WHEN THE MUSIC MOVES THE SOUL

 

AUTRICE:ROSY

(quando la musica fa vibrare le corde dell'anima)

 

 

Londra – 1952

 

Le strade sono piene di gente in questo periodo dell’anno. Forse è l’avvicinarsi delle feste natalizie che li obbliga ad uscire dal loro letargo o forse, non so, solo la solitudine che è racchiusa tra le loro mura domestiche, personalmente il caos mi rende nervoso e così affretto il passo, odio le feste natalizie, odio i regali, lo scambio degli auguri e dei falsi sorrisi. Vi starete chiedendo il motivo, beh, non ce n’è uno in particolare, sono solo fatto così… Va bene, mi avete scoperto… il motivo non è “solo” che io sono fatto così, c’è dell’altro ma non è ancora giunto il momento di raccontarlo. Mentre cammino sento un vecchio brano, sdolcinato e natalizio, in lontananza, fortunatamente sono quasi davanti al mio ufficio. Mi avvicino alla scalinata del palazzo che ancora sto imprecando sottovoce, salgo gli scalini e mi volto per dare un’ultima occhiata alla gente che si accalca davanti ai negozi che stanno per chiudere. Vi sembra strano vero? Strano che io mi stia recando nel mio ufficio a questa ora tarda nella quale, solitamente, si termina il turno? Per spiegare il motivo di questo mio insolito orario dobbiamo tornare indietro nel tempo, esattamente di due mesi.

 

Era una bella mattinata di un lunedì qualsiasi, era novembre ed in quei giorni il freddo non era ancora arrivato alle solite temperature pungenti. Mi recai in ufficio di buon ora, entrai ed il gelo della piccola e buia stanza m’investì nonostante le finestre fossero ben chiuse. Mi tolsi lo spolverino che indossavo e lo appesi distrattamente all’appendiabiti accanto alla porta. Avete ragione, non vi ho ancora detto che lavoro faccio, ma prestate attenzione al mio racconto e tutto vi verrà svelato. Allora, stavamo dicendo? Ah sì, dicevo che avevo appeso lo spolverino all’appendiabiti e poi mi avvicinai alla scrivania a tentoni, era scuro e non vedevo quasi nulla, in verità non avevo pagato le bollette e così mi avevano tagliato l’elettricità, curioso no? Comunque quella è un’altra questione e non c’entra niente con la storia che vi sto narrando. Spalancai le persiane e la fioca luce del sole che cominciava ad alzarsi illuminò debolmente il mio ufficio. A dire la verità chiamarlo ufficio era un’esagerazione, in realtà non era nient’altro che uno stanzino con una polverosa scrivania, una sedia di legno, uno schedario che cadeva a pezzi ed, appunto, il vecchio appendiabiti che mi era stato lasciato dal precedente affittuario.

 

Beh, ora dovrei presentarmi credo. Quello che vedete seduto alla scrivania, con i piedi poggiati sulla superficie legnosa, come avrete già capito, sono io. Non ho gli occhi blu più incredibili che abbiate mai visto? Confesso che grazie a loro le donne cadono facilmente ai miei piedi, e, nel caso ve lo stiate domandando: no, non ne ho una fissa. Per quanto riguarda il colore dei miei capelli vi svelerò un segreto, sono io che me li tingo di nero, in realtà sarei castano e avrei i capelli ricci, ma così neri e tirati all’indietro mi piacciono di più anche se vi confesso che ho un amore sconfinato per il biondo platino ma, di questi tempi, mi prenderebbero per un omosessuale quindi, ahimé, ho dovuto rinunciarvi. Come potete notare adoro gli abiti scuri, il completo nero che indosso è uno dei miei preferiti, lo so, so che con la camicia bianca sotto la giacca sembro un becchino ma, d’altra parte, chi se ne importa dell’opinione degli altri? Comunque me ne stavo rilassato a farmi gli affari miei quando, dopo nemmeno un paio d’ore, sentii dei colpi sicuri alla porta.

 

- Se bussi così mi spacchi il vetro, cretino! – urlai da buon inglese quale sono. Solo girando lo sguardo vidi che l’ombra all’altro lato non apparteneva ad un uomo, come lo capii? Un uomo non avrebbe indossato un copricapo tanto vistoso, ecco il segreto. Subito tirai su il mio didietro e mi misi composto alla scrivania, ora l’ufficio era abbastanza illuminato e sinceramente mi vergognavo un po’ per il disordine, ma tenni fede a quello che vi dissi poco prima: chi se ne frega dell’opinione degli altri! Ancora due forti colpi alla porta e mi decisi a rispondere un seccatissimo e sgarbato “Avanti!”. E la donna, dall’altro lato della porta, che cosa fece? Mi rispose anche!

 

- Beh, non venite ad aprire Signore? Sareste davvero così scortese? – osservò la strega che dovetti ammettere aveva una voce veramente sensuale. Per la verità m’incuriosì il suo strano accento, sembrava stesse imitando quello inglese e non che lei fosse inglese

 

Sicuramente sarà una donna di mezza età che non sa come passare il tempo e non ha trovato di meglio da fare che venire a rompere le scatole a me’ pensai. Lasciai di malavoglia la mia adorata sedia, non che stessi lavorando o altro eh, ma mi scocciò ugualmente. Afferrai la maniglia con forza e la girai spalancando la porta, fu allora che mi persi… Dio non avevo mai visto degli occhi così verdi in tutta la mia vita e quello che stava loro attorno era ancora meglio, mi morsi il labbro inferiore senza accorgermene, mentre facevo vagare lo sguardo attentamente su tutto il corpo della giovane donna che era davanti a me, tracciandone ogni curva, ogni linea, tutto. Bionda, non molto alta, ma dalle forme perfette e giovane, forse un po’ troppo giovane per me, ma lì per lì non mi posi nessuna domanda troppo intento a riempirmi gli occhi di lei. Fu lei appunto a ridestarmi dai miei pensieri.

 

- Signore? Mi fareste entrare per cortesia? – mi chiese con una punta d’urgenza nella voce, sembrava avesse davvero fretta. Fu così che mi spostai e, con un inchino leggermente esagerato, le feci segno di accomodarsi.

 

- Prego Milady, siate mia ospite – le dissi e lei si accomodò… sulla mia sola ed unica sedia, imprecai sottovoce notando però che era veramente incantevole seduta compostamente nel suo tailleur azzurro. Si tolse il cappello e mi accorsi che i suoi capelli lunghissimi e biondi, sapete di quella tonalità che assume il grano quando è baciato dalla luce d’estate, erano stretti in un austero chignon. Si tolse il soprabito nel frattempo e se lo poggiò sull’avambraccio.

 

Peccato’ pensai ‘Adoro i capelli sciolti che mi solleticano il petto mentre…’ cercai di controllarmi, quella donna mi stava facendo girare la testa; forse dipendeva dal suo profumo dolce e inebriante che tali pensieri riempivano la mia mente. Chiusi la porta e mi misi davanti a lei poggiato contro lo schedario in attesa. Continuavo ad osservarla, in quel momento aveva gli occhi lucidi, come se volesse piangere e trovarsi ovunque e non lì con me, mi fece tenerezza e mi accorsi che il mio corpo si stava muovendo nella sua direzione, lo bloccai in tempo prima che lei alzasse i suoi meravigliosi occhi su di me. Ma dove l’avevo già vista?

 

****

 

Questo è il treno che mi riporterà a casa, quella casa che non vedo più da tanto tempo ormai, esattamente da tre anni. Quanto mi è mancata la mia patria, l’America con tutti i suoi meravigliosi colori e profumi: la mia terra… Intanto che il mio viso triste si riflette nel finestrino appannato sento le lacrime che bruciano per uscire, ma riesco a cacciarle via e la mia mente, rimasta per un attimo senza controllo, si tuffa nei ricordi ripercorrendo la vita che condussi per quei tre, lunghi anni.

 

Arrivai a Londra giovanissima, piena di desideri e di aspettative. Ero un’artista, se così mi posso definire. Amavo cantare ed ero certa che lì avrei trovato quello che cercavo: soldi e fama. Purtroppo dopo varie ricerche non trovai niente di meglio che ballare e cantare in un locale poco raccomandabile giù a Stansted, in pochi mesi avevo capito quanto si potesse odiare un luogo. La sera, truccatissima, andavo in scena vestita succintamente e cantavo; quando lo facevo la mia mente vagava lontano trasportata dalla musica e poco importava cosa io stessi in realtà cantando, le note mi accompagnavano in posti meravigliosi. Quando chiudevo gli occhi rivedevo mia madre e mio padre, i miei amici, la mia casa, la mia terra e sentivo il mio spirito che si elevava e li raggiungeva carezzandoli, cullandomi nei miei affetti lontani finché la musica non cessava e mi sbatteva in faccia la realtà. Il proprietario del locale mi disse un giorno che c’era una gran festa alla villa di un riccone e che questo signore aveva chiesto espressamente di me. Ricordo che in quel momento fui assalita da una felicità mai provata fino ad allora da quando mi trovavo lì, ma subito questa crollò: che cosa mai si sarebbe aspettato da me? Desiderava davvero solo avermi come artista o voleva qualcosa in più?

 

Fu così che rifiutai, ma il giorno successivo venni raggiunta nei camerini dal padrone del locale.

 

- C’è una persona che desidera incontrarti… Cerca di essere gentile, è molto importante per noi! – m’informò Mr. Hope. Io rimasi irrequieta, ricordo che mi vestii in fretta e che, accaldata, mi controllai capelli e trucco prima che la porta si aprisse rivelandomi uno sconosciuto. Rimasi per un attimo senza fiato; dato che ero molto giovane non avevo visto molti uomini in vita mia come dal mio arrivo a Londra, eppure quell’uomo aveva qualcosa che mi colpì subito: due occhi neri e puliti, che la maggior parte di quelli che mi giravano intorno non avevano. Avevo da poco compiuto i sedici anni e quella fu la prima volta che m’innamorai. Nel giro di un anno Liam divenne mio marito, lui era molto più grande di me, aveva già compiuto i ventiquattro anni ed era il figlio del deputato della Camera, perciò la sua famiglia era la più ricca e quella più in vista di tutta Stansted. Venni educata e istruita come da etichetta malgrado ciò Liam, che amava vedermi sul palco, dopo qualche mese mi portò a Londra dove fece di me una stella acquistando un intero locale. Divenni la star incontrastata di quest’ultimo, ogni sera cantavo per la Londra bene anche se tutto era troppo bello per durare.

 

Infatti imparai a mie spese che la ricchezza e la fama non camminano di pari passo alla felicità. Mio marito, che all’inizio era sempre in prima fila per applaudirmi e per ribadire il possesso esclusivo che aveva sul locale e su di me, pian piano diradò le sue visite. Mi accorsi che alle volte gli uomini mi guardavano con desiderio mentre le donne con biasimo e non riuscivo a capirne il motivo. Liam intanto tornava a casa sempre più tardi, sempre di più fino a quando non iniziò a passare anche delle notti fuori casa; io restavo sempre in piedi ad aspettarlo invano fino a che il sonno non mi assaliva ed esausta, all’alba, mi addormentavo. Tutte le volte che mi svegliavo non lo trovavo mai accanto a me; c’era però sempre il buon Steven, il maggiordomo, che mi avvolgeva in una coperta quando mi scopriva addormentata sul divano. Tutto questo inferno durò un anno e mezzo e, come regalo per i miei diciannove anni, seppi che lui mi tradiva. Non volevo crederci, Lady Darla non avrebbe dovuto confessarmi una cosa del genere proprio il giorno del mio compleanno; piansi tutte le mie lacrime ma decisi di non dire nulla a mio marito. Continuai ad esibirmi e finalmente trovai le risposte a quegli sguardi di biasimo, a quegli sguardi lascivi; dunque era vero: mio marito mi tradiva! Mi ritenevo una donna forte e quindi non feci nessuna scenata, non cambiai il mio modo di comportarmi con lui, non feci nulla. Ma non dovete pensare che non lo feci per amore o per altro, lo feci per orgoglio e perché volevo che lui sprofondasse, che perdesse la faccia davanti a tutti. Ormai aveva l’età giusta per candidarsi al posto di suo padre e l’avrei colpito proprio durante le elezioni, l’avrei distrutto ed ecco che l’occasione che cercavo mi si presentò una sera. Stavo cantando al solito una vecchia canzone d’amore triste, avvolta in un abito nero e lungo, ed un uomo, seduto in disparte in un angolo del locale, catturò i miei occhi.

 

Amado Mio

Amore mio

Love me forever

Amami per sempre

and let forever begin tonight

lascia che per sempre cominci stasera

 

Amado Mio

Amore mio

when we're together,

quando siamo insieme,

I'm in a dream world,

sono in un mondo di sogni,

of sweet delight.

di dolce piacere.
Many times I've whispered

Tante volte ho sussurrato

Amado Mio

Amore mio

Aveva i capelli neri tirati all’indietro ed un bel viso, ma la cosa che mi colpì furono le sue lacrime.

 

It was just a phrase,

Era solo una frase,

that I heard in plays,

che ho sentito nelle recite,

I was acting a part

stavo recitando una parte

But now when I whisper

Ma ora quando sussurro

Amado Mio

Amore mio

Can't you tell I care,

Non puoi dire che mi preoccupi

from the feeling there,

del sentimento che c’è,

for it comes from my heart

che arriva dal mio cuore

 

Mentre cantavo lui piangeva con gli occhi chiusi, abbandonandosi alle mie parole, alla mia voce, rapito dalla musica così come lo ero io. La poca luce del locale non mi permetteva di vedere altro, ma sentii chiaramente due uomini confabulare tra loro e far segno verso quell’uomo, smisi di guardarlo e spostai la mia attenzione su quei due, faticando ad andare avanti con la canzone.

 

My one endeavour

Il mio solo tentativo

my love, my darling,

mio amore, mio caro

would be to hold you

sarebbe quello di tenerti

and hold you tight

e tenerti stretto

 

Amado Mio

Amore mio

Love me forever

Amami per sempre

and let forever begin tonight

e lascia che per sempre cominci stasera

 

- Guarda è William Harrington! Quella specie di giornalista da strapazzo che non è mai riuscito a scrivere un pezzo decente dico bene? – chiese uno dei due all’altro, dandogli una gomitata per farlo voltare in direzione dell’uomo.

 

- Sì, esatto! Ora però non fa più il giornalista, credo cerchi di fare il detective o qualcosa del genere, so che va in giro a fare foto su commissione… Che fallito! Dopotutto è degno figlio di sua madre… – dichiarò l’altro risoluto, poi risero sommessamente. Recitato l’ultimo fraseggio della canzone mi mossi a ritmo della musica lievemente.

 

Amado Mio

Amore mio

Love me forever

Amami per sempre

and let forever begin tonight

e lascia che per sempre cominci stasera

 

Finii così il motivo e, quando spostai gli occhi nell’angolo in cui lo avevo visto, lui non c’era più. Conoscevo però il suo nome: William Harrington. A quando pare, per mia fortuna, era anche conosciuto in città e non avrei faticato a ritrovarlo: dovevo offrirgli un lavoro. Sorrisi tra me e me a quell’idea.

 

La settimana successiva non mi fu possibile recarmi dal signor Harrington perché mio marito era stranamente calmo e guardingo nei miei confronti, come se avesse intuito le mie losche intenzioni. Poi finalmente passò una delle sue notti fuori così, la mattina, potei alzarmi di buon ora ed uscire alla ricerca dell’ufficio di quel fotografo. Girai per un po’ in città e finalmente, dopo aver chiesto a molte persone, lo trovai. Era situato in un palazzo non molto moderno tanto che da una parte cadeva quasi a pezzi. Ricordo che mi guardai attorno, non c’era molta gente in strada, sospirai e spinsi la grossa porta di legno dell’entrata. L’ufficio era situato al terzo piano: naturalmente niente ascensore. Salii tutti quegli scalini e, arrivata in cima, dovetti riprendere fiato prima di bussare… prima di trovare il coraggio di farlo. L’immagine di lui in lacrime ancora mi turbava, comunque raccolsi tutte le forze e bussai energicamente.

 

- Se bussi così mi spacchi il vetro, cretino! – sentii urlare dall’altro lato della porta, per un attimo rimasi attonita: non era esattamente il tipo d’uomo gentile che mi aspettavo; sentii nel mentre dei rumori strani provenire dall’interno. Bussai di nuovo ancora con più energia ed insistenza.

 

- Avanti! – disse la voce scortesemente. ‘Ma come diavolo si permette di trattarmi così?’ pensai, così gli risposi.

 

- Beh, non venite ad aprire Signore? Sareste davvero così indelicato? – osservai imitando un accento inglese che non mi apparteneva; avevo infatti ancora quello deciso della California, ma sperai che lui non lo notasse. Sentii altri rumori provenire da dietro la porta e dei passi pesanti raggiungerla, poi questa si spalancò e davanti avevo l’uomo che avevo scorto quella famosa sera. Notai che aveva i lineamenti del viso tesi ed i suoi occhi; dio che occhi incredibili! Erano di un blu intenso, vivi e vibranti, come non ne avevo mai visti. Questi presero a vagare sul mio corpo e mi scoprii arrossire sotto quello sguardo indagatore, intanto che il battito del mio cuore accelerava leggermente, mi accorsi che si morse il labbro inferiore e questo mi mise in agitazione così provai a parlare.

 

- Signore? Mi fareste entrare per cortesia? – gli chiesi cercando di fargli notare la mia premura. Lui si spostò e, facendo uno strano inchino, mi fece accomodare.

 

Entrai nell’ufficio, era molto spoglio e vidi che c’era una sola sedia, mi diressi verso questa e mi accomodai con compostezza posandomi la borsetta sul grembo e togliendomi, successivamente, il cappello poggiandolo sopra di essa.

 

William, dopo aver chiuso la porta, si appoggiò allo schedario; sentii subito il suo sguardo sopra di me e di nuovo, proprio come poco prima, udii il mio battito accelerare ed un rossore colorarmi lievemente le guance. Ripensai al motivo per il quale mi trovavo lì e, dato il mio nervosismo, sentii le lacrime bruciare dietro ai miei occhi; ero davvero agitata e lui non accennava a dire nulla, lo sentii solo mentre si spostava e si fermava subito dopo.

 

Alzai lo sguardo su di lui che mi fissava con il capo inclinato e mille domande negli occhi.

 

****

 

Alzò lo sguardo su di me e mi colse in flagrante mentre la osservavo con la mia più curiosa espressione, molte domande si affollavano nella mia mente; cercavo soprattutto di capire dove l’avevo già vista. Sul volto aveva un trucco leggero che ben si addiceva al suo viso giovane e curato, tutto in lei però emanava nervosismo e tristezza, o almeno fu quello che il suo corpo ed i suoi occhi mi sussurrarono. Sospirai e mi sedetti sulla scrivania a poca distanza da lei che continuava a guardarmi tormentando l’orlo del suo cappello con le dita, camuffando in malo modo il suo disagio.

 

- Allora Miss… - lasciai la frase in sospeso di proposito in modo che mi dicesse il suo nome… Dio, volevo saperlo.

 

- Anne Summers – mi rispose, lo presi per buono e continuai.

 

- Bene, allora Miss Summers, cosa vi porta da me? – le domandai facendole uno dei miei sorrisi migliori anche se avrei voluto farle una valanga di domande; il mio corpo era scosso, come febbricitante, volevo sapere tutto di lei e subito, ma dovetti mio malgrado controllarmi. Lei abbassò lo sguardo e fissò i suoi splendidi occhi sul pavimento.

 

- Io… - sospirò – Ho bisogno dei vostri servizi Will… signor Harrington – si corresse immediatamente; dunque per lei ero già “William”, me ne rallegrai.

 

- Ditemi che problema vi affligge e vedremo cosa fare Miss – la esortai a continuare, sembrava titubante e questo mi dette un po’ fastidio, avrei voluto che si rilassasse.

 

- Io ho bisogno che voi fotografiate un uomo per me – confessò sommessamente, quasi vergognandosi di quello che stava chiedendo. Mi schiarii la voce e catturai la sua attenzione, le sorrisi ancora.

 

- Bene Miss, che tipo di foto? E chi è l’uomo? – tentai d’informarmi, lei tornò a fissare il pavimento, ormai il cappello era quasi del tutto stropicciato, non aveva smesso di maltrattarlo nemmeno per un minuto.

 

- L’uomo è il candidato alla Camera dei deputati, il signor Liam Blakes e le foto devono essere scattate mentre lui… mentre lui è… - scoppiò a piangere in quel momento e agitò le mani in aria – Con la sua amante! – urlò, poi incrociò le braccia e le mise sul mio tavolo, sprofondandovi il viso e cominciando a singhiozzare senza sosta. Provai rabbia, per quale motivo piangeva? E chi la faceva piangere in quel modo? Chi poteva essere così crudele? Quell’uomo era dunque il suo amante? Lo conoscevo di fama e sapevo che era sposato così mi sembrò naturale credere che lei fosse una delle sue conquiste. Il sangue mi ribollì nelle vene vedendola in quello stato. Scesi dalla mia postazione e aggirai il tavolo accovacciandomi accanto a lei, con una mano iniziai a carezzarle la schiena, com’era calda e com’era profumata la sua pelle, potevo sentirla sotto di me attraverso la stoffa del tailleur.

 

- Calmatevi ora… Se vi può consolare, accetto il lavoro! – le dissi dolcemente e con un po’ troppo entusiasmo nella voce, subito lo camuffai alzandomi in piedi e tossicchiando per smorzare l’emozione che mi aveva provocato l’averla vicina.

 

****

 

Dovetti sembrargli una stupida, seduta in quel modo mentre tormentavo il mio povero cappello, persa nei miei pensieri.

 

- Allora Miss… - mi disse con quella voce dolce e calda, mi smarrii per un attimo ascoltandola.

 

- Anne Summers – risposi tutto d’un fiato evitando accuratamente di pronunciare il mio cognome da sposata, in città ero meglio conosciuta come Elizabeth “Buffy” Anne Blakes, stranamente mi ero sentita obbligata di nascondere il mio stato civile. Se gli avessi detto che mi chiamavo Buffy avrebbe sicuramente capito che ero la donna che cantava nel locale più chic della città e sarebbe poi arrivato a comprendere che ero la moglie di Liam. Avevo scelto un trucco leggero apposta in quanto, giù al locale, ne avevo uno più pesante; gli abiti lunghi ricoperti di paillettes, che usavo al locale, li avevo sostituiti con il mio tailleur più castigato ed avevo i capelli raccolti. Sicuramente non avrebbe capito. Ero inoltre molto fiera del mio falso accento che lui sembrava non avesse notato fosse tale.

 

- Bene, allora Miss Summers, cosa la porta da me? – mi chiese di nuovo, mi sorrise in un modo talmente aperto che quasi fui sul punto di dirgli tutta la verità. Invece abbassai lo sguardo e lo fissai sul pavimento cercando di calmare il mio cuore stranamente impazzito. Ogni volta che incontravo il suo sguardo mi ricordavo di quel viso disteso, rapito dalle note che riempivano il locale e di quelle lacrime… quelle lacrime che mi bruciavano dentro e che non riuscivo ad interpretare, di una cosa ero sicura: Liam non aveva mai pianto per una mia canzone. Mi dimenticai quasi che dovevo ancora rispondere alla sua domanda.

 

- Io… - mi sentii soffocare, sospirai – Ho bisogno dei suoi servizi Will… signor Harrington – stavo per fare un errore imperdonabile! Nei miei pensieri, da quella sera, lui era stato solo “William”, mai e poi mai il “signor Harrington” aveva invaso la mia mente; comunque lui non mi fece notare l’errore e si limitò a pormi un’altra domanda.

 

- Ditemi che problema vi affligge e vedremo cosa fare Miss – mi esortò gentilmente, io però mi vergognai da morire, avrei voluto scomparire in quell’istante anche se lui non sapeva che l’uomo di cui avrei parlato era mio marito.

 

- Io ho bisogno che voi fotografiate un uomo per me – ancora la sensazione di voler sparire mi colse, lui si limitò a schiarirsi la voce e così lo guardai: mi sorrise.

 

- Bene Miss, che tipo di foto? E chi è l’uomo? – cercava d’informarsi poverino, io invece di dargli retta rimisi lo sguardo sul pavimento, era impossibile per me sostenere i suoi occhi penetranti; mi resi conto anche che il mio sventurato cappellino stava passando un brutto momento, era talmente stropicciato che non avrei più potuto indossarlo. Decisi di concentrarmi su quest’ultimo in modo da non dover più alzare gli occhi su di lui, mi metteva in soggezione.

 

- L’uomo è il candidato alla Camera dei deputati, il signor Liam Blakes e le foto devono essere scattate mentre lui… mentre lui è… - ecco, in quel momento ricordo che mi resi conto di quello che mio marito faceva, non l’avevo mai confessato a nessuno: le sensazioni che scaturirono in me furono troppo intense e non riuscii a controllarmi, scoppiai a piangere come una bambina davanti a quell’uomo sconosciuto – Con la sua amante! – ricordo che urlai con tutto il fiato che avevo in gola, poi mi nascosi il volto tra le braccia incrociate sulla sua scrivania e continuai a singhiozzare vergognandomi anche, nello stesso tempo, del mio comportamento poco signorile.

 

Non lo sentii nemmeno avvicinarsi, me ne resi conto solo quando la sua mano cominciò a scorrere sulla mia schiena in segno di conforto ed il suo profumo avvolgermi. Il suo palmo emanava un calore così intenso che mi mandò un brivido lungo la schiena e quando mi parlò pensai a quanto ero stata sola in quei mesi. Inconsciamente lo desiderai.

 

- Calmatevi ora… Se vi può consolare, accetto il lavoro! – che tono dolce e gentile usò per me, per una donna che senza ritegno gli stava inondando la scrivania di lacrime, lacrime versate per un uomo che non mi meritava più. Non ne capii il motivo ma dopo un attimo tossicchiò e si alzò in piedi bruscamente. Mi ci volle un poco per abituarmi al distacco della sua mano e alla sensazione di calore che mi aveva trasmesso. Mi asciugai le lacrime ed alzai lo sguardo, lui era voltato e guardava fuori dalla finestra, la mascella serrata ed i pugni stretti, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Mi domandai perché si fosse arrabbiato.

 

****

 

Ricordo che in quel momento, mentre guardavo fuori dalla finestra senza vedere in realtà nulla di quello che avevo davanti, mi domandai se fossi improvvisamente diventato completamente pazzo. Ero attratto da quella donna che mi chiedeva di fotografare il suo amante che si sbatteva altre donne, potevo essere più folle? Non avevo nessuna intenzione di consolarla, eppure quel pianto mi aveva dato fastidio. E così mi ero ritrovato vicino a lei, sentendomi colpevole per la sua sofferenza solo per il fatto di essere uomo anch’io. Mi diedi del pazzo molte e molte volte prima di trovare la forza di voltarmi verso di lei, non la sentivo più piangere e infatti, quando mi girai, la trovai che mi osservava. Distolse lo sguardo e se non fosse stato per la posizione poco favorevole, avrei giurato che fosse arrossita lievemente. Inspirai profondamente e presi un foglio dallo schedario, dovevo prendere appunti se volevo avere sufficienti informazioni per trovare la carogna… ops… volevo dire il signor Blakes.

 

- Bene Miss Summers, mi dovreste dare più informazioni possibili in modo che io possa studiare i vari appostamenti, uhm… voi conoscete bene i luoghi che è solito frequentare il signor Blakes, dico bene? – domandai celando una fitta di gelosia scaturita dall’immagine di lei che si rotolava con quel tizio, Blakes appunto, in un letto lussuoso, un letto che io potevo ben lontanamente immaginare. La donna annuii leggermente sfuggendo il mio sguardo, quegli occhi, sì, quegli occhi li avevo già visti, ma dove? Quando? Perché mi suscitavano queste emozioni che mai avevo provato con nessuna delle donne che avevo frequentato? Già proprio quello mi stupì più di tutto, le altre io le avevo frequentate; lei no, eppure mi bastava starle così… semplicemente accanto per sentirmi scosso. Tossicchiai per mascherare il mio disagio.

 

- Benissimo! – la mia voce suonò stranamente stridula, ma cercai di continuare senza sembrare nervoso - Allora parlate in modo che io possa cominciare a studiare gli appostamenti… - la incitai. Lei tirò fuori un foglietto dalla borsa e me lo porse, lo presi tra le dita ed accadde, sfiorai la sua pelle vellutata. Non fu un tocco malizioso ma solo un leggero incontro guidato dal fato che si faceva beffa delle mie sensazioni, il bigliettino mi cadde ed i miei occhi si allargarono per la sorpresa. Subito m’inginocchiai per raccoglierlo, cosa che fece anche lei, e ci trovammo a pochi centimetri l’uno dall’altro; non riuscii ad impedirmi di fissare lo sguardo su quelle meravigliose labbra, appena messe in evidenza da un rossetto roseo, e mi sentii calamitato verso di loro. Potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle ed ogni spostamento d’aria bruciava su di essa, incontrai i suoi occhi verdi, persi come lo erano i miei, poi la vidi abbassarli per un solo attimo, ma non ebbi alcun dubbio in proposito: si erano soffermati sulle mie labbra e poi erano tornati ai miei occhi.

 

****

 

Quando uscii da quell’ufficio avevo il cuore in tumulto, forse perché mi ero trovata così vicina a lui, al suo viso. Il fatto era che le sue lacrime mi avevano talmente scosso che non riuscivo a calmare l’agitazione che avevo provato vedendolo e che provavo ancora ora intanto che l’aria fresca mi accarezzava il volto. Per un attimo, un brevissimo attimo mi sentivo di aver tradito mio marito, l’amavo ancora nonostante lui mi tradisse, eppure avevo desiderato assaporare le labbra di un altro uomo, di un uomo che piangeva per la mia musica. E se si fosse trattato solo di un caso? Se non stesse piangendo per la mia canzone, per la musica, ma solo per motivi a me ignoti? Mentre mi allontanavo a passo spedito, per evitare che Liam notasse la mia assenza, non riuscii ad impedire ai miei occhi di sollevarsi su quella finestra alla quale William si era affacciato, l’espressione dura, arrabbiato per non so quale motivo. I raggi del sole vi proiettavano l’ombra dell’altro palazzo, quindi non vidi niente, mi voltai, mi chiusi meglio il cappotto e percorsi la via cercando di non pensare a nulla.

 

Arrivai presto a casa, mi ero concentrata sulle vetrine per non pensare a William, mi ero trovata a pensare che era davvero un nome dolce che, forse, poco si addiceva ad un uomo così attraente. Con me era stato arrogante all’inizio, ma subito si era addolcito vedendomi in difficoltà, mi sentivo veramente sporca ad avergli mentito, ma non potevo sopportare l’eventuale sguardo di biasimo che mi avrebbe rivolto, nessuno doveva sapere che non ero capace di soddisfare mio marito e che questo doveva forzatamente cercare altrove quello che tra le nostre mura gli mancava. Il mio orgoglio di donna era ferito profondamente, mi era sempre sembrato che il nostro matrimonio funzionasse ed invece stava andando alla deriva senza che nemmeno me ne accorgessi, forse troppo presa dalla musica. Scacciai subito quel pensiero, ero sicura che la colpa non fosse la mia ma di Liam, ero sicura di aver cercato di soddisfare ogni sua richiesta, comprese quelle che mi rivolgeva tra le lenzuola. Mi ero donata completamente a lui, non poteva essere colpa mia, non doveva essere colpa mia.

 

Entrai in casa con un nodo in gola e gli occhi lucidi per le lacrime che non volevo far uscire, feci velocemente le scale e mi rifugiai nella mia stanza, nella stanza mia e di mio marito che tendevo a dimenticare da quando avevo incontrato quegli occhi blu intensi, capaci di leggermi dentro l’anima, e quelle labbra morbide e calde che avevano carezzato gentili le mie.

 

****

 

Sconvolto. Quella fu la parola che descrisse il mio stato d’animo in quel preciso istante, solo quando la porta sbatté mi resi conto che lei non c’era più, di lei rimaneva solo il dolce profumo, che aleggiava nell’ufficio, ed il suo calore, appena accennato, sulle labbra.

Mi alzai di scatto, sapevo che l’avrei potuta rivedere per qualche secondo se mi fossi affacciato subito, ed infatti la vidi, notai che alzò rapidamente lo sguardo verso la mia finestra e, con la punta delle dita, accarezzai la sua piccola immagine. Subito si voltò, aggiustandosi il cappotto, io malinconicamente l’accompagnai con lo sguardo e con il dito indice, finché non sparì tra la folla.

 

Non saprei dirvi chi dei due si fosse mosso per primo, posso solo dire che il mio cuore cessò di battere nel preciso istante in cui le nostre labbra si unirono in quel fugace atto. Non feci nemmeno in tempo ad assaporare la sensazione che lei non era più lì, mi chiesi se l’avrei rivista e quando perchè avevo bisogno di parlarle, anche se in realtà non me la sentivo: troppa paura delle risposte o, più verosimilmente, non avrei saputo che cosa dirle. La cosa sicura fu che quel lieve tocco mi aveva scombussolato come non mai, anche se la donna dalla quale in realtà mi sentivo attratto, era la donna che mai avrei potuto avere o toccare, il mio Angelo della Musica, colei che, grazie ad un debito, potevo andare ad ascoltare indisturbato nel locale più rinomato della nostra città. Ciononostante Anne aveva confuso, in pochi istanti, la mia vita. Inspirai profondamente quel poco del suo profumo che era rimasto nella stanza, sapevo che non avrei combinato nulla per tutta la giornata così presi il mio soprabito ed uscii senza una meta precisa.

 

****

 

Mi svegliai sentendo i passi incerti di Liam sul pavimento, fissai lo sguardo sulla porta che si aprì rivelando la sua figura imponente, che si stagliava sulla fioca luce delle candele poste accuratamente nei candelieri del corridoio. Si mosse lievemente come a non volermi destare, ma la sua camminata barcollante, dovuta ad un sicuro eccesso di alcool, lo fece sbattere all’angolo inferiore del letto. Lo ignorai e finsi di dormire, man mano che si avvicinava sentivo il puzzo del whisky vicino a me, prese a spogliarsi sedendosi poi sul bordo del letto ed infilandosi sotto le coperte con un mugolio che non mi piacque. Infatti, come volevasi dimostrare, sentii il suo braccio che mi cingeva la vita e mi attirava verso di lui, forse la sua amante non l’aveva soddisfatto e anche la sua mogliettina, in quel frangente, andava bene per dargli un contentino. Si sbagliò credendo che mi sarei concessa facilmente, per tutta risposta m’irrigidii all’istante e mi aggrappai alle lenzuola in modo che il mio corpo non aderisse al suo, in un disperato tentativo di non rotolare dalla sua parte e di dover eseguire il mio dovere di consorte. Purtroppo per me mi obbligò a voltarmi prendendomi per una spalla, vomitai quasi quando venni investita dal quell’alitata calda impregnato di spirito.

 

- Buffy… - mi chiamò con voce roca, conoscevo già la domanda racchiusa nel mio nome pronunciato con voce roca. Non volevo accettare, per una volta avrei fatto a modo mio!

 

- Sono stanca Liam, lasciami in pace! Io ho lavorato tutta la notte! – ribadii la mia posizione voltandomi in fretta dall’altra parte e riguadagnando il mio posticino sul bordo del letto, era troppo sconvolto per tener salda la presa sulla mia vita, in effetti era la prima volta che lo rifiutavo. Dopo qualche istante lo sentii russare, crollato per il troppo alcool nel sangue e fu lì che ricominciai a respirare, ero rimasta vigile per tutto il tempo in modo da potermi difendere da altri attacchi assolutamente non di mio gradimento. Chiusi gli occhi e sulle mie labbra risentii il tocco lieve di quelle di William, ero probabilmente una pazza a ripensare a quello che nemmeno poteva definirsi “bacio”, eppure non riuscivo ad impedirmene, troppa dolcezza vi era racchiusa in quella carezza. Mi convinsi che i miei occhi dovevano aver visto giusto quella notte al locale, lui doveva aver pianto per la mia musica, scivolai nel sonno accompagnata da quegli occhi che non mi lasciarono fino al mattino seguente. Non so esattamente quando, ma smisi di sentirmi in colpa, in fondo i miei pensieri ed i miei sogni appartenevano a me sola, nessuno avrebbe mai potuto violarli.

 

****

 

Vagai per le strade di Londra fino a notte fonda.

 

Non ebbi nemmeno il coraggio di andare ad ascoltare il mio Angelo della Musica perchè sentivo di averla tradita anche se non era mai stata, ne avrebbe mai potuto essere, mia. La sua voce m’incantava e solo in quei momenti sentivo la mia anima librarsi, potevo visitare paesi mai visti, vedere i colori vivi come non mai, aggiungendo una vasta tavolozza ai toni grigi di Londra. Sentivo i suoni della natura mentre sorvolavo distese immense di verde, forse riconducibili solo all’Irlanda, terra che non avevo mai visitato se non grazie a Lei, a quella voce melodiosa nella quale coglievo una nota malinconica che si trascinava ad ogni parola, esaltando anche la mia solitudine. Amavo perdermi in essa, riempirmi l’anima di note dolci e gli occhi di Lei. No, quella sera non riuscii ad andare da Lei, il mio cuore agitato gridava un solo nome: Anne. Dove si trovava? Cosa stava facendo? Più non volevo pensare a lei, più mi accorgevo di cercarla nei volti delle fanciulle che mi passavano accanto, ignare dei miei sentimenti confusi. I miei occhi vagavano nell’oscurità che via via prendeva il sopravvento sulla luce, i lampioni presto la sostituirono in una pallida imitazione ed io ancora vagabondavo. Arrivai davanti al locale senza rendermene conto, prova che la mia anima aveva bisogno di essere cullata, e mi fermai, una lunga fila di uomini e donne, avvolti in completi da sera costosi, parlottavano in attesa di entrare. Solitamente io passavo dal retro, un mio cliente non potendomi pagare le foto, mi ripagava facendomi passare dalla porta di servizio, se così la vogliamo chiamare, per accedere al locale indisturbato. Avrei potuto recarmi lì ancora due o tre volte, poi il suo debito si sarebbe estinto e a me non sarebbe più stato possibile ascoltarla. Il mio cuore si strinse a quel pensiero e, per un solo attimo, abbandonò l’immagine minuta di Anne, ma fu solo un attimo.

 

L’avrei rivista?

 

Le donne e gli uomini si voltarono verso di me, ancora fermo davanti al locale, e li sentii cominciare a parlottare. Naturalmente, nelle rare volte in cui uscivo, ero l’argomento preferito della gente. Lo zimbello di Londra. La mia storia è una storia comune ma, siccome abito tutt’ora nei quartieri “bene”, fa ancora scalpore. Sono un bastardo, ecco, ve lo rivelo senza vergogna. Quello che si supponeva essere mio padre non era altri che un riccone che aveva messo incinta mia madre, solita vecchia storia: per lui era stato un divertimento, per mia madre una bocca in più da sfamare. La gente cominciò a guardarci in malo modo, soprattutto per il fatto che mia madre venne additata, dal suddetto porco, come una donna di facili costumi. Gli anni che seguirono furono difficili in special modo per lei che, pace all’anima sua, dovette lavorare trasferendosi in periferia perché in città nessuno voleva darle lavoro. Quando crebbi tornammo a Londra, io ero un ragazzino di dieci anni e cominciai la scuola dai frati che, benevolmente, mi avevano accolto assieme a lei. Maturai, negli anni a seguire, una predilezione per lo scritto così decisi che mi sarei dedicato al giornalismo, mia madre nel frattempo, cominciava lentamente a spegnersi per la tisi che l’aveva colpita. Quando morì non mi lasciò niente, se non il dolore sordo che attanagliava il mio cuore. Finita la scuola scoprii anche che Londra non aveva perdonato il suo “peccato”, mi assunsero forse per pietà al giornale locale, ero pieno di aspettative tanto che pensavo di poter raggiungere, un giorno, il Times, invece restai fermo in quello squallido studio a scrivere pezzi ai quali la gente non prestava attenzione. Per un po’ sbarcai il lunario in questo modo, fino a che non compresi che mai Londra mi avrebbe accettato come suo figlio, mi licenziarono pochi mesi dopo perché le vendite erano calate vistosamente e, naturalmente, imputarono a me il motivo. Mi sentii un emarginato, la gente mi additava senza motivo e rideva alle mie spalle, rideva per il mio nuovo insuccesso in attesa del prossimo. Fu lì che cominciai a scrivere poesie, morivo quasi di fame e, ciononostante, gli unici soldi che racimolavo li spendevo per carta ed inchiostro, sentivo di poter cancellare il dolore ad ogni parola che si allargava sul foglio. Imbrattai così tante pagine che ne persi addirittura il conto, ma tutto questo non servì a niente, ogni editore rifiutò i miei versi rigettandomi nella fogna dalla quale cercavo di risalire con fatica, alimentando lo sprezzo della gente. Poi l’illuminazione, su un giornale lessi di un concorso letterario in una città accanto, il premio era una macchina fotografica e da lì scaturì l’idea per la professione che ancora faccio oggi. Con un colpo di fortuna, non mangiando per giorni e giorni, riuscii a pagarmi il biglietto del treno e, con mia grande sorpresa ed orgoglio, una delle mie poesie vinse il primo premio. Ora sapete come sono finito a fare il fotografo su commissione, beh, più o meno…

 

Ritornando al racconto che stavo facendo prima, passai davanti a quella gente ignobile e, girando l’angolo del locale, mi appostai sotto una finestra leggermente accostata, la sua voce meravigliosa giungeva a me anche da lì e subito mi sentii meglio, Lei curava le mie ferite. Come sempre non riuscii ad impedirmi di commuovermi e piansi senza vergogna alcuna intanto che rivedevo, per l’ennesima volta, il volto di Anne. Compresi che lei, così timorosa e dolce, beffandosi della mia razionalità, mi aveva stregato il cuore.

 

Quando la musica cessò tornai a casa mia, in quella stanza umida e spoglia che mi ostinavo a chiamare “casa”. Mi buttai sul letto e sognai di Anne, in fondo i miei pensieri ed i miei sogni appartenevano a me solo, nessuno avrebbe mai potuto violarli.

 

****

 

Passarono due settimane, non rividi più William dal giorno del nostro “bacio”. Perfino i domestici notarono il velo di tristezza nei miei occhi anche se tentavo di non darlo a vedere, ogni notte le sue lacrime popolavano i miei sogni, i suoi occhi, il calore delle sue labbra. Mi obbligai a non pensare a lui, con scarso successo anche se mi convincevo di amare Liam, non potevo impedirmi di pensare a William, l’unico uomo, forse, che aveva compreso la mia anima bisognosa di libertà che si librava accompagnata solo dalle note. Decisi di recarmi da lui, in fondo gli avevo commissionato un lavoro e non mi ero dimenticata del mio fine ultimo: rovinare Liam, il traditore. Quando pensavo questo di mio marito, mi chiedevo come potevo dire di amarlo ancora, in quei momenti il cuore mi si stringeva e faticavo a respirare, come se la mia mente volesse fuggire da quel pensiero, nel più profondo del mio cuore, anche se non volevo ammetterlo, conoscevo benissimo la risposta, ma era troppo difficile da accettare, fosse anche solo per me stessa.

 

Mi preparai con cura, emozionata come fossi una ragazzina al primo appuntamento. Fu allora che mi guardai nello specchio e l’immagine che mi restituì non mi piacque. Dimostravo molti più anni di quelli che in realtà avevo, merito delle notti insonni che Liam mi aveva fatto passare, in piedi ad aspettarlo. I miei occhi erano stanchi e arrossati, gonfi di quelle lacrime che mi obbligavo a non far uscire, prova cocente del fallimento del mio matrimonio. Mi truccai lievemente per nascondere quella tristezza che troppo bene traspariva dal mio volto, raccolsi i capelli ed il solo pensiero di riavere quegli occhi blu intenso sul mio corpo, mi fece accelerare il battito cardiaco. Misi uno dei miei completi castigati, come per la prima volta, presi una foto di Liam, in modo che William potesse vedere bene il suo volto, la misi in borsetta e feci per avviarmi quando la porta della mia camera, nostra camera, da letto si spalancò. Era Liam, rientrato solo in quel momento da una delle sue notti libere, come ormai avevo preso a chiamarle.

