans, me lo conferma.

 

Improvvisamente mi si azzera la salivazione.

 

“La doccia” Mi alzo di scatto dal letto. “Devo fare la doccia. Ti spiace se vado per prima?”

 

Lui distoglie a malapena l'attenzione dalla conversazione che sta avendo al telefono. Deve essere il suo agente, credo. “Vai pure” sillaba senza emettere suono.

 

Afferro al volo dei vestiti senza interessarmi di quali siano. I miei occhi continuano ad essere attratti dal suo torace scoperto come le api col miele. Smetti di fissarlo! , mi ordino. Smettila, smettila, smettila!

 

Mi rifugio in bagno. Mi metto sotto la doccia e mi cospargo di bagnoschiuma agli agrumi nella speranza che mi aiuti a distogliere l'attenzione dallo spettacolo che ho appena visto e che continua a passarmi davanti agli occhi senza interruzione. Quando esco dal bagno, vestita e con i capelli quasi asciutti, William sta rimettendo a posto il telefono.

 

“Ehi” Gli passo accanto evitando in tutti i modi di guardarlo. “Tutto a posto?”

 

“Sì, era il mio agente. Ha chiamato per ricordarmi che i ragazzi arriveranno in tarda mattinata e che subito dopo abbiamo una conferenza stampa e un servizio fotografico” mi spiega passandosi una mano fra i capelli con un sospiro.

 

“Wow, giornata impegnativa” commento, evitando ancora di guardarlo. Ma perché diavolo non si è ancora infilato una maglietta?!

 

“Non più di tante altre” dice con noncuranza. “Tu piuttosto che programmi hai per la giornata?”

 

Mi stringo nelle spalle. “Credo che visiterò qualche monumento. Ieri ci siamo concentrati solamente sullo shopping e non voglio tornare a casa senza aver visto Buckingham Palace. Dawn me lo rinfaccerebbe per tutta la vita…” concludo con un sorriso.

 

Anche lui sorride, poi si acciglia. “Vorrei tanto accompagnarti ma purtroppo ho queste maledette cose da fare e non posso….”

 

“Non preoccuparti” lo interrompo. “Non ho mai preteso che mi facessi da guida turistica”

 

“Lo so, ma…”

 

“Niente ma. Fai quello che devi fare. Credo di riuscire a sopravvivere un'intera giornata da sola a Londra” dichiaro decisa mentre afferro la mia borsa e mi dirigo verso la porta.

 

“Sei ancora dei nostri stasera a cena?” mi chiede quando sono già con la mano sulla maniglia.

 

“Sì, certo”

 

“Perfetto” Sorride, poi si dirige verso il bagno, chiudendosi la porta alle spalle. “Ehi? Per caso qui dentro è esplosa un'arancia?”

 

“Ci vediamo stasera”

 

 

 

Capitolo Undici

 

Londra è una città splendida, piena di gente, di allegria, di vita . Mi piace visitarla, gustarmi ogni particolare, ogni odore. È un'esperienza veramente entusiasmante, anche se farlo da sola toglie un po' del divertimento. D'altronde, non è che potevo obbligare William a venire con me. Ha di certo cose più importanti da fare che farmi da guida, per quanto io lo desideri.

 

Com'è che ha detto stamattina? Una conferenza stampa? O un servizio fotografico? O entrambi?

 

Boh. Non saprei davvero dirlo. Il fatto è che, devo dire la verità, non ho prestato molta attenzione a quello che stava dicendo e, naturalmente, è tutta colpa sua. Cavolo!, gli sarebbe costato poi così tanto mettersi addosso una maglietta?! Se non se ne fosse stato lì, i capelli scompigliati e gli occhi annebbiati dal sonno, a petto nudo e ancora più bello di quanto me lo ricordassi, io non mi sarei distratta e ora saprei cosa sta facendo in questo momento. Invece tutto quello a cui riuscivo a pensare era alla vista del suo torace nudo, bianco e liscio. Per non parlare della vista del suo…

 

‘Oh, basta!' Sono esasperata con me stessa. È tutta la mattina che continuo a pensare a lui e a quello che ho visto. ‘Che cosa sarà mai?! È solo un uomo mezzo nudo, ne hai già visti prima quindi non fare tante storie'

 

Parla bene la vocina, non ricorda forse che l' uomo mezzo nudo in questione è quello di cui sono stata pazzamente e segretamente innamorata per quasi un anno? O forse che quello è l'uomo che mi ha rifiutato la Fatidica Sera ?

 

E ci risiamo. È più forte di me. Non posso fare a meno di pensarci. Per quanto mi sia sforzata, non ne posso fare a meno. Credevo di essere andata oltre quella faccenda, di essere cresciuta, maturata e invece no. Un mondo di no. E rivedere William ha riportato tutto alla luce. E sono di nuovo in crisi.

