<< Previous Topic | Next Topic >>         Torna alla lista delle fanfiction 

Scelta d'amore - AU (Fanfic Immortal Lovers)

July 15 2009 at 12:50 AM

No score for this post         oOKrysalia88OooOKrysalia88Oo   (Login oOKrysalia88Oo)

 

 

SCELTA D'AMORE

AUTRICE:KRYSALIA88

 

 

CAPITOLO 1.

 

Buffy strizzò più volte i begli occhi color verde smeraldo, lisciando col palmo il giornale spiegazzato, prima di rileggerlo nuovamente. E il piccolo annunciò era ancora là!

Un delizioso, promettente annunciò che, fresco di stampa, dichiarava: < Connor, 5 anni, cerca giovane “tata”, seria e referenziata, che lo aiuti a divertirsi durante i due mesi di vacanza che trascorrerà in Corsica. Competenza, moralità, ecc… >.

La Corsica! Di quest’isola, lei conosceva solo i luoghi comuni, quelli che si ricavano dai depliants delle agenzie: sole, mare, sabbia finissima e ozio totale. Ma questi stereotipi erano proprio quelli che facevano al caso suo.

Era specificato solo il numero a cui telefonare e Buffy lo fissò ipnotizzata, quasi cercando di trarne qualche informazione in più: chi era questo Connor, chi erano i genitori? Avrebbero considerato il suo diploma in psicologia come sinonimo di “competenza, moralità, ecc…”, all’altezza insomma delle loro esigenze oppure no?

Un raggio di sole penetrò attraverso la finestra, colpendo con la sua luce la pagina, quasi come una freccia d’arco che colpisce il bersaglio prescelto. Buffy lo interpretò come un segnale magico, pieno di promesse: il cielo stesso sosteneva così la sua battaglia!

La radio-sveglia segnava solamente le otto e venticinque.

Era ragionevole svegliare così presto i suoi futuri datori di lavoro?, rifletté Buffy.

“Meglio non urtarli, proprio prima di iniziare”, decise infine.

Riprese la tazza col rimasuglio del caffè ormai freddo, raccattando golosamente le briciole del suo croissant. E dire che per tutto l’anno accademico il suo sogno era di dormire fino a mezzogiorno!

Sì, dopo aver ottenuto il diploma avrebbe solo dormito, dormito e ancora dormito!

Sfortunatamente, le cattive abitudini si imparano presto: alle sei e venticinque in punto le sue palpebre si aprivano automaticamente, qualsiasi cosa fosse successa.

Buffy fece quindi buon viso a cattiva sorte.

Per godersi la sua libertà, usciva comunque ad acquistare il giornale del mattino ed un croissant caldo di forno, poi si fermava vicino ad una stazione della metropolitana. Qui, con maliziosa soddisfazione, osservava la gente infilarsi nel tunnel sovraffollato, affrontando l’atmosfera asfissiante nella calura californiana di fine giugno. Poi rientrava a casa sgranocchiando i suoi dolci mentre sfogliava il quotidiano.

Era alla ricerca, senza troppa convinzione, di un lavoro facile, piacevole e ben pagato, per il periodo estivo. Ormai, col suo bel diploma in tasca, doveva solo affrontare il concorso pubblico per ottenere un posto d’insegnante. Oppure la borsa di studio, che lo Stato le garantiva, sarebbe servita solo per vestire di brandelli e per mangiare un giorno su tre, e già c’era di che accontentarsi. Di conseguenza Buffy, che era un po’ vanitosa ed una raffinata buongustaia, si doveva trovare un impiego.

“Studio Malahide & Whindam - Pryce!”, annunciò una voce femminile.

Studio? Un medico, un avvocato o che altro?

“La chiamo per l’annuncio sul giornale”.

Le potenti note della musica di Wagner riempirono l’apparecchio per qualche minuto. Poi una nuova voce le fissò professionalmente un appuntamento per la tarda mattinata.

Buffy riagganciò, soddisfatta di questo primo successo. E senza tardare si preparò ad affrontare il problema successivo: scegliere l’abbigliamento ideale per recitare la parte di giovane fanciulla perfetta e affidabile, che ama tanto il divertimento quanto i bambini.