 

- Buongiorno Liam, bentornato! – ricordo che gli dissi acida, lui mi rivolse uno sguardo che mi fece paura: mi voleva. Erano più di due settimane che non facevamo l’amore e potevo sentire il suo desiderio crescere mentre osservava il mio corpo e si avvicinava a me.

 

- Buffy… Dio Buffy… - ringhiò sommessamente, doveva essere ubriaco ed infatti il puzzo dell’alcool mi colse nauseandomi all’istante.

 

- Non ti avvicinare, devo uscire! – cercai di dirgli, passandogli oltre, ma lui mi bloccò un braccio e mi trascinò vicino al letto, buttandomici sopra senza gentilezza. Lo vidi che cominciava a spogliarsi intanto che io cercavo di sfuggirgli, mi riprese subito e, quando fu quasi nudo, mi strappò i bottoni della giacca aprendola, poi fu il turno della camicetta e alla fine i miei seni candidi, con le punte rosee, erano esposti al suo sguardo.

 

- Buffyyyy – ansimò gettandosi su un capezzolo e poi sull’altro, schiacciandomi con il suo corpo, il puzzo dell’alcool mi fece girare la testa, ma non mi piegai al suo volere, lottai con tutte le mie forze per divincolarmi da quella presa, per allontanarmi da quell’uomo che non riconoscevo più come quello che avevo sposato. Lui mi tappò la bocca con la sua, sentivo il suo alito cattivo scendermi fino in gola e l’unica cosa che volevo era vomitare. Gli graffiai il volto facendolo sanguinare e, purtroppo, quella fu la mia fine: mi violentò. Quando finì di fare i suoi comodi si congedò come se niente fosse e tornò al piano di sotto, dopo essersi rivestito. Mi lasciò lì in preda ad un tremolio che non riuscivo a calmare, ferita nell’orgoglio di donna e furiosa come non mai, mi aveva usata come l’ultima delle donne di strada e non l’avrei mai perdonato per questo, Buffy Summers gli avrebbe fatto vedere di che pasta era fatta. Sentii le lacrime amare che pulsavano dietro ai miei occhi ma impedii loro di uscire, io non avrei mai versato una lacrima per un uomo del genere, mai.

 

A fatica e dolorante mi alzai, replicai il trucco e l’acconciatura e mi cambiai d’abito, i muscoli mi dolevano, ma quello che mi faceva più male era il fatto di non essere riuscita a fuggire a quella bestia che aveva sostituito il mio adorato marito. Sì, io l’avevo adorato e ora, allo stesso modo, lo odiavo con tutta me stessa, ora lo sapevo. Lo specchio fece risaltare i miei occhi verdi, lucidi di rabbia ed orgogliosi come non mai; nessuno mi avrebbe calpestata. Poteva usare il mio corpo contro la mia volontà, ma non poteva scalfire il mio essere più intimo.

 

Senza dire niente a nessuno uscii di casa, ormai era pomeriggio e di lì a poco, il buio sarebbe sceso sulla città. Ancora qualche ora e sarei dovuta salire sul palco del locale: anelavo cantare quella sera, dovevo come purificarmi e l’unico modo che conoscevo era quello. Impettita percorsi le strade che mi separavano dall’ufficio del signor Harrington, sperai che fosse ancora lì.

 

****

 

Due settimane: non la vedevo da due lunghe ed interminabili settimane. Chiuso nel mio ufficio a fare niente come al solito, pensavo a lei come tutti i giorni. L’incantesimo che aveva fatto su di me non si era ancora esaurito, volevo vederla e non sapevo nulla di lei. L’avevo cercata sempre, ad ogni ora, percorrendo avanti ed indietro le strade del borgo dove stavo, senza successo. Mi abbandonai sulla sedia e mi accesi una sigaretta. Oh, non vi avevo detto che fumavo? Beh, ogni tanto mi distraggo così, crogiolandomi in questo brutto vizio. Chiusi gli occhi per un momento, quando sentii la porta del mio ufficio spalancarsi, li riaprii e lei era davanti a me.

 

- An… Miss Summers! – mi dovetti correggere e quella fu l’unica cosa che le dissi perché, in seguito, dovetti concentrarmi per non cadere dalla sedia, goffamente mi misi in piedi e rimasi lì, senza dire più nulla, gettando la sigaretta a terra e spegnendola subito con la punta del piede.

 

Non so perché lei lo fece, non chiedetemelo, ma quando me la ritrovai tra le braccia fui l’uomo più felice della Terra. Mi strinse la vita e affondò il suo viso nel mio petto, poi mi accorsi che aveva cominciato a piangere sommessamente e, man mano, sempre di più. Il suo corpo, che io cingevo con le mie braccia, era scosso da forti singhiozzi ed io mi sentii in colpa perché mi resi conto di non poterla aiutare. Restai in silenzio, sentivo che non c’era bisogno di parole.

 

La cullai per un tempo che mi parve infinito, fino a quando non si calmò e si staccò da me. Nel momento in cui alzò i suoi occhi verdi e gonfi di pianto su di me, mi sentii morire. Non disse niente, mi accarezzò solo una guancia con la punta delle dita e mi fece un piccolissimo sorriso.

 

- Grazie – parlò.

 

Quel “grazie” in realtà mi esortava a non chiederle nulla, ed io non lo feci, rispettai la sua scelta certo che, quando sarebbe stato il momento, mi avrebbe aperto il suo cuore. La feci accomodare gentilmente e le offrii un bicchiere d’acqua, lei si ricompose come meglio poteva e poi mi parlò del caso di Liam Blakes, dunque non avevo perso il lavoro e me ne rallegrai.

 

****

 

Finalmente arrivai al suo ufficio e vidi il riflesso di una luce fioca danzare sulla finestra: era lì. Il cuore prese a battermi all’impazzata al solo pensiero di rivederlo, cercai, quando iniziai a salire le scale, di calmare il tumulto. Ricordo che fuori dalla porta mi prese uno strano sconforto, mi ero convinta con tutte le forze di essere andata lì solo per la faccenda di Liam, ma scoprivo dentro di me una sensazione che faticavo ad ammettere. Rimasi lì impalata per tanto tempo, indecisa sul da farsi, dovevo rivelargli tutto? Per un attimo mi dissi che era la cosa più sensata da fare, ma poi avrebbe saputo della mia incapacità come moglie, come amante e, soprattutto, che ero sposata. Desideravo inconsciamente che lui non lo venisse mai a sapere anche se la motivazione la ricacciavo indietro, vergognandomene e non riuscendo ad ammetterla nemmeno a me stessa. Il mio corpo si mosse da solo e, senza bussare, entrai e lo vidi. Era seduto sulla sedia, l’unica sedia a dirla tutta, del suo ufficio, le mani intrecciate sullo stomaco e le gambe distese sulla scrivania: era affascinante. La luce di una lampada ad olio, quella che avevo visto da basso, gli illuminava debolmente il viso mettendo in evidenza i suoi zigomi virili, le sue labbra, dalle quali pendeva pigramente una sigaretta accesa, venivano illuminate ad intermittenza dalla fiamma che si muoveva sinuosa dentro il vetro. Aprì gli occhi e mi vide, mi ero spostata davanti a lui senza dire una parola, si alzò di scatto balbettando confuso quello che sembrava il mio nome, correggendosi per mostrarmi tutta la sua cortesia.

 

- An… Miss Summers! –

 

La sua voce era calda come la ricordavo e per un attimo mi venne da ridere, notando l’effetto sorpresa che avevo sortito su di lui, sembrava incapace in quel momento di alzarsi disinvoltamente. Gettò la sigaretta a terra e la spense con un rapido movimento del piede, poi non disse più nulla, mi scrutò con quei suoi occhi blu, che mi leggevano l’anima e mi sentii nuda sotto quello sguardo. Non so cosa mi prese, forse avevo solo bisogno di piangere e lui era lì, sapevo non mi avrebbe rifiutata. In un attimo fui tra le sue braccia. Mi strinsi a lui, inspirai il suo profumo che sapeva di tabacco, trovandolo confortante, ed accadde che lo sconforto di quei mesi bui mi colse come un mare in tempesta, senza accorgermi silenziose lacrime avevano cominciato a bagnarmi il viso, via via sempre più, il mio corpo era assalito da singhiozzi che a fatica riuscivo a controllare, ma quando sentii le sue braccia serrarsi sulle mie spalle ed un lieve ondeggiamento rassicurante, decisi di lasciarmi andare: lui mi aveva capita.

 

Piansi. Piansi a dirotto. Singhiozzai contro quel petto caldo che mi offriva protezione, senza vergogna, senza riserve. Mi cullò per tanto tempo, troppo forse per appartenere a due perfetti sconosciuti, ma non me ne importò. Nel suo abbraccio scioglievo le immagini di Liam che mi violentava, che possedeva il mio corpo senza mostrarmi amore, ogni lacrima portava via un peso opprimente dal mio petto, mi sentivo sempre più leggera tra le braccia di William. Restai con il viso affondato sul suo petto fino a quando non mi calmai e fui in grado di rendermi conto di quanto ridicola dovessi essergli sembrata, ma quando alzai fugacemente lo sguardo sul suo viso, non c’era derisione, ma sono una profonda dolcezza che mi carezzò leggera. Mossi la mia mano in direzione del suo volto, dovevo accertarmi che quello davanti a me non era un miraggio, ma una persona reale, piena di dolcezza per una ragazza di cui non sapeva nulla, solo bugie. Gli percorsi una guancia con la punta delle dita e fui contenta di vedere che lui non sparì, restò precisamente dove si trovava. Dalle mie labbra, non so ancora per frutto di quale sortilegio, nacque un piccolo sorriso rivolto totalmente a lui, ai suoi occhi benevoli che scrutavano i miei. Non trovai niente di meglio da dirgli.

 

- Grazie – gli sussurrai infine con fatica. Le parole mi si erano fermate in gola e la sensazione che provai era quella di quando si esce da un coma profondo, da una tranquillità che non si vorrebbe abbandonare, addormentati nell’oblio. Lui non disse nulla e gliene fui grata, si limitò a mostrarmi la sedia e a farmi un cenno per permettermi di accomodarmi. Uscì dall’ufficio e, pochi minuti dopo, tornò con un bicchiere d’acqua che mi offrì, lo bevvi tutto d’un sorso e poi cercai di asciugarmi il viso alla bell’e meglio. Una volta ricompostami cominciai a parlargli di Liam Blakes, tentando di scacciare l’immagine della violenza subita che si ridestava continuamente. William ascoltò con attenzione ogni mia parola, senza accennare mai a quello che era successo due settimane, o pochi minuti, prima. Mi dispiacque quando vidi che avevo macchiato la sua camicia bianca con il trucco.

 

****

 

Mi parlò del suo amante e, finalmente, mi diede tutti gli indirizzi dove avrei potuto trovarlo. Mentre parlava dovetti necessariamente tenere la mente ben salda al discorso, tendeva infatti a vagare e a ricordare il nostro casto bacio ed il corpo minuto di lei, premuto contro il mio. Non conoscevo il motivo della sua sofferenza, ma avrei voluto che me ne parlasse, invece non toccò l’argomento, evitandolo accuratamente, così come evitava di fissarmi negli occhi. Inclinai il capo, non so per quale motivo, forse per volerle leggere dentro, per sapere se anche lei provava lo stesso disagio nei miei confronti, come io nei suoi. No, non era esattamente disagio quello che provavo, era una sorta di attrazione che, malauguratamente, sfociava in questo. Intanto che parlava, anche per il fatto che non mi fissava, per cercare di ammorbidire l’atmosfera attraversai l’ufficio e mi misi davanti all’ultima finestra, in realtà ne avevo due, ma una era accanto alla scrivania e non volevo essere scortese chiedendole di spostarsi. Mi misi una mano in tasca in cerca dei fiammiferi, nello stesso tempo in cui l’altra cercava le sigarette nel taschino interno della giacca. Mi portai la cicca alla bocca e l’accesi inspirando profondamente.

 

- Vi da fastidio il fumo? – le chiesi, ricordandomi di non essere solo. Portarmi la sigaretta alle labbra era un gesto automatico e, solitamente, nemmeno me ne accorgevo se non quando mi bruciavo le dita, una volta terminata. Lei scosse graziosamente il capo, senza guardarmi e riprese il racconto. Un tarlo nella testa non mi dava tregua però, che cosa l’aveva fatta piangere in quel modo? Che fosse stato proprio quel tale, Liam? Non ce la feci più, dovevo sapere. Volevo sapere anche perché si ostinasse ad usare quel falso accento che nulla aveva di londinese.

 

- Miss Summers, perdonatemi se v’interrompo, ma vorrei che mi toglieste una curiosità – mi odiai, odiai voler sapere qualcosa in più di lei. Mi odiai perché non fui per nulla professionale. Lei sgranò gli occhi, o così mi parve, guardandola con la coda dell’occhio. Prese a stringere e tormentare l’orlo del soprabito che ancora indossava, lo sguardo era fisso a terra e intravidi il lieve tremolio del suo mento: stava per scoppiare in lacrime di nuovo e la causa, questa volta, ero solo io. Mi odiai.

 

Mi schiarii la voce e mi voltai verso di lei. Le feci un piccolo inchino.

 

- Perdonate la mia maleducazione, non succederà più Miss – mi scusai sinceramente. La sentii tirar su con il naso, lottava contro le lacrime, ma lei era forte. Doveva racchiudersi una grande forza ed un grande orgoglio in quel corpo minuto. Sapevo di avere davanti una grande donna. La volli, disperatamente e incondizionatamente. La volevo, ma restai lì, davanti a quella finestra, voltato verso di lei che ancora evitava di guardarmi. Si alzò di scatto e, intenzionata ad uscire, mi passò accanto. Non so spiegare perché, ma le presi un polso, fermando la sua corsa verso l’uscita.

 

- Perdonatemi Miss – le dissi ancora, poi la lasciai. Vidi un piccolo cenno affermativo e poi sparì così come era apparsa poche ore prima. Fuori era buio e allora la rincorsi, volevo accompagnarla. Dovevo accompagnarla per stare ancora con lei.

 

****

 

Gli parlai di Liam, evitando accuratamente di menzionare qualsiasi cosa che rivelasse la mia vera relazione con lui. Gli diedi tutti gli indirizzi degli uffici, locali e case di persone che era solito frequentare, minuziosamente, senza tralasciarne nessuno. Parlai per non so quanto e, quando con un breve sguardo lo osservai, vidi che aveva inclinato leggermente il capo da un lato, lo trovai affascinante, ma per evitare di arrossire sotto quello sguardo indagatore abbassai il mio. Mi sottrassi ai suoi occhi e presi a contare ogni piccola fessura nel pavimento di legno, per impedirmi di pensare a quello che era successo poco prima ed al calore di quell’abbraccio tanto voluto. Voluto? Ricordo che mi sorpresi di pensarlo. Con fatica, enorme fatica però confessai a me stessa che la sera, durante la mia esibizione per la quale lui aveva pianto, avevo voluto abbracciarlo, proteggerlo. Invece ero stata io a cercare protezione tra le sue braccia, avevo cercato comprensione in quello sconosciuto che sentivo poteva capirmi anche senza bisogno di parole. Evidentemente per lui non era così, nella stanza l’aria si era fatta più pesante e mentre parlavo all’improvviso prese a camminare per l’ufficio ed andò a mettersi davanti alla finestra. Potevo percepire un disagio velato sul suo viso teso e questo mi fece irrigidire, non volevo che lui iniziasse a stare male quando io ero lì. Si accese una sigaretta e cominciò a trarne profonde boccate, subito dopo si ridestò, ricordando che c’ero anche io nella stanza e mi chiese se il fumo mi arrecava qualche fastidio. Gli feci cenno di no.

 

Poi arrivò quel momento che mi prese alla sprovvista, iniziai impercettibilmente a sudare e la voglia di fuggire via subito s’impossessò di me.

 

- Miss Summers, perdonatemi se v’interrompo, ma vorrei che mi toglieste una curiosità –

 

Quella fu la mia fine. A quella domanda caddi in un tunnel da cui difficilmente sarei riuscita ad uscire. Che domanda voleva farmi? Che curiosità voleva soddisfare? Aveva già scoperto tutto ed il disagio era dovuto a quello? Cosa mio Dio, cosa dovevo aspettarmi?

 

Sentii un’ondata di tristezza investirmi e le lacrime pungere come non mai dietro ai miei occhi, il mio mento prese a tremare incontrollato e le mie dita insicure tormentavano freneticamente l’orlo del mio soprabito. Quando sono agitata lo faccio ancora oggi, non riesco proprio a stare ferma con le mani. Ricordo che avevo lo sguardo inchiodato a terra, respiravo a fondo tentando di non piangere, in attesa di quella domanda che forse avrebbe messo fine alla mia “copertura”. Si schiarì la voce: ecco, la mia disfatta stava per sopraggiungere. Lo guardai ed invece vidi che si era voltato verso di me e si era inchinato leggermente.

 

- Perdonate la mia maleducazione, non succederà più Miss – si scusò, la sua voce era una carezza e sentii di non riuscire più a sostenere quella situazione: la stanza era diventata improvvisamente troppo piccola per me. Lui continuava ad osservarmi, potevo sentire i suoi occhi che prepotenti volevano scrutare fino in fondo alla mia anima, non potevo permetterlo. Non volevo permetterlo, non a lui, non così. Tirai rozzamente su con il naso, lottando contro le lacrime e poi mi alzai di scatto, dovevo andarmene, allontanarmi da lui il più possibile o avrei cominciato a raccontagli tutta la verità. Percorsi la breve distanza che mi separava dalla porta velocemente, stavo per guadagnare l’uscita quando la sua mano sicura si chiuse sul mio polso. Quella presa decisa mi fece paura ma, nello stesso tempo, mi fece scorrere un brivido lungo la schiena. Quell’uomo era capace di farmi sentire cose che da tempo non provavo più.

 

- Perdonatemi Miss – mi disse ancora dolcemente, poi mi lasciò andare. Lottai contro me stessa per non gettarmi ancora tra quelle braccia forti e piangere come una bambina, ma io ero forte, dovevo combattere contro quel sentimento che violento stava nascendo in me, contro il mio volere. Dopo la lotta estenuante, feci un piccolo cenno affermativo. Dio, quanto avrei voluto urlargli la verità, ma non potevo farlo. Me ne andai e lui mi lasciò andare senza dire più una parola.

 

Quando arrivai in strada era già buio e, con un po’ di paura, mi avviai verso casa. Avrei dovuto presto andare al locale e dovevo affrettarmi per non rischiare che Liam capisse poco a poco il mio piano.

 

- Miss Summers! –

 

Mi fermai di colpo e chiusi gli occhi. Quanto avevo desiderato che lui mi seguisse ed ora potevo sentire i suoi passi avvicinarsi. Li riaprii e me lo trovai davanti che mi rivolgeva un timido sorriso.

 

- Miss Summers, perdonate la mia intrusione, ma se non vi dispiace preferirei accompagnarvi. Le strade di Londra a quest’ora non si addicono ad una fanciulla… – lasciò la frase incompleta e distolse lo sguardo, le mie gambe quasi non mi ressero più. Lo sguardo che mi rivolse era talmente penetrante che il mio cuore si fermò di colpo.

 

Che voleva dire? Che mi trovava bella e che aveva paura mi succedesse qualcosa? Mi commossi quasi e, con un’audacia che non mi si addiceva, feci scivolare il mio braccio sotto il suo. Di nuovo la sensazione di calore mi percorse, che cosa stavo iniziando a provare per quell’uomo? Lui sorrise ancora e ci avviammo, non ci fu conversazione tra di noi. Mi sentii timida ed avevo paura che se avessi alzato lo sguardo su di lui, avrei finito per arrossire violentemente. La presa sicura sul mio polso di poco prima ancora mi agitava e la sua vicinanza, grazie alla quale potevo sentire il suo profumo avvolgermi, mi faceva battere forte il cuore. Pregai che non lo percepisse, mentre mi chiedevo dove sarei andata, non potevo andare a casa mia se no avrebbe capito che ero la sposa infelice di Liam. Nello stesso tempo non volevo per nessun motivo negarmi la sua vicinanza ed il suo calore, avrei deciso dopo dove fermarmi, ora volevo solo camminare accanto a lui.

 

****

 

- Miss Summers! – la chiamai forse un po’ troppo sguaiatamente, ma lei si fermò, senza voltarsi. Man mano che mi avvicinavo potevo sentire il mio cuore accelerare ed il suo profumo dolce, mi inebriava sempre più i sensi. Mi misi davanti a lei e per un attimo vidi che aveva gli occhi chiusi, che stesse cercando un pretesto per allontanarmi? Ne sarei sicuramente morto. Invece no, li riaprì ed io mi affrettai a parlare prima che lo facesse lei: non volevo essere mandato al diavolo.

 

- Miss Summers, perdonate la mia intrusione, ma se non vi dispiace preferirei accompagnarvi. Le strade di Londra a quest’ora non si addicono ad un a fanciulla… - fortunatamente mi fermai in tempo, mordendomi la lingua per impedirmi di dirle “così bella”. La volevo, ma non era solo la voglia fisica di lei, io sentivo di volere tutto: la sua dolcezza, il suo amore e, a mia volta, volevo donarle tutto di me. Volevo proteggerla, farle sentire che non tutti gli uomini assomigliavano al tale Blakes. Mi accorsi di guardarla e pregai che lei non leggesse nei miei occhi quello che la mia mente, il mio cuore ed il mio corpo gridavano senza sosta. Rispose al mio sguardo e poi sentii la sua mano ed il suo avambraccio scivolare sotto mio, le sue piccole dita si chiusero sul mio braccio ed io non so nemmeno descrivere la sensazione che mi attraversò. Non trovai niente di meglio che sorriderle anche se la sua vicinanza mi faceva sentire un po’ impacciato. Camminammo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Avrei pagato qualsiasi cifra per conoscere i suoi, lei ancora non mi guardava ed io non potevo cercare di capire cosa le passasse per la testa attraverso i suoi occhi meravigliosi. Arrivammo, senza che nemmeno mi accorgessi, al locale dove il mio Angelo si esibiva ogni sera. D’istinto mi fermai. Erano due settimane che mancavo e desideravo cullarmi in quelle note, in quella voce. Avevo bisogno di tranquillizzarmi ed il mio Angelo, che decisi di ritrovare quella sera, era l’unica che poteva aiutarmi a superare il mio tormento, il tormento di essere consapevole di essere sul punto di innamorarmi di una donna che apparteneva ad un altro. Lei si fermò con me, dopo aver fatto qualche passo in più, rendendosi conto che non avanzavo con lei. Lei parlò.

 

- Venite spesso qui, signor Harrington? – mi domandò gentile, non posso dirlo con certezza ma la sua presa, sul mio braccio, si fece più stretta. Io ero rapito dalla locandina che raffigurava Lei, una parrucca con un caschetto nero ed un abito lungo, incredibilmente lungo, che le fasciava il corpo seducente. Mi ammiccava da quel poster, invitandomi a ricongiungermi a lei. Quelle immagini non rendevano mai giustizia ai suoi occhi che, dalle mie posizioni appartate, non potevo vedere bene. Ero sicuro che fossero profondi e dolci, così come la sua musica e la sua voce. Era il mio Angelo e, per raggiungerlo, avrei venduto volentieri al mia anima. La faccia di Liam si presentò davanti a me, lui era suo marito ed osava avere un’amante. Guardando però la donna al mio fianco, che mi osservava con aria interrogativa, in attesa di una risposta, da una parte potevo capirlo. Anne era una donna orgogliosa, forte, eppure nascondeva una dolcezza che io potevo solo immaginare, sicuramente lei era il tipo di ragazza che amava incondizionatamente, così come lo ero io… Mi scossi quando vidi il suo dolce sorriso.

 

- Se non volete rispondermi, non fa niente – colsi una nota di delusione, così mi affrettai a risponderle.

 

- Non vengo spesso, quasi mai. A dirla tutta non ho i soldi per entrare, non sono certo un benestante e per questo non mi posso permettere di pagare l’esorbitante cifra dell’ingresso, sono davvero troppe sterline per me. Con il mio lavoro fatico a sbarcare il lunario – non so perché mi sentii in dovere di dirle tutto quello, forse la ragione era che non volevo ci fossero dei dubbi sullo stato delle mie finanze, non ero certo alla portata di un partito, seppur sposato, come Liam Blakes. Le rivolsi un sorriso sincero, non volevo che lei provasse pena per quello che avevo appena detto, era una semplice constatazione. In un istante la sua mano accarezzava la mia guancia, aveva un’espressione addolorata sul viso e mi fece male, ma le sue parole… Oh, quelle, mi fecero volare.

 

- La gente di questa città non ha ancora capito quanto voi valiate, signor Harrington. Fortunatamente io credo di averlo fatto. Ho potuto piangere sulla vostra spalla senza che voi mi abbiate derisa o biasimata, non è da tutti, credetemi –

 

La sua mano scivolò via e distolse gli occhi brillanti dai miei che si erano persi nei suoi, in quello sguardo così limpido e sincero che mi aveva scaldato il cuore. Ecco, ora stavo meglio. Facemmo ancora qualche passo e, quando prendemmo uno dei vialetti laterali, lei si fermò.

 

- Da qui proseguo da sola – mi informò con un tono gentile, ma che non accettava repliche – Vi ringrazio per la vostra gentilezza, verrò nel vostro ufficio tra una settimana per avere notizie sullo svolgimento del lavoro –

 

Non avrei voluto abbandonarla, avrei desiderato passeggiare con lei per tutta la notte, ma la separazione fu inevitabile. Sentii il suo braccio scivolare via dal mio ed istintivamente lo trattenni.

 

- Anne… - mi pentii subito di averla chiamata per nome, una scortesia che mi avrebbe procurato, come minimo, uno schiaffo, forse un insulto dalla bocca che desideravo mi dicesse solo parole dolci. Non fu così. La vidi alzarsi leggermente sulle punte e posare le sue labbra sulle mie, come la prima volta, soffermandosi solo un po’ più a lungo.

 

- Buonanotte… William… - mi sussurrò sulle labbra e poi si allontanò da me.

 

L’unica cosa che vidi fu il lieve rossore, che le colorava le guance, ed i suoi occhi che brillavano alla luce dei lampioni: era semplicemente meravigliosa. Il mio nome, pronunciato dalle sue labbra così delicatamente, mi fece quasi venire le lacrime agli occhi, il suo fiato caldo che ancora per un attimo mi aveva carezzato la bocca mi aveva quasi fatto perdere il controllo. Inspirai profondamente.

 

- Buonanotte Miss – le risposi, ma lei si era già allontanata, lasciandomi a contemplare il cielo fumoso di Londra.

 

****

 

Il cuore mi si fermò di colpo quando si fermò davanti al locale, lo vidi che scrutava la locandina esposta che mi ritraeva con una parrucca nera, dal taglio a caschetto, ed un lungo abito da sera. Che mi avesse riconosciuta e si fosse fermato di proposito per chiedermi spiegazioni? Che cosa gli avrei risposto? Gli strinsi involontariamente il braccio e gli posi una domanda più o meno velata, tentando di controllare il tono della mia voce che non voleva sembrare troppo ansiosa.

 

- Venite spesso qui, signor Harrington? –

 

Era ancora rapito dalla mia immagine, fortunatamente non molto somigliante. Avevo sempre detto a Liam che l’agenzia che si occupava delle nostre locandine e dei nostri menu era solo un insieme di incapaci. Mi sembrò assorto come quando guardava fuori dalle finestre del suo ufficio, ma colsi una luce speciale nei suoi occhi ed un sorriso che sembrava non sapere di avere stampato sul viso. Pareva rilassato mentre guardava la mia immagine ed ebbi paura che, davvero, mi avesse riconosciuta. Poi la mascella si contrasse ed i suoi occhi si oscurarono, chissà a che cosa stava pensando. Poco dopo si voltò e mi guardò con dolcezza infinita, il viso nuovamente rilassato. Gli sorrisi, quando mi guardava così mi sentivo di nuovo una donna affascinante, con quegli occhi intensi faceva risaltare la mia femminilità. Mi sentii lusingata per quell’attenzione, ma fui un pochino delusa perché sembrava non voler rispondere alla mia domanda.

 

- Se non volete rispondermi, non fa niente – affermai, ma lui si affrettò a rispondermi, come svegliandosi da un lungo sogno.

 

- Non vengo spesso, quasi mai. A dirla tutta non ho i soldi per entrare, non sono certo un benestante e per questo non mi posso permettere di pagare l’esorbitante cifra dell’ingresso, sono davvero troppe sterline per me. Con il mio lavoro fatico a sbarcare il lunario – mi confessò tutto d’un fiato, fui contenta di sapere qualcosa in più di lui, ma mi rendeva triste il fatto di non poterlo vedere al locale. Dicendomi così pareva mi stesse dicendo che non sarebbe passato molto spesso. Mi sorrise e lessi sul suo viso la necessità di non essere compatito, ma io non riuscii a farlo. Gli carezzai una guancia e avevo la sensazione che sulla mia faccia fosse apparsa una smorfia che esprimeva tutta la mia commiserazione, così cercai di recuperare, vedendo i suoi lineamenti cambiare e far apparire la delusione.

 

- La gente di questa città non ha ancora capito quanto voi valiate, signor Harrington. Fortunatamente io credo di averlo fatto. Ho potuto piangere sulla vostra spalla senza che voi mi abbiate derisa o biasimata, non è da tutti, credetemi – ero sincera, come mai nella mia vita quelle parole mi sembrarono così giuste, così vere; il suo viso s’illuminò ed io fui felice di esserne la causa. Ricominciammo a camminare, ma dopo qualche passo mi fermai, dovevo necessariamente tornare a casa. Non potevo farmi accompagnare e così, entrati in una delle viuzze laterali, mi fermai.

 

- Da qui proseguo da sola – lo informai con decisione, ma garbo – Vi ringrazio per la vostra gentilezza, verrò nel vostro ufficio tra una settimana per avere notizie sullo svolgimento del lavoro – mentii, sarei andata nel suo ufficio anche solo per vederlo e anche l’indomani stesso, se solo non fossi stata sposata. Feci scorrere il mio braccio via dalla sua presa, ma lui spostò il suo, bloccandomelo.

 

- Anne… - fu un bisbiglio, ma il mio nome, pronunciato dalle sue labbra, mi fece correre un brivido lungo la schiena, di nuovo guardai i suoi occhi. Così sinceri, così limpidi, mi potevo specchiare in loro e, attirata come una falena dalla luce dei lampioni, mi concessi il secondo peccato della mia vita da donna sposata. Lo baciai, ma non fu come il bacio della prima volta, dove ancora adesso non so dire chi avesse preso l’iniziativa, questa volta sapevo di essere io a rubarglielo e lo assaporai un po’ più a lungo, solo di un po’, giusto per ricordarmi il suo profumo, il suo calore fino a casa.

 

- Buonanotte… William… - gli mormorai sulla bocca, dopo essermi scostata di pochi millimetri, quanto era dolce il suo nome, dovetti ammettere che, contrariamente a quanto avevo pensato prima, si addiceva perfettamente a lui. Non riuscii ad impedirmi di arrossire un poco intanto che mi staccavo completamente da lui, lo sentii inspirare l’aria della notte ed io mi allontanai, certa che se fossi rimasta lì avrei commesso un peccato ben peggiore, al di là di un semplice bacio.

 

- Buonanotte Miss – lo sentii rispondere dietro le mie spalle, non mi voltai.

 

****

 

Quella notte il locale era stranamente pieno di gente. Mi diressi, come di consueto, sul retro e vidi Daniel 'Oz' Osbourne, il tipo che mi doveva i soldi, appoggiato alla porta di servizio.

 

- Hey Oz! – esclamai facendogli un cenno con la mano, poi gliela porsi e lui la strinse.

 

- Hey Will, è da un po’ che non ti fai più vedere. Pensavo che la cotta per Buffy ti fosse passata – rise. Le sue parole mi dettero fastidio, mai avrei potuto abbandonare il mio Angelo, Lei era l’unica per me. Anne. La mia mente non era proprio d’accordo, pensai facendo una smorfia, il suo bacio mi bruciava ancora sulle labbra.

 

- Posso entrare? – domandai con apprensione, non volevo perdermi niente dello spettacolo, per nulla al mondo. Oz si fece da parte e mi aprì la porta, non mi domandò nient’altro ed io scivolai dentro indisturbato. L’apertura si apriva su un corridoio abbastanza lungo, di legno lucido. Le luci della sala principale erano molto basse e questo mi permetteva di mischiarmi immediatamente alle altre persone. Quando andavo lì indossavo sempre il mio abito migliore, ero passato da casa quando avevo lasciato Anne e mi ero cambiato. L’abito era rigorosamente scuro, a pensarci bene, quasi tutti i miei abiti lo erano, tranne per le camicie quasi sempre bianche o beige. Confesso che ne possedevo anche una nera, che però non esibivo mai per paura di assomigliare ad un pastore. Poco male, solitamente la indossavo a casa, quando nessuno poteva vedermi, la adoravo. Scusate, ho perso il filo del discorso. Dicevo che mi ero mischiato agli ospiti del locale, ordinai un bourbon al cameriere e mi andai a sistemare in fondo alla sala. Con disappunto notai che il mio posto preferito, dal quale potevo ammirare tutto il palco e tutta la Sua bellezza, era stato usurpato. Avvilito, ancora in attesa del mio bicchiere, mi sistemai in un angolo più buio dal quale potevo solo vedere mezzo palco, in compenso avevo piena visione dell’enorme quantità di gente che era arrivata. Tra questi notai il famigerato Liam, il marito bastardo del mio Angelo, oh, come l’avrei fatto a pezzi volentieri. Da bravo inglese però soffocai le mie pulsioni omicide e mi concentrai sul palco. Le luci si abbassarono ancora di più ed il mormorio della gente cessò all’istante: le tende rosse stavano salendo.

 

Restai senza fiato, l’abito e la parrucca che avevo visto sulla locandina, non Le rendevano giustizia. Era bellissima e così lontana che mi sentii male al solo pensarlo. Fece qualche passo avanti e poi il pianista iniziò a suonare e la sua voce a rapirmi.

 

You were once

Un tempo tu eri

my one companion

la mia unica guida

you were all

tu eri tutto

that matterei

ciò di cui m’importava

You were once

Un tempo tu eri

a friend and father

un amico ed un padre

then my world

poi il mio mondo

was shattered

fu infranto

 

La voce era dolce, vibrante di emozione come se quella musica fosse rivolta veramente al ricordo di suo padre. La musica era bassa, armoniosa e calma come una carezza e mi trasportò lontano, in un passato non troppo lontano: ricordai mia madre. Quanto mi mancava e da quanto non la richiamavo alla memoria. Chiusi gli occhi, mentre la musica proseguiva in crescendo e la voce del mio Angelo s’innalzava leggermente.

 

Wishing you were

Desidererei tu fossi

somehow here again

in qualche modo ancora qui

wishing you were

desidererei tu fossi

somehow near

in qualche modo vicino

Sometimes it seemed

Qualche volta sembrava

if I just dreamed,

che se solo l’avessi sognato

somehow you would

in qualche modo tu avresti potuto

be here

essere qui

 

Angelica, ecco com’era la sua voce. Quanto avrei desiderato che mia madre fosse lì, vicino a me, in quel momento. Quanto avrei desiderato rivederla, chissà a che pensava il mio Angelo, mentre cantava… Me lo chiesi spesso quella sera.

 

Wishing I could

Desidererei poter

hear your voice again

sentire ancora la tua voce

knowing that I

sapendo che

never would

non potrò farlo mai più

Dreaming of you

Sognare di te

won't help me to do

non mi aiuterà a fare

all that you dreamed

tutto quello che tu hai desiderato

I could

facessi

 

La musica continuava a danzare dolcemente attorno a me, rividi le serate che avevo trascorso con mia madre, abbracciati stretti davanti al fuoco che scoppiettava nel camino. Mi mancavano, e mi mancano tutt’ora, il suo calore, il suo viso gentile, i suoi occhi cerchiati dalla fatica, ma sempre amorevoli quando erano rivolti a me.

 

Passing bells

Campane passeggere

and sculpted angels,

e angeli scolpiti,

cold and monumental,

freddi e imponenti,

seem, for you,

sembrano, per te,

the wrong companions

le guide sbagliate

you were warm and gentle

tu eri caldo e gentile

 

Le note tristi e le parole malinconiche del fraseggio mi gettarono nel ricordo più brutto, quello della morte della donna più importante della mia vita. Quanta sofferenza sul suo viso pallido e malato, malgrado ciò sempre premurosa nei miei confronti, sempre pronta ad ascoltare i miei problemi molto meno importanti dei suoi. Perché non mi aveva preparato a quello che sarebbe successo? Se solo avessi saputo, se solo avessi potuto aiutarla, se solo avessi potuto soccorrerla quando ne aveva avuto bisogno… Troppi “se” e lei non c’era più… Lacrime silenziose cominciarono a scendere sulle mie guance, gli occhi sempre chiusi, estraniato da tutto quello che mi stava attorno. Sentivo solo Lei che mi teneva per mano, guidandomi lungo il filo dei ricordi del mio passato.

 

Too many years

Troppi anni

fighting back tears

a lottare contro le lacrime

Why can't the past

Perchè il passato non può

just die?

Semplicemente morire?

 

Davvero troppi anni avevo passato a lottare contro le lacrime, ciononostante queste ora uscivano dai miei occhi senza controllo. Io, contrariamente alle parole della canzone, non desideravo che il passato morisse. Vidi all’improvviso il viso di Anne dinnanzi a me, forse qualcosa mi voleva dire che lei rappresentava il mio futuro. Vidi i suoi occhi gentili, le sue labbra morbide, il suo tocco delicato. Stranamente mi parve di sentire anche il suo dolce profumo avvolgermi delicatamente, strinsi le palpebre ancora di più per non farmi sfuggire quelle sensazioni. E fu allora che il suo nome scappò dalle mie labbra, in un bisbiglio talmente sommesso, che nessuno avrebbe potuto sentirlo. Poi cercai di concentrarmi sulle parole della canzone.

 

Wishing you were

Desidererei che tu fossi

somehow here again

in qualche modo ancora qui

knowing we must

sapendo che dovremmo

say goodbye

dirci addio

Try to sorgive

Cercando di dimenticare

teach me to live

insegnandomi a vivere

give me the strength

dandomi la forza di

to try

tentare

 

Ecco, l’Angelo si era alzato in volo, la musica era cresciuta ancora e la Sua voce mi scosse dal torpore in cui ero caduto, aprii gli occhi e la guardai. Erano lacrime quelle che scorgevo in lontananza, sul suo viso? Piangeva anche lei e per un attimo, solo per un attimo, mi sembrò che i nostri sguardi s’incrociassero.

 

No more memories,

Non più ricordi,

no more silent tears

non più lacrime silenziose

No more gazing across

non più sguardi attraverso

the wasted years

gli anni sprecati

Help me say

Aiutami a dire

goodbye

addio

 

Quanto sentimento mise in queste ultime parole, in queste ultime note e poi il crescendo si smorzò, lasciando un finale triste, ma pieno di speranza… Pronunciando quell’“addio” la sua voce si alzò ancora, solo per un istante, come a voler sottolineare il passaggio, la crescita interiore e la consapevolezza di poter andare avanti anche senza la persona amata accanto, che fosse questa un padre, una madre, la propria compagna o… la donna che non avrei mai potuto avere: Lei.

 

Applausi scrosciarono per tutto il locale, alcuni ospiti si erano persino alzati, tutti commossi per quella musica divina che aveva donato loro emozioni sopite. Rapidamente guardai Liam, l’unico rimasto in silenzio, quasi annoiato: lo odiai. Spostai subito lo sguardo su di Lei, così bella, le guance appena arrossate per il caldo della sala e, forse, per l’intensa interpretazione. Si asciugò gli occhi e, di nuovo, ebbi la sensazione che mi guardasse. Asciugai le mie, certo che Lei aveva pianto con me, sicuro che i nostri occhi si stessero parlando: questo Liam non avrebbe mai potuto portarmelo via. Avevo sempre avuto l’impressione che lui tenesse le ali del mio Angelo legate, impedendogli di volare via lontano, là dove la sua essenza poteva librarsi senza costrizioni, era vero amore il loro? Avrei mai trovato il modo di avvicinarla? Sentivo il bisogno di esprimerle tutta la mia ammirazione… forse il mio amore. In quel momento mi apparve, per la seconda volta quella sera, il viso di Anne, era a pochi centimetri dal mio, mi fece male il petto ed un senso di colpa mi colse all’improvviso. Che cosa provavo per quella donna che conoscevo appena? Abbassai lo sguardo sentendomi fuori luogo, fuggii dal locale facendomi strada, alle volte dando gomitate ai presenti, fino all’uscita. Volevo rivedere Anne, ma non sapevo dove trovarla. Tutto mi opprimeva quella sera, nemmeno il mio Angelo, alla fine, era riuscito a confortarmi.

 

- Perché mi sento così male? Anne… Anne… - sussurrai alla notte – Che cosa mi hai fatto? –

 

Le prime gocce di pioggia vennero a poggiarsi sul mio viso che si rivolgeva al cielo con quella domanda destinata a rimanere senza risposta.

 

****

 

Mi preparai con cura per la mia esibizione, il caschetto nero mi dava l’aspetto di una donna sofisticata e rimasi affascinata dalla mia immagine riflessa. Mi truccai gli occhi con dei colori perlati in modo da mettere in risalto il verde dell’iride e attaccai delle ciglia finte che mi facevano sembrare davvero una donna fatale. Quando fui soddisfatta del trucco e dei capelli, un paio di ragazze dello staff mi aiutarono ad indossare il lungo abito da sera che, per l’occasione, aveva anche un leggero strascico. Metteva in evidenza il mio corpo minuto, fasciandolo ed esaltandone i punti giusti. Io un po’ mi vergognavo di quell’abito, ma Liam aveva insistito molto ed io, che tenevo alla mia carriera più di ogni altra cosa, avevo accettato d’indossarlo. Mi specchiai e l’immagine di me tutta non mi dispiacque, stavo davvero bene, anche se non sembravo più io. Una delle ragazze mi disse che era ora ed io mi avviai per posizionarmi sul palco, quella sera avrei cantato una canzone tratta dal musical “Il fantasma dell’Opera” di Andrew Lloyd Webber. S’intitolava “Wishing you were somehow here again”, questo brano era dedicato da Christine al padre, musicista, scomparso pochi anni prima. Nell’opera originale Christine passeggia nel cimitero, osservando le varie lapidi e loculi, dedicando le ultime parole d’amore al padre prima di riuscire a dirgli addio per sempre, dato che era vissuta sempre in funzione di quello che lui aveva desiderato lei facesse: cantare. Avevo visto lo spettacolo molte volte, adoravo quell’opera e, soprattutto, quella canzone che mi ricordava le tante emozioni che avevo provato vedendo la protagonista ed il suo talento amato alla follia da un uomo, che si era innamorato di lei proprio grazie alla sua voce melodiosa. A quel tempo, ogni tanto, m’illudevo potesse succedere anche a me.

 

Ero dietro alla tenda rossa ora, ero scossa da brividi di eccitazione, quando dovevo esibirmi mi sentivo sempre una carica d’adrenalina attraversarmi il corpo ed ero felice. Vidi le luci abbassarsi, segno che era arrivato il mio momento. La tenda si alzò ed il pianista cominciò a suonare le prime note che riempirono subito il locale. La prima persona che vidi, purtroppo, fu mio marito che chiacchierava animatamente con la cameriera. Distolsi lo sguardo nel momento in cui cominciavo a cantare e ad estraniarmi da quel luogo e da quelle persone, quello era il momento in cui la mia anima si liberava di tutto esprimendo tutta se stessa.