 

Mio Dio, sono proprio una stupida.

 

Tutto questo dovrebbe già essere abbastanza. Dovrei essere felice di averlo rincontrato. Felice che io e William siamo di nuovo amici.

 

Ho rischiato di perdere la migliore amicizia che abbia mai avuto. E tutto a causa mia. Perché sono stata stupida a non richiamarlo. Non volevo affrontare l'imbarazzo di Quella Sera. E non voglio neanche ora.

 

William invece sembra non avere problemi al riguardo.

 

Santo cielo, che coraggio a tirare fuori quella faccenda ieri sera! Per poco non mi prendeva un colpo. Ma come gli sarà venuto in mente? Oppure sapeva che ci stavo pensando? In ogni caso mi ha colto completamente alla sprovvista e, naturalmente, ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente. La meno imbarazzante. Quella che avrebbe risolto la situazione più in fretta possibile. È per questo che gli ho detto che non provo più gli stessi sentimenti nei suoi confronti. Ma non è che ne sono poi così tanto certa…

 

Che stupida!

 

Sicuro che ne sono certa. Io so, con assoluta certezza, che non provo più per William quello che provavo un tempo. Voglio solo che torniamo ad essere amici. Voglio che i nostri rapporti tornino ad essere com'erano prima che io rovinassi tutto. Insieme stavamo benissimo. Non voglio rovinare tutto un'altra volta. L'unica cosa importante ora è la nostra amicizia. Tutto il resto non conta.

 

Ma allora perché non riesco a smettere di pensare a lui?

 

 

 

Capitolo Dodici

 

Torno in albergo verso le sei del pomeriggio stracarica di borse e pacchetti.

 

Credo di essermi lasciata trascinare un po' troppo dal mio ruolo di turista. Ho comprato ogni tipo di souvenir possibile e immaginabile: cartoline, magliette, cappelli, cucchiaini con lo stemma della regina. Quando si dice sindrome ossessiva da shopping…

 

Mentre scarico tutto a terra noto che sul mio letto c'è un biglietto.

 

‘Ciao Riccioli d'Oro, come è andata la visita della città? Spero bene anche se avrei voluto essere lì con te. In ogni caso volevo ricordarti che stasera sei a cena con me e la band. Purtroppo la conferenza stampa è durata più del previsto e ha sballato completamente la nostra tabella di marcia, quindi ci vedremo direttamente giù nella sala ristorante. Alle otto, mi raccomando. Ti aspettiamo. W'

 

‘Ti aspettiamo'

 

William e la band.

 

Stringo le labbra. Okay, devo ammetterlo: non sono entusiasta all'idea di incontrare gli amici di William. E non solo perché questo ci priverà di un bel po' di tempo che potevamo trascorrere noi due da soli, ma perché sono preoccupata. Mi chiedo: come mi accoglieranno? Gli starò simpatica o mi crederanno una di quelle che approfittano di una vecchia amicizia per conoscere persone famose e farsi strada nello show business?

 

Non so perché ho così paura del loro giudizio. O forse no, lo so. William. È tutto da collegare a lui. La band, quelle persone sono la sua vita, una parte della sua vita di cui io sono totalmente all'oscuro, di cui non faccio parte. Il loro giudizio sarà di sicuro importante per lui. E poi non so com'è William con loro, non so niente di lui come personaggio pubblico, come rock star . Ma, soprattutto, quello che non so è se c'è posto per me nella sua nuova vita…

 

Scuoto la testa. È un ragionamento troppo serio e complicato e io sono troppo stanca. Mi ingarbuglierei il cervello inutilmente. Meglio mettere a tacere tutto e farmi un bel bagno. Di sicuro dopo vedrò tutto in una prospettiva migliore.

 

***

 

Ho appena finito di asciugarmi i capelli e la mia prospettiva non è affatto migliorata. Il mio nervosismo è alle stelle. La tensione mi chiude lo stomaco. Non credo che mangerò molto stasera.

 

Scendo nella hall e mi dirigo verso la sala ristorante. Arrivo e mi fermo un attimo quando scorgo il tavolo.

 

William è seduto a capotavola, appoggiato allo schienale della sedia e sorride, rilassato, per qualcosa che gli sta dicendo la donna seduta al suo fianco. Ho come l'impressione di averla già vista. Forse… ecco, ho capito! L'ho vista sulla copertina di qualche rivista di moda. Beh, forse, ora che ci penso, sarà più di una… Ho capito chi è, è la top model Cordelia Chase: alta, elegante, sofisticata, bella. E William sta sorridendo proprio a lei…

 

Esattamente quello che ci voleva per il mio nervosismo: William con una bella donna. Mi sento profondamente inadeguata nel mio semplicissimo vestitino nero che mi arriva poco sopra le ginocchia. Non è un capo di alta sartoria, come invece è di sicuro il magnifico completo color rosso fuoco che indossa Cordelia. È semplicemente bellissima. Mi chiedo perché William mi guardi ancora visto che nella sua vita c'è una donna come lei, ma poi, in fondo, William non mi guarda in quel modo.

