GUARDIAN OF THE FLAMES

AUTHOR:THE FIERCE

 “We are the guardians of the flame

Masters of the ancient rites

Our duty was ordained

To protect the realm of light”

 

 

Intro

 

Normalmente non scrivo nulla prima dei miei bizzarri deliri, ma questa volta trattandosi di un cross-over (un po’ particolare però) credo sia necessario spendere un paio di parole sul personaggio esterno introdotto.

Daimon Hellstrom è un personaggio Marvel piuttosto vecchio, facente parte del cosiddetto panorama sovrannaturale, od horror della “casa delle idee”, sviluppatosi principalmente negli anni ottanta.

Daimon è nientemeno che il figlio di Satana, contro il quale ingaggia lotte senza quartiere per affermare la sua natura umana e affrancarsi dal destino che il padre sembra aver scritto per lui.

Fin qui nulla di strano.

Però la sua più recente incarnazione si discosta parecchio da questa scontata e banale caratterizzazione del personaggio, trasformandolo da pacchiano eroe in qualcosa di molto diverso, grazie all’ opera di mr Warren Ellis sceneggiatore geniale e con un certo qual gusto per l’ apocalittico, nonché privo di qualsiasi tendenza verso il politicamente corretto tanto amato dagli americani (ma, del resto, si tratta di un inglese).

 

Comunque non aspettatatevi supereroi in costumi sgargianti, Daimon non è uno di loro, anzi, non è neppure un eroe in senso stretto. Semplicemente è il principe della menzogna.

 

Dimenticavo, non ho tenuto strettamente conto della continuity né di Btvs né di Ats, comunque gli eventi in questione si potrebbero collocare dopo la 5° serie di Buffy.

 

Un’ ultima cosa, alcune situazioni iniziali e lo spunto della trama sono copiati pari pari da alcune opere di quel geniaccio di mr Ellis (ovviamente c’ è anche qualcosa di mio, non mi sono limitato a copiare pedestremente).

 

Non so se siano necessari disclaimer specifici trattandosi di un personaggio dei fumetti (tra l’ altro accantonato da qualche anno) comunque nel dubbio:

 

I personaggi appartengono ai relativi autori e/o ai detentori dei diritti e bla, bla, bla…

 

parte uno: "the Ides of March"

 

Il locale diventava sempre più fumoso e puzzolente man mano che si avvicinava l’ orario di chiusura, ed lui cominciava ad averne abbastanza.

Frisco non gli era mai piaciuta quanto Los Angeles, ed iniziava a rimpiangere di aver fatto tanta strada solo per incontrare uno sconosciuto, che poi non si era neppure degnato di farsi vivo.

Dannazione, eppure quel tipo si era scomodato a mandargli un biglietto in cui lo invitava all’ Helzapoppin, club privato ed in teoria esclusivo ritrovo per occultisti.

La curiosità aveva avuto il sopravvento sulla prudenza soprattutto quando aveva fatto una breve ricerca sul mittente, scoprendo che Daimon Hellstrom era stato una piccola celebrità nel sottobosco dell’ occulto degli anni ’80, anche se le sue apparizioni si erano alquanto diradate negli ultimi anni.

Cinquantun’ anni, docente di parapsicologia a Fire Lake, in Massachusetts, esorcista, ospite di talkshow, detective dell’ occulto, nonché sedicente figlio di Satana. La sua notorietà era legata a fugaci apparizioni insieme a personaggi bizzarri e stravaganti, chiassosi e sgargianti. Tutto questo per circa 15 anni d’ attività, per poi sparire nel nulla.

Era stato difficile rintracciare qualche informazione dopo il 1986, testimonianza forse di un diverso atteggiamento nei confronti dei media, forse conseguenza della decisione di condurre una vita più appartata.

Comunque Cordelia e Wes se l’ erano cavata bene ed avevano scoperto che si era sposato con Patricia Walker, ed aveva aperto proprio lì, a San Francisco, un’ agenzia di investigazioni occulte con cui si era divertito a giocare all’ acchiappafantasmi totalizzando un buon numero di apparizioni su fogliacci scandalistici che documentavano le sue “imprese”.

 

L’ Helzapoppin aveva una strana fama, e, a quanto pareva, del tutto immeritata.

