PAINT THE SKY WITH STARS

AUTRICE:KUMIKO14

Pairing: William e Buffy

Raiting: NC- 17

Genere: AU

Disclaimer: I personaggi non sono di mia proprietà ma di Whendon & Co., è una storia scritta solo per puro piacere personale e non a scopo di lucro, ecc. ecc.

 

Riassunto:

Quando l’arte entra nelle vene e scorre fino al cuore.

Quando il vento cambia direzione.

Quando il sole sorge più brillante delle altre volte.

La tua vita è cambiata.

Questo è successo a…

Ma se ve lo dico che gusto c’è.

 

 

 

Prologo

 

L’arte restituisce l’uomo alla vita e la vita all’uomo.

Viktor Sklovky, Viaggio sentimentale.

 

 

È mattina.

Il mondo si risveglia e rinasce da se stesso, infinite volte fino ad un’ultima che non vedremo mai.

E così la brina notturna, al primo spuntare del sole, inizia a sciogliersi e piccole gocce ticchettano sul davanzale della finestra, o cadono dalle foglie di un albero vicino ad un fiume, o, ancora, possono scendere dalle curve di un colle formando un piccolo rivolo d’acqua che può diventare un torrentello che può ancora ingrossarsi e travolge ciò che si trova sul suo cammino.

La vita è così, come la brina che si scioglie ad ogni sorgere del sole.

La tua esistenza ti sembra solida, sai con certezza quello che farai ogni giorno con cadenze perfette, tutto si ripete metodicamente senza che nient’altro entri nella tua equazione.

E questo è come la brina che, sciogliendosi, gocciola sul davanzale della finestra, sempre nello stesso modo e sempre nello stesso punto.

Poi capita che qualcosa di improvviso irrompa nella tua quotidianità e la tua fermezza comincia a vacillare.

Compi tutto sempre nello stesso modo, ma, inevitabilmente, qualcosa che hai ripetuto mille volte non riesci più a farlo.

E questo ti da fastidio perché pensi sempre “Non sono riuscito a fare ciò che dovevo” e un po’ ti senti in colpa e un po’ ti manca quella piccola cosa a cui, magari, non avevi mai dato peso più di tanto ed ora ti sembra indispensabile.

E questo è come la brina che in goccioloni cade dalle foglie di un albero.

Non sa mai come atterra.

Magari finisce sul soffice terreno e si ritiene salva perché è caduta sul morbido, oppure finisce nel fiume vicino e non sa cosa accadrà dopo.

Ma poi ci si accorge che, quando non riesci più a fare una cosa, non riuscirai a farne sempre di più, fino a quando la tua vita verrà totalmente stravolta e tutto ciò che avevi e facevi non esiste più.

E questa è la stessa cosa che accade alla gocciolina che scendendo dal colle, prima si ritrova in un rivolo d’acqua, e, così, spinta dalle altre gocce, finisce in un torrente che la travolge e la porta via con se.

La mia vita è così.

 

Partiamo dalle origini, se no non si può capire.

Sono nata vent’anni fa in una bella famiglia, e di questo non mi posso lamentare.

Ho avuto un’infanzia felice e maggior parte del mio tempo lo trascorrevo con i nonni ed in particolar modo con il padre di mia madre.

E questo è un punto fondamentale, tenetelo bene a mente.

A sei anni, come per tutti, ho iniziato le elementari e qui sono iniziati, diciamo, i problemi.

Non avendo frequentato l’asilo, sono stata in poco tempo emarginata dagli altri, ma come si sa, i bambini sono cattivi.

Ed è qui che è iniziata la mia vita monotona ed abitudinaria.

Ci si alzava, si andava a scuola, nel pomeriggio si tornava a casa (ho provato per qualche tempo ad andare ai giardinetti, ma non avevo nessuno con cui giocare e quindi non c’era altra soluzione che tornare a casa insieme alla mamma) e si facevano i compiti, cene e televisione insieme ai miei.

Bene, questa era la mia vita a sei anni ed è rimasta uguale fino a venti.

Si, ovviamente, le scuole cambiavano.

Facevo in modo di incontrare sempre nuova gente, ma un punto non cambiava mai: ero un pesce fuor d’acqua che cercava, in tutti i modi, di entrare a far parte di quel mare immenso composto dalla società.

Forse in tutto ciò un ruolo determinate lo ha avuto la protezione che volevano, in un certo senso, imporre i miei genitori, ma, comunque, come ho già detto, non mi posso lamentare, anzi, non mi devo lamentare, ed infatti non do la colpa a loro di niente.

In fin dei conti ho una bella casa nel centro di questa piccola città, i miei mi vogliono bene, e tutto ciò che voglio, basta solo che lo chieda, e lo ottengo.

Rimane solo una cosa che non va: non ho un’amica, non ho una vita sociale, ed oserei quasi dire che, ormai, cerco volutamente la solitudine.

Ebbene si, non ci crederete, ma non mi fido delle persone, anzi, per meglio precisare, non mi fido più delle persone.

Ma come ho detto, bisogna cominciare dall’inizio e non bisogna tralasciare nessun particolare.

Allora; concluse le elementari e, non avendo trovato nei miei compagni degli amici, ma solo gente che mi derideva inesorabilmente, ho chiesto ai miei genitori di scegliere per me una scuola media dove non sarebbero mai andati tutti gli altri bambini.

E così è stato mi sono ritrovata in una scuola molto bella e, soprattutto, non conoscevo nessuno.

Non potevo sperare in niente di meglio.

Luogo nuovo e persone nuove; potevo ricominciare daccapo e per me una nuova vita si prospettava.

Ovviamente non sto neanche a dirvelo.

Luogo nuovo, persone nuove, situazione vecchia.

I compagni di classe si conosceva già tra di loro e quindi formavano gruppi in cui non riuscivo ad inserirmi.

Ritenuta asociale dai professori e bruttina dai compagni, mi sono tuffata nella mia monotona e solitaria quotidianità.

Secondo voi, quando è stato il momento di scegliere la scuola superiore da frequentare, cosa ho fatto?

Ovviamente ho cercato di allontanarmi il più possibile da ciò che stavo per lasciare.

Stupendo tutti, ho deciso di iscrivermi ad un istituto tecnico scegliendo l’indirizzo informatico.

E così tutto ricomincia.

Luogo nuovo, persone nuove… ma cosa lo dico a fare, vita vecchia.

E così altri cinque anni sono trascorsi.

Ma qui c’è la svolta.

Perché, come si sa, la vita è imprevedibile e non puoi arrestare la sua folle corsa.

Ed è qui che entra nell’equazione mio nonno.

Come ho già detto, da piccola ho trascorso molto tempo con lui ed una cosa mi è rimasta di suo: l’amore per l’arte.

Vedete, bisogna fare una premessa.

Mi nonno dipingeva ed io adoravo trascorrere il tempo a guardare come procedeva il lavoro.

Purtroppo è morto quando avevo sedici anni,e, avete presente la gocciolina che cade dall’albero?

Ecco, quella è stata la prima caduta, ed è da qui che tutto ha cominciato a cambiare.

Io non avevo mai disegnato,e, se lo facevo, riuscivo a tracciare solo degli sgorbi.

Ma la sera dopo la sua morte ho sentito come un impulso, quello di dover tracciare delle linee su un foglio.

Ed è così che inizia la mia vena artistica.

Mi capita ancora di disegnare, purtroppo sempre più di rado, ma fino a poco tempo fa i miei soggetti preferiti erano gli angeli, ma non quelli convenzionali, bensì quelli caduti, lacerati dal dolore.

Non so se avete presente gli angeli dipinti da Caravaggio, ma se notate molti sono con la testa rivolta verso il basso ed io li definiti “angeli cadenti”.

Così erano i miei angeli.

Così mi sentivo io.

Come vi ho detto ho iniziato a disegnare ed insieme cresceva anche il mio amore per l’arte.

Ed è stato come se tutto ciò che amava mio nonno si fosse trasferito a me.

Ho cominciato a comprare libri e visitare musei.

Abbinavo così uno studio tecnico ad una visione artistica.

Era un paradosso.

Le due cose non potevano convivere assieme.

Tanto per darvi un’idea lo scopo dei miei studi era imparare a programmare, cosa che, peraltro, non riuscivo a fare, in compenso, creavo grafiche fantasiose, eleganti, sempre diverse in ogni occasione.

Comunque, facendola breve, dalla morte di mio nonno una nuova tradizione era cominciata.

Ad ogni occasione, come Natale ed il compleanno, non volevo regali ma viaggi.

Incominciai a viaggiare, non per cercare di entrare a far parte di quel mondo che non mi aveva accetta fino a quel momento, ma per osservare tutto ciò che mi circondava.

Divenni così un’osservatrice silenziosa, passando inosservata per le vie del mondo.

Per concludere questa premessa manca il momento della svolta.

Ebbene si, una svolta c’è stata ed è stata anche decisiva per tutto ciò che è venuto in seguito e che verrà in futuro.

Tutto incominciò all’università, e se vi può interessare ho cambiato nuovamente i miei obbiettivi, ma questa volta sono dettati dal cuore, dall’amore.

Lo so cosa state pensando, ma vi devo deludere.

All’epoca l’amore che provavo era quello per l’arte e quindi ho scelto una facoltà che rispecchiasse i miei sentimenti.

Cosa c’era di meglio di un corso in Storia dell’arte?

Niente, lo dico anch’io.

Ed è qui che sono rinata.

Capitolo I

 

Un anno fa…

 

Vedete, frequento questa facoltà a Los Angeles da un anno e da tutti sono etichettata come la secchiona, la asociale, colei che ha gli appunti da copiare perché sono scritti bene, quella vicino a cui bisogna sedersi durante i test, e così via.

Ma ormai queste cose non mi toccano più.

Non so nemmeno che esistono.

Sono abituata alla mia solitudine e se qualcuno si avvicina troppo ho solo paura che mi possa tirare qualche scherzo mancino.

Ma comunque oggi è una giornata memorabile, per gli altri forse no, ma per me è una cosa straordinaria.

Un artista verrà a tenere una lezione nel corso di Storia dell’arte contemporanea.

Lo trovo magnifico.

Io studio sempre artisti che mi danno emozioni fantastiche, ma sono morti.

Invece oggi conoscerò un pittore che mi da forti emozioni ma che potrò vedere e con cui potrò parlare.

E allora parto per tempo, voglio prendere un buon posto nella platea dell’aula magna.

Così parto un po’ prima e quando arrivo non c’è ancora nessuno, solo l’assistente che sta preparando il proiettore.

A poco a poco la sala si riempie e, con i soliti cinque minuti di ritardo, arriva il professore.

È un bell’uomo, sulla cinquantina, con gli occhiali che toglierà e rimetterà non so quante volte a lezione, ma, a parte questo piccolo tic, è un ottimo insegnate.

È uno dei miei preferiti.

Sale sul palco che c’è nell’aula, prende il microfono in mano ed introduce l’artista che verrà a tenere la conferenza.

“Buongiorno a tutti, vedo che oggi siete numerosi e che è aumentata l’affluenza femminile. Comunque non voglio perdere altro tempo prezioso e vado a presentarvi l’artista che terrà oggi la lezione. Descrivere le sue opere non è necessario, si spiegano da sole. Ecco a voi William Darcy.”

Ok, va bene.

Io non ho molte pretese, ma, con tutto il rispetto, non ho mai sentito nominare questo William Darcy e tenete conto che conosco tutta l’enciclopedia dell’arte a memoria.

Comunque ormai è qui e quindi non posso fare altro che starlo ad ascoltare.

Quello che mi piace di più però, è che il professore aveva annunciato che sarebbe venuto un artista di fama internazionale.

E così, assorta nei miei pensieri, non mi accorgo che il presunto artista è entrato, è salito sul palco e sta già parlando.

“Grazie a lei professor Giles”

Ecco mi sono persa la parte iniziale.

Comunque non mi pongo problemi più di tanto.

Tiro fuori il quaderno degli appunti di latino ed una penna.

È inutile che perda tempo, è meglio approfittare di queste due ore per copiare un po’ di appunti.

Inizio a scrive e non alzo nemmeno la testa per vedere che faccia abbia il pittore.

Di sicuro sarà il solito cinquantenne, un po’ stempiato, con un orripilante maglione dolce-vita a rigoni o a rombi, verde marcio e viola.

Insomma una vera schifezza.

Lo sento parlare in sottofondo.

Devo dire che ha una bella voce, ma come si sa, molte volte uomini con una bella voce, sono poi bruttissimi fisicamente.

Per curiosità alzo la testa ed osservo la ragazza seduta vicino a me.

Ha gli occhi che brillano ed un sorriso illumina il suo volto.

Sembra affascinata dall’oratore.

Dubbiosa, volto la testa dall’altra parte e c’è un ragazzo.

Questo, al contrario, ha lo sguardo che, se potesse, lancerebbe fiamme.

Sembra arrabbiato, anzi, quando lo osservo meglio, noto che è invidioso.

Be’, devo dire che mi sono incuriosita e sono quasi decisa a dare un’occhiata per vedere che faccia abbia questo pseudo-artista.

Così alzo la testa e lo vedo.

 

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Dunque, per intenderci, ero rimasta totalmente sbigottita.

Insomma trovarsi uno così davanti non è da tutti i giorni.

No, non spaventatevi, non era l’orrore che avevo pensato, anzi, il suo esatto contrario.

 

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O mio….

Ma avrà si e no trent’anni.

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In quel momento non ero molto in grado di formulare alcuna parola ed anche i pensieri andavano di pari passo.

Mi ero bloccata totalmente.

Con gli occhi spalancati dallo stupore.

E credo di aver avuto la bocca semi aperta.

Insomma, in quel momento non dovevo avere lo sguardo più intelligente dell’universo.

Ma la tragedia, se così possiamo definirla, doveva ancora capitare.

 

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Si sta voltando in questa direzione.

O no.

Ti prego, fa che non guardi me.

Se mi guarda, anche solo di sfuggita, giuro che sprofondo nella sedia e non mi tiro più su fino a quando non è uscito dal palazzo dell’università.

Voltati, voltati.

No, guarda dall’altra parte.

C’è una ragazza che si sta strozzando con la sciarpa per farsi notare da te.

No, no , no, no…..

 

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Ecco un altro momento di offuscamento mentale totale.

Lo avrete capito, mi ha guardata, ma non così come una persona sulla quale si posa lo sguardo giusto perché ce l’hai davanti.

Lui mi ha guardata negli occhi.

Ed è lì che mi sono persa ed allo stesso tempo ho trovato la mia via.

Ho anche capito perché la mia vicina aveva quello sguardo, mentre il ragazzo dall’altra parte lanciava fiamme con lo sguardo.

In quell’istante ho incontrato gli occhi più belli che avessi mai visto.

Due pozzi d’acqua limpida in cui tuffarsi ed allo stesso tempo un cielo in tempesta attraversato da fulmini argentei ed ancora l’universo senza fine illuminato dalle sole stelle del firmamento.

Non si poteva smettere di guardarli.

Sono rimasta incatenata a lui.

Tutto ciò che mi circondava era scomparso.

Esistevamo solo io ed i suoi occhi.

Si può morire e rinascere solo guardando due occhi?

Ebbene si!

Capito I - parte seconda

 

Non ho mai visto niente di più bello.

No, dire bello è poco.

Non saprei neanche trovare un aggettivo che lo possa descrivere.

Ma adesso cosa sta facendo.

Sta sorridendo.

O cielo!

Lo stavo fissando e lui ovviamente se ne è accorto.

Meno male che adesso si è girato dall’altra parte.

Di sicuro sono diventata tutta rossa, mi sento il volto in fiamme.

Nessun ragazzo mi aveva mai guardata negli occhi così e non mi aveva mai sorriso.

Ma sono sicura, quello era di certo un sorriso di scherno.

Adesso verrò presa in giro anche da lui, uno sconosciuto che ho visto in faccia per la prima volta neanche cinque minuti fa.

 

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Qui bisogna fare una precisazione: non vi ho descritto il mio aspetto e come fosse Willim Darcy.

Dunque, io a lungo andare non ho curato più di tanto il mio aspetto.

Non molto alta, capelli biondi ribelli legati malamente in una coda e con due o tre ciuffi che mi ricadono davanti agli occhi che sono coperti, a loro volta, da una montatura di occhiali non troppo alla moda.

E per chiudere il simpatico siparietto, le tute da ginnastica erano all’ordine del giorno.

Lui, invece, basta una parola per descriverlo: bello.

Si, qui belli impossibili da film.

Fisico asciutto ma muscoloso, come è messo in risalto dalla maglietta.

I capelli sono di un biondo innaturale, che però a lui stranamente donano.

Il volto è delineato da zigomi profondi e gli occhi, be’, ve ne ho già parlato.

 

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Mi sento osservata.