 

In ogni caso non sono soli, ci sono altre cinque persone sedute a tavola con loro: tre sono i membri del gruppo di William, mentre le altre sono due giovani donne.

 

La lunga tavola è coperta da una decorazione di fiori e da candele che risplendono vicino a vassoi colmi di frutta. Si sente il tintinnio del cristallo dei calici e le risate sommesse delle persone. L'atmosfera è serena, come se si trattasse di una riunione di famiglia.

 

Sempre peggio. Ora mi sento anche un'intrusa.

 

Poi lo sguardo di William si posa su di me. Mi sorride e mi fa cenno di avvicinarmi.

 

Solitamente non sono un tipo timido ma, quando tutti smettono di parlare e girano gli occhi verso di me, mi sento un po' a disagio. Cavolo, queste sono star! Che diavolo ci sto a fare io qui in mezzo?

 

William si alza in piedi e mi indica la sedia vuota accanto a lui. “Vi presento Buffy Summers. Buffy è una mia cara amica. Ci siamo incontrati sull'aereo mentre venivamo qui e le ho chiesto di unirsi a noi per la durata della sua vacanza”

 

“Salve” mormoro io.

 

Nessuno risponde al saluto. Mi guardano tutti con aria dubbiosa. In un secondo tutte le mie paure sul loro giudizio vengono confermate. Non gli piaccio. Sono un'estranea e non mi vogliono fra loro. Sento l'improvviso ed impellente desiderio di scappare via.

 

Lancio un'occhiata verso l'estremità della tavola e scopro che William mi sta fissando. Sento un brivido corrermi lungo la schiena. Poi mi sorride. “Che scemo! Mi sono dimenticato di fare le presentazioni. Buffy, alla tua destra c'è Liam O'Neill, ma puoi chiamarlo Angel…lo fanno tutti”

 

Angel suona la chitarra nel gruppo, se non ricordo male. Faccio un cenno di saluto all'uomo dagli occhi color cioccolato e dai capelli castano scuro. Lui risponde con un cenno della testa.

 

“Vicino ad Angel c'è Cordelia Chase”

 

Cordelia piega lievemente la testa e mi sembra di vedere un lampo di curiosità nei suoi occhi.

 

William, intanto, continua il giro delle presentazioni. “Dalla parte opposta c'è Xander Harris”

 

Suona la batteria, mi appunto mentalmente.

 

“Vicino a Xander c'è Willow Rosemberg”

 

Willow mi sorride e io, vista la freddezza con cui sono stata accolta dagli altri, per poco non cado dalla sedia per la sorpresa. Willow ha un viso etereo, con lunghi capelli rossi e occhi verdi intenso. Indossa un abito di stoffa leggera che non nasconde il fatto che sia incinta.

 

“E accanto a Willow c'è suo marito Oz, al secolo Daniel Osbourne, il nostro bassista” William indica il ragazzo dai capelli rossicci seduto accanto a Willow.

 

“Per finire il giro, Anya Emerson” William indica l'ultima ragazza rimasta. È seduta a capo tavola, direttamente di fronte a lui. “Anya è la fidanzata di Xander. Si sposeranno fra un paio di mesi”

 

“Congratulazioni” dico sorridendo alla ragazza. “E' un piacere conoscervi tutti quanti” aggiungo rivolta al resto del tavolo.

 

“E' un piacere anche per noi” mi risponde Willow con un sorriso. Non sono tanto sicura che la sua frase rispecchi anche il pensiero degli altri. Lei però mi sta simpatica, forse potremmo addirittura diventare amiche.

 

“Quando nascerà il tuo bambino?” le chiedo. Spero non mi consideri troppo curiosa.

 

Willow posa una mano sul suo ventre arrotondato. Un'espressione serena le distende i lineamenti. “Fra tre mesi e non vediamo l'ora che passino”

 

“E' il tuo primo bambino?” Per quello che ne so io, lei e Oz potrebbero avere un'intera squadra di calcio. Non sapevo neanche che fosse sposato. I Dingoes non hanno esattamente la fama di tipi tutta casa e famiglia, anzi, sui giornali appaiono spesso descritti come impenitenti dongiovanni. Ma, forse, questa descrizione riguarda solo William…

 

“Sì, è il primo” risponde Willow. “Ma speriamo che dopo ne vengano tanti altri. Sappiamo già che è una bambina. La chiameremo Julie”

 

“Che bel nome!”

