BACK TO THE BEGINNING


Autrice: MorganaLaFata
Disclaimer: appartiene tutto a Joss Whedon, alla UPN ed alla WB...di mio nn c'e' niente, a parte la storia...
Pairing: Buffy/Spike, William/Cecily, Angelus/Darla
Rating: per tutti.
Timeline: Sunnydale 2004, appena dopo "Beneth You" - Londra 1880
Spioler: per "Seeing Red", "Fool for Love", "Lessons", "Beneth You".
Feedback: tutto quello che avrete da dirmi su questa ff: marfi2002@libero.it...
Summary: vivere con un anima non e' facile, soprattutto se si deve convivere con centoventi anni di rimorsi...ma cosa succederebbe se qualcuno avesse la possibilita' unica di cambiare il proprio passato?
Notes: le frasi fra <> sono, in inglese, frasi tratte dai vari episodi, mentre in italiano sono frasi tratte da alcune canzoni: in ordine "I Konw Him So Well", "Guilty", "My Immortal" e "My Love".

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Capitolo I - Blood Behind Blue Eyes

Sangue.
Lo vedeva dappertutto.
Rosso.
Viscido.
Pulsante.
Dovunque guardasse. Ovunque i suoi occhi blu si posassero. Qualunque immagine focalizzassero. Era tinta di sangue. Che stillava nella sua testa, gocce di sofferenza. E bruciava nei suoi occhi. Dietro i suoi occhi blu. Sangue. Sulle mani. Sulle sue mani. Non il suo...no. Sarebbe stato troppo facile. Poter scivolare via, verso la nera morte che protende le braccia scheletriche. Lasciarsi abbracciare. Per sempre. Almeno cosi' sarebbe cessata la sofferenza. Il dolore che in quel momento gli si serrava attorno alla sua gola, peggio che un cappio...si odiava. Si'. Odiava. Di un odio che non aveva mai sperimentato prima.
Completo.
Totale.
Accecante.
Nero.
Un odio cieco. Per se' stesso. Per il mostro che era stato. Odiava ogni fibra del suo essere, ogni palmo di pelle, ogni centimetro d'osso. Ogni emozione, ogni fremito, ogni suono. Odiava tutto, di se'. Di un odio scuro. Un odio torbido. Un odio nero. Come quel nome. Il suo.
Spike.
Gia'. Avrebbe davvero voluto avere il coraggio per trafiggersi con un chiodo...e farla finita. Ma era un codardo anche in questo...era...no. Lui non era. Eccolo, il problema. Lui non era niente. Era solo una cosa.
Una cosa terrificante.
Una cosa malvagia.
Una cosa cattiva.
Una cosa che, contrariamente alle leggi che regolano questo mondo, soffriva. E piangeva. Ininterrottamente, desiderando quasi di poter scivolare via insieme alle sue lacrime. Insieme al suo dolore. Insieme alla sua colpa. Ancora adesso stentava a crederci, non voleva crederci! A quelle visione orribili di morte e dolore...e divertimento. Oddio...il suo divertimento. Quelle risate agghiaccianti, quello sguardo...quello sguardo...lo sguardo di un animale in caccia. Quei suoi occhi blu. Quegli occhi. Lo specchio di tutte le sue colpe. Che lo soffocavano. Lui, un vampiro, che tecnicamente non aveva alcun bisogno di respirare, sentiva l'aria venirgli meno, i polmoni bruciargli. No. Era la scintilla. La scintilla a bruciare. Come le ferite che aveva sul petto e che andavano, lentamente, rimarginandosi.
<I tried to get it out...>
Spike rabbrividi'. I suoi occhi vagavano senza meta all'interno di un freddo scantinato. La cantina della 'Hight Scholl' di Sunnydale. Buia, umida e fredda. Il suo posto. Il suo unico posto. Piena di volti...tutto era pieno di volti, attorno a lui. Le gocce d'acqua che stillavano dal soffitto avevano la forma dei volti di quelli che aveva ucciso...le assi del pavimento, le braccia che l'avevano supplicato, con un gesto, di lasciarli vivere...le casse impilate l'una sull'altra, i corpi che aveva privato della vita, gli uni sugli altri, cercando conforto nell'oblio. Quel conforto che lui non aveva, ne' mai avrebbe avuto...non ne aveva alcun diritto.
Per favore, per favore...lasciatemi in pace! Per favore...
Oddio, oddio, oddio...voleva sparire. Solo questo. Sparire. Chiudere gli occhi e scivolare via, quasi dolcemente. Si strinse di piu' contro la parete, stringendosi le gambe contro il petto, quel petto che nascondeva dietro ad una camicia nera,  ferite che non avrebbero mai bruciato piu' della sua anima...si strinse contro la parete, desiderando quasi essere inghiottito da essa. Divenire nient'altro che muro freddo ed umido, senza emozioni. Ma la parete non parve ascoltare la sua supplica, e, dietro la sua schiena, Spike non senti' altro che muro freddo e duro. Mentre strazianti singulti uscivano frusciando dalle sue labbra strette fino a diventare un sottile filo bianco.
<Everybody's in here...and...they all just tell me go...go to hell...>
Era all'inferno.
No.
L'inferno era in lui.
L'inferno era come si sentiva.
Vuoto. Inutile. Patetico. Colpevole. E troppo stanco per reagire...tutti quei volti...e quelle grida...e quel sangue...
Sono come cocci nella testa! Basta, ti prego!!
<Can we rest now, Buffy? Can we rest?>
Fuori dalla cantina il cielo e' quasi terso. Picchiettato qui e li' di soffici nuvole grigie. Il cielo scuro della notte. Miliardi di stelle brillano, al cospetto della luna, pallida ed eterea, nel suo argenteo splendore.
Alta.
Bianca.
Pura.
Come lui non puo' piu' essere. Come lui non ha piu' il diritto di essere. Come non sara' mai piu'.
Lui e' basso...e' un essere inferiore...ha toccato il fondo del baratro, e non ci sono corde a cui aggrapparsi per risalire...solo le sue mani, ed una parete di nuda roccia...
Lui e' nero...cosi' tanto che nemmeno i suoi occhi abituati al buio riescono a scutarvi dentro.
Lui e' impuro. Completamente. E la purezza non e' qualcosa che puoi comprare o barattare. E la sua anima e' impura quanto il suo corpo...
<A bit worse for lack of use...>
 Una lacrima scese da quegli occhi lucidi e tristi, velati e spenti come non li aveva mai avuti. Una lacrima, una sola. Disegno' un elegante arco sulla sua guancia bianca. Sfioro' le sue labbra, in una carezza che gli parve quasi ristoratrice, per un solo attimo. E poi colo' lenta lungo il mento, cadendo delicatamente sul suo petto. Rabbrividi'. Nella sua testa continuavano a susseguirsi terribili immagini di morte. Immagini che lo spaventavano. E lo lasciavano senza fiato, a chiedersi se davvero avesse fatto tutto quello...sono stato io...era cosi' difficile accettare quel pensiero. Era come veleno, che entrava lentamente in circolo, e si impossessava di lui, alimentando il suo dolore. E il suo odio. Cieco, terribile odio. E neppure aveva il coraggio, se coraggio lo si deve chiamare, di prendere un pezzo di legno e farla finita. No. Era codardo anche in questo. Era un vigliacco, niente di piu'. capace solo di odiarsi, e odiarsi e odiarsi. Ma non di punirsi. Questo lo lascia!
 va fare alle voci nella sua testa, alle grida e al rumore del sangue. E al sapore del sangue. E al colore del sangue. Ne aveva la testa piena, di sangue. La testa, e il cuore, e l'anima. La scintilla...no. Il fuoco incontrollabile, che l'avrebbe bruciato, prima o poi. Che lo stava gia', lentamente, inesorabilmente, bruciando. La scintilla, e quello sguardo pieno di dolore, pieno di colpa, che sentiva fisso su di se'. Quello sguardo...lo sguardo di quella donna dagli occhi verdi.
Dio, non lo capisci? Mi fa male guardarti! E ancor di piu' mi fa male il tuo sguardo su di me! Fa male dentro!
<I can't...not with you looking...>
Quello sguardo pulito, quello sguardo innocente. Quello sguardo di bambina in un corpo di donna. Spaventato. Annientato, quasi. Da quella vista...dalla vista di cio' che quell'anima gli stava lentamente facendo...potra' anche essere una scintilla, ma lo stava spegnendo. Spike alzo' gli occhi. Su quella figura stancamente appoggiata al muro, li', di fronte a lui. Fa male dentro...
"Oh, mio dio...cosa ti ho fatto, William?"

"Cosa gli hanno fatto?"
Willow sedeva ansiosamente alla larga scrivania circolare del Magic Box, torturandosi con una mano bianca i capelli rossi, attorcendosi intere ciocche, e tirando fino a che non le faceva male. Xander sedeva accanto a lei, un'aria assolutamente rilassata. Sembrava che l'argomento in discussione non lo toccasse minimamente. Se ne stava seduto, placidamente. Con le mani intrecciate sul torace e lo sguardo perso nel vuoto.
In piedi, andando su e giu' come se non avesse niente di meglio da fare che far saltare i nervi ai presenti, stava un pensieroso Rupert Giles. Continuava a lisciarsi la cravatta, spasmodicamente. Camminando. Pensando. Rimuginando su quel ritorno cosi' inaspettato, e per nulla ben accetto. Almeno per lui.
Accanto alla finestra, rimirando il panorama della strada deserta come se fosse la cosa piu' interessante del mondo, stava Anya. Assorta nei suoi pensieri da demone. Pensando a quello che aveva sentito, quando si era avvicinata a lui...al loro argomento di discussione...a Spike...valutando se fosse il caso o meno di rendere pubblica la sua scoperta.
Infine, seduta sui gradini di ferro che conducevano alla zone proibita, c'era Dawn. Il mento poggiato sulle mani intrecciate e le ginocchia premute contro il petto. I bei capelli scuri sciolti che le ricadevano morbidi sulle spalle spigolose. Lei mancava. La cacciatrice. L'amica. La sorella. Lei. Buffy. Non c'era. Come non c'era stata il giorno prima e come non ci sarebbe sicuramente stata il giorno dopo. Come sembrava non volesse piu' esserci. Perche' ora doveva esserci per Spike. Spike che era tornato dall'Africa. Spike che sembrava essere impazzito. Che diceva cose senza senso. Che farneticava su una scintilla. Willow. Lei non pensava avesse semplicemente perso il senno...no, troppo improbabile. Non Spike. Se solo Buffy si fosse fidata quel tanto di lei da permetterle di dirle cosa succedeva. Il perche'...ma lei non voleva parlarne. Era qualcosa che la turbava profondamente. Qualcosa che non poteva dire. Che non voleva dire. Non ancora, almeno. E loro, preoccupati e curio!
 si, non potevano fare altro che vagliare ipotesi.
"Cosa gli hanno fatto?"
Willow ripete' a bassa voce la sua domanda, quasi a voler essere sicura che avesse raggiunto tutti. C'era curiosita', nella sua voce. Preoccupazione, forse. Ma per Buffy. Non per Spike...come potrebbe preoccuparsi di lui? Xander sorrise sarcasticamente, dondolando su e giu' sulla sedia.
"Cosa gli hanno fatto? Semplice: niente. E' impazzito, Will..."
Cosi', di punto in bianco. Era semplice, il ragionamento di Xander. Logico, dopotutto. Ma non la soddisfaceva. Nemmeno un po'...
"No..."
"Ammattito?"
"No..."
"Andato fuori di testa?"
"No..."
"Un colpo di sole di troppo?"
Willow stava per rispondere l'ennesimo, insoddisfatto 'no', quando una voce di donna li interruppe. Una voce sicura e fredda. Da far avvertire un brivido lungo la schiena. La inequivocabile voce di un demone.
"Un'anima..."
Anya.
"Cosa??"
La domanda fu univoca. Posta da tutti. Nello stesso istante. Come se fosse stata una sola, potentissima e stupita voce, a pronunciare quelle parole. Anya cammino' lentamente verso di loro, stringendosi le braccia contro il seno. Come se cercasse calore nel proprio abbraccio.
"Un'anima..."
Ripete', lo stesso tono di voce calmo e freddo. E sicuro. Da non voler sentire obiezioni. Ma e' una cosa troppo assurda, per non suscitare la reazione sorpresa di Xander.
"No! Non e' possibile! Angel ha un'anima! Angel ha la maledettissima anima! Non Spike! Andiamo, e' quasi comico! Ve lo immaginate Spike-con-l'anima-il-patetico? Che si fissa le punte delle scarpe come se fossero la cosa piu' interessante del mondo? Che cammina con gli occhi bassi, e sembra quasi dire 'non sono degno di calpestare la merda sul marciapiede'? Per favore! E ridicolo! Spike non puo' avere un'anima!"
Si soprese, Xander, nel sentire il proprio tono di voce. Non era sicuro. Per niente. Come se avesse tentato di convincere se' stesso, senza successo...lui stesso, Xander, non credeva ad una parola di quello che aveva detto. Sapeva, dentro di se', che Anya diceva la verita'.
Anya sospiro', senza guardare nessuno in particolare.
"L'ho sentita."
Willow si porto' le mani alla bocca. Oh, Dio...il tono di Anya era piu' che sufficiente per convincerla. Lo sarebbe stato anche senza collegare quanto appena detto con le farneticazioni senza senso apparente di quel vampiro. Un'anima...
"Ed e' questo, che lo rende pazzo...i rimorsi...i sensi di colpa. Lo fanno impazzire..."
Giles, senza smettere un attimo di lisciarsi la preziosa cravatta grigia, s'intromise. Scettico.
"E perche' l'avrebbe rivoluta indietro? Non...non mi sembrava che fosse ansioso di affogare...nella sua, uh, colpa..."
Sembrava, a Willow, una domanda tremendamente stupida...posta da uno come Giles, che di solito avrebbe compreso al volo, sembrava ancor piu' idiota. Ma, prima che lei o Anya avessero potuto parlare, Dawn rispose. C'era quasi rabbia, nella sua voce di diciottenne.
"Per Buffy...Dio, non capite? L'ha fatto per lei! Perche' potesse amarlo! Non...non sapeva cosa voleva dire...uccidere per centoventi anni e riavere di botto una coscienza...dev'essere..."
Dawn si perse, alla ricerca di un aggettivo abbastanza doloroso da esprimere al meglio la sofferenza che stava patendo Spike...strinse i pugni, non riuscendo a trattenere un moto inconsulto di rabbia, nei riguardi di Buffy...era colpa sua, maledizione! Willow parlo' per lei.
"...terrificante...si', assolutamente orribile...povero Spike."
Povero Spike? Xander batte' un pugno sul tavolo, facendo saltare i libri sistemati alla rinfusa sopra. Quando si rese conto di aver attirato a dovere l'attenzione di tutti, parlo'.
"E' la punizione che si meritava..."
Dawn strinse gli occhi. Perche', perche' non capiva? Nessuno merita una cosa del genere. Fu Anya a dare voce ai suoi pensieri, avanzando lentamente verso il ragazzo.
"Nessuno merita una cosa del genere!"
Mancava appunto l'opinione di un demone...
"Spike si'..."
Sputo' quelle parole addosso ad Anya. Scese un silenzio di ghiaccio, tra i due, e su tutta la stanza. Cosi' perfetto da poter udire distintamente i battiti del proprio cuore. Tum tum. Tum tum. Pochi battiti passarono dalla sentenza di Xander alla risposta di Anya. Indignata. Rabbiosa. Demoniaca.
"E tu ti senti cosi' dannatamente irreprensibile da poter sputare sentenze? Cosi' prefetto da poter giudicare gli altri dall'alto della tua superba perfezione? Beh, ti diro' una cosa, Harris, ascoltami bene: tu non sei perfetto. No. Tu sei il ritratto dell'imperfezione! Guardati! Gonfi il petto e sputi sentenze come fossi Dio! Eccoti una novita', Xander: se qualcuno merita una punizione, quello e' il tuo ego, il tuo prezioso io gonfio come un pallone aerostatico!"
Ci mise solo un attimo, Xander, a riprendersi. Solo un attimo per rifarsi di quell'assoluto stupore in cui l'avevano lasciato le parole di Anya. Solo un attimo per riprendersi dal fatto che aveva ragione. Riprendersi e sapere che non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno con se' stesso. Un attimo. Solo un attimo.
"Ci dev'essere una sorta di solidarieta' fra demoni! Insomma, Anyanka, da che parte stai??"
"Sto dalla mia parte! Mia! E non difendo nient'altro che quel po' di giudizio che tu non hai!"
Willow si alzo' dalla sedia, ascoltando solo distrattamente il veleno che quei due continuavano a vomitarsi a vicenda. Guardo' Dawn, che sospirava scocciata, accoccolata contro le scale. Pensando a Spike, sicuramente. Al fatto che ora aveva...un'anima...
"Hey, piccola! Mi aiuti a rimettere a posto questi libri?"
Dawn le sorrise, annuendo. Si alzo' dai gradini, facendo del suo meglio per allontanare dai suoi pensieri Anya e Xander che litigavano come se nella vita non avessero mai fatto altro. Prese a spostare lentamente ogni libro dalla scrivania, rimettendolo al proprio posto.  Giles la imito'. Sistemo' le lenti circolari sul naso, e comincio' a sua volta a mettere in ordine la scrivania, riponendo ogni libro sullo scaffale adatto. Dawn faceva diligentemente altrettanto, mentre la sua mente era persa, cercando un modo per aiutare Spike. Aveva cercato di violentare sua sorella. Si'. Questo non poteva dimenticarlo, Dawn. Ma, nonostante tutto, sentiva di provare un forte, fortissimo affetto per quel vampiro cosi' umano. Assorta com'era in questi pensieri, le scivolo' di mano un libro. Lo raccolse, prestandogli attenzione per un attimo. Era un vecchio libro dalla copertina in cuoio lucido e nero. Emanava un potere quasi palpabile. Il titolo in alto al centro era inciso a lettere d'oro.!
  'Wishes Spells'. Un lampo le attraverso' il cervello. Nascose il libro sotto il cappotto, in un moto veloce che ormai era abituata a fare, da piccola cleptomane quale stava diventando. Corse alla porta, gridando dietro a Willow che si era ricordata di avere una cosa molto urgente da fare.
"Mi sono ricordata di una faccenda molto, molto urgente!"
E, senza nemmeno attendere la risposta dell'ex strega, usci', incamminandosi nella notte buia di Sunnydale. Seguita solo dal leggero eco del campanellino sulla porta del Magic Box.

<Didn't Work...costume...didn't help...couldn't hide...>
No. Ci sono cose che, semplicemente, non si possono nascondere. Ferite cosi' profonde, che non andranno mai via. Come quelle sul suo petto. Ormai non tenta nemmeno piu' di nasconderle, pensa Buffy. E' tutto quello che puo' fare. Stare li', a prendersi la sua sofferenza. E pensare. Ai tempi prima. Prima di quella sera, nel suo bagno. Prima che prendesse quella dannata decisione di correre a prendere...il pezzo mancante.
La scintilla.
<I tried to find it, of course...>
ERa li'.
Li' davanti a lei. Quell'essere che la conosceva come nessun altro. Quell'essere. Quell'uomo. Che soffre e le rimanda alla mente quelle terribili immagini.
E' tutto quello a cui riesce a pensare. Ce l'ha sempre davanti agli occhi. Quella chiesa in penombra. Raggi flebili di luna che entrano come fantasmi dalle vetrate. Quel silenzio irreale. E lui. Che le dice che...ha cercato di trovarla, naturalmente. Per lei. Dio, no! Stupido, stupido, stupido! Non doveva, non...semplicemente, non doveva. Ed ora e' qui, accoccolato contro la parete, a gemere ed a tremare. A guardarsi intorno con occhi ciechi. A lottare per non morire. A volte la fissa. Per un attimo. Sembra quasi riconoscerla. E lei sorride. Un sorrido forzato, che sa di tristezza. Ma sorride. E sembra, per un solo attimo, che possa andare tutto bene. Che possa svegliarsi da quel doloroso torpore. Fermo. Come se pensasse che solo muovendosi peggiorerebbe il suo dolore. Dio, ma perche' sei stato cosi' avventato?
<Why? Why would you do that?>
<Buffy, shame on you! Why does a man do what he mustn't? for her. To be hers...to be the kind of man who would never...to be a kind of man...and she shall look at him with forgiveness...and everyone will forgive and love...>
Vergognati, Buffy! Quelle parole che le girano nella mente. Vergognati. Eh, gia', avrebbe proprio dovuto farlo...passarsi una mano sulla coscienza, prima di sputargli addosso tutta la sua frustrazione. Avrebbe dovuto farlo tanto tempo fa...vergognarsi. Forse, allora, sarebbe servito a qualcosa. Ma adesso...adesso, che lo guarda, ridotto in quello stato, con lo sguardo perso nel vuoto. E lacrime a brillare dentro quegli occhi, offuscandone la bellezza. Quel blu pieno di umanita'. Forse dovrebbe essere lui a guardare me con perdono...io ho molte piu' cose da farmi perdonare...
<And he will be loved...so everything's ok, right?>
No, per la miseria, niente e' ok!
Non con te...cosi'! Quei flash. Cosi' vividi, cosi' veri.
Colmi di paura.
Pazzia.
Desiderio di essere amato.
Perche' non aveva mai potuto accettare il fatto che anche un vampiro poteva sentirsi solo? Che poteva sentirsi fuori posto, non accettato? Perche', semplicemente, non aveva pensato che potesse avere dei sentimenti? Che lei aveva schiacciato sotto le sue scarpe, calpestandoli finche' non ne era rimasta che polvere. Polvere. Se almeno fosse stata magica...se avesse avuto un qualche potere, l'avrebbe presa, Spike, e gliela avrebbe lanciata addosso. E forse non sarebbe servito nemmeno quello. Perche' lui e' solo una cosa, giusto? E le cose non hanno sentimenti. Le cose non piangono e non amano. E allora perche' Spike piangeva, e piangeva, e si lamentava? Perche' le faceva venir voglia di stringerlo e dirgli che andava tutto bene?
Sarebbe stato amato...e sarebbe stato tutto ok...
<I dreamed of killing you...i think they were dreams...so weak...did you make me so weak?
>
Guarda...e' proprio adesso che avrebbe bisogno di Spike...in momenti come quelli, quando e' cosi' presa dal suo rimuginare, dal suo compiangersi, che lui avrebbe detto qualcosa di cosi' oltraggioso che avrebbe solo potuto sorridere. Di nascosto. Ma sorridere. Era solo quella piccola cosa di cui nessuno era mai stato capace. Non Angel, che l'aveva fatta sorridere sulle piccole cose del giorno, come la caccia, la scuola, i problemi insignificanti del momento. Non Xander, che la faceva sorridere quando incombeva un'apocalisse. Non c'era nessun altro che avrebbe voluto accanto, durante una terribile fine del mondo...ma Spike...lui era l'unico col potere di farla ridere quando i demoni erano dentro di lei...e...
'Se vuoi un demone dentro di te proprio ora, amore, sarei felice di esserti d'aiuto...'
Beh, si', questo sarebbe stato il genere di frase che avrebbe detto per alleggerire il discorso...probabilmente l'avrebbe trasformata da malinconica a scocciata, ma l'avrebbe rimessa in forze...cosi' perfettamente, stranamente Spike...Dio, tornera' da quell'abisso in cui si e' cacciato?
Cosi' debole...
<It's what you wanted, right? It's what YOU wanted, right?>
Niente. Non la lascia in pace. Anche lei ha i suoi fantasmi contro cui lottare. Quelle frasi che ha sentito, nella cappella, illuminata da raggi flebili della luna. Quelle parole, una dopo l'altra, che la sommergono...era quello che volevi, giusto?...l'ha distrutto lei, quel ragazzo allegro e scapestrato che Spike e' sempre stato...l'ha distrutta lei, la sua voglia di vivere. Ha distrutto in lui tutto cio' che c'era da distruggere. Per il suo stupido egoismo. Se gli avesse chiesto di impalettarsi avrebbe fatto un favore sia a lui che a se' stessa. Si sarebbe risparmiata quella visione di sterminata sofferenza, dolore atroce. Se potesse cambiare, in quel momento, si riprenderebbe tutto il dolore. Tornerebbe indietro, a pensare su tutte le azioni sbagliate. Quante...vorrebbe solo sollevare tutto quel dolore. Prenderlo lei, come dovrebbe essere. Perche'...era quello che volevi, giusto? Era quello che TU volevi, giusto?...
<Tell me what happened...>
<Hey, hey, hey! No touching! Am I flesh? Am I flesh, to you?>
Carne, e ossa, e sangue. E...e anima...no. non e' solo carne. Ma aveva fatto di tutto per farglielo credere. Per convincerlo. Che era solo carne, per lei. Un giocattolo, un pupazzo di pezza. Che, ovviamente, non poteva risentirsi d'essere usato...sbagliato. E' tutto sbagliato! Vorrebbe avvicinarsi. Solo un po'. Ma quando s'avvicina...lui si ritrae di piu' contro la parete, e la guarda, impaurito, quasi terrorizzato, da lei.
<I can't...not with you looking...>
No, no, no...non doveva andare cosi'.
Doveva alzarsi, maledizione, guardarla negli occhi e prenderla in giro, e offenderla, e chiederle se voleva un altro round sul balconcino. E rinfacciarle con una sicurezza da togliere il fiato che lei l'amava, che ne era certo, che non poteva essere altrimenti! E avrebbe voluto sentirsi chiamare alle spalle, con quei nomignoli che sotto sotto la facevano sorridere. Avrebbe voluto uscire a fare la ronda, e ritrovarselo improvvisamente davanti, a fare la parodia del galantuomo, per prendere solo botte sul naso. E litigare, e fare pace. E rifugiarsi nel suo abbraccio quando, davvero, non ne poteva piu'. quando Xander ed Anya cominciavano a litigare, e lei aveva voglia di sparire. Quando Dawn cominciava a parlarle dei suoi sciocchi problemi. Quando Willow combinava un pasticcio. Quando Giles le diceva che le era solo d'intralcio e lei avrebbe voluto solo farlo star zitto, perche' non vedeva che le stava facendo male? E allora pensava a lui. !
 Inconsciamente. Senza volerlo. Pensava al tempo passato insieme, a quanto sembrasse tutto facile, con lui. Che aveva sempre il potere di sdrammatizzare tutto. E far sembrare il piu' critico dei problemi uno scherzetto. Dov'era finito Spike? Dove era finito, sotto quella massa di sofferenza e dolore?
<Can We Rest now, Buffy? Can we rest?>
Non credo ci sia riposo, per quelli come noi, Spike...Chiude gli occhi, Buffy. Non vuole piangere. Ripensando a quel crocefisso. Al petto di Spike premuto contro quella superficie per lui bollente. Alle volute di fumo bianco che s'erano alzate attorno a lui. Lui che avrebbe voluto solo cavarla via. bruciarla. Se necessario, bruciare insieme a lei. Insieme alla scintilla...al pezzo mancante...al pezzo che completa...E lei, Buffy, a guardarlo senza far niente, troppo scioccata anche solo per muoversi, per fermarlo. Voleva solo riposare, Spike...solo riposare...
<Can We rest now, Buffy? Can we rest?>

Una bacchetta d'incenso alla cannella brucia in un agolo della stanza di una diciottenne. Una sottile scia di fumo bianco si alza lentamente dal bastoncino, dal colore scuro e dall'odore penetrante, saturo di potere. Impregna ogni cosa, in quella piccola stanza. Le tende rosa pallido, alla finestra chiusa. I libri ed i quaderni scolastici posati senz'ordine sulla scrivania di legno ambrato. Ed il letto. Un ampio letto, coperto da un lungo piumone color porpora, bordato di fili dorati. In stile orientale, con qualche cuscino ai piedi. E, deuta sul letto, aspirando a pieni polmoni il profumo dolce e rilassante dell'incenso, una ragazza dai folti capelli bruni.
Rilassata.
Concentrata.
Decisa.
Tiene gli occhi chiusi, Dawn, cercando di tenere la mente sgombra, come le aveva insegnato Willow. Aveva appreso molto da lei, sulla concentrazione mistica, prima di compiere potenti incantesimi. Ma lei era la Chiave. Aveva potere. Molto potere. Piu' di quanto le servisse in quel momento. Quando doveva solo compiere un incantesimo sui desideri.
Voleva aiutare Spike.
Voleva dargli una seconda possibilita'.
Voleva che smettesse di soffrire.
Per colpa di Buffy. Stupida, stupida ragazza! Chiusa in se' stessa come un riccio. Convinta che amore fosse sinonimo di sofferenza. Senza capire che siamo noi a decidere. L'ultima parola spetta sempre a noi. Noi che decidiamo se amore e' sofferenza, noi che prendiamo atto che puo' anche non essere cosi', noi a voler amare di piu'.
Non c'e' altro rimedio all'amore che non sia amare di piu'...
Era un concetto cosi' semplice! E lei sapeva che Buffy ne era a conoscenza. E' che...era cosi' ostinata e cocciuta. E spaventata. Come un'adolescente. Come la donna che era stata costretta a diventare in fretta. Per poter sorreggere il peso della sua missione. Era spaventata. Da quello che avrebbe potuto provare. E continuare a mentirsi sapendo di mentire la faceva sentire meglio. Meno spaventata. Non dare un nome al sentimento che provava. Questo era meno spaventoso che affrontarlo. Meno spaventoso, meno rischioso che aprire nuovamente il suo cuore a qualcuno. Sapendo che potrebbe approfittarsene. Sapendo che quel qualcuno potrebbe rubarle un altro pezzetto di quel fragile, fragile cuore e sparire. Portarselo via. lasciarla li', sola, a pensare che sarebbe stato meglio chiuderlo a chiave, quel dannato cuore, piuttosto che soffrire cosi'.
Per Angel.
Per Parker.
Per Riley.
Maledetti codardi! Se Spike fosse arrivato prima...se quell'uragano si fosse abbattuto prima nella vita di Buffy, forse sarebbe stato tutto diverso. Non avrebbe trovato la donna tradita ed amareggiata dall'amore, col cuore chiuso a doppia mandata. Forse avrebbe trovato l'adolescente sognatrice e pronta a correre rischi che era stata un tempo. Prima che arrivassero quei ragazzi...e le spremessero qualche goccia d'amore dal cuore, per poi lanciarlo lontano, dove lei non poteva piu' prenderlo. Dove non voleva prenderlo. Dawn sapeva come si sentiva la sorella...l'aveva sentita piangere intere notti. Piangere quegli uomini che, se non fosse stata accecata dall'amore, avrebbe trovato patetici, irritanti ed insignificanti. No, non era vero amore, quello che piangeva sua sorella. Lei, l'amore, l'aveva solo sfiorato, ogni volta, per poi vederselo portar via, senza possibilita' d'afferrarlo. Perche' se ci fosse riuscita, se l'avesse afferrato veramente, quel gioiello brillante e terri!
 bile che e' l'amore, allora non si sarebbe arresa. E, anche quando gli fosse sfuggito di mano, l'avrebbe rincorso, per prenderlo di nuovo. Magari un amore diverso. Invece lei l'aveva a malapena sfiorato. E aveva deciso di non volerlo afferare. Perche' la spaventava. Lei, Buffy, che non batteva ciglio dinanzi a vampiri, demoni e licantropi, aveva una paura folle dell'amore. E delle sofferenze che comportava. Forse avrebbe potuto offrire una seconda opportunita' anche a Buffy. Era abbastanza potente per fare un doppio incantesimo. Per regalare un'altra chance a tutti e due. Ne avevano bisogno. Apri' gli occhi, senza sorprendersi del fatto che vedeva tutto sfocato, privo di contorni. Ondeggiava, senza nemmeno accorgersene. Davanti a lei, l'unica cosa che vedeva chiaramente. Come una realta' inconfutabile in un miraggio. Un libro. Aperto sulla pagina che recava un incantesimo. L'incantesimo che avrebbe regalato una seconda possibilita' a Buffy. E a Spike. Non sapeva esattamente!
  in cosa consisteva. Accanto a lei, un bacile colmo di acqua, !
 che le p
areva rifulgere di luce propria. Da li', avrebbe visto il suo incantesimo compiersi sui due ragazzi. Recito' lentamente la formula, lasciando che le parole sgorgassero dal profondo del suo animo, come una cantilena che sembrava conoscere a memoria. Si accorse di parlare galeico come se fosse stata la sua lingua madre. Ormai, il potere era in lei. Il potere ERA lei. Sapeva, senza guardarsi, che i suoi occhi erano neri, traboccanti di magia. La sentiva. La sentiva scorrere nelle sue vene. Come se fosse stata sangue. No. Nelle sue vene non pulsava piu' sangue. Solo magia. Il suo cuore era fatto di pura magia. Le sembrava quasi di riuscire a vedere la tela degli eventi naturali, quel bellissimo arazzo color arcobaleno, ritoccato dalle sue parole. Dal suo incantesimo. Eccole, le sue piccole, grandi correzioni. Cose da nulla, nell'uniformita' di quella tela. Il mondo attorno a lei non esisteva piu'. non era piu' accucciata su un letto, in una stanza, con le tende color rosa pallid!
 o e la porta di legno dipinta di bianco. Era su un piano del tutto differente, forse superiore, forse inferiore. Forse parallelo. In cui c'era solo lei. E il libro. E aria profumata d'incenso alla cannella. E magia. Pura. Palpabile. Potente. Come una nuvola al profumo di cannella. E non c'erano dubbi, non c'erano paure. Non c'era morte, ne' vita. Solo magia. Ne' veglia, ne' sonno. Solo potere. E lei vi fluttuava in mezzo, cullata dal suono della sua stessa voce. E la formula fini'. Ne fu quasi dispiaciuta, Dawn. Quasi le dispiacque dover tornare ancorata al mondo reale, materiale, razionale. Ma senti' il potere defluire lentamente da lei, lasciandola svuotata e stanca. Ma non sfinita. Non poteva sentirsi sfinita. Aveva ancora qualcosa da fare. quando fu certa di essere nuovamente nella sua stanza, con le tende rosa pallido, accucciata sul letto, apri' di botto gli occhi. E gli oggetti tornarono ad avere vaghe forme. Eppure, lei ancora non li vedeva. La sua attenzione si foc!
 alizzo' sul bacile d'acqua argentea. Vi sbricio' dentro, in at!
 tesa di
veder comparire su quella superficie liquida le immagini di Spike e Buffy. Non dovette aspettare che qualche misero secondo. E poi, mentre un potere piu' lieve e totalmente diverso da quello che l'aveva posseduta pochi istanti prima, vide l'acqua fremere, piccole onde increspare la superficie perfettamente liscia. E due figure immerse nel buio prendere vita. In attesa che l'incantesimo si avverasse. In attesa di avere un'altra chance. Per un attimo un dubbio baleno' nella mente ancora offuscata dal potere di Dawn. Si chiese se sapesse realmente quello che aveva fatto. Se l'incantesimo avrebbe avuto risvolti sgradevoli. Ma si rassicuro', alzando le spalle, dicendosi che permettere a quei due di avere una seconda possibilita' non doveva o poteva essere qualcosa di cattivo.

<The thing is...i had a speech...i learned it all...oh God! Buffy wan't urderstand...she wan't understand...>
Era ancora li', Spike.
Stretto contro la parete, tremando e gemendo, e artigliandosi i capelli con le unghie, fino a che non sentiva sangue caldo sporcargli le dita. Finche' non sentiva quella familiare fitta di dolore acuto alla testa. Era ancora li'. ed era ancora convinto che Buffy non avesse capito...o che non avesse voluto capire...non era per lo shock di rivederlo, e sapere che aveva di nuovo un'anima. Non era per lo spavento, per la sua pazzia (si', sapeva bene di apparire pazzo...) o per qualcos'altro. Non aveva niente a che fare con quel discorso che aveva dimenticato...lei non capiva. No, non capiva...oh, Dio...
<Of corse she wan't understand, Sparky...she's a girl...useless, you're baking...i'm more than that...more than flesh...>
Era ancora li', Buffy. Seduta su una sedia rimediata li' per li'. ferma. Zitta. Aveva rinunciato a cercare di farlo parlare. Aveva rinunciato a tentare di farsi guardare. Avrebbe voluto. Avrebbe voluto che la guardasse. Che la guardasse negli occhi. Perche' Buffy sapeva cosa stava pensando, a patto che riuscisse ancora a pensare. Stava pensando che lei non capiva. Che lo guardava con la pena negli occhi e niant'altro. Ma lei capiva. Ora, a mente lucida, capiva tutto. Il perche', il quando, il come. Lo sapeva, l'aveva gia' capito. E le faceva male pensare che lui credesse di essere solo. Lei non faceva parte del mobilio. Era li' per aiutarlo, se solo lui fosse riuscito a capire che ne aveva bisogno, di aiuto. Non amore, ne' ribrezzo, ne' rancore, ne' pieta'. Aveva solo bisogno di qualcuno che lo aiutasse. Che gli desse un posto nel mondo, di nuovo. Che lo facesse sentire di nuovo utile. Che gli dicesse che andava tutto bene, e asciugasse le sue lacrime, e lo prendesse prima d!
 i cadere. Qualcuno che gli facesse vedere come si fa. A vivere. E non era cosa facile, trovare qualcuno vivo, che sapesse davvero vivere e potesse insegnarlo.
La maggior parte delle persone non vive...esiste, e basta...
<...More than blood...i'm...you know, i onestly don't think there's a human world fabulous enough for me...that's all right, though...>
Esistere. Vivere. Gli sembravano le cose piu' difficili da fare. se avesse anche dovuto respirare, probabilmente sarebbe scoppiato. Se il suo cuore fosse stato vivo, ed avesse dovuto battere, sarebbe esploso, li', sotto il suo petto. Insieme alla scintilla. Dio, la sentiva dappertutto...quella cosa, quella cosa disgustosa, dal sapore del sangue. Era sotto la sua pelle, dentro le sue vene, dietro i suoi occhi...la scintilla. La mancante. Il pezzo che completa. E lui era completo. Nonostante sentisse il suo corpo spezzarsi come un fuscello, era completo. Aveva quello che voleva. Aveva la scintilla. O, per meglio dire, il tizzone ardente. E la sentiva dappertutto. Ed era una tortura. Qualcosa che non aveva mai sperimentato prima, e che avrebbe preferito non sperimentare. Se solo Angel glielo avesse detto, quel bastardo...aveva messo su un bello show per dimenticare. Si chiese come facesse, quel vampiro, a camminare, a parlare, soprattutto, a pensare...con quella cosa dentro. Ch!
 e bruciava, come se avesse ingoiato un crocefisso ed una boccetta d'acqua Santa. Come avere una spada che gira nella carne. E milioni di persone che intanto ti urlano che devi andare all'inferno. Ci sono. Mille volti. Sono anche nei suoi sogni, quando trova un attimo di pace per dormire. Sono tutti li', nei suoi sogni. All'inferno. E lo guardano e sorridono.
E gli sussurrano 'benvenuto, fratello...'.
<So, what'd you think? Your get your soul back, and everything'd be Jim Dandy? Soul slipperier than a greased weasel! Why do you think I sold mine?> 
Angel. Forse avrebbe dovuto chiamarlo. Forse lei avrebbe dovuto chiamarlo. O forse no. Tra lui e Spike non correva buon sangue, per dirla a modo loro...no. sarebbe venuto, se glielo avesse chiesto. Questo non era in discussione. Ma poi che avrebbe fatto? Come poteva insegnargli a convivere con quella cosa che lo stava divorando? Erano diversi in tutto. Forze di volonta', carattere...perfino il modo in cui avevano riavuto indietro l'anima. Una maledizione, Angel. Lui era stato costretto a conviverci, e pure era una convivenza sottile e non definitiva. Spike, un desiderio...gia'. quasi rabbrividiva, a pensarci. L'aveva voluta indietro di sua spontanea volonta'. Un dannato suicidio, il suo. No. Non avrebbe potuto imparare niente, da Angel. E si sarebbe sentito frustrato e stupido, a non riuscire ad affrontare la cosa da solo. Doveva avere pazienza, Buffy. Prima o poi Spike sarebbe tornato. Doveva tornare...per favore...
<...well, you probably thought that you'd be your own man, and i respect that, but...>
Per favore...datemi solo un attimo di tregua, vi scongiuro...vi prego...ecco, cosa succede, a voler essere il proprio vecchio qualcuno. Spike lo stava capendo poco a poco. Aveva voluto provare a tornare William, l'uomo che odiava con tutto se' stesso. E, beh, c'era riuscito. Nel senso che, effettivamente, si odiava. Con tutto il suo essere. Era come essere sdoppiati. William e Spike. Ed ognuno odiava a morte l'altro. E avevano deciso di battagliare nel suo petto, e nella sua testa c'era la maledetta tifoseria. Loro lottavano, il suo demone contro il suo uomo. E nessuno sembrava avere il sopravvento. E, intanto, c'erano terribili fitte che gli attraversavano il corpo. Quel bruciore che sentiva dappertutto. Il volto del suo demone che emergeva e gli contorceva i lineamenti, e lo faceva urlare dal dolore. Perche' ora l'odiava, il suo demone. Quella 'cosa', glielo faceva odiare. E se ne vergognava. E non riusciva piu' a capire, lui che era stato tanto sicuro, quale fosse il suo !
 vero volto, e quale solo una maschera. Lui che solo qualche mese prima avrebbe scommesso tutto quello che aveva. Che 'sapeva' che il suo volto umano non era nient'altro che una ridicola copertura, una maschera di pelle e sangue che nascondeva il suo demone, il suo unico vero volto. E adesso? Adesso non lo sapeva piu'. adesso non sapeva se era l'uomo, il suo vero viso, o il demone. Quello che sapeva e che Spike si vergognava del suo visetto angelico, il viso di William. E William odiava con tutto se' stesso quei lienamenti contorti del suo demone. Ed erano li', dentro di lui, a lottare. A combattere, li', dentro il suo petto...
<...you never will...you'll always be mine...you'll always be in the dark with me, singing our little song...you like our little song, don't you? You've always liked tham...>
Oh, Spike...non sapeva piu' che fare. si sentiva stupida ed inutile. Si sentiva cattiva. Sporca. Stavolta non perche' era stata con lui, ma perche' non c'era stata. Perche' non gli aveva mai dato quello che si meritava. E l'aveva sempre trattato come una pezza. Come una cosa. Lui era sempre stato li', per lei. L'aveva trattata come una principessa, a modo suo. E, in fondo, era proprio questo il problema. Quel 'a modo suo', era il vero problema. Perche' lui, fin dall'inizio, l'aveva amata. Ma come avrebbe amato una vampira, come avrebbe amato una demone. Rapportandosi a lei come avrebbe fatto con Drusilla. Era sempre stato cosi', fin dall'inizio. Quando le aveva offerto la vita di Drusilla come prova d'amore...e non aveva capito che quel genere di prova avrebbe potuto soddisfare la stessa Drusilla, o una regina nera qualunque. Ma non lei. Non un'umana. Con un cuore ed un'anima. Non era mai riuscito, veramente, a distinguere il bene dal male. Semplicemente, perche' non poteva !
 farlo. perche' era contro la sua natura! Lui era un demone, per quanto umano. Per lui il bene, l'amore, era offrire cadaveri alla sua regina, legarla al letto con le catene, regalarle stragi a regola d'arte. Non poteva sapere che per un'umana, il gioco era diverso. E lei non avrebbe dovuto biasimarlo, per questo...forse avrebbe semplicemente dovuto sedersi, e parlargli con calma, come non aveva mai fatto. E spiegarglielo, lentamente. Spiegargli come funzionava. Come si faceva, a distinguere cio' che e' bene, e cio' che e' male. Anche se, poi, in realta', nemmeno lei lo sapeva! Ma avrebbe dovuto provarci. Prima. prima che decidesse di capirlo da solo. Facendosi del male...tanto, troppo...si ritrovo' a pensare ad una sera di centoventiquattro anni prima. un vicolo di Londra...se solo non si fosse lasciato mordere...
<...from the beginning...and that's where we're going...right back to the beginning...not the Bang...not the word...the true beginning...>
All'inizio...oddio, lo ricordava come se fosse ieri. Ed una parte di se' lo considerava ancora il giorno piu' bello della sua vita...mentre un'altra parte, che sembrava crescere sempre piu', cominciava a vederlo come l'inizio della sua fine...ricordava tutto, di quel fatidico giorno. Era novembre. Il quattordici novembre del milleottocentottanta. Una sera stranamente calda, per quel periodo. Le parole di Cecily...la pugnalata che aveva avvertito, netta e forte, li', al suo cuore che batteva ancora, allora. Quasi istintivamente si mise una mano sul cuore, come a voler controllare se veramente non stava piu' battendo. E, infatti, non senti' nient'altro che perfetto silenzio. Allora non era stato cosi'. C'era un'orchestra. Nel suo petto. A suonare il suo requiem. Mentre correva per quei vicoli malfamati di Londra. E sbatteva contro Drusilla. Le sue parole...erano esattamente le parole che bramava sentirsi dire. E poi...sentirle pronunciare quelle parole...una sola parola, aveva!
  distorto il suo futuro...gli aveva detto che lui cercava qualcosa di rifulgente. Ed era cosi' semplicemente vero, che i muri che si era costruito attorno avevano ceduto, lasciando nudo il suo cuore. E le aveva permesso di portarlo nell'oscurita' con lei. Solo per quella parola, solo per quella insignificante frase. Se solo non si fosse fatto mordere.
E c'era silenzio, in quella cantina. Un silenzio perfetto ed irreale, un silenzio musicale che condividono entrambi. Un silenzio carico di tutte quelle cose che vorrebbero dirsi, se il dolore e l'orgoglio potessero sparire per un attimo. Un silenzio gonfio di significato, rotto all'improvviso da due voci. Due pensieri incredibilmente distanti, che, inaspettatamente, confluiscono in quell'unico pensiero che condividono entrambi.
"Se solo non ti fossi lasciato mordere...", ed e' il sussurro flebile di Buffy...
"Se solo non mi fossi lasciato mordere...", ed e' il lamento silenzioso di Spike...
E chiudono gli occhi nello stesso istante, senza accorgersene. Ed e' cosi' che non s'avvedono dello scantinato che pian piano si dissolve, davanti a loro. Cedendo il posto a qualcosa che prima non c'era. E non si parla solo del paesaggio...
<On the beginning...the true beginning...>
Spike. Si sente improvvisamente piu' leggero.
Sente la sua anima come qualcosa che non fa assolutamente piu' male. E' solo la scintilla, ora, non il tizzone che l'ha bruciato. E...oh, Signore, non ci sono piu' voci, ne' volti, ne' sapore di sangue tra i denti. C'e' solo lui. Con un anima, ma solo lui. Spike. E William. Che hanno trovato, forse, un punto d'incontro. Prova ad aprire gli occhi...
Buffy...c'e' un senso di pace, sospeso sulla sua testa. Qualcosa di assolutamente irreale, assolutamente nuovo. Mai provato, da quando e' la cacciatrice. Come se non ci fosse piu' il peso della missione, sulle sue spalle di giovane donna. Non c'e' pena, non c'e' paura. C'e' solo lei. Ed e' una sensazione meravigliosa...prova ad aprire gli occhi...
Ed e', quello che si offre alla loro vista, lo spettacolo piu' strano che abbiano mai visto. Li lascia a bocca aperta, a lottare per non svenire. Non sono piu' nello scantinato. Non sono piu' a Sunnydale, per la verita'. C'e' un elegante vicolo, davanti a loro. Una stradina stretta e serpeggiante, accanto a palazzi altrettanto eleganti. Uomini dagli impeccabili smoking neri e orologi da taschino e perfino ridicole tube sulla testa girano perfettamente a proprio agio, sottobraccio a splendide donne abbigliate con fluenti abiti multicolore, stile ottocentesco. Con gli ombrellini sottobraccio. Sembra mattina inoltrata, eppure nella cantina, ci avrebbero giurano, brillavano i raggi flebili della luna. Spike e Buffy si guardano, senza riuscire a parlare, la lingua divenuta pensante e troppo gonfia. Ancora un'occhiata. Sui bordi della strada si vedono negozi di sartoria, e droghieri e fornai...un mendicante se ne sta seduto sul marciapiede, mentre una carrozza (?) passata di li' g!
 li schizza addosso l'acqua di una pozzanghera...ma...quando ha piovuto? Buffy afferra Spike per un braccio...
"Dove diavolo siamo finiti, Spike??"
Lui getta un'occhiata al chiosco dei giornali. Un brivido lo scuote da capo a piedi...leggendo la data e il luogo. Guarda Buffy negli occhi. Un'espressione sbigottita gli si disegna sul volto, mentre le dice cio' che nemmeno lui crede possibile...
"Londra...il sette novembre milleottocentottanta..."

Capitolo II - Seven Days

Il bastoncino di incenso alla cannella brucia ancora, nella stanza di una diciottenne. Ci sono ancora le tende rosa pallido, ed il letto con il piumone color porpora. E' il potere, che manca, ora, in quella stanza. E' andato via, defluito in un istante dal suo corpo, quando Dawn aveva visto avverarsi il suo incantesimo...avverarsi nell'ultimo modo che avrebbe mai potuto avverarsi. L'aveva visto. Aveva visto Spike. Aveva visto Buffy. Li aveva visti soli, pieni di dolore e paura, nella cantina...e poi li aveva visti...li', a Londra. Nel milleottocentottanta. Il sette novembre milleottocentottanta. E aveva capito tutto. Beh, in effetti l'incantesimo era pienamente riuscito. Spike aveva la sua seconda possibilita'. E Buffy? Che ci faceva li', con lui? Avrebbe dovuto avere anche lei, la sua seconda opportunita'. Ma forse per la cacciatrice non c'erano seconde chance.
Oh, mio Dio...che ho combinato?
Sedeva immobile sul letto, davanti al catino d'acqua che ormai rifletteva soltanto la sua immagine. Una stanca e impaurita immagine, dagli occhi lucidi di lacrime. Non avrebbe dovuto funzionare cosi'...proprio no...oddio...aveva fatto un bel casino. Quando Buffy sarebbe tornata l'avrebbe uccisa, poco ma sicuro...diamine, ma tutte a lei, capitavano? Batte' un pugno sul letto, facendo tremolare la superficie liquida dell'acqua nel catino. Stava cercando in tutti i modi di visualizzare i due ragazzi, ma era troppo scossa per riuscire a concentrarsi. Avrebbe voluto piangere per la frustrazione...Buffy e Spike erano nell'ottocento, senza sapere perche' e in quale modo fossero finiti li'. E lei avrebbe voluto mettersi in contatto con loro, se solo quella miriade di pensieri avessero deciso di abbandonare la sua testa per cinque minuti. Si avvicino' tremante al catino, concentrandosi solo sull'acqua e sul suo desiderio. Senti' lentamente il potere tornare dentro di lei. Leggero, co!
 n passi felpati, camminarle nelle vene, entrarle nella testa, offuscarle con quel velo impalpabile gli occhi colmi di lacrime. Una goccia di quelle lacrime capricciose cadde nel bacile, formando mille cerchietti concentrici sulla superficie liscia dell'acqua. Dawn rimase ferma a guardare quelle spirali eleganti, come ipnotizzata. Pian piano, l'acqua si sfumo', e lei vide...
"Dawn! Ma cosa stai facendo?? Dawn!"
La ragazza si riscosse spaventata. Il potere spari' velocemente, lasciandola nauseata. Oltre la patina viscosa di lacrime, vide una figura avvolta nella nebbia venire verso di lei. Aveva i capelli di fuoco...Dawn si ritrasse inorridita, fino a che i suoi occhi non videro chiaramente e lei capi' che il mostro che le sembrava di aver visto non era altri che Willow. Willow che teneva le mani contro i fianchi, in un atteggiamento minaccioso, e la guardava con uno sguardo a meta' tra il rimprovero e la preoccupazione.
"Dawn...cosa stavi facendo?"
Dawn desidero' diventare piccola piccola e sparire, per non dover spiegare a Willow il pasticcio che aveva combinato.
"N-niente!"
Senza guardarla negli occhi, prese il catino e lo ripose sotto il letto. Tremando per il residuo di potere che circolava ancora dentro di lei, scese dal letto e spense il bastoncino d'incenso che ancora alitava il suo dolce profumo. Solo allora alzo' gli occhi su Willow, sorridendole imbarazzata, e si rese conto di essere una pessima bugiarda.
"Dawn..."
"Ok, ok, ok...io...non volevo fare niente di male, sul serio!"
Qualche lacrime scese a rigarle il volto. Willow la invito' a sedersi sul letto, un'espressione severa dipinta sul viso dai lineamenti dolci. Dawn si sedette, senza avere il coraggio di fissarla negli occhi. Comincio' a rigirarsi un accendino tra le mani.
"Su, raccontami cos'e' successo..."
"Io...beh, forse non ve ne siete accorti, ma c'ero anch'io al Magic Box, oggi pomeriggio..."
"Dawn"
Ok, ok, sto divagando...
"...e vi ho sentiti parlare di Spike, della sua...anima. di quanto stesse male...Will, lo sai che voglio bene a Spike. Lo sai, vero?"
Willow alzo' gli occhi al cielo per l'impazienza. Sospiro'.
"Si', lo so...e Dio solo sa se non dovresti volergliene di meno..."
"Non ti ci mettere anche tu, Will, ti prego! Comunque ho pensato che non era giusto...che non era giusto che Spike dovesse stare cosi' male per colpa di mia sorella..."
"Dawn, sai che non e' colpa di tua sorella! Buffy ha fatto qualche errore, d'accordo, ma Spike ha deciso di sua volonta' di fare cio' che ha fatto!"
Dawn incrocio' le braccia sul petto, mentre con una mano continuava a rigirarsi l'accendino.
"Qualche errore? Ha sbagliato tutto! Spike l'ha fatto per lei! Per Buffy! Come fate ad essere cosi' ciechi?"
Willow le lancio' un'occhiataccia, cominciando a divenire impaziente.
"D'accordo, non e' questo il punto. Stavo mettendo a posto alcuni libri, quando mi e' capitato questo, tra le mani..."
Le porse il vecchio libro di incantesimi. Willow lo prese dalle mani di Dawn, guardando perplessa la copertina nera e il titolo a lettere dorate.
"Dawn...che incantesimo hai fatto?"
La ragazza si ritrasse contro la spalliera del letto, trattenendo a stento le lacrime, tenendo sempre le braccia incrociate contro il petto.
"Hey, io non sapevo in che modo avrebbe funzionato, pensavo fosse qualcosa di assolutamente innocuo, che lo avrebbe fatto smettere di soffrire, pensavo fosse..."
"Dawn, che incantesimo hai fatto, per la miseria?!"
Dawn sospiro', aprendole il libro alla pagina dell'incantesimo che aveva incoscientemente fatto.
"Pensavo sarebbe stato innocuo..."
Ripete', come cercando di convincere se' stessa. Willow spostava nervosamente lo sguardo da Dawn al libro, chiedendosi se davvero volesse sapere che casino aveva combinato stavolta quella piccola peste. Decise che si', voleva saperlo. E dopo non avrebbe piu' risposto di se' stessa...
"Che e' successo?"
"Beh...diciamo che si e' avverato alla lettera...Spike ha...avuto la sua...ehm, seconda possibilita'..."
Willow scosse la ragazza per le spalle.
"Dawn, per favore parla chiaro! Non ho bisogno di un criptico oracolo, voglio una risposta chiara! Che vuol dire che si e' avverato alla lettera, dov'e' Spike?"
"...E Buffy, anche..."
"Dove sono, Dawn?"
La ragazza prese un profondo respiro, come se tentasse di aspirare coraggio. Un'altra piccola lacrima le scese sulla guancia.
"A Londra...una settimana prima che Spike venisse vampirizzato..."
A sorpresa, la strega non sembro' arrabbiarsi piu' di tanto. Sospiro' scocciata, guardandola severamente.
"C'e' un modo per mettersi in contatto con loro?"
Dawn, sorpresa dal tono calmo della ragazza, annui', senza parlare. Prese invece il bacile con l'acqua da sotto il letto e lo porse a Willow. Lei lo respinse con forza.
"Non io...tu..."
Dawn la guardo', boccheggiando per la sorpresa.
"Io? Ma non ne sono capace!"
Mentendo sapendo di mentire...e Willow lo sapeva...era stata una strega troppo a lungo, epr dimenticarselo...
"Sei la Chiave, Dawn...potere allo stato puro...puoi fare tutto. Sara' uno scherzetto, vedrai. E adesso avanti, al lavoro, piccola incosciente!"
Dawn poso' il catino accanto a lei. Si rilasso' e vi sbircio' dentro. Stavolta il desiderio era diverso...ed anche il potere che la pervase, togliendole per un attimo il respiro...e poi...non fu altro che accecante luce verde e potere allo stato puro...