Mi volto verso destra dove c’è la ragazza di prima che mi sta guardando con odio e non capisco perché.

Comunque, per non sbagliarmi, scivolo lentamente per la sedia, così non mi vedrà più e non potrà più deridermi.

Continua a parlare del mercato dell’arte e devo dire che è un vero animale da palcoscenico.

Tutta la platea è incantata da lui.

Nessuno riesce a staccare gli occhi.

Sembra quasi che abbia fatto un incantesimo alla sala.

Però, adesso, Giles lo interrompe.

“Perché non ci mostri le diapositive di qualche tua opera, William?”

“Con piacere” risponde e lo vedo fare un cenno all’assistente del professore.

Le luci si spengono ed il proiettore viene acceso.

La prima immagine compare.

È un angelo!

Un angelo combattente.

Questa immagine viene sostituita con la successiva.

Due angeli che si amano.

Le foto scorrono velocemente.

Sono tutti angeli: combattenti, amanti, piangenti, della vita, della morte.

“Se avete qualcosa da chiedere fatelo pure” lo sento dire.

“Sei libero questa sera?” viene chiesto da una ragazza in fondo alla sala, mentre si sentono delle risate soffocate.

Anche lui ridacchia e sembra quasi che stia per rispondere quando interviene il professore.

“Per favore, solo domande pertinenti” sembra anche un po’ seccato.

Si alza in piedi un ragazzo.

“Cosa significano realmente le sue opere?”

“La risposta non te la posso dare, ma ti dico: Guardare è una cosa, ma vedere è molto più interessante.”

“Gaugain” mi scappa dalla bocca come sussurro stupito.

“Esatto. Chi lo ha detto?

Ma come ha fatto a sentire, ha l’udito di Superman?

E poi era solo una considerazione tra me e me.

“Su, non essere timido, alzati in piedi.”

No,no, no, no, no.

Di nuovo.

Adesso ci rimango secca.

“Ho sentito che veniva da questa parte”

Non ti avvicinare.

Anzi, è meglio che mi alzi prima che faccia la prova della voce a tutti per vedere chi ha parlato, tanto ormai ma ha scoperta lo stesso.

Ecco mi sono alzata.

Mi fissa, lo senti, ed io abbasso gli occhi.

“Brava. Pochi conoscono questa affermazione di Gaugain. Di già che ci sei vuoi chiedermi qualcosa?”

Tengo sempre la testa bassa e, facendo un cenno con il capo, dico di no.

“Ok”, mi dice.

“Andiamo avanti”

E io scivolo di nuovo sulla mia sedia.

C’è solo una cosa positiva: non si è messo a ridere.

In compenso, la mia vicina pare che ora voglia strozzarmi.

Ma cosa ho fatto di male.

Non è colpa mia se conosco quella frase della da Guagain.

Uffa, vorrà dire che da ora in poi non farò più vedere che so qualcosa.

Mi volto nuovamente verso il palco e lo osservo ancora.

Mentre parla si agita e vedo che si toglie la giacca in pelle che ha indossato fino adesso, e rivela una camicia blu come i suoi occhi.

Sa che tutti lo osservano e pendono dalle sue labbra, e si compiace di ciò.

Racconta che ha sofferto perché lo ha lasciato la ragazza, che gli piacce molto la montagna, che avrebbe voluto fare l’alpinista ma poi un incidente ha infranto il suo sogno e così si è dato all’arte.

Continua dicendo che si considera uno sfigato perché non ha la ragazza.

E qui un boato si innalza nella sala.

Be’, un boato forse no, ma un urlo di generale isteria femminile si.

Credo che se avesse detto che regalava un milione di dollari ad ognuno di noi ci sarebbe stato meno casino.

Giles si alza e quasi urlando intima il silenzio.

Dal canto suo, Darcy pare che gradisca tutto questo, diciamo, affetto, e un ghigno compare sul suo volto.

All’improvviso una ragazza bionda, con una camicetta praticamente tutta slacciata ed una minigonna formato francobollo, si alza e urla:

“Se vuoi ti tiro su io il morale”

E non vorrei dire, ma mi ha dato l’idea che quella frase nascondesse un doppio senso.

Lui continua a non parlare, sorride solo e si vede benissimo che ad ogni secondo il suo ego cresce sempre di più.

“Ma per favore, signorina!” grida di rimando il professore.

“Be’, direi che per oggi può bastare. Ma prima di uscire venite a ritirare la fotocopia con scritto il compito della settimana. Arrivederci.”

E così, Giles, prendendo per un braccio l’artista, lo trascina fuori dall’aula.

 

Io raccatto le mie cose; indosso la giacca, chiudo la borsa e mi dirigo verso il tavolo che si trova sul palco dove il professore ha lasciato i fogli.

Molti escono direttamente senza prenderlo, probabilmente saranno tutti quelli che avranno si e no frequentato in tutto due lezioni.

Ovviamente la cosa non mi interessa più di tanto, e come si sul dire, tanto peggio per loro.

 

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E si.

Questo è proprio il caso di dire “tanto peggio per loro”, perché così si sono persi una grande occasione ed hanno anche aiutare a fare la mia fortuna.

Ovviamente all’epoca non lo sapevo.

Capitolo II

 

 

Prendo la fotocopia ed inizio a leggerla.

“Si richiede di fare un commento critico delle opere di William Darcy.

Devono essere minimo dieci fogli.

Si può gestire a proprio piacimento lo scritto.

Il lavoro varrà un quarto del voto finale.

Consegna martedì 12 novembre.”

Bene, ho una settimana per prepararlo.

 

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Ora vi risparmio la descrizione della settimana di ricerche, studi ed affini.

Posso solo dire che all’artistucolo non ho mai pensato.

Cioè, insomma, non si poteva non pensarlo visto che dovevo fare una tesina su di lui.

Ma volevo dire che non pensavo a lui come la persona che avevo visto.

In quella settimana non sapevo neanche come fosse fisicamente.

Comunque, veniamo al punto interessante.

Arrivato il martedì successivo ho consegnato il mio lavoro al professore, che, a sua volta, si è preso una settimana di tempo per correggere tutti gli scritti.

La sorpresa l’ho avuta il martedì successivo ancora.

 

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Vado come al solito a lezione.

Oggi il professore dovrebbe consegnare i lavori corretti.

Ed infatti eccolo che entra, ed ha in mano una cartella che contiene i fascicoli.

Si mette alla cattedra e prende il microfono.

“Buongiorno a tutti. Oggi vi consegnerò i vostri compiti. Quando venite all’esame ricordatevi di portarli, altrimenti non verranno considerati. Ora vi chiamerò uno per uno.”

Aspetto trepidante che mi chiami.

Sono sicura di aver fatto un buon lavoro.

Ecco, inizia a chiamarci in ordine alfabetico.

E finalmente arriva alla ‘S’.

“Sabery. Saccer. Sanders”

Ecco, adesso dovrebbe toccare a me.

“Sutter”

Sutter?

Sutter??

Che abbia sbagliato a leggere?

Faccio per alzarmi ma un ragazzo si alza e va a prendersi la sua tesina.

Panico!

Che sia finito sotto tutti gli altri?

Che abbia perso il mio fascicolo?

Che glielo abbiano rubato i marziani?

Calma.

Io gliel’ho consegnato, una spiegazione logica ci sarà.

Finita la lezione andrò a chiederglielo.

Su. Su. Presto.

Consegna questi maledetti fogli velocemente.

Finalmente ha finito.

“Bene. Oggi vi lascio liberi prima, così potete andarvi a vedere le parti che ho corretto. Arrivederci.”

Tutti si alzano e lo facci anch’io e punto direttamente al professore.

Mi avvicino timidamente.

“Mi scusi professore. Volevo chiederle…”

“O salve Summers” mi interrompe.

“Speravo proprio che venisse. Dovevo parlarle”

Se adesso mi chiede come mai non ho consegnato il compito, gli tiro una scarpa in testa.

“Si sarà chiesta come mai non l’ho chiamata”

Bravo, come hai fatto ad intuirlo?

“In effetti” rispondo un po’ seccata.

“Non si preoccupi. Non è niente di grave, anzi, è una bella notizia”

Spalanco gli occhi.

Cosa intende dire?

“Vede, il suo è stato il migliore tra tutti i lavori. Oserei dire eccellente. Sono sicuro che lei all’esame otterrà il massimo”

Un sorriso poco alla volta cresce sulle mie labbra.

“Ma le devo comunicare che un’altra cosa. Deve sapere che il signor Darcy, quando è venuto a conoscenza che vi avevo chiesto di fare una tesina che aveva per tema la sua opera, ha domandato di leggere questi lavori.”

Bene, ha letto il mio scritto, ma cosa c’entro io?

“E quando ha letto il suo, ha espresso il desiderio di incontrarla.”

COSA?!?

Lui vuole parlare con me?

“Domani la aspetta nel mio ufficio”

“Ma scusi…”

“Il suo scritto ce l’ha già lui, non si preoccupi.”

“Ma…”

“A si, scusi, non le ho detto l’ora a cui deve venire. Ti aspettiamo per le 10:30. ora devo andare. Non ti dico di essere puntuale perché so già che lo sarai. Arrivederci”

Prende la sua borsa e se ne va.

Dunque, mi devo essere persa qualcosa.

Non mi ha consegnato il compito perché lo ha dato Darcy che lo ha letto e gli è piaciuto ed ora vuole incontrarmi.

Ma perché

Se gli piaceva così tanto non poteva semplicemente dire al professore di farmi i complimenti e basta?

No, deve parlarmi, e per dirmi cosa?

Non è che magari pretende i diritti per quello che ho scritto?

Be’, è una cosa che non mi preoccupa più di tanto.

Domani andrò a sentire cosa avrà da dirmi e poi ci penserò

Capitolo III - Prima parte

 

 

Come al solito mi preparo per tempo.

Arrivo un po’ prima in facoltà, un magnifico palazzo dell’ottocento.

Incomincio a salire l’enorme scalone che porta al secondo piano dove, passando per una terrazza coperta, ma che permette con enormi arcate di guardare il paesaggio attorno, si arriva alle sale per il ricevimento dei professori.

Fino a questo momento non mi sono fatta dei problemi, ma ora.

Ora in effetti qualche problema me lo creo.

Forse mi sarei dovuta vestire in modo più adeguato, ma poi cosa mi sarei dovuta mettere?

Magari dovevo fare come le altre ragazze che sono venute all’incontro, tutte con la minigonna e la camicetta slacciata solo per farsi vedere?

E poi io non sono neanche bella.

Se mi mettessi quella roba sembrerei ridicola.

Ridono di me già così, ci manca ancora che li invogli.

Pensiamo a i capelli.

Faccio finta di vestirmi tutta sexy e poi mi presento con dei capelli che sembrano spaghetti, di un brutto biondo, che non stanno al loro posto neanche se li blocco con un litro di lacca.

Non mi sembra proprio il caso.

È meglio il solito look.

La tuta da ginnastica va più che bene, tanto più che non devo mica fare colpo su di lui.

Anzi, prima me lo tolgo dai piedi meglio è.

Voglio solo sentire cos’ha da dirmi e poi sbolognarlo velocemente.

Si.

Farò così.

Mi presento cordialmente, sento cos’ha da dirmi e poi lo saluto altrettanto cordialmente.

Tutto qua.

Niente di preoccupante.

Un semplice incontro come può essere con un professore.

Ok.

Ora sono davanti la porta dello studio di Giles ma non busso perché è ancora presto.

Manca ancora mezzora all’incontro e così mi siedo su una delle sedie che si trovano qua fuori.

Appoggio i gomiti alle gambe e la testa sulle mani e guardo il panorama di fronte a me.

Sono immersa nei miei pensieri quando…

“Capisco che il mio fascino sia irresistibile, ma addirittura arrivare mezz’ora prima mi sembra eccessivo”

È lui.

Lo riconosco dalla voce.

Lentamente mi volto verso di lui.

Ed è li.

Bello come due settimane fa.

Con le braccia incrociate, appoggiato alla parete a circa dieci metri da me.

La lunga giacca di pelle lo avvolge alla perfezione e gli da un aspetto da… aspetta come si dice, da cattivo ragazzo.

Leggermente aperta sul davanti, lascia intravedere una camicia rossa sopra un’aderentissima maglietta nera.

Il look si completa con un paio di jeans, neri anche loro, abbinati a degli anfibi.

Con lo sguardo risalgo al suo volto e noto che questa volta i capelli non li ha tirati indietro, ma li ha lasciati un po’ spettinati, che creano così piccoli riccioli.

E devo ammettere che così ha un aspetto più avvicinabile.

Be’, certo non per me, ma, comunque, sembra più umano.

Ecco adesso mi cade lo sguardo sulla sua bocca e…

Sta sorridendo.

Un sorriso compiaciuto.

“Ti piace quello che vedi?”

In effetti, si!

Ehi, ma cosa sto dicendo.

Lo sto fissando, me ne accorgo solo adesso.

Così distolgo lo sguardo.

Mi volto di nuovo di fronte a me ed abbasso gli occhi.

Sarò rosso fuoco, lo so.

L’ho visto due volte, ed entrambe le volte ho fatto la figura della stupida.

Però come si fa a stare indifferenti davanti ad uno così.

Insomma, sembra fatto apposta per essere spogliato con gli occhi.

Ma basta.

Ma ti sembrano cose a cui pensare?

Non lo conosci nemmeno.

Lo sento avvicinarsi.

“Ciao”

Mi sta rivolgendo la parola.

Mi chiedo se adesso ho anche le allucinazioni.

“Io sono William”

Ha addolcito il tono e con la coda dell’occhio vedo che ormai è praticamente di fianco a me.

“Piacere” e mi tende la mano per presentarsi.

Ora sono costretta a voltarmi ed a stringergli la mano.

Così mi alzo e mi metto di fronte a lui.

“Tu devi essere Elisabeth”

Annuisco mentre tendo anch’io la mano e stringo la sua.

Ha una stretta decisa ma delicata allo steso tempo.

Un brivido corre lungo la mia schiena.

La sua mano è fredda ma brucia la mia pelle come se fosse fatta di fuoco.

Il ghiaccio brucia più del fuoco.

È una legge della fisica.

Ok, adesso lo conosci puoi dedicarti alle tue fantasie.

Be’, da dove salta fuori questa vocina ninfomane che non riesce stare zitta?

 

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Probabilmente era quella vocina che avevo nascosto per diciannove anni, e che, detto tra noi, non aveva neanche mai sentito il bisogno di rendere nota la sua presenza.

Ma in quel caso, a quanto pare, ha avuto la necessità di dire la propria opinione.

 

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Mi stacco forse con un po’ troppa decisione e lui ha uno sguardo sorpreso.

Ho alzato lo sguardo per la prima volta ai suoi occhi.

Siamo all’aperto ed il sole splende nel cielo e così i suoi occhi brillano come il mare d’estate in cui si rifletto il sole di mezzogiorno.

“Sai, ci avrei scommesso che eri tu. Quando ti ho vista alla lezione ho capito subito che avevi una preparazione eccellente ed ero sicuro che saresti stata in grado di spiegare i miei quadri molto meglio dei critici che collaborano di solito con me.”

Ora sono io ad essere stupita.

“Non meravigliarti. Si vede anche alla distanza di un miglio che tu metti l’anima in quello che fai” fa una piccola pausa.

Poi vedo che toglie da una tasca una chiave ed apre la porta dello studio di Giles.

“Vieni. Il professore oggi non può venire, ma mi ha lasciato le chiavi del suo studio.”

Si scansa da una parte e fa il gesto di lasciarmi passare per prima.

Compie alcuni gesti da nobiluomo dell’ottocento che dovrebbero strinare con il suo look, ma, in fin dei conti, sembrano fatti apposta per lui.

Così entro e lui mi segue subito dopo e poi ci sediamo, lui sulla poltrona di Giles ed io dall’altra parte della scrivania.

Capitolo III - Parte seconda

 

 

Mi stacco forse con un po’ troppa decisione e lui ha uno sguardo sorpreso.

Ho alzato lo sguardo per la prima volta ai suoi occhi.

Siamo all’aperto ed il sole splende nel cielo e così i suoi occhi brillano come il mare d’estate in cui si rifletto il sole di mezzogiorno.

“Sai, ci avrei scommesso che eri tu. Quando ti ho vista alla lezione ho capito subito che avevi una preparazione eccellente ed ero sicuro che saresti stata in grado di spiegare i miei quadri molto meglio dei critici che collaborano di solito con me.”

Ora sono io ad essere stupita.

“Non meravigliarti. Si vede anche alla distanza di un miglio che tu metti l’anima in quello che fai” fa una piccola pausa.

Poi vedo che toglie da una tasca una chiave ed apre la porta dello studio di Giles.

“Vieni. Il professore oggi non può venire, ma mi ha lasciato le chiavi del suo studio.”