Era entrato con circospezione, ma aveva trovato solo un variegato campionario di fauna umana di ogni genere, invece dei pericolosi mostri che si era atteso. La decadenza del locale pareva aver contagiato la clientela e gli parve quasi di vederli, giovani rampanti negli anni ’80, meno giovani e soprattutto meno rampanti a metà dei ’90, ma ancora arroganti e sicuri, ben diversi dai relitti che vedeva abbruttirsi con l’ alcol in quella sala.

Un tempo forse erano stati l’ elite satanista della città, ora erano solo degli ubriaconi che si recavano all’ Helzapoppin solo in virtù del loro conto aperto.

Si chiese se l’ uomo che doveva incontrare non somigliasse a quegli uomini tristi che appartenevano ad un tempo diverso. In fondo si trattava di un occultista, di un ciarlatano che vent’ anni prima era solito andare in giro con tanto di mantello e tridente e dichiararsi figlio del signore dell’ inferno.

Forse non si era presentato per via di un rigurgito di autostima, ma poco importava, semplicemente tutto questo gli era costato un viaggio a vuoto.

Fece per allontanarsi dal bancone, quando un cliente, già presente prima del suo arrivo, richiamò la sua attenzione.

“Ehi, le dispiace se le offro da bere e facciamo due chiacchiere?”

Si era alzato e lo aveva afferrato per un braccio, riaccompagnandolo al bancone.

A parlare era stato un tipo alto e massiccio, sui trent’ anni, ben vestito anche se dava l’ impressione di aver dormito nel costoso abito su misura da tremila dollari che indossava, a giudicare almeno dai vestiti spiegazzati.

I capelli, rosso scuro ed ispidi, erano trattenuti a stento in una antiquata coda di cavallo, mentre la barba doveva risalire ad almeno tre giorni prima.

Era al banco da prima che entrasse, e non lo aveva degnato neppure di uno sguardo per tutto il tempo in cui era rimasto seduto, continuando a bere scotch come un forsennato ed a parlare fitto con la ragazza mora sedutagli accanto.

Anche lei era un tipo bizzarro, anche per la clientela variegata del bar. Sui vent’ anni, più probabilmente venticinque, vistosa, trucco ultra pesante, vestita di pelle dalla testa ai piedi, poteva sembrare una prostituta esperta in giochetti sadomaso o anche far parte di una gang di motociclisti.

In ogni caso il suo abbigliamento strideva con quello del suo cavaliere, ma ciò nonostante non avrebbe saputo dire se i due si conoscessero da prima oppure se il tipo alto e massiccio avesse provato a rimorchiarla direttamente nel locale.

Del resto non avevano attirato la sua attenzione un granché fino ad un momento prima.

“Vieni a sederti, su, non farti pregare”

Il modo in cui quel tipo era passato dal “lei al “tu” lo lasciava perplesso,ed inoltre non aveva né la voglia, né il tempo di dare della corda alle farneticazioni di un ubriaco. Si divincolò non senza qualche fatica.

“Mi dispiace ma devo proprio andare”

“Credo di dover insistere, mr…” disse l’ uomo.

“Quante storie” disse un corpulento cliente, visibilmente sbronzo “Lo bevo io quel drink” e così dicendo appoggiò una mano sudicia sulla spalla dell’ uomo.

“Levala o te la taglio” replicò questi seccamente, spingendolo via.

La ragazza accanto a lui rise sommessamente, quasi fosse una scena divertente.

L’ uomo vestito di scuro, invece, rimase impalato vicino alla porta, preoccupato dalla piega che stava prendendo la vicenda.

“Fottuto stronzo” l’ ubriaco barcollò per recuperare l’ equilibrio, andò a sbattere contro la sedia di un altro avventore seduto ad un tavolo li accanto. Recuperata in qualche modo la stabilità afferrò una bottiglia di liquore, ne scolò un grosso sorso fra le proteste di quei clienti, poi tornò ad avvicinarsi, ruppe il fondo della bottiglia contro il bancone ed ne agitò il collo in direzione della sua vittima designata.

L’ uomo con il completo costoso si alzò in fretta mentre la sua compagna si irrigidiva sullo sgabello, senza però far nulla per scappare o proteggersi.

“Te la faccio vedere io…”

L’ ubriaco attaccò, cercando di affondare verso il viso, ma non trovò il bersaglio mentre il pugno dell’ avversario gli troncava la frase in gola. Tentò un altro affondo, ma questa volta il suo polso fu bloccato dalle ferrea stretta della mano sinistra, mentre la destra saliva a serrargli la gola. Si sentì sollevare di peso mentre contemporaneamente diventava cianotico.