 

 

CAPITOLO 2.

 

Buffy barcollò un poco, sbalordita.

La facciata dell’immobile, quasi ammuffita, dissimulava abilmente la visione da capogiro che l’attendeva.

Nel vastissimo salone d’ingresso, tre balconate erano state abbattute, per costruire uno spazio immenso, interrotto qua e là solo da mezzanini in legno. Costruiti verticalmente, comunicavano tra loro con gracili ed eleganti passerelle che colmavano il vuoto. Al centro, un albero gigantesco, attorno al quale una scala monumentale sembrava avvinghiarsi. La luce veniva generosamente distribuita attraverso un’immensa vetrata. L’effetto era davvero strepitoso, emozionante.

“Questo colpisce sempre!”, confidò una ragazza alle spalle di Buffy, che sussultò.

La segretaria la condusse ad una graziosa scrivania, adornata di fiori, dove venne accolta da una donna che sorridendo disse: “Cordelia Chase, l’assistente di Liam Malahide, molto lieta di conoscerla”.

“Il piacere è mio! Mi chiamo Buffy Summers e sono venuta per l’annuncio”, balbettò nervosamente la ragazza.

Liam Malahide…ma certo, l’architetto!

Buffy ricordò di botto gli innumerevoli articoli che decantavano, qualche anno prima, le rivoluzionarie prospettive dell’architettura moderna. Liam Malahide era l’ultima scoperta losangelina.

Mentre Buffy rispondeva alle domande che Cordelia le poneva, gli scatti di una voce piena di collera giungevano da una porta vicina. Cordelia si morse le labbra, irritata, ma continuò: “Lei mi ha parlato di un diploma in psicologia, non è vero?”.

“Esatto. E penso di affrontare il concorso alla prima occasione”.

Improvvisamente, del vetro si fracassò contro la parete, accompagnato da una specie di ruggito.

Cordelia, aggrottando la fronte, si scusò: “Io so che Liam desiderava vederla personalmente. Ma…”.

Il tempo minaccia tempesta!, completò mentalmente Buffy.

“Non si preoccupi, capisco”, disse gentilmente. “Se desidera, posso ripassare…”.

“Nessuna discussione!”, la interruppe Cordelia. “Lei è assunta”.

Lanciò uno sguardo mortificato nella direzione da cui provenivano ancora due voci rabbiose che battibeccavano.

A disagio, riprese: “Non pensi che…insomma, non giudichi affrettatamente Liam. Ha molti problemi”.

“Sono decisamente più interessata a Connor”, la rassicurò Buffy.

“Lei ha ragione! È un curioso piccolo gentiluomo, davvero adorabile. Che tragedia!”. Cordelia lanciò uno sguardo bruciante a Buffy, ma non si espresse oltre. Si alzò bruscamente: “Le ho preparato uno specchietto. Troverà tutti i dettagli della partenza per la Corsica”.

Buffy prese i fogli, tese la mano. Cordelia gliela strinse per qualche secondo, dicendo a voce bassa: “Sono sollevata, sa. Temevo di trovare solo ragazzine inesperte alla ricerca di facili vacanze e qualche soldo”.

“Ma cosa c’è che non va?”, azzardò timidamente Buffy.

Cordelia tacque, poiché la porta si aprì fragorosamente e comparve un uomo visibilmente fuori di sé. Attraversò il locale senza nemmeno vederle e scomparve.

“Eccolo!”, disse Cordelia sospirando.

“Era Liam Malahide?”.

Cordelia assentì e riprese, ansiosa: “Ricordi che in caso di difficoltà, mi può chiamare a qualsiasi ora. La prego, me lo deve promettere”.

E così fece Buffy.

Con l’animo in subbuglio, percorse le passerelle, notando meccanicamente che lo studio professionale sembrava prosperare: una ventina di impiegate, segretarie o disegnatori, lavorava alacremente nella luce dorata della parete a vetri.

Si infilò nel primo caffè che incontrò: l’ansia la attanagliava. Ma i pochi fogli che lesse d’un fiato furono deludenti: l’indirizzo di Liam Malahide, qualche nota sulle abitudini del piccolo, il suo biglietto per la Corsica…ecco tutto.

