POSSESSIONE


Autrice: MorganaLaFata
Disclaimer: appartiene tutto a me...skerzo...e' tutto di Joss...
Pairing: Buffy/Spike e...vabbe', ogni cosa a suo tempo!
Rating: per tutti...almeno credo...
Timeline: Sunnydale, durante la 7° serie - Sunnydale 1502
Feedback: tutto quello ke pensate su questa ff: marfi2002@libero.it
Notes: Anya non e' piu' un demone, Spike ha l'anima, Willow e' tornata dall'Inghilterra gia' da un bel pezzo...niente First-male assoluto!
Summary: le anime gemelle si cercano e si incontrano, sfidando il tempo e lo spazio...


Possessione...

Notte su Sunnydale. Buia e malinconica, come tutte le altre notti. La luna brillava, pallida e gelida come il volto di un morto. Flebili raggi bianchi colpivano il marmo freddo delle lapidi, sparse sul terreno nel cimitero della piccola cittadina. Una piccola ragazza bionda camminava fra esse, stringendo tra le mani un paletto di legno. Guardinga e tesa, come tutte le notti. Sorvegliava. Osservava. Sembrava che non avesse notato niente, ma in realta' le rimaneva impresso tutto. Ogni piu' piccolo movimento. Lo spostarsi di una foglia. Il vento che le passava gridando tra i capelli. Lo spezzarsi improvviso di un ramo dietro di lei. Lo senti', sebbene impercettibile. E poi alcuni passi, leggeri, indecisi. Venivano verso di lei. Buffy si irrigidi'. Ogni muscolo del suo corpo si tese. La mano destra si strinse con forza attorno al paletto. Fermo' persino il suo respiro, per poter sentire meglio. Il rumore cesso', cosi' com'era iniziato. Improvvisamente. Appena a una spanna da lei!
 . Fu un attimo. Si giro', la spinta del suo calcio trovo' la fine tra le costole di chi non s'aspettava di vedere quella sera. Un vampiro. Ma non uno qualsiasi. Si massaggiava le costole, gemendo.
"Buffy, maledizione, sono io!"
Lei lo guardo' mortificata.
"Scusa Spike...ma ti sembra il modo? Cioe', mi arrivi dietro cosi'!"
"Beh, ma, cavolo, almeno accertati sull'identita' di chi stai per pestare! E se fosse stato il custode?"
Sospiro' scocciata. Non aveva bisogno di qualcuno che le insegnasse come fare il suo lavoro.
"E se fosse stato un vampiro? Magari travestito da custode? Non hanno i cartellini di riconoscimento, sai?"
Lui cerco' di rimettersi faticosamente eretto. Ma doveva piegarsi continuamente, per le dolorose fitte che gli attanagliavano le costole...quella ragazza lo avrebbe ucciso, prima o poi...
"Ah, no? E come fai a riconoscerli?"
Buffy sorrise sarcastica, guardando un punto appena dietro di lui.
"Sono...piu' o meno come quello che e' dietro di te..."
Spike si giro' di scatto. Con un goffo guizzo laterale riusci' ad eviatare per un pelo un pugno diretto al suo naso. Buffy non perse tempo. Gli si avvento' contro, ingaggiando quella breve lotta che precede inesorabilmente la fine. Del vampiro, ben inteso. Spike guardava la scena riflettendo se fosse il caso di intervenire o meno. Ma la mano ferma di Buffy che scendeva decisa contro il petto del mostro gli disse che, no, non aveva bisogno d'aiuto. Come sempre. Il vampiro si polverizzo', lasciando cadere un po' di quella immonda cenere sul cappotto beige di Buffy. Lei si spolvero' nervosamente. Sposto' lo sguardo su Spike, che restava in disparte e la guardava.
"Tutto bene?"
"Solo un po' di polvere nei capelli...allora, perche' sei qui?"
Lui la fisso' per qualche istante. Sembrava non capire il senso della domanda. Era serio.
"Ecco...un amico, una fonte abbastanza attendibile, mi ha rivelato che un demone millenario dovrebbe svegliarsi questa notte, in una cripta, non di questo cimitero. Dice che non e' pericoloso. Dicono sia solo un fantasma, o qualcosa del genere. Ma qualcuno ha detto al mio amico che tu dovresti andare a controllare."
Lei sorrise rassegnata. Uffa', un altro demone...ma non finiscono mai?
"D'accordo, portami da lui..."
La strada non fu breve. Guidata da Spike, Buffy percorse quasi di corsa tutto il cimitero, uscendone dal lato ovest. Dopo aver attraversato mezza Sunnydale giunsero in una chiesa abbandonata. Imponente e diroccata. La facciata principale era ancora intatta. La porta di legno era tarmata, ma possedeva ancora una bellissima vetrata dipinta con la massima precisione. Rappresentava un campo verde, un cielo stupendo, dell'azzurro piu' tenue che avesse mai visto, delicato, dava l'impressione di essere infinito. Una colomba volava in quel cielo, bianca e aggraziata. Stringeva nel becco il classico rametto d'ulivo. Una vetrata davvero bella. All'interno era tutta un'altra storia. Le panche non c'erano piu'. solo un grosso altare di pietra. Le pareti erano grigie e fredde. Il tetto era sparito per meta'. Sembrava terribilmente vecchia. Spike le disse che era una chiesa, anzi, un convento, anche se ora dell'edificio non restava altro che questa piccola cappella, era molto famosa nel '!
 500 o giu' di li'. Era il monastero di santa Clara, abbattuto secoli prima. ora restava solo questa spoglia cappella e la cripta. Entrarono nella cripta con una sorta di timore reverenziale. Una torcia illuminava lo spazio, ampio e saturo dell'odore della morte. C'erano diverse lapidi, piu' alcune tombe con coperchi impreziositi da gemme. Spike le indico' una piccola lapide grigia. Era tenuta distante dalle altre. Il demone era dunque una suora? A Buffy suonava molto strano. Anche Spike fece la stessa osservazione. Ma l'informazione era quella. Buffy prese il piccone che le porgeva Spike. Diede un possente colpa alla lapide. Questa si spezzo' in mille pezzi. Fin qui niente di straordinario. Ma una luce fortissima investi' i due ragazzi, accecandoli. Buffy venne afferrata da qualcosa che non vedeva. E' il demone? Ma non pote' rispondersi, perche' un istante dopo perse i sensi. Spike gridava, imprecava. La luce era fortissima, sembrava quella del sole. Il vampiro si ritrasse,!
  colto dall'improvvisa paura di venire bruciato. Finalmente la!
  luce si
 ritiro'. Spike sorrise, pensando che la cacciatrice doveva aver rispedito il demone da dov'era venuto. La vedeva, Buffy. Stava seduta su una grossa pietra. Ma la vedeva male, aveva ancora quella fortissima luce davanti agli occhi. Quando si fu riabituato alla penombra della sala, vide qualcosa che lo lascio' a bocca aperta. Non solo Buffy non c'era piu', e non c'era nessuna traccia di lei, ma al suo posto stava una bellissima ragazza, di sedici anni circa, che fissava impaurita la stanza dalla pietra su cui era seduta. A Spike ricordo' Buffy a quell'eta', quando l'aveva vista per la prima volta. Ma era una somiglianza latente, approssimativa. La pelle era di latte, bianchissima. I suoi lunghissimi capelli color oro intenso, che sembravano dotati di una luce propria, la avvolgevano come in un abbraccio, ricadendo fino a terra. I suoi straordinari occhi verdi si spostavano spaesati da un angolo all'altro della cripta. Era vestita con una corta tonaca grigia, simile al saio de!
 i preti odierni. Guardo' Spike, ammutolito dalla paura e dalla sorpresa. Lo fisso', lo studio' con curiosita'. Ma era come se lo conoscesse, come se l'avesse gia' visto. Dopo alcuni secondi in assoluto silenzio, la ragazza sorrise. Aveva un sorriso magnifico, che per alcuni versi gli ricordo' Buffy. Parlo', e la sua voce, soave e melodiosa, lo lascio' sconvolto.
"Padre...siete davvero ridicolo abbigliato a questa maniera!"

"Dove sono?"
Buffy apri' piano gli occhi. Ricordava la cripta. Una forte, fortissima luce bianca investirla. Aveva avuto l'impressione di vagare senza meta in un'altra dimensione. Si rialzo'. Era distesa su un giaciglio di paglia. Non lo ricordava. Nella cripta non c'era niente di simile. Pian piano la vista le divenne piu' chiara. Ma...non era piu' nella cripta! Era in una grigia e squallida cella, vestita con un grigio saio monacale. Si guardo' attorno. Appeso alla parete c'era un piccolo crocefisso di legno e argento. In un angolo c'era uno stretto lavabo. La finestra sopra di lei era sbarrata da forti assi di legno. Provo' a staccarle ricorrendo alla sua forza, ma si accorse di non averne piu'. era come se tutto il suo potere si fosse congelato. Pazzesco! Sentiva un andirivieni irrequieto oltre la porta chiusa di quella inospitale cella. Sbircio' attraverso una feritoia. E si senti' morire. C'erano monache, tante, tantissime monache che andavano su e giu', percorrendo uno stretto cor!
 ridoio piastrellato. Accanto alla sua cella c'era una piccola suora, che sembrava fosse li' per osservarla. Si chiese ancora una volta come fosse finita in un monastero. In un convento di suore. Torno' al centro della piccola cella. Si guardo' le mani. Erano piccole e bianche. Non erano le sue, maledizione! Corse al lavabo, specchiandosi nel poco d'acqua a sua disposizione. Rabbrividi'. Al posto della Buffy che aveva visto riflessa tante, tantissime volte, stava una ragazzina di sedici anni circa, che la guardava spaventata. Di suo aveva ancora i capelli, biondo dorato, anche se erano lunghi tre, quattro volte i suoi. Arrivavano fino a terra, magistralmente intrecciati in una bellissima e splendente treccia. Anche gli occhi erano gli stessi, verdi e profondi, ma sembravano brillare di una sinistra luce. La pelle del viso era pallida, bianca come la luna. Le labbra erano sottili e rosse.
Questa non sono io! Che ci faccio qui? Preche' sono in un convento? Oh, Dio, e' un incubo?
Le domande giravano vorticosamente nel suo cervello. Si affaccio' alla feritoia. La piccola monaca era sempre vicino alla porta. Grido'. Si accorse di avere una voce diversa, ipnotica e melodiosa. E di parlare miracolosamente spagnolo.
"Hey, tu! Fammi uscire, che ci faccio qui dentro?"
La manaca si giro' appena verso di lei.
"Sta zitta, Miranda! Tra poco arrivera' padre Juan..."
Padre chi? Ma dov'era finita? Chi era?
"Senta, c'e' stato un'equivoco, io non sono quella che crede! Non mi chiamo Miranda, mi chiamo Buffy! E voglio tornare a casa!"
La monaca la squadro' con aria di sufficienza. Si fece il segno della croce.
"Dev'essere un altro intrigo del diavolo dentro di te! Vade retro!"
Buffy sbatte' le ciglia un paio di volte. Indietreggio' spaventata dall'imperiosa voce della monaca. Si sedette impaurita ed infreddolita sul giaciglio di paglia, si abbraccio' le ginocchia e aspetto' tremando l'arrivo di questo padre Juan. Nel frattempo ascoltava l'andirivieni frenetico delle monache. Ascoltava distrattamente i loro discorsi. Ma dov'era finita? Le monache parlavano di sbarchi fortunati, di avvelenamenti, navi che attraccavano al largo perche' meta' dell'equipaggio portava i sintomi di una strana malattia. E poi bisbigliavano sulla santa Inquisizione che stava per giungere per un caso di possessione demoniaca. Possessioni? Santa Inquisizione? Oddio, ma in che anno era? Come era arrivata li'? perche' parlava spagnolo? L'avevano chiamata Miranda...chi era Miranda? Era finita in un altro corpo? E perche'? Si senti' terribilmente avvilita. E gli succedeva cosi' raramente.

Magic Box. Xander, Willow, Anya, Giles e Spike osservavano incuriositi e spaventati la bellissima sedicenne che si guardava spaurita intorno. Dopo il commento rivolto a Spike nella cripta non aveva piu' aperto bocca. Si era lasciata trasportare al magic box in silenzio, sgranando gli occhi ad ogni passo come se non avesse mai visto il mondo. Spike penso' che doveva essere piu' o meno cosi'. Giles tento' un approccio educato.
"Parli la mia lingua, piccola?"
La ragazzina l'aveva guardato negli occhi, attentamente. Sembrava studiarlo. Aveva annuito, senza aprire bocca. Continuava ad intrecciarsi la lunga chioma bionda. Quegli straordinari occhi verdi danzavano per la stanza, osservando incuriositi gli oggetti presenti.
"Hai un nome?"
La ragazzina lo fisso' con aria impertinente.
"Certo, tutti hanno un nome!"
A Giles sembro' per un attimo di avere davanti una piccola, sfacciata Buffy in miniatura.
"E qual e' il tuo?"
"Miranda..."
Miranda...un bel nome.
"Allora...Miranda...c'e' questa nostra amica, che e' sparita non appena tu sei arrivata...hai qualche idea di dove sia finita? L'hai mandata tu in qualche posto?"
Lei giro' gli occhi, assente. Quella ragazza alternava periodi di attenzione pressocche' totale a periodi in cui la sua mente sembrava vagare, persa in chissa' quale mondo.
"Il convento...perche' non sono nella mia cella?"
"C-cosa?"
La ragazza si volto' verso Giles. Aveva gli occhi velati di lacrime.
"E' colpa del diavolo dentro di me, lo so..."
Poi, improvvisamente, giro' gli occhi verso Spike.
"...padre, deve aiutarmi, non voglio morire..."
Spike alzo' gli occhi al cielo.
"Dio, ma perche' ti ostini a chiamarmi padre?? Non sono un prete! Non ho il saio, non ho il crocefisso, soprattutto, non ho la vocazione! Maledizione! Voglio solo sapere dov'e' Buffy!"
Sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. Si sentiva in qualche modo responsabile della sparizione di Buffy. E voleva ritrovarla, a tutti i costi. La ragazzina non sembrava capire il senso delle sue parole. Era spaventata.
"Devo tornare al convento..."
Giles si giro' verso gli altri. Bisbiglio'.
"Forse Buffy si trova in quel convento da dove la ragazza dice di venire..."
Willow osservo' la piccola figura seduta davanti a lei. Annui' verso Giles e le si sedette accanto. La ragazzina la scruto' nei minimi particolari. Sorrise.
"Io...ti conosco..."
"Ah...beh, e' una buona cosa..."
"Ti ho vista in sogno...con tutti gli altri demoni..."
"No, non e' una buona cosa! Ascolta, io non sono un demone. Voglio aiutarti a tornare a casa. Dov'e' il convento?"
"Valle del sole..."
"Perfetto, e' qui! A Sunnydale!"
La ragazza scosse forte la testa.
"No! Non Sunnydale! E' nella valle del sole..."
"Ma Sunnydale veniva chiamata cosi' nel '500..."
La piccola sorrise ancora. Ma stavolta quel sorriso provoco' un brivido a Willow.
"In che anno siamo, Miranda?"
La ragazza si strinse nelle spalle. Evidentemente la trovava una domanda incredibilmente stupida.
"1502...no?"

Nello stesso istante, una Buffy impaurita come mai in vita sua stava in un angolo della piccola cella, seduta sulla pietra fredda e dura del pavimento. Accanto a lei i resti quasi intatti del pranzo. Fagioli e burro rappreso. Non aveva mai mangiato una schifezza simile. Aspettava invano qualcuno che le dicesse dov'era. Ma, soprattutto, chi era. Aveva pianto un po'. Solo un po'. Poi si era imposta di aspettare. Con calma. Spike sarebbe venuto a salvarla. O lui o qualcun altro dei suoi amici. Non potevano abbandonarla. Dal punto dove stava malinconicamente seduta poteva vedere attraverso la grata di legno che oscurava la finestra. C'era il mare, sotto di lei. Immenso. Una vasta, vastissima distesa d'acqua salata. E una scogliera. Una scogliera che, era certa, a Sunnydale non c'era. Almeno non in quella che conosceva lei. Le monache oltre la sua cella non parlavano piu'. per la verita', nel corridoio spoglio e freddo non c'era nessuno, tranne la piccola suora accanto alla sua p!
 orta che pareva stare perennemente a sorvegliarla. Su un tavolino che non aveva notato in un primo momento, stavano alcuni attrezzi per filare. Sembravano vecchi di secoli. Chiuse gli occhi. Lentamente. Li tenne chiusi per qualche minuto, osservando i puntini bianchi che le comparivano davanti. Quando li riapri', davanti a lei c'era un piccolo, piccolissimo omino calvo, con un buffo cappello in testa. Dal cappello spuntava una ridicola piuma color lavanda. Buffy si ritrasse istintivamente contro il muro. Stava per gridare, ma il piccolo uomo le mise una mano sulla bocca. Sorrise. Aveva un sorriso buono. Rassicurante.
"Se ti libero, prometti di non urlare?"
Lei fece cenno di si' con la testa, impaurita sempre di piu'. l'ometto tolse piano la mano. Era calda. A Buffy quasi dispiacque non sentirla piu'. aveva terribilmente freddo.
"Tanto sarebbe stato fiato sprecato..."
"Cosa?"
"Mi vedi solo tu..."
Lei cerco' di capire qualcosa nella confusione che regnava nella sua testa. Tremava.
"Dove sono? Chi sono? Perche' sono qui?"
Il piccoletto fece un sorriso colpevole.
"Quante domande! Andiamo per gradi...sei sempre tu, Buffy."
Confusione.
"No, non sono io!"
"In una vita passata, questa eri tu..."
Confusione.
"Vita.passata?"
"Ecco...e' complicato, da spiegare. C'e' un giorno, ogni anno, in cui il confine tra le varie vite diciamo che...si assottiglia. E possono succedere incidenti come questo. Solo che non dovrebbero. Qualcuno che ti voleva male..."
"Spike!"
"No, no...quel povero ragazzo non c'entra niente...il suo amico ti ha solo dato l'informazione sbagliata. ti ha spinto nel convento dove ti trovi ora, poi ti ha detto di abbattere un demone. Tu hai subito pensato che la tomba del mostro poteva essere quella che hai colpito perche' era staccata dalle altre. Hai sbagliato. Era la lapida di Miranda de Advieto, ovvero tua, in una vita precedente. L'hai profanata. E questo ha creato uno squilibrio tra i mondi. Ha fatto si' che tu prendessi il posto della piccola..."
Confusione...e paura.
"Quindi io sto vivendo di nuovo la mia vita precedente?"
"Esattamente"
"E come posso tornare a casa?"
L'omino la guardo' c'era una profonda tristezza, nei suoi occhi. Due occhi color miele.
"Non puoi..."
"Che vuoi dire?"
"Che sei intrappolata in questa realta'...non puoi fare niente per uscirne. C'e' stato uno strappo nel tessuto dimensionale. Ma al tuo passaggio, il buco si e' richiuso...non c'e' modo di riaprirlo..."
Buffy rimase a fissare il vuoto per un tempo che parve interminabile, mentre la sua mente tentava invano di razionalizzare il tutto...prigioniera in una dimensione non mia...sto rivivendo la vita che ho gia' vissuto...strappo dimensionale...il buco si e' richiuso...le parole del nano le correvano nella testa, senza che lei riuscisse ad acchiapparle. Spirali di parole senza senso...ci deve pur essere una soluzione! Non posso rimanere qui per sempre...non voglio! Voglio i miei amici, la mia casa, la mia sorellina! Voleva chiedere altre informazioni all'essere che aveva decretato con voce piatta la sua condanna, ma quando alzo' gli occhi, l'omino non c'era piu'. sparito. Volatilizzato. Era di nuovo sola nel buio freddo e opprimente della cella. Come unico spiraglio di speranza c'era la promessa della visita di un frate, padre Juan, che inspiegabilmente la rendeva serena. Ma poi nella sua mente si insinuavano le parole del omino. Penso' e penso' alle parole del mostriciattolo. P!
 oi, quando fu stanca di pensare, si strinse al petto le ginocchia e pianse. Pianse sperando di poter scivolare via attraverso le sue lacrime.

Capitolo II

"Mi avete fatto chiamare, vostra Eminenza?"
Un giovane prete di straordinaria bellezza avanzava incerto dinanzi al vescovo Ygnacio Virtudes. Era vestito del semplice saio francescano, che non permetteva, ampio e distorto com'era, di scorgere la perfezione di quel corpo giovane. Ma dalle corte maniche spuntavano braccia forti e muscolose. Aveva i capelli d'oro e occhi azzurri come il mare che ruggiva sotto la balconata del vescovo. Di carattere era mite e introverso, e sembrava preferire la compagnia dei libri a quella degli esseri umani. Non per niente era bibliotecario. Presiedeva la piccola biblioteca della chiesa, ma puntava il piu' in alto possibile. Magari a diventare bibliotecario vaticano. Ma queste aspirazioni le teneva per se'. Ora, davanti alla imponente figura del Vescovo, se ne stava tranquillo e intimidito accanto all'enorme porta di legno profumato. L'uomo anziano gli fece cenno di venire verso di lui. E il giovane Juan Delgado lascio' la rassicurante penombra del corridoio e si pose sotto l'abbagliante !
 luce della sala. Spirava una stupenda brezza marina, che portava oltre che un'aria fresca e piacevole, anche un tenue e delicato sapore di mare. Quel mare che scintillava come se sulla sua superficie fossero stati posati mille diamanti.
Il vescovo Virtudes era l'esatto contrario del suo bibliotecario. Imponente, grasso e vecchio come il mondo, aveva preso i voti non per fede, come Juan, ma per pura convenienza. Essere pagato per non fare niente. Non era male, e il Signore, ne era certo, non l'avrebbe punito per questo. Tuttavia quel giorno non aveva convocato padre Juan per discutere di fede. Almeno, non in senso stretto.
"E' arrivata una ragazzina al vicino convento di Santa Clara..."
Padre Juan annui' distrattamente.
"Si', ne sono al corrente, eccellenza. L'ho vista, quando l'hanno portata. Ho avuto un breve colloquio..."
"Voglio che ti occupi del caso."
Il ragazzo trasali'.
"Ma...vostra Eminenza, vi e' la Santa Inquisizione per questo. Io non sono che un povero bibliotecario, non vedo come potrei gestire un caso simile..."
"La Santa Inquisizione giungera', certo, ma in tempi piu' lunghi del previsto, e vogliono che prima si provi con gli esorcismi..."
"Non posso, Eminenza...non saprei da dove cominciare..."
Il vescovo aveva alzato una mano. Juan capi' che quella sarebbe stata la sua ultima frase al riguardo. Era inutile protestare.
"Juan, il tuo animo e' buono e nobile, e il Signore, nella Sua grandezza, sapra' guidarti. Cosi' e' deciso. Il caso e' tuo, fino all'arrivo della Santissima Inquisizione."
Il ragazzo chino' la testa, in una sorta di quieta sottomissione.
"Sia fatta la volonta' del Signore..."
Il vescovo annui' stizzito. Odiava queste frasi fatte che decantavano le lodi di qualcuno che magari voleva solo essere lasciato in pace. Non nominare il nome di Dio invano...quanto era vero. Povero. Essere chiamato, lodato e decantato un miliardo di volte in un sol giorno doveva essere quantomeno noioso. Lui si sarebbe strappato la barba per il nervosismo.
Quando Juan se ne fu andato, comincio' a chiedersi se avesse fatto la cosa giusta. Affidare un caso tanto delicato ad un bibliotecario. Forse avrebbe dovuto pensarci meglio. La Santa Inquisizione non gradira'. Poi ci penso' su meglio. Decise che la Santa Inquisizione non gradiva lui e basta. Lo trovavano un eretico scandaloso. Ma non avevano prove al riguardo. Dopotutto era sempre stato un buon frate. I suoi monaci non avevano mai niente da ridire contro di lui. Forse era piu' pratico e sbrigativo degli altri vescovi, timorati di Dio e passivi, ma a parte questo...era un buon cristiano. Ed era vecchio. Terribilmente vecchio. Con un piede nella fossa, per cosi' dire.
Ho l'eta' in cui mori' la Madonna...
Gia'. Ma la morte non lo spaventava. Non aveva paura di morire...se proprio la volevano mettere su questo piano, allora lui aveva solo paura di smettere di vivere.

"1502??"
Willow era rimasta a bocca aperta per quella che le era sembrata un'eternita'. Il silenzio piu' pesante che avesse mai sentito era sceso nella sala. Miranda li guardava ad uno ad uno, aggrottando la fronte con fare preoccupato.
"No?"
"1502..."
Spike era rimasto a bocca aperta, la lingua penzolone come un mascherone da fontana. Un'angoscia profonda gli bloccava la gola. Un attimo di smarrimento generale. Giles si grattava il mento con un dito, assente. Xander si guardava intorno, come per accertarsi di essere ancora nel duemila. Anya, invece, non sembrava cosi' sorpresa. Fissava attentamente la ragazza seduta sulla sedia. Aveva gli occhi stretti, per osservarla meglio. Con la solita irruenza, sposto' via Xander e Willow e si sedette di fronte alla ragazza, fissando i suoi piccoli occhi scuri in quelli chiari e ipnotici della piccola. Miranda la guardo' con altrettanto interesse. Non sembrava infastidita dal modo sfacciato in cui Anya le puntava gli occhi addosso. L'ex demone sembrava sul punto di ricordarsi qualcosa di importante. Parlo'. Con una gentilezza inaspettata. Un brivido la scuoteva tutta.
"Qual'e' il tuo cognome, piccola?"
La ragazza non rispose subito. Continuo' a fissarla. La studio' con attenzione totale. I capelli biondi e ricci, la fronte stretta, gli occhi vivaci, scuri come l'ebano, il naso dritto, la labbra pallide. E poi il mento. La scollatura della maglietta. Le gambe. Con un interesse quasi medico. Poi, finalmente, rispose. Probabilmente aveva deciso di fidarsi di lei.
"De Advieto..."
Anya sembro' trasalire. Xander si sporse verso di lei. Ma lei non si giro'. Sembrava completamente concentrata sulla ragazza dalla coda dorata.
"E ti trovavi in un convento..."
La ragazza fece cenno di si' con la testa.
"Un convento. Per caso si chiamava Santa Clara?"
Stavolta Miranda la fisso' stupita. Anche gli altri aggrottarono la fronte, cercando di indovinare come facesse Anya a conoscere un convento del 1502 che si trovava a Sunnydale. O nella Valle Del Sole. Dipende dai punti di vista.
"S-si'..."
Anya sbatte' sorpresa le ciglia. Un paio di volte, non di piu'. Fu tutta la sua sorpresa. Mai avrebbe immaginato di vedere li' proprio quella Miranda. Sorrise imbarazzata alla ragazza, che la fisso' senza sorridere. Invece fisso' un punto appena dietro di lei. Anzi, era come se guardasse qualcosa attorno a lei. Gli si avvicino' di piu'. Anya sentiva sulle sue labbra il fiato caldo della ragazza.
"Sei un demone."
"Lo ero..."
"Non era una domanda..."
Aveva una calma, quella ragazza, da far avvertire quantomeno un lungo brivido. Si trovava in un altro tempo, con gente che apparentemente non conosceva, e parlava con una calma ed una convinzione fuori dall'umana portata. Sembrava completamente estraniata. Come se niente la toccasse. Come se non fosse reale. Anya ricordava che era stata cosi' fino all'ultimo. Uguale. Lo stesso visetto grazioso e gli occhi profondi eppure senza espressione. Guardandoli non avresti mai capito cosa stesse pensando la ragazza. Erano come specchi. Ti ci vedevi riflessa dentro. Ma non vedevi dentro di lei. Miranda, invece, sapeva scrutare l'animo umano guardando attraverso quelle piccole finestre. Solo questo. Anya guardo' la sua pelle di latte. Era bianca come la luna. In effetti, sembrava la luna. Fredda e distante. Bianca. Lattea. Dura. Non aveva mai capito se fosse solo uno scudo. Beh, non ne aveva avuto il tempo. Un sorriso le spunto' sulle labbra. Sembro' spaventare Miranda. Sembro', perche'!
  con lei non c'era mai niente di certo. Poteva sembrare spaventata a morte e non esserlo affatto. Nessuno sarebbe riuscito a capirlo. Tranne...Anya guardo' Spike di traverso. Possibile? Non ci aveva mai pensato, fino ad allora. Guardo' Miranda. I suoi profondi occhi verdi. I suoi capelli biondi. L'espressione di quel pallido viso cosi' grazioso. I suoi occhi si spostarono su Spike. Biondo. Quegli occhi. Aveva sempre saputo di averli gia' visti. Troppo strani, troppo unici per essere una semplice coincidenza. Nella sua mente apparve Buffy. Anya la fermo'. La affianco' all'immagine di Miranda. Le sovrappose. E sorrise di nuovo. Si alzo' senza dire una parola. Gli altri la guardarono mettere sotto sopra gli scaffali dei libri. Ne afferro' uno. Sembrava un vecchio libro di storia sull'inquisizione. La copertina consunta, nera. Le pagine leggermente attaccate l'un l'altra. Lo sventolo' verso il resto del gruppo.
"Eccolo!"
Nessuno parlava. Anya si avvicino' ad un tavolo. Apri' il libro. Mentre cercava di aprire le pagine incollate, parlava.
"Sapevo di averla gia' vista da qualche parte...questa piccola...nel 1502 ero a Sunnydale. Un lavoro, immagino. Beh, comunque ci sono rimasta piu' del previsto perche' c'era uno strano processo. Volevo assistervi. Una ragazza stupenda accusata di possessione demoniaca. Non ricordo cosa avesse fatto, esattamente, ma la famiglia l'aveva chiusa in convento per ordine dello stesso Papa. Era successo qualcosa, al convento, per cui anche un giovane bibliotecario era finito sotto inchiesta e perfino un vecchio vescovo. Il processo fu breve, almeno io ricordo che lo fu. Agghiacciante. Uno spettacolo orribile. E sapete chi era l'accusata?"
Tutti scossero la testa, confusi. Anya riusci' finalmente a scostare due pagine. Guardo' quella che doveva essere una miniatura. Inclino' la testa, osservandola attentamente. Quando fu soddisfatta, alzo' verso gli altri il libro. La miniatura rappresentava una bellissima ragazza, circa sedici anni, riccamente vestita di broccato rosso, circondata da una corte di demoni adoranti. La ragazza aveva enormi occhi verdi ed una coda lunghissima di capelli biondi. Lo sguardo di tutti i presenti volo' da Miranda alla miniatura, dalla miniatura a Miranda. Anya li lascio' riprendere fiato per un attimo. Giro' un paio di pagine. Trovo' cio' che cercava.
"Il giovane prete..."
Volto' il libro. Davanti a loro c'era un'altra miniatura. Rappresentava un giovane prete avvolto nel saio francescano. Aveva occhi azzurri come il mare e capelli dorati, a riccioli. Sembrava un angelo, non fosse per l'enorme Diavolo che era stato prontamente disegnato al suo fianco. Anya sembrava terribilmente calma. Giles sudava. Willow spostava lo sguardo da un capo all'altro della stanza. Xander si stropicciava gli occhi, incredulo. Spike boccheggiava, apriva e chiudeva la bocca, senza riuscire a spiccicare parola. Willow lo guardo', aggrottando la fronte, sorpresa.
"Tu??"
Anya poso' il libro.
"Non lui, non come lo conoscete ora. Probabilmente una vita passata. E Miranda, assomigliando tanto a Buffy, potrebbe essere una vita passata di Buffy. E potrebbero essersi scambiate...e allora siamo nei casini..."
Spike sembro' capire a cosa alludeva Anya. La guardo', angosciato.
"Cosa...cosa e' successo a Miranda e al prete, cioe' a me, al processo?"
Aveva paura di sentire la risposta. Tutti le sue paure presero improvvisamente forma. Per bocca di Anya.
"Il ragazzo fu mandato a curare i lebbrosi. Contrasse la lebbra e mori', pochi mesi dopo. Il vescovo fu scomunicato. E Miranda...colpevole...l'hanno bruciata..."

"Hey tu! E' arrivato padre Juan."
Buffy ascoltava le grida che le monache si scambiavano in corridoio. Stava ancora rannicchiata contro la parete della cella. Aveva freddo. E fame. E una terribile paura. La lacerava dentro. Come artigli di una bestia che non vedeva. Ma forse no. La vedeva. Cominciava a vedere strane cose. Luci bianche davanti a lei. Mostruosi demoni avvolgersi attorno alle sue gambe, strisciare sulla sua pelle. E sangue sulle pareti. Sulle sue mani. Questo, particolarmente, la spavento' da morire. Sangue, rosso e brillante, che gocciolava dalle sue piccole mani bianche. E le imbrattava la tonaca. E la faccia. Lo sentiva scorrere sotto la sua pelle. Era una sensazione strana. E brutta. Ma non poteva farci niente. Sentiva le formiche che passavano in fila davanti alla sua cella. Le sembrava che facessero un rumore assordante. E sentiva gli uccelli cantare, anche se attorno al convento non c'erano uccelli. E sentiva grida. Tante, tutte nella sua testa. La attanagliavano. La spezzavano. Da dentr!
 o. Fuori non c'era niente. Nemmeno il sangue era reale. Lo vedeva solo. Ma solo a volte. Poi chiudeva gli occhi. Forte, tanto forte che le facevano male. E quando li riapriva il sangue non c'era piu'. E la sua tonaca era pulita. Il pugnale che vedeva accanto a lei spariva. Le sembrava come quella volta che le avevano detto di essere schizofrenica. Forse le avevano iniettato un altro siero. E se mi concentro ne esco. Ma stava cosi' ferma per ore, ripentendosi 'non e' reale, non e' reale, non e' reale'...ma non succedeva niente. Quando si stancava di ripetersi quel ritornello, era ancora li', nella lurida cella di quello squallido monastero, con una suora pelata e orribile che la spiava attraverso la feritoia rettangolare della porta. Ora pero' non la stava spiando. Parlava velocemente con un'altra monaca, alta e magra come un manico di scopa. Dalla feritoia, Buffy scorgeva appena il viso smunto e il lungo collo abbracciato da un crocefisso di legno. Dopo un veloce scambio di!
  battute, la monaca alta se ne ando'. Al suo posto, dopo pochi!
  istanti
, dalla feritoia Buffy intravide uno scorcio di tonaca marrone. Sembrava un sacco. Un francescano. Era un uomo, sicuramente. Era girato di spalle, e Buffy riusciva a vedere solo il cappuccio del saio e uno scorcio di riccioli d'oro. Avevano qualcosa di familiare. Ma la ragazza era troppo sconvolta per pensare. E continuava a vedere macchie scarlatte ovunque. Dalle sue mani colava un fiume di cremisi. Aveva voglia di urlare. Ma era come se la voce le mancasse. Sentiva la gola secca come paglia. Ma forse era solo perche' aveva una sete terribile. Da quando si trovava li', non aveva bevuto un solo sorso d'acqua. Erano piu' o meno sei, sette ore. Non molto. Ma a lei era sembrato un anno. Forse piu'. Ora, la presenza di questo frate, stranamente la faceva sentire meglio. Ma continuava a vedere sangue. Dappertutto. Finalmente la porta si apri'. Un sinistro cigolio. Buffy rabbrividi'. La monaca entro' nella cella. Le lancio' uno sguardo a meta' tra il disgustato e l'impaurito ed us!
 ci'. Al suo posto, sulla soglia comparve un uomo. Era avvolto nel saio bruno. Il cappuccio copriva i lineamenti del viso. Buffy fece qualche passo indietro, spaventata senza un motivo. Il cuore prese a batterle piu' velocemente. Tum tum. Tum tum. Nella testa. Ancora sangue sulle sue mani. Sulle mani di padre Juan, niente. Erano pallide e immacolate. Si alzarono, prendendo un lembo del cappuccio. Lo porto' piano indietro, mentre la monaca richiudeva la cella e Buffy sentiva il cuore balzarle in gola come impazzito. Il cappuccio ricadde all'indietro. Scoprendo un volto che Buffy conosceva bene. Quei capelli d'oro. Quegli occhi. Quegli occhi. Blu. Semplicemente. Blu. Con il cuore che le scoppiava, corse incontro all'uomo. Lui la fisso sorpreso, mentre lei si avvicinava sorridente.
"Spike! Sapevo che mi avresti trovata! Lo sapevo, io..."
Si blocco'. Era a pochi centimetri da lui. E si blocco'. Il suo sguardo...paura. Come se non la conoscesse. Come se non l'avesse mai vista.
"Spike...sono io...Buffy..."
L'uomo, pero', giro' la testa verso la piccola monaca che spiava dalla feritoia. Lei si segno'.
"E' posseduta..."
Padre Juan torno' con lo sguardo verso Miranda. Ora aveva gli occhi lucidi. L'aveva scambiato per qualcun altro? Non poteva credere che una cosi' bella ragazza potesse essere realmente posseduta. Era cosi'...bella. si', bella. Non trovo' altro aggettivo per descriverla. Con quegli occhioni verdi che lo fissavano delusi e lucidi. Quella pelle bianca come la neve, quella neve che non aveva mai visto. E i suoi capelli. Una coda. Una coda dorata. La criniera di un leone. Non poteva essere posseduta. Era troppo angelica, per esserlo. Fece cenno alla monaca alla porta di sparire. Odiava quelle stupide suore. Erano peggio delle schiave, in quanto a spettegolare. E poi gli sembrava che mettesse a disagio Miranda. La suora lo fulmino' con gli occhi e se ne ando'. Anche se Juan avrebbe giurato che sarebbe rimasta nelle vicinanze per origliare. I suoi occhi blu tornarono in quelli di Miranda. Lei era accasciata contro una parete. Tremava. Una pieta' che non aveva mai provato prima lo i!
 nvase. Non era solo pieta'...era qualcosa...qualcosa di diverso. Qualcosa a cui Juan Delgado non seppe dare un nome. O non volle. Ma c'e' poca differenza. Si avvicino' alla figura rannicchiata contro il muro. Lei alzo' due occhi roventi su di lui. Uno sguardo tanto bruciante da costringerlo ad indietreggiare.
"Chi sei?"
Juan si avvicino' di piu'. Ogni passo era lento e calmo. Si accovaccio' accanto alla ragazza. Lei si ritrasse ancor piu' contro il muro. Sembrava volesse passarvi attraverso. Cerco' di carezzarle paternamente i capelli, ma il suo sguardo lo blocco'. Ritrasse la mano.
"Sono padre Juan Delgado. Sono...il tuo medico..."
Aveva appena mentito. Ma l'aveva fatto per lei. Quello sguardo cosi' impaurito. Da cerbiatta. L'aveva fermato. Non avrebbe potuto dirle che era il suo esorcista nemmeno volendo. E, in fondo, non voleva. E poi quella povera anima indifesa aveva davvero bisogno di un medico. Sembrava deperita. Troppo magra. Bellissima lo stesso, ma troppo magra. E poi aveva diversi tagli sulle caviglie, dovuti alle corde con cui l'avevano legata i primi tempi quelle bestie delle monache, spaventate a morte dall'idea di avere una posseduta al convento. Prese quindi delle bende, dell'acqua fresca e altre cosucce da una borsa.
"Da quanto non mangi, piccola?"
Miranda scosse la testa.
"Beh, devi mangiare...cosi' quando uscirai di qui sarai ancora piu' bella..."
Lei lo guardo' negli occhi, afferrandogli forte un polso.
"Non mi tratti come una bambina!"
Juan la guardo' spaventato. Aveva uno sguardo...sofferente. Ed adulto. Troppo adulto per una ragazzina di appena sedici anni. Ma sembrava cosi'...matura. E bella. Juan non riusciva a togliersi dalla testa quelle cinque lettere...bella...
"Non lo faro'."
Buffy lo lascio' andare. A malincuore quasi. Somigliava cosi' tanto a Spike. Anche nel modo in cui la guardava...desidero' di trovarsi davanti lui. Perche' non c'era lui, li', davanti a lei, a trattarla come una bambina? Guardo' padre Juan. Quasi le venne da sorridere pensando a Spike come ad un prete...un bel salto di qualita', non c'e' che dire. Si chiese come baciasse, questo bel frate. Se somigliava a Spike anche solo lontanamente, allora doveva essere bravissimo. Il ragazzo le prese gentilmente la caviglia destra, portandola verso di se'. Con una garza, le tampono' i brutti graffi che aveva appena sul collo del piede. Profondi. Facevano male. Un male d'inferno. Ma quello che le faceva piu' male erano le macchie di sangue che vedeva sulle sue mani. E Spike, che era li' eppure non c'era...com'era possibile? Una voce nella sua testa le rispose, dicendole qualcosa che in fondo gia' sapeva, con la voce dell'omino che le aveva detto di essere intrappolata in una vita passata.
"Le anime gemelle si cercano e si rincorrono, sfidando il tempo e lo spazio...tu e Spike siete da sempre insieme...e non riuscite a vederlo, troppo ciechi per amare..."
Una stretta al cuore. Lei e Spike...insieme in tutte le sue vite precedenti? Destino...anime gemelle...lei e Spike, anime gemelle? Era strano, ma in fondo in fondo, era come se l'avesse saputo da sempre. Sorrise, guardando il giovane prete, la sua anima gemella, disinfettarle amorevolmente le ferite. Ma il suo sorriso scomparve subito. Abbassando lo sguardo sulla sua veste e sulle sue bianche mani, Buffy si accorse che grondavano sangue. Tanto, tantissimo...e sentiva nelle orecchie urla e gemiti e pianti strazianti. Provo' a reprimerli, ma piu' tentava di mandarli via, piu' crescevano. Juan alzo' la testa su di lei. Lei che si contorceva, si teneva la testa tra le mani, gemendo disperata. E poi un urlo. Terrorizzante, al limite umano. Un urlo straziante. Doloroso. Un urlo che lascio' Buffy senza piu' fiato in gola. Padre Juan le carezzo' una guancia, preoccupato. Lei si aggrappo' alla sua mano, cercando il coraggio per fare una domanda precisa. Una domanda la quale risposta !
 non avrebbe voluto sapere. Ma era necessario. Se non altro per capire il motivo di quel tormento.
"Perche' sono qui?"
Il ragazzo la guardo' interrogativo, incerto se scoppiare a ridere o prendere sul serio quella strana domanda. Decise per la seconda.
"Non lo sai, Miranda?"
La piccola scosse la testa, singhiozzando. Si guardava le mani. Con uno sguardo carico di sgomento.
"Non avrei voluto essere io a ricordartelo...hai ucciso una persona, Miranda..."

Capitolo III

"Hai ucciso una persona, Miranda..."
No, no, no!! Non puo' essere! Perche', come, dove? In una vita passata ho ucciso? Cosi', a sangue freddo? Ho...tolto la vita a qualcuno...e' il suo sangue quello che cola dalle mie mani, che sporca i miei vestiti, che batte sotto la mia pelle? Com'e' possibile? Io non farei mai una cosa del genere! Ma non e' vero...ero un'assassina...lo sono sempre stata...continuo ad esserlo. In modo diverso, ma continuo ad esserlo! E' il mio destino...uccidere, uccidere, uccidere fino a consumarmi, fino a che non uccidero' me stessa. O finche' non sara' qualcun altro ad uccidermi. Questo sangue. Che mi soffoca. E' lui il mio carnefice. E lo sguardo di questo prete, lo sguardo di Spike...spaventato. ha davanti un'assassina...come si fa ad amare un'assassina? Come si fa ad amare qualcuno che ha strappato una vita? Che ha affondato un pugnale nella carne di un altro essere umano, e l'ha guardato morire? Non si puo', non si puo'...sono un'assassina...continuero' ad esserlo per sempre...per sem!
 pre...per...sempre...
Lo sguardo vacuo, perso nel vuoto. Vorrebbe piangere. Ma lo sgomento, la sorpresa, sono troppo forti. E' come se fosse tutto irreale. Come se potesse finire da un momento all'altro. E le lacrime non scendono...si affacciano, ma non scendono. Come le onde di quel mare che ruggisce forte, sotto il convento. Le sue onde...che lambiscono la riva, ma poi e' come se ci ripensassero. E tornano indietro. Ci provano. Ma la loro corsa, quella elegante ritirata, e' destinata a finire sotto la sabbia. Che si prende quell'acqua, perennemente assetata. E gli occhi di Buffy sono come quella sabbia. Le lacrime li sommergono, tante che ci potresti affogare dentro, sembra che vogliano finalmente scendere, ma poi ci ripensano. Provano a tornare indietro. Ma restano intrappolate in quegli occhi. Spalancati, ancora increduli. Si fermano. E diventano come cristalli. Luccicano, ma di un luccichio macabro e triste. Un luccichio che sa di morte e disperazione. Le lacrime sono l'unica cosa capace di !
 far brillare gli occhi di una persona triste. E gli occhi di Buffy brillano. Cosi' forte da abbagliare. Ma brillano di una luce disperata. Cristalli di tristezza. Trasparenti, lasciano appena intravedere il verde acceso dell'iride. Lo appannano, come fiato su una finestra. Una finestra bagnata dalla pioggia. Dalla quale non si vede altro che tempesta. Dentro quegli occhi non c'e' altro. Tempesta. Nuvole grigie che oscurano tutto. Ombre di follia. Ma non c'e' follia. Solo dolore. E Buffy prega. Vorrebbe solo che quella dolce follia si ricordasse di lei. E venisse a prendersela. Ma c'e' solo dolore. E, se follia c'e', e' quella triste, che non da' sollievo, ma solo altro dolore. E ancora, ancora, ancora. Dolore dentro la sua testa, nelle grida e nei pianti che sente e non sa da dove vengono...dolore nelle sue vene, dove il sangue pulsa come impazzito, e lei lo puo' sentire, quel fiume in piena che scorre e poi si ferma e poi scorre di nuovo, e batte contro le pareti sottili d!
 elle sue vene, e vorrebbe solo uscire, perche' e' troppo, perc!
 he' fa t
roppo male, ma non puo'. Dolore in fondo a quell'anima, anima dannata, dimora delle colpe che ha commesso. Un'anima assassina, tinta di rosso. Ma forse non c'e' nemmeno. E' gia' fuggita via. Dolore sulle sue dita, dove il sangue che non c'e' corrode la  sua pelle come fuoco bruciante, e le arriva dentro, fino al cuore, e lo brucia lentamente, finche' non ne rimane che un mucchietto di cenere. Fredda e nera. E' tutto li' il suo cuore. Cenere. Fredda e nera. E vorrebbe poterla afferrare, quella cenere, strapparsela via dal petto e lanciarla nel vento, lasciando che voli via, e con lei tutto il tormento. E il dolore. E la colpa. Ma non puo'. La cenere resta nel suo petto. Il dolore nella sua testa. Dovunque. Sensazioni. Sentimenti. Si mescolano. E le sembra di sparire. Non e' paura. Non e' terrore. Non e' rimorso. E' qualcosa che va oltre. E le sembra di sparire. Lentamente. Come se pian piano non ci fosse piu'. E cercare di tenersi aggrappata ad un pensiero, perche' se ti aggr!
 appi a qualcosa, anche uno stupido pensiero, quella sensazione di non esserci, di scivolare via, se ne va. Ma non ci sono pensieri. Solo dolore. E lei si sente andare via, come l'acqua. Scivolare lentamente. Dolorosamente. E poi passa. Si sente senza fiato. Come svegliarsi da un incubo. Solo che non e' stato un incubo. Solo triste, ingiusta realta'. L'incubo peggiore. La realta'. Troppa realta'. Buffy si riscuote, girando smarrita gli occhi per la cella. Quella maledetta consapevolezza non l'abbandona. Ho ucciso. Un essere umano. Voci nella sua testa. Assassina. Assassina. Vuole mandarle via. Ma non si puo'. Padre Juan sta ancora guardandola. Le sue labbra si muovono, ma Buffy non sente niente. Ne' le sue parole, ne' quella mano cosi' calda -calda- sulla sua spalla. E, poi, d'improvviso, la voce di quell'uomo davanti a lei le arriva, le sue parole, prima lente, basse, poi alte, fino a diventare grida.
"Miranda! Miranda! Mi senti?"
Si scuote ancora. Guarda quel volto cosi' familiare. Spike...ho ucciso! Resta cosi', fissandolo in quei meravigliosi, vivi -vivi- occhi blu. Per un secolo, forse. Un millennio. O solo un secondo. Poi, i cristalli nei suoi occhi si rompono. E lacrime, tante, tante lacrime, inondano quelle guance di pesca. Velluto. E lei cerca rifugio tra le braccia di quel frate. Padre Juan. La sua anima gemella. Spike. E piange. Singhiozzi acuti e strazianti. Rannicchiata contro il petto accogliente del ragazzo. Lui le accarezza paternamente i capelli, quella lunga coda bionda. E si chiede il perche' di quel pianto. Come se avesse realizzato solo adesso cio' che aveva fatto. Signore, aiutaci tu...

"Che stai dicendo?"
"Quello che e' scritto. Se Buffy e' finita nel corpo di questa ragazza, morira'."
Calma. Sempre cosi', Anya. Calma. Anche quando si trattava di decretare sentenze di morte. Una calma che metteva paura. Da demone. Quel demone che Anya pareva diventare ed abbandonare con una frequenza impressionante. Per colpa di Xander. Mea culpa. Ma non era nemmeno colpa sua. O forse si'. Beh, comunque non era il momento di pensare a questo. Non con Buffy che poteva essere bruciata da un momento all'altro. No, decisamente non era il momento. Dovevano trovare una soluzione. E per farlo dovevano riprendersi in fretta dallo shock. Molto in fretta. E non era cosa da poco. Giles era rimasto impietrito, osservando quasi con disprezzo la ragazza seduta come se niente fosse al centro del negozio. Xander faceva piu' o meno lo stesso. Spike cercava di darsi un tono, ma gli riusciva difficile anche pensare. Aveva un macigno al centro del petto. E non era la sua anima. Willow. Lei decisamente stava male. Guardava la ragazza. Ma aveva lo sguardo perso nel vuoto. Velato. Avresti detto !
 lo sguardo di un morto annegato. Anya continuava a sfogliare tranquillamente le pagine del librone sull'inquisizione. Ma non c'era nient'altro che quelle due miniature e poche pagine sul processo. Omicidio. Una strana pieta' le passo' negli occhi. Come un lampo scuro. Un solo attimo. Povera Buffy, chissa' cosa sta pensando. Sapeva come ci si sentiva ad avere sulla coscienza un delitto. L'aveva provato per poche ore, proprio qualche mese prima, e ne era rimasta sconvolta. Non se lo sarebbe mai dimenticato. Chiodi nella pelle. Sotto la pelle. Nella testa. Chiodi e spilli dappertutto. Da morire di dolore. Solo che non muori. Troppo facile. Com'era? Ah, gia': mai dare morte quando puoi dare dolore. Quindi non morivi. Sentivi solo un male d'inferno. Una cosa fisica. Non mentale. Non solo, almeno. Povera Buffy. Tiriamola fuori di li'.
Spike. Un vampiro. Un vampiro diverso. Umano. Troppo umano. Maledizione! Drusilla aveva sbagliato. Aveva scelto l'uomo sbagliato. Lui non era un vampiro. Era solo un uomo. Fallito. Morto. Troppo debole. E dannatamente innamorato. Lui. Innamorato. Lui. Un morto che sentiva la vita scivolargli addosso come un vivo. Che assorbiva dolore ed emozioni come un essere umano. Come l'essere umano. Che amava ed era disprezzato come e piu' di un uomo. Amava la sua nemica naturale. Diventata da un giorno all'altro il suo innaturale e distruttivo amore. Distruttivo. Per lui.
C'e' mai stato qualcuno che e' arrivato dentro la tua carne, dando al tuo cuore una stretta, e ti ha fatto tanto male, semplicemente da non poter piu' respirare? E quando le chiedesti di smettere, ti rise in faccia, dandoti un duro schiaffo e dicendoti che eri una vergogna. Nessuno ti conosce veramente. Ma ti odiano lo stesso. E tu puoi solo piangere, hai solo te stesso da incolpare...le persone -lei, soprattutto lei- sono crudeli, la vita e' solo un gioco...eccolo il mio mondo...il mondo dell'eterno dolore.
Eterno dolore. Eterna espiazione. Arrivera' mai quel maledetto giorno, in cui qualcuno mi dira' basta, hai pagato abbastanza? Verra' mai un giorno in cui lei, loro, guardandomi, vedranno oltre il mostro che sono? Ci sara' un giorno in cui, pensando alla mia vita, mi verra' in mente una parola diversa da 'completo fallimento'? Lei mi vedra' mai veramente? Beh, se non la riporto indietro, non avra' mai l'occasione di vedermi. Vedermi veramente. Per quello che sono, non per quello che dovrei essere. O per quello che sono stato. O per quello che non saro' mai. Solo per quello che sono. E' cosi' difficile? E' tanto difficile strappare quel velo che le oscura gli occhi? Cosa ti sto chiedendo, Buffy? Devi solo guardarmi negli occhi. Leggervi dentro. Non e' difficile, se lo vuoi. Se lo vuoi. Ma perche' dovresti volerlo? Ecco, ci risiamo...mi scavo la fossa da solo. Mi degrado. Mi umilio. Non e' cosi' che dovrebbe essere. Sono sicuro. Sicuro che lo vuoi. Che vuoi vedermi. Veramente. !
 Stavi solo aspettando il momento giusto...e rischia di non arrivare mai. Ma deve arrivare. Ti riportero' indietro...altrimenti, chi mi minaccera' di morte dopo aver fatto l'amore? O anche prima? E chi mi dira' che sono una nullita', che sono una 'cosa' brutta e cattiva? E chi tornera' dopo qualche ora per chiedermi scusa, senza chiedere scusa, semplicemente usando uno sguardo? Quello sguardo. Perdonerei qualsiasi cosa a quella donna che mi fissa in quel modo. Le perdonerei qualsiasi cosa anche se non mi fissasse in quel modo. Ma cosi' e' meglio. Ti riportero' indietro, biscottino. Biscottino. Che soprannome idiota. Divertente. Si innervosisce sempre quando la chiamo cosi'. Ma sono sicuro che sotto sotto le piace. Se non altro, la diverte. Passerotto. Dolcezza. Amore. L'ultimo e' quello che le piace meno. Anche se io starei li' a chiamarla cosi' per ore. Ed ore, ed ore. Amore. Cinque stupide lettere. Un mondo. Che vorrei solo condividere con lei. Se solo lo volesse. Ma non i!
 mporta. Ora, quello che conta e' tirarla fuori da...da qualunq!
 ue posto
 si trovi. Con qualunque mezzo.
"Willow?"
La strega, ex strega, si risveglio' di botto. Scosse piano la testa. Cerco' di ricomporsi. Si giro' verso Spike.
"Che c'e'?"
Il viso del vampiro era serio. Serio come l'aveva visto poche, pochissime volte. Anya alzo' lo sguardo dal libro che stava ancora sfogliando. Un brivido le corse lungo la schiena. Spike parlo'. Una voce calma e sicura.
"Voglio che tu faccia un incantesimo..."  
    
Era riuscita a calmarsi. Un po'. Solo un po'. Ma era gia' qualcosa. Solo pochi minuti prima era sicura che non avrebbe mai smesso di piangere. Ma poi la presenza di padre Juan, quell'abbraccio pastorale eppure cosi' caldo, era riuscita a calmarla. Un po'. Ora se ne stava rannicchiata contro il muro, con il ragazzo di fronte, e si asciugava gli occhi lucidi e rossi con una manica del saio che portava. Le grida si stavano un po' attenuando nella sua testa. Il sangue aveva ripreso la solita corsa. Batteva ancora nelle sue tempie, ma dolcemente. Come piccoli tamburi. Facevano una musica dolce. Il sangue sulle sue mani era sempre meno. Lo vedeva sempre, chiazze rosso fuoco nell'uniformita' bianca delle sue mani, ma diminuiva. Non scorreva piu' a fiumi. Ed era anche merito dell'uomo che aveva davanti. E che la fissava imbarazzato, cercando di evitare i suoi occhi verdi. Non poteva dargli torto. Aveva fatto una scenata degna di una posseduta, se era questo che pensava. Ed era sicur!
 amente questo. Posseduta. Fin dall'inizio aveva creduto di esserlo. Fin dall'inizio aveva saputo che padre Juan non era il suo medico.
"E cosi'...tu sei il mio esorcista..."
Il ragazzo parve sconcertato per un attimo. Buffy sorrise. Un po'.
"No, non leggo nel pensiero. Solo, non sai recitare la parte del medico...so di avere qualcosa dentro. Ho bisogno del tuo aiuto..."
Si'. C'era qualcosa che strisciava silenzioso dentro di lei. E mordeva e lacerava. Non era sicura di cosa fosse. Non era sicura di essere posseduta. Forse non lo era. Ma aveva bisogno di avere Spike, almeno la sua immagine, insieme a lei. Sarebbe impazzita, da sola. O si sarebbe uccisa. In entrambi i casi sarebbe finita male. Guardo' Juan con occhi imploranti. L'esorcista ebbe finalmente il coraggio di incorciare il suo sguardo. E Buffy capi' che non l'aveva evitato per paura di una posseduta. C'era qualcosa, in quello sguardo. Qualcosa di molto diverso dalla paura. Affetto. Forse perfino latente desiderio. Di cui sicuramente il giovane prete non era a conoscenza. Buffy vedeva la paura in quegli occhi blu. Ma non per lei. Aveva paura di se stesso. Sorrise, Juan. Un sorriso bellissimo. Strano. Era lo stesso sorriso di Spike. Uguale. Ma non si era mai soffermata a pensare che era bellissimo. Mai fino ad allora. Non si capisce mai il vero valore, la vera bellezza, di qualcosa, !
 finche' non la si perde. Al pensiero di aver perso Spike, il suo cuore si strinse. Ma stavolta ricaccio' indietro le lacrime. Aspettando la risposta di padre Juan.
"L'avrai...tutto il mio aiuto. Tutto. E, non saro' medico, ma una cosa la so. Devi mangiare. Non questa schifezza del convento, pero'. Facciamo cosi', io domani torno e ti porto qualche squisitezza dalla mensa del vescovo, va bene? Pero' devi sorridere...", e qui fu percorso da un brivido. La frase si continuo' da se', "...sei cosi' bella quando sorridi..."
Buffy senti' ardere le guance. Juan guardo' quelle gote, velluto, avvampare di scarlatto. Gli provoco' uno strano piacere. Una fitta giu', allo stomaco. Il suono della voce della ragazza, quando rispose alla sua richiesta, fu cosi' ipnotico e innocentemente sensuale da togliergli il respiro.
"Sorridero'. Promesso. Torna presto, domani...ho fame!"
E un sorriso era spuntato sulle sue labbra. Fresco, innocente. Pudico. Il sorriso di una sedicenne. E Juan Delgado era rimasto cosi', a contemplare quel sorriso nel buio della cella. Immobile, come se il piu' piccolo movimento potesse spezzare quella magia. Un sorriso. Brillante. Due occhi blu che lo guardano. Lo studiano. Restano ammutoliti di fronte tanta semplice bellezza. Non c'e' altro. E' bella. E basta. Non c'e' altro aggettivo che possa descriverla. Nessuno. Non che non gli vengano in mente altri. Ha un intero vocabolario, in testa. Ma tutte quelle parole, fiumi di parole, sono inutili. Perche' cercare di descriverla con intere frasi che poi vogliono significare tutte la stessa cosa? E' bella. Punto.

"Non se ne parla nemmeno!"
"Willow, ascolta!"
La strega girava per il negozio, tantando di sfuggire all'assurda richiesta di Spike. Gli altri li guardavano come in trance, incapaci di intervenire.
"No che non ascolto! Quello che mi stai chiedendo e' impensabile, inconcepibile! Non posso farlo."
Ma Spike era piu' veloce. La raggiunse e le si paro' davanti. Aveva due braci al posto degli occhi. A Willow ricordo' la volta in cui l'aveva rapita per farsi preparare una pozione d'amore per Drusilla. Aveva la stessa aria disperata e risoluta. Mancavano solo la bottiglia mezza vuota di liquore e il coccio puntato alla sua gola. E non le dispiacque.
"Will, ascolta. Lo so che mi odi...non scuotere la testa, tutti qui mi odiate...o comunque non gradite la mia presenza. Quindi capisco se non vuoi fare qualcosa per me. fallo per Buffy, allora!"
"Non funzionera'! non sono nemmeno sicura di riuscire a controllare la magia, e anche se ci riuscissi, e' troppo pericoloso. Non posso farlo."
"Willow, ti prego..."
Spike la guardo'. Quei due occhi blu erano talmente stanchi e imploranti che Willow ebbe la tentazione di dirgli di si'. E, si sa, l'unico modo per resistere ad una tentazione e' cedervi. Percio' Willow abbasso' gli occhi in segno di resa. E cedette. Ma Xander voleva, al solito, dire la sua.
"No, non se ne parla. Per quanto mi piacerebbe vederti trasportato via da una luce accecante non posso permetterlo. Buffy non vorrebbe. E Willow rischia grosso."
Spike cammino' lentamente verso la figura impettita di Xander. Si fermo' ad una spanna dal suo viso. Era piu' basso di qualche centimetro. Questo non gli creava problemi.
"E cosa proponi, cervellone? Restare qui, senza fare niente, mentre Buffy sta per essere bruciata chissa' dove? E' questo che vorrebbe lei? O e' quello che vuoi tu?"
"Non permetterti di dire..."
Come al solito, Willow si mise tra i due, prima che cominciassero, al solito, a volare pugni e insulti pesanti.
"Ok, ok, basta. Spike ha ragione. Non possiamo fare altro. Forse questo assurdo piano non portera' da nessuna parte. Ma forse no. Non lasceremo niente di intentato. E, per quanto avventato, quello di Spike e' un buon piano. Quindi smettetela di litigare come donnette!"
Xander rise sarcasticamente.
"Oh, certo, un incantesimo cosi' potente e' proprio tutto quello che ti ci vuole, Will!"
"E' tutto quello che ci vuole per Buffy!"
Xander sospiro', esasperato. Non voleva recuperare un'amica e perderne un'altra.
"Troveremo un altro modo. Farti ammazzare non e' una buona idea, credimi!"
Willow lo guardo'. C'era una decisione, in quegli occhi verdi, che sorprese Xander.
"Non succedera'. Non mi succedera' niente. Non posso lasciarla li', Xander. Non lei. E nemmeno Spike puo'."
"Quindi immagino che andra' lui..."
Willow guardo' Xander. Poi Spike. Li guardo' ancora. Prese un lungo respiro. Quanto stava per dire non avrebbe fatto piacere a Xander. Almeno, all'orgoglio di Xander.
"Andra' lui. Credo che abbia dimostrato piu' di una volta che ama davvero Buffy. Non guardarmi cosi', Xander! Sai che ho ragione! Lui la ama. E, anche se non lo ammettera' mai, anche Buffy lo ama. Io non so se riusciremo a riportare Buffy indietro. Ma so chi vorrebbe con lei in questo momento. Quindi, andra' Spike."
 Xander resto' in silenzio per qualche secondo. Guardava Spike. Quel vampiro...la sua sofferenza era quasi palpabile. Perfino Xander fu costretto ad ammettere con se' stesso che era vero. La amava. E Buffy amava lui. Difficile da ammettere, ma e' cosi'.
"Ok. Farsi trasportare indietro di una vita...non e' una grande idea. Ma e' l'unica. Va' a prenderla, Spike."
Il vampiro sorrise al ragazzo. Un sorriso lieve, appena percettibile. Un grazie. Semplice. Solo grazie. Xander rispose al sorriso. Un po' forzato. Ma e' un buon inizio. Willow li guarda. Sorride anche lei. La ragazzina bionda, sempre seduta su quella sedia al centro del negozio, si guarda intorno. Comincia a mostrare i segni di una leggera paura. Ma forse e' solo apparenza. Con quella ragazza non c'era mai niente di certo. Giles la guarda. E' Buffy. La sua Buffy. Bruciata dall'inquisizione. In una vita passata. Ed ora, forse, di nuovo. Chissa' come sta, cosa pensa, dov'e'...povera bambina. Siete cosi' simili. Quegli occhi. Quei capelli. Quel viso. Cosi' uguali. Ma Buffy non avrebbe mai ucciso. O forse si'. Piu' la conosceva, quella ragazza, piu' gli sembrava di non conoscerla affatto. Era come un diamante. Mille sfaccettature, tutte diverse.