Si scansa da una parte e fa il gesto di lasciarmi passare per prima.

Compie alcuni gesti da nobiluomo dell’ottocento che dovrebbero strinare con il suo look, ma, in fin dei conti, sembrano fatti apposta per lui.

Così entro e lui mi segue subito dopo e poi ci sediamo, lui sulla poltrona di Giles ed io dall’altra parte della scrivania.

 

Tira fuori un piccolo plico.

È la mia tesina.

“Sai perché ho chiesto di parlare con te?”

Faccio segno di no con la testa.

Mi rendo conto che non ho ancora aperto bocca.

Penserà che sono muta, ma dopo tutto in questo momento non sono proprio in grado di spiccicare neanche una parola.

“Ho bisogno di qualcuno che scriva delle presentazioni per i miei quadri ed ho pensato a te”

“Perché?”

Ecco, finalmente la mia voce si è sentita.

Lui non risponde subito.

Vedo che sfoglia il mio compito fino ad arrivare al punto che gli interessa.

“I suoi quadri esprimono tutti gli stati d’animo della società umana. L’angelo, soggetto costante nelle sue opere, rappresenta allo stesso tempo ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Sono opere che non rappresentano la realtà od una cosa precisa, ma vi è raffigurato ognuno di noi. Ed è quando un’opera non ha una sola visione che continua ad essere viva. Ma quando non ci sono altri punti di vista, all’opera resta solo di essere ammirata dal proprio autore. Le opere di Darcy hanno così successo perché chiunque si fermi a guardarle ci si rispecchia. E tenendo conto che ognuno di noi è differente, vuol dire che di un quadro esisterebbero infinite versioni. Abbiamo di fronte opere che non troveranno mai fine.”

Chiude la tesina e solleva gli occhi verso i miei.

“Ecco perchè”

Sono stupita.

Molto stupita.

“Ma, mi scusi,” incomincio a domandare, ma lui mi interrompe.

“Dammi del tu. Non c’è poi molta differenza di età tra di noi”

Mi è già difficile parlare con lui normalmente, figuriamoci se gli devo dare del tu.

Su, dai.

Fatti coraggio.

Prendi un bel respiro e di qualcosa, se non penserà che sei ritardata.

E non farti problemi più di tanto, in fin dei conti è un essere umano.

Almeno credo.

“Ummm, va bene. Dunque. Quindi, forse non ho capito bene, ma lei sta… stai cercando qualcuno che lavori con lei… te, te”

Bene, ho fatto la mia bella figura.

Se voleva offrirmi un lavoro, adesso, di sicuro, non lo farà più.

“Si esatto. Ed ho pensato a te”

Lì per lì non capisco se è serio o se sta scherzando.

Poi, visto che è impossibile che voglia lavorare con al fianco una come me, penso che mi stia prendendo in giro.

E mi viene quasi da ridere e lui se ne rende conto, ma continua a fissarmi serio e così il mio sorriso si smorza.

Non sta scherzando.

Lo vedo che si alza ed incomincia a camminare per lo studio.

“Non è un lavoro difficile. Io faccio i quadri e quando c’è qualche mostra tu farai un commento critico che li accompagnerà. Non importa se il giudizio è positivo o negativo, l’importante è che sia sincero. Chi osserva un quadro non è necessariamente un esperto di arte. Può essere gente comune che semplicemente vuole passare un pomeriggio. Ma il punto è che solitamente i critici scrivono dei commenti che neanche io sono in grado di capire. Ciò che vuole la gente è un’opinione sincera e comprensibile di un esperto. Cosa che difficilmente accade.”

Io rimango a bocca aperta

Scusate la mia momentanea immobilità mentale, ma, mi sta chiedendo di lavorare con lui?

Lo so che mi ha già risposto di si, ma credo di non aver ben recepito.

“In più mi accompagnerai alle presentazioni, mostre, cene, insomma un po’ di vita mondana. Sai per presentare le opere. O per dare eventuali spiegazioni ai presenti. Ma non ti preoccupare di solito non chiede mai niente nessuno.”

Dunque, io sono ancora rimasta al fatto che mi offre un lavoro e lui sta parlando di accompagnarlo quando fa vita mondana?

No. No. No. No. No. No. No!!!!!!!!!!!

Insomma.

Saranno almeno sei anni che non vado neanche al cinema e dovrei fare vita mondana con lui?

Stiamo scherzando vero?

Vero?

Mi sorge il dubbio che sia di nuovo serio.

“E se non accettassi?”

Mi viene spontaneo chiedergli.

“Be’, per prima cosa perderesti una grande occasione, e secondo, non credo che il tuo professore la prenderebbe molto bene”

E mi fissa con il suo sguardo impertinente.

È certo che accetterò la sua offerta.

Il nervosismo sta crescendo.

“Dunque. Vediamo se ho capito bene. Sei venuto a sapere che il compito di Giles aveva te come soggetto. Anzi. Probabilmente sei stato tu stesso a chiedere al professore di assegnare questo tema. Poi hai letto le tesine degli allievi e tra tutte hai scelto la mia perché ti sembrava professionale ,e, in più, vuoi che presenzi con te nelle occasioni pubbliche. Non mi dai praticamente scelta perché, e questo era sottinteso nelle tue parole, se non accettassi, probabilmente, non supererò mai l’esame di arte contemporanea”

Ho parlato tutto d’un fiato come una macchinetta, e adesso sono agitata e mi manca il respiro.

“Esatto”

Mi risponde lui tranquillo, che adesso si è appoggiato al muro vicino alla finestra che si trova davanti a me.

Mi calmo e quasi rassegnata dico

“Ma mi hai vista?”

“Certo” continua lui deciso

“Be’, nel corso ci sono ragazze molto più carine di me e molto più adatte ad accompagnarti per mostre e cene di rappresentanza”

“Premesso che ho detto che cerco qualcuno professionale”

Lo vedo avvicinarsi, si ferma ad un passo da me e poi si abbassa in modo da avere il suo volto allo stesso livello del mio e mi specchio in quelle due immensità blu che sono i suoi occhi.

“Chi dice che dietro un paio di occhiali ed una tuta da ginnastica non ci sia una bella ragazza?”

Alza il sopraciglio sinistro e noto la cicatrice che lo solca.

Mi sta ammiccando ed io arrossisco ancora di più se è possibile.

Distolgo lo sguardo e lui si rialza.

“Non ho scelta, vero?”

Chiedo timidamente.

“Penso proprio di no”

Rincomincia di nuovo a camminare e poi con un sorriso mi dice.

“Ehi. Non ti sto mica chiedendo di andare al patibolo”

Mi scappa un sorriso.

“Ecco. Vedi. Se sorridi sempre così avrai il mondo ai tuoi piedi.”

Non so più che fare.

Sono talmente rossa ed accaldata per la vergogna che potrei prendere fuoco.

Però questa situazione non può andare avanti a lungo.

Su, da brava, fatti coraggio.

“E…. quando inizierebbe il lavoro?”

Chiedo con un sussurro.

“Ufficialmente tra due settimane”

Il fatto che mi abbia risposto mi conferma il fatto che abbia l’udito di Superman.

“Verrà inaugurata una mostra a cui partecipo con alcuni quadri. E vorrei che tu venissi.”

“E devo fare una recensione di questi quadri?”

“Si. Avrai bisogno di vederli, immagino”

“In effetti si. Se puoi procurarmi delle foto mi risparmieresti un po’ di ore di ricerca”

“Veramente no. Sono quadri nuovi. Le foto verranno fatte la sera dell’inaugurazione. Però ti posso proporre qualcosa di meglio.”

“Cioè?”

Perché c’è qualche altro modo a parte avere le foto?

“Be’, visto che sono quadri e che hai davanti l’autore, potresti venire nel mio studio, così li potrai analizzare dal vero”

Mi sta sorridendo

Rimango nuovamente a bocca aperta.

“Allora, che ne dici?”

Sarà meglio che mi eserciti ad avere la risposta pronta perché non sto facendo una bella figura.

“Ummm. D’accordo e ….”

“Ti va bene domani?” mi precede.

Su pensa, ti va bene domani?

Si che ti va bene.

Non hai niente da fare.

Non hai mai niente da fare.

Su rispondi.

“Si. Passerò in mattinata”

“Ok. Qui c’è l’indirizzo”

E lo vedo scrivere su un foglietto.

“Ora devo andare, mi spiace”

Intanto mi porge l’indirizzo e poi si avvia verso la porta.

“Ti aspetto domani” e fa per uscire.

È quasi fuori ma poi si volta di nuovo come se avesse dimenticato qualcosa.

“Tieni” e mi lancia una chiave.

“Stai pure quanto vuoi, mi fido. Ricordati solo di chiudere quando esci”

Mi sorride e poi si chiude la porta alle spalle.

Rimango inebetita, be’, ormai non è una novità.

Mi accorgo solo adesso di avere in mano il foglietto con il suo indirizzo.

Ha una bella calligrafia, elaborata ma allo stesso tempo comprensibile, leggermente allungata ma tipicamente maschile.

Quante cose si possono capire dal modo in cui scrive una persona?

Molte.

Per esempio, si vede che ha un tratto deciso, tipico di una persona sicura di se.

Be’, questo aspetto lo avevo capito anche senza psicanalizzare il modo in cui scrive.

Ma vi rendete conto, sto analizzando la calligrafia del mio datore di lavoro.

Non devo stare molto bene.

E poi mi sono anche dimenticata di leggere dove abita.

Dunque, vediamo un po’.

Vive tra la 44° e la 46°.

Hei, ma è in periferia.

Ma ha la minima idea che devo attraversare tutta Los Angeles per arrivare a casa sua?

Mi ci vorranno almeno due ore.

Mi sto irritando di nuovo.

Manteniamo la calma che è meglio, tanto non ci puoi fare niente.

Be’, non mi resta nient’altro da fare che tornare nella mia stanza al dormitorio ed aspettare che arrivi domani.

Capitolo IV

 

Finalmente.

Stanzetta dolce stanzetta.

Prendo la chiave dalla tasca ed apro la porta della mia camera.

La calma mi investe.

E già, la mia compagna di stanza non c’è.

Si è presa un periodo di riflessione.

Si, un periodo di riflessione che dura già da due mesi.

Be’, almeno così ho la camera tutta per me.

Pur essendo solo mezzogiorno, sono già stanca.

Vorrà dire che mi coricherò a leggere qualcosa

E così mi stendo sul mio morbido lettino e incomincio a sfogliare il libro che ho in mano, solo che poche pagine dopo mi distraggo e mi metto ad osservare il soffitto.

Certo che quel Darcy non è niente male.

Bene, i miei pensieri sono di nuovo partiti.

Però non puoi negarlo, è un bel ragazzo.

Solo bello?

È molto di più.

Però è così strafottente e sicuro di se.

Crede che uno faccia quello che dice solo perché è lui a dirlo.

Chissà se ha la ragazza?

Calma.

Prendiamo un attimo per riflettere.

Non si può negare che abbia un suo fascino, ma da qui a pensare se è libero o meno ce ne passa.

E poi ricordati che è il tuo datore di lavoro.

Per essere precisi, il tuo primo datore di lavoro, quindi se fai una pessima figura rischi di perdere questo posto e di non trovarne neanche un altro in futuro.

E ricordati che comunque non ti guarderà mai in quel modo, quindi di sicuro non corri il rischio che ti salti addosso.

Uffa.

Adesso non ne ho più voglia di stare a letto, sono nervosa.

Avrei voglia di prendere qualcosa a pugni.

Questo è uno di quei momenti in cui mi chiedo perché ho lasciato il corso di Kung-fu.

Almeno avrei potuto scaricare la tensione mettendo al tappeto qualcuno, sempre ammesso che non mettano al tappeto prima me.

Basta.

Andrò a farmi una doccia.

Sarà la seconda della giornata, ma quando ho la testa troppo piena di pensieri mi aiuta sempre a svuotarla.

Comincio a svestirmi e ho in mano la giacca della mia tuta.

Certo che se continui a vestirti così, non ti guarderà mai nessuno.

Però non è che sia un’esperta di moda e poi dovrei andare comunque a comprare qualcosa, cosa piuttosto complicata se non sai dove andare.

Mi metto a camminare per la stanza, fino a quando ho un’illuminazione.

Dawn!

 

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Credo di essermi dimentica di dirvi che ho una sorella.

È un po’ più piccola di me, ma è sempre stata più sicura, decisa e perspicace della sottoscritta.

Devo dire che mi ha aiutata in diverse occasioni.

 

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Prendo al volo il telefono e compongono il numero di casa.

Speriamo che ci sia.

Dopo un paio di squilli, qualcuno alza la cornetta.

“Pronto”

“Ciao Dawn, sono io”

“Ehi, è da un po’ che non ti fai sentire. Ti passo la mamma”

“No!”, le urlo in risposta.

Credo di averle forato un timpano.

Devo dire che non ho delle reazioni molto controllate.

“Calma, così mi farai diventare sorda”

Avevo ragione, le ho forato un timpano.

Pazienza, ha sempre l’altro orecchio.

“Ho bisogno del tuo aiuto”

“Come, come. Tu, la donna ‘ guai a chi mi tocca e chi mi da una mano che faccio tutto da sola ’ chiede aiuto a me, la sua sorellina?”

“Ho capito. Vuoi che te lo ripeta perché ti fa troppo piacere. Ho bisogno di te”

“Non manca una parolina magica?”

Come mi irrita quando fa così.

Darei un pugno in testa anche a lei.

“Per favore”

“Così va meglio. Allora cos’è successo? Hai ucciso qualcuno? Perché non vedo altra situazione in cui tu abbia bisogno l’appoggio di qualcuno.”

“No. Non sono ancora diventata un’assassina”

“Oh. Però hai una voce così abbattuta?”

Fa una piccola pausa.

“Ti hanno cacciata dall’università!”

Questa volta mi ha forato lei un timpano.

“Ma che cosa dici. No, niente di tutto questo”

Mi fermo un attimo pensando alle conseguenze di quello che sto per dirle.

“Ho un lavoro” continuo con un tono un po’ più mesto.

“Scusa. Hai ottenuto un lavoro e sei triste?”

“Non è per il lavoro”

“Oh. Oh! OH!!!”

“Cosa?”

“Oooooooh!!!”

“Cosa c’è?”

“È per un uomo” risponde tra lo sbigottito e lo stupefatto.

 

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Ve l’avevo detto che era più perspicace di me.

 

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“Ma che cosa dici,” rispondo poco sicura.

“Fammi indovinare. Il tuo datore di lavoro è un gran figo”

A volte mi chiedo se ha la sfera di cristallo o se mi spia con delle telecamere.

“In un certo senso” continuo sempre meno convinta.

“Ooh, ti sei presa una cotta per lui”

“Senti, non ti ho chiamata per chiederti aiuto in fatto di uomini. Devo solo rinnovare un po’ il mio look. Giusto per non fare brutta figura al lavoro.”

“Ah, si certo. E…” fa lei con un tono da saputa.

“E mi chiedevo se tu potevi aiutarmi”

C’è una piccola pausa.

“E quando cominceresti? Così da sapere quando andare a fare compere”

“Domani”

“Come domani? Ma c’è troppo poco tempo” dice quasi infuriata.

“Be’. Non sono io a decidere quando incomincio” continuo seccata.

“E come facciamo, scusa?”

“Pensavo che potevi venire qui e portarmi qualcosa di tuo. Sei a casa da scuola vero? Hanno già riaperto dopo che hanno ceduto le fondamenta?”

“Sei fortunata. La scuola è ancora sottosopra.”

“Bene. Puoi prendere la macchina della mamma e venire qui qualche giorno, tanto la mia compagna di stanza non c’è”

 

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All’epoca Dawn aveva da poco compiuto sedici anni e, a differenza di me, è riuscita a prendere subito la patente.

L’ho sempre invidiata per questo.

 

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“Lo sai che non rifiuto mai un soggiorno gratis a Los Angeles. Però è meglio che sia tu a parlar con la mamma.”

“Va bene. Ci penso io. Parti il prima possibile. Adesso passamela”

“Sei così convinta che mi lasci venire?”

“A me non rifiuta mai niente”

“Lo so.” Dice un po’ seccata.

“A dopo”

“Ti aspetto”

Poi mi viene in mente una cosa.

“Non dire niente alla mamma del lavoro”

“Perché?” chiede un po’ stupita.

“Perché non so ancora se la cosa va in porto e quindi non vorrei darle delle illusioni per poi deluderla”

“Capisco. A dopo”

Aspetto qualche secondo mentre Dawn cerca la mamma per passarmela.

“Pronto”

“Ciao mamma. Volevo chiederti un favore. Dawn può venire da me qualche giorno?”

“Non saprei. Perché?”

“Be’, veramente la mia compagna di stanza non c’è, e non mi piace rimanere da sola.”