"Londra...il sette novembre del milleottocentottanta..."
Buffy rimase a guardarlo, incerta se credergli o ridergli in faccia...anche se sembrava orribilmente serio. Milleottocentottanta...oh Dio santissimo...come siamo finiti nel milleottocentottanta? Lo fisso' ancora per qualche seconda, a bocca aperta, lottando per respirare. Se la situazione non fosse stata tanto drammatica, probabilmente Spike sarebbe scoppiato a ridere, guardandola. Ma in quel momento non aveva nessuna voglia di mettersi a scherzare. Era serio, come Buffy non l'aveva mai visto. O quasi mai, almeno...
"Cosa? Come? Perche'?"
Lui la fisso', cercando di sorridere sarcasticamente.
"Tre ottime domande, cacciatrice...mi sembri Xander!"
Buffy alzo' gli occhi al cielo...perfetto, Spike era miracolosamente tornato quello di sempre e la stava prendendo in giro come sempre...e come sempre, ne era irrazionalmente piacevolmente infastidita.
"Avro' il diritto di essere un tantino sorpresa! Tu non sei sorpreso? Per te e' normale trovarsi centoventi anni indietro? Eh?"
Fu la volta di Spike di alzare gli occhi al cielo, nel sentire l'irritante perplessita' di Buffy. Fu la volta di Spike, sentirsi piacevolmente infastidito.
"Certo che sono preoccupato, passerotto! Ma non mi faccio venire le crisi isteriche!"
Spike prese a camminare per il vicolo ombreggiato nel quale si trovavano. Buffy gli corse dietro, offesa.
"Io non mi faccio venire le crisi isteriche!"
Spike si giro' verso di lei, fermandosi di botto, un'espressione serissima in volto. Le si avvicino', e Buffy penso' per un attimo che stesse per baciarla. Pensandoci, non riusci' a capire se quello che provava era rabbia e disgusto o desiderio e...beh, una sorta di amore. Ma Spike si fermo' a pochi centimetri da lei, sogghignando divertito. Non c'era cattiveria, nella sua voce...solo un sottile divertimento nel vederla arrabbiarsi.
"Non fare quella faccia, tesoro...ti verranno le rughe..."
Non le lascio' il tempo di ribattere. Si giro' e continuo' a camminare nell'ombra, lanciandole solo brevi occhiate colme di divertimento. E Buffy non pote' fare a meno di sorridere. Si sentiva cosi' leggera...come se fosse solo una semplice ragazza di ventidue anni, e non la cacciatrice...e come se Spike fosse tornato ad essere il ragazzo scapestrato di un tempo...con quel pizzico di umanita' e amore in piu', che non si poteva non notare. Sorrise, un sorriso spontaneo e divertito. Dimentico' per un attimo tutte le sue preoccupazioni. E non ci fu nessun altro se non lei, e un sorriso di dolce rimprovero, nei confronti di quello che non sembrava altro che un ragazzo. Un ragazzo che la guardava con il divertimento negli occhi. Che non soffriva piu' per la scintilla. Che sembrava non preoccuparsi affatto della possibilita' di essere tornati indietro nel tempo.
Si guardo' intorno, Buffy, accorgendosi solo in quel momento delle occhiate curiose che le rivolgevano i passanti. I bisbigli che si scambiavano le donne nel vedere quella ragazza in maglietta e jeans. Quando allora il jeans non doveva nemmeno esistere. Beh, era riuscita ad anticipare quella moda di almeno settant'anni...Cordelia sarebbe crepata d'invidia, vedendola. Noto' anche come gli uomini guardavano Spike, avvolto nel suo immancabile spolverino nero di pelle. Dovevano travarli entrambi quantomeno curiosi. Buffy prese Spike sottobraccio, trascinandolo verso una sartoria poco distante.
"Direi che se dobbiamo scoprire cosa ci e' successo, ci converrebbe passare un po' piu' inosservati..."
Spike annui', togliendosi la soddisfazione di ringhiare per un attimo contro un uomo che lo guardava scandalizzato. Gli parve di essere rinato...avvertiva ancora la presenza della scintilla, ma sembrava cosi' leggera, cosi'...ma si', cosi' piacevole. Non c'era piu' sangue dietro i suoi occhi. Gli sembrava di non aver mai ucciso nessuno. Forse William e Spike avevano trovato un punto d'incontro. Forse avevano stipulato una tregua. Qualunque fosse la ragione della sua momentanea pacificazione, spero' durasse in eterno. Guardo' Buffy, accanto a lui. Col suo faccino preoccupato ed i capelli mossi dal freddo vento inglese. Era come se non la vedesse da giorni. Come se non la vedesse da mesi. E vederla li', accanto a lui, con i suoi occhi verdi, e i capelli biondi, e quel corpicino minuto...gli provoco' una fitta alla bocca dello stomaco. Eh, si', era cotto, non c'era niente da fare...innamorato come un ragazzino, lui. A centoventi e rotti anni...innamorato come un ragazzino. Arri!
 varono ad una sartoria. Buffy stava per entrare, quando sembro' attraversata da un dubbio atroce.
"Come paghiamo?"
Il vampiro infilo' una mano nella tasca, pur sapendo che vi avrebbe trovato solo i suoi vecchi dollari. E non pensava che in Inghilterra glieli avrebbero cambiati. Afferro' comunque una manciata di monete e le tiro' fuori. Un sospiro stupito passo' tra i due. Al posto dei dollari, c'erano diverse sterline, sul palmo della mano bianca del vampiro. Spike ricordo' fossero proprio quelle dei suoi tempi. Sorridendo stupito ne porse un po' a Buffy.
"Dovrebbero bastare. Ti aspetto qui fuori, va' prima tu..."
La ragazza annui' ed entro' nella sartoria. Spike rimase fuori, contemplando la sua vecchia Londra. La preoccupazione che aveva tenuto a bada fino ad allora si impresse sui suoi lineamenti affilati. Si chiese ancora una volta cosa ci facesse a Londra, esattamente un settimana prima della sua morte. Sette giorni...perche'? Perche' fargli rivivere quei momenti? Non aveva nessun bisogno di rivedere l'inizio della sua fine. Non voleva, maledizione! Cerco' a tastoni nello spolverino un pacchetto di sigarette. Non lo trovo'. Certo, erano mesi che non fumava...con un sospiro, torno' a guardare il cielo terso di quella bella mattina londinese. Qualche sottile nuvola bianca passeggiava per quell'immensa strada azzurra. Ci doveva essere un bel sole, dietro quei palazzi enormi che gli impedivano la vista. Guardo' lungo il vicolo. Non c'era nessuno. La stradina stretta era completamente deserta. Soffiava un leggero vento da nord. Spike si strinse nel suo spolverino, attanagliato da una !
 fitta irrazionale di malinconia. Perche'? Non gli mancava affatto la sua vecchia vita! Non gli mancava affatto William! Tuttavia non pote' impedire ad una parte di se' di ricordare i bei giorni trascorsi con sua madre a passeggiare per quelle stesse stradine sterrate, comprando dolcetti e parlando di cacce alla volpe e balli in maschera. E delle sue terribili poesie che sua madre adorava. Sua madre...lei si', gli mancava. Chiuse gli occhi, sospirando malinconico. Quando li riapri', qualcosa di informe, dall'accecante luce verde, brillava davanti a lui. Scatto' all'indietro, mentre una voce familiare usciva sussurrando da quell'informe massa luccicante color smeraldo.
"Ciao Spike..."
Il vampiro strinse gli occhi, sorpreso fino all'inverosimile. Balbetto'.
"D-D-Dawn? Sei tu, Briciola?"
La 'cosa' verde scintillo', mentre una vocina dal tono colpevole fuoriusciva frusciando da essa.
"Si', sono io...credo di dovervi una spiegazione...dov'e' Buffy?"
Spike osservo' ancora per qualche istante quell'accecante luce verdastra. La Chiave...eh brava Briciola...
"E'...nel negozio...Dawn, per caso...e' colpa tua se noi siamo finiti proprio qui, proprio ora??"
La massa verde sembro' contrarsi. A Spike ricordo' un chinare di testa...
"Beh, si'...io...ho saputo della tua anima...e cosi' ho pensato che non era giusto che tu soffrissi in questo modo e...ho fatto un piccolo incantesimo."
"Tu cosa?"
Di nuovo, la massa verde sembro' contrarsi. E stavolta indietreggio', anche.
"Oh, si'...insomma...volevo solo aiutarti, non sapevo cosa sarebbe successo...comunque ha funzionato...anche troppo bene, direi. In definitiva, Spike...hai una seconda possibilita'..."
Il vampiro ci mise solo un attimo a capire. Questo non gli impedi' di formulare la sua domanda. Avrebbe solo voluto sentirsi dire che non aveva capito niente. Per favore...
"In che senso, Dawn? Non...non e' quello che sto pensando, vero?"
Stavolta, la Chiave non si mosse.
"Credo sia esattamente quello, Spike. Puoi cambiare il tuo passato. Puoi farlo, sul serio. Tra una settimana Drusilla ti uccidera'. Beh, uccidera' William. Che tecnicamente non sei tu...insomma! siete due entita' diverse! Comunque sia, tra una settimana Drusilla lo uccidera'...puoi impedirglielo. E far si' che William continui a vivere la sua vita. Puoi ricominciare da capo, Spike."
Spike resto' a bocca aperta per qualcosa che gli sembro' un'eternita'.
"E Buffy? Se io continuero' a vivere come William...io, io come Spike...scompariro', e lei non mi conoscera' mai, vero?"
"Si'. Dovreste parlarne."
Spike ci mise solo un attimo, per riprendersi. Gli sembrava che la scintilla avesse ricominciato a bruciare. A proposito...
"Perche' non brucia piu'...perche' non fa piu' male?"
La massa verde non si mosse.
"Perche' tecnicamente tu non esisti...non in questo mondo, non in questo tempo...percio' non esiste nemmeno il tuo dolore...beh...hai una settimana per decidere...auguri, Spike..."
La luce verde scomparve piano, lasciando Spike solo e sconvolto...non poteva essere vero...non potevano chiedergli questo! Come poteva scegliere tra la sua vita e il suo amore? Vivere avrebbe significato non conoscere mai Buffy...ma anche regalarle una vita normale. Si', lo sapeva Spike. Se non avesse ucciso quelle cacciatrici in quel preciso attimo, Buffy non si sarebbe attivata. Era una specie di attivazione al secondo. Se fossero state uccise in un altro momento, Buffy sarebbe rimasta nient'altro che una 'potenziale' cacciatrice. Ed avrebbe avuto la sua tanto agognata vita normale. Bene. Aveva sette giorni per decidere...sette giorni, per cambiare il suo destino o lasciarlo immutato. Sette giorni...avrebbe dovuto parlarne con Buffy...avrebbe dovuto...
In quel momento, mentre lui era perso nel suo rimuginare, Buffy usci' gongolando dal negozio. Spike rimase a bocca aperta. Aveva uno splendido vestito bianco sfumato d'azzurro. Il corpetto stretto, del bianco piu' puro e candido che avesse mai visto, che lasciava scoperte le spalle, accarezzate da un leggero scialle celeste. E la gonna ampia, sfumata di ogni sfumatura d'azzurro, che sfiorava appena la strada. I capelli biondi sciolti che le ricadevano moribidi sulle spalle e giocavano maliziosi con il vento, intrecciandosi in una maliziosa danza. Era...bellissima. In un secondo, tutti i suoi propositi andarono in fumo.
"Sei...sei bellissima, Buffy..."
 Buffy ando' verso di lui, sorridendo. Notando compiaciuta che l'aveva chiamata per nome. Quando fu abbastanza vicina, noto' la preoccupazione sul suo volto, leggermente inclinato verso destra, nascosta solo in parte dalla tenerezza che gli illuminava gli occhi.
"Cosa c'e', Spike?"
Avanti, facciamo questa cosa...
"Ho visto Dawn..."

Al lato opposto della citta' c'era una vecchia casa disabitata. Una casa cadente e cupa. Alta dieci volte un uomo, coperta da un vecchio intonaco color ardesia, che si stacca a pezzi enormi dal muro di cemento vecchio. Tutto sembra vecchio, in quella casa. Il portone di legno e metallo. Le scale di cemento nudo senza corrimano. Le stanze impolverate, dai pavimenti piastrellati. Le porte in finto legno sradicate dai cardini. Le finestre con le tende strappate e consunte. I letti sfatti. Perfino le tre persone che ci abitano, sono vecchie. Una ha piu' di cento anni, nascosti dall'aspetto giovane che non cambiera' mai. E' un uomo. Se ne sta tutto il giorno seduto su una vecchia e scricchiolante sedia a dondolo, rimuginando. O facendo finta di rimuginare. Ha i capelli neri, lunghi alla spalla, pettinati con cura meticolosa. Gli occhi sembrano esondare pura cattiveria. Neri e magnetici. Li ha sempre aperti. Sembra non dorma mai. Sempre vigile ed attento. Con i sensi affinati dagl!
 i anni. Il viso quadrato e spigoloso, solo all'apparenza gentile. Le labbra sottili, perennemente tirate in un crudele sogghigno. Il corpo atletico di un ragazzo giovane. Eppure ha cento e rotti anni. In teoria, dovrebbe cadere a pezzi, come la casa in cui abita. Invece e' fresco come un giovane ventenne. Elegante e curato come un ricco borghese. Rilassato. Crudele. Niente a che fare col nome che ha scelto...Angelus. lui e' Angelus. Ed e' raro non sentir parlare di lui...lui che se sta nell'ombra.
Che guarda.
Osserva.
Memorizza.
Attacca.
E' furbo. E lo sa. E' bello. E lo sa. E' crudele. E come potrebbe non saperlo? E' un assassino. E ne e' orgoglioso. Niente e' gratificante come un omicidio ben organizzato. Un omicidio stuidiato sin nei minimi particolari. Un assassinio di qualita'. Portato avanti con fredda classe. Senza classe sarebbe solo un animale. Senza classe forse sarebbe come le due donne che si porta sempre dietro. Il suo sire. Darla. Bionda, dai penetranti occhi azzurri. Come laghi ghiacciati. No. Forse lei un po' di classe ce l'ha. Per quanta classe puo' avere una puttana, ovvio...e poi c'e' il suo miglior capolavoro. L'omicidio piu' efferato e perfetto che sia mai riuscito a portare a termine. La sua childe preferita. Drusilla. Che aveva quegli occhi...non avrebbe mai capito di che colore fossero, quegli occhi...forse erano azzurri...o forse verdi...ma, di qualunque colore fossero, mandavano certi lampi violetti che li rendevano unici. Unici quanto lei. La sua piccola Drusilla. Il suo capolavoro!
 . L'apoteosi della sua crudelta'...Drusilla. La veggente. La pazza. La palla al piede, a volte. Divertente. Averla accanto gli ricordava che razza di uomo era. Che razza di vampiro era. E che cosa era capace di fare. e questo lo rendeva orgoglioso, quasi quanto era orgogliosa Darla di lui. Era riuscita a trasformare un alcolista puttaniere in un assassino della peggior specie. Un omicida di classe. Non un vampiro qualunque. Angelus sapeva quanto Darla era orgogliosa di lui. Glielo dimostrava spesso. Anche Drusilla era orgogliosa del suo sire...chiunque lo sarebbe stato. Essere la figlia della crudelta'. Non di Angelus...era figlia della crudelta', dell'effimeratezza, della cattiveria.
Angelus sposta gli occhi sul letto sfatto, nel quale si rigirano maliziosamente Darla e Drusilla, chiocciando e gemendo. Oh, sapevano essere cosi' irritanti, a volte!
"Darla! Finiscila!"
Era stato un ringhio. Involontario forse. Ma Darla l'aveva sentito. Era sempre stata eccitata dalla violenza del suo childe. Le piacevano i suoi ringhi. La eccitavano. Piu' delle moine senza senso di Drusilla. La allontano' da se', ridendo e mostrando i denti, in un ringhio piu' basso e sensuale di quello di Angelus...ben sapendo l'effetto che avrebbe avuto sul vampiro...
"Perche' non vieni a fermarmi, Angelus? Ho qualcosa anche per te..."
Il vampiro sogghigno', ascoltando i ringhi eccitati della sua compagna che si contorceva fra le lenzuola lacere e lo guardava con due occhi infuocati. Getto' uno sguardo a Drusilla, che se ne stava in un angolo, osservando l'altra. Angelus le si rivolse, paternamente.
"Dru, va' a giocare con il pranzo, di la'...papa' ha molto da fare..."
Drusilla batte' entusiasta le mani e si alzo' sorridente dal letto, correndo nell'altra stanza, a giocare con 'il pranzo'. Un ragazzo di circa vent'anni, cinereo in volto, incatenato al muro. Si muoveva ancora, sebbene debolmente. Drusilla avvicino' il suo orecchio al petto del ragazzo. Dentro, qualcosa batteva lentamente.
"Oh...c'e' qualcosa che sbatte, qui dentro...fa male...canta...qualcosa dentro canta..."
La vampira struscio' piu' volte contro il ragazzo, graffiandogli il petto con le unghie, eccitata. Affondo' i canini nella carne tenera, strappandogli l'ennesimo inutile gemito. Drusilla si stacco' dal petto del pranzo, mentre un rivolo di sangue le colava sul mento. Risali' con i denti il collo di lui, finche' non senti' quella cosa, dentro, smettere di cantare...solo allora si stacco', guardando il cadavere pallido del ragazzo quasi con dispiacere.
"Non canta piu'..."
Nell'altra stanza, Angelus e Darla passavano il tempo in maniera ben diversa...e, dal loro punto di vista, molto piu' piacevole...

"Dawn? Dove? Come puo' essere qui, Dawn?"
Gli occhi verdi di Buffy dardeggiarono per il vicolo, cercando di trovare Dawn. Dawn che Spike aveva appena detto di aver visto.
"Non Dawn...mi sono spiegato male...ho visto la Chiave."
Buffy lo guardo' perplessa. Spike sospiro'. Si', avrebbe dovuto dirglielo, c'era in gioco anche la sua vita, il suo futuro. Solo che lui...lui era sempre stato un idiota egoista...e, per la miseria, non voleva perderla. Neanche per cento anni di vita da umano. Non voleva...
"Ha fatto un piccolo pasticcio...per..."
Si blocco'. Era come se non avesse aria nei polmoni. Ma cio' era a dir poco impossibile. Avanti, diglielo! Diglielo, maledetto idiota! Ma era inutile. Le parole ce le aveva tutte. Semplicemente, erano bloccate dentro la sua gola. E non sembravano intenzionate a risalire. Buffy gli strinse con forza un braccio, impaziente.
"Per...? Che pasticcio ha combinato, stavolta, mia sorella?"
Era facile. Bastava dire la prima parola, poi tutto sarebbe stato semplice. Le avrebbe detto tutto, sinceramente. Ne avrebbero parlato. Ne avrebbero discusso. E avrebbero preso insieme la decisione migliore...e se lei avesse deciso di avere la sua vita normale? Se gli avesse detto di vivere? Cosa avrebbe fatto, lui? Era davvero pronto a correre questo rischio? Aveva una confusione in testa...non sapeva nemmeno cosa voleva lui, Spike. E poi, in uno sprizzo di lucidita', o forse di pazzia, le parole vennero fuori, tutte d'un fiato.
"Niente di grave, voleva che noi due parlassimo, che ci chiarissimo...e...ci ha 'regalato' questo viaggetto indietro di centoventi anni...tutto qui, sai come sono, queste ragazzine...tutto qui..."
avrebbe voluto impalettarsi, in quel preciso istante, con lo sguardo scocciato di Buffy fisso su di lui e la sua coscienza che gli ripeteva sussurrando all'orecchio che era un dannato codardo...per la verita', non sapeva se a sussurrarlo fosse la sua anima, o il suo demone...quello che sapeva era che Buffy lo stava guardando, visibilmente irritata.
"Noi non abbiamo niente da chiarire, Spike..."
Lui prese a fissarsi le punte delle scarpe...maledicendosi per quel gesto che gli riportava alla mente l'idiota di Angelus...allora facciamo tutti questa fine?
"E' quello che ho detto anch'io, zuccherino...ma lei continuava a dire che c'era qualcosa...comunque e' stata originale, bisogna ammetterlo...alle coppie ogni tanto regalano viaggi alle Bahamas...a noi invece c'hanno regalato un soggiorno nella Londra dell'ottocento..."
Coppia? Dio, ma come gli era saltato in mente di dirlo?? Lo sguardo di Buffy era considerevolmente mutato, quando aveva detto quelle due sillabe...era diventato...divertito. Sarcastico. Uno sguardo che sembrava dire...
"Spike, noi non siamo una coppia..."
Ecco, esattamente questo...pero', una cosa era leggerglielo negli occhi, un'altra sentirselo dire. Era tardi per correre ai ripari?
"Certo che no! Credi stia ancora sognando una cripta per due con la staccionata? Andiamo, ho smesso di pensarci da un pezzo..."
Lei lo guardo', dritto negli occhi. Come se volesse scrutargli dentro. Come se volesse capire veramente se stesse dicendo la verita'. No. Stava mentendo. Spudoratamente. E si ritrovo' a pensare di non essere male, come bugiardo. Forse perfino lei avrebbe potuto credergli...anche se lui non voleva che gli credesse...
"Bene..."
"Per la verita' non avevo mai pensato alla siepe...terribilmente pericolosa..."
Buffy lo guardo'. Poteva sembrare quasi serio, Spike, se non si notava l'incredibile sforzo che faceva per non scoppiare a ridere. Sorrise, Buffy. Annuendo. E Spike ricambio' quel timido sorriso. Abbassarono gli occhi, sorridendo, senza sapere bene che dire o che fare. Spike tiro' fuori entrambi dall'imbarazzo.
"Beh...visto che tanto dobbiamo restare qui per una settimana...ci conviene trovare un posto dove dormire. Se non ricordo male doveva esserci una specie di bettola, qui vicino..."
Buffy lo squadro', scandalizzata.
"Una bettola??"
"Preferisci dormire sotto un ponte, cacciatrice?"
Spike comincio' a camminare, allargando le braccia con fare esasperato. Era esasperato. Quella ragazza non aveva un minimo di senso d'adattamento! La senti' seguirlo, sbattendo i tacchi nuovi contro l'asfalto della stradina. Sembrava volesse bucarla, la strada, dalla violenza con cui metteva i piedi in terra. Spike le si rivolse, senza girarsi. Non voleva che vedesse il sorrisetto che gli increspava le labbra pallide.
"Non sbattere i piedi in questo modo, datti un contegno...anche perche' se ti si rompe un tacco, io in braccio non ti porto..."
Senti' un battere di tacchi ancora piu' frenetico, e, due secondi dopo, Buffy camminava speditamente accanto a lui, guardandolo come se quella esasperata fosse lei.
"Queste battutine idiote potresti anche risparmiartele, Spike..."
Lui si giro' verso di lei, sorridendo sornione.
"Oh, no...mi piace troppo farti arrabbiare, passerotto!"
E Buffy non pote' fare a meno che un sorriso le si affacciasse spontaneo sulle labbra. Spike, lo Spike che conosceva, era finalmente tornato...

Una bettola...no! Era una specie di stalla, al cui confronto una bettola sarebbe stata un albergo a cinque stelle! Una bettola sarebbe stato il paradiso. Invece erano li', alla 'reception' di quella specie di casino in disuso. Buffy getto' una curiosa e disgustata occhiata al complesso. Orrore. Intonaco vecchio e cadente, di un orripilante color ocra spento. Dal soffitto a cassettoni cadeva una sottile polverina bianca, come se avesse voluto crollare da un momento all'altro. Ragnatele erano disseminate un po' ovunque, con i loro delicati filamenti bianchi e le mosche ancora intrappolate al loro interno. Qualche ragno faceva acrobazie appeso ad un sottilissimo filo bianco. Il bancone di legno tarmato era sporco di caffe' ed impolverato, colmo fino a scoppiare di fogli, bigliettini, registri e qualcosa che assomigliava ad un telegrafo. Appesi alle pareti c'erano quadri di terza classe, raffiguranti marinai dai volti rugosi che trascinavano a riva enormi tele di pesci, una raff!
 igurazione alquanto approssimativa di una venere, un pessimo ritratto del padrone di casa. Un divanetto rivestito di consunta e unta stoffa a righe se ne stava in un angolo, in attesa che qualche pazzo o qualche coraggioso vi si sedesse sopra. A Buffy veniva da vomitare. Nell'aria c'era un nauseabondo odore di pesce e caffe'. Spike sembrava non farci caso. Certo, lui non respira! Segui' riluttante il vampiro fino al bancone, rifiutandosi di appoggiare anche solo le mani su quella superficie sporchissima. Spike alzo' gli occhi al cielo, e batte' con forza sul campanello posato in un angolo del bancone. Un uomo grasso, dall'aria simpatica, venne fuori da una piccola stanza situata oltre il bancone. Sorrise gentile a Buffy, imitando un pessimo inchino, e saluto' Spike con un educato cenno della testa.
"Posso esservi d'aiuto?"
Spike e Buffy si guardarono per un istante. La ragazza sospiro' rassegnata. E Spike torno' a rivolgersi al proprietario.
"Si'...vorremmo fittare due stanze...per una settimana."
L'uomo grasso sorrise e controllo' in un enorme registro qualcosa. Soddisfatto, torno' a rivolgersi al vampiro, senza far troppo caso all'abbigliamento stravagante ed i capelli tinti di quell'assurdo biondo.
"Ser, abbiamo due stanze apposta per voi e questa bellissima lady...sono in offerta, un vero affare! Cinquanta sterline e sono vostre..."
Spike tiro' fuori dalla tasca un'altra manciata di spiccioli, piu' qualche banconota stropicciata. Aveva come l'impressione che non sarebbero bastati. Anche Buffy aveva un'espressione perplessa sul viso. Il ragazzo porse i soldi all'uomo. Questi li conto' velocemente, scuotendo la testa.
"Mi dispiace, ma queste sono solo venticinque sterline...posso darvi una sola stanza..."
Buffy scatto'.
"No! No, no, no! No. Non se ne parla! Spike, guarda meglio, dev'esserci ancora qualche spicciolo, non potevi avere solo venticinque maledettissime sterline! Controlla meglio!"
Spike l'afferro' per un braccio, trascinandola lontano dal bancone e dall'espressione divertita del 'receptionist'.
"Scusi un attimo..."
Una volta fuori portata d'orecchio, lascio' andare la ragazza bionda, che ruggi' indignata, quasi le avessero chiesto di dividere la stanza con un ragno gigante...
"Spike, non se ne parla! Andiamo da un'altra parte!"
Spike la afferr' per le spalle, gentilmente ma decisamente.
"Con venticinque sterline e' il massimo che possiamo permetterci!"
Lei si libero' dalla sua presa con uno strattone. Si chiese perche' stesse facendo tante storie...forse perche' era terribilmente tentata di prendere quella stanza, una sola in due, e questo la faceva andare in bestia. Spike allargo' le braccia, alzando gli occhi al cielo, visibilmente arrabbiato.
"Preferisci dormire sotto i ponti?"
"Vorrebbe dire dormire insieme! Prendere quella stanza, vorrebbe dire dividere un unico letto!"
"Non sarebbe la prima volta..."
Spike sorrise maliziosamente, schioccando la lingua in quel modo terribilmente sexy che le faceva venire i brividi. Stava per dire qualcos'altro, Spike, quando lei alzo' la mano, facendogli cenno di stare zitto.
"D'accordo, d'accordo! Hai vinto..."
Lui sorrise trionfalmente, e si avvio' verso la reception. Prima che uscisse dalla sua portata, Buffy gli afferro' il braccio.
"...ma se ci provi...se solo ci provi...allora non dovrai piu' preoccuparti della scintilla, perche' ti faro' molto, molto piu' male..."
Lui sorrise di nuovo, di nuovo quel sorrisetto di chi la sa lunga. E le si avvicino', fino a sfiorarle l'orecchio con le labbra. Rabbrividi', aspirando quel profumo, quel profumo che aveva solo lei.
"E' una promessa?"
Senza lasciarle il tempo di ribattere, torno' dal proprietario, lanciandole una breve occhiata dal bancone. E Buffy rispose con smorfietta di disgusto. Ma Spike, in quegli occhi verdi, leggeva un sottile divertimento. Che magari nemmeno lei sapeva di provare. L'uomo dietro il bancone sorrise, afferrando le monete e le banconote sparse sulla superficie legnosa. Si volto', dicendo che andava a prendere il paio di chiavi della stanza. Buffy guardo' fuori, nel vicolo ormai invaso da tiepidi raggi di sole, dalla consistenza di un sogno. Sembravano cosi' vicini da poterli toccare. Spike la guardava, appoggiato al bancone, sognante. E poi, lanciando un'occhiata fugace fuori dalla porta, nel vicolo che guardava anche Buffy, la sua espressione muto', trasformandosi. Rimase a bocca aperta, fissando qualcuno, qualcuno che aveva sperato di non rivedere piu'. qualcuno che camminava per quel vicolo, accarezzato dai raggi del sole. Qualcuno che anche Buffy aveva notato. Buffy che lo fissav!
 a, questo qualcuno, con muta sorpresa, sgranando gli occhi...oh, Santo Cielo...

Capitolo III - Unforgivable Sinners

Decisamente era una bella mattina per passeggiare. A novembre, in Inghilterra e, soprattutto, a Londra, era assai difficile che le giornate potessero essere cosi' serene, con una piacevole brezza da nord a rinfrescare l'aria appesantita dall'umidita' post-pioggia. C'era un sole bellissimo, che splendeva alto nel cielo azzurro intenso. Una luce abbacinante, senza nuvole a velarla. Tipidi raggi fendevano l'aria, creando ipnotiche spirali di luce dorata. Accarezzando lievi le case, le piante grondanti di fresca rugiada. Ed i passanti. Ce n'erano davvero tanti, considerato l'orario. Erano appena le sette e venti del mattino, e le stradine serpeggianti di Londra erano gia' percorse da centinaia di piedi. Vecchi borgesi con l'orologio da tascino che produceva quel fastidioso ticchettio udibile a metri di distanza. Giovani donne con gli ombrellini spiegati anche nel sole, per riparare le loro pelli delicate dall'impietosa luce dorata. E ancora mendichi appostati ai crocicchi, con i!
  loro laceri cappelli posati sui marciapiedi e le mani protese ad accogliere le poche offerte. Bambini che si rincorrevano nei vicoli, cadendo nelle pozzanghere non ancora asciugate dal sole. Massaie che s'avviavano di buon ora dal fornaio, per la prima forma di pane della giornata. Qualche vecchio ubriaco che tornava barcollando al buco dove viveva. E un giovane, un giovane borghese di buona famiglia, che passeggiava a braccetto con una vecchia signora, che doveva essere sua madre, e, accanto al ridente duo, una ragazza riccamente vestita. Anche troppo, per essere solo una passeggiata di piacere. Aveva una lunga veste di broccato rosso, orlata di pizzi bianchi sulle maniche e sul petto. Una collana di perle le brillava in gola e orecchini d'argento alle orecchie. Portava i capelli raccolti in una elegante crocchia, lasciando ricadere sul viso solo poche ciocche ricciute e nere. Non era molto truccata. Gli occhi enormi, azzurri, brillavano orgogliosamente, risaltando col lo!
 ro colore scuro la bianca purezza del suo incarnato. Aveva lab!
 bra rose
e, increspate in un sorriso piu' o meno falso, volto al ragazzo che la guardava incantato. Si chiamava Cecily, la ragazza. Un nome che William Appleton aveva imparato sin dalla prima volta che l'aveva sentito, ripetendoselo mentalmente tutto il giorno, tutti i giorni. Come un mantra sacro, come un'invocazione alla sua musa ispiratrice. Per le sue poesie. Decine, centinaia. Tutte dedicate a lei. Le teneva in un cassetto, chiuse a chiave, perche' nessuno le leggesse. Aspettava il momento buono per dargliele, tutte quelle poesie. Perche' gliele avrebbe date, quelle poesie, prima o poi. Per farle capire quanto intensamente la pensasse, quanto disperatamente la volesse. Quella ragazza viziata ed orgogliosa. Che era tutto il suo mondo. Il centro del suo universo. L'universo di quel giovane borghese di venticinque anni, che pareva un putto sfuggito ad un dipinto seicentesco. Capelli biondi, ricci, che gli ricadevano ribelli sul viso. E quegli occhi azzurri. Dell'azzurro piu' intens!
 o e profondo che ci sia. Intelligenti, vispi, allegri. Romantici, quegli occhi, a modo loro. Gli occhiali da lettura appoggiati elegantemente sul naso, come usavano fare gli intellettuali dell'epoca. Quel modo di fare timido e pacato che contrastava con i tratti marcati del viso, gli zigomi alti, lo sguardo sottilmente affilato. Eppure un carattere terribilmente tranquillo. Terribilmente borghese.  Forse perfino noioso. Passeggiavano, dicevamo, per le vie strette della capitale inglese. Lady Appleton e Cecily avanzavano fianco a fianco, scambiandosi succosi pettegolezzi su questo o quel riccone. E William? Lui ascoltava, sognante, registrando ogni parola pronunciata da Cecily, guardandola come se attorno a lui non vi fosse altro, sognandola come solo un venticinquenne potrebbe fare. rischiando piu' volte di iinciampare, troppo preso da quell'ammirare gentile e pacato, che non pretendeva altro che il poter guardare. Non gli interessava veramente essere guardato da Cecily. Qu!
 el che voleva era guardarla. Osservare l'ondeggiare frusciante!
  della s
ua gonna, mentre camminava. Guardarla coprirsi educatamente la bocca mentre rideva. Ammirare il luccichio dei suoi occhi mentre la lady Appleton menzionava gli ultimi acquisti di un certo conte, o di un certo baronetto. Non apriva quasi mai bocca, per paura che una sua parola potesse suonare volgare o sgarbata alle orecchie di Cecily. Per paura che una sua opinione potesse essere contraria a quella della sua musa. Per paura di contraddirla senza volerlo. Annuiva, questo si'. A volte abbozzava un tenero sorriso. Parlava solo se era Cecily a volerlo esplicitamente. Ed anche in quel caso pesava accuratamente ogni parola.
"Milady, ho sentito dire che la prossima settimana organizzerete un ballo in maschera nella vostra tenuta..."
William camminava come un'automa, mettendo meccanicamente un piede dietro l'altro. I suoi occhi non seguivano i suoi movimenti, ma quelli di Cecily. Anche quando sua madre rispose, il suo sguardo si mantenne fisso sulla maliziosa figura della ragazza, che non incrociava il suo sguardo nemmeno per sbaglio.
"Oh, si', Cecily...che sbadata, me ne ero quasi dimenticata! Gli anni passano anche per me...ho organizzato un ballo in maschera in onore di un mio lontano parente che viene a farci visita. Un uomo rcco e agiato, che non sarebbe male farsi amico...naturalmente, la vostra presenza sarebbe piu' che gradita. Non e' vero, William?"
Il ragazzo sobbalzo', riportato bruscamente alla realta' dalle parole della madre.
"Come avete detto, madre?"
"Dicevo che naturalmente la presenza di lady Cecily al ballo del quattordici novembre sarebbe piu' che gradita, non e' vero?"
William guardo' Cecily, accorgendosi che anche lei lo fissava. Divertita. Come se lo trovasse ridicolo. Il che era esattamente cio' che la ragazza pensava di William. Un ragazzotto carino ma ridicolo. William degludi', ignorando completamente cio' che la ragazza pensasse di lui.
"N-Naturalmente..."
Cecily sorrise, un sorriso che fece sciogliere William come neve al sole. Quel sole che in quel momento non c'era, offuscato dagli enormi palazzi che contornavano quella piccola stradina della periferia di Londra. Passarono accanto ad una vecchia bettola, procedendo in direzione nord, diretti a casa di un ricco borghese, nei pressi di Time Square, che li aveva invitati a prendere un te' e discutere di affari. William odiava il te', odiava gli affari, e soprattutto odiava ser James Giles. Avrebbe volentieri declinato l'offerta, se sua madre non gli avesse puntualizzato che al te' era stata invitata anche Lady Cecily, una lontana parante dell'uomo. E William non aveva piu' potuto, ne' voluto, declinare l'invito. Ed ora, Cecily gli aveva sorriso. E a lui pareva di camminare un metro sopra la strada...

Buffy spostava sconcertata lo sguardo da un punto fuori la bettola a Spike, in un andirivieni irritante di occhi verdi. Sbatteva freneticamente le ciglia, come colta improvvisamente da una luce abbagliante. Ma non c'era il sole, fuori. Solo le ombre degli enormi palazzi ai lati della strada. E, al centro di questa, tre persone. Buffy riconobbe due componenti di quel ridente terzetto. Dio...era pazzesco. Solo quello. Pazzesco. Sottobraccio della donna piu' anziana, stava un ragazzo dai folti capelli biondo scuro. Lenti trasparenti coprivano un paio di splendidi, raggianti occhi azzurri. Era abbigliato con un semplice completo grigio, pantalone e una giacca, sotto la quale spuntava il colletto bianco di una camicia immacolata. Le scarpe lucide, nere e scricchiolanti. Procedeva quasi barcollando, preso com'era dal contemplare la seconda donna. Una donna che Buffy riconobbe all'istante. Chiedendosi cosa ci facesse nel milleottocentottanta, vestita come una viziata damina di porc!
 ellana. Con i suoi enormi occhi azzurri e il visetto tondeggiante, dall'espressione altera. Che procedeva accanto alla donna piu' anziana e non degnava di uno sguardo l'uomo che doveva per forza essere William. La versione gentile e pacata di Spike. Erano cosi' diversi. Eppure la stessa persona. Bastava osservare quel volto. Quello non sarebbe cambiato mai. Nemmeno in mille anni. L'espressione, quella si', era diversa. Ma quei lineamenti li avrebbe riconosciuti tra mille. Gli zigomi alti, le labbra sottili, quegli occhi. Unici. Azzurri. Ma cosi' diversi da quelli di quella donna, che pure erano celesti. Trasparenti. Luccicanti. Unici. Tremendamente unici. Anche Spike guardava fuori. Anche Spike osservava il trio che avanzava ridendo per la stradina. Osservava se' stesso fissare quella donna con devozione assoluta. Buffy riconobbe quello sguardo. Quello sguardo di assoluta tenerezza, quello sguardo timido, intimorito. Quello sguardo traboccante d'amore. Perche' era lo stesso!
  sguardo che riservava a lei, in certi momenti. Quando lei era!
  troppo
stanca per schernirlo. Pensare che aveva riservato quello sguardo per un'altra donna le provoco' un'acuta fitta di gelosia. Una gelosia quasi rabbiosa. Si ritrovo' a stringere i pugni. Cosi', senza un motivo. Solo per quello sguardo di assoluta perdizione di cui credeva di essere l'unica ispiratrice. Stupida egoista, che sono...guardo' ancora quella ragazza. Si', era proprio lei. Non si era sbagliata. Continuo' a girare gli occhi da Spike alla strada, anche quano William e le due donne sparirono dalla sua vista. Il vampiro biondo le sorrise. Un sorriso amaro. Triste e malinconico. Ma forse era solo un impressione, perche' le sue parole non corrispondevano esattamente a quei sentimenti.
"Smettila. Ti farai venire il torcicollo..."
E lei smise. Accorgendosi che effettivamente il collo cominciava a dolerle. Corse verso Spike, ancora appoggiato al bancone. Apriva e chiudeva la bocca, senza emettere suono. Shoccata.
"Quello...quello eri...?"
Spike sospiro'. Avrebbe voluto evitare un incontro del genere. Ma dopotutto erano a Londra. Era inevitabile. Sperava solo non avvenisse cosi' presto. Tamburello' con le dita sul bancone unto.
"Si'...Ser William Appleton in persona..."
Buffy avverti' un leggero sarcasmo nelle sue parole. Sapeva che odiava William. Ma penso' che forse, piu' che odiarlo, gli mancava. Gli mancava la sua vita. Ed ora che aveva l'anima, rivederlo doveva essergli sembrata un'amara coincidenza. Era un pensiero stupido, forse. Ma quell'odio che leggeva nelle parole di Spike le sembrava come intriso di malinconia. Abbandono' per un attimo quei pensieri.
"E...Halfrek...?"
Spike abbozzo' un sorriso piu' amaro degli altri.
"Indovina...sono certo che c'arriverai..."
Buffy non ci mise che un istante, a capire...oddio, oddio, oddio...
"No!"
"Oh, si'..."
"Cecily?? Halfrek?? Halfrek era la tua musa ispiratrice?? Quella altezzosa rana dagli occhi a palla??"
Spike abbasso' lo sguardo, mentre un lampo di furia gli passava sugli occhi. Buffy si chiese se non avesse esagerato.
"Hey, vacci piano! L'amavo..."
"Beh, si vedeva! Sembravi un'automa!"
Le parole suonarono piu' stizzite di quanto realmente avesse voluto. Colorite da quella strana gelosia. Gelosa del passato di Spike? No...
"Ero...ero...ero un idiota, va bene? E' questo che volevi sentir dire? Bene, eccoti accontentata, cacciatrice. Ero. Un. Idiota. Uno stupido, illuso idiota che scriveva stupide, illusionistiche poesia dedicate ad una donna che non le avrebbe mai lette, ne' mai le avrebbe apprezzate, ecco cos'ero! Ecco cos'era William."
Buffy fu colpita dal tono amaro con cui Spike aveva pronunciato quelle parole. Con rabbia, e tristezza. E rassegnazione. Aveva detto di essere stato un idiota. Ma lei non la pensava esattamente cosi'.
"Perche' dici questo? Non e' una cosa stupida, scrivere poesie ad una donna...e' una cosa molto...dolce. Molto romantica. E, beh, non saranno capolavori della poesia mondiale, ma e' pur sempre espressione. Era quello che sentivi...quello che sentivi dentro. Non e' una cosa stupida...almeno, io la penso cosi'..."
Lo disse tutto d'un fiato, prima che il coraggio o la pazzia del momento scomparissero. Accorgendosi che stava man mano arrossendo. Spike alzo' lo sguardo su di lei. Un tenerezza infinita, dentro quegli occhi blu. Le sorrise, cercando i suoi occhi.
"Grazie."
Buffy sorrise. Leggermente. Un leggero, quasi impercettibile incresparsi di labbra. Lo guardo', solo per un istante. in quel momento, l'uomo grasso usci' dallo stanzino, reggendo in una mano una grossa chiave d'ottone, cosparsa di macchie di ruggine ed un leggero strato di muffa. Buffy fece una smorfietta di disgusto, mentre Spike allungava una mano e prendeva quella chiave con una noncuranza che la fece rabbrividire.
"Secondo piano. Prima stanza a destra."
"Grazie. Andiamo?"
Buffy lancio' un ultimo sguardo alla stanza. Poi, reggendo in una mano una busta di cartone contenente i suoi vecchi abiti, segui' Spike, salendo due rampe di scale rese scivolose dall'acqua che era entrata dalle finestre aperte.
Una settimana in questo posto, da sola, con Spike...bene, impazziro'...
Eccola, secondo piano, prima stanza a destra. Almeno c'era la porta. Spike l'apri', lasciando che lei passasse per prima, in un'imitazione perfetta del gentiluomo che era stato. L'interno della stanza era migliore di quanto s'aspettasse la ragazza. Al centro c'era un letto matrimoniale, ampio e apparentemente comodo. Coperte beige, piu' alcuni ricambi sistemati in un angolo, in una cesta. Un'ampia finestra chiusa da persiane di legno, che non lasciavano filtrare la luce, lasciando la stanza in una romantica penombra. Addossata ad una parete, una scrivania di legno scuro, leggermente impolverata. Sopra erano appoggiati un calamaio e diversi fogli ingialliti. La sedia era sempre di legno, piu' chiaro di quello della scrivania. Un armadio dello stesso legno della scrivania se ne stava solitario accanto alla porta, con le ante richiuse ed un velo di polvere sopra che sembrava rifulgere nella debolissima luce della stanza. Sarebbe stata perfetta, per una coppia in viaggio. Ma per!
  loro...
"Dovremmo dormire un po', passerotto...usciremo stasera, magari..."
Buffy annui' distrattamente, colta all'improvviso da un'acuto sonno. Le sembrava di non dormire da secoli. Aveva le palpebre pesanti e la mente annebbiata.
"Si'...il mio avvertimento di poco fa e' sempre valido...stammi lontano..."
Spike richiuse la porta dietro di se'. Buffy rabbrividi', senza curarsi del perche'. Forse aveva solo freddo. L'aria umida di Londra era assai diversa dal clima afoso che era abituata a sopportare in California. Batte' sul letto, lasciando che la polvere si alzasse attorno a lei. Soddisfatta, sguscio' sotto la leggera coperta di cotone, poggiando la testa su un morbido guanciale di piume. Aveva la piazza che dava sulla finestra. Spike la osservo' per qualche minuto. Contemplandola. Ripenso' per un attimo a Cecily. Poi a Drusilla. Al vero motivo per cui erano li'...non per chiarirsi, certo...era stanco. Troppo stanco per pensare. Scivolo' sotto le coperte, costringendosi ad ignorare la calda presenza che gli dormiva accanto. Quasi senza accorgersene, si addormento', cullato dal dolce battito del cuore di Buffy...

"Dovremmo trovarle un compagno..."
"Di chi parli?"
Coperte lacere. Tende lacere. Vestiti laceri lanciati in un angolo della stanza. Letto sfatto. Due corpi nudi che continuano a graffiarsi. Due gole che continuano ad emettere ringhi gutturali. Una donna bionda, dagli occhi come laghi ghiacciati. Ed un uomo bruno, dagli occhi duri e neri come pietre. Ondeggiano leggermente, come canne nel vento, ansimando. Sarebbe una melodia dolce. Forse lo e' per loro. Ma e' realmente qualcosa di freddo e meccanico. Uno sfogo di istinti repressi. Aggressivita' occultata. Li', tra quei ringhi e quelle unghie.  E qualche parola. Dovremmo trovargli un compagno...ma di chi parli?
"Di Drusilla..."
Angelus fisso' i suoi occhi neri in quelli blu di Darla. Segui' i suoi movimenti, quel lento ondeggiare. Strusciarsi sensualmente, come solo lei sapeva fare. Gettando la testa all'indietro, in modo da scoprire il collo pallido. E quel morso. Del Maestro. Quel marchio che sfoggiava con altero orgoglio. Gemette, Darla, riportando la testa lentamente in avanti, fino a sfiorarsi il petto col mento. Angelus carezzo' lievemente una cicatrice rosea che la donna aveva appena sopra il seno. Da li', aveva bevuto, quella notte, a Gallway. Da li' era cominciato tutto. A quel taglio doveva cio' che era. Sorrise, Angelus. Un sorriso furbo e cattivo.
"Ce l'ha gia', un compagno..."
Darla si chino', sorridendo. Il suo sorriso aveva un che di indecifrabile, che il vampiro bruno trovava terribilmente eccitante. Con uno scatto, la vampira bionda artiglio' Angelus, graffiandogli la nuca. Il vampiro gemette. Darla si chiese se fosse per piacere o dolore. Gli mordicchio' sensualmente un lobo, sussurrando appena. Ringhiando, appena.
"Ed io potrei diventarne gelosa...tu sei solo mio, Angelus...solo mio..."
Sangue caldo macchio' le coperte sotto il collo di Angelus. Darla lo vide, e si chino' per assaggiarlo. Aveva un sapore amaro. Sapeva di morte, il sangue del suo childe. Le piaceva. Dio, se le piaceva...senti' le zanne del vampiro che le sfioravano le guance. Poi il collo. Infine il petto. Risalendo nuovamente, senza mordere, senza graffiare. Solo sfiorandole la pelle con i denti.
"Ci sarebbe il ballo...tra solo una settimana...sarebbe un ottimo scenario...per una strage...qualcosa per Drusilla saltera' fuori..."
Darla annui' distrattamente, continuando a leccare il sangue dalle coperte. Fu interrotta dallo scatto di Angelus. La afferro' per la vita, portandola sotto di se'. Darla sogghigno'. Sapeva quanto gli piacesse dominare. Non quanto piaceva a lei fingere di essere dominata. Gemette, mentre le mani avide di Angelus le percorrevano con maestria il corpo. Gli artiglio' la schiena, lasciando che le unghie si conficcassero nella pelle del vampiro. Un ringhio basso usci' frusciando fra i denti di Angelus. Ringhio' anche Darla, stringendosi di piu' al suo childe, ondeggiando con la stessa studiata lentezza. Nuovamente, avvicino' le labbra schiuse all'orecchio di Angelus.
"Mi sembra un ottima idea...Drusilla ne sara' entusiasta..."
Mai quanto lo saro' io nel levarmela di torno, penso' trionfante la vampira bionda, continuando ad ondeggiare contro Angelus. Lui non le negava niente...non le avrebbe mai negato niente...non a lei...non a Darla. Non alla figlia del Maestro. Non alla sua puttana. Non a Darla. Non le avrebbe mai negato niente. Penso' ancora al ballo. Immagino' mentalmente la strage che lei e Angelus avrebbero portato a termine senza problemi. Immagino' l'odore del sangue. E il suo sapore sulle labbra, nella gola, eccitandosi. Smise di pensare, concentrandosi solo sul suo vampiro...solo suo...

<Cecily...>
<Oh. Leave me alone...>
Spike dormiva. Se cosi' si puo' dire. Se sonno puo' essere chiamato quel continuo rigirarsi tra lenzuola beige, voltando la testa da una parte all'altra, violentemente, come a voler scacciare dei brutti pensieri. Voleva farlo, Spike. Scacciare quei sogni che quella notte avevano deciso di venire a fargli visita. Ma come si puo' scacciare un sogno? Come si puo' non fissarli inottizati, quei lunghi e tristi filamenti di sogni, arazzi dipinti, dai fili finemente intrecciati. Ragnatele di ricordi capricciosi nel quale sei incastrato. Peccato che ai ricordi non si possa sfuggire. Sono un mare apparentemente piatto, i ricordi. Lo guardi, e ti sembra che vada tutto bene. Decidi magari di farti un bagno, immergerti nei ricordi, cercando quelli belli. Scansando i brutti ricordi. Ma non si puo'. Siamo come reti da pesca. Ci caliamo in quel mare, e tornando su non sappiamo cosa abbiamo pescato. Spike aveva trovato brutti ricordi, sul fondo della sua rete. Che gli erano balzati addosso !
 come viscide anguille. Gli si torcevano attorno alla gola, soffocandolo. Se solo l'avesse lasciata sola, Cecily, quella notte del milleottocentottanta...
<Oh, they're vulgarians...they're not like you and I...>
<You and I?...I'm going to ask you a very personal question, and I demand an honest answer...do you understand?>
Capiva...anche se la maggior parte delle sue attivita' celebrali si erano fermate nel momento in cui i suoi occhi, gli occhi di Cecily, avevano incontrato i suoi. Con una freddezza che il suo sguardo tremendamente innamorato non aveva potuto comprendere. Era un idiota...un idiota innamorato...ma non di Cecily...e questo l'aveva capito subito, senza voler credervi. Lui, William Appleton, era innamorato dell'idea di amare. Innamorato dell'amore come l'aveva letto, descritto in centinaia di poesie, in decine di libri...il genere di amore fantastico...ma lui era solo un sognatore...
<Your poetry, it's...they're...not written about me, are they?>
<They're about how I feel...>
Inondazioni di sentimenti, nella sua testa...la stupida speranza che...che lei volesse sentirsi dire che erano versi scritti per lei...la stupida speranza che potesse apprezzarli, quei versi, scritti da lui, da lui che moriva d'amore per lei. Tremando come una foglia al vento, in quel salottino illuminato dalla flebile luce delle lampade. Seduto sul divanetto a parlare con lei. Con Cecily. Che lo guardava con una strana speranza negli occhi. E lui volle illudersi che sperasse che quei versi fossero per lei...
<Yes, but...are they about me?>
<Every syllable...>
Ogni dannata sillaba...neanche s'accorgeva di sussurrare ogni parola nel sonno, Spike. Nemmeno Buffy sembrava farci caso...magari anche lei stava sognando. E non s'accorgeva di Spike, del suo rigirarsi inquieto, mentre fantasmi dal passato l'avvolgevano...
<Oh God!>
<I know...it's sudden and...please, if they're no good, they're only words but...the feeling behind them...I love you, Cecily...>
Se si fosse morso la lingua, in quell'istante, invece di dirlo...invece di ammettere di amarla...invece di confessarle che ogni suo verso era per lei...quante sofferenze si sarebbe risparmiato...se le avesse detto che no, non erano per lei, allora forse si', avrebbe recuperato qualche punto...e forse lei gli avrebbe sorriso di nuovo come una settimana prima...
<I Know I'm a bad poet, but I'm a good man and all I ask is that...that you try to see me...>
<I do see you...that's the problem...you're nothing to me, William...you're beneth me...>
Se una parola, o una frase, bastassero ad uccidere una persona...beh, William in quel momento sarebbe morto di certo. Folgorato dalle parole lapidarie di Cecily. Sconforto totale, aveva provato. Lacrime amare avevano cominciato a rigargli le guance, senza che lui potesse fare nulla per fermarle...ed era stato allora che era uscito, lasciando il ballo, lasciando sua madre che l'aspettava, lasciando Cecily ed il suo disprezzo. Incurante dei pericoli che una citta' bella come Londra nasconde, dietro ogni angolo, nascosti nell'ombra. Era arrivato ad una stalla. Aveva pianto strappando rabbioso la sua poesia. E poi, un'ombra silenziosa era sbucata fuori dal nulla. Come fosse un tutt'uno con le tenebre che la circondavano.
<I wonder...what possibile catastrophe came crashing down from heaven, and brought this dashing stranger...to tears?>
<Nothing...I wish to be alone...>
L'aveva guardata. Avvolta in un cappotto rosso e oro, con i riccioli neri che le ricadevano eleganti sulle spalle. Quell'espressione di dolce compatimento che l'aveva fatto quasi infuriare, in un primo momento. Non voleva la sua pieta'. L'aveva guardata negli occhi. Quegli occhi...non se li sarebbe mai dimenticati. Non erano occhi umani. Languidi occhi che lanciavano lucenti spirali violette.
Gli avevano toccato l'anima...
<Oh, I see you. A man surrounded by fools, who cannot see his strength, his vision, his glory...>
Sembrava gli leggesse dentro, quella strana ombra notturna. Sembrava un angelo piovuto dal cielo per consolarlo. E lui aveva troppo bisogno di essere consolato. E quelle parole. Lo facevano sentire capito. C'era qualcuno che riusciva a capirlo, al mondo. Qualcuno che non fosse sua madre, ad apprezzarlo, pur senza conoscerlo. Si era avvicinata, quella strana donna, e lui aveva pensato per un attimo che volesse derubarlo...
<I don't need a purse...your wealth lies here...and here...in the spirit, and imagination...you walks in worlds the others can't begin to imagine...>
Spike si giro' ancora, nel letto. Senza potersi nemmeno svegliare. C'era qualcosa, che lo teneva ancorato a quei sogni di ombrosi ricordi. Cosi' nitidi...gli sembrava di star rivivendo tutto. Senti' di nuovo quella sensazione di complicita'. Avverti' la sensazione di completezza che gli regalava quella donna che nemmeno conosceva. Senti' di voler essere con lei...come lei...
<I see what you want...something glowing and glistening...something...effulgent...>
Rifulgente...si', era cosi' semplice, cio' che voleva...qualcosa di rifulgente. Che nessuno poteva dargli...che Cecily si era rifiutata di dargli...che questa ombra irreale, quast'ombra veggente, gli stava offrendo, con quella voce ipnotica, come un canto lontano...e senti' nuovamente, anche nel sonno, che si', lo voleva...oh, Dio, si'...
<Do you want it?>
Si sveglio' di colpo. Gli occhi spalancati. Un grido che premeva per uscire dalla sua gola serrata. Lo soffoco', facendo appello a tutte le sue forze. Guardando Buffy. Non voleva svegliarla, quell'angelo addormentato accanto a lui. Non voleva. Si prese la testa tra le mani, soffocando a stento i gemiti ed i singhiozzi. Tremava tutto, nonostante non avesse freddo. Scosse la testa, desiderando scacciare quei pensieri che non poteva sopportare. Lo aiuto', inconsciamente, Buffy. La senti' gemere. Quasi un singhiozzo. Si volto' scosso verso di lei. Dormiva. Sognava. E doveva essere un incubo...