 

“Grazie. Anche a noi piace molto”

 

Willow si volta verso il marito e lo guarda con aria adorante. Lui ricambia. Sono così sereni, felici. Mi fa strano pensare che facciano parte del pazzo mondo dello spettacolo. È come se fossero riusciti a ritagliarsi un angolo di paradiso tutto per loro. Sono quasi invidiosa dell'amore che la coppia condivide in maniera così evidente.

 

Mi sento particolarmente sola in questo momento.

 

Dal lato opposto della tavola, Xander si muove con impazienza sulla sua sedia. “Allora, da quanto tempo vi conoscete tu e Spike?”

 

La domanda mi coglie alla sprovvista. Mi volto verso di lui e per un momento faccio fatica a collegare che Spike e William sono la stessa persona, poi mi riprendo. Avrei dovuto immaginare che sarebbe cominciato un interrogatorio e che mi avrebbero chiesto qualcosa del genere.

 

Fisso Xander con calma. “Ci siamo conosciuti ai tempi del college. Abbiamo abitato insieme per quasi un anno quando io ero una matricola e lui stava per laurearsi poi ci siamo persi di vista” spiego anche se, mentre lo faccio, mi sembra quasi di non riuscire a rendere giustizia al rapporto che c'era tra me e William.

 

Angel si lascia sfuggire una risatina. “Che pacchia! Dividere l'appartamento con una bella ragazza come te. Magari fosse capitato a me quando andavo al college” mi dice poi.

 

Vedo Cordelia al suo fianco irrigidirsi. Una luce mi si accende nella mente. Doveva essere stata tutta la tensione accumulata a farmelo dimenticare. La cronaca mondana ha parlato della nuova coppia, Angel e Cordelia. I giornali scandalistici pagherebbero milioni per l'esclusiva di una foto di loro due insieme. Mentalmente faccio i miei complimenti alla modella. Cordelia deve essere una donna molto coraggiosa per aver accettato la sfida di conquistare il musicista freddo e riservato.

 

“Beh, io non direi che sia stata proprio una pacchia” borbotta William.

 

Mi volto verso di lui con un sopracciglio inarcato e l'espressione sorpresa. “Scusa?” Che vorrebbe dire con quella frase?

 

“Avete idea di quanto sia pesante dover convivere con una che se ne va in giro con un'orribile poltiglia verde sulla faccia tutte le sere?”

 

Era la mia maschera rigenerante alle alghe marine, non ‘poltiglia verde'! E non la facevo tutte le sere. Spalanco la bocca, incredula.

 

“Per non parlare di quando si tingeva i capelli!” continua lui imperterrito. “Quando poi le cose erano combinate mi sembrava di vivere con la figlia del mostro della palude” Si rivolge ad Angel. “Davvero una pacchia, amico”

 

Io intanto continuo nella mia imitazione del pesce rosso. Non posso credere che abbia raccontato a dei perfetti sconosciuti - almeno per me - particolari così intimi della nostra convivenza. Sono senza parole. Anzi no, qualcosa da dirgli ce l'ho.

 

“Senti, ossigenato ” calco con intenzione su quella parola. “Non mi sembra di essermi mai lamentata quando trovavo le tue mutande sparse per tutto l'appartamento o quando dovevo ripulire tutto il casino che combinavi quando eri in preda ad una tua fase creativa !” lo apostrofo incrociando le braccia e guardandolo torva.

 

Sono mortalmente offesa.

 

All'improvviso tutta la tavolata scoppia a ridere. Ridono tutti, nessuno escluso e ridono pure di gusto.

 

Okay, ora mi sento un po' idiota a starmene seduta qui col muso lungo e l'aria imbronciata. Lentamente un sorriso mi si allarga sul viso fino al punto che mi unisco anche io alla risata generale.

 

“Oddio, voi ragazzi siete davvero uno spasso!” commenta Cordelia dopo un po' appoggiando entrambe le mani sulle guance accaldate.

 

“Già, nemmeno Xander e Anya nei loro momenti migliori ci hanno fatto ridere come voi due” aggiunge Angel sogghignando.

 

“Ehi!” esclama Xander sentendosi tirato in ballo. “Non è vero che facciamo ridere” mormora imbronciandosi.

 

“Non preoccuparti, amore” Anya si china verso di lui. Con una mano gli accarezza i capelli con dolcezza. “Sono tutti invidiosi dei nostri orgasmi”

 

Altro scoppio di risa e io di nuovo imito il pesce rosso. Fra un po' dovrò pagargli i diritti d'autore…

 

“Lo vedi? Sei entrata a far parte del gruppo. Già ti adorano.” mi mormora William in un orecchio mentre il resto del tavolo si concentra su Xander e Anya. La sensazione del suo alito caldo mi provoca un brivido lungo la schiena.