Juan Delgado sedeva su una sedia, dietro un'enorme scrivania sommersa dai libri. Di ogni genere. Libri censurati dalla chiesa, libri d'amore, favole senza senso, romanzi d'avventura. Libri sacri. Li aveva letti tutti. Avrebbe potuto citarli tutti a memoria. Soprattutto i libri proibiti. Il Vescovo diceva sempre che bisognava conoscere il nemico, per poterlo combattere. E gli aveva fatto leggere tutti i libri censurati dalla chiesa. Tutti. Autori stranieri. Autori nazionali. A volte si chiedeva perche' avessero censurato libri cosi' belli. Nei versetti d'amore di Garcilasio dela Vega non ci vedeva niente di demoniaco. Nella Divina Commedia di Dante non scorgeva la mano del Maligno. Perche' togliere al mondo tali bellezze? Non l'avrebbe mai capito. Ma in quel momento, fermo dietro l'immensa scrivania di legno profumato, con una bacchetta d'incenso a profumare l'ambiente senza finestre, non stava pensando ai libri che lo circondavano, sovrastando il profumo dolce dell'incenso c!
 on l'odore penetrante della carta vecchia. Pensava...aveva mille pensieri che sbattevano nella sua testa...ma piu' che possederli, questi pensieri, era posseduto dalle idee, dalle riflessioni. Vortici di frasi prese a caso da volumi sulla poesia. Messe una dopo l'altra, cosi', a caso. Componimenti senza senso. Non sapeva nemmeno bene perche' ci pensava. A questi versetti. D'amore. Che assurdita'. Sono un prete. Ho fatto certi voti. Ma non poteva evitare che tutta quella poesia gli entrasse nella mente. Poesia. Proibita. Ma l'animo umano e' sempre attratto dal proibito. Entro certi limiti. Ricordalo. Entro certi limiti. Gli sembrava di essere drogato. Come quei giovani che vedeva al porto. Mandavano giu' una strana sostanza. Dicevano che li faceva sentire come Dio. E morivano. Perche' a voler essere uguali a Dio si muore. Il vescovo lo diceva sempre. Il vescovo diceva sempre un sacco di cose. E, per la prima volta, Delgado si domando' se fossero tutte giuste. Anche il miglio!
 re degli uomini puo' sbagliare. Siamo tutti uomini. Forse il v!
 escovo e
ra troppo intransigente su certi argomenti. Aveva mai parlato d'amore col vescovo? Nello stesso momento in cui se lo chiedeva, il frate si chiese anche il perche' di quella domanda. Ok, e' una domanda stupida...si', pero', ne aveva mai parlato al vescovo? Si', qualche volta. Un paio di volte. Avevano parlato delle donne. Il vescovo le odiava. Ma di un odio profondo e distruttivo. Un rancore che Juan non riusciva a spiegarsi se non docendosi che il vescovo odiava le donne perche' le amava troppo. E loro non amavano lui. Vecchio e grasso. Non era sempre stato vecchio. Ma era sempre stato grasso. E brutto. Semplicemente. Juan si vergogno' di quello che stava pensando. Non dovrei. Ma se non sono sincero con me stesso, con chi posso esserlo? Quindi il vescovo e' brutto. Lo era sempre stato. Ed amava le donne. Tanto da odiarle. Perche' loro non volevano averci niente a che fare con lui. Anche quando era solo un laico. Lo evitavano come la peste. Soprattutto quelle belle. Una come !
 Miranda. Il solo pensare quel nome gli provoco' una scossa. Un brivido tanto forte da far traballare la sedia sotto di lui. L'immagine di una sedicenne dai capelli dorati gli comparve davanti. Come corporea. Un po' sfocata, forse. Bella. Un angelo. Gli tornarono alla mente le parole del vescovo: 'guardati bene quando una donna e' bella come un angelo'. Come poteva essere posseduta, una creatura cosi' innocente. Come poteva aver ucciso? E, dopotutto, che mai aveva fatto? Aveva ucciso. Ma aveva ucciso per difendersi. Perche' quando si e' cosi' belle, allora bisogna imparare presto a difendersi. Quando tuo padre e tua madre ti trattano come un'estranea, bisogna imparare a difendersi. E quando un uomo enorme sta per abusare di te, bisogna mettere in pratica cio' che si e' imparato. Miranda aveva ucciso per non essere uccisa. Lui l'avrebbe fatto. Il vescovo l'avrebbe fatto. Chiunque l'avrebbe fatto. Ma nessuno ha mai il coraggio di ammetterlo. E una povera vittima diventa un'ass!
 assina a sangue freddo. Un essere demoniaco. E' tutto cosi' in!
 giusto.
Un diavolo travestito da angelo? Assurdo. Impossibile anche solo crederci. Ma poi, perche' ci stava pensando? Avrebbe dovuto leggere. Aveva un libro da finire. Perche' pensava a quella ragazza? Perche' non vedeva l'ora di tornare da lei?
Non t'accorgi, Diavolo, che sei bello come un Angelo?
No, doveva concentrarsi sulla lettura. Ma, guardando sulla pagina aperta del vecchio libro, non vide piu' lettere e frasi e capoversi. C'erano solo sette lettere, ripetute all'infinito: Miranda...

Sto per morire, non moriro'. Sto per morire, non moriro'. Sto per morire, non moriro'...
Ripetuto all'infinito, odioso ritornello che girava capricciosamente nella sua testa. Cercava di tirarsi su. Di pensare. Ma non c'erano pensieri, solo quell'odioso ritornello. E lei che, chiusa in quella cella, combatteva una battaglia disperata con la notte. Tenebre che strisciano e l'avvolgo e l'avviluppano. La trascinano via, in catene, spingendola via, oltre l'orizzonte, in un posto che non c'e'. la notte. Pace assoluta o assoluto nulla. La circondava, quell'odore nauseante di morte, il lezzo acre del sangue. A volte, anche il sollievo della lieve brezza che entrava flebile dalle assi inchiodate alla finestra. Da li' non vedeva che cielo. Cielo nero, scuro, minaccioso finche' occhio puo' vedere. Cielo senza stelle. Gli occhi del cielo sono chiusi. Quelli di Buffy no. Buffy che lottava per non morire. Di terrore. Di freddo. Di tutto. Tutto la spaventava. La sua stessa ombra le dava i brividi. Una cosa nera e lunga che strisciava contro la parete, si arrampicava sul muro g!
 elido, sbirciava oltre la finestra. E sussurrava. Ci avrebbe giurato. Sussurrava. Era lei. L'ombra. Con una voce frusciante. Come velluto. Velluto. Canzoni. Che non aveva mai sentito. Canzoni terrorizzanti. Cantate con voce di velluto. Non le capiva. Una nenia continua. Snervante. Orribile. La cullava con braccia scheletriche. Quella cosa. Quella che le strisciava dentro. Non si fermava. Nella notte, non si fermava. La divorava.  Denti affilati. Artigli. Piano. Piano. Fa male. Ma non si puo' fermare. Non nella notte. L'aveva capito solo adesso. Ancora quella sensazione. Sparire. Di colpo, non esserci piu'. Le manca il respiro. Non e' rimorso. Non e' terrore. Non c'entra con quello che ha fatto. E' qualcosa di piu' profondo. Non gli danno un nome, gli uomini. Non lo sanno. Non lo conoscono. Non conoscono la bestia infame che la divora. Da dentro. Con denti e artigli. Finche' non c'e' piu' niente da divorare. E nemmeno si ferma. Entra nelle ossa. Gelide. Sono ghiaccio. Fa cos!
 i' freddo...non c'e' fuoco, non c'e' conforto. Sto per morire,!
  non mor
iro'...cos'ha? Fa cosi' male! Cos'ho? Fa troppo male! Come trafiggersi con una spada, e girare la lama nella carne, una volta, due, tre. Finche' non senti piu' la lama che lacera la carne. Finche' non c'e' piu' carne da lacerare. La notte. E' la mia spada, e la bestia, quella che ho dentro, la rigira dentro di me. mi toglie il respiro. Mi sento cosi' piccola! Rabbrividisce, Buffy. Si stringe di piu'. La paglia sotto le sue gambe e' fredda e umida. Il saio e' impregnato di sudore gelido. Buffy si scioglie la treccia. Piano. Con mani febbrili. La sporca di sangue. Ma non c'e' sangue. Prende quei capelli lunghissimi, e se li avvolge piano attorno al corpo. Sono caldi. Una coperta. Arrivano fin giu', alle caviglie. Un lieve tepore le passa attraverso. Si trasforma per un attimo in bruciore insopportabile. Sto bruciando...ma e' solo un attimo. Poi solo dolce calore. La bestia continua a ruggire. Ma forse e' solo il mare. I denti smettono di lacerare le labbra. Un rivolo di sangue!
  le cola giu' dal mento. Ma non prova ad asciugarlo. E' caldo. I tagli sulle caviglie sanguinano ancora. Il freddo li ha riaperti. Chiude gli occhi. E' stanca. Vuole solo dormire. Non moriro'. Non stanotte. Per stanotte ha vinto. Una sola stella brilla nel tappeto buio del cielo. Buffy la guarda dalla finestra e sorride. Le stelle sono buchi da cui filtra la luce dell'infinito...

"Candele?"
"Prese"
"Incenso?"
"Preso"
"Incantesimo?"
"Scritto"
"Coraggio?"
"Ne servirebbe...ma non allungarmi la bottiglia di bourbon!"
Due persone. Una ragazza rossa. Un ragazzo biondo. Tanto biondo da abbagliare, anche in una notte buia e fredda come quella. Si stringono nei cappotti. Lei ha una giacchetta azzurra. Lui l'immancabile spolverino nero. Si guardano negli occhi. Decisi. Ne servirebbe davvero, di coraggio. E tanto. Ma stavolta, Spike non pensa al bourbon. Stavolta vorrebbe una ventata di coraggio vero. Come quello di Buffy. Coraggio. E basta. Solo, non sa dove trovarlo. Ma per lei questo ed altro...
Certo, forse sto per morire, cos'altro potrei fare per lei?!
Willow. Paura. Per Buffy. Per Spike. Beh, anche per se stessa. Non ha idea di cosa potrebbe farle la magia. Ma ha un'idea piuttosto precisa di cosa le ha fatto. Per un attimo ha voglia di mollare tutto. Cercare un'altra soluzione. Perche' Tara non approverebbe. No. Tara non approvava l'uso spropositato ed egoistico della magia. Tara, ora, l'avrebbe appoggiata in pieno. Un vento fresco si alzo', nella cripta sotterranea del convento di Santa Clara. Willow senti' come una carezza. E seppe che Tara era li'. Approvava. Ovviamente. Lo sto facendo anche per te, amore. Posso usare la magia anche per fare del bene. Lo sai...ancora una carezza. Quasi un sussurro. Willow guardo' Spike. Lui guardo' lei. Era in mezzo ad un cerchio di candele bianche. Accese. Mandavano una ipnotica luce rosata. Spike osservo' la sua ombra sulla parete per un attimo. Tremolava. Ma forse era lui stesso a tremare. Torno' con gli occhi verso Willow.
"Ok. Facciamo questa cosa..."
Willow annui'.
"Buona fortuna..."
Gli porse la mano. Spike la guardo' un istante. Scosse la testa, sorridendo. E la abbraccio'. Willow rimase interdetta per un attimo. Poi sorrise e ricambio' l'abbraccio. Goffi, come amici. Amici. Si', se fosse tornato avrebbero potuto esserlo. Dopotutto era simpatico. E non era malvagio come aveva creduto per fin troppo tempo. Era solo il ragazzo impaurito ed innamorato che aveva finto di non vedere per troppo tempo. Ora lo vedeva. E l'avrebbe visto anche Buffy. Si staccarono. Da amici, stavolta. Non da spietati nemici. La strega prese tra le mani un foglio di carta. Erano scritte poche parole. In galeico. Non sapeva nemmeno cosa significassero. L'aveva scritto il signor Giles. E gli incantesimi del signor Giles funzionano sempre. O quasi. Spike torno' al centro del cerchio. Alzo' gli occhi al cielo. Chiusi. Apiro' profondamente l'aria della notte. Non respirava, sentiva solo gli odori che lo circondavano. Gli sembro' di sentire anche una traccia del profumo di Buffy. Quell!
 o che aveva la sera prima. Ah, se non l'avesse portata li'. Ma l'aveva fatto. Ed ora doveva rimediare. Non sopportava nemmeno lontanamente il pensiero di perderla. Aveva ancora gli occhi chiusi quando la strega, davanti a lui, comincio' a leggere la formula...avrebbe funzionato? Pochi secondi alla verita'...   

Capitolo IV

Una luna pallida ed eterea brillava. Alta, nel cielo nero. Nero. Stelle. Sembravano un sentiero bianco nella notte nera. Promessa di luce. E calore. Cosi' distante, pero'. Silenzio. Non ci sono nemmeno le cicale. O le civette. Dormono persino loro. O se ne stanno in silenzio. Ascoltano rapiti la monotona nenia proveniente da chissa' dove. Un canto dalle parole incomprensibili. E i figli della notte si chiedono da dove venga. Volgono lo sguardo verso la luna. No, non e' lei che canta. Non e' lei, la signora della notte. Lei se ne sta sospesa nell'aria, attaccata al cielo con fili di seta. Cosi' sottili che non li puo vedere. E non canta. Osserva. Non canta. Lei vede chi turba la quiete gelida della notte. Abbassa gli occhi. Le stelle la seguono. Verso una vecchia chiesa. Si', viene da li', quel canto monotono. Quella minuscola incrinatura nella perfezione ferma della notte. Uomini. Sono sempre loro. Sono sempre loro che deturpano la perfezione. Anche ora. Non c'e' niente. Sol!
 o la notte. Ma ci sono loro. Due uomini. Piccoli piccoli, ma bastano a rovinare quella perfezione assoluta. Come due granelli neri in un mare di sabbia bianca. Rompono la continuita' perfetta del silenzio. Dell'immobilita'. E non se ne accorgono nemmeno. Se ne accorge la luna, pero'. E si ferma a guardare. Rapita dall'imperfezione.
Spike teneva gli occhi chiusi. Stava immobile, in mezzo al cerchio di candele bianche. Sentiva l'odore del fumo che tirava dagli stoppini bruciati. Era ancora cosciente. Conscio di esserci. Ma si allontanava. Le parole di Willow. Gli arrivavano roche, lontane. Portate dal vento. Gli sembro', per un attimo, di camminare tra le stelle. Su, su e ancora piu' su, nel cielo infinito. Una sensazione di vertigine lo scosse. Gli giro' forte la testa. Si chiese se non stesse girando in tondo. Un formicolio lo avvolse tutto. Come quando ti si addormenta una mano. Uguale, solo che lo senti dappertutto. Fa quasi male. Ma non gli importa. No, non gli importa. Attorno e' tutto silenzio, ora. Perfetto silenzio. Non sente piu' le parole di Willow. Non sente nemmeno il pavimento freddo della cripta. Ha un odore in testa. Si'. E' il profumo di Buffy. Intenso. Inebriante. Il profumo della cacciatrice. Il profumo della sua donna. Sua. Solo sua. In quel momento, in cui nulla gli sembra certo, c'e!
 ' un solo pensiero nella sua testa, tanto reale da spaventarlo. La amo. Ora ne e' certo. Una certezza quasi dolorosa. Dolcemente. L'amore e' cosi': fuoco nascosto, piaga gradevole, dilettosa dolenza, ridente tormento, dolce e crudele ferita, blanda morte...
Non importa se non mi ami, Buffy...sono capace di amare per tutti e due... 
Eppure il suo e' solo un cuore morto. Non batte piu'. No, non piu'. L'ha scelto lui. Ma non lo rimpiange. Se non lo avesse fatto non l'avrebbe mai incontrata. Non avrebbe mai incontrato la cosa piu' bella che gli sia mai capitato di incontrare. Una persona che aveva dato una parvenza di senso alla sua vita. Alla sua non vita. Alla sua morte in vita. Ma non importa. Quando era con lei, era vivo. E tanto bastava. E non importa se questo cuore non batte. Forse e' proprio per questo che fa cosi' male. Come se tutti questi sentimenti, tutto questo amore, ristagnassero al suo interno, senza poter uscire. Lo inondano, e lui e' morto, e non puo' mandarli via. In fondo non vuole nemmeno farlo. E' un cuore masochista. Tutte le persone innamorate sono masochiste. Amano, in qualche modo, farsi del male. Magari non lo vedono neanche. Non lo sanno.
Ma Amore e' cieco e gli amanti non vedono le dolci follie che commettono...
Chi l'aveva detta questa? Ah, gia': Shakespeare. Quell'uomo aveva capito davvero tutto, della vita. Quando era un poeta aveva provato ad ispirarsi a lui. Gli era riuscito piuttosto male. Come tutto, a quel tempo. Non che ora fosse tanto migliorato. Ma almeno evitava le umiliazioni. Se non sapeva fare una cosa, non la faceva, a meno che non fosse qualcosa per Buffy. La mia...anima gemella...suonava cosi' strano. E cosi' crudele. Essere stati insieme, essersi amati per vite e vite...e non ricordare niente. Crudele che e' il destino. Li metteva sempre agli estremi opposti: prete e posseduta...vampiro e cacciatrice...la prossima quale sara'? Coniglio e volpe? Suora e serial killer? Non se ne sorprenderebbe piu' di tanto.
E poi, d'improvviso, e' come se fosse tornato sulla terra. Saldamente con i piedi ancorati al suolo. Ha paura di aprire gli occhi. Vorrebbe restare cosi', sospeso tra realta' e illusione, in bilico su un filo di seta che e' la speranza e sotto di lui, milioni di affilati rasoi pronti a dilaniarlo che sono la cruda realta'. Spike apri' gli occhi. Piano. Cosi' piano da far paura. E quando vide chi aveva davanti, avrebbe solo voluto morire. Folgorato. Li', subito.
"Willow?"
La strega lo guarda. Il suo sguardo passa dallo speranzoso al deluso. Ha l'aria stanca.
"Spike?"
"Gia'..."
"Non ha funzionato..."
Il vampiro biondo annui', prendendo rabbiosamente a calci le candele attorno a lui. Ma e' cosi' stanco che si deve fermare. Non riesce nemmeno a muoversi. Tutta questa fatica, tutto questo dolore...per niente...

"Non credo che sia posseduta..."
Il cuore di padre Juan andava a mille, mentre affrontava il vescovo con una risolutezza ed una convinzione (e qualcos'altro che non sa spiegarsi...), che mai si erano viste in quei miti occhi chiari. Il vescovo, seduto sulla sua immancabile e rumorosa siedia a dondolo, lo guardo'. Un sorriso mite addolciva quei lineamenti cosi' duri e freddi che lo rendevano un uomo temibile. Ma Juan sapeva che non lo era. Era un uomo triste e solo, tormentato dagli anni e dall'asma. E dalla Santa Inquisizione. Aspettavano solo un pretesto per scomunicarlo o processarlo come eretico. Ma era solo un uomo. Non un eretico. Un uomo. Non era un prete. Solo un uomo. Niente di piu'. Ma a volte riusciva ad essere cosi' cocciuto. Soprattutto se c'era di mezzo la santa Inquisizione. E allora nemmeno un terremoto poteva smuoverlo dalla sua posizione. Non un terremoto. Ma forse Juan si'.
"...Credo sia solo spaventata..."
"Chiunque sarebbe spaventata, dalle clarisse..."
Juan fece qualche passo avanti. Il mare che ruggiva sotto il balcone del vescovo era piu' forte delle loro voci.
"Padre, ordinate alle monache di farla uscire! Vi prego! Morira' se resta li' dentro!"
"Morira' comunque..."
"No!"
"Si'..."
"Ma..."
Silenzio.
"Se la Santa Inquisizione ritiene che qualcuno sia meritevole di morire, morira' comunque, qualunque cosa io possa fare."
"Nessuno merita di morire..."
Silenzio.
"Ha ucciso, Juan. Ricordalo."
A queste parole, il giovane frate fece un altro passo avanti, indignato.
"Ha ucciso per non essere uccisa!"
"Non sta a me giudicare. C'e' Dio per questo..."
Indignazione.
"O la Santa Inquisizione...sono loro Dio, ormai..."
Il vescovo balzo' in piedi, costringendo Juan a retrocedere di qualche passo.
"Padre Juan! Non le permetto di parlare in questo modo della Santissima Inquisizione!"
Juan si prostro' fin quasi a terra. Ma sulla sua faccia c'era solo indignazione. E tanta rabbia.
"Mi scusi, Padre. A volte non riesco a controllarmi...ma e' solo una bambina..."
"Ed io non sono che un uomo. Che nulla puo' contro il tribunale di Dio. Mi dispiace, Juan. La ragazza resta a Santa Clara fino all'arrivo della Santa Inquisizione. E sono obbligato a toglierti il caso."
Juan non credeva alle sue orecchie. Prego' di aver sentito male. E fu la preghiera piu' sincera e fervida che avesse mai formulato.
"Cosa, Eminenza?"
"Hai sentito, Juan. Sei troppo coinvolto. Il diavolo ha corrotto anche te..."
"Non c'e' il diavolo in quella ragazza! Solo dolore!"
"Il dolore e' un ottimo conduttore della possessione demoniaca. Comunque sia ho saputo che non solo non hai iniziato gli esorcismi...ma ti sei anche finto un medico."
Juan si senti' nudo. Come aveva fatto a saperlo?
"Io...non ce l'ho fatta, Eminenza. E' una creatura cosi' pura ed innocente...che non sono riuscito a fare il mio dovere. Ma se poteste darmi solo qualche altro gior..."
"No. Hai avuto la tua opportunita'. Avevi ragione. Un bibliotecario e' un bibliotecario, un esorcista e' un esorcista. E non bisogna mescolare le due cose. Mi dispiace di averti coinvolto, Juan."
"A me no, Eminenza!"
"Sono certo della tua buona Fede, figlio mio. Ma la Santa Inquisizione arrivera' tra meno di una settimana. Hai avuto il tuo tempo..."
"Un giorno!"
Il vescovo torno' a sedersi sulla sedia a dondolo.
"Dio ha impiegato sette giorni per creare il mondo. A te sarebbe bastato uno per cominciare il lavoro. Ma ti sei fatto stregare. E non e' saggio rimandarti da un'infida serva di Satana. Ed ora va'."
Juan aveva le lacrime agli occhi. Non poteva...non poteva togliergli l'unica cosa bella che gli fosse mai capitata...era un dono del cielo, non dell'inferno!
"Ma...Eminenza..."
L'uomo sulla sedia si giro' verso il mare, alzando una mano. E Juan, non potendo disobbedire, usci' di corsa dalla sala, nascondendo dietro al cappuccio le lacrime capricciose che scendevano senza che lui capisse il perche'. Era l'ora di pranzo passata. E probabilmente Miranda si stara' chiedendo che fine io abbia fatto... 

Alla fine se ne vanno tutti. Ed io resto da sola. Succede sempre cosi'. Essere la cacciatrice, significa essere sola. Ma io non sono la cacciatrice, ora. Allora mettiamola cosi': essere un'assassina, significa essere sola. Ha piu' senso. Ma fa cosi' male stare sola. Nel buio della cella. Anche se e' mattina. E' sempre buio. Attorno a me e' tutto nero. E' in quel buio che si nascondono tutte le mie paure, le mie incertezze, le mie debolezze. E quella bestia infame che mi divora. Si nasconde nel buio. Striscia come un serpente. Si arrampica su di me, dentro di me. e mi infetta col suo veleno. Ed io cerco un siero, una medicina. Ma la mia medicina e' nel mio tempo. E non posso raggiungerla...la mia medicina e' una persona...l'unica che vorrei qui in questo momento...e non posso averla. Dio, e' tutto cosi' stupido! Spike, dove sei? Perche' non arrivi, con il tuo cavallo bianco, e mi porti via da qui? Perche' non ci puo' mai essere un lieto fine in tutto quello che faccio? In tut!
 to quello che sogno? No, non mi e' permesso sognare. La vita non e' un sogno. I sogni fanno solo male. La fantasia. Cosa diceva Spike sulla fantasia?
Eternamente giovane e' solo la fantasia: solo cio' che non e' mai accaduto in nessun luogo non invecchia.
Quindi e' tutto qui? Fantasia non e' altro che tortura. Immaginare cose che sai che non si avvereranno mai. Inseguire quei sogni, essere a tanto cosi' dal raggiungerli, sfiorarli con la punta delle dita...e poi...vederli fuggire via, veloci. Sparire in lontananza. E tu corri, corri, corri. Finche' non senti piu' le gambe. Ed anche dopo, perche' vuoi assolutamente raggiungerli. Perche' vuoi afferrarli. Portarli nella tua vita per dire finalmente 'tutto questo dolore ha avuto un senso'. Ma non ci riesci. Non ci riuscirai mai. I sogni sono crudeli. Non importa quanto vicino arrivi, loro non si faranno mai prendere. Ti tortureranno, giorno dopo giorno. E tu continuerai a sognare. Perche' nessun uomo vive a lungo quando muoiono i suoi sogni. Quindi continui a sognare. Facendoti solo del male. E non lo vedi. Perche' i sogni hanno dentro quella luce accecante. Che non ti fa vedere niente. Come un lungo tunnel di luce. Solo, non si vede mai la fine. Come se non ci fosse. Vai avanti !
 finche' puoi, ma la fine non c'e' mai. Non c'e' il traguardo con un nastro blu da tagliare. Non c'e' il podio sul quale ti aspettano i tuoi sogni. Non c'e' niente. Solo tu che corri. Senza mai fermarti. In un tunnel di luce accecante che sembra non finire mai.
Le riflessioni, in una cella buia e fredda, sembrano accavallarsi l'una sull'altra. Non le lasciavano il tempo di riposare. Appena finito un pensiero, ecco che si affacciava un altro. La solitudine e' la cosa piu' spaventosa che un uomo possa affrontare. La mancanza di voci attorno a se'. Niente parole, niente calore, nessuno a cui rivolgere una domanda. Magari una domanda stupida. Ma ti fa sentire cosi' tranquilla avere qualcuno con cui spartire i propri dubbi, le proprie domande. Fare a meta' con le fette di preoccupazioni. Inconsciamente. Magari non lo sai, ma il solo stare con una persona significa assorbire un po' di lei e dare un po' di se'. Sentirsi per un attimo piu' leggeri. Avere la certezza di non essere soli. Ma Buffy e' sola. Non c'e' nessuno a cui rivolgere una domanda. Nessuno con cui spartire dolore e ansia. Nessuno con cui confidarsi. Padre Juan. Lui c'era. Ma non era tornato. L'aveva abbandonata. Forse non e' vero. Forse le anime gemelle non si incontrano m!
 ai, e' solo una favola. Forse lei e Spike sono destinati a stare lontani. Ad odiarsi e poi ad amarsi, fino a diventare cenere. Posseduti l'uno dall'altra, senza vie d'uscita. Senza poter stare lontani, senza potersi avvicinare. E' che l'amore e' una cosa strana. Magari c'e' e non lo sai. E quando te ne accorgi e' troppo tardi. Perche' il mondo non sta fermo ad aspettarti. E chi hai capito d'amare, ormai ti ha lasciata sola, in una cella colma di solitudine e dolore...

"Mi dispiace..."
"Non ha funzionato, vero?"
"No..."
Spike si siede sul divano, accanto ad una ragazza dai capelli d'oro che lo guarda con due occhi verdi nei queli lui si e' visto riflesso tante volte. Quegli occhi innocenti e impauriti, all'apparenza cosi' duri e freddi. Per chi non sa leggervi dentro. E' cosi'...uguale. Dentro e fuori. E' Buffy. No, e' solo la sua immagine. Solo un'ombra uscita dall'oltretomba per torturarmi. Nulla di piu'...nulla di piu'.
"William..."
Spike ha un sussulto. Si chiede come faccia quella ragazza a sapere il suo nome. Ma rinuncia a cercare una risposta. E' troppo complicato. E, quando alza gli occhi, ponendoli nei suoi, si sente morire. Sono gli occhi di Buffy. Nessun dubbio, ora.
"Cosa...cosa c'e'?"
La ragazza si guarda un attimo intorno. Ma non c'e' nessuno. Torna a guardare Spike. A lui viene voglia di piangere. Con una mano le accarezza i capelli. Buffy...quando ti ho vista la prima volta, al Bronze...eri cosi'. Piccola e impaurita. In fondo. Cosi' in fondo come mi sono spaventato di poterlo leggere. L'ho capito allora, sai, che sarebbe andata a finire male. La mia fine ha avuto inizio allora. E non ho fatto nulla per fermarla.
"Ho...paura..."
"Di cosa? Ci siamo noi, qui a proteggerti...di cosa hai paura, Miranda?"
La ragazza alza gli occhi. Sono spiritati e lontani. Spike li guarda. Si perde in quel verde. Si vede riflesso dentro. No, non vede lui. C'e' Buffy, in quegli occhi. Un'immagine cosi' triste che gli si torce lo stomaco.
"Buffy ha paura...non io..."
"Bugiarda...anche tu hai paura..."
"Non e' vero..."
Spike sbuffa, fingendosi scocciato. Si', sono proprio identiche. Cocciute e orgogliose...
"Non cercare di mentirmi, ragazzina..."
"Non si puo' mentire...la verita' viene sempre fuori. Basta uno sguardo. Osservare gli occhi di una persona. Ci leggi dentro. Gli occhi servono a questo. A capire se stai dicendo la verita'. Gli occhi non mentono. Non ne sono capaci..."
Spike la osserva ancora. Sono le parole di una donna. Non di una ragazzina. Vite cosi' lontane, che si somigliano tanto. Buffy e Miranda. Due donne in due corpi di bambina. Che sanno tante cose da spaventare. Che hanno visto tanto. Che hanno visto troppo. Occhi di bambina che affrontano un mondo che non e' fatto per loro. Tutto qui e' scintillante e forte. Miranda lo guarda.
"...sto bene qui...sai, stanotte avevo paura. Perche' quando ero...li'...avevo una cosa, dentro...proprio qui, sul cuore. Una bestia. E la notte...anche il giorno, ma la notte di piu'...mi uccideva. Ed io volevo morire e finirla. Ma ogni mattina ero ancora viva. Ed ogni notte stavo peggio. Male. Cosi' male da togliere il respiro. Da pensare 'sto per morire...no, non moriro'...'. ma stanotte non c'era. Ho dormito...e' una sensazione cosi' bella. Dormire. Ho perfino sognato, sai? Un sogno bellissimo...ma non lo ricordo. Non m'importa. La bestia non c'era, stanotte. Non c'era..." 
Lei abbasso' lo sguardo. Spike la guardava. C'era tanta tristezza, in quegli occhi chiari. In quelli di lei, dove si scorgeva appena una scintilla di serenita'...magari per quel sogno che non ricorda. In quelli di lui. La bestia...una bestia che uccide da dentro. E ora e' con Buffy...la ragazza rialza gli occhi su di lui. Inclina la testa di lato. E lui deve fare uno sforzo per reprimere le lacrime, davanti ad un gesto che gli ricordo troppo Buffy...
"Sai...tu...mi ricordi tanto...un uomo. Un uomo buono. Nel mio tempo. Lui era...come te..."
Spike le accarezza una guancia. Se solo fossi qui, Buffy...Dio, quanto mi manchi. Posso solo accarezzare la tua immagine, ed aspettare.
"Lo so..."
"Mi manca."
"Anche a me..."
Non c'e' bisogno di specificare che lui parlava di Buffy. Miranda lo sa. Sa tante cose, quella ragazza.
"Non dire a nessuno quello che ti ho detto..."
"Non lo faro'."
...
"William?"
"Perche' mi chiami cosi'?"
...
"A lei piaceva...no?"
"Solo quando doveva darmi cattive notizie...o pugni sul naso!"
...
"Puoi abbracciarmi?"
"Certo, piccola..."
Lei si rannicchia contro il petto di Spike. Qualche lacrima, le prime da quando era arrivata, bagnano la maglietta nera di lui. Lui che trattiene a stento le lacrime. Che abbraccia quella ragazza e vorrebbe solo abbracciare lei. Abbracciarla fino a morirne. Fino a consumarla. E mangiarla di baci. Come non osa fare con Miranda. Cosi' strana. Cosi' uguale a lei. Ma non e' lei. Solo la sua ombra. Eppure lui, in un'altra vita, l'aveva amata. Magari come ama ora Buffy. Con un'anima dannata. Ma non per questo meno innamorata. Un'anima morta. Cosi' viva. Era un controsenso. Ma lui era tutto un controsenso. Lo era sempre stato...e sempre lo sara'...in ogni vita, in ogni tempo, in ogni luogo... 

Juan. Steso su una brandina. A fissare il sole dalla finestra aperta. Un disco rosso che si tuffa nel mare, sotto di lui. Che gli regala sfumature rosse e gialle e verdi...e al cielo un rosa tenue. E rosso. Sangue nel cielo. Qualche nuvola tinta di lavanda solca solitaria quel cielo dai mille colori. E' quello in momento in cui viene a prenderti la malinconia. Con passi felpati. Dolcemente. Ha il volto di donna. No, di bambina. O forse di entrambe. Ti guarda con due occhi verdi. Ti prende una mano. Nella sua. Bianca. Come la neve. Quella neve che Juan non ha mai visto. E che non vuole vedere. Ti prende per mano, la malinconia. E ti porta al largo. Oltre il mare. Oltre il cielo, in un posto che hai visto, o che forse non vedrai mai. In un posto che vorresti non lasciare piu'. E ti incatena, la malinconia. E ti parla con voce di donna. No, di bambina. Ti parla. Tesse parole come fili di un enorme arazzo. Dipinto con tutti i colori dell'arcobaleno. E' una maestra, nel tessere, !
 la malinconia. Ti parla della vita. Della morte. Ultimamente, a Juan Delgado, parla dell'amore. Amore con mille facce. Amore con la A maiuscola. Amore che ti entra dentro come un veleno. O come un elisir. Che ti uccide e poi ti lascia vivere. Che corrode e ricostruisce per poi corrodere di nuovo. Amore distruttivo. Quello che non possiedi, ma ti possiede. E ti fa parlare da solo. Comporre inutili sonetti. E poesie. E ballate. E quando le rileggi ti vien voglia di piangere. Ma non sei tu a leggerle. E' la malinconia. Le legge per te. Piano, una sillaba per volta. E ride. Di te. Dei tuoi deliri. Vuoi mandarla via. E ti ritrovi ad invitarla di nuovo. E quando arriva vorresti coprirla di insulti. Non cascarci di nuovo. Mandarla via per vivere in pace. Ma non lo fai. Ti lasci cullare da lei. In quelle braccia bianche come la neve che non hai mai visto. E poi sprofondi con lei nell'abisso. Con la malinconia. E pensi di non poterne piu' uscire. No, mai piu'. Nell'abisso. Tocchero'!
  mai il fondo? E c'e' sempre lei, con te. La malinconia. Che t!
 i riport
a indietro, un attimo prima che tu riesca a toccare il fondo o il cielo. Un attimo primo. Solo un attimo. E poi torna, e ti lascia, e torna di nuovo. E non riuscirai mai a mandarla via. Lei nasce con la morte del sole. E all'alba scompare. E ti lascia scosso e solo. In delirio. Sono pazzo! Si', sto uscendo di testa. Sono pazzo...pazzo...pazzo. E, stranamente, accorgersi che non ti importa. Che e' meglio quella dolce pazzia della cruda realta'. Che sono meglio i sogni mediocri che la mediocre verita'. E allora ti lasci andare, preso dalla pazzia. Pazzo d'amore. L'ho detto. Pazzo d'amore. E' il tramonto...la malinconia sta tornando. Vuole me. ma stavolta no. Sono piu' veloce di lei. Camminero' attraverso il fuoco. E tutto quello che devo fare...

Il tramonto. Spike. A casa di Buffy. Deve prendersi cura di Dawn. La piccola di casa. Diciotto anni. La piccola di casa. Il sole e' gia' scomparso. Ma c'e' ancora luce, li' fuori. Per un attimo, c'e' una domanda nella sua testa. Ma e' solo un attimo, e lui non riesce ad acchiapparla. La insegue, sa che in qualche modo e' importante. Ed eccola, appare di nuovo. Stavolta viene dal profondo della sua anima.
Mi manca mai il sole?
Bella domanda. La sente, e vorrebbe non averla sentita. Non sa che rispondere. No, invece lo sa. Ma fa cosi' male dirlo. Anche a se stesso. Si' che mi manca, il sole. Mi manca terribilmente. Vorrei solo poter uscire li' fuori e farmi inondare da quella luce che ho ripudiato scioccamente. Ma se lo facessi, resterebbe di me nient'altro che polvere. Polvere, e niente piu'. Una parte di me...Dio, che sto dicendo?...lo vorrebbe. Per mettere fine alle paure e all'incertezza. Ma finirebbero davvero? Ne sono sempre stato sicuro. Ma adesso no. La paura non svanisce mai. Un uomo senza paura e' un uomo senza speranza. Ma a volte fa cosi' paura avere paura. Perche' sembra che nessuno, attorno a te, abbia paura. Sono tutti coraggiosi, tutti pronti a morire, tutti cosi' attaccati alla vita. E si aspettano che lo sia anche tu. Ma nessuno e' senza paura, e quelli che ostentano un coraggio da leoni, quelli che dicono 'io non ho paura di niente', sono quelli che maggiormente hanno paura. I pi!
 u' fragili. Che non possono mostrarsi fragili agli occhi degli altri. Io sono uno di questi. Non faccio che fingere e fingere e fingere. Aspettando qualcuno a cui possa mostrare le mie debolezze. Senza paura che mi trovi stupido. Aspettando qualcuno che a sua volta aspetta qualcun altro. Prima o poi la trovi. Io ce l'avevo fatta. Lei. Le ho mostrato tutto. Mi ha mostrato tutto. Fingendo di non mostrare niente. Illudendoci di non mostrare le nostre paure e le nostre incertezze. Sapendo che senza volerlo ci eravamo scoperti entrambi. Le cose cominciavano ad avere un senso. Ed e' tutto finito. Non sono riuscito a riportarla indietro. Ed ora ho paura. Piu' di quanta ne abbia mai avuta. Ho paura. E non mi vergogno ad ammetterlo.
Si stese sul letto, Spike. Si sentiva svuotato ed inutile. Stava andando tutto sbagliato. Non e' cosi' che dovrebbe funzionare. Accende la radio. Ha bisogno di distrarsi. Tutta la sua attenzione si focalizza nelle parole di quella canzone che esce frusciando dallo stereo. Una canzone strana. Profonda. Oddio, no! Non di nuovo...non quella canzone! Ma e' lei. Sembra dannatamente adatta alla situazione. 'Taking Over Me'...
<Sono steso, sveglio
E cerco duramente di non pensare a te...>
Non ti sto pensando...non sto pensando a niente...sei tu che entri nella mia testa, Buffy...io non penso a niente. E tu spunti nel niente dei miei pensieri...
<Ma chi puo' decidere cosa loro possono sognare?
Ed io sogno...>
Ad occhi aperti...come un perfetto idiota...
<Io credo in te...>
Ed io ti ho deluso...
<darei qualsiasi cosa per trovarti>
Ma non ti ho trovato...
<ho bisogno di te per vivere...>
Per vivere e per morire...
<...per respirare...>
Non respiro, dolcezza...ma ho ugualmente bisogno di te...
<Tu mi possiedi!>
Ogni fibra del mio corpo, ogni pensiero che faccio, ogni sogno che sogno...
<hai dimenticato tutto quello che so
e cio' che eravamo?>
Niente. Non ho dimenticato niente. Vorrei solo avere qualcosa in piu' da ricordare...
<tu mi hai visto piangere il mio amore per te...>
Cristo, Buffy...quante volte mi hai guardato piangere? E cosa hai fatto, tu?
<...e hai toccato la mia mano...>
...si', lo ammetto. Capivo una sola cosa, quando lo facevi...qualcosa che non hai mai voluto ammettere...
<...ho capito che mi amavi, allora...>
Forse era solo un'illusione...e allora combattero' per un'illusione! Non ti lascio li', Summers, te lo prometto!
<io credo in te...>
Non ti deludero'.
Si alza dal letto, Spike. Corre veloce per la casa. Non c'e' piu' luce, fuori. Passa dalla camera di Dawn. Studia. Cerca di non pensare. Spike sorride. La riportero' qui, briciola, promesso! Prende lo spolverino dall'attaccapanni ed esce. Dawn, nella sua camera, sente la porta sbattere. Corre alla finestra. E vede Spike che corre chissa' dove. Sorride, Down. Buffy e' davvero in buone mani...

No...non la notte! invece la notte scende. Leggera. Con piedi impalpabili. E il buio copre tutto.  Fuori e dentro di lei. Buffy si stringe al petto le ginocchia. Non dormira', ne e' certa. Non puo'. Osserva la cella. Le assi sulla finestra sono state rimosse. Si vede la luna. E' una falce luminosa. La falce della morte. Perche' non vieni a prendermi? Se solo calasse dal cielo scuro, e la portasse lassu' con se'...sarebbe il paradiso, per lei, anche solo sfiorare quelle stelle che la guardano incuriosite, e si affacciano alla sua finestra, per tentare di capire il motivo di tanta vuota tristezza. Se solo calassero le loro braccia lucenti e la accogliessero tra di loro...ma non posso andare...non brillo, io. Sono solo nera. Fuori e dentro di me...e le stelle si voltano. Guardano altrove. Non e' un racconto. Non e' una fiaba. Le stelle non guarderanno verso di lei. Non guarderanno l'ombra. Le stelle cercano la luce. Quella che lei non ha piu'. Ma non piange. Non ha piu' lacrime!
  da piangere. Fissa qualcosa nell'ombra angosciante della cella. Fissa due occhi rossi come il sangue. Non e' reale, non e' reale...cerca di aggrapparsi a quel pensiero, con tutte le sue forze. Se non lo fa, impazzisce. Non vuole impazzire. La pazzia porta dolore. La pazzia fa male. Lei vorrebbe solo un dolce sollievo. Ma non puo' averlo. E' sola. Sola, con quei due occhi rossi, che la guardano fiammeggianti, in quell'angolo buio. Si muovono. Avanti e indietro, fissandola, come una pantera. Nera. Si', e' una pantera. O qualcosa di simile. La fissa, senza pieta'. Quegli occhi di brace la fissano, e ridono di lei. E le dicono che e' un'assassina. Arrivano cosi' vicino che lei puo' sentire il lezzo di morte che aleggia attorno a quella sagoma irreale, priva di contorni. Come in un incubo. Ma non si svegliera'. Tornano indietro, mentre lei si rannicchia contro il muro e cerca di pensare. Ma la mente e' vuota. Ci sono solo due occhi. Rossi. Come fuoco. Come sangue. Pensa...
La prima cosa e' il mio nome: Buffy Anne Summers...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi...occhi di brace che mi fissano e mi trascinano in un inferno senza ritorno, e io voglio mandarli via, ma non posso muovermi, sono come incatenata al muro freddo, qui dietro di me...catene che stringono, lacerano, mordono! E mi tengono ferma, mentre guardo quegli occhi. Non c'e' niente in quegli occhi: ne' odio, ne' rimorso', ne' pieta', ne' rabbia, ne' amore, ne' paura. Non c'e' niente. Sono vuoti. Il niente assoluto. Quegli occhi...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi e la terza un pensiero: mi uccidera' presto? E' l'unica cosa che mi viene in mente. Voglio che mi salti addosso e mi divori, o che se ne vada e non torni piu'. Ma non sopporto quello sguardo, vuoto, vacuo, malvagio, fisso su di me. E le pareti che mi si stringono addosso, e mi soffocano...uccidimi, o va' via...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero e la quarta e' la notte che viene...nubi sulla luna, buio orrendo, solamente rumori, cioe' urla e pianti e preghiere che sento e non so da dove vengono. Escono dal buio, mille voci, e non mi lasciano in pace. Gridano nella mia testa, in fondo alla mia anima. Andate via! E poi silenzio, un silenzio agghiacciante ed io che urlo, urlo, urlo...senza emettere suono...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene e la quinta quei corpi straziati che ho davanti agli occhi, tutto il giorno, tutta la notte...pezzi di corpi davanti ai miei occhi, dietro i miei occhi, dentro i miei occhi. Come fotogrammi impressi a fuoco nella retina. Li vedo, grondanti di sangue rosso brillante, senza mani, senza occhi, senza testa. Mi chiamano...mi chiamano gridando e mi implorano di aiutarli, ed io vorrei farlo, ma non so come! E poi spariscono e ci sono solo facce mutilate e voci orrende...e ci sono io...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati e la sesta e' fame...fame che cresce dentro e morde alla gola e scende sugli occhi. Solo mezza ciotola d'acqua e fagioli con burro rappreso. Conati che salgono alla gola, ma non ho niente da vomitare. Non ce la faro' mai...mi sento debole come non mi sono mai sentita, c'e' solo un nodo nello stomaco, non entra niente, chiede tutto...vorrei poter mangiare. Ma non posso. C'e' questa bestia...e non mi permette di mangiare...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta e fame e la settima e' orrore...orrore che cresce dentro e scoppia di notte. L'orrore, la ferocia, il sangue, la morte, l'odio. Fetido orrore...e non c'e' medicina che lo calmi, fantasia che lo allevii...non c'e' niente, solo orrore...orrore...orrore...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta e' fame, la settima orrore e l'ottava i fantasmi della follia...vengono a me, uno ad uno...parole, preghiere, visioni...realta' che si mescola alla fantasia, l'immaginazione di una folle...ma non sono folle...io...io con la morte addosso, io senza nemmeno la grazia di quei fantasmi, di una dolce follia...io che non conto i giorni, ma so che ogni notte la bestia verra' fuori, dovra' venir fuori, la bestia dell'orrore, il macello notturno, questa guerra che combatto sapendo che non vincero', io che...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta e' fame, la settima orrore, l'ottava i fantasmi della follia e la nona e' carne...carne aberrante, carne di uomo, sulle mie mani, carne che sanguina e non so perche', non so di chi e', carne di uomini che ho visto, vivi, poi morti, poi ancora vivi, che camminano nella mia testa, corpi senza vita che vagabondano nella mia testa, senza carne, senza occhi, senza niente, carne...
La prima cosa e' il mio nome...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta e' fame...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta e' fame, la settima orrore, l'ottava i fantasmi della follia...
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta e' fame, la settima orrore, l'ottava i fantasmi della follia, la nona e' carne e la decima e' qualcosa che mi guarda e non mi uccide...non so chi sia...non so cosa sia...so che sta li', e mi fissa, mi controlla e aspetta...non mi uccide...mi sfinisce, finche' non ho piu' fiato in gola e sento che...sto morendo, ma non c'e' pieta' in quegli occhi...mi guardera' morire? Ogni notte, finche' saro' troppo stanca anche solo per chiudere gli occhi e scivolare via? C'e' un silenzio orrendo, nella cella. Nessun rumore...niente di niente...solo il mio respiro e il mio cuore che mi pulsa nelle tempie e mi fa male, tanto che penso che la mia testa stia per scoppiare. E c'e' quella cosa che mi dice che no, non scoppiera', perche' sarebbe troppo facile. Per favore, uccidimi...non ce la faccio piu'...sono sola, affamata e infreddolita...non rie!
 sco nemmeno a parlare, ho qualcosa che mi stringe alla gola...se solo ci fosse qualcuno, qui con me...la bestia sparirebbe...ma non c'e' nessuno...nessuno...nessuno...nemmeno la mia anima...io non sono piu' niente...voglio solo morire...ma quegli occhi non me lo permettono...io non sono piu' niente...non e' piu' mia la mia anima, non e' piu' mia la mia vita...non rubarmi, con quegli occhi, la morte...non ci sono piu' preghiere, niente piu' lamenti. Il mare danza leggero sotto di me...mi guardera' morire?
La prima cosa e' il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta e' fame, la settima orrore, l'ottava i fantasmi della follia, la nona e' carne e la decima e qualcosa che mi guarda e non mi uccide.
L'ultima e' un uomo. Davanti a me...non e' un sogno...

Capitolo V

Non e' un sogno...
C'era davvero. Un uomo, li', davanti a lei. Aveva gli stessi occhi di brace della bestia che ora, nel buio angosciante della cella, non c'era piu'. Occhi di fuoco. Ansimava, come dopo una lunga corsa. E la guardava. Uno sguardo che Buffy non riusci' ad interpretare. Si ritrovo' a chiedersi chi dei due fosse realmente posseduto. Quegli occhi...Dio mio...la guardavano, le guardavano dentro, leggendola come se fosse stata un libro, scandagliando curiosi gli angoli piu' nascosti della sua mente. Eppure erano solo occhi. Blu. Blu come la notte che la circondava e la soffocava e la lasciava senza fiato. Blu come il mare che ruggiva sotto il convento, un ruggito sordo e lontano. Un ruggito. O forse il lamento continuo di una bestia in agonia. Blu. Con una scintilla dentro. Fuoco. Una stella bruciante. E lei che non riesce a staccare i suoi occhi da quelli di lui. Ipnotizzata. Riccioli biondi gli cadono sul viso, bagnati. Acqua di mare e sudore. Mandano un odore dolciastro. Pungente!
 . Buffy respira quel profumo, assaporandolo fino in fondo, in mezzo a quel tanfo di morte che aveva regnato per tutta la notte nella cella. Ed ora non c'e'. C'e' solo un penetrante odore di mare. Di mare e di lui. Lui, avvolto in qualcosa che sembra un sacco stracciato. E' un saio. Marrone. Sporco di calce e impregnato d'acqua salmastra. Gli si appiccica addosso, mettendo in mostra quel corpo perfetto. Un corpo che trema. Trema tutto. Mentre la guarda. Uno sguardo rovente. Quello sguardo. Lo sguardo che solo lui ha. Possono passare mille vite, ma quello sguardo non cambiera' mai. Mare in tempesta, dentro quegli occhi. E fulmini e tuoni e lampi. Occhi fissi nei suoi.
Non e' un sogno...
E' sicura. L'unica certezza in quella notte fredda e soffocante. E' reale. Troppo reale. Tanto reale da far paura. E Buffy ha paura. Perche' dopo tutta quella finzione, tanta realta' la spaventa. La fa sentire male. Fa male passare dalle visioni alla realta'. Anche una realta' bella come quella. Vorrebbe restare cosi', tutta la notte. A fissare le onde che sbattono contro gli scogli nei suoi occhi. A fissare i lampi di luce e l'assoluto buio che si susseguono in quello sguardo. Tutto per lei. Quello sguardo che la fa sentire viva e vera. Come nient'altro. Ma non si puo'. Lo sa, lei. E lo sa anche Juan Delgado che, davanti a lei, la fissa con occhi di brace.
"Cosa...che ci fai qui?"
Una domanda che lo spiazza. Ora. Ora deve affrontare la realta'. Amare da morire o morire d'amore. In entrambi i casi, tradire tutto quello per cui ha vissuto fino ad allora. L'animo umano e' cosi' volubile. La parole 'per sempre' dovrebbe essere bandita dal nostro vocabolario. Niente e' per sempre. Tranne questa cosa che sento dentro e mi sta sommergendo. E dice che la scelta e' piu' facile di quanto creda...
"Io...dovevo vederti..."
"Perche' non sei tornato, oggi?"
Buffy. Le trema la voce. Non si e' mai sentita cosi' piena di emozioni. Mai, da quando l'avevano strappata dal suo paradiso. Ci avrebbe giurato. Il mio cuore e' morto. Piu' di quello di Spike. Eppure ora palpita e mi fa male come mai avrei pensato. E vorrebbe uscirmi dal petto e gridare cio' che io non ho il coraggio di sussurrare. A quest'uomo...a Spike...
"Il Vescovo...mi ha tolto il caso..."
Lacrime. Pungono i loro occhi. Buffy sa cosa vuol dire. Forse e' solo venuto a dirmi addio. Solo una cosa...come diavolo ha fatto ad entrare?
"Come...come sei entrato?"
Juan alza le mani. Uno scatto. Buffy fa un balzo indietro. C'e' troppo buio in quella stanza. Ma si vede. Lei vede. Abbastanza da vedere sangue -sangue vero-, sulle mani sfregiate di padre Juan. Una stretta al cuore. Si', e' sangue. Sangue che cola dalle dita tagliuzzate e tremanti. Unghie spezzate a meta'. Palmi in carne viva. Prende quelle mani tra le sue, Buffy. Poi guarda con gli occhi lucidi Juan. Aspettando una spiegazione a quel delirio.
"Non posso entrare...le monache mi hanno revocato il permesso del vescovo, ora che non mi occupo piu' del caso...ma io...dovevo vederti. Mi sono arrampicato. Fin quassu'."
Accarezza quelle mani che mani non sono piu', Buffy. E prende una garza dal comodino. La passa su quelle mani.
"Dannato sciocco...potevi ucciderti, sai?"
"Credi che me ne importi qualcosa?"
Smette di girare la garza attorno alle ferite. E' un istante. Smette. Le mani le tremano. Da morire. Buffy alza i suoi occhi chiari. Incontra quelli di lui. E le sembra di venir trapassata da un fulmine. Una scarica elettrica la uccide dolcemente. Un dolore cosi' dolce...parte dalle mani, ancora su quelle di lui. Si propaga. Arriva al cuore. Che prende a batterle furiosamente. Se non scoppia ora, non scoppia piu'. Perche' quello sguardo (e quella mano, cosi' dolce, sotto il suo mento...), le riportano alla mente una scena che ha gia' visto. Solo che lei non e' incatenata. E non c'e' nessuna Drusilla. Le parole che le arrivano lente alle orecchie, pero', sono le stesse. E un fulmine dentro la uccide. Dolcemente.
"...ti amo...tu...sei tutto quello a cui penso...sei quella che sogno...sei nelle mie viscere...nella mia gola...affogo in te, Miranda, affogo in te..."
"Oh mio Dio..."
Ma non c'e' ribrezzo in quella voce. Solo una sorpresa tale da toglierle il respiro...quelle parole. Quello sguardo. Tutto cosi' uguale...a quella notte. Quando era cominciato il suo inferno...o il suo Paradiso...cosa aveva risposto, allora?
"Spike...l'unica opportunita' che hai avuto con me e' stata quand'ero svenuta..."
Si sente terribilmente cattiva, ripensandoci. Chissa' come dev'essersi sentito. Nella testa le passano davanti una miriade di fotogrammi, piccoli piccoli. Ma fanno cosi' male. Non sono immagini. Sono nomi. Nomi di sentimenti. Quelli che doveva aver provato lui. Tristezza, tradimento, delusione. Sentirsi calpestato, essere chiamato bugiardo, 'cosa'...sono cosi' tanti che sembra che la sua testa non riesca a contenerli tutti. Perche' l'aveva fatto sentire cosi'? Per la prima volta se lo chiede. E per la prima volta si accorge di non avere una risposta. L'ha fatto e basta. Per puro egoismo. Una sciocca paura di amare. Credere di poter sfuggire all'amore, se vuole. Come se l'amore fosse qualcosa di razionale, qualcosa che puoi controllare, che puoi accettare o mandar via. Come se fosse qualcosa -qualcosa-, controllata dalla mente umana...ma...
...Il cuore e la mente sono nemici giurati...
Per capirlo e' dovuta finire una vita indietro, trovarsi sola e impaurita in una cella, con Spike che c'era, ma era come se non ci fosse. E pensare. Per la prima volta da chissa' quanto tempo, pensare sul serio. Riflettere. E, finalmente, capire.
Buffy alza i suoi occhi verdi. Brillano. Lacrime...e una luce accecante. Dentro i suoi occhi. Li posa in quelli di Juan. Sono bellissimi. Come aveva fatto a non farci caso? Sono bellissimi. Blu. Mare in tempesta. Dentro c'e' tutta un'anima che la chiama. Un'anima bellissima. Come mille colori magistralmente intrecciati. Un dipinto unico. Bellissimo. La sua anima...
C'e' qualcosa di meglio dello spettacolo del Paradiso...l'interno di un'anima...
La sua...la sua anima. La vedeva solo ora? No, l'aveva sempre vista, anche quando non c'era. Aveva solo fatto finta di non vederla. A volte vivere con gli occhi chiusi e' piu' comodo. Solo che quando ti decidi ad aprirli fa cosi' male...pazzesco come si possano fare tante riflessioni in meno di dieci secondi. Il tempo di abbassare gli occhi, ricacciare indietro un mare di lacrime, cercare le parole giuste per poi capire che non ce ne sono, e, finalmente, rialzare gli occhi su quel ragazzo che mi fissa. Piegando di lato la testa. Come lui. E' lui. E stavolta le cose andranno molto diversamente. Devono andare diversamente.
Lui aspetta. Gli sembrano secoli. Ha appena rinnegato tutto. Tradito quel Dio a cui aveva dedicato tutta la sua vita. Almeno fino a quel momento. Ma non gli importava. Nessuna Madonna che aveva visto ritratta in quadri di immenso valore, o descritta in interi volumi, sarebbe stata piu' bella della creatura meravigliosa che gli stava davanti. Di una bellezza fulminante.
Buffy lo guarda ancora per qualche secondo. Sembra quasi indecisa. Ma non lo e'. Ha solo paura. Come ogni donna innamorata. Ha solo paura. Paura di quello che potrebbe dire. Di quello che potrebbe fare. Ha come una bomba dentro. Sta per scoppiare. Scoppiare, riducendola a mille coriandoli di felicita'. Perdizione. Perfezione. Vuole che scoppi. Non vede l'ora. Intanto pero' non puo' star ferma senza fare niente. Lascia andare la mano che stringeva ancora fra le sue. Juan -Spike- abbassa lo sguardo.
E' un no. Ora mi alzo e me ne vado. Me ne vado a curare i lebbrosi, come avrei dovuto fare fin dall'inizio, io... 
Non riesce a concludere quel pensiero. Qualcosa di freddo -gelido- si posa sulla sua guancia. freddo, si', ma diventa improvvisamente bollente. Brucia. E' una mano. Una mano bianca. Ferma sulla sua guancia. Un tocco dolce, delicato. Un tocco impalpabile come l'aria. Il tocco di un angelo. Juan alza gli occhi. Oltre la patina argentea che li ricopre, scorge una ragazza. Bella. Non puo' non pensare che la parola 'bella' doveva essere nata insieme a lei. Lei lo guarda. Ha gli occhi velati e lucidi. Brillano. E' un attimo. Un attimo solo. Non si fa nemmeno in tempo a prendere un respiro. E le loro labbra sono incollate. Si sfiorano. Dolcemente, timidamente, prima. Ma non e' una situazione che puo' durare. E infatti quel bacio, dapprima cosi' lieve e spaventato, si trasforma. E' una trasformazione strana. Niente piu' paura, ne' timore. E' come conoscersi da sempre. Essersi da sempre amati e non essersi mai incontrati fino a quel momento. E' una sensazione strana. Ecco. Strana. Co!
 me rivivere lo stesso momento non una, ma cento volte. Essere sicuri di averlo gia' vissuto. In altre situazioni, in altri tempi, in altri luoghi. Ma averlo gia' vissuto. Li lascia piacevolmente spaesati. Si lasciano guidare da quella strana sensazione. Ripercorrono sentieri che, ne sono sicuri, hanno gia' battuto. Ma e' sempre come se fosse la prima volta. E quelle mani di prete (eppure cosi' esperte, delicate, sicure) che esplorano palmo a palmo un corpo dalla pelle di latte. Il colore della neve. Quella neve che non ha mai visto. Ma che importa? E le mani di una posseduta (un angelo...), che accarezzano impalpabili come l'aria, sfiorano lievi come se stessero maneggiando un vaso di vetro. Passano su muscoli perfetti, pelle tirata e liscia. Si fermano, tastano, carezzano, tornano indietro insicure. Per un momento sembra non sappiano cosa fare. E cercare le sue mani, come se potessero indicargli la via. E lui le prende, le stringe, incurante del sangue che ancora scivola t!
 ra le sue dita e sporca quel corpo dalla pelle di latte. Lo ti!
 nge di r
osso. Come fiori in un campo gelato. Piccoli fiori rossi. Unici testimoni di quei sospiri nel silenzio fermo della notte.