<We need to talk...>
<I really don't.>
Buffy gemette. Sposto' la testa di lato, mentre un'espressione tristemente contrariata le si disegnava in volto. Dormiva. E non poteva evitare ai sogni di entrare nella sua testa. No. Non quello...ti prego, no...invece era di nuovo li'. Nel buio del sonno vide profilarsi la sua immagine, in accappatoio. Vide Spike, davanti a lei. Un'espressione mortificata in viso. Si vide guardarlo con due occhi infuocati, e dirgli che non avevano nessun bisogno di parlare. No, non ne avevano. Oh, se solo avesse deciso che c'era qualcosa di cui parlare...
<I'm sorry...not that it matters now. But I needed you to know that...>
No, non aveva nessuna importanza. Non le interessavano le sue scuse...e poi, perche' avrebbe dovuto scusarsi? Non c'era niente tra loro, giusto? Giusto? Pero' lei c'era stata male lo stesso. Si era sentita ferita. Tradita. Frustrata. E adesso le sue scuse non servivano piu' a niente.
<Why?>
<Becouse I care about you...>
Glielo aveva chiesto, il perche'. Nonostante le sue scuse non le interessassero. Glielo aveva chiesto. Forse perche' ne aveva bisogno. Di sapere il perche'. Anche se lo sapeva gia', maledetta ragazza. Si giro' di nuovo, inquieta, nel letto che stava dividendo con Spike. Ma in quel momento non le interessava. Non c'era Spike, non c'era Buffy. Non c'era il letto, ne' la bettola, ne' Londra...solo quelle immagini cosi' vere che scorrevano davanti ai suoi occhi. C'era il suo bagno, a Sunnydale. C'era lei, in accappatoio. E Spike. E lei gli stava chiedendo se avesse deciso di cercare di non andare a letto con i suoi amici...
<Thay's not...I didn't go to Anya for that...I was looking for a spell...>
Un incantesimo...stava cercando un incantesimo. Per lei. Non poteva essere altrimenti. Era arrivato al punto da accontentarsi di averla grazie ad un incantesimo. E si ritrovo', Buffy, in quel bagno, a Sunnydale, a pensare che questo avrebbe semplificato tutto. Un incantesimo...e non avrebbe piu' dovuto vergognarsi di stare con lui. Perche' in fondo lo voleva. Dio, quanto lo voleva. Era qualcosa di irrazionale, di completamente fuori dagli schemi. E per questo non poteva fare a meno di volerlo. Volere che facesse un incantesimo su di lei.
<You were going to use a spell on me?>
<It wasn't for you. I wanted something...anything to make this feeling stop. I just wanted it to stop. You should have let him kill me...>
Era rimasta interdetta per un attimo, in quel bagno, con Spike che la fissava quasi rabbioso. Sorpresa dalle sue parole. Non era per lei, l'incantesimo. Era per lui. Perche' voleva smettere di amarla...o di provare qualunque cosa provasse per lei. Per accontentarla. O per smettere di soffrire. O per entrambe le cose. Non ne poteva piu'. tanto da desiderare di morire. Tanto da dirle che avrebbe dovuto lasciare che Xander lo uccidesse.
<I couldn't...>
<Why?>
Si volto' ancora. Voleva svegliarsi. Ma gli occhi non le si aprivano. Non voleva...rivivere tutto quello che era stato...non voleva, ora che le sembrava di aver archiviato la faccenda. Non ora. Per favore...ma le immagini continuavano a scorrerle nella testa. Gli occhi restavano chiusi. E la sua risposta le arrivo' chiara alle orecchie, e tutte le parole dopo, forti come non avrebbe voluto risentirle...
<You Know Why...>
<Because you love me!>
Come la faceva facile, Spike.
Senza sapere, senza capire, che esistono miliardi di sfumature, della parola 'amore'. No, non l'amava. Cioe', non completamente. Non nel modo in cui lui amava lei, 'e' cosi' e basta'.  Non era pronta a trovare quel 'basta'. Ma questo non voleva dire che non provasse qualcosa per lui. Qualcosa di diverso dall'amore. Qualcosa di unico, come lui era unico. Qualcosa di unicamente Spike. Ma era cosi' difficile da spiegare, che non ci aveva nemmeno provato. Gli aveva detto che non l'amava. Che l'amore come lo intendeva lui non poteva mai durare. E lui le si era avvicinato, con quella dondolante camminata che aveva quel non so che di sensuale. Quella volta, le era sembrava minacciosa...
<I know you feel like I do...you don't have to hide it anymore...>
<Spike...>
Le si era avvicinato. Le si era avvicinato troppo. Non voleva. Non quella sera, non dopo quello che era successo, non cosi'...aveva pensato che non avrebbe potuto farle del male. In effetti era cosi'...ma Spike aveva una visione alquanto distorta di cio' che e' bene, e di cio' che non lo e'...
<I know you felt it...when I was inside you...>
<Don't...>
Per favore no...basta...scosse la testa, forte, rigirandosi inquieta in quel letto che le sembrava all'improvviso infinito. Non riusciva a fermarsi. Come non riusciva a fermare quelle lacrime. Sentiva una parte di se' avvertire quella presenza umida sulle sue guance. Ma restava ancorata a quel mondo fatto di ricordi...ricordi che avrebbe voluto lasciare in un angolino della sua mente...e che invece venivano fuori prepotentemente, ogni notte...no...
<You're going to let me inside you...>
<Please...>
Per favore...glielo aveva chiesto, quell giorno, e glielo chiedeva tutte le notti, di nuovo e di nuovo, nella speranza di vedere quella fragile preghiera avverarsi...nella speranza di non sentire le sue mani sotto la sua vestaglia, cercando di strappargliela via...ti prego, ti prego, ti prego...
"Ti prego...Spike, per favore..."
Non sapeva, non immaginava nemmeno, di averlo sussurrato. La sua mente era ancora persa in quel sogno. Vivido come una terribile realta'...
<I'll make you felt it...>
<STOP!>
"Fermati!"
Respiro' affannosamente, sia nel sogno che in quel letto, in inghilterra, nel milleottocentottanta. Sentiva il petto gonfiarsi e svuotarsi al ritmo del suo respiro. Sentiva l'aria scivolarle via attraverso le labbra strette. Sapeva di stare tremando convulsamente. Continuo' a rigirarsi, scuotendo freneticamente la testa. Ora quelle scene le sbattevano nella testa come pugni in faccia.
<Ask me again why I could never love you...>
<Oh God...Buffy...I didn't...>
Non voleva...non voleva...quante cose non avrebbe voluto fare, Spike? Oh...ma perche'? avrebbe voluto credergli. Ma era cosi' arrabbiata. Cosi' amareggiata. Cosi' frustrata, che non ce la fece. Non pote', semplicemente, credergli. E gli sbatte' in faccia quelle parole. Le sembrava di vomitare sangue. E dolore...tanto...
<Because I stopped you! Something I should have done a long time ago...>
Si sveglio' di soprassalto. Le guance rigate di lacrime. Le mani che le facevano male per quanto aveva stretto le coperte. Il collo che le doleva per quanto lo aveva scosso. Si prese la testa tra le mani, piangendo.
"Basta...ti prego...basta...perche' non ci riesco?"
D'un tratto, senti' uno sguardo fisso su di se'. Girandosi, incrocio' lo sguardo di Spike. Brillavano di lacrime, quegli occhi. Faceva uno sforzo immane per tenerle indietro. Mi ha sentita, fu il primo pensiero di Buffy. Si fissarono per qualche secondo. Poi, Spike si passo' una mano fra i capelli, senza avere il coraggio di incrociare il suo sguardo.
"Forse...in fondo abbiamo qualcosa di cui parlare...qualcosa che dobbiamo chiarire..."

Capitolo IV - London's Shadows

C'e' silenzio, nel pomeriggio assolato di Londra.
Silenzio.
Nebbiolina bianca che comincia ad avvolgere il pomeriggio desolato di Londra.
Nebbiolina bianca.
Raggi di sole che non riescono a fendere una persiana di legno.
Raggi di sole.
Un letto agitato, nella stanza al secondo piano di una bettola. Buio.
Buio.
Una ragazza bionda. Occhi verdi, in quella stanza.
Occhi verdi.
Un ragazzo biondo. Occhi azzurri, in quella stanza.
Occhi azzurri.
Ricordi che aleggiano come fantasmi -fantasmi-, sospesi sulle loro teste, artigliando quei cuori fragili. Che sanguinano. Grida trattenute dentro le gole, tra i denti, dietro le labbra. Occhi che si fissano, urlando domande mute. Una sola frase, sospesa tra loro, come sottile nuvola di realta'...
Forse abbiamo qualcosa da chiarire...
Solo un sogno. Un sogno saturo di nauseabonda realta'. Buffy si strinse le ginocchia al petto, cercando invano di arrestare le lacrime. Non voleva la vedesse piangere. Non voleva la vedesse ricordare. Non voleva la vedesse debole. Non voleva la vedesse. Tremava. Fisso' lo sguardo sulla scrivania di fronte al letto, come se avesse notato qualcosa di stupefacente, che avesse attratto irrimediabilmente la sua attenzione.
"No, io...e' stato solo un sogno..."
<Niente e' cosi' bello da durare per sempre
Le situazioni perfette devono andare male...>
"Un sogno in cui continuavi a chiedermi di fermarmi...beh, non ti sorprenderai se mi ricorda qualcosa..."
<Eppure questo non mi ha impedito
Di sperare troppo, e troppo a lungo...>
Aveva un tono di voce cosi' mortificato, cosi' pieno di odio verso se' stesso...una lacrima ancora scese a rigarle la guancia. Chiuse gli occhi, cercando dentro di se' una risposta. Non voleva parlarne. Non voleva...
"Qualcosa di cui non voglio parlare..."
<Guardandomi indietro
Avrei potuto interpretarlo diversamente...>
Senti' un sospiro, proveniente dalla parte di Spike. Non aveva il coraggio di voltarsi. Irrazionalmente, si sentiva sciocca. Si sentiva come una bambina spaventata. Spaventata dal buio, dall'uomo nero, dai ragni e da tutto quanto di piu' stupido c'e' al mondo...spaventata da un incubo...
"...non trovero' mai il modo di farmi perdonare...questo lo so bene...perche' sono io stesso che non potro' mai perdonarmi..."
<Afferrare dei momenti in piu', chissa'?
Ma mi ci e' voluto del tempo, per capire l'uomo...>
Resto' immobile, per un attimo. Parte di lei non si sarebbe mai aspettata quella frase, quelle parole, da lui. Da Spike. Parte di lei. Parole cosi' dure. Parole cosi' rabbiose. Non trovera' mai il modo di farsi perdonare...e' strano sentirselo dire. Da lui. Senti' qualche rapido movimento, dietro di lei. Temette che l'avrebbe abbracciata, o qualcosa del genere. Invece lo vide alzarsi, avvolto nel suo spolverino nero. Voltarle le spalle. Per nascondere quelle lacrime che affollavano anche i suoi occhi. Quando parlo', pero', la sua voce era ferma.
"Io...cosa posso dire, Buffy?"
<Non e' stato bello? Non era bravo?
Non e' una follia il fatto che non sara' mai mio?>
Buffy si strinse le ginocchia al petto, sotto le coperte, in un abbraccio che non le dava nessun conforto. Sentiva tanta rabbia, dentro di se'. Per se' stessa. E per quello che era successo. Oh, maledizione!
"Niente. Ti prego, non dire niente..."
<Nessuno nella tua vita e' costantemente con te
Nessuno e' completamente dalla tua parte...>
Non dire niente. Perche' qualunque cosa le avesse detto, non sarebbe servita. La rabbia non si lava via con una frase. Non si lava via con un 'mi dispiace'.
"Mi dispiace..."
Neanche se detto cosi'...
<Ed anche se potessi muovere il mio mondo per stare con te
Comunque il divario fra noi sarebbe troppo grande...>
C'e' un oceano, tra le sue scuse e la mente di Buffy. C'e' un oceano. Non le vuole sentire, quelle scuse. Vuole solo dormire. Solo dimenticare. Perche', non lo capisce?, tra loro il divario e' troppo grande...
"Non importa, Spike...non importa..."
Si giro' di scatto, Spike, facendola sussultare. L'espressione addolorata dei suoi occhi fece scorrere altre lacrime sulle guance di Buffy.
<Guardandomi indietro, avrei potuto interpretare le cose in modo diverso...
Non sapevo come sarebbe andata...>
"Invece a me importa! Guardati, sei a pezzi! E solo il fatto di sapere che e' per colpa mia mi fa sentire...mi fa sentire..."
Espolse, Buffy...mille pezzetti di rabbia, come vetri di uno specchio andato in frantumi. Scagliato contro un muro, con delusione...con rabbia...con dolore...
"Ti fa sentire quello che sei! Cosa pensi?? D'accordo, parliamone, e cosa ne verrebbe fuori? Il fatto e' questo, hai cercato di violentarmi nel mio bagno, e parlarne, e scusarsi e sentirsi in colpa non cambiera' quello che e' successo, ok? Niente lo cambiera'! Mi fara' solo stare peggio!"
Piangeva, ora, ed ogni lacrima era come piangere un oceano...ogni lacrima era un pugno nello stomaco. La voce le usci' in un sussurro roco, un sussurro che lottava per non essere sovrastato dai singhiozzi...
"Ed io...non voglio stare peggio, capisci? Riesci a capirlo?"
<Se l'avessi saputo dall'inizio
Allora perche' starei crollando?>
Spike abasso' gli occhi. Non poteva sopportare quello sguardo su di se'. Non poteva. Faceva un male d'inferno. Come cocci nella testa. Come quelle urla che non sentiva piu'. Resto' immobile, mentre ascoltava un lieve rumore di coperte scostate. Mentre alzava lo sguardo, impercettibilmente, e la vedeva girata su un fianco, dandogli le spalle, leggermente scossa dai singhiozzi che non riusciva a soffocare, neanche spingendo la testa contro il cuscino.
"Ed ora scusami, ho bisogno di dormire..."
<Non e' stato bello? Non era bravo?
Non e' una pazzia il fatto che non sara' mai mio?>
Annui', Spike, come se lei potesse vederlo, e torno' in quel letto. Sguscio' sotto le coperte. Non avrebbe piu' dormito, lo sapeva. L'avrebbe guardata dormire, vegliando su di lei. Proteggendola solo con la sua presenza, da quei sogni di livido orrore. Occupandosi di lei, come l'uomo che non poteva essere. Mentre lei dormiva. Era l'unico momento, quando dormiva, in cui poteva illudersi che fosse sua...
L'unica opportunita' che hai avuto con me e' stata quand'ero priva di sensi...
<Guardandomi indietro, avrei potuto interpretare le cose in modo diverso...
Ed ora sarebbe tutto diverso...>
Buffy. Chiuse gli occhi. Combattendo contro la sua paura . Paura di dormire. Di addormentarsi e sognare. Sognare di nuovo. Combattendo una battaglia disperata contro i sentimenti che le sbattevano dentro. Ripetendole che era cattiva. Pianse, pensando all'espressione addolorata di Spike. Alla sua voglia di chiarire. Di parlare con lei. Di chiederle scusa. Quelle scuse che lei non voleva accettare. Senza un perche'. Eppure...eppure in quel momento chiuse gli occhi, conscia dello sguardo intenerito di Spike su di lei, sapendo che lui, Spike, non avrebbe dormito. L'avrebbe semplicemente fissata. E quella presenza accanto a se'...era rassicurante. Nonostante tutto quello che aveva detto, e nonostante tutto quello che non aveva detto...si', le faceva piacere sapere che c'era lui, a vegliare sui suoi sogni. Lui che non era la stessa persona che aveva tentato di violentarla. Lo sapeva. Ma...Dio, era tanto difficile ammetterlo? Si addormento', sapendo che Spike la guardava. Nel sonno!
 , le sembro' di sentire il tocco di un angelo, sulla sua guancia. Un tocco delicato, una carezza impalpabile come l'aria. Non duro' che un istante, quel timido tocco. Sorrise. Nel sonno, Buffy sorrise. Ripensando al tocco di un angelo...

Un angelo...era tutto quello che William aveva in mente in quel momento. Mentre guardava Cecily bere educatamente la sua piccola tazzina di teh, seduta nella veranda del suo giardino. La mattina era passata piu' in fretta di quanto s'aspettasse il giovane e, quasi senza accorgersene, erano arrivati nella sua bella villa, giusto in tempo per il teh delle cinque. Sedeva, William, su una sedia di ferro battuto, dalla spalliera finemente lavorata, con barre di ferro che parevano rappresentare un bellissimo fiore dai cinque petali. Davanti a lui, un bellissimo tavolino alto, con le gambe sempre lavorate in ferro battuto e il ripiano costituito da una finissima lastra di vetro circolare. V'erano due splendidi piattini di porcellana, appoggiati sul tavolino, piu' una penna ed un foglio cosparso di scritte nere e cancellature. William faceva del suo meglio per non rovesciarsi addosso la sua tazzina di teh bollente. Il che non era affatto facile, per lui, in quel momento, con gli occ!
 hi di Cecily puntati dritti nei suoi. Quelle labbra che aveva descritto minuziosamente in decine di poesie, leggermente piegate in un sorriso appena accennato che chiunque, tranne ser William Appleton, avrebbe trovato forzato e falso. Si era cambiata, lady Cecily. Ora portava un leggero vestito bianco, delicato e morbido, stretto in vita da una sottile striscia di lino azzurra. L'ampia e maliziosa scollatura metteva in risalto il generoso decollette e parte delle spalle. William si ritrovo' a guardare quel punto, quel punto in cui il collo si unisce e si fonde con le spalle. Quella curva delicata e marcata allo stesso tempo. Adorava quel punto, in Cecily. Adorava tutto di Cecily, ma quel punto particolarmente. Quel collo alto, quelle spalle larghe e aggraziate allo stesso tempo. Sudava, William, senza nemmeno rendersene conto. Teneva la sua tazzina di teh a mezz'aria, e guardava le spalle di Cecily. Gli occhi di Cecily. Le labbra di Cecily. E senti', come avvolto in una fit!
 ta nebbia, la risata della donna. Cristallina. La guardo', alz!
 ando imp
ercettibilmente un sopracciglio, il quale voleva essere una movenza sexy ed invece fu un goffo tremolio di sopracciglia. Cecily lo guardo'. Uno sguardo divertito con un che di dispettoso.
"Ser William...credo che stiate facendo freddare il vostro teh..."
Si divertiva da morire, Cecily, a mettere in difficolta' il povero giovane. Che si riscosse, come improvvisamente tornato da un mondo fatto di fantasie e sogni, e sorrise, avvampando.
"Certo...devo essere rimasto incantato dalla vostra b...bellezza, l-l-lady Cecily..."
Quel goffo tentativo di avances sbatte' con forza contro la risata di scherno della ragazza, infrangendo ancora una volta tutte le speranze di William. Abbasso' gli occhi, bevendo d'un fiato il contenuto della sua tazzina. E scoprendo che Cecily aveva ragione. Il teh era freddo. Produsse diverse inguardabili smorfie di disgusto, che fecero sorridere la donna. Il tipico sorriso di chi trova assolutamente ridicola la persona che ha davanti. Si sporse verso il ragazzo, Cecily.
"Vi sentite bene?"
William tossi' nuovamente, coprendosi la bocca con una mano. Quella ripugnante mistura d'acqua e teh decise finalmente di abbandonare la sua bocca. Si raddrizzo', tantando invano di ridarsi un contegno. Sorrise imbarazzato, cercando di controllare il rossore furibondo che gli inondava le guace e il folle tremito che gli scuoteva le mani. Appoggio' la tazzina sul piattino di porcellana. Miracolosamente, non cadde e non si rovescio'. Guardo' Cecily.
"Oh...oh, si'...tutto bene. Questo teh e' delizioso...ma freddo e' davvero terribile!"
"Davvero la pensate cosi', ser William? Io trovo invece che il teh freddo sia divino..."
Bene. La prima frase che gli riusciva di dire per intero, senza balbettare nemmeno una volta...e se ne usciva con un parere contrario a quello della sua Cecily. Oh, no. Non il possessivo, di nuovo...non usare il possessivo! Si impose di sorriderle come gli stava sorridendo lei. Si impose di levarsi dalla faccia quella espressione di muta disperazione. Si impose di pensare ad un qualche argomento di conversazione. Non banale e non stupido, possibilmente...
"Allora, lady Cecily...verrete al ballo, la prossima settimana?"
La donna sbatte' sorpresa le ciglia. William guardo' incantato quel movimento di totale smarrimento.
"Certo, mi avete invitata stamattina...ve lo ricordate, ser William?"
Che idiota, idiota, idiota!
"M-m-ma certo, Lady...era solo per...conferma..."
Cecily annui' distrattamente, spostando la sua attenzione al foglio su cui William teneva una mano, in un gesto prettamente possessivo. Era cosparso di indecifrabili segni di penna e cancellature da ogni parte. Se ne senti' attratta. Le era sempre piaciuto ficcare il naso negli affari degli altri. Con una mano tocco' il bordo del foglio, convinta che William glielo avrebbe lasciato senza protestare. Ma il ragazzo non lascio' la presa, limitandosi a fissarla, con una scintilla di preoccupazione a velargli gli occhi blu. Cecily aggrotto' le sopracciglia.
"Che cos'e'? Posso vedere?"
William tiro' il foglio verso di se', arrossendo.
"No! No. Non potete, mi dispiace..."
"Potete solo dirmi cos'e'? La bozza di un romanzo? Una lista? Pensieri proibiti?"
Il ragazzo abbasso' lo sguardo, sorridendo in imbarazzo.
"U-u-una...poesia...s-scrivo poesie..."
"Affascinante...e non potreste leggermela?"
William sorrise ancora, stavolta sforzandosi di guardarla negli occhi.
"Non e'...non e' ancora finita, Lady Cecily...ve la leggero' quando sara' finita..."
Cecily sbatte' maliziosamente le ciglia. Le piaceva, avere qualcuno da stuzzicare. Quel ragazzo era innamorato perso di lei. Se ne sarebbe accorto chiunque. Decise di giocare un po'. Solo un po'. Sorrise.
"Me lo promettete?"
William degludi'. Senti' la terra mancargli sotto i piedi. Il suo cuore intonava un walzer delle candele e le sue interiora ballavano. Si sentiva male ed allo stesso tempo sentiva di non essere mai stato meglio. Era forse tenerezza, quella che sentiva nella voce di Cecily?
Me lo promettete?
"Ve lo prometto...io...ve lo prometto, Cecily..."
A Cecily ricordo' piu' una promessa di matrimonio che altro. Per la miseria, le stava solo promettendo di leggerle una poesia, non le stava infilando un anello al dito! Eppure tremava e la sua voce era rotta e inferma. Le venne da ridere. Ma c'era la sua reputazione, prima di tutto. Tacque. Ripose la tazzina sul piattino di porcellana e tacque. Guardo' William, sforzandosi di sorridergli. Un attimo primo che lui avesse potuto dirle qualcosa, Lady Appleton fece irruzione nella veranda.
"Lady, dobbiamo andare, s'e' fatto tardi..."
Cecily annui' sorridendo. Guardo' William. La fronte imperlata di sudore e negli occhi una luce nuova. Speranza.
"Arrivederci, Ser William...ricordate la vostra promessa..."
William alzo' una mano. Sorrideva. Sembrava sfinito, come se avesse combattuto in prima linea durante una battaglia. In effetti, si sentiva piu' o meno cosi'.
"Non potrei mai dimenticarla...arrivederci, Lady Cecily..."

Poche ore dopo, c'era una luna stupenda, alta nel cielo scuro di Londra. Nuvole dalle splendide sfumature violette la circondano, e sembrano mani protese verso il suo argenteo splendore, nel tentativo vano di catturarla. Perla di rara bellezza. La luna. Avvolta nel suo pallido fulgore. Raggi chiari avvolgono la citta', mentre ombre scure s'arrampicano silenziose su per i muri e nelle stradine ombrose. Le ombre di Londra. Le insidie che questa bella citta' nasconde. Ombre oscure. Sfiorate appena dai flebili raggi bianchi della luna. Cosi' tenui che sembrano fatti di sogni. Cosi' veri che sembra di poterli toccare. E tessono una sottile, una delicata tela di luce. Presto offuscata dalle ombre. Nella notte stanca di Londra. Nei vicoli malfamati e nelle stradine di lusso. Non importa dove sei. Le ombre strisciano e ti trovano sempre. Quando il sole riposa esausto al di la' del mare, e la luna rifulge alta nel cielo, circondata dalle sue mille dame. Le stelle. Come diamanti. Come!
  lanterne, promessa di luce, che rischiarano il buio della notte. Come via di sogno e perdizione. Come piccole, delicate danzatrici, che ballano nel cielo le loro musiche mute. Con movimenti cosi' delicati da sembrare solo flebili scintillii. Stelle. Riposano, nella notte di Londra, quando per le strade e nelle case non c'e' nulla da vedere. E si destano, d'un tratto. Hanno sentito. Quel rumore, quell'affannoso andirivieni all'interno di una bettola. Al secondo piano, prima stanza a destra. E le stelle si voltano. E s'affacciano curiose alla finestra di quella stanza, ormai lasciata aperta, a far filtrare la seppur debole luce della luna...
Buffy andava freneticamente su e giu' per la stanza. Non ce la faceva, si sentiva in gabbia. Anche se era in un tempo che non le apparteneva, sentiva irresistibile il richiamo della notte. Come se la luna, li' fuori, le strillasse di uscire, di venire fuori a bearsi della sua chiara luce. Come se fosse la luna, a volerla. Come se tutta se' stessa fosse irrimediabilmente attratta da quelle tenebre striscianti e in un certo qual modo irresistibili. Niente piu' nebbia, fuori. Solo vento da nord. Lui non dorme. Soffia leggero, sussurrando tenui melodie. Portandosi dietro il profumo di chi ha gia' vissuto. Di chi e' uscito di giorno, ed ha impregnato quel vento di quel sapore. Il sapore delle persone vive. Del sole. Delle persone che vivono il giorno e non hanno la pretesa di stare svegli la notte. Le persone normali. Quello era il profumo che il vento le portava. E poi...e poi c'era il solito tanfo di morte che sembra ormai un tutt'uno con la notte, e l'odore inconfondibile dell!
 e tenebre nere e delle ombre che le abitano. Le ombre di Londra. Come le ombre di Sunnydale. Guardo' Spike, fermandosi per un attimo. Dormiva. Non ce l'aveva fatta. Stava disteso supino, con uno stanco sorriso sulle labbra sottili. Sembrava cosi'...cosi' vivo...innocente. Come un ragazzo qualunque. Avvolto nel suo spolverino. Con un braccio ancora abbracciato al suo cuscino. Al cuscino di Buffy. S'era svegliata cosi', lei. Con quelle sensazione di essere al sicuro. Di essere protetta. Aveva sorriso, ancora insonnolita, senza aprire gli occhi. L'aveva visto, quando s'era alzata. Quel braccio allungato verso di lei, senza pretendere niente. Disteso ad una spanna dalla sua testa, ma senza toccarla. In un gesto protettivo. Non possessivo. Non le stava circondando la vita con le braccia, o mettendo un braccio dietro la testa. Semplicemente, le sfiorava i capelli. Sfiorava. E aveva sorriso. Buffy. Aveva sorriso. Cercando di scacciare quell'iltima traccia dell'incubo di quella mat!
 tina. Ma lui restava li'. L'incubo. E quella paura di essere n!
 uovament
e delusa. Nuovamente tradita. Non voleva. Forse, in fondo, avrebbero dovuto parlarne. Ma non ora. Non ora. Ora doveva uscire, o sarebbe impazzita. Prese lo scialle azzurro, sistemandoselo sulle spalle. Faceva freddo, nella notte di Londra. Terribilmente freddo. Si strinse nello scialle, e si avvio' verso la porta. Non voleva svegliarlo. Non voleva affrontarlo.
"Dove stai andando?"
Come non detto...Buffy sbuffo', girandosi. L'espressione intenerita che aveva avuto quando si era svegliata non c'era piu'. Non doveva vederla intenerita. Davvero no. Incrocio' lo sguardo insonnolito di Spike.
"Io...non ce la faccio a stare qui...e' notte..."
Spike non disse una parola. Si alzo'. Si passo' una mano tra i capelli ossigenati e la guardo'. Uno sguardo che non ammetteva repliche.
"Bene. Vengo con te..."
Sembrava avesse completamente dimenticato la loro conversazione di poco prima. E Buffy si senti' ardere di rabbia. Penso' che non gliene fregava niente, della loro discussione. Faccenda archiviata, secondo lui. Avrebbe voluto soltanto che riprendesse quel discorso. Voleva sentirgli chiedere scusa con quel tono intimorito, cosi' dolce...avrebbe voluto avere l'opportunita' di dirgli che forse poteva fare qualcosa per riconquistare la sua fiducia. Anche se non sapeva cosa. Avrebbe voluto dirgli che era contenta di non dover uscire da sola. Solo, non lo disse.
"Fa' come vuoi"
Con quel suo tono gelido. Che avrebbe provocato un brivido a chiunque. Ma non a Spike. Per lui, quello era il tono normale. Si preoccupava molto di piu' quando lei gli parlava dolcemente. Quello si', era preoccupante. Fece, quindi, come voleva. Si strinse nello spolverino, e ando' ad aprirle la porta. Buffy lo guardo' gelidamente, ed usci'. Spike richiuse la porta dietro di loro. Una volta fuori dalla bettola, camminarono fianco a fianco, in silenzio per un lungo tratto. Palazzi vecchi e nuovi sfilavano accanto a loro, nella loro maestosa e cadente grandezza. Qualche carrozza passo' loro accanto, con le tendine tirate e l'aria funerea. Solo il cielo restava sempre uguale. Lo stesso spettacolo infinito. Spike guardava la luna. Buffy guardava la luna. Ma non lo avrebbero mai ammesso. Di star guardando la luna insieme.
"Allora, cacciatrice, dove stiamo andando?"
Lei smise per un attimo di fissare la volta nera del cielo. Guardo' la strada dinanzi a se'. Un incrocio, qualche casa cadente, una vecchia villa. E poi, per un brevissimo istante, incontro' gli occhi di Spike. Sorrise. Un sorriso orgoglioso. Un sorriso triste e rassegnato.
"A fare la ronda..."

"Mi sto annoiando..."
Ancora notte. Ancora Londra. Ancora vento del nord che spazza le strade ed entra dalle finestre aperte e scivola sulla pelle. Pelle che rabbrividisce. Un uomo, seduto su una vecchia sedia a dondolo. Sembra aspettare che caschi il mondo. Imperturbabile, nella sua immobilita'. Se ne sta li', fermo. E aspetta. Le stelle luccicano. E lui aspetta. La luna splende. E lui aspetta. Il volto di pietra rivolto verso la finestra aperta. Le tende che danzano leggere nella brezza. Il vento del nord che gli sciabola la faccia. Gli scompiglia divertito i capelli neri. Sorride, quell'uomo. Bianco scintillante, nel nero della notte. Un lampo bianco. Che non e' che una frazione di secondo. Per poi tornare fredda immobilita', come una statua d'ebano e avorio.
Ci sono occhi violetti, in quella stanza. Giocano a nascondino con i fantasmi e con i profumi che il vento del nord le ha portato. Alza gli occhi al cielo, quella donna con i lampi violetti negli occhi, e fissa le stelle, sorridendo beata. Il largo vestito lavanda le si increspa e si gonfia, sospinto dal vento. I capelli giocano con l'aria fredda della notte. Capelli neri. Gonfi boccoli neri. Sembra una bambola di porcellana, a contemplare quelle stelle. Drusilla. Sembra una dolce, innocente bambola di porcellana. Delicata e leggera. Con i boccoli neri ed i lampi violetti negli occhi. Che guarda le stelle, con uno sguardo attento e lieve, come se volesse accarezzarle con gli occhi, quelle stelle, e temesse di romperle. Mentre profumi e visioni danzano dolcemente nella sua mente, alzando spirali di polvere dorata. Si sente bene, Drusilla, in quella notte. Si sente bene. Nera e terribile, eppure spaventata e dolce, come solo la notte puo' essere. E lei e' cosi'. Lei che si las!
 cia cullare dalle braccia della luna, ascoltando le dolci melodie delle stelle, osservando rapita la loro danza. Bruciano, le stelle. Come fiaccole d'eterno splendore, bruciano. Fuoco. Su, nel cielo nero. Tra nuvole impalpabili come seta e alone argenteo di luna. Luna piena, quella notte, magnetica come gli occhi di una donna. Che chiama i suoi figli. Che urla e prega affinche' escano. Per celebrare quei falo' di stelle e quello splendore e quella terrificante bellezza che solo la notte ha.
Appare lei, come un fantasma. Fantasma dai passi impalpabili. Muti e irreali come incubi. Pelle bianca che sfiora appena il pavimento. Occhi come laghi ghiacciati che si fermano a contemplare la bellezza della notte. Madre notte. Splendore eterno del buio piu' cupo, e' la notte. E Darla gli si avvicina, a quell'irreale splendore. Sorridendo. Si lascia accarezzare dal vento come fosse il piu' esperto degli amanti. Sente i capelli sfiorarle leggeri il viso, in una carezza dolce. Fissa la luna negli occhi, e sembra mormorarle un saluto. Come la figlia che saluti la madre. Si affianca a Drusilla, che ride, guardando le stelle come se non le avesse mai viste. Come una dolce bambina. Si ferma, Darla. Bacia sulle guance quella ragazza che sembra una bambola di porcellana, e le sfiora delicata le labbra, come se temesse di romperla. Drusilla le sorride, un sorriso che e' un frammento di stella finito sul suo viso, e parla. Con quell'entusiasmo che e' unico come i lampi violetti che !
 ha negli occhi.
"Sto dando un nome a tutte le stelle...guardale, le stelle... ed io le chiamo per nome..."
Anche Angelus si volta. Aspetta ancora, ma si volta, rompendo quell'immobile attesa. Guarda Drusilla, poi Darla. C'e' quieta attesa, sul suo volto. Volge quello sguardo duro sulle stelle. Quelle stelle a cui Drusilla sta dando un nome. Drusilla che si volta impaurita e delusa verso Darla, abbracciandola. In una parodia di madre e figlia.
"C'e' confusione...ho dato a tutte le stesso nome, e adesso c'e' tanta confusione..."
Darla le accarezza i capelli, emettendo bassi ringhi che sembrano avere il potere di calmare quella bambina spaventata che le si stringe contro. Alza gli occhi su Angelus, Drusilla. Ride. Ed e' una risata che non e' di questo mondo, ne' dell'altro. E' quella risata che solo lei ha. Lei che fonde due mondi dentro se' stessa.
"La notte e' intossicata...la notte piange...perche'...c'e' lei..."
Darla le prende il viso tra le mani.
"Chi c'e', Dru? Chi c'e'?"
Drusilla si libera dalla stretta di Darla. Gira su se' stessa diverse volte, mentre il vestito le si gonfia e si alza, e poi ricade morbido sui fianchi. E lei si prende il viso tra le mani. E tra quelle fessure, si vedono terribili lampi violetti.
"La cacciatrice...e' ovunque...fa piangere la notte...le stelle sanguinano...sangue..."
Angelus alzo' gli occhi al cielo, maledicendosi per aver creato un cosi' criptico oracolo. Cosa le ci voleva per farla parlare normalmente?
"Drusilla, non puo' esserci una cacciatrice, a Londra..."
Drusilla si porto' un dito alla bocca, facendogli cenno di tacere. Darla aspiro' profondamente l'aria fredda della notte. Fremette.
"Ha ragione...c'e' una cacciatrice in citta'..."
Angelus si alzo'. Aveva smesso di attendere. Sorrise. Un sorriso scintillante e cattivo. Un ghigno malefico. Afferro' Darla e Drusilla per la vita, stringendole contro di se'. Alzo' un'ultima volta gli occhi alla volta scura del cielo.
"Chi ha voglia di sangue di Cacciatrice? Dovremmo darle il benvenuto...altrimenti pensera che siamo maleducati..."
Drusilla batte' divertita le mani, come una bambina a cui avessero promesso una bambola nuova. Darla accarezzo' lentamente il petto di Angelus, mordicchiandogli il collo. Ringhiando. Terribili e minacciosi ringhi. Tre terribili e minacciosi ringhi, li', nella notte, a rompere il silenzio e l'immobilita'. Tre ringhi persi nel vento, sicura promessa di morte. Il vento freddo del nord che continua imperturbabile la sua corsa, portandosi dietro tanfo di morte e tre minacciosi ringhi...

"Cosa??"
Una strada ampia e ben battuta, quasi nel centro di Londra. Villette di ricchi borghesi sfilano una accanto all'altra, osservando il curioso passaggio di un uomo avvolto in uno spolverino di pelle nero e di una donna in abito da passeggio bianco. Qualche passante passa loro accanto, gettando appena una scettica occhiata. Carrozze dall'aria funerea continuano a marciare verso mete a loro ignote. Una frase ronza insistente nelle orecchie di Spike.
Andiamo a fare la ronda...
La sua sopresa. Che vuol dire? Non puo' star dicendo sul serio! Non la ronda anche li'.
"Hai sentito Spike..."
La ragazza continua imperturbabile la sua passeggiata, nascondendo un paletto di legno rimediato li' per li' tra le pieghe della gonna. Come un'ingenua ragazzina qualunque. Spike resta indietro per un attimo. La osserva. Starebbe li' ad osservarla per sempre. Ad ascoltare l'ondeggiare frusciante del suo vestito bianco. Sorride. Un sorriso che non sa di avere. Non se ne accorge nemmeno, di stare sorridendo. Lo fa e basta. Corre, per raggiungerla. Si stampa un'espressione scocciata sulla faccia. La affianca, guardandola insistentemente. Finche' lei non si gira, con quel broncio sulle labbra...
"Che c'e'?"
"Come che c'e'? Starai scherzando! Non puoi andare a fare la ronda!"
"Perche' no?"
Lo lascio' li', a pensare ad un perche'.
"Perche'...tu non esisti, in questo tempo!"
Fece spallucce, Buffy, continuando imperterrita a camminare. Lanciando brevi occhiate in ogni anfratto, in ogni vicolo.
"Devo farlo, e' piu' forte di me!"
"Oh, per favore!"
Si fermo', finalmente. Si giro' verso Spike, guardandolo dritto negli occhi. Abbastanza freddamente.
"Se non ti sta bene, torna alla bettola...nessuno ti ha chiesto di venire, mi pare..."
Spike abbasso' gli occhi per un istante. quando li rialzo', dentro vi brillava una nota di divertimento.
"E abbandonare la dama in pericolo? No, nemmeno per idea! Pero', Londra e' una bella citta', e il tempo si puo' passare in modi diversi che uccidere vampiri, sai? Si potrebbe andare ad una festa, o in un locale o a passeggiare facendoci gli affari nostri...non sarebbe una cattiva idea, passerotto...rilassati, non siamo a Sunnydale..."
Buffy lo guardo' per un attimo, stringendo gli occhi finche' non le diventarono due fessure. Poi si volto', riprendendo a camminare.
"Mi dispiace, e'...come un richiamo, un richiamo che non riesco ad ignorare...sono comunque la cacciatrice. E stasera sento che succedera' qualcosa..."
Spike alzo' gli occhi al cielo.
"Certo, succedera' che le stelle brillano, la luna splende ed i vampiri mangiano, come tutte le notti! Ed io moriro' di noia...va beh, dai...andiamo..."
Si incammino' dietro Buffy. Stettero in silenzio. Un silenzio carico di parole, come se avessero avuto decine di cose da dirsi e non sapessero da dove cominciare...ne' se c'era un punto dal quale partire. Ne' se c'era realmente qualcosa da dire. Camminavano fianco a fianco, con lo stesso ritmo, pensando. Guardandosi di sottecchi, stando bene attenti a non farsi scoprire. Sorridendo mestamente, senza accorgersene. Riflettendo. Spike penso' a quello che gli aveva detto Dawn. Al fatto che aveva una seconda possibilita'. Poteva cambiare il suo passato. Avere una vita normale, offrirne una a Buffy. Risparmiarle sofferenze e patimenti. Risparmiarle la morte e il ricordo del Paradiso. Risparmiarle la certezza di vivere all'inferno, e tutti i segreti della sua vita da cacciatrice e la convinzione che ogni notte potrebbe essere l'ultima. Maledizione, avrebbe dovuto dirglielo! Si chiese cosa volesse, realmente, lui. Continuare a vivere, forse. Essere felice con quel poco che aveva, ve!
 dere se sarebbe mai riuscito a combinare qualcosa nella vita, sposarsi, magari, e diventare padre. Non c'aveva mai pensato. Forse perche' non pensarci, ora che non poteva piu' avere tutto questo, faceva meno male. Ignorare i problemi, faceva meno male. Ripenso' a Cecily. Alle sue poesie. A sua madre. Alle giornate passate a passeggiare per le stradine di Londra, sotto il sole...ah, certo, il sole. Anche quello sarebbe rientrato a far parte della sua vita. Quella sensazione di calore. La luce sulla faccia. Dormire la notte e vivere di giorno. Senza Buffy. Ed era questo, piu' di ogni altra cosa, che non voleva. Per quanto fosse terribile e cattiva, a volte, lei restava comunque il centro del suo universo. La sola cosa per cui valesse la pena soffrire come lui soffriva, vivere come lui viveva. E dimenticare il sole e l'azzurro del cielo e i colori accesi del tramonto, quelli delicati di un fiore al mattino. Ripenso' per un attimo alla sofferenza atroce che gli procurava quell'!
 anima, quel dono che lei non aveva voluto apprezzare. Che non !
 aveva vo
luto capire. A tutte le colpe. Tutto il male che aveva fatto. Quando sarebbe tornato a Sunnydale, nel duemila, sarebbe tornato tutto. Era qualcosa che avrebbe potuto sopportare? Per Buffy, per se' stesso, sarebbe riuscito a superare tutto quel dolore, e quelle grida, e quel sangue? Dio, non lo sapeva. Chiuse gli occhi, ricacciando i dubbi e i deliri dell'anima in un angolino buio della sua mente. Guardo' Buffy, che girava inquieta gli occhi, osservando tutti quegli oscuri vicoletti che le passavano accanto, e col loro buio la chiamavano. Un passante in abito grigio stava venendo loro incontro. Guardava la strada, senza curarsi di quella donna bellissima e dell'uomo curioso che l'accompagnava. Spike sospiro'.
"Visto? Non c'e' niente, cacciatrice..."
In quell'istante, mentre l'uomo in completo grigio passava accanto alla ragazza, Spike vide muoversi fulmineamente la mano di lei, ed il tizio compito ed elegante diventare polvere, d'un botto. Guardo' Buffy, sorpreso. Stringeva ancora il paletto nella mano destra, mentre con l'altra si spolverava l'abito con noncuranza. Lei non seppe trattenere un sorriso orgoglioso.
"Niente, eh?"
Lui sbatte' le ciglia piu' volte, spaesato dalla rapidita' e dall'intuizione della sua accompagnatrice.
"Ma...per l'inferno maledetto, cacciatrice, come hai fatto??...io...non me n'ero accorto!"
"Beh, se invece di brontolare fossi stato attento, avresti notato che orologio da taschino portava quell'uomo..."
Spike sorrise divertito.
"Orologio da taschino?"
Lei riprese a camminare, parlandogli mentre procedeva spedita verso un vicolo piu' scuro degli altri.
"Esatto, l'orologio da taschino...era cosi' brutto e vecchio che solo uno che e' stato sottoterra per anni, avrebbe potuto portarlo senza desiderare che gli si aprisse la terra sotto i piedi..."
Spike rise. Se ne stava in mezzo alla strada, piegato in due dalle risate. Buffy si giro' a guardarlo, fingendosi offesa.
"Oddio, oddio, scusami! Davvero, un metodo infallibile!! E, sentiamo, hai intenzione di polverizzare tutti gli uomini datati di Londra? Oddio, e' troppo divertente!"
Lei si porto' le mani sui fianchi, piegando la testa di lato, guardandolo omicida, finche' lui non riusci' a raddrizzarsi, sghignazzando fra i denti.
"Scusa...pero', devi ammetterlo, non e' il metodo piu' sicuro del mondo...oddio...ok, ok, la smetto! Andiamo...prima che ricominci a ridere, perche' se no non la smetto piu'..."
Buffy agito' il paletto che stringeva nella destra, ridendo suo malgrado.
"Se ridi ancora, giuro che ci penso io a fermarti!"
Risero ancora per qualche minuto, guardandosi. Poi, mentre lui stava ancora riprendendo fiato, anche senza averne realmente bisogno, lei si giro', volendo riprendere a camminare. Aveva fatto appena pochi passi verso un vicolo, quando senti' l'aria attorno a lei vibrare ed un pugnale passarle a pochi centimetri dall'orecchio sinistro, andando a cadere accanto a Spike, che si volto' verso la ragazza, sorpreso. Buffy respiro' profondamente, guardandosi intorno, scossa. Tre figure emersero dal buio del vicolo. Un uomo dagli occhi di pietra nera e due donne, una bionda, l'altra bruna. Dolorosamente, Buffy riconobbe il ridente trio. Senti' un gemito alle sue spalle, e seppe che anche Spike aveva visto. L'uomo in mezzo alle due donne batte' sulla mano destra una lunga spada argentata che riluceva nella luce debole della luna.
"Salve a te, cacciatrice...benvenuta a Londra..."

Capitolo V - Old Wounds

<Passion. It lies in all of us...>
Buffy restava ferma. Non un muscolo le si muoveva. Anche se a lei sembrava di essere lacerata. Sentiva ogni vecchia ferita riaprirsi. Sentiva tutto il dolore. Rivedeva tutto il sangue, e la disperazione. Rivedeva Jenny Calendar, e la sua morte. Il dolore terribile, il dolore rabbioso, il dolore suicida di Giles. Il suo compleanno. Il diciassettesimo. Quella notte. Il giorno dopo. Sangue riprese a scorrere dalle sue ferite, quelle ferite che credeva si fossero finalmente rimarginate. La mano cedette. Il paletto le sfuggi' dalle dita inermi, schiantandosi con un secco tonfo sul lastricato. Angelus. E Darla. E Drusilla. A Londra. Nel milleottocentottanta. Angelus. Crudele e sanguinario. Il demone dell'uomo che aveva amato con tutta se' stessa. Quel volto stravolto dall'odio, e dal sangue, e dalla notte. Il volto dolce, sfigurato dai lineamenti di un mostro. Che la fissava. Divertito. Eccitato dal suo sangue. Il sangue della cacciatrice. Il sangue di Buffy. Buffy che vide quella!
  maschera di livido odio contrarsi, in quello che voleva essere un sorriso. Che osservo' quelle labbra incresparsi, labbra livide, in un sorriso che sapeva solo di morte. E ancora orrore. Ed altra morte. No...senti' le gambe mancargli. Ma non cadde. Non poteva permetterselo. Non adesso. Per favore...
<...Sleeping...>
Spike se ne stava piegato su se' stesso, incapace di fare anche il piu' semplice dei movimenti. La sua vecchia famiglia, era tutta li'. Riunita. C'era Angelus, nella sua rabbiosa superiorita', col suo sorriso beffardo sulle labbra, a volersi prendere gioco di quella ragazza dal candido vestito bianco. C'era Darla, l'inizio della storia, la creatrice di quel quartetto che sarebbero stati. Darla. Che si strusciava vogliosa contro Angelus e contraeva il bel viso in orribili smorfie. Che mostrava quei suoi affilati denti verso la cacciatrice, e ringhiava. E poi...c'era Drusilla. Avvolta nel suo vestitino lavanda, senza cappotto ne' scialle nonostante facesse freddo da gelarti le ossa. Con i capelli sciolti che ondeggiavano nel vento che sempre spirava da nord. Quegli occhi che nemmeno nel suo volto da vampira, con i linementi contratti e distorti, perdevano quel magnetismo che solo lei aveva, quegli occhi da gatta con i lampi violetti dentro. Quegli occhi che sembrano leggerti l!
 'anima, ed ipnotizzarti, cosi', con un solo sguardo. La sua Sire...oddio...non voleva affrontarla...sapeva che lei, Drusilla, avrebbe compreso tutto, se solo lui l'avesse sfiorata. Sapeva di non poter ucciderla. Sapeva di non voler ucciderla. Nonostante fosse una vampira, nonostante sarebbe stata il flagello dell'Europa, nonostante da lei avesse avuto inizio la sua lenta e irrefrenabile discesa verso l'abisso del nulla, sapeva di non voler, ne' di poter ucciderla. Era qualcosa che trascendeva dalla sua anima. Non poteva. In verita', in quel momento, sentiva di non potersi nemmeno alzare. Vide Buffy tremare. Vide il paletto scivolarle dalle dita come se fossero state fatte di burro. E seppe che si sarebbe alzato e che, al diavolo Drusilla, Angelus e Darla ed il suo destino, se avessero anche solo sfiorato Buffy, li avrebbe uccisi tutti e tre all'istante. Sapeva di poterlo fare. E, al diavolo tutto, se avessero fatto del male alla sua Buffy, l'avrebbero pagata. Con gli intere!
 ssi e tutto il resto...si alzo', avviandosi lentamente verso B!
 uffy...
<...Waiting...>
Angelus guardo' la cacciatrice. La nuova cacciatrice giunta a Londra da chissa' dove, per chissa' quale motivo. La guardo'. Guardo' il suo corpicino minuto e tremante, avvolto in quel leggero vestito bianco, illuminata dalla luna, e gli parve un angelo. Chiuse gli occhi, sorridendo beffardo, per scacciare quello scomodo pensiero. Li riapri'. Si posarono, come se avessero avuto volonta' propria, negli occhi chiari della ragazza. Umidi di lacrime alle quali Angelus non sapeva dare una spiegazione. Paura? Ma quella ragazza non sembrava affatto spaventata. Non da loro. C'era qualcosa...qualcosa di simile al ricordo, nei suoi occhi. Nei quali, anche a quella distanza, riusciva a vedere riflessi i suoi contorti linamenti, e quel sorrisetto che gli increspava le labbra. Vide il paletto di quella ragazza scivolarle di mano. Se era una tattica per spiazzarli, funzionava alla perfezione. Vide Drusilla e Darla sbattere sorprese le ciglia. La spada che teneva tra le mani ricadde lungo i!
 l suo fianco, sfiorando il lastrico freddo con la punta. La roteo' piu' volte, ascoltando in estasi il rumore stridente che produceva. Assaporando fino in fondo l'aria della notte, satura di dolore. Il dolore di quella ragazza. Ed Angelus si chiese il perche'. Per poi pensare, subito dopo, che non gli interessava. Il perche'. Non era un suo problema, il dolore di quella cacciatrice.
Lui voleva il suo sangue...e l'avrebbe avuto...
<...And Though unwanted, it will stir...open its jaws, and howl...>
Drusilla osservava. Stava ferma, ringhiando sommessamente. E osservava. Con quei suoi occhi che trapassavano carne e sangue. E giungevano dritti nell'anima, come se fosse stata un libro da leggere e capire. No. Non da capire. Solo da leggere, sfogliare a caso quelle pagine di vita vissuta. Sapere. Pur senza capire. Pur senza interpretare le frasi contorte che le uscivano in una sommessa melodia dalle labbra. Non le interessava capire fino in fondo. Ascolto' rapita la melodia tintinnante che aleggiava nell'aria, attorno a lei. Le parlava di quella ragazza. Ascolto' piu' attentamente. E senti' anche del ragazzo che l'accompagnava. Erano violini, ed arpe e flauti, ad intrecciare soavi la melodia dell'anima. Perche' lei potesse ascoltarla, e scioglierla come su un pentagramma, riportando le note e le pause e gli intrecci musicali, dando un senso a quel componimento che fluiva melodioso e malinconico da due esseri umani. Ed ecco...ecco che si percepisce quella minuscola incrinatu!
 ra in quella dolcissima melodia...ecco che c'e', quella piccola rottura di ritmo, quella nota stonata che rompe l'armonia del tutto. Ed allora, Drusilla sa. Nell'aria della notte, il vento del nord le porta anche questo. E Drusilla sa. Che l'uomo dietro la cacciatrice, seppur un'anima fluisce da quel corpo e si confonde con il vento e le arriva melodiosa, e' un vampiro. E c'e' sorpresa, una sopresa che si confonde con i lampi violetti dei suoi occhi. E poi...un'altra, impercettibile storpiatura, nel suono che le arriva dolce e malinconico alle orecchie...e la certezza, quasi folgorante, che non appartiene, quella melodia, a quel mondo...
"La canzone e' sbagliata...voi non dovreste essere qui...siete sbagliati..."
<...It speakes to us...guides us. Passion rules us all...and we obey...what other choice do we have?>
Buffy e Spike si fissano, occhi negli occhi, per un solo istante. Basta cosi' poco, a Drusilla, per capire. Perche' lei e' Drusilla. Quella ragazza, quella vampira, che non usa gli occhi, per guardare, ma il cuore, e riesce a vedere cio' che gli altri non potrebbero nemmeno immaginare. Buffy vede Angelus guardare Drusilla, aggrottando la fronte. Lui non avrebbe mai capito, il senso delle parole della sua veggente. Ma loro, Spike e Buffy, sapevano. Lei aveva capito tutto. Eppure era come avere sussurrato un segreto al vento...l'hanno tutti a portata di mano, se solo sapessero ascoltare davvero...se solo potessero vedere il vento recare dolcemente quel segreto tra le braccia...ma con Angelus e Darla non c'era questo pericolo. Il vento a cui avevano sussurrato inconsciamente il loro segreto, quel vento dagli occhi violetti, non avrebbe mai tradito quel tacito accordo che v'era tra le due fazioni. Nessuno avrebbe mai conosciuto il significato reale delle parole di Drusilla.
<Passion is the source of our finest moment...>
Paura, passa in un attimo.
Attraversa tutti, per un istante cosi' infinitesimale e veloce che nessuno sembra farci niente. Ma quel lampo scuro di paura passa negli occhi di tutti...
<The joy of love...>
E c'e' solo il vento del nord, tra di loro, come un abisso incolmabile. E nessuno li passa, quei pochi metri che li separano. Ma si scrutano, e si studiano, e si combattono a colpi di pensieri e parole sussurrate al vento, ed emozioni che passano come minuscoli flash. In tutti quegli occhi. Buffy e Spike. Da una parte...
<...The clarity of hatred...>
Angelus, Darla e Drusilla, dall'altra. Come pedine mosse lentamente da una mano invisibile, una potenza superiore a quella che loro possono solo immaginare. La spada di Angelus di alza piano...luccica argentea, nel chiarore pallido della luna...luna che si specchia sul metallo di quell'arma come il volto di un morto...
<...And the ecstasy of grief...it hurts sometime more than we can bear.>
Solo un passo, a rompere quella straordinaria immobilita', come perfezione che va in pezzi, e diventa movimento, e pensiero giunto al limite. Quando non c'e' proprio piu' niente a cui pensare, e si puo' solo passare all'azione...ed e' solo un passo. Di Angelus. Spada in pugno, puntata contro il petto della cacciatrice. Che fiera, sebbene lacrime di ricordi dolorosi e ferite mai richiuse le invadano i pensieri, va incontro a quell'uomo, quel demone. E Spike le e' dietro, come sempre...
<If we could live without Passion, maybe we'd know some kind of peace. But we would be hollow...empty rooms, shuttered and dark...>
Passi che risuonano nel buio, e si perdono, portati via da quel capriccioso vento del nord che sembra essere parte inscindibile della stessa notte...passione che parte dal profondo dell'anima e sembra propagarsi, simile a coraggio, per tutto il corpo. Passione. Dolorosa ed indesiderata. Ma passione...senza la quale, Buffy lo sa, come lo sanno tutti gli altri, non sarebbe altro che...no. Non sarebbe niente...
<Without passion...we'd be truly dead.>

