GHOST OF YOU



1 - Unforgivable Sinner


< Kinda lose your sense of time cause the days don't matter no more... >

Ventotto giorni.

Ventotto giorni che se n’era andata.

Ventotto giorni tutti uguali. Con albe e tramonti senza piu’ colori.

Pomeriggi grigi, serate nere.

Ventotto giorni d’iferno.

C’era andato molto vicino dal finirci, lui, all’inferno.

E forse...forse sarebbe stato meglio cosi’.

Meglio sarebbe stato se ventotto giorni prima quella maledetta bolla di luce avesse inghiottito lui, e non...

Non lei...

Non i colori, i suoni, ed i giorni, ed il tempo...

Perche’ prima il tempo aveva importanza. Prima il tempo significava quanti minuti mancavano prima di vederla, e quanti prima di andar via.

Ed i colori, anche, importavano. I suoi occhi, o i suoi capelli, e tutte le sfumature del suo viso, dei suoi vestiti...tutto impresso nella sua mente, quell’arcobaleno di colori.

Ora invece era tutto grigio ed informe, ed i suoni erano divenuti solo rumori fastidiosi.

Perche’ non c’era piu’ quella risata cristallina, e quella voce, e quelle parole, anche insulti, ma suoi, anche insulti, si’...

< You hope she knows that you tried... >

Non aveva provato. Non aveva provato abbastanza.

Non aveva tentato l’impossibile, non aveva distrutto quella luce con le sue mani, non era saltato dentro quel turbine per tirarla fuori, non era sceso fin nel regno dei morti per strappare la sua anima dalle mani di un Dio invidioso...

Lui non aveva fatto niente.

Non era andato oltre le stelle per cercarla.

Ed ora sognava di farlo ogni notte, ed ogni notte andava tutto bene perche’ lui era piu’ svelto, piu’ furbo, e quell’omiciattolo dai capelli grigi non lo pugnalava alle spalle...

Perche’ se lui non si fosse fatto pugnalare, sarebbe andato tutto bene. Se solo non fosse caduto, ma avesse salvato Dawn...

E invece no. Era andato tutto diversamente.

Lui non l’aveva salvata. Non aveva nemmeno tentato di salvarla...

Non aveva fatto abbastanza per proteggerla...

L’aveva solo guardata scivolare via, insieme alle sue lacrime.

Ma una lacrima cos’e’ mai, a cosa mai serve se non puo’ restituirti quanto di piu’ caro hai al mondo...

E che mondo e’ mai questo, nel quale la Salvatrice muore ed i peccatori restano?

I peccatori, si’...

Lui, Spike...l’imperdonabile peccatore...che piange...

< ‘Couse between this world and eternity there’s a face you hope to see... >

- Che giornata d’inferno... –

Tornava mestamente alla sua cripta, Spike.

Ogni vicolo le ricordava lei.

Ogni volto aveva il volto di lei.

Ogni suono aveva il suono di lei.

Ogni profumo aveva il profumo di lei.

Ma lei non c’era mai.

Solo ogni tanto, intravedeva quella copia sfrontata, quello stupido robot, quel cartoccio di fili elettrici, la brutta copia di qualcuna che non avrebbe mai potuto essere imitata.

Sembrava cosi’ osceno vederlo muoversi goffamente nel cimitero, col paletto stretto fra il ferro di quella mano fredda, ed allora ricordarsi di quando c’era lei, e quel movimento goffo era una danza, un volteggiare oscuro, e quel paletto stretto con passione in una mano calda, una mano viva.

E pensare che no, nessuna cacciatrice avrebbe mai eguagliato quella.

Nessuna avrebbe mai potuto essere come lei. Lei che aveva fatto innamorare un vampiro.

Lei che intratteneva una danza segreta con i vampiri, nel cimitero, una danza di morte che finiva sempre con un paletto nel cuore della bestia, e la bella che tornava sorridendo verso casa, orgogliosa d’aver fatto ancora il suo dovere.

Stanca, si’.

Ma orgogliosa. E viva.

< You know where you’ve sent her, you sure know where you are...you’re trying to ease off, but you know you wan’t get far... >

E’ che certi rimorsi non ti abbandonano mai.

Tu pensi che un giorno te li lascerai alle spalle, una mattina ti sveglierai e loro puff!, saranno spariti, e tutto tornera’ a posto, la vita, i sorrisi, i suoni, i colori, i giorni, il tempo.

E invece no.

Passano, i giorni, passano che nemmeno te ne accorgi, giorni che diventano settimane, poi mesi, anni, poi un’eternita’.

E loro restano li’, ostinati, appiccicati a te come piccole sanguisughe, e consumano, lentamente, consumano.

E’ che certi rimorsi, come certi ricordi, non ti abbandonano mai.

Puoi pensare mille modi per fregarli, ma loro niente. Sono intelligenti, o forse cosi’ stupidi da non capire che tenti di fregarli, e alla fine sono loro che ti fregano.

E’ cosi’ che ti frega, la vita.

E’ cosi’ che loro te la fregano, la vita.

E’ la cosa peggiore e’ uscire dal Bronze, una sera come un’altra, ubriaco come sempre, e ricordarsi che era proprio allora che compariva lei, per prendere in giro o chiedere aiuto, prendere a pugni o solo colpire con le parole.

Lei con tutta la sua forza, la sua grazia, la sua femminilita’, la sua dolcezza, la sua furia, la sua rabbia, la sua giustizia, la sua parzialita’, i suoi preconcetti, i suoi stanchi ragionamenti, le sue battute, le sue stupidaggini, le sue canzoni, i suoi sorrisi, i suoi insulti, i suoi sguardi, le sue parole non dette, le sue parole lanciate nell’aria come cavalli imbizzarriti, le sue mani strette a pugno.

Lei.

E tutto quello che lei e’.

Ti guardi intorno, quella sera come un’altra, ubriaco come sempre, sei sicuro di vederla ed invece lei non c’e’. Solo un’ombra che sembra schernirti per averti fatto provare un istante di speranza...