Buffy bevve un succo di frutta d’un fiato, pensierosa.

Non c’era alcuna spiegazione del dramma che aleggiava su quella strana famiglia.

 

 

CAPITOLO 3.

 

“Perché diavolo la porta d’imbarco 10 non si trovava tra la numero 9 e la 11?” si chiedeva Buffy furente, mentre spettinata e rossa in viso raggiungeva il terminal dell’aeroporto.

In piedi con le pesanti borse da viaggio in mezzo alla vasta hall, era sul punto di rinunciare.

Al suo risveglio, la mattina si era rivelata solo un interminabile calvario, colmo di imprevisti. La caffettiera aveva eruttato un geyser d’acqua nera sul pavimento; le chiavi sembravano scomparse; il tassista, saputa la destinazione, si era messo a urlare: il Los Angeles Airport? Alle dieci del mattino? Era pazza?

La sua previsione con l’aiuto di Dio, era di raggiungere l’aerostazione in due ore buone.

Mancavano due minuti alle dodici e ancor si trovava lì.

Buffy assalì uno steward, che divertito disse: “La porta 10?”, indicando il soffitto.

Buffy arrossì violentemente: proprio sopra la sua testa, era appeso un immenso cartello che le indicava la direzione. Lo ringraziò, brontolando fra sé e sé: ma che idea di affiggerlo così in alto.

Improvvisamente, le si avvicinò un uomo, a grandi passi: “Lei è Buffy non - so - cosa?”.

Prima che potesse rispondergli, voltandole le spalle aggiunse: “Alla buon’ora! Si occupi lei del piccolo, torno subito”.

Il piccolo, arrampicato sul carrello portabagagli, era poco lontano.

Con un’aria fragile ma decisa, due occhi ansiosi che gli riempivano il viso, guardava suo padre allontanarsi. Non osando disturbarlo, Buffy guardò insieme a lui Malahide che si dirigeva verso il bar. Con un latrato roco, chiese un doppio whisky, che vuotò in due sorsate avide.

Il bimbo prese la mano di Buffy e fece voltare la ragazza come se volesse distoglierla da quello spettacolo: “Buongiorno, io mi chiamo Connor Malahide”.

Buffy gli sorrise.

“Ed io sono Buffy Summers. So che passeremo due mesi di vacanza insieme”.

Il ragazzino annuì serio, squadrandola con i suoi occhi vivaci.

“Non sapevo che tuo padre ci avrebbe accompagnato! Sei contento?”.

Connor rispose con un sorriso entusiasta: “Oh sì!”.

Il calore di questa risposta toccò Buffy, che si chinò per abbracciarlo. Di buon grado il bambino la lasciò fare.

“Vedo che avete già fatto conoscenza!”.

Era Liam Malahide ritto dietro di loro. L’architetto non aveva un buon aspetto. Il suo abito, firmato, era tutto stropicciato; occhiaie profonde circondavano lo sguardo; i capelli, troppo lunghi, sembravano non conoscere il pettine.

Lui la stava guardando con lo sguardo annebbiato dall’alcool.

“Desidera bere qualcosa prima della partenza?”, disse egli in tono forzatamente gentile. Accanto a loro, Connor sussultò.

“Non pensò ci rimanga il tempo!”, rispose lei freddamente.

A questo punto la voce professionale di un’hostess annunciò: “I passeggeri del volo 869 in partenza per Ajaccio sono attesi alla porta 10 per l’imbarco immediato…”.

Buffy si diresse verso l’uscita, stringendo la manina di Connor. Liam, imbronciato, recuperò il carrello e si rassegnò a seguirli.

Fortunatamente, pensò Buffy raggiungendo i posti loro assegnati dalla hostess, le compagnie aeree sono troppo taccagne per offrire dello champagne sui voli charter!

Raggomitolato sull’ampio sedile, Connor appariva teso. La cintura di sicurezza che si era allacciato da solo oscillava sulle cinghie troppo lente per il suo corpicino magro. Lo sguardo che lanciava a suo padre era allo stesso tempo accusatore ed affettuoso.