Ed eccoli, come guidati da una forza mistica, superiore, avanzano lentamente, venendosi incontro, col fuoco negli occhi ed il ghiaccio nell'anima. E non e' piu' il momento per pensare, per riflettere, per sentire dolore. E' il momento dell'azione. Quando non puoi fare altro che combattere. Uccidere, o essere uccisa. Buffy sente il cuore rimbombarle nelle tempie, e sa che non c'e' niente da fare, non si puo' rimandare, non si puo' evitare. Vogliono darle il benvenuto e l'addio contemporaneamente. E' il suo sangue, che vogliono, quei mostri che le stanno davanti, ringhiando come bestie, contorcendosi ed avanzando nel buio della notte. Il suo sangue, vogliono. Bene. Che vengano a prenderselo. Sempre piu' vicini, mentre il vento soffia e la luna osserva. Piu' vicini, mentre le stelle sbirciano ed il cielo scende piu' giu' per assistere. E sarebbe lo scontro finale, ancor prima che sia tutto cominciato, ancor prima che il destino abbia fatto il suo giro e la vita il suo corso. Co!
 me deviare irreparabilmente un fiume ancor prima che l'acqua sia sgorgata dalla sorgente. Come tentare di tagliare il tronco di un albero del quale si e' appena piantato il seme. E sarebbe la battaglia finale, quella, ancor prima che sia tutto cominciato. Ma come si puo' finire qualcosa che non e' ancora partito? Intaccare quel meccanismo perfetto, quell'orologio immaginario che gira e gira, mentre noi restiamo passivi a guardare ogni cosa fare il suo corso e passare? 
E forse proprio a questo pensava Buffy, quando si volto', presa da chissa' quali paure, o chissa' quali ricordi, o per semplice e pura pazzia o lucidita' che dir si voglia. Si volto', dunque, e corse a perdifiato. Nella direzione opposta a quella che avrebbe dovuto percorrere. Corse a perdifiato, senza voltarsi. Col vento in faccia e la terra che le tremava sotto i piedi. Corse senza voltarsi e senza fermarsi, perche' se si fosse voltata o fermata non avrebbe piu' potuto continuare...
Spike guardo' quella ragazza voltarsi, di scatto, senza un perche' apparente, senza motivo, e correre via. Rimase inebetito, shoccato, per un solo istante, conscio degli sguardi sorpresi dei tre vampiri, di fronte a lui, a soli pochi passi. Un colpo di spada, niente di piu'. ma Angelus, e Darla, e Drusilla, sembravano scossi e sorpresi quanto lui, troppo per tentare anche solo di colpirlo. E si volto' anche lui, correndo a perdifiato dietro la sua cacciatrice, a quella bambina attanagliata dai ricordi che correva, e correva, e correva. E che avrebbe corso fino a che qualcuno non l'avesse fermata. Senti' l'improvvisa risata di scherno di Angelus, portatagli dal vento come un'eco lontana, e senti' rabbia sorda montargli dietro, gridandogli con la voce del suo demone di tornare indietro. Ma...semplicemente, sapeva di non poterlo fare.
"Cacciatrice! Tutta qui, la tua forza, la tua superiorita'? Scappi? Ti nascondi? Ti troveremo...ed allora non ci sara' alcuna corsa, a salvarti..."
E Spike correva, mentre nel vento del nord risuonava macabra e minacciosa la risata di Angelus, e tutto aveva l'odore nauseabondo di Angelus, attorno a lui. Come se fosse ovunque. Vide la sagoma bianca di Buffy stagliarsi davanti a lui, mentre correva piu' veloce che poteva, e non si fermava mai...mai...si sforzo', e nonostante le gambe gia' dolessero, corse piu' veloce. E, inaspettatamente, pochi secondi dopo affiancava quella ragazza che sembrava un missile fuori controllo. La affianco', e, senza che lei nemmeno s'accorgesse della sua vicinanza, le afferro' un braccio, bloccando quella folle corsa.
"Fermati!"
Si blocco' di colpo, Buffy, con la testa bassa, nascosta da un sipario di riccioli biondi. Ansimava. Spike le sposto' con una mano una ciocca dal viso, scoprendole il volto, rigato di lacrime che brillavano, nella luna, come gocce di diamanti...lei tenne gli occhi bassi, troppo imbarazzata per incrociare lo sguardo di lui.
"Mi dispiace...non ce l'ho fatta...sembrava facile...sembrava tutto cosi' facile...ma non ce l'ho fatta..."
La voce le si spezzo' in un singhiozzo. Incapace di fare altro, si rifugio' tra le braccia di Spike, bagnando la maglietta nera del vampiro con le sue lacrime. Tentava di parlare. E non ce la faceva. Non le potevano chiedere di affrontare di nuovo Angelus, e tutto il suo odio cieco, tutto il suo disprezzo per tutto al di fuori di se' stesso, tutto quel dolore mutato in furia dalla necessita'. Aveva pensato di potercela fare...ma di fronte a lui, incrociando il suo sguardo rabbioso, aveva sentito riaprirsi con forza, come uno strappo, tutte le sue vecchie ferite. Tutto il suo vecchio dolore. Ed era come nuovo. Come se tutto fosse successo ieri. Non aveva retto. Non era minimamente preparata. E la parte di lei, quel piccolo angolino del suo cuore, nel quale si trovava Angel, aveva pianto ed aveva sanguinato ancora, lasciandola vuota e sfinita. Si rannicchio' contro il petto accogliente di Spike, piangendo, guardando come se non lo vedesse, il Tamigi luccicare sotto la luce del!
 le stelle, riflettere come uno specchio, la luna, mentre piccole onde sbattevano contro gli argini, create da quel capriccioso, onnipresente vento del nord. Spike rimase assolutamente immobile, come se non sapesse che fare. Non lo sapeva. Non sapeva se restare cosi', fermo, a lasciarla sfogarsi contro il suo petto, o stringerla e sussurrarle qualcosa. Qualunque cosa. La guardo', rannicchiata come la bambina che non le avevano permesso di essere fino in fondo. La guardo', contro la luce della luna, e gli parve che lei stessa fosse fatta di Luce. Delicata, capricciosa Luce...
L'universo e' fatto di Luce...
Le mani volarono con naturalezza a sfiorarle i capelli. Senza pretendere niente. Cercando solo di calmare quegli irrefrenabili tremiti che la scuotevano tutta.
"Va tutto bene, Luce...calmati..."
Lei alzo' un po' la testa. Lo guardo' negli occhi per un secondo.
"Io...lo so, sono stupida...avrei dovuto..."
"Cosa? Farti ammazzare? Eh, no, non puoi...uno di noi dev'essere vivo, ricordi? E adesso basta lacrime..."
Lei si asciugo' gli occhi con una mano. Si sposto' imbarazzata, cercando di ridarsi un contegno. Spike guardo' la luna, alta nel cielo. Guardo' Buffy...di nuovo, inondata da quel pallido chiarore, gli sembro' fatta di Luce...sorrise.
"...Anche perche'...se piangi ti si scioglie il trucco! Guardati...sembri un panda dagli occhi pesti!"
Lei sorrise. Mise il broncio, fingendosi offesa.
"Sono tanto inguardabile?"
Lui fece una smorfia, arricciando il naso.
"Bleah! Orribile...!" 
Per tutta risposta ricevette una debole risata. Bene. Riuscire a farla ridere, dopo un episodio del genere, era gia' un grande passo avanti. E lui, pur non avendo molta voglia di scherzare, rise di nuovo. Una risata che lei non riusci' a trovare falsata. Solo che lo era. Anche lui stava male. Si sentiva male dentro. Per quei tre. E per quel segreto che si teneva dentro, chiedendosi se fosse il caso o meno di confessarglielo. Dirle finalmente la vera natura del loro salto nel passato. Questi pensieri furono interrotti dal sospiro della ragazza.
"Torniamo..."
Lui annui', stordito da quegli occhi verdi che brillavano ancora di lacrime.
Luce...
Si avvio' dietro di lei, senza parlare, senza dir niente, semplicemente guardandola. E lei non chiedeva altro che quello sguardo su di se'. Non avrebbe saputo dire perche', ne' voleva saperlo, ma sentiva che era quello sguardo a permetterle di andare avanti, un passo dietro l'altro. E, mentalmente, ringrazio' Spike, sapendo che lui l'avrebbe sentita...

Albeggiava lentamente, su Londra. Mentre il vento non smetteva di soffiare, sempre freddo, sempre da nord. Nuvole da ogni parte. Su, in quel cielo plumbeo delle sette del mattino. E' sempre mattina...per quanto una notte puo' essere lunga, non sara' mai eterna...ed e' sempre mattina. La citta' tornava ad aprire le tapparelle di legno, per dare un po' di luce alle case buie. Eppure...c'era qualcuno che le tapparelle, le chiudeva, alle sette del mattino. In una casa vecchia, cupa e cadente, piccole mani bianche, avvolte in pezzuole di lino, accostano le tapparelle alle finestre e tirano le tende. Nemmeno un raggio di sole potrebbe mai entrare da quelle fessure chiuse. Chiuse. E, davanti quelle finestre senza feritoie, senza luce, un uomo. Su una sedia a dondolo. Ancora. Tornato a casa dopo uno strano incontro, dopo uno scontro che non c'era stato. E non poteva smettere di chiedersi perche'.
Perche' quella ragazza piangeva.
Perche' quella ragazza soffriva.
Perche' quella ragazza lo guardava, ed aveva negli occhi frammenti di stelle. Ricordi.
Perche' quella ragazza gli era entrata nel cervello.
Perche' quella ragazza si era rifiutata di battersi.
Questi ed altri mille perche' si inseguivano senza sosta nella mente di Angelus. Giro' piano gli occhi. Darla e Drusilla dormivano, abbracciate. Come ogni volta, quella visione di amore assolutamente innaturale gli provoco' la nausea. Come ogni forma d'amore faceva. Sin da quando era un uomo. L'amore gli aveva sempre fatto schifo. Si chiese perche' l'amore che aveva letto negli occhi di quella ragazza non l'aveva nauseato, ma solo incuriosito. Scaccio' quella domanda. Lui odiava farsi domande. Quasi quanto odiava amare. Non avrebbe saputo dire perche'. Forse perche', in fondo, non sapeva nemmeno cosa fosse, l'amore. Come avrebbe potuto saperlo? Lui non aveva mai amato. Nemmeno Darla. Era legato a lei dal sangue e dall'odio e dalla passione. Ma niente di cio' che facevano o dicevano conteneva amore. Liam. Nemmeno lui aveva mai amato. Non era mai stato amato. Nessuno, nella sua famiglia, l'aveva mai amato. L'avevano trattato tutti come una nullita', come il signor nessuno. In !
 primis...suo padre.
Suo padre non gli aveva mai rivolto parole di incoraggiamento, ma solo ordini...
Suo padre non l'aveva mai sostenuto, ma sempre condannato...
Suo padre non gli aveva mai chiesto cosa provava...
Suo padre non gli aveva mai fatto una carezza...
Suo padre non gli aveva mai chiesto il perche'...
Suo padre l'aveva sempre rapportato a se' stesso. La delusione che era per lui. Le aspettative, sue, che non adempiva. Gli ordini, i suoi, ai quali non obbediva. Aveva sempre imposto, sempre gridato. E lui aveva voluto gridare piu' forte, disobbedirgli di piu', fargli male...fino a quella sera...a Darla...la sera migliore della sua vita e della sua non vita...senti' l'ondata malinconica di ricordi serrargli la gola. Provo' a cacciarli indietro. Fatica sprecata...

Galway, Irlanda, 1753, l'aurora...
"Vieni piu' vicino, Anna..."
La ragazza lo fisso' con gli occhi sgranati, i riccioli biondo dorati legati sulla testa ed a stento trattenuti da una piccola cuffia candida. Impaurita. Incerta. Ed eccitata. Gli piaceva questo. A Liam. Gli faceva sentire che esisteva. Perche' se Anna lo vedeva...se ad Anna batteva piu' forte il cuore quando lui s'avvicinava...allora voleva dire che esisteva. Che era piu' di nulla. E poi...questo era proibito. Ed a lui piaceva tutto cio' che era proibito. Questo lo avrebbe fatto infuriare...ed a lui piaceva tutto cio' che lo avrebbe fatto infuriare...
"Mister Liam...vostro padre..."
Fu un sussurro spaventato, quello di quella ragazza. Lui barcollo', aggrappandosi alla parete della cucina per evitare di cadere. Un pigro sorriso gli sali' alle labbra.
"E' in chiesa...a pentirsi dei suoi peccati, e fa bene...vieni piu' vicino, Anna..."
Era carina, Anna. Molto carina. Ma lui non voleva portarsela a letto. Era una dolce, piccola ragazza...una brava ragazza, che metteva da parte i soldi per sposarsi. Voleva solo divertirsi un po' con lei...guardare come si tingevano di rosso le sue guance, quando la fissava...quando le bisbigliava all'orecchio parole che avevano sempre piu' di un senso...lo divertiva scandalizzarla...e vederla pendere dalle sue labbra. E continuare a starle vicino, anche se tremava per la paura che lui la scoprisse...
Un bacio, forse.
Solo un bacio.
Le orecchie di Anna non erano fatte per le sue false promesse.
La ragazza si avvicino' di un passo, stringendo al seno la brocca piena d'acqua, scavando nel buio alla ricerca del suo volto...
"Perche' ve ne state nell'ombra, signore? Non state bene?"
Liam inclino' leggermente la testa.
"La luce...", spiego', allungandosi verso di lei e schermandosi gli occhi con una mano per proteggersi dal sole. "Mi ferisce gli occhi..."
"E noi sappiamo bene perche'!", raschio' una voce aspra, bassa, che gli artiglio' il cervello come unghie sul muro...
Si senti' spingere in avanti, con tale violenza che cadde in terra, afferrandosi al pozzo, e usandolo, un attimo dopo, per rimettersi in piedi. E trovarsi faccia a faccia con l'uomo dal volto duro, arcigno, che lo odiava e che lui odiava. In tutta la sua vita, non l'aveva mai visto sorridere.
La sbronza era stata troppo forte perche' riuscisse a stare eretto, ma ci provo'. E, nonostante le sue parole di poco prima, non si fece ombra, ne' provo' a nascondersi, lasciando che la calda luce del sole irlandese illuminasse tutto cio' che era: scomposto, scarmigliato, spettinato, i lunghi capelli neri ridotti ad un ammasso scomposto. Non gli importava che lui lo vedesse. Anzi, voleva, che lui lo vedesse.
"Di nuovo fuori tutta la notte! Bevendo ed andando a puttane! Posso sentirti il fetore addosso!"
"Buongiorno a voi, padre"
Liam saluto' il padre con un beffardo sorriso, ignorando ostentatamente le sue parole, e godendo della rabbia che sfreccio' negli occhi dell'altro.
"Sei un disonore!"
Un ringhio. Quello che Liam penso', fu che doveva davvero soffocare, con quel colletto tanto stretto...e che faceva male...ancora, e ancora, e ancora...nonostante l'alcool ed il sesso. Ma quelli servivano solo per un momento...il trascorrere di un battito di cuore. Pure, sul suo volto, quel dolore non compariva piu'...
"Se dite cosi', padre..."
"Oh, lo dico! Non hai avuto abbastanza bagordi, per una notte? Devi anche corrompere i servitori?"
Liam lancio' un'occhiata ad Anna. Era terrorizzata. Letteralmente. Avrebbe potuto essere scacciata al minimo sospetto che l'avesse incoraggiato...ma a lui, dopotutto, che importava?
"Vi infastidisce che volessi corromperla...o che mi sia 'abbassato' a rispondere ad una sua domanda?"
L'altro serro' i denti, ma Liam continuo', imperterrito.
"Tutti siamo corrotti, padre...ma trovo che alcune forme di corruzione siano...", sorrise. "...Piu' piacevoli..."
Lo colpi'. Cosi' forte da farlo indietreggiare, sebbene Liam fosse molto piu' alto e piu' forte di lui.
"Mi vergogno di chiamarti mio figlio! Sei solo una canaglia e non diventerai mai niente piu' di questo!"
Gli aveva spaccato il labbro, e sangue gli colava sul mento. Era aspro, il sangue, e sapeva di ferro. E lui lo ingoiava, gli occhi fissi nel vuoto. Non faceva piu' male, ora. Non faceva mai male, dopo che lo colpiva. Aveva raggiunto il suo scopo. L'aveva fatto irritare, lo aveva abbassato, trascinandolo nel fango. Al suo livello. E ora non faceva piu' male.
Sollevo' la mano, lentamente, e si asciugo' il sangue sparso da suo padre...

"Sei...musa di straordinaria belta'...no...di straordinario fulgore...nemmeno...oh!"
Fogli di carta appallottolati e lanciati ovunque. Fogli di carta spiegati ed immacolati giacevano su una scrivania, in attesa di essere usati. In attesa di sentir passare una penna sulla loro superficie liscia. In attesa che parole, e versi, ed interi componimenti abbelliscano il bianco spento del loro viso. L'arduo compito tocca ad un giovane dagli occhi piu' blu degli abissi dell'oceano e delle profondita' del cielo. Occhi che sfiorano dolci la carta bianca, mentre una penna aspetta nella sua mano, appena ad una spanna dal foglio. Aspettando. L'ispirazione. O, meglio, un miracolo. Per completare quella poesia a cui lavorava ormai da settimane, senza risultati. Solo quattro versi, voleva. Solo quattro. Guardo' il libro di Shakespeare posato sulla scrivania d'ebano, accanto al suo gomito. Guardo' l'antologia di poesie di William Blake. Guardo', su un leggio accanto al letto, aperta, la 'Divina Commedia' di Dante. I versi di Boccaccio. La poesia delicata di decine di eccelsi !
 poeti, a cui tentava inutilmente d'ispirarsi. Sua madre glielo sconsigliava sempre. 'Sii te stesso...chi puo' essere meglio di te?', diceva sempre, la mamma. Ma lui aveva sempre l'impressione di non fare abbastanza, di scrivere inadeguatamente, di non assomigliare per niente a quei grandissimi poeti. Non voleva essere l'unico. Voleva essere uno dei tanti. Uno che un giorno potra' scrivere un'antologia, come quelle che teneva gelosamente nella libreria privata. Un'antologia. E qualcuno la mettera' nella propria libreria privata, e cerchera' di ispirarsi a lui. A William Appleton. Queste, erano le sue aspirazioni. Non essere fatto senatore, o cavaliere, o baronetto. Non sposare la regina d'Inghilterra. Semplicemente, essere fonte d'ispirazione per qualcuno. Senti' un lieve bussare alla porta.
"Avanti..."
La porta cigolo', e si apri'. Lady Appleton entro', con il largo vestito che sospirava ad oggi passo, in un elegante sovrapporsi di stoffe. Faceva freddo, quella mattina di novembre. Terribilmente freddo. Il cielo era scuro e minaccioso. Nubi nere sfilavano in una cupa parata. Si sentiva l'eco dei tuoni in lontananza. La donna gli sorrise.
"William, sei sveglio da ieri sera?"
William sorrise dolcemente, riponendo la penna nel calamaio. Solo allora si accorse che gli dolevano le mani. Vide sua madre fissarlo preoccupata. Non doveva essere un bello spettacolo. Aveva passato le ultime dodici ore a scrivere, per ritrovarsi con un mucchio di carta straccia e appena mezzo verso di una poesia che doveva completare. Per Cecily.
"Non vi preoccupate, Madre, sto bene. Devo..."
"...Completare una poesia.", continuo' per lui la Lady, con un sorriso di dolce rimprovero sul bel viso. "Ma, William, caro...forse sarebbe il caso di dormire. Riposare un po'."
William osservo' rapito il volto di quella donna. Era cosi' bella. Per lui, era la donna piu' bella del mondo. Piu' della regina. Piu' di Cecily. Aveva i suoi stessi occhi, e capelli biondi rigati da ciocche argentee, che invece di imbruttirla o invecchiarla, le conferivano un'aria elegante ed austera. Aveva gli zigomi alti, il collo liscio, come se il tempo si fosse dimenticato di segnare il suo trascorrere su di lei. Aveva delle mani bellissime. William non si sarebbe mai stancato, di guardarle, quelle mani. Erano bellissime. Gli aveva carezzato la testa tante volte, da piccolo, con quelle mani. Profumavano di mirra. Sempre. Dolce e penetrante allo stesso tempo. Con le unghie ben curate, quadrate e non troppo lunghe. Le piaceva guardarla, quando le limava. Facevano un suono stridente, ma piacevole. E gli piaceva l'espressione del suo viso, cosi' calma e serena, mentre compiva un gesto che le era diventato quasi giornaliero. Amava tutto, in quella donna, William. Amava quel!
  sorriso dolce che gli rivolgeva di tanto in tanto, amava il suono limpido della sua voce, come il suono melodioso della penna che scivola sulla carta, appena un sussurro, una voce gentile e pacata. Amava l'espressione serena dei suoi occhi e le ciocche grige nei suoi capelli. Amava il suo incedere naturale, quell'incresparsi di stoffe che procurava ogni suo passo. Ed amava il modo tenero e materno, completamente materno, con cui lei si preoccupava per lui...
"Oh, no, madre. Non vi preoccupate. Credo di avere quasi finito..."
La donna sorrise, guardandolo teneramente negli occhi. Quegli occhi, insieme, quelli di lei e quelli di lui, avrebbero fatto sfigurare un'oceano ed impallidire un cielo primaverile. Lo guardo', Lady Appleton, quel ragazzo che le somigliava tanto, quel sognatore che non era altro, quel dolce giovane con una donna nel cuore, e sorrise, annuendo.
"Va bene. Ti faccio portare un po' di teh..."
Odiava il teh, William...
"...Scherzo...lo so che lo odi, il teh...un po' di latte andra' sicuramente meglio. E pane imburrato. Non vorrai saltare la prima colazione?"
William sorrise. Sua madre si ricordava sempre tutto, di lui. Che odiava il teh, che adorava il pane col burro, che per lui scrivere quella poesia era importante. Scosse la testa, sorridendo. Lady Appleton si avvio' verso la porta, in un frusciare sommesso di vesti sovrapposte. Apri' l'uscio, guardo' fuori. Poi, come si fosse ricordata di qualcosa di importantissimo, torno' indietro di un passo. William la guardo' preoccupato. Ma lei sorrise. Tenerezza infinita, nei suoi occhi.
"Ti voglio bene, William..."
Lo imbarazzava sempre, sua madre, quando glielo diceva. Ma non poteva fare a meno di esserne orgoglioso. Sua madre gli voleva bene. Ora avrebbe finito la poesia. Sentiva l'ispirazione...sorrise di rimando. Sembravano uno lo specchio dell'altra.
"Anch'io vi voglio bene, madre..."

Dalla luce al buio non v'e' che un passo. Dalla vita alla morte non v'e' che un passo. Dal cielo alla terra non v'e' che un passo...se ci soffermassimo su questo, scopriremmo che nella vita non c'e' niente di troppo distante. Che le cose che sembrano opposte, trovandosi agli estremi di un cerchio, si sfiorano inesorabilmente, apparendo invece vicinissime. A volte, gli opposti convivono. Il fatto e' che non possono fare a meno l'uno dell'altro. La luce non sarebbe luce senza il buio. Sarebbe il nulla. La vita non sarebbe niente, se la morte non esistesse. Un cielo infinito non lo si potrebbe ammirare, se la terra mancasse. E la terra sarebbe avvolta dal nulla, senza il cielo. Quindi, gli opposti, inesorabilmente, si attraggano e camminano insieme, su una sola linea, i cui estremi sono lontanissimi tra loro, ma convergono insieme nello stesso punto. Completandosi a vicenda. Corteggiandosi sottilmente. Perche', se non esistesse l'uno, allora nemmeno l'altro potrebbe esistere...
Ed eccoli li', due esempi perfetti di due opposti: una e' luce, l'altro ombra. Una e' viva, l'altro morto. Una vive nel sole, l'altro al chiar di luna. Ma c'e' un piccolo problema, quando due estremi si conoscono e convivono e si attraggano...si fondono. Ed allora ecco che dalla Luce nascono zone d'ombra, e nell'ombra scaturisce un filamento luminoso di luce. Ecco che la viva si sente morta dentro ed il morto cerca disperatamente la vita. Ecco che il giorno si rifugia nella notte e la notte cerca ombra ma alla luce del giorno. Ed, ecco, e' stupefacente, piccolo mistero della vita e della morte...sono fusi. Piccoli universi completi che non sanno di esserlo. Completi. Veri. Non lo sanno. Non credono di arrivare nemmeno a sfiorarla, la verita'...perche', vedi, la verita' confonde. La completezza confonde. E l'ombra, eccola, alza lo sguardo verso la luce, e pensa...
L'universo e' fatto di Luce...
Buffy stava seduta. Una seggiola di legno, guardando dalla finestra chiusa la mattina scura di Londra. Le persiane di legno sono chiuse. E lei sbircia, da quelle piccole feritoie. Non che le importi piu' di tanto, osservare il cielo plumbeo di Londra. Solo, le impedisce di pensare. Ad Angelus. A Spike. Si gira per un istante. Spike sta sul letto, disteso, gli occhi chiusi. Ma non dorme. Lo sa, lei. E' stato sveglio tutta la notte, accanto a lei, ad asciugarle quelle lacrime di vergogna che le rigavano le guancie. Tutte le sue vecchie ferite, riaperte in una notte...chi l'avrebbe detto, che per uno scherzo di Dawn sarebbe stata catapultata davanti al suo oscuro passato? Stava meglio. Almeno il suo cuore aveva smesso di sanguinare, e le lacrime di cadere. Grazie a Spike, soprattutto. Il suo...beh, si'...il suo angelo custode. Le fa piacere, un piacere inaspettato, vederlo cosi' tranquillo, sdraiato su un letto sfatto, le braccia dietro la testa e gli occhi chiusi. Le fa piacer!
 e, un piacere inaspettato, in una forma diversa, alla quale rinuncia a dare un nome, vedere che e' in pace. Che non piange e non farnetica e non sente dolore e non vede piu' sangue. Il suo angelo dalla pelle pallida e lo sguardo languido, tutto per lei. Ma sa che non e' un angelo. Ed e' stupido illudersi. E' cambiato, questo non lo puo' negare, deve accettarlo, almeno con se' stessa, anche se fa male, anche se significa avere torto. E' cambiato. Ma quanto puo' cambiare, uno come lui? Quanto puo' fidarsi di lui? Quanto si e' gia' fidata? Non voleva restare di nuovo delusa. Delusioni cosi' ti lasciano un segno che non se ne va piu'. Bene. Questo perche' non voleva pensare...bene. Torna con lo sguardo verso la finestra. Ripensa a Spike...a quanto non sa di lui...milleottocentottanta...
Tiene gli occhi chiusi, Spike, per pensare meglio. Non al motivo per cui sono a Londra. Non ci vuole piu' pensare. Ha gia' preso la sua decisione. E, qualunque sia, non vuole immischiare anche Buffy. Quel che dovra' succedere, succedera'. Riguarda la sua vita. E' egoista. Va bene. Ma ha gia' deciso. Quindi, non pensa al motivo per cui e' a Londra. C'e' Luce, nei suoi occhi. Un lampo di Luce accecante. Una Luce dagli occhi verdi, abbaglianti. Dio, quant'e' bella...non ha chiuso occhio, dalla notte prima. Da quando erano tornati da quello scontro che scontro non era stato. Le era stato vicino, facendola ridere, tirandola su, arrabbiandosi anche, pur di farla smettere di piangere. Non poteva sopportare di vederla piangere. Non la sua Luce. Si riaprivano in lui troppe vecchie ferite, quando la vedeva piangere. La voleva cosi'.
Radiosa.
Luccicante.
Felice, per quanto possibile.
Perche' lei era Luce. E non poteva sopportare di vedere la Luce piangere e sanguinare. Doveva splendere, come solo lei sapeva fare. Preferiva quando lo insultava. Quando lo prendeva a pugni. Perche' non faceva male. Non piu'. Perche' era quasi normale, e alla normalita' ci si abitua. Ma a vederla piangere non si sarebbe mai abituato. Quelle lacrime cosi' brillanti, eppure cosi' tristi ed opache. No. Non dovevano toccarla. Non dovevano intaccare la sua imperfetta perfezione. Apri' piano gli occhi, gia' fissi nella sua direzione, come attirati da una calamita, come se esistesse un filo speciale, ad unirli ed insieme a dividerli. Sempre. L'aveva vista. Con lo sguardo perso oltre le persiane di legno chiuse. A contemplare la mattina nuvolosa di Londra. Quanto avrebbe voluto spalancarle quelle finestre ed offrirle un'alba da guardare insieme, o anche un tramonto, e non solo tenebre e luna e silenziose stelle. Quanto avrebbe voluto poter offrirle qualcosa che non fossero guai e do!
 lore e vecchie ferite. Ed incubi orrendi. Quanto avrebbe voluto offrirle Luce. Altra Luce. E non poteva. Un sorriso triste si affaccio' sulle sua labbra. Scomparve subito, pero'. Non voleva che lo vedesse triste. Non voleva lo vedesse affranto. Perche' se no chi l'avrebbe tirata su? Doveva essere forte per lei, non per se' stesso. Lui poteva anche passare in secondo piano. Il suo stato. Lui poteva essere forte. Ma la Luce e' debole. E deve lottare per non spegnersi. Una folata di vento le scompiglia energico i capelli biondi. Gli porta il suo profumo. Lui l'aspira forte, quel profumo, profumo di Luce. E la vede voltarsi, lentamente. Incrociare il suo sguardo. Sorridere stancamente. Sapeva che non stavo dormendo. Buffy scese dalla sedia, e ando' a sedersi sul letto, accanto a Spike. Si stiracchio' i muscoli doloranti, miagolando in modo cosi' innocentemente sensuale che Spike non pote' fare a meno di sorridere.
L'universo e' fatto di Luce...
"Parlamene..."
Spike si riscosse. Scosse la testa, senza capire a cosa Buffy si riferisse. Parlamene...
"Di cosa?"
La ragazza abbasso' gli occhi. Li rialzo' di nuovo. Nei suoi. Blu in verde.
"Della tua vita...voglio sapere...se ti va...com'eri. Chi eri. E cos'hai fatto, dopo, con Drusilla. Voglio che mi racconti di te..."
Spike sorrise. Nessuno gli aveva mai chiesto un racconto sulla sua vita. Non credeva di essere un buon narratore. Come non credeva di essere un buon poeta. Come non credeva di essere un buon vampiro. Come non credeva di essere un buon uomo. Ma glielo stava chiedendo lei. La sua Luce. Spike prese fiato, pur senza averne bisogno, e si preparo' a cominciare il suo racconto... 

Capitolo VI - Immortal's Memories

Galway, Irlanda, 1743
"Io non ho un figlio!", grido'. "Non ho un figlio, non ho un figlio!"
Ed ogni parola era una vergata sulle sue spalle. Sulla sua pelle. Sulla sua carne che bruciava. Come spilli di fuoco. Sottili. Troppo, per lasciare segni altrove se non nella sua anima.
"Non merito un figlio come te! Una simile piaga e' per un delinquente, non per un uomo timorato!"
Strinse i denti, Liam, per non emettere un solo lamento. Mentre suo padre continuava a colpirlo. Avrebbe voluto che crollasse, che piegasse le spalle, ma la sua schiena si ostinava a restare dritta. Le braccia allungate di fronte a lui, contro il muro della cucina, ed il sudore che scendeva in rivoli su di lui. Sul suo volto. Ed ogni momento in cui i suoi muscoli restavano tesi era un insulto, un grido di disprezzo. E meritava un'altra vergata. Ed un'altra ancora. Avrebbe potuto rispondergli. Avrebbe potuto impedirgli di colpirlo. Perche', a sedici anni, Liam era molto piu' alto e molto piu' forte di suo padre. Eppure continuava a subire la sua ira. E non aveva mai pensato di colpirlo a sua volta. Forse era solo un idiota. Ma non aveva mai voluto colpirlo. Erano altre, le cose che aveva voluto...da lui...da suo padre. Prima. Quando ancora si illudeva di poterle ottenere. Ora non voleva piu' nulla. Ora sapeva che non avrebbe mai avuto nulla...
Sollevo' la testa, stringendo i denti, ingoiando un grido, mentre la verga gli colpi' i reni. E, per reazione, un sorriso ironico gli sali' alle labbra.
"Vi ferirete il polso...", ansimo'. "Perche' non vi fate aiutare dal signor Dirr...ah, dimenticavo...non ci allieta piu' con la sua compagnia..."
L'ultima parola gli mori' in gola, ingoiata con il suo dolore.
"Insolente inetto!", grido', colpendolo ancora.
Sentiva l'odore del sangue. Del suo sangue. Nelle narici. Sulla pelle. Tutto intorno a lui. Un altro sarebbe gia' caduto. Un altro, forse, sarebbe gia' svenuto. Ma non Liam. Non avrebbe mai dato a suo padre una simile soddisfazione. E poi, ogni singolo colpo valeva mille volte la gioia crudele con cui aveva detto a suo padre cio' che aveva fatto al suo prezioso signor Dirr, il suo insegnante d'inglese, quello a cui aveva raccomandato di spezzarlo, se necessario, pur di fargli imparare qualcosa.
Lo specchio di virtu' che si portava a letto la figlia di un pescatore.
Quanto...quanto s'era divertito ad appiccare il fuoco agli sterpi accanto al vecchio mulino, dove i due s'incontravano. E vedere accorrere tutta Galway, prima di dare fuoco anche a quello. Almeno quanto s'era divertito nel vedere la faccia di suo padre diventare paonazza per la rabbia e l'umiliazione, quando una folla di pescatori inferociti gli avevano riportato quel che restava dell'istitutore, che era pure sposato e padre di tre figli.
In tutta la sua vita non aveva mai riso tanto.
Non era mai stato battuto tanto.
Eppure non faceva male. Non come la prima volta. Quando si era nascosto nel buio, ed aveva pianto. Ancora piangeva, a volte. Ma lo faceva cosi' di rado da poter illudersi che non fosse vero. Quando il vecchio prete che gli aveva insegnato a leggere si aggrappava al suo braccio, e gli diceva che si fidava solo di lui, per la sua passeggiata. O quando incrociava sua madre e lei abbassava gli occhi, e a lui veniva voglia di afferrarla dalle braccia e gridarle in faccia perche' non facesse mai qualcosa.
Perche' guardava i silenzio suo padre picchiarlo, mentre dalle loro bocche scivolava veleno.
Perche' non lo aveva mai accarezzato, dopo, dicendogli che gli voleva bene.
Allora piangeva, a volte. Ma non per le vergate. Per le vergate mai. Si sarebbe stancato prima suo padre di dargliele che lui di prenderle. Anche se gli avesse staccato la pelle dalla schiena, a forza di colpirlo.
"Chiedi perdono!"
Liam sollevo' il volto, alle grida del padre, e sorrise. Si stancava, il vecchio. Molto, molto prima di lui.
"Chiedi perdono, o giuro che t'ammazzo!"
Sollevo' piu' in alto la testa, spingendosi di piu' contro la parete. E si disse che era l'ultima volta che glielo permetteva. Che se ne sarebbe andato. Presto. Immediatamente. Se lo disse per distrarre la mente, come aveva gia' fatto migliaia di volte. Se ne sarebbe andato. Via da Galway, via dall'Irlanda. E avrebbe visto il mondo. Ed il rumore del mare avrebbe preso il posto, nelle sue orecchie, delle urla di suo padre.
"Mister Malahide! Mister Malahide! Venite, presto! Ci siamo!"
Giro' la testa, l'arrestarsi cosi' brusco dei colpi sulla sua schiena che lo prese di sorpresa. Distraendolo. Facendogli quasi perdere l'equilibrio. Era stata la levatrice a chiamare, da una finestra del primo piano. L'uomo getto' la verga ai piedi di Liam, e gli passo' accanto, pieno di disprezzo. Non si era piegato. Sapeva che non lo aveva fatto.
"Datti una ripulita", sibilio' fra i denti, senza nemmeno guardarlo. "E vieni a salutare tuo fratello."
Liam attese che fosse entrato in casa, poi si appoggio' al muro, affondando la testa fra le braccia, e lasciando che un gemito soffocato gli sfuggisse dalle labbra. Non seppe mai quanto tempo rimase li', immobile, ansante, mentre dolore fisico e morale gli si diffondeva in ogni pollice di carne. Prima di riuscire finalmente a raddrizzarsi ed avvicinarsi barcollando al pozzo. Era l'ultima volta. L'ultima. Se ne sarebbe andato di li'. Da quei boschi nei quali la sua balia lo portava a passeggiare, da quella luce accecante che arrivava allanima. Sarebbe andato lontano, tanto che adesso non riusciva nemmeno ad immaginarlo. Faticosamente, riempi' un secchio d'acqua, e se lo rovescio' sul capo. Le ferite, sulla sua schiena nuda, bruciarono e dolerono, e lui boccheggio', passandosi una mano fra i capelli. Voleva che conoscesse suo fratello? Bene. Spero' che sua madre avesse messo al mondo un bastardo come lui, cosi' finalmente lo avrebbe lasciato in pace. Un ghigno gli sali' alle l!
 abbra. Bagnato, lacero, sudato, mezzo nudo e bagnato fradicio...se si fosse presentato cosi', suo padre sarebbe andato in bestia. Ma gli aveva detto di andare. Gli aveva detto di andare a conoscere questo fratello che gli avrebbe insegnato a vivere. E lui era un figlio rispettoso, dopotutto. Si avvio' verso casa, a fatica, lottando per non cadere. E odio' suo padre. Lo odio'. E non per le vergate, o le urla, o perche' lo faceva sentire come se non esistesse. Lo odio' perche' era capace di fargli provare risentimento per una creatura non ancora nata. Salendo, vide la domestica di sua madre uscire dalla sua stanza con tra le braccia un fagotto bianco, per portarlo nella stanza di fronte. E un attimo dopo venne fuori anche suo padre, che lancio' un'occhiata torva al vecchio padre Dermont, fatto venire per l'occasione.
"Tutto questo trambusto...", sibilo' fra i denti. "...solo per una bambina..."
Una bambina! No, non poteva crederci! Era troppo divertente! Il prezioso erede. La rivincita di suo padre...era una bambina!
"Ebbene...", continuo' quello. "Sia come Dio vuole. Battezzatela, padre, appena vi sara' possibile..."
Il vecchio prete sollevo' il volto, sospirando.
"E come vorreste chiamare la vostra creatura, ditemi..."
Suo padre scosse le spalle.
"Katherine..."
Passo' accanto a Liam, andandosene, lanciandogli uno sguardo pieno di ribrezzo.
"Va a ripulirti, ragazzo, qui non c'e' niente da vedere..."
Liam appoggio' la testa alla parete, mentre un sorrisetto pieno di ironia gli saliva alle labbra. Tuttavia, quella volta lascio' che le parole di scherno gli riscendessero lungo la gola, consapevole che suo padre quel sorrisetto l'aveva visto, e che sapeva cosa voleva dire. Fece ancora qualche passo, il ragazzo, fermandosi sulla soglia che ospitava quello che avrebbe dovuto essere suo fratello. E che invece era una bambina. Katherine. Sua sorella. Entro, sbirciando dentro la culla. Una cosina piccola e rossa, con tantissimi capelli castani, e un viso minuscolo e grinzoso.
"Guardati...", sussurro' piano. "...lo sai che sei proprio brutta?"
Sorrise, quando la bimba sollevo' il viso e parve fissarlo, mentre dalle labbra le sfuggiva un suono simile ad un sospiro.
"Non e' vero...", concesse. "...sei carina...pure troppo per essere figlia sua..."
allungo' una mano, ma si blocco' alla vista della sua pelle sporca e sudata. All'improvviso, si senti' tutto sporco e sudato. Fuori e, inaspettatamente, anche dentro. Lei invece era appena nata, ed era cosi' pulita, e cosi' piena di colori...sembrava che niente potesse sporcarla. Ma era nata in quella casa, e in quella casa era fin troppo facile sporcarsi. Liam la prese in braccio. Non voleva farla cadere. Era terrorizzato, all'idea di farla cadere. In quel momento, in quella casa, sua sorella era l'unica che non lo disprezzasse, e che lui non odiava. L'unica che non lo considerasse un inetto, un inutile.
"Sei venuta in un postaccio, sai?"
alle sue spalle, da qualche parte, suo padre sbraitava contro qualcuno. Sospiro', Liam, guardando sua sorella.
"Benvenuta a casa, Kathy..."

"Cosa vuoi che ti racconti...?"
Si trattenne a stento. Giusto un attimo prima che la parola Luce gli uscisse dalle labbra. Non doveva chiamarla cosi'. Che diritto ne aveva? Poteva farlo solo nei suoi sogni, quando lei poteva essere felice di essere chiamata Luce da lui. Da Spike. Spike che se ne stava disteso sul letto, con la testa sorretta da una mano, il gomito poggiato con forza sul letto. E Buffy era accanto a lui, distesa, con gli occhi ancora un po' lucidi. Ed incuriositi. Guardava il soffitto, inseguiva quelle crepe che si erano formate nell'intonaco bianco. E ogni tanto incrociava i suoi occhi. Per istanti cosi' brevi che non gli sembrava vero. Tamburellava con le dite incrociate sullo stomaco, mentre quei suoi capelli d'oro -Luce-, si spandevano in una nuvola sul cuscino.
"Non lo so...parlami di te. Raccontami una storia. Come se fossi una bambina da far addormentare. Per favore..."
Quell'espressione innocente dei suoi occhi. Dio, quant'era bella. Col vestito ampio dispiegato sul letto, mentre inoconsciamente lui giocherellava con un lembo della sua gonna. Velluto bianco, sotto le sue dita, cosi' simile alla pelle di lei. Buffy rabbrividi'.
"Hai freddo?"
Lei scosse piano la testa, socchiudendo gli occhi.
"Ho sonno...ti prego, racconta..."
Istintivamente, stava lontano da lui. Teneva il suo corpo il piu' distante possibile, senza un vero motivo. Forse aveva paura. Solo paura. Racconta...
"Va bene, passerotto...ti raccontero' una storia...cerca solo di non ridere troppo..."
Lei sorrise, tenendo gli occhi sempre socchiusi.
"Non ridero'. Promesso..."

Londra, Inghilterra, 1863
C'era un temporale mai visto, che infuriava su Londra, quella sera. Vento che spazzava le strade, e accartocciava alberi come se fossero stati fogli di carta. Pioggia scrosciante batteva senza sosta contro il vetro delle finestre, minacciando di romperle. Era buio. Tutto orribilmente buio. E faceva freddo. Anche se si era gia' a maggio. Le rose nel giardino si spezzavano sotto la furia della tempesta. Il vento sibilava minaccioso. Pioveva. Una tempesta mai vista, su Londra, quella sera. Una tempesta mai vista, su di una grande villa di Londra, quella sera. Una villa come a Londra ce n'erano tante. Il grande giardino ben curato, le piantine sferzate dal vento, il porticato sorretto da pesanti colonne di marmo, che rilucevano nella debole luce della luna. La porta di legno d'ebano, con i battenti d'oro. Era un piccolo castello, quella villa, come a Londra ce n'erano tante. Aprivi quella porta, ed eri catapultato nel regno dello sfarzo e del lusso, che niente aveva a che vedere!
  con la tempesta, sfogo della natura, che s'abbatteva fuori. Un salone d'ingresso grande quanto un piccolo appartamento, dai pavimenti lucidi a scacchiera color ocra e marrone scuro. Dai soffitti altissimi, i lampadari pendevano filamenti di cristalli e diamanti, che, anche senza le piccole lampadine, avrebbero illuminato ugualmente a giorno la sala col loro luccichio. Di fronte alla porta, le scale, di legno scuro, ciliegio, forse. Su cui scivola un sottile tappeto rosso, dai bordi ricamati in oro. A sinistra della porta, una grande, spaziosa, cucina, nella quale decine di domestici correvano a destra e a manca per preparare una cena speciale. Volute di vapore biancastro di alzavano sulle loro teste, come se la tempesta fosse riuscita ad arrivare, con le sue nuvole, fin li'. Odori dei cibi piu' squisiti aleggiava sospeso sulle loro teste, riempiendo l'aria fredda ed umida. Il lieve ticchettio della pioggia contro le finestre bagnate. Ma torniamo alla porta, e stavolta andi!
 amo a destra. Dopo un breve corridoio, ed una porta sormontata!
  da un a
ltissimo arco, si arriva ad un elegante salotto. Poltrone rivestite di stoffe variopinte, disseminati qui e li', con giudizio e buon gusto. E' una casa portata avanti da una donna, e si vede. Al centro del salotto, posato sulle piastrelle lucidate a cera del pavimento, sta, impacchettato come fosse un regalo, attraversato da uno sgargiante nastro blu, un pianoforte di legno. Lucido smalto nero, sulla cassa. Tasti bianchi, intervallati da piccoli tasti neri, senza nemmeno un granello di polvere. Nessuno ha mai toccato quei tasti. Nessuno si e' mai seduto su quello sgabello di pelle rossastra. Nessuno ha mai accarezzato le corde della cassa, tenuta aperta da un bastoncino di lucido metallo argenteo. Nessuno ha mai tratto un accordo da quei tasti, nessuna melodia si e' mai udita uscire da quello strumento. E' per un giorno speciale. Per quel giorno speciale. Una donna riccamente vestita entra in quella stanza, come a voler controllare che il pianoforte sia ancora li'. Broccato !
 rosso che sospira ad ogni suo passo, scoprendo la morbida seta che riposa sotto di se'. Uno strato dopo l'altro. Due occhi blu scrutano quel regalo, chiedendosi se...no. Non chiedono niente. Andra' bene. Ne sara' entusiasta. Lady Mary Appleton ne e' sicura. Incrocia le mani in grembo, in una posa di compita eleganza, e torna all'ingresso, sistemandosi alla base delle scale. Guarda su. E lo vede. Un bambino dai capelli biondo scuro, con due occhi che paiono rubare l'azzurro al cielo. Vestito con una giacca grigia nella quale sembra essere molto a proprio agio, sotto la quale spunta una camiciola bianca, ed un papillon legato al collo. Le sorride, quel bambino che le somiglia cosi' tanto, e prende a scendere lentamente le scale, aggrappandosi al corrimano per non scivolare, su quelle scarpe lucide e nere. Arriva alla fine. Lady Appleton gli sorride gioiosa, schioccandogli un leggero bacio sulla guancia.
"Buon compleanno, William. Sei un giovanotto, ormai! Vieni, la mamma ha un regalo per te..."
William aveva sorriso allegramente. Aveva un sorriso cosi' bello, quel bambino dal visetto innocente. Lady Appleton gli aveva teso una mano, e lui l'aveva presa, seguendola attraverso quel breve corridoio, fino alla porta sormontata dall'arco. Aveva sbirciato timidamente all'interno del salone dei ricevimenti. Quasi con paura. Come se potesse rimanere deluse. La donna piu' anziana guardo' il viso di suo figlio. Lo vide sbarrare gli occhi, incredulo, e poi correre veloce verso il suo regalo, urlando di gioia come un qualunque bambino di otto anni. Un pianoforte! Un pianoforte tutto per lui! Da quanto ne voleva uno, William? Quanto aveva pregato sua madre affinche' glielo comprasse? Guardo' sua madre, sorridendo. E Lady Appleton si ritrovo' a pensare che solo quel sorriso, quel sorriso grato di un bambino, avrebbe potuto illuminare la stanza. Sorrise di rimando, mentre William si sedeva eretto sullo sgabello e guardava con profonda ammirazione l'incerto susseguirsi di tasti bi!
 anchi e neri. Sapeva suonarlo appena, il pianoforte. Ma avrebbe imparato. Era un bambino che amava imparare. Il suo William. Ed amava suonare. Suonare, e la poesia. Adorava William Blake.
"Will, caro, perche' non guardi sul leggio? C'e' qualcos'altro..."
William aveva spostato gli occhi sul leggio di legno e metallo. E, oddio, vi aveva visto qualcosa che l'aveva fatto urlare di nuovo. Di gioia. La gioia pura e semplice di un bambino. La sua gioia. La gioia che provava nell'aver visto, posato delicatamente sul leggio, l'antologia delle poesie di William Blake. Li', tutta per lui. L'aveva afferrata, guardata, soppesata, come non poteva fare col pianoforte. E poi si era alzato, ed era corso a baciare la sua mamma.
Una serata bellissima, quella. Tutto perfetto. Lui, la sua mamma, ed il solito gran ricevimento. Lui se n'era stato seduto tutto il tempo sul divanetto accanto alla finestra, a leggere le poesie di Blake. Lui. Con quella lettura ancora zoppicante. Tenace. E poi, erano andati via tutti. Come tutti gli anni. E a lui non era dispiaciuto. Non amava la folla. Preferiva stare solo, lui, un bambino di otto anni appena. E gli piaceva stare solo, nella sua stanza, o con la mamma, a leggere le poesie. Ma quella sera, stranamente, sentiva di non voler restare solo. Non sapeva perche'. Forse era che nel giorno della sua festa non aveva mai piovuto. C'era sempre stato un sole bellissimo, e le rose luccicavano e il cielo era limpido e terso. Invece quella volta, quando lui era tanto contento, c'era una terribile tempesta. Si sentivano tuoni fortissimi, e lampi dalla luce accecante. Ma, come sempre, se ne andarono tutti. William segui' Lady Appleton al piano superiore, fino in camera sua. !
 Si lascio' aiutare ad infilarsi il pigiama pesante. Ma, invece di accoccolarsi sotto le coperte, come faceva tutte le sere. Rimase invece fermo, contemplando la pioggia fuori dalla finestra. Sua madre non vi bado'. Si avvicino' alla porta, e l'apri, decisa ad uscire. Era stanca. Le feste di compleanno erano quanto di piu' sfibrante esista al mondo. Stanca, si', ma felice. Come ogni mamma che sappia il suo bimbo sereno.
"Buona notte, William..."
Stava richiudendo la porta dietro di lei, quando udi' un singhiozzo. Torno' indietro, preoccupata. William era alla finestra, e piangeva. Gli si avvicino', in un frusciare di broccato e seta.
"William...cosa c'e'? Non sei contento?"      
Il bambino si asciugo' le lacrime col dorso della mano.
"Madre...perche' se io sono tanto contento, il cielo li' fuori piange? Non e' contento per me?"
Lady Appleton sorrise, a quella domanda. Il suo William. Che desiderava che tutto fosse perfettamente in armonia, il giorno del suo compleanno...gli prese dolcemente una mano, e lo condusse a letto. Gli rimbocco' amorevolmente le coperte, mentre lui scrutava quel volto dolce, in attesa di una risposta.
"Vedi, William, il cielo piange per te..."
"Per me?", chiese preoccupato il bambino, guardandola con gli occhioni blu spalancati.
"Si', tesoro. Piange, perche' otto anni fa, in questo giorno, ha perso la sua stella piu' bella..."
Era dolce, la voce di Lady Appleton. Sorrideva. Sorrideva sempre, Mary, quando parlava con suo figlio. William sgrano' gli occhi.
"E dov'e' finita, quella stella?"
La donna sorrise di piu', carezzandogli la punta del naso con le dita.
"Sei tu quella stella, piccolo tesoro. Sei la mia stella...il cielo ti vorrebbe tutto per se', ma tu sei solo la mia stella..."
William sorrise, mentre le ultime lacrime gli si asciugavano sul visetto rosso.
"Madre...potete cantarmi la nostra canzone?"
La donna finse di non ricordare.
"Quale canzone, stella mia?"
"Quella della buona notte! Ve ne prego, madre!"
La donna lo guardo', senza smettere di sorridere, mentre con una mano rassettava le coperte. La canzone della buonanotte...
"Quella delle stelle..."
Lady Appleton annui'. Con voce soave, comincio' a cantare.
"Dararum, dararum...
Dormi, dormi piccino
Brillan le stelle lassu'...
Ma per me, mio tesoro
La stella piu' bella sei tu...
La luna su te vegliera'...
Senti il vento che sussurra...
Ed il rumore dolce del fiume...
Dararum, dararum...
Dormi dolce tesoro
Brillan le stelle lassu'...
Ricorda sempre, stellina
Che la mia Luce sei tu
La mia Luce sei tu..."
Lady Appleton guardo' il viso rilassato di William, placidamente addormentato sotto le coperte, con uno stanco ma soddisfatto sorriso sulle labbra. Gli sfioro' la guancia con un bacio. Poi si alzo', e in un frusciare di stoffe variopinte, usci' dalla stanza.
"Buonanotte, William..."

Buonanotte...
Spike fissava il volto di Buffy. Teneva gli occhi chiusi. Le labbra ancora increspate da quel sorriso appena accennato. Non aveva mantenuto la promessa. Aveva riso. Ma dolcemente, con quella punta di malinconia nella voce. Senza fermarlo, senza commentare. Semplicemente, ascoltando, come non l'aveva quasi mai ascoltato. Con gli occhi socchiusi ed i capelli sparsi sul cuscino. Lasciandosi cullare dalla sua voce. Scivolando piano preda del sonno. Dolcemente. E Spike ora la guardava, mentre decideva di far finire qui quello strano tuffo nel passato. Cosi' bella...cosi' dolce, cosi' indifesa, sembrava, mentre dormiva. E tutto quello che lui voleva fare era starle vicino, senza nemmeno sfiorarla, e guardarla dormire. Ascoltare ogni suo respiro. Guardare l'alzarsi ritmico del suo torace. E sentire quella dolce musica, che era il battito del suo cuore. Cosi' calmo, cosi' dolce. Sarebbe rimasto cosi', a fissarla, in estasi, per vite intere. D'un tratto, lei si riscosse. Fu solo un l!
 ieve mormorare, quel movimento di labbra, cosi' debole ed assonnato. Dolce.
"William?"
Lui fu terribilmente tentato di accarezzarla. Solo una leggera carezza. Uno sfiorare la sua guancia. Ma no. Si trattenne. Non poteva rovinare tutto adesso. Adesso che c'era una certa sintonia, una sorta di tacita pace, tra loro. Le sfioro' tuttavia un lembo della gonna. Seta, sotto le dita...la sua pelle, sembra...
"Si'? Cosa c'e', Luce?"
Poteva chiamarla cosi', adesso. Perche' sapeva che lei stava gia' sognando. Che non l'avrebbe presa male. Che tutto, nella dimensione in cui si trovava, ne' sonno ne' veglia, aveva la consistenza e l'importanza di un sogno. Ed infatti la senti' ridere, una risata colma di tenerezza.
"Luce...", ripete' nel sonno Buffy.
Spike sorrise. E lei mosse ancora quelle sue labbra rosse. Solo un leggero mormorare, come penna che scivola sulla carta.
"Cantami di nuovo quella canzone..."
L'universo e' fatto di Luce...
"Dararum, dararum
Dormi, dormi piccina
Brillan le stelle lassu'...
Ma per me, mio tesoro
La stella piu' bella sei tu...
La luna su te vegliera'...
Senti il vento che sussurra...
Ed il rumore dolce del fiume...
Dararum, dararum
Dormi dolce tesoro
Brillan le stelle lassu'...
Ricorda sempre, stellina
Che la mia Luce sei tu...
La mia Luce sei tu..."
Spike la guardo', ancora ed ancora. Dormiva. Dormiva davvero. Serena, quasi, l'espressione del suo viso.
"Buonanotte, William..."
Spike le sorrise, sebbene lei non potesse vederlo. E, contro ogni tentativo di autocontrollo, le sfioro' la guancia con il dorso della mano. Dolcemente. Un tocco cosi' leggero che penso' che lei non se ne sarebbe nemmeno accorta. Velluto, sotto la sua mano...guardo' verso la finestra, Spike...e' gia' il tramonto...
"Buonanotte, Luce..." 