< And now she’s up there, sings like an angel, but you can’t hear those words... >

Mani in tasca, sigaretta in bocca, l’alito che sa di alcool, nel quale affogare pensieri che sanno nuotare e gli galleggiano in testa, tra l’alcool e qualcosa che e’ simile alla disperazione, ma dolce, quieta.

Di quella che fa ancora piu’ male perche’ non urla e basta, ma sussurra, ed e’ come un ronzio continuo, qualcosa che frulla nella testa, e non esistono bottoni per spegnere quel meccanismo, ne’ preghiera che possa portare via quel sussurrare continuo, quella cosa stanca nella tua testa che alla fine non dice niente, ma sussurra, sussurra, sussurra...

< Unforgivable sinner... >

Dentro la cripta,

Allora,

Spike sente

Una lacrima rigargli la guancia,

Prende la mano destra

E la lancia contro il muro...

< You’ve been walking around in tears... >

Non fa male.

Il dolore di una lacrima e’ piu’ forte di quella del sangue.

Quella lacrima che scorre leggera, calda, come se avesse ancora un sentore di vita, gli riga la guancia lasciando un solco appen visibile, come se si vergognasse di farsi vedere, come se fosse qualcosa che va nascosta, una lacrima, ed allora e’ trasparente.

Perche’ le lacrime prima aveva il colore del fuoco.

Ma come si puo’ piangere in silenzio se una lacrima ha il colore del fuoco? Ed allora qualcuno lassu’, se mai esiste qualcuno lassu’, se mai e’ esistito e se mai esistera’, qualcuno lassu’ decide di cambiare colore alle lacrime, perche’ le lacrime non devono fare rumore, non devono essere viste, le lacrime sono solo segreti che colano dagli occhi, e come puo’ un segreto essere del colore del fuoco?

E allora qualcuno lassu’, se mai e’ esistito qualcuno lassu’, deicide di farle trasperanti, le lacrime, come di vetro, come di ghiaccio.

Piccole gocce d’infinito che rigano lo specchio dell’anima.

Ed al confronto un pugno rotto e’ quasi refrigerante...

< You wan’t ever be the same...someone cries and you’ve to blame... >

Si sedette di peso sulla poltrona.

Solo riposare, ora.

Solo riposare.

Addormentarsi e svegliarsi fra mille anni.

Possibilmente da lei...

E non puo’ nemmeno essere degno di pensarlo, lui, perche’ lui e’...

< Unforgivable sinner... >

...Un imperdonabile peccatore...


Accadono cose

Che sono come domande.

Passa un minuto, oppure anni,

E poi la vita risponde...”


Le facevano male tutte le ossa.

Come se qualcosa l’avesse strizzata da dentro.

Come prendere la scossa.

Le dolevano le palpebre.

Una luce troppo forte, forse...

Una luce...ricordava lentamente. Qualcosa di enorme, qualcosa di cosi’ grande che tutta la sua vita non avrebbe potuto contenerla, qualcosa di splendido e terribile, come fuochi d’artificio, come una luce accecante, come...un portale per chissa’ quale dimensione.

Un portale. Si’. Il primo tassello era andato a posto.

Ricordava il portale ed era quasi certa di sapere chi era. Le sembrava assurdo, come se fosse uscita in quel momento da un terribile film di fantascienza. Si’, ma lo ricordava nitidamente, chi era.

Lei era una Cacciatrice.

No.

La Cacciatrice. Bene. Secondo tassello a posto. Chissa’ quanti ne mancavano prima che riuscisse almeno ad aprire gli occhi?

Mosse lentamente le dita, chiudendole a pugno. Le riapri’. Le chiuse di nuovo. Le dita, almeno, c’erano ancora.

Mosse una gamba. La alzo’. Poi l’altra. C’erano anche le gambe. E, se non si ingannava, c’erano anche la testa ed il busto. Insomma, era tutta intera.

E questo era consolatorio.

Si sforzo’ di pensare, anche se era terribilmente difficile. Aveva un baccano infernale in testa. Un ronzio, come elettricita’. Doveva essere stato il portale.

Il portale...una luce bianca...si era gettata nel portale...si’, il ricordo si affaccio’ timidamente alla sua testa. Si’, decisamente s’era gettata nel portale.

Ora restava solo una domanda:

Perche’?

Tento’ di aprire gli occhi, ma l’abbagliante luce dell’aurora l’acceco’ per un attimo.

L’aurora...

Dawn!

Apri’ gli occhi di botto, Buffy. Ora ricordava. Ricordava lentamente tutto.

Glory, il portale, il sangue, i suoi amici, sua sorella, il dolore, le grida soffocate dal ronzio, tutto...

Lentamente mise a fuoco il paesaggio. Era alla torre...o meglio: era sdraiata su quel che restava della torre. Un mucchio di ceneri ancora fumanti e pezzi di ferro sparsi dappertutto. E non c’era nessuno!

Con uno sforzo e qualche lamento si mise in piedi, guardandosi attentamente intorno.

Se non era un’allucinazione, il mondo esisteva ancora. Quindi avevano vinto! Ma dov’erano tutti?

Fu presa dalla lancinante paura che Glory li avesse uccisi tutti. Era un pensiero cosi’ insopportabile che lo scaccio’ scrollando forte le spalle, finche’ non lo senti’ strisciare via dalla sua testa.

Avevano vinto, e lei non era morta. Ma...e gli altri? Quanto tempo era passato? Per quanto tempo era stata svenuta?

Si incammino’ lentamente verso la citta’, verso la sua Sunnydale ed il sole che sorgeva.

Nessuno era morto. Se lo sentiva dentro. Una sensazione dolcissima.

Zoppico’ fin nel cuore della citta’. Doveva avere un aspetto orribile. Vedeva la maglietta bianca sporca di polvere, ed i suoi bei capelli spettinati e sparati da ogni lato. La sua pelle era incrostata di residui di ferro e polvere.