Qualche minuto dopo il decollo, Liam Malahide piombò in uno strano sonno. La respirazione era pesante, le labbra erano strettamente chiuse da un ghigno amareggiato.

Quali preoccupazioni pesavano su quest’uomo?

Impietosita Buffy notava i particolari di questo viso torturato.

La fronte alta, le sopracciglia dritte e curate, gli occhi chiusi sottolineati da ciglia immense, un piccolo neo appena sotto l’occhio destro, le guance scavate e una bocca amara…una maschera tragica. E che tuttavia conservava una bellezza severa, nel suo disfacimento. I tratti di un uomo onesto e sincero, degno di fiducia. Degno, anche, d’amore.

Allora perché?

Liam Malahide si svegliò di colpo, con un’occhiata dura fissa sulla giovane donna troppo curiosa. Lei accolse questo sguardo come uno schiaffo e, arrossendo, si voltò verso l’oblò.

“Non mi piacciono i suoi occhi”, disse lui. “Mi stanno giudicando e io non glielo permetterò”.

Ferita nel profondo, Buffy si alzò di scatto, raggiunse il corridoio e fuggì in fondo all’aereo. Lacrime d’umiliazione e rabbia la accecavano. Lacrime che non le risparmiarono la vista di Liam Malahide che, come per vendetta, vuotava a sorsate una fiaschetta di whisky.

 

 

CAPITOLO 4

 

Ad Ajaccio erano attesi.

Una grande Land Rover con telone da safari stazionava davanti al piccolo aeroporto. Ne discese un uomo che li raggiunse con rapide ed atletiche falcate. Liam Malahide lo salutò con fare imbronciato, senza presentare Buffy, dopo di che si accomodò sul sedile anteriore lasciando ai suoi compagni il compito di caricare i bagagli.

Buffy notò le occhiate guardinghe dell’autista: senza dubbio conosceva bene questo tipo d’umore.

Il primo regalo che la Corsica fece a Buffy fu il profumo della terra arsa dal sole, della vegetazione bruciata e dello iodio, odori acri ma inebrianti. La strada serpeggiava, ai bordi paurose scarpate. Dai magri boschetti, affiorava la roccia cruda.

Intorpiditi dalla calura terribile del mezzogiorno isolano, i passeggeri sonnecchiavano quando apparve la villa.

Buffy la riconobbe al primo colpo d’occhio: le sue foto erano apparse su tutte le riviste di architettura e arredamento. Con un fatato equilibrio di acciaio, cristallo e legno, rifuggiva le mode, con la sua bellezza grave e senza tempo. Dietro, i suoi pannelli solari scintillavano come un mare di mercurio. Liam Malahide l’aveva concepita alcuni anni prima: a quell’epoca era all’apice della sua creatività, rifiutava le interviste, riceveva i più prestigiosi appalti.

Buffy lanciò uno sguardo all’uomo devastato ch’egli era diventato.

L’uomo devastato si infilò in casa quasi correndo, senza guardare indietro. Buffy sentì tintinnare il vetro di una bottiglia e si voltò verso Connor. Il viso sembrava pietrificato e, a sua volta, fuggì verso la villa.

La porta si apriva direttamente su un immenso salone sobriamente illuminato. L’arredamento giocava sui contrasti: il calore del legno contrapposto alla freschezza del chintz. In fondo, una lunga vetrata offriva la splendida vista panoramica del massiccio della Bavella.

A bocca aperta, Buffy guardava le mille guglie di roccia che toccavano il cielo blu. Il porfido rosa brillava sotto i raggi del sole.

“Allora, che ne dice?”, Buffy sussultò.

Liam Malahide, sdraiato su un enorme divano che dominava la sala, la osservava maliziosamente col bicchiere in mano.

“Cosa dovrei dire?”

“Dio mio, che meraviglia!”

“Ma è una meraviglia!”, disse lei di rimando, sentendosi punzecchiata.

“Lo so”, disse lui lentamente, sorridendole.

Un sorriso! Era la prima volta.