È la prima scusa che mi è venuta in mente.

“Di notte poi, se non c’è nessuno, ho un po’ paura”

Così figuro come una fifona, però quale altra scusante potevo trovare.

“Va be’. Se non ti senti sicura è meglio che venga qualcuno. Verrei io ma ho degli impegni al lavoro”

“Lo immaginavo, per questo ho parlato di Dawn”

Ci manca solo che mi ritrovi a dormire nella stanza con mia madre.

“E quando deve venire?”

“Veramente, pensavamo a questo pomeriggio”

“Ok. Però tienila d’occhio, non voglio che vada in giro da sola per Los Angeles”

“Non ti preoccupare. Mi prenderò cura di lei. Ciao”

“Ciao. E fatevi sentire ogni tanto”

Bene.

Adesso non mi resta che aspettare la mia sorellina.

Capitolo V

 

Ma quanto tempo ci mette.

Sono già le 18 e non è ancora arrivata.

Insomma, da Sunnydale a qui ci sarà un’ora e mezza di macchina, e anche se ha trovato traffico cinque ore mi sembrano eccessive.

Ma quando arriva?

Ecco. Adesso mi vengono i dubbi.

E se le fosse successo qualcosa?

No, ma cosa vado a pensare.

Magari l’hanno rapita gli alieni.

Chissà perché tutte le volte finisco per dare la colpa a qui poveri omini verdi.

Mi siedo e mi tranquillizzo un attimo.

Toc – Toc – Toc

Scatto in piedi come se la sedia bruciasse.

Ok, forse non mi ero poi tranquillizzata così tanto.

Vado ad aprire.

“Dawn. Ma dov’eri finita?”

Urlo decisamente forte, tant’è che alcuni ragazzi metto fuori la testa dalle loro stanze.

Mi guardo attorno e poi faccio un sorriso imbarazzato.

Prendo mia sorella per un braccio, la trascino dentro e chiudo la porta.

“Hey. E le mie valige?”

“Ah, si. Scusa”

Riapro la porta e mi ritrovo davanti un ragazzo con un sorriso stupido stampato in volto.

Lo guardo in modo interrogativo non capendo cosa vuole.

Poi abbasso lo sguardo e vedo che è circondato dai numerosi bagagli di Dawn.

Vuoi vedere che è riuscita a convincerlo a portarle su le borse?

Visto che neanche io ho voglia di trascinarle dentro la stanza, gli faccio un cenno per dirgli di entrare.

E così la povera vittima trascina in camera due valigioni da aereo, tre borsoni, due sacche e un beauty-case.

Mi viene spontaneo chiedere se ha portato tutta la casa.

“Allora mi dai il numero di telefono così ti chiamo?”

Chiede il ragazzotto con una faccia da ebete.

Ma dove lo ha trovato questo qui?

“Non ti preoccupare ti chiamo io”

Dice Dawn mentre si siede comodamente sul mio letto.

E brava la sorellina.

È un maga quando deve scaricare qualcuno.

“D’accordo”

Dice mentre si avvia alla porta che io gli apro volentieri.

“Allora ciao”

Continua quando è ormai fuori dalla stanza, e, mentre Dawn gli fa un cenno della mano, io chiudo l’uscio.

Mi volto e ci guardiamo.

Stiamo aspettando entrambe la stessa cosa.

Tre. Due. Uno.

“Ehy. Non ti ho mai dato il mio numero di telefono?”

E scoppiamo a ridere.

È una tattica fissa.

L’avrà già usata mille volte per ottenere dei favori da qualcuno, ma a quanto pare funziona sempre.

Adesso che ci siamo calmate, mi metto di fronte a lei e le chiedo un po’ seccata.

“Allora, che fine avevi fatto?”

“Per prima cosa: calma, stavo lavorando per te. Secondo: dovevo fare le valigie e prendere il minimo indispensabile.”

È il ‘minimo indispensabile’ che mi spaventa.

Pensa se avesse dovuto portare qualcosa di superfluo.

“Terzo: dovevo comprare un paio di cose”

Perché, a quanto pare, tra ‘il minimo indispensabile’ qualcosa mancava.

Non sapendo cosa dirle, annuisco e mi siedo sul letto della mia compagna di stanza.

“E così finalmente hai cominciato a guardarti intorno”

Continua lei con un sorriso da saputa stampato in volto.

“Non mi sono guardata intorno. Mi è capitato”

E mi rattristo un po’, non so neanche io bene perché.

“Ehy. Guarda che non è una disgrazia se un bel ragazzo irrompe nel tuo cammino.”

“Si lo so. Ma quando il ragazzo è il più bell’uomo che tu abbia mai visto e casualmente diventa anche il tuo datore di lavoro e tu non sei una bomba sexy, diventa tutto un po’ più difficile.”

Credo che si sia persa su ‘il più bell’uomo che tu abbia mai visto’.

È rimasta lì con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati.

“Scusa, ma come sarebbe questo datore di lavoro?”

“Uno strafottente. Crede di sapere tutto lui e pensa che gli altri debbano fare tutto quello che dice solo perché è lui a dirlo”

Ormai questa frase è diventata il mio mantra.

Forse ripetendomi così, mi convincerò che, se lui non avesse insistito, non avrei mai accettato il lavoro.

“Si. Ma a parte questo, com’è, intendo fisicamente.”

In questo caso sono piuttosto sbrigativa.

“Non troppo alto, capelli biondo platino e credo che siano tinti, e occhi azzurri”

A questo punto mi alzo e punto verso le valigie con fare nervoso.

“Cosa hai portato qui di bello?”

Dawn mi ignora e continua il suo discorso.

“Fammi un po’ indovinare, ha degli occhi stupendi e tutte le volte che ci pensi ti perdi. È per questo che non ne vuoi parlare.”

Insomma, non le sfugge nulla.

“E va bene.”

Torno a sedermi, e appoggiandomi con la schiena alla parete a cui è accostato il letto, mi metto a fissare il soffitto.

“È bello. Non so in quale altro modo descriverlo. Ha una voce così profonda che ti farebbe sciogliere come un ghiacciolo al sole anche se ti trovassi in una ghiacciaia. E poi il suo accento, credo che sia inglese. I suoi zigomi sono affilati ma comunque rendono armonioso il suo volto. Le labbra alla vista sembrano così morbide che verrebbe voglia di sfiorarle. E i suoi occhi sono così penetranti che ci si potrebbe perde. Di un blu così intenso da bruciarti l’anima.”

Lentamente mi sono persa nelle mie riflessioni, ma poco a poco ritorno alla realtà e sollevando la testa, porto gli occhi verso Dawn.

Mi sta guardando rapita e meravigliata.

“Potresti fare la scrittrice”

Mi dice quando anche lei si riprende dalle sue fantasie.

“Vedrai che troveremo il modo per incastrare il pollo”

Continua decisa di se alzandosi.

“Ehy, io non devo incastrare nessun pollo”

“Si. Si. Certo.”

Si avvicina alle sue valigie e, aprendone una, tira fuori una scatoletta bianca che mi lancia.

La afferro al volo e le chiedo “Che cos’è?”

“Guarda sul coperchio” mi risponde sorridendomi entusiasta.

“Lenti a contatto. Ma tu non porti gli occhiali”

“Non ho mai detto che sono per me”

Continua incominciando a tirar fuori dei vestiti da un borsone.

Chissà perchè, ma ho la sensazione che sarà una notte molto lunga.

Capitolo VI

 

 

Finalmente, dopo un’ora e mezza di metropolitana e tre cambi di linea, sono arrivata nella via dove abita Darcy.

È una bella strada, ampia e con pochissimo traffico.

Ai lati ci sono delle ville, qualcuna un po’ più grande, qualcuna un po’ più piccola, circondate tutte da un giardino.

Lui dovrebbe abitare al numero 14.

Passeggio scorrendo con lo sguardo sui vari numeri civici cercando quello che mi interessa.

E finalmente lo scorgo e di fronte mi trovo una delle ville più grandi.

È bianca, con davanti un portico sorretto da sottili colonne.

Mi sembra totalmente fuori dal suo stile.

È così delicata e, nonostante la sua grandezza, è semplice.

Alte piante ombreggiano i lati dell’abitazione, creando un bel gioco di luci ed ombre sulle finestre del piano superiore.

Guardo l’orologio.

Ormai sono le 11 e mezzo.

Ho paura che sia tardi.

Forse i trattamenti di Dawn sono durati un po’ più a lungo del previsto.

 

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Oh si, erano durati decisamente un po’ più a lungo di quello che prevedevo.

Non credevo che ci volesse così tanto per ‘restaurare’ il proprio look.

 

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In questo momento non so cosa fare.

Ho quasi timore di avvicinarmi troppo a questa casa.

E se uscisse un orco che poi mi sbrana?

Ma non dire sciocchezze.

Il massimo che può succedere è che lui, appena aperta la porta, ti guardi in faccia e, vedendo come ti sei conciata, scoppi a ridere.

Dai, non farti troppi problemi a suona quel campanello.

Prendo un profondo respiro e mi avvio per il sentiero che conduce alla porta.

Alzo la mano per suonare il campanello, ma la ritraggo subito dopo.

E se mi dicesse che sono troppo in ritardo e che quindi ha dato il lavoro ad un altro?

Oh, basta!

Non ce la faccio più.

Alzo di scatto la mano e suono quel maledetto campanello.

Ecco fatto.

Cosa ci voleva.

Adesso però non posso più tornare in dietro.

Non mi resta da fare nient’altro che aspettare.

Passano un paio di minuti e mi viene il dubbio che non sia in casa.

Forse ho fatto davvero troppo tardi e si è stufato di aspettarmi.

Oppure mi ha tirato il bidone.

Magari voleva solo farsi due risate e mi ha detto di venire qui per farmi uno scherzo.

Forse è dietro a qualche cespuglio a godersi la scena e a sbellicarsi dalle risate.

Mi volto e faccio per andarmene, quando sento la porta aprirsi.

Credo di essere stata un po’ troppo precipitosa nelle mie conclusioni.

Dopotutto ci vorrà qualche minuto per attraversare tutta la casa da una parte all’altra.

Perché non ci ho pensato prima.

Mi volto di nuovo e faccio per parlare, ma rimango totalmente senza parole.

È lì, di fronte a me, più bello del giorno precedente.

Non so cosa dire.

 

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Eh si.

Era di fronte a me indossando solo un paio di jeans.

Non portava la maglietta ed era scalzo.

 

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Ha i capelli arruffati e piccoli riccioli gli scendono sulla fronte.

Sembra quasi che si sia appena alzato.

In effetti ha anche lo sguardo che sembra un po’ addormentato.

Poi abbasso lo sguardo e noto che….

Si sta allacciando l’ultimo bottone dei pantaloni.

Le parole hanno totalmente abbandonato la mia bocca.

Allora stava davvero dormendo e l’ho svegliato.

Cavolo e io che pensavo di essere arrivata tardi.

È quasi mezzogiorno e lui dormiva ancora?

Però è molto carino in questa versione.

E poi il suo petto è così…

“Desidera qualcosa?”

Dice mentre si passa una mano fra i capelli e strizza gli occhi perché non abituati alla luce del sole.

Mi ero distratta un attimino.

Cosa ha detto?

Boccheggio senza riuscire a dire niente

“Ha bisogno di qualcosa?”

Chiede nuovamente.

Cosa?

Perché mi da del lei?

Forse ha cambiato idea sul darci del tu.

In fin dei conti lui è il mio datore di lavoro e così sarebbe più professionale.

“Io…”

Incomincio a dire, quando vedo che dalla scala che si intravede all’interno della casa sta scendendo una ragazza bionda che indossa solo una vestaglia azzurra cortissima.

È abbastanza alta, bionda e piuttosto formosa.

Come ho fatto a pensare che non avesse una ragazza che gira per casa.

“Chi è, orsetto biondo?”

Orsetto biondo?

Si è avvicinata alla porta e lui si è voltato a guardarla.

Non sembra però molto contento.

Intanto io faccio un passo in avanti, entrando così nel cono d’ombra creato dal portico.

“Arrivo Harmony. Un attimo.”

Lui si volta nuovamente e mi dice quasi un po’ seccato “Allora…”

Ma poi si ferma.

Non continua. Rimane quasi…

Non saprei come dirlo.

Forse stupito?

Capitolo VI - seconda parte

 

 

Lui si volta nuovamente e mi dice quasi un po’ seccato “Allora…”

Ma poi si ferma.

Non continua. Rimane quasi…

Non saprei come dirlo.

Forse stupito?

 

 

Incomincia a squadrarmi dalla testa ai piedi.

Anzi per la precisione dal basso verso l’alto.

Non sono sicura che le scelte di Dawn siano state buone.

Mi ha fatto indossare un paio di jeans scuri che mi fasciano le gambe, un maglione bianco che mi lascia le spalle scoperte ed una cintura alta nera che mette in risalto la mia vita stretta.

Ha alzato lo sguardo al mio volto.

Mi sta guardando i cappelli.

Una cascata di boccoli biondi mi scendono sulle spalle, e, con il sole che c’è oggi, sembra che piccole scintille dorate la attraversino.

Poi una ciocca mi cade davanti gli occhi, e con un gesto nervoso la porto dietro l’orecchia con la mano.

Ed è in quel momento che mi guarda negli occhi.

Non ho occhiali che mi nascondono e mi sembra quasi che si stia perdendo nel mio sguardo smeraldo, ma forse sono io che sto annegando nel suo mare.

Ritorno in me ed abbasso gli occhi, mentre sento lui che si schiarisce la voce.

Un silenzio imbarazzante cade tra di noi.

Forse dovrei dire qualcosa, ma in questo momento non mi viene in mente niente.

Fortunatamente il primo a parlare è lui.

“Allora…”

Forse anche lui non sa cosa dire.

“Come ti chiami?”

Rimango un attimo perplessa.

Vuoi vedere che si è dimenticato come mi chiamo?

Be’, non ci sarebbe da stupirsi visto che non sono una che rimane molto impressa nella mente.

Alzo nuovamente lo sguardo e noto che mi sta guardando come se non mi avesse mai vista in vita sua.

Un’idea mi passa per la testa e realizzo la verità.

Non mi ha riconosciuta.

Non ha il minimo sospetto che possa essere la ragazza che ha incontrato ieri.

Il panico mi assale.

Questa non sono io.

Non so cosa mi è venuto in mente quando ho chiamato Dawn.

Devo andarmene prima che lui capisca tutto.

“Non ti ricordi come ti chiami?”

Mi chiede sorridendo mentre si appoggia allo stipite della porta.

“Buffy”

Ho risposto meccanicamente il nomignolo con cui mi chiamava mio nonno.

Mi è venuto quasi naturale.

“Carino”

Continua lui continuando a sorridere.

“Strano, ma ti si addice”

Come fa a sapere che mi si addice se non mi conosce neppure?

Lasciamo stare.

Intanto ho un’illuminazione.

“Scusa, credo di aver sbagliato indirizzo”

E a questo punto, mi giro e quasi correndo me ne vado.

Arrivata in fondo al vialetto in effetti non so cosa fare.

Mi volto leggermente in dietro e lo vedo ancora li sulla porta che mi fissa.

Perché non se ne torna dentro da quell’oca che lo aspetta invece di star lì a guardare cosa faccio io?

A questo punto mi dirigo decisa verso la casa che si trova di fianco.

Percorro il vialetto anche di questa e arrivo davanti la porta.

Suono decisa il campanello sperando che qui non abiti un energumeno che non desidera essere disturbato.

Con la cosa dell’occhio lo vedo ancora.

Ora si è spostato sotto il portico.

Ma certo.

Così si può godere meglio la scena del mio linciaggio in diretta.

La porta intanto si apre e davanti mi si presenta una signora, fortunatamente dalla faccia simpatica.

Magari mi sbaglio e dietro la schiena ha un matterello pronta per darmelo in testa.

“Buongiorno signorina, cosa desidera?”

Mi prendo coraggio e bisbigliando incomincio a parlare.

“Signora, per favore, mi regga il gioco. Faccia finta di conoscermi”

E intanto il mio sguardo cade velocemente nella direzione di Darcy.

“Ahaaaaa. Ho capito. Entra cara”

Oh, grazie al cielo.

E un pezzo di figuraccia me la sono risparmiata.

La signora si scosta dalla porta e mi fa entrare.

“Fammi indovinare. Un’altra vittima di quel Dongiovanni di Darcy?”

Dunque, i casi sono due: o hanno tutti la sfera di cristallo, o sono io che ho stampato in fronte quello che succede.

Forse è più probabile la seconda.

“In un certo senso”

Intanto mi accompagna in salotto a fa cenno di sedermi sul divano.

“Lo immaginavo” dice mentre si dirige verso la cucina.

Dopo pochi attimi ritorna con un vassoio pieno di biscotti.