Nella Valle del Sole, non smetterebbero mai di raccontare questa storia. Se solo la conoscessero. Non smetterebbero mai. Ognuno a modo suo, ma tutti continuerebbero a raccontare di quei due e di un'intera notte passata a restituirsi la vita l'un l'altra, con le labbra e con le mani, un uomo che non ha visto nulla ed una ragazzina che ha visto troppo. Uno dentro l'altra. Ogni palmo di pelle e' un viaggio, di scoperta, nella bocca di Buffy a sentire il sapore del mondo, in quella di Juan a dimenticarlo. Nel grembo di quella notte stravolta, nera burrasca di silenzio, lapilli di schiuma nel buio, onde come cataste franate, rumore, sonore folate, furiose di suono e velocita', lanciate sul pelo del mare, nei nervi del mondo, il mare, colosso che gronda, stravolto. Sospiri, sopiri nella gola di Buffy -velluto che vola-, sospiri ad ogni passo in quel nuovo mondo che valica monti mai visti e laghi di forme impensabili...
Chi l'avrebbe mai detto che baciando gli occhi di un uomo si potesse vedere cosi' lontano, accarezzando le gambe di una ragazzina si potesse correre cosi' veloci e fuggire, fuggire da tutto. Venivano dai piu' lontani estremi della vita, questo e' stupefacente, da pensare che mai si sarebbero sfiorati, se non attraversando da capo a piedi l'universo, e invece nemmeno s'erano dovuti cercare, questo e' incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, riconoscersi, una cosa d'un attimo, il primo sguardo e gia' lo sapevano, questo e' meraviglioso. Questo continuerebbero a raccontare, per sempre, nella Valle del Sole, perche' nessuno possa mai dimenticare che non si e' mai lontani abbastanza per trovarsi. Lo erano quei due, lontani, incredibilmente lontani, e adesso...
Forse il mondo e' una ferita, e qualcuno la sta ricucendo attraverso quei due corpi che si mescolano. Ed e' amore. E' mani, e pelle, e labbra, stupore, sesso, sapore, tristezza -si', forse perfino tristezza-, desiderio, amore. Quando la racconteranno, mille parole diranno, ma sara' solo amore. Tace tutto, intorno, quando d'improvviso Buffy sente la schiena spezzarsi e la mente sbiancare, stringe quell'uomo dentro, gli afferra le mani e pensa: moriro'. Sente la schiena spezzarsi e la mente sbiancare, stringe quell'uomo dentro, gli afferra le mani e, vedi, non morira'...

Sta ferma. Come sempre. Sembra che non possa muoversi. Sembra che comporti uno sforzo troppo grande. Due piccole mani bianche giocano con qualcosa sulla scrivania del magic box. Carte appallottolate. E' sveglia. Ci avrebbe giurato. Quelle come lei non dormono. La notte e' il loro regno. Nemmeno Buffy dorme. Solo un po'.
Spike si ferma per un attimo sulla soglia. Non fa il minimo rumore. Osserva quella ragazza. Fermo sulla soglia. La lunga coda dorata ondeggia nel vento freddo della notte. E' girata di spalle. Non lo vede. Non lo puo' vedere. E' matematico. Eppure lui si sente improvvisamente osservato. Qualcosa gli alita sul collo. Un respiro veloce. Gemiti. Sospiri. Non sa da dove vengono. Sono nella sua testa. E sente le sue labbra ardere, come le sente ardere solo quando sono toccate da quelle di Buffy. E sente quelle mani avide eppure delicate sul suo corpo. E si ritrova a chiedersi se non stesse impazzendo. Sente quella ragazza su di se', dentro di se'. Anche quando e' lontana cinquecento anni da lui. E' pazzesco...pazzesco. La piccola seduta alla scrivania e' ferma. Non si gira. Forse non ha idea che ci sia qualcuno con lei. No, lo sa. Lo sa benissimo. A quelle come lei non sfugge niente.
"La notte bisbiglia all'orecchio di chi vuole ascoltarla...perche' sei qui, William?"
Sapeva che c'ero. Lo sapeva fin dall'inizio. Probabilmente lo sapeva da prima che arrivassi.
"Come sapevi che ero io? Potrebbe essere stato chiunque..."
"No...solo una persona ha quell'odore..."
"Quale odore?"
Finalmente, la ragazza si volto' verso di lui. Gli occhi erano due fari, nel buio che regnava nel negozio. Aveva un sorriso strano. Come quello di Buffy. Non riusciva mai ad interpretarli, i suoi sorrisi. Per l'inferno maledetto!
"L'odore di chi ha vissuto nell'ombra per troppo tempo. L'odore di chi soffre cosi' tanto da attossicare l'aria attorno a se'. L'odore di chi darebbe qualsiasi cosa per una carezza, una parola di perdono, uno sguardo senz'odio ne' disprezzo. Il tuo odore, William. L'odore di chi si pone troppe domande. Le piu' delle quali senza senso..."
"E tu che ne sai delle domande che mi faccio?"
Ancora quel sorriso. Cosi' dannatamente incomprensibile. E' pieta' quella che vedo su quelle labbra? Amore, disprezzo, odio, paura?
"Perche' pensi che non ti amera' mai?"
"Tu mi ameresti? Insomma, guardami! Un'anima dannata!"
"Anch'io sono una dannata, William...ma tu mi hai amata..."
"Ero dannato quanto te..."
"E chi ti dice che Buffy non lo sia?"
Aveva una risposta per tutto, quella ragazza. La sapeva molto, molto piu' lunga di lui. Ma lui restava fermo sulle sue posizioni...basta illusioni, dannazione!
"Dovrebbe essere cieca e pazza...per amare ancora uno come me..."
"L'amore e' cieco...e pazzo..."
"Tu che ne sai?"
La ragazza si alzo'. Aveva l'aria stanca. Ma quei fari che aveva al posto degli occhi non accennavano a spegnersi. Ando' vicino a lui. E gli prese una mano. Gelida, nella sua gelida. Dannata, nella sua dannata. Lo trascino' su una sedia. Di fronte a lei. Resto' cosi', a fissarlo, mentre lui abbassava gli occhi. Non poteva reggere quello sguardo. Sembrava che potesse leggergli nel pensiero. Non voleva. I suoi pensieri erano roba patetica. Sono patetico...eh, gia'...ma tutti gli uomini innamorati lo sono? Trovo' per un attimo il coraggio di alzare gli occhi su Miranda. Come sempre, ebbe l'impressione di vedere Buffy. Ne resto' pietrificato per qualche secondo. Ma no, c'era solo la sua ombra. Con due occhi brillanti come fari. Che lo fissavano incuriositi. E lo mettevano a disagio. Finalmente, soddisfatta di qualcosa che a Spike non era dato di sapere, sorrise. Stavolta sulle sue labbra c'era dolcezza. Una dolcezza infinita. Ancora una volta la sua immagine si scambio' con quel!
 la di Buffy. Non poteva farne a meno. Quando i suoi occhi e la sua mente si convinsero che davanti a lui c'era solo Miranda, la ragazza parlo'.
"Voglio raccontarti una storia...me la ripeteva spesso una donna a cui ero molto affezionata. La donna che mi ha cresciuta. Ascoltami..."
Spike si senti' rapito da quella voce. Soave e melodiosa. Con quella punta di malinconia che aveva anche Buffy. Sentiamo la storia di questa piccola incantatrice...
"...Raccontano che un giorno si riunirono in un luogo della terra tutti i sentimenti e le qualita' degli uomini. Quando la noia si fu presentata per la terza volta, la pazzia propose 'giochiamo a nascondino!'. La curiosita' alzo' un sopracciglio: 'nascondino? Che gioco e'?'. La pazzia spiego': 'io conto fino a 1.000.000, voi vi nascondete ed io devo trovarvi...che ne dite?'. L'entiusiasmo accetto' subito, e l'euforia riusci' a convincere persino l'apatia. L'allegria fece tanti salti da convincere anche il dubbio. Parteciparono quindi, tutti. La pazzia comincio' a contare: 'uno, due, tre...'. la prima a nascondersi fu la pigrizia, che si lascio' cadere dietro ad un sasso. La fede volo' in cielo e l'invidia si nascose all'ombra del trionfo che era riuscito a salire sull'albero piu' alto. La bellezza decise di nascondersi in un lago cristallino, mentre la timidezza tra le fronde di un albero e la volutta' sulle ali di una farfalla. La liberta' si nascose in una folata di vento.!
  La passione e il desiderio trovarono rifugio in un vulcano, la generosita' fini' per nascondersi in un raggio di sole e la menzogna in fondo all'oceano. Quando la pazzia fu arrivata a 999999, l'amore non aveva ancora trovato un nascondiglio, poiche' li trovava gia' tutti occupati. Finalmente scorse un cespuglio di rose e decise di nascondersi tra i suoi fiori. 'Un milione!'. La pazzia comincio' a cercare. Alla fine della giornata aveva trovato tutti: il talento nelll'erba fresca, l'angoscia in una grotta buia, passione e desiderio sul fondo del vulcano, eccetera. Ma non le riusciva di trovare l'amore. Dopo molto camminare giunse davanti un cespuglio di rose. Pensando che l'amore potesse trovarsi li' comincio' a scuotere leggermente i rami. E, dall'interno del cespuglio, gli arrivo' un urlo spaventoso. Era l'amore, che era stato ferito agli occhi dalle spine che la pazzia aveva smosso. La pazzia pianse, si scuso', imploro' perdono davanti all'amore reso ormai cieco. Alla fi!
 ne penso' fosse giusto offrirsi come accompagnatore, e l'amore!
  accetto
'. Da allora, l'amore e' cieco...e la pazzia sempre l'accompagna..."
Spike ci mise solo un attimo a riprendersi.
"E'...molto bella..."
"Lo so, e' stupida..."
"No, sul serio...molto bella."
"Mi fa piacere che un poeta possa apprezzare simili componimenti..."
Spike abbasso' gli occhi, punto nel vivo. La poesia...da li' era partito tutto...
"Non sono un poeta..."
"Solo perche' non vuoi esserlo..."
"Non lo sono mai stato."
"Ti sei arreso. Non e' una cosa da deboli...ti sei arreso."
Spike alzo' gli occhi su quella strana, strana ragazza. E lei mosse le labbra con estrema lentezza. Pronunciando parole che all'inizio non capi'...
"...e lo stai facendo di nuovo..."
Il vampiro biondo si alzo' di scatto dalla sedia. Anche in quanto a presunzione quella ragazza era uguale a Buffy. Ma non gli dispiaceva. No, per niente. La rendeva un po' piu' presente.
"Chi sei tu per giudicare la mia vita? Oh, non sarei dovuto venire..."
"Sai almeno perche' sei venuto?"
"Io...no, credo di non saperlo..."
Dannazione!
"...Ti manca. E' normale. E cerchi di tenerti aggrappato a qualcosa. Per non impazzire. Lo so come ci si sente. E stasera...volevi solo vederla..."

T'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, entro l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta che non fiorisce
E reca dentro se' nascosta la luce di quei fiori...
Cosi' t'amo, perche' non so amare altrimenti che cosi'
In questo modo in cui non sono e non sei
Ma siamo cosi' vicini che la tua mano e' la mia.
Cosi' vicini che i miei occhi si chiudono nel tuo sonno...
Le sfiorava la guancia con una mano. Calda. Viva. In quella notte che le sembrava improvvisamente dolce e confortante. Ora avrebbe voluto che non finisse mai. Rimanere cosi', abbracciati, per tutta l'eternita'...con Spike...non importa se e' solo la sua ombra. Si somigliano cosi' tanto. Non posso non pensare che non siano la stessa persona. Quest'uomo, vicino a me...che palpita di vita. Ne e' pieno. E non se ne accorge. E l'altro, che di vita non ne ha...e la cerca disperatamente. Una parvenza di vita normale...ma non potremmo mai averla. Ne' qui, ne' nel duemila...forse mai. E' cosi' brutto dirlo. Cosi' brutto pensare a cose di questo genere, mentre sono qui, distesa su un mucchio di paglia, con quest'uomo che ho desiderato per chissa' quanto tempo, senza mai poterlo ammettere, nemmeno con me stessa. Ma la notte induce a pensare. E' come se si spalancasse una porta, dalla quale escono tutti i miei pensieri. Durante il giorno cerco di tenerli chiusi in quello stanzino. Ma la!
  notte...durante la notte non ce la faccio. E loro escono fuori, eruttano come da un vulcano impazzito. Lava bollente. Scivola addosso. Non fa male. Cioe', non subito. Ma lasciano il segno. Impresso a fuoco nella mia mente.
Buffy era sveglia. Juan aveva gli occhi chiusi, in un sonno agitato e senza sogni. La ragazza gli carezza un braccio con una mano bianca. Quelle braccia che la stringono cosi' forte da toglierle il respiro. Che hanno desiderato di stringerla per tutta una vita. Da cui lei ha sognato tante volte di essere stretta. Cosi' tanto da soffocare. E desiderare di non abbandonare mai il calore di quell'abbraccio. Cosi' carnale. Anche se non c'entra esattamente con la carne. No, stavolta non era stato solo sesso. Qualcosa di diverso, profondo, piacevolmente imbarazzante, da ritrovarsi con le guancie chiazzate di rosso e non sai perche', da sentirsi in paradiso per una carezza e all'inferno per un bacio. Da non capire se e' ghiaccio o fuoco quello che ti brucia o congela lo stomaco. Era stato fare l'amore. Amore. Non sesso. Non c'entrava niente. L'aveva capito solo adesso. Sesso e amore. Due cose completamente differenti. Per sensazioni, per emozioni, per sentimenti che si mescolavano c!
 ome in una coppa d'argento. Come acqua mista a nettare. Gettata nell'aria, che si perde in mille gocce. Gocce di felicita' e perdizione e perfezione. E nel sole acquistavano tutti i colori dell'arcobaleno. Nel sole. Stavolta l'aveva visto in faccia, il sole. Anche se era notte. L'aveva visto in faccia. Aveva volato tento vicino da poterlo toccare. Sentire quel calore che scioglie l'anima. E allontanarsi piano, ricordando quelle sensazioni di vuoto assoluto, assoluto nulla e poi il tutto. Sentire ogni cosa e un attimo dopo non sentire niente. Ascoltare il fruscio del vento, i sospiri, persino il rumore del loro respiro. E poi non sentire piu' nulla. Mani sulla palle. Bocca contro bocca. Occhi negli occhi. E non senti niente. Solo mille gocce che ti si infrangono addosso. Mille gocce che portano dentro tutti i colori dell'arcobaleno...
Buffy guarda fuori dalla finestra. I primi bagliori del mattino cominciano a farsi vedere. Le stelle scompaiono silenziosamente. Hanno paura di svegliare gli uomini. E lei si gira verso Juan. Ora e' sveglio anche lui. Come se l'avvicinarsi del mattino avesse innescato una specie di rudimentale sveglia, dentro di lui. La guarda. Uno sguardo cosi' dolce non l'ha visto mai. O meglio: l'ha visto da tanto, ma ha sempre fatto finta di non vederlo.
Ecco dove sono finite tutte le stelle...
Un piccolo bacio per dirsi buongiorno. Meglio di un caffelatte con cornetto. Molto meglio. Poi si guardano di nuovo. C'e' una certa tristezza, in quegli occhi. La notte e' gia' finita. Sarebbe dovuta durare secoli, idillio sconfinato di anime che si uniscono e si scambiano. Ma non e' durata che pochi minuti...almeno a loro sembra cosi'.
"Devo andare. Se mi trovano qui..."
"Dimmi che tornerai!"
"Nemmeno il Papa in persona potrebbe trattenermi..."
Si guardano ancora per qualche istante. Poi sulle labbra di lui compare un sorriso.
"Ti ho gia' detto 'ti amo'?"
Buffy sorride. Questa e' senza dubbio una frase di Spike. A lui piaceva stuzzicarla. Ancora lacrime. Spike...se solo sapessi...
"No, non mi pare..."
Avvicino' le sue labbra a quelle di lei. Sussurro', flebile come vento. La sua voce era appena udibile, sovrastata dal ruggito incessante del mare.
"...Ti amo..."
Un altro bacio. Leggero. Per qualche secondo. Profondo. Per un'eternita'. Si', magari...e invece alcuni passi in corridoio li costringono a staccarsi. Lui prende velocemente alcune garze. Se le passa sulle mani martoriate. E ricomincia a scendere, calandosi dalla finestra. Buffy resta sola nella sua cella. Che torna nuovamente ad essere vuota e fredda. Ma quel sapore di mare che Spike -era solo Spike, per lei-, si era portato dietro, restava li', Attorno a lei. Come una promessa. Che lei intendeva rinnovare ancora...e ancora...e ancora...   

Capitolo VI

E' l'alba. Al convento, la vita riprende. Anche in tutta la Valle del Sole. La giornata comincia presto, in quello scorcio di eta' moderna. Il forno del panettiere inizia a fumare allegramente. Una corta fila di uomini, donne e perfino qualche bambino, aspetta pazientemente il proprio turno. Per avere la prima razione di pane della giornata. Di quello ancora caldo, appena uscito dal forno. Sa di gloria. Croccante. E' una prelibatezza che la mattina non deve mancare. E vedi lunghe file davanti quel forno che fuma allegramente. Lunghe file alle cinque, le sei del mattino. Ai ritardatari delle sette, non spetta altro che una forma di pane gia' fredda. Buona, si'. Ma fredda. Sa solo di pane. Juan e' ormai fuori dal convento. Crampi terribili gli lacerano le mani. Ma non e' mai stato piu' felice di sentire dolore. Per la verita' non lo sente nemmeno, cammina a mezzo metro da terra, con un sorriso piuttosto idiota stampato sul volto. Il cappuccio tirato sul viso, come se avesse pa!
 ura che qualcuno solo vedendolo avrebbe capito tutto. Aveva voglia di gridarlo al mondo intero, il suo segreto. Aveva voglia di salire sul campanile piu' alto e gridare al cielo che aveva trovato qualcosa di meglio. Piu' bello del cielo. Piu' bello di quello sterminato prato azzurro, cosi' vasto, cosi' infinito. Ma mai bello come lei. Non e' minimamente dispiaciuto. I rimorsi li rimanda. Sa che arriveranno. Ma spera solo che arrivino il piu' tardi possibile. Cammina tra le stradine ancora non affollate. Non sa esattamente dove sta andando. Era uscito (no, si era calato giu'...) dal convento con un'idea ben precisa. Ma e' troppo chiedere a quella mente posseduta dall'amore di ricordarlo. Sa che e' importante pero'. Si ferma un attimo. Scende dalla nuvola rosa che lo sorregge, invisibile solo agli altri. E rimette in moto il cervello. Si rende conto che, se si concentra molto, puo' ancora pensare lucidamente. Ah, gia'...in un attimo ricorda dove doveva andare. Si', e' una cos!
 a molto importante. Non ricorda bene dove si trovi, il posto i!
 n cui ha
 urgenza di recarsi. L'ha visto una sola volta. Qualche settimana prima. si lascia guidare da qualcosa. Il suo istinto, forse. E prosegue gongolante tra le stradine della cittadina. Qualcosa gli sfreccia davanti agli occhi. Fa appena in tempo a scansarsi. Una carrozza. Nera, sembra un rudimentale carro funebre. Ha uno stemma sulla fiancata. Destra. Un enorme giglio bianco. Le tendine (sempre nere) sono tirate. Ondeggia pericolosamente, su una strada battuta alla meglio. I cavalli arrancano stanchi, spinti a continuare dalla frusta del cocchiere, completamente vestito di nero. Unica eccezione, il panciotto bianco che spunta appena sotto la giacca di velluto nero. Le ruote enormi corrono sulla strada. Girano, girano e girano. In un moto circolare che sembra non voglia finire mai. Un ronzio perfettamente udibile nel silenzio del mattino, accompagna la carrozza. Nera. Juan Delgado la guarda andare via. imboccare un'altra strada. Con una fretta quasi maniacale. Una stradina stret!
 ta. Che porta in un solo posto. A casa del Vescovo. E si ritrova, Juan, a chiedersi chi ci sia, dietro quelle tendine tirate. Nere.
Chi c'e'? Juan non puo' saperlo. Dietro le tende nere, chi c'e'. E non vorrebbe, davvero, saperlo. C'e' un uomo, dietro quelle tende scure. All'interno della carrozza. Ha viaggiato tutta la notte. Per tre notti consecutive. Doveva arrivare solo tra una settimana. Ma all'inquisitore Antonio Palacio, piace arrivare quando nessuno se lo aspetta. E andarsene quando se l'aspettano tutti. Inquisitore. Il peggiore sulla piazza. Non che non fosse bravo a fare il suo lavoro. Anzi. Lo faceva fin troppo bene. Affrontava anche dieci, venti processi ogni mese. si concludevano sempre allo stesso modo. Sua vittoria. Di tutte le presunte streghe e possedute che aveva processato, nessuna era stata ritenuta innocente. Era sempre in grado di trovare prove, a suo dire, schiaccianti. Riusciva ad inventarsi le storie (per lui piu' che vere), piu' strane in pochi secondi. Smontava una difesa perfetta con poche parole. Era un crociato dell'inquisizione sud americana. A detta dei pro inquisizione, q!
 uindi, era il miglior inquisitore sulla piazza. L'incubo di ogni accusata. Sentire pronunciare il suo nome era un doccia fredda. Si rabbrividiva fino alle ossa. Per il suo modo spietato di usare la tortura per estorcere confessioni piu' che fantasiose (tutte veritiere, secondo lui...e secondo tutta l'Inquisizione...Santissima...). Metteva in bocca alle imputate ormai stremate da ore di torture, tutto quello che presumeva avessero fatto. E loro confermavano tutto. E in quel momento lui si sentiva un uomo nuovo. Completo. Mandare a morte giovani donne che, in fin dei conti, non hanno confessato nulla, se non sotto gli effetti devastanti della tortura, psicologica e fisica, deve fare proprio quest'effetto. Ora, seduto comodamente nella sua carrozza, su poltrone in pelle e broccato, con sulla testa un'incudine di novanta condanne a morte, si recava dal Vescovo di quella ridicola cittadina. Gettava occhiate qua e la' per i vicoli sporchi e mal tenuti. Piegava la bocca disgustato!
  quando incrociava una donna sulla sua strada. Le donne. Diavo!
 li travi
stiti, solo questo, sono. Dopo l'ennesima innocua massaia passatagli davanti agli occhi, tiro' nauseato le tendine, tornando a guardare avanti. Pensando mentalmente a quanta grana, e quanta fama, gli avrebbe arrecato quel processo.

Mattina. Sunnydale di mattina. E' uno spettacolo. Luce chiara e forte che sprizza dalle montagne come acqua di sorgente. Si riversa sulla cittadina ancora addormentata. Il cielo si tinge di azzurro tenue. Un po' di rosa, ad oriente. Azzurro e rosa. C'e' una strana quiete. Una lieve nebbiolina scende come un velo bianco sulla citta'. La ricopre tutta, dandole una strana atmosfera sinistramente magica. L'aria e' sospesa. Goccioline di rugiada si staccano dai petali dei fiori davanti ai davanzali delle finestre. Lentamente, si trascinano. E cadono. Lentamente. Come ancora avvolte dal torpore della notte. Ma notte non e' piu'. Il mare e' solo un miraggio in lontananza. Blu cobalto. L'orizzonte e' una linea blu. Marcata. Cosi' fredda. Tutto sembra freddo ed indifferente, all'alba. Tutto sembra in attesa. Come se aspettasse un segnale per rimettersi in marcia. C'e' ancora una stella. E' cosi' sfocata che quasi non la vedi. Ma c'e'. Anche la luna. Quella si vede. Bianca. Come la fa!
 ccia di un morto. Si spegne piano. Mentre il sole cerca di alzarsi tra i monti che gli stanno davanti. In effetti, e' un solo istante. In cui non c'e' niente. Vuoto. Ne' giorno, ne' notte. Ne' luna, ne' sole. Ne' buio, ne' luce. Niente. Se lo si potesse fotografare, quell'istente, si avrebbe fotografato il momento esatto, in cui nel mondo non c'e' niente. Attesa. E basta. Ma non dura che un attimo. Un attimo solo. E poi tutto torna alla normalita'. Per quanto una giornata possa essere normale, a Sunnydale. E non ci sono molte occasioni di normalita'. Ma nessuno lo sa. Tutti dormono. Non sanno. Non immaginano quello che succede. Di notte. C'e' gente che si batte per loro, di notte. C'e' gente che veglia sul loro sonno, di notte. C'era una donna, che muore per loro, di notte. E nessuno lo sa. E non lo sapranno mai, probabilmente. Ed ora chi c'e', di notte? Gente. Ma...e quella donna? No, quella donna non c'e'. Dov'e'? Quella gente vorrebbe saperlo. Quella gente che si batte, !
 la notte. Insieme a lei. Sono tutti li', a Sunnydale. Nei loro!
  letti.
Willow. Piange. Bagna il cuscino, con quel mare di lacrime. Accanto a lei, altre quattro persone trattengono a stento le lacrime. Dawn, Giles, Anya e Xander. Dormono insieme, perche' e' chiedergli troppo stare da soli una notte intera. Non ce la fanno. Hanno bisogno di aggrapparsi. A qualcosa. Qualcosa. Anche solo le rispettive magliette. Piangere sulla spalla l'una dell'altro. Farsi coraggio a vicenda. Perche' c'e' un vuoto cosi' grande. Come lo puoi colmare un vuoto cosi'? Come strapparsi un pezzo di cuore. Un dolore lancinante. Sapere che non c'e'. Che non ci sara' piu'. Probabilmente. Quasi una certezza, che cresce in loro. Ora dopo ora.
E, mentre loro sono insieme, e piangono, ma sapendo di essere insieme, di non essere soli, c'e' qualcun altro che piange. Da solo, pero'. Aggrappato solo ad un cuscino che non e' il suo. Guardando foto appese ad un muro con puntine colorate. Cosi', forse solo per farsi del male. Ci vede tutta una vita, Spike, in quelle foto. La sua vita. Lei, cosi' piccola, con i capelli biondi e lucenti sulle spalle, che sorride sorniona ad un obiettivo davanti a lei. Lei appena piu' grande, che improvvisa facce buffe e linguacce. Gli scappa quasi un sorriso, vedendole. Poi lei, a quattordici anni, o giu' di li'. Sembra gia' una donna. Un leccalecca in bocca, Il faccino malizioso, l'aria spensierata di un'adolescente. I capelli raccolti in due codini. E poi, li' vicino...un tuffo al cuore. Lei. Ancora lei. A sedici anni. Ne e' sicuro. L'estate in cui lui e Drusilla arrivarono a Sunnydale. La svolta della sua vita. Della sua morte. Quanto tempo era passato...com'era cambiata. Allora aveva i !
 capelli piu' gonfi, ricci. Gli occhi piu' vivi. Ancora innamorata della vita. Ancora convinta che potesse andare tutto per il meglio. L'aveva vista cosi', la prima volta. Proprio come in quella foto. Al Bronze, mentre ballava. Le mani sopra la testa. Quel corpo che ondeggiava al ritmo della musica. L'aveva capito allora. Cosa? Non so...qualcosa...da allora non c'e' altro che lei, nella mia testa. L'avevo scambiato per odio, quell'amore doloroso che mi cresceva dentro rabbioso e distruttivo...
Il mio unico amore spunta dal mio unico odio? Ora so chi sei, e non posso tornare indietro...mostruosa e' la nascita di quest'amore per il nemico piu' odiato...
E poi, piu' a destra, ancora lei. Fotografie. Istanti rubati alo scorrere del tempo. Restano per sempre li'. Tu invecchi, invecchi, invecchi...ma nelle foto sei sempre giovane. Cristallizzare un istante della tua vita. Tutto qua. Lei a diciotto anni. Con la toga, il giorno del diploma. Non c'ero, ma me lo hanno raccontato. Poteva essere un'apocalisse. Ma hai salvato tutti, come sempre. Senza mai pretendere nulla in cambio. Sai che la gente non ti ringraziera' mai. Non sanno nemmeno che esisti. Ma tu sei tu. Sei Buffy. E non puoi fare a meno del tuo destino. Dici di odiarlo, ma impazziresti, senza.
Spike sta disteso sul letto della cacciatrice. Dawn non c'e'. E' andata da Willow insieme agli altri. Anche questa volta l'hanno lasciato solo. A piangere il suo amore. A commiserarsi. A pensare. Quanto odiava pensare! Buffy non l'avrebbe lasciato solo. Nonostante dicesse di odiarlo, e forse era vero, non l'avrebbe lasciato solo. Non l'aveva mai fatto. C'era sempre stata, per lui, quando ne aveva avuto veramente bisogno. O almeno a lui piaceva vederla da questo punto di vista. In quanto a lui...lui c'era sempre. Per lei, tutto. Subito. Sempre. Per lei -non avrebbe mai immaginato di dirlo-, manderebbe a puttane il mondo intero. Ma per lei non era capace di trovare un modo per tornare indietro di cinquecento anni...e questo lo deprimeva. Si alzo' dal letto. Doveva muoversi. Ando' alla scrivania. Vecchia. Di legno chiaro. Apri' un cassetto. Sapeva di non doverlo fare, ma la curiosita', la tentazione di vagare in quel suo mondo, almeno per una volta, fu troppo forte. Apri' un ca!
 ssetto. Il primo. C'erano paletti. E un quaderno. Spike lo prese. Sfoglio' le prime pagine. Ma non c'era niente. Solo resoconti delle ronde. A volte lo nominava. Piu' sotto, un diario. Di quelli senza lucchetto. Ma si capisce che e' un diario. Lo prende, Spike. Lo apre. Comincia da quattro anni prima. All'inizio, niente. Poi...eccolo, il mio nome...giornate intere passate a pensare a lui. Certo, in maniera negativa. Beh, quattro anni prima voleva ucciderla. E poi...un vuoto di tre anni. Riprende pochi giorni prima dell'incidente. Non ci sono resoconti delle giornate. Appuntamenti o cose del genere. Solo poche parole. Tra queste, il suo nome. Spike, ripetuto almeno quindici volte. Due William. Accanto a qualche Spike c'e' un uguale. Poi, 'vampiro'. Su tutta la pagina troneggia la scritta in rosso brillante 'non e' possibile!!'. D'improvviso, la lettera o di non, sbiadisce. E' una lacrima. E' caduta sopra. Una lacrima di Spike...

E' mattina anche nella cella di Buffy. O Miranda. No, Buffy. Il sole entra a fiotti dalla finestra. Aria buona, aria di mare, aleggia nella stanza. Un soffio di vita dopo tutta quella morte. E lei che, per la prima volta, sorride. Sorride veramente. Un sorriso spontaneo e sincero. Serena. Sicura. Si sente viva per la prima volta da quando era finita in quella incredibile realta'. Le monache la trattano un po' meglio. Forse anche loro vedono la sua metamorfosi. Da bruco a farfalla. Ora sembra la gioia di vivere in persona. Si affaccia alla finestra. C'e' una piccola goccia di sangue, sul davanzale. Il suo sangue. Dalle sue mani. Di Juan...no, di Spike. E' incredibile. Sembra quasi che ci prenda gusto. Ora che non puo' averlo, lo vorrebbe per se'. Quando lui era proprio li', accanto a lei, lei che aveva fatto? Lo aveva calpestato, umiliato e ferito...ora che ha un uomo, un uomo vivo, accanto a se', desidera improvvisamente un morto. Un morto che morto non e'. Per lei. E non pu!
 o' fare altro che pensare a lui mentre bacia la sua ombra. Buffy si sposta dalla finestra, una grossolana finestra di pietra dalla quale si scorge uno scorcio del piccolo borgo che era Sunnydale e...il mare...infinito. Gabbiani che vi volteggiano sopra. Mandano grida stridenti e in un certo senso piacevoli. Si lanciano verso il mare. Si immergono e poi tornano su stringendo un pesce nel becco. E' una figura da dipinto. Una scena da cartolina. Il mare immenso, il piccolo borgo sulle sue rive, i velieri giganteschi ancorati al porto. Ed i gabbiani. Bianchi. Che volano. Vorrebbe volare anche lei. Seguire quegli uccelli maestosi, puri, bianchi.
Gli uomini non potranno mai volare, perche' il volo e' riservato agli angeli...
Lei e' tutto fuorche' un angelo. Non in quella realta'. E' un'assassina. Dio, se l'era quasi dimenticato. Ci pensa. E vuole dimenticarlo di nuovo. Inaspettatamente, ci riesce. Stavolta non c'e' sangue ne' dolore. Solo smarrimento. Perdersi per un attimo. Poi tornare. Senza piu' quel pensiero che l'assillava. E che ora non ricorda nemmeno piu'. Si sposta dalla finestra, Buffy. Verso la scrivania di legno e pietra grezza. Vorrebbe scrivere. Magari ai suoi amici. Ma, ovviamente, e' assurdo. Eppure non puo' fare a meno di pensarci. Un'ondata di tristezza si abbatte contro la sua felicita'. Ma non riesce a romperla. E' troppo perfetta. La scalfisce appena, regalandole un accenno di sorriso triste e malinconico. Ma e' tutto li'. Un sorriso triste. Niente di piu'. Prende un pettine dalla scrivania. Si siede sulla paglia umida di rugiada e prende a pettinarsi la lunga chioma dorata. Sembra non finire mai. Un voto alla Madonna, aveva spiegato una monaca a padre Juan, il giorno prima.!
  Li aveva sentiti. Non se li sarebbe tagliati fino a che non si sarebbe sposata. Chissa' da quanto era stato fatto quel voto. Quei capelli sembravano non finire mai. Lunghi, lisci e lucenti. Davvero molto belli. Li pettina fino all'ultima ciocca. Poi prova ad intrecciarli. Per scoprire che le sue mani sono inaspettatamente abili. Come se lo facesse da sempre. Eppure non aveva mai provato prima. la treccia, pero', riesce benissimo. Brillante. Vi si riflettono sopra i raggi del sole. Brillante e lunghissima. Sfiora il pavimento. Buffy se la trascina dietro come un velo. La sua mente vola da Juan a Spike al motivo del suo soggiorno al monastero. Non la faranno diventare suora, di questo ne e' certa. Gli esorcismi probabilmente non si faranno. O almeno non sara' padre Juan a farli. E allora perche' la lasciano li'? Non e' una prigione! Restare per sempre al monastero. Per sempre. Cos'e', ora do' per scontato che restero' in questa realta' per sempre? No, io me ne andro', io dev!
 o, voglio andarmene...io...devo rivederlo...almeno una volta. !
 Per dirg
li che ho sbagliato tutto. Che non c'e' stata una sola cosa giusta che io abbia fatto dopo essere tornata. Non una. O forse una sola. Amarlo. Fingendo di non amarlo. nascondendomi dietro inutili bugie. Oggi ho guardato nello specchio. E ho visto un'altra Buffy. La mia anima (quella vera) e' migliore della maschera che porto. E che voglio solo gettare al vento. Per questa cosa che cresce dentro di me. E non so darle un nome. Perche' un nome non c'e'. Niente che gli uomini conoscano puo' essere anche solo simile a...questa cosa...che mi brucia tutta. Voglio solo tornare da lui...o che lui venga a me...

Una stradina ombreggiata, come nella Valle del Sole ce ne sono tante. Deserta, come tutte le strade a mezzogiorno. Dal camino posto su un tetto di tegole color ardesia non si leva la caratteristica nuvoletta di fumo bianco che c'e' su tutte le altre case, come nebbia bianca sospesa appena ad una spanna dai tetti. Le tendine alle finestre sono accostate. I vetri sono sudici. La casa di uno scapolo, s'intende. La porta di legno con i battenti in ottone e' scheggiata, dipinta alla meno peggio in alcuni punti. Su tutto il muro l'intonaco e' cadente. Si stacca a pezzi enormi dalle pareti, lasciando intravedere la calce viva e i mattoni color terra. Appena dietro il cadente edificio, tutt'altro che grande, c'e' una piccola stalla. Nell'unica cuccetta riposa un cavallo bruno dalla criniera quasi bianca. Vecchio. Probabilmente persino zoppo. Su una staccionata, una sella di cuoio quasi nuova e quattro zoccoli appesi a quattro chiodi che sembrano sul punto si staccarsi.
Ma dove sono capitato?
Padre Juan osserva ancora per qualche minuto la curiosa abitazione dell'uomo che cercava da tutta la mattina. Alla fine si era rassegnato e aveva chiesto indicazioni ad una brava massaia con una cesta colma di panni. La donna aveva sorriso maliziosa e gli aveva indicato una minuscola deviazione della strada, cosi' piccola che Juan non vi aveva nemmeno fatto caso. Aveva imboccato quel vicolo, camminato per una buona mezz'ora, e finalmente incontrato un contadino. L'uomo l'aveva guardato scandalizzato dalla sua richiesta e aveva indicato tremante un altro ramo del viale, ancora piu' stretto e tutto in salita. Juan aveva ringraziato ansimante e si era avviato. Alla fine della strada aveva finalmente scorto l'abitazione di Salvador Rodriguez Mendoza. Dottore. Medico. Considerato da molti un negromante. Ma nessuno aveva mai trovato prove che lo testimoniassero. A parte circa cinquecento libri proibiti che il vescovo aveva fatto sequestrare tre settimane prima dal suo fido bibliot!
 ecario. Juan era andato di corsa dal medico, che gli aveva cordialmente aperto la porta e aveva acconsentito al sequestro dei libri, chiedendogli, quasi piangente, se potesse trattenere con se' almeno un paio dei suoi romanzi preferiti. Juan non aveva niente contro i libri, censurati o meno, e aveva acconsentito, promettendo di non rivelare nulla al vescovo. Ora Salvador gli doveva un favore. E, se non per amicizia, almeno per questo piccolo debito avrebbe nuovamente aperto la porta a quella chiesa che odiava. Perche', fra l'altro, Salvador era ateo e non faceva nulla per nasconderlo. Juan si fece coraggio. E busso' alla porta di colui che riteneva tutto tranne che negromante. Era una brava persona. Piena di cultura e voglia di apprendere. E di fare del bene. Nonostante fosse ateo. Dopotutto, non ci voleva necessariamente la fede per aiutare chi ne ha bisogno. E Salvador ne era la prova vivente. Dopo diversi, potenti colpi al battente d'ottone, la porta finalmente si apri'.!
  Solo di pochi centimetri. La bloccava una catena di ferro. Da!
 llo spif
fero apertosi, Juan vide un occhio avido che lo guardava sospettoso. Lo fisso' per pochi secondi, poi l'uomo in casa sorrise e, senza dire una parola, apri' del tutto la porta e lo lascio' entrare. Anche Juan non apriva bocca. Salvador odiava le frasi superflue. E Juan quel giorno voleva assecondarlo su tutto. Si sedettero in religioso silenzio su due poltrone macchiate, rivestite di pelle viola e blu cobalto. Una scelta molto eccentrica, come del resto era eccentrica tutta la vita di quello strano personaggio. Un gatto dal pelo corto e marrone balzo' fuori da una gabbietta accanto alla poltrona sulla quale sprofondo' Juan, andando a sedersi stizzito sul davanzale della finestra piu' lontana. Salvador guardo' Juan per qualche minuto, in silenzio.
"Allora, amico mio...quale oneroso compito ti porta in questa landa desolata?"
Juan prese coraggio. Ormai il peggio (o il meglio...oddio!) l'aveva fatto. Parlare con un presunto eretico era una sciocchezza, paragonato a cio' che aveva fatto la notte scorsa.
"Ho bisogno del tuo aiuto...intendo, come medico."
"Hai problemi di salute?"
"Se l'amore si considera una malattia, allora si', sono malato. Terminale..."
Salvador rimase un attimo in silenzio. Juan abasso' lo sguardo, arrossendo. E, piu' inaspettata che mai, nella sala risuono' una risata allegra e amichevole. Juan guardo' interrogativo il medico.
"Scusa, non ho potuto trattenermi...cosa vuoi, qualcosa contro il mal d'amore? Come se l'amore fosse un male...voi preti avete un'idea cosi' distorta dell'amore che..."
"non sono io, il problema, Salvador. La mia malattia me la tengo piu' che volentieri."
"Ah..."
Poveretto, gli ho tolto tutto lo sfizio...ora su cosa mi prendera' in giro?
"Vorrei un parere medico. Per una ragazza..."
"...La posseduta del convento di Santa Clara..."
"Come lo sai?"
"Ho orecchie ovunque, io. Sono uno stregone, no? No, scherzo. Lo so perche' alcune mie fonti, in citta', parlano di questa ragazza. Hanno detto che sta arrivando un pezzo grosso, da Roma. Per processarla. Poveretta, ha solo sedici anni..."
Un pezzo grosso? Fantastico, ci mancava solo l'inquisizione...
"Gia'...ma tu...insomma...non potresti visitarla? Dire che e' in perfetta salute? Psicologica, intendo."
Il medico si alzo' dalla poltrona. Sospiro', guardando fuori dalla finestra il polverone che stava alzando il vento. Mi sporchera' tutti i vetri, dannazione!
"Mi dispiace, Juan. La chiesa non mi permetterebbe mai di avvicinarmi a quella giovane. E comunque, io l'ho vista. Quando l'hanno portata. E se esiste realmente possessione demoniaca, beh, quella ragazza ne e' affetta!"
"Cosa? No, no, no! Io...io c'ho parlato! Ha solo paura. Non e' posseduta! E' un angelo, non un demonio!"
"E' lei la causa della tua malattia, padre Juan?"
Una domanda posta col tono dell'inquisitore. Quell'inquisitore che Salvador era stato per anni, prima di comprendere quali atrocita' stesse commettendo in nome di una religione alla quale non credeva nemmeno.
"Muoio d'amore, per quella giovane..."
"Morirai sul serio, se non te ne liberi, Juan..."
"Salvador, te ne prego! Devi solo visitarla...e dare un parere negativo! Devi solo sostenere che non e' posseduta!"
"Vorrei farlo, Juan, davvero."
"Allora...perche'?"
Un altro sospiro. E Salvador Rodriguez Mendoza ricadde pesantemente sulla poltrona.
"Ho cinquant'anni. Sono un'ex inquisitore. Ed ora sono ateo. Accusato di essere un'eretico e uno stregone. Pensi che la chiesa possa tenermi in qualche considerazione? Del mio parere ne fanno volentieri a meno. E se dicessi una cosa del genere, che quella ragazza non e' posseduta, e non lo credo, finirei al rogo io per primo...non guardarmi con quegli occhi, Juan. Sono un medico. Ma, fondamentalmente, sono un vigliacco. Ho visto troppa gente bruciata sul rogo. Ed e' una morte che non voglio fare. Ed ora va', figliolo..."
Juan si alzo'. Per un attimo penso' di ricattarlo. Dirgli che se non avesse visitato Miranda, avrebbe detto al vescovo dei libri che Mendoza non aveva restituito. Ma non lo fece. Le scelte altrui vanno rispettate. D'altronde, lui, nei panni di Salvador, forse avrebbe fatto lo stesso. Forse. Usci' dalla porta in silenzio, stavolta pensante come piombo, come un'incudine che reggeva sulle spalle. Erano le due, ormai. Non gli restava che aspettare qualche ora. Per tornare da lei...la medicina alla sua malattia.

Un uomo dal portamento elegante procedeva a lunghe falcate sul corridoio piastrellato della residenza del Vescovo Ygantio Virtudes. Ai lati, costeggiando l'ampio corridoio, stavano busti e sculture. Di chiunque ti venisse in mente. Marmi che rappresentavano Giulio Cesare da ogni angolazione. Riproduzioni di sculture greche e romane. E, sopra ogni altra cosa, raffigurazioni di Madonne, bianche e pure, scolpite nel marmo piu' pregiato. Cosi' perfette da sembrare vive. E faceva paura vederle. Nella penombra del corridoio. Sembravano tante sentinelle sull'attenti, che ti squadravano sospettose. La maggior parte delle persone che passavano a far visita al vescovo restava impressionata e alquanto spaventata di fronte lo spettacolo del corridoio delle statue. Colonne di marmo dipinto di blu scuro decoravano gli angoli. Le pareti erano scure. Il pavimento coperto da piastrelle lucide. Nere. Quell'ala della casa avrebbe messo soggezione a chiunque. Ma non ad Antonio Palacio. Lui camm!
 inava come se niente fosse attraverso quel corridoio costeggiato da sentinelle inanimate. Guardava dritto di fronte a se'. Lo sguardo duro e inespressivo di sempre. Arrivo' davanti alla stanza del Vescovo. L'enorme uomo l'aspettava seduto placidamente su una sedia a dondolo, davanti lo spettacolo del pomeriggio visto dalla sua finestra. Sembrava che la sua casa fosse dentro il mare. Almeno questa era l'impressione che aveva chi guardasse per la prima volta da quella finestra. Ma non Antonio Palacio. La sua prima impressione fu che era tutto tremendamente...trasandato. Il vescovo e il suo pesante saio di stoffa grezza e marrone, la sedia che oscillava difficoltosamente avanti e indietro, la stanza ricoperta di riproduzioni poco fedeli di dipinti antichi. Una coperta lasciata a marcire su una sedia, in un angolo ombreggiato. Come una sfida alla sua attenzione. Ma lui l'aveva vista. Ad Antonio Palacio non sfuggiva niente. Con le mani tiro' indietro il cappuccio nero che copriv!
 a il suo volto. Era un bell'uomo. Il viso spigoloso. La fronte!
  alta. D
ue occhi di granito, neri e penetranti. Le labbra ridotte ad un filo pallido. I capelli neri, lunghi alla spalla, in un ridicolo (secondo il Vescovo) caschetto fin troppo femminile. Aveva l'espressione truce e severa che contraddistingue gli inquisitori migliori. O i peggiori, a seconda dei punti di vista. Il vescovo si alzo' faticosamente dalla sedia. Gli ando' incontro, stampandosi sul viso grinzoso il sorriso piu' falsamente amichevole che riusci' a trovare. L'inquisitore rispose al suo sorriso con un altrettanto falso rispettoso inchino con baciamano. E il vescovo rise tra se', constatando che era sempre lui quello a stare sopra.
"Avete fatto prima...non vi attendevamo..."
Suonava piu' come una predica, che come un benvenuto. Ma Antonio non raccolse.
"Come lei sa, Eminenza, mi piace giungere a sorpresa."
"Si', si', lo so come siete fatti voi inquisitori! Ma ci avete messo in difficolta'. Non abbiamo ancora pronta la vostra stanza..."
Antonio sorrise. Il sorriso di un serpente velenoso, penso' il vescovo, osservano quelle labbra sottili incresparsi. Un serpente...
"Oh, non e' un problema...vorrei andare subito al convento, se e' possibile. Ho sempre un colloquio con le mie accusate, prima del processo...non posso certo costruire un'accusa se non sono certo della colpevolezza dell'imputata."
Ipocrita. Il falso buonismo era quanto il vescovo Virtudes odiasse di piu' al mondo. Sempre e comunque dopo la 'Santissima' Inquisizione. Ma questa non era propriamente la risposta giusta.
"Si', certo. Comprendo le vostre necessita'. Vi ho gia' fatto preparare un permesso per accedere al convento. La vostra carrozza e' gia' qui fuori? Possiamo fornirvi cavalli riposati, se avrete la pazienza di concederci qualche ora..."
L'inquisitore alzo' una mano guantata. Piu' per far vedere quel bellissimo guanto di pelle nero intarsiato di diamanti, che per fermare la parlantina del vescovo.
"No, non vorrei esservi di eccessivo disturbo. Andro' con la mia carrozza. A stasera, vostra Eminenza..."
il vescovo lo guardo' ancora per qualche secondo. Un serpente. Si aspettava quasi di veder guizzare la lingua biforcuta tra le labbra. E, se fosse successo, non se ne sarebbe stupito piu' di tanto. Dopo averlo studiato con attenzione, gli diede licenza di andare. Era stato lo scambio di battute piu' ipocrita e falso di tutta la sua vita. E ne aveva vissuti, di anni...

A distanza di cinquecento anni dalla pittoresca abitazione del Vescovo, in quella che e' ormai chiamata Sunnydale, un gruppo di ragazzi si guardano. Attorno al tavolo, nel Magic Box. Non fanno altro. Si guardano. Ci sono tutti. Giles e' appoggiato al bancone. Si guarda le scarpe, dietro le lenti spesse degli occhiali. Xander guarda Anya, che guarda a sua volta un grosso libro posato su di uno scaffale di fronte a loro. Si chiede 'chissa' quanto tempo abbiamo...'. E' una domanda che si pongono tutti. Ma nessuno risponde. Nessuno ha il coraggio di rispondere. Willow si guarda intorno irrequieta. I capelli rossi sono spettinati. Non ha chiuso occhio. Probabilmente sono due giorni che non dorme. Ha gli occhi stanchi. Fatica a non chiuderli. Dawn e' distrutta. Non ha nemmeno piu' lacrime da piangere. E' la seconda volta che gliela portano via. Guarda con uno sguardo a meta' tra il disgustato e il curioso la ragazza bionda che gli sta davanti. Sono cosi' uguali. Non puo' fare a me!
 no di pensarlo. La bionda la guarda. Ha due occhi verdi. Ma non verdi e basta. Verdi strani. Mandano una luce irreale. Eppure c'e'. Come fari. Sono occhi che abbagliano. Solo...sono cosi' inespressivi. Pazzesco. Quando si dice 'gli occhi sono lo specchio dell'anima'. Ma con quella ragazza quel detto non valeva. Non ci vedevi nient'altro che verde, dentro quegli occhi. Dietro quegli occhi. Solo verde. E poi vuoto, come un precipizio senza fine. E poi c'e' Spike. Seduto in disparte, come sempre. A guardare il vuoto, come raramente succedeva. Occhi blu offuscati da un velo di tristezza. Guardava tutti, ed era come se non vedesse nessuno. Dawn incontra il suo sguardo. Gli arriva un sorriso, appena appena accennato. Come se non avesse la forza per alzare gli angoli delle labbra. E' uno sforzo troppo grande. Gli sorride, o almeno ci prova, di rimando. E si chiede come possano gli altri restare indifferenti davanti a tanta sofferenza. Come poteva Xander pensare ancora che fosse so!
 lo una fissazione. Come potevano tutti trattarlo come una 'cos!
 a' senza
 nessun valore. Ma non e' il momento di pensare a questo. Buffy non c'e'. Ma demoni e vampiri non vanno in pensione per questo. E la gente della notte deve tenere pulita la citta'. Per il ritorno di Buffy. Perche' Buffy tornera'. Deve tornare. Il mondo non sarebbe piu' lo stesso, senza di lei. Loro non sarebbero mai piu' gli stessi, senza di lei. Era un pezzo di cuore troppo grande. Non poteva volare via cosi'. No, proprio no.
Giles sospira, staccandosi dal bancone con aria preoccupata. Sembra calmo, ma trattiene a stento le lacrime.
"Dobbiamo organizzare turni per stanotte. Lei...", sospiro, "...Lei non c'e'. ma noi dobbiamo fare il suo lavoro...fino a quando...a quando..."
"Tornera'. Vero, Giles?"
Dawn lo guardava con quell'espressione colma di supplichevole disperazione. L'uomo non seppe che rispondergli. Intervenne Spike. Parlando per lui. Dicendo cio' che lui non aveva il coraggio di dire.
"Certo, Briciola! Tornera', dovessimo smuovere tutte le dimensioni di questo fottutissimo, scusate, di questo maledetto mondo! Dovessi andare fino alla fine del mondo a riprenderla. Lei tornera'."
Era il tono che usava quando era sicuro di qualcosa. Solo che non era cosi' sicuro, stavolta. Gli faceva male ammetterlo. Anche solo con se' stesso. Faceva un male d'inferno. Ma non ne era cosi' sicuro. Non come le altre volte. Strapparla dalle braccia ossute della morte era stato quasi facile. Ed ora, che non si trattava che riportarla avanti di cinquecento anni, sembrava tutto cosi' difficile. Un vicolo cieco. Come essere separati da un muro spesso cinquecento metri. E lui l'avrebbe spezzato, quel muro, costi quel che costi, anche se avesse dovuto smuovere una pietra per volta, scavare fino a ridursi le mani a poche ossa tintinnanti. L'avrebbe riportata indietro. Non lo stava promettendo a Dawn. No. Lo stava promettendo a se' stesso.
"Per...i turni. Voi avete bisogno di dormire. Andro' io. So cavarmela da solo..."
Xander batte' il pugno sul tavolo. Con fare quasi scherzoso.
"E lasciare a te tutto il divertimento? Non se ne parla, vengo anch'io!"
Willow ed Anya si guardarono. Per la prima volta, si capirono con uno sguardo.
"Anche noi..."
Spike guardo' i ragazzi attorno al tavolo. Uno per uno, stupito. Solo due giorni prima avrebbero dato un braccio per lasciarlo da solo contro una schiera di demoni. Ed ora si offrivano di aiutarlo. Come puo' cambiare una persona, in due giorni. Non due mesi. Non due anni. Due giorni. Il vampiro biondo guardo' Dawn, che gia' lo fissava storto. Le dava terribilmente fastidio non partecipare a queste azioni. Spike tento' di addolcire la pillola.
"Dawn, tu porta a casa Miranda. E' ancora disorientata, non vorrei che si mettesse nei guai. Giles, tu vieni con noi?"
L'osservatore squadro' Spike per un lungo istante. C'era poco da fare. Non gli piaceva Nemmeno un poco. Questo era tutto cio' che Spike vedeva in quello sguardo. Disprezzo. Disgusto. Odio cieco. Per questo, la risposta dell'uomo lo lascio' ancor piu' di stucco.
"Conta pure su di me, Spike."
Se solo ci fosse Buffy, sarebbe tutto dannatamente perfetto...

E' il tramonto. Dalla finestra della cella si vede il sole. Si tuffa nel mare. Un enorme disco rosso. Si tuffa nel mare. E' bellissimo. Ti mette in pace col mondo. Miranda guarda il tramonto. E conta i minuti che la separano da Spike...beh, da Juan. Insomma, da lui. Era ancora alla finestra, quando la monaca pelata entro' nella stanza. Le sorrise. Stranamente gentile. Quel giorno erano state tutte molto gentili con lei. Quasi rispecchiassero la sua felicita'. Chiusa dentro il suo petto. Lottava per non esplodere. La monaca le porse un pezzo di stoffa rosso. Era un vestito, noto' Buffy rigirandoselo avidamente tra le mani. Di velluto. Caldo. La monaca l'aiuto' ad aprirlo tutto. E la ragazza bionda fisso' quel 'pezzo di stoffa' senza fiato. Era un'adorabile vestito di velluto rosso, lungo fino ai piedi, ricoperto di perle e intarsi di brillanti di tutti i colori. Il colletto, che le sarebbe arrivato sicuramente fin sotto il mento, era ocra chiaro. Le maniche a sbuffo, ricamate!
  di pizzo ai bordi e all'attaccatura. Stretto sui fianchi. La gonna rossa come il sangue scendeva fino a terra, ricamata con perline color avorio, delicate e liscie, e brillanti color oro, argento e azzurro. La sottogonna era di seta impalpabile e liscia, rosa pallido. Il suo primo pensiero fu che fosse un regalo di Juan. Stupido sciocco. Guardo' la monaca che fissava il vestito e il suo corpo snello con una punta di invidia.
"Te la manda un uomo importante. Sta venendo proprio adesso. Mi ha chiesto di dirti che gli piacerebbe vederti con quel vestito. E che spera sia della misura adatta."
"Grazie..."
La monaca si segno' ed usci'. Buffy prese il vestito tra le mani. Non c'era dubbio di chi fosse. Il buon gusto nel vestire Spike l'aveva sempre avuto. Con quello spolverino di pelle nero. Cosi' sexy e al tempo stesso elegante. Sicuramente anche Juan aveva questa propensione. Sta venendo qui...allora il vescovo gli ha ridato il caso! Dio mio, fa che sia cosi'! Lui l'avrebbe fatta uscire. Gli avrebbe raccontato tutto. E insieme avrebbero trovato un modo per riportare la vera Miranda a casa. E lei nel suo tempo. Con Spike. Si', era tutto quasi perfetto. Era quasi buio. Si vesti' in fretta. Non c'erano specchi, nella cella. Ma si sarebbe accontentata di specchiarsi negli occhi blu di Juan. Di Spike. Comunque la misura era giusta. Solo un po' troppo stretto in vita. Ma andava bene. Si sedette alla scrivania, sciolse la treccia e si pettino' con cura maniacale. Ogni singolo filo biondo passava fra i denti della spazzola almeno dieci volte. Si intreccio' con cura quella coda bionda!
 , fermando la lunga treccia con i fermagli che le erano stati recapitati insieme al vestito. Fermagli d'oro decorati da perle pregiate. Al collo, quella collana che aveva trovato in una manica del vestito. Bellissima. Di corallo rosso. La giro' due volte attorno al collo esile e pallido. Si mise gli orecchini di perle che aveva trovato nell'altra manica. Sembrava una gran signora. Anche senza vedersi, immagino' come poteva essere. L'immagine le piacque. Rassetto' alla meno peggio la stanza. Finalmente, la porta cigolo'. Si apri' lentamente. Buffy si irrigidi'. Si spazzolo' il vestito, su cui era caduta un po' di polvere e qualche filo di paglia. La monaca apri' completamente la porta, lasciando entrare una figura alta e completamente vestita di nero. Ma forse era solo perche' era all'ombra. Buffy fece qualche passo avanti, felicissima. E poi, si blocco'. All'improvviso. Era arrivata davanti la figura in nero. E si era bloccata, scioccata. L'aveva visto in faccia. E il sorri!
 so era sparito dal suo volto. Oh, mio Dio...
"Angel..."

Capitolo VII

Luna alta nel cielo nero. Niente stelle. Solo nuvole nere, avvolte attorno alla luna come mani impalpabili. Mette una certa soggezione. Sono solo le nove. Ma non e' mai troppo presto per cominciare la ronda. Ti impedisce di pensare. Per fortuna. Si erano divisi. Spike, Giles e Willow per la parte ovest. Anya e Xander alla parte est. Anya e Xander. Solo un caso che fossero insieme? Loro direbbero di si'...senza dubbio. E' solo un caso. Camminano, uno dietro l'altra. Si guardano intorno. Senza parlare. Pazzesco che una come Anya si zittisca di colpo quando e' da sola con lui. Non ha piu' parole. O forse ce le ha, ma ha paura di dirle. Paura. Che strano sentimento, che e', la paura. E' quello che odia di piu', degli umani. Passi la rabbia, passi la tristezza, la frustrazione, passi persino l'amore. Ma la paura. E' qualcosa di fisico. Guardarsi allo specchio, e vedere quell'alone scuro. Sentirsi stretti. Stringere i pugni e non sapere perche'. E cercare il suo sguardo, desideran!
 do allo stesso tempo di non incrociarlo. Perche' se puo' mentire con le parole, non puo' farlo con gli occhi.
"Uffa'...mi sto annoiando..."
Xander si giro' verso la ragazza. Alzo' gli occhi al cielo, come a voler chiamare a testimone Dio delle stupidaggini che gli toccava ascoltare.
"E' la ronda...dobbiamo farla, finche' Buffy non torna..."
"Possono farla gli altri!"
Riprese a camminare, Xander. Cercando di ignorare quello strano divertimento che lo assaliva quando litigavano.
E quando litighi e ti diverti nel farlo...son dolori...
"No, dobbiamo aiutare anche noi...sai, tra umani...ci si da' una mano..."
"Non trattarmi come una stupida!"
"Ti tratto per quella che sei!"
"Una stupida?"
"No...una rompiscatole!"
E un sorriso le sboccia sulle labbra. Non sa bene perche'. Ha solo voglia di sorridere. E' strano. Si diverte, litigando...
"Perche' sorridi? Che fai, ti prendi gioco di me?"
"Non mi permetterei mai, signor Harris..."
E sorride anche lui. Cosi', senza un perche'. C'e' solo un divertimento sottile nel vederla arrabbiarsi. E quel viso imbronciato...e quel suo modo di sbuffare e quello spostare i capelli di botto, portandoli indietro, e il suo stringere gli occhi e la bocca, quel farsi piu' vicina, spavalda, determinata, sicura. Lei che sorride. Lei con le mani sui fianchi. Lei che si gira e se ne va, sapendo di essere guardata. Lei che non si volta. Ah, che paura...paura d'amare...
Lato opposto. Ovest. Tre figure camminano in silenzio tra le lapidi di marmo illuminate dalla flebile luce della luna. Cercano un argomento di conversazione, ma sono troppo diversi per trovare un punto in comune. Un vampiro innamorato, un osservatore perfettino ed una strega senza piu' magia. E quale puo' essere l'unico argomento di conversazione?
"L'ultima volta che abbiamo fatto la ronda senza Buffy e' stato quando se ne ando' per tre mesi, dopo aver ucciso Angel..."
Spike guardo' Willow, che si maledisse per aver nominato quel vampiro. Ma Spike non sembrava in vena di prendere questioni.
"Ed e' stato difficile?"
"Beh...era come un gioco...eravamo piu' piccoli. E ci sembrava tutto facile..."
Giles si calco' gli occhiali sui piccoli occhi nocciola.
"Parla per te, Will, a me sembrava tutto complicato anche allora..."
"Si', ma lei era gia' vecchio..."
"Grazie mille...queste sono proprio le parole che...uh, ti fanno sentire meglio..."
Spike sorrise. Beh, ci provo'.
"Beh, Rupert...se ti puo' consolare in confronto a me sei ancora parecchio giovane!"
"Bene, Spike, mi sento molto consolato..."
Una lieve risata. Cosi' leggera che nemmeno la senti. Come se si sentissero in colpa, ridendo. E poi sentono delle voci. Leggere, sottili. Anche un po' arrabbiate. E li vedono. Anya e Xander. Vengono verso di loro. Magari non se ne sono nemmeno accorti, impegnati a litigare su chissa' quale assurdo argomento. A discutere. Ma sono proprio quelle discussioni che ti fanno capire quanto realmente ti importa di una persona...se dopo che hai finito puoi riprendere normalmente a fare quello che stavi facendo o se improvvisamente non riesci a combinare piu' niente. E rimani cosi', in silenzio. Da solo. Senza sapere bene che dire. E ci ripensi. Una volta, un'altra. E quando ci torni su, non si sa com'e', ma credi di aver ragione tu. Perche' io ho ragione. E allora ti viene voglia di riverderlo e di spiegare meglio su cosa stavi discutendo...qual e' insomma il principio...che poi quel principio non e' cosi' chiaro nemmeno a te! Insomma. Ti va di rivederlo e basta. Magari una volta sol!
 a e le cose vanno meglio. Giuro, una sola. E sai gia' che se fosse necessario non manterresti mai quel giuramento. E ti viene da ridere subito dopo aver giurato...
"Basta! Non ti sopporto piu'!"
"Hey, se c'e' qualcuno qui che non puo' sopportare qualcun altro, quella sono io! Io!"
"Ma sentila! E' arrivata la povera martire!"
"Chi e' l'imbecille che ha abbandonato la ragazza all'altare? Ah, certo! Alexander Harris!"
"E basta con questa storia! Non puoi tirarla in ballo tutte le volte!"
"Cos'e', ti rode la verita'?"
E sentire quei due cuori che, all'unisono, vanno a mille, senza un motivo. E quando il cuore batte cosi' tu vorresti fermarlo, quasi strapparlo, guardarlo sorpresa e chiedergli 'hey, ma che c'e'? Sei impazzito? Che accade...si puo' sapere?'. E poi prenderla alla leggera. Sorridere, rassicurandolo 'guarda che non e' niente...'. Ma sai benissimo che stai bluffando. Si' stai mentendo, tu, piccolo tentativo di razionalita', inutile disperato e goffo respiro di normalita'...e lui riprende a correre, come impazzito, ridendo, urlando di gioia anche per una litigata, rotolandosi giu' per i monti e cercando di farsi vedere da tutti. Senza vergogna, lui...
Sospirando esasperata, Willow si intromise tra i due. Un altro scambio di quelle battute e sarebbero passati alle mani.
"Ok, ok! Basta cosi'. Abbiamo problemi piu' urgenti a cui pensare!"
Anya la guardo' con aria sarcastica.
"Ad esempio, cervellona?"
Willow osservo' per un attimo un punto dietro Xander. Spike e Giles seguirono il suo sguardo. Anya e Xander fecero lo stesso. Rimanendo senza fiato.
"Ad esempio un esercito di demoni grande quanto una legione romana..."