 

You were once

Un tempo tu eri

my one companion

la mia unica guida

you were all

tu eri tutto

that mattered

ciò di cui m’importava

You were once

Un tempo tu eri

a friend and father

un amico ed un padre

then my world

poi il mio mondo

was shattered

fu infranto

 

All’inizio tutto era calmo e tranquillo, dovetti solo fare attenzione ai vibrati leggeri e sommessi, ma tutto era meccanico, io ero nata per cantare e lo sapevo. La musica mi riempiva tutta: mente, corpo e anima. Riusciva a riunire tutti e tre gli elementi e mescolarli in un unico essere, il mio “io” interiore che non riuscivo ad esprimere se non grazie a questa. Sul palco ero la vera Buffy Summers, quella che era partita dall’America con tanti sogni e desideri da realizzare. In parte ero riuscita a realizzarli e dovevo solo ringraziare Dio per avermi fatto dono di una voce così melodiosa.

 

Wishing you were

Desidererei tu fossi

somehow here again

in qualche modo ancora qui

wishing you were

desidererei tu fossi

somehow near

in qualche modo vicino

Sometimes it seemed

Qualche volta sembrava

if I just dreamed,

che se solo l’avessi sognato

somehow you would

in qualche modo tu avresti potuto

be here

essere qui

 

Le parole si formarono da sole nella mia mente, quante volte le avevo sentite a teatro, quanto le amavo. Sentire la mia voce intonarle mi dava una gioia immensa, sebbene la canzone fosse triste. Nulla m’importava in quel momento.

 

Wishing I could

Desidererei poter

hear your voice again

sentire ancora la tua voce

knowing that I

sapendo che

never would

non potrò farlo mai più

Dreaming of you

Sognare di te

won't help me to do

non mi aiuterà a fare

all that you dreamed

tutto quello che tu hai desiderato

I could

facessi

 

Fissai Liam, ora intento a sbadigliare sgarbatamente durante la mia esibizione. Quanto avrei voluto tirargli il microfono sulla testa e renderlo attento al mio canto, ma sapevo sarebbe stata una battaglia persa in partenza. Con lo sguardo cominciai a contemplare gli altri ospiti seduti, erano moltissimi quella sera e fui felice di poter esprimere le mie emozioni a tutta quella gente, anche se la maggior parte era più interessata alla mia scollatura e al generoso spacco dell’abito che alle parole. Non me ne curai, quando cantavo non m’interessava niente se non quello che io provavo.

 

Passing bells

Campane passeggere

and sculpted angels,

e angeli scolpiti,

cold and monumental,

freddi e imponenti,

seem, for you,

sembrano, per te,

the wrong companions

le guide sbagliate

you were warm and gentle

tu eri caldo e gentile

 

I miei occhi non cessavano di vagare per la sala, in cerca di qualcosa, o qualcuno, che sapevano doveva essere lì. Ad un tratto trovarono quello che avevano cercato per tutta la sera: un viso. Un viso ben conosciuto, un viso che avevo sperato di vedere ancora quella sera. William era lì, in fondo a quella sala, con il viso rilassato, assorto in chissà quale pensiero. Ricordo che mi venne voglia di sapere se, anche quella volta, c’erano lacrime a bagnare il suo viso, però era così lontano ed io non riuscivo a vederle. Fu così che decisi di fare qualcosa che, solitamente, avevo sempre rifiutato. Intanto che cantavo scesi gli scalini del palco e m’incamminai in mezzo ai tavoli, scansando più persone che potevo per raggiungere l’unica di cui m’importasse veramente. Non riuscii ad arrivare fino a lui, ma ero abbastanza vicina da vedere quello che avevo sospettato, forse sperato: i suoi occhi chiusi lasciavano cadere lacrime silenziose lungo le sue guance.

 

Too many years

Troppi anni

fighting back tears

a lottare contro le lacrime

Why can't the past

Perchè il passato non può

just die?

Semplicemente morire?

 

Aveva ancora il viso disteso e poi un sorriso, appena accennato, gli increspò le labbra. Probabilmente nemmeno si era reso conto di sorridere, ma per me fu il più bel sorriso del mondo. Appena formulato quell’ultimo pensiero, il fiato mi si bloccò in gola. Lo vidi muovere le labbra e vi lessi il mio nome, anzi, il nome che lui sapeva appartenere a me: Anne. Mi commossi a tal punto che anche io cominciai a piangere in silenzio e, sentendone il bisogno, mi allontanai subito prima che potesse aprire gli occhi e riconoscere quella sciocca ragazza che continuava ad importunarlo durante il giorno e che lo baciava, o abbracciava, senza vergogna nei momenti più inaspettati. Ritornai a grandi passi sul palco e ripresi la mia posizione come se niente fosse successo; in realtà avevo il cuore in tumulto, no, non in tumulto, avevo il cuore che mi scoppiava di felicità. Ora mi sentivo come Christine: un uomo apprezzava la mia vera identità e, pregai, che potesse amare quella parte di me che nascondevo il più possibile agli altri, certa che non l’avrebbero accettata ritenendola non adatta alla moglie di un futuro deputato. Naturalmente scacciai la vocina fastidiosa nella mia mente che insistente continuava a ricordarmi che ero sposata con Liam. Gli lanciai un’occhiata veloce, ora se ne stava bellamente stravaccato sul divanetto ad occhi chiusi, ma non perché fosse rapito dalla mia musica, semplicemente dormiva.

 

Wishing you were

Desidererei che tu fossi

somehow here again

in qualche modo ancora qui

knowing we must

sapendo che dovremmo

say goodbye

dirci addio

Try to sorgive

Cercando di dimenticare

teach me to live

insegnandomi a vivere

give me the strength

dandomi la forza di

to try

tentare

 

Intanto che continuavo a cantare, le mie lacrime sgorgavano senza vergogna ed i miei occhi erano fissi sulla figura lontana di William, ancora assorto nella mia musica. Non lo persi di vista un attimo e, quando improvvisamente lui riaprì gli occhi, dovetti obbligarmi a spostare il mio sguardo dal suo viso. Sapevo che i nostri occhi si erano incrociati e, prima che cominciassero a parlare, avevo dovuto obbligarmi a distogliere i miei.

 

No more memories,

Non più ricordi,

no more silent tears

non più lacrime silenziose

No more gazing across

non più sguardi attraverso

the wasted years

gli anni sprecati

Help me say

Aiutami a dire

goodbye

addio

 

Cantai quelle ultime frasi, scritte per la Christine senza padre, sentendole particolarmente adatte anche alla mia situazione. E se avessi lasciato Liam? Anche io non avrei più avuto ricordi, non avrei più versato lacrime silenziose fuggendo all’occhio indiscreto di qualche domestico. Forse avrei guardato indietro e avrei pianto solo un’ultima volta su tutti quegli anni sprecati.

 

Non sapevo nemmeno io cosa fare, avrei avuto la forza di dirgli “addio”? E poi che cosa avrei fatto? Dove sarei andata? Puntai lo sguardo sulla sala gremita di gente: la canzone era terminata così come la musica. Mi venne fatto un lungo applauso, alcune persone si alzarono addirittura in piedi per battermi le mani. La mia testa però, in quel momento, cercava a destra e a manca la figura di William, l’unico uomo che volevo vedere. Rivolsi distrattamente qualche parola ai presenti e poi lo trovai. Fissai i miei occhi nei suoi e mi asciugai le lacrime, guardandolo intensamente e dedicandogli, senza bisogno di parole, quella canzone e quelle gocce di pianto. Ero sicura che lui avrebbe capito; guardava nella mia direzione e poi, con gesto elegante, si pulì le lacrime nel fazzolettino del taschino, subito dopo si voltò per recarsi all’uscita del locale. Feci qualche passo in avanti, intenzionata a seguirlo, ma Liam mi bloccò e mi sistemò, come fossi una bambola inanimata, accanto a lui per decantare agli altri quanto io fossi bella, brava, di quanti soldi gli portassi e altro bla, bla,bla… ormai non ascoltavo più niente, il mio unico desiderio era correre dietro a William. Il mio sogno di rincorrerlo era ormai sfumato, ma non sarebbe mancato molto al nostro nuovo incontro. Dovevo parlare assolutamente con lui. Non sapevo che gli eventi di quella notte fortuita, avrebbero segnato una svolta radicale nella mia vita.

 

****

 

Arrivai a casa scosso da brividi di freddo, la pioggia impregnata negli abiti e nel soprabito. Ero stato fuori per ore, tanto che mi sembrava il sole dovesse sorgere di lì a poco. Mi spogliai lentamente svuotato da ogni emozione. Mai e poi mai avrei pensato di tradire il mio Angelo così spudoratamente, tradirlo mentre mi cullava tra le note, mentre mi carezzava e mi guidava lungo il mio lungo viale dei ricordi. Avevo pensato ad Anne, ero fuggito proprio quando Lei aveva posato i suoi meravigliosi occhi su di me come un vile, sentendomi sporco per aver solo pensato ad un’altra donna in sua presenza. Quando ero uscito da quel locale mi ero sentito marcio, sapevo benissimo che non avrei mai potuto averLa, eppure non riuscivo a smettere di pensare a Lei come al mio unico e più puro Amore. Vagando per le strade bagnate di Londra mi ero chiesto spesso cosa Anne rappresentasse per me, i motivi che mi spingevano a pensare sempre a lei. Trovai la risposta ma la nascosi nel posto più profondo del mio intimo, non volevo ammettere quello che già sapevo. Non l’avrei mai ammesso, soprattutto a me stesso.

 

Mi misi un asciugamano attorno alla vita e con un altro presi a frizionarmi i capelli, dapprima tirati all’indietro compostamente, e ora arruffati e dalle quali ciocche cadevano minuscole goccioline che, in silenzio, raggiungevano la punta dei miei piedi, le mie spalle e, taluna, anche il pavimento. Accesi il fuoco per cercare di scaldare le mie membra stanche e infreddolite, ma sembrava che niente riuscisse nell’intento. Rimasi un po’ a guardare le fiamme che danzavano nel focolare, al ritmo della musica provocata dal picchiettio delle gocce sul vetro, e successivamente una volta asciugatomi e gettati in un angolo entrambi gli asciugamani, mi misi a letto. Incrociai le braccia dietro la testa e guardai il soffitto per un lungo periodo di tempo, finalmente dopo qualche minuto mi addormentai senza pensieri, ninnato dal rumore scrosciante della pioggia che batteva sui ciottoli di pietra. Dormii per qualche ora, fino a quando un bussare forsennato non mi svegliò. Dapprima aprii gli occhi come in trance e li richiusi subito, certo che fosse stata la mia immaginazione a tendermi un brutto scherzo. Nuovi colpi alla porta e mi destai completamente. Uscii dal letto imprecando ad alta voce, mi avvolsi un lenzuolo attorno alla vita ed aprii la porta. Ricordarmi di respirare fu difficoltoso: davanti a me c’era Anne, completamente fradicia. Ebbi la certezza che le gocce di pioggia che ricadevano sul suo viso erano mischiate alle lacrime che i suoi occhi, leggermente arrossati, avevano lasciato cadere… di nuovo. Odiai chi aveva il potere di farle questo. Rimanemmo in silenzio, fermi sulla porta. Ci guardammo e poi, come fosse la cosa più naturale del mondo, allungai le braccia e l’attirai a me, con un calcio chiusi la porta dietro di noi. La tenni stretta a me e percepii il movimento leggero delle spalle e del suo viso, si stava rilassando nel mio abbraccio. Decidi di non dirle nulla ma, contro le mie aspettative, fu lei a parlare; la voce sommessa ed il suo fiato che mi carezzava la pelle. Era inebriante.

 

- William… - bisbigliò. Io, con le mani, cominciai a tracciarle dei cerchi leggeri sulla schiena per confortarla e metterla a suo agio, si aggrappò alle mie spalle talmente forte da affondare quasi le unghie nella mia carne, non me ne importava, volevo solo tenerla tra le braccia. Quando si calmò un poco, allentai la presa sul suo corpo che ora era scosso da forti brividi, la condussi davanti al camino e ravvivai le fiamme.

 

- Ora ti prendo qualcosa per cambiarti – le dissi sorridendo ed abbandonando ogni forma di cortesia con naturalezza, non mi sembrava il caso di continuare con la farsa del “voi” e del “Miss”. Inoltre, abbandonando tale forma, avevo l’impressione che il muro che lei tentava di tenere innalzato tra di noi cominciasse a screpolarsi, quanto desideravo che crollasse del tutto. Lei si limitò ad annuire, i suoi occhi erano così belli illuminati dal fuoco, sembrava che fossero apparse delle pagliuzze dorate nelle iridi, che la facevano apparire ancora più bella.

 

Frugai distrattamente nei cassetti del mobile vicino al letto e notai che l’unico abito pulito era la mia camicia nera preferita. Ricordate? Quella di cui vi accennavo poco fa. Comunque, gliela porsi e lei la prese tra le sue piccole mani tremanti, lo sguardo basso.

 

- Ora io esco in modo che tu possa cambiarti. Se vuoi puoi usare il letto, le coperte sono pulite. Quando sei pronta bussa alla porta, io attenderò qualche istante e poi rientrerò, mi metterò davanti al fuoco in modo da tenerlo sempre acceso – le dissi gentilmente. Di nuovo annuì silenziosa ed io uscii dalla mia stanza. Poggiai il capo contro il legno duro della porta e sospirai pesantemente, averla lì mi faceva sentire agitato ed avevo i palmi delle mani sudati. Starnutii e in quel momento ricordai di indossare solo un lenzuolo legato attorno alla vita.

 

- Per l’inferno maledetto! – grugnii.

 

Restai fermo, in attesa, per degli interminabili minuti e poi, finalmente, sentii dei colpi sommessi al legno su cui poggiavo la schiena nuda. Invece di attendere come le avevo promesso, mi voltai rapidamente e spalancai la porta. Dio era stupenda con la mia camicia nera che le arrivava a metà coscia, troppo grande per lei, ed i capelli, ancora umidi che le ricadevano scomposti sulle spalle. Lei sgranò gli occhi, ma subito si riprese dallo stupore ed abbassò lo sguardo a terra. Non riuscivo più a sopportare che lei non mi guardasse e così, con dolcezza, le presi il mento e le sollevai appena il viso.

 

- Cosa ti è successo? – chiesi cautamente, non volevo sembrare invadente e darle l’occasione di scappare via… anche se non mi sembrava avesse quell’intenzione. Voltò il viso dall’altra parte e fissò lo sguardo sulla parete spoglia. Intravidi le lacrime che cominciavano a formarsi nei suoi meravigliosi occhi verdi. D’istinto l’abbracciai di nuovo e le baciai la fronte.

 

- Scusami Anne, non mi devi nessuna spiegazione, restiamo così solo per un altro po’ di tempo… – le proposi, in quel momento volevo solo tenerla tra le mie braccia. Non mi aspettavo che accadesse quello che sto per narrarvi.

 

Lei mi fece passare le braccia attorno al collo e prese a baciarmi il petto, mi fece quasi perdere la ragione con il tocco delle sue labbra, ma dovetti combattere: dovevo sapere il perché. La bloccai e, prese le spalle, l’allontanai.

 

- No Anne… - vi sembrerà strano, ma sentirmi dire quelle parole mi fece odiare me stesso, sapevo che me ne sarei pentito, ma ancora oggi, vi confesso, non l’ho fatto. Da giorni la desideravo, da giorni la sognavo… ma sapevo che non era così che doveva essere. Il suo viso si rabbuiò e lo sguardo fu di nuovo posato a terra. Le presi il viso tra le mani e le baciai la fronte, le guance. La sentii chiudere gli occhi e ansimare un poco mentre le sue mani scorrevano attorno ai miei fianchi e si chiudevano sulla mia schiena. Evitai di baciarla, ma non l’allontanai.

 

- Anne… - non sapevo che discorso farle, cosa dirle, ma il silenzio mal si adattava a quella situazione, non avrei potuto controllarmi ancora per molto: dovevo parlare. Lei mi zittì premendomi le dita sulle labbra, alzò i suoi meravigliosi occhi verdi sui di me e mi fece un’unica domanda.

 

- William… io ti piaccio? – la voce le tremava bisognosa di conferme.

 

Era così semplice, tre semplici parole. Non volevo mentirle, troppo limpidi i suoi occhi per poterlo fare, annuii.

 

- Pensi a me? – continuò. Annuii di nuovo. Desideravo dirle che, da quando l’avevo incontrata, non avevo fatto altro. Mi sembrava insolitamente intraprendente quel giorno, solitamente tale comportamento non si addiceva alle donne londinesi, ma io ero talmente ammaliato da lei, dal suo corpo, dai suoi occhi che non vi prestai attenzione.

 

- Mi desideri? – mormorò infine. Se la desideravo, mi chiedeva. Non avevo mai voluto nessuna donna come volevo lei, nemmeno Lei. Dovevo annuire? Potevo confessarle questo? Cosa rispondere? Cosa? No, quella notte non potevo mentirle. Annuii guardandola intensamente. Mi tolse la mano dalla bocca e si alzò sulla punta dei piedi, avvicinando pericolosamente il suo viso al mio, mi ritrassi facendo qualche passo indietro.

 

- Anne… io non credo sia una buona idea… Prima dimmi almeno perché. Ho bisogno di un motivo… - stavo per impazzire, lo sentivo. Lei si morse il labbro inferiore e poi mi rivolse un timido sorriso.

 

- Perché mi piaci, William… - sussurrò semplicemente ed io morii in quel momento. Lei subito parlò di nuovo confessandomi quello che sincero le avevo confermato poco prima.

 

- Perché ti penso, William… -

 

Mi pensava… feci un passo indietro e lei ne fece uno verso di me.

 

- Perché ti desidero, William… -

 

Mi desiderava… raggiunsi la parete e lei il mio corpo, contro il quale premette il suo.

 

- Ho bisogno di te, William… Ti prego, baciami, ho bisogno di cancellare… - la sua voce ebbe un tremito e fu spezzata da un singhiozzo, di nuovo lacrime nei suoi occhi che sfuggivano i miei. Fu allora che presi la mia decisione: lasciai scivolare le mie mani, le mie braccia, attorno alla sua vita e la strinsi, mentre le mie labbra posavano una scia di piccoli baci dalla fronte fino alla guancia. Sentii il suo viso spostarsi in modo da lasciarmi libero accesso al collo e così, colto l’invito, scesi verso l’incavo della spalla. Lei intanto vagava con le mani lungo il mio petto, fino alle mie spalle che strinse con forza. Le afferrai i glutei, oohh così sodi e lei, con un piccolo slancio, mi saltò in braccio e mi cinse i fianchi con le sue gambe sottili, i suoi seni tondi e morbidi potevo sentirli premere, attraverso la camicia, sul mio petto. Sentii dei piccoli gemiti raggiungere il mio orecchio sinistro che Anne aveva iniziato a mordicchiare sensualmente, chiusi gli occhi e mi abbandonai alla sensazione. Sapevo che era tutto sbagliato, ma la volevo così tanto da farmi male.

 

- Anne… Oh Anne… - le sussurrai quando lei fece scivolare, senza mai interrompere il contatto dei nostri corpi, il lenzuolo a terra lasciandomi nudo davanti a lei. Cominciò a muoversi su e giù sfregando la sua femminilità sul mio membro già pronto per lei, mi faceva impazzire. I suoi capelli umidi danzavano attorno al suo viso e, mentre si muoveva accelerando il ritmo, carezzavano la mia pelle inebriandola dell’odore della pioggia che ancora li impregnava.

 

Quanto mi faceva male Anne non poteva saperlo, continuava la sua danza come ipnotizzata, sapevo però che era lontana da lì, lontana da quella stanza. Stava davvero facendo l’amore con me? Pensava forse a Liam? Quel pensiero mi ferì profondamente e così lasciai la presa e la poggiai a terra. Lei mi guardò, smarrita ed accaldata con molte, troppe domande negli occhi.

 

- William… non… non mi vuoi anche tu? – mi chiese insicura, mi sarei strozzato con le mie mani per averla costretta a porre quella domanda. Raccolsi sospirando il lenzuolo da terra e lo poggiai su una sedia, poi raggiunsi l’armadio e m’infilai un paio di pantaloni, evitando accuratamente di guardarla. Le diedi una rapida occhiata, con la coda dell’occhio, mentre continuavo a vestirmi.

 

- Anne… - esordii, anche se non sapevo esattamente cosa dirle – Io… - era così difficile e sentivo lo sguardo smarrito di lei su di me – Anne – ripetei.

 

- Non fa niente William, evidentemente non sono abbastanza bella per te… Ora è meglio che me ne vada – non fece in tempo a finire la frase che stava già raccogliendo i suoi abiti, poggiati ordinatamente sulla sponda del mio letto. Chiusi rabbiosamente l’armadio, ormai completamente vestito, e mi voltai. Lei non mi restituì lo sguardo ma piangeva di nuovo e, questa volta, era colpa mia. Andai verso di lei e le bloccai le mani che, freneticamente, non avevano smesso di radunare i vestiti ancora bagnati.

 

- Anne… resta qui – la pregai, non ero pronto per vederla andare via. Strinse convulsamente la stoffa del suo abito ed il labbro inferiore cominciò, così come il mento, a tremarle leggermente.

 

- Anne, mi vuoi dire cosa ti ha spinta a venire da me questa notte? – le carezzai una guancia cancellandole, seppur solo in superficie, le lacrime che la bagnavano. Lei non disse nulla e allora cambiai la mia domanda.

 

- È perché Liam non ti… non fa… - era così difficile, ma dovevo dirlo – È perché Liam non ti vuole più? –

 

I suoi occhi verdi fiammeggiarono d’ira e si staccò bruscamente da me, la mia mano ancora a mezz’aria in cerca della sua pelle.

 

- Come ti permetti? – mi urlò – Tu non sai niente di me e Liam! – era vero, non sapevo niente di lei e Liam, tuttavia non desideravo conoscere niente di quello che c’era tra loro due.

 

- Anne, scusami, non vole – ma non mi fece terminare la frase, si scagliò contro di me e cominciò a picchiare le piccole mani, chiuse a pugno, sul mio torace.

 

- Non sai niente! Niente! Capito? – la voce era spezzata dal pianto, la lasciai sfogare.

 

- Forse mi sono stufato di non sapere niente… - conclusi tristemente una volta che si fu calmata, Anne mi abbracciò senza rispondermi. Le donne! Che mistero rimangono per noi uomini, così orgogliose, così indecise eppure affascinanti. Non riuscivo ad arrabbiarmi con lei e così, sospirando, le carezzai la schiena abbandonando ogni tentativo di comprenderla.

 

- Sono stanco Anne… dormiamo un po’, ti va? – le domandai leggermente titubante, per fortuna la sentii annuire. Le cinsi le spalle con un braccio e, una volta accompagnatala al letto, rimisi a posto le coperte e lei vi si distese sotto, mentre io, dopo aver preso un’altra trapunta, mi distesi supino, accanto a lei. Anne era voltata di fianco e mi dava la schiena, mi domandai spesso a cosa stesse pensando. Perso nei miei pensieri non mi accorsi che nel frattempo si era voltata e che mi fissava insistentemente.

 

- William? – mi chiamò con dolcezza, adoravo il mio nome pronunciato dalle sue labbra. Mugugnai qualcosa d’incomprensibile per risposta.

 

- Mi abbracci? – mi chiese timidamente, spostando di poco il suo corpo verso il mio. Non potevamo toccarci, potevamo solo sentire il calore dei nostri corpi attraverso le coperte. Mi voltai e le sorrisi, allargai le braccia e lei vi si rifugiò, restituendomi un sorriso appena accennato. Era adorabile. Ci addormentammo così, abbracciati e felici del solo calore che i nostri corpi, l’uno accanto all’altro, emanavano. Forse fu solo un “leccarsi le ferite” quello che accadde tra noi quella notte, ma non ero pronto, come avevo detto prima, a non averla lì con me.

 

****

 

Finii di struccarmi, il mio riflesso non mi soddisfaceva: era quello di una donna triste e sola, come avevo fatto a diventare così? Forse non era solo perché Liam mi tradiva, era qualcosa da cercare molto più indietro, nel passato, in quella ragazzina che credeva di aver trovato così facilmente l’amore con la “A” maiuscola. Ero sposata con Liam da cinque anni e adesso mi sembravano secoli, mi sentivo vecchia ed inutile. Anche se per poco la musica riusciva a farmi sentire viva e libera, purtroppo subito, non appena le note terminavano, venivo riproiettata violentemente nella realtà. Schifo di vita.

 

La porta che si spalancava mi strappò dai miei pensieri: Liam.

 

- Buffy… eri davvero sexy stasera… - mi sussurrò avvicinandosi pericolosamente a me. Avevo appena fatto in tempo a cambiarmi e, dalla bomba sensuale che ero stata quella sera, mi ero ritrasformata nella solita Buffy: insulsa e sciatta, o almeno così mi vedevo. Liam evidentemente non la pensava in quel modo poiché continuava ad avvicinarsi. Mi chiesi da quando il suo sguardo mi faceva ribrezzo, da quando la sua voce mi dava fastidio così come la sua semplice presenza e, anche se malvolentieri, trovai la risposta: era da quando avevo visto le lacrime di William. Nel momento in cui Liam mi abbracciò contro il mio volere, mi colse un senso di nausea molto forte e lo allontanai velocemente da me.

 

- Che hai? – mi chiese rabbioso, per poi avventarsi di nuovo su di me – Sei mia moglie, non dimenticarlo! –

 

Quelle parole mi fecero arrabbiare moltissimo, non era forse lui ad avere un’amante? Tralasciai il fatto che anche io avevo baciato William e mi ero rifugiata tra le sue braccia dopo la violenza subita, ma almeno non andavo a letto con lui.

 

- Io so di essere tua moglie, ma tu ricordi di essere mio marito? – sapevo di dovermi mordere la lingua, non volevo sapesse che conoscevo la verità, che sapevo aveva un’amante. Cercai di trattenermi. Lui era disorientato, non riusciva a comprendere appieno le mie parole, così parlò a sproposito.

 

- Certo che so di essere tuo marito! Ogni volta che cerco di fare l’amore con te, però, tu ti opponi – mi rimproverò. Le immagini dell’ultima volta, di quando l’avevamo fatto contro il mio volere, mi assalirono; davvero non si rendeva conto di avermi usato violenza? Forse no, dato che era ubriaco fradicio. Volli ricordarglielo.

 

- L’ultima volta, anche se mi sono opposta, non è servito a molto mi sembra! Tu mi hai violentata Liam, te ne rendi conto? – ero stanca di quella discussione.

 

- Tu hai il dovere di darti a me quando io ne ho voglia! Cristo, sei mia moglie ed è mio diritto pretendere di averti quando mi aggrada di più! – ribatté convinto. Quanto lo odiavo. Nemmeno attese la mia risposta e si buttò di nuovo su di me spingendomi su un divanetto poco distante, mi divincolai furiosamente.

 

- Ti voglio adesso Buffy e faremo sesso che tu lo voglia o no! – mi informò con decisione, non smisi di combattere, non volevo più sentirlo dentro di me, non volevo più sentire il suo alito sulla mia pelle, il suo corpo sul mio. Gli graffiai il volto, ma questo gesto mi costò uno schiaffo pesante sul volto. Lo sentii slacciarsi i pantaloni, intanto che mi bloccava le braccia sopra la testa.

 

- No! No, Liam! Ti prego… - abbandonai il mio orgoglio e lo pregai come non avevo mai fatto in vita mia. Naturalmente non mi ascoltò, iniziò ad alzarmi la gonna e a baciarmi, mi disgustava la sua lingua nella mia bocca. Da quando non lo amavo più? Da troppo tempo mi risposi. Mi divincolai ancora quando sentii il suo membro carezzare la mia femminilità con gesti bruschi e sbrigativi.

 

- Vedrai che ti piacerà tesoro… - mi bisbigliò, io lottai, combattei con tutta la mia forza contro di lui. Finalmente riuscii, non so come, a liberare una mano dalla sua presa e lo colpii sul volto facendolo sollevare di poco, così da potergli assestare una ginocchiata, debole ma efficace, all’inguine. Liam si piegò in due e cadde dal divano urlandomi insulti che non vi ripeterò. Io rimasi per un attimo distesa, affaticata per l’estenuante lotta, ma soddisfatta della mia vittoria. Dovevo fuggire. Mi alzai di scatto e mi lisciai la gonna, rimettendola al suo posto. Diedi un’occhiata a Liam che ancora si contorceva per il dolore e mi guardava con odio.

 

- Allontanati e te ne pentirai ragazzina – mi minacciò parlando con fatica, lo sfidai.

 

- Ci vediamo presto Liam – gli risposi e me ne andai. Attraversai correndo il locale, tanto che avevo gli sguardi dei clienti rimasti puntati su di me. Non me ne importò in quel momento, corsi fino all’ingresso ed uscii. Una pioggia battente mi investì e, per un attimo, rimasi ferma per farmi consolare, per farmi purificare, da quell’acquazzone. Mi rimisi a camminare piano, tanto Liam non mi avrebbe seguita e, se l’avesse fatto, gli avrei assestato un altro calcio nelle parti basse. Sorrisi all’idea, ma subito la mia allegria si spense al ricordo di quello che aveva cercato di farmi per la seconda volta. Le mie lacrime, contro le quali avevo lottato così duramente, scivolarono indisturbate sulle mie guance arrossate mescolandosi alle gocce di pioggia che mi bagnavano il viso ed inzuppavano i miei vestiti. Mi resi conto di voler vedere William e, solo in quell’istante, mi resi conto di non sapere dove abitava; sicuramente non l’avrei trovato in ufficio.

 

Pioveva a dirotto ed ero talmente infreddolita che dovetti fermarmi in un locale poco distante per asciugarmi un attimo. Entrai e subito sguardi lascivi di uomini si posarono sul mio corpo tremante. M’impettii e orgogliosa mi rivolsi al gestore.

 

- Un whisky per favore – ordinai con tono deciso, l’uomo mi guardò con sufficienza e mi versò il liquido ambrato in un piccolo bicchiere. Lo buttai giù tutto d’un colpo e quasi mi bruciai la gola: come facevano alcuni a dipendere da tale schifezza? Tossii ripetutamente e sentii alcuni clienti ridere alle mie spalle, mi voltai e li freddai con lo sguardo.

 

- Ho bisogno un altro bicchiere e… un’informazione – dissi all’uomo, questo asserì. Mi ero detta che probabilmente lui sapeva dove viveva William, in città a quanto pare tutti sapevano qualcosa di lui, così glielo chiesi.

 

- Conoscete il fotografo William Harrington? – m’informai, il tizio asserì di nuovo con uno strano ghigno sul viso. Buttai giù il secondo bicchiere e andai avanti con l’interrogatorio.

 

- Sapete dove abita? –

 

Asserì di nuovo, ma non poteva darmi l’indirizzo senza che glielo domandassi? Odiavo dover tirar fuori le parole di bocca alla gente.

 

- E sareste così gentile da dirlo anche a me? – ribadii l’ovvio bisogno dell’indirizzo. L’uomo si schiarì la voce.

 

- Abita giù ai docks, dovete passare oltre la Chiesa di Adlgate. Oh e… Miss, se permettete, io non mi metterei a cercare un rifiuto della società come quello… – mi disse con un sorriso falso stampato sulle labbra. Sentii la rabbia salirmi dallo stomaco fino al cervello, come diavolo si permetteva?

 

- Grazie della cortesia e, per quanto riguarda il signor Harrington, devo confessarle che è decisamente un uomo per bene e che voi dovreste prendere esempio dalla sua educazione – ribattei furiosa. Gli lanciai qualche penny sul bancone e, senza nemmeno voltarmi, mi rimisi a correre sotto la pioggia. Mentre camminavo verso i docks vidi in lontananza un taxi, mi misi a correre ma scivolai inzuppandomi ancora di più e non raggiungendolo. Camminai per molto tempo, ero infreddolita e avevo voglia di sedermi a terra e piangere. Continuai a camminare fino ad arrivare ai docks, era un quartiere povero, ma lo spettacolo del Tamigi di notte era meraviglioso. Mi commossi a quella vista e restai per qualche istante a fissare l’acqua agitata dalle gocce di pioggia. Vidi un ragazzo che scaricava delle scatole e lo raggiunsi chiedendogli di William, lui m’indicò una pensione poco distante e, dopo averlo ringraziato, mi avviai verso il piccolo albergo.

 

La proprietaria, non molto gentilmente e con una smorfia sul volto, mi indicò la stanza di William che, mi informò, era rientrato poche ore prima. Il cuore prese a battermi sempre più velocemente man mano che salivo gli scalini. Che cosa gli avrei detto? Con mille pensieri nella mente ed il ricordo della tentata violenza di Liam, arrivata dinnanzi alla porta, bussai intanto che alcune lacrime fuggivano al mio controllo scendendo sul mio viso e mischiandosi alle gocce di pioggia.

 

Non ottenni risposta.

 

Bussai di nuovo, più forte, e finalmente sentii una serie di imprecazioni arrivare ovattate da dietro il legno spesso. La porta si spalancò e William apparve di fronte a me: i capelli scompigliati e solo un lenzuolo attorcigliato alla vita. Rimasi per un attimo senza parole, intanto che i suoi occhi, di una tonalità blu intensa, scorrevano sul mio corpo fradicio e si soffermavano nei miei. Restammo in silenzio a guardarci e poi lui allungò le braccia e mi attirò a se, sentii a malapena la porta chiudersi, troppo intenta a rilassarmi nel suo abbraccio protettivo. Adagiai meglio il mio viso sul suo torace, era così caldo ed accogliente.

 

- William… - bisbigliai. Fui incapace di dire altro perché le sue mani iniziarono a tracciarmi dei cerchi leggeri sulla schiena, io percorsi le sue braccia con le mie mani e mi aggrappai con forza alle sue spalle muscolose, quasi affondandovi le unghie per paura che sparisse, che mi allontanasse. Non fece nulla di tutto questo. Restammo abbracciati per un po’, precisamente fino a quando non fui colta da forti brividi dovuti alla pioggia gelata che ancora avevo addosso. Mi condusse, senza dire una parola, davanti al camino, vi aggiunse qualche ciocco di legno che ravvivò le fiamme. Subito mi sentii meglio.

 

- Ora ti prendo qualcosa per cambiarti – m’informò passando dalla forma di cortesia, che avevamo usato fino a poche ore prima, alla forma famigliare. Mi rilassai ulteriormente, mi sembrò di avvicinarmi a lui un pochino di più. Io mi limitai ad annuire per non guastare l’atmosfera, lui continuava a fissarmi. In seguito si alzò e andò a trafficare con uno dei cassetti del mobile posto accanto al letto. Tornò verso di me e mi porse una camicia nera, ancora tremavo ma la presi, tenendo lo sguardo basso temendo che lui mi ponesse qualche domanda.

 

- Ora io esco in modo che tu possa cambiarti. Se vuoi puoi usare il letto, le coperte sono pulite. Quando sei pronta bussa alla porta, io attenderò qualche istante e poi rientrerò, mi metterò davanti al fuoco in modo da tenerlo sempre acceso – mi spiegò gentilmente. Io annuii di nuovo e lui lasciò la stanza. Raggiunsi la porta dove, non so come, sapevo che lui si era appoggiato e carezzai il legno scuro. Quanto era dolce con me, mi chiesi perché lo fosse. Provava qualcosa per me? Quando lo sentii starnutire, mi allontanai dalla porta e mi sbrigai a togliermi gli abiti bagnati, riponendoli con cura sulla sponda del letto, poi m’infilai la camicia. Era troppo grande per me e copriva metà della mia coscia, le maniche erano lunghe e dovetti arrotolarle un paio di volte. Sorrisi, sentivo il suo odore su di me e mi fece sentire bene. I miei capelli non si erano ancora asciugati, li strizzai leggermente facendo ricadere le gocce sul pavimento, proprio davanti al camino. Le osservai mentre venivano inghiottite dal legno e, in seguito, mi decisi a dare pochi colpi alla porta. Non ero preparata al fatto che lui non avesse atteso come aveva promesso, la porta si spalancò e William mi fissò attentamente. Sgranai gli occhi per lo stupore, ma mi rilassai non appena mi accorsi che il suo sguardo non mi dava fastidio, al contrario di Liam la sua presenza mi dava sicurezza. Abbassai lo sguardo, mi sentivo imbarazzata. William mi raggiunse e con un gesto delicato mi prese il mento e mi sollevò appena il viso, in modo che lo guardassi.

 

- Cosa ti è successo? –

 

Quella semplice domanda mi fece rivivere le brutte sensazioni che avevo provato con Liam, girai il viso dall’altra parte e fissai la parete spoglia. Le lacrime pungevano dietro ai miei occhi. William mi abbracciò di nuovo, lasciando cadere la domanda, e mi baciò la fronte.

 

- Scusami Anne, non mi devi nessuna spiegazione, restiamo così solo per un altro po’ di tempo… - mi propose. Io strinsi gli occhi, non ero più abituata a quel tipo di attenzioni e avevo tanto, tanto bisogno di affetto…

 

Gli passai le braccia attorno al collo e cominciai a baciargli il torace intenzionata a perdermi in lui, purtroppo William, evidentemente non consenziente, mi prese le spalle fermamente e mi allontanò quasi subito.

 

- No Anne… -

 

Lo sguardo che mi diede mi fece sentire sporca, come una di quelle donnacce che Liam frequentava a mia “insaputa”. Abbassai il capo incapace di sostenere ancora gli occhi indagatori di William, mi sentivo così male. Lui, però, mi prese il viso tra le mani e mi baciò ancora la fronte, poi le guance. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quel tocco leggero: adoravo le sue labbra. Feci scorrere le mie mani attorno ai suoi fianchi e lo attirai a me, lui né mi baciò né mi allontanò; parlò.

 

- Anne… - poi si fermò e allora, prima che potesse dire qualsiasi cosa, prima che quel momento sparisse, gli poggiai le dita sulle labbra e lo guardai: dovevo sapere cosa provava.

 

- William… io ti piaccio? – non riuscii a fermare il tremito della mia voce mentre gli posavo quella, all’apparenza semplice, domanda. Che cosa avrei fatto se mi avesse risposto di no? Rimasi in attesa. Lui era fermo, raggelato, forse messo troppo alle strette. Iniziai a preoccuparmi, ma lui interruppe i miei pensieri annuendo. Avrei fatto i salti di gioia, ma dovevo sapere anche il resto, volevo che tra noi non ci fossero più segreti… o perlomeno non più di quelli che già c’erano, almeno da parte mia.

 

- Pensi a me? –

 

Annuì di nuovo, senza darmi tempo di pensare a niente. In quel momento avrei voluto buttargli le braccia al collo: lui provava le stesse cose che provavo io, anche se non lo sapeva. Mi scoprii audace come non mi ero mai sentita prima di quel momento, così posi l’ultima domanda, quella che avrebbe dovuto cambiare il corso di quella notte, forse della mia vita.

 

- Mi desideri? –

 

Ecco, l’avevo detto. Lui rimase immobile, ancora nella stessa posizione. Ero ancora tra le sue braccia e sognai che, al posto di rispondermi, mi prendesse con forza e mi baciasse con passione; non accadde nulla: lui annuì semplicemente anche se il suo sguardo era cambiato. Gli tolsi la mano dalla bocca e mi avvicinai al suo viso, se non mi baciava lui, allora l’avrei baciato io! Lui si scansò arretrando di qualche passo e questo mi ferì.

 

- Anne… io non credo sia una buona idea… Prima dimmi almeno perché. Ho bisogno di un motivo… -

 

Era per quello che non mi voleva? Perché non sapeva “perché”? Mi morsi il labbro inferiore e gli feci un sorriso. Ora potevo confessargli i miei pensieri.

 

- Perché mi piaci, William… - sussurrai, non gli diedi il tempo di dire niente, continuai la mia confessione.

 

- Perché ti penso, William… - adoravo il suo nome, l’avrei detto per centinaia, migliaia di volte. Lui arretrò ancora di un passo, io avanzai.

 

- Perché ti desidero, William… - tirai fuori tutta la mia carica sensuale per dire quelle parole e credo che sortirono l’effetto sperato. Lui arretrò di nuovo trovando però il muro, così io potei premere il mio corpo contro il suo.

 

- Ho bisogno di te, William… Ti prego, baciami, ho bisogno di cancellare… -

 

Perché mi venivano in mente le immagini di Liam e quello che aveva tentato di farmi? Non desideravo forse quell’uomo davanti a me? Perché le loro immagini si sovrapponevano? Non riuscii a trattenere le lacrime. Mi odiai profondamente perché ogni volta che ero davanti a William mostravo i miei lati peggiori. Forse fu grazie alle mie lacrime o forse fu grazie al fatto che gli facevo pena, che lui mi strinse con forza e cominciò a posare una scia di baci dalla mia fronte fino alla mia guancia. Persa ogni ragione, ogni pensiero, inclinai la testa per dargli libero accesso al mio collo: una delle mie parti sensibili. Gli carezzai la schiena, mentre lui scendeva fino all’incavo del collo, poi gli strinsi le spalle e mi aggrappai a lui. Mi strinse le natiche e, siccome lo volevo, presi l’iniziativa e gli saltai in braccio cingendogli i fianchi con le gambe. Premetti, apposta, i miei seni dalla punta inturgidita contro il suo torace e gemetti. Gli mordicchiai un orecchio e lo sentii abbandonarsi al mio tocco.

 

- Anne… Oh Anne… - sussurrò con la voce rotta dall’eccitazione che sentivo premere chiaramente sul mio basso ventre. Gli sfilai il lenzuolo e lui rimase nudo; presi quindi a muovermi su e giù sfregando la mia femminilità, che si stava rapidamente bagnando, sul suo membro già gonfio. Lo volevo tanto, tantissimo. L’avrei fatta pagare a Liam, lo avrei ripagato con la stessa moneta. Non era giusto nei confronti di William, lo so bene, ma lui, in quel momento e anche se lo volevo nonostante tutto, mi era conveniente.

 

Purtroppo, come se avesse letto nei miei cattivi pensieri, William mi allontanò posandomi a terra. Non potevo accettarlo, perché non mi voleva?

 

- William… non… non mi vuoi anche tu? – ero così insicura, non mi era mai capitato di essere rifiutata. Lui si limitò a sospirare e a raccogliere il lenzuolo da terra. Lo appoggiò su una sedia e raggiunse l’armadio, senza mai incrociare il mio sguardo. S’infilò un paio di pantaloni ed io seppi che la mia avventura con lui era finita ancora prima di cominciare.

 

- Anne… - la sua voce mi scosse dal mio sconforto – Io… - si fermò ancora.

 

- Anne… - ancora il mio nome, senza nessuna domanda al seguito. Sembrava più una preghiera che una domanda celata. Non so spiegarne il motivo, ma mi aveva ferita e così cercai di difendermi.

 

- Non fa niente William, evidentemente non sono abbastanza bella per te… Ora è meglio che me ne vada –

 

Cominciai distrattamente a raccogliere i miei vestiti, lo odiavo! Sentii sbattere le ante dell’armadio violentemente e poi lui si voltò verso di me, ormai completamente vestito. Lasciai libere le lacrime, ancora, e di nuovo mi odiai perché lui riusciva a mettere a nudo le mie debolezze e a farmi sentire inerme, inutile. Il mio guscio, sotto il quale tentavo disperatamente di nascondermi, si sbriciolava sotto il suo sguardo. M’imposi di non guardarlo e continuai a radunare i miei vestiti, ancora non del tutto asciutti.

 

- Anne… resta qui –

 

Avevo sentito bene? Mi aveva chiesto di restare? Strinsi la stoffa dell’abito e, dall’emozione, non riuscii a controllare il tremolio del mio mento e del mio labbro inferiore.

 

- Anne, mi vuoi dire cosa ti ha spinta a venire da me questa notte? – mi chiese dolcemente, accarezzandomi una guancia dopo essersi avvicinato cautamente a me. Non ebbi la forza di rispondergli, potevo dirgli che ero andata da lui per ripicca? Per ricambiare il “favore” a mio marito? Per mettermi in ridicolo e consumare anche l’ultimo briciolo di orgoglio che avevo?

 

- È perché Liam non ti… non fa… È perché Liam non ti vuole più? –

 

Cosa? Era quella, dunque, la verità? Era perché Liam non mi desiderava più che volevo fare sesso con lui? No! Non era per quello! O forse sì, ma non volevo sentirlo dalla sua voce, dalla sua bocca. Lo guardai con odio.