Voleva concentrarsi. Smettere di pensare e concentrarsi, in quella immobile attesa che ormai lo contraddistingueva. Voleva restare con gli occhi fissi sulle persiane di legno, aspettando che anche l'ultimo raggio di sole si spenga, per poter aprirle. Ed uscire. A cacciare. Ad uccidere. Voleva stare fermo. Senza pensare a niente, tranne a come uccidere una volta che il sole fosse calato. Voleva che il suo viso tornasse ad essere la solita maschera d'avorio e d'ebano. Voleva che i suoi occhi smettessero di dardeggiare per la stanza. Ma, piu' di tutto, Angelus voleva che quei maledetti ricordi smettessero di ronzargli insistentemente nel cervello. Memorie cosi' vecchie che trovava incredibile non aver dimenticato. Trovava impossibile il fatto che ricordasse tutto nei minimi particolari, come se fosse accaduto ieri. Trovava opprimente, il fatto di non poter uccidere quei ricordi. Semplicemente, prenderli e ucciderli. Cosi' che non potessero piu' fargli male. Cosi' che suo padre !
 la smettesse di fargli del male. Cosi' che il ricordo di Kathy la smettesse di torturarlo. Voleva essere lasciato in pace. Da tutti quei ricordi. E da quella strana ragazza, da quella strana cacciatrice. Da quell'incantatrice dagli occhi verdi e, per quanto cercasse di negarlo anche a se' stesso, bellissimi. Osservo' per un istante Darla, e si chiese se un po' di sesso avrebbe allontanato quei ricordi per un po'. No. Il sesso e l'alcool servivano per un istante...il trascorrere di un battito di cuore...se battesse, quel cuore. Ma, fortunatamente, non batte. Da piu' di cento anni. Peccato che per il cervello non si possa dire lo stesso. Peccato che i ricordi non siano morti insieme a questo cuore.
Drusilla miagolo', stiracchiandosi le membra indolenzite. I capelli corvini le coprivano il volto, senza tuttavia oscurare completamente i suoi occhi. Senza oscurare completamente quei lampi violetti. Lo guardo', Drusilla, e negli occhi aveva divertimento. Quegli occhi da gatta. Angelus la fisso', ringhiando minaccioso, e lei si ritrasse contro il muro, spaventata dalla reazione esagerata del suo Sire.
"Non ti arrabbiare con me, Angelus...sei arrabbiato? Sei arrabbiato con me?"
Si prese la testa fra le mani, Drusilla, e comincio' ad ondeggiare avanti e indietro, come talvolta fanno le persone schizofreniche. Angelus sospiro' esasperato, e si alzo' dalla sedia a dondolo. Ando' vicino a Drusilla, carezzandole le gambe con la punta delle dita, mentre lei gemeva, visibilmente eccitata.
"Non ce l'ho con te, bambina...non sono arrabbiato..."
Le bacio' le dita, poi il collo, mordicchiandole la pelle con i denti. Passo' alle labbra, quelle labbra umide e calde, frementi, che l'accolsero vogliose. Drusilla si aggrappo' al collo del suo Sire, sedendoglisi sulle ginocchia, ondeggiando pericolosamente. Angelus guardo' Darla, addormentata profondamente sul letto. La guardo' per qualche istante, poi torno' a concentrarsi sulle labbra di Drusilla, mentre con le mani le alzava il vestito, attorcendoglielo in vita. Aveva delle belle gambe, Drusilla. Lunghe, liscie, muscolose. Ad Angelus piaceva accarezzarle. Ancora avvinghiato alla sua Childe, senti' un mugolare sommesso provenire dalla parte di Darla. Si stava svegliando, la sua Sire. Ed Angelus, come ormai troppo spesso faceva, scaravento' Drusilla via da lui. E lei, per nulla offesa, si rassetto' il vestitino lavanda, guardandolo di sottecchi, con i lampi violetti negli occhi. Darla si alzo' a sedere, stropicciandosi gli occhi come una ragazza qualunque. Angelus le baci!
 o' leggermente le spalle nude, e lei fremette, come ogni volta. Guardo' le persiane chiuse. Non c'era piu' sole, dietro quelle persiane. Si volto' verso il suo Childe.
"Perche' non mi hai svegliata? E' tardi, dobbiamo uscire..."
Si alzo' dal letto, sistemandosi il vestito sopra la leggera sottoveste che indossava. Comincio' a pettinarsi i lunghi capelli biondi. Dando le spalle ad Angelus. E lui vide, in quei capelli biondi e quel corpo minuto, quella cacciatrice, quello strano angelo della morte. Ringhio'. Non a Darla, non a Drusilla. Ringhio' a se' stesso, ringhio' alla sua mente, ringhio' ai suoi pensieri. Decise che non voleva ucciderla, la cacciatrice. Voleva farle male. Quanto piu' poteva. Voleva cavarsela dalla testa con le unghie e con i denti. Non voleva piu' il suo sangue. Voleva punirla perche' lo faceva sentire inerme. Perche' risvegliava in lui ricordi che non avrebbe dovuto risvegliare. Perche', dannazione, quei due occhi verdi non gli si levavano piu' dalla testa. Voleva fargliela pagare. Non quella sera, pero'. Voleva progettare qualcosa, qualcosa di grandioso, di doloroso, di magnificamente orribile. E non poteva farlo, quella notte. Si alzo' dal letto, senza guardare ne' Darla, ne' !
 Drusilla. Osservava il riflesso argenteo di un raggio di luna che filtrava dalle persiane chiuse ed illuminava la sua spada.
"Stasera restiamo qui..."

V'era stato un tempo in cui il mondo di Spike, la ragione intera del suo essere, era ruotata attorno alla notte. Al cremisi del sangue. Alle grida disperate degli uomini. Ed a due occhi verde azzurri, con i lampi violetti dentro, persi in un mondo di follia assassina.
V'era stato un tempo in cui gli era sembrato naturale.
V'era stato un tempo in cui non avrebbe cambiato quello che aveva per niente al mondo.
V'era stato un tempo in cui aveva creduto di conoscere la perfezione.
Prima di Buffy. Prima che il suo amore gli mostrasse cosa fosse realmente.
Era ancora un demone, tuttavia, Spike. Sentiva ancora una parte di se' picchiare contro le pareti della sua anima, della sua umanita', schernendolo per ogni sua parola, per ogni suo gesto. Per ogni sorriso. Per ogni pensiero. La sua voce pero' stava dimentando meno insistente, o forse era Spike a non sentirla piu'. Forse era semplicemente che quella voce si acquietava, quando si ritrovava a guardarla, in estasi. Forse perche', dopotutto, anche il suo demone amava Buffy. Forse semplicemente, tutto quello che era Spike amava quella ragazza dal sorriso come frammenti di stelle.
Uomo e demone.
Sorrisi e ringhi.
Sete di sangue e di cultura.
Non ne poteva fare a meno. Non avrebbe potuto rinunciarvi, nemmeno se da quello fosse dipesa la sua non vita. Aveva bisogno di lei come aveva bisogno di bere sangue. Era una cosa indispensabile, un punto fermo nella sua esistenza. Gli era necessario per sopravvivere. La guardo', dolcemente addormentata. Tranquilla. Con quel tenero sorriso sulle labbra socchiuse. Era notte. Ma non gli importava. Non voleva uscire. Non voleva svegliarla. Anche se aveva fame. Ma non sarebbe mai uscito, senza di lei. Non aveva nessuna intenzione di lasciarla sola. Compaiono troppi fantasmi, quando ti lasciano solo. Non voleva. Si alzo', cercando di fare meno rumore possibile. Ando' alla finestra, e l'apri'. Freddi raggi di luna gli colpirono il viso, mentre il vento del nord entrava sospirando, avvolgendo la stanza col suo freddo abbraccio. Le stelle erano sempre li', nel cielo, fiammelle inestinguibili. Ma gli parvero cosi' fredde e buie, in confronto alla Luce calda e accecante che dormiva ser!
 ena in quel letto, dietro di lui. Cinque giorni, mancavano. E poi avrebbe deciso. Si senti' attanagliare dal freddo. E non era vento del nord. Un freddo che proveniva da dentro di lui. Un freddo che si propagava dal suo cuore. Perche'...Dio, era una decisione troppo complessa. Troppo difficile. O forse troppo facile. Senti' un fruscio provenire dall'interno della stanza. Penso' fosse Buffy. Invece, guardando, vide che era un foglio di carta, che volteggiava, sospinto dal vento. Spike lo afferro', prima che uscisse dalla finestra. Guardo' quella superficie bianca, liscia, che riluceva alla luce della luna. E decise. Ando' verso la scrivania. C'era una penna, ed un calamaio colmo di inchiostro. Si sedette sulla vecchia sedia barcollante, e impugno' saldamente la penna tra le dita. Era una cosa che non faceva da oltre un secolo. Non scriveva, da quella lontana notte del milleottocentottanta. Ed ora sentiva quel richiamo irresistibile chiamato ispirazione, destarsi dentro di lu!
 i. Non ci penso' che un attimo, e la penna, come dotata di vit!
 a propri
a, scivolo' frusciando sul foglio, catturando i pensieri di Spike in quella notte fredda di Londra. Spike che scriveva cullato dalla melodia dolce del cuore della sua cacciatrice. Lo sentiva, come un ritmico battere di tamburi, anche a quella distanza. Amplificato cento volte. Su quel foglio si disegnavano piano parole, redatte con la calligrafia sempre uguale di William. Quella calligrafia ordinata ed elegante, che nemmeno cento anni avevano cambiato.
<Per secoli ho vissuto
Epoche traversando
Allorche' aumenta in me il desiderio d'incantarmi
Guardando la splendida Aurora, e le sue tenui e luminose sfumature...
La stessa vita mia, malinconica e logorante darei
Per un raggio del rimpianto Sole...
Ma a lui rinunciai, scelta mia assassina
In una triste sera di troppo tempo fa...
In un giorno, oppure in una notte...
In una visione, o in nessuna visione...
Medicina non esiste che mi possa aiutare
E la mia fredda anima soffre
Dinanzi al nero Destino cui fui condannato
Senza rimedio...
Cosi' io posso esistere notte dopo notte
Con gli occhi gelidi ed il candido pallore
Come unica consolazione
Raggio salvifico in questa notte nera
La mia Luce, raggio riflugente di vita...
Ad illuminare la mia esistenza vuota, solo lei,
Luce...
Cosi' a Lei rivolgo il mio canto solitario
Fiducioso nella sua comprensione...
E piango...
Piango il celeste del cielo,
L'azzurro del mare...
I colori accesi dei fiori in un di' primaverile...
Ma comprendo che non posso combattere il Fato, e,
Rassegnandomi, fremendo attendo l'Alba...>      

Capitolo VII - Wind's Room

Shh...non parlate! Le vostre voci sono troppo forti...qui...nella mia testa...
Shh...ascoltate...non respirate...non vi muovete...non pensate...i pensieri fanno troppo rumore. Ascoltate...loro parlano. Le sentite? Parlano...
Shh...dolce musica. Come polvere di stelle nel cosmo...tutt'attorno a me...nei miei occhi.
Le vedete? Le sentite cantare? Certe volte cosi' forte che mi assorda...
Certe volte e' cosi' forte che mi fa male al cuore. Non batte piu', il mio cuore...mi sono risvegliata...e non batteva piu'. E certe volte mi fermo, e gli chiedo di ricominciare...ma lui non lo fa mai. Non mi vuole piu' bene...perche' io sono una bambina cattiva. Una bambina cattiva con un cuore buono che non le vuole piu' bene...
Forse e' per questo che le sento cosi' chiare. Non c'e' rumore, dentro di me. Soltanto musica...
Shh...la sentite? Dolce, dolce musica...dolce come le torte della mamma...
Shh...riuscite a sentirle? Ballavo davanti allo specchio, quand'ero bambina. Ora ballo ancora, ma nello specchio non c'e' piu' niente...
Ballate, danzate con me...
Shh...non parlate! Le vostre voci sono troppo forti...qui, nella mia testa...cosi' non le potete sentire, come le sento io...
Ridono...ridono per me...
Perche' io so.
Perche' io ho sempre saputo...
Perche' io le ascolto, e ballo la loro musica...
Perche' loro mi amano...
E dipingono per me quadri di spaventosa armonia e meraviglioso caos...
Chiudete gli occhi...
Spegnete il mondo...
Guardate...osservate...come me.
Io vedo.
Io sento.
Io so. So tutto.
Le pieghe del tempo mi si svolgono davanti, colorate della luce delle stelle. Oscure. Come il buco che mi e' rimasto dentro, quando il mio cuore si e' spento.
Ho sempre saputo tutto.
Ho sempre visto tutto.
Io conoscevo gli occhi di mio padre, prima ancora ch'egli versasse il suo primo sangue nelle strade della mia terra. E li ho riconosciuti, tremando di terrore. Io conoscevo la sua voce, dai giorni dei miei primi passi. E sapevo che avrei amato la sua tenebra. Sapevo che sfuggirgli era uno scherno, che non potevo impedirmi di giocare...
Io ho visto la terra vomitare il sangue di mille battaglie...che sono venute, e che verranno.
Ho visto il sole bruciare dal suo interno...e conosco l'ora in cui smettera' di farlo.
Io ho ascoltato melodie di infinita passione. E, quando ho bevuto, ogni volta, avevo gia' visto tutto.
Io sento.
Io vedo.
Io so.
E dimentico, a volte.
E le cose sembrano nuove, quando le ho viste milioni di volte. E torno a chiedere al mio cuore di battere. E lui continua a dirmi di no. Continuo a cercare mio padre, anche se so che non lo trovero'...io sapevo che l'avrei perso, ancor prima di incontrarlo...io conosco la sua anima, prima che lui ci inciampi sopra...e' storia che deve ancora essere scritta, ma che io ho gia' letto...io bevo il suo dolore, la mia vendetta, prima che lui lo provi...io rido, mentre lui governa la notte...e non sa perche'...
E l'altro, l'amante che ho gia' incontrato, senza che nessuno lo sappia...e' storia che deve ancora essere scritta, ma che io ho gia' letto...io conosco il volto della mia creatura...bianco, come un giglio macchiato di sangue. Io conosco gia' ognuno dei nostri cento anni...e so che mi abbandonera'...danza in me, l'ombra che un giorno me lo rubera'...ed e' Luce...Luce purissima...e lui non la conosce bene...pensa che sia una donna...ma invece e' una stella...ed e' Luce...sara' Luce purissima...
E' storia che deve ancora essere scritta, ma che io ho gia' letto...
Gli diro' addio, il giorno in cui lo incontrero'...lo piangero', mentre lui mi amera'...
Perche' so.
Perche' ho gia' visto.
Perche' ho ascoltato la musica che batte nel mio petto.
Se soltanto voi taceste...se soltanto smetteste di parlare...e di pensare...e di respirare. Se solo diceste al vostro cuore di fare piu' piano...nel silenzio, forse, la sentireste.
Come me.
E non avreste piu' paura...o forse ne avreste troppa, per andare avanti...
Io non so se ho paura...l'ho dimenticato...o, forse, non l'ho mai saputo.
Vedo, e non conosco cio' che ho dentro...
Fa male, e non so perche'...
E allora ascolto...e le stelle mi portano via. Come un fiume. Come una melodia. E non ho piu' paura.
Eppure, l'avevo prima? O forse non c'era, e me la sono inventata? O forse c'era...e l'ho dimenticata?
Non rispondo mai...non posso...non l'ho visto. Perche' la musica non si ferma mai...
Ed io sento...
Ed io vedo...
Ed io so...
Perche', io so...e so da sempre.
Conosco i nomi delle genti che verranno. E le nuove Cacciatrici, ed assaporo il loro sangue. Conosco la Chiave, e la porta che aprira', alla fine. E se non l'ho gridato e' solo perche'...non l'avevo visto...
Conosco il giorno in cui la mia creatura compira' cio' per cui l'ho portato. Ed il suo volto quando l'avra' fatto...e, per un istante, vedra'...
Conosco le loro battaglie. E quelle di molti, molti altri ancora. E so che, quando tutto questo sara' accaduto e dimenticato, come si dimentica cio' che si vuole dimenticare...
...e quando le stagioni saranno mutate, e gli eroi avranno versato il sangue, ed i re li avranno ignorati...
...e quando amori avranno arso, e lacrime si saranno versate...
...e vite che non dovevano nascere saranno venute al mondo, e grida avranno squassato l'universo, e la terra sara' piu' vecchia del piu' vecchio dei vampiri...
...allora, io ci saro' ancora.
Quando tutte le battaglie di chi porta il mio sangue saranno state combattute, e gli occhi di quelli che mi hanno vista, mi avranno dimenticata...e crederanno che sia finita...
...Allora, io ci saro' ancora.
Quando tutto sara' mutato, io ci saro' ancora. Quando il mondo sara' un altro, io ci saro' ancora.
Oppure...questo...e' tutto gia' avvenuto...ed io, anziche' vederlo, l'ho vissuto...e poi, l'ho dimenticato.
Shh...non parlate! Le vostre voci sono troppo forti...qui, nella mia testa...
Shh...ascoltate...non respirate...non vi muovete...non pensate...i pensieri fanno troppo rumore...
Ascoltate...loro parlano...
Le sentite?
Le sentite?

Darla si giro', con una strana sorpresa negli occhi, mista a furia. O forse era divertimento. Angelus, per la prima volta, si soffermo' a pensare che non lo avrebbe mai capito, quel suo sguardo. Che la sua regina poteva fargli credere cio' che voleva, con quegli occhi. E lui, quegli occhi, non li lascio' nemmeno per un istante. Vi getto' dentro le pietre nere che brillavano sul suo volto. E non li lascio', quegli occhi. Come in una sfida. E, le sfide, le vinceva sempre lui.
"Cosa?"
Stizza, nella sua voce. Quasi un ringhio. Ma stavolta non era per sedurre. Era arrabbiata, Darla, perche' lui le stava proibendo di uscire. Perche' lui stava proibendo a lei, a Darla, alla figlia del maestro, alla sua puttana, proprio a lei, di uscire. E non poteva sopportarlo. Non lei. Lei che l'aveva generato dal suo sangue, ed aveva dato inizio a tutto, lei che non sopportava le catene o alcun tipo di legame. Lei che viveva solo per lei. E per nessun altro. E da nessun altro prendeva ordini. Angelus lo sapeva. E la stava sfidando. E a Darla non piacevano le sfide.
"Ho detto che stasera non andiamo fuori. Se hai fame, la cena e' di la'."
Sapeva essere cosi' irritantemente calmo, Angelus, quando voleva. Con quella sua voce misuratamente bassa e suadente, da farti avvertire un brivido. Drusilla rabbrividi'. Si avvicino' ad Angelus. E rise. Una risata che non era ne' di questo, ne' dell'altro mondo. La risata di chi fonde i due mondi in se' stessa. E vede. E sa.
"Lui non vuole spegnere la Luce...lui vuole portare la Luce nell'ombra...vuole soffocarla nelle tenebre...cosi' non brilla piu'...no, non piu'...la Luce..."
Darla non bado' alle farneticazioni di Drusilla. I suoi occhi erano diventati rossi, come fuoco. Per la rabbia. Perche' sapeva che Angelus, se aveva deciso di non farla uscire, non l'avrebbe fatta uscire, a costo di incatenarla a letto. Ma Darla voleva uscire. C'era la luna, fuori, a chiamarla. Un richiamo irresistibile. Che anche Angelus sentiva. Ma quella sera pareva aver deciso di ignorarlo. C'era una Cacciatrice da uccidere, dannazione! E Darla gia' pregustava il sapore dolce del suo sangue. L'odore della sua paura. Rimase ferma dov'era, senza staccare gli occhi da quelli di Angelus.
"Abbiamo una cacciatrice da uccidere! E' li' fuori, ed io voglio il suo sangue!"
Drusilla si prese la testa fra le mani, gemendo.
"La Luce...la Luce, la vedo...e' tutta brillante...e ride...lei ride...la Luce..."
Darla sbatte' con forza i piedi sulle piastrelle del pavimento.
"Oh, sta' zitta!"
Angelus giro' per un attimo gli occhi, guardando dalla finestra aperta, la luna brillare e chiamarlo.
"Voglio il suo sangue, Darla. Ma non solo quello. Io voglio la sua paura, voglio il suo terrore, voglio vederla implorarmi di ucciderla! Voglio qualcosa, voglio qualcosa di cosi' terribile, che nessuno potra' mai dimenticarlo..."
Darla corse verso di lui.
"Anch'io lo voglio, creatura mia...perche' non stanotte? Andiamo a prenderla, Angelus..."
Lui scosse la testa, con grande disappunto di Darla.
"No. Un assassinio di qualita' richiede tempo...un giorno. Domani sera andremo a prenderla. Non appena fara' buio. E le daro' quel che merita..."
Darla lo guardo', mentre con le labbra gli si avvicinava. Sorrideva, un sorriso cosi' enigmatico che Angelus rinuncio' ad interpretarlo. Senti' quelle labbra sfiorargli un orecchio. E poi...urlo'. Urlo' perche' Darla lo morse, forte, sul collo, lacerandogli la pelle. Se la strappo' via, mentre sul suo volto comparivano i tratti deformati del suo demone. Ringhio'. E Darla ringhio', asciugandosi la bocca sporca di sangue.
"Darla! Cosa diavolo ti prende??"
Darla lo guardo', con l'odio nei grandi occhi blu.
"Mi credi una stupida, Angelus? Sono una puttana, non sono stupida! Tu vuoi la cacciatrice!"
Angelus allargo' le mani, come a sottolineare una cosa scontata.
"Certo che la voglio! Voglio ucciderla!"
"No! Tu vuoi farne una di noi! Tu vuoi la cacciatrice per farne una vampira! Per farne un'altra puttana tutta per te! Ti e' entrata nel cervello! Perfino io riesco a vederla!"
Si alzo', Angelus. E non c'era niente di seducente o amichevole, nella sua camminata verso Darla. Che pero', non si mosse di un centimetro.
"Ora basta!", tuono'. "Non ho intenzione di ascoltare una parola di piu'! Voglio la cacciatrice, la voglio per poterla uccidere e, si', per farne una di noi. Una cacciatrice vampira, e saremo invincibili! E se la tua gelosia non ti oscurasse gli occhi, potresti vederlo anche tu!"
Darla provo' a ribattere. Vide Angelus sedersi nuovamente sul letto, e capi' che aveva ragione. Forse ne avrebbe fatto un'altra puttana, ma almeno, con una vampira cacciatrice, nessuno avrebbe piu' potuto mettersi contro di loro. Solo, perche' non stanotte?
"Angelus..."
Prima che potesse finire la frase, Angelus la afferro', premendo le sue labbra contro quelle di lei, per zittirla. Aveva voglia. La spinse sul letto, sotto di lui, mentre Drusilla girava i tacchi e se ne andava saltellando nell'altra stanza. Seguendo le stelle...ed Angelus si staccava quel tanto che bastava ad avere l'ultima parola su Darla.
"Tu farai come ti dico, Darla..."

Non dormiva. Era l'alba. Ma lei non dormiva. Aveva sonno. Ma non dormiva. Voleva scordarsi di tutto. Ma non dormiva. E non era nemmeno sveglia. C'era. Era tutto quello che sapeva, tutto quello che girava in quella testa ancora intontita dal sonno. C'era. Riusciva a ricordare dov'era. Era su di un letto dalle coperte beige. In un ostello di Londra. Accoccolata sotto coperte beige, tentando di proteggersi dal freddo vento del nord. Che si portava dietro il profumo dei ricordi. Di quelli belli, che sapevano di cioccolata...o di vaniglia...o semplicemente della pelle di qualcuno. Qualcuno che non riusciva a capire chi fosse. Un odore buono, dolce. Vivo. Non voleva pensare a chi appartenesse, quell'odore. Ed il vento le portava anche il lezzo di morte, dei suoi brutti ricordi. Ma non voleva pensarci. Lei c'era. E questo era tutto quello che voleva sapere. Si scosse leggermente. Un brivido. Non era per il freddo. Sapeva esattamente cosa -chi- aveva provocato in lei quel brivido. S!
 enti' il letto cigolare, sotto il peso della persona con la quale lo divideva. Per necessita'. Respiro' profondamente, quel respiro che sono solite fare le persone stiracchiandosi, un attimo prima di aprire gli occhi. E senti' una zaffata di profumo, quel profumo di pelle che sentiva nel vento. Sorrise. Ma solo per un istante. Giro' la testa verso la finestre, mentre con un piede si carezzava l'altra gamba, stiracchiandosi. Sbadiglio'. Ed apri' gli occhi. Solo, non aveva il coraggio di girarsi. Non credeva di essere pronta ad affrontare quei tremendi occhi che l'aspettavano, fissi su di lei. Non voleva incrociare quello sguardo. Non voleva sentire il suo dolore, nel sapere che lei non si sarebbe mai fidata di lui. Non piu'. Non gli avrebbe piu' permesso di ferirla. Era un egoista. Perche', in quei tre secondi, seppe che lei lo aveva ferito, e lo aveva deluso, molto piu' di quanto aveva fatto lui. Lei, che avrebbe dovuto essere la buona. Quella piena di generosita', quella d!
 alla parte del giusto. Si rammento', per un istante brevissimo!
 , la nin
na nanna che le aveva cantato ieri. Quella delle stelle. Non ricordava tutto. Era stata ad ascoltarlo, finche' il sonno non era arrivato a reclamarla. E lei aveva ceduto dolcemente, scivolando come l'acqua di un torrente. E non ricordava piu' niente. Solo una sensazione dolcissima, ed una tenera risata, per qualcosa avvolta nella nebbia. Si giro'. E, come aveva previsto, lo trovo' accanto a lei, a fissarla. Con quei suoi occhi azzurri, che brillavano nella penombra della stanza. Aveva gia' chiuso le persiane della finestra. Solo una tenue luce filtrava tra le imposte. E a lei non importava.
"Buongiorno..."
Quella voce dolcissima...Dio, perche' lo stava pensando? Si ritrovo' a sorridere.
"Buongiorno, Spike."
Restarono in silenzio, mentre lui la fissava e lei fissava le crepe nel soffitto, senza un motivo. Poi, un forte odore di brioche le entro' nella testa. Senti' un leggero bussare alla porta, e si irrigidi'. Spike se ne accorse. Si alzo', avvolgendosi nello spolverino, sorridendo sornione.
"Oh...chissa' chi e'?"
Fingeva bene, Spike. Ando' alla porta, mentre Buffy osserava quello spolverino ondeggiare e frusciare, seguendo i movimenti del vampiro, come in una piacevole danza. La porta' si apri'. Sulla soglia stava l'uomo grasso, stringendo tra le mani un vassoio. Buffy non poteva vedere cosa ci fosse nel vassoio, ma l'odore di brioche, ora, era piu' che mai presente. Spike richiuse la porta, ringraziando l'uomo, e si giro', tornando verso di lei. Due brioche fumanti, nel vassoio, e tazzine da teh nelle quali ondeggiava un liquido bianco e spumoso. Latte. Appoggio' il vassoio sul letto, accanto a lei, che lo guardava stupita. Dio, piacevolmente stupita.
"Oh, Dio...non dovevi...", gli disse lei con tono severo.
Lui bevve un sorso di latte, scoprendo che era a dir poco delizioso. Le sorrise.
"Guarda, pasticcino, che anche qualcosa di antiquato come un 'grazie', mi andrebbe bene..."
Buffy sorrise, addentando un pezzetto di dolcissima brioche. Calda. Deliziosa. Gli sorrise. Un po' forzato. Ma sorrise.
"Grazie..."
"Non c'e' di che, zuccherino."
Spike poso' la tazzina sul vassoio, ed assaggio' la brioche. Buffy lo vide, stupendosi.
"Ma voi vampiri non dovreste solo bere sangue? Cioe', non dovreste essere insensibili agli altri sapori?"
Lui parlo', la bocca cosi' piena che faticava a farsi capire.
"Ti assicuro...che le mie...papille gustative...sono...sensibilissime a...questa brioche!"
Lei lo guardo' ancora per qualche istante, prendendo un paio di sorsate dalla sua tazzina. Adorava quel latte. Sembrava...sembrava avere la consistenza ed il sapore di una nuvola...dolce, delicato, leggero.
"Tu sei tutto un controsenso..."
Spike le sorrise. Dio, quel sorriso avrebbe illuminato una stanza...
"E questo dovrebbe essere un problema?"
Buffy addento' un altro morso di brioche, scuotendo la testa.
"No"
D'improvviso, mentre lei stava posando la tazzina e lui la stava prendendo, le loro mani si sfiorarono. Lei ritiro' subito la sua, abbassando lo sguardo. Spike sospiro'. Un sospiro che sapeva di tristezza. La sua domanda fu molto semplice, e le arrivo' dritta al cuore.
"Hai paura?", le chiese piano.
Lei lo guardo'. Ed i suoi occhi lo chiedevano insieme alla sua voce. Allora seppe che quella domanda era piu' generale di quanto credesse...
Hai paura, Buffy? Hai paura? Come ogni giorno della tua vita, anche quando credevi di non averne? Hai paura, piccola Buffy?
Hai paura di zanne acuminate ed artigli?
Hai paura di essere sola?
Hai paura di essere uccisa?
Hai paura di morire fra pareti fredde, senza che nessuno si ricordi di te?
Hai paura di te stessa, Buffy?
Hai paura di tornare indietro?
Hai paura di Spike, Buffy?
Hai paura che ti faccia del male?
Hai paura che si svegli una mattina, senza amarti piu'?
Hai paura dei suoi occhi, quegli abissi piu' profondi del mare?
Hai paura della sua anima, che ti sembra piu' vera della tua?
"No"
Abbasso' gli occhi, per poi alzarli un attimo dopo, e fissarli in quelli blu di lui. Cosi' blu...
"O...a volte si'...a volte ho paura di te...a volte ho paura di me stessa. A volte semplicemente ho paura, e non so perche'."
Sorrise debolmente. A volte e' cosi' difficile, anche solo sorridere. E' cosi' difficile...
"Non devi aver paura di me. Non devi mai avere paura di me. Non voglio ferirti..."
Sospiro' piano, Spike. Ogni parola, Dio, quanto gli costava. Sentiva il volto contorto del suo demone sbattere contro il suo viso, e la rabbia  e l'odio premere contro le pareti della sua umanita'. Li ricaccio' indietro, Spike. Con uno sforzo immane, li ricaccio' indietro. 
"...Vedi, quando sei con me...non c'e' niente al mondo, che possa ferirmi...ma so...che io posso ferire te. Non voglio ferirti, Buffy. E non voglio nemmeno incatenarti a qualcuno che, forse, non potra' mai amarti completamente...oh Dio...", sorrise. "...sembro Angel!"
Sorrise anche Buffy, sebbene stesse facendo un grande sforzo per non piangere. Chiedendosi insistentemente chi fosse, quel ragazzo davanti a lei, con gli occhi buoni e vivi -vivi-, che a stento riusciva a guardarla. Ti ho fatto questo, Spike?
"Certe volte vorrei essere quello di prima...un fottuto bastardo egoista...cosi' avrei il coraggio di chiederti di dimenticare...mentre adesso...non ho nemmeno quello di dirti di ricordare ed uccidermi..."
"Spike...tu non sarai mai piu', quello di prima...tu...non sei vivo grazie all'odio, o al dolore...sei vivo perche' ti ho visto cambiare. Perche' ho visto la tua penitenza..."
Spike la guardava. Inclinando la testa di lato. E si chiedeva quale spirito o forze superiore fosse entrato in loro, quella mattina, per far si' che parlassero. Che parlassero sul serio. Non prendendosi in giro, o insultandosi, o mentendo. Parlando. Quasi a volersi chiedere scusa a vicenda...
"...tu...hai affrontato il demone dentro di te, e l'hai sconfitto...hai rischiato tutto per essere un uomo migliore."
"Buffy..."
"E puoi esserlo...io credo in te, Spike..."
E Buffy aveva sorriso. Sembrava Luce...Dio, Luce bianca...fortissima, in quel sorriso dolce e spontaneo. E la brioche di Spike per poco non gli era andata di traverso.
Luce...
Tossi', facendola ridere. Si guardarono per qualche secondo. Poi lui ruppe l'imbarazzante silenzio.
"Buona, questa brioche..."
Lei sorrise. Un po' delusa, forse, ma sorrise. Era proprio cambiato, Spike...ed in meglio...
"Ottima...guarda, il sole e' alto, dev'essere tardi...come passano in fretta, le giornate di Londra..."

Tu farai come ti dico, Darla...

"Liam! Tu farai come ti dico!"
Grida.
Grida.
Grida.
Suo padre non faceva altro che gridare...ogni giorno, ogni ora. Ogni volta che s'incontravano. E Kathy piangeva. E si spaventava. Per lui. Perche' non voleva che litigasse con suo padre. Perche' non voleva che lo colpisse.
Ed anche per se'. Perche' aveva paura. Liam le aveva detto che non doveva averne. Che non l'avrebbe mai picchiata. Perche' Kathy non era come Liam. Lei era buona. Lei era obbediente. Lei era una meravigliosa, allegra, dolcissima piccola ragazza con gli occhi nocciola piu' intensi che avesse mai visto.
Lo aveva abbracciato, dicendogli che anche lui era buono. E Liam non aveva continuato.
Non le aveva detto che se si fosse azzardato a toccarla lo avrebbe ammazzato con le sue mani.
Avrebbe fatto cio' che non aveva nemmeno pensato, in ventisei anni di scontri.
Non le aveva detto che nessuno, nessuno mai avrebbe dovuto toccare sua sorella.
Mai.
Nemmeno lui. Eppure la faceva piangere. Ogni volta che suo padre lo colpiva. Ogni volta che gridava contro di lui.
Come ora.
E il suo cuore, cosi' indurito, cosi' prodigo di false promesse per le ragazze della taverna del porto, si piegava, e sanguinava, davanti alle lacrime di sua sorella.
"Dolce, piccola Kathy...", mormoro', chinandosi verso di lei.
Doveva porre fine a quel litigio.
Doveva farla smettere di piangere...e suo padre doveva pagarla...
Perche' poteva ammazzarlo, ma non doveva mai piu' azzardarsi a gridare cosi', con lei. Solo per averlo difeso. Un coraggio, a dieci anni, che suo fratello, a ventisei, poteva solo ammirarle.
Allungo' la mano, e con dolcezza infinita le terse la guancia con il dorso. Accanto a loro, vestita di nero, sua madre li guardava. In silenzio.
Come sempre.
"Niente lacrime", mormoro'. "Papa' ora mi sfida...e' con me che ce l'ha, non con te...non ti fara' niente...nessuno ti fara' del male. Non finche' vivro'..."
Lei gli sorrise, lottando contro le lacrime, e Liam dovette trattenersi, per non prenderla in braccio.
Non l'avrebbe mai fatto, di fronte a suo padre. Invece, si alzo', e sfido' il volto arcigno dell'altro, fermo sul suo cammino.
"Ed ora, Padre, vorreste gentilmente togliervi dalla porta?"
Lui strinse gli occhi, lanciandogli quello sguardo che tante volte lo aveva terrorizzato da bambino, e che ora faceva piangere Kathy. Gli si avvicino', minaccioso.
"Ma non aspettarti di tornare mai piu' indietro!", sibilo' cupamente.
E le sue parole rimbombarono nel cuore di Liam.
"Come voi desiderate, Padre", disse calmo. "Sempre come voi desiderate..."
"Desideravo un figlio!", Grido' l'altro. E Liam senti', accanto a se', sua sorella sobbalzare. "Un uomo! E invece Dio mi ha dato te! Una terribile delusione!"
Liam sorrise. Una reazione molto diversa da quando glielo aveva detto la prima volta.
"Una delusione?", lo scherni'. "Non avreste potuto chiedere figlio piu' deferente! Per tutta la mia vita mi avete detto con le parole e gli sguardi cio' che volevate da me, ed io ho vissuto per soddisfare ogni vostra aspettativa!"
"Sei pazzo!", sbotto' l'altro. Liam senti' una rabbia che non voleva, crescergli dentro. Non voleva dare a suo padre la soddisfazione di vederlo arrabbiato. Di fargli capire che le sue parole potevano ancora fargli del male.
Tuttavia, non riusci' ad impedire all'antica amarezza di salirgli rapida nello stomaco, allagandogli la gola, ed il palato, e la lingua...
"La follia era pensare di non poter fallire mai abbastanza per voi, padre! Ma, forse, stasera la smentiremo, questa follia!"
"Ma certo! Vai, a bere con le tue sgualdrine! Perditi in questa notte, e domani ti rivedro' di nuovo strisciare nell'ombra! Non resisterai un giorno, li' fuori, ragazzo! Non ne saresti capace. Sei troppo inetto, anche per la vita da vagabondo!"
Strinse i pugni, e senti' la rabbia calmarsi, come se la sua furia fosse arrivata troppo in alto, e non potesse ora fare a meno di acquietarsi.
"Ho paura per te, ragazzo...", mormoro' cupamente.
"E questa e' l'unica cosa che potete trovare nel vostro cuore per me, ora, padre?"
L'altro sollevo' di nuovo la testa, il volto duro come il granito.
"Nessuno ti aiutera'! Nessuno vorra' avere a che fare con uno come te!"
Aveva quasi voglia di ridere, ora. Ma erano risate amare. Salate.
Si precipito' fuori. Rabbioso. Furente. Con suo padre e con se' stesso, e con quel qualcosa di terribilmente sbagliato in lui che permetteva ancora alle parole di suo padre di ferirlo, ed al suo cuore di sanguinare, per questo.
"Se corteggerai i guai...sarai certo di trovarli!", gli grido' dietro suo padre.
Una massima morale! Ecco cio' di cui aveva bisogno! Una massima morale, e non un boccale di birra, ed una ragazza morbida, che gli facessero dimenticare che lui aveva ragione, che non se ne sarebbe mai andato di casa. Che non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare l'ignoto, e i disagi. Era da cosi' tanto tempo, che lo sapeva. Che non se lo ripeteva piu', che sarebbe fuggito, ogni volta che suo padre lo mordeva, iniettandogli il suo veleno. Ora erano la birra e gli occhi di una bella donna, il suo vascello per l'oblio. La formula segreta per dimenticare la vita che faceva. E la nullita' che era.
Arrabbiato, pieno di livore, vide appena la figura vestita di bianco che per poco non travolse. Non si fermo', non si giro'. E l'unica cosa che in quel momento turbava la sua voglia di oblio, come una goccia di pioggia che cadeva sulle pareti della sua rabbia e della sua frustrazione, era il pensiero che, forse, a casa, la sua piccola Kathy piangeva ancora...

Stavolta non c'e' una sedia a dondolo, a cullare i suoi pensieri, i suoi ricordi, il suo smarrimento. Stavolta non ci sono che le braccia nude di Darla, a tenerlo stretto, con il viso sprofondato nell'incavo della spalla. Darla. Cosi' bella, la sua Darla. Dal corpo di panna. Con quelle labbra rosse, rosse come il sole che sta vedendo, scendere velocemente, pronto a tramontare. Ed e' la sera. E la Cacciatrice, quella ragazza che sembra essersi stanziata stabilmente nel suo cervello, divertendosi a giocare uccidendolo con i suoi ricordi, deve pagare. Stare male, come lui sta male. Sentirsi spaesata, come lui si sente spaesato. Soffocare, come lui si sente soffocare. E' impossibile, sentirsi soffocare, per Angelus. Ma lui lo sente. E vuole che lo senta anche lei. Ora. Subito. Ucciderla, per liberarsi di lei. Della sua immagine, delle sue lacrime, del suo dolore. Dei ricordi che affollano la sua mente, per colpa sua. Di quella ragazza con le stelle negli occhi.
Scuote Darla. Lei sbadiglia, lentamente. E gli occhi le si accendono. E' sera. Il tramonto. Ed e' ora di andare. Si alza, senza nemmeno tentare di coprirsi. E spalanca la finestra, lasciandosi inondare dalla luce della Notte. Non c'e' ancora luna. Non ci sono ancora stelle. Solo luce rossa, all'orizzonte. Senza sole. In un angolo fuori dal tempo. Anche Angelus si alza da quel letto sfatto, da quelle coperte lacere, quei cuscini che sono solo ammassi di piume bianche. Darla lo guarda. Nervoso e turbato come l'ha visto cosi' raramente. Scrolla le spalle, la donna, e comincia a vestirsi. La sottoveste di seta scivola piano sulla sua pelle liscia, e si ferma a mezza coscia, poco sopra il ginocchio. Luccica, quella sottoveste azzurra, nella luce tremolante del tramonto. E poi scende su di lei il vestito bianco, quello con la gonna ampia e il bustino strettissimo. Laccetti porpora, intarsi dorati, sulla gonna. Sembra si stiano preparando per andare ad un ballo. Oh, balleranno. Ecc!
 ome. E ballera' anche la cacciatrice. Ballera' fino a bruciare...
Drusilla torno' nella stanza principale, attirata dallo scalpiccio di passi sempre piu' insistente. Guardo' oltre la finestra, in estasi.
"Andiamo a prendere la Luce...la Luce brucia..."
Darla le si avvicino', posandole un bacio sulla spalla.
"Si', Tesoro...andiamo a prenderla..."
La vampira batte' entusiasta le mani, guardando l'altra. Angelus emerse dalla stanza adiacente, vestito di un completo nero, come sempre. Serissimo in volto, guardo' le due donne, guardo' il cielo nuvoloso fuori dalla finestra, e poi s'avvio' verso la porta. Darla e Drusilla lo seguirono, giubilanti. Stretta nella mano di Angelus, brillava la spada, riflettendo i raggi di quello scorcio di luna che s'intravedeva tra le nuvole.
Passarono lungo la riva del Tamigi, stretti l'uno all'altro, mentre un malinconico vento del nord spazzava le strade e portava con se' l'odore intenso della cacciatrice. Arrivarono davanti un vecchio ostello. Angelus si fermo' di botto, mentre il suo volto assumeva improvvisamente le fattezze del mostro che nascondeva. Darla e Drusilla fiutarono allo stesso modo la presenza della cacciatrice. O della Luce, come preferiva chiamarla Drusilla. Mutarono entrambe, mentre aspiravano disgustate l'aria attorno a loro. L'odore di quella ragazza intossicava tutto, attorno a loro. Un ringhio. Usci' contemporaneamente dalle tre bocche deformi, rompendo il silenzio fermo della notte. Darla fisso' i suoi occhi gialli fiammeggianti su una finestra, al primo piano della bettola. Drusilla la segui'. Angelus non alzo' gli occhi. Gli bastava aspirare quell'aria per sapere esattamente dove si trovava quella specie di angelo della morte. Ringhio', un ringhio sonoro e quasi triste. Voleva che la !
 smettessero. Quei pensieri. Di Kathy, di suo padre, dell'immobilita' di sua madre, delle taverne, delle ragazze a cui aveva sussurrato all'orecchio vane promesse. Voleva che smettessero. Li', con quell'odore di cenere e potere in testa, sembravano essere ovunque. Immagini, sensazioni, pensieri. Persone che aveva visto, e che aveva dimenticato. Persone che aveva ucciso, vampirizzato o torturato. Tutti. Erano tutti li', come se gli fosse piovuta un'anima addosso. Era la sua vicinanza. La vicinanza di quella ragazza. Quella con le stelle negli occhi e l'oro nei capelli. Era tutta colpa sua. E se l'avesse uccisa, avrebbero smesso. Ma lui non voleva solo ucciderla. Mai dare morte quando puoi dare dolore.
Entrarono nell'ostello, senza che nessuno li vedesse, ne' opponesse loro resistenza. Eppure, non era molto tardi. Vide Darla e Drusilla contrarsi amareggiate, nel vedere che alla 'reception' non c'era nessuno. Non avrebbero avuto il loro spuntino. Salirono le scale, con passi impalpabili. Come fantasmi. Come ombre. Nere. Cupe. Assassine. Primo piano. C'era un corto corridoio, al primo piano. Le due donne annusarono l'aria. Angelus aveva gia' capito, ma le lascio' fare. Era come se lui avesse avuto un qualche legame speciale con la cacciatrice. Sentiva la sua presenza, ovunque, distintamente. Questo, anche, lo faceva infuriare. Non voleva nessun legame, con la cacciatrice. Non con quella cacciatrice, almeno. Drusilla rise. Darla la zitti', poi indico' ad Angelus l'interno numero due, verso destra. La seconda porta a destra. Angelus la guardo' intimando alle due donne di stare indietro. Gli occhi di Drusilla, scintillavano. Eccitati. Quelli di Darla erano infuocati. Assassini.!
  Assetati di sangue. Anche se Angelus glielo aveva categoricamente proibito.  Senti' i muscoli del suo Childe tendersi, mentre alzava una gamba per buttare giu' la porta con un calcio. Senti' la sua pelle fremere, ed il suo sangue ribollire. E poi, senti' lo schianto. Secco, rumoroso. E vide quei due, quei due biondi, girare gli occhi, completamente presi alla sprovvista. Occhi sbarrati, come la prima volta...
Angelus entro', mentre Buffy e Spike lo guardavano, e guardavano le due donne dietro di lui, sgomenti. Il vampiro agito' la spada, per poi sorridere furbescamente.
"Toc toc...c'e' nessuno?"
Buffy scatto' giu' dal letto, cercando con gli occhi qualcosa da usare come arma. Spike fece lo stesso, trovandosi a terra, gli occhi fiammeggianti ed il volto mutato a demone. Odiava farlo, ma se serviva a proteggere Buffy, lo faceva volentieri. Buffy afferro' la gamba della sedia, spezzandola. Lancio' questo primo paletto di fortuna a Spike. Prima che avesse potuto spezzare l'altra gamba, senti' un poderoso calcio arrivarle proprio sotto la mascella, mandandola gambe in aria. Oddio...la vista le si sbiadi', ma si impose di non svenire. Vide Spike avventarsi contro Angelus. E vide Darla afferrarlo per le spalle, disarmarlo del paletto, e gettarlo contro il muro. Si rialzo', Buffy, mentre anche Spike scuoteva la testa, per riprendersi dalla botta. La stanza era piccola. Drusilla era alla porta. Ma comunque non l'avrebbero mai raggiunta, con Angelus e Darla a bloccargli la strada. Era persa. Era finita. Mentre ancora era persa in questi ragionamenti, vide Spike gettarsi contr!
 o Darla, di fronte a lui. Buffy non fece in tempo a fermarlo. Ed il paletto che Darla stringeva in una mano gli si conficco' dritto nello stomaco, appena ad una spanna dal cuore.
"Spike!"
Lui si piego' in due, mentre sangue sgorgava dalla sua ferita. Darla lo spinse sul letto, mentre lui cercava inutilmente di rimettersi in piedi, e fissava Buffy, pieno di mortificata tristezza negli occhi. Quello sguardo uccise Buffy. Abbasso' la guardia, solo per istante, ed Angelus seppe approfittarne. Fu solo un istante, poi, l'elsa della sua spada sbatte' con forza contro il sopracciglio destro della cacciatrice, spaccandoglielo. E Spike vide tutto. Non era un colpo che l'avrebbe uccisa. Si immagino' la spada calare sulla sua amata cacciatrice, e sangue schizzare dalla ferita. Ma non vide nulla di tutto questo. E non seppe dire se fosse una fortuna o meno. Angelus la sollevo' sulla sue spalle, svenuta, e, insieme a Darla, che lo guardo' divertita, e Drusilla, che gli lancio' uno sguardo pieno di triste rammarico, uscirono. L'ultima cosa che Spike vide, prima di svenire, fu il corpo privo di sensi di Buffy trascinato via da Angelus. Poi, la sua vista si oscuro', lampi di !
 dolore acuto lo trapassarono e, forse misericordiosamente, perse i sensi, mentre le coperte si imbrattavano del suo sangue...

Capitolo VIII - Trust

Oddio...sono morta?
Qualcosa di viscido le colava lungo lo zigomo. Qualcosa di caldo. Quasi rassicurante, la sua presenza. Se non fosse stato per il dolore. Dio, quanto dolore. Partiva dalla sua testa. La sua povera testa che pareva volesse esploderle. Si sentiva stanca, terribilmente stanca. E incredibilmente intontita. Se in quel momento le fosse esplosa una granata fra i piedi, probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorta. Le fischiavano terribilmente le orecchie. Fischi acuti e dolorosi. Come fischietti, come i fischietti che portano al collo gli arbitri nelle partite di baseball. Dolore, dolore, dolore. Voleva alzare una mano, e asciugarsi quella patina viscosa che le tirava la pelle, sulla fronte, sulla guancia destra. Ma, quasi con sorpresa, si rese conto che le sue mano erano legate da catene, dietro la sua schiena. La sua schiena, premuta contro una parete fredda. Lentamente, riprese coscienza di dov'era. Un brivido la attraverso'. Pian piano la sua mente riprese a funzionare, sebbe!
 ne lentamente. E il dolore si triplico'. Le facevano male le gambe, legate fin troppo strettamente. E le braccia, incatenate in quella posizione innaturale. Piu' di tutto, le faceva male il sopracciglio destro. Bruciava, come se vi avessero appiccato il fuoco. Se contraeva solo leggermente i muscoli del viso, una fitta di terribile dolore la attanagliava. Se restava ferma, la ferita bruciava come la sua paura. Si', Buffy Summers, la cacciatrice di vampiri, aveva paura. Aveva paura, una terribile paura, del buio. Perche' non riusciva ad aprire gli occhi. Perche' sapeva che avrebbe fatto un male d'inferno, se avesse aperto gli occhi. Avrebbe pianto, se li avesse aperti. Era qualcosa che non poteva controllare. Cosi' come il tremito convulso che la scuoteva tutta. Ma aveva troppa paura, a tenere gli occhi chiusi. Faceva male al cuore, tenerli chiusi. Perche' del nemico che non puoi vedere, hai piu' paura. Sentiva dei passi. Pesanti. Li riconobbe all'istante, sorprendendosi a s!
 coprire di non averli mai dimenticati. Quei passi popolavano a!
 ncora i
suoi incubi. Dio, quanto aveva paura. Di aprire gli occhi e fissarli in quelli di lui, quei dolci occhi neri che tanto aveva amato, e che aveva faticato tanto ad odiare. Ma una paura, prima o poi, va affrontata. Quindi, lentamente, Buffy apri' gli occhi. Ogni millimetro conquistato era una fitta atroce alla testa, ed alla mascella. Ogni millimetro vedeva qualcosa in piu'. Prima solo ombre sfocate. Poi corpi astratti, luccicanti di dolorosi colori. Infine figure quasi chiare, ancora leggermente confusi nella sua mente sconvolta. Eccoli li'. Angelus. Darla. E Drusilla. Spinse indietro le lacrime, reprimento un gemito di dolore. Se avesse dato loro la soddisfazione di vederla debole, sarebbe tutto finito.
"Finalmente! Credevamo che non ti saresti piu' svegliata, bambina..."
Sanguinava, Buffy. E non era la tempia, a sanguinare. Era il suo cuore. Che le mani bianche di Angelus stavano spremendo come un limone. Cavandovi via sangue. Semplicemente con una risata, risveglio' in lei tutto l'orrore che aveva faticato tanto a buttarsi alle spalle. Le notti passate con la testa premuta contro il cuscino, perche' sua madre e sua sorella non la sentissero piangere. Lo sguardo di Giles, lo sguardo di Xander, che le ripetevano senza parole 'noi te l'avevamo detto...'. Quanto faceva male, maledizione? Semplicemente troppo, per lei. Con un gesto stizzito scopri' il collo, sporgendosi verso Angelus.
"Avanti. Uccidimi, e facciamola finita."
Si stupi' della freddezza della sua voce. Non avrebbe mai immaginato di dire una cosa del genere senza piangere, o senza tremare. Ma non stava piangendo. E non stava tremando. Non piu'. E quasi non ne sentiva il bisogno. Quasi. Ma Angelus, contro ogni sua aspettativa, rise. Una risata piena di divertimento.
"E che divertimento ci sarebbe? Ucciderti, e poi? Avrei sprecato una notte della mia eternita' per...per cosa? Aggiungere una donna al mio curriculum? Oh, ma per piacere!"
La lascio' quasi sconvolta, a lottare per non piangere. Stavolta ne sentiva il bisogno, eccome. Le passo' per la mente il corpo di Giles, deturpato dalle torture. Ma la sua voce non abbandono' il tono freddo e distaccato di prima. E stavolta, a sorprendersene fu Angelus.
"Allora, Angelus...vuoi torturarmi? E' cosi', che fai, giusto? Prima le torture, poi la morte.", soffio'. Ed aggiunse, in un sussurro: "Peccato che la sega elettrica non sia ancora stata inventata..."
Il vampiro la guardo', senza capire, ma non disse nulla. Si alzo', invece, e venne piu' vicino a lei. Tra le mani stringeva un libro di incantesimi. Buffy lo vide, senza capire. Un'altra fitta le brucio' la tempia, e lei strinse le labbra finche' non sbiancarono, per non emettere quel gemito che le allagava la gola.
"Vedi, non e' semplicemente una questione di uccidere una cacciatrice. Insomma, a chi vuoi che importi che una cacciatrice sia morta? Tanto ce ne saranno milioni di altre pronte ad attivarsi. No. Non voglio ucciderti. Voglio trasformarti nell'arma perfetta..."
Buffy senti' un nodo formarlesi alla bocca dello stomaco. Degludi'. Ciocche di capelli erano sfuggite alla crocchia che si era fatta la sera prima, e le sfioravano il viso, smossi dal freddo vento del nord. Solo allora si accorse che era l'alba.
"Immagina...", continuo' Angelus, con enfasi esagerata. "...una vampira...con i poteri di una cacciatrice..."
Ancora una volta, Buffy tremo' violentemente, presa da un conato di vomito. Le girava la testa. Angelus le alzo' il viso, prendendola per il mento. Quasi gentilmente...
"Immagina...riesci a vederlo? Riesci a scorgere la grandezza, nel mio progetto? Tu, una cacciatrice, una paladina del bene, la piu' micidiale arma umana mai progettata da mente pensante...votata alla notte, ed al male, ed al sangue...ed alla morte...capisci? Io non voglio ucciderti, bambina..."
Buffy sguscio' via dalla sua presa, tremante e spaventata. Non voleva! Dio, no! Non voleva! Perche' non la uccideva, Angelus? Perche' voleva renderla uguale alle creature che combatteva ogni notte? Perche'? Ma la risposta non arrivava. Non voleva ucciderla...no. Voleva farle qualcosa di molto, molto peggio...