L’avrebbero scambiata per un demone, i suoi amici.

Moriva dalla voglia di riabbracciarli. Giles, Anya, Xander, Willow, Tara, Dawn...

E, beh, anche Spike.

Cominciava quasi a stargli simpatico, quello strano vampiro. E aveva fatto tutto il possibile per proteggere Dawn.

Sorrise, e scorse in lontananza l’insegna del Magic Box.

Zoppico’ velocemente fino alla porta lasciata aperta, ed entro’. Sembrava non ci fosse nessuno.

- C’e’ nessuno? –

Non le venne indietro nessuna risposta.

- Giles, Anya, Xander, Willow? Tara? Dawn? –

Niente.

E poi vide sbucare da quella che era stata la sua palestra, il signor Giles.

A Buffy si strinse il cuore, vedendolo.

Era visibilmente dimagrito, coi capelli quasi grigi e l’aria da cane bastonato. Aveva gli occhi gonfi ed arrossati.

Sembrava avesse pianto.

E...Dio, come sembrava invecchiato!

Ma quanto tempo e’ passato?

Gli corse incontro. Eppure l’uomo non sembrava nemmeno essersi accorto di lei.

- Signor Giles! Oh, come sono felice di vederla! Signor Giles! Giles? –

Lui la oltrepasso’ come se non l’avesse vista. Non si giro’ nemmeno, ne’ rispose al suo accorato saluto.

Le salirono le lacrime agli occhi.

Gli corse dietro, tentando di afferrarlo. Ma lui non si fermava, e sembrava non accorgersi nemmeno del suo tocco.

- Signor Giles, sono io! Sono Buffy! Ma cosa le e’ successo? Mi risponda! –

Ma l’osservatore, semplicemente, la ignoro’.

Esattamente come se non riuscisse a vederla.

Stava per piangere, lei, quando vide la porta aprirsi, ed Anya e Xander entrarono.

Anche loro sembravano tristi. Non sorridevano, non si prendevano in giro. Salutarono il signor Giles con un mesto ‘buongiorno’. E, come da copione, sembravano non accorgersi della presenza di Buffy.

Lei, pero’, corse incontro ai due, sorridendo nonostante il groppo in gola.

- Ragazzi, come sono felice di vedervi! Credevo che Glory vi avesse ucciso, mi sono svegliata da sola ai piedi della torre ed ho temuto che...ma perche’ mi evitate? Cosa vi ho fatto? Anya! Xander! Rispondete...vi prego... –

In quel preciso istante, Xander si fermo’ di botto, fissandola intensamente. A Buffy non sembrava vero.

- Xander! –

Ma lui, invece di salutarla o abbracciarla, le passo’ accanto, come se non ci fosse stata, e prese da uno scaffale un oggetto ch’era proprio dietro di lei.

Non stava fissando me...

L’oggetto era un portafoto. Dentro c’era una fotografia. Lei, Willow e Xander. Sorridenti. Al liceo.

Xander aveva gli occhi lucidi e carezzava col pollice la sua figura, stringendo le labbra come per trattenere un singhiozzo.

Anya, senza dire una parola, gli tolse di mano la cornice, sorridendo mestamente, e la rimise al suo posto, sul bancone.

Buffy non sapeva piu’ che pensare.

Stava per impazzire, questo lo sapeva.

Ed invece scoppio’ a piangere, cosi’, scoppio’ a piangere ed usci’, senza capire perche’ i suoi amici la ignorassero, cosi’, come se lei non ci fosse, come se non esistesse...

E, senza nemmeno pensarci, prese la strada per il cimitero. Da Spike.


Quando Spike torno’, era ormai notte. Le stelle brillavano leggere in lontananza, e la luna si stagliava nitida sullo sfondo nero di un cielo cupo.

Era quasi ubriaco, Spike, quando torno’ a casa.

Spalanco’ la cripta con un calcio, sussurrando a mezza voce

- Che giornata d’inferno... –

Ormai lo diceva tutti i giorni.

Perche’ ormai tutti i suoi giorni erano cosi’.

D’inferno.

Buffy stava raggomitolata in un angolo. Aveva smesso da poco di piangere, e gli occhi le si erano lentamente asciugati. Adesso si stringeva le ginocchia al petto e pensava ad un modo per smettere di pensare.

Fu cosi’ che la trovo’, Spike, andando a tentoni verso il letto, mentre con una mano tentava di accendere una candela e, inaspettatamente, ci riusciva.

E la luce tenue della candela, quasi lo facesse apposta, ando’ ad illuminare quel viso che lui conosceva benissimo.

Quel viso che aveva popolato ventotto notti insonni.

Buffy sorrise stancamente, e Spike rispose a quel sorriso con un grugnito.

E cosi’ quel dannato robot era arrivato fin nella sua cripta.

L’aveva detto a Willow di tenerglielo lontano. Quella cosa di plastica e fili elettrici che deturpava la sua memoria.

Si volto’, mentre Buffy ripiombava nello sconforto piu’ assoluto, credendo che nemmeno lui la vedesse. E invece il vampiro poso’ la candela e, con la voce impastata d’alcool e tristezza, disse

- Cosa diavolo ci fai qui? –

La Cacciatrice sbuffo’. Bene, la prima persona che mi vede e sembra che io sia l’emissaria di ogni male...fantastico! Ma che avro’ mai fatto?

Ma la gioia fu piu’ grande del dispetto. Si alzo’ di botto e lo guardo’.

- Tu mi vedi? –

Spike ridacchio’. Ma era una risata triste, una risata che non ha niente della risata, solo quel lieve vibrato che parte dalla gola e fatica ad uscire, e poi esplode in qualcosa di simile ad un singhiozzo, che pero’ si avvicina anche ad una risata, ed allora e’ una risata triste, di quelle che, se si potesse, non si farebbero mai.