 

- Come ti permetti? – gridai – Tu non sai niente di me e Liam! –

 

- Anne, scusami, non vole – cercò di scusarsi lui, io invece mi arrabbiai ancora di più e mi scagliai contro di lui prendendolo a pugni.

 

- Non sai niente! Niente! Capito? – in quel momento piangevo, William non si ribellò e non mi disse niente, mi lasciò sfogare come fosse il più caro dei miei amici.

 

- Forse mi sono stufato di non sapere niente… - concluse amaramente quando smisi di picchiarlo. Lo abbracciai senza dirgli niente. Un attimo dopo lui mi stava accarezzando la schiena e sussurrò dolcemente nel mio orecchio.

 

- Sono stanco Anne… dormiamo un po’, ti va? –

 

Annuii, lui mi cinse le spalle e mi accompagnò vicino al letto, dove rimise in ordine le coperte invitandomi a mettermici sotto. M’infilai sotto le lenzuola intanto che lui prendeva un’altra coperta e si metteva vicino a me. Troppo emozionata mi voltai dall’altra parte incontrando il muro. Un brivido di freddo mi scosse il corpo e così mi voltai in cerca di calore. Il suo sguardo era perso chissà dove, ma quando girò la testa ed incontrò i miei occhi trovai la sua espressione così dolce che con coraggio mi rivolsi a lui.

 

- William? – lo chiamai anche se avevo già la sua attenzione, lui mugugnò qualcosa che non riuscii a capire.

 

- Mi abbracci? –

 

Ecco, l’avevo detto! Non potevo crederci. Volevo essere abbracciata disperatamente, come a voler cancellare tutto quello che era successo tra noi prima. Mi sorrise e allargò le braccia dove io mi rifugiai. Gli restituii il sorriso e ci addormentammo così, stretti l’uno all’altra, cullati dal calore che i nostri corpi, limitati dalle lenzuola e dalle coperte, emanavano.

 

****

 

Non tentai nemmeno di addormentarmi, non ce l’avrei fatta con Anne tra le mie braccia. Mentre dormiva aveva un viso rilassato che non le conoscevo, un piccolo sorriso le incurvava le labbra ed il respiro regolare scandiva il tempo di quella notte, quasi tramutatasi in alba. Il solo guardarla mi faceva sentire bene e riposato, nessuna donna aveva sortito tale effetto su di me. Quando un raggio del sole appena sorto le illuminò il viso, si svegliò e si stropicciò gli occhi, allungandosi contro il mio corpo, almeno per quello che le coperte le permettevano. Poi i suoi occhi verdi si posarono sui miei ed un largo sorriso le si dipinse sul volto.

 

- Ciao – mi salutò con allegria. Allora, solo allora riuscii ad ammettere quello che da giorni tentavo disperatamente di nascondere: l’amavo. Mi ero innamorato di lei, della sua debolezza che, non so come, sapevo mostrava solo a me. Nello stesso tempo amavo il suo orgoglio che, nonostante la tristezza che leggevo nei suoi occhi, nessuno riusciva a calpestare. Decisi però di non confessarle quanto avevo appena scoperto, non volevo chiederle nulla e non volevo perdere quella sorta di “rapporto” che c’era tra di noi.

 

Le sorrisi a mia volta e la salutai anche io avvolgendole più strettamente il braccio attorno alla vita, lei mi lasciò fare e mugugnò guardando il sole.

 

- Che ore saranno? – mi chiese stirandosi ancora. Amavo sentire il suo corpo allungarsi e muoversi accanto al mio, nel mio abbraccio.

 

- Non so, forse le dieci o le undici… - contemplai il cielo, la posizione del sole sembrava proprio quella tipica della tarda mattinata. Lei, saltandomi praticamente via, balzò fuori dal letto e freneticamente cominciò a raccogliere gli abiti litigando anche con i lunghi capelli, ormai per la maggior parte mossi, che continuavano a coprirle gli occhi.

 

- È tardi! Tardi maledizione! – la sentii bisbigliare intanto che si guardava attorno. Mi alzai anche io di malavoglia, non volevo andasse via, perché doveva andare? Mi si strinse il cuore.

 

- Esci! –

 

Dapprima non compresi.

 

- ESCI! Mi devo cambiare! – mi ordinò. Io feci come richiesto e uscii dalla stanza: tanto avevo voglia di fumare e quindi non mi pesò; inoltre non volevo vederla andar via. Ci vollero pochi minuti e poi lei aprì la porta vestita di tutto punto e con i capelli raccolti alla bell’e meglio. La trovai stupenda, come sempre d’altronde. Entrai nella mia stanza richiudendomi la porta alle spalle, lei stava cercando uno dei suoi guanti che era finito chissà dove.

 

- Vuoi fare colazione prima di andare? – le domandai nella speranza che lei mi dicesse di si. Si voltò appena e mi guardò, non saprò mai dirvi che cosa ci fu in quello sguardo, forse rimpianto.

 

- No, grazie – mi rispose gentile, lasciò perdere il suo guanto ed andò ad afferrare la maniglia della porta; io mi voltai e la guardai, sapevo che la stavo perdendo e che, se avesse varcato quella soglia, non l’avrei più rivista. Non smisi di fissarla e la vidi stringere la maniglia fino a che le sue nocche non divennero bianche, perché esitava? Anche lei non voleva lasciarmi? Dunque quello che mi aveva detto poche ore prima era vero? Era vero che mi voleva? Che mi pensava? Che mi desiderava?

 

Feci un passo in avanti e le mormorai quello che il mio cuore continuava a gridare. La vidi bloccarsi e la presa sulla maniglia allentarsi. Le ripetei la frase come fosse una preghiera.

 

- Non voglio che tu te ne vada… - confessai tutto d’un fiato. Rimase immobile ancora un istante e poi le sue spalle si abbassarono, lentamente si voltò.

 

- Non voglio andarmene… - fece eco lei.

 

Non sapevo se ridere o piangere dalla felicità, al diavolo tutti i buoni propositi, al diavolo il fatto che avevo pensato fosse sbagliato. Io l’amavo e quella era l’unica cosa importante, se lei non mi avesse amato… beh, il mio amore sarebbe bastato per entrambi. Avanzai ancora e lei, questa volta, avanzò con me fino a quando non fummo al centro della stanza. I suoi occhi brillavano di una luce nuova che non le avevo mai visto. In un attimo fummo l’uno nelle braccia dell’altro, le nostre bocche unite in un bacio profondo ed appassionato, il nostro primo vero bacio. Non posso descrivervi le sensazioni che la sua lingua, che accarezzava dapprima gentilmente e poi prendeva a duellare con la mia, e le sue labbra mi diedero, so solo dirvi che fu qualcosa che non avevo mai provato con nessuna prima di lei. Le mie mani frenetiche le sciolsero i capelli e poi scesero sulla schiena cominciando a slacciarle bottoni e cinta fino a che il suo vestito non raggiunse il pavimento. Lei nello stesso tempo armeggiava con la mia camicia e, senza che me ne accorgessi, anche questa cadde a terra, seguita dai miei pantaloni. Quando fummo entrambi nudi ci prendemmo un attimo di tempo per respirare e per ammirarci; quanto mi piaceva quello che vedevo! Mi morsi il labbro inferiore e poi la presi con forza incitandola a saltarmi in braccio come aveva fatto poche ore prima, lei non si lasciò pregare e, cominciando a divorarmi le labbra, mi cinse i fianchi con le gambe e iniziò a danzare su di me. Mi avrebbe fatto impazzire con quei movimenti, non appena sentiva il mio respiro accelerare, scostava di poco la sua femminilità apposta, in modo da prolungare la mia agonia. Il mio membro veniva poi lenito con il trattamento contrario: Cristo, quanto la volevo!

 

Anne continuava a muoversi freneticamente contro di me, i suoi seni piccoli e sodi carezzavano il mio torace facendomi rabbrividire di piacere. Non so dirvi con che forza ancora mi reggevo in piedi, avevo desiderato talmente tanto quel momento che i miei sensi erano votati completamente a lei, a quello che mi stava facendo. Quando fui sul punto di non riuscire più a sostenerla, la bloccai contro il muro e la imprigionai così che fossi io quello a determinare il ritmo della nostra danza, appena cominciata. La guardai intensamente, lei era disorientata, forse aveva anche un misto di paura sul volto, ma era eccitata quanto me. Arrotolai la mia lingua dietro i denti superiori ed inclinai il capo, lei mi guardò respirando più affannosamente e mordendosi il labbro inferiore.

 

- Anne… - volevo dirle qualcosa, ma il fiato mi si bloccò in gola quando lei si avventò sul mio collo succhiandolo e mordicchiandolo. Riuscii a sentire che mi diceva di tacere e io feci come ordinatomi: chi ero per ribellarmi?

 

Quando lei prese a muoversi, quel tanto che la posizione le permetteva, strinsi i denti per l’ondata di calore che mi percorse. Le presi le braccia, che aveva attaccato saldamente al mio collo, e gliele sollevai sopra la testa bloccandole i polsi; abbassai il capo e raggiunsi la punta di uno dei suoi seni; la succhiai prestandogli tutta l’attenzione di cui ero capace e la sentii gemere e contorcersi sotto di me, intanto che tentava di liberare le mani dalla mia presa: ora avevo io il comando!

 

- Will-iam! – ansimò quando raggiunsi la sua femminilità con le dita, dopo aver sistemato entrambi i suoi polsi sotto la mia mano, cominciando a solleticarle il clitoride. Era talmente bagnata e gemeva a tal punto che io quasi venni solo a sentire i suoni emessi dalla sua bocca. Quando infilai un dito dentro di lei, dovetti mordermi le labbra per non urlare di dolore: lei mi aveva morso una spalla per soffocare, a sua volta, un grido di piacere.

 

Facemmo l’amore per ore, come se fuori dalla mia finestra non ci fosse nessun mondo che girava attorno a noi: in quel momento esistevamo solo noi due.

 

****

 

Le nubi cominciarono a chiudere la volta del cielo e l’oscurità stava per scendere di nuovo sulla città. Tra le braccia di William, quel giorno, persi la cognizione del tempo e dello spazio: esistevamo solo noi due. Purtroppo finito il sogno, la realtà mi riportò bruscamente al fatto che ero sposata e che mancavo da molte ore da casa, come avrebbe reagito Liam? Cosa avrei detto a William che stavo per abbandonare?

 

Quelle ore passate con lui le avrei ricordate per tutta la vita; la nostra storia, mai veramente cominciata, avrebbe accompagnato le mie giornate grigie e rallegrato i miei ricordi. Baci fugaci dapprima, calore ed intesa dopo. Amore non era una parola che volevo utilizzare, intanto che osservavo il viso addormentato di William, accanto a me, quel termine continuava a danzare nella mia mente, ma non volevo ammettere quello che, stupidamente, mi ostinavo a nascondere. Lo confesserò ora, a voi che state ascoltando la mia storia: mi ero innamorata di lui. Oh, l’avevate capito? Beh, allora l’unica cieca ero io.

 

Scivolai via dall’abbraccio dell’uomo che giaceva accanto a me con prudenza, tentando di non svegliarlo perché sarebbe stato troppo doloroso dirgli “addio”. Avevo deciso infatti, mentre lo osservavo attentamente, che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei visto. Al diavolo Liam e la mia stupida idea di nuocergli, in fondo avevo soldi e fama a sufficienza e potevo fare quello che più amavo: cantare. Eppure sentivo che ora c’era qualcosa che forse, probabilmente, potevo amare di più: William. Scossi debolmente il capo scivolando ancora un po’ in modo da toccare il pavimento con la punta delle dita, accarezzai il legno ruvido intanto che una lacrima fuggiva al mio controllo e scendeva sulla mia guancia silenziosa, ma piena di significati. Sentii William muoversi e mi sbrigai a scendere dal letto. M’infilai in fretta gli abiti, afferrai la maniglia e diedi un’ultima occhiata a lui che dormiva beato, era così in pace che mi si strinse il cuore. Tornai indietro e scrissi un piccolo messaggio su un foglio di carta che trovai lì in giro e lo riposi con cura sul cuscino; nello stesso tempo sfiorai il suo volto con le labbra e lo vidi sorridere leggermente. La mia espressione risoluta si sgretolò vedendo le sue labbra piegate all’insù e il volto rilassato, ero davvero ingiusta nei suoi confronti, ma non riuscii ad impedirmi di esserlo. Senza voltarmi me ne andai.

 

Rapidamente raggiunsi la fermata degli autobus e, senza dover attendere molto, ne presi uno che mi condusse a casa. Entrai di soppiatto, ormai era diventato buio, e salii le scale. Solo il gorgoglio del mio stomaco mi rammentò che non avevo mangiato nulla, mi nacque un sorriso spontaneo ricordando che qualcosa avevo messo in bocca: la pelle profumata di William e… altro. Camminai verso la cucina e trovai un vassoio che riportava il mio nome: caro Steven, l’unico che in quella casa mi era amico. Riscaldai un poco il cibo e sbocconcellai qualcosina, lo stomaco, anche se aveva reclamato, era occluso per il senso di colpa. Che cosa avrebbe provato William svegliandosi e non trovandomi? Mi diedi della vigliacca, ecco cosa ero. Nulla di più e nulla di meno. Sentii come una cosa sicura e incontestabile che, abbandonandolo, avevo rinunciato a qualcosa di bello e pulito. Lo stomaco si chiuse definitivamente sostituendo la poca fame ad una forte nausea, ci mancò poco, ma fortunatamente non vomitai.

 

Salii i gradini che mi avrebbero portato in camera lentamente, come a voler rallentare la mia vita e, se avessi potuto, riavvolgerla fino all’abbraccio sicuro di William attorno al mio corpo. Invece arrivai in cima alla scalinata e, davanti alla porta della mia camera, esitai: Liam si trovava lì? Era rientrato? Non avevo nessuna voglia di litigare con lui, ma sapevo che lo scontro era inevitabile. Sarei stata abbastanza forte da sopportarlo? Troppe domande senza risposta, entrai aprendo la porta solo quanto fosse necessario per far passare il mio esile corpo attraverso lo spiraglio. Non volevo far entrare troppa luce, scorsi la figura scura di Liam seduto sulla poltrona davanti alla finestra, fumava e puzzava d’alcool: mi attendeva. La sua voce ruvida e bassa, simile ad un ringhio, mi assalì e mi fece accapponare la pelle.

 

- Dove sei stata? –

 

- Te ne importa? – sibilai tentando di guadagnare tempo per trovare una scusa plausibile. Liam si alzò bruscamente e si allontanò dalla finestra barcollando verso di me, il puzzo del suo alito m’investì facendomi quasi piegare le ginocchia: che schifo.

 

- Buffy! – gridò davanti al mio viso, il tono non ammetteva tentennamenti; dovevo rispondere.

 

- Sono stata al locale e poi… si è fatto tardi e… - il boato della voce di Liam, deformata dall’alcool, troncò la mia ed il fiato nella mia gola, che si seccò all’istante.

 

- BUGIARDA! Dove sei stata? – sbraitò con gli occhi sgranati che rilucevano alla fioca luce del corridoio, i lineamenti alterati per la rabbia. Senza lasciarmi il tempo di rispondere la sua mano imponente si alzò su di me, ma prima che riuscisse a trovare il mio volto feci in tempo a spostarmi di lato. Lui quasi cadde a terra… quasi. Si voltò e afferrò la mia camicia strattonandomi sul letto. Non volevo che mi violentasse così tastai disperatamente nel buio alla ricerca di qualcosa per difendermi, non avrei ceduto. Mi strappò la stoffa delicata del vestito lacerandola su di un lato scoprendomi un seno, ma io non cedetti e continuai a cercare. Intanto con le unghie della mano libera gli graffiavo il petto ed il viso, ma lui sembrava non accorgersene. Decisi che, se non avessi trovato nulla, gli avrei cavato un occhio con tutte le mie forze piuttosto di farmi prendere con la forza.

 

Questa volta non mi sarei piegata al suo volere.

 

Non dopo William.

 

Cercò di strapparmi un altro lembo della camicetta, ma io gli piantai le unghie saldamente nella spalla, sul letto purtroppo non trovai nulla per difendermi e la possibilità di cavargli un occhio non mi parve più tanto esagerata. Che cosa mi restava da fare? Beh quello che alle donne riesce meglio: urlai con tutto il fiato che avevo in gola. Gridai tanto che Liam rimase per un attimo disorientato dando il tempo al fido Steven di accorrere in mio aiuto.

 

Spalancò la porta armato di un pesante candeliere di ferro, quelli che si usano per illuminare le tavole; i capelli, soffici e candidi come la neve, arruffati come non mai. La vestaglia gli penzolava disastrosamente dalle spalle: si vedeva che l’aveva infilata di fretta più per abitudine che per bisogno. Quando mi vide sgranò gli occhi ed io, fissandolo, lasciai libere le lacrime.

 

- Signore, sono costretto a chiedervi di allontanarvi dalla signora! – esclamò con voce sottile, come pentendosi subito dello sgarbo arrecato al padrone di casa; lui però mi voleva troppo bene per lasciarmi così. Liam si sollevò un poco e rise, una risata bestiale e rozza: decisamente non aveva più nulla dell’uomo che avevo sposato ed amato in passato.

 

- E cosa mi vorresti fare? Tu, brutto vecchio che non sei altro? – grugnì.

 

Steven inaspettatamente s’impettì ed agitò il candelabro.

 

- Ho un candeliere e non ho paura di usarlo quindi, signore, vi prego di lasciare la ragazza –

 

Quanto bene volevo a Steven? Infinito. Quella parola ancora non era sufficiente per esprimerlo a fondo. Forse ho dimenticato di dirvi che lui è venuto dall’America dopo il mio matrimonio proprio per me. Vecchio amico di mio padre aveva deciso che, come regalo di nozze, sarebbe stato giusto vegliare su di me in sostituzione dei miei genitori che non potevano abbandonare il Paese. Mi aveva fatto veramente un bel regalo ed in quel momento lo capii più che mai. Liam si mise in piedi barcollando lievemente e trovando poi l’equilibrio, avanzò di qualche passo minacciando Steven con lo sguardo, ma Steven non si mosse.

 

- Allora vecchio? – lo incitò portandosi le mani dietro la schiena e intrecciando le dita. Inarcò la schiena e lo fissò dritto negli occhi, Liam era molto più alto di Steven e, curvato in quel modo, con quello sguardo, avrebbe fatto paura a chiunque; persino a me. Io mi misi seduta e, osservando il viso spaventato di Steven che, comunque, si ostinava a non retrocedere, mi sentii in colpa. Mi alzai e, nel buio, strisciai lungo la parete fino ad arrivare al camino; lì trovai l’attizzatoio e lo strinsi forte tra le dita: mi dava potere.

 

- Si-signore, vi prego di non obbligarmi a farvi del male… - la piccola voce di Steven vacillò sotto le sue stesse parole.

 

La provvidenza arrivò in nostro soccorso. Proprio quando stavo per colpire il capo di Liam con l’attizzatoio, lui si portò una mano alla testa e cadde a terra: troppo ubriaco per resistere oltre. Per una volta il suo “vizietto” aveva salvato me e, soprattutto, Steven.

 

Guardai il mio caro amico e gli sorrisi con gratitudine, lui mi venne vicino e mi accarezzò i capelli come fossi ancora la bambina che aveva conosciuto tanti anni prima e forse, in quel momento, lo ero ancora. Lo abbracciai e, per la seconda volta, lasciai libere le lacrime in quella casa. Lasciai che un po’ del mio dolore scivolasse sulle mie guance pallide e stanche.

 

- Che cosa facciamo signora? – mi chiese gentilmente senza porre fine all’abbraccio.

 

- Aiutami a metterlo a letto, al resto penso io – gli risposi posandogli un bacio sulla guancia. Lui annuì senza chiedermi nient’altro e fece quanto gli avevo richiesto. Quando se ne andò il russare rumoroso di Liam era l’unico suono che riempiva la stanza. Io ero seduta sulla poltrona e guardavo le fronde degli alberi agitarsi sospinti dal vento che si era alzato.

 

Che cosa stava facendo il mio William? Aveva già letto il mio biglietto? Scivolai nel sonno senza quasi accorgermene e sognai di lui. Come vi dissi già una volta: i miei pensieri ed i miei sogni appartengono a me sola e nessuno potrà mai violarli.

 

****

 

Allungai un braccio anche se immaginavo che lei fosse sparita, ma si sa: la speranza è l’ultima a morire. Le lenzuola mi trasmisero una brutta sensazione di gelo e capii che mi aveva lasciato da un bel po’. Mi tirai a sedere e guardai fuori, ormai era buio pesto e non riuscivo a scorgere nulla se non le deboli luci dei lampioni e qualche finestra illuminata. Mi voltai e vidi un biglietto poggiato sul cuscino, l’avevo un stropicciato leggermente quando avevo steso il braccio pochi istanti prima. Lo presi tra le dita e mi alzai avvicinandomi alla finestra. La pallida luce che filtrava dalla strada fu sufficiente per permettermi di leggerlo; era di Anne.

 

“William,
mi dispiace tanto che tu non mi abbia trovata lì con
te,
ma sappiamo entrambi che, in fondo, è meglio così anche se fa male.
Il ricordo di te, del tuo calore, vivrà sempre dentro il di me,
le nostre poche ore d’amore le farò bastare per tutta la vita
e mi nutrirò di loro fino alla fine.
Ti amo William e, probabilmente, niente lo cambierà, nemmeno il tempo.”

 

Lessi e rilessi all’infinito quel foglio stracciato, ma con parole tanto significative: amore. L’amore era entrato nella mia vita e finalmente ricambiato! Anche lei doveva sapere che anche io l’amavo, ma quando mi resi conto di quello che avevo letto, la tristezza mi avvolse. Il suo biglietto era un addio e, purtroppo, non avevo nessun’informazione per trovarla; senza contare che a Londra nessuno avrebbe voluto aiutare proprio me. Ricordai però di avere gli indirizzi di Blakes nei quali iniziare a muovermi, almeno avrei potuto eseguire il lavoro che mi aveva commissionato, nella speranza che un giorno non lontano lei venisse a reclamarlo. Me l’augurai, intanto che lacrime amare solcavano il mio viso; non avevo mai pensato che l’amore potesse fare tanto male. Mi vestii e corsi al locale: almeno una donna non aveva mai tradito il mio cuore, il mio Angelo mi avrebbe consolato e cullato nella sua musica.

 

Quando arrivai, dopo aver camminato infinitamente, mi sentivo ormai svuotato di ogni forza, di ogni emozione. Speravo che Lei potesse infondere un po’ di calore nelle mie membra stanche di vagare per le strade fredde di Londra. Arrivai davanti alla porta secondaria dove Daniel 'Oz' Osbourne era di guardia come al solito.

 

- Hey amico! Sembra che tu abbia passato la settimana peggiore della tua vita! Che faccia! – scherzò con tono allegro, ma poi accorgendosi della mia espressione mi si avvicinò e mi poggiò la mano sulla mia spalla, in segno di preoccupazione.

 

- Tutto bene Will? Sembra tu stia davvero uno schifo –

 

- Posso entrare? – chiesi ignorando le sue domande fastidiose, era un buon cliente ma niente di più. Lui annuì vigorosamente e mi aprì la porta. Sgattaiolai dentro come avevo fatto le altre volte e, senza farmi vedere da nessuno, presi posto in fondo al locale. C’era uno strano vociare e le facce preoccupate dei responsabili si agitavano attorno al palco. Che stava succedendo?

 

Quando sul palco salì un’altra donna capii che, contrariamente a quanto avevo pensato, anche il mio Angelo mi aveva tradito. Anche? Anne mi aveva forse tradito? Era con Liam? Sarei impazzito se non fossi uscito subito da lì permettendo all’aria frizzante invernale di distogliere la mia mente da quei pensieri. Le immagini di Anne che giaceva con Liam, beh “giaceva” non è proprio il termine esatto, mi avrebbero fatto perdere la ragione prima di arrivare all’uscita. Tornai a casa avvilito e triste come mai in vita mia ero stato; e se ve lo dico io, con quello che ho passato, potete crederci! Mi soffermai lungo il Tamigi che calmo scorreva ignaro dei miei sentimenti: odiare o amare Anne? Mentre tentavo di optare per la prima possibilità, la seconda mi scoppiava nel cuore. Dio l’amavo. Se la nostra notte l’avrebbe ricordata, e le sarebbe bastata tutta la vita, sarebbe bastata anche a me! Mi costrinsi a pensare che se non aveva voluto parlarmi di lei, o di quello che le era accaduto, così come dei suoi sentimenti, dovevo rispettare la sua decisione. Almeno avevo la consolazione di sapere che non ero stato solo una valvola di sfogo, ma che anche lei mi amava almeno, se non più, quanto l’amavo io. Peccato, non avrei mai potuto chiederle: Anne, dimmi, perché io? Avrei voluto tanto sapere cos’avevo di speciale. Restai ancora ad osservare il fiume che, pian piano, stava riuscendo a trasmettermi un senso di tranquillità.

 

Un giorno non lontano l’avrei cercata.

 

Forse.

 

Anzi sicuramente.

 

****

 

La voce di Liam mi strappò dal sogno meraviglioso che stavo facendo, sognavo me e William al locale che ballavamo abbracciati. Strano eh? Non tanto, dopotutto la musica adesso era il mio secondo amore.

 

- Buffy? – mi chiamò, la voce impastata per il risveglio.

 

- Sono qui Liam –

 

Era la mia voce? Così stanca, così atona… Non la riconoscevo. Non ero più io in quella casa, la vera Buffy era fuori di lì, forse al locale ancora abbracciata al suo William.

 

- Che è successo? – chiese come se nulla fosse, grattandosi la testa. Potevo percepire il suo sguardo indagatore su di me, non provai niente.

 

- È successo che sei ubriaco, che hai tentato di violentarmi come succede di solito e che fortunatamente sei caduto a terra prima di farcela. Ah, dimenticavo! Stasera non sono andata al locale – risposi tutto d’un fiato e mi sorpresi perché nella mio tono non v’era nessuna avvisaglia di rabbia: ero completamente tranquilla, in pace con me stessa.

 

- Oh –

 

“Oh”? Questo era tutto il suo commento? Ammetto che un po’ mi stavo arrabbiando, ma non eccessivamente. Ancora potevo controllarmi, forse quell’occhio, dopotutto, l’avrei cavato con il sorriso sulle labbra.

 

- Non hai altro da dirmi Liam? – mi voltai verso di lui solo quando gli posi quella domanda, volevo vedere il suo viso contrarsi per lo stupore.

 

- Che vuoi dire? –

 

- Lo sai cosa voglio dire… -

 

Udii un sospiro provenire dal letto, poi lo vidi spostarsi e sedersi sul bordo. Ora eravamo calmi entrambi e forse saremmo riusciti a parlare.

 

- Non lo so Buffy… non so spiegarti cosa mi sia successo, cosa ci sia successo… -

 

Voleva dare la colpa anche a me? Di bene in meglio!

 

- Ci? Non credo che qui si debba mettere un “ci” – feci osservare. Con le spalle ricurve e la mano premuta sul viso mi parve infinitamente piccolo, quasi indifeso. Era lui l’uomo che avevo amato? Non seppi darmi una risposta.

 

- Buffy… - sospirò pesantemente, come soppesando le parole – tu lo sai che io… -

 

- Sì – mi affrettai a rispondere, non volevo sentirlo dalla sua bocca. Potevo immaginare l’espressione di sorpresa che gli attraversò il viso. Credeva davvero di avermi ingannata? Passando le notti fuori? Non ero una minorata mentale, Cristo santo!

 

- Mi dispiace Buffy… ma l’ho fatto perché tu… tu sei cambiata –

 

Mi stupì quell’affermazione, ero veramente cambiata?

 

- Davvero? –

 

- Sì, dopo che comprai il locale. Quando iniziammo la nostra vita insieme eri piena d’attenzioni per me, eri felice, spensierata, innamorata… -

 

Era vero. Non potevo negare, a che scopo poi?

 

- Poi quando acquistai il locale e tu cominciasti ad esibirti, dopo ogni esibizione eri sempre più chiusa e taciturna. Malinconica oserei dire, evidentemente avevi sostituito l’amore per me con l’amore per la musica ed io non ero forte abbastanza per competere – si alzò dal letto e io m’irrigidii sulla poltrona, senza però spostarmi. Sapevo che non mi avrebbe fatto del male. Si inginocchiò davanti a me e mi prese una mano tra le sue, lacrime calde gli rigavano il viso improvvisamente invecchiato.

 

- Buffy, io sento di amarti… perché non ricominciamo? Andiamocene via da Londra, andremo in America e potrai stare con i tuoi amici, la tua famiglia… Sarà tutto più facile –

 

- Non basta cambiare posto per cambiare vita Liam… I sentimenti non si cambiano in questo modo. Non posso più avere fiducia in te… - conclusi tristemente, sfilando la mia mano dalle sue. Una fastidiosa vocetta petulante mi ricordava che, poche ore prima, avevo tradito Liam come lui aveva fatto con me. La misi a tacere, in fondo io l’avevo fatto una sola volta e per amore.

 

- Ti prego Buffy, diamoci un’altra possibilità… Riproviamoci. Sarò un marito migliore, te lo giuro! Non voglio perderti! –

 

- Adesso è troppo comodo Liam. Io non ti amo più – confessai tutto d’un fiato e sentendomi subito più leggera, come se un enorme macigno fosse sparito dal mio cuore. Il viso di Liam s’incupì per un attimo ed io mi spaventai pensando che potesse tornare violento, ma niente di tutto questo successe: si limitò a lasciarsi andare e finì seduto sul pavimento con un’espressione indecifrabile sul viso. Era dolore? Non lo seppi mai. Senza guardarmi in viso continuò a parlarmi.

 

- Mi lascerai? – v’era una nota dolente e malinconica nella sua voce, qualcosa che in lui non avevo mai sentito. Mi amava dunque, al contrario di quanto avevo creduto, ancora? Mi domandai che motivo avessi per mentirgli ancora e mi risposi: nessuno.

 

- Credo di si… - dopotutto mi dispiaceva, stavo per mettere la parola fine ad un capitolo importante della mia vita ed, in quel momento, per un attimo anche William non fece parte di me. Contavo solo io. Liam volse lo sguardo su di me e mi accarezzò con i suoi occhi scuri e profondi, gli stessi occhi di cui mi ero innamorata.

 

- So che non posso chiederti nulla ma… - esordì con titubanza. Gli feci segno di andare avanti.

 

- Non lasciarmi Buffy, senza di te io non vivo - mi pregò. Non so se fu per il tono mesto con cui me lo chiese o se fu per come mi stava guardando, ma io decisi di andargli incontro.

 

- D’accordo, ad una condizione però. Faremo finta che tutto tra noi vada bene fino al termine delle elezioni. Dopodichè tu mi concederai il divorzio… va bene? –

 

Lessi la stessa sorpresa che provavo io nei suoi occhi. Stavo forse diventando pazza? Anche se probabilmente state asserendo in modo convinto, vi devo ricordare che lui era l’uomo che avevo amato per anni e che ora era davanti a me, con occhi imploranti, che mi chiedeva di non lasciarlo. Non potevo negargli l’ultimo favore. Lui rimase in silenzio per un attimo soppesando l’offerta. Dopo qualche minuto, mi rivolse un sorriso.

 

- Affare fatto Buffy, ma attenta! Riuscirò a riconquistarti! – e mi fece l’occhiolino intanto che il mio cuore si fermava per un piccolo istante.

 

****

 

Effettivamente il giorno in cui l’avrei cercata non tardò ad arrivare. Due giorni dopo stavo già appostato all’angolo della strada che portava alla Camera dei deputati. Avevo saputo, da un mio cliente che lavorava lì, che Liam aveva un appuntamento con suo padre proprio per quella mattina. Dopo una ventina di minuti vidi Blakes avvicinarsi, stretta al suo braccio c’era sicuramente sua moglie, il mio Angelo. Non avrei mai più avuto l’occasione di vederla così da vicino, al locale non osavo mai avvicinarmi troppo, preferivo stare in disparte ad ascoltarla. Erano ancora troppo lontani per fare in modo che li vedessi chiaramente in viso, ma sapevo che erano loro.

 

Si avvicinavano sempre di più, sempre di più… non so esattamente cosa cercassi, ma il cuore prese a battermi all’impazzata mentre vedevo ondeggiare i meravigliosi capelli biondi della ragazza al suo fianco. Era Lei, mi pareva quasi impossibile, io ero emozionato come un bambino di fronte ad un regalo posto sotto l’Albero di Natale. Ora potevo quasi vedere il suo viso, rideva per qualcosa che lui le aveva sussurrato. Odiai Liam ed il fatto che lui potesse farLa ridere.

Quando furono abbastanza vicini il mio cuore mancò due battiti.

 

Era Anne quella vicino a lui!

 

Era davvero bellissima. I suoi profondi occhi verdi rilucevano per il riso; la sua pelle candida veniva messa in evidenza dalla pelliccia scura che indossava per ripararsi dal freddo ed i capelli biondi danzavano accompagnando i suoi movimenti aggraziati. Un’emozione indescrivibile mi travolse, avrei voluto correrle incontro e prenderla tra le mie braccia, invece rimasi fermo, inchiodato in quell’angolo intanto che il mio amore passava oltre. Si era rimessa con Liam? No, la risposta fu ben peggiore di quella.

 

- Buffy, entro e vado a chiamare papà. Aspettami un attimo per favore – sentii dire a Liam rivolto a, ora lo sapevo, sua moglie. Il mio cuore si sbriciolò e mi fece restare bloccato dov’ero.

 

Liam lasciò Anne, scusate volevo dire Buffy, davanti agli uffici e lei si guardò furtivamente in giro. Dovevo uscire allo scoperto? Non feci in tempo a rispondermi che i miei piedi si stavano già muovendo e già mi stavo avvicinando, con lunghe falcate, a lei. Quando le arrivai davanti le sbarrai la strada, ero consapevole di guardarla con occhi gelidi, infatti lei impallidì all’istante. Fece per aprire la bocca ma io alzai una mano in segno di silenzio.

 

- Credo voi mi dobbiate una spiegazione Elizabeth Anne Blakes – le dissi in modo freddo e deciso. Lei arretrò di qualche passo e si guardò in giro in cerca di un appoggio o, probabilmente, solo per non dovermi guardare in faccia. Con rabbia, notando la sua titubanza, le presi il mento e la obbligai a voltarsi, i suoi occhi erano pieni di lacrime ma io, ciò nonostante, non avevo nessunissima intenzione di lasciarmi impietosire. Non mi piaceva essere preso in giro.

 

- Allora? Volete parlare? –

 

- Ti prego… lasciami… Liam può tornare… - mi pregò con voce flebile e le sue parole mi pugnalarono a fondo, dritte nel petto. Le afferrai un braccio e feci per trascinarla via, senza curarmi delle persone che ormai fissavano la scena. Lei continuava ad implorarmi, ma ormai io non sentivo più nulla. La rabbia che provavo era cieca e bisognosa almeno di una spiegazione per provare a farla placare. Anne lottò dapprima, poi si lasciò andare e mi seguì senza più protestare.

 

La portai in un vicolo abbastanza appartato e la sbattei al muro, facendole anche male perché lei si lamentò, massaggiandosi una spalla.

 

- Allora, signora Blakes? Sono stato un buon diversivo nella vostra piatta vita? Sono stato abbastanza bravo? – ero talmente adirato che non mi curavo di quello che dicevo, sapevo solo che volevo ferirla almeno quanto lo ero io. Le lacrime iniziarono a scendere copiosamente dai suoi meravigliosi occhi che, rivolti verso i miei, chiedevano perdono. La figura minuta di lei era immobile e si era fatta più piccola quando si era stretta leggermente nelle spalle, gli occhi ed il viso dolci… Distolsi lo sguardo perché non volevo, non potevo perdonarla! Odiavo le bugie, specialmente da chi diceva, o meglio scriveva, di amarmi.

 

- Ti prego, basta… - mi supplicò senza smettere di guardarmi.

 

Non l’ascoltai.

 

- Allora? Avete bisogno di un servizietto anche adesso? Se volete posso prendervi in questo vicolo e subito – le dissi con cattiveria, mentre mi chinavo per succhiarle la pelle morbida del collo e le portavo le mani ai fianchi bloccandola contro il muro. Lei per un attimo si rilassò e successivamente iniziò a divincolarsi ritrovando il suo orgoglio; mi schiaffeggiò con forza.

 

- Smettila! –

 

Aveva gli occhi accesi e luminosi, ma non per la rabbia… bensì per altro ed il suo affanno appena accennato mi diceva che era uguale al mio. Mi massaggiai la guancia dolente, ritrovando un po’ di equilibrio in quanto mi ero abbastanza eccitato sentendo il suo profumo avvolgermi, e le sorrisi serafico.

 

- Tutto quello che volete Miss – le dissi, in quel “Miss” misi tutto il disgusto che provavo in quel momento, poi la invitai ad uscire dal vicolo. Lei accettò di buon grado e mi superò ma, prima di allontanarsi del tutto, si fermò.

 

- William… so che sei arrabbiato e deluso, ma ricorda sempre che quello che ti ho scritto è vero, è così anche adesso e sarà così in futuro… –

 

Riprese a camminare e ritornò da Liam che, nel frattempo, era uscito dal palazzo con un uomo sulla cinquantina, uno dei Lords della Camera, Richard Blakes, suo padre.

 

Con il cuore infranto, più che dopo aver letto il biglietto, mi trascinai a casa dove, presa una bottiglia di whisky, la trangugiai generosamente fino a riuscire ad alterare i miei sensi e a non pensare a nulla.

 

****

 

Quella sera Liam tentò di baciarmi ed io lo respinsi. William ora aveva capito tutto ed io mi sentivo a pezzi. Una parte di me era come sopita, sospesa per la perdita di qualcosa. Certo non posso dire che l’amore tra me e William fosse profondo o vitale, ma era qualcosa di puro e bisognoso di cura, di attenzione da parte di entrambi. Io avevo rovinato tutto, prima con il mio biglietto e poi con il mio egoismo. Avevo pensato solo al mio bene e attualmente ne stavo pagando le conseguenze. Liam non fu molto sorpreso del mio rifiuto, ma convinto che presto o tardi mi sarei di nuovo concessa a lui, mi lasciò sola; cosa che mi permise di pensare più o meno lucidamente.

 

C’erano due uomini nella mia vita: Liam, marito che avevo amato con tutto il cuore, e William, giovane squattrinato che sentivo di amare più di chiunque altro. Se solo fossi stata un po’ più giovane e più sprovveduta avrei immediatamente lasciato Liam per correre da William, ma non potevo. Non volevo perdere la sicurezza che il mio stato attuale mi donava. Posso sembrare cinica, lo so, ma volevo pensare anche a me stessa, non volevo vivere in funzione degli altri perciò cercai di tracciare i pro e i contro della mia vita con Liam ed i pro e i contro di una possibile vita con William.

 

Con Liam avevo una posizione sociale sicura, soldi in abbondanza e, cosa importantissima che guadagnava un sacco di punti bonus, potevo fare ciò che amavo: cantare. I contro erano più che altro il suo vizio di bere (che però era diminuito notevolmente dopo avermi detto che voleva riconquistarmi), le sue scappatelle e il fatto che si addormentasse durante le mie esibizioni, cosa che gli costava molti punti in meno. Punti totali circa una ventina, non un grandissimo risultato, quasi tutti i punti erano dovuti al canto.

 

Con William avrei avuto una posizione sociale modesta, forse anche mediocre per via delle voci che ancora compromettevano la sua vita privata, avrei vissuto in una stanza ammobiliata per molto tempo ancora e, cosa che faceva perdere tanti punti, non avrei potuto più cantare al locale; so che Liam non me l’avrebbe mai permesso. D’altra parte sapevo che sarei stata amata come mai, William era un uomo perbene e qualcosa mi diceva che quando amava, era per sempre. Inoltre era dolce ed apprensivo, mi faceva sentire protetta, importante, bella e poi l’amore con lui era stato strabiliante (più dieci punti). Punti totali circa trenta, ma non abbastanza per decidermi a cambiare radicalmente stile di vita.

 

Decisi di fare come avevo stabilito inizialmente, avrei aspettato di ottenere il divorzio da Liam, dopo le elezioni, e poi sarei andata a cercare William in modo da poter vivere il nostro amore alla luce del sole, senza più menzogne e con una buona parte di perdono da parte sua. Almeno, mi augurai che avrebbe avuto voglia di perdonarmi.

 

Confesso che quando aveva preso a succhiarmi il collo una scossa mi aveva attraversato il corpo e, se non avessi avuto una buona dose di autocontrollo, gli avrei permesso di prendermi lì, in quel momento, anche con Liam a pochi passi da noi. Avevo dovuto combattere contro la voglia di passargli le braccia attorno al collo e di attirarlo a me per un bacio profondo ed appassionato.

 

Sapete una cosa? Mi sono accorta, a distanza di qualche settimana, che in quel momento avevo solo paura di ammettere di aver bisogno di qualcuno. Desideravo solo poter contare su me stessa ignorando volutamente l’amore che provavo per William, come pure quello che avevo provato per Liam. Il tradimento di quest’ultimo, infatti, mi aveva solo dato il pretesto per allontanarmi da lui; mi ero convinta durante gli anni di matrimonio di essere felice, ma non era stato così. Mi rendevo conto che il sentimento che avevo provato per Liam non era propriamente amore, non aveva niente della passione e dell’ardore che sentivo per William. Il sentimento per mio marito era stato infantile, fragile e forse fraterno; quello per William era, ed è tuttora, selvaggio, incontrollabile, vivo e trascinante.

 

A parte questo ricordo che mi addormentai così, tra milioni di domande alle quali non volevo dare una risposta.

 

****

 

Due settimane che non la vedevo e stavo male, male da morire. Per non pensare a lei rimanevo il più possibile sbronzo, poi quando i soldi cominciarono a scarseggiare dovetti anche smettere di bere. Non mi restava più un fottuto niente! Infransi l’ultima bottiglia, vuota, che avevo in mano gettandola rabbiosamente sulla parete di fronte. Povero e solo, ecco come mi ero ridotto, tutto per colpa di una stupida donna! Stupida Buffy! No, non stupida lei, stupido io ad essermene innamorato. Mi mancava moltissimo la mia Anne, questa era la verità. La donna che aveva preso il suo posto non era più quella che amavo. Quella donna era “Lei”, quella che sapevo dall’inizio di non poter avere, di non dover toccare, ma io avevo osato ed avevo perso. Perso tutto. Vi sembrerà strano che io mi sia ridotto così per una donna che, diciamoci la verità, ho frequentato ben poco e ho amato una sola volta, ma voi non potete capire quella sola volta quanto abbia significato per me. Mi sarebbe bastata per tutta la vita, sarei vissuto nel suo ricordo, giusto o sbagliato che sia. Adesso mi sentivo preso in giro, usato e gettato via come uno straccio; lei mi aveva trattato esattamente come la gente di Londra mi trattava dalla nascita e questo non lo potevo accettare. Non l’avrei mai accettato e decisi che avrei dovuto urlarle in faccia tutto il mio dolore, almeno a lei, l’unica che mi avesse mai detto parole di conforto; aspettate, com’erano? Ah, giusto! “La gente di questa città non ha ancora capito quanto voi valiate, signor Harrington. Fortunatamente io credo di averlo fatto.” Non sapeva proprio un benamato cazzo! Doveva invece sapere quanto mi aveva ferito e quanto mi aveva calpestato, forse avrebbe pensato che non avevo orgoglio; beh chi se ne frega, almeno si sarebbe sentita in colpa, maledettamente in colpa. Certo, se teneva un po’ a me.

 

Mi restava una sola entrata gratuita al locale, dopodichè Daniel 'Oz' Osbourne avrebbe estinto il suo debito ed io non avrei più potuto entrare. Avrei avuto il coraggio di rivederla? Ammetto che i propositi che avevo fatto erano buoni, ma dovevo pur sempre trovare il coraggio di andare fino in fondo, giusto?