Buffy decise di accoglierlo come un gesto sincero e riprese, entusiasta: “È molto più che meraviglioso, ma non trovo le parole per esprimermi”.

Appena l’autista a suo turno entrò carico di bagagli, Liam esclamò: “Non vi ho presentato Francis Allen Doyle, il nostro maggiordomo?”

“Non ancora, signore!”, rimarcò l’uomo. Rivolse un caloroso sorriso a Buffy e uno strano sguardo al suo padrone.

Buffy, che aveva sempre creduto che i maggiordomi fossero esclusivo appannaggio dell’aristocrazia inglese, lo squadrò con sorpresa. In verità se lo sarebbe meglio figurato come un artista.

Lei gli rese il sorriso, e si presentò con la mano tesa: “Buffy Summers, sono qui per occuparmi di Connor”.

Lo sguardo di Doyle mutò istantaneamente, udendo questo nome. Di nuovo, Buffy provò una strana inquietudine: perché tutti si adombravano quando menzionava il bimbo?

“Infatti”, sviò lei, “è tempo che lo raggiunga!”

Liam Malahide si intromise: “Lasciatelo pure! Si è già nascosto nel suo antro. Ha bisogno di solitudine per poi riallacciare i contatti col mondo!”

La ragazza fu sorpresa: i bambini di cinque anni non amano affatto la solitudine, le sembrava; perciò, quel poco che conosceva di Connor la portava a pensare che fosse un bimbo fuori dal comune. Ed era con un po’ di trepidazione che aspettava di conoscerne le cause.

Ella non ebbe il tempo di replicare.

“Si accomodi, dunque!”, disse Liam con un sorriso accattivante. “Dobbiamo festeggiare il suo arrivo! Non dobbiamo passare due mesi insieme?”. L’ultima frase aveva fatto brillare nei suoi occhi una luce selvaggia: Buffy si sentì come Cappuccetto Rosso davanti al lupo.

Decisa a rilassarsi un po’, accettò una bibita alla menta; il bar del salone era un mobile formidabile, ricolmo di bottiglie d’ogni foggia e qualità.

“Lascia quelle valigie, Doyle, e vieni a trincare qualcosa con noi!”. Era un ordine e Doyle non esitò un secondo.

“Signore, lei è troppo gentile! Prenderò un gin-tonic”.

Ma guarda come se la intendono, i due!, notò Buffy, sorpresa.

Doyle si sedette e bevve una sorsata avida.

Inaspettatamente, passarono invece un’ora deliziosa.

Liam sapeva essere un ospite attento e caloroso, se appena poteva. Concentrò tutte le sue forze per cancellare l’impressione disastrosa che sapeva di aver lasciato alla ragazza. Poi, improvvisamente come era venuto, il sorriso scomparve dal suo volto. La conversazione languiva: compiuto lo sforzo di mostrarsi una persona civile, Liam Malahide ritornava al suo umore tetro.

Il silenzio si faceva pesante, così Buffy azzardò: “Questa casa è davvero stupenda”.

“E non avete ancora visto nulla!”, la appoggiò Francis Allen Doyle.

Liam Malahide fece un’espressione amara. Disse, ironico: “Sì, l’ho concepita quando ero un architetto”. Scoppiò in una risata sinistra e continuò: “Ed ero il migliore! Il solo capace di scuotere questo secolo da modelli deformi! Di far resuscitare l’architettura mondiale dal suo sonno mortale!”

Buffy lo fissava sbalordita da questa reazione inattesa. Doyle la rassicurò con un’occhiata d’intesa.

Liam si alzò e andò a riempirsi di nuovo il bicchiere. Poi, avvicinandosi a Buffy con il suo whisky, quasi sfidandola, disse: “È che la mia mente era lucida e le mie mani non tremavano, a quei tempi”, rincarando la dose.

Buffy annui meccanicamente, facendosi piccina nella sua poltrona.

“Ognuno dei miei schizzi valeva oro! Avrei potuto progettare le case con il tetto in giù e mi avrebbero definito un genio!”

“Lascia perdere!”, Doyle cercò di calmarlo.

In modo teatrale, posò il bicchiere sul bar e attraverso la stanza.