- Si’, che ti vedo, che domanda e’? Sono ventotto maledetti giorni che ti vedo gironzolare qui intorno a fare la parte dell’eroina elettrica! Te l’ho gia’ detto, mi pare: qui non devi venire...dovrei dire a Willow di revisionarti i cip... –

E Buffy capi’. Pensava ancora una volta che lei fosse un robot. Ma...non era possibile, il robot era rotto, l’aveva visto con i suoi occhi, aveva fatto crac!, tutti i circuiti gli erano partiti, era impossibile che stesse parlando del robot, ma allora perche’ dirle quelle cose?

- Tu credi che io sia un robot? –

Stavolta nemmeno la risata triste riusci’ a superare il groppo alla gola di Spike. Quel dannato robot! Magari glielo aveva mandato Xander, cosi’, per fargli un dispetto, per farlo impazzire...voleva prendere una mazza da baseball e distruggerla, quella macchinetta parlante...se solo avesse avuto una mazza da baseball, ovvio...

- Tu sei un robot! Sei metallo e fili elettrici, hai un circuito al posto del cuore e un computer nel cervello! Sei. Un. Dannatissimo. Robot. E non potrai mai essere lei...lei era diversa. Era speciale. E nessuno potra’ mai essere come lei...ed ora sparisci, non ho tempo da perdere... –

E allora

Buffy si avvicino’ a quel corpo freddo

E

Senza dire una parola

Gli prese il viso fra le mani.

E Spike

Capi’.

- Spike...sono io... –

Fu come se un proiettile lo avesse trapassato. Come sentire il proprio cuore battere all’impazzata e poi, no, che stupido, questo cuore non batte.

Per Spike fu questo, solo triplicato.

Tanto che penso’ che sarebbe morto, in quel momento sarebbe potuto morire e l’avrebbe fatto col sorriso sulle labbra. Penso’ che qualcosa gli si stesse rompendo dentro, che qualcosa doveva romperglisi dentro, o si rompe adesso o non si rompe mai piu’, questo e’ il momento, se devo morire moriro’ adesso, altrimenti piu’ niente al mondo sara’ in grado di uccidermi...

Forse solo pronunciare quel nome, solo quello sarebbe bastato a spezzargli qualcosa dentro.

- Buffy? –

Non una domanda. Una supplica, una preghiera disperata, una domanda che e’ come una richiesta d’aiuto, dimmi di si’, altrimenti muoio, giuro, stramazzo qui terra e chi s’e’ visto s’e’ visto.

- Si’...Spike, e’ successo qualcosa...non mi vede nessuno...e’ come se fossi invisibile...non capisco... –

E’ terribilmente lucido, ora, Spike, una lucidita’ che fa quasi male, e forse ha gia’ capito, cosa c’e’ che non va’, ma forse e’ meglio che lo dica lei, magari lo sa anche lei, o magari no...che casino...e che terribile gioia, qualcosa che ti squarcia come se ti passassero un pugnale da una spalla all’altra, come se ti tagliassero in due, solo...piu’ dolce...

- Buffy...tu sai cos’e’ successo? –

Lei scosse la testa.

- No, io...ricordo la sera della battaglia con Glory...Dawn...Dawn sta bene? –

- Si’, certo... –

- Bene...ricordo la battaglia, poi ricordo che mi sono gettata in quella bolla di luce bianca... –

Si zitti’ per un attimo, come se non riuscisse a ricordare.

- E poi? Cos’altro ricordi? –

Buffy scosse la testa.

- Sono saltata nel portale e poi devo essere caduta dopo averlo chiuso, e mi sono risvegliata stamattina...ma quando sono andata al Magic Box nessuno si e’ accorto di me, era come se non mi vedessero...perche’? Cosa mi e’ successo? –

E, scoppiando in lacrime, si rifugio’ sul petto di Spike.

Spike la tenne stretta, ancora non riuscendo a razionalizzare bene l’accaduto.

Incredibile.

Era li’.

Buffy, o almeno il fantasma di Buffy. Fra le sue braccia.

Buffy che non sapeva di essere morta.

E toccava a lui, dirglielo...

Che giornata d’inferno...


*2 - My Grave*


Le lacrime di Buffy inzuppavano lentamente la sua camicia.

Il dolore di Buffy inzuppava lentamente la sua anima.

L’involucro vuoto, almeno, che aveva contenuto la sua anima.

Perche’, ovviamente, Spike non aveva un’anima. Erano centoventi anni che non aveva un’anima.

E come avrebbe potuto dimenticarlo? C’era chi, puntualmente, glielo ricordava.

Come al funerale di Buffy.

Gli fluttuarono nella mente, quelle immagini infami.

Una piccola bara per una grande donna, per una ragazzina che non voleva morire.

Solo vent’anni, maledizione!

Lui se ne stava all’ombra, sotto un grande albero, nel cimitero. In disparte, ovviamente. E piangeva. Non ricordava di aver mai pianto cosi’.

Come un fiume in piena, avendo paura di non fermarsi mai, avendo paura che la sua vita potesse consumarsi attraverso quelle lacrime, e forse sarebbe stato meglio, dannazione, sarebbe stato meglio, sparire in una cascata di lacrime, quel giorno, silenziosamente.

Per non vedere le occhiate che tutti gli mandavano, occhiate come pugnalate, rimproveri muti per chissa’ quale colpa, forse non essere morto al posto di Buffy, si’, questa era la sua imperdonabile colpa, il suo peccato finale, la sua mancanza terribile che tutti quegli occhi gli ricordavano, quelli di Xander, di willow, di Anya, di Dawn e di Giles.

Xander che gli veniva incontro e gli chiedeva cosa diavolo ci facesse li’, perche’ fosse venuto.