 

Raccolte le mie ultime forze, non ne avevo molte in quanto non avevo mangiato molto e in corpo avevo solo i resti dell’alcol, una sera mi misi in attesa davanti al locale, stretto nel mio soprabito che avevo tirato fino sul collo in quanto aveva cominciato a nevicare fitto. Qualche ora dopo la gente incominciava a mettersi in fila per entrare, mentre io rimasi nel mio angolo, ormai infreddolito e coperto di neve, studiando un modo per vederla. Strinsi ancora di più le mani sulla stoffa del mio mantello e guardai fisso l’entrata. Oz mi notò e mi venne incontro porgendomi una sciarpa.

 

- Tieni amico! Con questo freddo è meglio coprirsi bene – mi disse con tono gioviale, poi mi scrutò meglio in volto e la sua espressione cambiò, divenne pensierosa.

 

- Che ti è successo? – mi chiese, poi correggendosi mi prese un braccio e mi trascinò dall’altro lato della strada, io lo seguii troppo indebolito dal gelo per oppormi.

 

- Entra avanti e scaldati un po’ – mi porse 10 sterline, forse le mance di tutta una sera, povero Daniel, lui sì che mi era amico anche se tecnicamente non l’avevo mai considerato tale.

 

- C’è lei stasera? – chiesi con voce roca provocata dal miscuglio di freddo e postumi di sbronza, l’ultima che avevo potuto prendere poche ore prima.

 

- Si, c’è – rispose annuendo.

 

- Oz, ho bisogno un posto davanti al palco, non te l’ho mai chiesto, ti prego, solo questa volta… è l’ultima… - conclusi amaramente, era veramente l’ultima volta per tutto. Daniel annuì e mi passò un biglietto speciale, stampato appositamente per le file davanti, strizzandomi l’occhio.

 

- Stasera puoi passare da davanti se vuoi, con quello puoi chiedere di parlare privatamente nei camerini con qualsiasi ragazza… qualsiasi ragazza, ricordalo –

 

Feci segno di sì distrattamente e mi avviai verso l’ingresso principale. Mi scrollai la neve di dosso anche se ormai ero zuppo dalla testa ai piedi, non vi prestai attenzione. Giunto il mio turno e affrontato il cassiere che, prima che mostrassi il biglietto era molto prevenuto nei miei confronti, ora mi rivolgeva un gran sorriso ipocrita, entrai nel locale già gremito di gente. Avanzai lungo le file fino a trovare proprio quella assegnatami e trovai il posto speciale attribuitomi. Avrei ringraziato Oz più tardi. Il silenzio calò intanto che il drappo rosso si alzava scoprendo la cantante: Anne, pardon Buffy.

 

****

 

Guardai tutta la gente che avevo davanti e subito lo notai, erano quasi due settimane che non lo vedevo. Il cuore fece le capriole nel mio petto e lo stomaco si chiuse come una morsa. Il mio cervello continuava a gridare: “William. William. William” ininterrottamente. Tutti i miei propositi vacillarono nel vederlo, desideravo solo volare tra le sue braccia e abbandonarmi contro il suo petto caldo e sicuro. Osservai meglio il suo viso: era dimagrito notevolmente ed aveva la barba di qualche giorno sul viso, gli occhi cerchiati segno evidente di poco riposo. Mi fissava con la mascella serrata, ma il suo sguardo non era di odio, solo di infinita tristezza. Potevo vedere il blu dei suoi occhi illuminati dalle luci del palco e mi sentii morire dentro, ero io che gli avevo provocato quella ferita ed io dovevo cercare di porre rimedio. Quella sera avrei dovuto cantare una canzone abbastanza allegra e piena di vita, ma non me la sentivo, non con lui davanti a me, distrutto, che mi fissava. Volli cambiarla a dispetto del pianista che mi accompagnava e che aveva già attaccato con l’altra canzone. Volevo ad ogni costo avvicinare il mio cuore a quello di William, stavolta, se avesse pianto, avrei saputo perfettamente il motivo. Il pianista, sentendo le prime parole, che non appartenevano alla canzone stabilita, recuperò magnificamente e mi seguì.

 

Sad eyes, sad eyes, across the room

Occhi tristi, occhi tristi, dall’altro lato della stanza

Sad eyes, crying in your gloom

Occhi tristi, piangono nella tua malinconia

Sad eyes, love has been untrue

Occhi tristi, l’amore è stato falso

 

Già, l’amore falso era il mio, gli occhi tristi i suoi. Ora mi accorgevo di quanto ero stata stupida a voltare le spalle al nostro sentimento. I suoi occhi blu non mi abbandonavano per un secondo, piangevano insieme ai miei.

 

Just look at me, oh just look at me

Guarda solo me, oh guarda solo me

Just look at me, I’m lonely too

Guarda solo me, anche io sono sola

I’m like you, so like you, sad eyes

Sono come te, ti assomiglio così tanto, occhi tristi

 

Anche io ero sola e ora lo sapevo, mi domandai semplicemente: era troppo tardi? Lui non distolse lo sguardo da me, nemmeno per un attimo e per un istante, un breve, piccolissimo istante, le nostre anime si toccarono mentre le nostre lacrime scendevano all’unisono.

 

Oh sad eyes

Oh occhi tristi

Don’t you know that tears can be erased?

Non sai che le lacrime possono essere cancellate?

Oh sad eyes tears won’t help

Oh occhi tristi le lacrime non aiuteranno

But maybe I can replace that other face

Ma forse posso sostituire quell’espressione

 

Le lacrime, davvero, non avrebbero aiutato, ma contrariamente alle parole che cantavo, in quel particolare verso, sapevo che non avrei mai potuto cambiare la sua espressione di dolore… almeno finché lui non me l’avrebbe permesso.

 

Sad eyes, sad eyes, this ain’t just a line

Occhi tristi, occhi tristi, questa non è solo una frase

Sad eyes, maybe we can find

Occhi tristi, forse possiamo trovare

Sad eyes, somewhere down the line

Occhi tristi, da qualche parte ad un certo punto

 

Happiness, oh happiness happiness

Felicità, oh felicità felicità

together, you and I

insieme, tu ed io

Someday, some way, sad eyes

Un giorno o l’altro, in qualche modo, occhi tristi

 

Mi domandai se saremmo mai riusciti a trovare la felicità da quel momento in poi… Tutto dipendeva da me. Terminai la canzone e sopraffatta dall’emozione fuggii in camerino dove avrei dovuto trovare un po’ di pace, invece Liam mi seguì.

 

- Perché hai cambiato canzone? – mi domandò curioso, io non seppi cosa rispondergli. Forse il mio viso parlò per me perchè lo vidi sgranare gli occhi e fare qualche passo indietro.

 

- No… non mi puoi lasciare… non adesso Buffy… - la voce era piccola e insicura. Ma io non lo ero più, mi limitai ad annuire e a scusarmi.

 

- Liam… io davvero non so… -

 

Lui mi bloccò alzando una mano e scuotendo il capo, più che un uomo innamorato mi sembrò un bambino al quale hanno tolto un giocattolo. Ebbi la certezza che non mi sarei mai pentita di quel gesto e mi sorpresi di come, qualche giorno prima, avessi anche solo ponderato la possibilità di rimanere accanto a lui e non a William. Era William che volevo, lui e nessun’altro.

 

- Buffy, non mi rovinare! – fu l’ultima preghiera di Liam rivolta a me. Come ho detto prima: era solo un bambino al quale hanno tolto il giocattolo preferito; ne avrebbe trovato presto un altro, di questo ero sicura. Mi strinsi nelle spalle e gli dissi nuovamente che mi dispiaceva, era tutto quello che potevo concedergli.

 

- Non canterai mai più Buffy… MAI PIÙ – mi minacciò. Ecco, ora era riapparso il “vero” Liam, quello che mi aveva preso con la forza, quello che aveva calpestato il mio orgoglio come nessuno mai… ma potevo biasimarlo? Con William io avevo fatto lo stesso, forse addirittura ero stata più crudele.

 

- Lo so Liam… non m’importa – bugia. Grossa, enorme bugia. Il cantare era la mia vita, ma anche William lo era ed io avevo scelto lui.

 

- Vattene ora… Me ne andrò da casa al più presto – dissi a mio marito e lui, inaspettatamente, mi lasciò. Sapevo che non sarebbe finita lì, ma gli ero grata per avermi lasciato un po’ di tempo per pensare a come affrontarlo. Cominciai a cambiarmi intanto che pensavo a cosa fare del resto della mia vita.

 

****

 

Sparita! Così come era apparsa sul palco, era sparita dalla mia vista senza che me ne fossi reso conto. Ero ancora rapito dalla sua voce, dovevo confessare che era la più bella creatura che io avessi mai visto ed ora, che sapevo che si trattava della mia Anne, nel mio petto si sprigionava un calore confortevole, molto più intenso di quello provato in precedenza. No! Dovevo essere risoluto! Ero andato per dirle quello che pensavo e dovevo attenermi a questo. Mi alzai e mi avviai verso la guardia che stava davanti al corridoio dei camerini. Andai a sbattere contro un uomo e, alzando lo sguardo per scusarmi, vidi che si trattava di Liam. Lui mi fissò per un attimo, il viso teso e i denti stretti, così come gli occhi. Aveva forse discusso con Anne? Avrei dovuto chiamarla Buffy, tuttavia non riuscivo a farlo... lei era la mia Anne. Con una punta di tristezza mista a rancore mi corressi: non era mia e non lo sarebbe mai stata. Con rinnovato vigore passai oltre e mostrai il mio biglietto alla guardia che lo scrutò attentamente. Dovevo proprio essere uno straccio visto l’occhiata ostile che mi scoccò. Quando vide che stavo camminando oltre di lui, mi sentii afferrare per la spalla e mi voltai di scatto.

 

- Che volete? – chiesi senza molta gentilezza. Gli occhi scuri di Liam mi scrutarono e la presa si fece più sicura.

 

- Posso sapere dove state andando, signore? –

 

Mi accorsi della nota di scherno che usò nel pronunciare l’ultima parola. Ammetto che il mio aspetto non era ai suoi massimi livelli, ma non doveva permettersi di giudicarmi.

 

- Non credo di essere obbligato a rispondervi – lo sfidai con lo sguardo. Lui l’accettò. Strinse maggiormente la mano sulla mia spalla, quasi mi faceva male, ma non abbassai lo sguardo.

 

- Credo che dovrete seguirmi allora… - m’invitò cercando di strattonarmi verso la sala dove Anne aveva cantato. Anche se il mio corpo era indebolito raccolsi tutta la forza che mi rimaneva e restai fermo, puntando i piedi per non permettergli di “accompagnarmi” fuori.

 

- Spiacente, non sono della stessa opinione. Ho un biglietto che mi permette di andare nei camerini ed è quello che farò. Che voi lo vogliate o meno. Non credo, comunque, che un’accesa discussione porterebbe al locale una buona reputazione –

 

Lo vidi stringere la mascella e soppesare le mie parole: la sua stretta si allentò e mi lasciò andare subito dopo.

 

- Posso almeno vederlo questo biglietto? – chiese sarcasticamente, prontamente glielo porsi e scorsi una smorfia di disapprovazione sul suo viso. Sapevo che era obbligato a farmi passare, in caso contrario avrei informato chi di dovere che al locale venivano fatti favoritismi. Me lo porse nuovamente e, afferrandolo, m’incamminai senza dirgli nulla, lui fece lo stesso in direzione dell’uscita.

 

Credo che restai davanti alla porta di mogano lucido per un buon quarto d’ora, tutto il mio coraggio era venuto meno sapendola a soli pochi passi da me. Invece di fissare la porta, trovai molto più interessanti le punte dei miei piedi… dovevo assolutamente comprarmi delle scarpe nuove, mi appuntai mentalmente trovandomi incredibilmente stupido. Quando rialzai lo sguardo tentai di non pensare a nulla, se non al movimento che la mia mano, chiusa a pugno, doveva fare per bussare contro la porta. Così feci e finalmente riuscii nel mio intento.

 

- Avanti – mi rispose la voce di Anne, attutita dal pesante legno.

 

Mi diedi una pacca sulla spalla, mentalmente s’intende; entrai afferrando la maniglia d’ottone e abbassandola lentamente. Presi un lungo respiro e varcai la soglia.

 

Anne, scusate Buffy, era in piedi, di spalle, concentrata nel sistemare l’abito che aveva usato poco prima. Si era trattato di un vestito nero e lungo, molto sobrio a dire la verità, confrontandolo con gli altri. Era apparsa sul palco con i lunghi capelli biondi sciolti e con poco trucco. Quanto era bella la mia Anne. Di nuovo errore, non era mia e non era Anne, quando mi sarebbe entrato in testa?

 

Sussultò sentendomi richiudere la porta e girandosi rimase per un attimo con gli occhi sgranati, come se non mi avesse mai visto; probabilmente pensava fosse Liam. Punto per me: l’avevo almeno sorpresa. Inaspettatamente, contro ogni mio pensiero, me la ritrovai tra le braccia, le sue mi cingevano il collo e le sue dita s’intrecciarono presto tra i miei capelli spettinati. Non avevo avuto molto tempo da dedicare alla mia persona in verità, barba e capelli erano stati l’ultimo mio pensiero.

 

- William! William… sei qui… - mi sussurrò stringendosi a me con forza. Con le mani abbandonate lungo i fianchi dovetti combattere contro la voglia di prenderla tra le mie braccia. Dannazione! Io non ero lì per quello! Non ero lì per farmi ammaliare da lei. Non più. La scostai bruscamente e lei, con un viso triste, fuggì al mio sguardo arretrando di qualche passo e sistemandosi i capelli dietro le orecchie. Sospirai di nuovo, in modo profondo, e le parlai.

 

- Anne… scusa… Buffy – esordii non molto convincente. Lei mi si avvicinò e premette un dito sulle mie labbra. Anche quel piccolo contatto mandò brividi lungo il mio corpo, come facevo a non desiderarla, quando sentivo d’amarla così tanto?

 

- Perdonami William. Perdonami per tutto il male che ti ho fatto… che ti sto facendo… -

 

Passò il dito e successivamente tutta la mano sulla mia guancia magra e pallida e, senza volerlo, la poggiai contro il suo palmo strofinandola piano. Chiusi gli occhi per un attimo assaporando quel poco calore che il suo tocco mi trasmetteva. Potevo perdonarla? No. Non dovevo. Nonostante questo, però, una parte di me la voleva ancora, disperatamente ed il mio corpo gridava l’esigenza di sentire ancora la sua pelle.

 

Fu allora che decisi di vendicarmi nel più ignobile modo che mi venne in mente.

 

Mentii.

 

Potevo perdonarla, almeno per finta e farle esattamente quello che lei aveva fatto a me. La vendetta, allora, mi era sembrata una buona cosa. Me ne sarei pentito dopo. Amaramente pentito.

 

Lei si era avvicinata ancora di più a me e mi guardava con occhi tristi, con la punta delle dita percorreva il mio viso e si soffermava attorno ai miei occhi, ai miei zigomi, alle mie labbra ed in ogni carezza il mio cuore mancava un battito.

 

- Che cosa ti ho fatto, amore mio? –

 

Male! Ecco cosa mi aveva fatto! Sentii la rabbia montarmi nel corpo e subito sciogliersi nei suoi occhi che mi fissavano lucidi e dolci. Non riuscivo a parlare perché, se lo avessi fatto, le avrei confessato che l’amavo con tutto me stesso e che non mi importava se era sposata, che l’avrei trascinata via con la forza se necessario. Allora tacqui. Lei si mosse impercettibilmente e alzandosi sulle punte dei piedi mi baciò la fronte, io la lasciai fare e mi permisi di poggiargli le mani sui fianchi sostenendola e attirandola più vicina. Passò a posarmi piccoli baci sugli occhi, che ora avevo chiuso, sugli zigomi, le guance e agli angoli della bocca, stando attenta a non sfiorarmi le labbra. La punta delle sue dita giocava con i miei riccioli ribelli e s’intrecciarono dietro la nuca quando finalmente la sua bocca incontrò la mia. Dapprima fu un lieve sfregamento, poi la punta della sua lingua iniziò a stuzzicarmi le labbra per chiedere il permesso di esplorare la mia bocca. Le mie mani intanto si erano serrate attorno alla sua vita sottile ed adesso vagavano sulla sua schiena morbida salendo e scendendo fino ai fianchi. La sentii mugugnare sopra le mie labbra quando le mie mani si serrarono sui suoi glutei sodi portandola a premere il suo monte contro la mia crescente eccitazione. Ormai avevo perso ogni controllo. Lasciai che entrasse nella mia bocca socchiudendo le labbra e cominciai a duellare con la sua lingua, il bacio si approfondì e divenne appassionato e famelico. Dal nostro ultimo incontro non ci eravamo più toccati, baciati, assaporati… i nostri corpi reclamavano quello che sapevano appartenere all’altro. Rapidamente lei mi tolse il soprabito che raggiunse il pavimento insieme alla sciarpa che Oz mi aveva dato poco prima. In un attimo di confusione mi scoprii a pensare che non mi ero nemmeno tolto la giacca entrando, poi lei assorbì tutta la mia attenzione proprio mentre iniziava a sbottonarmi la camicia.

 

- William… - sussurrò intanto che le sue mani scostavano la stoffa e scoprivano il mio petto notevolmente dimagrito, quasi mi vergognavo del mio corpo che, in passato, era stato sempre un mio vanto. I suoi occhi verdi si fecero più scuri per effetto dell’eccitazione che l’aveva presa, così come aveva preso me. Abbandonò le mie labbra ed il mio viso per dedicarsi alla pelle sensibile del mio collo per poi scendere sul mio torace dove sostituì la punta della sua lingua alle labbra, tracciando contorni attorno ai miei capezzoli e strappandomi i primi gemiti di piacere. Dal canto mio stavo armeggiando con i numerosi bottoni dell’abito che indossava, finalmente dopo un tempo che mi parve infinito questo cadde a terra raggiungendo il mio spolverino. Ora potevo sentire il calore che emanava la sua pelle e il suo profumo avvolgermi, avrei potuto impazzire se non l’avessi più sentito. Anne intanto era scesa con le mani e stava armeggiando con l’apertura dei miei pantaloni mentre io slacciavo il suo corsetto lasciandola quasi completamente nuda davanti a me. Restavano solo le calze, rette dalla giarrettiera, e gli slip. Era stupenda, uguale a quando l’avevo amata la prima volta. Sembrava successo un secolo prima, invece si trattava solo di due settimane. Mi prese le mani e mi guidò verso il grande divano che c’era nella stanza, velluto bordeaux, molto morbido. Mi fece sedere, mi baciò con passione e mi allargò, nello stesso tempo, le gambe in modo da potersi sistemare nel mezzo. Con le mani percorse il mio petto graffiandolo in superficie; Dio, adoravo le sue unghie. Arrivò ai miei pantaloni semi-aperti e mi accarezzò le cosce accarezzandole dapprima all’esterno per poi ridiscendere verso l’interno evitando di toccare il posto più ovvio. Cercai di controllare il mio respiro che velocemente era divenuto irregolare, poi mi ricordai di una cosa e la scostai da me.

 

- No Anne… - dissi più o meno risolutamente, ancora con le sue spalle strette nelle mie mani. Lei rimase immobile, gli occhi appannati dal desiderio che danzavano sul mio corpo. Sbatté le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto che l’avevo fermata.

 

- Credevo mi volessi anche tu William… scusami… - si scusò cercando di alzarsi e di coprirsi, ma io la fermai.

 

- Ti voglio Buffy – per la prima volta mi venne naturale chiamarla con il suo vero nome – ma nelle ultime settimane diciamo che… ecco… l’igiene personale non è stata una delle mie priorità come puoi notare –

 

Lei assunse un’espressione di stupore, poi le sue labbra si distesero in un sorriso triste.

 

- Nemmeno mangiare e dormire mi sembra… - osservò percorrendo con le mani il mio torace ed il mio viso – Ma non mi importa William… ti desidero e voglio sentirti dentro di me… -

 

Dicendo questo si chinò su di me, dopo essersi liberata gentilmente dalla presa delle mie mani, e strofinò il suo naso contro la pelle del mio torace fino al mio collo, poi baciò il mio orecchio e mi sussurrò con voce sensuale e bassa.

 

- Sai di buono William… Fa’ l’amore con me – mi ordinò ed io eseguii come un automa, ormai il controllo sul mio corpo e sulla mia mente era perso. Solo la lussuria mi guidava nei movimenti. Buffy si riposizionò, come poco prima, tra le mie gambe inginocchiandosi e riprendendo ad accarezzarmi le cosce. Mi prese sotto le ginocchia e mi fece scivolare leggermente verso di lei, finì di sbottonare i miei pantaloni e con movimenti sensuali accarezzò dapprima i miei fianchi baciandomi lo stomaco, appena sotto l’ombelico, e afferrando la stoffa rigida dei pantaloni cominciò a sfilarmeli. Io l’aiutai sollevando il bacino quanto bastava per far scorrere via il fastidioso indumento da sotto il mio sedere, vidi Buffy sorridere intanto che gettava sul pavimento i pantaloni e si nutriva della vista del mio corpo esposto completamente ai suoi occhi famelici. Sentii il bisogno di vederla anche io così le presi le mani e, sollevandomi dal divano, la portai sopra di me, la mia erezione carezzava la stoffa morbida dei suoi slip. La sentii gemere lievemente mentre la sfregavo contro la sua femminilità che si stava bagnando rapidamente a quel tocco.

 

- Strappale via William… - mi pregò con la voce rotta dall’eccitazione, feci quanto richiesto e, nemmeno esercitando molta forza, strappai il tessuto sottile delle sue mutandine e le gettai via. L’umidità della sua fica sopra il mio membro mi fece eccitare ancora di più. Con una mano le presi il capo e la tirai giù, verso di me, per un bacio urgente e profondo. Ci staccammo solo quando sentimmo il bisogno di respirare, ci fissammo intensamente, occhi negli occhi, respirando affannosamente. Stavamo per giungere al punto di non ritorno. Se volevo fermarmi dovevo farlo ora o non ci sarei più riuscito. Buffy iniziò a sfregare la sua femminilità sulla mia erezione dolorosa e vogliosa di lei con sapienza, facendomi stringere i denti e chiudere gli occhi.

 

Non mi fermai.

 

Le afferrai i fianchi in modo da tenerla ferma, dovevo riprendere un attimo il controllo di me se volevo durare ancora. Lei mi guardò e poi capì quello che stavo facendo, così ubbidì al mio comando e si fermò, carezzandomi la pelle del petto e scendendo su di me per altri baci. Quando sentii di aver ripreso la padronanza di me la feci distendere sul divano e la coprii con il mio corpo. La mia bocca scese sul suo seno sinistro, presi tra i denti delicatamente il suo capezzolo già indurito e massaggiai l’altro con il pollice della mano destra. Gemette e mugugnò sotto ogni carezza, ogni leccata, ogni pizzico gentile. Mi afferrò i glutei con forza e mi cinse i fianchi con le gambe, premendo il mio pene alla sua fica bagnata.

 

- William… ti prego… - mi disse ansando violentemente, il suo petto si alzava e abbassava velocemente. Non volevo prenderla in quel momento, volevo ancora assaporare la sua pelle e sapevo che, se avessi smesso, me ne sarei dovuto andare. Almeno il piano era ancora quello. Mi abbassai e sfregai il mio viso con la barba pungente sulla sua pelle bianca, facendola arrossare lievemente. La sentii ansimare di piacere a quel contatto così continuai a sfregare il mio viso sui suoi seni e scendendo verso il suo inguine. Lei allentò la presa attorno ai miei fianchi lasciandomi libero di vagare su tutto il suo corpo, l’odore della sua fica m’inebriò non appena avvicinai il mio viso. Sentii l’impulso di sentire di nuovo il suo sapore così con la punta della lingua l’assaggiai, Buffy si lasciò sfuggire un gridolino di piacere.

 

- AAAHH, SI –

 

Colto l’invito con le dita aprii le sue labbra e con la lingua cominciai a tracciare cerchi attorno al suo clitoride, il bacino di Buffy sussultò sotto di me.

 

- DIO WILLIAM! –

 

Raggiunsi la sua bocca e gliela coprii con la punta delle dita, che lei prese nella sua bocca e succhiò avidamente, sentendo il proprio sapore su di loro.

 

- Shht Buffy, ci sentiranno –

 

Lei mugugnò annuendo debolmente, intanto che io continuavo a stuzzicarla con la mano libera e poi affondai di nuovo il mio viso in lei. Picchiettai gentilmente la lingua contro la sua carne rosea e poi infilai velocemente la punta nella sua fessura umida e pronta per me.

 

- UUHHNNNN… - cercò di controllare i suoi gemiti che, per inciso, mi facevano eccitare ancora di più. Sarei potuto facilmente venire solo sentendola urlare. Insieme alla mia lingua feci scivolare dentro di lei anche un dito cercando il punto giusto all’interno di lei che l’avrebbe portata ad un potente orgasmo. Ecco, potevo sentirlo e Buffy, che prese a stringere convulsamente il bracciolo del divano dietro la sua testa fino a far diventare le sue dita bianche, fu scossa da un potente orgasmo, dovette anche mordersi la pelle morbida del braccio per soffocare i gridi di piacere. Prima che la sua femminilità smettesse di stringere il mio dito volevo entrare in lei e abbandonarmi al mio proprio piacere. Così rapidamente le presi le gambe e le sistemai sulle mie spalle, poi con una sola spinta entrai in lei che soffocò altre grida sul suo braccio. Gli occhi chiusi ed il volto contratto per le sensazioni troppo intense che le avevo provocato, i capelli biondi risaltavano sul colore scuro del divano, sparsi un po’ ovunque attorno al suo viso. Meravigliosa visione. Cominciai a muovermi in lei stabilendo un ritmo incalzante, i miei testicoli sbattevano contro i suoi glutei portandomi ulteriore piacere. L’afferrai per i fianchi e la sostenni ulteriormente, ormai ero quasi giunto al limite che il mio corpo, debilitato dopo due settimane senza nutrimento, poteva sopportare. Sentii i muscoli interni di Buffy stringere il mio membro mentre il suo corpo veniva scosso da un altro orgasmo, velocizzai ulteriormente le mie spinte. Buffy si portò entrambe le mani alla bocca per impedire ai suoni di uscire, ma questa volta non ci riuscì.

 

- OHDIOOHDIOOHDIO – continuava a ripetere mentre affogavo in lei, mancava poco che raggiungessi il piacere, davvero poco.

 

- OHDIO WILLIAM… VENGO UUNNHHHGGGGGHHHH AAAAHHH – gridò senza controllo, diedi un altro paio di spinte profonde e poi mi abbandonai al piacere, la riempii con il mio seme fino a che le forze non mi lasciarono obbligandomi ad uscire da lei e a togliermi le sue gambe dalle spalle in modo da potermi distendere per riprendere fiato. Mi stesi sopra di lei che mi accolse nel suo abbraccio, i nostri corpi ricoperti di sudore e soddisfatti si cullarono l’un l’altro. Mi baciò nello stesso momento in cui le sue mani carezzavano i miei capelli, scostandomeli anche dalla fronte imperlata di sudore.

 

- Buffy… - sussurrai incerto su come continuare, i suoi occhi verdi e limpidi mi guardavano con adorazione.

 

- Ti amo William… - mi sussurrò ed io m’irrigidì lottando contro la voglia di risponderle che anche io l’amavo disperatamente.

 

Quando ritrovai un po’ di lucidità e di calma mi alzai e cominciai a raccogliere i miei abiti.

 

****

 

Perché se ne stava andando? Avevamo appena finito di fare l’amore, tutto era perfetto ed invece aveva deciso di andarsene… perché? Mi alzai anche io e gli andai incontro abbracciandolo e poggiando il mio capo sulla sua schiena ancora nuda.

 

- Dove stai andando? – chiesi anche se avevo paura della risposta. Lui non rispose, rimase immobile con i pantaloni stretti nelle mani. Potevo sentire il suo nervosismo attraverso i muscoli della sua schiena che si contraevano impercettibilmente, quanto era dimagrito dall’ultima volta che l’avevo visto… ed era tutta colpa mia. Fare di nuovo l’amore con lui però era stato meraviglioso, sentivo di amarlo ancora più di prima ma avevo paura che per lui non fosse la stessa cosa dato che non mi aveva risposto dopo che gli avevo sussurrato il fatidico “ti amo”. Lui non me l’aveva mai detto e questo adesso cominciava a preoccuparmi seriamente. Si sciolse dal mio abbraccio e la stanza, che prima trasudava di calore, divenne improvvisamente fredda, quasi glaciale. I suoi occhi blu, che prima avevo scorto diventare color cobalto dal desiderio, ora erano innaturalmente chiari e tempestosi. A cosa stava pensando? Mi stava forse per lasciare?

 

S’infilò i pantaloni e anche io, non so per quale motivo, fui presa da una sorta di vergogna così presi una vestaglia e la indossai. Ora che mi guardava così non volevo restare nuda davanti a lui perché mi sentivo troppo fragile. Lo vidi mentre si passava una mano tra i capelli scomposti tentando di rimetterli a posto. Raccolse la sua camicia e, vedendo i bottoni che pian piano celavano il suo meraviglioso corpo ai miei occhi, mi fissò ancora con quello strano sguardo.

 

- Dove stai andando William? – gli chiesi con voce flebile, il mio corpo cominciò a tremare, non volevo che mi lasciasse sola e la consapevolezza che io avevo fatto proprio la stessa cosa con lui mi fece sentire in colpa, tremendamente in colpa. Lui non mi rispose, si sistemò la camicia nei pantaloni e poi raccolse, sempre in rigoroso silenzio, la sua sciarpa ed il suo spolverino. Se ne stava proprio andando!

 

- Ti prego, non mi lasciare… - lo pregai avanzando di qualche passo nella sua direzione, lui alzò una mano e quel gesto mi fece fermare. Le lacrime cominciarono a formarsi dietro i miei occhi, un dolore sordo dentro il mio cuore lo lacerava lentamente. Mi portai una mano al petto e strinsi la stoffa soffice della vestaglia, non potevo sopportare quel dolore e adesso sapevo quello che aveva provato William, quello che lui aveva passato nelle ultime due settimane. Ora sapevo perché si era ridotto così. Si avvicinò alla porta e strinse la maniglia, senza pensare a nulla mi precipitai verso la soglia e gli afferrai il polso, le lacrime ormai scendevano copiose sul mio viso. Sapevo di rendermi ridicola con quella penosa scena, ma non volevo perderlo.

 

- No! – gli dissi. Gli presi il bavero del soprabito e lo feci voltare spingendolo contro la porta e baciandolo disperatamente.

 

- Non mi lasciare – gli dissi sulle labbra. William era impassibile, un uomo completamente diverso da quello con cui avevo appena fatto l’amore. Non ricambiò il mio bacio, non mi strinse a se, non mi disse una parola. Si limitò a prendermi per le spalle e ad allontanarmi dalla sua persona. Mi stava ferendo apposta? Era una vendetta la sua? Questo pensiero mi fece più male di mille pugnali piantati nel cuore. Inorridita arretrai di qualche passo, come poteva farmi questo?

 

- Tu… non è possibile… - esclamai portandomi una mano alla bocca per il subitaneo senso di nausea che mi colpì. Lui, capendo che avevo compreso tutto, si avvicinò di nuovo a me, si chinò ed accostò le sue labbra al mio orecchio.

 

- Ora sai anche tu come ci si sente ad essere ingannati e feriti, usati – mi bisbigliò e poi si allontanò voltandomi le spalle. Lui non sapeva proprio niente di me, io lo sapevo già come ci si sente ad essere feriti ed ingannati. Dannazione, Liam non aveva fatto altro negli ultimi anni del nostro matrimonio! Non potevo sopportare che fosse proprio William a darmi il colpo di grazia. Sapevo che aveva sofferto molto per colpa mia, ma non avevo mai pensato che potesse trattarmi in quel modo.

 

- Davvero mi merito questo William? – chiesi ritrovando un po’ di quell’orgoglio che con lui avevo perso già la prima volta che l’avevo visto. Lui si voltò appena, poi non so per quale motivo, si voltò del tutto e si mise di fronte a me.

 

- Secondo te non lo meriti questo trattamento, Anne? – replicò alla mia domanda. Pronunciò il mio secondo nome con rabbia, scandendolo bene in modo da farmela sentire. Tremai intanto che i suoi occhi di ghiaccio incontravano i miei.

 

- No, non penso di meritarmelo… - ribadii con decisione, cercando di non prestare attenzione al sentimento di paura che mi aveva colta. Si spostò, con un movimento che mi parve incredibilmente lento, fino al divano e si mise seduto, le braccia allargate sullo schienale.

 

- E cosa te lo fa pensare Anne? –

 

- Smettila di dirlo così! Mi da fastidio! –

 

Ridacchiò e fu una risata maligna, perché si era trasformato in un uomo che non conoscevo? Gli avevo fatto dunque così male? Forse tanto risentimento era dovuto alla vita che aveva fatto, ma non poteva incolpare me di tutti i suoi fallimenti. Non era colpa mia se questa città non lo accettava. La risata si spense così come era cominciata e nel suo sguardo, per un breve attimo, qualcosa cambiò. Un’ombra vi passò davanti ma non feci in tempo ad interpretare di cosa si fosse trattato. Rimasi in silenzio e lui la smise di farmi domande; anzi si alzò e si diresse verso la porta, di nuovo. Non potevo guardarlo mentre se ne andava e di nuovo lo fermai, lo presi per un braccio e lo obbligai a girarsi, sul suo volto un’espressione di stupore, come se non se lo aspettasse. Dio i suoi occhi, erano quelli di prima… malinconici e dolci. Perché mi stava facendo questo? Perché si stava facendo questo?

 

- Non mi lasciare… Resta con me William… - gli mormorai certa che il suo sentimento fosse forte quanto, forse anche più, del mio. Mi ero comportata da egoista e, anche adesso, lo ero. Volevo che William facesse quello che io gli dicevo, ma non mi era importato nulla dei suoi sentimenti quando io l’avevo usato per fuggire la realtà del mio matrimonio, quando non gli avevo detto che ero spostata, quando non gli avevo detto chiaramente che volevo stare con lui dopo la nostra notte d’amore, ma che dovevo prima sistemare le cose con Liam. Ora me ne accorgevo, adesso che stavo per perdere quello che avevo di più caro. Ero stata cieca e William aveva sopportato tutto, soffrendo moltissimo vedendo come si era presentato a me quella sera. Avevo bisogno del suo perdono, almeno quello… anche se volevo lui, solo lui, disperatamente.

 

- A che scopo Buffy? Per farti divertire ancora? – mi chiese tristemente, guardandomi con quei suoi occhi dove io avrei potuto affogare.

 

- No William, resta perché ti amo. Ho tante cose da farmi perdonare, ma io ti amo e non voglio che su questo ci siano dubbi… -

 

- Hai uno strano modo per dimostrarlo allora ed è un modo che io non voglio accettare, ora scusami, ma voglio andarmene e non vederti mai più – affermò con decisione abbassando la maniglia, di nuovo lo bloccai. Perché non voleva darmi un’altra occasione? Gli facevo così ribrezzo? Decisi che se proprio doveva lasciarmi e non vedermi mai più, dovevo almeno sapere una cosa.

 

- William… vorrei sapere una cosa. Poi potrai uscire da quella porta e non mi vedrai più – gli promisi con il cuore sanguinante dal dolore. Lui inclinò la testa da un lato valutando la richiesta, annuì.

 

- Sentiamo –

 

- Perché piangevi al locale, quando io cantavo? Me lo sono sempre chiesta… -

 

Avrei finalmente scoperto cosa provocava in lui la mia musica. Avrei saputo se la causa ero io e, Dio mi aiuti, volevo essere io. Lui si allontanò dalla porta e fece qualche passo per scostarsi da me, forse avermi vicina gli dava veramente fastidio.

 

Una ferita in più per me.

 

Si passò una mano tra i capelli velocemente e rise.

 

- Una domanda più facile non l’avevi? –

 

Con il viso illuminato da quel piccolo sorriso era bellissimo, tutto di lui era bello anche se così scomposto. Avrei potuto masturbarmi osservando quel viso spigoloso, ma nello stesso tempo dolce. Subito si riscosse e assunse l’aria assorta di prima, ma non lo stesso sguardo gelido ed ostile. Si premette il pollice e l’indice della mano sinistra sugli occhi e sospirò.

 

- Non è facile Buffy, potrei mentirti ma a questo punto non ne vedo la necessità –

 

- Capisco… - risposi ormai certa che quello, in qualunque caso, era un addio.

 

- Amavo… amo la tua voce. Quando venivo a sentirti eri come una medicina per me, sentivo che il mio essere veniva proiettato in un altro luogo ed ero in pace. Tu Buffy sei stata la mia pace per tanto tempo… nemmeno te lo immagini. Quando credevo che fossi Anne mi sentivo in colpa perché pensavo di averti tradita, tu eri il mio Angelo e per qualche insano motivo pensavo che tu avresti potuto amarmi –

 

Ma io lo amavo! Perché non lo capiva? Perché gli riusciva difficile accettarlo?

 

- Inconsciamente ero già innamorato di te, dei tuoi occhi. La prima volta che ti vidi varcare la soglia del mio ufficio e fissarmi sapevo di averli visti da qualche parte, ma non riuscivo a ricordare. L’amore fittizio per il mio Angelo si era trasformato in un sentimento vero e profondo… che tu non hai saputo accettare e hai calpestato mentendomi. Come hai potuto fare l’amore con me quel giorno? Usarmi in quel modo… –

 

- E tu? Come hai potuto fare l’amore con me oggi? – perché avevo voglia di ferirlo ancora? Perché volevamo farci del male? Non avevamo sofferto abbastanza?

 

- Hai ragione… Non so perché l’ho fatto, non ero venuto per quello oggi se no non mi sarei presentato in questo modo – allargò le braccia per sottolineare il suo stato trascurato.

 

- Perché mi ami? – azzardai, volevo sentirglielo dire almeno una volta. Forse poi avrei saputo dirgli addio.

 

- Amore? Cos’è l’amore Buffy? In fondo è un sentimento che fa solo soffrire e che ti distrugge… – mi lanciò uno sguardo, portandosi una mano sul petto, sulla sinistra – L’amore è per i folli, per quelli che pensano che duri per sempre, ma in realtà è solo passione che brucia e consuma l’anima finché non rimane nient’altro che il dolore –

 

Faceva male sentirlo parlare così, perché non credeva nel mio sentimento? Perché non mi voleva?

 

- L’amore William può essere anche felicità, complicità, completezza… Diamoci una possibilità, ti prego! Io ti ho fatto del male, ma anche tu te ne stai facendo in questo momento, perché ti ostini a fare così? Vuoi portarti alla distruzione da solo, ma io non voglio! Resta con me William! –

 

Avrei voluto tanto correre da lui prenderlo fra le mie braccia per dirgli che tutto sarebbe andato bene, che il nostro amore avrebbe lenito tutte le ferite. Non lo feci. Restammo entrambi a fissarci con ognuno i propri pensieri nella testa. William aprì la porta.

 

- William, dimmi almeno se mi ami… - la mia ultima richiesta. Si voltò verso di me ed i suoi occhi intensi ed incredibilmente blu incontrarono i miei, rimasi senza parole… i suoi occhi non erano mai stati così limpidi, dolci ed intensi come ora. O forse lo erano stati, ma io ero stata cieca.

 

- Ti amo Buffy… – lo bisbigliò con amore e la sua voce calda, simile ad una carezza, m’investì come una brezza estiva. Il mio corpo vibrò a quelle tre semplici parole, sapevo che il suo cuore vi era racchiuso ed io non desideravo altro che poterlo prendere e curare. Infranse tutti i miei sogni.

 

- …ma questo non cambia niente. Addio, ti auguro di essere felice –

 

Avevo promesso che l’avrei lasciato andare e così, con la morte nell’anima, non lo fermai. Si trattenne ancora per un attimo e così approfittai per fargli un ultimo dono.

 

****

 

La sua voce mi arrivò dapprima in un sussurro, poi sempre più sicura fino a diventare la stessa che avevo sentito tante e tante volte. Chiusi gli occhi e ascoltai l’addio del mio Angelo.

 

This is the last song

Questa è l’ultima canzone

The very last song tonight

Proprio l’ultima canzone stasera

And the song is blue

E la canzone è triste

 

L’ultima canzone che cantava per me e sì, era triste.

 

This is the last song

Questa è l’ultima canzone

Yeah, the last song, hold me tight

Già, l’ultima canzone, tienimi stretta.

Though I shouldn’t be with you

Sebbene io non dovrei essere con te

 

This is the last time

Questa è l’ultima volta

The very last time I’ll see you

Proprio l’ultima volta che ti vedrò

Hold me close and don’t you cry

Tienimi vicina e non piangere

 

Potevo davvero tenerla vicina? Ammetto che lo desideravo con tutto me stesso, ma non volevo soffrire più, mai più.

 

This is the last song

Questa è l’ultima canzone

The very last song tonight

Proprio l’ultima canzone stasera

And this song means goodbye

E questa canzone significa addio

 

Già “addio”, ecco quello che ci stavamo dicendo.

 

I won’t forget the melody

Non dimenticherò la melodia

That takes your love away from me

Che mi toglie il tuo amore

But I guess what will be, will be

Ma indovino quello che sarà, sarà

 

And tonight, in your arms

E questa notte, tra le tue braccia

Is like heaven to me

È come il paradiso per me

But I belong to someone else

Ma appartengo ad un altro

And he’s waiting, waiting

E mi sta aspettando, aspettando

Waiting for me

Sta aspettando me

 

Liam, mi ero dimenticato di suo marito! Ormai non c’era più niente di cui preoccuparsi. Tra le sue braccia anche per me era stato il paradiso, ma ora era tutto cambiato, eravamo tornati alla realtà. Non ci saremmo visti più, mai più ed io stavo crollando e stavo lottando contro il desiderio di prenderla tra le braccia e di portarla via con me.

 

Goodbye, goodbye

Addio, addio

And remember, remember me

E ricorda, ricordami

And this song will be our song

E questa canzone sarà la nostra canzone

And this song will be our song

E questa canzone sarà la nostra canzone

And the last song for me

E l’ultima canzone per me

 

Come avrei mai potuto dimenticarla? Ero certo che il mio amore per lei sarebbe durato per sempre e che per sempre la sua immagine mi avrebbe accompagnato. Dovevo andarmene o non ce l’avrei più fatta.

 

Smise di cantare ed io mi voltai, guardandola un’ultima volta, le lacrime bagnavano il suo bel viso e le sue mani erano intrecciate sul suo petto, sembrava mi stesse pregando di non lasciarla, per l’ennesima volta. I suoi occhi verdi brillavano, due gemme luminose dalle quali scaturivano lacrime su lacrime. In fondo al mio cuore sapevo benissimo che quando diceva d’amarmi era sincera, ma non volevo un amore nato sulle menzogne e per quello me ne dovevo andare. Aprii la porta ed uscii, la sentii correre sulla soglia e potevo sentire il suo sguardo dietro la schiena, i suoi singhiozzi divenuti ormai incontrollati riempivano il silenzio del corridoio facendomi morire dentro, sempre di più, dopo ogni passo.

 

- Wil--liam! – mi chiamò un’ultima volta singhiozzando il mio nome. Strinsi i pugni tanto da ferirmi quasi i palmi delle mani con le unghie e continuai a camminare. Quando fui certo di essere abbastanza lontano diedi sfogo al mio dolore, lasciai libere le lacrime di scorrere sul mio viso. Uscii dal locale e l’aria fredda m’investì. Urlai contro il cielo il mio dolore. Oz mi raggiunse e preoccupato si dedicò a me.

 

- Che è successo Will? –

 

- Lei… io… è finita Oz, finita per sempre… - piansi sulla spalla del mio amico, che tecnicamente non avevo mai considerato tale, e gli raccontai solo gli ultimi avvenimenti. Naturalmente evitando accuratamente di dirgli che ero andato a letto con Buffy o che lei diceva di amarmi, non volevo metterla in difficoltà anche se sapevo che Oz non avrebbe mai raccontato i fatti miei in giro.