"William! William, diamine, state fermo!"
Non c'era verso, che ubbidisse a quel rimprovero esasperato, William. Lui...semplicemente non era piu' lui. Era un ragazzo emozionato per il suo primo vero ballo in maschera. Che non stava fermo quel tanto che bastava alla vecchia sarta per prendere bene le misure. No. Lui non poteva, semplicemente, non poteva, stare fermo. Doveva girarsi, e guardarsi, e muoversi, riflesso in quello specchio appoggiato alla parete della sartoria. Guardare la sua figura alta e snella stagliarsi su quella superficie argentata, con indosso un bellissimo abito nero da cerimonia. Un pantalone dal taglio classico, che non smetteva un attimo di toccare, di aggiustare, di accorciare con le mani troppo poco delicate. E la camicia, quella stupenda camicia bianca, arricciata sul petto in mille fronzoli bianchissimi, che non smetteva un secondo di lisciare, andando su e giu' per abituarsi a camminare con quelle scarpe lucidissime e nere piu' dell'ebano della sua porta, che sembravano sempre sul punto di!
  scivolare sul pavimento tirato a lucido. E poi...c'era la giacca. Cosi' bella, elegante, quel nero che riluceva sotto le luci di una misera sartoria, e che avrebbe come minimo illuminato la grande sala da ballo della mamma. Quelle maniche strette e forse troppo lunghe, per lui, che continuava ostinatamente a smuovere, come se quei suoi movimenti bruschi potessero adattarla al suo braccio non troppo muscoloso. I bottoni della giacca, e piu' sotto, quelli della camicia, brillavano di mille tonalita' del blu notte e dell'argento, illuminati dai primi raggi mattutini. Ed eccolo, William Appleton, felice come un bambino, correre su e giu' per la sartoria, per provarsi quell'abito che, la povera sarta lo sa, avrebbe avuto bisogno di due o tre ritocchini.
"William, per l'amore del Cielo, state un attimo fermo! Come fa una povera vecchia a prendervi le misure, se continuate a gironzolare saltellando per il negozio?"
Lui si blocco' di colpo, ma solo per un istante. Guardo' il volto rugoso della vecchia sarta che conosceva sin da quando era bambino, e scoppio' in un'allegra risata. La sarta incrocio' le braccia sul petto, stringendo gli occhi con fare offeso.
"Cosa c'e' di tanto divertente nelle mie parole, signorino?"
Lui cerco' di frenare le risate nervose che gli uscivano tremolando dalle labbra.
"Oh, niente, miss Charlotte...non sono le vostre parole, a farmi ridere..."
La sarta torno' verso il giovane, cercando inutilmente di prendere col metro le misure di una manica troppo lunga. Ma William riprese a saltellare per il negozio, rischiando piu' volte di scivolare. Charlotte sembrava a dir poco esasperata. Eppure, quel ragazzo di venticinque anni, quel tenero ragazzo, la faceva sempre sorridere. Per la sua semplicita', il suo amore per la vita...e per la poesia. Non lo riteneva un gran poeta, Charlotte, e stentava a non ridere quando le leggeva le sue poesie, composte per l'avvenente miss Cecily, ma quel ragazzo la faceva sempre sorridere. Dolcemente.
"E allora cos'e' che vi pare tanto divertente, nel provare un abito da ballo?"
William le sorrise. Aveva un sorriso bellissimo, quel ragazzo. E non sapeva di averlo. Come non sapeva di avere due occhi che facevano impallidire il cielo. Era un ragazzo troppo genuino, per saperlo.
"Nel provare un abito da ballo? Niente. Rido perche'...oddio, credo di non saperlo, il perche'! Rido perche' stamattina mi sono svegliato, ed ero vivo. Perche' respiro, ed e' la stessa aria che respira Cecily. Perche' cammino, sulla stessa terra che calpesta Cecily. E sono felice. Non so perche'. Forse perche' sento che anche lei lo e'. Forse perche' ho solo voglia di ridere...in fondo, c'e' davvero bisogno di avere un motivo, per essere felici?"  
La donna anziana lo guardo'. Era cosi' bello, quel ragazzo, e dolce, e tenero. Era una rarita'. Ed era una delle poche persone che sapevano ridere. Sapevano essere felici, solo per il semplice fatto di essere vivi. Ed innamorati. Si chiese se l'amore facesse davvero quest'effetto. Essere felici, e non sapere perche'. E non importa, in fondo, il perche'. Lei non lo sapeva. O forse, prima, l'aveva saputo...ma erano troppi anni che non amava. L'aveva dimenticato. E William pareva ricordarglielo. Gli sorrise. C'e' davvero bisogno di un motivo, per essere felici?
"No, William. Credo di no. Purtroppo poche persone, la pensano ancora come voi, sapete?"
William smise di gironzolare per la stanza. Ora non faceva altro che osservarsi, divertito, davanti allo specchio. Osservava ogni particolare. E sembrava volesse scrutarsi l'anima. Miss Charlotte lo afferro' per una manica, sorridendo impaziente.
"E ora, Ser Appleton...vorreste gentilmente lasciarmi fare il mio mestiere?"
Sorrise di nuovo, William, allungandole la manica, arresosi. Di quel sorriso spontaneo, spensierato e...felice. Sorrise. E miss Charlotte penso' che nella sua vita aveva visto centinaia di sorrisi. E nessuno, nessuno, sorrideva come William Appleton. Il suo era un sorriso unico. Era un sorriso semplice. Di chi, semplicemente, e' felice.

Aveva un odore metallico nelle narici. Odore di rame, o di ferro. La mente cosi' confusa che non riusciva ancora a capire, ne' a pensare. Aveva solo quell'odore, in testa. Forte e pungente. Quell'odore...e lampi di dolore, come flash di macchine fotografiche. Era un dolore sordo, lontano, che non gli sembrava nemmeno il suo. La sua mente era troppo confusa, per razionalizzare di chi fosse, e perche' fosse, quel dolore.
Spike si giro', nel letto sfatto. Non ricordava ancora niente. Non era ancora del tutto cosciente. Voleva restare dov'era. Sapeva che, se si fosse svegliato, avrebbe trovato ricordi spaventosi ad attenderlo. Sapeva che l'aspettavano li', dove il sonno finisce e comincia la veglia. E non c'e' via di scampo. Dalla verita'. E lui non voleva. Perche' insieme ai ricordi sarebbero giunti il dolore, e la consapevolezza. Non voleva essere consapevole di niente. Solo dormire, voleva...scivolare via, e non tornare piu'. Nella sua testa, cantava sua madre, con voce soave, la loro canzone. Spike sussurro' qualche verso, socchiudendo appena le labbra.
"Ricorda sempre, Stellina...
Che la mia Luce sei tu..."
E apri' di botto gli occhi. E sparirono dolore, e sonno. L'odore di ferro divenne lezzo di sangue rappreso, e i lampi di dolore divennero flash di luce bianca. Ed allora, i ricordi e la verita' lo assalirono.
Luce!
E, dopo quel pensiero, un crampo che lo costrinse a stendersi, cercando di riprendere fiato, pur non avendone bisogno. Abbasso' gli occhi, intravedendo appena una macchia rossa sulla maglietta nera, sullo stomaco, che doveva aver smesso da poco di sanguinare. Le coperte attorno a lui erano rosse. E lui si sentiva debole. Dio, quanto debole. Non riusciva nemmeno a mettersi in piedi. S'e' per questo, non riusciva nemmeno a mettersi seduto. C'era dolore, nella sua testa. E quattro lettere, che da li' non si muovevano, fondendosi con il suo dolore, diventando dolore loro stesse, bisbigliandogli all'orecchio quanto fosse patetico e inutile. Oh, Dio...non poteva pensare al dolore, ora.
Non poteva pensare al tormento.
Non poteva pensare alla ferita.
Non poteva pensare a Drusilla.
Non poteva pensare al suo destino.
Lui l'aveva detto. L'aveva promesso a se' stesso. Se l'avessero toccata, se le avessero fatto del male...al diavolo il suo destino, e Drusilla, e tutto il resto...li avrebbe uccisi. E sapeva che, se a Buffy fosse successo qualcosa, sarebbe bastato un suo sguardo, ad incenerirli tutti. Una sua parola come una lama, per poterli trapassare. Un grido per disintegrarli. Lo sapeva. E sarebbe stato lui, insieme al suo demone, d'accordo, per una volta. Perche' se Buffy fosse...no, non ce la faccio...insomma...se lei fosse morta...ecco, l'ho pensanto...allora il suo demone si sarebbe disperato, ed avrebbe gridato vendetta come e piu' del suo uomo. Perche' anche il suo demone amava quella donna. Poteva negarlo, e gridare, e battere, e giurare che l'avrebbe uccisa...ma anche il suo demone amava Buffy. Ed anche lui pensava fosse Luce.
Bianca.
Pura.
Bellissima.
Delicata. E nessuno doveva spegnerla. Nessuno doveva sfiorarla. Nemmeno lui. Nessuno doveva intaccare quella lucentezza che adorava, in lei. Quel luccichio che nemmeno dopo dieci anni di lotte, s'era spento. Nessuno. O l'avrebbero pagata. Si mise a sedere, sul letto sfatto. Aveva male ovunque. Gli sembravano aghi sottili, sotto la sua pelle. Ma non gli importava. Per una volta, decise, non avrebbe pensato prima di tutto a se' stesso. Stavolta non voleva combattere per odio, per egoismo, per il sesso, per una donna che, lo sapeva, non avrebbe mai potuto essere sua. Stavolta, voleva combattere per amore. Anche se esattamente non sapeva ancora cosa volesse dire, quella parola. Perche' Spike, lo Spike di cui Buffy aveva detto di credere, non aveva mai amato. E sembrava cosi' complessa, quella parola. Si mise a sedere, Spike, quindi, ignorando le terribili fitte allo stomaco. Allungo' una gamba, poi l'altra. Senza fretta. Tanto non poteva uscire, era giorno. E per aiutare Buffy d!
 oveva essere piu' di un mucchietto di polvere. Quando si senti' in grado, poggio' un piede sul pavimento. Poi l'altro. E si alzo'. Sorprendendosi nello scoprire di non provare dolore. Almeno, non tanto quanto si aspettava. Era ancora un vampiro, dopotutto. Per quella sera, sarebbe stato bene...

"Liam...", sussurro' quella ragazza con i frammenti di stelle negli occhi. Colpendo Angelus come uno schiaffo in pieno viso. Quel nome. Che aveva solo voluto dimenticare. Quell'uomo. Che aveva seppellito dentro di lui. Quella storia. Che aveva ucciso, sbranato, dissanguato. E che ora tornava a lui, pezzo pezzo, come un fantasma. Ma, penso' il vampiro, sorridendo, i ricordi si stavano esaurendo. Ed ora, tutto quello che quel nome, e quella ragazza, risvegliavano in lui, erano ricordi quasi piacevoli...

Galway, Irlanda, 1753
"No!", eclamo' suo padre, appoggiandosi alla parete su cui solo poco prima stava inchiodando una croce. "Vattene, Mostro! Un demone non puo' entrare in una casa dove non e' il benvenuto! Dev'essere invitato!"
Angelus sorrise, avvinandosi lentamente. Proprio come cio' che era. Un predatore, dinanzi la sua preda. La piu' ambita delle sue prede. Non la piu' dolce. Ma quella a cui piu' aveva pensato. Da quando si era svegliato. Con una fame insaziabile. Di sangue. E, ancor di piu', di odio. Di distruzione. Di paura. Che presto, si era trasformato in qualcosa di diverso. Il desiderio, la passione, di costruirli. L'odio, la distruzione...dipingere, pennellata dopo pennellata, il grandioso quadro del sangue. Erano giorni, settimane, che dipingeva, per arrivare a quell'unica, precisa mano. A quegl'unici, precisi momenti. Dall'attimo stesso in cui Darla l'aveva atteso, all'inizio della sua notte, aveva ucciso, squarciato, mutilato, aveva seminato il terrore nella sua citta', fra coloro che l'avevano sempre conosciuto. Non per fame. Mai, per fame. Perche', con tutto il sangue che gli scorreva in gola, Angelus non sapeva nemmeno cosa fosse, la fame.
Lui aveva costruito un incubo. Aveva trasformato una cittadina di mercanti e pascatori in un covo di gente terrorizzata, che attaccava croci alle pareti e imbrattava di erbe le porte. Senza che ad Angelus importasse nulla di nessuno di loro, di nessuno di quelli che aveva ucciso e di cui si era nutrito. Era quella, la casa che lui voleva. L'unica. Per lei aveva costruito il suo terrore. Perche' coloro che vi abitavano potessero assaggiarlo. E tremassero. Si girassero ad ogni movimento, nella notte. ed alla fine scoprissero che era il loro figlio, quel terrore. E alla paura si mescolasse l'orrore. Come adesso. Sul volto di suo padre. Quell'uomo che attaccava una croce alla parete, dimostrandosi per quello che era sempre stato. Patetico. Disgustoso. Che si sentiva tanto forte da terrorizzare un ragazzo, un uomo, che non voleva colpirlo, e che adesso, di fronte a lui, aveva gli occhi colmi di terrore. Eppure era lo stesso volto, che guardava, gli stessi occhi, la stessa figura !
 di quel ragazzo, di quell'uomo. Il sorriso di Angelus si allargo', diventando un ghigno malefico.
"E' vero", disse. "Ma io sono stato invitato..."
Indico' con gli occhi la porta, e si scosto' perche' suo padre, muovendosi appena, potesse vedere, e l'orrore potesse diffondersi sul suo volto duro. Chissa' cosa pensava di lui, ora. Chissa' se lo considerava ancora un inetto, guardando il corpo senza vita di sua figlia. Della piccola, adorabile Kathy, seduta accanto alla porta, col capo reclinato. Come se dormisse. Gemette, suo padre, ma il dolore di quell'uomo non gli diede lo stesso piacere del sangue di Kathy, sul palato, nella gola. Fin nelle viscere. Bruciando di purezza. Di bonta'. Di amore. Il sangue di qualcuno che l'amava aveva un sapore che faceva vibrare i suoi sensi come la piu' potente delle scariche. E gli piaceva. Gli piaceva da impazzire.
"Ha creduto che fossi tornato come un angelo..."
Ghigno', certo che ci sarebbero voluti anni perche' il sapore di quel sangue si placasse.
"Assassino!", grido' suo padre davanti a lui.
"Strano", sibilo' Angelus. "Mi sembravate piu' alto, quando ero vivo..."
 Suo padre si alzo', e si appiatti' contro il muro. Il volto una maschera d'orrore.
"Dio", mormoro'. "Liberatemi da questo demone, ora..."
"E pensare che ho lasciato che una cosa cosi' piccola e tremante mi facesse sentire come voi mi facevate sentire..."
Si avvicino' a suo padre di un passo, mentre lui continuava a cantinelare...
"Signore...datemi la Vostra protezione..."
"Mi avete detto che ero nulla. Ed io vi ho creduto...mi avete detto che non avrei mai fatto niente di me stesso..."
Gli stava davanti. Aspirava la sua paura. Il suo orrore. Riflessi in occhi che si sgranavano in modo ridicolo, su un viso che ora poteva solo divertirlo...muto' il suo volto, e la paura di suo padre esplose. Avvolgendolo. Riempiendolo.
"Avevate torto. Ho fatto qualcosa di me stesso, dopotutto..."
Gli afferro' la faccia con la mano, schiacciandogliela contro il muro. Le sue dita divaricate gli consentivano di vedere ancora il suo volto atterrito, la sua bocca che si spalancava, senza che da quella gola velenosa venisse alcun suono, i suoi lineamenti che si contorcevano orribilmente. Tremando. Ogni pollice del suo corpo, tremava. Come una foglia. Come un bambino. Come il suo, tanti anni prima. e la cosa piu' divertente, era che ad Angelus, di quel bambino, non importava assolutamente niente. Non provava nulla per lui, come non provava nulla per colui che stava ammazzando. Nulla, fuorche' il piacere. Lo morse. Ed ancora, suo padre continuo' a tremare. Ed ancora nessun suono, riusci' ad erompere dalla sua gola.

Ed e' sera. E' sempre sera. Come sempre e' mattino. E non c'e' modo di fermare questo circolo. Che inizia e finisce. E quando il sole muore, e le genti comuni tornano a casa a dormire, un intero popolo si risveglia. Ed e' il popolo della notte, la magia, ed i figli della luna. La luna che per loro e' il sole della notte. Luna che brillava solenne e pallida al centro di un cielo violetto. Piena. Rotonda. Puntinata di crateri grigi. E sottili raggi che s'insinuano per i vicoli della citta'. Ed entrano in una stanza dalle finestre lasciate aperte. Al primo piano di una bettola. Spike cammina nervosamente per la stanza. Deve uscire. Subito. Subito. Afferra velocemente una busta colma di paletti appuntiti. Sembra che in quella stanza sia passato un tornado. La scrivania e' ribaltata, e le mancano tutte e quattro le gambe, cosi' come alla sedia e ai due comodini accanto al letto. All'armadio manca un'anta, che Spike ha intagliato in modo da formare un enorme paletto super appuntit!
 o. Certo, non e' la cosa piu' rassicurante e naturale del mondo, per lui, affilare paletti di legno. Ma non ci fa nemmeno caso. Non ha tempo per sarcasmo o paura. Vuole solo riportare indietro la sua Luce. La stanza sembra piu' buia, senza lei. Persino alla notte sembra mancare qualcosa. Quei raggi pallidi sembrano cosi' freddi, se non c'e' lei. E Londra sembra cosi' vuota e deprimente e...vecchia. Senza lei.
Usci' dalla stanza, senza curarsi nemmeno di richiuderla a chiave. Alla vecchia e cadente 'reception', come sempre, non c'e' nessuno. Ma non ci fa nemmeno caso. La notte e' fredda. Soffia vento da nord. E nuvole violette coprono il cielo, impedendogli di vedere le stelle. Tanto non brillerebbero, senza di lei. Aspira l'aria della notte, e gli sembra di aspirare anche il suo dolore. La ferita allo stomaco, nota, non gli fa quasi piu' male. Aspira ancora, finche' non sente quella nota di profumo che ha solo lei. Profumo di Luce. E non prova nemmeno a descriverlo. Non ci riuscirebbe. Parte, mentre lo spolverino ondeggia e riflette qualche timido raggio di luna. E' difficile, seguire un profumo, in quella notte piena di vento. E paura. Non ci aveva mai fatto caso. A quanto Londra fosse satura di paura. A quanto la sua bella citta' fosse spaventosa e lugubre, la notte. a quanti vampiri si aggiravano per i vicoli, con la fame impressa negli occhi gialli. Spike muto' nel suo volto !
 da vampiro, passando per quei vicoli, in modo da dare meno nell'occhio. Ringhiava a chiunque provava ad avvicinarglisi. Ed erano ringhi bassi e rabbiosi, capaci di tenere indietro tutti. Gli occhi gialli del suo demone erano diventati rossi di rabbia. Pareva che vi ardessero fiamme, all'interno. Con una mano si scosto' dalla ferita un lembo della maglia rimasta appiccicata al sangue secco. Tirava, mentre camminava, e faceva male. La maglietta nera si tiro' indietro, mentre Spike serrava i denti per non lasciarsi sfuggire un gemito. Il profumo, quel profumo di Luce, si faceva sempre piu' chiaro, mano a mano che attraversava i vicoli malfamati di Londra. Angelus aveva scelto il luogo perfetto. Li' nessuno l'avrebbe cercato. Nemmeno Spike, se non avesse seguito quella scia di profumo, avrebbe mai pensato alla periferia, conoscendo i gusti raffinati del vampiro. Svolto' in un vicolo poco illuminato. Anzi, per niente illuminato. Li', l'odore era fortissimo. Avanzo' ancora, fino !
 ad uscirne. C'era una casetta cupa e cadente, alla fine del vi!
 colo, ch
e preva voler crollare da un momento all'altro. Un nascondiglio perfetto. Dall'interno, Spike riusciva ad udire un monotono salmodiare ed un furioso sbattere di piedi sulle piastrelle del pavimento. Si avvicino' alla porta. Il profumo della sua Buffy era fortissimo. E c'era paura, attorno a quel profumo. Tanta. E sapore di lacrime, sulle sue labbra. Avanzo' ancora. La porta era accostata. Una mossa davvero stupida, Angelus. Entro' cercando di fare meno rumore possibile. Senti' un leggero ondeggiare di seta. Resto' fermo, immobile nel buio. E poi, fulmineamente, afferro' una bambola di porcellana, dai lunghi capelli neri e lampi violetti negli occhi. Quella bambola che lo stava aspettando, li', confusa con le ombre. Ma lui l'aveva udita. I legami Sire-Childe sono troppi forti, per provare ad eluderli con un po' di buio e stoffe impalpabili. Le premette una mano sulla bocca, mentre vedeva gli occhi di Drusilla ridere. Cerco' un paletto nella borsa. Drusilla lo vide, ed i suoi !
 occhi smisero di ridere. Provo' a divincolarsi, ma Spike la stringeva saldamente. Provo' a gridare, ma la mano di Spike sulla sua bocca non permise a quell'urlo di uscire dalle sue labbra. Spike alzo' l'arma. E la calo', con un gesto rapido, prima che sentisse il coraggio mancargli. La vampira cadde a terra, stordita dalla botta alla tempia. Spike le aveva sbattuto in fronte la base del paletto. Rimise a posto l'arma, sussurrando appena una scusa.
"Perdonami, piccola...vedrai che nei prossimi cento anni sapro' farmi perdonare..."
La lascio' li', stordita, sul pavimento dell'ingresso. Si avvicino' alla porta chiusa di una sala adiacente. Da li' proveniva quel monotono canto e alcuni gemiti soffocati. Era Buffy. Spike alzo' la gamba, pronto a spalancare la porta con un calcio...

"No! Angel, no!!"
Ma le sue preghiere furono interrotte dal bavaglio che Darla le strinse con forza sulla bocca. Sorridendo. Attorno a lei ardevano incensi e candele. Un puzzo nauseabondo proveniva da una scodella posata davanti a lei. Si alzavano da essa grandi volute di fumo azzurro, come se fosse incandescente. Quella nebbia azzurrina, pero', non le precludeva la vista di Angelus, col suo sorriso mefitico, alto al centro della stanza, reggendo un libro in una mano e un pugnale nell'altra. Buffy ebbe paura. Come mai, nella sua vita, ebbe paura. Di non vedere piu' il sole. Di non vedere piu' Dawn. Di non vedere piu' Willow, e Xander, e Giles. Di non vedere piu' Spike. E non poter chiarire. Nuovamente, la cacciatrice dentro di lei, aveva rovinato tutto. Nuovamente, le aveva impedito di vivere un attimo di normalita'. Dawn aveva regalato loro quel 'viaggio' lontano da tutti perche' parlassero. E se lei fosse morta non avrebbe piu' potuto parlare. E lei non voleva morire senza prima avergli par!
 lato. Perche' Dio, quante cose aveva da dirgli, che si era sempre tenuta dentro! Perche' sono la cacciatrice? Perche' proprio io? Guardo' Angelus, mentre le lacrime le premevano sugli occhi. Volevano scendere e rigarle le guance. Ma lei le respinse indietro, come aveva respinto le urla. Come aveva respinto la disperazione. Era difficile. Guardo' la porta, di nuovo. Era la milionesima volta, che lo faceva. Perche' sperava, perche' sapeva, che prima o poi da quella porta sarebbe entrato Spike. Solo, sperava non lo facesse troppo tardi. Senti' Angelus sghignazzare, e volto' la testa verso di lui, che si scambiava battutine con Darla, parlandole all'orecchio. Poi, sposto' la sua attenzione su di lei. Sui suoi occhi lucidi.
"Rilassati, Bambina...ora io leggo la formula, ti mordo, ti uccido...e domattina sarai la vampira piu' potente del mondo...e sarai mia..."
Quell'ultima parte, appena sussurrata, sembro' irritare Darla, che lancio' a Buffy uno sguardo di fuoco. Buffy sbatte' violentemente i piedi sul pavimento. Non sapeva nemmeno lei quello che stava facendo, non avrebbe risolto niente sbattendo i piedi come un'invasata. Ma lo faceva lo stesso. Senti' Angelus cominciare a recitare la formula, e la nuvoletta di vapore azzurro che fluiva in volute dalla ciotola, circonadarla, col suo lezzo di carne, e sangue, e morte. Senti' una forza nuova, una forza che non voleva, entrarle dentro, mentre i suoi occhi spaventati erano fissi su Angelus, ed una parte della sua mente riusciva ancora a sentire il monotono canto che stava intonando. Si senti' mancare il respiro, e seppe che sarebbe svenuta. Di li' a pochi secondi, sarebbe finita. E domattina si sarebbe svegliata vampira, con la sete di sangue e l'odio che odiava e che aveva combattuto fino alla sera prima. Odio, non voleva...ancora quel canto, nella testa, mentre sentiva il suo corpo!
  ondeggiare e la mente sparire. Si senti' strappata dal suo corpo, folgorata da una spirale di violenza che non riusciva a tenere a bada. Strinse i denti. Non doveva svenire. Non ora. Ma ben presto anche quella disperata risolutezza l'abbandono'. E decise che si sarebbe arresa. E sarebbe finita. Solo dieci secondi, e sarebbe finita, sarebbe...
Senti' uno schianto, cosi' forte che anche la sua mente estraniata lo senti', e fu riportata bruscamente alla realta'. Angelus aveva smesso di cantare, e guardava verso la porta. Darla stringeva convulsamente i pugni, mutando al contempo nel suo volto da vampiro. Buffy giro' gli occhi spauriti verso la porta. Attraverso il fumo che ancora l'avvolgeva, vide un uomo, nelle mani due paletti, ed un sorrisetto beffardo stampato sulle labbra sottili e sensuali. Spike muto' il suo volto da vampiro, e sorrise di nuovo. E quel sorriso spavento' Angelus. Quel sorriso, avrebbe spaventato chiunque. Aggiunto a quegli occhi...erano rossi. Fiammeggiavano, come se vi avessero dato fuoco all'interno. Ardevano d'odio, come solo il demone di Spike riusciva ad ardere. Fece un passo in avanti, sorridendo ancora, mostrando i denti lunghi e affilati. Ghigno', quasi divertito.
"Salve, tesoro...sono a casa..."

Spike avanzo' lungo la porta, riversa al suolo, coperta di polvere grigia. Anche il suo spolverino era sporco di polvere, ma lui pareva non farci caso. Non gliene importava, a dir la verita'. Che importava del suo spolverino, quando la sua Buffy era a terra, con la guancia destra sporca di sangue e un bavaglio a tapparle la bocca? Che importava del suo spolverino, quando stavano per tramutare la donna che amava in una bestia senza cuore? Quindi avanzo', deciso, mostrando i denti e ringhiando, con una punta di divertimento. Perche', nonostante tutto, una bella rissa lo divertiva ancora. Ma questa non era una rissa. Spike vide Angelus fare un passo indietro, mentre Darla, la solita Darla, ne faceva uno avanti. E non fu che un istante, prima che Spike scattasse in avanti e conficcasse il paletto che stringeva nella mano destra nello stomaco della vampira, facendola urlare di dolore.
"Adesso siamo pari, zuccherino..."
Darla si piego' su se' stessa, gemendo, estraendosi il paletto dallo stomaco, tra grida ed imprechi. Angelus guardava la scena, divertito. Spike guardava Buffy, e Buffy guardava Spike. E poi, Angelus riprese a salmodiare, e Buffy si senti' di nuovo mancare. Darla guardo' il suo compagno, per poi rivolgersi a Spike.
"Mancano solo cinque versi, non riuscirai mai a fermarlo!"
Per tutta risposta, ricevette un poderoso calcio nello stomaco, proprio sopra la ferita, che riprese a sanguinare copiosamente, costringendola a piegarsi sulle ginocchia. Spike la sposto' di lato senza mezze misure, e si avvento' contro Angelus. Il vampiro, assorto com'era nella lettura, neanche lo vide avvicinarsi, e cadde, sotto la potente carica del vampiro ossigenato.
"Maledizione! Darla, levamelo di dosso! Drusilla!"
Ma Spike non smetteva di colpirlo, al volto, allo stomaco, al petto. Pugni arrivavano ovunque ci fosse qualcosa da colpire. Grossi lividi violacei cominciarono a formarsi sulle guance, sulle tempie e sugli occhi del vampiro bruno, che riusciva a colpire Spike cosi' di rado e tanto debolmente che lui non se ne rendeva nemmeno conto. Sentiva solo un leggero bruciore, e rabbia quanto bastava per continuare senza scrupoli a colpire quell'essere viscido e meschino.
"Drusilla sta facendo un sonnellino, nell'altra stanza, e credo che a Darla restera' una vistosa cicatrice!"
Un altro pugno. Sul naso. Cosi' forte che lo fa gemere. Mai toccare qualcosa o qualcuno caro a Spike. Mai. Un altro pugno, e un altro, e un altro ancora. Spike si alza, correndo, lasciando Angelus a contorcersi sul pavimento dell'appartamento. Con una mano si tiene il naso sanguinante, con l'altra si massaggia il costato, cercando di frenare il dolore. Spike corre verso Buffy. Le libera i piedi, che calzano ancora le belle scarpine bianche che aveva comprato quand'erano arrivati. Il vestito, quello bianco, e' un po' stracciato, in alcuni punti, ma sempre bellissimo, con le sfumature azzurre a completarne l'eterea bellezza. Le accarezza i capelli, preoccupato, mentre le sfila il bavaglio e lei prende un grande respiro.
"Come stai?"
Lei annuisce, in un gesto che gli lascia comprendere che puo' camminare. Comunque, deve farlo, visto che Angelus sembra intenzionato a rialzarsi e Darla si sta riprendendo troppo in fretta dal dolore allo stomaco. Corrono verso la porta, stupendosi di trovarvi Drusilla, sveglia e vigile, e tremendamente arrabbiata. Ringhia, la vampira, lanciando scariche violette con gli occhi gialli. E gli dice senza parole che da li' non usciranno.
Spike si guardo' intorno, la preoccupazione a velargli gli occhi nel suo volto tornato umano. E, nel buio dell'appartamento, intravide una scala. Si lancio' verso quella, trascinandosi dietro Buffy, mentre sentiva Angelus e Darla parlottare velocemente ed avviarsi con passo spedito dietro di loro. Quella scala sembra non finire piu'. Quel palazzo non sembrava cosi' alto, dall'entrata. Invece sono rampe e rampe di scale, da fare col fiatone, trascinandosi dietro quella bambina spaventata. Gli stringe la mano, Buffy, cosi' forte che fa quasi male. Come se avesse paura che lui la lasciasse. Ma non lo farebbe mai. Si gira a guardarla. Quegli occhi spauriti che lo ringraziano senza parole, fissi nei suoi. La mano di Spike che si serra con ancor piu' forza attorno alla mano della cacciatrice, e sembra prometterle che non la lascera'. No. Mai.
Ha paura, Buffy. Ma non per se' stessa. Ha paura di perdere quel ragazzo che le stringe forte la mano, e le promette senza parlare che non le faranno niente. Che non si svegliera' vampira, ne puo' stare certa. Buffy sa che Spike non lo permetterebbe mai. Sente il fiato morirgli in gola. Quasi non riesce a respirare, ed e' cosi' stanca. Ma non smette di correre, stringendo tra le sue dita la mano forte di lui. Implorandogli di non lasciarla. Per favore...non lo fare...non lasciarmi. E sente la stretta di lui rinforzarsi. E sa che no, non la lascera'.
Fino alla fine del mondo...anche se dovesse essere stanotte.
Salgono, salgono, salgono...dietro di loro, Angelus, Darla, e forse Drusilla. Davanti a loro, rampe infinte di scale. Ma forse e' solo che per loro, sono infinte. Magari hanno fatto solo pochi passi, ma a loro sembrano un'eternita'. Ed eccola, una piccola porta. I passi dietro di loro sono sempre piu' vicini. Le scale, davanti a loro, sempre piu' poche. E, finalmente, la mano di Spike sfiora quella porta. Chiusa. Ma non e' un problema. Basta un calcio, o una spallata, tanta polvere e la porta che s'infrange sonoramente contro altre piastrelle di un altro pavimento. Il pavimento di un terrazzo. Raggi di luna si riflettono sulla mattonelle, biancheggiando, abbagliando. Un sottile muricciolo divide il terrazzo dal nulla. E' alto, il palazzo. Quattro piani, almeno. E, sotto, un vicolo buio. Nessuna via d'uscita. Spike si affaccia al muricciolo, mentre Buffy trema, e non e' per il vento del nord che le scompiglia i capelli. Mentre Angelus e Darla sono sempre piu' vicini, ed a lui!
  sembra di sentire chiaramente le loro risate di scherno. Ed eccoli, varcano la soglia, mentre Buffy gli stringe forte il braccio e forse reprime un urlo. Eccoli, Darla ed Angelus, terrorizzanti, alti sopra la porta abbattuta. Che ridono. E non s'avvicinano. Che fretta hanno, tanto? Spike guarda di nuovo oltre il muricciolo, verso il vicolo, e qualcosa sembra attirare la sua attenzione...forse i Miracoli esistono ancora...gli arriva in quel momento, sonora e sarcastica, la risata di Angelus.
"Fine della corsa..."
Gli lancia solo una breve occhiata, Spike, poi salta sul muricciolo, in bilico, lasciando per un attimo la mano di Buffy. Lei si gira, mentre Darla ed Angelus guardano Spike. Sorpresa da togliere il respiro, in quegli occhi...ed anche in quelli di Buffy, che lo guarda, ed ha la pura scritta negli occhi. Quegli occhi verdi...Luce...
Spike le tende una mano, con fare impaziente.
"Ti fidi di me?"
Ed e' una domanda che la spiazza. Cosi', ora, subito? Come fa a fidarsi di lui? Come fa a fidarsi di Spike? Lui la guarda, c'e' una disperata supplica, nei suoi occhi. E lei sa, guardandoli, quegli occhi azzurri che contengono piu' umanita' di molti altri occhi 'umani', sa che si', si fida di lui. Forse l'ha sempre fatto, forse e' una sensazione nuova. Ma sente di fidarsi di quel vampiro pazzo che l'ama da morire. E che lei stessa, basta mentirsi, ama. Si', si fida di lui, molto piu' di quanto si fidi di lei stessa. Quindi afferra la sua mano, in un gesto che sembra spiazzare lui. Solo per un istante, mentre ascolta quelle quattro parole che agognava sentirsi dire da chissa' quanto tempo. Dette cosi', in una notte, in bilico su un muricciolo perso nel nulla.
"Mi fido di te!"
Gli afferra la mano, lui la stringe forte, guardandola come lei non si e' mai sentita guardata in tutta la sua vita. Con uno sguardo che e' amore. Ed e' un istante, neanche il tempo di razionalizzare, capire cosa voglia fare, e si trovano sospesi nell'aria, cadendo dal quarto piano di un edificio. Buffy stringe la mano di Spike, e sa di non avere paura. Perche' e' stata una sua idea. E lei si fida si lui. Ha il tempo di vedere le facce sorprese di Angelus e Darla, che si sporgono oltre il muretto, prima di atterrare su qualcosa di caldo e morbido. Atterrare e sprofondarvi dentro. Ed e' fieno. Sono su un carretto che passava di li' per caso, e che ha salvato loro la vita. Le scappa una risata, mentre sprofonda in quel fieno profumato di vita e guarda Spike fare lo stesso. Ridere. E poi scendere dal carretto, e correre veloci verso chissa' dove. Senza paura, Buffy. Perche' ormai si fida, di lui...
Darla ed Angelus guardarono dall'alto del palazzo quei due correre veloci, finche' non scomparirono dalla loro vista. Allora Darla si volto' rabbiosa verso Angelus, ringhiando la sua indignazione.
"Perche' li lasci fuggire? Perche' non li inseguiamo? Che facciamo qui, senza fare niente?"
Angelus si strinse nelle spalle.
"Perche' hanno vinto. Mi hanno ingannato. Ed hanno vinto. E questo e' il loro premio. Ci saranno altre occasioni...lascia che vadano..."
Angelus rimase fermo, a guardare il punto esatto in cui li aveva visti sparire, e ripenso' a quegli occhi verdi...frammenti di stelle, dentro quegli occhi...irrimediabilmente, di qualcun altro...

Capitolo IX - Killing Me Softly

E non c'erano pensieri, quella notte, a girare nelle loro teste. Non c'erano dubbi. Non c'erano timori. C'era solo consapevolezza, e verita'. Come per un miracolo, ora erano certi di sapere la verita'. E non c'erano ne' dubbi, ne' paure, nelle loro menti. Correvano per i vicoli di Londra, Buffy e Spike, mano nella mano, senza cercare di sottrarsi a quel contatto cosi' semplice. E poi, lentamente, decelerarono, certi ormai di essere al sicuro. Almeno per quella notte. Al sicuro da Angelus e Darla e Drusilla. Ma davvero al sicuro, da loro stessi? Si fermarono, ansimando, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. Anche Spike, fa niente se non ne avrebbe bisogno. Spike guarda Buffy. Oh, Dio...e' lei, e' li'. Con lui. Che forse non s'e' mai sentito cosi' felice in tutta la sua esistenza. Quasi non s'accorge, che anche lei ha alzato gli occhi, e lo guarda. Quasi mortificazione, in quegli occhi chiari. Luce...
"Mi dispiace...ho rovinato tutto..."
Spike la guardo'. Ma che diavolo...?
"Cosa?"
Lei scosse le spalle, abbassando lo sguardo.
"Era un viaggio di piacere, quasi...dovevamo parlare. Chiarirci...ed ancora una volta sono riuscita a rovinare tutto..."
Spike le prese una mano. Gelida, proprio come la sua. Ma lui tremava senza dubbio di piu'.
"Sei ancora viva...non hai rovinato niente...", e si schiari' la voce, prima di continuare. "...Non potresti mai farlo..." 
Buffy lo guardo', e c'era gratitudine infinita, dentro i suoi occhi. Gratitudine...e qualcosa che Spike non riusci' a capire...una scintilla nuova, una scintilla che esondava luce e paura. Spike la vide tremare, e le avvolse le spalle nel suo spolverino di pelle. Improvvisamente, il vampiro sentiva caldo. Si guardo' intorno, Spike. Erano arrivati davanti Buckingham Palace. Miliardi di luci illuminavano le finestre del palazzo. Alla loro sinistra, la sponda del Tamigi, che brillava sotto la luce debole della luna. Una tenue brezza da nord portava alle sue orecchie una musica dolce.
Suonavano il valzer delle candele, a Buckingham Palace, e la musica, volando leggera sulle ali del vento, raggiungeva le orecchie di Spike. E sembrava quasi vibrare, muovendosi con le nubi violette del cielo, e con i mille riflessi di fuoco che le torce ornamentali lanciavano nelle acque gelide del Tamigi.
Ballavano, a Buckingham Palace. I nomi piu' prestigiosi della 'vecchia' corte.
E ridevano.
E tessevano intrighi.
E brillavano di gioielli.
Eppure, con tutto il loro oro, nessuna delle donne in quel palazzo avrebbe mai potuto brillare come la ragazza coi capelli color del grano sull'argine sinistro del fiume, nel suo abito bianco strappato e schizzato di sangue, le spalle coperte dalla lunga giacca nera da uomo ed i capelli che, sfuggiti a lunghe ciocche dalla crocchia, si muovevano, baciati dalla brezza.
E nessuno degli uomini che reggevano il paese avrebbe mai avuto sul volto l'espressione rapita dell'uomo che l'accompagnava.
Perche' nei suoi milioni di anni, l'Inghilterra non aveva mai visto due persone innamorate come Spike e Buffy, e probabilmente non ne avrebbe piu' viste...
Suonavano per loro il valzer delle candele, a Buckingham Palace, anche se non lo sapevano. E per loro le stelle erano cosi' luminose, e l'aria cosi' tersa, quella notte. Per loro gli alberi sulla riva stornivano quietamente, intrecciando i loro rami in una sinfonia di ombre sul pavimento chiaro del fiume. Per loro il Tamigi scorreva, come un sussurro blu sotto un cielo violetto. Per loro, la brezza soffiava da nord, quella sera. Per portare le note del valzer alle loro orecchie innamorate. E guidare i loro occhi, quando si cercavano, nella penombra interrotta dai lampioni. E per far credere a Spike che fosse il suo tocco a far rabbrividire Buffy, e non quello del vento.
E poi Spike si chino' a baciare una mano di Buffy, sussurrandole piano, come se temesse di spezzare quella strana, strana atmosfera.
"Ballate con me questo Valzer, Milady?" 
Lei si porto' una mano al cuore, e persino i gentiluomini chiusi nel palazzo avrebbero potuto vedere i suoi occhi luccicare come stelle. Non gli disse che le sembrava assurdo. Ballare li', sotto il cielo, sul lungofiume del Tamigi. Dove chiunque avrebbe potuto vederli. Forse lo penso', forse no. Ma non lo disse. Non disse niente.
Solo...annui', e lascio' che Spike le cingesse la vita. Non sapeva ballare, Buffy. Probabilmente non aveva mai ballato, prima di allora, un valzer. Ma si lasciava guidare da lui, gli occhi persi nei suoi. Ed era leggera. Come una farfalla. Come la brezza di Londra. Come la neve che volteggiava nel cielo d'Inghilterra. Ed era felice. Come una donna innamorata. Come Spike. Il demone con un'anima che la faceva danzare come una principessa, come una di quelle di cui aveva letto quand'era ancora una bambina. Ed era cosi', che si sentiva. Una principessa, uscita da una fiaba. Cosi', che la faceva sentire Spike. Mentre il valzer suonava la sua canzone. E Spike sentiva un groppo serrargli la gola.
Se l'amore avesse avuto un volto, ed una voce, ed un cuore, ed il calore di un corpo, e se avesse avuto forza e piedi per danzare, sarebbero stati quelli di Buffy...e Spike.
Se avesse avuto un sogno, sarebbe stato il loro.
Un'illusione, forse, sarebbe stata la loro...
Sotto il cielo incomparabile di Londra. Accanto al fiume che scorreva. Ed agli alberi che danzavano insieme a loro. Nell'abbraccio appassionato di un valzer.
Spike guardava gli occhi verdi di quell'angelo che danzava tra la sue braccia. Si sentiva ebbro di felicita'. E non sapeva nemmeno il perche'. Era felice perche' c'era lei, ed era viva. E lui non era polvere. E fu forse grazie a questa felicita', che trovo' il coraggio di carezzare con una mano i capelli di Buffy. Lentamente, come se temesse che un suo gesto piu' brusco potesse scatenare la reazione di lei. Ma Buffy non sembrava voler reagire. Lo guardava, ed erano due occhi stupendi che lo guardavano. E non erano ostili. E non lo odiavano. Fu un istante, prima che le labbra di Spike, come animate da vita propria, si premessero contro quelle di lei. Timidamente, le labbra del vampiro sfiorarono quelle di Buffy. Erano morbide, come velluto. E calde. Un tremito leggero le attraversava il corpo, ed il respiro di lei, caldo, gli si riversava sulle labbra. Dolce come miele. Saziandolo. Nutrendolo. Schiuse le labbra, quasi con paura, mentre quel bacio diventava piu' profondo, e lu!
 i stringeva i pugni, per impedirsi di toccarla. Perche' non voleva, assolutamente, spaventarla. Era una tortura dolce, della quale non si sarebbe mai stancato. Era come annegare, come volare nel cuore di quella ragazza, nella sua passione, nel suo amore. Il battito del cuore di lei pareva assordarlo, pareva riempire l'intera Londra, l'intero universo. Il suo sapore stava scorrendogli nel sangue, violento, potente, cantando l'amore che quella ragazza provava per lui, ascoltando la sua canzone.
Il vampiro con l'anima, che si era innamorato perdutamente della cacciatrice. L'uomo che un tempo era stato, che trovava finalmente la pace, carezzando i capelli di lei. La strinse a se', e Buffy fremette tra le sue braccia, abbandonandosi poi, e dando tutta se' stessa in quel bacio.
Lei era quello: Luce pura, passione assoluta. Anima e corpo, che aveva deciso di donare a lui. E Spike senti' dentro di se' che avrebbe conservato quella fiducia, quell'amore, quella passione, quella Luce, come la cosa piu' preziosa al mondo.
Non riusciva a smettere di baciarla. Aveva fame di lei, sete di lei. Una sete che non si sarebbe mai consumata. Una sete eterna. Ma una voce dentro di se', una parte di se' ancora in grado di ragionare, lo incitava ad allontanarsi, prima che fosse troppo tardi. Prima che perdesse quanto di piu' prezioso quella ragazza aveva da offrirgli. Le carezzo' i capelli con una mano, mentre con l'altra, dolcemente, l'allontanava da se', ignorando le proteste del suo corpo, del suo demone. Apri' piano gli occhi, e quasi la bacio' di nuovo quando le vide il volto. Gli occhi verdi di Buffy brillavano, di una luce che non credeva di averle mai visto.
Sono io...sono stato io...
Le labbra carnose della ragazza erano gonfie per quel bacio, ed un leggero rossore si stava lentamente impossessando delle sue guance. Di quel volto stupendo che Spike non riusciva a smettere di guardare, in estasi. Allungo' una mano per sfiorarle il viso, e con il pollice disegno' i contorni della sua bocca, mentre lei sorrideva, e quella luce nei suoi occhi non smetteva di brillare. Abbagliandolo.
"Non ti ho ancora chiesto come stai, passerotto..."
Di nuovo, si perse in lei, nei suoi occhi, nel suo profumo, mentre ascoltava quella voce soave scandire lentamente, quasi in imbarazzo, solo due parole.
"Sto bene..."
Le sorrise, Spike, cercando un modo per staccare i suoi occhi da quelli di lei. Ma non lo trovo'. Dio, quant'era bella...
"Buffy?", e le accarezzo' una guancia, prima di soffiare: "Posso baciarti di nuovo?"
Il sorriso della ragazza fu radioso. E fu l'unica risposta che gli occorse, prima che le sue labbra riscoprissero quelle di lei.

Si'.
Si'.
Si'.
Si', puoi baciarmi di nuovo.
Si, puoi bere la mia anima.
Si', puoi prenderti il mio cuore, il mio corpo, il mio tutto.
Si'...
Dio', com'era tutto chiaro, adesso! E com'era difficile pensare, mentre lui la baciava, e lei scopriva di non aver mai baciato. Non veramente.
Mentre le accarezzava il collo, la pelle fredda di lui contro la sua che bolliva. Mentre la faceva tremare, soltanto toccandole la bocca. All'improvviso, aveva scoperto che esisteva un posto nel suo cuore che solo lui riusciva a colmare. E che l'affetto che provava per Dawn, per Giles e per i suoi amici non era piu' abbastanza.
Lo amava. Totalmente. Disperatamente. E non avrebbe piu' rinunciato, a lui. Che la odiassero, che la giudicassero, che le dessero della pazza...non le importava piu'. Improvvisamente, non importava piu' niente, al di fuori di loro due, e di quel bacio tenero e appassionato. Buffy non aveva mai baciato. Non era mai stata baciata. Non veramente. E adesso l'uomo che la stava baciando le stava facendo capire che Spike, quello Spike, e non la sua maschera da Big Bad, non lo conosceva. Ma era pronta a rischiare. Tutto.
Anche il suo cuore.
Anche la sua anima.
Anche la sua vita.
Solo...per quello. Per un bacio. Lo aveva baciato, e le era parso il suo primo bacio.
Paura e passione.
Emozione pura.
Fuoco brillante che le scorreva dentro.
Luce...Luce chiarissima.
Ed ancora paura. Di sbagliare. E poi era venuto lo stupore. Perche' Spike aveva tremato. E Buffy aveva sentito chiaramente il suo demone gridare, e Spike rimandarlo indietro. Per lei...per non spaventarla. Come se non avesse gia' visto, il suo demone. Come se esistesse qualcosa, in quel momento, che potesse davvero spaventarla, tranna...perdere lui.
La tenne premuta contro di se', mentre incosciamente danzavano ancora, al ritmo lento del valzer. E non c'era niente di sbagliato, niente di osceno, nel modo in cui la stringeva. Nel modo in cui lentamente le carezzava le labbra con le sue, e poi si trasformava in fuoco ghiacciato e scendeva dentro di lei. In ogni angolo di Buffy. Cosi' lentamente...tanto che le sembrava di svenire. Il cuore le martellava nel petto, e lui continuava a baciarla, e Buffy, senza nemmeno pensare, rispondeva a quel bacio. Con la stessa lentezza. Come se tutti e due volessero dilatare il tempo, e far durare secoli quegli istanti. Come se tutti e due avessero paura che finisse. Ma non finiva.
Era una tortura. Era estasi. Era la sua testa che girava. Erano le sue forze che l'abbandonavano, risucchiate dalle labbra di lui. Finche' quel bacio non si ruppe, e lui le sfioro' la fronte con un bacio, stringendola a se', cullandola, totalmente incurante della sua ferita, quel buco allo stomaco che, anche senza saperlo, sentivano entrambi. E non c'era imbarazzo, o vergogna, in lei. Dio sapeva che amava Spike. Del resto del mondo, non le importava...

Era ubriaco. La testa gli girava vorticosamente, mentre il suo cuore senza vita fremeva. La notte sembrava essere uscita da una fiaba. Stelle brillavano, trapuntando il cielo che Buffy aveva guardato, per la prima volta, non come una Cacciatrice, ma come una donna. Il suo corpo era stato stretto al suo, mentre ballavano, e li' dove la musica non raggiungeva le orecchie di Buffy, aveva supplito lui, soffiandole dolcemente la melodia nelle sue labbra. Aveva creduto che Buffy avesse voluto essere una donna normale, per una volta. Si era sbagliato. Buffy aveva voluto vivere una fiaba. Una fiaba con una principessa salvata dal suo principe senza macchia e senza paura. Ed aveva scelto lui, come principe. Come cavaliere senza macchia e senza paura, ignara del fatto che intanto era stata la principessa a salvare il principe, risvegliandolo dal suo eterno sonno fatto di incubi. I suoi sensi erano tesi...cosi' tesi...riusciva sentire l'odore di Luce di Buffy, ed il suo desiderio...gli!
 elo aveva letto negli occhi. La voglia di appartenergli, totalmente. La voglia di essere sua. E stavolta non si era ingannato. L'aveva letto, ancor prima che lei gli avesse chiesto di tornare a casa. Alla bettola. La distanza era sembarata breve, mentre stringeva la mano di Buffy nella sua, e sentiva i suoi capelli solleticargli una spalla. Ed il suo sorriso. Il suo sorriso l'aveva stordito. Degluti', quando si fermarono accanto alla porta semichiusa della stanza. Buffy sbircio' dentro, sorridendo e scuotendo la testa, nel vedere i mobili sottosopra, privati di gambe ed ante. Poi torno' a guardare Spike. E le labbra del vampiro volarono a sfiorare le sue, mentre il suo cuore prendeva fuoco.
Era ubriaco.
Era impazzito.
Era felice.
Si allontano', nonostante il desiderio stesse diventando tangibile, ed il suo demone, e tutto cio' che era, gli stava urlando di abbracciare quella ragazza e farla sua. Sua per sempre. Ma sapeva di non poterlo fare. Il respiro della ragazza era caldo, sulle sue labbra, e lui strinse i denti, cercando la forza per parlarle.
"Tornero' prima dell'alba...devo andare..."
Buffy sembro' capire, e sorrise.
"E dove vorresti andare?"
"Non lo so...credo che mi divertiro' a fare il paladino della giustizia al posto tuo, stasera...ora vado..."
Fece per allontanarsi, ma Buffy gli strinse un polso, sorridendo decisa.
"No, non andare...per favore..."
Lui si giro', cercando di sorridere. Non voleva. Cioe', lui la voleva, la desiderava, tutto il suo essere la desiderava. Ma non gli sembrava giusto, dopo quello che le aveva fatto. Ed aveva una terribile paura. Paura di farle del male, di perdere il controllo. E non poteva permetterselo.
"Devo farlo, amore..."
Buffy scosse la testa. Lentamente. Sinistra, destra, di nuovo al centro.
"No", mormoro'. "Non devi..."
Spike senti' il cuore saltargli un battito. Si diede dello stupido idiota, a quella sensazione. Il suo cuore aveva smesso di battere da centoventi anni. Era morto. Eppure la sensazione fu quella.
Buffy guardo' di nuovo all'interno della stanza.
"Puoi aspettare qui, solo un attimo?"
Spike annui', non fidandosi della sua voce. Aveva il sospetto che, se avesse parlato, la voce gli sarebbe venuta fuori come un mormorio strozzato. Buffy spari' dietro la porta della stanza e Spike lascio' andare un profondo sospiro. Era terrorizzato. Aveva sentito dentro di se' che avrebbe atteso Buffy. L'avrebbe attesa fino al giorno del giudizio, se fosse stato necessario. Ma era terrorizzato. Perche' lo Spike che la stava aspettando fuori la stanza, non era piu' il vampiro sanguinario che aveva avuto tantissime donne, ed aveva saputo soddisfarle. Ne' tantomeno era il ragazzetto che era stato William, che di donne non ne aveva mai avute. Ed era nervosissimo. Era terrorizzato. Si passo' una mano tra i capelli, senza nemmeno rendersi conto del leggero tremito d'essa, e si guardo' intorno.
Doveva andarsene, prima che fosse troppo tardi.
Doveva pensare con la testa.
Doveva pensare a cio' che era meglio per Buffy.
Doveva far funzionare quell'uovo strapazzato che aveva preso il posto del suo cervello, alzare le tende e lasciare quella bettola. Buffy avrebbe capito. Di nuovo sospiro', infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni, pronto ad andarsene, e quasi sobbalzo' quando la porta della camera si apri', ed apparve Buffy.
"Ecco", disse. "Ora puoi entrare."
Spike annui', ma rimase sulla soglia ancora per qualche istante. Per l'inferno, era mai esistita una ragazza tanto bella? Tanto perfetta? Nemmeno il livido sul suo volto ne deturpava la bellezza...Buffy gli sorrise.
"Cosa stai guardando?"
"Te...", mormoro'. "Sei...cosi' bella..."
Si senti' senza fiato, quasi prossimo alle lacrime, ed ignoro' il fatto che un demone non avrebbe dovuto provare simili sensazioni. Era appurato, ormai, che il suo demone era una mammoletta travestita da vampiro, era inutile rimuginarci su. Buffy arrossi'.
"E'..."
"La verita'", termino' lui per lei, in un tono che non ammetteva rifiuti.
Buffy fece un passo indietro, tendendogli una mano, un sorriso radioso che le illuminava il volto. Spike esito' ancora per un istante, prima di attraversare la soglia. Combattuto tra amore e desiderio. Paura e quel fuoco che sembrava avvilupparlo da dentro, bruciandogli le viscere. Senza parlare, entro' nella stanza, sorridendo nel notare che era tornato tutto a posto. I mobili senza gambe ammucchiati in un angolo buio e, al centro della stanza, il letto coperto da un caldo piumone beige. Buffy si avvicino' a lui. Gli cinse le spalle con le braccia.
"B...Buffy..."
Lei gli mise un dito sulle labbra, facendogli cenno di star zitto.
"Non sono la Cacciatrice, stanotte. Sono solo una donna. E tu solo un uomo. Non potrei difendermi nemmeno volendo..."
Sollevo' la testa, e Spike le carezzo' le guance con mani tremanti.
"...potresti prendere la mia vita con una mano, se volessi..."
"Voglio solo te...", sospiro' lui.
"Voglio solo amarti...", continuo', sfiorandole il collo con la punta delle dita.
Buffy annui', indugiando nella sua carezza. E la pelle di lei sembrava bruciare. Ed era stato lui ad accendere quel fuoco. Tremo' ancora un poco.
"Non voglio farti del male..."
Buffy scosse la testa, decisa.
"Non mi farai del male...se tu...sei Spike..."
Spike gioco' per un attimo con una ciocca dei suoi capelli. E decise di crederle. Non le avrebbe fatto del male. Il suo demone se ne sarebbe stato quieto al suo posto. Era lui stesso che glielo stava sussurrando.
Le sue mani affondarono nella vita di lei, mentre si chinava e catturava le sue labbra con un bacio. Piano, timidamente, quasi, lascio' che le sue mani le sfiorassero le spalle, senza nemmeno provare a slacciare il fiocco che le teneva legate le sottili bretelline di seta. Voleva che Buffy si riabituasse al suo tocco. La sentiva tremare, tra le sue braccia, e sentiva il battito del suo cuore aumentare. Non voleva spaventarla. Ricordarle quel maledetto giorno, a Sunnydale. Voleva amarla. Non voleva giocare con lei con catene e lucchetti, in giochi erotici senza senso. Voleva venerarla. Se solo le sue mani avessero smesso di tremare. Se solo lui avesse smesso di tremare. Le sollevo' la testa, posandole baci delicati prima sul mento, poi sulle labbra. La prese tra le braccia, anche se non avrebbe saputo dire quando. I suoi occhi continuavano a scavare in quelli di lei, bevendo il loro amore. Lei gli circondo' le spalle con un braccio, mentre con l'altra mano sfiorava il tessuto!
  della sua maglietta nera, e la pelle di Spike gridava. Gridava per un contatto piu' stretto. Gridava per avere di nuovo la pelle di lei.
L'adagio' sul letto, e di nuovo la bacio', mentre una sua mano le sfiorava il volto, e dolcemente l'imprigionava nel suo bacio.
Lei era passione, e fuoco, e Luce. Lei lo lasciava senza fiato, mentre le sue dita gli affondavano fra i capelli. Si allontano' da lei, e lentamente le libero' i capelli, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Una cascata color dell'oro si sparse attorno al suo viso.
Erano lunghi, i capelli di Buffy, e profumavano. Profumavano di Luce. Sfioro' la loro serica morbidezza, mentre di nuovo si sentiva senza fiato.
"Sei cosi' bella...", sussurro'.
"Sono solo io...", soffio' lei, la voce incrinata di batticuore.
"Sei Buffy...", mormoro' dolcemente, prima di baciarle il viso.
Le labbra, le guance, il naso, gli occhi, la fronte. Spike non lascio' che un centimetro di pelle della ragazza non venisse toccato dalle sue labbra.
"Sei mia..."
E fu sorpreso che quell'affermazione, che gli scaturiva dal profondo del suo essere, non suonasse come un ringhio.
Era una richiesta.
Una preghiera.
Una speranza.
"Ti amo...", sussurro', mentre accompagnava quelle due parole con altri baci, ed una mano sfiorava impalpabile un seno di lei. Buffy sorrise, mentre il ritmo del suo respiro aumentava. Vi era paura in lei, Spike lo sentiva, cosi' come sentiva che non era di lui, che aveva paura.
Le mani di lei andarono sul suo torace, e Spike strinse gli occhi, lasciando che quelle mani dolci ed avide allo stesso tempo vagassero sul suo petto, nonostante l'eccitazione stesse diventando quasi dolorosa. Il tormento piu' dolce che avesse mai conosciuto. Lascio' che lei gli sfilasse la camicia, e che le sue dita accendessero il fuoco sulla sua pelle fredda. Timidamente, la ragazza si chino', sfiorando la pelle delle spalle di Spike con le labbra, in una carezza morbida come seta. E Spike non si muoveva, per non spaventarla. Anche se si sentiva ubriaco. Ancora.
Stava impazzendo. D'amore. Di passione. E voleva che durasse per sempre.
Voleva bruciare, in quella pazzia, se cio' significava stare con lei.
Di nuovo, le sue mani tremarono, mentre si accingeva a sciogliere i laccetti che le tenevano su il vestito, resistendo a stento all'impulso di strapparli, tanto era forte il bisogno che aveva di sentire la sua pelle. Ed infine la tocco', la sua pelle. Morbida, calda, fremente. Per lui. E fu come nascere e morire di nuovo. Le loro labbra si incontrarono nuovamente, mentre le loro mani riconoscevano piano l'una il corpo dell'altro.
Il tempo sembro' svanire. Il mondo intero, sembro' svanire. Ogni respiro, ogni fremito, riempiva le orecchie l'uno dell'altra.
Sussultarono entrambi, quando Spike sciolse l'ultimo laccetto dell'abito di Buffy, e lentamente, lo abbasso', guardando la sua pelle, baciandola con gli occhi. Era bianca, la pelle di Buffy. Liscia e perfetta come marmo. Fuoco e ghiaccio si incontrarono, fondendosi, quando i loro corpi si sfiorarono e Spike chiuse gli occhi, sentendo il desiderio diventare, se possibile, ancora piu' intenso.
Pelle contro pelle.
Cuore contro cuore.
Desiderio contro desiderio.
Amore ed amore, pronti ad unirsi in un'unica cosa. Perfetta.
Buffy gli cerco' le labbra, intuendo la sua esitazione, la sua paura.
Buffy era parte di lui. La parte migliore.
Di nuovo le loro labbra s'incontrarono. Con piu' forza, piu' decisione, questa volta. Mentre le dita di Spike percorrevano il corpo di Buffy, memorizzando la sua pelle, senza realmente vederla.
Stordito dal suo odore.
Stordito dalla sua passione.
Si mosse piano, con struggente lentezza. Mentre l'odore di lei sembrava penetrargli fin sotto la pelle, ed il battito del suo cuore gli martellava contro il petto. Stava nascendo di nuovo, tra le braccia di Buffy, mentre le loro labbra si incontravano e le loro mani s'intrecciavano. Ed i loro corpi danzavano, al ritmo di una musica che solo i loro occhi percepivano, solo i loro cuori udivano.
Le carezzo' i capelli, mentre ancora si muoveva lentamente, dentro lei.
Pensando a quanto lui, un demone, non avesse il diritto di conoscere il Paradiso...