- Non puoi nemmeno immaginare quanto l’amassi, Xander... –

Un supplica, quasi una resa. Perche’ lui capisca. Che non e’ li’ per far dispetto a nessuno. Ma solo per lui. E invece no. Il pugno lo prende in pieno viso e quello sguardo, come si puo’ pensare che uno sguardo basti ad ucciderti, e se lo si puo’ pensare, Spike lo penso’ quel giorno, e penso’ che non ne poteva piu’ dei pugni e degli sguardi come fucili spianati contro di te, che non smettono un istante di sparare odio finche’ l’odio, alla fine non ti uccide. E lui non ne poteva piu’, lui, di pagare per qualcosa che aveva fatto, si’, aveva fatto quanto di piu’ terribile c’era da fare, ma prenderlo a pugni e sparare odio dagli occhi non avrebbe raddrizzato i suoi torti, ne’ avrebbe raffreddato l’odio, ne’ avrebbe annullato mille morti.

Solo, l’avrebbe fatto sentire solo una volta di piu’. Inutile ed arrabbiato col mondo. Arrabbiato come quella sera, quella sera di novembre, che spirava vento da nord e gelido soffiava sulla sua anima, l’ultima sera di quell’anima, quando quell’anima gli ha detto addio, barattata con un po’ d’amore. L’amore di un mostro, l’amore di un’ombra dagli occhi violetti che pareva uno specchio in cui si rifletteva lui, il mostro da cui s’era fatto abbindolare, perche’ e’ meglio essere amati da un mostro che non essere amati affatto.

Ecco, la sua colpa primaria, la colpa di quello stupido che William era stato: aver cercato amore in un mondo in cui amore, per lui, non poteva esserci.

- Smettila d’infangare la sua memoria cosi’...sei solo un demone, tu non sai cos’e’ l’amore, e non lo saprai mai. Smetti di dire che l’amavi! –

Quel giorno, pero’, non aveva ribattuto nulla. La sua mano s’era stretta, nella tasca del suo spolverino, stretta fino a sanguinare, fino a che le ossa non gli si spezzarono, quasi. Ma non aveva cacciato quel pugno per lanciarlo in faccia a Xander, ed il suo sguardo si era mantenuto impassibile, velato di lacrime di rabbia, di frustrazione, un dolore sordo, qualcosa che parte da dentro e ti lacera, ti spezza, ti stringe, e non c’e’ niente da fare, non se ne esce. E bastava concentrarsi solo un po’ su quel dolore per dimenticare stupide offese, parole che gli scorrono sopra come acqua su un vetro, perche’ nulla piu’ puo’ ferirlo, perche’ tutto cio’ che lui e’ e’ una ferita aperta, uno squarcio che non si puo’ ricucire, e, certo, non puo’ nemmeno ampliarsi. Quel giorno non guardo’ Xander negli occhi nemmeno per un istante. continuo’ a fissare il punto in cui si ergeva fredda e livida la lapide di Buffy. Solo un pezzo di marmo freddo ed una manciata di parole che non possono racchiudere e nemmeno tentare di raccontare cio’ che lei e’ sempre stata.

Cio’ che lei non sarebbe mai piu’ stata.

Era stato il giorno peggiore della sua vita, quello.

L’addio definitiva ad una persona speciale, che non avrebbe mai dimenticato.

E adesso –Dio, non poteva crederci!-, adesso quella persona speciale gli si stringeva contro, bagnando di lacrime la sua maglietta.

Piangendo, piangendo, piangendo.

Buffy...la sua Buffy...li’...forse era definitivamente impazzito.

La prese per le spalle, dolcemente. Lei si passo’ il dorso della mano sugli occhi, asciugandosi le lacrime. Arrossi’, forse, non avrebbe saputo dirlo, Spike, nella penombra della cripta.

- Scusa...non so cosa m’e’ preso... –

La guardo’. Voleva memorizzare ogni dettaglio di lei, nella paura atroce che fosse tutta un’allucinazione, un brutto scherzo dell’alcool o chissa’ cosa.

Scorse con lo sguardo ogni palmo del suo viso, fissando nella sua mente ogni colore, sfumatura, espressione, profumo. Le sue lacrime, quelle labbra di cui cercava, lei, di fermare il tremito...e poi il collo, la curva armoniosa delle spalle, la maglietta sporca di polvere, i capelli che giocavano con la brezza che entrava lenta dalla porta ancora aperta.

Fa’ quasi freddo, penso’ Spike, distrattamente. Come se fosse un pensiero non suo.

Le guardo’ il seno, quella curva delicata che s’intravedeva appena sotto la maglietta, non con desiderio, non si poteva dire che la stesse fissando con desiderio, era uno sguardo che voleva solo guardare, guardare per ricordare ogni cosa, nel caso che quella bellissima allucinazione svanisse da un momento all’altro.

Passo’ al ventre piatto, alle gambe, quelle gambe deliziose, snelle, che disegnavano due linee parallele e perfette fino a terra, quelle gambe fasciate da un pantalone quasi stretto.

Si fermo’ e risali’, lentamente, ed il suo sguardo si fermo’ sulle sue mani, quelle mani abbandonate lungo i fianchi, quelle mani curate, quelle mani...belle.

Si chiese per un istante, un solo istante, come dovesse essere sentirsi carezzato da quelle mani, che sensazione avrebbe provato sentendo quelle mani sul suo corpo, sul petto, sul viso. Stringere quelle mani nelle proprie e stringerle all’infinito...

- Cosa stai guardando? –

Spike scosse la testa, riportato bruscamente alla realta’ da quella voce di velluto. Sorrise, ma non era esattamente un sorriso, solo una nota di dolcezza su un viso dai lineamenti affilati.

Non era un sorriso, no.

- Te. Sei cosi’ bella... –

Buffy si strinse nelle braccia, spostando lo sguardo nella cripta. In imbarazzo. E Spike si ricordo’ che questa era una di quelle cose che non doveva dire.

- Spike... –, comincio’ lei.

- No, scusami...scusa, io...non dovevo dirlo... –

Buffy sorrise in imbarazzo. Spike abbasso’ lo sguardo, cercando una qualsiasi scappatoia da quel vicolo che aveva imboccato.

Non voleva essere lui a dirle che era morta, dannazione!