Malahide gridò: “Perché faccio paura alla signorina? È così?”

“Paura non so. Io al tuo posto mi vergognerei”.

Ferito, Malahide abbaiò: “Sono circondato da gente che mi fa la morale, e ne ho piene le tasche!”

Doyle fremette. Sollevò le tre valigie con un gesto possente e, confortando Buffy con un mezzo sorriso, scomparve su per le scale.

Buffy restò sola con l’Orco.

“Spero che non ci si metta anche lei, ora!”, grugnì l’orco, un po’ più calmo.

“Io sono qui solo per Connor!”, rispose la donna. Il suo tono era altezzoso, ma ormai era fatta. Tentò di rimediare: “Lei mi accusa di averla giudicata e si sbaglia. Lei soffre di crisi di paranoia”.

Gli occhi di Liam fiammeggiarono di rabbia: “Ah, ecco, avevo dimenticato: la psicologa è al lavoro! Bene, si tenga le sue diagnosi per sé”.

“Lo farò di certo!”, ribatté Buffy, galvanizzata dal dolore che lo affliggeva. “Avrò già abbastanza da fare per ridare un po’ di equilibrio allo sfortunato figlio di un tale padre!”

“Detesto l’arroganza!”, tuonò l’architetto.

“Ed io non ho il mio contratto fra le mani: gliel’avrei fatto a pezzi all’istante!”

“Magari! Ma sappia che nessun psicologo si sarebbe lasciato sfuggire un simile oggetto di studio: l’angelo caduto, alcolizzato e…”

Un singhiozzo disperato risuonò dal gradino più alto della scala: Connor si sfregava le gote rigate di lacrime. Buffy si alzò di scatto e il suo bicchiere si rovesciò sul tavolino.

“Connor!”, gridò lei.

“Va tutto bene, piccolo, scusami”, cercò di dire Malahide, mortificato. Ma il bimbo fuggì.

“Aspettami!”, lo supplicò Buffy correndo per la rampa. Prima di arrivare in cima, udì una porta chiudersi a chiave. Si ritrovò in un corridoio dove si aprivano sei porte. Quale di queste il piccolo aveva sbattuto in faccia al mondo degli adulti, così crudele e insensibile? La quarta lasciava filtrare un lieve singulto.

Buffy busso e con tono dolcissimo chiese: “Connor? Posso entrare?”. La porta si aprì e il bambino corse a gettarsi sul letto, nascondendole il viso. Indecisa Buffy pensò fosse meglio non parlare dell’accaduto.

“Ci scommetto che tu sai quale camera mi è stata assegnata!”.

“Sicuro!”, disse Connor, tirando su col naso. “Tutte le mie governanti dormono sempre nella stanza verde, che comunica con la mia”, e subito le mostrò una porta che si apriva su un vano ampio, tappezzato di damasco verde scuro, che il sole inondava di luce. Ai piedi del letto giacevano le sue due valigie. “E così, se di notte hai paura, non devi fare altro che chiamarmi!”, riprese Connor.

“Oh grazie! Cercherò di non abusare della tua cortesia. E tu, hai paura di notte?”, il bimbo si irrigidì, e Buffy si morse la lingua. A poco a poco, le confessò, a malincuore: “È papà. Spesso fa baccano. Si rigira nel letto e piange”.

“Vuoi dire che ha degli incubi?”

“Sì. E poi grida. Sai, è così triste”.

Buffy ebbe un moto di collera verso quella specie di bufalo inferocito che stava di sotto col suo whisky tra le mani. Che si ubriachi, faccia pure. Ma che distrugga il proprio figlio, ah, questo no! Non posso permetterglielo!

Cambiò argomento: “Mi mostreresti la casa?”.

Raggiante, Connor saltò giù dal letto e la prese per mano.

“Vieni a vedere il bagno. C’è una vasca rotonda, come una piscina!”. Era vero. Ma c’era anche qualcosa di più inquietante: Connor aprì un armadio metallico a due ante, a disse: “Vedi! È tutta roba mia!”. Là dentro c’era la più formidabile collezione di medicinali che Buffy aveva mai visto. Un vero ospedale: apparecchi per misurare la pressione, siringhe, guanti monouso e una quantità di strumenti di tortura di cui lei ignorava l’uso. Oh signore! cosa era questa infermeria? Da parte sua, Buffy maneggiava il disinfettante e dispensava aspirine con brio.