Buffy ansimo', tremando per la terribile, meravigliosa intensita' di cio' che aveva appena provato. Di cio che aveva appena vissuto.
Per le sensazioni che il suo corpo, ed il suo cuore, e la sua anima le avevano trasmesso, come lampi di Luce, cosi' forti, cosi' intensi che le era sembrato che il piccolo guscio che lei era non fosse abbastanza per contenerle, e si dilatasse all'infinito, fino ad esplodere.
Mentre i loro corpi giacevano ancora l'uno sull'altro, prima che lui rotolasse sulla schiena, e la portesse con se'. Continuando a stringerla, accarezzandole i capelli. Dolcemente. Come era stato ogni suo gesto, quella notte.
Dolce.
Struggente.
Come se avesse paura.
Come lei aveva paura.
Paura di essersi sbagliata, e che lo Spike con cui stava condividendo quei momenti bellissimi fosse sempre lo stesso. Lo stesso Spike che la tormentava e aveva cercato di violentarla, deludendola. Uccidendola.
Sapendo che le si sarebbe spezzato il cuore, se avesse capito che era cosi'.
Ma non era successo. Aveva compreso, finalmente, che Spike aveva compiuto quel cambiamento radicale che solo un uomo innamorato e abbastanza pazzo avrebbe potuto fare. e adesso era sua.
Sua.
Per sempre.
Oltre il tempo. Oltre tutto cio' che l'uomo riusciva a captare.
Lo sapeva. Ed era la piu' chiara delle sue percezioni.
Sarebbe appartenuta a Spike finche' qualcosa nell'universo fosse esistita.
Le sue braccia si strinsero, serrandosi attorno al collo di Spike. Aveva una terribile paura. Aveva paura che finisse. Non voleva che finisse. Non voleva che lui andasse via da lei. Voleva un altro attimo. Solo un attimo. Li', appoggiata sul suo petto, mentre lui le accarezzava i capelli. Sollevo' timidamente il viso, fissando i suoi occhi in quelli di Spike. Sorridevano. C'era passione, in quegli occhi. E amore, e tenerezza. Lui le carezzo' una guancia, sognante. Quasi non si accorse che i suoi pensieri gli stavano uscendo di bocca, in un sospiro.
"L'universo e' fatto di Luce...", disse, mentre lei sorrideva. "Tu...tu sei Luce..."
Le bacio' i capelli. Tremando. Lei lo guardo' fisso negli occhi, lottando epr trattenere le lacrime.
"Io sono la Luce che mi dai tu...", soffio' sulle sue labbra. "Senza te...sarei una cosa cosi' triste..."
Lui degluti', allungando una mano per spingerle indietro i capelli, e poi sorrise. Quel sorriso scanzonato, da ragazzo, che lei adorava.
"Cosi' non ne verremo mai fuori, Luce..."
"Ma io non voglio venirne fuori...", sussurro' lei. "...Non voglio mai piu' venirne fuori..."
Abbasso' lo sguardo per un attimo. Solo un istante. Prima che li rialzasse, restando per un attimo stordita da quelli blu di lui. Come il mare. Come il cielo...
"Ti amo...", gli sussurro'.
Spike la fisso', storito, quasi sconvolto da quelle due piccole parole. Erano solo cinque lettere...niente di piu'. Per lui era la cosa piu' importante del mondo, sentirselo dire, ma qualcosa dentro di lui...qualcosa di radicato, e di ferito, di calpestato ed umiliato, non riusciva a crederle.
"No...non mi ami...", replico' con gentilezza.
E si stupi' del dolcissimo sorriso che le lesse sulle labbra. E delle lacrime scintillanti che le brillavano negli occhi. La voce un po' rotta, ma dall'inclinazione quasi divertita.
"Uhm, e' qualche nuovo modo per dirmi che mi ami? Perche', guarda, anche una vecchia cosa come 'ti amo anch'io' mi va benissimo...", disse sorridendo. "...e la prossima volta potresti anche dire grazie, o qualcosa del genere...e' solo per educazione...!"
Spike cerco' nei suoi occhi, e quello che vide trasformo' in un sorriso radioso la smorfia che aveva sul viso. Buffy se ne accorse, ma continuo'.
"Ascolta...non sono molto brava con le parole...ma e' importante, per me, provare a spiegartelo...e tu...meriti di sapere."
Spike annui', senza parlare. Come temendo che le parole potessero rompere quella magia.
"Credo...io credo che il mio cuore abbia smesso di funzionare il giorno in cui Angel e' andato via. Era troppo difficile sentirsi cosi' vulnerabili, aprire il proprio cuore con la paura di poter essere di nuovo ferita. Faceva troppo male. Ed io, fondamentalmente sono una vigliacca, ed ho rinunciato al primo ostacolo. E' per questo che mi arrabbiavo, quando dicevi di amarmi. Perche' nonostante tutto, nonostante tutte le volte in cui ho afferrato il tuo cuore e i sono messa a giocarci a calcio...e me ne dispiace, anche se non so quanto possa valere...beh, ecco...tutte le volte che ti trattavo come una 'cosa'...tu avevi sempre il coraggio di lasciarti tutto alle spalle, dimenticare, ricucire le tue ferite e rimetterti in gioco. E correre il rischio di pagarne nuovamente le conseguenze. Di essere di nuovo ferito. Io avevo smesso di farlo molto tempo prima.", si interruppe, cercando un modo, le parole, per continuare. Le trovo', e riprese. "E, Spike...tu non sei nel mio cuore...s!
 arebbe qualcosa di troppo riduttivo...tu, a dirla tutta, sei la ragione per cui questo cuore ha ripreso a funzionare. Batte di nuovo, e sanguina, a volte. Ed ama. E...ok, posso non aver smesso di scoprire chi sono...ma almeno questo mucchietto di pasta per biscotti e' di nuovo capace di amare. E' questo e' grazie a te..."
Spike la guardo', incerto se piangere o abbracciarla, o fare entrambe le cose. Ma, semplicemente, non poteva. I suoi muscoli, il suo corpo...erano bloccati. La senti' ridere. Una risata colma di tenero imbarazzo.
"Oh...questo non e' proprio il mio forte...non sono mai stata un gran che, ad esternare i miei sentimenti..."
"E' poesia...", la rassicuro' lui, gentilmente. "Non ho detto che e' 'buona' poesia...ma a me sembra perfetta..."
Lei sorrise, saltandogli al collo. Imprimendo un dolcissimo bacio sulle labbra di lui. Stava albeggiando. Lei lo amava. Lui la amava. Sarebbe stato un buon giorno...

Quella stanza in penombra profumava d'amore. Quello giovane, quello senza condizioni, gioiso, passionale, lucido e pazzo allo stesso tempo. Quello di Spike. Quello di Buffy. Il loro amore, come un unico amore. Fuso insieme. Piu' splendente del sole, piu' vero della terra, piu' rifulgente delle stelle.
Ecco, cosa stava cercando, Spike. Ecco, cosa Drusilla gli aveva predetto, quella notte, in un vicolo di Londra. Quella notte che e' stata del milleottocentottanta, e che sara' tra un giorno e mezzo. Quando gli aveva detto che...stava cercando qualcosa di rifulgente. Ed eccola li', che riposa esausta sul suo petto. Eccola, il suo qualcosa di rifulgente.
Luce.
Luce purissima.
Luce bianca.
Luce sua.
E' sua. Lo sente, lo avverte nell'aria, e nel battito del cuore di quella ragazza. Che...ha detto di amarlo. Amare lui. Proprio lui. Un demone, un mostro. Anche se la vergogna, di tutti i vampiri. Innamorato. Come non avrebbe dovuto essere. Ma come era. Innamorato perso. Della cacciatrice. Della donna. Di Buffy. Gli poso' un lieve bacio sui capelli, e lei rabbrividi'.
"Hai freddo?", le chiese, tirando piu' su le coperte beige. Lei alzo' il viso, sorridendo.
"No...sto cosi' bene..."
Spike le sorrise di rimando, specchiandosi in quelle pozze verdi che aveva quella ragazza al posto degli occhi. Pieni di Luce. Li vide brillare di lacrime, quasi improvvisamente. Ed una piccola goccia le rigo' la guancia. Tutti quei sentimenti...tutto quell'amore...era troppo, per lei, per essere contenuto solo in un sorriso...
Spike la guardo' preoccupato, e si affretto' ad asciugarle quella lacrime con una mano.
"Oh, no, Luce...non piangere...cosa c'e'?"
La fisso' di nuovo, dentro quegli occhi che brillavano come stelle, ed interpreto' male le sue lacrime.
"Ho forse...fatto qualcosa di sbagliato? Ho detto qualcosa...che non dovevo?"
Lei gli accarezzo' una guancia, dolcemente, con tutto l'amore del mondo.
"No, no...non lo pensare nemmeno! Piango...piango perche' sono felice! Sono cosi' felice, Spike..."
Lui abbasso' gli occhi, non del tutto convinto.
"Non e' che...ti sei pentita?"
"No!", scatto' lei, afferrandogli il volto tra le mani e costringendolo dolcemente a guardarla negli occhi. "no, no, no. Non mi sono pentita! E' stata...la notte piu' bella della mia vita...devi credermi! E' solo che..."
Spike la guardo' negli occhi, preoccupato nonostante tutto.
"Solo che...?"
Buffy si strinse contro il suo petto, rannicchiandosi nel suo abbraccio. Non piangeva. Un sorriso triste le increspava le labbra leggermente gonfie.
"Solo che...e' cosi'...cosi' brutto, pensare che questa pace...finira', appena torneremo nel nostro tempo...dove mi attende la mia missione...non una vita normale, da passare accanto a te. Notti dopo notti di pericoli, col pensiero che potrei non vederti piu'...ed e' la mia missione, una missione che non condivido appieno, che non me la sento di appoggiare del tutto...perche', vedi...loro hanno questa stupida divisione: vampiri o uomini...ma io credo che non esista altra divisione se non in buoni e cattivi...e non sempre gli uomini sono i buoni ed i vampiri i cattivi...ed io devo combattere ogni notte, ogni volta, con la consapevolezza di non volerlo fare! Dio, Spike, vorrei tanto non essere la cacciatrice...vorrei essere una ragazza normale...col suo ragazzo normale...e non potro' mai averlo...mai...e' un desiderio che restera' tale per sempre..."
Improvvisamente, si interruppe. Senti' un gemito soffocato, ed il petto di Spike sobbalzo' ritmicamente, come...se stesse singhiozzando. Alzo' di botto la testa, Buffy, e fisso' negli occhi l'uomo, il vampiro, con il volto rigato di lacrime ed un'espressione colpevole in viso. Sgrano' gli occhi, prendendogli una mano tra le sue.
"Spike! Spike, cosa c'e'?"
Il vampiro biondo si mise a sedere, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi. Oh, Luce...
"Io...Buffy...c'e' una cosa...una cosa che non ti ho detto..."

Capitolo X - Consequences...

Un'altra.
Un'altra cosa non detta.
Un altro segreto.
Un'altra menzogna.
Un altro silenzio.
Angosciato, teso silenzio, attesa che non si riempie. Perche' nessuno parla. Perche' lui non comincia, e lei non puo' cominciare qualcosa che non conosce. E nessuno parla.
Aspetta, Buffy. Aspetta con gia' la delusione negli occhi, quel sentimento odioso che rende ridicolo ogni altro sentimento. Cos'e' l'odio, o la rabbia, in confronto alla delusione? Perche' lei gia' sa, che sta per deluderla di nuovo. Glielo legge in quegli occhi che lui non ha il coraggio di alzare. Nel rigirarsi nervoso delle sue mani. In quelle lacrime di rammarico, inutile, che gli rigano le guance. E non puo' fare a meno di pensare che vorrebbe zittirlo, e vivere senza sapere cosa c'e', cos'altro le ha tenuto nascosto, cos'altro si e' tenuto nell'ombra insieme a lui. Ma non puo'. Non potrebbe mai vivere una bugia. Non piu'. Adesso vuole la verita'. E' stato lui a insegnarle a cercare la verita', ad uscire dalle ipocrite bugie che sembravano circondare la sua vita. E adesso, lei vuole la verita'. Per quanto dolorosa possa essere. Non sarebbe piu' atroce del dubbio...
"Cosa? Spike...cosa non mi hai detto?"
Fa cosi' male chiederlo...e fa ancora piu' male sentirlo, sentire quelle parole, poche, una manciata di lettere, dette con quella voce che sa ancora una volta di speranze deluse. Con quella voce che solo qualche minuto prima ha detto di amarlo. Fa male. Un male indescrivibile. Spike alza gli occhi su di lei. Solo un attimo, e' quanto riesce a sopportare la vista di quello sguardo che non vuole niente, tranne la verita'. Quello sguardo che conserva ancora un po' di felicita'...e lui vorrebbe star solo zitto, e non deluderla di nuovo. Ma quel suo discorso...sulla vita normale...sulla sua missione...non aveva potuto non sentirsi stupido ed egoista, di fronte alle sue parole...perche' se erano li', nel milleottocentottanta, era proprio per darle l'opportunita' di essere normale. E lui, debole ed egoista, glielo aveva tenuto nascosto, illudendosi di avere il diritto di scegliere per tutti e due. Ma non puo'...e' qualcosa che non riguarda solo lui, ed e' ora di affrontarla, e dirl!
 e tutto, come avrebbe dovuto fare una settimana prima...
"Buffy", sospiro'. "Tu...sai perche' siamo qui? Per quale motivo?"
La ragazza strinse gli occhi, corrugando la fronte. Una ciocca di capelli biondi le oscurava l'occhio sinistro, rendendola ancora piu' bella. Sorrise debolmente, volendo ancora illudersi che potesse essere qualcosa di innocuo, quello che le aveva tenuto nascosto. Sorrise, quindi, e lo guardo'. Fisso.
"Certo...Dawn ci ha mandati qui perche' potessimo parlare in pace, senza l'influenza dei miei amici, o del mondo che ci circondava...siamo qui per chiarirci...e mi sembra che l'abbiamo fatto..."
Spike chiuse gli occhi, maledicendosi per quella disgustosa bugia. Se avesse avuto il coraggio di dirle la verita'...abbasso' la testa, con fare sconfitto, e lotto' per tenere indietro le lacrime. Sentiva che Buffy faceva lo stesso. Ma lei gli occhi li teneva fissi su di lui. Occhi che bruciavano di preoccupazione...e delusione...
"E' cosi'...vero, Spike?"
L'ingenuita' di una ragazzina, in quella domanda. Quasi una supplica. Fu tentato di annuire, e dirle che non era niente di importante. Ma non poteva. Non gli avrebbe creduto. E comunque si sarebbe sentito peggio di un verme. Peggio di come si sentiva adesso.
"Spike...non c'e' nient'altro, vero?", ripete' Buffy, la voce leggermente piu' inferma.
Spike continuava a tenere lo sguardo fisso sulle lenzuola beige, incapace di guardarla negli occhi. Non riusciva ad affrontare quello sguardo che, anche senza vederla, sapeva che aveva negli occhi verdi. Sospiro', lasciando che l'aria che i suoi polmoni non avevano defluisse dalla sua bocca. Silenzio opprimente, nella stanza...
"No. Non e' cosi'...", sussurro'.
Buffy chiuse gli occhi, prendendo una forte boccata d'aria. Non era cosi'...cosa le stava nascondendo? Oddio...un'altra volta...un'altra volta no...Spike, perche' mi fai questo?
Il vampiro guardo' la ragazza respirare. Sentiva il suo cuore battere all'impazzata. Lo sentiva urlare per una risposta. Una supplica disperata, per una verita'. Prese coraggio, Spike, anche se non ne avrebbe mai avuto veramente. E decise che le avrebbe detto tutto. Non poteva permettersi altre bugie...
"Che giorno e' oggi, Buffy?"
La cacciatrice lo guardo', intontita. Cerco' di ricordare.
"Il quattordici novembre del milleottocentottanta...ma questo che c'entra?"
Quella data fu una pugnalata al cuore morto di Spike. Strinse i denti, e disse quello che doveva dirle. Che avrebbe dovuto dirle dall'inizio...
"Il quattordici novembre del milleottocentottanta, e' la data della mia morte. No, non dire niente, non interrompermi, ti prego...una settimana fa, nel nostro tempo, Dawn ha fatto un incantesimo perche' voleva che smettessi di soffrire. E tu insieme a me. Dawn ha offerto a me una seconda possibilita', e di riflesso, l'ha offerta anche a te...per favore, aspetta, fammi finire...quando l'ho vista, mi ha spiegato che se avessimo voluto, avrei potuto fermare Drusilla, nella notte in cui avrebbe dovuto vampirizzarmi e, impedendole di uccidermi, avrei potuto continuare la mia vita da William Appleton. Questo avrebbe significato evitare la morte delle due cacciatrici e, al novantanove percento, la tua attivazione come tale. Avremmo avuto entrambi la nostra vita normale...e non ci saremmo mai incontrati. Oppure avremmo potuto lasciare tutto com'e'...ma io non te l'ho detto, mi sono inventato la storia del chiarimento...perche'...perche' sono un dannato egoista, e ho avuto la presunz!
 ione di poter decidere anche per te, senza pensare a cosa avresti potuto volere tu veramente...ma adesso...adesso tu mi parli di una missione che non condividi, di una vita normale che vorresti piu' d'ogni altra cosa...ed ho capito...adesso ho capito, quello che vuoi...dovevo dirtelo...dall'inizio, ed accettare la tua decisione...ma non ne ho avuto il coraggio...so che ora mi disprezzi, come e piu' di prima...ma almeno ora so cio' che vuoi...e posso fare quello che devo sapendo che sei stata tu a volerlo..."
Buffy tremava, tremava da capo a piedi, per rabbia, per dolore, per un freddo gelido che le serrava le ossa...come poteva averle tenuto nascosta una cosa cosi' importante? Era anche la sua vita, maledizione! Come aveva potuto essere cosi' egoista, cosi' presuntuoso da pensare di sapere cosa fosse meglio per lei? E come poteva esserlo ancora, lui, che diceva di aver capito cosa LEI voleva veramente? E cosa voleva, lei veramente? Non fece in tempo a rispondersi. Senti' un sospiro disperato, e la voce di Spike, che faceva di tutto per mantenerla ferma, facendole assumere un tono quasi stridulo.
"Stasera, dopo il ballo...fermero' Drusilla...e tu potrai avere la tua vita normale...forse, hai ragione, e' meglio cosi'..."
Si senti' ardere di rabbia. Qualcosa di cosi' forte, cosi' potente, come un'ondata d'acqua sporca. Come una valanga di tenebre nere, tutte addosso a lei. Dio, era cosi' stanca di persone che continuavano a pretendere di sapere cosa fosse meglio per lei, stanca di persone che continuavano a decidere per lei. Come poteva pensare, Spike, che avrebbe preferito vivere una vita normale, se il prezzo da pagare era un'esistenza senza di lui? Come poteva pensare che lei fosse disposta a pagarlo, quel prezzo? Dopo avergli detto di amarlo, dopo avergli detto che se il suo cuore batteva ancora era merito suo? Credeva cosi' poco alle sue parole, da pensare che avrebbe barattato la sua vita normale con il suo amore? Delusione...Dio, cosi' tanta delusione...e non era tanto per la bugia, ma per il fatto che Spike non le credeva...non cerdeva in lei, non credeva nel loro amore. E forse, perche' no?, forse era lui, realmente, a voler tornare indietro, per avere una vita normale.
"Pensi davvero che voglia vivere una vita normale, se questo significa non conoscerti? Credi davvero che preferire avere una stramaledetta vita normale, piuttosto che il tuo amore?? Bene. Se la pensi cosi'...se credi cosi' poco in noi...allora hai ragione. E' meglio cosi'. Fermerai Drusilla. Non morirai. Continuerai a vivere come William. Hai ragione. Non c'e' motivo di restare insieme..."
Ed il silenzio che ne segui' fu piu' lapidario, per Spike, di tutti gli insulti che lei avrebbe potuto scagliargli contro, di tutte le cattiverie che sapeva di meritare. Avrebbe voluto gridarle che credeva in loro, e che se lo faceva, lo faceva solo per lei, come aveva fatto ogni cosa, da quando Buffy era piombata nella sua vita...lo faceva per lei...soltanto per lei...e se solo lei gli avesse detto qualcosa, qualunque cosa, o soltanto avesse pianto, o urlato, allora forse avrebbe trovato il coraggio per dirglielo. Ma lei aveva parlato, con il ghiaccio negli occhi, ed un vento tagliente nella voce. Niente lacrime, nei suoi occhi, ne' ripensamenti, o insulti. Spike la vide alzarsi, e raccogliere velocemente i suoi vestiti. Senza guardarlo, senza degnarlo di un solo sguardo, senza una parola. Si rivesti' in fretta, la sottoveste, poi quel candido abito bianco sfumato d'azzurro, ancora leggermente macchiato, con qualche strappo qui e li'. Si avvolse uno scialle azzurro sulle sp!
 alle tremanti, e si avvio' speditamente verso la porta. Spike balzo' giu' dal letto, cercando invano di afferrarle un braccio.
"Dove...dove vai?", le sussurro', la disperazione nella voce.
"Nella luce...dove tu non puoi seguirmi...dove non potrai mai, seguirmi..."
E, senza nemmeno voltarsi, senza nemmeno guardare le lacrime che rigavano le guance del vampiro, forse senza voltarsi per nascondere le sue, usci', lasciandolo solo. Solo, con la sua disperazione. E la consapevolezza di averla delusa, ancora una volta...
Cosa morta...

Il salotto quella mattina rifulgeva di addobbi colorati, brillanti come stelle, riflettenti come specchi. I divanetti rivestiti di morbida pelliccia erano stati spostati ai lati del grande salone, per far posto alla pista da ballo. Nell'angolo, il pianoforte di William Appleton faceva bella mostra di se', lucido e pulito come sempre. Il ragazzo stava in piedi, accanto allo sgabello di pelle rossa, e sfiorava con un dito la superficie liscia della cassa, come a voler verificare che non ci fosse nemmeno un granello di polvere. E non c'era, infatti. Si guardo' intorno, nella penombra della sala. Le finestre avevano le tendine accostate, e il salotto era illuminato da miriadi di splendide candele, di tutti i colori dell'arcobaleno, posate su candelabri di ferro battuto, d'oro e d'argento, intarsiati di magnifiche gemme colorate, nei quali si specchiavano gli occhi meravigliati di William. Sembrava un posto da sogno, quella stanza...un paradiso domestico, immerso nella normalita'!
  della vecchia Londra. Volse gli occhi al soffitto altissimo, riscoprendosi a trattenere il respiro, guardando l'enorme, bellissimo lampadario di cristallo, che sembrava cosi' delicato e fragile da crollare a momenti sul pavimento di cotto del salone. Pendenti di diamanti impreziosivano i mille bracci d'oro del lampadario, e da soli, avrebbero potuto illuminare tutta la stanza. Era uno spettacolo splendido, e lo sarebbe stato ancor di piu', quella sera, quando la sala sarebbe stata gremita di aristocratici, con i loro abiti fruscianti di sete preziose, ed i loro gioielli ostentati con eccessivo orgoglio. Quella stanza, era un gioiello, penso' William...loro avevano il gioiello migliore, senza dubbio.
Guardo' sua madre, che parlottava allegramente con una cameriera. Com'era bella, sua madre. Anche con la veste da casa, era splendida. I capelli biondi sciolti in mille stretti boccoli che le ricadevano sulle spalle. Quell'aria orgogliosa, austera ed elegante che le impreziosiva i lineamenti dolci. Era un incanto, sua madre. E lui non era altro che un riflesso di quella rifulgente bellezza.
Guardo' arrossendo il foglio di carta spiegazzato che stringeva in una mano. L'aveva consumato, a forza di guardarlo. E aveva consumato il suo cervello, a forza di riempirlo di dubbi.
Le piacera'...o magari no...magari la trovera' stupida, insensata...magari ne ridera'...
Non trovava pace. Si struggeva di dubbi, e non trovava pace. Ripiego' il foglietto con cura meticolosa e lo ripose nella tasce della sua giacca beige. Si calco' gli occhiali da lettura sul naso, e sorrise a sua madre, che lo guardava euforica. A lei erano sempre piaciute le feste, i ritrovi, i ricevimenti. Diceva che la facevano sentire ancora giovane. William li odiava, come odiava tutte le cose mondane. Come odiava, a dirla tutta, il contatto con altri esseri umani che non fossero Cecily o sua madre. Non era per superiorita', che scansava la compagnia di altri uomini d'alta societa'. Li trovava gretti, questo si', ma non li frequentava per ben altri motivi. Si sentiva sempre inadeguato alla situazione, e preferiva di gran lunga la compagnia di un buon libro, o del suo piccolo quaderno carico di speranze e sogni. Quelli erano i suoi veri amici, i suoi compagni, e mai nessun uomo sarebbe riuscito ad eguagliare tale importanza. Nessuno, tranne Cecily, ovvio.
Era solo per lei che avrebbe partecipato al ballo, quella sera. Solo per lei...
Ancora intento ad osservare la sua immagine riflessa sulla cassa lucente del pianoforte, senti' una risata cristallina provenire dall'ingresso, e il cuore gli salto' un battito. Alzo' di scatto la testa verso l'enorme arco della porta, sotto la quale stava sua madre. A braccetto con una donna appena arrivata. Cecily. William degluti', infilandosi le mani gia' sudate nelle tasche della giacca. Guardo' il viso tondeggiante della ragazza, spostando lentamente lo sguardo alla scollatura del suo abito da passeggio. Qualcosa che ancora funzionava nel suo cervello innamorato, gli disse che lady Appleton e la sua ospite si stavano lentamente dirigendo verso di lui. Rialzo' lo sguardo, fissando imbarazzato i begli occhi di Cecily. Erano azzurri, nella penombra del salone, e v'erano riverberi della luce rossa delle candele, dentro quell'azzurro. Degluti' nuovamente, William, mentre Cecily si avvicinava sempre di piu'. Sua madre nemmeno esisteva. Non in quel momento. Non finche' non pa!
 rlo'.
"William, lady Cecily vorrebbe un tuo parere sull'abito di stasera..."
Non aspetto' nemmeno la risposta del ragazzo, e spari' oltre l'arco della porta, sorridendo trionfalmente...non avrebbe mai detto a William che in realta' Cecily voleva un suo parere, e non quello di suo figlio...
William sorrise, sempre piu' emozionato, e Cecily forzo' un lieve sorriso sulle labbra carnose. Ovviamente, a William sembro' piu' che spontaneo, quel sorriso.
Si avviarono verso la gigantesca scala che portava al piano di sopra. Mentre salivano i gradini coperti da un elegante tappetto rosso, Cecily lo guardo', divertita.
"Allora, Ser William...avete terminato la vostra poesia?"
William rabbrividi', stringendosi tra le dita il foglietto intriso di sudore. Voleva leggergliela, ed al contempo era terrorizzato all'idea di leggergliela. Le sorrise, cercando di non abbassare lo sguardo come faceva sempre.
"Oh, la-la poesia, certo! E'..."
Si blocco'...la leggo...non la leggo...ah, se almeno avesse avuto una margherita! Invece non poteva fare altro che stringere febbrilmente il corrimano placcato in oro, finche' le nocche non sbiancarono.
"E'...?", lo sprono' Cecily, trattenendo a stento una risata.
"E'...quasi terminata, Lady...quasi terminata..."
Chissa' perche', davanti a lei non riusciva a non ripetere ogni frase almeno due volte. Cecily mise il broncio, fingendosi offesa.
"Ma come? Avevate promesso di finirla per oggi!", disse con un tono di voce infantile che ebbe l'infausto effetto di eccitare dolorosamente William. Aveva bisogno di un bicchiere d'acqua gelata...da rovesciarsi nei pantaloni...
"Oh, si'! E la finiro'! La finiro', ve lo prometto! Per...stasera!"
Recitare una poesia davanti ad una folla di cannibali aristocratici...oh, si', era proprio quello di cui aveva bisogno! Ma Cecily ne sembro' entusiasta...
"Oh! E la leggerete durante il ballo? Lo fareste, per me?", chiese col tono piu' innocente che aveva.
William degluti' forte. Aveva un nodo alla gola, che non accennava a sciogliersi. Annui' con decisione, sebbene nemmeno una particella infinitesimale del suo corpo fosse decisa.
"C-c-certamente, Lady Cecily..."
La ragazza gli sorrise radiosa, fingendosi felicissima...non vedeva l'ora di sentire i versi di William decantati in una sala colma di sciacalli pronti a divorarlo...ci sarebbe stato da divertirsi...

<Mi sento in colpa
Le mie parole sono cosi' vuote...>
E' cosi' vuota la sera...sono cosi' vuoti i raggi del sole al tramonto, riverberi rossi di una stella troppo brillante...che dentro e' irrimediabilmente vuota...cosa prova, il sole? Sente qualcosa, o sta li', fermo, a guardare vite sotto di se' sgretolarsi, senza provare la benche' minima emozione? Era questa l'insensibilita' che avrebbe dovuto avere un vampiro? Guardare la vita dall'alto del suo cielo nero, senza provare niente? Freddi e calcolatori, senza traccia di umanita', senza amore ne' odio...come sono vuoti, gli occhi dei vampiri...e come suonano sterili, le loro promesse, e le loro parole...come suonano insensibili e vuote le loro scuse...puo' un vampiro scusarsi? Puo' sentirsi in colpa? Puo' amare? Come suona strana, quella parola, quando a sussurrarla sono due labbra morte. Come se non fosse altro che un suono...vuoto...sono davvero vuoto? Spike, sei davvero cosi' vuoto?
<Dici che sono senza cuore
E dici che non me ne importa niente...>
Perche', se un vampiro non dovrebbe sentire niente, lui sente? Perche' se dovrebbe essere loro preclusa la sofferenza, lui soffre? Perche' se non dovrebbero avere lacrime, nei loro occhi vuoti, lui piange?
La sai, la reale differenza tra demoni e umani? Non e' la storia dell'anima...e nemmeno il conoscere la differenza tra bene e male (ma chi la conosce realmente?)...e' che a noi non importa niente di niente...facciamo quello che ci pare, quando ci pare...perche' e' questa la natura dell'essere un demone...questa dovrebbe essere la mia natura...
Ma allora perche' a lui importa? Perche' soffre, se lei -lei-, gli rinfaccia di essere senza cuore? Perche' sente che gliene importa? Non dovrebbe...oh, non dovrebbe...lui dovrebbe essere vuoto...e la sua risata strafottente, quella che non ha piu', dovrebbe risuonare nel vuoto del suo essere...dov'e', il mio vuoto?
<Di solito ero qui per te...
E hai detto che sono cosi' morto...>
Semplicemente non c'e' piu'...tutto quel vuoto, quel distacco cosi' confortante...e' sparito, volato via, perso in due occhi chiari...che non fanno altro che spingerlo a fondo, a fondo, e ancora piu' a fondo, finche' non c'e' piu' abisso nel quale affondare...
Lacrime...possono piangere, due occhi morti? Forse e' per questo che fa cosi' male...le lacrime...sono dolore liquefatto, questo l'ha capito...e sostituiscono quel grido che non puo' permettersi di urlare...perche' un uomo morto non puo' urlare. Non puo' soffrire. E, se proprio deve piangere...deve farlo in silenzio, con la testa spinta sotto il cuscino, cosi' sotto da soffocare. Perche' non dovrebbe piangere...i morti non piangono. I morti uccidono...ed e' quello che lui sta facendo...sta uccidendo. Sta uccidendo se' stesso...
<Colpevole, colpevole, mi sento cosi'
Vuoto...tu sai come farmi sentire vuoto...>
E' colpevole...colpevole...colpevole di aver amato, di amare, nonostante tutto cio' vada contro la sua natura. Lui soffre, e piange...e sono colpe imperdonabili, perche' non dovrebbe soffire, non dovrebbe piangere. Dovrebbe essere solo qualcosa...qualcosa di morto, insensibile e vuoto. Come lei vorrebbe che fosse. Come a volte si sente, ma e' solo un illusione, e' solo il troppo dolore, le troppe lacrime, che gli fanno credere che e' finita, che ha sofferto abbastanza, ha pianto abbastanza, ed ora potra' finalmente non sentire piu' niente...ma alla sofferenza non c'e' mai fine...lui, colpevole di averla delusa troppo, ma non di essere stato troppo deluso...
Perche' lui non puo' essere troppo deluso...lui e' solo una cosa morta...che non sente la delusione bruciare come fuoco. E' una bugia, ma se lei ci crede, va bene. Se lei ci crede, la terra e' ferma, ed il sole vi ruota intorno...se lei ci crede, il mare e' la terra, e la terra il mare. Se lei ci crede, lui non puo' soffrire...e non puo' piangere...perche' i morti non soffrono, e non piangono...anche se e' una bugia...
<Ti ho protetta con uno scudo
Non volevo ferirti...>
La sua fragile verita', quello scudo che lei non ha mai visto. Che lui non ha mai fatto abbastanza perche' lei lo vedesse...
L'aveva ferita...ferite che non riusciva a vedere, perche' tutte nell'anima...ma l'aveva ferita, e lo sapeva, e l'accettava...e accettava gli insulti, e le prediche. Perche' se le meritava. Perche' cosi' lei voleva. Perche' se lei l'aveva ferito, cosa importava? I morti non si possono ferire. I morti non si possono uccidere. Quelle ferite che lei gli aveva impresso a fuoco nell'anima, non gliele poteva mostrare. Perche' i morti non hanno un'anima. Anche se se la riprende, e' solo aria, solo materia informe. A che serve un'anima, se non puoi mostrargliela? A che serve avere un cuore, se non puoi strappartelo dal petto, morto o palpitante, e donarglielo, e lasciare che lo strizzi tra le dita, che lo dilanii...ma almeno che lo veda. Che possa dire che c'e'. A che servono due occhi innamorati, se non vi puoi guardare attraverso, per leggere quei mille pensieri che hanno tutti lo stesso nome? A che serve tutto questo, se lei non puo' vederlo? A che serve il suo dolore, se lei non!
  crede ci sia? A che servono le sue lacrime, se per lei sono solo gocce d'acqua? A che serve il suo amore, se per lei e' solo una bugia?
<Non avrei avvelenato la tua mente
Non avrei mai voluto farti piangere...>
Avrei...non avrei...desideravo...se solo...
Parole, solo fiumi di parole, che sono solo lettere, solo suoni. Che forse dalle sue labbra sembrano qualcosa di piu', ma in fondo sono solo suoni. Cosi' crudeli, pero'. Puo' una parola straziarti a tal punto da sentirti tirare l'anima da dentro? Puo' una parola costringerti a vomitare sangue? Come fa a fargli cosi' male, un suono?
Mille domanda si inseguono nella sua testa...domande...domande vuote...vuote come lui dovrebbe essere. Ma non e'. Vuote come le sue poesie, vuote come la sua vita...lui, che cercava solo qualcosa di rifulgente...e per una bugia, ed una delusione, ha perso tutto il suo mondo...ha perso l'unica ragione del suo mondo...il pilastro portante del suo universo, che gli e' caduto addosso, e non ha niente di rifulgente, a parte forse il sangue...
Puo' rifulgere il sangue?
<Colpevole, colpevole, mi sento cosi'
Vuoto...tu sai come farmi sentire vuoto...>
Lei che ha saputo farlo sentire come mai si era sentito, che ha riempito quel vuoto di false promesse a cui lui aveva voluto credere, a cui doveva credere, per non impazzire. E che invece l'ha scaraventato in un mare di falsita', con zavorre di cemento ai piedi, e l'ha fatto col sorriso sulle labbra...perche' lui non puo' morire...perche' e' gia' morto. Ma forse c'e' stato qualche errore in quell'enorme computer che e' l'universo...perche', nonostante il suo cuore non batta, e la sua pelle sia fredda come ghiaccio, e la sua anima non sia altro che una manciata di polvere dai riflessi accecanti...lui non era morto...non fino a quella mattina...quando ha capito cosa sarebbe stato meglio per Buffy. E l'aveva accettato, senza combattere, perche' era quello che lei voleva...ed andava bene...
Il bello e' insegnare a volare ad un passerotto, perche' nella sua liberta' e' gia' implicita la tua rinuncia...
<E cosi' parti, non mi dici addio?
Portero' il peso del mondo sulle mie spalle...>
Nessun addio...
Spike si alza, nonostante senta di non riuscire nemmeno a stare in piedi. Raccoglie la maschera dal letto, quel letto dalle coperte beige. Non tornera' li', a dormire, quella sera. Non andra' da nessuna parte, a dormire. Semplicemente, sparira', come se non fosse mai esistito. Come se Spike non fosse mai esistito. E non ci sara' nessun addio, per lui. A chi importa, se Spike scompare? A chi importa, se muore? Tanto, lo sai, e' gia' morto...
La porta dietro di lui si chiude, cigolando, per l'ultima volta. Il ballo l'aspetta. Drusilla l'aspetta...un'eternita' d'oblio l'aspetta...

<Sono cosi' stanca di stare qui
Oppressa da tutte le mie paure infantili...>
Ha paura. Perche' per la prima volta, da quando un vortice bianco se l'e' portata in un paradiso dal quale e' stata brutalmente strappata, dalla prima volta da quando e' morta...ha sentito qualcosa. Qualcosa di vero. Qualcosa di vivo. per la prima volta da chissa' quanto tempo sente il sole sulla pelle, durante un tramonto che trova di nuovo bellissimo, quando non si era mai soffermata su un tramonto che per pochi, inutili secondi, pensando che da lassu' i tramonti erano molto piu' belli...e adesso sente, sente tutto...e fa cosi' paura. E la fa sentire cosi' stanca...c'e' ancora posto per l'amore, nel suo cuore?
<E se devi andare
Vorrei che lo facessi adesso...>
Non e' tutto quello che ha sempre desiderato, avere una vita normale? Non e' tutto quello che sogna, anche adesso, sotto il sole del tramonto? Svegliarsi la mattina, senza il peso del mondo sulle spalle, ignara delle ombre che strisciano nella notte, senza paure ne' preoccupazioni al di fuori delle piccole paure e delle piccole preoccupazioni domestiche...perche', improvvisamente, le sembra un incubo? Perche' se guarda nella sua vita, vede un ragazzo biondo dagli straordinari occhi azzurri? Le lacrime le premono contro gli occhi. Lei le ricaccia indietro, stupendosi nel riuscirci. E' diventata troppo brava, a non piangere. A fingere che vada tutto bene, anche quando non c'e' proprio niente, che va bene. Come adesso. La vuole, la sua vita normale...ma non la vuole da sola. Perche', come puoi passare una vita intera da sola? Come puoi passarla senza qualche stupido ossigenato che sembra quasi una parte indispensabile della tua vita? Si', ma le delusioni...quelle bruciano tropp!
 o...e forse se deve andare, perche' deve andare, forse e' meglio che lo faccia subito...ora che e' ancora arrabbiata...
<Perche' la tua presenza indugia ancora qui
E non mi lascera' sola...>
Si puo' combattere con le ombre dei ricordi? Si possono scacciare? Si possono cancellare, cosi', come fossero scritte evanescenti su una lavagna nera? Una passata di fazzoletto e, via, svaniti...si potrebbe, lei potrebbe, vivere, senza ricordi? Oh, sarebbe cosi' bello. La pace assoluta, quella imperturbabile...quando non pensi, perche' non c'e' niente a cui pensare. Vivere senza ricordi sarebbe il paradiso...nel proprio piccolo universo domestico, senza ombre capricciose che sgusciano fuori dalla sua testa, e si cibano di lei. E non vogliono lacrime, o dolore, ma solo un po' d'attenzione. Essere letti, guardati, scrutati nei minimi particolari. Perche' i ricordi fanno parte della vita...come si puo' scordarsi della propria vita? Come puo', lei, dimenticare la sua vita?
<Queste ferite sembrano non guarire
Questo dolore e' ancora troppo reale
C'e' gia' troppo che il tempo non puo' cancellare...>
Il tempo cancella? No. Il tempo sbiadisce. Risana le ferite? No. Le ricuce solo. Non permette loro di ucciderti. Ma lascia cicatrici, e ricordi sbiaditi, perche' continuino a parlarti. A ricordarti di non commettere piu' quell'errore, magari. Il tempo fa piu' male della ferita stessa. Il tempo e' carnefice, perche' non lascia che quella ferita si rimargini del tutto. Perche' il tempo vuole che ricordi. Che impari. E non puoi imparare da una ferita chiusa.
Lei le aveva tutte aperte. Alcune sanguinanti. Perche' il tempo non voleva richiuderle. Perche' lei ricordasse. Ma ricordare cosa? Lei sembrava non imparare mai, dai propri errori. Si era fidata di Spike, di nuovo. Ed aveva aperto un'altra ferita. Ma forse...il vento le sussurrava qualcosa...forse era stata lei a ferirsi. Perche' non aveva fatto niente per proteggere quell'amore. A cui adesso, si illudeva, non credeva piu'...come poteva credere ad una bugia?
<Quando piangevi asciugavo tutte le tue lacrime...
Quando gridavi combattevo contro tutte le tue paure...>
Una bugia che le aveva asciugato le lacrime, ed era sceso in campo contro i suoi fantasmi. Che aveva risposto ad ogni sua chiamata, anche quando non era lei a chiamarlo, quando da solo capiva che c'era qualcosa che non andava...ed era unico in questo...quando tutti guardavano i suoi falsi sorrisi, i suoi bei discorsi, il suo ostentato coraggio, quando lei era cosi' stanca da fingere cosi' male che tutti avrebbero dovuto accorgersi che qualcosa non andava...beh, allora lui era l'unico a capirlo davvero...l'unico ad aiutarla, anche solo con un silenzio, con la sua fredda presenza, col suo amore tenuto nascosto, per non forzarla. Una bugia, la sua...il suo amore per lei, una bugia...i suoi sorrisi d'incoraggiamento, una bugia...i suoi baci, una bugia...ma quanto avrebbe voluto credere, a quella splendida bugia...
<Ho tenuto la tua mano per tutti questi anni
Ma tu hai ancora tutto di me...>
Ti voglio bene...mi manchi...ti amo...
Tutte bugie, forse...perche' un essere morto, puo' mai dire una verita', seppure per sbaglio? Dopotutto sono solo suoni, solo parole senza senso. Ma lui regalava loro un suono cosi' dolce, cosi' vero...che gli si voleva credere...per poi finire cosi', amareggiata e distante, persa davanti un tramonto che ormai si e' trasformato in sera, col suo cielo violetto e le nuvole ancora tinte di un leggero rosso.
Era stata troppo dura?
L'aveva trattato troppo male?
Che colpa aveva, realmente, lui?
Perche' lo faceva apparire la peggiore delle creature sulla faccia della terra? Era solo la sua paura, a farlo apparire un mostro? Paura di sentire. Paura di amare. Paura di soffrire. Paura di morire. Si', anche lei aveva paura. E lui era sempre stato il solo ad accorgersene. Infilo' una mano in un buco del vestito che usava come tasca. Qualcosa di lisci accarezzo' la sua mano. Lo prese, chiedendosi cosa fosse...
<Il tuo volto abita i sogni
Che una volta erano piacevoli...>
Estrasse un foglietto di carta, finemente ripiegato. Con un sorriso che nemmeno sapeva di avere, sulle labbra, lo svolse.
"Dio, quanto sei bella, mentre dormi...sono ore che ti guardo, e, ti giuro, non mi stancherei mai...ho provato a dormire anch'io, ma appena chiudo gli occhi, vedo te, e non voglio piu' addormentarmi, per non perdere la tua immagine...Luce...ecco, vedi? Sto divagando...quando trovi questo biglietto vai dal sarto, quello del primo giorno...ho un regalo per te...ti amo, Luce...Spike"
<Quando piangevi asciugavo tutte le tue lacrime
Quando gridavi combattevo tutte le tue paure...>
Un lacrime le cadde sul biglietto. Doveva averglielo scritto prima di quella mattina, in previsione del ballo...guardo' la luna, alta nel cielo. Che confusione, sorella mia...
<Ho tenuto la tua mano per tutti questi anni
Ma tu hai ancora tutto di me...>
Senti' l'impulso irresistibile di andare a quel ballo. Solo per dirgli addio...
Solo per dirgli addio...
La decisione che lui aveva preso, pensando fosse quello che lei voleva...beh, quella non poteva cambiarla. Quello, se davvero l'amava, doveva capirlo da solo. E poi forse aveva ragione, forse era meglio cosi'. Dopotutto, avrebbero potuto vivere due vita normali, come avevano sempre desiderato. Senza conoscersi...ma forse era davvero meglio cosi'...
Si diresse verso la stradina del sarto...
Non era giusto lasciarsi cosi'...almeno un addio...almeno un addio...

Capitolo XI - Our Last Waltz

Seta color lavanda ondeggiava come una nuvola di tramonto nella stanza in penombra. Un leggero battere di tacchi riempiva il silenzio della sera. Girava in circolo, l'ombra leggera vestita di lavanda, profumata come un fiore, la pelle bianchissima uniformata dalla cipria, la bella gola sottile abbracciata da due giri di piccole, splendide perle lucenti, grandi come fiocchi di neve. I boccoli neri come la notte che la circondavano, si muovevano elegantemente ad ogni suo spostarsi, incorniciandole gentilmente il volto spigoloso. I suoi magnetici occhi dal colore indefinibile si muovevano come gatti, fendendo il buio con i loro lampi violetti.
Girava in tondo, Drusilla, come faceva sempre. Come se volesse seguire la terra nella sua interminabile rotazione. Girava in tondo, alzando il viso al cielo che non poteva vedere, chiusa tra le mura di casa. Ma lei lo vedeva...c'era qualcosa che Drusilla non potesse vedere?
Lei vedeva le stelle che si accendevano timidamente nel cielo scuro, e vedeva il riverbero del sole ad occidente, dove ancora s'intravedeva qualche bagliore rossiccio. Vedeva le nuvole fare il loro corso ed infrangersi contro le onde della notte. Vedeva la luna, quando ancora non era uscita fuori dalla cortina di nubi che la proteggeva, quasi fosse un gioiello prezioso, da nascondere alla vista degli umani. Ma lei la vedeva. C'era tristezza, nell'aria della notte...aria di scelte dolorose, penso', senza sapere di star pensandolo.
Aspiro' profondamente, portandosi le mani alla gola come se stesse soffocando. Le piacevano, le perle. Erano bianche. Erano pure. Erano come lei...forse anche lei era stata una perla...ma poi qualcuno l'aveva strappata via dalla sua fragile collana, e lei era finita nel buio...era diventata una bambina cattiva, ed il suo cuore di perle non le voleva piu' bene. Non poteva volerle bene, altrimenti avrebbe ripreso a battere, ogni volta che lei glielo aveva chiesto. Invece era stato zitto. Ma non importa.
Ascolto' piu' attentamente. Scalpiccio di passi, dall'interno della camera accanto. Erano i fantasmi venuti per lei? Erano i suoi bambini, erano quelli a cui lei aveva fatto tacere il cuore? Erano loro, venuti ad uccidere la morte in persona?
"Drusilla! Vieni qui, tesoro, lasciati pettinare...siamo in ritardo, dannazione!"
No...erano solo Darla ed Angelus.
Drusilla accorse verso la voce dolce come miele della sua adorata nonna. Com'era bella, quella sera. Aveva qualcosa sul viso, che la faceva sembrare meno pallida. C'era persino del rosso sulle sue guance. Gli occhi felini erano enormi e gelidi, come sempre, cosi' azzurri...laghi ghiacciati, avrebbe detto Angelus. Drusilla sapeva, che lo pensava.
Darla...i capelli biondi le scendevano morbidi sulle spalle, trattenuti solo da uno splenido fermaglio vermiglio dietro la testa. Un diadema d'avorio le impreziosiva la fronte meno pallida del solito, e un abito di pizzi rossi e bianchi le si stringeva attorno al vitino da vespa. Scarpette dai tacchi d'argento scintillavano ai suoi piedi. Guanti immacolati alle mani, impreziositi da intarsi di rubini luccicanti. Si scorgeva appena la forma squadrata delle unghie, ed il loro colore rosso fuoco.
Era bella, la sua nonnina, penso' Drusilla, sospirando ammirata e voltandosi per lasciarle pettinare i suoi bei capelli corvini. Getto' un'occhiata distratta ad Angelus. Anche il suo papa' sembrava un re, nella sua giacca di velluto rosso. Aveva abbandonato per una sera il solito nero, che metteva troppo in risalto il suo incarnato bianchissimo. I capelli pettinati con cura ricadevano in morbide onde sulle spalle larghe. Appena sotto la gola si scorgeva il colletto della camicia chiara. Bottoni d'oro scintillavano sulla giacca, ed altro oro luccicava sui tacchi delle scarpe, che battevano a tempo ogni suo passo, con un suono quasi cupo. Gli occhi neri rilucevano di luce propria, luce malvagia, nel pallore lunare del suo volto glabro.
Formavano un terzetto praticamente perfetto. Al ballo di lady Appleton avrebbero fatto la loro figura. Quasi quanto l'avrebbero fatta i tre cadaveri nell'angolo, ora nudi, ai quali avevano rubato quei meravigliosi abiti. Un uomo dalla treccia biondissima e due donne, una dai capelli ramati, l'altra corvini. Avevano ancora sul viso l'orrore della morte, la bocca distorta in quell'urlo disperato che non avevano avuto forza di gridare. Drusilla sorrise, sopprimendo il brivido crudele che cercava di scuoterla. Ma Darla si sarebbe arrabbiata, se non fosse rimasta ferma. Sentiva la spazzola passarle frusciando tra i capelli, e le mani esperte della vampira carezzarli amorevolmente, in una stomachevole parodia d'amore filiale, che a Drusilla pareva paradisiaca.
Finalmente il pettine s'arresto' con un ultimo, flebile fruscio. Angelus le passo' accanto, senza rivolgerle altro che una fredda occhiata, ed apri' la porta, mostrandole il cielo scuro della notte e le lanterne delle stelle, e i lampioni, e le finestre scoppiettanti di luci. Drusilla batte' le mani entusiasta, e trascino' con se' Darla, fuori dalla porta, in strada. Verso la parte ovest della citta'.
La bella villa di Lady Appleton li attendeva...