Magari...magari glielo avrebbe detto...ma non ora...non ora...

Cerco’ una cosa qualsiasi nella sua mente. Una fresa qualunque...la trovo’, e vi si aggrappo’ con tutte le sue forze.

- Sembri stanca...dovresti riposare. –

Buffy annui’. Fece per uscire dalla cripta, seguita dallo sguardo apprensivo di Spike, quando si fermo’.

Si giro’. Pianto’ i suoi occhi verdi in quelli azzurrissimi di Spike. Cerco’ le parole adatte. Le trovo’.

- Posso restare qui, stanotte? Se Dawn non riuscisse a vedermi...credo che sarebbe troppo, per me... –

Spike, ancora mezzo tramortito e completamente tremante, le fece cenno di seguirlo al piano di sotto.

Le indico’ il letto, ancora senza parlare, e poi risali’ lentamente le scale. Non poteva restare li’. Doveva riflettere. Respirare aria di fuori...o sarebbe impazzito. Se gia’ non lo era.

- Buonanotte. –, senti’ la sua voce scandire piano la parola.

Si giro’ verso di lei, e ripete’

- Buonanotte. –

Poi scompari’ oltre la botola nel pavimento.


Si sveglio’ la mattina dopo. Doveva essere piuttosto tardi, poiche’ il sole che filtrava flebile dalle feritoie era quasi al centro della volta chiara del cielo. Sentiva la testa che gli scoppiava.

Si alzo’ dalla poltrona sulla quale s’era addormentato, Spike, e, lentamente, scese di sotto.

Le scale scomparivano leggere sotto i suoi stivali neri. Lo spolverino frusciava leggero, illuminato da riflessi di luce.

Scese al piano di sotto. Ma Buffy non c’era. Di lei, nessuna traccia.

Lo sconforto gli serro’ la gola, quando credette di essere giunto all’unica conclusione possibile.

Buffy non era mai stata li’. Ne’ lei, ne’ il suo fantasma.

Trattenne le lacrime, mollando l’ennesimo pugno contro un muro che da ventotto giorni sopportava paziente l’ira funesta del vampiro.

- Maledizione! Devo proprio smetterla di bere! –

Si calo’ lo spolverino sulla testa, ed usci’ nel sole del mattino. Voleva andare al Magic Shop.

A dare fastidio.

A farli innervosire.

A rendersi ridicolo.

A rendersi insopportabile.

Era l’unica cosa che gli veniva in mente di fare, in quel momento.

Arrivo’ al negozio con le mani percorse da piccole pustole bruciacchiate alternate con brutti graffi colorati d’intonaco bianco e polvere di mattoni.

Stava per aprire la porta, quando la vide.

Buffy.

Stava li’, al centro del negozio, quasi in lacrime, tentando in tutti i modi di farsi riconoscere. Si sbracciava cercando d’attirare l’attenzione, ma nessuno s’accorgeva della sua presenza.

Faceva male al cuore, vederla cosi’. Spike sorrise mestamente, ed entro’.

- Salve a voi, salvatori del mondo... –

Xander nemmeno si giro’. Solo Buffy, tra tutti, lo fece. Lo guardo’ negli occhi, sforzandosi per impedire alle lacrime di rigarle il viso.

- Vattene, Spike... –

- Che c’e’, Xander, ti sei svegliato dalla parte sbagliata del letto sbagliato? –

Il ragazzo bruno non raccolse, limitandosi a fissarlo con aria severa. Anya lo imito’, seguita dal signor Giles. Buffy corse verso di lui, affiancandoglisi. Lui, senza farsi notare, le fece cenno di seguirla.

- Capito... –, disse con aria rassegnata.

Alzo’ le spalle, apri’ la porta ed usci’, seguito da Buffy.

Non disse una parola per tutto il tragitto. Semplicemente lo segui’, fino a quando non vide la porta della cripta aprirsi. Vi si fiondo’ dentro e, forse aiutata dalla semioscurita’, si prese il viso fra le mani e scoppio’ in singhiozzi.

Singulti disperati le uscivano fra le labbra.

Spike si senti’ inutile ancora una volta. Cosa mai poteva fare? Dirle la verita’? Si’, forse era il momento.

Cosi’ si sarebbe distrutta...

Puo’ un fantasma distruggersi?

Allungo’ una mano per sfiorarle una spalla, ma lei si scosto’ bruscamente.

- Non toccarmi! –

La guardo’, cercando uno spiraglio in quella muraglia di dita che gli nascondeva quegli occhi stupendi.

- Buffy, io...credo di sapere come ti senti... –

Ignorato da tutti, oh, credo di sapere come ci si sente!

Quando nessuno si accorge che stai facendo tutto il possibile, anche se questo significa fare l’impossibile, e, diavolo, no, proprio nessuno riesce a capirlo, e ti trattano come se non esistessi, come se fossi solo fatto d’aria...si’, decisamente lui aveva un po’ d’esperienza, al riguardo.

- Cosa mi e’ successo per diventare cosi’? -, urlo’, stringendosi il viso fin quasi a graffiarlo.

Lentamente, con cautela, Spike sposto’ quelle dita da quel volto, liberando le guance arrossate e gli occhi gonfi. Sospiro’.

- Non lo ricordi, vero? –

- No. –

Perche’ toccava a lui? Perche’ i compiti cosi’ difficili e delicati toccavano a lui? Non ce l’avrebbe fatta.

Sarebbe impazzito prima di dirglielo. O sarebbe scoppiato a piangere, rendendosi ridicolo. O sarebbe morto.

O tutt’e tre le cose...

- Buffy, tu...ti sei gettata dalla torre. In quella bolla di luce... –

Si fermo’, come cercando da lei una conferma. Un aiuto, uno sguardo, qualunque cosa potesse rendergli meno penoso quanto l’aspettava.

Lei annui’, asciugandosi altre lacrime con l’orlo della maglietta.