Oh mio Dio...
L'uomo davanti a lei, quell'uomo dallo sguardo di pietra, con quei capelli neri lunghi alla spalla, la fissava sorpreso. Corrugava la fronte alta, inclinando la testa. Un mezzo sorriso si leggeva su quelle labbra strette e pallide. Un sorriso cosi' strano che Buffy, sul momento, non riusci' ad interpretarlo.
Ma certo, non ricorda...cioe', non sa niente...siamo in una vita passata...
"...Mi scusi...l'avevo scambiata per un'altra persona..."
Stava diventando brava, lei, a nascondere paura, delusione, tristezza. Ora si stava chiedendo chi fosse stato, in quella realta', il suo ex. L'unico amore della sua vita...eppure, mentre lo pensava, chissa' perche'?, si sorprese di non sentirsi poi cosi' sicura di quel pensiero. L'uomo vestito completamente di nero, fece un passo avanti, inchinandosi, imitando un perfetto gentiluomo.
"Nessun problema. Io sono Antonio Palacio, giudice della Santissima Inquisizione..."
Ebbe un sussulto, Buffy. Nel sentire la parola 'Inquisizione'. Antonio se ne accorse. Ancora quel mezzo sorriso che, senza un motivo, le sembro' veleno.
"Oh, non preoccuparti...sono qui per aiutarti. Sul serio...troveremo un modo per tirarti fuori di qui. Ne sono sicuro, piccola."
Aveva una voce sensuale, misuratamente lenta. Sembrava un sibilo. Come il vento. O come i serpenti. No, sciocca! Non vedi che sta cercando di aiutarti? Lo senti? Vuole portarti fuori da qui...lui e' un inquisitore...puo' farcela. Antonio la guardo' ancora per qualche secondo. L'abito che le aveva fatto portare le donava. Era piccola e minuta, dallo sguardo tagliente ed impaurito. Labbra rosse come sangue. E pelle bianca. Bianchissima. Come la luna. I capelli tirati magistralmente indietro in un'amabile crocchia. Le mani che si intrecciavano nervosamente. Si', molto carina. Avrebbe trovato un modo per farla uscire...in verita', di modi, ne aveva gia' in mente un paio...
"Allora, dolcezza...vuoi dirmi il tuo nome?"
Sulle guance di quella ragazza, cremisi. Leggermente. Quasi impercettibilmente rosse. Le davano un'aria innocente. Solo che innocente non lo sei, ragazzina...e non lo sarai mai...
"Io sono Bu...cioe'...Miranda...mi chiamo Miranda..."
"Molto piacere, Miranda..."
Sussurro' quel nome a voce bassa. In un sussurro. In un sibilo. Guardandola negli occhi con quelle pietre nere che aveva nei suoi. Sembravano ipnotizzarla. Le facevano male. Si', male. Sapeva che stava cercando di aiutarla, o almeno cosi' le stava facendo credere, ma non riusciva a fidersi completamente di lui. Le ricordava Angelus. Non Angel. Proprio no. L'inquisitore si sedette su una seggiola, portatagli dalla monaca pelata che stava perennemente alla porta. A differenza di Padre Juan, Antonio non chiese alla donna di andarsene. E questo metteva a disagio Buffy. Ma non glielo disse. Decise di essere almeno un po' cortese. Non arrendevole, ne' smielata. Un po' cortese. Solo un po'. L'uomo le fece cenno di sedersi di fronte a lui. Buffy prese posto sulla seggiola, abbassando lo sguardo. Quegli occhi le facevano paura. Cosi', senza motivo. Sono troppo duri. Neri. E sembrano gli occhi di un serpente.
"Allora...Miranda...sai perche' sei qui?"
E sentire un fulmine trapassarla. Quasi perde l'equilibrio, sentendosi ricordare di nuovo 'la cosa' che aveva fatto. Con quel tono. Quel sibilo.
"I-io...credo di si'..."
E' un sussurro. Perche' non ha il coraggio di parlare piu' forte. Di ammettere quella cosa che non ha fatto. Eppure l'ha fatto. In quella vita ha ucciso. Lo sa. Ed e' una consapevolezza che fa male. E risveglia la belva assopita dentro di lei. Che apre quegli occhi di fiamma, e comincia a lacerarla. Da dentro.
"E' stata la prima volta?"
Non lo so, vorrebbe solo rispondere. Perche' e' la verita'. Non lo so perche' questo non e' il mio corpo. E questa non e' la mia realta'. Solo che non puo' dirlo. Vorrebbe gridarlo al vento. Ma non puo'. Perche' e' come prenotarsi un posto sul prossimo rogo...
"Si'."
Respira. E' una conversazione dannatamente difficile. Non dovrebbe esserci nulla di difficile, nel parlare con una persona. Sono solo parole. E' solo fiato. Ma e' come se mi uccidessero.
"Perche' l'hai fatto?"
Stavolta non puo' mentire.
"Non lo so...no, credo di non saperlo..."
"Hai sentito voci, nella tua testa? Qualcosa che ti ordinava di farlo?"
Sibili. Che fendono l'aria. Si sporge verso di lei, quell'inquisitore che vuole aiutarla. O forse solo farle del male. Come se non bastasse la bestia che tiene dentro.
"No, io...non ricordo..."
Le sembra un esame. Come, se rispondi bene, esci. Altrimenti...non c'e' un corso per i ripetenti...
"Non importa. Lo so, e' difficile. Fatti forza."
Annuisce, Buffy. Ricaccia indietro quelle lacrime silenziose. Mentre, davanti a lei, Antonio Palacio sorride. Due file di denti bianchissimi scintillano. E' un attimo. Poi torna serio.
"Senti mai delle voci? Delle grida? Vedi mai sangue attorno a te, o demoni?"
Ormai ha la testa da un'altra parte. Piange. E non se ne accorge. E la bestia lacera, lacera, lacera. E morde. E fa cosi' male che non riesce nemmeno a mentire...
"Sempre..."
Piange piu' forte, ora. Antonio la stringe a se'. Ma a quel contatto, Buffy si sente nauseata. Non c'e' un motivo, non una spiegazione. E' come se si sentisse tra le spire di un serpente velenoso. Pronto ad affondare i denti nella sua carne inerme. Si stacca, cercando di nascondere il disgusto che sente e non sa perche'. Non e' una sua sensazione. Cioe', non completamente. E' Miranda. Quella vera. Ed e' disgustata. Ma e' solo la sensazione di un attimo. Buffy guarda fuori dalla finestra. E' buio, ormai. E le monache stanno per andare a dormire. Juan potrebbe arrivare da un momento all'altro. Ha bisogno di lui. Se non lo vede, se non lo bacia, se non lo accarezza, scoppia. Si costringe a guardare l'inquisitore davanti a se'.
"Ha altre domande, signore?"
Antonio scosse la testa, pensieroso. La fisso' avidamente per qualche secondo. Poi si alzo', avviandosi verso la porta. Si giro' solo un attimo. Quel sorriso strano torno' per un istante a scintillare sulle sue labbra.
"Sono certo di poterti aiutare, Miranda...dammi solo un po' di tempo..."
Spari' oltre la porta. Buffy rimase sola, senza sapere, senza capire, se quella che gli avesse appena fatto fosse una promessa o una minaccia...

Dieci. Venti. Cento. No, mille. Si', devono essere almeno mille. Occupano tutto lo spazio visibile del cimitero. Un'armata grande almeno quanto una legione romana. E sono li'. Davanti a loro. Per loro. Ringhiano, con le facce contorte, pezzi di facce. Torcono le mani. Paralizzano con uno sguardo.
Questa e' davvero la fine...
Non lo sanno, non possono saperlo, ma quel pensiero li sfiora tutti. Passa da Giles ad Anya, a Xander, a Willow, a Spike. Come una palla che rimbalza. Una palla di cemento pesante mille chili. E ce n'e' uno, grande e grosso. Non e' un demone. E' un vampiro. Enorme. Un armadio. E si fa avanti, ringhiando.
"Hey, guardate un po'...stasera la cacciatrice non c'e'?"
Restano in silenzio tutti. Willow sta per rispondere. Ma, figurarsi...Anya la precede...
"Si', purtroppo e' rimasta intrappolata in un gorgo dimensionale, e temiamo che ci restera' per un bel pezzo, quindi stasera ci siamo solo noi!"
Sorride, la piccola Anya, orgogliosa di quanto appena detto. Si gira verso gli altri, che la guardano lapidari.
"Che c'e'? Che ho detto??"
E intanto quel vampiro enorme ringhia soddisfatto. La cena e' servita...fa un cenno alla sua 'armata', qualche passo dietro di lui. E cominciano ad avanzare. Lentamente. Inesorabilmente. E si fanno sempre piu' vicini, quella lunga fila di demoni che sembra non voglia mai finire. I cinque, -Dio, solo cinque-, si guardano. Terrore. Ma sanno che dovranno combattere. Fino alla fine del mondo. Anche se dovesse essere stanotte. E cominciano anche loro ad avanzare. Spike apre la corta e silenziosa fila di umani. Che non hanno niente con cui combattere. Solo mani, piedi e unghie e denti. Sono a pochi metri gli uni dagli altri. Lo scontro e' al massimo tra cinque secondi. Forse anche meno. Ma c'e' qualcosa che corre, cosi' veloce che non la vedi. E si mette tra loro, uomini e demoni. E resta ferma, mentre la lunga coda dorata gioca maliziosamente con il vento della sera. Guarda i demoni. Che si fermano, ringhiando. Oddio, no! Che ci fa lei qui? Dawn, se sopravvivo me la paghi! Ma...e!
 ccola li', Dawn. Che corre a perdifiato per raggiungere la ragazza. Per fermarla. Ma e' troppo tardi. E si ferma accanto a loro, Dawn. Perche' qualcosa le dice di lasciare Miranda dov'e'. I demoni sono fermi. Osservano quella curiosa ragazza davanti a loro. Gli uomini sono sbalorditi. Spike e' sbalordito. Quella ragazza che si e' buttata la' in mezzo. Che guarda l'inferno nelle palle degli occhi e non batte ciglio. Non si muove di un millimetro. E la sua voce, quando parla, e' diversa. Un'eco portata dal vento. Una voce non umana.
"Andate via..."
Risate demoniache rompono il silenzio della notte. Una schiera di demoni che si sbellica dalle risate. Per quelle parole. Perche' quella ragazza ha ordinato loro...cosa? Di andare via? Oh, Cristo...
"Levati di mezzo, bambola...o sarai il nostri aperitivo..."
Ma lei non si muove. Respira piu' velocemente. Da' le spalle a Spike, ma lui le legge dentro furia. Furia e rabbia allo stato puro. E poi, all'improvviso, l'inaspettato. Cosi' inaspettato che Spike non puo' non cadere all'indietro, portandosi a terra tutti gli altri. Un cono di luce rossa avvolge quella ragazzina dall'aria innocua ed innocente. Quei capelli biondi, sciolti sulla schiena, si alzano e si muovono e guizzano come dotati di vita propria. Allarga le braccia, Miranda, e si alza. Si alza da terra. In quel cono di luce rossa che la circonda. Mentre una corona di capelli d'oro si alza sulla sua testa. Da dove si trova, Spike puo' scorgere i suoi occhi. Sono verdi. Cosi' verdi da abbagliare. Brillano di una luce propria. Una luce accecante. E quella voce, quando in un sibilo esce da quelle labbra rosse, e' la voce di una divinita'.
"Andate via! Ora!"
E quella schiera di demoni si inginocchia davanti quella donna, perche' di una donna si tratta. Come se l'avessero riconosciuta solo adesso. Si inchinano, si prostrano fino a terra. E lei discende piano. Torna sulla terra. Gli occhi le si spengono. I capelli ricadono pigramente sulle sue spalle. Il cono di luce rossa si spegne lentamente. E lei sorride, osservando quella schiera di demoni adoranti. Passa tra loro. Li guarda. Ad alcuni sorride.
"Andate, ora..."
E quelli si alzano e, come cani ubbidienti, se ne vanno, silenziosamente. Con la coda fra le gambe. E Spike e gli altri sono scioccati. Il vampiro biondo le si avvicina.
"Co...come...come diavolo hai fatto? Per l'inferno maledetto! Chi sei, tu?"
Fa una spalluccia, la ragazza. Lo guarda negli occhi. Occhi verdi in occhi blu.
"Non lo so...ne' come ho fatto, ne' chi sono...so solo che i demoni mi adorano...come con le dee antiche..."
"Ma io sono un demone...e non mi fai questo effetto..."
"Non sei un demone..."
Oddio. Che vuol dire?
"Cosa?"
Si gira. Si avvia verso l'uscita, seguita da Dawn, scioccata e curiosa come gli altri. Non si volta, Miranda. Nemmeno quando parla.
"Sei troppo umano, per essere un demone, William..."

Gemiti, sospiri nel silenzio di un monastero. Pazzesco come le monache non sentano nulla. E' un bene. Forse sentono. Ma non importa. Cosa importa, nella notte? Solo lui, solo lei...solo loro. Insieme. Come se fossero due meta' unite. Non c'e' distinzione, tra loro due. Come puo' esserci? E se le monache sentono, sentono solo lei...perche' non c'e' nessun'altro con lei, se non la sua meta' migliore. E' strano quello che si prova, a fare l'amore con un prete. E' come farlo con un vampiro. Con qualcuno che sarebbe proibito anche solo avvicinare. E lei vorrebbe sapere chi ha scritto questa regola, nell'enorme libro delle regole. E' il volume piu' grande al mondo. Senza dubbio. Ma le regole servono solo ad essere infrante. Nulla attira di piu' del proibito...
Un piacere senza rischi, piace sempre meno...  
Vero. Immagino che anche questa l'abbia detta lui. Dopotutto e' pur sempre un poeta. E che cos'e' un poeta? Mah, chi lo sa? Forse e' solo un sognatore. Un uomo che non si e' arreso. Ed ha trascritto i suoi sogni sulla carta. Perche', se magari nella realta' sono impossibili da realizzare, sulla carta tutto puo' essere. Una vita in versi. Ed e' poesia anche quella che c'e' fra loro, stesi su un cumulo di paglia. Stanchi. Ansimanti. Eppure, mai sazi d'amore. Stanno abbracciati. Lei sfiora con le punte delle dita i contorni di quel petto accogliente. Lui gioca con una ciocca dorata di lei. Stanno in silenzio. Non che non abbiamo nulla da dirsi. E' che hanno troppe cose, da dirsi. E c'e' un tarlo, che se la mangia.
Glielo dico? O forse e' meglio di no? Non so...
"Sai...oggi ho visto un uomo...che credevo di conoscere..."
Lui abbassa gli occhi, su di lei. Su quel viso rannicchiato contro il suo petto.
"Davvero? E ti sbagliavi?"
"In un certo senso..."
"Che vuoi dire?"
Ci pensa su un attimo, Buffy. Dio, ma c'e' qualcosa che non posso dirgli?
"Beh...il fatto e' che io...non appartengo a questa realta'..."
Ma il suo sguardo, quello sguardo impaurito e severo, le dice che si', c'e' qualcosa che non posso dirgli...cioe', non completamente...
"E'...e' un sogno...un sogno che faccio spesso..."
Mente. Fa cosi' male mentire proprio a lui. A Spike. Ma a volte e' necessario mentire.
"Ed io...ci sono nel tuo sogno?"
"Oh si'..."
Ridacchia. E' cosi' buffo...
"Che c'e'? Perche' ridi?"
"Niente...e' un sogno strano...cosi' diverso. Siamo...in un altro tempo. Avanti. Ed io sono una cacciatrice di vampiri..."
"Vampiri? Dio ci salvi!"
Gia'...quel Dio in cui non credi...
"Vampiri...e tu...tu sei un vampiro..."
"Miranda!"
"E' solo un sogno! Ma non sei un vampiro come gli altri...a volte dubito persino del fatto che tu lo sia davvero. Sei caldo e umano e...molto innamorato."
Gli occhi di Juan si accesero di interesse.
"Di chi?"
"Della cacciatrice. Ma io sono cosi' cieca che non vedo. Vedo solo cattiveria, in te. Nel sogno, intendo. E non vado oltre. Sarebbe fare solo un passo. Oltre quel confine. Ma sono bloccata. Non ci riesco. E sbaglio sempre tutto. E ti maltratto, ti umilio, ti ferisco. Ma tu ci sei sempre. Sempre pronto a consolarmi. Sempre pronto ad aiutarmi. Ed io sono cieca. E quando lo capisco, quando trovo la forza di fare quel passo...il sogno finisce. Ed io sono qui..."
Qualche lacrima le rigava le guance. Parlare per metafore, far sembrare un sogno la realta' che le mancava come l'aria, non alleviava il suo dolore. Le sembrava di soffocare.
"Avrei...avrei solo voluto dirgli...solo voluto dirgli che l'amavo. Che quel maledetto velo che avevo davanti agli occhi si e' rotto, che ora vedo tutto chiaramente...e non posso! Non posso..."
"Dillo a me..."
Alzo' lo sguardo su Juan, mentre le lacrime le oscuravano gli occhi.
"Cosa?"
"L'hai detto tu...io...sono lui. E lui e' me...insomma, anche se non sono un vampiro, e lui non e' un prete. Nel tuo sogno siamo uguali. La stessa persona. Dirlo a me sara' come dirlo a lui...se...se vuoi, ovvio...io sono qui..."
Si', siete proprio la stessa persona...e' incredibile...appena le cose cominciavano ad andare un po' meglio...deve sempre arrivare qualcuno. Per staccarti dalla bella cosa che hai trovato. Ma forse stavolta hanno sbagliato...e mi hanno dato qualcosa di ugualmente bello. Spike. E' sempre lui...non importa cosa faccia, come si chiami, in quale Dio creda...e' sempre lui.
"...Cosa posso dire?"
"Dimmi solo che mi ami..."
Sente che glielo direbbe fino a consumarsi. Fino a morirne.
"Ti...amo..."
"Visto? L'hai detto...me l'hai detto..."
Lei sorride felice, tra le lacrime che le inondano il viso.
"L'ho detto! Dio mio, l'ho detto!"
Stupirsi di quanto fosse stato facile. Due parole partite spontanee. Felici di essere finalmente uscite fuori da quel cuore chiuso a chiave. E quando sei cosi' felice non c'e' niente da fare. Non ti si puo' fermare. Sei come un'onda ribelle che il mare cerca di trattenere. Ma lei scappa, fugge, salta e si ribella per poi tuffarsi proprio li', su quello scoglio. Senza ragione, senza un perche', finire su quella calda roccia con un boato. E' un attimo. E poi sei felice, ancora e ancora, esplodi in mille piccoli schizzi e diventi schiuma divertita come un sorriso nel vento, come un bacio in faccia al sole. E poi ancora tu, mille piccoli arcobaleni in ogni singola goccia. Tutte piccole sfumature tue. Le piu' bella. E sei felice di quelle parole. Spavalda, nei confronti di chi non crede possibile quell'amore. E vorresti gridarle quelle parole, e al diavolo chi non lo crede possibile. Senza aspettare, senza pensare al dopo...ma alla tua vita, al tuo sentirti viva. Ribelle...innamo!
 rata. e non vergognarsi piu' di esserlo.

Una camera poveramente arredata. Qualche mobile di legno. Il lavabo di marmo incastrato contro una parete dipinta di bianco. Uno sgabello su cui riposa una mantella viola, intarsiata d'oro e d'argento. Una scrivania di legno di ciliegio, di quello che manda un odore dolciastro e frizzante. Un leggio con sopra, aperta su chissa' quale pagina, una bibbia consunta dagli anni e dall'usura. D'oro. Il segnalibro e' seta rossa. Il letto a baldacchino e' ampio e comodo. Ha coperte lussuose e calde. Guanciali confortevoli. Materasso piu' che comodo. Ma, per Antonio Palacio, tutto quello sfarzo e' solo arte povera. Buona per una bettola di pessima qualita'. Anche circondato da pregiatissimi marmi, ori, argenti e sete ricercate, lui ripensa con nostalgia alla sua casa a Roma. Piena di vero lusso aristocratico. Il lusso adatto ad un rappresentante di Dio in terra. Ma protestare non sarebbe servito a niente. Fare buon viso a cattivo gioco. Va bene cosi'. Il letto e' abbastanza grande per!
  due. Magari anche per tre. E tanto basta. Non gli serve altro. Il materasso cigola leggermente. Lo sentiranno tutti, il quella bettola che chiamano abitazione vescovile. Ma che importa? Nemmeno il vescovo in persona poteva rimproverarlo. Era stato mandato dal Papa per risolvere un caso spinoso. Era giusto che anche lui si divertisse, quando poteva. Penso' per un istante alla ragazza del convento delle clarisse. Miranda. Voglio aiutarti...ho un bel po' di modi per aiutarti...dipende da quanto sarai soddisfacente...sorride tra se', sibilando una risata fra i denti perfetti. Un serpente. Il vescovo ci aveva preso in pieno. Non era altro che un serpente velenoso. Orgoglioso di esserlo. E non perdeva occasione per dimostrarlo. Guardo' gli oggetti ammucchiati in un angolo della sala. Gli strumenti del mestiere. La culla di giuda. Un paio di spiedi bruciacchiati. Tenaglie di tutte le misure. Lo stivaletto. La vergine di Norimberga. Corde di varie lunghezze. Catene. Lucchetti. Gua!
 rdarli gli provoco' un brivido di piacere. Dio, quando voleva !
 provarli
 sulla tenera pelle di quella ragazzina...dopo, pero'...dopo qualche rimarchevole servizietto...magari lo stivaletto...quel suo bel piedino, chiuso nella morsa di ferro dello strumento di tortura. Girare la leva, fino a sentire quello schiocco sommesso. Come lo spezzarsi di un ramo. Godersi quell'urlo che inevitabilmente segue lo schiocco. Guardare il sangue che cola giu', impregando legno e ferro, finendo sul lettino delle torture. O magari lo spiedo, perche' no?...Le confessione migliori le aveva avute tutte belle impacchettate dopo appena cinque minuti di quella tortura. Gli piaceva farlo da solo. Non aveva aiutanti, di solito, durante gli interrogatori. Era un piacere che preferiva tenersi in privato. Sfiorare tutto il corpo di Miranda con il lungo spiedo di ferro. Vederla ritrarsi, sapendo che non puo' passare attraverso quel muro. Sentire l'odore della paura. Chiedere se voglia confessare perche' lui no, non vorrebbe proprio dover usare lo spiedo...e sperare che scuota!
 no la testa, tutte, per affondarle nella carne l'oggetto appuntito. Mai in prossimita' di vene o organi vitali. Sarebbe troppo semplice. E' questo che le streghe vogliono. Morire subito e in fretta. Ma la tortura e' un'altra cosa. Lui lo sapeva bene. Lo spiedo...o anche la ruota, perche' no? Solo...non l'aveva portata...troppo grande e pesante...chissa' se qui ne hanno una? Poi, il suo sguardo si poso' su un tavolino pieghevole. Il suo strumento preferito. Si legava la strega mani e piedi alle estremita' del tavolino. E poi si richiudeva il tavolo. E la schiena puff! Si spezzava. Ma lentamente. Il trucco era chiudere pochi millimetri alla volta. Ascoltare rapiti i cigolii delle ossa. Cosi' fragili, le ossa umane. Come rami di un albero. Basta tirarli un po' e loro...si spezzano.
Piccola mia...tu non sai nemmeno lontanamente cosa t'aspetta...voglio aiutarti...e conosco diversi modi per farlo... 

Capitolo VIII

Uno specchio. Cos'e' uno specchio? Niente. Cosa puo' essere? Tutto. Soprattutto per qualcuno che non vi si puo' specchiare. Perche'? Spike e' davanti quello specchio, nella stanza di Buffy. Si guarda le mani. Ci sono. Sono di carne. E ossa. E sangue. Sono come quelle di Buffy. Come quelle di qualsiasi altro essere di questo pianeta. E allora perche' non le vedo, in quello specchio? E' come...come se non esistessi. Come se non fossi reale. Ci sono. Sono qui. Davanti a questa parete di vetro. Cosi' crudele. Sono il nulla. Ne' morto ne' vivo. Sono irreale. Per questo specchio non esisto. Potrei morire fulminato in questo istante. Ma l'immagine riflessa li' non cambierebbe. E' cosi' strano. Non esserci. Non veramente. Non completamente. Per Buffy e' normale. Alzarsi la mattina e controllate se ha i capelli in disordine. Comprare un vestito nuovo. E passare ore davanti allo specchio per vedere come le sta. Osservarsi. Guardare quegli occhi e chiedersi se e' cambiata negli ultimi !
 anni. Scorgere quel piccolo segno che prima non c'era. A volte guardarsi e non rinoconoscersi. Chiedersi 'sono veramente io, quello riflesso nello specchio?'. E' normale. Succede a tutti. Tranne che a me.
E' difficile. Guardare attraverso uno specchio. E accorgersi che per lui, e' solo aria. Che la tua carne, la tua pelle, i tuoi vestiti...la tua anima...non ci sono realmente. Che puoi ingannare te stesso. Io sono reale. Ma uno specchio non lo puoi ingannare. Lo specchio sa che non esisti. E fa male. Ma dopotutto non puo' prendersela con una superficie di vetro. Puo' solo incolpare se' stesso.
Potevo avere un'esistenza tranquilla. Non felice. Ma tranquilla. Senza problemi. Avevo tutto. Drusilla. La cattiveria. Ero un killer. Come dovrebbero essere tutti i vampiri. Se solo lei non si fosse ammalata. Non l'avrei mai portata qui. Non avrei mai conosciuto Buffy. Non me ne sarei mai innamorato. Non avrei mollato tutto per un paio di occhi chiari. E adesso non starei soffrendo cosi'. Magari starei affondando i denti nel collo bianco di una ragazza. O starei incatenando Drusilla al letto. O...forse starei lo stesso pensando a Buffy. Anche senza conoscerla, so che penserei a lei. Chissa' come sarebbe stata la mia vita, senza di lei. Vuoto assoluto, probabilmente. Nulla. Non sarebbe stata una vita. Non che questa possa essere definita vita. Ma ha un senso. Una parvenza di senso. Senza Buffy? Probabilmente sarei rimasto la nullita' che sono sempre stato. No, non vorrei non averla mai incontrata...
E' stato meglio perdersi, che non essersi mai incontrati...
Ma noi non ci si puo' perdere. E' una cosa strana. Come una corda invisibile. Una cosa tipo 'salti tu, salto io...'. Ci sono dentro. Il fatto e' che senza di lei e' difficile. Cosi' difficile come non credevo potesse essere. Come se mi avessero strappato una parte di me. l'unica parte vera, di me. L'unica parte viva, di me. E non posso riaverla, se non sono con lei. Mi basterebbe sapere che c'e'. Che vive. Anche se fosse dall'altra parte del mondo. Mi basterebbe sapere che c'e'. Sto male al solo pensiero che invece, lei non c'e'. Ne' qui, ne' dall'altra parte del mondo. Non c'e'. E' persa. E anch'io lo sono. Sono perso. Senza di lei, sono perso.
Si sente vuoto, Spike. Cosi' vuoto come non si e' mai sentito in vita sua. E guarda lo specchio di fronte a lui. E vorrebbe vedersi. Vorrebbe sapere che faccia ha. Quando e' cosi' vuoto, vorrebbe sapere com'e'. E magari ridere, di fronte quella patetica figura. Magari guardarsi e non riconoscersi. Chiedersi 'ma sono veramente io?'. Gli basterebbe un attimo. Sentirsi reale per un attimo. Vero, per un attimo. Un attimo solo. Pensare 'esisto, faccio parte del mondo'. Ma non gli e' concesso. Lui non e' niente. Nonostante senta un dolore terribilmente reale. Ma reale non e'. O almeno quello specchio, ha deciso che non lo e'.
Si gira, Spike. Va verso il letto di Buffy. Si sorprende ancora di come quella ragazza le somigli. Dorme. Ha un'espressione serena, sul viso di porcellana. Le labbra chiuse. Rosse. Le coperte la coprono dalle spalle ai piedi. Spike si siede sulla punta di quel letto. Sorride. Un sorride triste. Le rimbocca amorevolmente le coperte. Nel sonno, quella ragazza sorride. Un sorriso sereno. Spike si stende accanto a lei. Sta fermo, cosi'. Sperando che non si svegli. La guarda dormire. Gli sembra di vedere Buffy. Pacificamente addormentata. Si muove debolmente. Spike resta immobile. Ha paura che si svegli. Ma lei muove solo un po' la testa. Poi torna immobile. I capelli sono una nube dorata sparsa sul cuscino. E Spike resta cosi', contemplando la bellezza eterea ed innocente di quella ragazza, e carezzandole i capelli. Fino a che e' mattino. Fino a che non si sveglia...

Se queste notti potessero essere eterne...
Ma non lo sono. La notte non e' per sempre. Niente e' per sempre. E allora la si deve vivere fino in fondo. Assaporarne ogni istante, ogni momento. Respirare l'aria buona che aleggia attorno a loro. Ascoltare il suo cuore che piu' veloce di cosi' non potrebbe andare. Guardare le stelle, stesi su quel mucchio di paglia. Contarle. Per rendersi conto che contarle non si puo'. Ma e' un bel gioco. Sa d'amore. Tutte le cose, in quella cella, sanno d'amore. E' pazzesco, come questo sentimento possa contagiare tutto. Anche gli oggetti inanimati. O forse sono solo i suoi occhi, che sono diversi. Che vedono in altro modo. Che hanno sempre trovato grottesca quella finestra, spaccatura nel muro freddo. E adesso la vedono come se fosse la porta del Paradiso, circondata da piccoli angeli con arpe dorate. Come i suoi capelli. Le piace, stare ore a spettinarli. Quei riccioli d'oro. E passare le sue dita tra quell'oro. Scendere sulla fronte. Seguire il contorno di quegli occhi blu. Mare in t!
 empesta. E fulmini e lampi, dentro quegli occhi. Tempesta...e poi, con le dita, semplici dita, scendere ancora piu' giu', seguendo le fossette che ha sulle guance. Liscie. Marmo bianco. E poi un po' di giu'. Sfiorare quelle labbra. Sentire che sono sue. Per lei. E non fermarsi. Sfiorare il mento, scendere giu', carezzandogli impalpabilmente il collo. Lui ride, gli fa il solletico. Ed e' li' che lui la ferma. Le prende una mano. Dolcemente, nella sua. E la porta dietro il collo. E attira su di se' quelle labbra rosse. Che fremono e aspettano. E vivono, in quel contatto con altre due labbra. Che fremono e aspettano. Aspettano di morire. Sulle sue. E sbirciare con la coda dell'occhio attraverso la finestra. Guardare per un attimo quelle stelle curiose che sbirciano. Invidiose. E capire che c'e' ancora tempo. La notte e' giovane. E la luna richiama le sue ballerine. Piccole luci invidiose di quella luce piu' grande di loro. Perche' loro brillano. Ma sono sole. Ognuna brilla per!
  se'. E non sanno, stupide e superbe, che luce splendida produ!
 rrebbero
, se solo si unissero. Ma basta baci. A volte e' cosi' bello anche solo parlare.
"Sei troppo bella..."
"Non e' vero..."
"Te lo giuro!"
"Non giurare..."
E lui non giura. Perche' glielo ha chiesto lei.
"Non mi sono mai sentito cosi'...sento che farei qualunque cosa, per te..."
Buffy lo guarda divertita. Si mette a giocherellare maliziosamente con la treccia.
"Ad esempio?"
"Dimmelo tu..."
Lei ci pensa su un attimo. La prima vuole essere seria.
"Lasceresti la tua chiesa, per me?"
"Rinnegherei anche il mio Dio, per te..."
Sorride, Buffy. E' proprio la risposta che le avrebbe dato Spike...certo, se avesse creduto...Juan le accarezza una guancia.
"E tu? Cosa saresti disposta a fare, per me?"
"Cos'e', una gara?"
"Perche' no?"
La bionda ci pensa su un attimo. Guarda la sua lunga, lunghissima treccia. Si', lo sai che lo faresti, bella...
"Mi taglierei la treccia..."
Juan si alza dalla paglia. Buffy lo guarda. Non puo' dire che non abbia un fisico a dir poco perfetto...torna verso di lei, Juan, stringendo un paio di corte cesoie.
"Proviamo..."
Cos'e', una sfida, padre Juan? Buffy si alza, contro ogni aspettativa dell'uomo. Si siede su uno sgabello, Porgendogli la schiena, e la lunga treccia disciolta. Arriva, liscia e splendente, fino al pavimento.
"Avanti. Fallo!"
Lui le sia avvicina. Si siede dietro di lei. Afferra la lunga treccia con una mano. Buffy trema al pensiero di non avere piu' quella coda d'oro. Ma sente quel manto ricaderle delicato sulle spalle. E il sospiro di padre Juan.
"Non ce la faccio..."
Buffy si alza, sorridendo trionfante.
"Non e' mancato, a me, il coraggio!"
Juan le fa una linguaccia, prendendola teneramente in giro. Ma Buffy si diverte troppo, per lasciare perdere.
"Ok, padre...cosa farebbe per me?"
Lui, ridendo come un bambino, la spara grossa.
"Mi farei sgozzare!"
Buffy si alza, tornando seria. Torna verso Juan, stringendo un coltellino a serramanico in una mano. Juan deglutisce, poi si sporge verso la ragazza. Lei poggia delicatamente il coltellino sul collo dell'uomo. Ma questo, dopo nemmeno tre secondi, si ritrae. Buffy cade all'indietro, sbellicandosi dalle risate. Ha le lacrime agli occhi.
"Tu no..."
"Perche'?"
Lui la bacia, cercando di trattenere le risate, sempre piu' forti.
"Tu no...ne saresti capace!"
Per un attimo, un solo attimo, le sembra tutto perfetto. Ma, sentendo quelle labbra sopra le sue, non puo' fare altro che desiderarne altre. Piu' fredde, forse. Ma se solo potesse averle...

Poche ore dopo l'alba, quando ormai Juan e' tornato alla sua normale vita da prete bibliotecario, il Vescovo lo fa convocare. Gli arriva un biglietto. Scritto di proprio pugno dal vescovo. In latino quasi incomprensibile. Ma Juan e' abituato alla calligrafia illeggibile del suo superiore. Indossa la sua tonaca preferita. E' esattamente come le altre, tranne per il fatto che e' stata la prima da lui indossata. Quella di quando ha preso i voti. Ora la guarda. E si chiede se avesse fatto bene. Se avesse avuto un senso, consacrarsi a questa vita. Fuori dal mondo reale. Segregato tra le mura strette della Fede cristiana. Senza poter respirare l'aria fuori. Rinchiuso in una stanzetta buia. Ed ora, accecante quanto improponibile, gli soffiava in faccia la felicita'. E luce abbagliante entrava attraverso quella fenditura che lui stesso aveva scavato. E lo accecava. Piacevolmente. E inspirava zaffate di desiderio proibito. Proibito. E da chi? Chi mai puo' decidere cosa sia proibito? !
 Chi puo' avere questa assurda presunzione? E queste domande gli girivano dentro, insieme a quel senso di assoluta ribellione che accomunava le persone innamorate. Mai avrebbe pensato di provarlo, nemmeno per un istante. E invece...le cose piu' belle accadono quando meno te lo aspetti. Tu sei li', che percorri in santa pace il tuo sentiero. E poi c'e' quella minuscola deviazione. Decidere se prenderla o andare avanti per la propria strada, attraverso quei campi sterminati, tutti in pianura. E sentirsi terribilmente attratti da quella deviazione. Con su affisso un cartello 'vietato l'ingresso'. Ed e' per questo che attira. Il gusto del proibito. Non lo fare. E invece tu, in un impeto di trasgressione totale (e ce ne sono cosi' pochi, nella vita...), decidi di imboccare quella deviazione, la strada che tutti ti dicono 'e' sbagliata'. Ma loro cosa ne possono sapere? E vai avanti cosi', beandoti di quel segreto che sai...cercando di gridarlo al vento. Ma silenziosamente. Come un!
  segreto bisbigliato all'orecchio della notte. Custodito dalle!
  stelle.
 
Cammina nel corridoio delle statue, Juan, cercando di non guardare quelle guardie sull'attenti. Dallo sguardo cosi' vuoto. Cosi' inespressivo. Occhi di pietra. Su piastrelle nere, contornate da colonne di alabastro. E' tutto nero, in quel corridoio. Scuro. Terrificante. E ti sembra che quelle statue, quel pavimento, quelle colonne, ti scrutino come a volerti giudicare. E tu stai li', cammini tra loro. Terrorizzato. E aspetti il loro freddo verdetto. E ti sembra che ti parlino, quando ci passi accanto. Bisbigliano. Sussurrano, cosi' flebili che non le senti. Solo fruscii. E leggeri spostamenti d'aria. E ti ritrovi a correre, desiderando solo di uscire. Di trovarti lontano da quelle sentinelle dagli occhi vacui. Juan ce la fa. Eccola, la porta della stanza del vescovo. Alla fine del corridoio. Ma non bussa a quella porta. Legge il numero inciso sul legno profumato. Legge il numero scritto sul biglietto. Centodue. Due stanze dopo quella del vescovo. Bussa, Juan. Due colpi poten!
 ti con il pesante battente di ferro. E la porta si apre. Juan fa un passo indietro, trattenendo il respiro. Dio, e' stata una statua, ad aprirmi? Ha davanti un uomo possente, alto. I capelli gli ricadono lucidi e neri sulle spalle. Occhi cosi' duri non li ha visti mai. Senza nessuna espressione. Le pupille strette. Come i gatti. O i serpenti. Vestito tutto di nero, su una pelle del colore della cenere. Lo guarda. E lui non respira. Come se quello sguardo gli impedisse ogni movimento. E' bloccato. Fino a che l'uomo sulla soglia non sorride -veleno-, e lo invita ad entrare con un cenno della mano guantata. Juan entra. Davanti a se' ha la camera piu' lussuosa dell'abitazione vescovile. Metri e metri di tappeti decorati si srotolano per la stanza, disegnando stupendi arazzi multicolore. Le tende del letto hanno colori impalpabili, spaziano dal rosa tenue all'azzurro del cielo primaverile. Coperte di piuma d'oca decorate di fili d'oro puro. Chiunque darebbe una mano, per vivere !
 in un lusso come quello. Ma l'uomo che sta placidamente seduto!
  su una
sedia di legno di ciliegio, sembra non far nemmeno caso alle comidita' e allo sfarzo di quella stupenda stanza.
"Si sieda, padre, la prego..."
Voce moderatamente bassa. Sembra un sibilo. Esce frusciando dalle labbra sottili dell'uomo. Una voce che ipnotizza. Juan si siede, muovendosi lentamente, come se non volesse nemmeno spostare l'aria, in quella stanza. L'uomo in nero gli porge una mano. Un guanto nero la ricopre. Tre anelli. Un rubino, sicuramente. Una pietra bianca e splendente. E un sigillo d'oro. Un giglio. In quel momento, Juan capisce chi si trova davanti. Un gelo superstizioso lo attanaglia, mentre stringe quella mano nella sua. E ascolta quel nome. Che esce sibilando da quelle labbra.
"Antonio Palacio, inquisitore al servizio del Papa. E di Dio. Molto lieto."
"Juan Delgado. Umile bibliotecario della diocesi. Onorato"
Lo disse con una certa dose di sarcasmo, che Antonio noto'. Noto' benissimo. Ma non fece commenti. Dio, ma perche' non prende il suo oro e la sua carrozza e se ne torna a Roma?
"Beh, veniamo a noi...Delgado...era lei ad avere la tutela di tale Miranda De Adivieto?"
Un brivido lo scosse. Lotto' per non cadere. Ora capiva perche' un pezzo grosso era arrivato. Capiva chi era, il pezzo grosso. E non gli piaceva per niente. Sentiva gia' di odiarlo. Lo odiava. La Santa Inquisizione...Dio mio...lotto' per mantenere la calma.
"S-si'...il Vescovo me...il Vescovo me l'aveva affidata fino all'arrivo della Santa Inquisizione..."
Il serpente di fronte a lui schiocco' sonoramente la lingua. Un rumore che provoco' un altro brivido sulla schiena di Juan.
"Capisco...quindi lei l'ha seguita fino a ieri...dico bene?"
Juan tiro' un sospiro di sollievo. Almeno mentalmente. A quanto pareva, il Vescovo non aveva detto all'inquisitore che gli aveva revocato il caso. E non voleva essere certo lui a raccontarlo a quell'uomo che piu' che un uomo pareva un serpente velenoso.
"Esattamente, eccellenza."
Cercava di rendere le risposte il piu' sintetiche possibile. Era come se quell'uomo riuscisse a leggergli dentro. Come se sapesse tutto. E aveva una calma che metteva paura. Come se non avesse nessuna fretta. Come se aspettasse pazientemente con la rete calata, che la sua preda restasse intrappolata in quel groviglio di fili. E Juan, in quel momento, si sentiva molto la preda attesa da Antonio.
"Come l'ha trovata? Ha cominciato con gli esorcismi?"
Prese un lungo respiro. Poi, rispose, senza curarsi delle conseguenze della sua risposta.
"Con tutto il rispetto, eminenza...ma non credo che sia posseduta."
Stavolta anche la sua era stata una calma pacata e paziente. Si congratulo' con se' stesso, per essere riuscito a mantenere un tale stato di tranquillita'.
"Cosa glielo fa pensare?"
Improvvisamente, si senti' spiazzato da quella domanda. Perche'? Lui non aveva un perche'. Lo sapeva e basta. Ma come poteva rispondere cosi'?
"Io...non so risponderle..."
Meglio essere sinceri. Quello sguardo non ammetteva sgarri. E sembrava leggere nel pensiero.
"Non e' una risposta molto convincente, padre. Ma la capisco. Fa sempre male accettare l'idea che bambine di appena sedici anni possano essere usate dal Demonio...e' davvero molto triste..."
Juan strinse i pugni, cercando di trattenere il fiume di parole che minacciava di affogarlo. Tutte le motivazioni che avrebbe potuto dare a questo pallone gonfiato dalla fronte alta, non poteva dargliele senza ammettere i suoi peccati. Peccati, per lui...
"E adesso torniamo alla nostra piccola posseduta..."

I sogni. A volte sono cosi' belli. Caleidoscopi di sogni che brillano di tutti i colori dell'arcobaleno. La fantasia che esce dalla piccola camera in cui se ne sta quietamente rinchiusa tutto il giorno, e si mette a danzare al ritmo del cuore. E ci porta in un mondo diverso. Un mondo che non lasceremo mai, se solo ne avessimo la possibilita'. Che poi, spesso, i sogni nemmeno te li ricordi, ma ti lasciano addosso quella sensazione di serenita' che non ti abbandona per tutto il giorno. E sai di aver sognato proprio quella cosa, quella che desideravi da chissa' quando. E, anche se non ricordi niente, quella sensazione di beata quiete non se ne va. Ti accompagna come un alone di profumo, tutto il giorno, scomparendo poco a poco per far posto alla vita reale, quella di tutti i giorni. Che, purtroppo, troppo spesso non coincide con quei sogni di beata quiete. Troppo spesso. Troppo spesso somigliano agli incubi, quelli che ci svegliano nel cuore della notte. Che all'improvviso ci s!
 embra cosi' buia e fredda. E ci si accorge di quell'ombra sinistra che si staglia su quella parete e che, no, non e' la nostra. Incubi che ci inseguono, strascico di paure ed incertezze che prendono improvvisamente forma. E terrorizzano. Spaventano. Anche se sono solo stupidaggini. Soffrire di vertigini e ritrovarsi su di un monte alto settemila metri. E svegliarsi gridando, con quel senso di vuoto alla bocca dello stomaco. E pensare che forse non e' stato un sogno. Perche' gli incubi, troppo spesso, sono cosi' reali. Veri e vividi nei loro colori di morte. E sentire il dolore e lo smarrimento, come se non bastasse avvertirlo per tutto il giorno. E per alcuni, il peggiore degli incubi comincia quando ti svegli. E, per un attimo, tutto sembra cosi' normale. Sembra tutto perfetto. Con la mente sgombra e un senso di piacevole confusione. E poi ricordarsi. Che siamo di nuovo sulla terra. E tutti quei sentimenti che si accavallano nella nostra testa. Richiudere gli occhi per un !
 istante. Svegliarsi, ed essere sempre li'. Nel tuo incubo pref!
 erito. L
a realta'.
Una di queste persone sta ancora dormendo. Sta per svegliarsi, si vede dal viso che da contratto torna per un istante disteso. Quell'incubo che l'ha fatto agitare tutta la notte e' finito. Spike apre piano, pianissimo gli occhi. C'e' solo buio, in quella stanza. E un viso, sopra il suo, incorniciato da capelli biondi, che lo fissa con due occhi verdi. Si accorge, in un momento di lucidita', di avere la testa poggiata sulle sue gambe. Sente una mano familiare accarezzargli i capelli. Una voce ipnotica e melodiosa sussurrargli amorevolmente 'va tutto bene'. E, per un istante, un solo istante, sperare con tutto se' stesso che sia lei. E rimanere cosi', sospeso tra sogno e realta', mentre la vista gli si schiarisce piano, rivelandogli che le sue speranze sono solo questo. Speranze. China su di lui c'e' una ragazza. Bellissima. Ma non e' lei. Si accorge che ha finalmente aperto gli occhi. Sorride. Spike guarda quel sorriso. E gli viene da sorridere a sua volta. Perche', che tortu!
 ra!, sono proprio uguali. Lei non smette di accarezzargli i capelli. Lui ha una sensazione bruttissima addosso. Di nuovo quell'incubo. Un rogo. Fuoco dappertutto. Ceppi di legno che lanciano fiammate altissime. E lei, con quel viso cosi' grazioso e impaurito, che si stringe contro quel tronco, in un disperato tentativo di sfuggire alla morsa delle fiamme. E vederla pian piano sempre piu' sfocata. Guardarla evaporare come fumo. Insieme al fumo. Diventare nient'altro che aria. E osservare quel fuoco, nel quale brillano, intatti e fiammeggianti, due occhi verdi. Colmi di lacrime e paura. E svegliarsi di soprassalto, gridando disperato. Sostituire il sollievo nello scoprire di aver sognato con l'orrore di aver sognato realta'. E chiedersi se sia gia' successo. Se per caso sia troppo tardi per tirare fuori Buffy da quell'inferno di fiamme e delirio.
"Finalmente...credevo non ti saresti piu' svegliato..."
"Se non mi fossi svegliato, sarei impazzito..."
"E' solo un incubo, William...solo un incubo..."
"Vorrei poterla pensare come te."
Ma e' una risposta che non la soddisfa. Lei, quella ragazzina cosi' fragile, bambola di porcellana che sembra sempre sul punto di infrangersi in mille piccoli pezzetti bianchi. E che ora lo alza, con una forza che umana non e'. E lo scuote. Cosi' forte da far quasi male. E lo guarda con due occhi che sembrano ardere. Li fissa in quelli di lui, blu. Vacui e spenti. Dov'e' finita quella luce che vi brillava chiara e splendente dentro? Dove?
"E' cosi'? Vorrei poterla pensare come te? No, non vorresti! Ti sei gia' arreso! Hai trovato un ostacolo e ti sei arreso...e stai aspettando cosi' senza far niente! Cosa aspetti? Non piombero' giu' dal cielo! Perche' mi hai abbandonata?"
"Ma cosa dici?"
E in quel momento, in quell'istante, un attimo dopo aver parlato, lui la guarda finalmente negli occhi. Occhi che sgorgano lacrime. Solo...non sono i suoi occhi. Stavolta ne e' sicuro. Una sicurezza che uccide. E vorrebbe solo piangere. Guardare quegli occhi che gli urlano che l'ha abbandonata, e piangere. E dirle che non e' vero! No! Che ha solo paura...paura di fallire di nuovo. Paura di sperare finche' la tua carne, il tuo sangue non sembrano fatti di speranza stessa...e poi fallire. E sentirsi cosi' vuoti e inutili e desiderare solo di sprofondare e che questa tortura finisca...
Spike guarda di nuovo quegli occhi, mentre quella ragazza sta ferma, gli occhi vuoti e lontani, e gli vien quasi voglia di sorridere. Perche' quando mi sento perso...quando mi sento perso lei c'e' sempre...siamo distanti cinquecento anni...e lei c'e' sempre...
"Buffy..."
"Perche' mi hai abbandonata?"
C'e' una disperazione quasi palpabile, in quella voce di velluto. E delusione. Cosi' tanta che non si riesce a trattenenre una lacrima. Piccola. Brillante. Una goccia di diamante.
"No! Non ti ho abbandonata! Oh, Dio, non lo farei mai! Io...vorrei solo che tu fossi qui!"
La mano, quella piccola e bianca di quella ragazza, vola ad asciugargli una lacrima. Ma il tocco non e' quello di Miranda. E lui vorrebbe solo che quell'istante non finisse mai. Rubarlo al razionale computo del tempo. Come una fotografia. Ma non si puo'. E, dopo quel leggero contatto, le ultime parole di Buffy sono distanti. Lontane. Come un'eco portata dal vento.
"Vieni a prendermi, amore mio..."
E sente quelle parole rimbalzargli nella mente. Le ultime due. Dio, non ha capito male? Raccoglie dal letto sfatto il corpo svenuto di Miranda. Povera piccola, sembra esausta. Spike la fa distendere, poggiandole delicatamente la testa sul cuscino, sorridendo tra le lacrime. Gli ha fatto il regalo piu' bello che avesse mai ricevuto. Miranda si riscuote. Apre gli occhi. Sono di nuovo i suoi. Non c'e' piu' quella luce accecante che non appartiene ne' a questo mondo ne' all'altro. Sorride. Spike le sorride di rimando.
"Dimmi che era davvero lei..."
Ha paura, terrore, di sentire la risposta. Magari una risata. E sentirsi dire che era tutto uno scherzo per farlo stare peggio. Ma la ragazza lo guarda, stanca ma vigile.
"Io...non lo so...ma c'era qualcosa, dentro di me...una forza strana. Come se ci fossero state due anime, invece che una...faceva male. Come stare in due in una stanza troppo piccola. Io...si', credo che fosse lei...ti stara' aspettando. Devi trovare un modo per andare da lei..."
"Ma come? Come?"
Miranda scuote impercettibilmente la testa.
"Nessuno puo' saperlo...succedera'...ma nessuno puo' sapere come..."

"Miranda? Piccola, mi senti?"
Nausea. Oddio, una sensazione di nausea tremenda. Non ricordava di essersi mai sentita cosi'...ma dopotutto non era mai svenuta dopo aver avuto una specie di visione. Stava distesa su un mucchio di paglia. Per un attimo, non ricordo' dove si trovava. Per un attimo, il volto che la guardava scocciato ad una spanna dal suo, le sembro' tremendamente familiare. Angel...le basto' pensare quel nome, per ricordarsi tutto. No, non era a casa, anche se le sembrava di essere appena tornata da un lungo viaggio. E quello davanti a lei era semplicemente Antonio Palacio. Di Angel non aveva altro che l'aspetto. Come un'ombra. L'ombra di un serpente. Buffy si mise a sedere, aspirando aria come se non respirasse da minuti. In effetti, le era sembrato di soffocare. Cerco' di rocrdarsi qualcosa. Ma c'era solo il volto di Spike, nella confusione della sua mente. Nebbia, un bosco. E Spike che tentava di trovarla. Lei che lo chiamava. Ma la nebbia e' troppo fitta. E, pur essendo vicini, non si ve!
 dono. E vagano, vagano, vagano...e poi, quando finalmente sembra che riescano a vedersi, la visione svanisce. Era stata una cosa fulminea. E l'aveva lasciata stordita e nauseata. Aveva voglia di vomitare. Invece si alzo', lottando per trattenere un conato. Antonio le porse una mano. Ma, nell'immaginazione di Buffy, questa assunse la forma di una terribile spira contorta. Si senti' di nuovo nauseata. Scaccio' la mano, gentile ma decisa.
"Sto...sto bene..."
L'uomo la guardo' sospettoso.
"Sei svenuta mentre parlavamo...dicevi cose strane...non ricordi nulla?"
Si ricordo' mentalmente che stava solo cercando di aiutarla. Ma in quel momento, tutto l'aiuto che desiderava consisteva nel lasciarla sola.
"No...e' stato solo un giramento di testa..."
"Non sentivi voci demoniache? Non hai visto serpenti o demoni contorti?"
Aveva voglia di dirgli che un serpente l'aveva visto...ma solo dopo essersi svegliata. Prese due profondi respiri, cercando di calmarsi. La nausea cominciava a scemare.
"No, io...non lo so, sono solo svenuta. Non ho bisogno di svenire, per vedere demoni o sentir voci..."
Non ce la faceva a mentire a quell'uomo. Quindi non esitava nemmeno per un istante, a dirgli la verita'. Si sentiva come se avesse potuto leggerle nella mente, con quei suoi occhi di pietra. Senza la benche' minima espressione. Prese appunti velocemente, su un blocchetto di cuoio rosso.
"Va bene...io...spero non ti dispiaccia, ma sei talmente bella che non ho potuto fare a meno di chiamare un mio amico pittore...vorrei che ti lasciassi ritrarre. Sempre se non e' un problema, s'intande."
Sorrise. Il sorriso viscido di un serpente. Eppure, Buffy si senti' lusingata da quei complimenti. E l'idea di essere ritratta le faceva quasi piacere. Annui', abbassando pudicamente gli occhi. L'uomo davanti a lei schiocco' le dita ornate da anelli e sigilli dorati. E sulla soglia comparve una monaca alta e magra, che porse all'inquisitore un delizioso abito di seta bianca e rossa. Somigliava a quello che le aveva regalato il giorno prima. ma era ancora piu' bello. Le maniche larghe, il bustino bianco e stretto a mostrare la sua vitina da vespa e le forme in boccio di una giovane di sedici anni. La gonna ampia, ricamata con fili d'oro e intarsi di pizzo. Le scarpine erano adorabili, rosse, dalle punte leggermente all'insu'. Antonio gli porse l'abito.
"Ho pensato che ti sarebbe andato alla perfezione. Il pittore ti aspetta nell'atrio tra mezz'ora. Io purtroppo non potro' trattenermi, ma saro' lieto se appenderai l'opera nella cella, cosicche' io possa vederla domani."
"Senz'altro, signore..."
Lui le fece un teatrale inchino e si avvio' verso la porta. Buffy lo fermo'.
"Singore?"
Antonio si volto'. Era serio. Buffy penso' che era un bell'uomo. Anche se quegli occhi continuavano ad ispirarle solo paura e disgusto.
"Si'?"
"Non moriro', vero?"
"Non succedera'."
L'inquisitore sorrise. Anche se erano state parole di smentita, quel sorriso fu, per Buffy, peggio di una sentenza di morte...

Capitolo IX

Non era mai uscita dalla sua cella, da quando era piombata nel corpo e nella vita di Mirando De Advieto. Ora, avvolta nel vestito regalatole da Antonio Palacio, percorreva, scortata da due monache, il lungo corridoio che affacciava su uno splendido giardino. Fiori di ogni colore e ogni specie brillavano nel tappeto verde di un prato ben curato da mani abili ed esperte. Una lunga siepe tagliava a meta' il giardino, acquistando man mano le forme piu' svariate. Un bouganville si arrampicava alle bellissime colonne di marmo bianco che sostenevano l'altissima navata del corridoio. Sembrava l'anticamera del Paradiso, con l'eden che spicca nel corridoio bianco prima di quella porta luminosa. E c'era persino la porta, intagliata nell'ebano, decorata con fregi di metallo a forma di angeli. Avevano anche l'arpa e le alette. Facevano tenerezza. In una nicchia, poco distante dalla porta, stava in piedi, maestosa e solenne, la statua in marmo e oro della Vergine. Aveva fluenti capelli di!
  pietra che le ricadevano sulle spalle accarezzate da un mantello dorato. Aveva una mano alzata in segno di benedizione. Con l'altra reggeva un bambino piccolo, dai folti e ricciuti capelli coperti d'oro. La statua doveva essere alta almeno due metri. Buffy sorrise a quella visione tanto rassicurante. E la statua sembro' sorriderle a sua volta. Si senti' al sicuro. Per la prima volta da quando era li'. Si senti' al sicuro. Le due monache la scortarono oltre la porta d'ebano odorosa di incenso. All'interno, una chiesa. Panche di legno. In lontananza, un bellissimo altare di pietra, su cui stavano placidamente in mostra un calice ed un leggio con sopra una bibbia dalla copertina dorata. Il luccichio arrivava fino a lei, dall'altra parte della chiesa. Buffy alzo' gli occhi, senza fiato. Sembrava non finire mai. Sembrava arrivare a sfiorare il cielo. Sul soffitto di pietra, altissimo, sopra di lei, poteva vedere millenni di storia. Dalla creazione fino alla crocifissione di Cri!
 sto, passando per l'arca di noe', i dieci comandamenti, l'assu!
 nzione e
 la Pasqua. Dipinti sospesi su quella navata immensa, contornati d'oro e argento. Colori cosi' vivaci, cosi' brillanti, non ne aveva visti mai. Tutti quei santi, tutti quegli uomini...sembravano vivi -vivi-, tanto i colori li facevano parere veri. Buffy si ritrovo' a fissarli a bocca aperta, presa da un improvviso senso di vertigini. Le girava la testa. Ma non smetteva di guardare su', sopra di lei. Affascinata da quei dipinti che dipinti non sembravano. Stanca, torno' a rivolgere la sua attenzione al pavimento della cappella. Marmo lucidissimo, che rifletteva in un suggestivo gioco di luci, i raggi del sole che filtravano azzurri, verdi e rosa, attraverso metri e metri di vetrate dipinte. I suoi occhi si volsero verso le pareti immense. Su candelabri d'oro, miriadi di candele bruciavano, le fiammelle vispe e allegre, agitate dalla lieve brezza che ora filtrava dalla porta aperta. Sembravano angeli dalle teste dorate. Su pareti bianche, di un bianco pulito e puro. Due lunghi!
  e stretti corridoi si snodavano ai lati della cappella. Un corridoio piu' largo e ugualmente lungo, divideva le due file di panche di legno profumato. In tutta la chiesa aleggiava il profumo dolce dell'incenso bruciato. Buffy aspiro' quell'aria a pieni polmoni, beandosi di quella sensazione. Sensazione di vita. Era viva. Era vera. E sarebbe vissuta. Glielo diceva l'incenso. La chiesa tutta, sembrava dirglielo. Confortarla. E lei si sentiva bene. Sorrideva. Le monache la guardarono, cosi' bella e raggiante e viva -viva-, per la prima volta. E sorrisero anch'esse. Buffy smise di guardarsi intorno per fissare i suoi meravigliosi occhi verdi su una figura curva su di una tela. Era un uomo basso e tozzo, ma di uno sguardo talmente dolce, quando la guardo', che lei non pote' non sorridergli. Era lo sguardo di un pittore. Uomini che vedono cio' che e' bello non con gli occhi, ma col cuore. Che sanno catturare l'essenza delle cose. E delle persone. Che sanno leggervi l'anima, nell!
 e persone. In modo da ritrarre l'anima, e non l'involucro, nei!
  loro mi
gliori capolavori.
"Tu devi essere Miranda..."
Lei fece qualche passo avanti, ascoltando rapita il rumore dei suoi tacchi rimbombare su per le pareti della chiesa. Sembrava che a solcare quel piccolo tratto fossero state cento persone.
"Si', sono io..."
"Mi avevano detto che eri molto bella...per una volta, non erano solo chiacchiere..."
L'uomo sorrise. Le fece cenno di avvicinarsi. Lei si fermo' a pochi passi da lui. Lo sguardo del pittore si poso' sul suo viso. Non guardava niente in particolare. Era come se guardasse nel suo viso. Non il suo viso. Nel suo viso. Poi, i suoi piccoli occhi, contornati da altrettanto piccole rughe d'espressione, si volsero al suo collo, poi al petto, al busto, alle gambe e, infine, ai piccoli piedi. Era come un esame. L'uomo la osservo' ancora. Per un tempo che le parve interminabile. Finalmente, sembro' soddisfatto.
"Va bene...puoi metterti davanti a quel telo bianco? Si', quello li'. Sistemati come desideri."
Lei si avvio' timidamente verso il grosso telo bianco che copriva un'intera parete. Capi' subito a che serviva. I raggi del sole vi rimbalzavano sopra, donandole come un'alone d'arcobaleno attorno. Si sposto' leggermente di profilo, poggiando le mani giunte sulla gonna. Non sorrise. Il pittore la scruto' per qualche istante.
"Va bene...ferma cosi'"
E lei rimase ferma. Mentre il sole spariva, per andarsi a tuffare nel mare. Rimase ferma fin dopo il tramonto. Il pittore sembrava instancabile. Buttava giu' qualche pennellata, poi si fermava, restava a guardarla per minuti e minuti. E poi buttava giu' qualche altra pennellata. Precisa. La mano ferma, l'occhio che dardeggiava tra lei e la tela. Dopo diverse ore, Buffy comincio' ad avere tremendi crampi. Nella sua cella, passava la maggior parte del tempo sferruzzando, o guardando il cielo dalla sua finestra e contando i minuti che la separavano dalla notte. Stava pochissimo in piedi. E restare nella stessa posizione per ore, le fece male. Le girava la testa. Ma voleva rimanere. Voleva vedere. Era una curiosita' senza motivo. Voleva vedere la sua anima. Ritratta sulla tela. Vedersi. Quindi restava immobile, nonostante la testa le girasse come una giostra e le gambe le tremassero. E, finalmente, il pittore la osservo' per un'ultima volta. Diede le ultime due pennellate (schiz!
 zi precisi), sulle tela. Poi sorrise soddisfatto.
"Questo e' senza dubbio l'opera migliore della mia carriera..."
Buffy si mosse. Prima piano, cercando di riabituarsi al movimento. Le gambe le dolevano. Le braccia anche. Strinse i pugni un paio di volte. Scosse la testa per scacciare un giramento piu' forte del precedente. E cammino' lentamente verso il soddisfattissimo pittore. L'uomo la fisso' ancora un istante. Fisso' la sua opera. Infine, la giro' verso di lei. Che ne rimase allo stesso tempo terrorizzata e affascinata. Li', su quella tela ora tinta di tutte le sfumatore del rosso e del nero, stava lei, piccola bambola di porcellana, vestita del suo abito rosso orlato da pizzi e spille dorate. Lei, dal viso dolce e angelico, contornato da una cascata di meravigliosi capelli biondi, che le arrivavano, lisci e lucenti nel ritratto come nella realta', fino al pavimento. Lei, bianca come una statua d'avorio, di un bianco candido e delicato. E, attorno a lei, una corte di terribili demoni adoranti. Stavano attorno a lei, inginocchiati su nubi dalle sfumatore nere e argentate, guardandola!
  con occhi di brace. Sullo sfondo, solo nubi e mare in tempesta, dalle sfumatore grigie fino ad un aggraziato blu cobalto. Il cielo, color piombo, puntinato di rosso fuoco. E lei, ritta e maestosa, bellissima, in mezzo alla sua corte infernale.
"E' identico..."
Il pittore continuo' a guardare ipnotizzato la tela.
"Anche per i demoni?"
"Cosi' sono..."