 

Ora sono qui, nei giorni pre-natalizi a fissare il vuoto dalla finestra del mio ufficio, le persone che si accalcano nelle strade prima della chiusura dei negozi, le musiche natalizie di rito, schifo. Schifo di vita. Li odio tutti quegli esseri che pensano di essere felici solo perché si avvicina il Natale.

 

Con fatica ho ripreso a mangiare anche perché per lavorare ho bisogno d’energie e poi devo almeno procurarmi i soldi per l’affitto se non voglio rimanere senza casa; inoltre ho in mente di comprarmi un’altra cosa… ma è un segreto che terrò solo per me. Il sonno al contrario non arriva mai. Non so da quanto non dormo, la notte la passo a fumare e a fissare il vuoto, ogni tanto la luna. So che Buffy ha chiesto il divorzio da Liam e probabilmente avrà ricavato, o ricaverà, un sacco di soldi da questo, ma in fondo è il motivo per il quale era venuta da me, adesso l’ho capito. Facendo le foto a Liam, mentre era con la sua amante, avrebbe avuto prove sufficienti per accaparrarsi metà dei suoi averi e per ottenere facilmente il divorzio. Io mi ero trovato solo nel mezzo di quella complicata operazione; tutto era nato nel modo sbagliato già dall’inizio. Non riesco però a togliermi dalla mente i suoi occhi limpidi mentre mi diceva che mi amava, di solito si tende a dimenticare il viso delle persone dopo un po’, ma il suo è vividamente impresso nella mia mente. Specialmente i suoi occhi, loro mi perseguitano quando cerco di dormire. So di aver rinunciato a lei solo per un pretesto, ma odio le bugie e non potevo gettare le basi per un rapporto duraturo se questo era nato da loro. Confesso che di notte, pensando a lei, mi tocco cercando di ricordare il suo profumo, il suo calore… Sono proprio una persona meschina, attaccata ai ricordi di un passato che non le è mai veramente appartenuto.

 

Ed ora eccomi qui al buio, seduto nel mio ufficio freddo. Solo. So che lei sta partendo, Oz me l’ha riferito, ma mi ostino a rimanere seduto al mio posto fissando il vuoto.

 

Ripensando a tutto quello che è successo è strano credere che siano passati solo due mesi. Due mesi che per me sono durati quanto una vita.

 

Continuerò la mia ormai non-vita ricordando l’unico bel momento che ho passato con lei: la nostra unica notte, nella mia stanza, dove ci siamo scambiati il nostro primo vero bacio, dove sento che abbiamo fatto veramente l’amore.

 

Mi alzo e torno a guardare fuori, ora la gente si è diradata e la neve ha ricominciato a scendere silenziosa. Mi metto davanti al vetro e gli alito sopra creando un piccolo cerchio di condensa. Disegno un cuore con una “B” nel mezzo, poi lo cancello con un colpo di mano dandomi dello stupido.

 

Un giorno, forse non lontano, andrò a riprendermi il mio Angelo.

 

Forse.

 

****

 

Che ve ne pare della mia storia? So che non ne esco bene e me ne dispiace. Sono una persona contorta che non riesce ad esprimere chiaramente quello che pensa e che, per questo, può venire fraintesa. Una cosa voglio che sia chiara anche a voi però: amavo William e lo amo tutt’ora con tutto il cuore. Per un attimo avevo anche sperato che venisse alla stazione per portarmi via, avevo detto di proposito a Daniel di dirgli dove mi trovavo, ma quando sono salita sul primo gradino della scaletta del treno, il mio sogno si è infranto. Lui non è arrivato. Fuori ha ricominciato a nevicare, il treno scivola silenzioso sulle rotaie ed io non faccio altro che pensare a lui intanto che le lacrime bruciano per uscire. Le lascio cadere, il mio riflesso già da prima triste ora mi appare ancora più affranto.

 

Ripenso ancora a quello che è successo con Liam, al nostro ultimo incontro nell’aula di tribunale e a quello che mi ha detto. Mi ha confessato che mi amava ancora e che sarebbe stato disposto a riprendere la sua vita accanto a me, ma io finalmente gli ho confessato che il mio cuore ed il mio corpo appartengono ad un altro uomo. Mi ha chiesto se si trattava di quello che aveva incrociato al locale l’ultima sera che ho cantato, non ce l’ho fatta a dirgli di si. In fondo la sua famiglia è potente e non voglio arrecare altri guai a William, per lui è già abbastanza faticosa la vita a Londra senza che la famiglia Blakes vada a procurargli altri fastidi. Lui sarà parte dei miei ricordi. La notte lo sogno sempre e nei miei sogni è affascinante, dolce e gentile come il primo giorno che l’ho incontrato; indossa il suo completo nero con la camicia bianca, ha i capelli ordinatamente tirati all’indietro ed il viso sereno. Risento la sua voce che mi dice “avanti” in modo infastidito ed una punta di rammarico mi pesa sul cuore. Anche se è stato un addio, il mio più bel ricordo è quello di essere stata ancora un’ultima volta tra le sue braccia ed averlo sentito sussurrarmi “ti amo”.

 

Ho davanti un lungo viaggio che come sapete mi riporterà a casa, anche se a Londra ho lasciato per sempre il mio cuore. Non so ancora cosa farò una volta arrivata, forse riprenderò gli studi e mi laureerò in qualcosa. Per ora non voglio pensarci, voglio addormentarmi il più presto possibile per rivedere il volto del mio amore, nessuno mai potrà portarmi via i miei sogni e so che lì potrò incontrarlo per tutta la vita.

 

Mi chiedo se mai vorrà rivedere il suo Angelo, è certo che io vorrei rivedere il mio.

 

Ma quando sarà? Quando… se il tempo non ci è amico?

L’ho perso per sempre, lo so… Ho provato a fare due telefonate a casa sua, ma non ho trovato nessuno. Tutto perso. Ed è questo il segnale che mi dice che è tutto perso… perso per sempre…

 

 

 

 

Quindici anni dopo. Sunnydale, California

 

- Buffy, tesoro! –

 

Alzo la testa dal mio libro e fisso incuriosita Joyce.

 

- Dimmi mamma –

 

- Guarda, è arrivata una lettera dal sindaco e chiedono di te. Vogliono che canti per loro ad una festa! – mi dice raggiante la mamma. Le sorrido e prendo la busta leggendo le poche righe di rito per gli inviti ufficiali. Strano mi conoscano ancora, la mia discreta fama mi aveva seguita per un po’, poi dopo qualche anno era sparita del tutto lasciando lo spazio solo al ricordo della donna che aveva cantato in un locale famoso a Londra.

 

Cantare! Da quanti anni non lo faccio? Esattamente quindici. L’ultima volta è stata per William e non ho mai pensato di tornare sul palco. Ormai trentacinquenne e con una laurea in avvocatura, non avevo più avuto tempo per la musica, l’avevo accantonata da tempo e un po’ mi dispiaceva. Purtroppo però ogni volta che tento di cantare, anche da sola nella mia stanza, mi blocco. L’immagine del viso rigato di lacrime di William mi frena sempre. Era l’unico che aveva sentito veramente la vera me stessa. Mi si dipinge un sorriso amaro sul viso: evidentemente quello che aveva visto non gli era piaciuto ed avevo perso da tempo le speranze che lui venisse a prendermi. Poi come faceva a sapere dove abitavo se non l’avevo lasciato detto a nessuno?

 

- Allora Buffy, ci andrai? – mi chiede la mamma ancora eccitata per la notizia.

 

- Non lo so… insomma, è da tanti anni che non canto e penso che le mie corde vocali siano troppo arrugginite per farcela – le sorrido e lei mi fissa torva, non crede ad una parola anche se è la pura verità. Non posso più cantare.

 

- Fa’ come vuoi, ma poi non venire a dirmi che ti sei pentita… sei sempre così triste Buffy… magari una serata diversa di aiuterebbe – detto questo, dopo avermi rivolto un sorriso, mi lascia sola.

 

Povera mamma si preoccupa sempre perché, dopo il divorzio, non mi sono mai risposata e non ho mai accettato nessun invito galante, nessun appuntamento. Ho studiato sodo e, quando ho preso la laurea, mi sono chiusa in casa dove ho allestito un piccolo ufficio e dove lavoro tutt’ora. So che lei vorrebbe vedermi felice, a lei Liam non era mai piaciuto per questo non era rimasta molto scioccata dalla notizia del fallimento del mio matrimonio. Meglio così, una mamma felice è sempre meglio di una mamma triste. Lei poverina non può dire lo stesso di me, credo non mi abbia più vista sorridere da tempo immemorabile ormai. Mi limito a fare quei sorrisini di circostanza che mi permettono di non perdere i clienti, ma niente di più. Sbuffo e cammino fino alla finestra.

 

Inspiro e comincio ad intonare una vecchia canzone: niente. Mi blocco subito. Mi domando perché non ci riesca più e mi rispondo che, probabilmente, è perché l’ultima volta che l’ho fatto ho perso il mio cuore.

 

- Scema! – insulto la mia immagine riflessa che mi guarda come se fossi un animale raro. Forse lo sono. Sembro una vecchietta ed invece sono ancora giovane, potrei essere piena di vita, come la mia amica, Willow Rosenberg, che ho conosciuto all’università. Lei è diventata la mia migliore amica e sa tutto di me. Di William e me intendo. Mi sgrida sempre quando non accetto appuntamenti perché dice che dovrei andare avanti, ma come faccio? Io lo amo ancora sebbene siano passati quindici anni.

 

Quello stesso pomeriggio Willow passa da me e io le mostro il biglietto.

 

- Ma è fantastico Buffy! Dai! Vedrai che sarà bellissimo! – mi fissa con curiosità e poi aggrotta le sopracciglia – Tu non ci vuoi andare vero? –

 

Ormai mi conosce bene. Annuisco e lei si arrabbia come al solito cominciando ad elencarmi tutti i motivi per i quali dovrei andarci, ultimo della lista: sto invecchiando precocemente, invecchiando dentro intende e non ha tutti i torti.

 

Dopo essermi sorbita una buona mezz’ora dei rimproveri di Willow, alla quale si è aggiunta anche mia madre, capitolo e finalmente con un urlo liberatorio mi abbandono sul divano e dico loro che ci andrò. Sorrisi soddisfatti e sguardi complici vengono scambiati dalle due donne e io mi sento quasi presa in giro da loro, avevano organizzato tutto? Mi sarei presto vendicata!

 

- Buffy, telefono io per la conferma, vai a comprare un abito con Willow –

 

- Ma mamma, la serata è tra un mese! – mi lagno, ma lei non sente ragioni e neanche Willow a quanto pare che, allegra, mi strattona il braccio e mi porge la borsa.

 

- D’accordo! Usciamo! –

 

Torno a casa e ammiro il mio abito appeso alla porta del mio armadio. È proprio carino, niente in confronto a quelli che portavo a Londra, ma mi piace di più perché l’ho pagato con i soldi che guadagno io. Vi starete domandando: ma non sei ricca? No, non lo sono. Non ho accettato gli alimenti di Liam, non ho preso nemmeno un centesimo da lui. Ho il mio orgoglio io e poi in fondo l’ho tradito anche io quindi non me la sentivo di prendergli qualcosa accusandolo della stessa cosa. Non era giusto, ecco.

 

Tornando all’abito è un vestito lungo e blu scuro che mette in risalto le mie forme ancora belle e sinuose come quelle di dieci anni fa. Ho sempre tenuto al mio corpo e l’ho sempre curato: creme, sport, buona alimentazione e, di tanto in tanto, una buona sauna. In verità è Willow che continua a stressarmi, fosse per me starei in casa sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro. Fortuna che ho lei.

 

Mi metto a letto sperando di sognarlo anche questa notte, mentre attendo che il sonno sopraggiunga provo ad intonare una canzone: niente. Come farò a cantare la sera del ricevimento?

 

Il mese passa velocemente e Willow mi obbliga ad andare persino dal parrucchiere in modo che quello m’insegni a tirar su i miei capelli. Per il trucco mi avrebbe aiutata lei.

 

Mancano un paio d’ore e l’immagine che lo specchio mi restituisce è piacevole. Se non fosse per il viso perennemente imbronciato potrei sembrare facilmente una ventottenne. A me non sembra nemmeno che il mio viso sia cambiato più di quel tanto, forse ero già vecchia prima. Non so. Mi trovo carina comunque. E il canto? Direte voi. Il canto è un problema, ora riesco ad emettere qualche suono ma niente paragonabile al canto. Devo pensare positivo, qualcosa m’inventerò e poi magari con tutta la gente che mi guarderà qualcosa si sbloccherà, no? Willow mi aspetta fuori per accompagnarmi, non vuole che io vada con la macchina perché sono leggermente imbranata. L’unica volta che l’ho presa, dopo aver preso la patente, sono andata contro un albero. Io ho sempre sostenuto che fosse lui a non aver rispettato la precedenza, non io. Nessuno mi ha mai creduta. Vai a fidarti degli amici e dei genitori. La jeep comunque è ancora mezza distrutta nel mio garage, non ho avuto cuore di gettarla.

 

Il suono insistente del clacson mi dice che è meglio che io mi muova prima che Willow entri e mi sbrani. Saluto la mamma ed esco.

 

- Finalmente! Vuoi arrivare in ritardo? Sei la cantante per Dio! –

 

Volto gli occhi al cielo e sospiro.

 

- Ja mein Furrer! –

 

Naturalmente non ho detto a nessuno del mio problema, avete visto la reazione di mia madre no? Nessuno ci crede… nemmeno Willow che conosce tutta la storia. Sono proprio in un bel pasticcio. Stringo con forza la mia piccola borsetta e guardo fuori dal finestrino la mia casetta che si allontana. Willow accende la radio ed una melodia suonata al pianoforte riempie l’abitacolo della macchina. Chiudo gli occhi e ascolto le note leggere che diventano sempre più impetuose per poi calmarsi e diventare tristi e malinconiche. Willow spegne la radio riportandomi alla realtà.

 

- Che lagna! – borbotta, mi guarda e mi fa un sorriso. Glielo restituisco, naturalmente è quello convenzionale che uso anche con i clienti. Lei non pare contenta del mio sorriso e mi appunto mentalmente di fare più esercizio davanti allo specchio.

 

Finalmente la casa del sindaco Wilkins appare all’orizzonte e Willow è tutta estasiata vedendo la gente che è stata invitata. Ci sono grandi senatori, parlamentari, professori universitari, ecc… Insomma i personaggi più in vista di Sunnydale. Willow mi lascia davanti al portone, mi saluta rapidamente e poi il suo maggiolino rosa riparte a tutta velocità, lasciando solo una nuvola di fumo dietro di sé: quella ragazza non la capirò mai.

 

Porgo il mio invito al portiere e lui mi fa entrare.

 

- La stavamo aspettando signorina Summers – s’inchina e mi fa entrare. Quanta pomposità per una piccola cittadina come Sunnydale. La prima cosa che mi colpisce nella sala è il magnifico piano a coda, lucido e nero, che è posto a lato del palco. La mia attenzione però viene attirata dal sindaco che si avvicina a me e mi stringe la mano.

 

- Signorina Summers, speravo che accettasse il mio invito! – esordisce con tono allegro – Le piace la festa? –

 

- Non sarei potuta mancare! Sì, molto elegante, i miei complimenti… –

 

Gongolante il sindaco ringrazia e si congeda per dedicarsi agli altri ospiti. Io mi avvicino al banco degli alcolici e prendo una coppetta di champagne, trangugiandola tutta in una volta. Non sono abituata all’alcol così la testa comincia già a ronzarmi dopo il secondo bicchiere. La serata va avanti tranquillamente tra chiacchiericci e leccatine al sedere delle persone in vista. Io me ne sto in un angolo aspettando l’ora della mia condanna. Quando vedo un tipo sulla cinquantina salire sul palco so che è giunta la mia ora. Ditemi addio! La mia morte sarà lenta e dolorosissima, almeno quanto quella delle persone che ascolteranno i miei gracchi nel microfono.

 

Non sento nemmeno che mi ha presentato, vedo solo i volti degli invitati voltarsi verso di me, intanto che le luci scendono ed un unico faro punta me. Io salgo sul palco debolmente illuminato e do uno sguardo al pianoforte: non c’è nessuno! Ma sanno che io non so suonare?

 

- Prego signorina Summers. Venga sul palco – mi dice il tipo in questione, aiutandomi a salire viste le difficoltà che ho con il mio abito lungo ed i tacchi che Willow ha insistito per farmi mettere. I piedi mi fanno un male! Secondo appunto mentale della serata: uccidere Willow.

 

Mi metto davanti al microfono e mi sento malissimo, sento gli occhi della gente tutti puntati su di me. Vedo una debole luce accendersi accanto al pianoforte, ma non vedo ancora nessuno e la mia attenzione viene risucchiata dal pubblico, come mi succedeva a Londra. I miei occhi vagano su di loro, ma sanno che non troveranno la persona che cercano. È una brutta abitudine che mi è rimasta, credo. Sono recidiva e dopo quindici anni è una cosa grave. Il tizio si avvicina ancora la microfono dopo che la folla smette di applaudirmi.

 

- Questa sera, inoltre, avremo come ospite speciale uno dei pianisti più famosi di Londra. Vi lascio scoprire chi è –

 

Non ho il coraggio di distogliere gli occhi dalla folla che comincia ad applaudire in modo davvero rumoroso. Con la coda dell’occhio vedo solo un’ombra che si abbassa e così torno a fissare il pubblico, non so perché ma voglio trovarlo, sento il suo profumo aleggiare nell’aria. Devo cantare una canzone dei Beatles e, scorrendo la folla, proprio ora mi dimentico completamente le parole, adesso come diavolo faccio?

 

Il pianista attacca con le prime dolci note della canzone. Rimango muta, incapace di dire o fare qualsiasi cosa, inchiodata dalla paura. E dire che una volta cantare per me era più naturale che respirare. Sento il pianista ricominciare il pezzo, ma io sono ancora bloccata. Chiudo gli occhi mentre sento il sudore che scende sulla mia fronte inesorabilmente. Quella è la mia sconfitta. Il pezzo ricomincia per la terza volta.

 

Yesterday, all my troubles seemed so far away

Ieri, tutti i miei guai sembravano così lontani

Now it looks as though they're here to stay

Adesso sembra che siano qui per restare

Oh, I believe in yesterday.

Oh, io credo nel passato.

 

Le emozioni mi travolgono come un treno in corsa, avrei riconosciuto quella voce tra miliardi di voci. Mi volto ed al pianoforte, con il viso illuminato dalla debole lampadina, c’è William con i capelli più biondi e strani mai visti in vita mia. Mi guarda con quegli occhi incredibilmente blu, che ancora hanno il potere di farmi piegare le ginocchia, e canta con la voce più bella che abbia mai sentito, senza mai distoglierli dai miei. È esattamente come lo ricordavo, anzi, se possibile ancora più affascinante. Vorrei volare tra le sue braccia per accertarmi che non si tratti di un sogno. Come dice la canzone, anche io credo fermamente nel passato. Ho trascorso gli ultimi quindici anni della mia vita a viverci.

 

Suddenly, I'm not half the man I used to be,

Improvvisamente, non sono nemmeno la metà dell’uomo che ero

There's a shadow hanging over me.

C’è un’ombra che incombe su di me.

Oh, yesterday came suddenly.

Oh, il passato è arrivato improvvisamente.

 

Anche su di me l’ombra incombe ed è quella della menzogna che per tutti quegli anni mi ha fatta sentire male. E grazie a Dio, il passato improvvisamente torna a bussare alla mia porta, almeno così voglio credere.

 

Why she had to go I don't know she wouldn’t say

Perché lei se ne dovuta andare? Non so, non l'ha voluto dire

I said something wrong, now I long for yesterday.

Ho detto qualcosa di sbagliato, ora bramo per il passato.

 

Yesterday, love was such an easy game to play

Ieri, l’amore era un così facile gioco da giocare.

Now I need a place to hide away.

Ora ho bisogno di un posto per nascondermi

Oh, I believe in yesterday.

Oh, io credo nel passato.

 

Le lacrime vogliono uscire a tutti i costi, ma invece esce la mia voce che si unisce a quella di William, mescolandosi a lei e fondendosi con lei come i nostri corpi hanno fatto in passato. Sento le nostre anime alzarsi e toccarsi mentre i nostri occhi si specchiano in quelli dell’altro. Faccio qualche passo verso di lui e mi avvicino al piano tastando la superficie levigata con il palmo della mano. Ora il viso di William è più vicino ed io posso quasi sentire il calore che il suo corpo sprigiona. Le sue dita affusolate e perfette danzano sui tasti con la stessa destrezza che ben ricordo anche nei nostri amplessi, voglio ancora quelle mani su di me.

 

Why she had to go I don't know she wouldn’t say.

Perché lei se ne dovuta andare? Non so, non l'ha voluto dire

I said something wrong, now I long for yesterday.

Ho detto qualcosa di sbagliato, ora bramo per il passato.

 

Yesterday, love was such an easy game to play

Ieri, l’amore era un così facile gioco da giocare.

Now I need a place to hide away.

Ora ho bisogno di un posto per nascondermi

Oh, I believe in yesterday.

Oh, io credo nel passato.

 

Il suo ritorno è un darci di nuovo una possibilità? Lo spero e forse dal suo sguardo lo spera anche lui. Cantiamo all’unisono, la gente non fiata più forse perché la forza dei nostri sentimenti ha investito anche loro. Non mi è mai capitata una cosa del genere, ero talmente abituata a cantare da sola che non ho mai percepito questa forza attorno a me. È William che me la trasmette? È il mio amore per lui? Sicuramente è dovuto al cuore che ho ritrovato.

 

Mm mm mm mm mm mm mm.

Mm mm mm mm mm mm mm.

 

Lascio appositamente la conclusione del pezzo a lui, quasi vengo nel sentire la sua voce calda e sensuale emettere quei suoni con l’accompagnamento delicato del pianoforte. Senza distogliere lo sguardo l’uno dall’altro, veniamo gratificati con un vivacissimo applauso. La gente è piacevolmente sorpresa dal nostro idillio canoro ed io lo sono ancora di più nel vedermi davanti l’uomo che amo, in smoking e per di più che suona il piano divinamente. La mia faccia, oltretutto, è stata salvata.

 

Il tizio sulla cinquantina viene e mi prende sottobraccio.

 

- Venga signorina Summers, ora il signor Harrington si esibirà da solo –

 

Scendo dal palco in adorazione. Le sue mani cominciano a volare sulla tastiera componendo la stessa melodia che ho sentito in macchina con Willow, è un suo pezzo? Questo inizia in modo molto trascinante, fresco, in gergo musicale è un “allegro andante” un pezzo che annuncia che qualcosa sta per accadere, gradualmente diventa un “crescendo”, il pezzo si sviluppa fino al suo apice e dopo un solo attimo si trasforma e diventa piacevole e tranquillo, trasmette pace; subito dopo diviene impetuoso, le note lottano tra loro e gli accordi si mischiano l’uno con l’altro. Poi si calma e diventa un “decrescendo”, malinconico e triste. Si conclude così, con un “rubato”, e gli invitati applaudono se possibile ancora più che per la nostra performance.

 

William si è alzato e fa un inchino portandosi il braccio destro davanti allo stomaco.

 

- Il pezzo che avete appena ascoltato s’intitola “Anne” – e mi fissa intensamente. Quella è la nostra storia. “Allegro andante” per il nostro primo incontro, “crescendo” per la nostra storia travagliata e poi “decrescendo” per il nostro addio. Lascio libere le lacrime ora che la gente non mi vede dato che sono in ombra, solo William dalla sua posizione può farlo. Mi sorride e poi torna al piano suonando altra musica di Beethoven, Chopin ed altri maestri che non riconosco. È di nuovo il mio turno e con lui che mi accompagna canto senza problemi, ogni tanto lui aggiunge la sua voce meravigliosamente bassa e sensuale alla mia. Ho bisogno di parlargli e subito!

 

Finalmente c’è una pausa, William è sudato e si tampona il viso con un asciugamano dietro la pesante tenda del palco. Mi avvicino piano e gli porgo una coppa di champagne.

 

- Ciao Buffy, grazie – mi dice senza distogliere lo sguardo da me e prendendo la coppa offertagli. Arrossisco, ora non sono più sicura di me, non con lui che mi fissa così.

 

- Il gatto ti ha mangiato la lingua? – scherza, come fa ad essere così calmo? Evidentemente non prova quello che provo io. In tutti i modi devo trovare il coraggio di dirgli qualcosa.

 

- C-Ciao William –

 

Ora balbetto anche? Perfetto! Mi prenderà per un’idiota. Sorseggia lo champagne e poi lo appoggia distrattamente su un tavolino, mi sfila la mia coppa e fa altrettanto. Prende la mia mano tra le sue ed è elettricità quella che sento attraversarmi il corpo. Lo amo, non ho mai smesso di farlo. E lui? Lui si limita a trascinarmi per la sala.

 

- Dove andiamo? –

 

- Fuori –

 

Si volta e mi sorride, quanto mi è mancato il suo sorriso. Non è un sorriso triste, è un sorriso normale, almeno mi sembra, ma forse lui si è allenato più di me allo specchio. Raggiungiamo il giardino e mi porta vicino alla grande fontana illuminata, è davvero splendida e la brezza estiva solletica la pelle esposta delle mie spalle e della mia schiena. Rabbrividisco e William mi poggia la sua giacca sulle spalle, il suo profumo mi travolge: non è cambiato, è lo stesso di quindici anni fa. Tabacco mischiato a quello della sua pelle.

 

****

 

- Come stai Buffy? – le chiedo come uno scemo. Finalmente l’ho rivista, è con me ed io non trovo niente di meglio da dirle di questo? Beh, che devo dirle? Buffy, ho passato gli ultimi anni a studiare pianoforte per poter diventare abbastanza famoso nella speranza di incontrarti ancora? Ti amo, ti prego sposami? Banale, banalissimo. Ok, tecnicamente è la verità. È stupenda con quell’abito ed è ancora più donna, il suo volto è più maturo ed è meraviglioso. I suoi occhi poi, Dio quanto mi sono mancati… la sogno tutte le notti ed ora è davanti a me, mi basterebbe allungare il braccio per toccarla.

 

- Sto bene William. Mi hai stupita, il pezzo è magnifico… - mi dice, gli occhi brillano in modo strano, ma forse sono solo le luci della fontana che li fanno sembrare così. Ha i capelli più lunghi di quanto li ricordavo, le arrivano appena sotto la vita e dato che sono liberi da ogni impedimento, si lasciano trasportare dall’aria che gioca tra loro. Quanto vorrei essere il vento in questo momento per essere io ad accarezzare il suo corpo.

 

- È la nostra storia… - le spiego senza staccarle gli occhi di dosso.

 

- Lo so – risponde a voce bassa, appena udibile.

 

Ci perdiamo per un attimo l’uno negli occhi dell’altra, lo sguardo di Buffy è intenso ed io devo tentare di guardare altrove per non prenderla tra le braccia e portarla via con me da questa festa, dal mondo. Mi siedo sul bordo della fontana e respiro a fondo l’aria della notte. È piacevole stare così con lei accanto e con i profumi dell’estate che mi circondano.

 

- È tutto molto strano, vero? – mi chiede, voltando lo sguardo verso il cielo dove la luna splende illuminando pigramente il resto del giardino non raggiunto dalla luce artificiale. Sul volto di Buffy ci sono i riflessi argentei della luce lunare e la fanno sembrare davvero un Angelo. Sentirla cantare dopo tutto questo tempo mi sembra un sogno ed averla vicina lo è ancora di più. Quindici anni siamo stati lontani, quindici lunghissimi, infiniti anni ed ora sembra che il tempo sia tornato indietro permettendoci di scegliere, dandoci un’altra possibilità.

 

- Già, strano… - rispondo distrattamente, mi alzo e faccio qualche passo nella sua direzione. Lei si volta verso di me e mi sorride.

 

- Siamo cambiati molto William… -

 

- Molto, sì. E tu sei più bella di quanto ricordavo –

 

La vedo arrossire e non mi pento di averle detto così. È davvero stupenda, sembra una creatura eterea baciata così, dalla luce della luna. Una creatura che appartiene ad altri mondi ed io sono attratto da lei, sono sempre stato attratto da lei.

 

- Anche tu ti difendi bene… - ride sommessamente portandosi una mano alla bocca per nascondere le labbra, la prendo e la scosto.

 

- Non nasconderti mentre ridi… mi piace vederti così, mi piace vederti felice –

 

****

 

Felice? Lui non sa che quello è il primo vero sorriso che faccio dopo quindici anni. Chi altri, se non lui, poteva strapparmelo? Lui questa notte mi ha riportata alla vita… ancora tiene la mia mano nella sua. I nostri sguardi s’incontrano ed io affogo in quel color cobalto soffice come velluto che sono i suoi occhi, la luce della luna disegna strane ombre sul suo viso e lo rende ancora più bello. I suoi capelli rispondono a quel riflesso e risplendono nel buio. Vedo solo lui, voglio solo lui.

 

La sua mano lascia la mia e si appoggia delicatamente sulla mia guancia, io l’appoggio nel suo palmo e m’inebrio di quel calore che mi ha negato anni fa.

 

- William… -

 

Lui mi preme un dito sulle labbra e mi zittisce. Con la punta delle dita mi accarezza di nuovo la guancia ed io arrossisco abbassando lo sguardo. Lui gentilmente preme un dito sotto il mento facendomi alzare il capo.

 

- Guardami Buffy… Mi sei mancata tanto… -

 

La sua voce simile ad una carezza mi fa quasi piegare le ginocchia e se lui non fosse stato abbastanza veloce da afferrarmi per la vita, in questo momento mi sarei ritrovata con il sedere per terra. Invece sono tra le sue braccia con il viso affondato nel suo petto, la sua giacca raggiunge l’erba con un fruscio lieve, udibile solo a me e a lui. La mia pelle esposta brucia per il contatto delle sue mani che si sono posizionate sulle mie braccia ed ora mi allontanano di poco, solo per permettergli di guardarmi. È ancora in attesa di una mia risposta. Mi faccio coraggio e con l’indice gli percorro la fronte, gli zigomi perfetti, la piccola cicatrice che ha sul sopracciglio sinistro (chissà come se la sarà fatta) e le labbra, quando tocco la sua bocca unisco anche il pollice. Quanto vorrei baciarlo. Lui chiude gli occhi e sussurra il mio nome, questo mi provoca un piccolo fremito in basso.

 

- Mi sei mancato anche tu William… Non sai quanto! –

 

Finalmente gli ho confessato quello che sento. I lati della sua bocca invitante s’incurvano verso l’alto in un sorriso sincero. Sto giocherellando con il colletto della sua camicia e sto fissando in modo vergognoso il suo collo, Dio il suo odore è la mia droga.

 

****

 

Avere di nuovo il suo corpo quasi premuto contro il mio è troppo. Non so per quanto riuscirò a trattenermi dal saltarle addosso. Sono quindici dannati anni che la voglio! Davvero troppo tempo per un povero essere umano di sesso maschile. Quante notti passate a pensare che fosse lei a toccarmi, quanti sogni con lei protagonista che s’infrangevano al mattino riaprendo gli occhi. Quindici stramaledetti anni! Quindici stramaledetti anni di quella merda! Ora l’avrei presa lì direttamente sull’erba se non fosse che sono un gentiluomo e che sarebbe poco elegante farsi trovare in “quel modo” dai padroni di casa. La sento tremare.

 

- Hai freddo? Rientriamo – le propongo abbassandomi per raccogliere la giacca, mentre mi alzo mi riempio gli occhi del suo corpo, il lungo spacco del vestito mi lascia intravedere le sue gambe snelle e perfette fino a metà coscia. Vedo un’immagine di me che le percorro con la punta della lingua. Il solo pensiero fa reagire una parte del mio corpo, così m’infilo la giacca e la richiudo velocemente nascondendo l’evidente gonfiore nei miei pantaloni. Mi avvio e tengo la porta aperta in modo che Buffy possa entrare per prima, si volta ed i suoi occhi mi osservano ed indugiano sulle mie labbra. Che anche lei mi voglia? Che il suo tremore non sia provocato dai brividi di freddo? Mi sorride e passa oltre intanto che i miei occhi esitano sulla curva delicata ed invitante del suo collo.

 

****

 

William suona ancora regalando alla festa le sue magnifiche note, ma io non faccio altro che osservare le sue stupende mani che premono i tasti ed il suo viso assorto, così dannatamente sexy, che esprime ogni stato d’animo che la musica gli provoca. Man mano che le ore passano gli ospiti si diradano fino a quando nella grande sala non rimangono che poche persone. Mi avvicino al piano con fare casuale, lui è ancora lì che suona una melodia dolce, i suoi occhi salgono fino al mio viso e mi sorride.

 

- Bella serata vero? – mi sussurra, in quelle parole un significato molto più profondo. Il respiro quasi mi si mozza quando vedo il blu dei suoi occhi diventare scuro e tempestoso. Conosco quello sguardo.

 

- Meravigliosa direi… - rispondo e gli sorrido, quasi i muscoli della faccia mi fanno male. Non sono più abituati a stirarsi in grandi sorrisi e quella sera si stanno sprecando. Oh, dimenticavo: terzo appunto mentale della serata, cancellare omicidio di Willow e sostituirlo con vacanza-premio.

 

- Avvicinati Buffy… - mi bisbiglia con la voce roca, dovuta al troppo canto di quella sera, e mi porge una mano, mentre con l’altra continua a suonare. Faccio scivolare la mano nella sua e lui me la stringe indugiando per un attimo con il pollice sul dorso, accarezzando la mia pelle disegnandovi piccoli cerchi. Mi attira più vicina e mi fa posto sulla panca. Mi siedo vicino a lui e sento i miei palmi sudati. Nella sala, intanto, ignari di quello che sta succedendo tra noi, alcune luci vengono spente distrattamente da qualche cameriere zelante. Io e William rimaniamo seduti e ci fissiamo negli occhi, lui ha smesso di suonare appena mi sono seduta.

 

- Ti va di sentire ancora la nostra canzone? –

 

- Si –

 

****

 

Appoggio le mie mani sui tasti e ricomincio a suonare. Il suo sguardo su di me brucia e mi accende di desiderio che sfogo suonando. Do un’occhiata alla sala ed è praticamente deserta, gli ultimi ospiti si sono spostati in una più piccola per prendere l’ultimo whisky insieme al sindaco. Noi no, siamo ancora lì. Finisco il pezzo e quando mi volto per guardare Buffy, la sua bocca è a pochi centimetri dalla mia. La sua mano scorre dal mio ginocchio fino a metà della mia coscia.

 

- William… - mi sussurra sulle labbra ed il suo fiato caldo che me le sfiora, manda un brivido lungo la mia spina dorsale. Mi sposto e subito le mie labbra si sfregano sulle sue in un bacio leggero che ha tanto il sapore del passato. Voglio di più.

 

La punta della mia lingua accarezza la sua bocca chiedendole maggior accesso, la mano di Buffy intanto si sposta al colletto della mia camicia e mi attira più vicino. Socchiude le labbra e mi permette di approfondire il bacio, il tocco della sua lingua è come lo ricordavo appassionato e battagliero. Lottiamo per il predominio mentre iniziamo a gemere l’uno nella bocca dell’altra. Le nostre mani si muovono ormai incontrollate sui nostri corpi tirando la stoffa degli abiti che sono solo d’intralcio al loro cammino. Buffy mi libera della giacca e convulsamente mi sfila la camicia dai pantaloni subito insinuandosi sotto di essa per accarezzarmi il ventre e risalire leggermente toccandomi le costole e poi salendo verso i miei capezzoli. Getto indietro la testa e Buffy ne approfitta per baciarmi languidamente il collo e succhiarmelo gentilmente. Se vuole farmi impazzire, ci sta riuscendo appieno. Apre gli ultimi bottoni della mia camicia e scosta la stoffa leggera scoprendo del tutto la mia pelle. Ormai la sala è illuminata solo dalla luce della luna e da quella debole dei fari vicino alla fontana, ci siamo solo noi ed il silenzio è rotto solo dai nostri respiri affannati. Gli occhi di lei brillano mentre mi guarda con lussuria, decido che è ancora troppo vestita per i miei gusti. La prendo per i fianchi e la sposto davanti a me, lei mi sorride in attesa. Prendo i lembi del suo abito e lentamente li faccio risalire lungo le sue gambe che tocco lievemente con la punta delle dita strappandole sospiri sommessi. Le arrotolo il vestito fino alla vita e poi la faccio sedere a cavalcioni su di me, la sua femminilità tocca il rigonfiamento dei miei pantaloni. L’idea di prenderla lì, sul pianoforte è così eccitante che il mio membro si gonfia ancora di più e fa male, ha così voglia di lei.

 

- William… forse non dovremmo… - mi ansima sull’orecchio intanto che stuzzico i suoi glutei stringendoli e lasciandoli nuovamente a ritmo regolare.

 

- Shht Buffy… ho bisogno di sentirti… qui, adesso… Mi sei mancata così tanto… - le dico e mi specchio nei suoi occhi verdi e limpidi. Sorride e la sua bocca calda scende su di me in un bacio esigente e affamato. Ricambio con tutto me stesso e nel frattempo le mie mani le stanno abbassando la parte superiore dell’abito. Voglio rivedere i suoi seni e sentire la sua pelle profumata sulla mia, voglio riscoprire tutto di lei. Buffy mi cinge il collo con le braccia e mi porta più vicino a lei mentre la mia bocca scende sul suo seno scoperto e lo succhia avidamente, all’altro presto attenzione con la mano libera… l’altra è impegnata ad accarezzare la schiena di Buffy, i suoi capelli di seta, la sua pelle morbida e calda.

 

- Ahhh… William… - ansima, le sue piccole dita scendono all’attaccatura dei miei pantaloni e, una volta aperti, vi si insinuano all’interno. Finalmente il mio membro riceve le attenzioni che ha richiesto per tutto quel tempo, la sua mano si chiude su di lui ed inizia a percorrere l’asta su e giù con un movimento lento. Stringo i denti e soffoco i gemiti di piacere che lei mi provoca. Ci guardiamo per un attimo ed i nostri occhi sono appannati dal desiderio, le nostre bocche si fondono e le nostre lingue lottano impetuose, le nostre mani continuano a pizzicare, toccare, accarezzare ogni centimetro della pelle dell’altro. Le mie dita s’insinuano sotto la sottile stoffa dei suoi slip e la scostano, comincio ad accarezzarla e lei mugola nella mia bocca, la sua mano continua intanto a prestare attenzione al mio membro. È bagnata e il mio dito non fatica ad entrare in lei che si stacca dalla mia bocca e ansima pesantemente.

 

- S-si, William… Aaaahhh, così… Ancora… -

 

Colgo l’invito e ne faccio scivolare dentro un altro cominciando a muoverle velocemente, Buffy perde quasi la ragione e scende con la bocca sulla mia spalla per soffocare i gemiti e i gridolini di piacere. Lei continua a lavorare sul mio membro, ma io ho bisogno di sentirla attorno a me così tolgo le dita e la sento irrigidirsi, scosta la testa dalla mia spalla e mi fissa con occhi sgranati.

 

- C-che succede? –

 

Le sorrido.

 

- Niente, voglio solo stare dentro di te Buffy… ti prego… -

 

Si rilassa e mi bacia, facendo pressione sulle proprie gambe si solleva in modo che io possa entrare in lei. Posiziono il mio pene sulla sua apertura e Buffy scende lentamente facendolo sparire centimetro per centimetro dentro di lei. Getto la testa sui suoi seni, la sensazione è troppo forte, è così calda, accogliente, bagnata per me. Potrei stare dentro di lei per sempre. Comincia a muoversi piano ed io l’aiuto trattenendola per i fianchi e accompagnandola nei movimenti, con i denti stuzzico prima un capezzolo e poi l’altro, i suoi capelli danzano attorno a lei, solleticandomi le mani.

 

- Buffy… Dio… più veloce, non posso aspettare – le chiedo, non resisto più ho bisogno di venire in lei, con lei. Buffy accetta la richiesta e accelera i movimenti. Presto la sala è riempita dai nostri gemiti e lamenti di piacere, l’idea che qualcuno ci può scoprire non ci sfiora nemmeno, siamo troppo presi dal nostro amplesso.

 

- William… STO PER VENIRE… OHDIO… -

 

Adoro quando mi dice che sta raggiungendo l’orgasmo. La sollevo e la faccio sedere sui tasti del piano che emettono dei rumori sgradevoli, ma a noi non importa, a Buffy non importa di avere i tasti bianchi e neri affondati nei suoi morbidi glutei. In quella posizione posso spingere più a fondo e Cristo, ne ho davvero bisogno. Ad ogni mia spinta profonda i seni di Buffy ballonzolano avanti ed indietro, la sua bocca si apre e si chiude senza che riesca ad emettere nessun suono. Il viso è contratto in una pura espressione di piacere e io quasi vengo nel vederla così.

 

- OOHH WILLIAAAAMM… UNNNGHHHAAAHH… -

 

I muscoli interni di Buffy massaggiano il mio membro, il suo orgasmo è ancora fresco quando affondo ancora in lei, ancora più a fondo e subito urla di nuovo il mio nome. Amo sentirla urlare il mio nome, mi riempie d’orgoglio. Intanto ha portato le sue mani sulla superficie liscia del pianoforte ed ora si sorregge sulle braccia e mi guarda compiaciuta, ancora scossa per il suo orgasmo.

 

- Buffy… sto per… - non finisco la frase che vengo in lei. Il mio seme caldo scivola dentro di lei e si mescola ai suoi liquidi. Lei mi prende il capo e se lo porta sul seno, aspettiamo che i nostri respiri si normalizzino.

 

****

 

È perfetto. Semplicemente perfetto. Ho paura che tutto questo sia un sogno e che William possa sparire se chiudo gli occhi per troppo tempo. Il suo respiro, che sento normalizzarsi sulla mia pelle, però mi dice che non è un sogno, è la realtà. E c’è un’altra realtà di cui devo renderlo partecipe.

 

- William… io ti amo… -

 

È la verità, quello che stringo tra le braccia è l’uomo che amo, che ho sempre amato. Lui scosta il capo ed annego in quell’oceano che sono i suoi occhi e quello che leggo è speranza.

 

- È vero Buffy? – la sua voce è un sussurro, soffice come una nuvola.

 

- Lo è sempre stato William e da allora non è cambiato… -

 

Mi sorride apertamente e si lascia scappare una risatina impacciata, non ci rendiamo nemmeno conto di essere ancora mezzi nudi e che qualcuno potrebbe trovarci così. Poi solleva lo sguardo e diventa serio.

 

- Ti amo Buffy – ride ed io lo fisso curiosa – Dio, per te ho anche studiato musica, volevo rivederti e l’unico modo che avevo era arrivare in America ed essere abbastanza famoso, pensavo cantassi ancora e che, prima o poi, qualcuno mi avrebbe chiesto di accompagnarti, proprio com’è successo stasera –

 

Lo bacio dolcemente e poi lo guardo e gli sorrido.

 

- Suoni divinamente William, davvero… -

 

Fa spallucce.

 

- Beh, alla fine ho scoperto che adoro suonare, in verità ho sempre amato la musica… - arrossisce un po’ – Lo sai no? –

 

- Sì, lo so – e gli bacio la punta del naso. Mi stacco da lui con malavoglia e faccio per riassettarmi almeno il sopra del vestito, ma lui mi ferma. Porta il suo naso sul mio collo e lo stuzzica inspirando poi il mio profumo.

 

- Non abbiamo finito qui… dove pensate di andare Miss? –

 

Il fatto che lui mi chiami ancora “Miss” mi rassicura, come se mi avesse avvolta in una coperta, nello sesso tempo mi fa ridere con imbarazzo. Strofina il suo viso contro il mio e solo in quel momento sento il mio sedere che manda segnali di dolore, sono ancora seduta sui tasti! Salto giù e mi massaggio i glutei facendo una smorfia infastidita, mi si è addormentato il sedere. Le mani di William presto raggiungono le mie e le sostituiscono al massaggio. Io appoggio le mani sulle sue spalle e chiudo gli occhi assaporando la dolce sensazione. Sto per essere risucchiata di nuovo nel vortice della libidine. Comincio a miagolare di piacere e William si alza, io gli salto in braccio e lui è pronto a sorreggermi mentre gli cingo la vita con le gambe e premo la mia femminilità già fremente contro il suo membro semi-duro. Le nostre bocche si cercano e di nuovo siamo persi l’uno nell’altra. Lui mi porta a lato del pianoforte e mi fa sedere sulla superficie liscia: il mio sedere ringrazia. Traccia una scia di baci dalle mie labbra, sul collo, fino a raggiungere lo sterno, lo stomaco (che è ancora più o meno coperto dall’abito) e poi torna su, sulle mie labbra; nello stesso tempo le sue mani mi accarezzano le gambe, le cosce e s’insinuano sotto l’abito afferrando il bordo dei miei slip neri di pizzo.