Ma lì si fermava tutto il suo sapere. Vedendola turbata, il ragazzino infilò una mano in tasca e ne estrasse una grande busta.

“È tutto scritto qua dentro!”, le disse.

Fece scivolare il contenuto sulle ginocchia di Buffy. Ricette, radiografie, analisi si sparpagliarono al suolo.

“Bene!”, disse lei in un soffio, scioccata.

Doveva assolutamente chiedere spiegazioni a Malahide-padre e questa non era certo una prospettiva allettante. La cosa più difficoltosa era trovarlo in un momento di lucidità, certo!

“Per caso, hai fame?”

“Io non ho mai fame”, constatò Connor. “Ma capisco che vuoi dire”.

“Ah sì?”

“Tutti i grandi dicono: devi mangiare per farmi un favore”.

Buffy scoppiò a ridere: “Esatto”, disse. “Allora andiamo in cucina”.

Il bimbo afferrò un sacchetto di tela dal baule. C’era disegnato sopra il sole che tramontava.

“Vedi?”, le spiegò. “Qui ci sono le medicine da prendere a cena. Qui c’è disegnato un cuscino: queste servono per dormire. E la tazza fumante? Indovina!”.

“Quello per la mattina?”.

“E la forchetta e il coltello, che significano?”.

“Servono a pranzo”.

“Ho inventato tutto io!”, disse giubilante il piccino.

Percorsero il corridoio e il salone, ormai vuoto. Liam Malahide era scomparso.

Nella cucina, un locale enorme dotato di elettrodomestici ultramoderni, trovarono Doyle che sfogliava una rivista.

“Abbiamo un po’ di appetito!”, lo apostrofò Buffy.

Doyle scosse il capo.

“Mi metterò subito ai fornelli. Forza sedetevi, tutti e due”.

Lei gettò uno sguardo ammirato all’interno.

“Sembra più un laboratorio di ricerca che la cucina di mia nonna!”.

“È anche l’opinione di Anya!”.

“Anya? Chi è?”.

“Una donna del villaggio che viene a ripulire la casa”, chiarì Doyle. “Si occupa delle provviste e prepara il pasto di mezzogiorno. La sera…”.

“Verrà la mia amica Dawn?” lo interruppe Connor.

Doyle sussultò, come un animale braccato.

“Non lo so”, rispose, troppo in fretta. “La sera, dicevo, ce la caviamo da soli”.

Buffy, avendo capito che si trattava di un argomento delicato, evitò di domandare chi era Dawn. Il ragazzo riprese: “Io so fare le tartine con la Nutella!”.

Mentre Doyle si dava da fare, Buffy ammirava le meraviglie della cucina: il congelatore pareva un pozzo senza fondo, l’immenso frigorifero era l’ultimo modello sul mercato, con tanto di distributore di cubetti di ghiaccio e una doppia fila di scomparti, il fornello aveva anche la piastra in pietra per cucinare senza grassi e altre meraviglie tecnologiche.

“Io sono pronto!”, annunciò Connor, che ormai aveva allineato una mezza dozzina di capsule colorate.

Doyle aveva improvvisato una grande insalata, decorata con olive nere e una rustica omelette al prosciutto.

Apparecchiò per tre. Una volta che Connor e lei si furono seduti, quando le sembrò che la terza porzione fosse destinata a lui, Buffy non seppe trattenersi: “Il signor Malahide non cena con noi?”.

“NO!”. Il tono non ammetteva repliche e Buffy non si era sbagliata.

Appena terminato il formaggio, Doyle le fece un cenno: il bimbo, assonnato, ciondolava il capo. Prendendolo fra le sue braccia, raggiunse il piano superiore, lo fece scivolare sotto le lenzuola e gli arruffò i capelli bruni: “Non servono sonniferi, stasera!”, mormorò Doyle.