Delle difficolta' di essere un medico serio durante l'inquisizione...
Oddio, a volerle riassumere tutte, si corre il rischio di non finire piu'. Innanzi tutto, cos'e', un vero medico? E puo' un medico, essendo essenzialmente uno scienziato, essere al contempo un buon cristiano? Andiamo per gradi...beh, un medico e' senza dubbio una persona votata alla salute altrui. Una specie di crociato contro le schiere delle malattie che da sempre affliggono l'umanita' e sempre l'affliggeranno. Un medico e' un uomo. Con tutti i suoi difetti e le sue incertezze. E questo, in tempi agitati come quelli, e' troppo spesso dimenticato. Un medico, non e' nient'altro che un uomo. Con la passione per il male. Puo' sembrare una cosa dura. Una cosa falsa. Ma fondamentalmente e' cosi'. I dottori, i medici, sono attratti dal male. Lo studiano, lo saggiano. Tutto per poterlo combattere. Questo, e' un medico. E abbiamo risposto alla prima domanda. E la seconda? Puo' un medico, uno scienziato, essere un buon cristiano? No. E' una sola parola. No. Non puo'. Non puo' una pe!
 rsona che deve credere che tutto sia razionale, fornito di cause e conseguenze, credere veramente in Dio. E' matematico...un medico. Una persona terribilmente, estremamente razionale. Niente e' piu' razionale di un medico. La religione. Di razionale non c'e' niente. Dalla creazione all'apocalisse, e' tutto tremendamente irrazionale. Senza cause ne' conseguenze. Uno scienziato, un vero scienziato, non puo' essere un religioso. Ma vallo a raccontare all'Inquisizione. Organismo per cui oltre la religione non c'e' niente tranne empieta' e peccato. E un medico che esercita la propria professione seriamente, curando i pazienti anziche' confortandoli fino alla morte, e' un gran peccatore. Perche' non si va' contro le leggi divine, secondo l'Inquisizione. E se una persona deve morire, allora non bisogna aiutarla, ma solo 'confortarla'. Una cosa terribilmente crudele. Ma a dirlo...due possibilita': rogo. O etichetta sociale. A Salvador Rodriguez Mendoza avevano scelto di etichettarl!
 o. Un processo lungo cinque lunghi anni. Perche'? Una storia l!
 unga. Un
 uomo malato, terribilmente malato. E lui. Un medico. Un vero medico. Non l'aveva confortato, salassandolo e parlandogli della bellezza del Paradiso. L'aveva curato. Con erbe medicinali e pillole e nuovi farmaci che arrivavano veloci come il vento anche nel nuovo mondo. L'aveva strappato alla morte. E questo non era andato giu' all'Inquisizione, che l'aveva accusato di aver resuscitato un morto. Di essere uno sporco stregone. Ma era un personaggio troppo in vista, troppo amato, per essere bruciato e basta. Quindi era stato assolto. Pena, un'infamante etichetta: non piu' medico, ma negromante. Evitato come la peste. Ora, era vecchio. Troppo vecchio per combattere ancora contro quell'Inquisizione di cui aveva fatto parte e che l'aveva condannato alla solitudine e all'isolamento. Era come un fantasma. Nessuno passava mai a trovarlo. Nessuno chiedeva piu' il suo parere. Tranne...Juan Delgado. Quel prete che si era messo nei guai. In guai terribilmente grossi. Innamorarsi. Era pe!
 ggio che firmare una condanna a morte. Perche' le condanne a morte lui le aveva firmate, a suo tempo. Ma per gli altri. Innamorarsi era come firmare la propria condanna a morte. Firmarla consapevolmente. Era l'unica cosa che Mendoza non concepiva. L'amore. Ma non era uomo da giudicare. Non piu'. Ed ora si chiedeva come potesse sentirsi quel ragazzo, con la consapevolezza che la donna (beh, ragazzina) che amava poteva essere bruciata da un momento all'altro. Non doveva essere una bella cosa. E non poter fare niente. Dover stare a guardare. Essere spettatori della propria vita. Cosa triste. Lo sapeva come ci si sentiva. Si chiese se avesse fatto bene a cacciarlo di casa senza promettergli niente. Negandogli un aiuto che forse non avrebbe cambiato niente, ma addirittura peggiorato le cose. Pero'...non poteva saperlo. E lo sguardo di quel ragazzo. Occhi azzurri che urlano. Non riesce a scordare quello sguardo, cosi' perso e innamorato. Consapevole di essere dannato. E sapere, d!
 entro di se', che non gli importa. Che forse non c'e' niente d!
 i piu' b
ello della dannazione. Soprattutto se e' con lei. E dannarsi e dannarla finche' si puo', finche' la campana della sua ultima ora non cantera'. Perche' lo fara'. Non c'e' modo di impedirlo. Ma, si dice mentre accarezza il pelo corto del suo unico compagno di esilio, ma lo si puo' ritardare...forse...

Pioggia. Gocce di pioggia cadono lentamente su Sunnydale. Le lacrime degli angeli. Piangono anche loro. Spike, seduto davanti una finestra del Magic Box, guarda l'acqua cadere dal cielo, lentamente, inesorabilmente. La vede schiantarsi con stupendi schizzi sull'asfalto nudo della strada. Battere contro la finestra, rigandola di trasparente pioggia argentea. Ogni goccia che cade sembra rispecchiare il suo tormento. Ci mancava solo la pioggia, pensa tristemente mentre aspetta che gli altri arrivino. Ha bisogno di sapere. Finalmente Willow, Anya, Xander e Giles varcano la soglia, bagnati e infreddoliti dalla pioggia che li ha sorpresi a meta' strada per il negozio. Anya, come al solito, litiga con Xander. E si diverte nel farlo...
"Te l'avevo detto che serviva un ombrello!"
"E ci voleva la mia benedizione, per prenderlo? Se lo volevi lo prendevi e basta!"
Lei si tolse tremando per il freddo, l'impermeabile azzurro che grondava acqua. Giles e Willow la imitarono. Xander si tolse la giacca fradicia, avendo ceduto il suo impermeabile alla reginetta dell'ipocrisia. Spike venne loro incontro, stringendosi nello spolverino nero. Anya e Willow gli sorrisero. Xander si limito' a guardarlo con meno astio del solito. Giles finse semplicemente di non vederlo. Gli si rivolse, mentre appendeva all'appendiabiti l'impermeabile marrone.
"Allora, Spike, a cosa dobbiamo questa convocazione urgente?"
Willow lo guardo' speranzosa.
"Hai trovato il modo per far tornare Buffy?"
Lei stessa si stupi' dell'ingenuita' di quella domanda. Spike sorrise tristemente.
"No. Io...voglio sapere..."
Gli altri lo guardarono interrogativi. Lui continuo', osservando le gocce di pioggia che si infrangevano contro il vetro della finestra.
"...voglio sapere tutto...dall'inizio alla...alla fine..."
"Tutto cosa?"
Lui volse i suoi tristi occhi blu verso Willow. Lei senti' un tremendo brivido attraversarle la schiena. Non l'aveva mai visto cosi' tristemente deciso.
"Chi era Miranda...chi ero io. Perche' e finita cosi'. Questo, voglio sapere..."
Xander strizzava la maglietta bagnata, mentre ascoltava distrattamente le parole di quel vampiro.
"Cos'e', Spikey? Hai spostato la tua piccola ossessione su Miranda, ora che Buffy non c'e'?"
Lui si trattenne a stento dal mollargli un pugno sul naso. Sospiro', alzando gli occhi al soffitto a cassettoni del negozio.
"No, stupido idiota, vorrei solo saperne di piu'. E magari trovare un modo per riportarla qui. Voglio sapere chi e' Miranda. Perche' credo si sia capito che non e' umana. E non credo sia semplicemente posseduta."
Xander non era d'accordo. Sai che novita'...
"Ma se ha ammaestrato quei demoni come se fossero cagnolini! Piu' posseduta di cosi'? Secondo me non e' difficile: o quella ragazza e' un demone...o e' posseduta da un demone."
"No, e' troppo semplice, cosi'! Deve esserci qualcosa! Lei...ha un potere che nessun demone ha! Insomma, non e' cosa da niente sottomettere una schiera di demoni incazzati e grossi il triplo di lei. Anche se avesse in corpo il piu' potente dei demoni...io non credo che...insomma, non penso che sia tutto qui."
Giles si spolvero' la giacca di stoffa scura, senza guardare nessuno in particolare.
"Odio doverlo ammettere, ma Spike ha ragione. Quella ragazza e' qualcosa di speciale. E forse capendo chi e'...o che cosa e'...forse scopriremo anche il modo per riportare qui Buffy."
Xander abbasso' gli occhi in segno di resa. Willow ed Anya annuirono e corsero verso gli scaffali colmi di libri vecchi ed impolverati. Spike guardo' per un ultima volta la finestra, sulla quale scivolavano goccioline argentee, poi, sospirando, si avvio' verso altri scaffali sui quali stavano quieti altri libri, ancora piu' vecchi ed ancora piu' impolverati. Giles e Xander, dopo essersi scambiati uno sguardo rassegnato, accorsero ad aiutare il vampiro. Mentre le lacrime degli angeli continuavano a scendere su di una terra privata del suo angelo migliore...

"Vieni avanti, Juan...so che sei li'"
Il ragazzo ebbe un sobbalzo, fermo nel buio davanti la porta del Vescovo. Stava li' da piu' di mezz'ora, soppesando attentamente la possibilita' di entrare. Ora non poteva piu' soppesare niente. Il vescovo l'aveva visto. Quell'uomo a volte lo sorprendeva. Juan entro' tremando vistosamente, stringendosi nel saio davanti l'aria fredda che filtrava dalla finestra aperta della stanza. Un temporale come se ne vedevano pochi imperversava fuori dall'abitazione, illuminando a giorno la sera cupa e nuvolosa. Lampi e fulmini donavano al mare ed alle nuvole intense tonalita' piombo. Faceva terribilmente freddo. Ma Ygnatio Virtudes sembrava non accorgersene nemmeno, seduto placidamente sulla immancabile sedia a dondolo, avvolto in uno scialle nero. Un forte odore di mare la faceva da padrone, annientando il vecchio ed insipido profumo del legno vecchio e quello caldo e dolce dell'incenso lasciato a bruciare. Candele dalle fiamme tremolanti illuminavano la stanza, donandole un'atmosfera !
 funerea. Il giovane aspetto' pazientemente che il Vescovo voltasse la sedia verso di lui. E cosi' fece. Lentamente, la sedia scivolo' sulle piastrelle grigie del pavimento, arrivando a puntare dritto verso di lui. Gli occhi acuti del Vescovo lo fissavano incuriositi da quell'inattesa visita. Juan, pero', sapeva che il vescovo aveva gia' capito cio' che voleva dirgli. Questo rese la sua confessione un po' meno difficile.
"Eminenza...sono venuto ad implorare il suo aiuto..."
L'uomo imponente lo zitti'. Aveva un'espressione grave sul viso rugoso. Juan tremo', aspettando la reazione dell'uomo. Fu la piu' strana che avesse mai visto. Il Vescovo sorrise. Un sorriso dolce e benevolo.
"So perche' sei qui, Juan. E so cosa vuoi credermi...credevi che non l'avrei mai scoperto? Figliolo, sai che per me sei pari al figlio che non ho mai avuto..."
"Sono onorato, Eccellenza"
"Dovresti fare meno rumore, Juan, la notte, quando sgattaioli fuori di casa. I tuoi goffi movimenti avrebbero svegliato i morti..."
Juan senti' ardere le guance. Dunque, sapeva gia' tutto...sapeva delle sue fughe notturne, del suo amore viscerale per una posseduta, sapeva dei peccati che commetteva ogni sera pienamente consapevole di commetterli e felice per averli commessi...e sorrideva. Chino' il capo, forse piu' per nascondere un sospiro di sollievo che per vergogna.
"Juan, Juan...sapevo che prima o poi sarebbe successo...figliolo, checche' ne dicano gli altri, le leggi della chiesa e la Santa Inquisizione, anche i preti sono uomini. Tu in particolare, non sei mai stato un vero prete. L'amore e' una cosa bellissima, Juan. E' la forma piu' alta di estasi divina. L'amore e' un dono. Non lo si dovrebbe vedere come un peccato..."
Quell'uomo era l'uomo piu' saggio che Juan avesse mai incontrato. I suoi occhi si riempirono di lacrime di gratitudine.
"Eminenza, lei deve credermi, quella ragazza non e' posseduta! E'...e' un angelo..."
Il vescovo continuo' a sorridere. Era cosi' bello vedere un uomo innamorato.
"La mia investitura non mi permette di essere d'accordo con te, Juan, ne' di appoggiarti...ma vorrei poterlo fare..."
"Non mi chieda di pentirmene, Eminenza..."
Lui scosse la testa.
"Non pentirti mai di cio' che hai fatto, se quando l'hai fatto eri felice, Juan."
Il ragazzo guardo' dritto negli occhi il suo superiore.
"La prego, la aiuti...la faccia uscire di li'. Quell'uomo, l'inquisitore, Antonio Palacio..."
"...E' un serpente velenoso, lo so. Fara' di tutto per mandare al rogo quella povera ragazza. Vedi li', su quel tavolino? Ci sono gli atti del convento. Cose che secondo Antonio e la badessa, sono fatti da attribuire a forze demoniache...pappagalli che muoiono, rondini che migrano prima del tempo, nascite di capre a due teste...e loro vogliono che vengano attribuite a Miranda. Se io firmo, lei va' a morte sicura..."
Juan senti' un sudore gelido impregnargli il saio. Spalanco' gli occhi, proprio mentre un lampo illuminava la sala e lui scorgeva un sorriso paterno sulle labbra del Vescovo.
"Non firmero', Juan. Stavolta l'Inquisizione dovra' fare a meno di Ygnatio Virtudes...sono stanco di tutta questa morte..."
Il giovane non seppe trattenere un gridolino di  gioia. Se il pudore non l'avesse fermato, avrebbe cominciato certamente a saltellare per tutta la stanza. Sicuramente avrebbe abbracciato anche il Vescovo. Ma non lo fece. Si avvicino', invece, prese la mano del Vescovo e bacio' l'anello vescovile che portava all'anulare, ripetendo all'infinito: "grazie, grazie, grazie!"
Il vescovo lo lascio' fare, sorpreso dalla gratitudine esagerata del ragazzo. Gli carezzo' con fare parteno i riccioli d'oro.
"Adesso va', Juan. Quando questa brutta storia sara' finita, provvedero' a scomunicarti, cosicche' tu possa amare quella giovane alla luce del sole. Va', Juan...corri a dirglielo..."
Il ragazzo non se lo fece ripetere. Ringrazio' ancora una volta quel vescovo cosi' umano e saggio e varco' la porta, correndo a perdifiato.

Buffy si avviava ora nuovamente verso la sua spoglia cella. Accanto a lei, due monache. Una terza chiudeva il silenzioso quartetto, stringendo tra le braccia il dipinto raffigurante la piccola. La ragazza, pensando al ritratto, si disse che non avrebbero potuto ritrarla piu' realmente di cosi'. I colori, le forme, i demoni...era proprio lei. Camminarono in silenzio lungo tutto l'infinito corridoio che portava alle cellette delle recluse. Era la prima volta che le vedeva. Prima, andando verso l'enorme e bellissima chiesa, aveva percorso un altro corridoio, evitando quello delle recluse. Ora, percorrendolo silenziosamente, si rese conto per la prima volta di non essere sola. C'erano decine e decine di celle, chiuse a chiave. Come unico contatto con il resto del convento, la piccola feritoia sulla porta di legno. Passo' davanti ad alcune celle vuote, puzzolenti e decrepite. Poi, conto' tredici celle ospitanti donne e due ospitanti uomini. Quindici reclusi...con lei, sedici. Una!
  vera e propria prigione. Da alcune celle provenivano grida e lamenti strazianti. Da altre, un silenzio piu' angosciante delle grida. Finalmente, arrivarono in fondo al corridoio. La porta della sua cella era aperta. Strano, le sembrava di averla saldamente chiusa, prima di uscire. Le monache la lasciarono davanti alla sua gabbia, mentre la piccola suora pelata che se ne stava perennemente accanto alla sua porta prese il ritratto e corse ad appenderlo all'interno della cella. Buffy entro'. Era buio. Sulla sedia di vimini accanto alla finestra c'era qualcuno, rischiarato dalla tenue luce della luna. Non era Juan. Era Antonio Palacio. La suora appese il ritratto ed usci', richiudendosi la porta alle spalle e ricordando all'Inquisitore che l'orario delle visite terminava tra poco meno di un'ora. Antonio ringrazio' freddamente e la invito' ad uscire. Una volta rimasto solo, guardo' Buffy, ancora vestita splendidamente con l'abito che le aveva regalato. Diede una fugace occhiata!
  al dipinto, poi torno' a guardare la ragazza. Lei abbasso' gl!
 i occhi,
 messa a disagio da quelli di lui.
"Non mi aspettavo di trovarvi qui..."
"Oh, i miei impegni si sono rivelati essere cose di poco conto..."
Antonio torno' a fissare il ritratto, con un'espressione di meraviglia stampata sul volto.
"Incredibile...e' identico..."
Buffy rialzo' gli occhi verso l'uomo.
"Oh, si'...e' venuto molto bene..."
Antonio si alzo' dalla sedia, andando lentamente verso di lei. Buffy rimase ferma, come ancorata al pavimento.
"...e' molto bello..."
Antonio le mise una mano sotto il mento, facendole alzare il viso verso il suo.
"Sei tu che sei molto bella...Dio, quanto sei bella..."
Avvicino' il suo viso a quello di lei. Troppo vicino. Buffy face un balzo indietro, spaventata e terribilmente spaesata.
"Ma...che state facendo?"
Lui, sorridendo mefiticamente, le si avvicino' di nuovo, chinandosi verso di lei. Lei che sentiva quell'alito velenoso sulle sue labbra.
"Ti sto aiutando..."
La afferro' per le spalle. Non le fece male, ma la sua decisione, la sua fermezza, spaventarono Buffy. Sposto' di lato la testa, evitando la bocca di lui.
"Come sarebbe a dire? Lasciatemi!"
Lui la scosse, mentre il sorriso scompariva dalle sue labbra.
"Eh, no, piccoletta...andiamo, voglio solo aiutarti...tu fai un favore a me...ed io, in cambio, faccio un favore a te...rilassati..."
Cerco' di nuovo le sue labbra con le proprie. Ma Buffy continuava a sfuggirgli. Con uno scatto, scivolo' via dalla sua stretta. Barcollo' all'indietro, tremando.
"Vi prego...adesso andatevene..."
L'uomo rimase dov'era. Aveva un'espressione minacciosa ed al contempo furba.
"Miranda...non capisci? Ti sto offrendo un biglietto per la liberta'...cosa vuoi che sia questo, per una sgualdrinella come te? Che speranze hai? Finirai sul rogo! Ed io posso evitartelo...lasciati andare..."
Scatto' in avanti, afferrandola nuovamente per le spalle. Stavolta non ebbe il tempo, Buffy, per spostarsi. Senti' quelle labbra sottili premute contro le sue. Un contatto che le fece solo ribrezzo. Si divincolo' disperatamente, mentre quelle mani viscide la carezzavano avide. Si fece coraggio. E mentre quell'uomo cercava di aprirle il corpetto rosso, lei alzo' una gamba. La ginocchiata arrivo' forte e dolorosa proprio dove lei aveva previsto. Antonio si stacco' con un grido da lei, piegandosi in due per il terribile dolore al basso ventre. La guardo' con il fuoco negli occhi. Lei tremava tutta, schiacciata contro la porta, tenendo insieme i due lembi del corpetto stracciato da quelle odiose mani. Respirava velocemente, sconvolta da quel contatto che niente aveva a che vedere con quello che lei ricordava della sua vera vita. Angel...non era nemmeno la suya ombra, quell'uomo odioso che la fissava avido e furente. Quando il dolore si fu un po' attenuato, l'inquisitore si rimis!
 e faticosamente eretto, guardandola superbamente. Gli occhi neri come pietre, ardevano d'odio e orgoglio ferito.
"Questa e' la tua risposta alla mia offerta?"
Lei, troppo scossa per parlare, annui' con decisione.
"Bene. Finirai al rogo. E bada bene che e' una promessa!"
E se ne ando' sbattendo forte la porta dietro di se'. Buffy si accascio' a terra, stringendosi al petto le ginocchia, piangendo mentre la sua tortura, la sua bestia, si risvegliava dentro di lei...

Onde altissime si infrangevano contro le pareti del convento. Schizzi color panna si alzavano, diventando mille sfumature di una sola entita'. Un uomo, aggrappato al muro di mattoni del convento, saliva faticosamente, lottando per non essere trascinato via dalla corrente, e da quelle onde che sbattevano in un crescendo di intensita' contro le pareti fredde dell'edificio. Eccola li', la sua finestra. Dio, sembra cosi' lontana, stanotte. Si aggrappo' ad una sporgenza nei mattoni, salendo ancora un po' piu' su, in quella scalata verso il paradiso. Sorrideva, Juan, nonostante il dolore lancinante alle mani. Nonostante sentisse il saio bagnato come se fosse stato fatto di cemento. Nonostante gli dolessero tutti i muscoli. Lui sorrideva. Pensava alla chiacchierata con il vescovo. Al volto sereno di Miranda, come l'aveva lasciata la sera precedente. Tranquilla e fiduciosa. Ancora un altro passo. Aggrapparsi sempre agli stessi appigli. Li vede, perche' sono i mattoni intrisi di sang!
 ue. Nonostante i dieci giri di garza, la pietra gli lacera le mani. E che importa? E, finalmente, sentire quella finestra sotto le sue dita mortoriate. Fare quell'ultimo sforzo, che sembra piu' impegnativo di tutta la scalata. Issarsi su quel davanzale. Con i muscoli che tremano e sobbalzano, Juan si alza. Chiude gli occhi, fissando nella sua mente l'immagine di lei. E gli sembra che quello sforzo non sia niente. Si ritrova dentro la cella, ansante. Si guarda intorno, ma e' tutto troppo buio. E la sente. La sente piangere. I suoi occhi angosciati si abituano al buio. E allora la vede, rannicchiata contro la parete accanto alla porta, con indosso un vestito da signora e le ginocchia strette al petto. E piange. Juan si precipita accanto a lei.
"Miranda!"
Lei si volta verso di lui. Ha gli occhi rossi e gonfi delle lacrime che continuano incessantemente a scendere.
"Spike!"
Lui le accarezza una guancia, senza capire cosa volesse dire. Sembra sconvolta. E poi, nota quello strappo sul corpetto.
"Ma...Dio mio, cosa ti e' successo? Sono io, Juan!"
Lei lo guarda per qualche istante, come se non sapesse bene cosa fare. E poi, piangendo disperata, lo abbraccia, stringendolo forte, singhiozzante e tremante.
"Lui...e' venuto qui...e mi ha detto che...che..."
Juan le accarezza i capelli.
"Lui chi? Chi?"
"Antonio, Antonio Palacio, l'inquisitore...voleva..."
Senza parlare, gli mostro' lo strappo del corpetto, e, sebbene la luce fosse fioca, Juan noto' un lieve segno' rosso sulle sue labbra. Prima che il ragazzo trovasse la forza o le parole per dirle qualcosa, lei continuo'.
"Io non...insomma, gli ho detto di no...e lui...oh mio Dio, Juan...moriro'..."
Lui le prese la testa fra le mani, coprendole il viso di baci. Le sembrarono cosi' dolci, quei baci, dopo lo schifoso contatto con le labbra di Palacio.
"No, no, amore mio, non morirai, non morirai...ho parlato con il Vescovo!"
"Cosa puo' fare un Vescovo, contro Roma?"
Lui la strinse al petto, cercando di confortarla. La strinse perche' non vedesse la rabbia cieca che gli oscurava gli occhi.
"Non firmera'...ci sono degli atti. Senza i quali Palacio non puo' accusarti di niente. E devono essere firmati dal Vescovo...lui non li firmera', me l'ha promesso...stai tranquilla, stai tranquilla..."
"Ho cosi' paura, Spike..."
Ancora quel nome...Juan si chiese perche'. Ma non era esattamente il momento per parlare di questo.
"Juan..."
"Si?"
"Stanotte...non lasciarmi sola, ti prego..."
Lui continuo' ad accarezzarle i lunghi capelli.
"Non ti lascio, sta tranquilla"
"Abbracciami, ti prego...tutta la notte..."
E Juan l'abbraccia. Un abbraccio casto e tenero. E lei resta cosi', rassicurata da quell'abbraccio, senza dormire. E poi, anche lei e' vinta dal sonno. Lui resta sveglio tutta la notte. la guarda. La guarda dormire, cosi', inquieta, in preda a chissa' quali incubi. E le accarezza i capelli, le bacia le guance. Fino all'alba. Allora la sveglia, dolcemente.
"Piccola...devo andare...come ti senti?"
Lei si riscuote. Lo guarda e sorride. Ed e' il dono piu' bello che potesse fargli.
"Molto meglio...con te mi sento sempre meglio. Ora devi andare..."
Lui le da' un ultimo bacio. Poi si cala giu', nel mattino terso. Niente piu' nuvole. Solo una piacevole brezza. E lui che scende giu' per quel muro, chiedendosi angosciato quando quella storia sarebbe finita...

E giu', nello spiazzo sotto il convento, qualcuno se ne sta fermo dalla sera prima. Nervoso. Arrabbiato. E, quasi senza volerlo, volge gli occhi neri alla facciata del convento dove sa che si trova la finestra di quella sgualdrinella. Cio' che vede lo lascia sorpreso in un primo momento. Qualcuno si cala giu' per quel muro, proprio dalla finestra di Miranda. Qualcuno che Antonio Palacio conosce. Non gli serve che un minuto, per capire tutto. Un sorriso velenoso si affaccia su quelle labbra sottili, sulle quali ha ancora il sapore di quella ragazza.
Percorre il corridoio della statue, Antonio Palacio, con un'idea geniale che cresce piano nella sua testa. Ho preso due piccioni con una fava...anzi, ne ho presi tre. Si complimenta con se stesso per essere rimasto li', sotto il convento dalla sera prima, quella infausta sera che ha segnato la condanna di Miranda. Gliela faro' pagare...nessuna dice di no ad Antonio Palacio. O meglio: nessuna mi dice di no senza poi finire bruciata sul rogo. Ed e' esattamente la fine che farai. Il Vescovo non vuole firmare gli atti? Ora vedremo...
Eccola, la porta del vescovo. Fuori c'e' un chierichetto che cerca di bloccargli educatamente il passaggio.
"Scusate, eccellenza, ma il vescovo sta ancora dormendo."
Ma lui lo ignora, passando oltre. Il ragazzino gli corre dietro, cercando di dissuaderlo dallo svegliare il vescovo.
"Signore, forse potreste ripassare tra qualche ora, signore!"
Ma Antonio, spostando senza complimenti il ragazzino dalla porta, la spalanca, trovandosi davanti il vescovo, nella sua sedia a dondolo, sveglio e arzillo. Il padrone di casa rivolge un'occhiata colma di rimprovero all'inquisitore.
"Per la santissima Vergine, Palacio! Si puo' sapere cosa avete di tanto urgente da dirmi, da non poter attendere qualche ora?"
Antonio sorrise. Il sorriso di un serpente velenoso. Schiocco' la lingua, guardando per un attimo il mucchio di carte posate su di un tavolino di legno. Torno' a fissare il Vescovo Virtudes negli occhi, con un'espressione che fece correre un brivido gelido sulla schiena dell'uomo piu' anziano.
"Eccellenza, io e lei dobbiamo parlare..."

Capitolo X

Parlare? Il vescovo Ygnatio Virtudes si alzo' pesantemente dalla sua sedia a dondolo, ponendosi minaccioso di fronte all'uomo davanti alla porta che lo guardava sorridendo furbescamente. Corrugo' la fronte, cercando di sembrare piu' infastidito di quanto non fosse realmente.
"Oh, si', Palacio, dobbiamo parlare! Per esempio delle semplici regole che vigono in questa casa vescovile, del tipo 'non disturbare un Vescovo se questo non vuole essere disturbato' e, se mi permette..."
"Dobbiamo parlare di padre Juan Delgado"
Sillabo' quel nome con estrema e studiata lentezza, come se volesse essere sicuro che il Vescovo avrebbe capito. E il Vescovo capi'. Tutto e subito. Le parole, tutte quelle scuse che si era preparato per non parlare, gli morirono in gola. Sospiro', tornando serio in volto. Indico' all'inquisitore una comoda sedia di legno. Antonio squadro' il vescovo con aria superiore e si sedette, mentre l'uomo piu' anziano ricadeva come un sacco sulla sedia a dondolo. Aveva il volto tirato. E Antonio capi' dalla sua espressione che sapeva gia' tutto.
"Vostra Eminenza...immagino che lei sapra' certamente dirmi dove si trova in questo momento il suo bibliotecario..."
Quella domanda, posta con una calma sopraffina, getto' il Vescovo nella disperazione. Non aveva intenzione di vendere a quel serpente il ragazzo che aveva cresciuto come un figlio. Si finse indignato, corrugando la fronte spaziosa e stringendo le sopracciglia fino a quando le punte quasi si congiunsero.
"E voi piombate qui a quest'ora del mattino, per chiedermi dove si trova Delgado?? Oh, Roma ricevera' presto una mia lettera di protesta!"
Antonio non si scompose minimamente. Afferro' invece un chicco d'uva, portandoselo lentamente alla bocca. Gusto' l'acino in perfetto silenzio, mentre Virtudes sudava come da una fontana e pregava perche' quel serpente potesse alzarsi ed andarsene. Cosi', per un miracolo. Invece, Palacio torno' a fissarlo negli occhi, gelidamente.
"Non avete risposto alla mia domanda, Eminenza..."
Calco' volutamente la parola 'Eminenza', dandogli un suono tra lo scettico ed il sarcastico. Virtudes divenne rosso di collera.
"Oh, ma insomma! Dove volete che sia, a quest'ora del mattino? Dormendo in canonica!"
"E la vostra canonica si trova...al convento di Santa Clara?"
Il vescovo ebbe un sussulto. E, per quanto impercettibile fu, Palacio se ne accorse. Un sorriso gli increspo' le labbra pallide, mentre con la coda dell'occhio guardava sul tavolino di legno dove se ne stavano placidamente in attesa diverse carte.
"Dove volete arrivare, Palacio?"
"Dove voi mi condurrete, Eminenza."
Il vescovo fece un cenno nervoso verso la porta, dove se ne stava ancora sull'attenti il chierichetto che aveva cercato di impedire l'accesso ad Antonio Palacio. Il ragazzo si inchino' e richiuse la porta, uscendo. Ora, nella stanza c'erano solo lui e l'inquisitore. Una mangusta in compagnia di un serpente. Antonio si alzo' dalla sedia, ponendosi di spalle al Vescovo.
"Parliamoci chiaro, Virtudes. Il vostro frate ha commesso un eresia da rogo..."
"No!"
Antonio si volto', sorridendo all'uomo seduto sulla sedia a dondolo che sudava e tremava.
"No?"
"La prego...e' solo un ragazzo, non sa quel che fa!"
L'inquisitore fece spallucce.
"Ho mandato a morte ragazzi piu' giovani per molto meno...ma..."
Si interruppe un istante, fissando i suoi due occhi neri in quelli ambrati del Vescovo.
"Ma potrei sempre ridurre drasticamente la pena...potrei anche far finta di non aver visto niente..."
Virtudes prese due profondi respiri. Quelli come Antonio Palacio non facevano mai niente per niente. Il ricatto sarebbe stato terribile.
"A che prezzo?"
Gli occhi dell'inquisitore luccicarono.
"Tanto per essere chiari...voi sapevate della tresca, non e' vero?"
Il vescovo chino' la testa.
"Si'"
"Lo immaginavo...per voi non posso fare niente, e' uno scandalo troppo grande. Verrete scomunicato. E non guardatemi cosi', e' il massimo che posso fare. Purtroppo il vostro fido bibliotecario non potrebbe mai cavarsela con cosi' poco...a meno che..."
Virtudes batte' i pugni sui braccioli della sedia.
"A meno che?"
"Se voi firmate quegli atti, io faro' in modo che la pena del vostro frate sia ridotta a qualche ora di lavoro al lazzaretto della citta'. Non vi chiedo altro che apporre la vostra preziosa firma sugli atti che riguardano la posseduta di Santa Clara."
Il Vescovo guardo' quegli occhi ardere d'odio. Si chiese come potesse un uomo barattare una vita con un'altra vita.
"Ma...se io firmo...quella povera ragazza sara' condannata..."
Antonio giro' attorno alla sedia, come un yena.
"Ma avrete salvato una vita...se voi non firmate, Delgado verra' bruciato. E comunque trovero' il modo di condannare anche la ragazza. Ne vale la pena?"
"Voi siete un uomo senza Dio, Palacio..."
L'Inquisitore scoppio' in una fragorosa risata, che risuono' come un'eco diabolica per tutta la stanza. Quella risata, che fece venire i brividi al Vescovo, sembrava non finire mai.
"E voi siete senza alternative...secondo voi chi sta peggio? Virtudes...non e' altro che una firma...un segno nero su di un foglio bianco...accontentatemi, e sara' tutto solo un ricordo..."
Virtudes guardo' i fogli che Palacio gli porgeva. Pensava freneticamente. Juan...o Miranda? In ogni caso, poteva salvarne uno solo...o l'uno o l'altra. Ma forse, anche se non avesse firmato...l'odio che leggeva negli occhi di Antonio gli diceva che avrebbe trovato lo stesso un modo per mandare al rogo la ragazza. O forse era solo cio' che lui voleva vedere. Ma era pronto per avere sulla coscienza la vita di una bambina di sedici anni? Antonio sembrava impaziente.
"Vi concedo trenta secondi per decidere..."
Virtudes guardo' la pioggia che aveva ripreso a cadere dal cielo plumbeo. Mille domande gli giravano vorticosamente nella testa. Ma, per quanto cercasse di ingannarsi, dentro di se' sapeva che aveva gia' deciso...

Cinquecento anni di storia...e niente che portasse a scoprire qualcosa su di una ragazza di sedici anni condannata al rogo per possessione demoniaca. Non una sola sillaba. Qualche breve resoconto del processo, niente di piu'. Ma nemmeno in quella pagina e tre righi c'era qualcosa di concreto. Solo i partecipanti, della parte lesa e della parte avversa. Aveva letto qualcosa su un famoso Inquisitore che si vociferava avesse gestito il processo. Una bestia d'uomo con sulle spalle almeno centoventi condanne in dieci anni di servizio presso Roma. Un certo Antonio Palacio. Non c'era nemmeno un ritratto, nel libro. Solo un contraddittorio ritratto psicologico offerto da uno psichiatra moderno. Un ritratto che a Spike ricordo' molto Angel. Beh, Angelus. Bramoso di violenza, con una vera e propria ossessione per il sangue e la predisposizione a fare del male. Una mentalita' alquanto disturbata. E Buffy stava per essere processata (o magari era gia' stata processata), proprio da quest!
 a bestia. Il solo pensiero gli provoco' una fitta allo stomaco. In un flash, gli passo' davanti agli occhi un immagine. Buffy legata al palo del rogo. Sotto di lei rami secchi e sterpi. Lei. Buffy. Che aspetta tremante che il boia posi la fiaccola su quel cumulo di legna. E il fumo che si alza e l'avvolge. E il fuoco che le lambisce le vesti. E' troppo. Basta, e' troppo. Scuote forte la testa, Spike. Se non scaccia quei pensieri crolla li', sull'asfalto, con lo spolverino calato sulla testa per ripararsi non dal sole, ma dalla pioggia battente che cade incessante dalla sera prima. Il cielo e' livido. L'aria e' pesante come fosse fatta di piombo fuso. Fulmini dalla accecante luce azzurrina squarciano le nuvole, cadendo chissa' dove su questo oscuro pianeta. Lui affretta il passo. E' stato fuori tutta la notte, con gli altri, a cercare qualcosa che non c'era. E non si fida troppo di lasciare Miranda sola con Dawn. Arriva a casa di Buffy. Il solo vederla gli fa salire le lacri!
 me agli occhi. Ancora una volta, aprendo la porta, si aspetta !
 di veder
la scendere le scale, stringendosi il colletto di una camicetta bianca. Ancora una volta si vede inclinare la testa sorpreso e sorriderle, senza farsi domande, senza chiedersi come sia tornata. Sorriderle, e basta. Ancora una volta, si avvede che sono solo fantasia. Pura utopia. E, guardando sulle scale, come spinto da un riflesso condizionato, non vede altro che scale. Sospira tristemente, posando lo spolverino bagnato sull'appendiabiti. C'e' ancora appesa la sua giacca, quella morbida e beige, con il collo di pelliccia. C'e' ancora il suo profumo, il profumo della cacciatrice. Tutto intorno a lui, come a volergli continuamente ricordare che lei non c'e'. Spike sale in fretta le scale. Ha bisogno di vederla, e al diavolo se e' solo la sua ombra. Sente delle voci in camera di Dawn. Varca la porta, sorridendo. Dentro muore, ma deve essere forte. Per Dawn. Per la sua Briciola. Che se ne sta distesa sul letto, guardando distrattamente la televisione. Spike gira gli occhi per la!
  stanza. Miranda non c'e'. Sorride a Dawn.
"Ciao Briciola!"
Lei si volta. Solo allora Spike si accorge che ha il viso bagnato di lacrime. E le si avvicina. Si siede sul letto, accanto a lei.
"Hey, zuccherino! Che c'e'?"
"Niente"
"Non si piange per niente, Dawnie..."
Si sorprende, Spike, dell'inclinazione paterna che ha assunto la sua voce. Un dolce rimprovero. Gli ricorda la voce imperiosa di suo padre, quando lui era piccolo. Aveva lo stesso tono caldo e rassicurante. Lo stesso che aveva usato lui adesso. Dawn interruppe i suoi pensieri.
"E' solo che...ti prego non lasciarmi piu' con lei..."
"Miranda?"
Dawn abbasso' gli occhi, annuendo.
"Mi ricorda troppo lei...e poi...ha quegli occhi..."
Spike la capisce. Davvero. Quegli occhi. Non sono occhi umani. Troppo profondi, come se non ci fosse mai una fine. In quelle iridi verdi, ma di un verde abbagliante, un verde che avrebbe fatto impallidire lo scintillio di uno smeraldo. Un verde inquietante. Ecco, si'. Inquietanti. Gli occhi di Miranda erano esattamente questo. Inquietanti.
"D'accordo, piccola, resto qui. Dov'e' adesso, lei?"
La ragazzina ci pensa un attimo su, sembra non sappia cosa rispondere. Spike teme che sia proprio cosi'.
"Ok, ok, non importa...vado a cercarla."
Dawn annuisce, tornando a guardare uno stupido programma alla TV. Sperando di poter trovare una qualche distrazione. Non ne puo' piu' di pensare che sua sorella non c'e'. Vorrebbe che arrivasse, letteralmente piombasse in camera sua come un uragano e la rimproverasse perche' ha le scarpe sul letto. Si', le mancano anche i suoi rimproveri. Le sue carezze prima di andare a dormire, le scuse quando esagerava. Le scenate che le faceva quando si metteva nei guai. Le notti sveglia ad aspettarla fino a quando la vedeva tornare dalla ronda. Ogni notte col pensiero di non vederla tornare, nel vialetto di casa, di non vederla infilare la chiave nella toppa. Di non vederla alzare gli occhi verso camera sua per controllare se stesse dormendo. Quello sguardo sorridente quando, vedendo le luci spente, pensava che davvero stesse dormendo. Di non vederla, dallo spiffero della porta, salire stanca le scale e fiondarsi in camera sua, preoccupandosi di non fare rumore. Paura di non vederla. E,!
  la notte scorsa, vinta dall'abitudine di restare sveglia ad aspettarla, aveva visto le sue paure concretizzarsi. Non era tornata.
Spike si alza, lasciando Dawn alle sue riflessioni. Deve cercare Miranda. Si volta giusto un attimo, prima di sparire oltre la porta.
"Dawn?"
Lei si gira. Nessuna espressione sul suo viso. Sembra priva di emozioni.
"Fino alla fine del mondo, Briciola..."
Lei sorride. Si', lo so che andresti a prenderla fino alla fine del mondo e anche oltre...lo so, Spike...
E lui scompare oltre la porta, cercando quella ragazza inquietante in quella casa che, senza Buffy, pareva dannatamente grande...

Vento freddo e sapore forte e pungente di mare. Che entra dalla finestra e si stagna nelle pareti umide. E fa freddo. Ed e' buio. Come se fosse notte. Ma notte non e'. Non ancora. E per molto ancora, non sara' notte. Uno scorcio di cielo color piombo si intravede dalla finestra. Nuvole cosi' vicine che pare di poterle toccare. Vento cosi' forte, che entra in una cella resa fredda dalla solitudine e dalla paura. Dal terrore di vedere quella porta scura ed umida aprirsi. Vedere entrare quell'uomo, il suo boia, pronto a calare l'ascia sul suo collo bianco. Quell'uomo che, non si sa come, l'ha ributtata nell'inferno dal quale sembrava essere uscita. Credeva davvero di non dover piu' vedere sangue. Sulle sue mani, come acido. Che corrode e brucia e brucia e corrode. Sulle pareti, intonaco fetido e nauseabondo. E invece e' di nuovo li', rannicchiata contro una livida e fredda parete di pietra, avvolta in quella treccia dorata che sembra acquistare il colore del rame, sotto i suoi !
 occhi increduli. E flash orribili le invadono la mente. Lei, pugnale alla mano, che litiga con un uomo grasso e brutto. Lei che si vede stretta e percossa da quel vecchio dalle mani ruvide e rugose. Lei che, stanca e disperata, alza quel pugnale pulito, e lo sporca di sangue. Una volta e due e tre. Fino a che quell'uomo, che le ispira solo disgusto e ripugnanza, non cade a terra, contorcendosi nell'agonia. Ma l'ultima punizione, l'ultimo schiaffo, l'ultima pugnalata, gliela infligge lui. Che, raccogliendo quelle poche forze rimastegli, getta quell'ultimo grido, che segna la fine di entrambi. Gendarmi armati che accorrono e catturano lei, che, del tutto indifferente, si fa trascinare docilmente via, reggendo tra le mani ancora quel pugnale grondante sangue, stringendosi la veste sporca di scarlatto. Rimembranze di un omicidio...e si ritrova a chiedersi chi fosse stato l'assassinato e chi l'assassino. Chi alla fine, ci avesse rimesso di piu'. Quell'uomo, che ha finito quell'i!
 ntuile esistenza velocemente e soffrendo poco, o lei che scont!
 ava la s
ua pena tra atroci tormenti e la certezza della morte che le cresceva dentro come una pianta velenosa? Chi? Lui, che aveva terminato i suoi giorni in liberta', o lei, esile uccellino a cui avevano strappato le ali? E come unica consolazione, l'ombra dell'uomo che amava, che lei stessa stava trascinando nell'abisso insieme a lei. Come se non bastasse rovinare la propria esistenza, finirla imprigionata tra quattro mura, cuore in gabbia che non avrebbe piu' potuto volare...no, non bastava...doveva portarsi dietro anche lui...non importa se Spike o Juan, tanto l'aveva fatto con tutti e due...trascinarli in un abisso senza fine, senza uscita. Ma che mostro era? No, non era un mostro...solo una donna. E, lei, donna e basta, non mostro, ne' assassina, ma assassinata, ascolta fremendo d'angoscia quella porta aprirsi, e un uomo alto e vestito di nero entrare. Balza in piedi, Buffy, schiacciandosi piu' che puo' contro la parete fredda della cella. Il vento che entra sibilando dalla fi!
 nestra assume lo stesso tono stridente di un grido.
Grida lui per me, che non ho piu' voce...
Antonio si slaccia con noncuranza il cappuccio fradicio. Sulla tonaca nera e brillante che indossa, spunta bianco e ancor piu' radioso un giglio. Cosa sarcastica. Un fiore cosi' bello e puro, a decorare la veste proprio di quest'uomo. Scherzi del destino. L'Inquisitore non la guarda nemmeno. In mano regge alcuni fogli su cui spicca l'inchiostro nero appena asciugato. Li rilegge per un istante, come se non ne ricordasse il contenuto. Buffy lo guarda. E lui, improvvisamente, alza quegli occhi di pietra, onice nera, su di lei. Li fissa sul suo vestito, tornato ad essere il semplice saio monacale, osservando rapito le curve del suo corpo da sedicenne. Il saio bagnato le fa risaltare ancor di piu'. Buffy nota quello sguardo avido. Ma resta ferma, alta e maestosa come nel ritratto. Sapendo che la sua corte infernale e' proprio li', accanto a lei. La vede, lei. Demoni schierati su nuvole color piombo. E, forse, per un attimo anche lui li vede, perche' un sentimento simile alla paur!
 a sembra nascere per un istante in quegli occhi neri, per poi tornare alla loro inespressiva durezza.
"Che ci fate voi qui?"
Lui fa giusto un paio di passi verso di lei. Lei, senza muovere un sol muscolo, alza una mano. E' calmissima. Non sa cosa le prende, ma sente la sua stessa voce riecheggiarle nella testa. Una voce imperiosa.
"Vi avverto che se vi avvicinate, mi mettero' a gridare!"
Sa che non griderebbe. Buffy sa che fara' qualcos'altro, se quell'uomo s'avvicina ancora di qualche passo. Solo, non sa cosa. E' come se, per un attimo, il suo corpo non fosse piu' suo. Come se non fosse lei a guidarlo, ma il suo stesso odio per quell'uomo. Che le dice che non gridera'. Ma non stara' nemmeno ferma a guardare.
"Non griderai..."
Bene, se n'e' accorto anche lui. Non una sillaba esce dalle labbra di Buffy. Mentre Antonio continua imperterrito ad avvicinarsi.
"Sono solo venuto a farti un'ultima offerta, bella...ora scegli: o me, o il fuoco..."
Ora era ad una spanna dal suo viso. Buffy sorrise, di un sorriso sarcastico. Antonio resto' a fissarla per un attimo, prima che uno sputo preciso ed implacabile lo colpisse in pieno viso. Si ritrasse, umiliato e adirato. E solo allora Buffy comprese realmente la portata di quanto avesse appena fatto. E, incredibilmente, non le importo'. Un uomo lo puoi uccidere una sola volta...Antonio la afferro' violentemente per le braccia, strattonandola con forza.
"Piccola sgualdrinella! Cosa credi, di essere diversa dalle altre? Cos'e', il tuo prezzo e' piu' alto? Lo riampiengerai, quando starai ballando tra le fiamme di un rogo!"
Lei, stranamente per niente impaurita, si limito' a fissarlo dritto negli occhi. Aveva ancora quella sensazione, come se quel corpo non fosse piu' controllato da lei. Ne' quello, ne' le parole che diceva con una freddezza che la spavento'.
"Mi lasci."
Non era stata una richiesta. Un ordine. Davanti al quale Palacio era rimasto interdetto per un istante. Nessuno si era mai permesso di dargli ordini. Tranne il Papa, ma forse nemmeno lui. La lascio'. Salvo mollarle un sonoro schiaffo sul viso appena qualche secondo dopo, che le fece voltare violentemente la testa. Per un attimo vide tutto rosso. No. Non era lei a vedere rosso, era sangue che le colava dalla tempia. Un anello di Antonio le aveva sfregiato il volto. Un dolore acuto si impossesso' di lei, rimpiazzato quasi subito da un odio furibondo. Prese ad ansimare come un animale. Respiri corti e veloci. E poi senti' di non essere piu' lei. Lei aveva abbandonato quel corpo, ed osservava la scena dall'alto. Osservava lei stessa attorniata da una corte di demoni urlanti. Antonio non li vedeva, ma dal terrore che Buffy gli leggeva negli occhi, dovette aver sentito le grida. E poi vide se stessa librarsi a mezz'aria, gli occhi verdi e brillanti che mandavano saette, i capelli !
 biondi che si alzavano in una nube sulla sua testa, come dotati di vita propria. E guizzavano, tentando di colpire Antonio che si ritraeva inorridito in un angolo. E si vide circondata da una tremenda luce rosso fuoco, che illuminava a giorno la tetra cella.
"Vade retro! Vade retro, bestia del Demonio!"
Antonio alzo' un crocefisso. Lo punto' contro quella donna che lo fissava con odio dall'alto dove si trovava. E poi, improvviso come tutto era iniziato, smise. La figura sospesa a mezz'aria calo' di nuovo in terra, i capelli le ricaddero sulle spalle tremanti, gli occhi tornarono ad essere miti e quieti. E lei si senti' di nuovo all'interno del suo corpo. Mentre Antonio la fissava con orrore e disgusto.
"Piccolo demonio! Morirai! Si', tu...tu morirai! Ecco, ero venuto per portarti questi! Sono gli atti! E il Vescovo li ha firmati! E ti assicuro che il processo sara' terribile! Ci rivedremo presto."
E usci', lasciandola sola. Con l'orrore per cio' che aveva fatto. Dio mio...era davvero posseduta, allora! Oh mio Dio...scivolo' sul pavimento di terra battuta, piangendo per il dolore alla tempia e per la paura crescente. Scivolo' fino ad arrivare accanto a quelle carte che giacevano in disordine accanto alla porta. Una breve occhiata. Lo sguardo le scivolo' sul bordo della pagina. Giu'. E vide, al massimo del terrore, la firma del Vescovo, lo stesso Vescovo che Juan le aveva detto non avrebbe mai firmato. E l'aveva appena condannata a morte...

Un pomeriggio cosi' freddo non l'aveva visto mai. Ma forse era solo un impressione. Solo quel disagio interiore, che si riflette in ogni cosa che vediamo. Perche', se ci pensiamo, una cosa (un oggetto, un cielo terso, una tempesta), cambia significato a seconda del nostro umore. Un cielo terso puo' essere bellissimo, se siamo sereni. E sembrare cosi' sconfinato, cosi'...angosciante, se invece abbiamo qualcosa che non va. Una tempesta puo' provocare in noi timore, quello reverenziale di fronte allo spettacolo della natura. Oppure puo' sembrare freddo e semplicemente brutto. Dipende da come ci sentiamo. A Spike, quel temporale che infuriava fuori quella casa cosi' immensa, cosi' grande e sconfinata, metteva paura. Una paura senza nome. Lo angosciava, sembrava tirargli via quel po' di tranquillita' che gli rimaneva. Cielo nero, nubi nere, pioggia nera. Ma forse era lui a vedere tutto nero. A voltare le spalle alle gocce di pioggia.
Se non volterai le spalle alle gocce di pioggia, le troverai bellissime.
Si', come mille cristalli d'arcobaleno. Gocce d'argento fuso. Oppure lacrime. Ecco a cosa pensava Spike, guardando cadere quell'acqua dal cielo. Non e' argento, non sono gocce di arcobaleno. Sono lacrime. Il cielo piange al posto mio.
Si ferma per un istante a contemplare quella cascata argentea sbattere contro la superficie dura dell'asflato, o insinuarsi sotto un soffice terreno coperto d'erba. Striare la finestra dalla quale lui guarda fuori, e gli sembra di guardarsi dentro. Perche' quello e' il ritratto del suo stato d'animo. Tempesta. E tuoni e lampi. Sobbalza all'improvviso, come risvegliatosi da un piacevole torpore, e si ricorda di Miranda. Ha guardato dappertutto, sopra. Ma sopra lei non c'e'. In cucina non c'e'. E nemmeno nell'ingresso. Spike comincia a preoccuparsi. Inclina la testa, cercandola con lo sguardo in ogni pertugio possibile. Ma di lei nessuna traccia. E poi, tendendo l'orecchio, sente qualcosa. Sotto il tumulto della pioggia battente. E sorride, scuotendo la testa. Sente risate. Una sola. Una risata cristallina che lui ricorda fin troppo bene. Una risata dolce e allo stesso tempo terribile. Come il canto delle sirene. E lui segue quel suono, piu' bello di tante melodie ascoltate, e!
  si ritrova davanti alla porta che da' sul retro. Afferra la maniglia senza nemmeno acorgersene. E' come in trance. Apre quella porta. Fuori c'e' ancora pioggia. Ma, improvvisamente, non gli sembrano piu' lacrime, ma fili argentati che ricadono dolcemente sul viso di una sedicenne dai capelli dorati. E le appiccicano addosso quel vestito bianco che le ha prestato Dawn, mostrando quel corpo che Spike ha assaggiato tante volte. Che sembra una statua d'avorio e porcellana. E uno scintillio di denti bianchi mentre lei gira su se' stessa, ridendo, lasciandosi inondare dalla pioggia che le cade addosso, giocando con lei, scivolandole su, in una danza maliziosa che non finirebbe mai. E occhi che brillano, felici di quella piccola cosa. Danzare nella pioggia. A piedi nudi nell'erba. E semplicemente girare in tondo, finche' la testa non ti gira, tanto che ti devi fermare. E pensare che ti fermerai soltando svenendo. Nessuno mi ferma. Spike la osserva in silenzio. Si siede sul portic!
 o, dove anni prima aveva condiviso il dolore di Buffy. La scop!
 erta di
quella malattia. Lui che avrebbe solo voluto ucciderla. Ci aveva davvero pensato? Insomma, sarebbe stato davvero capace, di ucciderla? No. Probabilmente si sarebbe bloccato col fucile a mezz'aria, lacrime o non lacrime. No, l'avrebbe guardata in faccia e sarebbe scappato. O avrebbe fatto come in quel sogno. Da quando era cominciato il suo paradisiaco inferno. Le si sarebbe piazzato davanti, togliendosi la camicia, e le avrebbe detto di finirlo. E poi, magari...magari l'avrebbe afferrata, e l'avrebbe baciata. Come se la sua vita fosse dipesa da quel bacio. Come se fosse stata sangue, e lui fosse stato assetato. Come Buffy. E come Spike. Spike che adesso ripensava agli inizi di quella che doveva essere nient'altro che un illusione, nient'altro che un'ossessione...ed era diventato l'amore piu' grande e devastante della sua vita. E della sua non vita. Spike che guardava quella ragazza ballare sotto la pioggia, sorridergli maliziosa. Che vedeva quelle piccole gocce infrangersi su!
 l suo viso d'angelo, bagnarle i capelli lunghissimi. Solcare come un percorso quel corpo. Perfetto, per lui. Eccoti. Ci sei. Sei qui, davanti a me. Ma non sei tu. Perche' non puoi essere tu?
Finalmente, dopo un tempo interminabile, quella magia perfetta venne rotta dalla ragazza che, troppo stanca per continuare a girare, corse a sedersi accanto a Spike, sotto la protezione del portico. Grondava acqua. Ed era cosi' innocentemente sensuale. Senza volerlo. Come lei. Spike non pote' evitarsi di sorridere, ancora per un attimo.
"Dio, era una vita che non lo facevo!"
"Danzare sotto la pioggia?"
Lei si giro' per un attimo a guardarlo. Dritto negli occhi, con quell'impudenza che era propria di Buffy Summers. Poi, torno' a fissare la pioggia che cadeva pigramente nel prato.
"Ti fa sentire libera..."
Spike annui', osservando insieme a lei quelle mille gocce. Sembravano tutte uguali. Eppure ognuna possedeva qualcosa di diverso dalle altre. Guarda, quello scintillio azzurrino. Ce l'aveva solo quella goccia li'! O guarda quella, e' enorme! Le gocce di pioggia sono come le persone. Sembrano tutte uguali, ma ognuna ha in se' qualcosa di speciale, che la differenzia dalle altre. Rimasero cosi', perdendo il senso del tempo. Finche' Spike sospiro', tornando con gli occhi verso la ragazza, assorta nel contemplare una goccia che cadeva piano da una ciocca dei suoi capelli bagnati.
"A cosa pensi?"
Lei non stacco' gli occhi dalla goccia.
"A quanto il tempo sia un concetto sbagliato..."
"Che vuoi dire?"
Lei osservo' la gocciolina cadere. Segui' il suo volo fino a che non si infranse contro le mattonelle color terra del portico.
"Che noi siamo cosi' attenti a pensare al presente...da non renderci conto che il presente non esiste..."
Spike sorrise, volgendo i suoi occhi blu allo spettacolo della tempesta.
"Non esiste?"
"No. Il tempo e' solo un illusione...andiamo, pensaci...il passato e' solo un ricordo, giusto?"
Spike annui'.
"E il futuro e' solo immaginazione..."
Spike le punto' gli occhi negli occhi.
"Dove vuoi arrivare?"
"Voglio dire che ricordi ed immaginazione non sono altro che illusioni! E quello che noi chiamiamo presente, e' solo un istante che passa da immaginazione a ricordo!"
"Non ti capisco..."
"Quello che sto cercando di dire...e' che noi viviamo in un illusione. Non c'e' niente di concreto nella nostra vita. Quello che sto per dirti lo sto immaginando in questo momento, ma quello che diro' potra' essere diverso. Ora, cio' che ho appena detto appartiene al passato, e' solo un ricordo, e i ricordi non sono sempre affidabili. Vedi? La nostra vita non e' altro che un illusione..."
Spike avrebbe voluto trovare una falla nella teoria di Miranda. Solo...non ce n'erano. Aveva ragione. Viviamo in un illusione...e' dunque tutto qui, la vita? Una successione ininterrotta di immaginazioni che diventano ricordi? Facciamo tutti parte di una mera illusione? Domande...


"Avete firmato?? Voi...voi avete firmato??"
Juan andava avanti e indietro per la sala, sembrava un lupo in gabbia. E i ringhi che emetteva erano gli stessi. Ma come poteva Ygnatio Virtudes dargli torto? Aveva appena venduto ad uno sporco ricatto la donna che il suo bibliotecario, il suo figlioccio, per cosi' dire, amava...e si sentiva un verme.
"Sono stato costretto, Juan..."
"Nessuno costringe qualcun altro a fare cio' che non si vuole! Voi l'avete solo trovato piu' conveniente!"
Come poteva dirgli che l'aveva fatto per lui, per salvargli la vita?
"Juan, te lo giuro, non avevo scelta!"
"E avete deciso di uccidere una ragazzina di sedici anni? Oh, Dio ci aiuti!"
Il Vescovo se ne stava disteso sulla sua sedia a dondolo. Si sentiva piu' vecchio di dieci anni. Si sentiva allo stesso livello di Antonio Palacio. E, quel che e' peggio, sentiva di aver irrimediabilmente compromesso il rapporto tra lui e Juan Delgado.
"Io...io mi sono confidato, con voi! Vi ho aperto il mio cuore! Mi avevate fatto tutte quelle promesse...erano solo belle parole? E intanto avevate gia' deciso di firmare..."
"No!"
Virtudes di alzo' barcollando dalla sedia, puntando l'indice accusatore contro Juan.
"No. Non avevo deciso di firmare! Ho detto in buona fede, cio' che ho detto."
Juan non accennava a calmarsi. Si paro' dinanzi alla figura imponente del Vescovo. La rabbia lo faceva sembrare piu' alto.
"Pero' poi avete firmato! Dov'e', la vostra buona fede, in tutto questo? Le vostre promesse, il vostro onore? Dov'e' l'affetto che avete per me?"
Il ragazzo quasi piangeva. Il Vescovo quasi piangeva. Se avesse avuto Antonio Palacio tra le mani...! ma Antonio era al convento per dire a quella povera ragazzina che sarebbe morta di li' a pochi giorni, se non ore. Se c'era qualcuno che amava affrettare i tempi, quello era Antonio Palacio. Probabilmente stava gia' prendendo appuntamento col boia. O forse stava studiando la tortura migliore sul 'malleus maleficarum', la bibbia degli inquisitori, il libro piu' sadico e schifoso mai scritto da mani umane. Un libro che il Papa avrebbe dovuto far censurare subito. Ma lui si preoccupava di censurare libri di splendide poesie che potevano 'fuorviare' le menti di buoni cristiani...davvero assurdo. Il 'malleus maleficarum' conteneva tutti i piu' assurdi metodi di tortura mai provati su esseri umani, per non parlare delle assurdita' su streghe e demoni. In tempi agitati come quelli, se ne sarebbe volentieri fatto a meno. E se ne sarebbe fatto a meno anche di Inquisitori come Antonio!
  Palacio. Un uomo che perseguitava presunti demoni. Quando l'unico vero demonio era proprio lui.
"Come puoi pensare che non abbia affetto per te, Juan? Devi credermi, non potevo fare altro! Io...credi che io voglia avere la coscienza sporca di un tale delitto?"
"E allora perche' l'avete fatto?"
Ormai le lacrime rigavano le guance dei due uomini. Virtudes non poteva dirgli il vero motivo. Non solo perche' Palacio gli aveva imposto il silenzio, ma anche perche' si sarebbe sentito, Juan, colpevole di quella firma. E non se lo sarebbe perdonato. Cerco' di darsi un tono, il Vescovo. E rispose come avrebbe dovuto, nonostante il cuore gli si spezzasse ad ogni sillaba.
"E' la legge della chiesa, Juan"
E, mentre Juan se ne stava impietrito davanti la risposta del Vescovo, che mai avrebbe pensato fosse capace di una tale atrocita', una ragazza dalla lunga coda dorata veniva preparata per un appuntamento. Aveva un appuntamento importante. Un appuntamento con la morte...