 

“Ma è sempre così?” chiedo riferendomi ad Anya.

 

“Sempre” conferma lui con un mezzo sorriso. “Qui siamo tutti un po' matti”

 

Sorrido anche io. Forse, in fin dei conti, questi ragazzi non sono poi così terribili…

 

 

 

Capitolo Tredici

 

Si è fatto tardi, quando ormai decidiamo di salutare la band, o quello che n'è rimasto, e salire in camera.

 

Willow e Oz se ne sono andati molto presto. E non gli do torto, nelle sue condizioni, Willow ha bisogno di molto riposo. Xander e Anya sono stati i successivi ad andarsene. Anya ha blaterato qualcosa sul fatto che Xander le deve molti orgasmi per averle fatto fare un volo transoceanico pur di accompagnarlo.

 

Insomma, alla fine, siamo rimasti solo io, William, Angel e Cordelia. Abbiamo parlato per un po' e, con mia enorme sorpresa, ho scoperto che Cordelia è molto simpatica. Okay, forse è un po' snob, ma lo sarei anche io se fossi una super top model bellissima che guadagna un mucchio di soldi.

 

Tutto sommato è stata una serata piacevole. Mai avrei creduto che mi sarei divertita, talmente ero tesa prima di scendere per la cena. In ogni caso, non posso fare a meno di tirare un sospiro di sollievo mentre l'ascensore si ferma al nostro piano e con William ci dirigiamo verso la nostra stanza.

 

Camminiamo in silenzio lungo il corridoio. Siamo quasi arrivati alla nostra porta, quando incrociamo un'altra coppia che arriva dalla direzione opposta. William accenna con la testa un saluto, mentre io mi limito ad un sorriso di circostanza che poi si trasforma in una risatina, quando mi accorgo di una cosa.

 

“Che hai da ridere?” mi chiede William, mentre raggiungiamo la porta.

 

“Hai un'ammiratrice” gli comunico, e con questo mi riferisco alla donna che abbiamo appena incontrato e che l'ha seguito con uno sguardo lascivo fino a quando le è stato possibile.

 

Lui si volta a malapena verso di me. Sta cercando nei pantaloni la chiave della stanza. “Fantastico” borbotta. “Proprio quello che mi ci voleva. Un'altra fanatica che mi seguirà ovunque” aggiunge, mentre apre la porta e si fa da parte per farmi entrare.

 

Lo guardo sorpresa. “Sul serio hai ammiratrici fanatiche? Sono molte?”

 

“Sì, ne ho un sacco” Si chiude la porta alle spalle. “Ce ne sono alcune quasi normali, che semplicemente apprezzano la musica. Devono essere sorde” scherza facendo un sorrisetto.

 

Lo guardo inclinando la testa di lato. “Sul serio, ti aspettano fuori della tua stanza d'albergo e cose del genere?”

 

William annuisce.

 

Sono stupita. “Accidenti. E cosa vogliono?”

 

“Non ne ho idea” Si lascia cadere di peso sul suo letto poi si tira su appoggiandosi sui gomiti e mi sorride. Ed è uno di quei suoi sorrisi che mi fanno sciogliere. “Il mio corpo?” mi propone. “Chi non lo vorrebbe?”

 

Gli lancio contro il mio cuscino. “Che idiota! Mi fa piacere vedere che sei ancora così modesto”

 

Lui ride evitando il mio lancio. “Eccome”

 

“Sul serio, cosa vogliono?” Sono curiosa. Non capita tutti i giorni di poter interrogare una rockstar, no? Mi siedo accanto sul letto a lui.

 

William scrolla le spalle. “In genere vogliono farsela con Spike. Quanto a me, cerco di non pensarci”

 

Mi mordicchio un labbro nervosamente. “Sei mai stato a letto con una di loro?”

 

Lui mi guarda come se fossi un imbecille. “Perché mi domandi una cosa del genere? Sono davvero così diverso?”

 

Sollevo un sopracciglio. “Rispondi alla domanda”

 

“Santo cielo” sbuffa. “No. Naturalmente no. Dovresti vederle. Si vestono come lui. Spike, intendo. No, non fanno per me”

 

Dio, sono una persona così terribile se questa notizia mi fa quasi fare i salti di gioia?

 

 

 

Capitolo Quattordici

 

La mattina dopo mi sveglio come al solito troppo presto. William, invece, se la dorme della grossa. Beato lui.