 

- Queste sono davvero delle interessanti mutandine Summers… - mi sussurra sensualmente baciandomi il lobo dell’orecchio e stuzzicandolo con i denti. Mugugno qualcosa ormai ipnotizzata dal movimento delle sue mani e dalla sua voce così calda, lievemente roca. Me le sfila mentre mi fissa adorante ed io ho di nuovo voglia di lui. Tendo le braccia verso di lui quando i miei slip raggiungono il pavimento di marmo lucido.

 

- Ho bisogno di te… adesso! – gli ordino, lui ride e mi accontenta abbracciandomi e affondando di nuovo in me.

 

Dopo pochi minuti le mie urla rompono il silenzio della sala e William subito cerca di coprirmi la bocca con una mano per soffocarle.

 

- Buffy… - mi bisbiglia ancora affondato in me.

 

- Mmmh? – l’unica cosa che riesco a dire, in effetti ho il cervello bloccato ancora immerso nel piacere più profondo.

 

- Andiamo via… - mi chiede, io annuisco debolmente e lui mi aiuta ad alzarmi e a scendere dal pianoforte. Ci risistemiamo i vestiti e poi mi ricordo che io non vivo da sola. Se glielo dico posso sembrargli una povera sfigata, insomma a trentacinque anni, vivere ancora con tua madre, non è proprio una cosa di cui vantarsi. Lui mi prende una mano e mi sorride.

 

- Ce ne andiamo senza salutare? – gli dico ridendo.

 

- Amore, credo che per questa sera abbiamo già dato abbastanza… - mi sorride ed io non capisco cosa vuole dire. Lui mi fa segno con il capo verso il piano superiore, che tra l’altro nemmeno avevo notato, e vedo due o tre camerieri che ci fissano con le bocche spalancate. Guardoni! Arrossisco violentemente e nascondo il mio viso nel braccio di William che mi bacia la fronte. Lasciamo quella casa e mi accompagna verso una macchina nera, una Desoto Dodge FireFlite del 1958. Davvero una bella macchina. Mi apre lo sportello ed io entro, lui fa la stessa cosa e si mette al volante, accende il motore e poi mi guarda.

 

- Dove abiti? –

 

Merdaaaaa. Non posso dirgli che abito con mia madre! Sfigata Buffy! Ultimo appunto mentale della serata: traslocare immediatamente.

 

- Uhm… possiamo andare da te? – suggerisco. Ti prego di’ di sì!

 

Il suo sguardo cambia immediatamente, serra la mascella e nello stesso istante le sue dita stringono convulsamente il volante: so che si è arrabbiato.

 

- E perché? -

 

Mi sembra di essere tornata a Londra e mi chiedo se ci sarà mai il giorno dove potrà avere fiducia in me. No, non credo di meritarmela la sua fiducia ancora. Sospiro abbassando gli occhi, ponderando che le mie scarpe con il tacco sono proprio belle, e gli confesso la mia situazione da sfigata.

 

- Perché vivo con mia madre – confesso tutto d’un fiato aspettandomi una sua risata… che però non arriva. Mi faccio coraggio e alzo la testa, voltandola dalla sua parte e lui se ne sta lì, in silenzio, con gli occhi brillanti ed il sorriso più dolce che abbia mai visto.

 

****

 

- Dio, mi hai spaventato a morte! - protesto, finalmente ricominciando a respirare. Lei ride e la sua risata è la musica più bella del mondo, rido insieme a lei.

 

- Scusa – replica ancora con il riso nella voce.

 

- Da me allora! – decido e parto verso il mio albergo. Io ora vivo a Los Angeles dove mi hanno proposto di incidere dei pezzi che ho scritto, non ringrazierò mai abbastanza la mia casa discografica che mi ha trovato l’ingaggio di questa sera. Ora ho Buffy accanto a me e tutto mi sembra così lontano, esistiamo solo noi due. La sua mano scivola sulla mia che stringe il cambio e le sue dita s’intrecciano alle mie. Il suo viso radioso illumina la notte di Sunnydale così come il mio cuore che, per inciso, è tornato a battere proprio questa sera.

 

- Non è bellissima questa notte? – mi chiede guardando fuori dal finestrino le luci dei lampioni che brillano nella notte.

 

- Tu sei bellissima… - le rispondo sinceramente. Le sue guance si colorano lievemente di rosso, ricordo che anche in passato arrossiva spesso ed è adorabile quando lo fa.

 

- Cosa faremo adesso? – la sua voce è piccola ed io riesco a sentire la domanda solo per miracolo. Inarco un sopracciglio e le sorrido.

 

- Hai dubbi amore? –

 

Lei mi da uno schiaffetto sulla spalla e scuote la testa.

 

- Scemo! Non intendevo quello che faremo all’hotel… intendevo dire… Uhm… non importa –

 

- Dimmi Buffy, non voglio che ci siano dubbi o segreti tra noi, non più… - mi da fastidio sapere che c’è qualcosa che la turba e sento il bisogno di tranquillizzarla immediatamente. Lei si china verso di me e si appoggia alla mia spalla, attaccandosi al mio braccio.

 

- Non c’è niente William, davvero… -

 

So che non è la verità, ma non voglio obbligarla, non adesso. Lei mi posa un bacio sulla guancia e dopo una ventina di minuti raggiungiamo l’albergo. Mi da fastidio non sapere cosa la preoccupa, il suo viso è mutato e non riesco a capirne il motivo. Comunque parcheggio la macchina e consegno le chiavi al parcheggiatore, varchiamo la soglia del lussuoso albergo (il sindaco non ha badato a spese), prendo la mia chiave e saliamo. La mano di Buffy è gelida e sudata.

 

- Ti senti bene, tesoro? – inizio a preoccuparmi davvero. Lei annuisce in modo convinto, ma so che c’è qualcosa. Dio, dopo tutto quello che abbiamo passato ancora si ostina a nascondermi qualcosa! Perché deve sempre finire così tra noi? Ok, ammetto di non avere nessun diritto su di lei, ma Cristo, mi ha detto che mi ama ancora… perché non si fida di me? Sospiro e siamo davanti alla porta della mia stanza. Infilo la chiave nella toppa e apro, faccio segno a Buffy di entrare.

 

- Sii mia ospite – appena finisco la frase mi rendo conto che è la stessa cosa che le ho detto quando è entrata nella mia vita. Strano il destino eh? Tesse il nostro futuro e gioca con le nostre vite… diciamo che con me è diventato generoso. Ora sono famoso, ho qualche soldo più di prima e spero di poter avere Buffy al mio fianco, anche se è una donna complicata e molto strana alle volte. Un giorno riuscirò mai a capire cosa le passa per la mente?

 

La osservo mentre si guarda attorno stupita, effettivamente la mia stanza è una suite, niente a che fare con quella che avevo a Londra; però preferisco il mio appartamento, è piccolo ma accogliente. Ho scoperto di amare le case piccole, mi danno un senso di protezione e mi sembrano più calde, più intime. Non sono mai stato un tipo che ama il lusso e non credo lo sarò mai.

 

- William! È bellissima la tua stanza! E che bella vista! – esclama Buffy entusiasta intanto che guarda fuori dalla finestra. La raggiungo e l’abbraccio da dietro cingendole la vita con le braccia e massaggiandole la pancia. Le poso qualche bacio sul collo e lei sposta la testa in modo da permettermi un miglior contatto.

 

- Wil-iam… - sospira, le mie mani le accarezzano i seni attraverso la stoffa. Mi porta una mano dietro la nuca e gira la testa cercando le mie labbra. La faccio voltare tra le mie braccia senza mai staccare le nostre bocche che voraci divorano quella dell’altro. Buffy mugugna nella mia bocca mentre la mia lingua duella con la sua. La sua mi accarezza il palato ed esplora la mia bocca in ogni angolo, è il mio turno di mugugnare. Le apro il vestito e lo faccio cadere a terra, ora indossa solo le mutandine di pizzo nero che, Dio, mi fanno girare la testa. Lei mi toglie la giacca, senza staccare la bocca dalla mia e approfondendo di più il bacio. Mi tolgo le scarpe con un solo gesto elegante e gli stupidi calzini con uno molto meno elegante. Finalmente sono libero e Buffy mi sorride e torna ad attaccarsi al mio corpo, divorandomi le labbra.

 

- Troppi… vestiti – mi dice tra un bacio e l’altro, io annuisco impaziente e l’aiuto a spogliarmi della camicia. Ho voglia di lei, troppa voglia di lei. Finalmente la pelle del mio petto si struscia contro la sua, tra i nostri corpi non ci sarebbe spazio nemmeno per una piuma da tanto sono legati l’uno all’altro.

 

- Buono William… sai di buono – mi mormora Buffy intanto che prende il mio labbro inferiore tra i denti e comincia a succhiarlo, scende lungo il collo con la punta della lingua e saggia la mia pelle.

 

- Buono… - riconferma con voce sensuale.

 

- Letto… - riesco a dirle prima di lasciarmi andare ai suoi stimoli. Lei mi salta in braccio e mi cinge i fianchi con le gambe, la sorreggo per il sedere e la porto verso il letto. Ci lasciamo cadere, lei è sotto di me ed ha il respiro affannato. I suoi occhi verdi sono accesi di desiderio.

 

- Dimmi che mi ami –

 

- Ti amo –

 

- Dimmi che mi vuoi –

 

- Ti voglio sempre William – mi porta una mano tra le sue cosce e mi fa tastare i suoi slip zuppi dei suoi liquidi.

 

- Senti quanto ti voglio anche ora? Senti quello che mi fai? –

 

Le assalgo le labbra, già gonfie e arrossate per i nostri baci precedenti, nuovamente e mi stendo su di lei che mi passa una mano sulla schiena, fino alla spalla, e l’altra la intreccia nei miei capelli portandomi ad un contatto più profondo. I suoi piedi, ancora ricoperti dalle scarpe, accarezzano sensualmente il retro delle mie gambe e si chiudono appena sotto il mio sedere. Buffy mi spinge contro il suo monte e geme quando sente la mia eccitazione attraverso la stoffa fine dei pantaloni.

 

- Ancora troppi vestiti… - mugugna.

 

- Sì, troppi… – le rispondo alzandomi e sfilandole le mutandine in modo lascivo lungo le gambe. Lei si alza con me e mi slaccia i pantaloni liberando il mio membro già duro e pronto per lei. Finisco di togliermi il fastidioso indumento e finalmente sono da lei.

 

- Le scarpe… aiutami a toglierle –

 

- Ok –

 

Mi abbasso e le slaccio i sandali, mi eccitano molto i tacchi lunghi e mi dispiace che lei voglia toglierli, ma capisco che sarebbero d’impiccio. I sandali non fanno in tempo ad atterrare sul pavimento che io la sto già baciando di nuovo. Finalmente i nostri corpi sono liberi di sentirsi senza impedimenti. Buffy allaccia la sua gamba destra alla mia e mi blocca le braccia ai lati della testa, sorride seduttiva e poi con forza cambia le posizioni mettendosi sopra di me. Percorre le mie braccia con le mani, fino ad alzarmele sopra la testa ed io chiudo gli occhi respirando più velocemente, mi eccito ancora di più se prende lei l’iniziativa. Ripercorre la stessa traiettoria all’inverso e arriva fino al mio petto, accarezza vogliosa i miei capezzoli e scende con la lingua a disegnare cerci attorno all’aureola, il mio corpo sussulta a quello stimolo. Porto le mie braccia ai suoi fianchi, ma prima che possano raggiungerli lei mi afferra i polsi e li riporta sopra la mia testa, si china avvicinando le labbra al mio orecchio.

 

- Non si tocca! – mi sussurra, io deglutisco faticosamente e annuisco ipnotizzato dal suo sguardo malizioso.

 

Scende con i baci sempre più in basso, lungo il mio ventre, ancora più giù. Le sue mani accarezzano le mie gambe, l’esterno e l’interno delle cosce aggirando sapientemente la zona inguinale, la zona che freme più delle altre.

 

- Sto per impazzire… - le confesso, cercando di muoverla a compassione. La guardo e sorride colpevole, sì decisamente vuole farmi impazzire. Si porta un dito alle labbra come se avesse appena fatto una marachella. È sexy da morire e lotto contro l’impulso di prenderla con la forza. Chiudo gli occhi perché la vista di lei mi fa perdere il controllo. Non riesco quasi più a respirare normalmente, vi è mai capitato di dimenticarvi come si fa? Non è una sensazione piacevole.

 

- Guardami William… - mi ordina ed io riapro gli occhi, sentendo un’ondata di aria fresca colpirmi ed il peso di Buffy spostarsi. Il suo viso è proprio sul mio pene, mi sorride perfidamente ed io potrei venire vedendola così, mi trattengo e cerco di controllarmi anche se è difficile. Sento il suo fiato caldo sulla punta del mio membro ed è quasi impossibile farlo, mi mordo il labbro inferiore e resto in attesa. Finalmente la sua lingua raggiunge i miei testicoli e comincia a leccarli vogliosamente, come se fosse un gatto, le sue mani solleticano le cosce e devo forzatamente mordere il cuscino per non urlare. La sento sorridere sulla mia pelle e mi domando quanto durerà ancora la mia dolce tortura. La sua lingua finalmente comincia a risalire dalla base della mia asta fino alla punta dove, dopo avervi posato un bacio, l’arrotola sapientemente attorno ad essa e succhia. Per l’inferno maledetto! Nessuna mi ha mai succhiato in questo modo. Lo prende tutto in bocca, arrotola la lingua e poi risale sapientemente, ad un certo punto mi soffia sensualmente dell’aria fredda sopra ed io impazzisco.

 

- Cazzo Buffy! –

 

Continua il suo lavoro ed io stringo ormai dolorosamente la spalliera del letto dietro la mia testa, se stringessi di più potrei affondarci persino le unghie. Accelera il ritmo gradualmente portandomi presto al punto di non ritorno. Succhia, bacia, accarezza e solletica sapientemente ogni parte sensibile del mio corpo e sento l’orgasmo formarsi dentro di me. La sua bocca è ancora attorno al mio pene.

 

- Buffy… Sto per venire! –

 

Invece di fermarsi incalza il ritmo ed io mi lascio andare riempiendo la sua bocca; lei non è schifata, ingoia tutto il mio seme caldo e lecca il mio membro rilassato fino a quando non c’è più traccia di sperma. Gattona sopra di me e si posiziona tra le mie braccia, la stringo forte a me e la bacio tastando un po’ del mio gusto ancora presente sulle sue labbra.

 

- Ti è piaciuto? – mi chiede strusciando il suo viso contro il mio collo.

 

- Sei stata divina Buffy… - ed è la verità. Divina è ancora poco. Lei si accoccola contro di me e mi mette un braccio attorno alla vita possessivamente, io faccio lo stesso e appoggio la guancia alla sua fronte. Ci addormentiamo così, abbracciati e piacevolmente soddisfatti.

 

****

 

Non faccio altro che guardarlo e riempirmi gli occhi di lui. I suoi riccioli ribelli, fuggiti al gel, ricadono in modo scomposto sulla sua fronte ed è dannatamente sexy. La notte scorsa avevo avuto paura ad addormentarmi sicura che lui sarebbe svanito all’alba come tutte le altre volte, invece è lì, con me. Io, con il viso appoggiato al palmo della mano, bilanciando il mio peso sul gomito lo osservo, fa una smorfia e sorride: è sveglio.

 

- Smettila di fissarmi… non riesco a fingere di dormire! – si lamenta aprendo quelle distese azzurre e brillanti che sono i suoi occhi, mi risucchiano verso di loro ed io, ubbidendo al richiamo, mi abbasso ed assaporo le sue meravigliose labbra… sono deliziose. Lui ricambia il bacio e mi stringe, poi restiamo un po’ così: abbracciati mentre le nostre mani scorrono lente sui nostri corpi. La mia disegna delle linee dal collo fino allo stomaco e poi tornano su, mentre la sua mi sfiora la pelle della schiena con la punta delle dita. D’un tratto si blocca e mi guarda divertito.

 

- Buffy, sono curioso! – esordisce ed io appoggio il mio mento, sostenuto dalle mie mani incrociate, sul suo petto che mi sorregge senza difficoltà.

 

- Dimmi tutto… cosa vuoi sapere? –

 

- Ieri notte io ti ho detto quello che ho fatto per trovarti… cioè che ho studiato musica e tutto il resto… mi chiedevo: tu che hai fatto? –

 

Quasi gli occhi mi schizzano fuori dalla testa da tanto si sgranano per la sorpresa, il mio cuore batte furiosamente ed il sudore freddo scorre lungo la mia spina dorsale. Solo in questo momento mi rendo conto di non aver fatto praticamente niente per ritrovarlo! A parte quando ho chiamato il suo ufficio e, dato che non mi aveva risposto, ho riattaccato. Il mio è veramente un amore indegno… Come dirlo a William? È sempre stato nei miei pensieri, eppure non mi sono mai mossa, mi sono crogiolata nella mia pigrizia e nel mio egoismo… di nuovo.

 

Non voglio perderlo.

 

- Buffy? – mi chiama la sua voce dolce, intanto che lentamente… anzi, velocemente, cado nelle fiamme dell’inferno. Morte giusta e meritata. Purtroppo non sono morta e gli devo dare una risposta: quale?

 

Nell’ultimo tentativo di seduzione mi struscio su di lui e miro alle sue labbra, ma lui mi prende per le spalle e mi allontana quel tanto che basta per guardarmi negli occhi, le sue sopracciglia sono aggrottate ed il suo viso assume un’espressione pensierosa.

 

- Che c’è? Mi nascondi qualcosa, vero? –

 

Non so perché, ma le lacrime cominciano a scendermi sulle guance. In vita mia non mi sono mai vergognata tanto e William si sta per adirare. Lo sento.

 

- Buffy! – il tono è cambiato ed è diventato duro, la presa sulle spalle si stringe.

 

- Scusami William! Dio scusami! Io… ho provato a chiamarti, ma non rispondevi… ho chiamato ancora un paio di volte e poi gli studi e tutto il resto hanno calamitato la mia attenzione. Non ho mai smesso di pensare a te, io ti amo! –

 

L’espressione cambia di nuovo e ora è sorpresa prima ed affranta poi. Indurisce la mascella e scivola via dal letto. Si infila i pantaloni e prende una sigaretta dalla giacca del suo smoking. L’accende e la inspira profondamente guardando fuori dalla finestra. In un attimo ho rovinato tutto.

 

****

 

- Complimenti! Sai sempre come farmi sentire bene, Buffy! In sostanza, tirando le somme, sono stato una buona scopata e, nonostante tu mi abbia ripetuto che sei innamorata di me, mi sono meritato solo un paio di telefonate… non molto per l’ego di un uomo eh! – Le dico e rido. Una risata immensamente triste che purtroppo mi appartiene.

 

- No, non è così! Dio William… non sono brava con queste cose… Ma ti prego di credermi quando dico che ti amo! Ti amo moltissimo… non lasciamoci di nuovo, non lo sopporterei! –

 

Mi volto e la guardo, mi sembra una donna diversa. La mia Anne è lontana anni luce da quella creatura che sta nel mio letto. Anne… so che in realtà non è mai esistita, eppure io l’ho amata e l’amo così tanto. Forse non ho mai veramente provato qualcosa per “Buffy”, ho sempre inseguito il sogno di Anne, di quella ragazza dolce e fragile che aveva bussato alla mia porta. Quella ragazza piena d’orgoglio che mostrava le sue debolezze solamente a me. Perché, perché i miei sogni devono sempre infrangersi? Perché Buffy è solo capace di ferirmi e calpestare i miei sentimenti?

 

Anche una bugia mi avrebbe fatto sentire bene, amato, invece ora sono distrutto ed amareggiato.

 

No. Non possiamo stare insieme. Né ora né mai. Anche se adesso ha il viso affondato nelle mani e piange tutte le sue lacrime continuando a chiedermi perdono, improvvisamente io non provo nulla. Né pena né compassione, né comprensione né amore.

 

La notte precedente a quella festa avevo per un istante dimenticato il male che mi aveva fatto e sorprendentemente avevo ritrovato la mia Anne. Nemmeno dopo quindici anni mi rendevo conto che Anne non esisteva nonostante continuassi a ripetermelo incessantemente. Era vero che amavo la musica con tutto me stesso, ma era per ritrovare lei che avevo speso soldi ed energie per affermarmi; e sapete bene quanto è stato difficile farlo per me in quella Londra ostile.

 

- William… ti prego… -

 

Si alza dal letto e affonda il suo viso bagnato nella mia schiena, cingendomi la vita con le braccia e singhiozzando violentemente. Le afferro le mani e le scosto dalla mia persona: non voglio più essere toccato da lei.

 

- Sono stanco Buffy… Mi sembra di aver passato una vita intera correndoti dietro e ogni volta che penso di averti raggiunta, chiudo le dita e mi accorgo di non stringere niente. La donna che voglio stringere non è mai realmente esistita… -

 

Lei si allontana inorridita e sgrana gli occhi.

 

- Ch-che vuoi dire? –

 

- Voglio dire che la donna che amo non sei tu Buffy. Amo il fantasma di una donna, amo l’idea che mi sono fatto di lei… amo la tua menzogna Buffy. Sono disperatamente ed irrimediabilmente innamorato di Anne – la guardo malinconicamente – e dentro te non c’è più niente di lei -

 

- No, William, non dire così! Dentro di me c’è ancora la Anne che hai conosciuto… solo che io sono anche Buffy, una donna complicata, imbranata, egoista fino all’inverosimile e che non sa gestire i propri sentimenti. Una donna che ama però con tutte le sue forze l’unico uomo che sia stato veramente importante nella sua vita. Quell’uomo… –

 

- NON DIRLO BUFFY! Non ti azzardare a dire il mio nome… Non ne hai nessun diritto! –

 

- Sei tu William… solo tu… sempre tu… -

 

Stringo i pugni e sento le lacrime premere per uscire; nello stesso momento in cui sento di odiarla, il mio cuore scoppia incontrollato d’amore per lei. Esiste amore più ostile? Esiste odio più dolce?

 

Perché devo sempre essere io ad arrendermi a lei? Sono un uomo debole. No, peggio: sono un uomo profondamente innamorato. Il mozzico della cicca mi annuncia, bruciandomi l’indice ed il pollice, che la sigaretta è finita. Mi giro e la getto di sotto, dopo aver aperto la finestra ed aver inspirato l’aria pulita e profumata dell’estate, lanciandola con lo schiocco dell’indice. Suoni indefiniti di stoffe spostate e tirate mi fanno capire che Buffy si sta rivestendo, mi si stringe il cuore al solo pensiero che lei se ne stia andando, ma non posso più permetterle di farmi male. Sì, avete ragione… anche io so che l’andrò a cercare perché non so vivere senza di lei. Non voglio riprendere lo stato di zombie perché ho lasciato il mio cuore a lei.

 

Buffy è sulla porta e stringe la maniglia, vedo un flash di me stesso, nella stessa posizione. Un flash di molti anni fa… non posso e non voglio tentare di fermarla nello stesso modo. Mi guarda appena e abbassa lo sguardo a terra.

 

- Sembra che io non faccia altro che calpestare e ferire i tuoi sentimenti. Forse hai ragione tu William, Anne non esiste più… c’è solo Buffy – alza gli occhi per un attimo e sono gonfi di lacrime, di nuovo – Buffy ti ama William… è una persona complicata ed egoista, ma ti ama… Lei ti aspetterà sempre… -

 

- È questo il problema, sono stanco di aspettare e rincorrere. Sto male, sono stanco dentro… Non ce la faccio Buffy… Ho quarantadue anni, ho bisogno di trovare un po’ di equilibrio -

 

- Capisco… Addio William, ti auguro ogni bene per la tua carriera –

 

La porta si chiude con un movimento estremamente lento, potrei raggiungerla, ma non lo faccio.

 

- Addio Anne… -

 

E finalmente sono libero. Sono riuscito a dire addio al fantasma della donna che amo.

 

Ripensandoci però: no. Non sono libero.

 

Sono uno zombie.

 

Di nuovo.

 

Vivrò così cercando di cancellare tutti i ricordi da questo momento e tornando indietro di quindici anni. Toglierò tutto quello che mi parla di lei e lo seppellirò in fondo al mio cuore… quel cuore che, quando la porta si è chiusa, ha smesso di battere e si è svuotato di ogni sentimento.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

When the music moves the soul

L’estate in cui catturai il mio Angelo

 

 

Con il cuore spezzato e le lacrime che non vogliono smettere di scendere sul mio volto grigio e pallido, penso a lui. È passata una settimana dal nostro addio definitivo e sto male. So di essere stata io, ancora una volta, la causa di tutto. Non mi sono mai odiata tanto e incessantemente seguito a chiedermi cosa ci sia in me che non funziona. Riesco solo a perderlo ogni qual volta lo ritrovo e nei modi più orribili, facendogli del male, ferendolo nell’orgoglio. Mia madre e Willow assistono impotenti al mio dolore. La mia amica cerca di consolarmi e tenta di convincermi a telefonargli, a non perdere i contatti, convinta che lui mi ami nonostante tutto. Secondo Willow, infatti, se il nostro amore è rimasto immutato per quindici, lunghi, anni, può tranquillamente passare attraverso quest’ultima tempesta e rimanere illeso coronandosi poi con un bel matrimonio, uccellini cinguettanti e fiori ovunque. La mia amica ha una fantasia fuori dal comune, devo ammetterlo!

 

La sveglia suona e fissandola mi chiedo per quale oscuro motivo io l’abbia caricata ieri sera, non ho nulla da fare se non ricominciare a piangere finché, senza forze, il sonno mi riporti via con se. Ogni giorno è così, ma questo no. Questo forse è diverso perchè ho deciso di tentare di convincere William a darmi un’altra possibilità. So di essermi comportata come una stronza, ma devo tentare anche rischiando di essere ancora rifiutata. Mi vesto mettendomi un paio di jeans ed una semplice maglia e corro da basso dove mia madre mi guarda stranita: sono giorni che giro in pigiama e con fazzoletti premuti continuamente su occhi e naso gocciolanti.

 

- Buffy! –

 

Ma io sono già uscita, voglio recarmi immediatamente al suo albergo… ho così bisogno di rivederlo e mi accontenterei anche solo di un attimo. Se mi rifiuterà di nuovo allora potrò dire di aver fatto almeno un ultimo tentativo. Prendo la mia vecchia Buick (ricordate la mia naturale inclinazione verso i motori?) e naturalmente si rifiuta di accendersi. Impreco a voce alta mentre tento di riportarla in vita: niente. Scendo velocemente e mi metto in fila per prendere il bus… che non arriva. Ma che razza di giornata? Devo forse pensare che il destino sia avverso alla mia decisione? Non sia mai! Buffy Summers è una donna determinata! Mi metto a correre ed incontro un ragazzino con la bicicletta. Come una furia mi ci fiondo e, senza fiato e voce, gli spiego che mi serve per cercare il mio amore. Il ragazzino protesta ma io faccio gli occhi da pazza e lo spavento; mi lascia la bici. Pedalo in salita e mi chiedo, mentre lo insulto con qualsiasi parola mi venga in mente, chi ha trovato divertente mettere l’albergo più “in” della città proprio su quell’altura. Accaldata e sudata, vi ricordo che è estate, dopo quasi quaranta minuti di pedalate scendo dalla bici e la butto nel prato davanti all’hotel. Entro e sento gli sguardi del concierge e degli ospiti, presenti nella hall, su di me. Devo essere un disastro; sento i jeans e la maglia incollati al mio corpo come una seconda pelle e rivoli di sudore scendermi lungo i capelli, la nuca e la schiena. Mi tiro indietro i capelli, anch’essi bagnati, e rivolgo un sorriso al custode avvicinandomi.

 

- Salve, – allargo il sorriso – il signor Harrington mi attende –

 

Il vecchiaccio mi squadra e poi mi fa uno di quei sorrisini di circostanza e imbarazzati.

 

- Il signor Harrington ha lasciato la stanza dieci minuti fa signorina e… non mi ha lasciato nessuna missiva –

 

Il mondo crolla sotto i miei piedi e maledico la macchina, il bus e anche quello stupido ragazzino che ha fatto tante storie per mollarmi quel catorcio arrugginito sul quale ho pedalato come una forsennata. Sento le lacrime pungere ed un senso di delusione afferrarmi l’anima. Il concierge mi fissa con un’espressione infastidita, di quelle che si hanno quando si spera che qualcuno non cominci a piangere come una fontana davanti a te, lo posso capire.

 

- Non ha lasciato nessun recapito? – riesco a chiedere riunendo l’unico briciolo di orgoglio che mi rimane.

 

- Signorina… non ci è permesso – comincia con voce melliflua.

 

- Siiiii, ho capito – taglio corto agitando le mani in aria e allontanandomi. Appena fuori dalla porta le mie spalle s’incurvano ed il mio sguardo si pianta a terra. Ed ora? Come lo ritrovo? Riprendo la bicicletta e sconsolata mi incammino giù per la discesa quando una mano si posa sulla mia spalla. Mi volto e mi ritrovo faccia a faccia con uno sconosciuto. Ha dei tratti indio; scuro di pelle, scuri i capelli, sorriso smagliante. Voto: 6… ok 7, ma solo perché me lo chiedete voi.

 

- Lei è la ragazza del pianista, dico bene? –

 

Sono confusa, io non lo conosco…

 

- Come scusi? –

 

- Lei è la ragazza che… ehm… era con il pianista una settimana fa… io facevo il cameriere lì e l’ho vista – mi sorride imbarazzato intanto che sulla mia bocca si forma una “o” di sorpresa e gli occhi si allargano per la vergogna. In un flash rivedo il suo volto in uno dei tre che ci osservavano dal soppalco quella sera, dopo che avevamo fatto sesso sul pianoforte a coda. Arrossisco fino alla punta delle orecchie e lui mi segue.

 

- Uhm… perdoni l’impertinenza ma volevo dirle che il signor Harrington, prima di ripartire per Los Angeles, suonerà al Bronze Club in città… -

 

I miei occhi s’illuminano di speranza e bacio il ragazzo sulla guancia come ringraziamento. Non fa in tempo a dirmi nient’altro perché sto già sfrecciando verso casa: questa sera ho un uomo da conquistare.

 

****

 

Dolore, dolore e ancora dolore. Ritornando con la mente al passato, vedo solo quello nella mia vita. E gli ultimi ricordi tristi sono legati a Buffy. Non vi stancherò ripetendovi quello che continuo a recitare come un mantra, ma penso e sento ogni parola, che le ho detto l’ultima volta che ci siamo visti, fino nel profondo del mio cuore. È vero, ora sono uno zombie, solo l’involucro di carne che parla e agisce automaticamente spinto solo da semplici input tipo: mangia, dormi (questo non mi riesce mai!), suona, canta, esegui bisogno fisiologico. Finito. Questo è tutto quello che mi riesce di fare. Triste eh? Ma prima o poi sono sicuro di riuscire a trovare un po’ di equilibrio in questa mia pazza vita. Insomma, ho una carriera che si sta ben avviando e… e… Dio penso e ripenso e non mi viene in mente niente. La mia manager, splendida donna di nome Drusilla, mi ha trovato ancora un lavoro per questa sera al Bronze Club… che razza di nome! Dovrò suonare e cantare, poi finalmente potrò ripartire e tornare a casa, nel mio appartamentino a Los Angeles. Non vedrò più le brutte facce di queste persone, va bene, ammetto che sono facce adoranti, che mi guardano rapite mentre suono, e facce sorridenti, che mi accolgono quando cammino per le strade. Però posso odiarle, giusto?

 

Intanto che continuo a fare congetture, Drusilla si avvicina a me e mi poggia delicatamente una mano sulla schiena, appena sotto il collo. Mi massaggia piano e io mugugno.

 

- Sei teso Spikey… - non chiedetemi perché abbia preso a chiamarmi in questo modo; dopo cinque anni di collaborazione ancora non l’ho capito. Continua a massaggiarmi passando sulle spalle, prima di suonare è bello avere i muscoli rilassati, facilita il compito e quella sera nessuno sa quanto io ne abbia bisogno. Ogni volta che penso a lei mi irrito, l’odio che provo per lei mi fa irrigidire e, alla fine, fatico a suonare perché ho i nervi troppo tesi. Drusilla massaggia la mia schiena e poi scende sulle mie mani, io la lascio fare… solitamente la blocco dopo aver fatto le spalle.

 

- Spikey… che hai questa sera? –

 

Sospiro pesantemente prendendole le mani. Ho bisogno di sentire. Lei ricambia la mia stretta e sorride, i suoi occhi scuri dai riflessi violetti brillano. L’afferro per la vita e la tiro su di me, mi si siede in grembo sempre sorridente.

 

- William… non ho mai pensato che… - non finisce la frase perché la mia bocca è già sulla sua.

 

Non funziona, niente va bene. La sua lingua, il suo sapore, le sue labbra, il suo corpo ed il suo calore non sono quelli di Anne… di Buffy… Sì, di Buffy. La stacco da me e mi pento del mio gesto, Drusilla mi fissa, capisce il mio rammarico, e scuote la testa.

 

- Non fa niente William… questo non è mai successo –

 

- Grazie e… perdonami… sembra che io riesca a fare solo dei casini –

 

Drusilla mi accarezza una guancia.

 

- Sei un uomo pieno d’amore William, devi solo comprendere a chi lo vuoi donare. Non lasciarti spaventare dalle sciocchezze, fa’ che il tuo amore sia forte e, se necessario, fa’ che il tuo amore sia fiducia. Abbi fiducia mio William, non rinunciare all’amore… lui non ti tradirà! –

 

Ma come diavolo fa? Parla come se sapesse di me e Buffy ma sono certo di non avergliene parlato. Le voci sul fatto che Drusilla veda delle cose, forse non sono del tutto false.

 

Con tutto quel chiacchierare e pensare, la sera arriva ed io devo prepararmi. Ho scelto un abbigliamento più sportivo: pantaloni neri, maglia nera senza maniche e scarpe scure. Alle dita ho messo due anelli d’argento, uno sul pollice e l’altro sul medio. Ogni tanto mi piace vestirmi così e suonare il piano come fossi un uomo normale, uno “giù dal palco”. Sto per uscire quando.

 

- Spike! Hai dimenticato la giacca… -

 

Dannato inferno! Drusilla mi tratta come un bambino.

 

- Fa’ caldo… -

 

- No, la temperatura di notte scende e domani devi partire quindi prendilo – e mi porge il mio lungo mantello di pelle nera. Mi conosce bene Dru, sa che quando metto anelli e abiti completamente scuri è il segnale di via libera per lo spolverino di pelle nera. Le do un bacio sulla guancia ed esco, la macchina mi sta aspettando.

 

****

 

- Dai Willow, più veloce! Vai a tavoletta! – incito senza successo l’amica al mio fianco.

 

- Smettila Buffy! Sono già a tavoletta! E poi come diavolo fai a truccarti in macchina mentre vado così veloce? –

 

- Non ti preoccupare e segui la strada, NON GUARDARE ME, GUARDA LA STRADA! – la mia voce è isterica e Willow alza le dita dal volante.

 

- Whhoooaaaaoookk calmati però. Guardo la strada ora, contenta? –

 

- Sì – rispondo soddisfatta alla domanda, ora si sta impegnando a guardare la strada ed io posso continuare a truccarmi.

 

- Scusa Buffy… ma che vuoi fare? –

 

- Canterò! È l’unico modo che conosco per attirare la sua attenzione… solitamente ce l’ho sempre fatta… -

 

- Mmmmhhh posso essere scettica? E posso dirti che canterà già lui? Come farai a cantare la tua musica? –

 

- Penserò a qualcosa. Ora fermati, siamo arrivate. Tu va a casa e, se la cosa non dovesse funzionare, ti chiamerò dal locale. Tutto chiaro? Domande? –

 

- Sì, tutto chiaro e sì, ho una domanda –

 

- Da uno a dieci, quanto sei pazza di lui? –

 

- Dieci… - Willow ha una faccia scontenta - …milamiliardi – ora mi sorride apertamente e soddisfatta.

 

- Va’ Buffy! Riprenditi il tuo uomo! – mi incita intanto che scendo dalla macchina.

 

Il maggiolino rosa di Willow parte a tutta velocità lasciando solo una nuvolona di fumo dalla quale fuoriesco io. Ok, ammetto che fa meno effetto della Venere che esce dal mare… ma ognuno s’organizza come può. Tossendo mi rivolgo al tipo all’entrata e porgo il biglietto (procuratomi da Willow in quanto il suo ragazzo lavora lì dentro come tecnico audio). Sorrido e sono dentro. È tutto buio e trovo a fatica la mia poltroncina, finalmente mi siedo e guardo affascinata il palco. Assomiglia molto a quello di Londra solo che le tende sono blu scuro e tutto intorno la sala è piena di giovani e non di vecchi bavosi.

 

Le luci in sala calano e William, vestito come non lo avevo mai visto (indossa abiti casual, qualche anello d’argento sulle dita ed i suoi capelli ossigenati, che sfiorano il platino, sono leggermente mossi e all’insù), esce accolto da un boato. Li amo i suoi ricci ribelli. Fa un inchino scherzoso e la gente applaude. Quando rialza il capo mi vede e per un attimo è senza parole, gli occhi sono sgranati e vitrei. Diavolo, non ha mica visto un fantasma, no? Sono solo una sua fan… con intenzioni tutt’altro che buone, ma in fondo fan. È disorientato ma subito riprende il controllo di sé. Si siede al piano e dal microfono annuncia.

 

- Ragazze e ragazzi, signore e signori, questa sera scelgo per voi un brano che poco ha a che fare con la musica classica, ma che mi pare adeguato a questa serata e ad una persona in particolare. Lo dedico alla donna che mi ha spezzato il cuore: è tutto per te Buffy! –

 

Il mio nome è pronunciato con rabbia e disgusto, i suoi occhi sono di ghiaccio mentre non mi perdono di vista un secondo intanto che io giro attorno alla gente cercando un angolo dove nascondermi.

 

Is it getting better

Va un po’ meglio

Or do you feel the same

O ti senti la stessa

Will it make it easier on you

Diventerà più facile per te

Now you got someone to blame

Ora che hai qualcuno da accusare

You say...

Tu dici…

 

One love

Un amore

One life

Una vita

When it's one need

Quando è solo un bisogno

In the night

Nella notte

One love

È un amore

We get to share it

Dobbiamo condividerlo

Leaves you baby if you

E ti lascia tesoro se tu

Don't care for it

Non te ne preoccupi

 

Perché le sue parole mi fanno così male? Forse perché sono semplicemente vere. L’ho trovato conveniente, il nostro amore, non l’ho curato, non l’ho “condiviso”… ma non sono migliorata, sono sempre la solita Buffy… la solita Buffy innamorata persa di William… se solo lui capisse, accettasse…

 

Did I disappoint you

Ti ho deluso?

Or leave a bad taste in your mouth

O ti è rimasto l'amaro in bocca?

You act like you never had love

Ti comporti come se non avessi mai ricevuto amore

And you want me to go without

E vuoi che io ne faccia a meno

Well it's…

Bene, è…

 

No, non mi ha mai delusa William, mai in tutto il poco tempo che abbiamo passato insieme… L’amaro in bocca mi è rimasto solo perché l’ho perso, perché ho perso l’unica cosa davvero importante.

 

Too late

Troppo tardi

Tonight

Questa notte

To drag the past out into the light

Per tirare in ballo il passato, riportandolo alla luce

We're one, but we're not the same

Eravamo uno, ma non eravamo uguali

 

No, non deve dirlo, non è troppo tardi. Voglio avere un’altra possibilità! Forse l’ultima, ma almeno potrò dire di aver tentato. Sì, William, siamo uno… e non siamo gli stessi…

 

We get to

Dobbiamo

Carry each other

Sostenerci a vicenda

Carry each other

Sostenerci a vicenda

 

One

Una

 

C’è speranza per noi? Forse… Lo spero, con tutto il cuore. Ma il suo sguardo parla chiaro: mi odia, è freddo e distaccato e un po’ mi fa paura. Non stacca gli occhi da me, ma non ha lo sguardo speciale che mi rivolgeva prima.

 

Have you come here for forgiveness

Sei venuta a chiedere perdono?

Have you come to raise the dead

Sei venuta a riportare in vita ciò che è morto?

Have you come here to play Jesus

Sei venuta qui per interpretare Gesù

To the lepers in your head

Per i lebbrosi nella tua mente

 

Sì, lo ammetto. Sono venuta a chiedere perdono, per cercare di riportare in vita ciò che so non essere morto. In fondo a quel blu immenso, in fondo a quel velo di odio ostentato vedo la sua anima, mi chiama a se e la mia vibra, ha fame di lei.

 

Did I ask too much

Ho chiesto troppo?

More than a lot

Più di quanto sia dovuto?

You gave me nothing

Tu mi hai dato niente

Now it's all I got

Ed ora è tutto ciò che ho

We're one

Eravamo uno

But we're not the same

Ma non eravamo uguali

Well we hurt each other

Ci feriamo a vicenda

Then we do it again

E poi lo facciamo ancora

 

Dovremo imparare mio William, imparare a non farci del male, a non ferirci. Anche se forse sarà difficile, dovremmo cercare di non lasciarci abbattere dalle difficoltà. Accettarci per come siamo, far crescere il nostro sentimento ed avere fiducia l’uno nell’altra.

 

You say

Tu dici

Love is a temple

L'amore è un tempio

Love a higher law

L’amore è la più nobile delle leggi

Love is a temple

L’amore è un tempio

Love the higher law

L'amore è la più nobile delle leggi

You ask me to enter

Mi hai chiesto di entrare

But then you make me crawl

Ma poi mi hai fatto strisciare

And I can't be holding on

Ed io non posso continuare a sopportare

To what you got

Per quello che hai

When all you got is hurt

Se tutto quello che hai è dolore

One love

Un amore

One blood

Un solo sangue

One life

Una vita

You got to do what you should

Dovrai fare quello che devi

One life

Una vita

With each other

Insieme

Sisters

Sorelle

Brothers

Fratelli

One life

Una vita

But we're not the same

Ma eravamo uguali

We get to

Dobbiamo

Carry each other

Sostenerci a vicenda

Carry each other

Sostenerci a vicenda

One… life

Una… vita

One

Una

 

Quando William smette di cantare tutte le persone sono a bocca aperta per l’intensità del sentimento che li ha investiti e per le parole rivolte a me. In un attimo sembra che tutti sappiano che quella canzone era per me, era mia. Io sono colpevole. Io l’ho fatto strisciare ai miei piedi e, quando era abbastanza vicino, l’ho allontanato con un calcio. Uno? No, centinaia, migliaia di calci. Io però lo rivoglio. Lui è mio, io sono sua. Lui si alza dal pianoforte e fa per allontanarsi mandando al diavolo anche l’incarico, un uomo tenta di fermarlo, ma lui porta in alto entrambe le mani e passa oltre. Non lo vedo più, credo si sia fermato dietro il palco. Inspiro profondamente, la mia voce lo raggiungerà? Devo riuscirci se tengo a lui.

 

****

 

Quando sono dietro le quinte la sua voce squarcia il fruscio dell’applauso che subito si placa, lasciandole lo spazio necessario affinché mi raggiunga. Devo essere forte per non correre da lei. Devo resistere. So di non volerla più vedere, so che una parte di me la odia, ma so nello stesso tempo che una parte di me la ama alla follia, quasi ossessivamente. L’uomo che mi ha assunto mi guarda con disapprovazione in quanto ha capito che stavo mandando a monte la serata, poco male, tanto domani torno a Los Angeles e Sunnydale sarà solo un brutto e triste ricordo.