Capitolo XI

Pioggia contro una finestra di vetro. Sembra che attiri su di se' gli sguardi degli esseri umani. Sembra una malinconica calamita. E mille occhi la guardano. Non c'e' una persona che, almeno una volta nella vita, non e' rimasta come ipnotizzata davanti a quelle strisce argentee che rigano la superficie liscia del vetro. Come se una forza superiore impedisse agli occhi di staccarvisi. Ma, in fondo, quegli occhi nemmeno lo vogliono. Perche' e' cosi' tristemente bello, quello spettacolo. E sporgersi un po' di piu', sfiorando il vetro con le labbra, e guardare le nuvole grigie che solcano quel cielo azzurro che azzurro non e' piu'. Ha un colore del tutto diverso. Come se fosse colato piombo sulla sua volta immensa. E, tra le nuvole, ammirare lo spettacolo dei fulmini, scariche azzurrine che piombano giu', fendendo le nuvole, graffiando l'aria, bruciando la terra, impietosi carnefici. E ogni tanto, un timido raggio di sole, oro puro, attraversa coraggiosamente quel mare di nuvole!
 , e si posa leggero ed impalpabile su un punto, e un punto solo. Dura un solo attimo. Poi, una nuvola nera, invidiosa della luminescenza di quel raggio dorato, l'oscura. Ed il mondo ripiomba nell'oscurita'. In quel buio malinconico che sempre affianca la tempesta. E osservare rabbrividendo raffiche di vento sollevare sabbia e polvere dal suolo, portandoli su, formando piccoli tornadi di polvere rossa. E vento che gioca prepotentemente con le fronde degli alberi, e danza malizioso con i suoi rami, li scuote, li solletica. E occhi incuriositi osservano. Da dietro il vetro della finestra, appannata dalla pioggia. Due occhi, in particolare, osservano, rabbrividendo. Non hanno visto spesso una tempesta. Occhi che guardano stupiti quello spettacolo. Occhi ambrati, con un velo di preoccupazione ad oscurarne la semplice bellezza. E' preoccupata. E non le piace esserlo. La fa sentire impotente, piccola piccola, rispetto alla grandezza degli eventi che la circondano.  E se ne sta fer!
 ma, riflettendo quasi in trance, con la testolina bionda appog!
 giata co
ntro la finestra del Magic Box. Respira piano, con regolarita'. Con il ritmo della pioggia. Che batte sul vetro, e sembra voglia entrare all'interno. Gocce di solitudine. E lei le guarda, sbattendo le ciglia, rabbrividendo al contatto con la superficie fredda della finestra. Accanto a lei, sul ripiano dov'e' seduta, giace un libro dalle pagine ingiallite. E' aperto alla pagina dedicata all'Inquisizione del primo cinquecento. Anya sposta distrattamente lo sguardo sul libro, per poi riportarlo stancamente alla pioggia oltre la finestra. Vorrebbe essere li' fuori. Libera, senza pensare a niente. Senza questa ingombrante preoccupazione. E poi...perche' erano ancora li'? Il sole stava tramontando, ed erano li' dalla sera precedente. Le palpebre le si facevano man mano piu' pesanti, mentre un lieve torpore si impadroniva piano del suo corpo. Dolcemente, con una pacata discrezione. Il sonno gia' da qualche ora si era impossessato di lei. Lei, troppo fragile per combatterlo.
"Willow...perche' siamo ancora qui? Spike se n'e' andato, gli hai detto che ce ne saremmo andati anche noi! Anche Giles e' tornato a casa...sono cosi' stanca! Glielo avevi promesso, a Spike, che ce ne saremmo andati..."
La rossa, seduta dietro una pesante scrivania di legno, esaminava attentamente le pagine di un volume spesso due volte quello che Anya teneva placidamente disteso accanto a lei. Alzo' la testa con uno scatto. Anche nei suoi occhi brillava il sonno. Occhi gonfi e rossi per la stanchezza. Un sorriso gentile le spunto' sulle labbra.
"Si', gli ho detto cosi'..."
Xander, dall'altro capo della scrivania teneva un altro libro tra le mani. Gli occhi fissi sulle pagine ingiallite dall'usura e dal tempo. Occhi che sembravano dormire, seppure aperti ed apparentemente vigili. Occhi che balzarono come due pantere nere ed affamate sulla figura di Willow. Willow che osservava Anya e le rispondeva con una nota di rassegnazione e tenerezza nella voce. Willow preoccupata e spaventata. E non solo quello.
"Cosa c'e', Will? Forse dovremmo riposare...sembri stanca."
"Sono stanca"
"E allora...?"
Lei alzo' finalmente gli occhi dal libro che stava esaminando minuziosamente. Pieta', nei suoi occhi verdi, illuminati da un pizzico di speranza.
"Xan...se voi volete andare, andate...ma io devo aiutarli."
Anya torno' ad ignorare le goccioline di pioggia che rigavano la finestra. Guardo' Willow. Le pose la sua domanda, pur conoscendo esattamente la risposta.
"Chi?"
"Spike e Buffy"
Aveva una nota di pacata amarezza, nella voce. Come se avesse voluto poter fare davvero di piu'. Come se si sentisse inutile.
"Will...vogliamo aiutare tutti, Buffy"
"...E Spike."
L'interruzione arrivo' a Xander come un rimprovero. Si tiro' indietro, contro lo schienale della sedia, mentre Anya scendeva dalla sua postazione accanto alla finestra, sentendo chiaramente odore di incomprensioni nell'aria. Xander incorocio' le braccia sul petto, con fare offeso.
"Scusami tanto, Will, se nei miei aiuti tralascio mister 'non-c'e'-niente-di-meglio-al-mondo-che-scoparsi-una-cacciatrice'! Scusami davvero tanto, se nei miei aiuti tralascio un demone!"
Willow chiuse il libro con un tonfo sordo. Una nuvoletta di polvere grigia si alzo' dal tomo rilegato in cuoio nero. I suoi occhi avevano improvvisamente ripreso colore e vivacita'. Anya si sedette in silenzio accanto a loro. Loro che fingevano quasi di non vederla. La strega osservo' Xander, fissandolo intensamente negli occhi. Lui faceva altrettanto, reggendo quello sguardo duro.
"Mi era sembrato, solo pochi giorni fa, che avessimo tutti archiviato, questa storia. Senti, Xander, io ero la prima a non fidarmi di Spike, all'inizio. E non far finta di non ricordarlo! Non lo sopportavo, e non lo nascondo. Ma so riconoscere quando una persona cambia! Credimi, nessuna e' piu' esperta di me, in cambiamenti! E Spike e' cambiato, e fa di tutto per dimostrarlo...perche' non gli concedi una seconda possibilita'?"
Anya sposto' lo sguardo su Xander, come se fosse stata una mediatrice tra i due. Lui aveva le labbra tremanti di rabbia. Negli occhi, ardeva odio. Ma Anya non avrebbe saputo dire se fosse per Spike...o semplicemente per se' stesso.
"Uno come SPike non puo' cambiare! Uno che ha massacrato mezza Europa, uno che ha tentato piu' volte di ammazzarci tutti, uno che ha tentato di violentare Buffy...non ha diritto a nessuna seconda possibilita'. Credimi Will, io ci provo ad accettarlo. Ci provo a pensare che puo' cambiare, che sia cambiato. Ma non ci riesco. Non riesco a fidarmi di lui. E' solo un demone..."
Prima che Willow potesse ribattere, Anya si era alzata dalla sedia. Rumorosamente, cercando volutamente di farsi notare. Xander ebbe un sussulto, e si giro' verso di lei. Willow fece altrettanto. Sembrava piu' alta, Anya, quando era arrabbiata. Ora era esasperata. Come darle torto? Da ex demone si sentiva chiamata in causa. I suoi occhi ghiacciati erano per Xander.
"Maledizione, Harris! Per una volta, una dannatissima volta...metti da parte la tua gelosia, e prova a guardare oltre il tuo naso!"
Xander la guardo', sconcertato. Perfetto, era davvero il colmo! Willow ed Anya che prendevano le parti di Spike. E lui, da solo, a cercare di farle ragionare. Anya non sembrava intenzionata a fermarsi.
"Credi che i demoni non possano amare?? Sei convinto di questo, Xander? Solo perche' non hanno una maledettissima anima? E allora ti diro' una cosa: tu hai un'anima, ma questo non ti ha impedito di lasciarmi ad un passo dall'altare! Mentre Spike, che non l'aveva fino a pochi mesi fa, si sarebbe buttato nel fuoco per salvare Buffy! Come lo chiami questo? Ossessione? Quante persone 'ossessionate' conosci che avrebbero fatto tutto quello che Spike ha fatto e sta facendo per la propria 'ossessione'? Quante, Xander? Quante? Quante persone su questa dannata terra sanno amare davvero? Spike lo sa. Sa amare. Dio, e' cosi' difficile? L'anima non e' un gioiello da mostrare. L'anima non e' qualcosa che si puo' vedere, ne' toccare. L'anima e' nelle profondita' di una persona. E siamo solo noi -noi-, a decidere se mostrarla o nasconderla! Spike ce l'ha mostrata, l'ha sempre avuta. Non aveva nessun motivo per correre fino alla fine del mondo per riprendersi qualcosa che aveva gia', tranne!
  la nostra stupida e ostinata diffidenza! "    
Anya tacque, consapevole solo in parte delle parole che aveva appena pronunciato. Guardo' Willow. Lei la fissava sbalordita. Sembrava sorpresa che parole cosi' profonde e umane fossero uscite proprio dalle labbra di quella ragazza tanto superficiale. Anya lo sapeva, che pensava questo. E si sentiva orgogliosa per averle dimostrato che sotto quell'involucro scuro di superficialita' e indifferenza batteva un cuore, un cuore vero, che riversava parole come da una fonte, quando si sentiva in qualche modo chiamata in causa. Volse gli occhi ambrati verso Xander. Il suo sguardo e' puro shock. Lo sguardo di chi comprende piano, a fatica, che cio' che ha appena sentito e' reale. E' vero. Terribilmente vero. E abbassa lo sguardo, Xander, come se non potesse reggere quello della sua ex. Che ha appena capovolto il suo pensiero. Era semplice, il pensiero di Xander: io umano, anima, amore...Spike demone...freddo, indifferente, incapace di provare emozioni. Pero' lui aveva abbandonato Anya!
 , aveva ferito diverse volte i suoi amici e istigato altri a ferirsi. E Spike aveva rischiato di morire tante volte da perderne il conto, per una semplice parola di perdono. Da parte di Buffy. E, per quanto cercasse di negarlo anche a se stesso, anche da parte loro. Parole mai arrivate. Non un rumore, in quella stanza. Silenzio perfetto, rotto solo dai respiri corti e irregolari di Anya e da quelli regolari di Willow e Xander. Che, silenziosamente, si risiedono. Prendono i libri lasciati aperti sulla scrivania. E cercano. E sanno, in cuor loro, che non lasceranno quella stanza senza una benche' minima traccia di soluzione. Per aiutare Buffy. Per aiutare Spike.

Fuoco. Lingue rosse con un cuore dorato che ardono e sfrigolano nelle profondita' di un camino. Riducendo a cenere nera e fumante sterpi e robusti rami del colore della terra. Fuoco che sembra danzare, con movimenti sinuosi e sensuali, ondeggiando e frusciando. Fuoco che ipnotizza. Fuoco che infiamma. Fuoco che lo guardi e rabbrividisci. Buffy lo guarda. E rabbrividisce. Perche', inaspettatamente, non lo sente. Ne' calore, ne' colore. E' come se tutto, attorno a lei, fosse grigio e freddo. Tende una mano bianca e tremante verso quella fiamma. Quasi la sfiora. Ma sente solo freddo.
Rivoglio il fuoco indietro...
Seduta su una sedia, davanti al camino, nell'anticamera del suo inferno. Una suora piuttosto gentile le pettina i capelli, quella chioma lunga e lucente che sembra rifulgere dello stesso fuoco che brilla nel camino di fronte a lei. Indossa una tonaca porpora, lunga fino alle caviglie. Ha gli occhi fissi nel vuoto, mentre la preparano perche' la sua fine abbia inizio. Mentre la preparano per il processo. Fa terribilmente freddo. La tempesta infuria ancora, oltre il convento. Dalla finestra puo' sentire forte il ruggito del mare. Le onde che si infrangono con un boato contro le mura del convento. Onde cosi' alte che qualche gocciolina argentata arriva anche in quella stanza, al quarto piano di quell'edificio di pietra fredda. Trema tutta. Non sa se e' paura o freddo. Probabilmente, entrambe le cose. Appeso alla parete, c'e' un piccolo specchio. Alza gli occhi un istante su quella superficie di vetro, liscia e lucente. Si vede per la prima volta. Dio, sono proprio io...ma da qu!
 el viso, maschera di porcellana, non traspare niente. Ne' dolore, ne' angoscia, ne' paura. Come se non le importasse. O forse e' solo per orgoglio che non sta strillando, pregando alle monache di lasciarla fuggire. Solo una parvenza di dignita'. Se deve morire, che almeno sia dignitosamente. La monaca infila per un ultima volta il pettine tra le ciocche di Buffy, come se fosse un pugnale. Scende tranquillamente fino alle punte di quei meravigliosi capelli d'oro. Poi, si ferma. Buffy ha un sussulto. Un panico improvviso si impossessa di lei. Prende a tremare convulsamente, tanto che le due monache che la scortano devono sorreggerla da entrambi i lati per non farla cadere. Ma dura solo un attimo. Poi, la ragazza si raddrizza, alta e maestosa come nel dipinto. E a testa alta esce da quella stanza. Percorre con calma apparente tutto il corridoio. E poi esce, nel porticato dove si trova quel bellissimo giardino che aveva visto l'ultima volta che vi era passata, solo il giorno pr!
 ima. O due giorni fa, forse. Il tempo aveva smesso di avere im!
 portanza
, nella sua mente. Quel giardino che le era parso meraviglioso. Ed ora, passandoci accanto, lo guarda di nuovo, con altri occhi. La pioggia cade su quei fiori rossi che aveva trovato stupendi, e che ora le sembrano lacrime di sangue. Sangue su un vestito verde. E la pioggia nient'altro che aceto su una ferita aperta. E quelle colonne sembrano stringersi e soffocarla, cosi' alte da far venire le vertigini. E poi, eccola. La nicchia con la statua della vergine. Le monache si fermano davanti quell'immagine di pacata benevolenza. Lei alza gli occhi sulla statua. Occhi che, improvvisamente, si riempiono d'orrore. Quella figura che le era parsa tanto familiare ora non le sembra altro che una donna troppo alta, austera ed orgogliosa. E quella mano alzata le da' i brividi. No, non e' la' per benedire. E' un segno d'ammonimento. Un segno quasi minaccioso. Alza la mano per scacciarmi. E quel sorriso di pietra che sembra farsi gioco di lei. E quei due occhi che improvvisamente le sembr!
 ano senza espressione, rpivi di quella quieta dolcezza che vi aveva visto solo pochi giorni prima. Le monache le fanno cenno di voltarsi. E lei si volta verso la porta della chiesa. Quella porta che le era sembrata la porta del paradiso e che ora le sembra l'unico accesso per l'inferno. Varcare quella porta fu la cosa piu' difficile che avesse mai dovuto fare. Un passo, piu' difficile che ammazzare demoni, piu' difficile di quando dovette uccidere Angel, piu' difficile di qualunque altra cosa avesse mai fatto. Avrebbe voluto accasciarsi li', sulla soglia, e piangere. Singhiozzare fino a quando qualcuno avrebbe avuto pieta' di lei. Ma non lo fece. Invece varco' quella soglia, a testa alta, il viso completamente privo di espressione in superficie. Ma tirato in un orribile smorfia, per chi avesse saputo guardare oltre quello sguardo di pietra. Getto' uno sguardo alla sala gremita. Un'enorme sala, privata per un giorno delle panche, per far spazio a tutti i curiosi che avessero!
  voluto assistere al suo processo. Quindi, davanti a lei, la f!
 olla. E,
 ai lati, i suoi giudici. I suoi boia. Primo fra tutti, con un mefitico sorriso sulle labbra pallide, Antonio Palacio. Lo si notava subito, in piedi dietro il bancone di quercia, vestito dell'immancabile toga nera su cui spiccava, come a volersi prendere gioco di lei, il giglio bianco degli Inquisitori. E la guardava, Antonio, come un gatto affamato guarda il topolino preso in trappola. Schiacciato contro il muro, senza possibilita' di fuga. Un gatto che aveva deciso di giocare con il suo pasto. Buffy lo guardo' per un istante, come volendolo sfidare, poi sposto' i suoi occhi inquieti verso il cielo, verso l'enorme volta, dove ogni sorta di uomini e santi parevano guardarla con disprezzo dall'alto del Paradiso. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Un conato di vomito le sali' alla bocca quando riconobbe l'odore dolce e pungente dell'incenso. Le monache la scortarono fino alla sedia di legno davanti all'enorme bancone sopraelevato degli inquisitori. Come a volerle ricordare!
  che lei si trovava sempre e comunque piu' in basso rispetto a loro. Non aveva nessuno accanto a lei. Non aveva diritto ad un avvocato. E nessun avvocato avrebbe mai voluto prendere le sue difese, contro Antonio Palacio. Era gia' condannata, lo sapeva. Quel processo era solo una farsa per tenere buono il popolino con quella parodia di giustizia. Mormorii inquieti riempivano la chiesa, riecheggiando sui muri altissimi e arrivando attutiti sino a lei. Lei che era troppo frastornata per capirli. Capire quelle voci che si sovrapponevano l'una sull'altra, come se fosse stata un'unica, potentissima voce. Che rimbombava nelle sue orecchie e minacciava di farle esplodere il cervello. Un cervello che ritorno' immediatamente lucido quando il mormorio insistente tacque e Antonio Palacio si alzo' nuovamente dalla sua comoda postazione sopraelevata, reggendo tra le mani pagine e pagine che altro non erano che la sua certa condanna a morte...

Il processo del Vescovo e di Juan Delgado era durato certamente molto di meno, e si era svolto a porte chiuse. Vi avevano preso parte Antonio Palacio e qualche ricco leccapiedi di quest'ultimo. Uomini ansiosi solo di avere la sua riconoscenza. Uomini che avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di non trovarselo contro. Perche' avere contro Antonio Palacio, significava aver perso. Juan ed Ygnatio Virtudes avevano perso ancor prima che il processo iniziasse. E lo sapevano entrambi. Juan era certo di ascoltare una sentenza di morte per eresia. E Ygnatio non poteva dirgli che avrebbe solo dovuto passare qualche ora nel lazzaretto della citta'. Non poteva. Perche' l'avrebbe odiato piu' di quanto gia' lo odiasse per aver firmato quelle carte. Per aver condannato Miranda. Era stato un processo molto meno pomposo, anche. Semplici sedie di legno per entrambe le parti, ed una camera non piu' grande di quella del Vescovo. Ex Vescovo. Il tutto si era svolto in meno di un quarto d'ora, a meno!
  di due ore dal vero processo. Quello a Miranda De Advieto. Era andata piu' o meno cosi': Antonio si era alzato, riservando la sfarzosita' di mantelli e pietre preziose al processo 'dopo'. Aveva impugnato una manciata di fogli, colmi di scritte e firme piu' o meno importanti. Niente avvocati, nemmeno li'.
"Ygnatio Virtudes. Siete accusato di eresia e favoreggiamento di eresia. Livello medio-lieve. Come vi professate, al riguardo?"
Era stata una domanda proferita con un tono tagliente. Con un pizzico di soddisfazione. Quella che provi quando conosci gia' la risposta.
"Colpevole."
Inutile ribadire di essere innocenti. Soprattutto perche' non lo era. Ed anche perche' con Palacio era meglio rispettare i patti. Lui li aveva rispettati. Virtudes li aveva rispettati. Ora toccava a lui. Lui che sorrideva, con un scintillio soddisfatto di denti perfetti e bianchi.
"Bene. Vedo che siete ancora in grado di ragionare. Credo sappiate che vi attende certa scomunica..."
L'uomo aveva annuito. Lo sguardo era vacuo e assente. Guardo' per un istante il ragazzo seduto accanto a lui, col volto tirato ma dignitoso. Guardava Palacio con odio crescente. Fiamme e fuoco, in quegli occhi blu. O tempesta. Quella che infuriava ormai da ore, all'esterno della sala. Virtudes senti' la testa girargli, quando Palacio continuo' a leggere la sentenza, gravemente.
"...e una multa di quattrocento soldi. Da pagare entro e non oltre due mesi a partire da oggi."
Quattrocento soldi...quasi tutto quello che aveva. Era l'equivalente di una condanna a morte, lo sapeva bene. Era troppo vecchio per lavorare. Non aveva modo per guadagnarsi da vivere. Sarebbe finito a fare l'accattone. Sicuramente, non avrebbe visto il prossimo inverno. Annui' di nuovo, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Palacio lo fisso' per un istante. Soddisfatto. I suoi occhi si spostarono di botto sul giovane Juan Delgado. Che stava dritto sulla sedia guardandolo sfacciatamente negli occhi. Antonio resse quello sguardo finche' pote'. Poi, l'abbasso' sui fogli che reggeva ancora tra le mani, come se non sapesse bene cosa dire. Lo sapeva, oh, se lo sapeva.
"Juan Delgado...padre Juan...siete accusato di eresia, lascivita' e lussuria. Livello medio-grave. Come vi professate, al riguardo?"
"Innocente!"
La risposta era arrivata, dura quanto inaspettata, alle orecchie sorprese di Ygnatio Virtudes e di Antonio Palacio. Il primo guardo' Juan con orrore. Il secondo, sorrise compiaciuto.
"E come spiegate le vostre assenza notturne dalla abitazione vescovile, come spiegate le vostre scalate all'alba calandovi dalla finestra della cella di tale Miranda De Advieto? Come spiegate, tutto questo?"
Il Vescovo gli sfioro' un mano.
"Juan, dichiarati colpevole, per l'amor del cielo!"
Il giovane sposto' stizzito la mano. I suoi occhi non si mossero dalla figura di Palacio.
"Non posso pagare per qualcosa che non ho fatto!"
"Voi quindi assicurate che non avete passato le precedenti quattro notti con la ragazza?"
"No. Ero con lei."
Palacio rise.
"Allora siete colpevole!"
"Solo di averla amata. E di amarla ancora. Non mi riconosco ne' nella lascivita', ne' nella lussuria. Se volete punirmi per aver amato, fate pure. In quel caso, sono colpevole."
L'inquisitore giro' il capo verso un uomo dalla folta barba bianca, che prendeva appunti in latino su un diario. L'uomo sorrise e scrisse qualcosa.
"Bene. Vi siete dichiarato colpevole. Ma voglio essere buono, con voi. La ragazza e' chiaramente posseduta, e questo riduce drasticamente la vostra pena. Non e' vostra la colpa, lo sappiamo entrambi. Il male puo' tentarci in cosi' tanti modi...in ogni caso, la vostra pena consistera' esclusivamente nello scontare cinquanta ore lavorando al lazzaretto della citta'. E, questa e' una mia richiesta, e, se permettete, un mio consiglio: tra appena due ore si svolgera' il processo a Miranda De Advieto. Vi assista. Si sentira' molto meglio, quando tutto sara' finito."
Non riusci' nemmeno a ribattere, combattuto tra il sollievo di quella lieve pena e la disperazione di sapere la sua donna a meno di due ore dal rogo. Boccheggio' un paio di volte, prendendo brevi ed intense boccate d'aria. Antonio non attese la sua risposta al consiglio datogli. Volto' le spalle, poggio' le carte sulle scrivania dove l'uomo dalla fluente barba bianca scriveva ancora poche righe, e poi scomparve oltre la porta, lasciandosi dietro solo un orribile tanfo di morte. Solo allora Juan penso' alla richiesta di quell'uomo senza scrupoli. Assistere al processo. Juan non era un uomo coraggioso. Aveva tirato fuori, in quell'occasione un coraggio che non pensava di avere. Chiedergli di assistere al processo era davvero troppo. Un solo pensiero vorticava nella sua testa: se Miranda deve essere bruciata, e succedera', con o senza la mia presenza in tribunale, io voglio essere il piu' lontano possibile da quello strazio...

Un silenzio quasi irreale, rotto solo dalle raffiche di vento e pioggia che sbattevano violentemente contro le vetrate della chiesa. Vetrate che mandavano una cupa luce color piombo sul pavimento piastrellato. Il vento urlava, fuori dalla sala, la pioggia cadeva a scrosci violenti, minacciando di rompere il sottile vetro delle finestre. Come se anche il cielo avesse voluto esprimere la sua contrarieta' per l'abominio che si stava svolgendo in quella chiesa, quella che avrebbe dovuto essere 'la casa di Dio'. Invece, c'erano solo giudici dalle fruscianti toghe nere, che guardavano quella ragazza spaventata con uno sguardo severo e quasi disgustato. Disgustato da lei, troppo bella per essere reale. Per essere cosa di Dio. Troppo bella, con quegli occhi verdi troppo profondi, come abissi senza fine. Troppo bella, con quella coda dorata che si trascinava dietro come un velo, e che adesso la copriva come una coperta, mentre con una manina bianca come la neve si torturava nervosame!
 nte una ciocca vicino al suo volto. Un viso, cosi' grazioso ed aggraziato, ora tirato in una maschera d'angoscia e paura, resa piu' terribile dallo sforzo immane che faceva per mostrarsi orgogliosa. Teneva quegli occhi di smeraldo fissi su di Antonio Palacio. Lo guardava con un odio che avrebbe fatto abbassare gli occhi a qualunque essere umano sulla terra. Ma non a Palacio. Dopotutto, cominciava a dubitare che fosse realmente un uomo. Seduto su questa scomoda sedia ci dovrebbe essere lui. Processato per possessione demoniaca e omicidio, dovrebbe esserci lui. A fremere d'angoscia ed impazienza, dovrebbe esserci lui. A sopportare gli artigli appuntiti di questa belva infame, dovrebbe esserci lui.
Ma ci sono io...solo io...
Sola. Una parola che gia' in se', gia' nel suo suono contiene la sua forza, e la sua triste durezza. Sola. Perche' sola. Perche' con lei non c'e' nessuno. Non puo' esserci nessuno. A proteggerla dalla realta'. Un realta' troppo triste, troppo reale, per due occhi di bambina. Due occhi che dovrebbero vedere tutto in rosa, dovrebbero giocare e guardare un ragazzo biondo con la tempesta negli occhi. E invece lui non c'e'. E non verra'. Non ci sara' nessun cavallo bianco che si fermera' davanti a lei. Ne' ci sara' un principe azzurro che vi smontera', sorridendo. E in quel sorriso, la luce del sole a mezzogiorno. E in quegli occhi azzurri, no, blu, tempesta. E fulmini e lampi. Ma lui non arrivera'. E due occhi di bambina non possono fare altro che cercare di abituarsi alla luce accecante di un mondo che non e' fatto per loro.
Le labbra di Palacio. Quelle labbra cosi' sottili, come un filo bianco, si muovono. Lentamente. O forse e' a lei che il tempo sembra scorrere al rallentatore. Come negli incubi.
"Oggi siamo qui riuniti, popolo della Valle Del Sole, giudici e voi tutti, per deliberare sul caso di tale Miranda de Advieto, accusato di omicidio e possessione demoniaca."
E qui alzo' gli occhi dai suoi amati documenti e la guardo' negli occhi. Occhi che sembravano ripeterle che sarebbe stato lento e atroce. Che sarebbe arrivata al punto di supplicarlo per mandarla al rogo e farla finita. Buffy ebbe un brivido, che per poco non la fece cadere dalla sedia. Si mantenne invene eretta, lottando contro la nausea e la paura.
"Miranda De Advieto, come ti professi rispetto alle accuse a te mosse?"
Non si scomodava nemmeno a darle del voi. La riteneva di livello talmente infimo da non riservarle nemmeno quella piccola parvenza di dignita'. E lei, non sapendo nemmeno da dove le venisse tutto quel coraggio, fisso' i suoi profondi occhi verdi in quelli neri dell'Inquisitore. Grido', per farsi sentir meglio dalla folla accalcato a pochi passi da lei.
"Perche' me lo chiedete, se avete gia' deciso di condannarmi?"
Antonio rimase interdetto per un attimo. Di solito gli accusati singhiozzavano e ammattevano la loro colpevolezza, spaventati a morte dalla possibilita' della tortura. A quanto pareva, Miranda de Advieto non rientrava nemmeno in questa categoria. Sorrise, cercando di mostrarsi comprensivo.
"Ci credi degli assassini? No, non lo siamo. Siamo solo giudici al cospetto di Dio. Di' la verita', ed avrai salva la vita. Non avere paura, vedrai che andra' tutto per il meglio..."
Forse una ragazza un po' piu' ingenua vi avrebbe creduto ed avrebbe detto tutto, anche inventando, per compiacere il suo giudice. Ma Buffy Summers sapeva quanto poteva essere crudele Angelus. Che somigliava davvero troppo al serpente che aveva davanti. Che si stava preparando a stringere le sue spire attorno alla sua preda. Ma lentamente.
"Non vi credo certo degli assassini..."
Comincio', con un sorriso rilassato sul viso. Antonio la guardo' di sottecchi, come se si chiedesse se fosse bastato cosi' poco per farla cedere. Buffy lo guardo' furente, e si alzo' dalla sedia.
"...non siete assassini, siete demoni! Della peggior specie! Seduti su questa sedia ci dovreste essere voi, maledetti! A patire quello che patisco io, dovreste esserci voi! E se in questa chiesa c'e' qualcuno posseduto, questo e' certamente Antonio Palacio, un viscido stupratore di prigioniere senza speranza, un lurido schifoso! Qui e' l'unica persona empia e diabolica che vedo! E voi, voi giudici tutti, non siete altro che i suoi demoni fedeli! Leccapiedi della feccia dell'umanita', servitori di..."
Non pote' continuare. Un sonoro schiaffo le arrivo' in pieno viso. Era stato Antonio. Antonio che la guardava furente di rabbia sorda. Che era sceso dalla sua postazione pur di zittirla. Buffy barcollo' all'indietro, mentre un dolore sordo la avvolgeva, facendole incredibilmente girare la testa. Cadde sul pavimento freddo, mentre qualcosa di viscoso e caldo le scivolava sul viso. Si volto' a guardare l'Inquisitore. Lui avanzo' veloce verso di lei. Prima che potesse ritrarsi, la afferro' saldamente per i capelli, facendola gemere per l'acuto dolore che le lacerava la testa. Accesi mormorii passavano di bocca in bocca, tra il pubblico improvvisato di quell'orribile spettacolo. Antonio, sempre tenendola saldamente per i capelli, la costrinse a girarsi verso gli altri giudici, che osservavano impassibili la scena. Solo ribrezzo, sui loro volti. Per Buffy, e non per Antonio. Il quale la strattono' nuovamente, facendola singhiozzare. Poi, le si rivolse, strillando per farsi sentir!
 e.
"Sgaldrinella visionaria! Sarai punita anche pre questo! Come osi insultare me e i giudici qui riuniti? Come osi mancarci cosi' di rispetto? Non vuoi ammettere le tue colpe? E allora chiedo ai signori giudici di accordarmi il permesso di ricorrere alla tortura!"
Gli uomini seduti dietro la scrivania si osservarono per un istante, convenendo con uno sguardo che non era il caso di ostacolare un desiderio di Antonio Palacio. Quindi annuirono all'unanimita'. Buffy emise un solo singhiozzo, leggermente piu' forte degli altri. Poi si zitti', limitandosi a tornare muta ed inespressiva come una statua di pietra. E Palacio sorrise, osservando con cupidigia la piccola stanzina semiaperta distante da loro non piu' di quindici metri...

<Non sono una persona perfetta
Ci sono molte cose che preferirei non aver fatto
Ma continuo ad imparare...>
Un temporale cosi' non si era visto mai. Pioggia battente che cadeva incessantemente giu' da quelle nuvole nere e minacciose dalla sera precedente. Bagna il terreno soffice del cimitero, riga d'argento le lapidi marmoree che stasera sono spente. Non c'e' luna. Solo nuvole e cielo scuro. Nella notte piu' buia che Spike abbia mai visto. Buia dentro e fuori di se'.
<Non avrei mai voluto farti del male
Quindi vorrei dirti, prima di tornare
Che vorrei che tu sapessi che...>
Spike cammina su quel terreno soffice, reso scivoloso come fango dalla pioggia. Pioggia che lo inonda, bagnando il suo adorato spolverino nero. Li', dove puo' solo farsi piu' male. Li', nel regno della sua cacciatrice. Li', dove questa terra che ora calpesta aveva ricevuto la bara con il suo corpo, prima che un gruppo di scellerati la strappassero dal suo paradiso, la riportassero in questa vita fatta di cadute e risalite. Faticose, faticose risalite...
<Ho trovato una ragione
Per cambiare cio' che ero
Una ragione per ricominciare
E la mia ragione sei tu...>
Per un attimo, il vampiro biondo si ferma. E' cosi' bella la pioggia, a volte. Puoi piangere, e nessuno se ne accorge. E puoi camminare a testa alta anche con il viso rigato di lacrime. Ne ha versate cosi' tante, di lacrime, da quando l'ha conosciuta...a cominciare da quella sera al Bronze, quando le aveva raccontato tutto, mettendo a nudo il suo cuore. Quando le aveva raccontato la sua storia. La storia di un perdente, di un fallito, di un morto. La storia di William e di Spike. Come sempre, aveva ricevuto solo disprezzo. Ma aveva trovato una ragione per cambiare, una ragione bellissima, alla quale aggrapparsi, e non lasciarla piu'...Dio, quanto mi manca...
<Mi dispiace di averti fatto male
E' una cosa con cui devo convivere ogni giorno...>
E poi, la sua mente maligna lo riporta all'invasione della scuola, alla vigilia di San Vigio, al macello che aveva combinato, al suo primo vero incontro con la sua piccola Buffy. E al suo primo incontro con Joyce...quella donna...anche lei gli mancava. Nonostante gli avesse tirato un estintore in testa. Dopotutto gli aveva impedito di uccidere Buffy. Sarebbe stato l'errore piu' grande della sua vita. Una cosa con cui avrebbe dovuto convivere ogni giorno. Inconsciamente, forse. Ma non poteva negare che gia' la prima volta, quando l'aveva vista ballare al Bronze, aveva capito che era lei. Quella che si aspetta tutta la vita. Allora aveva capito che avrebbe potuto farle male. Molto. Ma non ucciderla...
<E mi piacerebbe poter portare via
Tutto il dolore che ti ho causato
Ed essere la persona che ti asciughera' le lacrime
Ed e' per questo che ho bisogno che mi ascolti, quando dico...>
Alla fine era sempre lei ad ucciderlo...beh, ucciderlo dentro...'sei un essere inferiore'...ma questo era stato solo il primo di tutta una serie di insulti e prese in giro. Non che lui non avesse ricambiato. Li', sotto la pioggia, con i riccioli biondi che gli ricadono bagnati sul viso, sa bene di averla ferita. E ora avrebbe solo voluto poter rimediare...se solo fosse qui. E fare come quella notte, quando aveva cercato di darle un poco di calore in mezzo al gelo della sua anima...quando aveva capito definitivamente che l'amava. E che avrebbe voluto dirle tante cose, se solo lei avesse voluto ascoltarlo...o se solo lui avesse fatto qualcosa di piu' per far si' che lei lo volesse...
<Ho trovato una ragione per mostrare
Una parte di me che non conosci
Una ragione per ogni cosa che faccio...
E quella ragione sei tu...>
Ancora qualche passo, tra lapidi e ricordi capricciosi. Tra lacrime e fango sotto i piedi. Tra pioggia che cade dal cielo e dolore che ristagna dentro di lui. Aveva una ragione a cui aggrapparsi, una ragione per tutto cio' che faceva, una ragione per cambiare e cercare di essere una persona migliore. Un demone troppo umano. E un umano troppo demone...insomma, perche' al mondo fa tanto schifo farmi rientrare in un gruppo? Alza gli occhi al cielo, mentre le lacrime si mischiano alla pioggia. Allarga le braccia, lasciandosi inondare da quella sensazione di vuoto piacevole e spaventosa allo stesso tempo. Una goccia gli cade dolce sulle labbra. Dolce come la sua bocca...
<E quella ragione sei tu...>
E si sente vuoto e colmo di emozioni allo stesso tempo...perche' e' tutto tanto difficile? Oh, Buffy, dove sei...vorrebbe poter aprire gli occhi e, per incanto, trovarsela davanti. Apre gli occhi. E rimane paralizzato.
<E quella ragione sei tu...>
Buffy!
<...sei tu...>
Non apre bocca, Spike. Sa bene che non e' Buffy, la ragazza bionda che ha davanti. E' solo la sua ombra. Restano fermi, a fissarsi, per un attimo. Spike la osserva. Fresca di pioggia. I capelli appiccicati al viso in piccole ciocche dorate. La pelle bagnata e tremante. Velluto, sulle sue guance. Il vestito bianco che le scende dolcemente fino alle ginocchia, carezzando quel corpo di porcellana. Sembra cosi' fragile...e quegli occhi. Due smeraldi che luccicano, in quella notte cosi' buia. Smeraldi. Due occhi che sembrano nascondere chissa' quale incoffessabile potere. Chissa' quale segreto impronunciabile. Abissi inesplorati, dentro quegli occhi. Spike si vede riflesso, in quegli occhi. Dio, sono cosi' uguali...quegli occhi...Spike si perde in quegli occhi. Si perde nei loro abissi. E non vuole venirne fuori...Miranda (o Buffy?) gli si avvicina. Sorride. Un lampo bianco nella notte nera. Nera. Sono cosi' vicini che Spike avverte il suo respiro. Un soffio di vita. Pura e sempl!
 ice. Nessuno parla. Non servono parole. Buffy e' li'. Forse e' un'ombra, ma chi saprebbe distinguere quegli occhi? Si avvicinano sempre piu'. Occhi negli occhi. Mentre la pioggia li bagna, li rinfresca. E le loro labbra si sfiorano. Un contatto cosi' delicato che sembra non ci sia. E si staccano subito, mentre mille domande girano nelle loro teste. Ma c'e' tutto il tempo, per essere sopraffatti dai dubbi. E cosi' sono di nuovo vicini. Stavolta e' un bacio appassionato, e lui non puo' non pensare che quella che bacia sia Buffy. E, cosi' perso in quel bacio, gli sembra di volteggiare, perso in chissa' quale dimensione. E poi, un attimo dopo, un dolore lancinante lo trapassa...e si sente morire...ma non sta morendo...

Capitolo XII

Non sta morendo. Ma mentre la pioggia cade a scrosci continui sul cimitero, su Sunnydale, lui non la sente piu'. sente un leggero mormorio. Acqua che cade. Goccia a goccia. Uno sgocciolio frenetico e continuo, e allo stesso tempo dolcissimo ed ipnotico. Che niente ha a che vedere con la violenza del temporale. Con la pioggia che sbatte in un crescendo di forza sul terreno. E', quello che Spike sente, uno sgocciolare d'acqua come da una fonte. Piano. Leggero. Un'eco portata dalla tempesta. Un'oasi di tranquillita' e incertezza. Non osa aprire gli occhi. Le labbra sembrano prendergli fuoco. Tutto il suo corpo e' attraversato da una fiammata. Lo lascia stordito per un attimo. Un bruciore insopportabile. E poi, una disarmante quiete, un dolce tepore, un rilassante calore. Come se fosse rinchiuso in un limbo. Come se il tempo si fosse improvvisamente fermato, catturando quell'istante, nel cimitero, tra pioggia e vento. Tra lui ed un illusione. Un illusione fin troppo reale. Come !
 se quell'istante fosse stata una brillante, piccola lucciola, trattenuta nel cavo della mano del tempo, senza poter fuggire. Li', per sempre. Come in una fotografia. Brillante e nitida, colorita di tutti i colori dell'arcobaleno. Non riesce a muoversi. Gli sembra improvvisamente di girare in tondo. Di salire su, fino a camminare tra le stelle, e poi ripiombare giu', nel piu' profondo abisso dell'inferno. Sente un vento fresco accarezzargli la pelle bianca. E, tutto attorno a lui, perfetto silenzio, rotto solo da quell'incessante ed ipnotico sgocciolio d'acqua. Niente pioggia. Niente freddo. Niente caldo. Niente. E' come essere nel niente assoluto. In un posto che non c'e', in un tempo che non e'. come se quella ininterrotta successione di immaginazioni che divengono ricordi si fosse bloccata. Irrimediabilmente compromessa. E l'unica cosa che sembra avere importanza, in quel momento fermo, e' un bacio. Un leggero sfiorarsi di labbra, un profondo intrecciarsi di lingue. E qua!
 lcos'altro, una sensazione di vuoto e perdizione. Soprattutto,!
  sensazi
oni di dolce tristezza. Perche' quel bacio dato ad un'ombra non e' completo. Come se mancasse un tassello fondamentale. Sono solo tre lettere, a mancare, in quel bacio...lei. lei, tassello piu' importante, tassello insostituibile nel puzzle della vita di quel vampiro. Di quell'uomo. Di chi non e' altro se non Spike. William. Unico. E, in quel momento fermo, solo. Ha gli occhi chiusi. Ma sa di essere solo. Non c'e' piu' nessuno, con lui. E, stranamente, non ne e' sorpreso. Impossibile. Era al cimitero con Miranda. E poi, improvvisamente, scoprire che non c'e' piu'. in senso letterale, si sente come se non esistesse. O come se fosse appena rinato. Come se portasse il peso di non una, ma cento vite. E sapesse di averle condivise tutte insieme a lei. Lei che altri non e' se non Buffy Anne Summers. Che altri non e' se non la cacciatrice. Se non una donna. La piu' perfettamente imperfetta del mondo.
Spike si riscuote, come se il tempo avesse di nuovo ripreso a scorrere. Ma non nel modo che conosciamo noi esseri umani. Come se andasse lentissimo, seguendo lo sgocciolio incessante dell'acqua. E poi accellerasse fino all'inverosimile, attraversando mille ere in un solo secondo. Spike si riscuote, appunto. E apre gli occhi, quegli occhi blu. Mare in tempesta, e tuoni e fulmini, dentro quegli occhi. Ed una quiete spaventata. Apre gli occhi, e dinanzi a se' vede il nulla. Solo buio, cosi' buio che nemmeno i suoi sensi da vampiro gli permettono di vedere, di percepire suoni o di orientarsi. Come se fosse sospeso in un'infinta camera oscura. Senza pavimento, senza soffitto ne' pareti. Un campo aperto, irrimediabilmente buio. Come unico suono, quel monotono sgocciolio. Che sembra provenire da ogni angolo. Spike si gira, gira su se' stesso piu' e piu' volte, ritrovandosi sempre nello stesso punto, sempre piu' spaesato. Ma non impaurito. Sente come se quel posto lo conoscesse da s!
 empre. Come se da sempre avesse saputo di doverci finire, prima o poi. Come se avesse quasi desiderato, di finirci. Per qualche secondo e' tutto immobile, attorno a lui. Sembra essere assente perfino l'aria. Anche quello sgocciolare si ferma per alcuni secondi, lasciandolo immerso nel buio piu' scuro e fermo che avesse mai visto. E da quel buio, appena pochi secondi dopo, emergono miliardi di minuscole stelle, cosi' brillanti da costringerlo a sbattere piu' volte le ciglia, per abituarsi a quella accecante luce emersa improvvisamente da un altrettanto accecante buio. Si guarda intorno, e quello che ora vede e' troppo per essere descritto da occhi umani. Un immensa distesa celeste, seminata di miliardi di miliardi di stelle, rifulgenti...si', rifulgenti come la bellezza della persona che si ama. Quelle stelle che si riflettono negli specchi dei suoi occhi blu, e li fanno scintillare di una luce irreale. E lui cammina tra quelle stelle, come se fossero un sentiero battuto per!
  lui, per permettergli, almeno per una volta, di volare nell'i!
 mmenso.
Sconfinato cielo, su cui nuvole argentee mostrano increspature simili alle onde nel mare, e le stelle che vi brillano sopra, spuma che schizza mille gocce di felicita'. E, in quell'improbabile mare dalla spuma argentea e preziosa, vedere qualcosa, nel buio, dopo quell'immenso corridoio di stelle. Qualcosa -o qualcuno-, che si avvicina lentamente, contornata da un gioco di luci opalescenti. Qualcosa che cambia forma ad ogni passo. Spike resta fermo a guardala, quella cosa che gli si avvicina e sembra tenerlo inchiodato dove si trova. Arriva a pochi metri da lui. E' un uomo. Che cambia continuamente aspetto. Un attimo e' un vecchio con la fluente barba grigia, poi un bambino di otto anni dalla impeccabile casacca di velluto marrone. E poi diventa lui, Spike. Uguale, come se si guardasse in uno specchio. E muta anche quello. E diventa un giovane prete dal saio marrone stretto da un cordone bianco e luccicante. E poi e' un mendicante con le scarpe spaiate e la giacca lacera. L'u!
 nica cosa che sembrano avere in comune, tutte quelle forme, sono gli occhi. Blu. Di quel blu unico ed inimitabile che solo gli occhi di un vampiro biondo hanno. E un immagine, stampata in quegli occhi. Ferma, fissa. Una donna, una donna bellissima. Bellissima, per lui. Per loro. Una donna dagli scintillanti occhi verdi. Ferma, come cristallizzata, immagine perenne che quegli occhi custodiranno, in vita e nell'oblio della morte. Spike osserva quell'uomo per qualche istante. il suo cuore, seppur morto, e' in subbuglio. Qualcosa di terribile ed affascinante allo stesso tempo si fa largo nelle nebbie della sua anima e della sua mente. La figura dai contorni fusi quasi con l'aria, avvolta in un aura scintillante di mille colori, gli sorride. Ed e' il suo sorriso, dipinto su quelle mille facce.
"Bentornato, Spike...ti stavamo aspettando..."

Un tuono dall'eco fortissima rimbalza sulle pareti nude di una chiesa. Un tuono assordante, come mille tamburi che abbiano battuto un tempo nello stesso istante. un mormorio di timore reverenziale si alza tra la folla accalcata all'interno del luogo santo. Sette uomini vestiti di sette toghe nere e fruscianti rabbrividiscono, illudendosi che il loro brivido sia dovuto al vento freddo che entra da un'alta finestra, lasciata aperta per far filtrare un seppur minimo quantitativo d'aria buona. Un freddo raggio di sole fende le nuvole e la pioggia, riflettendosi contro la vetrata marrone davanti al banco degli inquisitori, sul quale si forma una spessa riga luccicante color del piombo. Non dura che un attimo, quello scintillio, per poi ritrarsi nelle tenebre della tempesta. E tutto torna ombroso e terrificante, mentre terribili ombre sceheltriche si alzano sulle pareti, sussurrando tra loro, con le loro voci fruscianti. Quelle voci che Buffy sente benissimo, ora. E vede la sua om!
 bra contorta sul pavimento della sala, quell'ombra che struscia maliziosa contro le piastrelle di cotto e mira inesorabilmente a quello stanzino malamente illuminato da qualche candela. Quello stanzino nel quale Antonio Palacio, scortato da un medico in toga marrone e da altri due inquisitori dallo sguardo impietoso, la sta trascinando. Per i capelli. Sente alcune ciocche staccarsi. Un dolore acuto la trafigge, ma si impone di non urlare. Non questa soddisfazione. Trema convulsamente. Il suo unico impulso, in quel momento, sarebbe quello di accasciarsi a terra e piangere fino allo svenimento, fino a morirne. Morirne, finalmente. Ma non lo fa. Segue docilmente l'inquisitore, senza emettere suono, con lo sguardo fisso a terra e le mani guinte, tentando di fermare il tremito convulso che la scuote tutta. Il medico che precede Antonio apre la porta dello stanzino malamente illuminato. Mentre Buffy entra, mentre ogni speranza svanisce, dentro di lei, vede il medico alzare imperc!
 ettibilmente il cappuccio marrone e guardarla comprensivo. Non!
  ha mai
visto quell'uomo. Ma quello sguardo le sembra buono. Le sembra lo sguardo di un uomo, e non di un demonio. Antonio la strattona, costringendola ad entrare in quella sala di orrore e morte. I due inquisitori lo seguono. Il medico chiude la silenziosa processione, chiudendo pesantemente la porta dietro di se'. Finalmente, Palacio lascia andare il guinzaglio di capelli. Lei si alza eretta, sospirando si sollievo. Un sospiro che le muore in gola, quando getta un'occhiata all'interno della stanza. Un camino di pietra grezza, dentro il quale il fuoco sfrigola sinistramente. Tenaglie bruciacchiate se ne stanno placidamente distese sui bordi di tal camino. Al centro della stanza, fa bella mostra di se' un lettino di legno. Sopra, una coperta di lana grezza e cinghie di cuio attaccate ai bordi, pronti ad accogliere una povera vittima. Posata in un angolo, la tortura di cui tanto aveva sentito parlare nel suo tempo. La vergine di Norimberga. Un contenitore di ferro a forma di fanciull!
 a, all'apparenza innocuo. Ma lei sapeva che all'interno si trovavano aghi appuntiti. La sventurata che fosse stata posta all'interno del sarcofago, non ne sarebbe uscita viva. E poi brocche enormi colme d'acqua, bollente o gelata, occorrenti per la famosa ordalia dell'acqua. E poi legacci di cuoio fissi alle pareti. Il cavalletto. Lo stivaletto. E mille altri terrificanti strumenti di cui non aveva mai sentito parlare. Vide con orrore crescente due omaccioni avvicinarsi. Vide Antonio sorridere nel vederli e i due inquisitori ed il medico disporsi agli angoli della sala, in riverente silenzio. Si senti' morire. La testa le giro' tremendamente, mentre cercava con tutte le sue forze di non svenire. Senti' che le gambe le mancavano e, se non fosse stato per i due uomini che la sorressero, sarebbe certamente caduta. Voleva piangere e strillare, invece alzo' orgogliosamente la testa e mise con lentezza un passo dietro l'altro, mentre la scortavano verso il lettino. E poi, mentre !
 gia' si accingeva a sedersi, una voce ruppe il silenzio della !
 sala, ba
ssa come lo sfrigolare del fuoco nel camino.
"Fermatevi, ve ne prego..."
I due assistenti si bloccarono. Lasciarono improvvisamente andare Buffy che, vuota e troppo spaventata per capire cosa stesse succedendo, si accascio' sul lettino, con lo sguardo perso nel vuoto. Antonio si giro' stizzito verso l'uomo che aveva parlato. Guardo' i due inquisitori, ma quelli scossero la testa. Quindi fisso' il medico che, tremante, fece un passo avanti.
"Credo..."
Si inumidi' le labbra, cercando la forza per continuare.
"...Credo...credo che la ragazza sia gia' abbastanza provata da tutto questo. Sottoporla alla tortura potrebbe solo ucciderla. E immagino che voi vogliate evitarlo, eccellenza."
Antonio lo guardo' per qualche istante, stringendo gli occhi finche' non gli diventarono due fessure. Squadro' l'uomo, senza riuscire a vederlo in volto, nascosto com'era nell'ombra della stanza.
"Questo e' dunque il vostro parere medico?"
L'uomo sussulto' per il tono velenoso con cui era stata posta la domanda. Si umetto' nuovamente le labbra, curandosi bene di rimanere nell'ombra.
"Si', eccellenza"
Antonio non amava affatto i medici. Per pareri come questi, aveva dovuto sospendere per piu' di una volta sedute di torture. E odiava sospendere cose come quelle. La vita dava cosi' poche gioie, dopotutto...perche' non gli lasciavano almeno quel misero divertimento? Sorrise.
"Bene. Sospendero' la seduta, allora...troveremo certamente un altro modo per far confessare questa piccola sventurata..."
A Buffy sembro' che il mondo riprendesse a girare. Come se i colori fossero stati restituiti ai suoi occhi e il calore alla sua pelle. Tremo' ancora di piu', guardando l'uomo che stava per salvarla. Anzi, che l'aveva gia' salvata. Eppure, era sorpresa dalla facilita' con cui un umile medico aveva convinto un viscido serpente come Antonio Palacio. Il quale infatti rimase fermo dov'era, continuando a parlare con la solita studiata calma.
"...ora, vorrei sapere il nome di colui che ha salvato la vita di questa giovane. Per ora, s'intende."
Sorrise, di un sorriso cosi' cattivo e sicuro che Buffy sprofondo' nuovamente nell'incertezza. Che crebbe ancor di piu' quando il medico sussulto' e, tremando convulsamente, si fece avanti, alla luce fioca delle candele, cinereo in volto.
"Salvador..."
"Non sento, medico, parlate piu' forte!"
L'uomo s'irrigidi', nonostante tremasse da capo a piedi e avesse paura folle nei piccoli occhi grigi.
"Salvador Rodriguez Mendoza, Eccellenza..."

Un timido raggio di sole fende la cortina di nuvole nere che ancora sostano su Sunnydale. E' l'alba. La pioggia ha smesso di cadere, fuori dal Magic Box. All'interno, due ragazzi dormono. Lei appoggiata alla spalla di lui. Finiti cosi', senza nemmeno accorgersene. Anya e Xander. Non hanno retto una intera nottata cercando informazioni in quei libri che sommergono la scrivania di legno profumato dalla carta vecchia che vi aderisce. Ma c'e' qualcuno che non dorme. Willow, gli occhi gonfi di sonno ma determinati a non chiudersi. Nemmeno per un secondo. Non dorme da circa quarantotto ore. E sarebbe capace di non dormire per altre quarantotto ore, pur di aiutare i suoi amici. Posa l'ennesimo libro inutile sulla scrivania, cercando le forze per alzarsi e prenderne un altro dagli scaffali impolverati. Ma la stanchezza la costringe ad abbassare la testa per un attimo, appoggiandosi sulla scrivania. Resta cosi', ferma, per un attimo. Poi afferra il libro che Xander stava leggendo pri!
 ma di addormentarsi. Cosi', senza neanche accorgersene. Loro due, vinti dalla stanchezza. Willow li capiva. Ma aveva la testa troppo dura per concedersi anche solo mezz'ora di sonno. E si rimette studiosamente a leggere. Quel raggio di sole entrato trionfante dalla finestra si posa dolcemente su i due ragazzi assormentati. Quell'improvvisa luce in pieno viso li riscuote. Anya apre gli occhi, miagolando soddisfatta. Non appena si rende conto di essersi addormentata sulla spalla di Xander, le sue guance si tingono di scarlatto. Si sposta di botto, mentre Xander si riscuote, cercando di scacciare il sonno dai suoi occhi ancora gonfi. Willow li guarda, sorridendo senza farsi scorgere. Sono cosi' belli, insieme.
"Dormito bene, ragazzi?"
Xander si stiracchia sulla sedia.
"Come un morto...Will, ma sei rimasta in piedi tutta la notte?"
Lei sorride stancamente.
"Non ero in piedi, ero comodamente seduta..."
"Tutta la notte?"
"Tutta la notte"
Anya le mette una mano sul braccio, facendole alzare la testa.
"Dovresti andare a riposare..."
Willow scuote la testa. Anche quel movimento sembra troppo stancante, per lei.
"No, non posso...le ricerche..."
"Ci pensiamo noi"
La rossa volta la testa verso Xander. Lui la guarda seriamente.
"Sicuri? Perche' posso restare."
"Non se ne parla nemmeno. Ora tu vai a casa e dormi. E non e' una richiesta!"
Willow sorride nuovamente. Si alza con uno sforzo e si avvia barcollando verso la porta. Deve sforzarsi immensamente per non chiudere gli occhi e addormentarsi li', dove si trova. Si volta, accanto alla porta, e sorride, guardando i due ragazzi che, appena svegli, gia' litigano su chi debba leggere quel dato libro...varca la soglia ed esce, mentre il campanello sulla porta trilla allegramente.
"Dammi quel libro!"
Xander allontana la mano che stringe un piccolo libro rilegato in velluto nero, portandolo fuori dalla portata di Anya, che allunga invano le braccia.
"No, l'ho visto prima io!"
"Ma se sono stata io a fartelo notare! Andiamo, dammelo!"
Eccoli li', due bambini che litigano. E che si divertono nel farlo...e allora son dolori...
<Lo so che pensi che non dovrei amarti ancora
Vorrei dirlo...
Ma se non lo dicessi l'avrei comunque provato
E allora che senso avrebbe avuto?>
Anya soffoca a stento una risata. Xander la guarda. Non puo' fare a meno di notare lo scollo pericoloso della sua maglietta, sfiorato delicatamente dai capelli biondi e soffici. Improvvisamente, ha l'impulso irrazionale di accarezzarli. Quei capelli. E poi scendere sul suo viso. Fermare quello sbuffo che atteggia ostinatamente con un bacio...so che non dovrei amarla piu'...vorrei poterlo dire...
<Giuro che non sto cercando di renderti la vita difficile
O di ritornare al punto in cui eravamo...>
Anya. Vorrebbe gridargli di smetterla di stuzzicarla, smettere di accenderle dentro una scintilla che non sa come spegnere. Smettere di renderle la vita difficile. Perche' non si puo' tornare al punto di partenza. Non si puo' tornare indietro. Il tempo passa. Il nostro treno e' gia' passato...e non l'abbiamo preso...stiamo correndo abbastanza in fretta per raggiungerlo?
<Beh, affondero' con tutta la nave
E non alzero' le mie mani per arrendermi
Non ci sara' nessuna bandiera bianca, sulla mia porta
Sono innamorato, e lo saro' per sempre...>
Xander allontana ancor di piu' il braccio. Sventola quell'insignificante libro come se fosse una preziosa reliquia di guerra. Quella guerra che combatte contro se stesso. Che lo sta facendo affondare. E, inspiegabilmente, sente che non si arrendera'...e che quel libro che sventola non e' una bandiera bianca...non si sta arrendendo di fronte all'amore...
<Lo so che ho lasciato troppa confusione
e distruzione per poter tornare indietro
E ho causato solo problemi...>
Mentre allunga la sua piccola mano per tentare di prendere quel libro dalle mani di Xander, Anya trema. In un flash le passa davanti un'esistenza millenaria. Un'esistenza da demone. Cosi' tranquilla e sicura, la sua strada. Ho creato cosi' tanta confusione, cosi' tanta distruzione...e non sentiva ne' colpa, ne' paura. E poi, essere tornata alla sua vecchia vita, da umana. Sentirsi sommersa di emozioni e sentimenti. Continuare a creare problemi. E rendersi conto che non sarebbe piu' potuta essere un demone...non si puo' essere demoni, quando si e' conosciuto l'amore...
<Capisco se non vuoi piu' parlarmi
E se hai deciso che e' finita
Sono sicuro che c'e' una ragione...>
Mentre guarda la mano di Anya avvicinarsi alla sua, Xander trema. Un fremito che sente per lei, con lei. Nessuno l'aveva mai fatto sentire cosi'. Nessuno l'avrebbe perdonato dopo essere stata abbandonata all'altare, con sulle labbra il sorriso piu' radioso che avesse mai visto. Beh, non che Anya l'avesse perdonato. Come si puo'? e se ha deciso che e' finita, la ragione e' sicuramente giusta...ma se solo...
<E quando ci incontreremo
Tutto quello che e' stato ci sara' ancora...>
E si chiede, Anya, come possa provare ancora quel maledetto brivido freddo che la scuote tutta. Come possa essere ancora divertita dal sottile sarcasmo di lui, come possa essere eccitata per un semplice contatto tra le loro mani. E puo' solo rispondersi che qualunque cosa ci sia stata tra loro, c'e' ancora...
<Lo lascero' passare
terro' la lingua a freno...
E tu penserai
Che la mia vita e' andata avanti...>
E pensare, entrambi, che fingere non serve. Perche'? ci si fa solo male. Tanto, tanto da soffocare. E allora perche' continuare? Stupido orgoglio...
"Beh, affondero' con tutta la nave
E non alzero' le mie mani per arrendermi...>
"Basta, dammi quel maledetto libro, Harris!"
E basta sporgersi un altro po'. E cadono. E si ritrovano a terra, ridendo senza un motivo, senza nemmeno accorgersi che sono caduti l'una sopra l'altro...accorgersene di botto, dopo quella lieve risata. E diventare improvvisamente seri. Seriamente imbarazzati. Ma sembra troppo difficile alzarsi, o semplicemente spostarsi. E i loro occhi non ne vogliono sapere di staccarsi...
<Non ci sara' nessuna bandiera bianca, sulla mia porta
Sono innamorata, e lo saro' sempre...>
E la mano di lui non puo' trattenersi dal volare ad accarezzarle i capelli, quella ciocca dispettosa che ricade aggraziata sul suo viso, e gioca con il vento che entra flebile dalla finestra.
<Sono innamorata, e lo saro' sempre...>
Lentamente, e' come se qualcosa li attirasse. Sempre piu' vicini. E stavolta niente domande. E' quello che vogliono, punto. Sono stati lontani per troppo tempo. Senza respirare. Senza vivere veramente. Ma in effetti stare lontani e' l'unico modo per capire quanto si ama veramente.
La lontananza fa all'amore quello che il vento fa al fuoco...spegne il piccolo, ravviva il grande...
E incontrarsi in un bacio vorace. Come se volessero riuscire a baciare le proprie anime. Il libro che aveva contribuito passivamente ad avvicinarli, cade dalla mano di Xander, senza che lui se ne accorga. E resta in un angolo, aperto su di una pagina ingiallita. C'e' una miniatura, su quella pagina. Eloquente come una fotografia. C'e' una donna -donna-, dagli straordinari occhi verdi, esile e minuta, dal volto contornato da una cascata di capelli d'oro, le cui punte sembrano ondeggiare e guizzare nell'aria circostante come se fossero dotate di vita propria. E, attorno a lei, fumo, fuoco e demoni...