- Si’...questo lo ricordo. –

Il respiro gli manco’. Solo in un secondo momento si ricordo’ che i suoi polmoni avevano smesso di filtrare aria centoventi anni prima.

Ma mai se ne accorse come in quel momento. Mai come in quel momento si rese conto che un bel respiro profondo l’avrebbe aiutato.

Ma lui non aveva bisogno di respirare.

L’unica cosa di cui aveva bisogno era un qualcosa, qualunque cosa che l’aiutasse a dire a Buffy cio’ che doveva dirle.

Perche’ era terribilmente difficile.

Dire ad un morto che e’...morto.

- Ti sei buttata nel portale, Buffy. E...no, non ce la faccio... –

Si prese il viso tra le mani, Spike, ma non per piangere, no. Solo per nascondersi il viso.

Solo per chiudere gli occhi e non vedere quelli di Buffy che lentamente avrebbero capito, ed allora avrebbero pianto.

Avrebbero pianto tanto perche’ lui non aveva mai conosciuto una persona viva quanto lei.

Non aveva mai conosciuto una Cacciatrice cosi’ attaccata alla vita. Una Cacciatrice che non aveva nessuna voglia di morire.

E toccava proprio a lui, lui che l’amava, lui che era gia’ morto da tempo, e non aveva bisogno che nessuno glielo dicesse, toccava proprio a lui dirglielo.

E avrebbe dato tutto cio’ che aveva per non farlo.

Buffy lo scosse per le spalle.

- Che cosa mi e’ successo, Spike? Parla! Ti prego, io voglio capire! –

Respiro’ a fondo, o forse fu solo un singhiozzo, e poi, tra le mille parole ed i mille discorsi, le parole gli uscirono dalle labbra come un fiume in piena. E non avrebbe potuto fare niente per fermarle.

- Sei morta, Buffy! Ti sei lanciata nel portale...e quando sei atterrata...eri morta... –

Buffy si blocco’ di colpo. Smise persino di respirare. Si porto’ una mano alla bocca, gli occhi sbarrati e lucidi di lacrime. Si alzo’, allontanandosi barcollando da Spike. La voce, quando parlo’, le usci’ stridula e malferma. Una cosa terribile.

- Stai mentendo! Non e’ vero! Non puo’ essere vero! Stai mentendo! Non hai mai fatto altro in vita tua! –

Spike alzo’ il viso verso di lei, incrociando i suoi occhi. Stava aggrappandosi a quel filo di speranza con tutte le sue forze.

Si era convinta, in ogni angolo di se’ stessa, che lui le stesse mentendo.

Ma non sarebbe passato ancora per bugiardo...

- E’ cosi’, anche se e’ terribile, e’ cosi’! Ed io probabilmente riesco a vederti perche’ sono gia’ morto...Buffy non ti sto mentendo...credimi, darei qualsiasi cosa perche’ tutto questo fosse una bugia...ma e’ la verita’...sei morta, quel giorno alla torre... –

Ma lei gli si avvento’ contro, cominciando a prenderlo a pugni, graffiandogli il viso con le unghie, piangendo e gridando al tempo stesso. Prendendo a pugni la verita’, convincendosi che non foss’altro che una malvagia bugia, un’incubo, qualsiasi cosa.

Gridando, gridando, gridando...per sovrastare le voci nella sua testa. Che dicevano “E’ vero, e’ cosi’”...

- No! Non e’ vero! Non puo’ essere...perche’ mi stai dicendo questo? Sei solo un dannato bugiardo! –

Stringendo i denti, Spike fermo’ il suo pugno a mezz’aria. Non l’avrebbe chiamato bugiardo anche stavolta.

Non glielo avrebbe permesso.

Non si sarebbe sentito calpestato ancora una volta.

Le avrebbe dimostrato che stava dicendo la verita’.

Una volta e per tutte.

- Ho visto la tua tomba! Sono stato al tuo funerale! Ho pianto per te, maledetta stupida! Piango ogni notte, per te! Io... -, si blocco’, ma solo per fermare il tremito delle sue mani. Strinse piu’ forte il braccio di Buffy, trascinandola oltre la porta della cripta. – Vieni con me... –


La trascinava sotto il sole del pomeriggio impietoso di Sunnydale. Anche da sotto la coperta faceva un male d’inferno.

Sembrava di esserci, all’inferno. Qualcosa di caldo e spaventoso, una lama arroventata oltre la carne, qualcosa che ti grattava via la vita, qualcosa che ti stringeva la pelle riducendola a scaglie di sofferenza.

Fortunatamente il percorso fu piuttosto breve.

Lapidi di marmo scorrevano veloci sotto gli occhi di Spike, mentre trascinava Buffy attraverso il cimitero.

Il vampiro non si fermava un secondo. Sapeva esattamente dove andare. Aveva passato intere notti chino su quella lapide, rileggendo le parole ad una ad una, fino a scolpirle nella mente, ogni lettera, ogni sillaba.

E, infatti, inevitabilmente, anche quella lapide gli sfilo’ sotto gli occhi.

E lui si fermo’.

Quella corsa folle s’interruppe.

E lui lascio’ andare il braccio della Cacciatrice.

Si sistemo’ all’ombra di un albero lontano solo pochi metri, e, finalmente, pote’ togliersi la coperta dalla testa. Guardo’ verso la lapide. E cio’ che vide gli strinse il cuore in una morsa gelida.

Buffy si guardo’ intorno, spaesata. Non capiva. Non riusciva, o non voleva capire.

Poi abbasso’ lo sguardo verso terra, su una lapide di marmo che sembrava nuova. Il sole vi batteva sopra, impedendole di leggere il nome inciso in rilievo. Si chino’, presa da una paura e da un tremito mai provati, e, lentamente, lesse quel nome.

Il suo.

Buffy Anne Summers, 1981 – 2001.