“Lo so che non è l’ora adatta, ma so anche che in questi casi ci vuole qualcosa di dolce”

Le sorrido e ne prendo uno.

“Sono buonissimi. Credo di non averne mai mangiati di più buoni. Neanche quelli di mia mamma sono così.”

“Sono contenta che ti piacciano” mentre mette su un sorriso a quarantadue denti.

Passo qualche secondo in silenzio mentre mi gusto il dolcetto e mi accorgo che non mi sono neanche presentata.

“Mi scusi, non mi sono neanche presentata. Io sono Elisabeth”

E le porgo la mano che lei mi stringe in modo affettuoso.

“Piacere. Io sono Anne”

Poi si va a sede sulla poltrona di fronte a me, mettendo il vassoio sul tavolino che si trova in mezzo a noi.

“Allora. Cos’è successo?”

Non è che ne abbia molta voglia di parlarne, però questa signora, con i capelli bianchi raccolti dietro la nuca e il volto gentile, mi ispira fiducia.

“Niente di particolare. Non mi ha riconosciuta.”

Mi guarda interrogativa, ma forse capisce che preferisco soprassedere e così lascia cedere l’argomento.

“Non vorrei approfittare della sua gentilezza, ma potrei fare una telefonata?”

“Ma certo. Fa pure come se fossi a casa tua.”

Mi alzo e vado vicino al cordless e tiro fuori da in tasca un foglietto dove ho scritto il numero di telefono di Darcy.

Mano male che ieri mi è venuto in mente di cercarlo per chiedergli eventuali informazioni per trovare la casa.

Vedo che anche la signora si alza e torna in cucina.

Forse vuole lasciarmi da sola e per non far vedere che è curiosa su ciò che dovrò dire.

Compongo il numero e, mentre lascio squillare il telefono, sospiro.

Speriamo che non risponda la biondona.

Finalmente sento alzare la cornetta.

“Pronto?”

Ha risposto lui, meglio così.

“Salve, sono Summers.”

“Oh, salve”

Chissà perché mi da l’idea che si sia dimenticato che dovevo venire.

“Ecco, volevo solo…”

Ho ancora qualche problema a dargli del tu, ma al telefono è più facile.

Non ci sono i suoi occhi che continuano a fissarmi.

“Volevo solo dirti che oggi non posso venire. Ho avuto un intoppo all’università. ”

Speriamo che non mi chieda quale intoppo.

“Ah, va bene.”

“Se ti va bene potrei venire domani, dimmi solo l’ora?”

E questa volta vedi di dirmi un’ora che mi permetta di non incontrare quell’oca in mutande.

“Facciamo alle tre del pomeriggio?”

“Ok, va bene. A domani”

“A domani”

E riattacco velocemente.

Appena fatto ciò, la signora torna nella stanza.

“Tutto bene?”

“Si, si. Tutto bene” le rispondo con un sorriso.

Poi mi si avvicina e mi indica il ciondolo che indosso.

“Sai, stavo guardando il ciondolo che hai al collo. È molto bello. Cosa rappresenta?”

“È l’occhio di Ra stilizzato.”

“Non ne ho mai visti così in giro”

“Si. È un pezzo unico. Ho fatto io il disegno e me lo sono fatto fondere apposta.”

Continua a sorridermi.

Forse le sto decisamente simpatica.

“Ora dovrei andare” le dico.

“La ringrazio davvero tanto per il suo aiuto”

Intanto mi dirigo verso la porta.

“Sono sempre contenta di aiutare una brava ragazza come te”

Le sorrido mentre apro la porta.

Faccio qualche passo all’esterno e poi mi volto nuovamente in dietro.

“Grazie ancora e arrivederci.”

Lei è sulla porta e mi fa un cenno con la mano.

Mi incammino verso la fermata della metropolitana, ma prima di allontanarmi troppo, getto un’ultima occhiata alla casa di Darcy.

“Se ne riparlerà domani”

Dico tra me e me, e poi continuo per la mia strada.

Capitolo VII

 

 

Quella appena trascorsa era stata una giornata per così dire difficile.

Non avevo pensato alla reazione che poteva avere lui.

Non ero pronta al fatto che non mi riconoscesse, e la paura aveva avuto il sopravvento.

Ho sempre temuto le reazioni degli altri, e quando me lo sono trovato davanti che si comportava con me in modo differente dal giorno precedente, ho sentito un brivido scorrere lungo la mia spina dorsale.

Avevo attribuito la cosa alla paura, ma forse era qualcos’altro a cui all’epoca non sapevo ancora dare un nome.

Per un momento credo di essermi sentita lusingata dal suo sguardo, ma poi i suoi occhi così profondi mi hanno messo paura.

In tutti quegli anni mi ero creata una maschera che in quel momento non indossavo, e ciò che mi preoccupava di più era che lui potesse riuscire a leggere dentro la mia anima.

E la cosa che mi è riuscita più facile è stato alzare un muro di difesa che mi separasse da un pericolo imminente.

Dopo l’incontro ero tornata nella mia stanza.

Fortunatamente Dawn non c’era, così non le dovevo delle spiegazioni.

Mi sedetti davanti allo specchio e incomincia a spazzolarmi i capelli fino a renderli lisci come lo erano prima del trattamento.

Mi cambiai e tirai fuori di nuovo la mia tuta e gli occhiali dopo aver tolto le lenti a contatto.

 

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Ormai è pomeriggio inoltrato e sta già venendo buio.

È questo che odio dell’inverno.

Il buio e il freddo.

Mi siedo vicino alla finestra e guardo gli ultimi raggi del sole scomparire oltre l’orizzonte.

La mia mente torna alla mattina.

Anzi, precisamente torna alla bionda che era con lui questa mattina.

Come ha detto che si chiamava?

Harmony.

Ma che razza di nome è?

Solo un romanzo rosa si può chiamare così.

E poi, come era vestita.

Era forse uscita da una rivista di Playboy?

Uffa, perché mi sento così?

E poi così, come?

Non saprei come dirlo, forse infastidita?

Infastidita.

Perchè dovrei sentirmi infastidita da una che ho visto per trenta secondi e che ha a che fare con uno che ho visto in tutto tre volte?

 

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Bella domanda.

Forse, lì per lì, non sono riuscita a darmi una risposta, ma ora.

Lo ammetto, ero rimasta scottata dopo soli pochi istanti.

Il mio cuore aveva incominciato a battere più forte, e qualcosa aveva colpito il mio petto.

Voi credete nel colpo di fulmine?

Io si.

Ci ho sempre creduto.

E poi, fin da quando ero piccola, sono sempre stata un’inguaribile romantica.

In fondo lui racchiudeva in sé tutto ciò che nel mio subconscio avevo sempre desiderato, ma che non avrei mai potuto raggiungere.

Quante notti avevo sognato di trovare il così detto principe azzurro, che mio caso era un artista, che mi avrebbe portata via con se….

 

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Va bene, mi da fastidio che pensi ad un’altra.

Ma cosa ci posso fare?

Mi alzo e prendo da una mensola una pallina di gomma.

Sento i nervi a fior di pelle.

Devo scaricare la tensione in qualche modo.

Soppeso la pallina nella mia mano e poi la scaglio con tutta la mia forza verso la porta.

Peccato in quel momento Dawn abbia deciso di ritornare in camera, e così l’ho presa in pieno volto.

“Ahhuuu” grida.

“Ma sei impazzita?”

“Opss” è l’unica cosa che riesco a dire.

Lei entra nella stanza e si toglie la giacca che appoggia sul letto.

“Cosa ci fai al buio? Perché non hai acceso la luce?”

“Avevo gli occhi stanchi”

Dico la prima cosa che mi viene in mente.

Sta facendo troppe domande.

Scommetto che tra poco capisce tutto.

“Già, certo. Forse ti sei stancata troppo a guardare il tuo datore di lavoro.”

No, di quello non mi stancherei mai.

Guarderei i suoi occhi per l’eternità se si potesse.

Non pensarci, mantieni l’attenzione, non far vedere che pensi ad altro.

In questi momenti mi sento tanto un agente segreto che non deve a tutti costi confessare al nemico, anche se sotto tortura, la combinazione per entrare nel laboratorio.

La vedo che si incammina verso la parete ed accende la luce.

Non ho voglia di dirle di oggi, ma so anche che, probabilmente, non desisterà fino a quando non avrà saputo tutto quello che è successo nei minimi dettagli.

“Allora, come è andata oggi?”

Mi chiede con un sorrisetto stampato in volto mentre si sta cambiando.

E io non posso fare a meno di raccontarle tutto.

 

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Vi risparmio il resoconto dettagliato della giornata.

Da io che suono il campanello a lui mezzo svestito; dalla biondona a lui cha non mi riconosce; fino alla simpatica signora.

Aveva ascoltato tutto in silenzio e ora non poteva non arrivare il suo verdetto.

 

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“E così non ti ha riconosciuta”

Mi dice alzandosi ed incominciando a girare per la stanza.

Io annuisco in risposta.

Passa qualche momento senza che dica qualcosa.

“Bene”

Come bene.

Non dovrebbe andare bene?

In teoria non sa neanche chi è quella che ha suonato alla sua porta.

“Sbaglio, o ti ha detto che dovrai andare a delle manifestazioni con lui?”

Cosa c’entra questo.

“Si” le rispondo interrogativa non capendo cosa intende.

“Bene” ripete.

Io non sono molto convinta che vada ‘bene’, ma se lo pensa lei.

Si porta una mano sotto il mento e poi mi si rivolge con uno sguardo diabolico.

Ho paura quando fa così.

“Credo di aver avuto un idea”

Capitolo VIII

 

 

Avevo passato gran parte della notte a discutere con Dawn la sua idea.

Secondo lei dovevo presentarmi al lavoro come me stessa e poi in occasione di qualche evento mi sarei presentata, diciamo, con i miei nuovi panni.

Devo ammettere che era molto orgogliosa del suo piano.

 

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Ed eccomi di nuovo di fronte a me la casa di Darcy.

Questa volta però sono nei miei panni.

Sono nuovamente davanti alla sua porta e mi ritrovo come ieri indecisa sul da farsi.

Insomma, in teoria lui dovrebbe essere lì ad aspettarmi.

Magari senza la biondona tra i piedi.

Dai, fatti coraggio e suona il campanello.

Ecco, l’ho fatto.

Aspetto qualche secondo e poi la porta si apre e dietro c’è lui.

Be’, oggi sembra anche sveglio ed è anche vestito.

Forse questo un po’ mi dispiace.

“Ciao, ti stavo aspettando”

Mi dice facendomi il cenno di entrare.

E io rispondo con un timido sorriso.

Così finalmente entro nella casa del famoso Darcy.

“Benvenuta nella mia umile dimora”

Be’, tanto umile non sembra visto che ad accogliermi c’è un grande atrio che è più grande di tre stanza di casa mia messe assieme.

Tutto è nella tonalità del bianco e dell’azzurro chiaro.

Sul fondo c’è lo scalone che avevo intravisto ieri, e mi sembra più grande.

“Vieni. Il mio laboratorio è di qua.”

Io lo seguo mentre mi conduce attraverso la casa.

Tutto è arredato in modo molto fine.

Sembra quasi che ci sia la mano di una donna.

Speriamo che non sia la bionda.

A proposito, non l’ho ancora vista.

Chissà dov’è?

Dopo aver attraversato diversi corridoi, ecco che arriviamo dall’altra parte della casa.

“Dunque, questa è la cucina, così se ti venisse fame puoi venire a prendere qualcosa.”

A questo punto apre una porta finestra ed esce nel giardino.

“Vieni”

E si dischiude di fronte a me un grande parco.

Non avrei mai immaginato che dietro alla casa ci fosse così tanto verde.

Rimango un attimo a contemplare ciò che mi circonda, mentre lui si incammina, così devo fare una piccola corsetta per raggiungerlo.

Ed ecco che da dietro ad un gruppetto di alberi lentamente compare una piccola costruzione.

“Ecco il mio rifugio segreto” mi dice facendomi un sorriso.

“Vengo qui quando voglio stare tranquillo”

“È un bel posto” gli dico ammirando ciò che mi circonda.

“Manca solo un ruscello e sarebbe perfetto” continuo.

Lo guardo e sembra quasi che stia ponderando la mia idea.

“Chi lo sa. Forse un giorno posso farne fare uno artificiale”

Poi tira fuori una chiave e si avvicina alla porta.

La apre e mettendosi di lato mi dice “Benvenuta nella mio angolo di paradiso”

Entro e mi trovo davanti una grande sala dove da un lato c’è una scrivania con dei fogli e dei libri sopra, dall’altro ci sono delle tele appese.

In un angolo ci sono delle tele bianche.

Alcuni fogli sono sparpagliati un po’ ovunque, alcuni bianchi altri con qualche schizzo sopra.

Una parete, probabilmente quella nord, è tutta a vetri, e questo da una grande illuminazione allo spazio.

I pennelli, come i colori, sono lasciati in tutti gli angoli.

Non so perché ma l’ambiente mi sembra famigliare.

Mi pare quasi di tornare nella stanza dove mio nonno dipingeva.

E sono a casa.

“Ok. L’ordine non è il mio forte”

Mi dice mentre raccoglie alcuni fogli da terra.

Intanto io sono persa nei miei ricordi ed un sorriso malinconico mi increspa le labbra.

“Tutto bene?” mi chiede venendo vicino.

Porto gli occhi verso di lui.

“Si, solo qualche ricordo”

Poi faccio una pausa di qualche secondo.

“Non ti preoccupare per il disordine. Sono bene come sono fatti gli artisti”

Gli dico con un sorriso più solare e vedo che mi guardo in modo strano.

Mi sta fissando e sembra quasi che mi stia studiando.

Distolgo lo sguardo e lo punto sulle tele appese.

Mi schiarisco la voce e continuo.

“Sono questi i quadri?”

Mi si avvicina e mi si mette di fianco osservando anche lui le tele.

“Si.”

Poi si scosta e si avvia verso la porta.

“Be’, ora ti lascio sola così poi lavorare senza che nessuno ti disturbi. A dopo”

“Va bene, a dopo”

Prendo la sedia della scrivania e la porto davanti ai quadri.

Incomincio a studiarli e poi tiro fuori dalla borsa che ho con me un blocco per gli appunti ed incomincio a scrivere.

 

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Avevo passato diverso tempo davanti a quei lavori.

E non mi ero accorta del tempo che passava.

 

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Ho scritto quasi dieci pagine ed ora mi è venuta sete.

Quasi quasi vado a prendermi qualcosa da bere.

Mi alzo e, quando esco, chiudo la porta.

Non vorrei che venisse qualcuno a rubargli i quadri.

Riattraverso il giardino e, mentre mi avvicino alla casa, sento delle voci.

Una è la sua e l’altra sembra quella di un altro uomo.

Lentamente mi avvicino e noto che la porta è aperta.

Quando arrivo sulla soglia busso educatamente contro lo stipite della porta per rendere nota la mia presenza.

I due si voltano verso di me e William mi fa cenno di entrare.

“Oh Elisabeth, vieni. Ti presento una persona”

Ed indica l’altro uomo che è con lui.

“Elisabeth, questo è Angel O’ Connol, è il mio manager. È lui che organizza le mostre”

Lo guardo per un attimo.

Devono avere più o meno tutte e due la stessa età, ma sembra l’opposto di Darcy.

È alto, con i capelli e gli occhi scuri.

È di sicuro un bel ragazzo ma sembra quasi che un velo di malinconia gli oscuri il volto.

Chi lo sa, magari ha avuto una delusione amorosa.

“Piacere” dico mentre gli tendo la mano che lui subito mi stringe contraccambiando.

Questa volta però non sento un brivido scorrere per la spina dorsale come mi era capitato col biondo.

È una semplice stretta di mano.

“Stavo per venirti a chiamare.” Mi dice William .

“Angel era venuto a dirmi che la mostra che si doveva fare fra due settimane è stata anticipata a domenica prossima. Mi spiace, avrai meno tempo per scrivere le recensioni”

“Non è un problema. Solo che dovrò tornare di nuovo nei prossimi giorni per vedere ancora i quadri”

Di sicuro non è il poco tempo per scrive che mi preoccupa, è Dawn che mi preoccupa.

Lei ha bisogno dei suoi tempi per organizzarsi e adesso mi farà una testa grossa come una casa dicendomi che ha troppo poco tempo per preparare tutto.

“Vieni quando vuoi. Non farti problemi su questo”

Annuisco e poi getto un’occhiata all’orologio.

Sono già le sei, sarà meglio che mi incammini se no arrivo a casa a mezzanotte.

“Ora dovrei andare. Si è fatto tardi.”

“Ah si, certo. Allora a domani”

“A domani e piacere di averti conosciuto Angel”

Guardo entrambi gli uomini che ho di fronte e poi con un cenno della mano mi congedo.