"Chi sei, tu?"
Spike guardava attonito verso quell'uomo che continuava, sotto il suo sguardo, a cambiare forma ed eta', mantenendo intatti quegli occhi, che erano i suoi occhi. Sorridendo, con il suo sorriso. E lui si meraviglio' di come tutti quei mutamenti, tutte quelle figure sconnesse, gli fossero familiari. Senti' fremere il suo cuore. Un fremito morto, ma pur sempre un fremito percettibile. Nella testa rimbombava il suono monotono ed incessante di gocce d'acqua che si infrangevano su di un'altra superficie d'acqua, lasciando schizzare mille goccioline piu' piccole, che saltavano felici, per poi tornare indietro, creando meravigliose ed ipnotiche spirali concentriche. Si immagino' con assurda precisione la forma e la consistenza della fonte. Immagino' un piccolo bacile circolare di pietra grigia, sorretto da una lunga e stretta colonna di marmo lucido. Immagino' un contenitore simile ad una clessidra posto appena sopra il bacile, che riversava a gocce l'acqua in se' contenuta. Immagin!
 o' il viaggio di quella goccia, da quando lasciava il familiare ed angusto spazio della clessidra, fino al leggero, impercettibile suono al contatto con l'acqua contenuta nel bacile piu' grande. E poi le piccole onde che l'infrangersi della goccia generava. Piccole onde che battevano contro il brodo del bacile, spingendo per poter uscire. E riversarsi su...Spike immagino' un verde tappeto d'erba, su cui posava la fonte, attorniata da una parete di marmo, su cui se ne stavano scolpiti bassorilievi narranti chissa' quale stupenda storia fantastica ma terribilmente reale. Immagino' tutto questo, senza sapere da dove arrivassero quelle memorie circondate da un velo di fitta nebbia bianca. La stessa nebbia bianca che avvolgeva la figura (le figure) che sorrideva benevola di fronte uno Spike attonito. Ma non spaventato.
"Sono te..."
Aveva una voce strana. Come se non fosse una voce sola, ma decine e decine di voci sovrapposte. Una voce pacata e tranquilla. Una voce che distolse, per un attimo, Spike dalla frase che quell'uomo aveva appena detto come se fosse stata la cosa piu' naturale del mondo...sono te...
"No, non sei me! cioe', per un brevissimo istante lo sei stato, piu' o meno dieci secondi fa, ma non sei me! io sono me!"
Se ne stava fermo sulla difensiva. Le mani che gesticolavano freneticamente, come volendo risaltare le parole da lui pronunciate. Mentre la sua mente cercava di capire. Invano. La 'cosa' si avvicino', continuando a cambiare sistematicamente forma ogni secondo. O ogni ora. Era come se il tempo, in quell'angolo al confine del mondo, non esistesse. Come se si fosse irreparabilmente fermato.
"Io sono l'essenza. Sono cio' che e', cio' che e' stato e cio' che sara'. Sono puro spirito e pura carne. Sono tutto e niente. Sono..."
Spike sbuffo', scocciato. Era difficile capire qualcosa, con la confusione che aveva in testa. E le inutili ciarle di quel...'coso' non lo aiutavano di certo...
"Hey, hey, hey! Ti dispiace arrivare al punto, amico?"
L'uomo si fermo', sorridendo comprensivo.
"Certo...sono il tuo spirito eterno. La tua essenza immortale. Quella piccola parte del tuo animo che migra da corpo a corpo, e si reincarna. Sono te."
Spike resto' un istante immobile. Se avesse avuto un cuore, un cuore vivo, in quel momento avrebbe sicuramente sospeso il suo battito. Aveva di fronte a se' il collage di tutte le sue vite passate...e magari di tutte quelle avvenire...oddio, oddio, oddio...
"Cosa vuoi, da me? dove sono?"
"Esattamente? Non sei da nessuna parte..."
Di nuovo quella sensazione di smarrimento totale. Stranamente piacevole. Ma non dura che un attimo.
"Cosa?? Che significa?"
"Non c'e' da spaventarsi, Spike. O dovrei chiamarti William?"
"Non sono William. William e' morto."
La creatura, quel mutaforma, sorrise ancora.
"Solo perche' il suo cuore non batte piu'? mi sembra un po' poco, per considerarlo morto..."
Spike indietreggio' di appena un passo.
"Ascolta, non sono qui per parlare di...me stesso, almeno credo. Quindi stringi e dimmi che ci faccio qui. A cominciare da come ci sono finito!"
"Questo non mi e' dato saperlo. Ma credo di sapere perche' sei qui...devi compiere un viaggio..."
Spike strinse gli occhi, cercando di capire.
"Un...viaggio?"
L'uomo lo sorpasso'.
"Vieni con me"
Spike si giro' e prese a seguirlo, senza fare domande. Sentiva di sapere dove stavano andando, percorrendo quell'infinito corridoio di stelle. Stelle. Eppure, dopo aver fatto non piu' di dieci passi, l'interno paesaggio scomparve. Niente piu' stelle, ne' cielo, ne' nuvole dalle sfumatore argentee e dalla consistenza d'acqua marina. Per un istante, fu solo il buio. Accecante, disarmante buio. Nero. E quello sgocciolio d'acqua in sottofondo. E poi, emerso dal nulla, proprio come il tappeto di stelle, ecco apparire un meraviglioso paesaggio. Colline e prati verdi fino all'orizzonte, che si stagliava come una linea verde, al termine di un'enorme distesa d'erba verdissima. Il cielo sopra di lei era terso. Ma non si vedeva il sole, sebbene tutto risplendesse di una luce dorata. Spike volse lo sguardo verso la volte celeste. Ma, benche' si sforzasse, non riusciva a scorgere il disco infuocato del sole. E poi, in un istante, fu notte. nel cielo nero di nuovo percorsi di stelle e nuv!
 olette nere dalle sfumatore argentee e violette. Anche questo non duro' che un istante, poi, di nuovo giorno. E ancora notte. in un susseguirsi ininterrotto e terribilmente veloce. Da togliere il respiro. Se l'avesse avuto...
L'uomo mutaforma si fermo', guardandolo mentre Spike girava su se stesso, cercando di abituarsi a quel susseguirsi istantaneo di giorno e notte. e lo vide guardarsi intorno rintronato, quando finalmente, il giorno vinse sulla notte, restando fermo, come sospeso. Solo allora, il vampiro si avvicino' all'uomo, che nascondeva qualcosa con il proprio corpo. Spike tento' di guardare. La creatura si sposto'. E lui ebbe un sussulto. Dietro quell'uomo si trovava, imponente e maestosa, la fonte che con incredibile precisione aveva descritto. Ed era proprio come lui l'aveva vista. Senza vederla. Eppure gli sembrava di averla veduta altre mille volte. L'uomo, fermo nel suo involucro che ora rappresentava un uomo di mezza eta' vestito con impeccabile precisione, indico' la piccola clessidra dalla quale colava, goccia a goccia, acqua trasparente e purissima. La tocco', afferrandola come se avesse voluto capovolgerla.
"Pronto a compiere il tuo viaggio?"
In un attimo, Spike comprese a cosa si riferiva. Vide la donna riflessa negli occhi dell'uomo davanti a lui. Seppe, senza guardarsi in alcuno specchio, che quella donna viveva anche nei suoi occhi. Annui', troppo sconvolto per parlare. Il gesto dell'altro fu fulmineo. Afferro' la piccola clessidra e la capovolse, invertendo il flusso dell'acqua. E Spike si senti' come risucchiato da un vortice d'aria bollente, che lo trascino' via, via da quel posto calmissimo. Via da quel tempo fermo. Via dalla sua...essenza. Passarono solo pochi secondi, in cui tutto il mondo gli sembro' una macchia distinta e sfocata. E poi perse i sensi, avvolto da capo a piedi in un vortice di vento bollente.

Una risata piena di amaro sdegno riempi' il silenzio dello stanzino, oltrepassando la furia della tempesta e lo sfrigolare del fuoco nel camino. Una risata simile ad un sibilo. Una risata che strinse Buffy in una morsa di ghiaccio. Si senti' come se il sangue le si fosse ghiacciato nelle vene, smettendo di scorrere. Come se la sua pelle avesse improvvisamente perso ogni tipo di sensibilita'. Una sensazione orribile.
"Salvodor...oh, mio Dio! Salvador Rodriguez Mendoza! Ma ci tenete davvero cosi' tanto a finire al rogo?"
L'uomo avvolto nella casacca marrone tremava vistosamente, mentre sul viso cercava di mantenere un'espressione seria. L'idea di bruciare su un pira si disegno' piano nella sua mente. Si senti' improvvisamente soffocare, come se fumo gli fosse entrato nei polmoni e lo avesse intossicato.
"Sono pur sempre un medico, Palacio. E' mio dovere fornire un parere."
Palacio smise improvvisamente di ridere. Buffy sobbalzo'. Altrettanto fece Mendoza. Alzo' lo sguardo, giusto in tempo per vedere l'inquisitore avanzare sicuro verso di lui. Fu un attimo, prima che si ritrovasse bloccato contro la parete fredda, una mano forte a tenerlo per la gola, rischiando di soffocarlo. Boccheggio', cercando di riprendere aria.
"Non far si' che tu sia la mia prossima causa!"
Il medico guardo' gli occhi neri e duri come pietre dell'inquisitore fissi nei suoi. Occhi iniettati di sangue, con una risoluzione omicida dentro. Noto' come tutti i presenti non avessero mosso un passo. Capi' che lo avrebbe ucciso.
"Allora, dottore...facciamo un gioco: risposta corretta, il dottore vive, risposta sbagliata, muore. La tortura uccidera' quella ragazza?"
L'uomo cerco' disperatamente di prendere aria, mentre la mano di Palacio si stringeva con forza crescente attorno alla sua gola. Capi' in un istante che nessuno lo avrebbe salvato. Che c'era un solo modo, per uscire vivo da quella situazione. Guardo' la ragazza, che tremava come una foglia, accasciata sul lettino di legno, guardarlo disperata. Ma Mendoza era un codardo. Torno' a fissare Antonio Palacio.
"E' forte abbastanza...dovete scusarmi, devo essermi sbagliato...senza dubbio vivra'...se non esagererete..."
Palacio lo lascio' andare, massaggiandosi la mano come se quello in punto di morte fosse stato lui. Sorrise. Viscido come un serpente.
"Non succedera'...complimenti, dottore, risposta esatta...e adesso state in quell'angolo e non muovete un muscolo."
Si giro', andando lentamente verso il lettino. Sul quale sedeva una sconfortata Buffy. Tradita da tutti, abbandonata da tutti. Sola, a combattere contro la morte. Una battaglia disperata. Persa in partenza. I due aiutanti la fecero distendere, senza che lei opponesse la minima resistenza. Era finita. Ma non avrebbe confessato. Ne' avrebbe urlato. Guardo' Antonio, che si guardava intorno per cercare la tortura migliore da infliggerle. Scelse l'annodamento. Indico' ad uno dei due uomini un lungo bastone. L'uomo corse a prenderlo, sorridendo trionfalmente. Era una delle torture piu' lente e piu' utilizzate, dopo lo stivaletto e la vergine di Norimberga. Buffy vide l'altro uomo legarle i polsi e le caviglie con strette cinghie di cuoio. Troppo strette. Laceravano la pelle. Strinse i denti, mentre sentiva un rivolo di sangue colarle dalla caviglia, dove lo strusciare delle cinghie le aveva abraso la pelle. Vide il rpimo uomo avvicinarsi e porgere ad Antonio il bastone. Lui si pos!
 e dietro di lei. Attorse i suoi bei capelli biondi attorno al bastone. Buffy capi' allora cosa volesse fare. si senti' gelare.
"Te lo chiedo per l'ultima volta, ragazzina. Vuoi confessare?"
Lei scosse la testa. Le sembro' di scorgere il luccichio del sorriso di Palacio. Palacio che teneva tra le mani una manovella collegata al bastone. Buffy sapeva, cosa stava per succedere. E, quando successe, quando Palacio giro' di un giro la manovella e il bastone si torse, rinforzando la presa sui suoi capelli, tutti i suoi propositi sul non urlare andarono a farsi benedire. Sopraffatta dall'atroce dolore, sentendo alcune ciocche spezzarsi e la testa sanguinare, Buffy non pote' fare altro che scoppiare nell'urlo piu' alto e straziante che fosse mai uscito da quelle labbra. Una sola lacrima le scese lungo gli zigomi, mentre Antonio Palacio ripeteva la sua domanda e lei rinnovava la sua risposta, aspettando nuovamente la fitta di terribile sofferenza alla testa, e prendendo piu' aria possibile, per prepararsi al secondo grido, che sarebbe stato sicuramente piu' acuto del primo...e la manovella riprese a girare...

La sofferenza segue la sua vittima ovunque essa va. Come quell'ombra che striscia silenziosa sull'asfalto, seguendo un vecchio mulo dal pelo duro e marrone. Marrone come il saio dell'uomo che trasportava. Piu' che un uomo, si sarebbe detto uno straccio chiuso da un cordone di seta bianca, bagnato dalla pioggia che continuava a cadere senza nemmeno che lui se ne rendesse conto. Ai lati del mulo, legati con filacci di canapa, due cesti di vimini carichi di bende e medicine. Per la cura della lebbra. Juan Delgado procedeva cosi', chino, senza forze, afflosciato come i sacchi che trasportava, sulla sella della sua cavalcatura, rimuginando sul suo passato, sul presente, sul futuro. V'era in particolare un episodio, della sua giovinezza che, in quel momento di sconfinato sconforto, si affacciava piu' degli altri ai balconi della sua memoria. La prima prova a cui era stato sottoposto, pochi mesi prima che prendesse i voti. Era una mattina uggiosa di fine marzo. Nuvole nere solcavan!
 o il cielo divenuto del colore del piombo fuso. Una lieve pioggerellina raffreddava l'aria opprimente. Lui, Juan, arrivava in carrozza davanti un imponente edificio di pietra e mattoni crudi. La sua nuova casa. Un collegio maschile, abitazione di decine di aspiranti preti. La carrozza l'aveva lasciato li', sotto la pioggia, davanti l'enorme portone di ferro e legno. Al suo insistente bussare aveva risposto un distinto uomo di mezza eta', che l'aveva educatamente salutato, dicendogli di lasciare fuori i bagagli e di salire immediatamente dal direttore. Lui l'aveva fatto. Era salito. Ed aveva trovato un enorme uomo dalla fronte larga e calivizie incipiente, fermo dietro una scrivania di ciliegio, con le mani giunte e l'aria solenne. Ne era rimasto impressionato. L'uomo gli fece cenno di sedersi. E lui si sedette.
"Salve, Juan."
Lui aveva fatto un reverenziale inchino. Poi era tornato a guardarlo dritto negli occhi. L'uomo anziano aveva sorriso. Per ridivenire immediatamente di nuovo serio.
"Juan, la tua stanza e' al settimo piano. Vorrai portar sopra i bagagli..."
"Si', se posso, signore."
Di nuovo il direttore aveva sorriso fulmineamente.
"Non ti aiutera' nessuno. Dovrai portare le tue valigie da solo, fino alla tua stanza. E' un problema, per te, ragazzo?"
Juan aveva subito pensato 'sette piani a piedi con il baule?'. E era stato sul punto di scoppiare a ridere. Ma poi aveva scrutato meglio la faccia seria del direttore. Ed aveva annuito. Convinto.
"Ce la posso fare. nessun problema, direttore."
Quindi si era alzato ed era uscito sotto la pioggia a riprendersi il bagaglio. Un enorme baule, pesante non meno della meta' di lui. E lui, Juan, l'aveva guardato per mezz'ora, chiedendosi come fare a portarlo su, fino al settimo piano. E gli era venuta un'idea brillante. Sotto lo sguardo del direttore, che lo osservava senza farsi vedere, aveva aperto il baule e, a piccoli carichi, aveva trasportato tutto fino al settimo piano, andando su e giu' almeno una ventina di volte. Infine, aveva afferrato il baule ormai vuoto e lo aveva trasportato fino al settimo piano. Appena arrivato, il direttore lo aveva chiamato. E lui, senza nemmeno darsi una ripulita, era piombato nel suo studio, fradicio di pioggia e sudore.
"Complimenti, Juan. Hai superato la tua prima prova..."
E poi aveva detto qualcosa che Juan ricordava cosi' nitidamente, e che gli sembro' una frase molto appropriata per la situazione nella quale si trovava, galoppando su di un mulo per lasciarsi il piu' lontano possibile l'orrore della morte di Miranda.
"...nella vita dovrai affrontare molte prove, Juan. Ricordati solo che non dovrai mai arrenderti, anche perche' sarebbe inutile. Un problema, prima o poi va affrontato..."
Ripensando a queste parole, ora, nelle tenebre che sovrastavano l'alba, Juan ha voglia di piangere. Vorrebbe, vorrebbe tanto superare anche questa prova, affrontare anche questo problema...ma non ce la fa! Come gli si puo' chiedere tanto? Ripensa a quegli occhi vispi e allegri, quegli occhi cosi' profondi...occhi verdi, come smeraldi...e capelli d'oro. E si chiede come puo' cavalcare lontano sapendo che lei, quegli occhi, quei capelli, stanno per essere bruciati.
Un problema, prima o poi va affrontato...
Si ferma. Il mulo frena bruscamente, lasciando cadere alcune delle bende e delle medicine caricate dentro i cesti di vimini. Resta cosi', fermo, a pensare. E poi, in un moto di follia, o forse di insana lucidita', gira il mulo, il quale riprende a percorrere a ritroso la strada, senza protestare. Una strada tutta in salita. Diretti nell'unico posto dove Juan non vorrebbe essere...ma sa di dover essere...

Capitolo XIII

<Pensi di aver fatto andare tutto per il meglio
Ma poi appare qualcuno che vuole abbatterti
Vuole sradicarti dalle belle cose che hai trovato
Quando e se toccherai il fondo, e' una caduta dolorosa...>
Non temere il buio...perche' senza di esso non ci sarebbero i sogni...
Sembra di essere immerso nei sogni. Piccole, delicate bolle di sapone multicolori. E, all'interno, fragili sogni, tutt'attorno a lui. Attimi fermi. E lui, sospeso in quel vortice, attorniato da fantasie. Un vortice fresco e calmo, come se fosse rinchiuso in una nuvola dipinta di nero. Ma non teme il buio. E' quasi rassicurante, quel colore scuro che lo avvolge e quasi gli si appiccica addosso, caldo e confortante. Ombra. Lui, sospeso nell'ombra. Come sempre. Avvolto in un sudario dalla consistenza della notte. Come stelle, quelle fragili bolle trasparenti, che volteggiano leggiadre, sparendo nel buio. Inebriandolo con quel profumo di buono. Il profumo dei sogni. Ma sono sogni strani, contagiati dalla crudele realta'. Sogni che non sono suoi, ma nei quali si vede. E vede lei. No. Vede due occhi blu. E due occhi verdi. E persone sconosciute che li mostrano orgogliose al mondo. Perche'? Allunga una mano, Spike, e cerca d'afferrare quella bolla candida che se ne sta quietamente !
 sospesa sopra di lui. La sfiora appena, e questa scoppia. Un scoppio luccicante, dal suono di velluto. Velluto. E quel rumore, in quell'assurdo silenzio, lo scuote. Un forte brivido si irradia dentro di lui, a partire dal suo cuore. Chiude gli occhi, e un dolore lacerante si impossessa di ogni fibra del suo corpo. Un dolore cosi' aspro...la consapevolezza che, ancora una volta, quando tutto sembrava andare per il meglio, qualcosa ha rovinato tutto. E sono caduto...una caduta infinita. Senza mai toccare il fondo...
<Perche' tutto quello che fai e' essere te stesso
Cercando in tutti i modi di riuscirci
Ma questo non e' il modo in cui le cose vanno bene, ora
Sentendoti perso...>
Intrappolato nel gorgo dei suoi sentimenti. Come se quel vortice lo trascinasse nella sua anima. Come se si stesse esplorando dentro, mentre attraversa chissa' quali tempi e realta', chiuso in un limbo, accarezzato da bolle di sapone che intrappolano spezzoni della sua vita...quando cercava solo di essere se' stesso...ma non andava mai bene...e si sentiva cosi' perso...intrappolato nel gorgo...
<Quelle ragioni...
Quelle parole maleducate che vengono dette
ti irriteranno un giorno, te lo prometto...>
Gli sembra di sentire la voce delicata di Buffy...quella voce di velluto che strusciava sensuale contro la sua pelle. E poi lo graffiava, con le unghie acuminate degli insulti. E lui, a soffrire in silenzio, perfettamente consapevole di cio' che gli veniva detto. Perfettamente consapevole dei silenzi che ne seguivano, nei quali cercava disperatamente qualcosa con cui controbattere. Perfettamente consapevole che non aveva ragione, lei. Perfettamente consapevole che non sarebbe mai piu' ruscito a ferirla come una volta. Perfettamente consapevole di non volerlo. Ferirla. No. Un giorno, forse, guardera' indietro, Spike, e si arrabbiera' per tutti quegli insulti. Ma non e' adesso. Non adesso, in viaggio verso l'ignoto. Con solo la sua immagine in testa. Quella che gli dice 'mi fido di te, Spike', non quella che gli urlava contro 'tu sei un essere inferiore'. Non quella.
<Ma forse sara' troppo tardi per dirlo
L'ho saputo fin dall'inizio, perche' sai,
E' miglia lontano dalla verita', ricordalo...>
Sente la sua pace frantumarsi poco a poco. La luce inondargli il viso. La luce debole e fioca del sole tra le nuvole, quando i suoi raggi non possono incenerirlo. Quella luce. La luce soffice e delicata della tempesta. Una luce opprimente, forse. Ma bella ugualmente, nelle sue sfumatore rosse e piombo. Sembrano scolpite nell'aria, riverberi ambrati del sole che si nasconde dietro le nuvole, che sembrano grovigli di lana nera. Sa apprezzare la bellezza di una tempesta, Spike. Quasi quanto sa apprezzare la bellezza di una ragazza. Di una ragazza bella come Buffy. E dirsi che lei lo sa. Sa che lui non e' 'inferiore', ne' e' una 'cosa brutta e cattiva'...sono cose che si dicono. Ma si sa che si dicono per rabbia, paura, follia. E' solo un attimo. E poi, quando ci torniamo su, ci viene quasi da ridere. No, non e' possibile, ho detto questo? E vorremmo chiedere scusa. Ma...per la miseria, se solo non ci fosse l'orgoglio! E allora facciamo spallucce e pensiamo 'va beh, ma certament!
 e lo sa gia' che non lo pensavo veramente...che e' miglia lontano dalla verita''...
<Forse pensi che non mi accorga,
Che non soffra per quello che fai
Ti chiedo per favore
Di pensare a cosa ti ho fatto...>
E tutte le volte che l'aveva punzecchiata lui? Se l'era forse dimenticato? E si ritrova a chiedersi, quando ancora non riesce ad aprire gli occhi, se lei ne abbia sofferto...aveva sempre dato per scontato che non gliene importasse niente...ma era davvero cosi'? Davvero le scivolava tutto addosso, come voleva far credere? Tutte le volte che l'aveva derisa e sbeffeggiata e aveva deriso e sbeffeggiato i suoi amici, Angel, il soldatino-capitan America-Riley...oddio, solo pensare a quel tipo lo fece sorridere...uno che probabilmente dormiva con la bandiera americana come coperta...ma, quando lo diceva a lei, davvero era come lanciare un bicchier d'acqua su un vetro? Scivolava tutto via? Con lui non succedeva cosi'...tutte le volte che lo insultava era come se scavasse cicatrici immense nella sua anima e nel suo cuore. Cosa gli aveva fatto? E cosa aveva fatto, lui, a lei?
<Ti prego cerca dentro di te e fammi sapere
Se ho sbagliato qualcosa penso che me ne andro'...
Lontano...nascosta...
Per non essere mai trovata...>
Spike apre gli occhi. Sbatte le ciglia, finche' i suoi occhi non si abituano alla abbacinante luce della tempesta. Poche ore dopo l'alba, quando il sole e' ancora troppo basso per frantumare la barriera spessa e scura di nuvole. La nebbia si dirada piano nella sua mente. Riprende a vedere chiaramente, attorno e dentro di se'. E' su un cumulo di paglia, in quella che sembra una vecchia stalla. Sentore aspro di cavalli che ristagna nell'aria opprimente. Oddio, cosa abbiamo fatto di sbagliato, per finire qui? Tutto e niente...non abbiamo sbagliato niente, eppure abbiamo sbagliato tutto. E tu non dovevi andartene, dannazione! Cosi' lontano, cosi' nascosta...
<Solo fammi sapere
Ed io me ne andro'...>
...Ed io ti trovero' sempre, passerotto...dovunque andrai...mi avrai sempre fra i piedi...
<Forse me ne andro'...>
"Hey, figliuolo! Che fai disteso nella mia stalla?"
Spike vide, ancora inebetito, una figura alta e terribilmente magra, apparire sulla soglia, imbracciando un forcone per la paglia. Balzo' a sedere, stropicciandosi gli occhi. Dall'abbigliamento e dal volto rassicurante del contadino, non ebbe piu' dubbi. Qualunque cosa avesse fatto la sua...essenza...aveva funzionato.
"Deve scusarmi, buon uomo, devo essermi addormentato. Ma cos'avete spruzzato, qui, Chanel N° 5?"
Tossi' ripetutamente, aspirando senza volere il lezzo che aleggiava in quella stanza. Quando vide l'uomo aggrottare la fronte senza capire, si ricordo' che Coco Chanel non era ancora nemmeno nata...e probabilmente nemmeno la sua bis nonna...
"Avete bisogno di qualche informazione, giovanotto?"
Lui ando' barcollando verso quella figura che ora riusciva a visualizzare, stagliarsi decisa sulla soglia illuminata dai lampi. Sobbalzo' lievemente, quando un tuono di inaudita potenza sembro' scuotere le fondamenta della stalla. Si rivolse seriamente al contadino.
"Sa dirmi se questa e' la Valle del Sole?"
L'uomo sorrise.
"Beh, non proprio, la Valle del Sole e' due miglia ad ovest...ma tu guarda che sfortuna, io ci sono appena tornato...c'e' un gran fermento in citta'..."
Spike senti' un brivido freddo attraversarlo.
"Come...Come mai?"
L'uomo si segno', mentre un altro fulmine disegnava la sua elegante caduta poco distante da li'.
"Nella chiesa...a sud est della citta'...stanno processando una povera ragazzina di appena sedici anni...e' cosi' bella quella creatura...ah, ma io non ce l'ho fatta. Quando hanno deciso di usare la tortura ho preso il mio mulo e me ne sono tornato dritto a casa...ma...aspettate, ragazzo!"
Spike non era arrivato che a meta' discorso, solo quel tanto che bastava per ricordargli dove si trovasse la chiesa e quanto distasse Sunnydale da li'...e che aveva, a quanto pareva, pochissimo tempo...quindi lascio' il contadino ai suoi cavalli, salvo rubargliene uno. E spronarlo piu' che poteva, mentre la pioggia battente scivolava sul suo spolverino, disegnando scie di tristezza sul suo viso, mescolandosi alla lacrime...

Sembrava non sapere piu' se erano lacrime o sangue, quello che scorreva sul suo viso, bruciandogli la pelle, rendendola folle. Folle come quel grido che risuona, ed e' piu' forte della tempesta, piu' forte della cantilena che gli inquisitori intonano con voci tremolanti come la fiamma che guizza ed arde nel camino. Come se lei non ci fosse. Sono piu' di due ore che il bastone si torce, strappandole ciocche di capelli biondi, lacerandole la carne. Facendola gridare di dolore. E rabbia. Rabbia sorda, che non sembra capace di controllare. Rabbia che esplode in quel grido, altissimo e straziante. Ed e' come urlare in una stanza affollata, e nessuno ti presta ascolto. Piangere e supplicare. E pianti e suppliche si perdono nel vento che spira dalla finestra aperta, gelandole le ossa, e nel fuoco che sfrigola allegro nel camino. Pare non arrivino nemmeno alle orecchie degli inquisitori. Si chede se stesse urlando davvero. O se non fosse tutta una finzione, una fantasia che proveniv!
 a dalla sua mente maligna. Magari non sta urlando. No, magari non sta nemmeno sussurrando...eppure la gola le brucia, le labbra sanguinano per come le stringe, e le morde, cercando di ignorare il dolore atroce che le serra tutti i muscoli, ogni centimetro di pelle bianca. Cosi' tesa come non pensava di poter mai essere. Come essere la corda di un liuto, suonata da un menestrello inesperto, che la tende troppo, e la pizzica violentemente, spezzandola. Ecco, come si sente. Spezzata. Le parole di Willow, dette in circostanze molto diverse, le ritornano alla mente...
Come se fossi spezzata...e meta' di me fosse persa...
E...oddio, non e' meta'...si sente completamente persa. Abbandonata da tutto. Tranne che dalla sofferenza, che la sferzava. Prendendo le sembianze di un enorme bastone sporco di cremisi. E di una manovella che, inesorabilmente, girava. E quelle mani che permettevano alla manovella di girare, e a quel bastone di stringersi...quelle mani sporche di sangue, del suo sangue. Quelle mani ferme, che provocavano sofferenza e sembravano non accorgersene. Buffy alza gli occhi, stanchi e arrossati dal pianto, sulla figura alta, appena dietro di lei. Quel movimento le strappa una smorfia. Una fitta di dolore, dietro, alla nuca, dove le sembra di non avere ne' capelli, ne' pelle. Solo vene pulsanti, che battono e battono e battono, in un moto continuo e doloroso. Alza gli occhi, Buffy, e li fissa in quelli di Antonio Palacio. I suoi, verdi, gonfi e stanchi, in quelli di lui, grandi, neri, freddi e indifferenti a tutto se non al sangue. Ne pareva attratto. Lo guardava. E guardandolo si ca!
 rezzava le labbra con la punta della lingua, come se fosse bramoso di averne. E quel sorriso, quel sorriso sibilante e velenoso...non abbandonava mai il suo viso, non cedeva mai il posto alla minima traccia di pieta' o ripensamento. Sembrava un demone, con quella smorfia in volto, i capelli scarmigliati dalle ore di interrogatorio e la toga macchiata di sangue. E la cosa peggiore era che sembrava la sola a pensarlo. Tutti gli altri, salvo forse il medico, la guardavano come se il demone fosse lei. Lei, angelo caduto, a cui avevano tarpato le ali. Lei, dolorante ed esausta, con gli occhi che piangevano sangue. Lei, innocentemente colpevole. Guarda quei volti, uno per uno, mentre un'altra fitta atroce la attanaglia, e si accorge che Palacio ha stretto di nuovo il bastone. Sente sangue fresco colarle tra i capelli, e scivolarle lungo il collo, imbrattandole la veste grigia. Stavolta si morde le labbra, ma non urla. Lo fanno i suoi occhi, per lei. Che guardano uno per uno tutti!
  i presenti. Studia con quel minimo di lucidita' che le e' rim!
 asto que
i volti scarni, che non mostrano niente. Sono come la bestia, quella che riposa dentro di lei. Non hanno niente, negli occhi. Ne' paura, ne' pieta', ne' rimorso, ne' compassione, ne' tristezza, ne' odio...non c'e' niente. Guardare quegli occhi e' come sprofondare in un baratro, essere trascinati nell'assoluto nulla. E lei, nella sua lucida pazzia, lo sa. Lo vede. Preda di quella pazzia che non da' sollievo, ma solo altro dolore. E ancora, e ancora, finche' non ne e' sommersa. Crudele pazzia. E' forse merito di quest'ultima se, in un solo, immediato istante, un pensiero le passa fulmineo nella testa. E si apre, perche' lei possa vederlo, osservarlo, tastarlo.
E' inutile...
E' inutile continuare a lottare...
E' inutile perche' mi hanno gia' condannata...
E' inutile perche' tutto quello che c'e' ad attendermi, oltre quella porta, e' il rogo...
E' inutile continuare a dire la verita', quando non potro' accontentarli se non con una bugia...
E' inutile continuare a raccontare bugie, quando non potro' accontentarli se non con la verita'...
E' inutile...
Ha quasi una forma coerente, quel pensiero. La soddisfa. Non ne puo' piu', di tutta questa tortura. Non ne puo' piu' di vivere. Non cosi'. Senza nessuno, accusata da tutti. In questo tempo che non e' il suo, l'unica cosa che puo' fare e' andare incontro al proprio destino. Andare consenzienti e coscienti, o lucidamente pazzi, verso la morte...
La morte ci sorride...e all'uomo non resta altro che sorriderle di rimando...
Oh, si'...ha voglia di quella quiete, di quel viaggio senza meta, camminando nella luce piu' pura, guardando in faccia il sole, passeggiando tra le stelle e dormendo tra le nuvole...e piu' sente l'assurdita' di quel pensiero, piu' le sembra dolce e rassicurante. Si irrigidisce tutta, tentando di trovare un po' di voce rimastale, tossendo e sputando sangue dalla gola riarsa, senza piu' sentire nemmeno dolore. Ha quel pensiero in testa. Vuole solo farla finita. Perche' e' inutile...
"Basta..."
E' un sussurro cosi' roco che si stupisce che Palacio l'abbia sentito. Ma altrimenti non puo' essere, dal momento che lo vede sorridere, e chinarsi.
"Confessi, bambina?"
Stavolta e' un urlo. L'urlo di un animale in agonia, o di una donna stanca di esserlo.
"Si', si', confesso, tutto quello che volete! Ho ucciso, sono posseduta! E' questo che volete sentirvi dire? Eccovi serviti! Sono colpevole! E per favore, ora uccidetemi!"
La testa le ricade all'indietro, vinta dalla fatica e dal peso del bastone che resta attaccato ai suoi bei capelli. Respira piano, in rantoli rochi, cercando di prendere aria, di non restare soffocata dallo zampillo di sangue rosso che sente ristagnarle in gola. Si e' sforzata troppo. Ha sete, e sente la gola squarciata. Antonio fa un cenno ad uno dei due aiutanti. Quello si pone dietro Buffy con un coltellaccio, e lei pensa che finalmente e' finita. Invece, l'uomo slega i legacci che tengono il bastone tra i capelli della ragazza, e lo toglie. Buffy si sente come se le avessero tolto un macigno dalla testa. Ma il dolore rimane, e il sangue continua a scorrerle sulla nuca, sebbene sempre piu' lentamente, fino ad arrestarsi, lasciandole solo un calore appiccicoso sul collo. Sente le braccia robuste dei due inquisitori sollevarla. Il mondo attorno a lei divenne una macchia indistinta e senza colori, un attimo prima che perdesse finalmente i sensi.

"Mi ero dimenticata, quanto fosse liberatorio..."
"Fare l'amore con me e' sempre liberatorio!"
"Quando avro' bisogno di liberarmi da qualcosa, verro' da te..."
"Tutto qui? Lo sai che sei un demone, Anya?? Mi spezzi il cuore!"
E' una parentesi. Si', una parentesi. Due archi, e, rinchiusi dentro, due ragazzi. Che sembrano estraniati da tutto quello che succede fuori. Dalla pioggia che cade ad intervalli irregolari. Da una citta' che, lentamente, si risveglia. Perche' e' l'alba. Il sole, pero' non si vede, sepolto da una cortina di spesse nuvole nere, come immense volute di fumo provocato da un incendio...il loro incendio. L'incendio dei sensi.
L'amore e' una quiete accesa...
Amore. Chissa' se si puo' chiamare cosi', quel sentimento irrazionale che nasce tra loro. Loro. Anya. E Xander. Puo' essere classificato come semplice 'amore', il loro? Banale e prevedibile amore? No. La loro e' solo una quiete accesa, ma non e' amore. Non solo, almeno. E' qualcosa che arriva, sfiora, stuzzica, provoca...e poi se ne va, senza avvertire, senza dire se e quando tornera'. Un amore nomade, il loro. Un sentimento che deve andare e venire, per loro. Un sentimento tutto loro. Un sentimento che non sempre arriva quando lo vogliamo, ne' se ne va quando non lo vogliamo piu'. E' nomade, si', e proprio per questo non rispetta nessuna regola. Arriva, apre la sua tenda, manda in subbuglio due cuori giovani e...sembra proprio voler restare, sembra abituarsi alla normale vita da innamorati. E poi, una mattina...la mattina del tuo matrimonio, magari, decide che ne ha abbastanza. Fa le valigie, non lascia biglietti e se ne va. Non promette di tornare, non e' sicuro di stare v!
 ia per molto. Se ne va e basta. E poi torna, dolcemente, chiedendo scusa. Avanzando scuse assurde per essersene andato, ma sembrano scuse credibilissime, chissa' perche'. Perche' ci vogliamo credere. E poi...prende a fare avanti e indietro, sostando a tratti nel motel del tuo cuore. Solo per un po'...si', e' solo per una notte...ma forse si trovera' bene. E quella notte ne diventeranno cento. Cento di queste notti...notti di passione. Ma non passione normale. No, sarebbe troppo banale. E' passione dolce e insieme istintiva, passione come quella che descrive Spike, 'qualcosa che ti prende e ti squarcia dentro', e non puoi fare niente per fermarla. Ma poi, vuoi fermarla? No. Una quiete accesa...ecco il sentimento che lega Anya a Xander. E Xander ad Anya. Una quiete accesa. Un amore libero e nomade, ma vivo per sempre.
Xander accarezza i capelli biondi di quella ragazza. Di quella donna. Accidenti, doveva essere mia moglie...se solo quel giorno non me ne fossi andato, io e le mie stupide paure...se non avessi dato retta a quell'uomo...forse sarebbe stato tutto diverso...o forse tutto uguale...non lo sapremo mai, eh Anya?
C'e' una tranquillita' sicura, dentro di lei. Qualcosa di assolutamente certo. Una certezza fulminante. Di stare bene. Di essere al sicuro, esattamente dove vorrebbe essere. Anche se si tratta del pavimento del Magic Box. Ma li', tra le braccia di Xander. Quel ragazzo cosi' stupido e ottuso, a volte. A volte. Avvicina le sue labbra a quella di Xander. E' pericoloso farlo, lo sa. Perche' poi e' cosi' difficile staccarsi. Ma ha fame. Fame di lui. Ne ha bisogno. E lui ha bisogno di lei. Della sua labbra, della sua pelle. Senza vestiti ne' barriere di alcun tipo, nel contatto piu' naturale e semplice che ci sia. Pelle contro pelle. E bocca sulla bocca, proprio come stanno in quel momento. E sarebbero andati avanti, se solo il campanello del negozio non avesse suonato, ed una atterrita Dawn non fosse entrata correndo, con l'aspetto di un pulcino bagnato.
"Ragazzi? Anya, Xander, Will, ci siete? Avevo bisogno di...oh, scusate!!"
Si copre gli occhi con una mano, Dawn. In un gesto quasi meccanico. Come se a diciotto anni suonati non sapesse certe cose. E si lascia scappare un sorrisetto, mentre sente Anya e Xander rivestirsi in fretta, arrossendo fin sulle punte dei capelli.
"Scusate, non sapevo, non potevo sapere cosa stavate...facendo...avevo bisogno di voi..."
Anya si riavvia i capelli, legandoli poi con un elastico giallo. Xander cerca di infilarsi la cintura. Ma, impacciato com'e', sembra non riuscire a trovare il buco giusto. Anya cerca di dargli una mano. Si guardano per un istante, senza poter fare a meno di sorridere, imbarazzati come ragazzini. Guardano Dawn.
"Cosa c'e', Dawn?"
Lei torna a fissarli, imbarazzata e divertita allo stesso tempo. Anya continua a sfregarsi una mano sull'altra, come se tentasse di riscaldarsi i palmi. Xander disegna cerchietti per terra con la punta delle scarpe.
"Beh, ecco...e' per Spike..."
"Che ha combinato?"
Anya da' una gomitata nel costato al ragazzo vicino a lei.
"Xander! Che e' successo, Dawn?"
La piccola comincia a gesticolare freneticamente, guardandosi intorno, con l'espressione preoccupata negli occhi.
"Io...non riesco a trovarlo...credo sia uscito ieri, appena dopo il tramonto...e non e' piu' tornato...e anche Miranda, non c'e'. Ho paura che gli sia successo qualcosa. Insieme a lei, capite? Dobbiamo trovarli..."
In quel momento, il campanello del negozio suona ancora, lasciando entrare la figura alta e aggraziata di Willow, i capelli appesantiti dalla pioggia. Lancia uno sguardo ai presenti, notando curiosa la presenza di Dawn.
"Che c'e'?"
La piccola le corre incontro.
"Willow, devi aiutarmi a trovare Spike! E Miranda...non ci sono piu' da ieri sera! Ho paura! Spike e' l'unico che puo' aiutare Buffy! E se gli fosse successo qualcosa?"
Si rifugia contro il petto della strega, che le accarezza i capelli, comprensiva.
"No, su, su, non piangere...vedrai che li troveremo, non piangere, sono sicura che..."
In quel momento, il campanello del Magic Box suona per la terza volta. Ha un suono piu' basso, piu' sensuale e aggraziato. Come mosso dal vento, e non dalla superficie legnosa della porta. Porta che si posta, senza che nessuna mano umana la spinga, e lascia entrare una ragazza dai lunghissimi e fradici capelli biondi. Il viso bagnato dalla pioggia, gli occhi verdi e limpidi che brillano nel pallore del suo incarnato. Il vestito pieghettato, bianco e bagnato, appiccicato addosso come se facesse parte della sua stessa pelle. Pelle che trema e freme, sotto quel vestito che segue il ritmo costante del suo respiro. Guarda tutti, e non guarda nessuno in particolare. Per un attimo, Dawn e' tentata di abbracciarla, come avrebbe fatto con sua sorella. Ma quella, per quanto potesse assomigliarle, non era Buffy. Willow si avvicino' alla figura piccola e tremante, porgendogli un'asciugamano. Il profumo del suo potere le arrivava come un balsamo rigenerante alle narici, inebriandola. Sem!
 brava piu' forte della terra stessa. La ragazza prese l'asciugamano, senza dire una parola, e si deterse il volto bagnato, frizionandosi i capelli d'oro. Anya la guardo' ancora per qualche istante, prima di avere il coraggio di parlare.
"Miranda...dov'e' Spike?"
La piccola sembro' riscuotersi dal suo torpore. Sorrise, apparentemente guardando Willow distrattamente. Ma Anya sapeva che le stava scrutando dentro.
"Spike...oh, lui non so dove sia..."
Anya abbasso' la testa. No, non ne sapeva nulla...Dawn guardo' Miranda, che sembrava dover completare la sua frase.
"...Ma William...sicuramente sta bene...e' dove avrebbe sempre dovuto essere. Con la sua anima gemella, ovunque essa sia..."
Un mormorio di stupore passo' di bocca in bocca, da Xander ad Anya, passando per Willow e Dawn. Si guardarono, cercando di moderare le proprie emozioni. Un sorriso sboccio' sulle labbra di Dawn...
Fino alla fine del mondo, Briciola...

Il cavallo l'aveva lasciato all'ingresso della citta'. Dio, com'era diversa, la citta', solo cinquecento anni prima. Casupole di mattoni crudi e fango, accanto ad enormi palazzi di marmo e cemento. Botteghe artigiane, arrotini, fornai. Uno in ogni angolo. Ma erano tutti chiusi, quel giorno. Ovunque spuntava un cartello dalla grande scritta rossa, sistemato con cura sulla porta della bottega: chiuso. Perche'? Oh, come se non lo sapesse, quanta curiosita' puo' destare un processo come quello. Invece lo sapeva. Si era fermato una sola volta, a chiedere informazioni, ad un vecchio grasso e basso, placidamente seduto sulla veranda di casa, sventagliandosi con un pezzo di carta. Aveva chiesto dov'era la chiesa.
"Oh, certo, giovanotto. Arrivate alla fine di quella strada, e andate sempre dritto fino a che non compare, all'orizzonte, il mare. Scendete fino al convento di Santa Chiara. Costeggiate la fiancata che segue il mare, verso nord...e' la piccola cappella collegata al monastero."
Aveva ringraziato, mentre il cuore gli balzava capricciosamente in gola, cercando disperatamente di battere, di ritrovare una scintilla di vita, di tenere il conto del tempo in quel luogo dove il tempo pareva essere inesistente. Ma il suo cuore si era limitato a saltargli nel petto e poi in gola, spinto da chissa' quale misteriosa forza. Ma non aveva ripreso a battere. Lo sapeva, Spike. Ma e' sempre bello crederci. Di poter tornare ad essere un uomo. Ad essere qualcuno. Chiunque, pur di essere alla sua altezza. Ne' inferiore, ne' superiore a lei. Per parlarle dei suoi sentimenti da suo pari, senza vergognarsi di cio' che prova, senza considerarlo innaturale. Per non essere piu' un mostro, eternamente sospeso tra l'essere umano e l'essere vampiro. Demone, con un'anima. Oddio, ogni volta che gli tornava alla mente lo trovava sempre piu' assurdo. Non che il resto del tempo se ne dimenticava. No, faceva troppo male per poterselo permettere. Semplicemente, non ci pensava. Cercava!
  di relegare il dolore in una piccola stanza della sua mente. Per non mostrarlo agli altri. Tranne che a lei, ovvio. Era un suo diritto, dopotutto. Perche' quel dolore era per lei. Quell'anima era per lei. E' per lei. Tutto quello che fa, e' per lei.
Gli dolevano le gambe, ancora intorpidite dal viaggio dimensionale. Ma andava avanti.
Fino alla fine del mondo...
Oltre l'infinito, se fosse stato necessario. Ma non lo sembrava. Eccola, l'alta costruzione di santa Clara, che troneggiava come un albero tra i cespugli. Una costruzione terribilmente alta, che sembrava infilarsi tra le nuvole. Mattoni e cemento. Una facciata a picco sul mare, sulla quale onde altissime si infrangevano in mille schizzi che salivano su e poi sembravano ripensarci, e tornavano a scendere, per riunirsi al mare che le aveva generate. Santa Clara. Metteva quasi paura, con le finestre sbarrate da grate di ferro e travi di legno incrociate. Con quel grottesco colore ocra scuro, reso ancor piu' scuro dall'acqua che vi batteva contro. Eppure, a Spike sembro' terribilmente familiare. Come se ci fosse gia' stato. Gli sembrava di ricordare ogni corridoio, ogni cella, ogni anfratto di quell'eccentrico convento di clarisse. Fisso' interessato una finestra al quarto piano. Una piccola apertura bloccata da assi di legno marcio. Si chiese perche' la stesse fissando con tant!
 o interesse. Fece spallucce. Era troppo complicato. Continuo' per qualche metro a nord, seguendo la curva aggraziata del mare. Mare in tempesta, di un blu scuro, ricco di sfumatore piombo e grigie e, piu' in la', dove il sole fendeva le nuvole e illuminava l'acqua, azzurro tenue e delicato. Spuma bianca si levava dalle onde che correvano veloci fino alla riva, sbattendo contro le banchine di cemento. Ed eccola li', la chiesa. Collegata al monastero da un lungo corridoio. Una chiesa che stonava nell'uniforme grandezza del convento. Molto piu' piccola, e gia' diroccata. La facciata principale, dipinta di bianco, mostrava diverse crepe e metri e metri di intonaco erano caduti da tempo. Eppure, se continuava a restare in quelle condizioni, questo non doveva interessare a molti. Si avvicino', col cuore in subbuglio. Aspiro' profondamente. Non c'era puzza di bruciato, e sentiva chiaramente la presenza della sua cacciatrice. Come una scia di profumo inconfondibile. Entro' nella pi!
 ccola costruzione da una porticina sul retro. C'era mezza Sunn!
 ydale ad
 assistere a quell'abominio. Contadini e signorotti calcati gli uni sugli altri, senz'ordine. Commenti e mormorii frusciavano leggeri come le tonache che portavano quegli uomini che Spike vedeva seduti sul piano sopraelevato, dietro una scrivania. Seduti tutti, tranne...
Oh, Dio santissimo...
Dovette appoggiarsi ad una panca per non perdere l'equilibrio...Angel...quell'uomo dallo sguardo di pietra...immagino' l'inferno che doveva aver patito Buffy, perche' gli basto' una sola occhiata, per capire che quello non poteva essere altri se non Angelus. Senza i suoi aspetti positivi, se mai ce n'erano stati. Stava in piedi, e leggeva piattamente una sentenza di morte ai danni di Miranda De Advieto. Un altro brivido gelido gli percorse la schiena, mentre si faceva largo a spintoni tra il pubblico improvvisato di quel macello. Non riusciva a vederla. Vedeva solo quei giudici guardare qualcosa verso il basso, con disgusto.
"Permesso, mi scusi, per favore..."
Ci mise non piu' di dieci secondi per arrivare davanti. Non abbastanza per preparare il suo cuore a quello che vide...     

C'era. Ma a tratti era come se non ci fosse. Come se la sua anima andasse vagando, persa in chissa' quale fantastica follia. Cosi' fragile che il solo fruscio di quelle toghe lucide e nere riusciva a strapparla da quel mondo di pace e perdizione. Aveva lo sguardo vuoto. Nessuna emozione solcava i suoi occhi. Come se fosse incapace di provare anche il piu' elementare dei sentimenti. Si disse, Buffy, che avrebbe dovuto provare paura. Si sforzava di provare paura. O gioia, o disperazione, o rimpianto. Ma non sentiva niente. Completamente insensibile agli eventi che si susseguivano in maniera lenta e frustrante fuori dalla sua impenetrabile bolla di sapone. Vedeva ancora le labbra dei giudici muoversi. Piccoli, sottili fili bianchi che eruttavano come vulcani la loro sentenza di morte. Era finita, finalmente. L'avevano riportata all'interno della chiesa, fuori da quello stanzino puzzolente di sangue e di morte. Ed ora era di nuovo seduta su quello scomodo sgabello, ondeggiando n!
 ello stato catatonico che precede l'oblio dei sensi. Davanti a lei, di nuovo sette giudici. Avvolti in sette tonache fruscianti, di un nero abominevole. Come angeli neri, saliti dall'inferno per portarci dentro lei. E, tra loro, in piedi con in mano fogli che ancora profumavano dell'inchiostro fresco, stava Antonio Palacio, il suo carnefice personale. L'uomo che le aveva promesso solennemente che sarebbe finita al rogo. Come se non fosse bastato il suo sguardo, quello sguardo di pietra, a prometterglielo. Sposto' i suoi occhi morti -morti-, sulle candele che brillavano su un portacandele dorato appeso alla parete di fronte a lei. Quelle snelle figure bianche le ricordarono angeli. Splendidi angeli dalle candide vesti bianche e capelli di fuoco. Si', erano venuti per portarla via. Via da quell'inutile tormento. Ma, man mano che la sua sentenza veniva pronunciata, quelle figure cambiarono, davanti ai suoi occhi sbalorditi. Divennero orribili demoni, orrendamente magri, dai vo!
 lti infuocati e i corpi mutilati di braccia e gambe. Si ritras!
 se in un
o scatto convulso contro la sedia, gridando mentalmente contro le orribili bestie che prendevano forma e le si avvicinavano, consapevole solo in parte dell'assurdita' di tutto quello. Consapevole solo in parte dello sguardo divertito di Palacio nel constatare che stava lentamente impazzendo. Consapevole solo in parte delle calme figure delle candele posate pacatamente in un portacandele dorato sulla parete davanti a lei.
Andate via...andate via...via, via, via!
Non sapeva nemmeno bene contro chi stesse mentalmente gridando. Contro tutti, forse. Contro Palacio, contro le candele che sembravano avanzare minacciose contro di lei, contro i giudici che le sputavano addosso la sua sentenza di morte. Era solo una parte di lei, quella ancora ancorata alla realta', che sentiva quelle parole. Solo una parte di lei, a razionalizzarle. A capirle. Capire quelle parole prununciate da quelle labbra strette e bianche piu' dei fogli su cui era incisa la sua sentenza di morte. Carpiva solo poche parole, in brevi scatti di lucidita'.
Esecuzione...rogo...immediata...pregate per me...
Tutte quelle parole sconnesse, che prendevano significato e senso come per magia. Lentamente, nella sua mente contagiata dalla pazzia di tutti. Il suo sguardo perso vago' per la sala, cercando invano un'ancora di salvezza a cui aggrapparsi. Sperando ed insieme temendo di non trovarla. Scruto' i volti. Le sembravano strani. Balzavano davanti a lei come usciti da enormi pacchi. Facce che mormoravano, commentavano. Facce che la guardavano, digrignando i denti, o fissandola compassionevoli. Occhi di ogni forma e colore. Capelli lunghi e corti, biondi e neri, che si agitavano nel vento che entrava con forza sempre crescente dalla finestra. Mormorii insistenti ed assordanti che parevano coprire i sibili di Antonio Palacio. Per un attimo, guardandolo, fu certa di avere davanti un serpente. Un enorme, viscido serpente, pronto a stritolarla fra le sue spire. Allora si volto' nuovamente tra la gente accalcata dietro di lei e attorno a lei. Ed un volto, un solo volto in mezzo a quelle !
 centinaia di volti, fece brillare per un attimo i suoi occhi. Fissava un solo volto, tra la folla. E due straordinari occhi azzurri...

Capitolo XIV

Ma chi sei tu che nel buio della notte, inciampi nei miei piu' segreti pensieri?
No, non poteva essere lui...doveva essere impazzita completamente. Una follia cosi' perfida e malvagia da mostrarle proprio cio' di cui aveva un disperato bisogno...proprio adesso, quando finalmente stava per finire tutto. Nei suoi occhi passo' per un attimo, un attimo solo, una fiammata di vita. Brillarono per un attimo. Solo un attimo. Quegli occhi verdi oscurati dalla sofferenza e dalla stanchezza. Opachi, come smeraldi velati di polvere. E non c'e' nessuno a lucidarli. Tranne lui. Solo una stupida fantasia, sicuramente. Ma per un attimo e' come se il suo mondo tornasse a girare. Come se il sole avesse ricominciato a splendere, ed il vento a soffiare, e la pioggia a cadere. In un istante che avrebbe voluto prolungare all'infinito. Se solo la sua mente maligna non le avesse sussurrato all'orecchio...con quella voce ghiacciata che le era arrivata dritta al cuore. E le aveva trafitto l'anima. E' solo illusione, solo immaginazione.
E allora che mi prenda, questa dolce follia...perche' non aspetto altro...
E aveva gettato uno sguardo alla sua ombra, distogliendo i suoi occhi da quella visione. E l'aveva vista ridere e contorcersi, arrampicandosi sensualmente lungo il piano sopraelevato, accarezzando complice la figura di Antonio Palacio, che imperterrito continuava a leggerle la sentenza, senza guardarla. Si convinse che, quando avesse trovato la forza di voltarsi verso la gente accalcata nella chiesa, lui non ci sarebbe piu' stato. Fu una convinzione quasi dolce. Perche' se non fosse stata un illusione sarebbe stato troppo. I battiti del suo cuore si fecero assordanti, coprendo completamente le parole dell'inquisitore e perfino gli insistenti mormorii del pubblico. Mentre si voltava, con una lentezza estenuante. Verso quel punto. Quel punto preciso dove l'aveva visto. Dove lui aveva visto lei. E a Buffy era sembrato di sentire il cuore di lui stringersi in una morsa gelata, guardandola. I suoi occhi si spalancarono, mentre si ritrovava a fissare di nuovo due occhi blu. Mare i!
 n tempesta, e fulmini e lampi, dentro quegli occhi. Non quelli di Juan. C'era quel qualcosa in piu', che rendeva i suoi occhi unici al mondo. Sarebbe stata capace di trovare quegli occhi blu tra milioni di occhi blu. Ne era certa. E quello spolverino di pelle, bagnato dalla pioggia, che ondeggiava e frusciava, seguendo il tremito della pelle di Spike. E quei capelli impossibilmente biondi, che gli ricadevano a riccioli sul viso contratto in una smorfia di sofferenza. Quel viso bagnato, dagli zigomi alti, dalle labbra sottili e frementi. Di rabbia. E, gli sembro' quasi di avvertirla palpabile, di gioia. Perche', oh, mio Dio, l'aveva trovata. E l'aveva vista, nonostante quella vista fosse stata di pura e semplice sofferenza. Vide brillare di sdegno i suoi occhi, cosi' profondi, cosi' blu, cosi' belli...e si senti' orribilmente stupida, per non averli notati prima. Ma ormai era tardi. C'era un pensiero, che maturava lento dentro di lei. E la faceva soffrire. Non per se' stessa!
 . Ma per lui...perche' aveva attraversato cinquecento anni per!
  niente.
 Ora lo sapeva. Per niente. Perche' niente avrebbe potuto smuovere quel destino.
Lo guardo' negli occhi ancora per qualche istante.
"Mi dispiace..."
Fu un sussurro talmente flebile che si chiese se fosse riuscito a sentirla. Abbasso' gli occhi, mentre Palacio concludeva la lettura della sentenza e la fissava. Una crudele gioia gli brillo' negli occhi neri. Soddisfatto. Soddisfatto per aver fatto condannare una ragazzina di sedici anni. Lei resse il suo sguardo per qualche secondo. Ma era troppo stanca, per lottare anche contro quelle pietre scure. Ed i suoi occhi ricaddero pesanti, fissando il pavimento piastrellato della chiesa. Antonio Palacio fece un cenno con una mano. Un uomo a torso nudo, con un grande ed ampio cappuccio viola calato sul volto, dal quale riuscivano a scorgersi gli occhi chiari e terribili, passo' in mezzo al corridoio umano che si era formato dietro Buffy. Avanzava lentamente, guardando ad una ad una tutte le persone accorse quel giorno. Buffy lo fisso' per un attimo. I pantaloni gli arrivavano al ginocchio, sotto il quale si scorgeva una cicatrice violacea. Sul torso taurino v'erano centinaia di a!
 ltre piccole cicatrici, che, con il loro rosa pallido, creavano un tozzo contrasto con il bruno dorato della sua pelle. Il cappuccio gli ricadeva morbido sulle spalle, coprendogli completamente il volto, salvo che per gli occhi. Occhi stanchi e insensibili. Chiari fino all'inverosimile, tanto che Buffy penso' fosse cieco. Ma non poteva essere cosi', poiche' l'uomo avanzava verso di lei con sicurezza, scrutando la folla e, a tratti, lei. Che si sentiva stranamente rassicurata da quello sguardo. Dallo sguardo freddo e distaccato del suo boia. Che non era Antonio Palacio. Lui, che il lavoro sporco lo lasciava fare agli altri. Lui, che avrebbe comodamente guardato tutto dall'alto della sua posizione, ridendosela beato. Mentre lei veniva sollevata dalle potenti braccia del boia, che le slego' le catene che le tenevano fermi i polsi e le caviglie. Non avverti', lei, nessun cambiamento. Le fu del tutto indifferente. Si volto' per l'ultima volta verso quel punto, in cui avrebbe dov!
 uto esserci lui. Ma lui non c'era. E lei si ritrovo' a sentirs!
 i ancora
 piu' triste, sorprendendosi di riuscire ancora ad avvertire qualcosa. Era stata solo un'illusione. Guardo' il boia. Lui le mise una mano dietro la schiena, sorreggendola quasi gentilmente, mentre s'incamminava verso la fine.

Non era preparato allo spettacolo orribile che gli si presento' davanti. Non era reparato a vedere Buffy, la sua Buffy, sconfitta e stanca, accasciata su uno scomodo sgabello, con lo sguardo perso nel vuoto e i bei capelli scarmigliati e insanguinati. Non era preparato a vederla cosi' sconfortata, cosi' vuota, cosi' morta. Morta dentro. L'aveva vista volgere la testa lentamente, come se quel semplice gesto le fosse diventato terribilmente difficile. L'aveva vista guardare timorosa la folla. E fissare i suoi occhi su di lui. Dio, quegli occhi...come se le avessero cavato via ogni recesso di vita. Come se quegli occhi si fossero spenti. Erano vuoti, vacui. Sembravano insensibili a tutto. L'aveva vista tremare convulsamente, sulla sedia, e non rendersene nemmeno conto. Come se avesse perso ogni tipo di contatto con la realta'. Come se quel corpo non fosse piu' suo. C'era stato solo un momento, in cui gli era parsa viva. Un istante brevissimo. Quando l'aveva visto. Quando i suoi!
  occhi stanchi si erano posati nei suoi, e, una parte di lei ancora viva, aveva capito che era lui. Allora aveva visto una timida scintilla che lottava per accendersi. E che, inesorabilmente, perdeva, sotto il peso del dolore e dello sconforto. L'aveva vista convincersi che non era altro che un'illusione. E lui, immobile, che non aveva nemmeno la forza di muovere un muscolo, rabbioso e sdegnato dalla vista di quella ragazza che veniva trattata peggio di una bestia. Quella ragazza che aveva avuto occhi vispi e allegri, pieni di una luce accecante, ed ora sembravano aver perso tutto. Occhi verdi, che erano diventati grigi e spenti. E cerchi scuri sotto quegli occhi, e righe di sangue rosso sulle sue guance. Bianca come un cencio. Di un pallore spettrale. Pareva quasi trasparente, la sua pelle. Sul viso, sulle braccia tremanti, sulle gambe scoperte. Volgendo quel visetto cosi' grazioso, e cosi' sfigurato dal dolore, verso le persone, verso le candele, verso i giudici. Cercando!
  qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che le permettesse di ca!
 pire cos
a le stava succedendo intorno. Afferrando solo poche parole. Sobbalzando di tanto in tanto, quando ne capiva il significato. E Spike penso' si chiedesse il perche'. Perche' a lei. Perche' possono succere cose come queste? E poi aveva visto la gente ritrarsi al passaggio di un curioso personaggio a torso nudo, con un cappuccio calato sulla testa. Viola. E aveva capito subito. Aveva volto gli occhi piu' dietro. Sperando. Sperando di non vedere cio' che vide. Un lungo palo di legno. Intorno, fascine di legna secca. Sembravano mani dalle dita scheletriche, che si protendevano per prenderla. Per prendere lei. Mentre il vento entrava urlando dall'unica finestra lasciata aperta, e i tuoni assordanti esprimevano la loro contrarieta' a quell'abominio. Ma cosa possono, tuoni e vento, contro la cattiveria umana? Niente. E un vampiro incazzato? Vide le mani pesanti dell'uomo col cappuccio serrarsi attorno alla vita di Buffy, e sollevarla dallo sgabello come se fosse stata una bambola di!
  pezza. Come una delle bambole di porcellana di Drusilla. Senza che lei tentasse di opporre resistenza. Totalmente abbandonata tra le braccia dell'uomo. Guardando quasi con desiderio, la pira del rogo. Per Spike era stato troppo. Aveva lasciato il suo posto, camminando lentamente in avanti. Con una freddezza ed una lucidita' che si sorprese di avere. E, mentre la sua cacciatrice, che ora non sembrava altro che una bambina spaventata, muoveva i primi passi verso la fine, lui si getto' al centro del corridoio. Cosi', semplicemente, senza piani ne' inventiva. Per semplice istinto. Digrignando i denti e mostrando il suo volto da vampiro. Incrocio' per un istante lo sguardo di Buffy. Il cuore gli si strinse in una morsa gelata. Non c'era niente, in quegli occhi. Solo smarrimento e terrore. Palacio si sporse, stringendo gli occhi. L'ultima cosa che voleva era il solito paladino della giustizia venuto a salvare la damigella condannata. Sembrava solo seccato. Non c'era spavento, ne!
 i suoi occhi, nemmeno quando incrocio' lo sguardo omicida di S!
 pike. Si
 limito' a fare un cenno infastidito ai soldati posti accanto alla scrivania. Questi scesero correndo, nell'intento di bloccare l'uomo fermo al centro del corridoio umano. Spike sbuffo' scocciato, quasi divertito, e colpi' al volto il primo soldato che gli si avvento' contro. L'uomo barcollo' all'indietro stringendosi il naso tumefatto tra le mani, e cadde, portandosi dietro altri due commilitoni. Tra le esclamazioni della folla, che gia' aveva preso a parteggiare per l'uno o per gli altri, un terzo uomo punto' il fucile dalla lunga canna contro il vampiro, e sparo'. La sorpresa di Spike non duro' che un attimo. Guardo' prima il piccolo segno rosso sulla sua spalla, poi, sogghignando, incrocio' lo sguardo del soldato, rimasto esterrefatto. Tremava convulsamente, tanto che il fucile gli cadde dalle mani.
"Sorpresa!"
I tre soldati restanti si scrutarono per qualche istante. Spike si avvicino' loro lentamente, mostrando i lunghi canini che sporgevano considerevolmente dalle labbra tirate in un sorriso divertito.
"Buh!"
I tre uomini sobbalzarono in preda al terrore. Fu un solo istante, poi, lasciando cadere i fucili sulle piastrelle del pavimento, se la diedero a gambe, fuggendo dall'entrata secondaria e gridando che i demoni erano arrivati per portare via la ragazza. Cosa che Spike non tento' nemmeno di smentire. Il boia lascio' andare Buffy, che rimase miracolosamente in piedi, immobile. Antonio Palacio osservava dall'alto i due uomini avvicinarsi minacciosi, proprio come un imperatore romano avrebbe guardato due gladiatori nell'arena combattere per un tozzo di pane ed un giorno in piu' da vivere.
E cosi' Juan sta giocando a fare il paladino della giustizia...
Sorrise, pregustandosi un match interessante. Purtroppo le sue aspettative furono alquanto deluse. I due 'gladiatori' si guardarono per appena un secondo. E solo un altro secondo trascorse prima che Spike atterrasse con un calcio ed uno sgambetto l'avversario grande almeno il doppio di lui. Lo lascio' a terra, stordito, ad urlare per una certamente non grave distorsione alla caviglia. Afferro' Buffy per un polso, rabbrividendo al contatto con la pelle di lei, cosi' fredda. E la trascino' via, senza che lei sembrasse rendersene conto. Gli inquisitori fecero per inseguire i due fuggitivi, ma Palacio li trattenne con un imperioso gesto della mano. Non guardava loro, tuttavia. Guardava Buffy correre via. Sorridendo. Come un serpente. E, con quello stesso sorriso, parlo' agli uomini che si chiedevano perche' li stesse lasciando fuggire cosi'.
"Tornera'...da sola..."