“Adesso basta” disse, esitante, l’ uomo vestito di scuro, attirando l’ attenzione dell’ altro appoggiandogli una mano sul braccio teso.

L’ altro acconsentì, con un pizzico di riluttanza, facendo cadere pesantemente a terra l’ ubriacone a malapena semicosciente. Poi però ogni traccia di rabbia svanì dal suo volto e concesse al suo interlocutore uno smagliante sorriso.

“Lei è…”

“Naturalmente Daimon Hellstrom” indicò un tavolo nel fondo del locale “Là staremo più comodi”

La ragazza al banco (sua moglie forse?) si alzò e li raggiunse senza dire una parola.

“Innanzitutto mi scuso per averla fatta venire fin qui, mr Angel”

“Angel. Solo Angel”

“Come vuole”

Angel era sconcertato. L’ uomo che aveva di fronte non era certo il tipo di persona che si era aspettato di incontrare. Sembrava uno yuppie mezzo alcolizzato che aveva avuto una brutta giornata. Stessi modi arroganti, stesso modo di fare.

Perfino il suo modo di parlare lo stupiva. Dava confidenza anche agli estranei, eppure teneva tutti a distanza.

Questo senza considerare che era in grado di sollevare un ubriacone di centoventi chili con una mano sola senza apparente sforzo.

Cercò di rilassarsi. Non gli piaceva la piega che stavano prendendo gli eventi. Eppure doveva sapere cosa voleva da lui quello strano tipo. Rivolse il suo sguardo ai suoi interlocutori.

Daimon gli sorrideva, se quello poteva essere definito un sorriso. Meglio ghigno, probabilmente. Anche lei sorrideva, mettendo in mostra una chiostra di denti perfetti, bianchissimi e leggermente appunti. Leggermente inquietanti.

Angel si concentrò sulle sue percezioni. Aveva bisogno di tutte le informazioni disponibili.

Incredibile, l’ uomo non era neppure sudato.

Il battito era regolare, la vascolarizzazione normale, la sudorazione praticamente assente, nonostante il caldo afoso del locale.

“Che ne direste di dirmi perché sono qui”

“Prima vorrei presentarle una mia amica, la signorina Jaine Cutter”

Non era la moglie, dopo tutto. Chissà dov’ era quella donna, e chissà se sapeva con che tipo di persone si intratteneva.

“Molto piacere” disse stringendole la mano.

La ragazza non disse nulla, seguitando a sorridere, ma ricambiò la stretta con molta energia. Che intendesse fargli male?

“Dobbiamo dirti una cosa. Riguarda la tua ex, e non ti piacerà”

“Buffy?”

“Proprio lei! E che nome ridicolo, comunque” disse la ragazza.

“Zitta Jaine, non è il momento”

“Che ha combinato?”

“Lei niente. E’ morta”

 

 

+++++

 

La sagoma bianca sul marciapiede veniva scansata dai passanti frettolosi, che si tenevano ben lontani dai sigilli della polizia, non tanto per rispetto verso l’ istituzione, verso lo scomparso o verso la morte stessa, quanto per i ricordi dolorosi, o quantomeno inquietanti che suscitava in tutti gli abitanti della cittadina.

Perché Sunnydale è solita offrire scene come quella, anzi alcune sono molto peggiori.

Del resto la “Bocca dell’ Inferno”, ad onta della felice collocazione geografica, non è un posto allegro dove vivere, almeno per gli esseri umani che restano, nonostante gli inconvenienti, la stragrande maggioranza della popolazione.

Il crepuscolo era prossimo ed in quella stagione piuttosto breve, così si affrettavano tutti, o quasi, a rincasare. Tutti cercano, istintivamente, dato che mai ammetterebbero pubblicamente il problema, di limitare i rischi di fare incontri “sgradevoli”.

Fra di loro però c’ è qualcuno particolarmente interessato a quel luogo, qualcuno che considera una fortuna la consuetudine degli abitanti di rientrare presto, come anche l’ inettitudine ed il lassismo delle forze dell’ ordine.

Il suo nome sarebbe impronunciabile per le gole umane, per cui i pochi mortali che lo conoscono lo chiamano semplicemente Sussurro.

Un demone vecchio quanto l’ uomo rinchiuso nella forma rassicurante di un ragazzo pallido e magro, malvestito e fuori moda.

Rimase seduto ancora qualche minuto, aguzzando la vista per riuscire a leggere nella luce morente il rapporto del coroner che teneva fra le mani.