Capitolo IX

 

 

È finalmente la grande sera.

Tutto è stato preparato.

Le tele sono state portate nelle sale per le mostre temporanee del Museum of Modern Art, e le mie recensioni sono state stampate su manifesti da esporre accanto ai quadri.

Una grande limousine è venuta a prendermi ed ora mi sta portando al ricevimento.

La macchina scivola lentamente per le vie di Los Angeles, mentre il sole sta pigramente tramontando sul mare e l’imbrunire colora di un rosso porpora tutta la città.

Un grande parco compare in fondo alla via, e la vettura prende un sentiero illuminato da piccole luci all’interno di questo e mi porta fino davanti all’enorme struttura bianca del museo.

Un clima di festa aleggia intorno a tutto il palazzo.

Grandi festoni di fiori ornano l’entrata e rendono il tutto più sontuoso.

La limousine si ferma e scendo proprio davanti allo scalone che porta all’interno.

Sono già tutti arrivati e l’ingresso ora è vuoto.

Salgo gli scalini uno per uno ed arrivo all’ammezzato che si affaccia sul giardino.

La sera ormai è scesa e le luci della festa brillano ancora di più.

Cammino lentamente e sento le prime battute del valzer aleggiare per le stanze.

Le note si diffondono ovunque e giungono fino alle mie orecchie.

Il ricevimento è già cominciato e il mio ritardo è puntuale.

Attraverso un lungo corridoio e l’addetto a ritirare gli inviti chiede anche la mia partecipazione.

Gli consegno il foglietto con l’invito, lo legge con attenzione, controlla il mio nome su un elenco e poi, facendomi un piccolo inchino, mi fa passare.

Sono in cima alle scale che portano al salone della festa.

Le mille luci mi investono e si riflettono nei piccoli brillanti del mio lungo vestito azzurro chiaro.

Ho le spalle lasciate scoperte, come anche parte della schiena.

La gonna scende dolcemente dalla mia vita e termina con un piccolo strascico.

I capelli li ho raccolti morbidamente sul capo, fermandoli con monili decorati con piccole perle intonate al vestito.

Alcune ciocche mi scendono dolcemente sul collo e ai lati del volto.

Mi sento tremendamente fuori luogo.

Tutti sembrano vestiti meglio di me e più adatti ad eventi del genere.

Faccio per scendere i primi scalini e sento gli sguardi di tutta la sala puntati su di me.

Il valzer continua ed alcune coppie stanno ballando al centro della sala.

Altre persone stanno parlando a piccoli gruppi tra di loro, e mentre, continuo la mia discesa, lo vedo.

Sta parlando con alcune persone che non conosco, ma a me non importa.

Per me esiste solo lui.

Bello più che mai nel suo smoking scuro che gli cade perfettamente come se gli fosse stato dipinto addosso.

Distinto nella sua figura, spicca su tutti per il suo portamento.

E non posso fare a meno di innamorarmene ancora di più.

Mi mancano solo pochi gradini quando lo vedo voltarsi e punta i suoi zaffiri su di me.

Non posso fare nient’altro che abbassare lo sguardo.

Finalmente sono nella sala, e la numerosa gente si fa da parte per farmi passare.

Continuo a camminare e lui è lì, di fronte a me.

Mi guarda sempre più intensamente, e poi lo vedo che si incammina nella mia direzione.

Ormai è a pochi metri da me ed io mi fermo, non essendo più in grado di camminare.

Mi si avvicina e, porgendomi una mano, mi dice:

“Mi concedi questo ballo?”

Come ipnotizzata, faccio scivolare la mia mano nella sua e mi lascio trasportare al centro della sala.

Le battute centrali del valzer stanno per cominciare.

Lui mi cinge la vita con un braccio e mi attira e se, e poi, senza neanche che me ne accorga, sto già volteggiando insieme a lui.

Non riesco a capacitarmi che i miei piedi si stiano muovendo.

Mi sembra di volare.

Forse è lui che mi sorregge e mi conduce senza che me ne renda conto, ma questo poco importa.

Sono tra le sue braccia e questo mi basta.

I suoi occhi sono puntati nei miei e mi perdo in quelle profondità blu.

Sorrido.

Sono, per la prima volta dopo tanto tempo, veramente felice, e lui sembra che legga questo nei miei occhi e mi sorride in risposta.

La musica rallenta per un attimo e vedo che una domanda si forma nei suoi occhi.

“Cosa ti ha portato qui, Buffy?”

Mi chiede con la più grande naturalezza.

Non mi ha nuovamente riconosciuta.

La delusione è visibile nel mio sguardo e poi non ce la faccio a resistere oltre e scappo via correndo verso il terrazzo, lasciando da solo al centro della sala.

È stupito, non capisce cosa è appena successo e non sa cosa fare.

Si guarda attorno e vede da un lato della sala Angel e si dirige verso di lui.

Lo saluta e il moro gli dice:

“Cosa hai fatto per far scappare così il tuo critico privato?”

Gli occhi di William si aprono sbalorditi, capendo finalmente cosa c’era che non andava.

Incomincia a guardare da tutte le parti cercando qualcosa che evidentemente non trova.

Cammina concitatamente tra gli invitati sperando di trovare ciò che ha perso.

Poi vede le finestre che danno sulla terrazza aperte e decide che è li ciò che cerca.

Ed arrivato all’aperto mi vede, lì, appoggiata alla balaustra con gli occhi rivolti verso il cielo ed una lacrima solitaria che scende giù per il volto.

Mi si avvicina e mi accarezza dolcemente la guancia asciugandomi la lacrima.

“Scusami”

Mi volto lentamente verso di lui.

Sembra veramente dispiaciuto.

“Come ho fatto a non capire prima che eri tu?”

Chiede a se stesso quasi rimproverandosi.

“Solo i tuoi occhi brillano così”

Il mio sguardo è ancora arrabbiato ed allo stesso tempo triste, ma so, che nel profondo del mio cuore, l’ho già perdonato.

Le note del valzer riecheggiano ancora e giungono fino a noi.

“Permettimi di rimediare”

Mi porge nuovamente la mano.

Anche se volessi, non posso rifiutarla e senza accorgermene sto volando di nuovo fra le sue braccia.

Ad ogni volteggio, il sorriso, poco alla volta, fa ritorno sulle nostre labbra.

Ed ecco la battuta finale del valzer.

Mi stringe di più a se poi, come in un sogno, le sue labbra incontrano le mie in un bacio da film.

 

“Buffy…. Buffy, svegliati. Oggi dobbiamo andare a comprarti il vestito. Ricordi?”

“Ooosa?” mastico ancora nel sonno.

“Su dai, alzati. È già tardi”

Mi rigiro nel letto.

“Ehy, stati stritolando quel cuscino come se stessi abbracciando l’uomo più bello del mondo”

A queste parole, mi risveglio del tutto ed apro un occhio.

In effetti STAVO abbracciando l’uomo più bello del mondo!!!

Uffa, odio quando mi svegliano mentre sto facendo un bel sogno.

Fisso il soffitto e mi fermo un secondo a pensare.

Era solo un sogno.

Eppure mi era sembrato così reale.

Be’, in effetti il contesto era un po’ strano.

Tanto per cominciare gli abiti sembravano quelli dell’ottocento e poi non credo che ad un party per l’inaugurazione di una mostra si balli il valzer.

Senza contare il fatto che Darcy mi ha baciata.

Totalmente impossibile.

“Allora, ti vuoi alzare o preferisci rimanere lì tutto il giorno?”

A pensarci bene preferirei restare qui e riprendere il mio sogno.

Mi volto verso mia sorella e vedo che mi sta guardando con sguardo assassino.

“Va bene, va bene, mi alzo”

Così faccio ed una nuova giornata comincia.

Capitolo X

 

 

Avevo trascorso buona parte della mattinata con Dawn, entrando ed uscendo da almeno metà dei negozi di Los Angeles, alla disperata ricerca del vestito per l’inaugurazione.

Fortunatamente, quando ormai i miei piedi gridavano vendetta, lo abbiamo trovato ed io sono potuta tornare da Darcy per continuare il mio lavoro.

Mi ero presentata alla sua porta, e, come il giorno precedente, mi aveva lasciato a disposizione il suo studio.

Dopo un po’ che stavo scrivendo, mi ero decisa a fare una pausa, e così, presa la giacca, mi sono andata a sedere sugli scalini davanti all’ingresso della piccola costruzione.

Il sole era ancora lato, e mentre ero intenta ad osservare le nuvole che correvano lente nel cielo, ho sentito qualcuno che si avvicina.

Era lui.

 

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“Lo sapevo che non si poteva resistere così a lungo a fissare i miei quadri”

Lo sento dire in modo serio mentre si avvicina.

“Si, hai proprio ragione. Non resistevo più li dentro con quegli obbrobri”

Gli rispondo altrettanto seria, mentre mi volto verso di lui.

Rimaniamo seri qualche secondo e poi scoppiamo a ridere.

E non so perché, ma mi sembra così naturale.

Sta indossando lo stesso spolverino che aveva un paio di giorni fa, e mi da l’aria così… così…

Be’, non so come, ma mi verrebbe voglia di saltargli addosso.

Ehy, non ti distrarre che sta parlando con te e poi non sai rispondergli.

“Allora, cosa ti porta qui fuori?”

Mi chiede mentre si avvicina ancora di più ed ormai mi è praticamente di fronte.

“Solo un attimo di pausa” gli dico con un’alzata di spalle.

“Mi sta bene”

E senza rendermene conto, me lo ritrovo seduto di fianco.

“Posso farti compagnia?”

“Certo”

E poi anche se non volessi ti sei già seduto e sei anche a casa tua quindi non ti posso scacciare.

Ma forse questo è meglio che questo non glielo dica.

Passa qualche attimo senza che nessuno dei due dica niente.

Ci godiamo semplicemente il momento di tranquillità.

Lo guardo con la coda dell’occhio, non voglio farmi beccare a fissarlo spudoratamente.

Noto che ha alzato anche lui la testa verso l’alto ed i suoi occhi riflettono il blu del cielo.

Una domanda mi viene spontanea: ma possono esistere degli occhi così blu?

Evidentemente si.

Però li dovrebbero dichiarare illegali, potrebbero far venire un infarto a qualcuno.

All’improvviso si volta nella mia direzione e punta i suoi occhi nei miei.

“Come mai hai scelto questo indirizzo?”

Mi perdo ancora qualche secondo nel suo mare, ma poi mi rendo conto che mi ha fatto una domanda.

Sono spiazzata, non so cosa rispondere.

Be’, forse perché ero impegnata a pensare ad altro.

Incomincio ad aprire e chiudere la bocca in stile pesciolino rosso, il tutto accompagnato da un bel punto interrogativo che si forma sul mio volto.

Lui se ne accorge, e, nascondendo un sorrisino ironico, mi ripete la domanda.

“Perchè hai scelto questo campo? Voglio dire l’arte.”

Ecco, finalmente ho seguito quello che mi doveva dire.

Porto lo sguardo davanti a me; non riuscirei a rispondergli se continuo a fissarlo.

“Per prima cosa mi piace.”

“Questo è ovvio”dice tornado a guardare le nuvole.

“Secondo mio nonno dipingeva e mia madre ha una galleria d’arte”

“Questo invece spiega l’inserimento nel campo e il lato affettivo. E poi?”

“E poi cosa?”

“Be’, hai detto primo, secondo, e questo implica anche un terzo che è…?”

“Non c’è un terzo”

Gli dico quasi seccata.

“Oh si che c’è, te lo leggo negli occhi”

Ma com’è insistente.

Gli lancio un’occhiata di fuoco, e lui mi sorride compiaciuto.

“Confermo, c’è un terza cosa. Su, dillo al vecchio Spike”

Lo guardo in modo interrogativo.

“Spike?”

“Ah, ah, ah, tu racconti la tua parte, poi io ti racconto la mia”

Sono curiosa di scoprire qualcosa di più su di lui, e così annuisco.

“Niente di particolare. Semplicemente l’arte mi trasmette emozioni, sentimenti, passione. E poi mi permette di creare il mondo che voglio, senza costrizioni, e di vedere le cose a modo mio.”

Riporto lo sguardo verso di lui e lo vedo accennare con la testa.

“Mi sembra una risposta esauriente.”

“Bene, adesso tocca a te dirmi come sei finito in questo mondo.”

“Va bene, una promessa è una promessa. Allora, da dove cominciare.”

Fa un piccola pausa e poi si appoggia indietro verso gli scalini.

“Fino a qualche anno fa mi piaceva scalare le montagne. Sai, sport estremi e tutte quelle cose là. E visto che si usano dei chiodi per arrampicarsi, è da qui che viene il mio soprannome. Poi un giorno sono scivolato. La fune di sicurezza ha ceduto ed io ho fatto un volo di… non mi ricordo neanche più quanti metri.”

“Mi spiace” mi viene spontaneo dirgli.

“Oh, non ti dispiacere. Se non fosse accaduto non saremmo qui, giusto” dice con anche un mezzo sorriso sulle labbra, voltandosi verso di me.

“Dunque, dov’ero rimasto. Ah si, la caduta. Be’, nel giro di un paio d’ore sono arrivati i soccorsi e mi hanno subito portato all’ospedale. Arrivato lì, però, mi dissero che avevo subito una brutta lesione alla spina dorsale e che, forse, non avrei mai più camminato.”

Il mio sguardo si fa più preoccupato.

“Tagliando corto, c’era una ragazza, un’infermiera, Drusilla, che mi seguì nella fisioterapia. Lì per lì, non facevo grandi progressi, e passavo le mie giornate a fissare il soffitto per ore, lasciando trascorrere le giornate, maledicendo tutto e tutti per la mia situazione. Un giorno lei venne da me e mi disse ‘Se proprio non vuoi muovere quel tuo bel culetto, almeno potresti fare qualcos’altro’. La guardai scettico e poi lei, esasperata, ha tirato fuori da una borsa un blocco di fogli da disegno. ‘E cosa ci dovrei fare’ le dissi. ‘Dovresti disegnare il tuo angelo, perché è grazie a lui che sei ancora qui’. In effetti, fino a quel momento, non ci avevo pensato. Avrei potuto morire e non me ne ero neanche reso conto. E così eccomi qui a fare il pittore”

“Storia triste, ma bella.”

“Già”

Passiamo alcuni momenti in silenzio, e, poi, mi viene in mente una cosa.

“È lei la ragazza che ti ha lasciato?”

“Si ma, come fai…”

“Lo hai detto a lezione e io, di solito, quando le persone parlano le sto ad ascoltare.”

“Be’, però hai anche una memoria di ferro”

Diciamo che le cose che mi interessano me le ricordo immediatamente.

“E come mai…?”

Sono estremamente curiosa di sapere perchè ha lasciato uno come lui.

È pazza.

Insomma, voglio dire, è bello, intelligente, spiritoso e ha anche lo spirito dell’artista, cosa vuoi di più?

“Diceva che mi ero innamorato del mio angelo”

Lo guardo in modo interrogativo.

“Non era molto sana di mente. Diceva sempre cose senza senso. Forse è un bene che se ne sia andata. Senza contare che mi tradiva con il primo venuto”

Opsss, forse non avrei dovuto rinvangare queste cose.

“Scusa, non volevo…”

“Non ti preoccupare. Oramai è acqua passata”

Meglio così, comunque, per come la vedo io, è sempre una in meno tra i piedi

In compenso mi viene in mente anche un’altra cosa.

A lezione aveva detto che non aveva la ragazza, eppure c’è la biondona che gira per casa.

Sarei curiosa di sapere com’è la situazione.

“E…adesso non c’è nessun altra? Non so, tipo Harmony?”

Appena ho detto queste parole, però, mi rendo conto che la biondona l’ho vista il primo giorno, quando non mi ha riconosciuta.

Speriamo che non se ne accorga.

“No…lei è…lei è…”

Be’, non sembra che abbia troppa voglia di definirla la sua ragazza.

“Un’amica?” suggerisco io.

“Si, giusto. Un’amica”

Poi vedo che gli sta venendo un dubbio.

“Come fai a conoscere Harmony?”

Bingo!!!

Adesso cosa gli dico?

Poi ho un’illuminazione.

“Ho sentito che chiamavi qualcuno così l’altro giorno, quando ti ho telefonato.”

Sembra ancora dubbioso, ma annuisce, probabilmente, non ricordando nei dettagli la nostra conversazione.

Il sole, nel frattempo, si è abbassato un po’.

“Forse è meglio che torni al lavoro”

Lui si guarda attorno.

Sembra quasi che non voglia smettere di chiacchierare.

Faccio per alzarmi, quando mi blocca con una domanda.

“E tu, il ragazzo ce l’hai?”

Una risata mi viene spontanea.

“Ma stai scherzando?” dico tra una risata e l’altra, mentre mi guarda quasi come se fossi impazzita.