 

Muovendomi in punta di piedi, tiro fuori i vestiti che mi servono per la giornata, faccio la doccia il più silenziosamente possibile per non svegliare il bell'addormentato, e poi scendo nell'hall per telefonare a Dawn e raccontarle come vanno le cose. Quando torno su, William sta ancora dormendo.

 

Accidenti a lui.

 

Scosto una sedia dal tavolino accanto alla tv e mi siedo per leggere una delle riviste che ho comprato l'altro giorno. Non è molto interessante. Di tanto in tanto lancio un'occhiata a William che continua a dormire. Alla fine poso la rivista e mi limito a guardare lui.

 

Ha il viso schiacciato contro il cuscino. Sento una stretta allo stomaco. Mi volto dall'altra parte e tento di impegnarmi nella lettura. Ci riesco per circa dieci minuti buoni, poi lancio la rivista da una parte, mi alzo e decido che è arrivato il momento di fare qualcosa, magari colazione. Tutto, pur di non rimanere in camera a fissare un uomo addormentato. I miei pensieri potrebbero prendere una piega strana e io non voglio.

 

Assolutamente no.

 

Scendo nella sala ristorante e, con mia enorme sorpresa, data soprattutto l'ora, trovo tutte e tre le ragazze sedute attorno ad un tavolo che conversano amabilmente.

 

Willow sorseggia una tazza di the, Anya sembra indecisa su quale brioche mangiare, mentre Cordelia è impegnata a cospargere di marmellata una fetta di pane tostato già imburrata. Mi chiedo: le modelle non devono stare attente alle calorie? Io per mangiare una cosa del genere, come minimo dovrei rinunciare al pranzo!

 

“Buongiorno, Buffy”

 

Willow si è accorta della mia presenza e mi sorride.

 

“Buongiorno a tutte” rispondo io, avvicinandomi al loro tavolo. E per un momento esito prima di sedermi con loro perché una cosa è essere gentili con me in presenza di William, un'altra è esserlo anche quando lui non c'è.

 

“Avanti, che aspetti?” mi incita Anya indicando la sedia accanto a lei. “Non hai fame? Ci sono una marea di cose deliziose a questo tavolo”

 

“Certo” Sorrido e mi siedo.

 

“Come mai in piedi così presto? Credevo fossi in vacanza” mi domanda Cordelia prima di addentare con grazia la sua fetta di pane, burro e marmellata.

 

“In realtà lo sono. Il fatto è che già non sono abituata a dormire molto di mio, poi con il fuso orario…è ancora peggio” concludo con una smorfia.

 

“Come ti capisco! Anch'io non riesco a dormire per colpa del fuso orario” dice Anya. “Fortuna che ho Xander. L'unica cosa che riesce a farmi prendere sonno in queste situazioni è un buon orgasmo” aggiunge con un sorriso.

 

“Anya!” la richiama Cordelia. “E' prima mattina. Possiamo rimandare le conversazioni sul sesso al dopo pranzo?”

 

Anya mette un leggero broncio che dura a malapena un paio di secondi, poi torna a guardarmi.

 

“Dovresti provare. Sul serio” mi incita. “Quando hai un orgasmo il corpo secerne…”

 

“Anya!” Cordelia la richiama di nuovo.

 

“Stavo spiegando a Buffy…”

 

“Credo che Buffy non abbia bisogno di spiegazioni al riguardo” la mette di nuovo a tacere Cordelia. “E se dovesse avere ancora problemi di insonnia, basta che prenda un leggero sonnifero come faccio io e dormirà come un bambino” conclude in tono soddisfatto.

 

Anya la guarda per un momento, in silenzio, poi scoppia a ridere.

 

Noi altre sedute al tavolo la guardiamo perplesse. Che le prende?

 

“Oh, andiamo!” esclama dopo un po', sempre rivolta a Cordelia. “Vuoi farci credere che con un fusto come Angel a letto con te, non trovi niente di meglio da fare per addormentarti che prendere un sonnifero?” Ridacchia di nuovo scuotendo la testa. “Non ci credo”

 

Cordelia sembra imbarazzata e senza parole. Ma dura pochissimo: un secondo dopo si è già ricomposta.

 

“Quello che faccio o non faccio nella mia camera da letto non è affar tuo, Anya” la rimbrotta in tono altezzoso.

 

Ma, da quello che ho capito di lei, Anya non è una che si lascia smontare facilmente. Infatti…

 

“Dai, Cordelia! Non essere antipatica. Bisogna saper parlare del sesso. In fondo, lo facciamo tutti, non è vero, Buffy?”