Due colpi sparati con un’ arma a pallettoni, da distanza ravvicinata, plausibilmente un paio di metri per il primo colpo, che ha raggiunto la vittima alla coscia sinistra, circa mezzo per il secondo, che ha investito parzialmente il viso ed il collo.

Con ogni probabilità, dall’ angolazione delle ferite, la vittima era crollata in ginocchio dopo il primo sparo, e stava fissando l’ assassino, al momento del secondo.

Uno strano delitto, soprattutto per Sunnydale.

Senza contare che la vittima è, anzi era, una slayer.

La notte era calata ormai, e non c’ era quasi più nessuno in giro.

La figura, un ragazzo di vent’ anni, T-shirt, jeans e scarpe da ginnastica, scostò il nastro della polizia e fece un paio di passi verso la sagoma di gesso.

Si chinò sopra il marciapiede ancora macchiato di sangue scuro. Vi avvicinò il palmo della mano, quasi a sfiorare il terreno, e rabbrividì.

“Sì, la traccia è forte. L’ incantesimo era potente e… ma certo, è così chiaro…”

L’ avvicinarsi di un barbone che si era attardato in strada e stava per chiedergli degli spiccioli interruppe le sue riflessioni a voce alta, mentre l’ uomo faceva bruscamente dietro front e si allontanava.

Era in città da pochi giorni, ma aveva compreso presto che era meglio non disturbare gli abitanti più “particolari” del luogo. In realtà ne aveva già avuto abbastanza.

Sarebbe saltato sul primo merci di passaggio, quella notte stessa se possibile.

Il ragazzo lo ignorò, si alzò, allontanandosi nella notte scura, sicuro di aver svelato un mistero importante.

Le informazioni sono merce preziosa, e lui ne fornisce sempre di ottime. E’ il suo talento speciale, e lo ha tenuto in vita per millenni.

Ora deve solo cercare un compratore, qualcuno a cui interessi quello che ha scoperto.

Ha già in mente qualcuno.

 

parte due: "When the Legends Die"

 

La telefonata arrivò la mattina successiva.

Il cellulare squillò, ma Angel vi riconobbe una nota tetra.

Willow gli diede la notizia, vergognandosi di doverlo fare per telefono e così tardi.

I funerali erano previsti per quel pomeriggio stesso, ed non poté fare a ameno di pensare che quell’ apparente distrazione testimoniasse in realtà il desiderio del gruppo di lasciarlo fuori da quella funzione.

Il motivo lo ignorava.

Forse si vergognavano. Oppure c’ era dell’ altro.

In ogni caso in quel momento non aveva nessuna voglia di assecondare i loro desideri.

Sarebbe andato a quel funerale, ma non ci sarebbe andato solo.

 

+++++

 

Angel aspettava, intirizzito e zuppo d’ acqua. In California i temporali sono rari anche nella mezza stagione, ma sempre piuttosto violenti.

Anche se fra loro non c’ era più niente da molto tempo, nonostante le reciproche distanze fossero diventate ormai incolmabili, avere ricevuto la notizia della sua morte da un perfetto sconosciuto lo aveva lasciato scosso e vulnerabile.

E poi pensare che Buffy fosse morta lo riempiva di inquietudine.

L’ ultima volta che l’ aveva vista gli aveva salvato la vita.

Era forte, dura, decisa.

Aliena.

Lo aveva spaventato più di quanto non avesse fatto il suo rapitore, ma sapere che anche lei era caduta, nonostante la sua forza e la sua freddezza…

Quella era una cosa molto più spaventosa.

 

Daimon arrivò con quasi un’ ora di ritardo.

La gigantesca, vecchia cadillac decappottabile, procedeva sferragliando nella bufera ma, incredibilmente, nonostante il tettuccio abbassato, i due occupanti non erano zuppi d’ acqua, che semplicemente non inondava l’ abitacolo.

Nonostante la situazione non poté non domandare:

“Ma come diav…”

“Lascia perdere, e non imprecare. Sono qui e ti sento benissimo”

Angel preferì passare sopra le evidenti stranezze di Daimon, ma proseguì:

“Ma non daremo troppo nell’ occhio?”

“Non preoccuparti, nessuno si ricorda della mia macchina”

Si accomodò scettico sul sedile del passeggero, mentre Jaine se ne stava sdraiata su quello posteriore, intenta a fumare come una ciminiera con il walkman che le sparava nelle orecchie, con ogni probabilità metal o roba simile, da come agitava la testa, quasi da epilettica.