“Hey, ma dai, guardami. Diciamo che ‘zitella’ è il mio secondo nome”

E poi continuando a ridere rientro nello studio, mentre lui rimane seduto sugli scalini ancora qualche momento guardandomi stupito.

Poi si alza anche lui e se ne va sorridendo e scuotendo la testa.

Capitolo XI

 

 

La settimana era trascorsa velocemente.

Avevo passato tutti i pomeriggi a casa di Darcy, e non avevo più visto la biondona.

Le recensioni erano state scritte, rilette e stampate in piccoli cataloghi.

Le tele erano state tolte dallo studio e portate al museo.

Ormai non c’era più niente da fare se non aspettare che venisse la sera di domenica.

E l’attesa era stata estenuante.

 

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Uffa, ho i nervi a fior di pelle.

L’appuntamento è per le ventuno di questa sera, e sono solo le due del pomeriggio.

Senza tener conto che questo è il mio primo lavoro.

Se non piacesse, la mia carriera sarebbe rovinata ancora prima di cominciare.

Però, insomma, non possono neanche pretendere più di tanto.

In fin dei conti sto ancora studiando e non sono di certo al livello dei più grandi critici mondiali.

Speriamo bene.

Io sarò agitata, ma Dawn sembra più su di giri di me.

Io sono comodamente seduta sul mio letto, con le cuffie nelle orecchie e la musica al massimo per non sentire lei che corre per tutta la stanza in cerca di non so cosa, mentre parlotta freneticamente tra sé e sé.

Se uno ci pensa bene la scena è divertente.

Si è fermata un attimo a pensare, poi un’espressione trionfante le si dipinge sul volto.

Probabilmente si è ricordata dove è ciò che sta cercando.

Si fionda verso una valigia e ci ficca dentro la testa.

Finalmente trova quello che cerca, ma questo è incastrato sul fondo della borsa, così incomincia a tirare, fino a quando la cosa cede e lei cade all’indietro trovandosi seduta per terra.

Il tutto contornato da una musichetta ridicola che si ripete nelle mie orecchie.

E così mi metto a ridere.

Dawn si gira arrabbiata verso di me ed incomincia a parlare.

Avendo però ancora le cuffie nelle orecchie non sento quello che dice e vedo solo la sua bocca che si muove senza emettere un suono.

Rido un po’ più forte.

Lei mi si avvicina e mi toglie gli auricolari con forza, quasi staccandomi un’orecchia.

Smetto di ridere e la guardo contrariata.

“Guarda che sto lavorando per te. Potresti almeno evitare di ridere di tutto quello che faccio.”

“Scusa sorellina, è che eri così buffa.” E mentre lo dico mi scappa ancora una risatina.

“Ehy, non chiamarmi sorellina. Ho sedici anni, e, a differenza tua, ho la patente.”

“Va bene, va bene. Scusa, grande donna di mondo.” E rido ancora.

Dawn incrocia le braccia e si volta dall’altra parte.

Credo di averla offesa definitivamente.

Mi avvicino, le appoggio una mano sulla spalla e le dico seria “Scusa, dai non volevo. Sai che ti voglio bene. E poi mi devi aiutare a prepararmi.”

Sembra un pochino meno offesa.

“Non è che ti stai scusando solo perché hai bisogno di me?”

“Ma no, dai”

Passa qualche istante, e poi mi viene in mente un’idea che potrebbe tirarle su il morale ed aiutare me a togliermi da questa situazione.

“Senti, che ne dici se questa sera tu venissi con me?”

Si volta nella mia direzione e mi fissa.

Bene ho la sua attenzione, però manca ancora qualcosa.

“Lo so che le mostre le trovi sempre noiose, però ci sarà un po’ di musica, degli spuntini e William ha detto che ci saranno anche alcuni suoi amici.”

I suoi occhi brillano, credo che stia pensando a qualcosa.

“E questi amici sono tutti come lui?”

Lo sapevo che il tema ‘ragazzi’ avrebbe attirato la sua attenzione.

“Be’, per quel che ho visto, si.”

“Va bene, ti accompagno, ma solo per farti piacere. Su, adesso andiamo a farci belle.”

Si, certo, mi accompagna solo per farmi piacere.

Ma a chi la da a bere.

Sono sicura che è rosa dalla curiosità per conoscere Darcy, e poi se ci fosse anche qualcuno carino con cui attaccare bottone sarebbe tutto di guadagnato.

La vedo che si dirige verso il bagno, ed io sorridendo la seguo.

 

Sei ore dopo sono davanti allo specchio vestita di tutto punto.

Dawn mi ha convinta a comprare questo vestito, ma non sono molto sicura del risultato.

È un semplice abito nero con una profonda scollatura.

Ha spalline sottile, mi lascia scoperta parte della schiena e la gonna è leggermente più lunga da una parte.

Abbinata al vestito c’è un mantella damascata, per proteggersi dal freddo.

In più mi ha fatto prendere un paio di sandali con un tacco vertiginoso.

Ho quasi paura di cadere e di rompermi la testa.

I capelli mi ricadono sciolti sulle spalle.

Gli occhiali sono spariti lasciando il posto alle lenti a contatto.

Mi guardo ancora scettica nello specchio.

Credo di sembrare ridicola.

“Sei bellissima”, mi dice Dawn.

“Ma, non so.” Continuo io sempre meno convinta.

“Fidati. Sono sicura che appena entrerai nel salone delle mostre, tutti cadranno ai tuoi piedi.”

Mi dice mentre esce dal bagno.

Ha indossato in leggero abito rosa antico in fantasia floreale.

Porta anche lei dei sandali con un tacco altissimo.

Mi chiedo se non ha freddo vestita così.

In fondo è quasi Natale.

I lunghi capelli castano chiari le scendono in morbidi boccoli sulle spalle.

Di sicuro in questa veste non dimostra sedici anni, potrebbe passare tranquillamente per una ventenne.

“Mi sa che cadranno tutti ai tuoi piedi e non ai miei”

Le dico rattristandomi un po’, in fin dei conti non posso competere.

Mi si avvicina e mi fa alzare la testa.

Poi mi gira verso lo specchio e si mette alle mie spalle.

“Ascoltami bene. Non hai niente da invidiare nelle altre ragazze. Guardati”

Continuo a fissare la mia immagine riflessa di fronte a me.

“Senza tener conto che sei la persona più intelligente che abbia mai conosciuto”

“Si, come no” le dico mentre mi scosto da lei.

“Lo ammetto, forse sono un po’ di parte. Ma sai una cosa…” e mentre parla mi viene nuovamente vicina, “… farei carte false pur di essere come te.”

La guardo stupita per la sua confessione.

“Perché?”

“Perché sei forte, ha superato tante cose, sei dove volevi essere dall’età di cinque anni, e sai una cosa?”

Faccio cenno di no con la testa.

“Se non ti muovi immediatamente per andare a realizzare il tuo sogno di critico d’arte solo perché hai paura di come ti giudichino gli altri per il tuo aspetto, giuro che ti prendo a calci nel sedere.”

“Grazie” le dico abbracciandola.

“Cosa farei senza di te”

Ho gli occhi lucidi e lei se ne accorge.

“Ehy, non piangere che se no ti si scioglie tutto il mascara.”

“Va bene” e sorrido, intanto Dawn guarda dalla finestra.

“Ora andiamo, il taxi ci sta già aspettando di sotto”

Afferriamo le nostre mantelle ed usciamo dalla stanza chiudendoci la porta alle spalle.

Capitolo XII

 

 

Il nostro taxi scivola per le strade della città.

Fortunatamente questa sera non c’è traffico, se no saremmo arrivate di sicuro in ritardo.

Dopo un paio di minuti il palazzo bianco del museo, illuminato a giorno, ci appare di fronte.

La macchina fa il giro della piazza e si ferma proprio davanti alla struttura.

Mentre Dawn scende, io pago l’autista e poi ci avviamo verso l’entrata.

Estraggo dalla borsetta il mio invito e lo porgo alla hostess che si trova davanti all’ingresso della mostra.

La donna lo legge e poi facendomi cenno di entrare, sorridendomi mi dice “Signorina Summers, ben arrivata. Alcuni invitati sono già entrati. Ecco a voi il depliant della mostra”

Dawn, preso il suo opuscolo, incomincia a sfogliarlo incuriosita.

Io, invece, sono un po’ preoccupata e la hostess sembra accorgersene.

“Se la può rassicurare, sembra che tutti gli invitati siano molto entusiasti dei suoi scritti”

“Davvero?”

Chiedo speranzosa alla donna di fronte a me.

“Si, glielo posso assicurare. Mi è già capitato di avere altri lavori come questo e, molte volte, se quegli opuscoli sono scritti male o sono noiosi, non rimangono in mano alla gente più di cinque minuti e poi finiscono nel cestino.”

“E i miei non li buttano?”

“No. Hanno già superato il quarto d’ora”

Mi risponde sorridendomi; sembra quasi contenta per me.

Un sospiro mi esce dalle labbra.

Un po’ di tensione se ne è andata.

“Grazie” le dico sincera, in fin dei conti mi ha dato una buona notizia.

“Vieni Dawn, andiamo”

Lei mi segue continuando a sfogliare il depliant e tenendo la testa bassa.

Ed ecco che facciamo il nostro ingresso nella sala.

In effetti c’è già parecchia gente e quasi tutti hanno in mano il frutto del mio duro lavoro.

Con gli occhi scandaglio il salone.

Non lo ammetterò mai, ma lo sto cercando.

Non lo vedo, forse non è ancora arrivato.

“Sai una cosa?”

Mi dice Dawn distogliendomi dai miei pensieri.

“Cosa?”

“Non so se ci hai fatto caso ma tutti i suoi angeli, le donne intendo, sono bionde.”

Non capisco quello che vuole dire.

“Gli piaceranno le bionde” le dico con noncuranza.

“Be’, questo mi sembra ovvio. Ma, guardati un po’, tu sei…”

“Sono cosa?”

Mi sto irritando.

“Ritiro tutto quello che ho detto sul fatto che sei intelligente. Ehy, sveglia, i tuoi capelli sono più biondi della birra.”

“Mi stai paragonando ad una birra?”

“Basta ci rinuncio”

Poi comincia a guardarsi attorno.

Forse è meglio lasciare cadere l’argomento.

Ad un certo punto, vedo il suo volto illuminarsi e, seguendo il suo sguardo, noto che ha puntato qualcuno.

È un ragazzo addetto alla sicurezza, non molto alto, biondiccio e non sembra molto sveglio.

“Senti Buffy, che ne dici se vado a farmi un giro?”

A dir la verità, più che una domanda, mi sembra un’affermazione.

“Vai pure”

Se è contenta lei lo sono anch’io, e poi, comunque, la mia attenzione è tutta focalizzata su una certa persona che continua a non farsi vedere.

Anche se non ho ancora ventuno anni, vado a prendermi un bicchiere di champagne al buffet e, approfittando del fatto che sono sola e che nessuno mi conosce, decido di farmi un giro per la mostra per cercare di capire qual è l’impressione della gente.

Mi accosto ad un quadro e, senza farmi notare, presto attenzione alla discussione di una coppia.

Sembra che stiano apprezzando le opere ma non prestano la minima attenzione alla mia spiegazione presente a lato.

Be’, sarà una casualità.

In fin dei conti non è detto che tutti abbiano voglia di leggere qualcosa su ogni quadro.

Mi volto e vedo una signora che si sta facendo aria con il mio opuscolo, un altro signore lo ha aperto e dopo pochi secondi lo ha richiuso, un altro lo ha posato su un tavolo per prendere da bere ma non lo ha più ripreso.

Chissà perché mi sta venendo il dubbio che l’hostess si sia sbagliata.

Però è ancora presto per scoraggiarsi e così torno a godermi la mostra.

Mi fermo davanti al quadro che preferisco.

Una ragazza, seduta sul limitare di una scogliera a strapiombo sul mare, che guarda un tramonto.

Sono persa nei miei pensieri quando sento una presenza alle mie spalle.

“Ciao Buffy”

Mi volto lentamente e me lo ritrovo davanti.

Bello più che mai nel suo completo scuro abbinato ad una camicia, blu come i suoi occhi, lasciata sbottonata per i primi bottoni.

Ovviamente non mi ha riconosciuta.

Cosa potevo pretendere.

Poi, in un momento di pura follia, decido di stare al suo gioco.

“Ci conosciamo?”

Gli chiedo con un tono da donna superiore.

Lui ridacchia e poi, sorridendo, mi risponde.

“Hai suonato alla mia porta circa una settimana fa.”

“Ah già, quel piccolo errore”

E senza prestargli troppa attenzione torno a guardare il quadro di fronte a me.

“Be’, non mi sono neanche presentato. Io sono William…”

Allunga la mano destra ed io gliela stringo, e, come l’altra volta, un brivido mi scorre lungo la spina dorsale.

Poi mi si avvicina un po’ di più e continua “…però se vuoi puoi chiamarmi Spike.”

E vedo che il suo sguardo scivola sul mio corpo squadrandomi e quando rialza gli occhi verso i miei vedo in essi un bagliore attraversarli.

Un altro brivido corre lungo il mio corpo ed è una sensazione che non saprei descrivere.

“Piacere” gli dico con la voce leggermente tremante.

Ma perché mi fa quest’effetto.

“Ti piace l’arte?”

Ci metto un attimo per riprendermi prima di parlare.

“Diciamo che è un hobby”

Quante bugie che sto dicendo, ma, dopo tutto, non sa neanche chi sono.

Intanto, in fondo alla sala, vedo Dawn che guarda verso di noi e mi sorride.

Avrà di sicuro capito che chi ho di fronte è Darcy e chissà cosa starà pensando adesso.

“E a te invece?” gli chiedo sorridendogli.

“Forse per me è un po’ più che un hobby” mi risponde con una piccola risata.

A questo punto un’idea malsana mi passa per la testa.

Chissà cosa ne pensa delle mie recensioni.

Per quanto ne so, non le ha neanche lette; Angel deve averlo fatto per lui.

Comunque qualcosa deve pur averlo letto, in fin dei conti parlano dei suoi quadri.

“Carine queste recensioni,” gli dico con un finto tono vago.

“Si”

La risposta è affermativa ma l’ha detta in un tono poco convinto.

“Non mi sembri molto convinto” lo incalzo io; probabilmente questa sera voglio proprio farmi del male.

“Non posso dire che non siano scritte bene, ma, a volte, sembrano uscite dalla bocca di una ragazzina.”

Scritte da una ragazzina?!?

Forse non si è ben accorto che quando mi ha assunta avevo diciannove anni e non quaranta.

Respingo un moto di stizza per evitare che capisca chi sono e poi continuo.

“Perché?”

“Non lo so, ma ha riempito tutto con un alone romantico che farebbe cariare i denti anche all’omino di pastafrolla”

Ora capisco perché Drusilla lo ha lasciato e perché non ha una ragazza, per lui il romanticismo non esiste.

“Non sarò un’esperta ma mi dà l’idea che i tuoi quadri siano di stile romantico; se non è come ha scritto lei allora com’è?”

In questo caso un punto di rabbia mi scappa nella voce.

“Io non so cosa significhino i miei quadri. Io dipingo e basta, la mia mano si muove e traccia delle linee. Questo non vuol dire che ogni tratto abbia un significato specifico.”

“È ridicolo. Un artista che non sa cosa ha dipinto.”

Una risata ironica esce dalle mie labbra.

È ridicolo, lui sta criticando quello che ho scritto dicendo che non è quello che intendeva lui e poi non mi sa dire che cosa significano i suoi quadri.

Nel profondo sono arrabbiata.

Mi ha assunta tessendo le mie lodi e poi, con la prima persona che gli capita davanti, mi critica dicendo che non gli piace come scrivo.

A questo punto voglio proprio vedere quanto è sveglio.

“Sai, mi piacerebbe conoscere chi ha scritto queste recensioni” gli dico con tono deciso.

E adesso che cosa fai?

Lo vedo in difficoltà.

Incomincia a guardarsi attorno alla ricerca della ‘ragazzina’ che ha assunto.

Ovviamente non la trova.

“Non la vedo”

Sembra quasi contrariato.

Poi con un’alzata di spalle continua “Avrà avuto paura di confrontarsi con il pubblico”

Cavolo, è così diverso dal ragazzo con cui ero seduta a parlare sugli scalini di casa sua solo pochi giorni fa.

Mi era sembrato così ‘avvicinabile’ ed ora è tutto altezzoso e sicuro di se come il primo giorno.

Ma chi si crede di essere.

“Magari non aveva voglia di sentirsi criticare dal primo che passa e che si definisce un artista incompreso.”

Fortunatamente sono riuscita a dire tutto con un tono anche discretamente gentile.

Come ho fatto non lo so.

“Be’, che ne dici se non ne parliamo più e andiamo a berci qualcosa magari da un’altra parte?”