 

I don't have plans and schemes and I don't have hopes and dreams.

Non ho piani e schemi e non ho speranze e sogni.

I don't have anything since I don't have you.

Non ho niente da quando non ho te.

I don't have fond desires and I don't have happy hours.

Non ho desideri appassionati e non ho ore felici.

I don't have anything since I don't have you.

Non ho niente da quando non ho te.

 

Sono contento che la pensi così! Anche io non ho avuto ore felici, desideri appassionati da quando mi ha ingannato, ben quindici anni fa. La cosa che ho avuto però sono stati i piani, gli schemi, la speranza ed i sogni. Tutti per lei, rivolti a lei, solo per lei… Per una donna che nemmeno si è curata di cercarmi anche se diceva, e dice, di amarmi. È inutile che ora venga a farmi le serenate: non ci casco più!

 

I don't have happiness and I guess I never will ever again.

Non ho felicità e credo che non l’avrò mai più.

When you walked out on me, in walked on misery and he's been here since then.

Quando te ne sei andato, dentro è arrivata la sofferenza e da allora è sempre stata qui.

 

I don't have love to share and I don't have one who cares.

Non ho amore da condividere e non ho nessuno a cui importi.

I don't have anything since I don't have you.

Non ho niente da quando non ho te.

I don't have love to share and I don't have one who cares.

Non ho amore da condividere e non ho nessuno a cui importi.

I don't have anything since I don't have you, you, you, you…

Non ho niente da quando non ho te, te, te, te…

 

Ti sta bene Buffy! Tocca a te soffrire ora! Almeno mi obbligo di pensarla così se no non mi salverò più. Lei è così trascinante e la parte di me che la ama alla follia è talmente pazza che striscerebbe ai suoi piedi in questo preciso istante, mi aggrappo alla tenda e la stringo tra le dita: devo cercare di non dare retta al mio cuore che la sente. La sofferenza di Buffy è la mia sofferenza, la voce di Buffy è la mia anima, il suo cuore è il mio cuore; purtroppo, nonostante ciò, noi non siamo fatti per stare insieme e questo è un dato di fatto: troppo diversi, troppo egoisti forse. Buffy termina la sua canzone e quel “te” ripetuto lievemente, quasi come il volo dolce di una piuma, che arriva fino a me mi fa tremare. Mi volto con rabbia e salto giù dal palco, so precisamente dove si trova e non mi curo delle persone che ci fissano incredule, in silenzio, mentre si fanno cinque minuti degli affari nostri. Non vedo l’ora di allontanarmi da questa odiata cittadina per non dover più sopportare tutto questo.

 

- Vattene Buffy! Non abbiamo più niente da dirci! – l’aggredisco. Lei mi guarda negli occhi e, nella penombra del locale, vedo le sue lacrime, il suo viso imbronciato che adoro. No! Non lo adoro! Mi sto perdendo nuovamente nei suoi meravigliosi occhi verdi e devo forzatamente tentare di non farlo o non ritroverò più me stesso. Devo essere risoluto.

 

- Dammi una possibilità William… dacci una possibilità… - mi chiede sottovoce in modo che gli altri non possano sentire. Stringo i pugni fino ad infilzarmi le unghie nella carne.

 

- Vattene! – le sibilo di nuovo, lei apparentemente si arrende, abbassa il capo ed annuisce. Sembra ancora più piccola così, stretta nelle spalle basse. Segue un lungo sospiro.

 

- Ok, come vuoi… Mi spiace che ami farti del male… -

 

- Sono abituato a sopportare il dolore e comunque non me ne farò più di quanto tu non me ne abbia fatto… - ribatto con odio nella voce, quasi mi pento di averle detto questo. Quasi. Lei si volta ed esce dal locale, posso percepire i movimenti delle spalle e della schiena che si contraggono sotto i singhiozzi che l’hanno colta. Sopprimo la voglia di correre da lei, prenderla tra le braccia e chiederle di perdonarmi per averle fatto questo.

 

Piangi Buffy e dimentica… io comincerò a fare lo stesso, lontano da te, lontano da questa nazione. Non voglio più sentire il dolore, voglio cominciare a curare le mie ferite una volta per tutte.

 

****

 

Esco dal locale e cerco un telefono pubblico, chiamo Willow che arriva a tutta velocità sul fido maggiolino. Nuvola di fumo di rito e si ferma sul lato della strada. Io sto piangendo e l’aria fresca della sera mi fa tremare ancora di più. La mia amica scende dall’auto e mi poggia una giacchetta leggera, che riconosco essere la sua, sulle spalle. Io mi rifugio nel suo abbraccio e piango se possibile ancora di più. Lei mi accarezza gentile i capelli e mi stringe.

 

- Mi dispiace Buffy… - mi dice solo, io annuisco e continuo a piangere.

 

- Vuoi che vada a prenderlo a calci? Sai, è un compito delle migliori amiche! – cerca di scherzare e mi strappa una piccola, minuscola, risata. Alzo il capo e lo scuoto.

 

- No, quella da prendere a calci sono io… - le confesso ed è davvero quello che penso. Willow mi stringe le mani.

 

- Ti arrenderai? –

 

- No –

 

- Bene! –

 

****

 

L’aereo corre sulla pista. Tutto è finito anche se quella parte folle di me avrebbe desiderato vederla all’aeroporto cercare di fermarmi. Invece lei non è venuta. Bene, conferma che la mia decisione è stata sofferta, ma giusta. Pensate di saperlo vero? Secondo voi la mia decisione è stata quella di lasciare Buffy, invece no, ce n’è un’altra: sto tornando in Europa e non a Los Angeles, ne ho abbastanza dell’America. Drusilla, seduta accanto a me, appoggia la sua mano sulla mia e mi fissa, quegli occhi violetti sono così profondi ed indagatori che mi fanno paura.

 

- Che c’è che non va Spike? – chiede con dolcezza. Sospiro e accosto la testa al finestrino, i miei occhi guardano fuori distrattamente intanto che l’aereo si alza sopra le nuvole, tuffandosi in loro e raggiungendo il blu infinito del cielo.

 

- Niente… -

 

- Questo niente ha un nome? –

 

Sospiro di nuovo e sul vetro si forma un po’ di condensa, come già feci una volta, disegno un cuore con una “B” nel mezzo, stavolta aggiungo anche una freccia che lo trapassa, gocce di sangue.

 

- Buffy – rispondo semplicemente cancellando il disegno; è inutile mentire a Dru. È cinque anni che mi conosce e sa interpretare benissimo quello che mi passa per la testa. Allontana la mano e, dato che siamo in prima classe, chiede all’hostess di portarci qualcosa da bere. La ragazza sorride e annuisce, poi si allontana per tornare subito dopo con due coppe di champagne. Drusilla me ne porge una, ma io non la prendo: non ho bisogno dell’alcol, non ancora almeno. La ragazza dai capelli corvini sorseggia dal suo bicchiere e poi risposta lo sguardo su di me.

 

- È la ragazza che hai cercato per quindici anni, vero? –

 

Mi limito ad annuire, più non ho voglia di pensare a lei, più ci penso e ne voglio parlare.

 

- Che è successo? –

 

No, non ne voglio parlare.

 

- Drusilla, per favore, basta con questo terzo grado! – le rispondo sgarbatamente, ma lei non si scompone. Fa spallucce e riprende a sorseggiare il liquido chiaro nel quale danzano mille bollicine.

 

- Come vuoi Spikey… Cercavo solo di aiutarti… -

 

Il volo sarà lungo così cerco di addormentarmi e, dopo forse un’ora, scivolo nel sonno. Non ci sono sogni per fortuna a turbarlo.

 

Due mesi dopo il mio rientro, che non è stato a Londra come forse pensate, ma in Italia, riprendo a suonare. Ci ho messo molto a ricomporre i pezzi del mio cuore, spero però che sia stata l’ultima volta. Di Buffy naturalmente nessuna notizia, d’altra parte ho mollato tutto così com’era a Los Angeles, ho portato ed informato solo Drusilla, la quale tiene i contatti con la casa discografica. Cammino tranquillamente per le strade di Firenze e mi guardo attorno, dopo due mesi non mi sono ancora stancato di vedere tutte le magnifiche opere d’arte che la compongono e la caratterizzano. È una bella giornata, fa caldo, le strade sono piene di gente e le piazze piene di turisti e di piccioni che cercano di trovare un posto all’ombra, magari qualche briciola da mangiare. Da quando mi trovo qui ho visitato quasi tutti i musei, il mio amore più assoluto va alla Galleria degli Uffizi, anche se devo fare una fila lunghissima, una volta entrato, mi perdo nei quadri per ore ed ore. Attraverso la piazza ed arrivo alla pensione dove alloggio, la signora Maria che mi ospita è giovane e cordiale, una persona solare, sempre allegra che riesce a tirarmi su anche nei momenti bui della giornata. La pensioncina, da quello che sono riuscito a capire, l’ha ereditata dai nonni e lei non se l’è sentita di venderla così, anche se giovane, ha deciso di dedicarsi al bene lasciato dai suoi cari. Un po’ la invidio, lei riesce sempre a trovare il lato positivo delle cose. Purtroppo con l’italiano ho un brutto rapporto, è una lingua talmente strana ed i fiorentini hanno un accento che proprio non riesco a capire. Direte voi: come fai a parlare con la padrona della pensione? Vi rispondo che è quasi comico vederci comunicare, Maria si sforza fino al limite della gestualità consentita ad un essere umano ed io non sono da meno. Alle volte ci guardiamo e scoppiamo a ridere: sono i momenti più belli della giornata, in questi mesi solo lei è riuscita a strapparmi sorrisi e risa. Non pensate male, anche se giovane non provo niente per lei se non semplice amicizia, e poi lei è fidanzata. Il suo ragazzo è un tipo bizzarro, non vivono insieme, ma lui resta alla pensione quasi tutti i giorni. Precisamente se ne va quando riesce a farla arrabbiare e, quando Maria s’arrabbia, è una forza della natura. Vi starete chiedendo perché non vi parlo più di lei. Semplice: lei è un capitolo chiuso della mia vita; definitivamente chiuso. Ci credete? No? Uhm… forse nemmeno io.

 

Arrivo davanti alla pensione e Maria mi accoglie, come sempre, con un sorriso. A gesti mi fa capire che c’è una persona che mi aspetta nel salottino, ringrazio e mi reco nella stanza, so perfettamente che si tratta di Drusilla che sarà venuta per l’incarico di stasera.

 

Entro nella stanza, che è all’incirca meno calda delle altre poiché ci sono le persiane socchiuse e davanti alla finestra, dalla quale entra solo uno spiraglio di luce, si staglia l’ombra di una donna. Stringo gli occhi non ancora abituatisi al buio; no, non mi sembra Dru: la mia manager è molto più alta.

 

- Dru? – provo a chiedere. La figura, finora di spalle, si volta e quasi muoio d’infarto.

 

- Sbagliato, William… -

 

Il mio cervello per un lungo attimo smette di funzionare e mi ci vuole un bel po’ per riprendermi dallo shock. I miei occhi intanto si sono abituati alla penombra e possono vederla un po’ meglio.

 

- Buffy… -

 

Ho la salivazione praticamente azzerata e non riesco a dire nient’altro. Come diavolo ha fatto a trovarmi?

 

È strano vederla vestita in quel modo semplice: indossa un paio di pantaloni ed una semplice canotta estiva; i capelli non sono più lunghi, li ha tagliati ed ora le arrivano appena sopra le spalle. È sempre molto bella e, che io sia dannato, quella parte pazza di me si risveglia di colpo, il cuore batte all’impazzata. Perché deve sempre farmi questo effetto? Fa qualche passo verso di me e gira attorno al tavolino che è in mezzo alla stanza. Finalmente ritrovo l’uso della parola e il controllo su di me.

 

- Che ci fai qui? Come hai fatto a trovarmi? Non ti avevo detto di lasciarmi in pace? – sbotto tutto d’un fiato, lei rimane per un attimo disorientata e poi mi sorride. Non mi piace quel sorriso, ha un che di diabolico. Quella davanti a me è una Buffy diversa, emana strane vibrazioni e ostenta una sicurezza che solitamente non le appartiene. Continua ad avanzare con passo sicuro e movimenti morbidi. Deglutisco a fatica. Questa volta c’è qualcosa di diverso.

 

- Quante domande Will… - mi si para davanti e avvicina pericolosamente il suo viso al mio, le sue labbra a pochi millimetri dalla mia bocca – Non sei contento di vedermi? – Sposta il viso di poco, giusto quello che basta per guardarmi negli occhi, poi si volta e torna alla finestra, poggia entrambe le mani sul piccolo davanzale interno. Ancora sorride.

 

- Che cosa sei venuta a fare? –

 

Che diamine! Ma riuscirò a porle una domanda senza sembrare un coglione? Il tono della mia voce proprio non mi piace, è troppo vacillante e basso.

 

- Mi sembra chiaro William… sono venuta a riprendermi il mio uomo… -

 

Credo di aver perso una puntata, o è lei che ha perso una rotella. La piega che questa conversazione sta prendendo, in tutti i modi, non mi piace. E quello che mi piace ancora meno è che lei abbia sempre questo potere su di me, forse prima non se ne era accorta, ma ora pare che ne sia totalmente consapevole. Devo fuggire! Devo allontanarla subito! Traslocare, scappare… Domani prenderò il primo aereo! Pensieri confusi mi passano per la mente: devo trovare in fretta una soluzione.

 

- Come hai fatto a trovarmi? –

 

Che fatica trovare quelle quattro o cinque parole, metterle insieme e poi articolarle. Sono sudato fradicio, un po’ per la camminata di prima e molto per colpa della presenza di questa tipa incredibilmente sexy che assomiglia a Buffy (continuo a ripetermi che non può essere lei, non si comporterebbe mai in questo modo! O sì?). Lei inarca la schiena, stirandosi come un gatto, facendo leva sulla cornice della finestra e torna a guardarmi.

 

- Dobbiamo proprio parlare di questo? –

 

La mia camicia è zuppa di sudore e mi si è praticamente appiccicata addosso come una seconda pelle, sento i rivoli scendere sulla mia schiena e dalle ciocche di capelli, giù lungo il collo e la fronte. Devo riuscire a mandarla via e l’aereo credo lo prenderò già questa sera. Tiro un respiro profondo e indurisco la mascella assumendo la mia aria risoluta.

 

- Che cosa ti sei messa in testa? –

 

Continuo a porre domande e solo ora mi accorgo che lei, invece di chiarirmi le idee, le confonde rispondendomi, a sua volta, con altri quesiti. Se vuole farmi impazzire, ci sta riuscendo alla grande.

 

- Fa molto caldo qui… - mi dice, eludendo la mia ultima domanda, e comincia a tirare il bordo della canotta, quello che le circonda il seno, soffiandoci dentro e mugolando sensualmente.

 

Il mio corpo inizia a reagire leggermente agli stimoli di Buffy. Devo fuggire da lei.

 

- Già, la mia camicia è un disastro ed io devo andare a cambiarmi per il concerto di questa sera. Buffy, per favore, vattene e non tornare più… non voglio vederti apparire nemmeno al concerto, intesi? – cerco di avviarmi alla mia stanza e vedo Buffy invece che, ancheggiando come non l’avevo mai vista fare, si avvicina a me. Mi s’incolla praticamente addosso, preme il suo corpo contro il mio, che rimane rigido, e comincia ad accarezzare il mio petto attraverso la stoffa umida di sudore.

 

- Devo andare, Buffy… - ripeto con difficoltà.

 

Ma lei non sente, lei continua ad accarezzarmi e Dio solo sa perché non trovo la dannata forza di mandarla via, di sbatt… di mandarla via!! Una mano raggiunge la mia nuca e accompagna il mio capo verso il basso dove la sua lingua è pronta ad accogliere la mia pelle; mi traccia una scia con la punta dalla base del collo, risalendo sopra la mascella e poi verso l’orecchio dove accosta poi le sue labbra.

 

- Mmmmhh… sai di maschio Will… - la voce è roca e sensuale, come non gliel’avevo mai sentita prima. Cerco di discostarla garbatamente, ma lei mi afferra il pacco, non muovendosi di un millimetro per staccare i nostri corpi. Comincia a massaggiare gentilmente i testicoli e poi sale verso l’asta che, ad ogni suo movimento, si gonfia e s’indurisce sempre più. Il mio fiato si fa corto, getto la testa all’indietro per non vedere quello che mi sta per fare. Lascio fuggire un gemito purtroppo. Buffy lo interpreta come un invito e mi posa una scia di baci sul collo, ora totalmente esposto, succhiandomi gentilmente il pomo d’Adamo; stringo i denti perché so che sto per impazzire.

 

- Ti piace William? –

 

Per difendermi non devo rispondere. Il silenzio è d’oro.

 

- Chi tace acconsente vero, amore? – dice lei smontandomi l’altro proverbio. Per l’inferno maledetto! Sono in un mare di fottuti guai. Si spinge ancora di più contro di me, continuando il movimento nelle mie parti basse, la sua bocca ora è a pochi centimetri dalla mia, come successo poco prima.

 

- Posso sentirti William… sento che mi vuoi… - mi bisbiglia sulle labbra, il suo alito caldo accarezza il mio viso già accalorato.

 

- Smet—ah—tila –

 

Naturalmente non ascolta le mie, non molto convincenti, proteste. Mi morde il mento delicatamente e poi scivola in basso, sulle ginocchia. Il suo viso ora è davanti al rigonfiamento evidente dei miei pantaloni, che le sue mani non hanno mai smesso di accarezzare. Quanto mi è mancata Buffy…

 

La zip dei pantaloni slitta senza che io me ne accorga e, quando sposto il mio sguardo in basso, la bocca di Buffy mi avvolge. Il suo calore mi fa tornare indietro nel tempo. Mi perdo in lei… di nuovo. Mi odio. Odio la mia debolezza, odio che lei abbia il potere di farmi questo.

 

La sua lingua scivola sulla mia asta sapientemente, ricordando di stimolare ogni mio punto di piacere; le sue dita giocherellano con i miei testicoli ed io sono perso in quello che mi sta facendo. Sento per un attimo i suoi occhi sul mio volto, forse a conferma del fatto che mi piaccia quello che sta eseguendo e, Cristo santo, mi piace! Il suo modo di sollecitare il mio membro con la lingua, mentre scivola dentro e fuori la sua bocca, mi fa perdere totalmente il controllo. Una delle mie mani raggiunge la sua testa e s’intreccia nei suoi, ora corti, capelli; i miei fianchi cominciano a seguire i suoi movimenti ed il mio respiro si affanna sempre di più. La sento sorridere sulla mia pelle, bastarda! Stringo i denti per cercare di non venirle in bocca, se continua così non durerò a lungo… contando anche che non ho più avuto nessuna donna dopo di lei. Tanto, troppo tempo anche se in realtà, vedendola dalla vostra “parte” non è molto.

 

Intanto che lei continua il suo lavorio, carezzandomi adesso anche le natiche attraverso la stoffa dei pantaloni, nel mio cervello scatta quel lasso di tempo, della durata di circa uno o due secondi, nel quale si riesce a ritrovare un po’ d’orgoglio. Raccolgo tutta la forza che mi è rimasta, tentando disperatamente di convincere il mio corpo che è la cosa giusta da fare, e le afferro le spalle con forza. L’allontano sgarbatamente. Lei mi fissa sgomenta con quegli occhi verdi smeraldo ed io distolgo lo sguardo per non perdermi di nuovo. Mi rimetto a posto e, intanto che faccio salire la cerniera, mi volto verso di lei, ancora inginocchiata a terra e con espressione addolorata in volto.

 

- Meglio che tu te ne vada. Adesso ho da fare Buffy… -

 

****

 

Mi sta cacciando via… Dopo aver faticato tanto per ritrovarlo, mi manda via. Confesso di aver avuto una visione adolescenziale del nostro incontro nella quale ci buttavamo l’uno nelle braccia dell’altro e poi facevamo tanto, tanto amore, ma mai avrei immaginato che mi avrebbe buttata fuori dall’albergo e, di nuovo, dalla sua vita. Quanto tempo doveva durare ancora la mia punizione? Possibile che non desiderava vedermi mai più? Ok, forse dovevo capirlo quando lui è venuto in Europa, ma non potevo farmi convincere solo da quello. Io lo voglio, lo desidero… sempre.

 

- William, possiamo rivederci? –

 

Lui mi fissa pensieroso per un istante, poi si volta, pronto per lasciare la stanza.

 

- Ci vediamo domani al bar qui di fronte, facciamo alle dieci? – il tono si è ammorbidito notevolmente.

 

- Va bene... – gli rispondo, inutile continuare ad obbligarlo ad ascoltarmi ora. Mi alzo da terra e, incontrollata, mi stringo a lui, affondo il viso nella sua schiena.

 

- Una volta mi hai detto che mi avresti voluta sempre... –

 

Lui si gira nel mio abbraccio con un piccolo sorriso sulle labbra, i suoi occhi fissi nei miei.

 

- Tu l’hai detto... –

 

Glielo restituisco.

 

- Già... –

 

Si scioglie dal mio abbraccio ed io malvolentieri lo lascio andare senza più dire niente. So già dove andrà a suonare questa sera ed io sarò lì ad assistere, anche se ho deciso di non farmi vedere.

 

Lui lascia la stanza senza più voltarsi, mentre io esco e l’aria fresca mi investe accarezzando la mia pelle accaldata. Cammino qualche minuto e poi m’infilo in una stradina laterale, lì c’è un piccolo ristorante dove Willow mi aspetta. Prendo posto di fronte a lei e le sorrido.

 

- Allora? Com’è andata? – mi chiede con enfasi. Ora che ci penso non so com’è andata, né bene né male direi.

 

- Così così... domani ho un appuntamento con lui... – arrossisco mentre lo dico, sembro proprio una ragazzina alla prima cotta.

 

- Vedi che il mio consiglio di comportarti da “gattona” è funzionato? Donna di poca fede! –

 

- Mah… funzionato… questo te lo dirò dopo averlo visto domani… Fino ad allora non mi pronuncio –

 

Mi allungo sul tavolo e appoggio la guancia sul palmo della mano, sbuffo: mancano ancora parecchie ore all’esibizione del mio William.

 

****

 

Mi liscio la camicia bianca e fisso il mio riflesso nello specchio. Mi stampo il solito sorriso di circostanza sul viso intanto che m’infilo la giacca nera del completo. Questa sera suonerò musica classica e, come da contratto, indosso lo smoking. L’immagine che lo specchio mi rimanda è piuttosto buona, mi alliscio i capelli all’indietro e sono pronto. Esco dal camerino e mi avvio verso la sala già gremita di gente, dovrei essere contento per tutto il successo che ho, ma una parte di me sa che la felicità non è lì, in quella sala piena di persone, che però non mi trasmettono nulla o, perlomeno, sono io che provo questo. La mia vera felicità si trova…

 

Il mio nome pronunciato dal padrone del locale mi strappa dai miei pensieri, salgo i tre scalini che mi conducono sul palco e, una volta lì, m’inchino davanti alle persone. Alzo lo sguardo e subito il mio cuore trova quello che i miei occhi non vedono ancora. Buffy è lì e sta tentando di nascondersi in un angolo buio senza molto successo. Un piccolo sorriso nasce sulle mie labbra: sapevo che sarebbe venuta e questa sera suonerò per lei. Giro attorno al pianoforte a coda e mi sistemo sulla panca, assumo la consueta postura e comincio a suonare la nostra canzone. Questa volta tocca a me vedere le lacrime di Buffy scendere sul suo bel viso ed una strana sensazione mi attraversa. È calore quello che sento dentro… un calore che non ho più sentito da quando lei non è più stata accanto a me. In quell’attimo torno indietro nel tempo, al nostro primo incontro, al nostro primo, timido, bacio, alla nostra prima notte d’amore… mi accorgo che i miei ricordi, adesso che sento di essere in pace, sono composti solo dai frammenti dei bei momenti che abbiamo passato insieme. Tutto il male è sparito, il rancore, l’odio, le ferite inferte… ogni cosa è tornata a posto, fa parte solo del passato. Guardo Buffy e mi chiedo se questo possa essere il momento giusto per noi due. In fondo, cercandomi e venendo in Italia, mi ha dimostrato che ha capito i suoi errori e sta cercando di porvi rimedio. Il suo amore è palese in ogni sguardo, in ogni parola, in ogni gesto…

Forse sono stato troppo testardo con lei; mi sono incaponito sul fatto che lei non mi aveva detto che era sposata, che non mi aveva cercato dopo la nostra brusca separazione, ho messo anche in dubbio tante, tantissime volte il suo sentimento nei miei confronti. Povera Buffy, solo adesso mi rendo conto di quanto abbia potuto soffrire a sua volta… le ho dato dell’egoista, ma anche io lo sono stato.

 

Ora si è portata una mano davanti alla bocca e continua a piangere scossa dai singhiozzi, tanto che un tipo seduto accanto a lei, la guarda imbarazzato porgendole un fazzoletto. Vorrei sorriderle, ma capisco che lei non voglia che io sappia che lei si trova lì, così continuo a suonare. Probabilmente ha capito che lo so, dato che ho suonato “Anne”, ma non voglio darle ulteriori pensieri. Comincio a suonare i pezzi indicati dal padrone del locale e cerco di non guardare più nella direzione di Buffy. Sento però i suoi occhi su di me e questo mi da ulteriore forza per i brani, il mio cuore è pieno d’amore e questa notte riesco a trasmetterlo anche a chi mi ascolta. Ho smesso di essere uno zombie e stavolta non commetterò nessun errore.

 

La mattina successiva mi arriva la notizia, tramite Drusilla, di un ingaggio a Roma. Devo partire quasi subito al fine di visitare la sala e conoscerne il proprietario. Non posso non incontrare Buffy così decido di andare io da lei. Tramite gli amici di Maria ho scoperto dove alloggia. Anche oggi è una bella giornata e l’aria del mattino è già calda, ma non come diventa nel pomeriggio. Cammino per circa venti minuti e arrivo all’albergo. Mi annuncio come ospite della signorina Summers, sperando che abbia cambiato il cognome, e fortunatamente mi danno il numero della stanza. Sorrido al concierge che sicuramente mi ha riconosciuto; probabilmente è proprio per questo che ho ottenuto le informazioni. Restituisco il sorriso e salgo le scale. Davanti alla porta non mi blocco come succede di solito. So perfettamente cosa fare. Busso.

 

****

 

Come di consueto Willow non ha preso le chiavi. Quando fa così la strozzerei! Esco dalla doccia imprecando e avvolgo il mio corpo nel telo di spugna bianco e soffice, il quale copre quasi tutto il mio corpo, arrivandomi fino a metà coscia. Mi dirigo verso la porta e la spalanco, il fiato si mozza in gola. Lui è davanti a me, disorientato per la vista che gli sto generosamente concedendo. Scuote la testa e mi sorride.

 

- Buongiorno – dice, intanto che i suoi occhi non si staccano dal mio corpo. Presa dalla vergogna arrossisco e mi scosto per farlo entrare. Lui passa oltre e poi si volta per fissarmi ancora.

 

- Non… non dovevamo vederci più tardi? – invece di correre a vestirmi la cosa più intelligente che dico è quella. Grande Buffy!

 

Mi sorride ed i suoi occhi sono brillanti come stelle. Perché è venuto?

 

- Lo so tesoro. Purtroppo stamani mi hanno detto che devo andare a Roma, parto tra un paio d’ore –

 

Quasi non sento il resto della frase, sono ancora ferma a “tesoro”. Non voglio illudermi, ma sento che stamattina c’è qualcosa di diverso. Mi stringo l’asciugamano addosso e mi volto per andare a cambiarmi.

 

- Torno subito, mi metto qualcosa –

 

Non faccio nemmeno in tempo a compiere un passo che le sue mani sono saldamente appoggiate sulle mie spalle. Mi fa voltare.

 

- Sei bellissima Buffy… - mi sussurra, i nostri volti a pochi centimetri di distanza.

 

- Ti ho vista ieri sera. Stavi in quell’angolo buio, ma i miei occhi ti hanno trovata lo stesso, ti troverei tra mille persone… -

 

Deglutisco a fatica, quasi non credo alle mie orecchie. Le gambe non mi reggono più dalla valanga di emozioni che mi investe. Non voglio sperare, farebbe troppo male svegliarsi da questo sogno. Non riesco a dire nulla, sento solo il suo respiro caldo sulle mie labbra. La sua bocca raggiunge la mia in un bacio lieve e dolce. Lo respingo a fatica.

 

- No, William! Non voglio… -

 

La sua mano si alza e mi accarezza una guancia, il suo sguardo è tenero come il suo tocco.

 

- Ieri sera, intanto che ti guardavo piangere, ho capito quanto male ti ho fatto… Ho capito che non posso più scappare dai sentimenti che provo –

 

Non ho parole, mi sta parlando d’amore…

 

Le sue dita mi scostano i capelli bagnati dalla fronte e subito le sue labbra la toccano delicatamente. Scendono poi sulla mia guancia e baciano le lacrime che sono sfuggite al mio controllo.

 

- Ti amo Buffy… Non ho mai smesso di amarti… - bisbiglia tra un bacio e l’altro, mi attira a sé ed io mi aggrappo a lui.

 

- Mi sei mancato tanto William… Quasi non riuscivo a respirare da tanto mi mancavi – singhiozzo con il viso affondato nel suo petto.

 

- Perdonami Buffy… - la sua voce trema e sento le sue lacrime scendere assieme alle mie. Il mio cuore scoppia d’amore per lui, l’ho sempre amato e so che l’amerò sempre. Mi scosto dal suo torace e alzo gli occhi, come pensavo anche lui sta piangendo. Gli asciugo le guance con i pollici e gli sorrido.

 

- Non c’è bisogno di chiedere perdono… è tutto passato. Ricominciamo daccapo, la nostra sarà una nuova vita… -

 

- Sei sicura di voler rinunciare agli alimenti di Liam per me? –

 

Ecco, ora sono disorientata… Alimenti? Pensa che io prenda dei soldi dal mio ex marito? Devo subito chiarire.

 

- Da Liam non ho voluto niente anche se lui si era offerto di darmi una grossa cifra. Non erano i soldi che volevo… Volevo te William, voglio solo te –

 

Un largo sorriso gli illumina il viso, finalmente mi crede ed io sono la donna più felice del mondo. Mi cinge la vita con le braccia e mi solleva, io abbasso il viso e lo bacio. Adesso niente riuscirà a mettersi fra di noi.

 

- Ciao Buffy! –

 

Quasi niente.

 

Mi sciolgo dall’abbraccio di William, proprio quando Willow gli porge la mano allegramente e mi fissa con uno strano ghigno. Certo la mia mise può causare malintesi, ma non ho nessuna voglia di spiegarle che non è successo niente.

 

- Piacere, sono Wil… -

 

Le vado incontro e le stringo io la mano, accompagnandola alla porta.

 

- Ciao Willow! Arrivederci Willow! –

 

E la chiudo fuori. Lei non protesta, si limita a farmi l’occhiolino.

 

Mi volto di nuovo verso William che mi raggiunge subito prendendomi ancora tra le braccia. Non vorrei lasciare mai quel posto stupendo e caldo, così accogliente… quanto mi è mancato.

 

- La tua amica si sarà offesa… -

 

- Saprò farmi perdonare… Uhm… quanto tempo hai ancora? –

 

William mi sorride e da un’occhiata all’orologio appeso sul muro.

 

- Un’oretta e mezza circa… -

 

- Bene… -

 

Mi alzo sulle punte e lo bacio, questa volta approfondisco il contatto e lui non si fa pregare, mi porta una mano dietro la nuca e la sua lingua comincia a stuzzicare le mie labbra. Lo lascio entrare ed il nostro bacio si fa famelico. Con un gesto rapido mi strappa di dosso l’asciugamano e le sue mani cominciano a vagare ovunque sul mio corpo.

 

- Will… aspetta… -

 

Ci mette un attimo a rendersi conto di quello che gli ho detto, poi scosta il viso dal mio collo, che aveva cominciato a divorare di baci, e mi fissa.

 

- C-Che c’è? – ha il respiro affannato e gli ho scomposto tutti i capelli. Affascinante è dire poco… Potrei violentarlo seduta stante, ma mi sono accorta che ancora non abbiamo risolto niente. Raccolgo l’asciugamano e decido di andare a vestirmi, non posso parlargli in questo stato. Finirei per farmi saltare, o peggio saltargli, addosso.

 

- Buffy! Che succede? – mi richiama all’ordine, io comincio a vestirmi in bagno. La porta l’ho lasciata socchiusa, ma non per malizia, semplicemente per permettergli di parlarmi anche da lì.

 

- Non succede niente, non preoccuparti… È solo che dobbiamo ancora parlare prima di… insomma… hai capito! –

 

Lo sento sbuffare e ho voglia di prenderlo quando ha quella faccia… Ora che ci penso avrei voglia di farmelo con qualsiasi espressione. Scuoto la testa per scacciare le immagini sconce che mi sono venute in mente, uno strano formicolio tra le gambe mi annuncia che potrei facilmente perdere il controllo.

 

- Guarda che sento che stai sbuffando! – rido, sento la sua risatina arrivare dall’altra stanza. Sembra quasi che niente di brutto sia mai successo tra di noi, sembriamo una coppia normale ed io spero tanto che saremo capaci di diventarlo. Ci vorrà impegno da entrambe le parti, ma credo che niente sarà più doloroso delle nostre varie separazioni.

 

Esco dal bagno finalmente vestita e lui è steso sul mio letto, una sigaretta accesa pende dal lato destro delle sue labbra invitanti, ha gli occhi chiusi. Per un attimo penso che si sia addormentato, ma quando i suoi occhi si aprono e mi guardano così intensamente, il mio cervello smette di funzionare. Lo voglio così tanto… tanto che mi manca quasi l’aria. Si gira su un fianco, senza smettere di fissarmi, e spegne la sigaretta. Incrocia le braccia sul petto e sorride ancora. Non mi stancherò mai di vederlo sorridere, ne ho visti talmente pochi rivolti a me che ora non ne faccio più a meno.

 

- Vieni con me a Roma? Non ho voglia di stare tutto solo… -

 

Ecco, lo sapevo! Devo deluderlo di nuovo, domani ho promesso a Willow che l’avrei accompagnata in giro per la città; poverina, lei ha fatto così tanto per me… E mentre penso questo, la mia bocca gli dice di “si” ed il mio corpo s’incolla al suo. Sapevo che avrei perso il controllo.

 

****

 

Il tempo sta per scadere e ho ancora Buffy tra le mie braccia, i suoi occhi verdi nei miei, il suo sorriso che mi scalda il cuore, le sue mani gentili che carezzano la mia pelle, le sue gambe intrecciate alle mie. Il buon proposito di non andare a letto insieme è andato a farsi benedire. Le poso un bacio sulla fronte e lei si stira di fianco a me.

 

- Sarà meglio che prepari le valigie ed avverta Willow… poverina… - ride e mi guarda mettendo il broncio.

 

- Si arrabbierà – mi dice con aria colpevole.

 

- Tesoro, se preferisci puoi stare con lei – dico volontariamente piccato. Lei si sposta sopra di me e mi bacia con passione, le afferro i fianchi e la tengo così, adoro sentirla su di me. Mi è mancato fare l’amore con lei, il suo profumo, il suo calore, i suoi baci, il suo sapore… tutto mi è mancato.

 

- Non credere di liberarti così facilmente di me, amore! – sogghigna e mi mordicchia il labbro inferiore. L’afferro meglio e inverto le posizioni baciandole la punta del naso.

 

- Bene, allora le valigie Buffy! Io devo tornare alla pensione per prendere le mie. Il taxi mi aspetta lì davanti, dirò di venire qui prima di passare alla stazione, va bene? –

 

- Agli ordini! Ma… uhm… abbiamo ancora tempo per una cosina veloce? –

 

Guardo l’orologio: no, non ne abbiamo con mio grande rammarico.

 

- No passerotto, non ne abbiamo… -

 

Le do ancora un bacio e poi scendo dal letto e comincio a raccogliere i miei vestiti sparsi per terra. Dio, l’amore con lei è sempre così selvaggio e coinvolgente che mi lascia senza fiato. La sento spostarsi sul letto e farsi più vicina a me; sono seduto sul soffice materasso per cercare di rimettermi le scarpe e lei mi cinge la vita con un braccio e mi posa baci sulla schiena ancora nuda.

 

- Buffy, tesoro… Se fai così l’incarico a Roma va a rotoli… -

 

Lei fa finta di niente e continua a baciarmi e mordermi la pelle, stringo i denti perché davvero devo andare. Mi alzo di malavoglia e m’infilo la camicia, mi volto verso di lei che mi sorride maliziosamente, mostrandosi a me completamente nuda. Le poso un bacio veloce sulle labbra.

 

- Adesso vado, ci vediamo tra mezz’ora qui sotto –

 

Mi prende il viso tra le mani prima che io abbia potuto allontanarmi e mi riporta sulle sue labbra in un bacio esigente. Mi stacco ed il mio respiro si fa un po’ meno regolare. Anche io ho voglia di lei, ma non posso.

 

- Ora vado –

 

Lei ride.

 

- È un quarto d’ora che cerchi di andartene! –

 

- Se tu la smettessi di stuzzicarmi, ce la potrei anche fare! –

 

Donna impossibile. L’adoro. In questo momento preciso mi chiedo come abbia solo potuto immaginare la mia vita senza di lei. So che mi farà impazzire prima o poi, ma non riuscirei più a stare lontano da lei nemmeno per un minuto. Finalmente riesco ad uscire dalla stanza, poi mi ricordo di aver dimenticato una cosa e busso. Sento dei rumori confusi dietro la porta e poi lei riappare, avvolta nel lenzuolo bianco.

 

- Desidera? – mi dice allegra. Io m’inchino.

 

- Ho dimenticato di dirvi che vi amo, Miss. Mi perdonate? –

 

Mi salta al collo e se non fossi stato abbastanza veloce nell’afferrarlo, il lenzuolo sarebbe caduto a terra rivelando le sue forme.

 

- Anche io ti amo William! –

 

Mi bacia ancora e poi mi allontano con l’immagine di lei che mi saluta sulla soglia della stanza. Mezz’ora è troppo tempo, devo cercare di rivederla molto prima.

 

****

 

Quella mattina partii con lui e da quel momento la nostra vita scorre felice. William mi porta sempre ovunque. Abbiamo girato quasi tutta l’Europa e sono orgogliosa di lui. È un pianista perfetto ed un compositore attento. La sua fama cresce, ma io non mi preoccupo perché so che mi ama, ho fiducia in lui e lui, anche se dopo diverso tempo, ha imparato ad averne in me. La nostra storia è nata in modo strano, è nata dalla musica, dalle note e dalle parole scritte da altri che però si sono adattate a noi, ai nostri cuori, hanno esaltato le nostre anime e ci hanno fatti incontrare. Ci siamo feriti, abbiamo sofferto, alla fine però abbiamo saputo guardare indietro e accettare i nostri errori, i nostri difetti e costruire un rapporto basato sulla fiducia. Adesso William conosce la vera me stessa. Adesso William ama Buffy. Il fantasma di Anne, che aleggiava tra noi, è sparito per sempre. Amo moltissimo William e lui, in tutto questo tempo, è sempre rimasto lo stesso: gentile, dolce, corretto, affettuoso.

 

Io invece ho dovuto mettermi in discussione e ricostruirmi daccapo. Ho messo a tacere la parte egoista di me, anche se ogni tanto riaffiora… solitamente, però, solo quando siamo in camera da letto… uhm… e in cucina… e in bagno… e sui tappeti… Avete capito no?

 

Adesso stiamo tornando in America perché domani compio trentotto anni e voglio festeggiare insieme a mia madre e a Willow. Giro il capo e guardo William che dorme appoggiato alla mia spalla, i suoi riccioli ossigenati gli ricadono, in modo scomposto, sulla fronte ed è così bello il suo viso. È tranquillo, in pace. Mi trasmette tanta serenità. Gli do un bacio leggero sulla testa e lui sorride nel sonno. È proprio dolce e ogni giorno mi dico che se l’avessi perso, l’avrei rimpianto per tutta la vita. Abbasso di poco il mio capo.

 

- Amore, fra poco atterriamo – gli sussurro vicino all’orecchio.

 

- Mmmhh… - mugugna intanto che sfrega il naso sul mio collo.

 

****

 

Tre anni che siamo insieme; da quella mattina a Firenze non ci siamo più separati ed io sono l’uomo più felice del mondo. E lo sarò ancora di più perché sento che adesso è giunto il momento di chiederle di sposarmi. Sono un po’ nervoso poiché oggi è anche il suo compleanno. Non so per quale motivo, ma ho paura che lei possa rispondermi di no. Stupido William! Rido da solo per la mia stoltezza, non potrebbe mai dirmi di no… o sì? Insomma, ho le mani che mi sudano e cerco di svignarmela dalla sala da pranzo dove gli altri invitati stanno finendo di mangiare, di chiacchierare. Ho bisogno di farmi una sigaretta, così mi ritiro sul retro dove c’è il giardino e mi siedo sotto un albero, all’ombra.

 

Ripenso a noi, agli ultimi tre anni trascorsi e mi dico che niente avrebbe potuto essere così perfetto. Ogni momento che non è con me è come se mi mancasse l’ossigeno. Ho gli occhi chiusi quando tiro una profonda boccata dalla mia cicca e soffio fuori il fumo dal lato della bocca. Qualcosa però mi toglie l’unico raggio di sole che mi scalda il viso, socchiudo gli occhi e vedo la sagoma di Buffy davanti a me.

 

- Amore? Non avevi detto di aver smesso? –

 

- Tu me l’hai fatto dire in un momento dove… - alzo un sopracciglio – non ero nel pieno delle mie facoltà mentali, quindi non vale! –

 

Sbuffa la mia donna e si siede accanto a me, mi prende la sigaretta dalle labbra e la spegne sull’erba. Le cingo le spalle con un braccio e l’attiro a me, lei appoggia la testa sulla mia spalla e mi posa un bacio sul collo.

 

Ecco, ora è perfetto! È il momento. Con l’altra mano stringo la scatoletta di velluto blu che contiene l’anello che le ho comprato a Parigi. Vi confesso che sono due mesi che cerco di chiederle di sposarmi, senza purtroppo riuscirci; non ne ho mai trovato il coraggio per la paura di poter rovinare l’equilibrio che c’è tra noi.

 

- Buffy… -

 

Lei si solleva attenta, mi sorride.

 

- Dimmi tesoro… -

 

Le prendo una mano e le metto la scatoletta sul palmo, la apro e rivelo la fedina delicata in oro bianco. Tre piccoli diamanti l’adornano e gli occhi di Buffy brillano come, e più, di loro.

 

Mi faccio coraggio e lo sfilo dal cuscinetto di seta bianca, finemente ricamato con un filo color avorio, e lo metto al suo dito.

 

- Miss… mi vorreste sposare? –

 

Buffy guarda la sua mano e poi guarda me, qualche lacrima scorre via dai suoi occhi.

 

- Sì William! Oddio SIIII! – grida e mi salta al collo riempiendomi di baci e facendomi distendere sull’erba.

 

Questa è la nostra storia. La storia di due anime le cui corde hanno vibrato con la musica, di due anime che si sono incontrate grazie ad essa e che non si lasceranno mai. La sofferenza, il dolore, le bugie appartengono al passato, un passato lontano che ormai non ci appartiene più. So per certo che le note che accompagneranno il nostro futuro saranno le più liete che le mie orecchie potranno mai sentire.

 

Adesso che la guardo, raggiante e avvolta nel suo abito bianco, so per certo che da ora in poi lo spartito lo scriveremo insieme e lo suoneremo come più ci piacerà.

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note per la musica utilizzata:

 

Amado mio – Gilda/Rita Hayworth

Wishing you were somehow here again – Andrew Lloyd Webber (The Phantom of the Opera)

Sad Eyes - Roy Orbison/Ray Rush/Joe Melson

Last Song - ??

Yesterday – Beatles

One – U2

Since I don't have you - Beaumont/Rock/The Skyliners