Richiusero la porta piano. In piedi nel corridoio, Buffy si domandava come avrebbe trascorso questa prima serata. Erano solo le otto e mezza e tutto ciò che le rimaneva da fare era disfare i bagagli!

Come se lui le avesse letto nel pensiero, Doyle le sorrise: “Venga! Anche se qui non mi appartiene nulla, le voglio fare un regalo!”. Lei lo seguì attraversando il salone e uscì sulla terrazza. Da una loggia nascosta nel verde, prese due sedie a sdraio e un plaid di lana.

Davanti a loro, i monti di Bavella si estendevano in un perfetto semicerchio.

I picchi si stagliavano nitidi contro il cielo stellato. La base delle rocce si era già colorata di un’ombra color indaco.

Si vedeva serpeggiare il tracciato della strada, come un zigzagante sentiero nella pineta, che si arrampicava verso il colle di Larone. I pini erano strani: un alto fusto spoglio, diritto e solitario, lasciava poi spazio ad una corona di rami sulla cima.

“Forza, ora può fare tutte le domande che desidera!”. Buffy sospirò: “Non so nemmeno da dove cominciare! Sono così confusa!”.

“Comincerò io, allora, iniziando dalla mia modesta persona. Come lei ha già compreso, non sono un maggiordomo del tipo La signore è servita!”.

“Lo so!”, disse divertita Buffy. “Lei è una guida alpina. O per lo meno lo è stato in un’altra vita!”. La risata di Doyle risuonò: “Non ci è andata troppo lontano! Io sono uno scultore. E sono rimasto alle pietre, vede. Tra due colpi di scalpello, do un colpo di scopa per terra. Mi prendo cura della casa. La faccio visitare, poiché è ancora molto ammirata. E in cambio, posso viverci a mio piacimento”.

“È una casa magnifica; la invidio!”, esclamò Buffy sinceramente.

“È vero”, concesse lui. “Sono molto fortunato. Per un artista, essere libero da ogni preoccupazione finanziaria e amministrativa è una benedizione. Il mio cervello non deve sobbarcarsi i problemi della vita quotidiana”.

Il fresco della sera cominciava a farsi sentire. Buffy si aggiustò il plaid sulle gambe.

“Ma è anche un devoto servizio che voi prestate a Malahide”, sottolineò lei.

“Normale. Sono il più vecchio amico di Liam”.

“Perché, gliene rimangono altri?”, mormorò lei, senza volerlo.

Doyle si drizzò con veemenza: “Oh là! Vedo che si giudica la gente un tanto al prezzo!”. Buffy si difese, punta: “Metto solo insieme i fatti. Ma non lascio che la ragione prenda il sopravvento, mi creda”.

“Sta pensando a Connor?”.

“Evidentemente. Che Malahide si abbruttisca con l’alcool, sono affari suoi. Ma che Connor ne soffra fino ad ammalarsi, non lo ammetto”.

Doyle le lanciò uno sguardo così spaventato cha la ragazza restò a bocca aperta: cosa aveva detto ci così terribile?

“Così nessuno l’aveva messa al corrente…?”.

“Al corrente di cosa?”, gridò lei, in preda al panico.

Uno stridio di gomme sul selciato, sotto la terrazza, ruppe la calma della notte.

Una portiera sbatté, una risata di donna si fece sentire stridula. La voce di Liam si alzò come sul palcoscenico di un teatro: “Cara Josette, modera i tuoi ardori! Siamo arrivati nel regno dei censori!”. La voce femminile, ridendo, rispose: “Ti ripeto che mi chiamo Gwen!”. “Allora cara Amanda, bevi un bicchiere, la notte è ancora gio…vane!”. “Non Amanda, Gw…”.

Si udì un doppio “plouf!” vicino alla piscina. Doyle si alzò e mormorò senza uno sguardo per la sua compagna: “Sarà meglio che vada a cercare dei pettini!”.

“Le auguro una buona notte!”, disse di rimando Buffy, sincera.

E appena lo scultore scomparve nella casa, ella si accorse che non aveva terminato la sua confessione. Questo la contrariò molto. Nessuno, effettivamente, l’aveva messa al corrente.

Ma…di COSA?

 

TO BE CONTINUED...