 

“Oh, beh…ecco, io…” Sesso? Ma se neanche mi ricordo come si fa?! “A dire la verità è un po' che…”

 

Anya mi guarda più incredula che mai. “Andiamo, anche tu! Non vorrai dirmi che dividi la camera con quel gran pezzo di ragazzo che è Spike senza…”

 

“No!” esclamo raddrizzandomi di scatto sulla sedia. “No, no, no”

 

Okay, credo di aver messo un po' troppa enfasi in questa negazione. Ora mi guardano come se fossi pazza…

 

“Cioè, io e Spike non siamo…voglio dire, noi due non…” balbetto imbarazzata. “Io e Spike siamo amici” riesco a mettere insieme dopo un po'.

 

“Amici?” ripete Cordelia inarcando un sopracciglio.

 

“Certo” affermo categorica. “Tra noi non c'è niente, a parte una bella amicizia” aggiungo. “Siamo solo amici”

 

“Non agitarti, Buffy. Nessuno qui ti sta accusando di niente” mi dice Willow, allungandosi, per quanto le è possibile, verso di me, e dandomi un buffetto sulla mano.

 

“Lo so, è solo che…”

 

“Che da lui vorresti di più?”

 

Mi volto ad occhi sgranati verso Cordelia. “ No! ”

 

“Okay” dice lei tornando a dedicarsi alla sua colazione.

 

Cala il silenzio.

 

Mi agito sulla mia sedia.

 

“Io e William…non stiamo insieme”

 

“Ti credo” ripete Cordelia in tono indifferente. Anche le altre ragazze si limitano ad annuire.

 

“Abbiamo vissuto insieme per circa un anno. Tutto qui” continuo. “Poi non ci siamo visti per un po'. Siamo solo amici. Sul serio” Oddio, ma perché sento il bisogno di giustificarmi?

 

“Ah” fa Willow. “E non avete mai…?” Poi lascia la frase in sospeso, imbarazzata.

 

Io esito un secondo di troppo.

 

“Aha!” Anya mi punta un dito contro, sorridendo vittoriosa. “Sapevo che c'era qualcosa, che vi avevo detto?” dice poi rivolgendosi alle altre.

 

“Ma è finita?” mi chiede Willow, ignorando l'uscita di Anya.

 

Sbuffo. “Oh sì. È decisamente finita” Bevo un sorso del mio caffé. “Una faccenda chiusa”

 

“Bene…” Cordelia mi lancia una strana occhiata.

 

“Ci siamo incontrati di nuovo per caso. Fino a due giorni fa non avrei neanche saputo come rintracciarlo”

 

“Capito”

 

L'atteggiamento di Cordelia mi sta dando sui nervi. Se ne sta lì, con quel mezzo sorriso sulle labbra e continua ad annuire convinta di saperne più degli altri. È una cosa che non sopporto.

 

“Non c'è nessun motivo per essere così accondiscendente, Cordelia” le dico seccata.

 

Lei non si scompone. Appoggia la sua tazza di the sul tavolo poi mi dice: “Scusami, ma a me sembra ovvio che tu provi ancora qualcosa per lui”

 

“Non è vero!” la blocco immediatamente.

 

“Davvero?”

 

Grrr! Ancora quel maledetto sopracciglio! “Davvero. Io e William siamo amici. Solo amici. A-mi-ci, punto e basta” affermo sull'orlo di una crisi di nervi.

 

“Se lo dici tu”

 

“Sì, lo dico io” E con questo dichiaro conclusa quest'assurda conversazione. Per calmarmi bevo un altro sorso di caffé.

 

“Buongiorno a tutte!”

 

La voce di William mi fa sussultare come pure il tocco della sua mano sulla mia spalla.

 

Si leva un piccolo coro di buongiorno, poi William si siede sulla sedia vuota accanto alla mia.

 

“Tutto bene?” chiede voltandosi verso di me.

 

“Bene” mi affretto a rassicurarlo. “Perché?”

 

“Così” Si stringe nelle spalle. “Credevo che avremmo fatto colazione in camera, noi due da soli, come ieri, ma quando mi sono svegliato tu non c'eri” dice, mentre si allunga per prendere una brioche.

 

Ignorando lo scambio di sguardi tra le ragazze al menzionare di William della nostra colazione solitaria – e del tutto platonica – di ieri, mi volto verso di lui con un mezzo sorriso. “Scusami. È solo che mi sono svegliata molto presto e non ho voluto disturbarti”

 

“Gentile da parte tua. Comunque, la prossima volta…svegliami”

 

E, mentre lui addenta la sua brioche, io incontro lo sguardo di Cordelia. Lei sillaba la parola ‘ svegliami' , poi inarca un sopracciglio. Io mi volto dall'altra parte e chiedo ad Anya di passarmi la marmellata.

 

Al diavolo le calorie! In questo momento ho bisogno di sostegno.