Sto per rispondergli quando, dal fondo della sala, vedo entrare Harmony in un vistosissimo abito rosso.

Non posso sopportare di vedere anche quest’oca.

“No, guarda, è già tardi.”

E mentre lo dico mi scosto da lui.

“Devo andare”

Sembra stupito della mia risposta.

Che non abbia mai ricevuto un rifiuto?

Be’, non mi importa, questo sarà il primo.

Mi volto e incomincio ad allontanarmi, quando lo sento chiamarmi.

“Aspetta…”

Sta quasi anche per seguirmi ma la biondona lo intercetta e lo ferma salutandolo con un “Ciao, orsetto biondo”.

Mi dirigo decisa verso i bagni e mentre attraverso la sala intravedo la figura di Angel.

Comunque non gli presto molta attenzione e lo supero continuando per la mia strada.

Sento le lacrime pungermi gli occhi.

Fortunatamente i bagni sono vicini, non voglio che gli altri mi vedano così.

Entro aprendo con forza la porta e per poco non prendo una ragazza che sta uscendo.

Poi vedo un box vuoto, entro, chiudo la porta e mi siedo sul water chiuso.

Le lacrime cominciano a scendere.

Fortunatamente c’è un rotolo di carta igienica.

Lo prendo e me lo metto in grembo.

Credo che avrò bisogno di parecchia carta.

Ad un certo punto sento un urlo provenire dalla zona lavandini.

“Scusi. Mi scusi. Ahu.”

È una voce maschile che mi sembra conosciuta, ma non mi muovo, rimango dove sono.

Sento qualcuno sta camminando e poi sento bussare alla porta del box dove mi trovo io.

Rimango in silenzio.

Chiunque sia se non sente niente se ne andrà.

Giusto?

“Elisabeth, lo so che sei lì”

Una voce gentile mi chiama e adesso lo riconosco: è Angel.

“Vai via.”

Gli dico ancora tra le lacrime.

Poi ho un’illuminazione.

Come mi ha chiamata?

Mi alzo ed apro lentamente la porta e lui è appoggiato al lavandino di fronte a me con le braccia incrociate.

Lo guardo stupita.

“Mi hai riconosciuta.”

“Certo. Io, a differenza di Darcy, osservo”

Mi dice accennando un sorriso che ricambio.

Poi lo vedo che prende una salvietta e la bagna leggermente con l’acqua.

Mi viene vicino e mi pulisce leggermente il viso.

“E poi le tue recensioni vanno benissimo, è lui cha a volte non sa bene cosa sta dicendo”

Mi scappa una piccola risata.

“Sono un disastro” dico guardandomi allo specchio.

“Dawn mi ucciderà per aver rovinato il suo lavoro”

“Non credo che lo farà, prima mi sembrava molto più interessata al ragazzo della sicurezza”

“Conosci Dawn?” gli chiedo curiosa.

“No, ho solo tirato ad indovinare. Vi assomigliate molto. Tutto qui.”

Poi vedo cha ha un segno rosso sulla fronte e glielo indico.

“Ah, questo. Be’, è il ricordino lasciatomi dalla borsetta della ragazza mora che era qui quando sono entrato”

Mi scappa da ridere e, lì per lì, sembra quasi offeso, ma poi si unisca alla risata con me.

“Grazie”

“Per cosa”

“Per avermi tirato su di morale.”

A questo punto usciamo dal bagno e mi guardo attorno per vedere se lui è ancora qui.

Probabilmente se ne sarà andato con Harmony.

Intanto interceto lo sguardo di Dawn e le faccio cenno che è ora di andare.

Poi Angel mi appoggia una mano sulla spalla e mi dice: “Sai una cosa. Non vale la pena piangere per lui. Vedrai che quando aprirà gli occhi sarà il primo a pentirsi di quello che ha detto”

Non sapendo cosa rispondere, accenno con la testa.

Dawn, nel frattempo mi raggiunge.

“Grazie ancora Angel. Ci vediamo”

Lui mi fa un cenno con la mano e poi io e mia sorella usciamo dal palazzo.

Adesso so già che mi aspetterà una lunga nottata da trascorrere tra le spiegazioni che dovrò dare io e il racconto del favolistico incontro di Dawn.

 

 

           

Ok, lo so, non posto da un secolo e di questo mmi scuso tantissimo.

Come ho detto a qualcuna di voi ho avuto parecchio da fare con alcuni esami e con la preparazione della tesi.

E dopo una piccola vacanza ci voleva.

Comunque sono tornata e come promesso ho postato in settimana.

Vi dico già che la ff ce l'ho già tutta in mente devo solo trovare il tempo di metterla per iscritto.

Vi dico anche che sabato parto, quindi il prossimo post sarà fra 2 settimane.

Baci e spero che vi continui a piacere.

 

 

 

 

Capitolo XIII

 

 

La nottata era trascorsa meglio di quanto credessi.

Per mia fortuna Dawn è stata talmente presa dal raccontarmi del suo incontro con Andrew, il ragazzo della sicurezza, che non mi ha chiesto assolutamente nulla della mia chiacchierata con Darcy e non ha neanche notato i miei occhi rossi.

Eh si, quella volta si è presa proprio una bella cotta, anche se mi sto chiedendo ancora adesso cosa ci abbia trovato in quel ragazzo.

Mha, misteri della vita.

 

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Il sole è di nuovo alto nel cielo e, oggi, per me, è una giornata decisiva.

Escono le recensioni della mostra e dei miei scritti.

Una domanda mi viene spontanea: ma si può fare la recensione della recensione?

Lasciamo stare.

Credo che le mie cellule grigie siano un pochino fuse dopo la notte che ho passato in bianco ad ascoltare Dawn che mi raccontava nei minimi dettagli ogni cosa che si sono detti, ogni minimo gesto che hanno fatto ed ogni cosa che hanno mangiato lei ed Andrew.

Senza tener conto che di quello che mi ha detto mia sorella non ho sentito neanche la metà, impegnata com’ero a pensare a quell’idiota di Darcy.

Per un paio di volte mi è anche quasi venuto da piangere, ma poi mi sono trattenuta per evitare le domande di Dawn.

Forse Angel ha ragione.

Non dovrei perdere del tempo pensando a lui, ma è più forte di me.

Ad esempio adesso sono per la strada che mi sto dirigendo verso la fermata della metropolitana e per poco non vengo messa sotto da un’auto perché sono passata con il rosso.

E questo perché?

Perché invece di guardare dove metto i piedi, sto pensando a un magnifico paio di occhi azzurri mentre un sospiro esce dalla mia bocca.

Oh, se potessi avere quegli occhi solo per me.

Penso che mi accontenterei anche solo di guardarli.

Be’, forse, oltre a guardare i suoi occhi mi piacerebbe anche fare qualcos’altro.

Diciamo che provare se le sue labbra sono morbide come sembrano non mi dispiacerebbe.

E sfiorare i muscoli tesi del suo petto non mi sembra una cattiva idea.

Chissà se….

Alt, fermi tutti.

Io sono arrabbiata con lui, non dovrei pensare a queste cose.

Adesso, con calma, ritorni alla modalità “Ieri sera mi hai fatto incazzare, davvero, ma davvero tanto” e prosegui per la tua strada, possibilmente evitando i pali della luce e i tombini aperti, e prestando anche un po’ più di attenzione alle macchine.

Diciamo che me in versione frittella sull’asfalto non è che mi alletti più di tanto.

Concentrazione, ecco cosa ci vuole.

Concentrazione.

Mi sembra abbastanza facile.

Comunque, fortunatamente, sono arrivata alla fermata della metro senza troppi danni.

Adesso, non mi resta che prendere la direzione giusta.

 

 

Un’ora dopo…

 

Mi sto ancora chiedendo perché sono venuta.

Voglio dire, capisco che leggere i commenti sul nostro lavoro è indispensabile, ma non lo potevo fare per i fatti miei nella mia stanza al campus?

“No, è meglio che li leggiamo tutti assieme. Così se ci viene voglia di suicidarci c’è qualcuno che ce lo impedirà”, ha detto il sapientone della situazione.

Come se al re dei dongiovanni importasse qualcosa di quello che la gente pensa dei suoi quadri.

Per quanto riguarda me, se il commento fosse negativo, ci starei male, si, ma non vedo cosa ci sia di così tragico.

Infondo, sbagliando si impara.

Lasciamo perdere i pensieri filosofici.

Suono al campanello che ormai mi è diventato famigliare e mi aspetto di vedere la sua faccia da schiaffi apparirmi di fronte, e, invece, sorpresa!

Ad aprirmi è Angel.

Be’, meglio così, almeno non sarò da sola con lui per tutta la mattina.

“Ciao” gli dico con un sorriso.

“Ciao a te.” Mi risponde mentre mi fa cenno di entrare, poi ci dirigiamo verso la cucina.

Sul tavolo c’è una pila di giornali che guardo in modo titubante e, a fianco, una scatola di ciambelle.

Angel nota lo sguardo famelico che si è stampato sul mio volto alla vista dei dolcetti e gli scappa un sorriso.

“Ehy, che c’è da ridere” gli dico un po’ indignata.

“Niente. Solo che hai una faccia di un predatore che ha puntato la sua preda. Prendile. A meno che tu non voglia che le mangi tutte il bell’addormentato”

Mentre mi avvicino alla scatola gli chiedo “Dov’è?”

“Di sopra a farsi una doccia”

E l’immagine di lui sotto il getto dell’acqua entra prepotentemente nella mia mente.

Miliardi di goccioline che gli sfiorano la pelle, lo toccano dove io non saprei neanche immaginarmi, che possono scoprire qual’è il suo sapore.

Ok, basta.

Pensa ad altro, pensa ad altro, pensa ad altro.

Le ciambelle, si quelle vanno benissimo.

E così ne afferro una sperando che il ragazzo moro di fronte a me non si sia accorto di nulla.

In realtà, mi sta guardano come se fosse preoccupato.

“Tutto bene?” mi chiede scrutandomi con i suoi immensi occhi scuri.

“Uh, si, tutto bene”

Ovviamente non riesco a mascherarmi più di tanto, visto che le mie guance decidono di assumere un bel colore rosso pomodoro.

“Così sono quelli i giornali che dobbiamo leggere?”

Pensate che sia stata abbastanza convincente per cambiare discorso?

“Già”

Forse ho avuto successo.

Mi siedo su uno degli sgabelli e prendo a sfogliarne uno e la stessa cosa fa Angel.

Dopo poco sento dei rumori provenienti dal salotto e, Angel, che è voltato verso la porta, strabuzza gli occhi in modo buffissimo.

“Cosa c’è?” gli chiedo rischiando di scoppiargli a ridere in faccia.

Faccio per voltarmi ma lui mi blocca dicendo “Devo andare in bagno”

E poi con un movimento fulmineo si alza ed asce dalla stanza accostando la porta.

Sento qualche altro rumore e due voci.

Probabilmente William è sceso.

Sono curiosa e così, senza fare rumore, mi accosto alla porta per sentire quel che si stanno dicendo, però dallo spiraglio lasciato aperto vedo solo la figura di Angel.

“Spike, ma sei impazzito?”

“Perché, cosa ho fatto di male?” chiede con finta voce innocente.

“Be’, potevi almeno vestirti prima di scendere. Sai non ci sei solo tu in questa casa”

“Si, ho sentito che è arrivata Elisabeth” continua senza troppo interesse.

“Se l’hai sentita, mi spieghi perché…..” sembra che ad Angel manchino le parole “…. Perché non ti sei reso presentabile.”

“Sai, a volte parli come mio padre. E poi non mi dirai che la bambina non ha mai visto come è fatto un uomo”

Io stringo i pugni quasi ferendomi con le mie stesse unghie.

Mi verrebbe voglia di prenderlo a calci, ma Angel non demorde e preferisco rimanere in disparte senza far capire che sto sentendo tutto.

“Quella ‘bambina’ è di là che sta lavorando per te. E per tua informazione i critici hanno apprezzato più il suo lavoro del tuo”

“Davvero?” dice il biondo stupito.

Davvero?

Me lo chiedo anch’io.

“Si”

Poi con voce irritata il biondo continua “Be’, allora la sua assenza ieri era ingiustificata”

“Scusa, cosa stai dicendo”

“Sto dicendo che la pago per fare un lavoro e lei non si presenta facendomi fare la figura dell’idiota con gli invitati”

A questo punto vorrei solo fare una precisazione: a dir la verità non mi ha ancora pagato.

“Guarda che ieri Elisabeth era presente. C’era anche sua sorella.”

William è stupito.

“Forse eri troppo occupato a cercare a criticare il suo lavoro invece di cercarla e congratularti con lei.”

Bravo Angel, continua così.

“Io… Io…”

Adesso ti mancano le parole eh?

“…ero impegnato con un’amica”

“Chi? Quell’oca di Harmony?”

Vuoi vedere che è un pensiero comune che la biondona è senza cervello?

“Be’, in parte.”

Ora Angel lo guarda in modo interrogativo.

“Ho conosciuto una ragazza.”

“E…”

Si, bravo. Fallo parlare.

Voglio proprio un po’ vedere che cosa gli racconta.

“E niente”

Sembra che voglia cambiare discorso.

“Be’, da come ti muovi direi che non è niente. Sembri un leone in gabbia”

“Oh, va bene. È carina.” Dice il biondo frustrato.

“Bravo. Sei sulla buona strada. Ora continua”

“E mi ha tenuto testa”

Angel fa una faccia stupita.

Probabilmente si era aspettato che avessi reagito anche in quell’occasione in modo timido, ma, dopo tutto, Darcy riesce, a volte, a tir fuori il lato peggiore di me.

“Be’, non è una cosa da poco tenuto conto il tuo carattere.”

“Già” ora William, dal tono della voce, sembra seccato.

Passa qualche istante e, non sentendo più rumori, credo quasi che se ne siano andati.

Poi Angel scoppia a ridere, sembra che non abbia potuto trattenersi.

“Che hai da ridere?”

“Ti ha scaricato, vero?” dice mentre continua imperterrito a sganasciarsi.

“Oh, dannazione. Smettila.”

“Spike Darcy scaricato. Non ci posso credere”

Si, in effetti, non so neanche io come ho fatto.

“Non sei riuscito a capire che non era interessata?”

A dir la verità ero più che interessata.

“È che era così… sensuale in quello stretto vestito nero. I suoi capelli erano dorati come il sole e guardare nei suoi occhi era come perdersi in un prato verde. E il suo profumo. Ti ho parlato del suo profumo?”

Angel, sempre più divertito, gli fa cenno di no.

“Era come trovarsi in una serra. Mille profumi la circondavano. Penso che mi abbia stregato.”

Ok.

Che gli è preso?

Mi viene il dubbio che non stia parlando di me.

Cioè, insomma, da quando in qua io sono sensuale.

Ormai non capisco più niente.

“E quando mi ha detto di no sono rimasto totalmente spiazzato.”

“Ehy, ragazzo. Non rattristarti. Magari aveva solo qualcos’altro da fare.”

“Già”

“Su vai a vestirti che dobbiamo lavorare”

“Va bene, capo.”

Sento alcuni passi, probabilmente William è tornato al piano di sopra.

Pochi istanti dopo Angel torna in cucina con me.

“Hai sentito?” mi chiede.

“Si”

Poi ancora scossa per le parole di prima gli chiedo.

“Ma di chi stava parlando?”

“Secondo te?” e mi sorride annuendo.

Io mi indico con lo sguardo sempre più tra lo stupito e lo spaventato,e lui mi annuisce ancora.

Credo di stare per svenire.

“Penso che si sia preso una bella sbandata per te”

“Cosa?”

“Be’, da quello che ha detto, immgino che tu gli abbia fatto un bel buco nel cuoricino in meno di cinque minuti”

Ormai non riesco più a pensare.

Le idee mi si sovraffollato nella mente.

Vuoi vedere che Dawn aveva ragione?

Un sorriso spunta sulle mie labbra, ma dopo poco un altro pensiero viene in superficie.

“Pensa che sia una bambina.”

“Non credo nella tua altra versioni ti consideri tanto una bambina.”

A questa affermazione arrossisco terribilmente.

Poi abbasso gli occhi e continuo “Vedi come reagisco. Ha ragione lui. Sono poco più di una ragazzina.”

“Hey, non dire così. Sei una bellissima donna. Forse con meno esperienza di altre, ma questo non vuol dire che non sei in grado di innamorarti o di capire come funziona il mondo. Stai solo aspettando il momento adatto.”

Come adoro quest’uomo.

Mi sto chiedendo perché non riesco a provare con lui lo stesso brivido che sento quando sono con Darcy.

“Grazie.”

“Bene. Ora vediamo un po’ quello che dicono questi giornali.”

E mentre aspettiamo il padrone di casa, torniamo al nostro lavoro iniziale.

Tbc…..