Correre. Correre, veloce da far impallidire il vento, che sibila inquieto, cercando di raggiungerli. Raggiungere loro, spiriti nel vento con il cuore che rimbalza nella gola, e rimbomba nella testa, sovrastando il rumore assordante dei tuoni che si susseguono ai fulmini. Fulmini che disegnano vene azzurrine nel cielo color piombo, solcato da nuvole nere che il sole non riesce a trapassare. Fulmini che sferzano con violenza la bestia inquieta del mare. Mare che si alza in onde altissime, e si infrange contro le banchine di cemento, e schizza mille gocce salate e appiccicose. E il vento riesce a portar loro quel sapore delicato di mare e di sale, lasciandoli storditi, a lottare tra il mare che si agita dentro di loro e quello che ruggisce forte in lontananza. E manda quel profumo dolce fino a loro, che corrono e corrono e corrono...bagnati di pioggia, illuminati dai lampi, sferzati dal vento. Corrono, e forse non sanno nemmeno di stare correndo, immersi come sono nei loro pens!
 ieri incoerenti.
Spike. Trascina la ragazza dietro di se' come se non avesse peso. La sente tremare. Sente il suo cuore, e quel profumo di mare e paura che l'avvolge come un terribile sudario. Sente il suo dolore come se fosse suo. La sua pena, le sue ferite, il suo tormento, la sua solitudine. Il suo assoluto sconforto. Ne e' sommerso, come da un'ondata di acqua sporca. Fa cosi' male...oh, Buffy...vorrebbe poterlo prendere, il suo dolore, e alleggerirla di quel peso troppo grande per le sue giovani spalle. Toglierle tutto quel tormento da quegli occhi di bambina che stonano su quel viso da donna. Poterla tirare fuori da quel precipizio dove sembra caduta. Con gli occhi velati di pioggia e lacrime scorge appena la sagoma di una capanna abbandonata. Si gira per un istante a guardare il viso di porcellana della ragazza dietro di lui. Scopre che anche lei lo guarda, con uno sguardo impaurito che gli strappa appena un sorriso. E poi, finalmente, la porta della casetta si apre, accogliendo i due !
 fuggiaschi. E si richiude pesantemente dietro di loro, spinta dal vento che continua ad urlare. Spike si piega, con le mani sulle ginocchia, riprendendo fiato anche se non ne ha bisogno. Cerca di far scemare tutta la paura e l'angoscia che prova. Poi, si gira. Verso di lei. Ed ha un tuffo al cuore. Si era preparato ad affrontare due occhi vuoti, privi di qualsiasi emozione. Due occhi morti. Due occhi oscurati. Due occhi folli, come quelli di Drusilla. E invece si ritrova a fissare due occhi verdi, lucidi di lacrime. Bellissimi, proprio come li ricordava lui. Nei quali passano miliardi di emozioni, cosi' veloci che non riesce ad interpretarle. Sa solo che quegli occhi sono suoi. Che sono vivi. Spaventati e sofferenti, ma vivi. Vivi. Non riesce a parlare. Vorrebbe dirle chissa' quante cose, ma si ritrova senza voce. E puo' solo guardare lei, cosi' piccola, cosi' fragile che sembra che pure il vento possa spezzarla. Con la tonaca grigia appiccicata dalla pioggia e dall'acqua s!
 almastra. E...oh, mio Dio...quei capelli...cosi' belli, cosi' !
 biondi..
.ed ora praticamente ramati, striati di sangue rosso brillante. Lo stesso sangue che le imbratta le guance. Che contrasta con il pallore spettrale del suo viso. Con le labbra pallide e rosate, tagliuzzate dai morsi che doveva essersi data. Lo sapeva cosa succedeva. Durante le torture. Si mordevano sempre la lingua, o le labbra. Non sapeva perche' lo facessero. Forse per distrarsi da dolori piu' insopportabili. Fatto sta che si mordevano tutti le labbra, o la lingua. Anche lei. Lei che ora lo stava guardando cosi' intensamente...socchiudendo gli occhi, come se tentasse di riconoscerlo. E, quando una lacrima silenziosa solco' il volto di Spike, Buffy non ebbe piu' alcun dubbio...era reale. Oddio, terribilmente reale.
"Spike...?"
Forse avrebbe voluto dire qualcos'altro, ma i singhiozzi che le salirono alle labbra non glielo permisero. E lei, incapace di fermarli, non pote' fare altro che avanzare quei pochi passi che la separavano da lui e rifugiarsi in quell'abbraccio che solo Dio sapeva quanto potesse esserle mancato. Rannicchiandosi contro il suo petto, piu' strettamente che poteva, quasi volesse fondersi con il suo corpo. Spike le carezzava piano i capelli, appiccicosi di sangue, tentando di trattenere la rabbia, cercando di evitare che la sua voce divenisse un ringhio. Per non spaventarla. Perche', lo sapeva, era gia' sufficientemente spaventata.
"Per l'inferno maledetto, piccola, cosa ti hanno fatto? Oddio, oddio, oddio..."
Stavolta fu lui a non riuscire a trattenere un singhiozzo, e lei lo strinse forte, cercando di fremare il tremito nella sua voce. Tentando di nascondergli quanto realmente fosse successo. Quanto realmente avesse sofferto. Perche', lo sapeva, non era di questo che aveva bisogno ora, Spike. E anche lei avrebbe preferito non ricordare.
"Va tutto bene, Spike, sto bene, sto bene...adesso ci sei tu..."
Stretti fino all'inverosimile, aggrappandosi l'uno all'altra con le unghie e con i denti. Stringendosi finche' non fa male, finche' le ossa non si spezzano. Ed anche oltre. Continuerebbero cosi', senza parlare, senza fornirsi spiegazioni, fino a che il tempo non smettesse di avere un senso. Ma non si puo'. Proprio no. E fa cosi' male. Per lei. Perche' se solo il tempo si potesse fermare. Ma non si puo'. E c'e' una scelta ben precisa, che ha fatto. E se non glielo dice adesso, probabilmente non riuscira' mai piu' a dirglielo. Quindi si stacca gentilmente. Spike la lascia andare, quasi contrariato dal fatto che il tempo non abbia smesso improvvisamente di scorrere. Quasi arrabbiato con il mondo che continua a girare. E lei deve raccogliere tutte le sue forze. Per dirgli solo due parole...con il ghiaccio in volto e la morte nel cuore...
"Riportami indietro..."

Salvador Rodriguez Mendoza tornava stancamente verso casa. La carrozza dalle tendine rosse avanzava barcollando per le strade accidentate della periferia della piccola citta'. Se spostava solo leggermente le tende, riusciva a scorgere, oltre il leggero velo di nebbia e la pioggia battente, la sagoma scura del monastero di Santa Clara e, poco distante, la piccola costruzione diroccata che era la cappella. Guardarla gli ricordo' l'orribile incudine che portava sulla testa. Il peso dell'omicidio di una povera creatura che avrebbe solo voluto aiutare. Ma era un codardo, Mendoza, dopotutto. Troppo vecchio, troppo impaurito. Inutile. Penso' per un attimo a Juan Delgado. Quel giovane che moriva d'amore per quella bambina. L'aveva vista, l'aveva vista gridare e contorcerci ed urlare, quella bambina. E non aveva avuto il coraggio di porre fine a quel massacro. Aveva visto sangue scorrerle sulla pelle e macchiarle il vestito. Aveva visto i suoi occhi guardarlo, in una muta supplica. A!
 veva visto la follia, in quegli occhi. Disperazione. Ed infine, non vi aveva visto piu' niente. Nient'altro che dolore, dolore sordo e soffocante. Non una lacrima, da quegli occhi. Solo rabbia. E dolore. Troppo grande, per essere contenuto in qualche lacrima umida. Salvador scosse la testa, tanto forte da farsi male. Ed una piccola lacrima rigo' anche il suo volto. Quel volto glabro, segnato dalle rughe, dalla solitudine e dalle delusioni della vita. Quel volto dai lineamenti duri e marcati. Il volto di un uomo che da tempo aveva superato i quaranta. Che era vecchio, per battaglie come quella. Contro giovani inquisitori dal cuore di pietra e dal sorriso di serpente. Troppo, troppo vecchio. Stava per far ricadere le tende sulla finestrina, quando un rumore di zoccoli in corsa lo fece sporgere ancora un po'. Guardo' in strada, alla ricerca del pazzo o del disperato che cavalcava con quel tempo. A giudicare dall'andamento, doveva essere un mulo. Dalla nebbia, una figura china !
 sulla sella si avvicino' alla carrozza. Procedevano abbastanza!
  velocem
ente. L'uomo in groppa al somaro era vestito...sembrava un sacco di tela marrone...una specie di sacco legato da un cordone bianco che grondava acqua e brillava nella luce dei lampi che incendiavano l'aria. Aveva un cappuccio calato sul viso. E, quando fu abbastanza vicino, Mendoza riconobbe il volto familiare di Juan. Zuppo d'acqua, in sella al mulo, con ai lati due borsoni colmi di medicine e bende intrise d'acqua piovana. Il suo primo impulso fu quello di filarsela il piu' velocemente possibile. Come poteva affrontarlo, dopo aver condannato a morte proprio lei? Ma non pote'. Grido' invece al cocchiere di fermarsi. E poi, senza pensarci due volte, si fiondo' in strada.
"Juan!"
Il ragazzo alzo' la testa di botto, come se si fosse appena destato da un brutto sogno, ed incrocio' lo sguardo di Mendoza. Lo riconobbe all'istante. un sorriso gioioso gli si dipinse sul viso. Porto' il mulo affianco all'uomo. E Mendoza lo tiro' giu' dalla cavalcatura, costringendolo quasi, a salire sulla carrozza. Una volta su, gli porse una pezza di lino per asciugarsi. Juan gli sorrise. Salvador non riusciva ad incorciare il suo sguardo. Sapeva cosa stava per dire, quel ragazzo.
"Sei stato al processo! Non e' vero? Sei stato al processo?"
Salvador prese le mani del giovane prete tra le sue, sospirando con aria colpevole ed occhi lucidi. Il sorriso gaio di Juan scomparve per un attimo dalla sue labbra.
"Si', sono stato al processo..."
"Non so come ringraziarti, Salvador! Quindi e'..."
"Aspetta a ringraziarmi, Juan, te ne prego..."
Sospiro' di nuovo. Un sospiro che fece tremare Juan.
"...Perche' quanto sto per dirti non ti piacera'..."
Il giovane stette in silenzio per un attimo. Il medico cerco' le parole giuste per continuare, finche' una risata sarcastica non riempi' il silenzio nella carrozza.
"Non ci sei riuscito, vero? L'hanno...l'hanno..."
Prese aria, cercando disperatamente di continuare senza versare altre lacrime.
"L'anno gia' bruciata, dico bene?"
Salvador Rodriguez Mendoza rimase in silenzio, chinando mestamente il capo. Se n'era andato subito dopo l'orribile seduta di tortura. Ma sapeva che sul documento della sentenza c'era scritto 'esecuzione immediata'. E quando Antonio Palacio dice 'immediata', vuol dire che entro pochi minuti, sei cenere. Non riusci' a smentire le paure di Juan. Senti' solo un singhiozzo disperato provenire dalle labbra del frate e, quando si volto' a guardarlo, vide che si teneva la testa fra le mani, artigliandosi i capelli. Fu solo un sussurro, quello che senti' frusciare dalle sue labbra. Ed in seguito si chiese se lo avesse udito realmente.
"Portami li'..."
E, tra fulmini e lampi e tuoni che si susseguivano nella tempesta, la carrozza inverti' la direzione, puntando nuovamente verso la sagoma scura del Convento di Santa Clara e la piccola cappella. Con quella risoluta speranza che solo un innamorato di venticinque puo' avere...

"Cosa??"
"Hai sentito, Spike. Riportami alla cappella. Per favore."
Sperare solo per attimo che si tratti di uno scherzo. Uno scherzo crudele per farlo stare male ancora per un po', per farlo sentire in colpa ed inutile. Per ricordargli quanto fosse arrivato tardi. Ma no! Lui era li', li' per lei! Non era tardi! Potevano fuggire, cercare un posto dove stare...poi avrebbero trovato un modo per tornare a casa. E allora perche' lo stava guardando cosi', chiedendogli quasi dolcemente di riportarla indietro, con la voce ancora rotta dal pianto? Perche'? Nessuno puo' sapere quanto gli costo' fare quella stupida domanda.
"Perche'?"
"Perche' nemmeno gli dei combattono contro il loro destino..."
"Non e' il tuo destino! E' il destino di Miranda!"
"Sono io, Miranda. E non si puo' interferire con il ciclo karmico, lo sai...non c'e' modo."
Buffy lo guarda. Si perde nell'azzurro di quegli occhi, lucidi di lacrime, intrisi di disperazione improvvisa. Lui, che piange senza curarsi di star piangendo. Che non ha paura di piangere davanti a lei. Che ripone nei suoi occhi verdi tutta la sua vita. Che la ama, ed ha cosi' tanto bisogno di lei, da piombare cinquecento anni piu' indietro solo per venire a salvarla...e lei avrebbe cosi' voglia di salvarsi...ma poi...
"Ascoltami..."
"No, non parlare."
"Ascoltami..."
"No!"
"Ascoltami..."
"Non parlare, ti prego."
"William..."
Come si fa? Come glielo dici, ad un uomo cosi', quello che devi dirgli, con le sue mani sulle tue, e la pelle premuta sulla tua? Non puoi parlare di morte proprio a lui. Come glielo dici, ad un ragazzo cosi' quello che lui gia' sa, ma bisognera' pur che ascolti, le parole, una dopo l'altra, che puoi anche sapere ma devi ascoltare, prima o poi, qualcuno te le dice, e tu devi ascoltarle, lui, ascoltarle. Quel ragazzo che dice
"Hai degli occhi che non ti ho visto mai..."
e poi
"Se solo lo volessi, potresti salvarti..."
Come glielo dici, ad un uomo cosi', che tu vorresti salvarti? E ancor di piu' vorresti salvare lui con te, e non fare altro che salvarlo, e salvarti, tutta la vita. Ma non si puo'. Ognuno ha il suo viaggio da fare, e non puoi dire il perche'. Non hai le parole per farlo, parole che ci stiano bene, li', tra quelle mani e sulla pelle, parole giuste, non ce n'e', hai un bel cercarle in quel che sei e in quel che hai sentito, non le trovi. Hanno sempre una musica sbagliata. E' la musica che manca, li', tra quelle mani e sulla pelle, e' una questione di musica. Cosi' poi dici qualcosa, ma e' una miseria...
"William...io non saro' mai piu' salva..."
Come glielo dici, ad una donna cosi', che adesso sono io che voglio insegnarle qualcosa, e farle capire che il destino non e' una catena ma un volo, e se solo avesse davvero voglia di vivere lo potrebbe fare, e se solo avesse voglia davvero di me potrebbe avermi per altre cento notti, invece di quell'unica, orribile, a cui va incontro, solo perche' lei, la notte, l'aspetta, la notte orrenda, di sola morte? La sua morte. Come glielo dici, ad una ragazzina cosi', che uccidersi non servira' a nulla e a nulla servira' quel sangue e quel dolore, e' solo un modo per correre a perdifiato verso la fine, quando il tempo ed il mondo per non far finire nulla sono qui ad aspettarci, a chiamarci, se solo sapessimo ascoltarli, se solo lei potesse, davvero, davvero, ascoltarmi.
"Buffy, io non voglio..."
"..."
"Non voglio sentire quell'urlo..."
"..."
"Non lo voglio sentire..."
"..."
"Buffy, maledizione, ti amo troppo per permettertelo!"
E non c'e' piu' modo per fermare quel fiume di lacrime, li', tra quelle mani e quella pelle, sempre piu' vicini. Lui piange, e lei non puo' fare  a meno di piangere a sua volta, e pensare che e' l'ultima volta che piange, ed e' l'ultima occasione per dirlo finalmente.
"Ti amo anch'io...ma questo non cambia le cose...ti amo anch'io..."
E' la musica che e' difficile, questa e' la verita', e' la musica che che e' difficile da trovare per dirselo, li', cosi' vicini, la musica ed i gesti, per sciogliere la pena, quando proprio non c'e' piu' nulla da fare. e lui che alza i suoi occhi blu verso lei, verso la donna che non puo' lasciare, ma sa che lo fara'.
"Dillo di nuovo...ti prego, dillo di nuovo..."
E sentire che lo direbbe fino a consumarsi. Ti amo, ti amo, ti amo...e pensare che non ha il tempo, per dirglielo all'infinito...che il suo tempo sta scivolando via come grani di sabbia fine scivolano dal pugno chiuso...oh, Signore non posso salvarne almeno uno? Non posso trattenere all'infinito un solo secondo?
"Ti amo...e adesso devo andare, lo sai...basta lacrime...bastano quelle che abbiamo gia' pianto..."
La musica giusta perche' sia una danza, in qualche modo, e non uno strappo quell'andarsene, quello scivolare via, verso la vita e lontano dalla vita, strano pendolo dell'anima, salvifico e assassino. A saperlo danzare farebbe meno male. E per questo gli amanti, tutti, cercano quella musica, in quel momento, dentro le parole, nella polvere dei gesti e sanno che, ad averne il coraggio, solo il silenzio lo sarebbe, musica, esatta musica, un largo silenzio amoroso, radura del commiato e stanco lago che infine cola nel palmo di una piccola melodia, imparata da sempre, da cantare sottovoce.
"Arrivederci, William..."
Una melodia da nulla, che spezza il cuore in piccoli vetri trasparenti, luccicanti di lacrime che non possono piu' scendere. Perche', basta lacrime, bastano quelle che hanno gia' pianto.
"Arrivederci, Buffy..."   
E essere tentati di depositare un leggero bacio su quelle labbra. Sfiorarle, cosi', delicatamente, come onde sulla spiaggia. Ma poi sembrerebbe troppo un addio. E loro sanno che non e' altro che un arrivederci.
"Arrivederci..."

Fa freddo, nella cappella. Il tramonto regala sfumatore rosse e rosate alle nuvole nere che ancora indugiano nel cielo. Una pioggia sottile continua a cadere, disegnando fili d'argento. Vento fresco, saporito di mare, entra dalla finestra in alto, facendo rabbrividire i presenti. Il sole resta nascosto deitro le nubi, affacciandosi a tratti, per lanciare un raggio rosato sul pavimento di piastrelle della piccola chiesa. Una calma apparente regna all'interno. Calma decorosa, perfettamente rappresentata dalla figura alta e imponente di Antonio Palacio. Quasi annoiato, si direbbe, mentre si sventola con i fogli contenenti la condanna di Miranda De Advieto. Quella che pazientemente aspetta, seduto comodamente sulla sua sedia di legno, con i gomiti poggiati sulla scrivania di quercia che ha davanti, e che rifulge di una luce rosata, merito di un raggio di sole che rimbalza sulla sua superficie levigata. Sa che sta per tornare. Lo sa. Lo sa e basta. E, quando sente la porta princi!
 pale spalancarsi, ed un vento dal profumo forte e pungente di mare entrare insieme ad una ragazzina zuppa di pioggia, la sua pazienza viene infine premiata. Avanza con passo fermo, la piccola, a testa alta. Guardandolo negli occhi, come a volerlo sfidare. Si ferma proprio davanti a lui, tra le esclamazioni stupite del pubblico. Lui si sporge, per guardarla meglio. Per guardare in faccia la sua vittoria.
"Sono pronta."
E' tutto quello che ha da dire. E lui non vuole altro. Sorride. E fa cenno al boia di avvicinarsi, proprio mentre una seconda figura entra dalla porta, senza che nessuno, tranne lui, se ne accorga. Un ragazzo biondo, lo stesso che ha aiutato a fuggire la ragazza. E lui, Palacio, lo lascia passare. La tortura peggiore e' quella che si e' appena inflitto, venendo a guardare la sua donna morire. Il boia avanza di qualche passo, prendendo Buffy per la vita. Ma lei si libera dalla sua presa con uno strattone.
"Faccio da sola."
E, lentamente, si avvia verso il rogo, a testa alta. Senza lacrime. Solo un leggero tremito la scuote. Solo un leggero tremito...
<Prendimi mentre cado
Dimmi che sei qui e che e' tutto finito...
Ma nessuno e' qui, ed io cado dentro me stessa...>
E' facile. Sono solo pochi passi. Dieci metri, e sara' tutto finito. Cerca disperatamente di non cadere, mentre il primo accenno di terrore comincia a sollevarsi dentro di lei. Non ci sara' nessuno a sollevarla, se cadra'. Ma chi puo' sollevare una persona caduta dentro se stessa?
<Questa verita' mi fa diventare matta
So che posso far smettere il dolore
Se voglio, posso farlo smettere tutto quanto...>
Un'ombra di follia le passa fugace davanti agli occhi. No, non deve arrivare adesso. Non puo' impazzire adesso. Vuole guardare la morte in faccia. Il dolore finira'. Sta per finire tutto. Se lo vuole, sara' tutto finito tra poco. Deve solo restare lucida e pensare. Pensare...
<Non voltarti, non cedere al dolore.
Non cercare di nasconderti, nonostante stiano gridando il tuo nome...>
Sente il suo nome sussurrato da mille voci. Sono nella sua testa? O e' tutta quella gente, accanto a lei, a chiamarla? Oddio...non si volta, pero'...la chiamano, ed e' il dolore a chiamarla...non cerca di nascondersi, non abbassa gli occhi, nemmeno per un istante. C'e' il mio nome nell'aria...stanno gridando il mio nome...
<Non chiudere gli occhi, Dio sa cosa c'e' dietro di loro.
Non spegnere la luce, non dormire mai, non morire mai...>
Le mani prendono a sudarle e tremano come foglie al vento...eccola, la pira. Nonostante ci siano lacrime, come nebbia, nei suoi occhi, riesce a vederla chiaramente. Le sembra un miraggio di salvezza. E poi una terribile apparizione di orrore e morte. Se chiude gli occhi, lacrime cominceranno a rigarle le guance. E sarebbe un punto in piu' per il Dio sanguinario di Antonio Palacio. Quindi restano aperti, quegli occhi, mentre lacrime vi bruciano dentro come mille fuochi...
<Ho paura di quello che vedo
Ma in qualche modo so
Che molto ancora deve accadere...>
Si chiede per un attimo, mentre i suoi piedi cominciano a toccare le schegge di legno, se abbia realmente paura del rogo. Per un attimo, non sa cosa rispondersi. Si', ha paura. Una dannatissima paura. Ma se comincia ad aver paura adesso, quando nemmeno e' ancora sul palo, cosa succedera' dopo? Non vuole gridare, anche se mille urla le si accavallano nella testa.
<Immobilizzata dalla mia paura
E presto accecata dalle lacrime
Posso far smettere il dolore, se voglio...>
Immobile, mentre due potenti braccia la issano fin sopra la pira, lasciandola tremante con la schiena poggiata contro il tronco. Lacrime le affollano gli occhi, vede tutto sfocato, sormonatato da una patina viscosa di lacrime. Non riesce a muoversi. La paura e' troppa. Ma e' il suo destino, e lei ha scelto di andare fino alla fine...
<Angeli caduti ai miei piedi
Voci sussurrate al mio orecchio
Temo la morte davanti ai miei occhi
Che mi giace vicino...>
Corde strette le si serrano sui polsi. Seguono la vita e le caviglie. Adesso davvero non puo' piu' muoversi. Il boia le si avvicina. Sembra quasi dispiaciuto. Buffy gli vede reggere in mano una fiaccola accesa. E' la morte, davanti ai suoi occhi...
<Lei mi fa un cenno, devo cedere?
Vicino alla fine dovrei iniziare
A rinunciare a tutto quello per cui sono caduta?
Mi innalzo per andare incontro alla mia fine...>
E la fiaccola si posa piano sugli sterpi, sotto di lei. Un filo di fumo, appena prima che una fiammata cominciasse piano a divorare quei legnetti secchi, avanzando piano, mentre volute di fumo grigio si alzano attorno a lei, proteggendola come un velo dal mondo 'oltre'. Fuoco dai caldi colori rossi e gialli le si avvicina, quasi tendendole una mano. Attirandola verso la fine. E lei si lascia sfuggire un sorriso. Posso far smettere tutto il dolore...
<Non voltarti, non cedere al dolore...>
Tiene gli occhi aperti e vigili, osservando rapita le fiammate sempre piu' alte che avvolgono la pira, e avanzano lentamente verso di lei. Piano. Il calore comincia a farsi sentire, mentre il fumo e' portato dal vento lontano da lei. Aspira forte quel profumo di mare, e gli sembra di sentire anche il profumo della sua pelle...della pelle di Spike. Se solo volesse, basterebbe girare gli occhi, per trovarlo, li', in mezzo a quella folla. Ma sarebbe tutto piu' difficile.
<Non cercare di nasconderti, nonostante stiano gridando il tuo nome...>
Dicono che quando stai per morire, la vita ti passi davanti come in un film. Tutti i momenti piu' belli...ma, mentre le fiamme l'avvolgono lentamente, senza ancora cercare di sfiorarla, Buffy pensa sia solo una favola per rendere piu' dolce la morte. Perche', tutto cio' che lei vede, non riguarda il suo passato, tutto le belle cose che ha fatto, che ha detto, i bei momenti che non torneranno...ma tutto quello che avrebbe voluto fare...
<Non chiudere gli occhi, Dio sa cosa c'e' dietro di loro...>
Ed e'...si', come un film. Velocissimo. Veloce come il dolore che le serra la caviglia, un bruciore che passa in un istante. E poi torna dopo un po'. Lo stesso dolore che prova guardando le piccole diapositive che vede se chiude solo per un istante i suoi occhi. Avrebbe voluto vedere i suoi amici sposati, felici...non ne avrebbe piu' avuto la possibilita'...avrebbe voluto vedere la sua sorellina, il giorno del suo ventesimo compleanno, quando le avrebbe ricordato per l'ennesima volta che non era piu' una bambina...una lacrime le solco' la guancia...avrebbe voluto litigarci un'ultima volta, per poi fare pace. E poi...
<Non spegnere la luce, non dormire mai, non morire mai...>
E poi...si', avrebbe voluto dormire con Spike per un'ultima volta, sentire quelle emozioni che solo lui riusciva a darle, avvertire quelle dita esperte accarezzarle la pelle, senza fretta, senza cattiveria. Solo per lei. Avrebbe voluto avere piu' tempo per dirgli tutto quello che non gli aveva detto. Per rimediare a tutte le cattiverie che gli aveva sputato contro. Tutte stronzate, per la miseria...avrebbe voluto restare sveglia a guardarlo, dormendo senza sonno, credendo di morire, senza dolore...
<Salvati dal male...>
Beh, qualche flash del passato c'era...tutte le volte che l'aveva salvata...quella frase, quella che le disse quando torno' dalla morte. Com'era?
<Salvati dal pericolo...>
Ah, certo...nonostante il dolore bruciante che cominciava ad avvolgerla, sentiva quelle parole riecheggiarle nella testa. 'Sai...ogni notte...ogni notte ti salvavo...beh, non quando ne hai avuto davvero bisogno. Dopo. Ognuno delle notti dopo. Ogni notte sentivo la voce di Willow, che mi diceva di andare a prendere Dawn...la promessa che ti avevo fatto che mi rimbalzava nel cervello. Ogni notte la vedevo, Dawn, e vedevo lui, quel vecchio. Ogni notte sapevo come muovermi...e non c'era nessun coltello a pugnalarmi la schiena. Ogni notte io non fallivo. Ogni notte facevo qualcosa di piu' veloce, di piu' forte, di piu' astuto. E non fallivo. Ogni notte non sentivo le tue ultime parole, ma ti vedevo, viva, bellissima. E non mi importava del fatto che non mi avresti mai amato. Perche' c'eri. Eri viva. Perche' ogni notte, ogni singola notte...io ti salvavo...'
Mi mancherai tanto, Spike, lo sai?
<Salvati dal male...>
Si' che lo sai...
<Salvati dal pericolo...>
...Questo amore che faceva paura agli altri, e li faceva parlare e impallidire...questo amore tenuto d'occhio, perche' noi lo tenevamo d'occhio...questo amore braccato, ferito, calpestato, fatto fuori, negato, cancellato...perche' noi l'abbiamo braccato, ferito, calpestato, fatto fuori, negato, cancellato...questo amore fatto a pezzi da tutti...e rimasto integro e vivo, adesso...e per l'eternita'...
<Salvati dal male...>
Buffy piange...sono lacrime di fuoco...fuoco che le lambisce le gambe, bruciandole la pelle e l'anima...Spike, in un angolo della chiesa, piange...lacrime di sangue che imbrattano la sua pelle e la sua anima...
<Salvati dal pericolo...>
E poi, mentre Antonio ride quasi divertito, un urlo risuona nella cappella. Un urlo alto e straziante. L'urlo di una bestia in agonia...l'urlo di Buffy...improvvisamente circondata da un cono di luce rossa, che sovrasta le fiamme e le volute di fumo grigio...un cono di luce rossa. E un grido...che trapassa il tempo e lo spazio...

Capitolo XV + Epilogo

Un grido...che trapassa il tempo e lo spazio...
E' un suono, quell'urlo, che forse non e' fatto per orecchie umane...e' un grido che e' come una lancia, e trapassa tutto. Spazio, tempo, epoche, carne e sangue di chiunque lo senta. Non lo si puo' ignorare, un grido cosi'. Perche' non e' umano...e le cose non umane non si possono, semplicemente, ignorare. E' un grido che parla di dolore, disperazione, umanita' spezzata, sangue, e ancora dolore e disperazione...e parla anche di amore, e rimorsi e rimpianti che non dovrebbero essere li'...e se ci sono, c'e' qualcosa che non va. E' un urlo che parte dall'anima...solo, e' l'anima sbagliata, e forse qualcuno, in una punto indefinibile dell'universo, se n'e' accorto, e sta cercando di porvi rimedio...strappare nuovamente quel velo invisibile che separa mille realta' parallele, perche' tutto possa tornare al proprio corso naturale. Non e' tardi...non e' mai tardi, per rimediare ad un errore. E mentre quell'urlo risuona tra le pareti dell'universo, qualcosa che fu spostato viene nu!
 ovamente rimesso a posto...
Grida, Buffy, un grido che non pensava fosse suo...cosi' alto che la strazia, cosi' doloroso che da solo potrebbe ucciderla. Non ha piu' fiato, e grida. Non ha piu' voce, e grida. Non ha piu' forze, e grida...perche' le ultime gocce sue di fiato, e voce, e forze confluiscano in quel grido lacerante. Deve gridare. Per se' stessa. Per Spike, che grida dentro. Per Dawn, Willow, Xander, Giles, Anya...che non sanno, e probabilmente non sapranno mai...
Grida, Buffy, e sembra che quel grido non debba finire mai. Lo sente echeggiare nella testa...magari non sta piu' gridando veramente, ma lei lo sente ancora, e lo sentira' per sempre...ha l'eternita', per sentire quel suo urlo che la spaventa. Le fa paura. Perche', lo sente, non e' umano. Non e' suo. E' di qualcosa, qualcosa che abita dentro di lei. Dentro quel corpo che suo non e', ma nel quale sta bruciando. Sente calore, attorno a se'. Chiude gli occhi, irritati dal fumo grigio che sale in volute sempre piu' grandi, e la circonda, senza soffocarla, perche' sarebbe troppo semplice...gli si stringe attoro alla gola con mani di impalpabili, per poi lasciarla libera un attimo dopo. Sente lo sfrigolare minaccioso del fuoco, attorno a lei. Lo sente dentro, il fuoco. Lingue incandescenti che la chiamano per nome. Sussurrano suadenti dolci melodie, chiedendole con voce di velluto di andare con loro. E' dolce, il fuoco. Puo' portarla via da tutto. Non c'e' dolore, nel fuoco, ne' a!
 more, ne' dolcezza, ne' pena, ne' paura...nel fuoco c'e' quel niente che l'attira, con la sua promessa di pace assoluta. Nelle orecchie c'e' posto solo per quello sfrigolare invitante...le arriva solo un'eco scomposta della tempesta li' fuori, o delle voci li' dentro. E poi...
E' improvvisa, la sensazione di calore dolce che l'avvolge, e lei e' certa siano le fiamme.
E' improvvisa, la sensazione di non essere piu' legata al legno ruvido del palo.
E' improvvisa, la pace interiore che le entra prepotentemente dentro, come a prendere il posto del suo sangue.
E' improvvisa, la sensazione palpabile di stare volando senza una meta precisa, verso il niente dal quale proviene da sempre il tutto.
Sono morta...
L'accoglie quasi con serenita', quel pensiero. Le sembra poco importante. Non le provoca ne' gioia ne' dolore. La lascia totalmente indifferente. Non c'e' rammarico, nel suo pensiero. Forse un tocco leggero di nostaligia. Qualche goccia di rimpianto attorno a lei, niente di piu'. Si sente leggera...e' solo anima...non c'e' corpo, ne' sangue, ne' cuore. Non c'e' piu' dolore, soprattutto. E persino il suo stesso grido smette di riecheggiarle nella testa. Apre gli occhi, chiedendosi se ci siano ancora, gli occhi. E lei li apre. E' tutto tinto di una abbacinante luce rossastra. E' bellissimo...non ha il colore del sangue, ma quello del sole al tramonto. E' pace, una pace colorata di rosso. E lei vi volteggia in mezzo, come se non avesse peso. Gira gli occhi per quell'immensa stanza senza pareti, ne' pavimenti, ne' soffitto...
L'anticamera del paradiso...o dell'inferno...
I suoi occhi si specchiano in mille bolle di sapone, delicate e leggere, che fluttuano attorno a lei, riflettendo i suoi occhi verdi. Da qualche parte in quell'infinito senza nome, sente la presenza di Spike. E' con lei, dovunque lei sia. L'ha seguita, dovunque lei sia finita. Sente qualcosa agitarsi dentro di se', al solo pensiero del vampiro biondo, li', insieme a lei. Lo riconosce immediatamente. E' amore. Assurdo, indescrivibile, irrazionale sentimento a cui gli umani tentano costantemente di affibiare un nome, a ridurlo ad un suono di cinque lettere. Per lei, e' fuoco. Per lei, e' malattia e cura. Per lei, e' vita. E' tutto quello che vorrebbe, ed insieme tutto quello che ha tentato di lasciarsi alle spalle. E' risveglio e sonno profondo.
E' vita. E da morti non si puo' amare. Si sorprende, dunque, a pensare di essere viva...e' impossibile, e' pazzesco, e' un'illusione che non puo' impedirsi di sognare.
E' realta'...
Chiude gli occhi, rilassandosi al punto da sentire il battito costante del suo cuore, sentire il suo corpo...oddio, il suo vero corpo, riunirsi con la sua anima. E' un solo istante, e sente di essere piu' che mai viva. Ha gli occhi ancora chiusi, quando capisce (ed e' una certezza sconcertante), che non e' piu' nel cinquecento. E non e' nemmeno nel nulla. Il riverbero della luce rossa si spegne dietro le sue palpebre. Un suono frusciante si insinua prepotente nelle sue orecchie. E' pioggia. Leggera, delicata pioggia profumata di vita. Respira...ed e' la sensazione piu' bella del mondo. Lei respira. Lei vive. Lei ha un cuore che le batte furiosamente nel petto. Il suo. Il suo capriccioso, tremante cuore di cacciatrice. Di donna.
Di Buffy.
Lei e' Buffy Anne Summers...

Piove ancora, all'interno del Magic Box. Ancora una volta, la pioggia riga d'argento il vetro delle finestre. Batte, un battito con un che di disperato, come se volesse entrare. Un viso giovane e grazioso, guarda quello spettacolo. Ha occhi verdi e una coda dorata che si trascina dietro come un velo. Umidi di pioggia, i capelli di Miranda. Fragranti di vita. Sembra ipnotizzata da cio' che e' fuori, e non si cura dei bisbigli sommessi degli altri, che la guardano, sbaloriditi da tanta austera immobilita'.
Perche', ancora una volta, ci sono tutti. Giles guarda inclinando la testa la ragazzina immobile davanti la finestra. Willow carezza i capelli di Dawn, seduta sulle scale, accoccolata contro il suo petto. Xander ed Anya guardano Miranda, corrugando la fronte. E' strana...Dio, se e' strana...
"Sembra stia aspettando qualcosa..."
Girano gli occhi verso Willow. Tutti tranne Miranda. Aveva sentito, lei, ma non si era girata. Non le interessava. Guardava la pioggia. La sentiva sulla pelle. E ascoltava, con quelle orecchie soprannaturali, l'eco di un grido...
Sta arrivando...
"Voi non avete questa impressione? Sta li', in piedi davanti alla finestra, e guarda fuori...come se aspettasse qualcosa..."
Giles annui' pensieroso, sfregandosi il mento con la punta delle dita. Xander si lascio' sfuggire un pensiero ad alta voce...
"Ma cosa? Che cosa, esattamente, sta aspettando?"
Anya guardo' per un attimo la ragazzina. Quant'era bella...austera ed elegante. Sedici anni...povera bambina...
"Secondo me non lo sa nemmeno lei...", disse ad alta voce. Sicuramente Miranda senti', ma la sua unica reazione fu un enigmatico sorriso. Giles strinse gli occhi, ipnotizzato da quella piccola figura vestita di bianco.
"Secondo me lo sa fin troppo bene, Anya..."
Xander fisso' Willow, che a sua volta fissava Miranda, come se avesse voluto leggere i suoi pensieri...se mai ne avesse avuti...
Un fulmine, una contorta scarica azzurrina, cadde a pochi metri dal negozio, facendo tremare le fondamenta e, soprattutto, i ragazzi. Tutti, tranne Miranda, che osservava il segno che quel fulmine aveva lasciato sul selciato, un piccolo cratere bruciacchiato. Dawn alzo' gli occhi verso di lei, in tempo per scorgere una lacrima solitaria rigarle una guancia. Miranda piangeva...ma non sembrava triste, e questo lo videro anche gli altri, seguendo lo sguardo di Dawn, non sembrava triste, solo rassegnata. Quasi serena, nella sua rassegnazione. Un lampo le illumino' il volto pallido, facendo brillare i suoi splendidi occhi verdi, luccicanti come fari. Non c'erano piu' lacrime, nei suoi occhi. Solo pace. Serenita'. Una serenita' da fare invidia. Non distolse mai gli occhi dalle goccioline che cadevano monotone lungo il vetro opaco della finestra. Non li stacco' mai dal vetro, nemmeno quando, seguendo il mormorio di sorpresa dei presenti, il suo viso comincio' lentamente a sbiadire,!
  circondato da un cono di luce rossa. Solo allora la ragazza alzo' gli occhi al soffitto alto del negozio, e sospiro'. Chiuse gli occhi, come se non riuscisse a sopportare l'abbacinante luce che la circondava. E tutti, Xander, Giles, Anya, Willow, Dawn, videro quel corpicino minuto diventare sempre piu' trasparente, tutto tranne gli occhi, questo e' incredibile, spariva piano, Miranda, tutto tranne gli occhi, che, ora aperti di nuovo, lanciavano sereni lampi di luce verde, mentre guardava sorridendo i ragazzi. Le sue labbra non si mossero, ma tutti sentirono la sua voce riecheggiare nel negozio.
"Non preoccupatevi per me, cio' e' destino e deve essere rispettato...ora e' tutto tornato com'era...ora e' di nuovo tutto a posto...non piangete per me, nemmeno una lacrima...io sono felice, e serena...ora so cosa m'aspetta...e ne sono felice..."
E, in tutto questo, i suoi occhi restarono fissi, e le sue labbra non si mossero. Mentre spariva, lentamente, mentre quel cono di luce si assottigliava, sotto gli sguardi attoniti di tutti. Finche' di lei non rimase che l'ombra di due occhi spalancati, e lampi di luce verdi, che si spandevano da quegli occhi...e, per un solo attimo, si senti' l'eco agghiacciante di un grido. Poi, piu' niente...
Rimasero interdetti per qualcosa che parve un'eternita', senza nemmeno respirare, ad osservare rapiti la ragazzina svanire ed i suoi occhi muti guardarli serenamente. La luce rossa spari' definitivamente, lasciandosi dietro solo vaghi riverberi cremisi. Willow sbatte' sorpresa le palpebre, i pensieri ingarbugliati in una matassa scomposta. Gli occhi dardeggiarono per la stanza, alla ricerca di qualcosa -qualcuno-, che inevitabilmente non c'era piu'. I suoi occhi seguirono una scia di potere, qualcosa di quasi palpabile, piu' potente di una scia di profumo, e vide un libro, sul pavimento, aperto apparentemente a caso. V'era una miniatura, sul libro, che attiro' subito l'attenzione dell'ex strega. Combattuta tra l'impulso irresistibile di correre fuori e quello di raccogliere il libro, si alzo' traballando, ancora intontita dalla sorpresa. Guardo' Dawn spalancare gli occhi, tornata improvvisamente lucida, e fiondarsi dalla porta, incurante della pioggia che cadeva senza sosta !
 dal cielo plumbeo. Anya e Xander la seguirono, dopo essersi scambiati appena uno sguardo. Giles se ne stava impietrito, anche lui guardando quel libro su cui stava quella strana miniatura. Willow ascolto' il campanello del Magic Box trillare, un suono in qualche modo malinconico eppure sereno. Poi percorse la breve distanza che la separava dal libro e, con un reverenza superstiziosa, lo raccolse, osservando la figura incisa in rilievo sulla pagia ingiallita. Era una ragazzina, alta e maestosa su una nuvola dalle sfumature oro e rosse, vestita di broccato cremisi. I lunghissimi capelli biondi le ricadevano sulla schiena, fin quasi a sfiorare il pavimento di nuvola che la sorreggeva come non avesse peso. Attorno a lei, accucciati su nuvole piu' piccole, la riproduzione di una tenebrosa corte infernale. Demoni sottomessi di fronte quella ragazza dalla coda dorata...Willow lesse senza fretta la didascalia, e poi le poche righe sottostanti, sorridendo. Giles la guardava intontit!
 o, cercando invano di sbirciare. Si sistemo' gli occhiali sul !
 naso, pr
ima di trovare la forza per pronunciare la sua domanda.
"Chi era, Willow?"
La strega non alzo' gli occhi dal libro. Il suo sorriso non abbandono' un istante le sue labbra. Lesse.
"La regina dei dannati...una divinita' mortale condannata ad essere bruciata per espiare le colpe dei suoi figli. Si incarna una volta ogni mille anni...cinquecento anni fa scelse Miranda...ecco, chi era..."
Giles spalanco' gli occhi.
"E cosi'...Buffy era una regina..."
Willow annui'.
"La regina dei dannati..."

Juan Delgado stava in silenzio, nella carrozza nera del dottor Mendoza, pensando tra se'. Non parlava. Salvador non parlava. E questo non infastidiva nessuno dei due. Perche' entrambi erano persi in congetture scomode, troppo dolorose, troppo personali, per poterle dividere. Le tendine erano tirate, inzuppate dell'acqua che scrosciava all'esterno, e tingeva il mondo di un cupo grigio. Una nebbia leggera si alzava dal suolo, come se questo fosse stato caldo. L'eco terribile dei tuoni faceva sobbalzare il giovane prete, che si torceva le mani, e non per riscaldarle. Nella sua testa si scontravano mille pensieri, mille speranze, mille timori. E qualche ricordo. Ma questi li scacciava con vigore, perche' se si fosse fatto prendere dai ricordi, probabilmente non sarebbe riuscito a muovere nemmeno un passo, quando sarebbe stato il momento. L'aria nella carrozza era gelida. Nuvolette di condensa fuoriuscivano dalle sue labbra strette. Il saio bagnato gli si appiccicava addosso, fac!
 endolo rabbrividire. Riccioli biondi gli ricadevano capricciosi sugli occhi. Quegli occhi con la tempesta dentro, oscurati dal dolore, dalla preoccupazione.
Finalmente, dopo un viaggio che gli parve durare vite intere, la carrozza si fermo' in prossimita' della cappella. L'odore acre del fumo arrivava fin laggiu', e Juan tento' disperatamente di ignorarlo. Cerco' disperatamente un'altra spiegazione a quella nuvola nera ed informe che si spandeva dalla finestra lasciata aperta e gli irritava le narici, anche a quella distanza. Mendoza gli porse una mano, cercando le parole per trattenerlo. Non voleva che vedesse. Sapeva quanto poteva essere straziante, uno spettacolo del genere. E tuttavia gli sembrava cattivo ed ingiusto negargli quell'ultimo incontro.
"Juan...non devi andare per forza...lei non ti amera' di meno, se resti qui..."
Il ragazzo lo guardo, il fuoco negli occhi, un tremito convulso che lo scuoteva tutto. E rabbia, tanta amara rabbia, nel suo sorriso.
"Devo andare...non potrei mai non andare! Voglio vederla...voglio vedere a che segno arriva la crudelta' umana...e voglio vedere la volonta' di questo mio Dio senza senso..."
Mendoza rabbrividi'. Una furia omicida c'era, negli occhi giovani di Juan. Il medico lo fisso' quietamente negli occhi.
"Il tuo Dio non vorrebbe mai, una cosa del genere..."
"Cosa ne vuoi sapere tu? Non credi in niente, Salvador..."
L'uomo sorrise. Amarezza, nel suo sorriso.
"Mi piacerebbe poter non credere in niente...ma vedi, nessun uomo puo' vivere senza credere...io credo. In un modo tutto mio, ma credo. E nessun Dio potrebbe volere la vita di quella ragazzina...nessun Dio potrebbe volere una vita umana. Gli uomini hanno inventato la morte, Juan...e gli uomini la usano...gli uomini pretendono la vita di altri uomini, non gli Dei..."
Juan lo guardo' con gratitudine. Strinse gli occhi, forse per soffocare la lacrime, ed usci' dalla carrozza.
La porta della chiesa era semichiusa. Juan la sposto' con la morte nel cuore. Entro', lasciando che una zaffata di odore acre di fumo e carne bruciata gli riempisse i polmoni. Avanzo' tra la folla ammutolita, ad occhi bassi, ascoltando distrattamente i mormorii di stupore di quel sadico pubblico. E, quando fu abbastanza vicino ed ebbe il coraggio di alzare gli occhi sul rogo, capi' il perche' di quello stupore.
Miranda, la sua Miranda, stava ritta, legata al palo, orgogliosa e altera nella morte come lo era stata nella vita. I suoi occhi brillavano di luce propria, e non era esattamente la Miranda che lui ricordava, quella ragazza dagli occhi dolci, col sorriso spezzato...era una divinita', senza dubbio, qualcosa di superiore. La circondavano le fiamme, danzando in maniera innaturale, e sembravano adorarla, quasi fosse loro padrona. E, sopra quelle fiamme, ad imprigionare la ragazzina, un cono di abbacinante luce rossa, non del colore del sangue, ma di quello del sole al tramonto. Juan, esterrefatto, dimentico di tutto tranne che di quella vista soprannaturale, vide i capelli di quella donna (era una donna, non piu' la calma, dolce ragazzina che aveva conosciuto), drizzarsi in molteplici spire, come se fossero dotati di vita propria. Lentamente, Miranda si volto', e Juan segui' il suo sguardo. E capi'. Guardava Antonio Palacio, immobile come una statua d'ebano ed avorio, al centro !
 della postazione sopraelevata. Il terrore che Juan lesse negli occhi dell'inquisitore non lo si puo' nemmeno descrivere. Un'ombra di morte, passo' dentro quegli occhi, rapida come fu rapido il guizzo sinistro di una fiamma che, dal rogo, salto', guizzo' e circondo' la figura terrorizzata dell'inquisitore, che gemeva e tremava, tentando invano di sottrarsi alla punizione che gli stava infliggendo colei che lui stesso aveva deciso di punire. Le fiamme lambirono Miranda, e lei restava ferma, immobile, lo sguardo fisso su Palacio e negli occhi, una serena rassegnazione. Come se avesse saputo da sempre che sarebbe dovuto succedere. Negli occhi di Palacio, invece, terrore, e riflessi di quel fuoco che, veloce quanto inesorabile, lambi' le sete pregiate del suo mantello, la stoffa dei suoi pantaloni e la carne sotto di essa, mentre lui gridava come un forsennato. E nessuno, nessuno, l'aiuto'. Lo lasciarono li', a contorcersi nella morsa delle fiamme che, lentamente, lo consumavano!
 , tra le sue grida e le preghiere inutili che rivolgeva a Mira!
 nda. E i
nfine, non fu altro che cenere. L'inquisitore odiato e temuto, ridotto ad un ammasso scomposto di carne fumante e stoffe bruciate. Solo in giglio bianco splendeva, come a farsi beffe di lui, sul mantello sbrindellato.
Miranda intanto bruciava lentamente. E non sembrava farci nemmeno caso. Il fuoco le lambiva le gambe, e la veste grigia, e lei restava dritta, a dispetto del dolore che doveva sentire. E nei suoi occhi c'era sempre serenita'.
Juan si accorse che non stava piangendo. E, incredulo, si rese conto che non l'avrebbe fatto. Non avrebbe versato lacrime per lei. Non perche' non sentisse dolore, o perche' non l'amasse. Perche' quei suoi occhi, quelle pozze verdi serene e in pace, si fissarono nei suoi occhi blu, e lei, Miranda, sembro' sussurrargli di non piangere. Perche' non si sarebbero persi...mai, si sarebbero persi. E Juan si accorse che non avrebbe pianto. Nemmeno quando finalmente gli occhi della ragazzina si chiusero, dopo aver lanciato a lui un'ultimo sguardo piano d'amore, neanche allora uan pianse. Una sola lacrime, brillante e dolce, gli rigo' la guancia. E lui seppe, una certezza fulminante, che si sarebbero rivisti molto presto...non sapeva dove, se in paradiso, o all'inferno, o in questa terra di matti...ma si sarebbero rivisti presto...
Era solo un arrivederci...
"Arrivederci, cuore mio..."

<Regina della bellezza,
A soli diciotto anni, aveva dei problemi...>
Di nuovo vuoto, nella mente di Spike, di nuovo buio, di nuovo bolle di sapone che volteggiano accanto a lui. Ma questa volta c'e' anche lei...non la puo' vedere, nel buio opprimente che lo circonda, ma lei c'e'...in qualche punto indefinibile di questo universo fatto di perdizione ed anime, lei c'e'...con la sua bellezza fulminante, e tutto il suo passato da Buffy Summers...con tutti quei problemi...tanti ne avevano risolto insieme, e tanti si sarebbero ancora presentati loro davanti...
Subito, cosi', all'improvviso, e siamo di nuovo due corpi, con due anime, che sono un solo corpo, ed una sola anima...due facce di una stessa medaglia...anime gemelle, io e te, sempre...
Apre gli occhi, Spike...e' a casa...a casa con lei...
<Lui era sempre li' ad aiutarla,
Lei era sempre di qualcun altro...>
E c'e' chiarezza, finalmente, nella sua mente. E' andato tutto bene...lui c'e'. Lei c'e'. Anime gemelle che aspettano solo di trovarsi, dopo che entrambi erano stati delle persone sbagliate, dilaniandosi il cuore di dubbi e paure...quando adesso sembra tutto cosi' chiaro, come inondato dalla luce del sole, fa niente se uno non la puo' vedere, appartengono alla notte, e sono uno il sole dell'altra...
Spike si alza, e' nel cimitero. Sa dov'e' lei, e corre, mentre la pioggia ancora cade, e lava via ferite, umiliazioni, dispiaceri. Ed il vento sussurra, con la sua voce 'Ti amo'...
<Ho percorso chilometri e chilometri
Per arrivare alla tua porta...
Epoche intere, per trovarsi, una cosa strabiliante, eppure cosi' semplice, non era vero niente, eppure niente era del tutto falso, nella loro storia, nella loro vita, nel loro amore chiamato in tantissimi modi, che vogliono dire tutti la stessa cosa. Ma nessuno ha il coraggio di guardarsi negli occhi e dirselo...e poi il tempo corre, e porta via tutto. Ma non e' adesso, non adesso che hanno capito che il tempo non aspetta, e allora nessuno si fara' aspettare...
Cogli la rosa al momento giusto, perche' lo sai, il tempo vola. E lo stesso fiore che oggi sboccia, domani potrebbe appassire...
<Ti ho avuta tantissime volte,
Ma in qualche modo, vorrei di piu'...>
Sono vicini, lo sentono. Buffy si sveglia da quel torpore che l'ha avvolta...per quanto tempo?...oh, cinquecento anni di lontananza, eppure si sono trovati. E adesso vuole di piu', lei, di piu' delle volte che l'ha avuto, cosi', senza un senso, attorcendosi nei suoi dubbi quando avrebbe potuto vivere, semplicemente, e mandare al diavolo tutto, perche' per amore si trova la forza di mandare al diavolo tutto. L'ha trovata, ora, lei, e non puo' piu' lasciarla fuggire...non cosi'...si alza, sa che sta arrivando, e scende lentamente le scale, scossa da quei tremiti che sono felicita' allo stato puro, e sorpresa, dolce sorpresa, ed amore...
<Non mi dispiace passare ogni giorno
Fuori, all'angolo della tua strada, sotto la pioggia scrosciante...
Cercando la ragazza dal sorriso spezzato
E chiederle se vuole fermarsi un po'...>
La pioggia cade, ma lui nemmeno la sente. Non gli dispiace, ha passato chissa' quanti giorni all'angolo della sua strada, sotto la pioggia, a vegliare su di lei, a proteggerla da tutto senza chiedere niente tranne quella briciola d'amore che lei non era pronta a dargli. Quella ragazza, morta, poi di nuovo viva, con quel suo sorriso spezzato, sulle sue labbra quando proprio non aveva niente da dire, e fissava le stelle, sul portico, accontentandosi della sua presenza fredda. Lui, che non chiedeva altro che stare cinque minuti con lei, quei soli cinque minuti in cui poteva quasi sentirsi vivo, fermarsi un po' con lei, consolarla e darle amore fino a consumarsi...perche' e' questo l'amore...dare senza chiedere niente in cambio...
<E sara' amata...
Sara' amata...>
E' sempre stata amata, nonostante non se ne sia mai accorta, troppo cieca per guardare oltre il suo dolore, la sua stanchezza di vivere, trascinarsi stancamente notte dopo notte, senza accorgersi che viveva davvero solo quando c'era lui, che sentiva il suo respiro, ed avvertiva il suo cuore battere, solo quando c'era lui...Dio, quanto tempo, per capirlo...
<Bussa alla mia finestra, suona alla mia porta,
Vorrei farti sentire bellissima...>
Eccolo, l'angolo della sua strada, quante notti passate li'...e quante sentendola arrivare, nel cimitero, per avere quel conforto che solo lui, solo Spike, poteva darle. Quando sentiva i suoi passi leggeri richeggirgli nella testa anche quando lei era chilometri distante...perche' voleva disperatamente inventarsi qualcosa, prepararsi una frase, qualcosa di carino, che non suonasse volgare o stupida perche', era ovvio per lui quanto non lo era per lei, voleva farla sentire bellissima...
<So che tendo all'insicurezza
Non mi importa piu'...>
Eccola, la porta, Dio, sembra cosi' distante. Fuori c'e' lui. E' la decisione della vita, una volte e per sempre...puo' far finta di niente, lo sa. E puo' aprire quella porta, correre nella pioggia, ripararsi nell'abbraccio di lui che, lo sa, e' li' fuori ad aspettarla...aspettare lei, con quell'insicurezza che condividono entrambi. Forse non riuscira' mai a prendere una decisione definitiva, ma perche' buttare all'aria una vita ed un amore che vuole, vuole con tutta se' stessa, e lo vorrebbe ancor di piu', se non temesse il giudizio dei suoi amici...ma loro chi sono, per giudicare la sua vita? E, se fossero realmente amici, non mi spronerebbero a seguire la strada che potrebbe rendermi piu' felice? Meritano davvero, tanta considerazione? Afferra la maniglia della porta. La nebbia dei dubbi si ritira veloce, sotto i suoi occhi...     
<Non mi dispiace passare ogni giorno
Fuori, all'angolo della tua strada, sotto la pioggia scrosciate...
Cercando la ragazza col sorriso spezzato
Chiederle se vuole fermarsi un po'...>
Sta fermo, ha il fiatone, incredibile ma ce l'ha, ed una paura nuova lo investe, con la forza di un uragano...e se lei non dovesse uscire? E se decidesse che non le importa? Se la sua paura fosse piu' forte del suo amore, piu' forte di me? Trema, stringe i pugni, mentre sta fermo davanti la sua porta, dritto, con gli occhi blu fissi su quella casa. La pioggia riga d'argento lo spolverino nero, mentre aspetta, e aspetta, e aspetta...e la porta, quella della sua casa, della casa di Buffy, incredibilmente, per lui, si apre. C'e' lei, ferma, sulla soglia. Con quel suo sorriso di chi non vuol dire niente. Amami, e basta. E lui le si avvicina. Quel sorriso rischiarerebbe anche una giornata uggiosa come quella...e chi ha nostalgia del sole, se puo' avere un sorriso cosi'?
<E sara' amata...
Sara' amata...>
E' un istante, forse meno, prima che Buffy senta quelle braccia forti, umide di pioggia, stringerla forte, in quell'abbraccio protettivo, quell'abbraccio innamorato, che mai nessuno, tranne lui, era riuscito a darle...non le stelle, non la luna, non una vita normale...lei voleva solo un abbraccio, un abbraccio caldo come quello, un abbraccio vero, vivo, che nessuno le aveva dato. Lei voleva essere amata, e, se ne rendeva conto solo ora, lei voleva amare. Voleva amare tanto da scoppiare, inondare d'amore chi non aveva fatto altro che chiederle senza parlare una briciola di quell'amore che adesso straripava nel suo cuore. Sciolto, quel ghiaccio che pareva ricoprirlo, finalmente...dolcemente, Buffy si scioglie da quell'abbraccio...vuole guardare in faccia il suo sogno, finalmente, e perdersi nei suoi occhi, giocare con le onde che vi sbattono dentro...quanto amore, dentro quegli occhi...
<Per favore,
non cercare con tutte le tue forze di dire arrivederci...>
Per favore, non dirmi che e' un sogno...ti prego...
Quante volte l'ha sognato, nel grembo di una notte nera, e s'e' svegliato deluso ed amareggiato, dopo aver visto quella luce, negli occhi di lei...la stessa luce che vi vede adesso, solo, piu' reale. Piu' bella, piu' brillante di quanto s'aspettava. E non vuole, non vuole che sia tutto un sogno...non un altro maledetto sogno. E invece ci sono due labbra dolcissime, che si posano sulle sue, a dirgli che e' realta', quello che vede, e sente, e prova. La luce che e' nei suoi occhi e' reale, e non c'e' realta' piu' dolce di questa, per lui...il paradiso, in confronto a quell'insignificante conferma, non e' niente. E non c'e' tristezza, ne' sensi di colpa, ne' preoccupazione, in quel bacio. Solo amore, un amore che Spike credeva non avrebbe mai sentito...la stringe forte, e ricambia quel bacio, dando tutto cio' che e'. A lei appartiene tutto, di lui. Tutto il suo mondo, il suo essere, la sua anima...e' sua. Dopotutto, tutto l'universo di quel vampiro biondo, ruota attorno a quell!
 a donna dal sorriso spezzato...
<Non mi dispiace passare tutti i giorni
Fuori, all'angolo della tua strada, sotto la pioggia scrosciante...
Cercando la ragazza col sorriso spezzato
Chiedendole se vuole fermarsi po'...>
Non dira' mai piu' arrivederci. Vorrebbe solo poter non staccare piu' le labbra dalle sue, vorrebbe sentire quel calore in eterno. Ah, l'eternita' insieme a lui, questo sarebbe il paradiso...no, anche star solo cosi', per un istante, o un ora, abbracciata, stretta in quelle braccia cosi' forti e tuttavia delicate, con le labbra posate sulle sue...si', anche quello e', semplicemente, paradiso. Ed e' serenita', e pace ed abbandono, che forse gli altri non possono capire perche' non sanno cosa sia, davvero, la serenita', e la pace e l'abbandono. Ma lei ora lo sa. E non dira' mai piu' arrivederci...lei e' amata...lei sara' per sempre amata...
<E sara' amata...>
"Ti amo", sussurra Buffy, ed e' come sentire il proprio cuore spandersi per chilometri, e poi ritirarsi, ebbro di felicita', per unirsi con quello di lui. Lui che sorride, di un sorriso dolcissimo, e le prende il viso tra le mani, e vorrebbe mangiarla di baci. E non osa farlo. Sussurra solo, ed e' come un grido...
"Ti amo...", e poi un altro bacio, come a volerlo provare, non con le parole, ma con la dolcezza infinita di due labbra contro le sue...ed e' una prova bellissima...
Ed e' tutto perfetto...
<Sara' amata...>
Ed ora, all'angolo di quella strada, ci sono Dawn, Xander ed Anya. Xander ed Anya, insieme, abbracciati...e sembrano cosi' lontani i momenti di dolore e solitudine. Cosi' lontana la paura e l'incertezza...ed invece vicine, terribilmente, meravigliosamente vicine, la felicita' e la sicurezza...non solo per loro, pensano guardando due biondi baciarsi, con una dolcezza che sembra quasi palpabile. Ed ogni dubbio si dissipa, mentre quei tre guardano gli altri due, e sanno che e' tutto perfetto...
Adesso, e' tutto perfetto...       
  
(Fine)