Fu come prendere un calcio dritto in petto. Qualcosa che ti toglie il respiro, cosi’, subito, senza mezzi termine, lo porta via e basta, e ti lascia stordita, ad un passo dallo svenimento, col mondo attorno che improvvisamente perde la forma e diventa un enorme buco nero, e tu ci sei proprio in mezzo, e immagini di correre per sfuggire, ma non puoi, non c’e’ via d’uscita, qualcosa che ti possa portare via, niente.

Solo un dolore sordo, qualcosa che ti tira da dentro, come se ti stessero strappando le viscere una ad una con pinze arroventate...

Solo una lapide di marmo, un mucchio di terra, una manciata di lettere...ed un pensiero:

Li’ sotto ci sono io...

E’ insopportabile, magari uno la legge su un libro, una cosa del genere e pensa che in fondo non sia niente, e’ li’ che si drammatizza tutto, perche’ si sa che i libri enfatizzano ogni cosa, ed invece e’ ancora peggio, perche’ una cosa cosi’ nemmeno la si puo’ descrivere, guardare in un cimitero una lapide di marmo con una manciata di parole incise sopra e pensare

Ci sono io, li’ sotto...

Ci sono io li’...

Ci sono io...

Io...

Io...

Lei che invece e’ li’, sull’erba, ai piedi di quel cumulo di terra smossa, un po’ rialzata, ecco (incredibile come in certi momenti non si smetta di notare i particolari, questo e’ incredibile...), un cumulo di terra e sotto una tomba, e dentro un corpo, e dentro tu...

Una lapide e dentro la terra e dentro una tomba e dentro una bara e dentro un corpo e dentro tu...

Una lapide e dentro la terra e dentro una tomba e dentro una bara e dentro un corpo e dentro tu...

Una cosa da niente a pensarla, davvero, sono solo parole, solo qualche immagine, una cosa da nulla, eppure se sai di esserci tu in quella lapide e dentro la terra e dentro una tomba e dentro una bara e dentro un corpo e dentro tu...

Allora, se sai di essere tu, bhe...e’ diverso, la cosa da niente scompare e arriva qualcosa di troppo grande, qualcosa che un cuore umano non puo’ contenere, e cosi’ sembra espandersi per chilometri e fa un male d’inferno, davvero, una cosa che e’ come se ti tirino da dentro finche’ non ne puoi piu’ e sai che stai per esplodere, ed allora ti si ritira il cuore e diventa come un frutto rinsecchito, piccolo e scuro, ferito, vuoto dentro perche’ troppo pieno...

Il respiro manca, e’ come fuggito, non lo trovi, non ti riesce proprio di trovarlo, dentro te stessa, nell’aria, e’ come volato via, inseguendo quella fragile vita che scappa di fronte una realta’ che fa cosi’ male come se ti avessero rotto qualcosa dentro, questo e’ terribile, come se ti avessero aperto e rotto qualcosa dentro a furia di bastonarti.

Cosi’ si sentiva Buffy.

Tutto questo, sentiva.

Solo, triplicato.

Perche’ certe cose, no, non le puoi contenere nelle parole.

Certe cose fuggono dalle parole, sono come il vento, non le puoi vedere, certe cose, ma sai che ci sono.

Come il vento.

Come l’amore.

Come il dolore.

Come la paura e lo sgomento.

Come guardare una lapide e pensare

Ci sono io li’ sotto...

Si porto’ le mani alla bocca, Buffy, quando si rese conto di potersi muovere ancora.

E successe dopo un’eternita’ che altro non era che mezz’ora, ma a stare li’ di fronte una tomba che e’ la tua tomba, a stare li’ si pensa che e’ molto di piu’, un’eternita’, forse, un’eternita’.

Solo che aveva le lacrime pietrificate, Buffy. Voleva piangere, perche’ come si puo’ non piangere, quando sei tu a morire?

Quando ti rendi conto che anche se poggi i piedi su un prato, in realta’ sei sotto tre metri di terra, chiusa in una cassa di legno...

Pero’ le lacrime sono strane. Quando piu’ vuoi piangere loro non scendono. E’ come se non trovassero la strada, in tutta quella confusione.

Come se gli occhi te li sentissi dappertutto, e le lacrime si confondono e non sanno piu’ dove andare.

O forse anche loro, anche loro hanno capito che succede, e si sono bloccate, come Buffy s’e’ bloccata, guardando una lapide di marmo con una manciata di parole incise sopra e pensando

Ci siamo anche noi li’ sotto...

Crollo’ in ginocchio, la Cacciatrice.

Le gambe, d’un tratto, semplicemente, cedettero. E cadde in ginocchio, su quel mucchio di terra che ospitava il suo corpo, la’ sotto, da qualche parte.

Cadde in ginocchio, ma senza piangere, senza un lamento. Senza un rumore.

Gli occhi muti e sbarrati e il corpo che tremava terribilmente, nemmeno avesse preso la scossa.

E fu allora, dopo un’eternita’ che era solo una mezz’ora, che Spike, col cuore in gola ed i pugni tremanti, le ando’ incontro, lentamente, per non spaventarla, per non strapparla troppo bruscamente al mondo in cui la sua piccola mente era fuggita.

La prese per le spalle e, gentilmente, la sollevo’, facendo cosi’ poco rumore, in tutto questo, che sembrava fosse l’aria a sollevarla.

Una lapide e dentro la terra e dentro una tomba e dentro una bara e dentro un corpo e dentro tu...

Spike le passo’ un braccio attorno alle spalle, mentre lei sbatteva le ciglia ed in qualche modo cercava di non impazzire e, incredibile, incredibile, non impazzi’.

Dolcemente, come guidati dall’aria, scivolarono –non era quello un camminare, no, solo scivolare...-, fin nella cripta, di nuovo nella consolatoria penombra.

Fu li’ che Buffy si sedette –da sola, questo e’ incredibile...-, si sedette su una poltrona, si abbraccio’ le ginocchia, guardo’ Spike, poi la porta, poi Spike e disse

- Sono morta... –

Ma dolcemente. Bisogna immaginarselo, detto dolcemente

Sono morta...


(Continua...)