La villa di Lady Appleton brillava di mille colori, come un immenso arcobaleno, meravigliando gli ospiti con lo sfarzo e insieme con la semplicita' raffinata dei suoi addobbi, degli specchi atti a catturare la luce flebile delle poche lampade, delle candele colorate che spandevano nuvole di profumo sulle teste incipriate degli aristocratici ospiti. Sembrava un universo a parte, villa Appleton, quella sera. Qualcosa di cosi' semplice e perfetto che nemmeno la crudele imperfezione del mondo pareva poter toccare. Dame stupende, vestite secondo la moda corrente, passeggiavano sorridendo per l'enorme salone, sgombro per l'occasione di poltrone rivestite di pregiate stoffe e dell'ingombrante tavolo da pranzo di cristallo. Lo splendido lampadario lanciava saette di colori sulle loro acconciature, tenute rigorosamente ferme da enormi, raffinati spilloni d'oro e d'argento, con intarsi preziosi di diamanti e pietre colorate. Le maschere portate sul viso per l'occasione scintillavano n!
 ella luce, creande ipnotiche spirali di luccichii dorati.  Tutto quello sfarzo racchiuso in una sola stanza, dove il chiacchiericcio dei presenti non riusciva a coprire completamente la meravigliosa ballata che un esperto pianista stava suonando assorto al pianoforte di William. Un bicchiere di cristallo scintillava sulla cassa dello strumento, colmo per meta' di ottimo champagne.
Spike osservava, poggiato stancamente contro una parete imbiancata di recente, sorseggiando quell'ottimo champagne, nella vana speranza di ubriacarsi e smettere di pensare. Le braccia conserte, una mano reggeva il manico della maschera dorata che gli copriva quasi interamente il viso, lasciando visibili solo gli occhi, come lapislazzuli nell'oro della maschera. Portava un'elegante completo nero, con bottoni di diamanti alla giacca, ed un pantalone dal taglio classico. L'aveva rubato, certo, ma senza far del male a nessuno. Il proprietario, all'apertura del negozio, l'indomani, non si sarebbe accorto di niente.
Stava assorto, ascoltando distrattamente la musica, malinconicamente ricordando che quella era la sua ballata preferita, e che aveva chiesto lui di suonarla, quella sera. Vide per un istante se' stesso, passeggiare a braccetto con una ragazza coperta dalla maschera d'oro bianco, che immancabilmente era Cecily. Una fitta d'odio lo invase, e si ritrovo' a stringere i pugni, rischiando di spezzare l'asta della maschera. Odiava Cecily. Dal primo istante in cui s'era svegliato, solo, nella tomba di famiglia. Da allora, Cecily non era stata altro che odio. Odio folle. E se non l'aveva fatta a pezzi quando se l'era ritrovata davanti nel suo tempo, nel ventunesimo secolo, era stato solo perche' sarebbe stato inutile, e senza soddisfazione...come lui non era piu' William, Halfrek non era piu' Cecily. Sarebbe stato come uccidere un'estranea.
Ma ricordava il suo odio. Come dimenticarlo?
Nella solitudine della tomba, qualche minuto prima di trovare il coraggio di uscire, aveva pensato che l'avrebbe presa pezzo a pezzo. Lui aveva voluto solo un suo sguardo, quella sera, al ballo...ed allora, sotto terra, aveva voluto cavargli via gli occhi. Aveva solo voluto donargli il suo cuore. Ed allora, in quella tomba, aveva voluto estirpaglielo dal petto con le sue mani, quel cuore freddo che le batteva sotto la carne.
Ma a che serve rimembrare queste cose? Tra un po' avro' dimenticato tutto. Tra un po' Spike non esistera' piu'. Perche' cosi' lei vuole...
Fisso' ancora la folla, per qualche istante, incapace di distogliere gli occhi. Era tutto cosi' vivido, nei suoi ricordi. Come se fosse successo tutto il giorno prima. Ricordava l'esatta collocazione di ogni piantina, di ogni luce, di ogni specchio, di ogni candela, ancora prima di vederla. Ricordava i volti di tutti gli ospiti. Ricordava i loro discorsi stupidi, il loro chiacchiericcio superficiale. Ricordava ser James Giles, nel suo pomposo abito londinese tirato a lucido come se fosse stato fatto di diamanti. I suoi baffetti alla bavarese, ostentati come fossero gioielli, e la sua parlantina esagerata, da uomo dotto quale non era. Era solo un arrogante inglese, come la maggior parte degli inglesi. Si chiese per un attimo se per caso Rupert Giles fosse un nipote di questo inconcludente ser. Immagino' di si'. Dopotutto la somiglianza, anche se approssimativa, c'era.
Beh...conoscere due Giles in una vita non era cosa da niente...si chiese come avesse fatto a non impazzire, sempre che non fosse gia' impazzito.
I suoi occhi, improvvisamente, si spalancarono, e fisso' intontito un punto appena davanti la grande scala che portava al piano di sopra. Un angelo biondo, dagli occhi azzurri, dolci e comprensivi, parlava allegramente con alcuni ospiti, indicando orgogliosa il salone in tutto il suo splendore.
Era sua madre, e Spike non avrebbe mai immaginato, in questa vita o nell'altra, di poterla rivedere, se non di sfuggita, fuori da quella bettola, per pochi secondi.
Era bellissima, proprio come lui la ricordava. Raffinata, elegante, seducente. Indossava un abito nero, ricamato con stilizzazioni di gigli blu, ricoperto di perle bianche e zaffiri lucenti. Un diadema s'argento le pendeva dal collo, impreziosendole il decollete accentuato da una generosa scollatura. Non portava altri gioielli, come sempre. I capelli erano legati in una sobria treccia del colore del grano, splendente nella luce del lampadario di cristallo, quasi sopra di lei. Era bella...era Lady Mary Appleton...era sua madre...esattamente come la ricordava. Nostalgia, vedendola. Ribrezzo, pensando alla fine che l'avrebbe aspettata, se la sua scelta fosse stata di lasciare tutto com'era. Ma lei aveva scelto diversamente. La sua Luce, aveva scelto diversamente. E lui si sarebbe ritirato compostamente, senza inchini, ne' discorso, ne' addio, com'era giusto che fosse. Un abbandono di scena silenzioso, com'era stata tutta la sua vita prima di diventare vampiro, e come era tornat!
 a ad essere dopo aver incontrato Buffy.
Il pianoforte tacque per un istante. Il pianista sorseggio' un dito di champagne dal bicchiere e le sue guance si chiazzarono di rosso, come se fosse bastato quel sorso a renderlo brillo. Sistemo' la 'coda' dello smoking dietro lo sgabello di pelle rossa, ed accarezzo' nuovamente i tasti bianchi e neri dello strumento. Dopo un primo accordo, parti' anche un violinista, in piedi accanto al piano. Una musica dolcissima, nostalgica, crudele riempi' le orecchie del vampiro biondo, mentre lacrime gli riempivano gli occhi. Suonavano il valzer delle candele, a villa Appleton.
Chiuse gli occhi, cercando di scacciare ricordi capricciosi. Senti' la porta di casa aprirsi, con i sensi affinati dall'immortalita', e percepi' un profumo che conosceva bene...profumo di Luce. Apri' gli occhi, lentamente. La maschera quasi gli cadde da mano. Li', in piedi, guardandosi intorno sotto l'enorme arco della porta del salone...c'era lei...

Ma dove sei?
Forse era arrivata troppo tardi. Forse era gia' andato via, inseguendo la sua vita per fermare quel destino che li aveva fatti incontrare. Forse questa volta non sarebbe riuscita a dirgli addio. Ma tanto che importanza aveva? Prima dell'alba lei, Buffy come si conosce, o meglio, non si conosce ora non esistera' piu'. Ci sara' un'altra Elizabeth Anne Summers. Un'altra donna. Un'altra bambina. Con un'altra storia sulle spalle. Senza Spike, senza Angel, senza tutto il passato che ora ha sulle spalle, e che forse e' troppo pesante, per lei. Non ce la fa a reggerlo da sola. E una bugia non puo' piu' aiutarla a reggerlo.
Si', sto facendo la cosa giusta. Per tutti e due...un giorno, da qualche parte dell'universo, dove noi due finiremo...un giorno capirai, Spike...e, forse, un giorno capiro' anch'io...
Era andata all'indirizzo scritto sul biglietto, prima di correre al ballo. Era una sartoria. C'era ancora la proprietaria, un po' spazientita per l'orario. Le aveva detto di essere la sarta personale del signorino William. Buffy si era sentita stringere alla gola, ascoltando quel nome che sapeva tanto di innocenza rubata.
La sarta le aveva preparato in pochissimo tempo un vestito stupendo, qualcosa di assolutamente fiabesco, come il vestito di Cenerentola, o quello di Aurora. Era bianco, bianchissimo, di seta impalpabile. E, sopra il primo strato bianco, portava un velo di tulle trasparente, intarsiato di diamanti, che luccicavano cosi' forte da abbagliarla. Il bustino era stretto, ma non tanto da impedirle di respirare, anch'esso coperto da tulle e diamanti. Sul petto, tra i seni, al centro della scollatura piuttosto ampia, le era stata cucita una rosa di velluto azzurro, con i petali coperti da lamine di lapislazzuli. La gonna ampissima le ricadeva morbida fino a sfiorare il pavimento, coprendo in parte le deliziose scarpine che aveva visto solo nelle fiabe, da bambina. Erano quasi trasparenti, bianche, col tacco di cristallo e la suola morbidissima. Sembrava di camminare sull'acqua...
Non aveva maniche, l'abito. E, per sopperire a tale mancanza, c'erano due splendidi guanti di seta bianca, lunghi fino al gomito, secondo la moda intramontabile del tempo, anch'essi ricoperti da tulle impalpabile e diamanti.
Per finire in bellezza, la sarta le diede una splendida maschera d'oro bianco. Doveva costare una fortuna, tutto quello sfarzo, eppure la donna non chiese nulla, se non la possibilita' di vederlo indosso ad una bella ragazza come lei. Questo disse, prima di farle notare che era tardi, e doveva andare assolutamente. Fuori era freddo, come sempre, a novembre, e la gentile sarta le diede una deliziosa mantellina immacolata di lana finemente intrecciata, che lei lego' stretta sul collo con due laccetti di seta, lasciandola ricadere morbida e calda sulle spalle nude.
Ora l'aveva tolto, lo scialle. Nella casa l'aria era tiepida, ed il gusto frizzante dello champagne contribuiva a riscaldarla.
Cammino' fin sotto l'arco della porta del salone, attirata da quel filo magico che univa solo loro due. Nascose il viso dietro la maschera d'oro bianco, e si guardo' attorno. La musica che le arrivava lenta alle orecchie minaccio' di farla piangere.
Era il valzer delle candele. La loro canzone, a dirla tutta. E lei avrebbe tanto voluto ballarla con lui un'ultima volta.
Niente ripensamenti, Summers. Sei qui solo per dirgli addio...va tutto bene...respira...
Prese un bel respiro profondo, e si guardo' intorno. Finalmente, lo vide. Le sembro' che il cuore le schizzasse in gola, ma ignoro' volutamente la sensazione. Se aveva creduto che con lo spolverino fosse l'uomo piu' bello e sexy della terra, era solo perche' non l'aveva mai visto in abito da sera, con la maschera leggermente premuta contro il viso pallido. Era bellissimo. Le guance le avvamparono di scarlatto, quando anche lui la vide, ma la maschera gli impedi' di vederle.
Respiro' ancora, Buffy, e copri' i pochi passi che la separavano da lui, e dal suo sorriso stupendo che ora vedeva benissimo. Aveva abbassato la maschera e, inconsciamente, lo stava facendo anche lei. Si fermo' davanti a lui, cercando le parole giuste.
"Io...non volevo andarmene senza prima dirti addio...non mi sembrava giusto, e..."
Lui la zitti', premendole un dito contro le labbra. Quel semplice tocco fece correre un brivido caldo lungo la sua schiena, ma si trattenne. Doveva trattenersi. Non poteva tornare indietro, ora. Lui aveva il diritto di vivere, e lei non ne poteva piu' della sua condizione. Spike la guardo' dolcemente, indicandole il centro del salone, dove alcune coppie ballavano il valzer.
"Zitta, non dire niente...solo, un ultimo ballo...balli con me?"
Lei caccio' nuovamente indietro le lacrime, impedendosi mentalmente ogni minimo segno di cedimento. Ed annui'. Non avrebbe voluto farlo, ma la sua testa si mosse da sola, cosi' come le sue labbra e la sua mano, quando glielo porse, lasciando che lui la chiudesse nella sua.
"Naturalmente...", disse, con un'ombra di sorriso sul bel viso acqua e sapone.
Spike la condusse per mano al centro della pista. Cominciarono goffamente, cercando di tenersi lontani il piu' possibile. Le maschere calate sul viso, ballando meccanicamente, persi l'una negli occhi dell'altro. Sarebbe potuto essere quasi perfetto. Sempre piu' vicini, finche' non ballarono di nuovo come sulla riva del Tamigi, lei con la testa posata contro il petto di lui, e lui con le mani sulla sua schiena, carezzandole amorevolmente i capelli, sciolti sulla schiena. Magia...sentirebbe i battiti del suo cuore, Buffy, se solo il cuore di Spike battesse. Andrebbe a mille, quel cuore, se solo avesse la possibilita' di battere. Spike lo sa. Andrebbe a mille, e piangerebbe, perche' non avra' mai piu' niente oltre quel ballo, quel timido valzer, e poi il buio, per sempre. E chissa' se il cuore di William arrivera' mai a toccare quella dolcezza mista a disperazione che adesso possiede il cuore del vampiro.
E chissa' se il cuore di Buffy sara' mai cosi' perso, cosi' disperato ed in tumulto, quando tutto sara' finito. Quando ci sara' quell'altra Buffy, quella normale, finalmente, il suo cuore a che punto arrivera'? Tocchera' le stelle, per poi finire nel baratro dell'inferno? Sentira' i cori dei cherubini, e poi le urla dei dannati? Sanguinera' fino a rimanere senza sangue, e guarira' come solo il suo cuore e' stato capace di guarire?
Come sara'? E' importante saperlo? Cambierebbe qualcosa?
Forse avrebbero trovato il tempo di rispondersi, anche solo altri due secondi, se un rumore di risa ed il pianoforte muto non avesse loro fatto voltare la testa, in direzione di una piccola folla di spettatori, accalcata attorno ser James Giles. Tra questi, un titubante William ed una imbarazzata, per non dire orripilata, Lady Cecily.
Ecco, sta per accadere...

Un foglio di carta stropicciato volo' tra le mani di un uomo piuttosto anziano, facendo impallidire il timido ragazzo a cui quel foglio era stato strappato.
"Vi prego...", disse timidamente, allungando con fare incerto una mano.
"Non siate ritroso!", ribatte' l'uomo dai lunghi baffi bruni, adocchiando avidamente le poche righe scritte con mano inferma su quel foglio bianco.
Cecily osservava, fingendo timidezza. William le rivolse un'occhiata colma di tenero imbarazzo. Attendeva tesissimo che sir James Giles cominciasse a decantare i suoi versi. La voce dell'uomo non tardo' ad arrivare, cosi' forte da coprire il chiacchiericcio della folla e la musica leggera del pianoforte.
Nella sala, due ragazzi biondi, nascosti da spesse maschere d'oro, guardavano angosciati, consci che stava giungendo il momento degli addii veri.
Dall'altro lato del salone, un uomo dagli occhi di pietra scura teneva sottobraccio una bella donna bionda, che guardava una fragile ragazza dai capelli corvini, che a sua volta fissava interessata il ragazzetto biondo imbarazzato dall'imminente lettura della sua poesia. Destini incatenati, in quella stanza, che nemmeno sanno di conoscersi da sempre.
"Il mio cuore si spande
Un bubbone si sente...
Ispirato alla vostra bellezza rifulgente..."
Giles si fermo' un momento, trattenendo una risata di scherno. Fisso' il giovane Appleton, che cercava senza trovarlo uno sguardo di approvazione da parte di Cecily. Ma c'era solo il suo volto basso e la sua mano guantata a coprirsi la bocca. Se fosse stato meno ingenuo, avrebbe capito stava trattenendo una risata. Ma non lo capi', e venne riportato alla realta' dalla voce scherzosa di Giles.
"Rifulgente?"
Lui fece per annuire, e uno scroscio di risate riempi' la bella sala, soffocandolo. Si guardo' intorno. Nella frenesia generale, nel suo smarrimento, non noto' le poche persone che non ridevano affatto. Un ragazzo biondo che pareva essere la sua copia esatta. Una ragazza bionda abbigliata come una principessa delle favole. Un uomo dagli occhi di pietra neri e cattivi. Una donna bionda, piu' soddisfatta che divertita. Ed un'ombra avvolta in un cappotto rosso bordato d'oro, che lo guardava con rammarico, e quasi con amore.
Lui vide solo facce contorte ridere dei suoi sentimenti, calpestarli con i loro tacchi d'oro e d'argento. Vide Cecily allontanarsi, e sir James Giles ridere, commentanto con orrido gusto la sua poesia.
Lascio' la sala, seguendo la sua Cecily. Era diretta verso il salottino annesso al gran salone. La vide sedersi stancamente sul divano, sventolandosi con il ventaglio di seta. Era cosi' bella, Cecily. I capelli raccolti in una elegante coda di cavallo, tenuti con un bellissimo fermaglio d'oro. Esageratamente truccata, forse, ma a lui pareva una dea. Stretta nel suo vestito bianco, dal bustino scollato che risaltava il generoso decollete, e la curva deliziosa della sue spalle nude.
Le si avvicino'.
"Cecily...", esordi' timidamente.
Lei si ritrasse contro lo schienale del divano.
"Oh...vorrei restare sola..."
Ma William la ignoro', e le si sedette accanto, stando attento ad evitare ogni tipo di contatto fisico, da bravo gentiluomo.
"Oh, certa gente e' grossolana...non sono come voi e me..."
Cecily spalanco' gli occhi, con fare divertito, quasi.
"Voi e me?"
William abbasso' gli occhi, annuendo confuso. Che cosa avrebbe dovuto fare ora? Il suo primo impulso sarebbe quello di buttarsi addosso alla ragazza...il secondo avere pazienza ed aspettare, da bravo gentiluomo. Poiche' non credeva di essere in grado di mettere in atto il primo impulso, rimase fermo ad attendere la ragazza. Lei si riscosse.
"Voglio farvi una domanda, e pretendo da voi una risposta sincera. Lo promettete?"
William annui' con foga, le parole che gli morivano in gola non appena le pensava.
"I vostri versi...non parlavano di me, vero?, chiese titubante la ragazza.
"Parlano di cio' che sento..."
Cecily si sventolo' con il ventaglio, prima di continuare.
"Ma...li avete scritti per me?"
William senti' il cuore esplodergli nel petto. Era in paradiso. Cecily voleva sapere se la sua poesia era per lei...
"Ogni sillaba.."
La ragazza si ritrasse, con un'espressione a meta' fra l'attonito e l'orripilato sul viso tondo. William tento' ancora una volta di illudersi. Ne aveva bisogno. Ma qualcosa, dentro di lui, stava suonando un campanello d'allarme.
"Oh, lo so, vi coglie alla sprovvista...", disse guardandola, e si rese conto dalla sua espressione quasi mortificata, che non era questo il motivo della sua reazione. "E, vi prego, se non li gradite sono solo parole...ma il sentimento che le ispira..."
Prese un profondo respiro, prima di continuare. Sentiva l'aria bruciargli nei polmoni come olio bollente.
"...Io vi amo, Cecily...e tutto cio' che vi chiedo...e' di provare a guardarmi con altri occhi..."
"Io vi vedo benissimo...e' questo il problema...non significate niente per me...", disse gelidamente Cecily, interrompendolo.
Si alzo' dalla poltrona, guardandolo dall'alto.
"Siete troppo inferiore..."
Si allontano', Lady Cecily, lasciando solo ed affranto il giovane William Appleton. Tra le mani, la sua poesia, spiegazzata e macchiata d'inchiostro fresco. Nella testa, mille pensieri, e speranze e sogni come vetrio infranti, che tagliavano e pungevano, e lo facevano sanguinare. Si alzo', mentre gia' le prime lacrime scendevano a rigargli il viso, e si avvio' mesto ma rabbioso alla porta. Nemmeno s'accorse, delle due ombre silenziose che lo seguirono...

Buffy ascoltava ancora i commenti velenosi dei presenti, sulla poesia che avevano appena ascoltato. Era la prima volta che la sentiva. Spike non le aveva mai decantato quella poesia. Le aveva sempre detto di non ricordarla.
Non era una bella poesia, parliamoci chiaro. Anzi, era ben ridicola. Ma era pur sempre espressione di qualcosa che aveva avvertito William, ed i commenti ironici che fioccavano fra gli aristocratici erano fin troppo stupidi e superficiali. Cosa ne volevano sapere, loro, di poesia? Cosa ne volevano sapere d'amore? Avevano mai guardato dentro quegli occhi azzurri, spaventati e pieni di speranze? Gia' solo quegli occhi, sarebbero stati poesia. Perfetta poesia, sonetto d'amore per chiunque vi si perda dentro. E lei li stava perdendo, e ne era tristemente consapevole. E pure sapeva che era giusto. Forse. I dubbi brulicavano nella sua testa, ma l'orgoglio era troppo, per poterne parlare. Guardo' Spike, che fissava la gente come se stesse ricordando ogni cosa d'ognuno di loro. E, dall'espressione che aveva sul viso, non dovevano essere ricordi piacevoli.  Gli strinse di piu' la mano, come se avesse voluto fargli coraggio, e lui si volto' verso di lei.
Le sorrise.
Ed era cosi' bello vederlo sorridere. Ecco come vorrebbe ricordarlo, se solo potesse ricordare davvero qualcosa di lui. Quel magnifico sorriso, e quegli occhi blu. Ma, pensa tristemente, tra poche ore non ricordera' nemmeno piu' il suo nome. Per lei, Spike non esistera' piu', e non sara' nient'altro che un nome. E, per Spike, lei non sara' mai esistita, ne' i suoi amici, o gli anni novanta e la bocca dell'inferno. Saranno solo due stelle troppo distanti nell'universo della vita.
Sarebbe stato bellissimo poter fermare quell'istante, nell'attesa di dirsi addio, guardandosi senza parlare. E restare cosi' per l'eternita', immaginando solo quello che potrebbe essere dopo. Ma il tempo fa il suo corso e, inevitabilmente, passa. Tutto passa. I momenti belli, e quelli brutti. Solo che questi ultimi passano molto piu' lentamente. A volte persino dubitiamo, possano realmente passare. Ma passano. Devono farlo. tutto si piega alla volonta' del tempo. Anche quell'istante meravigliosamente sospeso, calato come un telo di seta su Buffy e su Spike. E poi, inevitabilmente, passato.
Un ragazzo biondo cammina mestamente verso la porta dell'ingresso. E' come un'ombra silenziosa, ma Spike se ne accorge. Ed anche un uomo, in disparte, dagli occhi neri ed inespressivi. O quasi.
Spike si volto' verso Buffy. Le prese le mani, sperando che la sua voce non uscisse fuori stridula.
"Sta uscendo...devo andare..."
Buffy cerco' un modo per non scoppiare a piangere. Sentiva di non poterlo lasciare andare. Non voleva. Ma doveva. Era giusto cosi'. Spike aveva diritto ad una seconda possibilita'. Una vera vita. E lei...non importava...lui le aveva insegnato a non pensare sempre ed esclusivamente a se' stessa. Sorrise, cercando addirittura di essere spiritosa.
"Si'...ora, tu vai, ed impaletti Drusilla prima che posi i suoi dentacci sulla tua gola...cioe', sulla gola di William...e poi..."
"...Vivremo tutti felici e contenti? Avresti voluto dire questo, Buffy?", le chiese lui con un sorriso triste. Una punta d'ironia rendeva amara la sua voce.
Buffy sospiro'. Era cosi'...tremendamente ingiusto. Ingiusto che toccasse proprio a lei, lei che lo amava, convincerlo a lasciarla. Era crudele. Cosi' crudele...
"Vivremo...e questo e' cio' che conta...adesso va'."
Lui non rispose. Non poteva. Le parole erano bloccate dal nodo che gli serrava la gola. Aveva ragione, Buffy. Lei aveva il diritto di avere una vita normale. Aveva il diritto di avere una vita. Una vita vera. E lui...beh, non che fosse mai stato molto egoista, da quando s'era innamorato di lei...
Le loro mani si strinsero ancor di piu', per un solo attimo. Poi, Spike si giro', e corse via, senza voltarsi a guardarla. E lei rimase sola, anche se in quel salone c'erano centinaia di persone. Lei era sola, perche' senza di lui. Per sempre.
Quando senti' di potersi muovere di nuovo, quando lui spari' oltre la porta, cammino' fino a raggiungere il divano, e vi si sedette pesantemente, col bicchiere di champagne in una mano, nella vana speranza di ubriacarsi e perdere i sensi prima della fine.
Senti' vagamente una presenza accanto a lei, ma non vi fece caso. Indubbiamente c'era qualcuno, sulla poltroncina accanto. Qualcuno che la fissava con interesse. Buffy fu percorsa da un brivido. Aveva l'impressione di conoscerlo, quello sguardo. Tuttavia, non si volto'. Non voleva essere disturbata. Mando' giu' d'un sorso il quinto bicchiere di liquido chiaro, emettendo una leggera smorfia di disappunto.
"E' facile provare ad affogare i problemi nell'alcool...", disse una voce accanto a lei. Una voce che conosceva fin troppo bene. "...Ma ho l'impressione che i tuoi problemi sappiano nuotare, Buff..."
Buff...
Buffy si volto' di scatto verso l'uomo che aveva parlato. Stava placidamente seduto sulla poltroncina di velluto porpora, accanto al divanetto dove se ne stava sprofondata lei. Gli occhi nerissimi erano l'unica cosa che la maschera lasciava intravedere. Ma bastavano per lasciar intendere a Buffy chi fosse. Scatto' seduta, troppo intorpidita per alzarsi. Estrasse il paletto dalle pieghe del vestito. L'aveva legato con un nastro di tulle simile al velo della gonna.
"Angelus! Cosa vuoi?"
Il vampiro non si scompose minimamente, limitandosi a sorridere, dietro la maschera d'oro.
"Non voglio ucciderti, sta tranquilla. Non qui, comunque..."
Buffy ringhio'. Stava troppo male, non aveva bisogno della presenza seccante di qualche vampiro centenario, suo ex fidanzato.
"Allora che vuoi? Lasciami in pace..."
"Immagino rideresti, se dicessi che vorrei aiutarti...", disse con voce tagliente.
"Oh, si'...morirei dalle risate..."
"Allora comincia a ridere, bella..."
La cacciatrice scosse la testa, confusa. Doveva essere l'alcool. Angelus, il malvagio, perfido, perverso Angelus...le stava dicendo...cosa? Che voleva aiutarla?
"Che hai detto?"
Angelus si tolse la maschera dal viso, mostrandole il sorriso sensuale che gli increspava le labbra, e gli occhi inespressivi come pietre nere. Non le diceva niente, quel volto.
"Sai, una cacciatrice sofferente e' troppo facile ucciderla...a me piacciono le lotte vere, quelle ad armi pari...devo dirti la verita', Buff...mi hai colpito, dalla prima volta che t'ho visto. Il modo in cui sei fuggita, i ricordi che sono riaffiorati in me dopo la tua venuta...tu mi hai colpito. Non la cacciatrice. La donna. E' dura ammetterlo, ma e' come se ci fosse una specie di connessione, tra noi due...e' come se ti conoscessi..."
Buffy sorrise leggermente. Oh, si', ci conosciamo. Solo, non puo' ricordarlo, perche' non e' ancora successo.
"...E' per questo, che voglio aiutarti. Tu e quel...ragazzo dai capelli orribili..."
Buffy si ritrovo' a ridere di quelle parole. Forse era solo l'alcool. Lacrime le salirono agli occhi. Quei capelli...quante battute, su quei capelli, ed il loro impossibile colore? Quante risate, con i suoi amici, e con lui? Oddio...
"Perche' non sei con lui?", le chiese Angelus, ridestandola un momento prima che i ricordi la facessero scoppiare a piangere.
Non poteva dirgli la verita'...
"E' una storia lunga...", disse, accennando un sorriso. Cominciava a rilassarsi. Aveva sempre ammirato Angelus. Era un mostro sanguinario, ma aveva una sua logica, ed addirittura una sua bonta'. Ed era piu' interessante della sua copia con l'anima, per quanto avesse potuto amarlo...
"Non devi raccontarmela...odio le storie lunghe. Solo, rispondi alla mia domanda..."
Era davvero lei, quella che parlava con il suo peggior nemico?
"Lui...sta partendo...e non tornera' piu'...e la cosa assurda e' che sono stata io, a chiederglielo..."
"Perche'?", chiese Angelus, sempre piu' interessato. Avrebbe dovuto odiare la cacciatrice, ed in fondo era cosi'...ma nutriva un profondo rispetto, per i suoi avversari. E, se erano debilitati, non erano buoni avversari. Ed a lui non piacevano le sfide facili.
"Perche' potesse avere una vita normale...con me niente e' normale, lo sai...e anche la sua vita non era delle piu' normali. E' un vampiro..."
Angelus le tolse dalle mani il sesto bicchiere di champagne. Se voleva aiutare una cacciatrice sobria, non era certo di voler aiutare una cacciatrice ubriaca.
"E lui...voleva una vita normale, Buff?"
"Non lo so...", rispose lei, sinceramente, rendendosi conto per la prima volta di non saperlo, davvero.
"Come? Non glielo hai chiesto? Hai deciso e non glielo hai chiesto?", chiese il vampiro bruno, gentilmente.
"No, non gliel'ho chiesto...non credevo fosse importante. Vedi, lui pensava che fossi io quella a volere una vita normale..."
"E non e' vero?"
Buffy si guardo' intorno per un attimo. Tutte quelle persone avevano vite normali...ed erano cosi' vuote. Lei non voleva essere cosi' vuota...era quella, una vita normale? Vuoto?
"Io...non lo so...so che non voglio nessuna vita, senza lui..."
"E perche' non gliel'hai detto?"
Faceva solo domande, Angelus...eppure l'aiutava man mano a capire. Non avevano nemmeno parlato, loro due. Entrambi sicuri di prendere quella decisione per il bene dell'altro. Ma Buffy non voleva una vita normale, non senza Spike...e Spike, la voleva davvera, quella sua vita normale, tra sfarzi e spazi vuoti, e gente vuota come quella? Se l'era mai posta, lei, questa domanda? Ma non era questo, dopotutto il punto...
"Anche...anche se glielo avessi detto, non sarebbe stato questo, il punto...lui ha pensato a priori che io volessi una vita normale...gli avevo fatto uno stupido discorso sulla mia missione, e gli avevo detto che avrei voluto essere una ragazza normale...ma con lui! E se lui ha pensato che volessi quella normalita', anche senza il suo amore...se non si e' battuto, e non ha urlato, e non ha preteso che restassi insieme a lui...se non ha fatto niente, per trattenermi, convinto che volessi quella vita...allora non ci crede, nel nostro amore...non puo' crederci...non l'ha difeso. Non mi ha pregato di restare...non si e' battuto...mi ha lasciato andare...questo non e' amore..."
"E' di piu'...", la interruppe Angelus, gentilmente.
Buffy alzo' di botto gli occhi su di lui. Di piu'? E perche' mai? Sgrano' gli occhi, cercando una risposta in quel viso immobile, come una statua d'ebano ed avorio.
"Perche'? Un amore vero non e' quello per cui ci si batte? Non e' quello che si difende contro tutto? Per amare non bisogna essere in due?"
Angelus sorrise, indicando a Buffy una donna bionda, dall'altro lato della sala, che parlava con un uomo e sorseggiava sensuale lo champagne. Era Darla. Torno' a rivolgersi alla cacciatrice.
"Darla e' la mia compagna. Ed io non la amo. Quello che mi lega a lei e' il sangue, il sesso, e la necessita'. Nient'altro. Ed e' per questo che se lei mi chiedesse di lasciarla andare, io non lo farei...la terrei con me, anche se questo vorrebbe dire incatenarla a letto..."
Buffy lo interruppe.
"E non lo chiami amore, questo? Faresti qualsiasi cosa, pur di restare con lei!"
"Lo puoi chiamare in tanti modi, questo. Ma non amore. E' egoismo, opportunismo, protezionismo, possessivita'. Non amore. E' anteporre quello che si vuole a quello che vuole l'altra. Ma se amore vuol dire donarsi completamente, e donare tutto, non vuol forse dire che bisogna anteporre i desideri dell'amato ai propri? E se Darla volesse andarsene, quale dimostrazione d'amore sarebbe migliore, se non quella di baciarla un'ultima volta, ed augurarle buon viaggio, promettendole di esserci sempre, qualora lei lo voglia? Si dice che amare voglia dire far di tutto per stare insieme...ma a volte ci vuole molto piu' amore a lasciare andare..."
Tacque, per un tempo interminabile, durante il quale Buffy non fece altro che risentire mentalmente il discorso pieno di saggezza di Angelus. Quale Dio misericordioso le aveva mandato quel buon consigliere, ad un passo dalla fine? E chi l'avrebbe detto che sarebbe stato proprio Angelus, ancora una volta, a cambiare il suo destino?
"Pensaci, Buff...", disse, e svani'. Un attimo prima era sulla poltroncina, un attimo dopo era sparito. Buffy sorrise fra se', pensandoci.
Si dice che amare voglia dire far di tutto per stare insieme...ma a volte ci vuole molto piu' amore a lasciar andare...
Si alzo' di botto dal divano, lasciandosi dietro ogni dubbio, ogni tentennamento, proprio come l'ombra che deturpava il velluto porpora, e si avvio' correndo verso l'uscita.
Forse non era ancora troppo tardi...

Dall'altra parte del salone, Darla attendeva Angelus, paziente. Lo vide arrivare, visibilmente soddisfatto, e gli ando' incontro.
Angelus la guardo', la sua regina nera, e confermo' mentalmente tutto quello che aveva detto.
Non la amo...sono certo che amore sia tutt'altra cosa...e non avro' l'eternita' per scoprirlo...
"Ma dov'eri, mio bel vampiro?", gli chiese darla, strusciandoglisi contro.
"A consolare una bella cacciatrice, mia dolce..."
Darla alzo' la testa. Lo sapeva, come sapeva di ogni suo movimento. Ma questo non lo turbava minimamente. Pensasse cio' che volesse, Darla. Lo temeva troppo, per mettersi contro di lui. La vampira lo bacio' sulle labbra, mordicchiandole debolmente.
"Uhm...se non ti conoscessi, potrei dire che tu ti stia innamorando della cacciatrice..."
Angelus la strinse, incurante della gente attorno a loro, portando le sue labbra accanto all'orecchio di lei.
"Non e' un ipotesi da escludere, tesoro..."
Darla tiro' indietro la testa, ridendo divertita. Sapeva che non era molto distante dalla verita', ma non le importava. Sapeva di essere bella e sua abbastanza da tenerselo stretto. Quindi sorrise, e stette al suo gioco. Drusilla era corsa dietro al suo principe. Quella notte era tutta per loro...
"Oh...che mente perversa, mio re della notte..."

Epilogo - Come And Find Me, Tonight

Regina della notte...le stelle s'inchinano al suo passaggio, la luna cala un suo raggio pallido per illuminarle la strada, il cielo si abbassa per guardarla da vicino. E' regina, e non lo sa nemmeno. Come puo' saperlo, lei che corre disperata nella notte? Le strade le si allargano davanti agli occhi, e si restringono dietro di lei.
E le stelle, seppur s'inchinano, sono invidiose.
Invidiose di quel vestito che lei porta, e che rifulge piu' di loro. Invidiose della sua Luce.
Lei e' Luce. Ma lo sarebbe ancora, senza lui? Non sarebbe...una cosa triste?
Sarebbe Luce vuota. Fredda come le stelle. E le stelle lo sanno. Lei brucia cosi' perche' ama. E loro lo sanno. Le stelle sono fredde perche' non amano. Perche' brillano per loro stesse, e nulla piu'...ma quale meravigliosa Luce produrrebbero, qualora si riunissero in un'unica, brillante, meravigliosa stella? Quale rifulgente Luce produrrebbe, l'amore di una stella?
Ma le stelle non amano. Mai. Lasciano che ad amare siano gli uomini. Sono le stelle della terra, gli uomini. E devono brillare. E poiche' son troppo deboli, la loro Luce offuscata da peccati impronunciabili, devono essere in due, a brillare, per produrre una stella. In fondo e' a questo che serve l'amore...a rischiarare il mondo...e come si potrebbe rischiararlo, se non con frammenti di stelle profumate d'amore?
Le stelle si spezzano? Le stelle cadono?
Non lo so. Ma la sua e' sul punto di spezzarsi. La stella di Buffy si offusca, si spegne, brilla per qualche istante, le da' speranza, e poi brucia all'interno, e fa male. Cosi' male.
E se fosse tardi? Se fosse gia' andato? Se lo trovassi col paletto in una mano, e la cenere di Drusilla sul corpo, un attimo prima di sparire per sempre? E se cosi' fosse, dove andrebbe? In quale universo finirebbe? Ed io?
Le domande le sferzano il volto, prendono il posto del vento del nord. Soffia ancora, come sempre. Sembra onnipresente, la segue e le sussurra parole senza senso. E' la voce di Drusilla, che canta nel vento? O e' la sua stessa voce, seppur incomprensibile, che canta le sue paure?
Dove sei?
<Per favore vieni a cercarmi, amore mio
Sono pronta, adesso, per tornare a casa...>
Oh, amore...dove sei?
Ci sono case che non ricordava, in quel vicolo. Condomini dall'intonaco beige, con le persiane gia' chiuse, e le tendine scosse dal folle vento del nord. Soffia sulla sua anima, il vento, e sussurra, e grida per lui.
Ha paura. Ma cosa importa? Spike ha paura. Ma non importa a nessuno. Forse importava a lei. Lei che tra un po' non avra' mai incontrato. Chissa' se e' ancora al ballo, lei, a bere champagne aspettando la fine. O chissa' se e' in strada, correndo per cercare lui. No. Nessuno lo cerchera'. Nessuno tranne un'ombra dagli occhi violetti, che predira' il suo futuro con precisione assoluta. Eppure, in cento anni insieme, non gli aveva mai predetto questo. La mente di Drusilla sapeva, prima che succedesse? Prima che finissero indietro, all'inizio della fine, Drusilla gia' sapeva? Glielo aveva detto, nei loro cento anni assieme, e lui non aveva capito, cosi' come gli aveva detto che si sarebbe innamorato della cacciatrice, e lui le aveva riso in faccia? E pure aveva avuto ragione...
Voglio tornare a casa, amore mio...Buffy, voglio tornare a casa...con te...se solo potessi...
<Per favore vieni a cercarmi, amore mio
Lasciamo questo posto, non lasciamo tracce...>
Non lo voglio, questo posto, amore mio...
Non vorrebbe nemmeno l'universo, senza di lui. Ora lo sa. Gli offrissero pure una vita normale, la vita di una principessa, quella di una regina, quella di una studentessa senza nessun problema...non le voleva piu'.
Lei era Buffy Summers. Era la cacciatrice. Ed era gia' una regina. Era la regina della notte, e la principessa chiusa sulla torre, salvata dal suo principe...dov'e', ora, il suo principe? Vuole trovarlo, lei, trovarlo, e tornare a casa, a regnare di nuovo sulla notte nera. Che avrebbe fatto senza la sua missione? Che deserto sarebbe stata la sua vita, senza la sua Sacra Missione? Senza Giles, senza Willow, e Xander e Dawn, che sicuramente non avrebbe mai incontrato, senza la sua missione, e Sunnydale...tutte le sue esperienze, i suoi bei ricordi...buttati al vento per una vita normale! Ma cos'e' una vita normale? Cos'e' la normalita'? Esiste? E vale la pena perdere l'amore, per rincorrerla? Un amore come questo, rinnegato, calpestato...solo per una noiosa vita come ce l'hanno miliardi di persone, cosi' vuote, superficiali, immerse nei loro vuoti, superficiali problemi, senza amore e senza valori...
Torniamo a casa, Spike...dove sei?
<Puoi sentirmi, amore?
Sto gridando nel vento...>
Ti sto mandando tutto l'amore chiuso nel mio cuore...lo senti, amore mio?
Tra poco non esistera' piu', quel cuore...vuole svuotarlo di tutto quell'amore, prima di gettarlo tra le fiamme dell'inferno, o in un limbo d'oblio. Vuole ridurlo solo ad un involucro sanguinante, qualcosa di vuoto e sterile...che non faccia piu' male, come se avesse deciso di riprendere a battere proprio ora, contro ogni legge universale. Se solo restasse zitto...se solo smettesse di urlare, come stessero straziandolo con pungoli di ferro. Se solo smettesse di chiamarla per nome, di invocare la sua Luce come se fosse sangue, e lui fosse assetato.
Fa male, Buffy...se solo potessi sapere quanto fa male, gridare amore al vento...lo senti, Buffy? Lo senti?
<Puoi vedermi, amore mio?
Sto disegnando nella sabbia...>
Crollano i castelli, e montagne di sabbia fine come secondi che volano via, inghiottiti dal vento...polvere si alza dalla strada al suo passaggio, e sembra guardarla, scintillando evanescente nella luce della luna.
Evanescente...
Si sente cosi' evanescente, ora, Buffy...correndo con la consapevolezza di poter correre per sempre, senza trovarlo...magari non sta piu' nemmeno correndo...magari e' gia' finito tutto, e lei sta solo illudendosi di star correndo...eppure sente la gambe pompare disperate, come se soffrissero della stessa sofferenza del suo povero cuore...Dio, fa cosi' male...evanescenti, anche le sue lacrime, nella luce della luna, leggeri bagliori argentei, che scompaiono e riappaiono, a seconda della luce. Onde che disegnano disperazione sulla sabbia del suo viso...
Puoi vedermi? Vedi queste lacrime come onde sulla sabbia, Spike? Amore, puoi vedermi?
<Puoi sentirlo?
Puoi udire i miei pensieri?
Vorrei tu fossi qui
Lo sai?>
Arriva anche dove sei tu, il vento? Sfiora anche il tuo viso, cosi' come sfiora il mio?
I miei pensieri non sono vuoti...devo preoccuparmi, Buffy?
Perche' non sei qui con me? Cosa abbiamo fatto? Dove abbiamo sbagliato, ancora una volta? Ci siamo fermati troppo presto, Luce? Siamo andati troppo lontano?
Che catena abbiamo rotto, che la natura, e tutto cio' che c'e' al mondo ci perseguita? Quale ordine abbiamo interrotto? Quale legge abbiamo violato?
Amare, e' violare leggi? Interrompere catene? Rompere ordini? Cos'e' amare? E' tanto difficile, cosi' difficile che non ci riusciamo? Possiamo tentare ancora, Luce?
Vorrei tu fossi qui...lo sai? Il vento...oh, lui lo sa...e' saturo delle mie parole, delle mie illusioni, del mio dolore...ma tu, Luce...tu lo sai quanto ti vorrei qui, con me, mentre mi preparo alla fine? O non lo sai, e non lo saprai mai, perche' qui con me non c'e' altro che vento? E quel ragazzo che mi somiglia tanto ma che non sono io, seduto in quella stalla, che piange...e aspetta quell'ombra che lo sollevera' dalla mediocrita', e lo portera' a te...ma non e' questa volta...stavolta la storia dovra' essere diversa...perche' tu vuoi cosi'...Luce...
<Per favore vieni a cercarmi, amore mio
Sono pronta per tornare a casa...
Per favore vieni a cercarmi, amore mio
Lasciamo questo posto, non lasciamo tracce...>
Eccoti, sapevo che ti avrei trovato...
Buffy si avvicino' impercettibilmente alla stalla. Sapeva dove trovarlo. L'aveva saputo da quando aveva lasciato il ballo...come se avesse seguito una scia...la sua presenza. L'avrebbe ritrovato ovunque. Tra milioni di persone, lui sarebbe stato l'unico che lei avrebbe notato. L'unico che avesse davvero importanza.
Noto' sollevata che non c'era traccia di Drusilla, in giro, e Spike stava appoggiato ad un albero, lo sguardo perso e le braccia conserte, aspirando l'aria fredda della notte, come se volesse intrappolarne l'odore. Lo vide spalancare gli occhi. L'aveva sentita. Sorrise, Buffy, riprendendo fiato. Si sentivano, loro due. Tra cento, si sentivano. Al ballo, dietro le maschere, s'erano visti. A chilometri di distanza, s'erano uditi. Li', vicini, s'erano visti senza saperlo.
Spike si giro' verso la stalla, scuotendo la testa. Non l'aveva vista, pur avendo fiutato il suo odore inconfondibile. Non voleva illudersi oltre. Doveva camminare...doveva...
"No, fermo! Non andare..."

La testa vortico' furiosamente, minacciando di cadergli. Era la sua voce, che aveva sentito? O era solo una crudele fantasia nella sua mente morente?
Si volto', con una lentezza estenuante. E se fosse stata solo una fantasia? Avrebbe retto il suo cuore? Si volto'.
E lei era li'. Ed era bella. Ed era Luce. Era lei.
"Buffy...?"
Il suo nome tra le sue labbra...una musica cosi' dolce...lettere che prendevano corpo, ed anima, se pronunciate da lui...con quell'intensita', quella devozione, quella paura...quell'amore. Luccicante, vicino, tutto suo...voleva buttarsi tra le sue braccia e piangere, Buffy...e restare con lui per sempre, cosi'...ma non riusciva a muoversi. Maledetto orgoglio!
"Non...non andare, ti prego...resta..."
Cosi' nuove, cosi' inaspettate, quella parole, quella presenza...oddio...era li', era davvero lei? Amore mio, sei tu? voleva stringerla, soffocarla nel suo abbraccio, e piangere e sussurrarle all'orecchio quanto l'amava, e quanto gli dispiaceva averle mentito. Ma non lo fece. Se lo voleva, stavolta doveva essere lei, a parlare...era stanco di parlare per lei...di illudersi, e capitombolare nelle sue illusioni...lo voleva? Era lui che voleva? Voleva piangere tra le sue braccia, e tornare a casa? Voleva quelle labbra sulle sue? Voleva le sue mani sulla pelle? Stavolta doveva dirlo.
"Perche'? Perche' dovrei restare?"
Si stupi' delle parole che lui pronuncio'. Spike l'aveva detto? Oh, si'...e sapeva, Buffy, anche il perche' di quelle parole. Voleva sentirselo dire. Cio' che lei voleva. Ed era facile. Ma lei...era davvero pronta, a dirlo di nuovo, dopo le bugie, ed il silenzio, e la delusione...dopo che le aveva tenuta nascosta una cosa cosi' importante, poteva davvero amarlo, come prima l'amava? Provo'...
"Resta per...per Xander, per esempio! Altrimenti lui chi prendera' in giro? E occasionalmente a pugni?", disse, cercando di sorridere.
Spike sorrise tristemente.
"Sono certo che si trovera' qualche apatico ragazzetto biondo, e sfoghera' su di lui il suo io frustrato...non c'e' da preoccuparsi...ora vado...Drusilla stara' arrivando...", disse, e si giro'. Una smorfia di dolore gli si disegno' sul volto che lei non poteva vedere, e prego' che lei parlasse di nuovo. Lo fece, infatti.
"Ma...allora...resta per Willow! Lei...si sta affezionando a te, e...e sicuramente sta facendo dei grandi passi avanti, per il tuo problemino dell'anima...si sentira' inutile, se non torni, no?", tento' di nuovo la bionda, col sorriso sempre piu' malfermo sulle labbra ed un'espressione mista tra disperazione e speranza sul viso.
Spike si giro' di nuovo. E di nuovo sorrise tristemente.
"Non preoccuparti per lei...quando tutto sara' finito non ricordera' nemmeno di aver fatto una ricerca per...la mia anima. Sara' una brava, normalissima scienziata, o magari una tecnico dei computer...scusa, se non c'e' altro, rischio di far tardi ad un appuntamento..."
Si volto' nuovamente, e fece uno sforzo immane per ricacciare indietro le lacrime. Buffy, dietro di lui, cercava inutilmente di fare lo stesso. Lacrime calde le rigarono le guance, mentre provava un'ultima volta.
"Spike...resta per Dawn...ti vuole bene...le si spezzerebbe il cuore, se..."
Spike la interruppe, girando la testa. Piangeva un po' anche lui. Solo un po'. Una o due lacrime disegnavano eleganti archi sul suo viso.
"Probabilmente la tua sorellina sara' solo una massa di splendida energia verde...e non ricordera' nemmeno d'avermi mai conosciuto...il suo cuore e' al sicuro, credimi, cacciatrice..."
Continuo' a camminare verso la stalla, sentendo su di se' lo sguardo bruciante di Buffy. Lo stava odiando? O era amore, quello che gli fendeva la schiena e gli artigliava il cuore, quasi gentilmente? Cosa c'era sul viso di Buffy, che lui non poteva vedere?
Non poteva vedere, lui, le mani della ragazza stringersi convulsamente, ed il suo corpo tremare, e la sua voce restare bloccata in gola, intrappolata in una gabbia di emozioni ed orgoglio, le chiavi gettate chissa' dove. Non poteva scorgere il rossore che le inondava le guance, e le chiazze di lacrime che le illuminavano gli occhi. Non poteva vedere niente di tutto questo.
Nemmeno i suoi ragionamenti senza senso...che confluivano tutti in quell'unica verita', solo...cosi' difficile, da dire, per lei...il suo cuore sanguina...ma funziona...non e' insensibile...non e' fermo...ed e' grazie a lui...ed e' tutto qui il suo grazie? Un addio detto con le parole giuste ferme in gola? Tutto qui il suo amore, e le sue promesse della sera prima? Ci si puo' svegliare una mattina, e decidere che non si ama piu'? No...semplicemente, meravigliosamente...no.
"Maledizione, Spike! Perche' vuoi andartene?", chiese rabbiosa.
"Perche' ti amo...me ne vado perche' ti amo..."
Buffy sorrise amaramente...non era la prima volta che sentiva quella frase.
"Che buffo...il mio destino si ripete...questa frase devo averla gia' sentita..."
Angel, ovviamente, penso' Spike. Ed aveva ragione...
"Si'...ma stavolta e' diverso..."
Scatto', Buffy, prima che le parole le morissero nuovamente in gola.
"Si', hai ragione, e' diverso...perche' questa volta non ti lascero' andare via...", disse, la voce spezzata dalle lacrime. "Resta, ti prego...resta...per me..."
Spike si irrigidi', un attimo prima di girarsi, ed incrociare il suo sguardo. Era possibile per un vampiro avere un infarto? Perche' era cosi' che si sentiva...come se il suo cuore non potesse reggere questo. Era solo una frase...eppure non aveva sperato in nient'altro, nella sua non vita, se non in quella manciata di parole. Le si avvicino', inclinando la testa di lato, con fare sorpreso.
"Per te?", chiese in un soffio, a pochi centimetri dalle labbra di lei. "Perche'?"
Buffy sorrise, sfiorando le labbra di Spike con un bacio. Leggero, casto. Un soffio di vita sulla sua bocca. Sapevano di lacrime, le labbra di Spike. Calde, vive...
"Per me...perche' ti amo..."
Spike sorrise, le lacrime continuavano a scendere sul suo viso illuminato dalla luna...quante cose avrebbe volute dirle? E perche' in quei momenti, quelli in cui senti il cuore scoppiarti nel petto, e le stelle infrangersi contro il tuo viso, e nel vento il sapore della felicita', perche' proprio allora le parole non le hai? Perche' mentre tu nasci di nuovo, le parole sembrano morire, uccise da troppa felicita'? Forse, semplicemente, perche' quale parola potrebbe contenere un cuore scoppiato, o stelle infrante sul viso, o sapore di felicita' nel vento? Sensazioni cosi' non le puoi descrivere con le parole. Se la testa ti scoppia, e scintille d'amore ti si accendono dentro, quale parola potrebbe mai descrivere tali sensazioni? Solo il silenzio puo', ed uno sguardo innamorato...le parole sono solo suoni...e quale parola potrebbe contenere in un suono l'intensita' e l'amore di quello sguardo che gli consuma gli occhi? Nessuna, semplicemente, nessuna. O, forse, una sola...sussur!
 rata, perche' un sussurro vale piu' di un grido...
"Oh, Luce..."
Che bello poter abbandonarsi tra quelle braccia, lasciarsi stringere e non pensare a niente, fuorche' che si e' vivi, e che si e' li', proprio li', dove da sempre si e' sognato di essere...che bello poter piangere, e sentire sapore di felicita' in quelle lacrime, non piu' gocce pesanti, ma argento fuso, che riga le guance e le fa risplendere nella luna. Buffy e' li', dove doveva essere da sempre, dove vorrebbe restare per sempre...si', sarebbe davvero paradiso, restare per sempre tra quelle braccia, aspirando quel profumo, che sa d'amore, che sa di lui, che sa di loro.
Loro. Insieme, per sempre. E, strano, ma quel 'per sempre' non le fa piu' paura ora. Non le sembra una gabbia, ma un cielo immenso, nel quale volare insieme, come angeli con una sola ala, che per volare devono restare insieme...e lui e' l'ala che le mancava, e non potrebbe esistere angelo migliore di lui, lui, diavolo che ha nel cuore piu' amore di tutti gli angeli del paradiso, quel paradiso che non le manca piu', perche' c'e' uno spettacolo piu' bello del cielo infinito: l'interno di un'anima...un bacio...rischierebbe l'inferno solo per quello...
Un suo bacio, e poi l'inferno.
Un suo bacio, e poi la morte.
Un suo bacio, e poi l'eterno oblio.
Ma un suo bacio basterebbe per riportarla in paradiso...
Forse la vita non e' una fiaba, ma allora perche' lei sente che con lui, quando stanno insieme, tutta la sua esistenza e' qualcosa di cosi' delizioso, cosi' meraviglioso, da pensare davvero che le fiabe esistono, e lei vive nella piu' bella.
Dalla stalla, li' vicino, il parlottare sommesso di William e Drusilla. Le promesse della vampira, le sue predizioni...
Qualcosa di rifulgente...
E' piu' che rifulgente, cio' che ha trovato...e' Luce.
Luce chiara. Pura. Sua. E' molto piu' di quanto Drusilla gli avesse mai promesso. Molto piu' di quanto si sarebbe mai aspettato...e chi non sopporterebbe ogni genere di tortura, per una ricompensa tanto deliziosa?
Spike sorrise, e guardo' lei, accoccolata contro il suo petto, le braccia che lo stringevano forte, come se avesse paura che lui scappasse. Mai. Le poso' un leggero bacio sui capelli, e senti' la voce di William gemere, sofferente. L'aveva morso...sospiro', rendendosi conto che stava finendo. Aveva fatto la sua scelta. L'avevano fatta insieme.
I loro corpi cominciarono a svanire, nel momento in cui Buffy si stacco' leggermente da lui, prendendogli una mano, senza paura, senza dubbi, senza vergogna per cio' che faceva.
Dicessero pure quel che volevano, i suoi amici...lei era stufa di sentirsi manovrata.
Stufa di chi prendeva decisioni per lei.
Stufa di chi le condizionava la vita.
Stufa di chi la giudicava.
Stufa di chi credeva che dovesse essere irreprensibile.
Lei voleva sbagliare. Voleva andare contro tutte le regole. Voleva sentire le parole di sgomento dei suoi amici, e riderne.
Lei voleva amare. E stavolta nessuno le avrebbe rubato la sua fetta di felicita'. Stavolta non l'avrebbe permesso. Stavolta avrebbe sbattuto loro in faccia la verita'...chi avrebbe potuto avere da ridire, dopotutto?
Xander, che aveva quasi sposato un demone della vendetta?
Willow, che aveva quasi fatto saltare in aria il pianeta terra e qualche altro universo adiacente?
Giles, che da adolescente aveva creato un demone che per poco non aveva ucciso tutti?
Provassero a parlare, e stavolta non avrebbe risposto di se'. Era felice. Se le volevano bene, questo doveva bastare. In caso contrario, non avrebbe piu' sacrificato l'amore per loro.
Com'era bella, quella sensazione di liberta' assoluta...anche ora che stava scomparendo, pronta per tornare a casa. Ad affrontare nuove battaglie, a passeggiare per i cimiteri, ad uccidere demoni e vampiri, a sventare apocalissi. Niente piu' le sembrava pesante, niente la faceva sentire piu' insoddisfatta della sua vita. La sua vita era una fiaba...
C'era solo una cosa, che la turbava. Si volto' verso Spike, sempre piu' sbiadito...
"Ti fara' molto male, quando torneremo? L'anima, intendo..."
Lui le strinse piu' forte una mano, sorridendo.
"Ho la mia medicina...niente puo' farmi male..."
Buffy sgrano' gli occhi...una medicina?
"Quale medicina?"
Spike sorrise, scuotendo la testa.
"La Luce...", disse guardandola.
"Ma tu...non puoi esporti alla luce, Spike..."
Il vampiro la prese tra le braccia, baciandola con passione. Lei sorrise, guardandolo negli occhi. Spike le sfioro' i capelli con una mano, mentre con l'altra le cingeva la vita, tenendola stretta a se'.
"Tu...sei tu la Luce...la mia medicina...la mia Luce...andra' bene...era solo questo che volevo...", disse, dolcemente, un attimo prima di sparire, insieme a lei.
Era felice, Spike, come lo era stato pochissime volte.
Aveva qualcosa che nessun vampiro aveva.
Qualcosa che forse nemmeno Angel aveva avuto.
Redenzione...