 

***

 

Xander è il primo che ci raggiunge. Si avvicina sorridente al nostro tavolo, bacia Anya su una guancia e, dopo aver dato il buongiorno a noi altri, si avventa come un disperato sulle brioche.

 

Dieci minuti dopo arriva Oz. Fa un cenno con la testa a mo' di saluto e si siede accanto a sua moglie. Sorridendo lo guardo, mentre le accarezza il pancione prima di depositarle un bacio sulle labbra.

 

Alla fine, più di un'ora dopo, fa la sua comparsa anche Angel. Ha uno sguardo scuro e l'aria imbronciata. Si siede a tavola senza una parola e poi borbotta un “'Giorno” a mezza bocca.

 

“Buongiorno anche a te, raggio di sole” lo saluta William.

 

Angel risponde con una specie di ringhio prima di lanciarsi verso il caffé.

 

William si china verso di me. “Angel non è per niente un tipo mattiniero” mi spiega con un sorriso.

 

“Guarda che ti ho sentito” lo avverte Angel.

 

“Quindi è sempre di pessimo umore” continua William in tono divertito.

 

Angel gli lancia un'occhiata torva.

 

“Ci credo! Se Cordelia a letto preferisce un sonnifero…” commenta Anya con noncuranza.

 

“Eh?!”

 

La parte maschile del tavolo la guarda perplesso, non capendo. Io mi limito a scambiare un sorriso con Willow, mentre Cordelia alza gli occhi al cielo.

 

“Lasciamo stare” dice poi, intimando con lo sguardo ad Anya di cambiare argomento. “Programmi per la giornata?”

 

“Non so tu, ma noi dobbiamo incontrare i tecnici del suono per il concerto di venerdì sera” le dice Angel sorseggiando il suo caffé.

 

Mentre Cordelia, supportata da Anya, inizia a lamentarsi perché preferisce fare shopping o tutt'al più visitare Londra, io mi volto verso William.

 

“Fate un concerto venerdì sera?”

 

“Già. Credevo di avertelo detto” dice corrugando la fronte. Io faccio cenno di no con la testa. “Beh, mi sarà passato di mente” commenta poi. “Comunque devi esserci. Ti farò avere un posto in prima fila, vicino alle ragazze. Vedrai, ti piacerà” conclude con un sorriso entusiasta. “E poi c'è il dopo concerto”

 

“Il dopo-concerto?” ripeto perplessa.

 

Lui annuisce. “Vedrai, ti piacerà anche quello”

 

Improvvisamente ho una gran voglia che arrivi venerdì sera.

 

Non ho mai visto William in azione. Non l'ho mai sentito cantare dal vivo, cioè. I biglietti per i suoi concerti costano un'enormità, quindi mi sono sempre limitata ad ascoltare qualche singolo alla radio, niente di più. E adesso ho addirittura un posto in prima fila. Quando lo saprà Dawn…

 

Sorrido da sola, come una scema. Non vedo l'ora.

 

“Io propongo di dividerci”

 

La voce decisa di Cordelia mi trascina giù di peso dalla mia nuvoletta felice.

 

“Dividerci? Perché?” chiedo confusa.

 

“Non ho nessun'intenzione di passare una splendida giornata come questa chiusa ad ammuffire in qualche oscuro teatro mentre le rockstar qui fanno le loro stupide prove” sentenzia Cordelia incrociando le braccia.

 

Evidentemente mentre io ero persa nei miei pensieri, la conversazione si è alzata di livello.

 

“Preferisco piuttosto andare a fare spese da Harrod's” continua Cordelia.

 

Anya, dal canto suo, le da man forte annuendo con la testa.

 

“E spendere i soldi che questa rockstar guadagna con le sue stupide prove” le fa notare Angel insolentemente.

 

Cordelia lo fulmina con lo sguardo. “Posso benissimo pagarli da sola i miei conti, amico” ribatte in tono stizzito. “Non ho bisogno di te. Guadagno più che bene, grazie” E con questo, spinge rumorosamente la sedia all'indietro e si alza. “Ci si vede” dice prima di alzarsi ed andarsene.

 

Sul tavolo cala un silenzio imbarazzato.

 

Lancio un'occhiata di sfuggita a William, indecisa su come comportarmi, ma lui non mi sembra per niente turbato. Che le liti tra quei due siano all'ordine del giorno?

 

“Beh, credo che andrò a fare shopping con Cordelia” dichiara dopo un po' Anya. “Ma io non ho alcun problema ad usare i tuoi soldi, amore” aggiunge rivolta a Xander. Gli sorride e poi allunga una mano.

 

Mentre tutti tratteniamo un sorriso, Xander prende il portafogli

Tbc…