“Non farci caso, è un’ asociale schifosa” gli disse sottovoce Daimon, lanciando una sfuggente occhiata alla donna dietro di lui.

La cadillac si rituffò nella tempesta.

Angel si chiese fugacemente cosa ci facesse su quell’ auto.

 

+++++

 

Era stata una notte, seguita da una mattinata, molto dura e dolorosa.

Quando, con notevole sensibilità, doveva aggiungere, Daimon gli aveva dato quella notizia, aveva soffocato solo per un soffio l’ istinto di ammazzarlo lì, su due piedi.

Invece si era catapultato fuori dal locale, aveva afferrato il cellulare e cercato di contattare casa Summers.

Inutilmente. Aveva chiamato anche gli altri, con esiti parimenti sconfortanti.

Aveva telefonato all’ agenzia, svegliando una Cordelia dapprima isterica, ma poi subito attenta e perfino quasi efficiente. Aveva mobilitato anche gli altri della “squadra”, poi avevano cominciato le ricerche mentre lui rientrava a Los Angeles a tutta velocità.

Ben presto gli avevano confermato la notizia, per telefono.

Cordelia aveva usato più tatto, ma la sostanza era cambiata poco.

Sia i giornali che la polizia riportavano la notizia della morte di una giovane donna corrispondente alle generalità di Buffy.

Far pressione per farsi dare il nome corretto fu uno scherzo, anche per telefono.

Era davvero morta. Di nuovo.

Ma stavolta in modo così scontato e banale. Un paio di colpi d’ arma da fuoco. A distanza ravvicinata, forse da un fucile da caccia, comunque da un’ arma a pallettoni.

Di lei era rimasto poco, il cadavere era decisamente sfigurato, eppure l’ identificazione era certa, eseguita da più famigliari ed amici, e confermata dai documenti rinvenuti.

Era rientrato poco prima dell’ alba e si era accasciato sulla sedia del suo ufficio.

Non si era mosso per ore.

Distrutto.

Dal dolore. Dalla sorpresa. Dall’ ironia.

Poi la telefonata della “cara” Willow. Il delitto risaliva a due notti prima e nessuno aveva pensato di informarlo prima.

La rabbia irrazionale che lo aveva scosso gli restituì le energie di cui aveva bisogno.

Prima di seppellire Buffy definitivamente, di farsene una ragione, doveva scoprire il come. E soprattutto il perché.

Poi magari anche il chi.

Aveva una sola pista ed aveva intenzione di seguirla.

Chiese a Cordelia di rintracciare per lui un certo Daimon Hellstrom, ma lei lo informò che, mentre era chiuso in ufficio a tormentarsi ed a crogiolarsi nel suo dolore era arrivata una lettera per lui inviata proprio da Daimon.

Aprì la busta sigillata.

Dentro c’ era solo un biglietto da visita.

 

“Hellstorm, investigazioni dell’ occulto”

 

Sul retro era scarabocchiato qualcosa con una stilografica.

“Passo a prenderti al ponte alle tre, per il funerale”

 

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Daimon puzzava di zolfo, lo avvertiva chiaramente. Si chiese se fosse una sua bizzarra trovata pubblicitaria per confermare in qualche modo la sua “parentela” con il demonio, o se fosse realmente la sua natura. Aveva conosciuto pochissimi demoni genuinamente infernali, ovvero che provenissero davvero da quella famigerata dimensione a cui si riferiscono abitualmente sacerdoti e teologi quando parlano dell’ inferno cristiano.

Tutti avevano avuto addosso quell’ odore, ma in effetti anche alcuni minatori che aveva conosciuto da ragazzo si portavano dietro quel sentore pungente e sgradevole.

 

La cerimonia era stata breve e modesta.

Erano presenti solo i ragazzi, e la funzione era stata tutt’ altro che toccante. In pratica si erano limitati a seppellire una cassa sigillata sotto un metro di terra.

La lapide era stata riciclata dalla volta precedente, e forse anche la bara lo era.

 

Spike, l’ unico che aveva temuto di incontrare, non c’ era.

Gli altri aveva detto che era sparito subito dopo aver ricevuto la notizia della morte. Non avevano la minima idea di dove fosse andato.

 

Tutti lo evitavano, imbarazzati, o forse intimoriti.

Del resto avrebbe voluto ammazzarli.

Non erano stati in grado di impedirlo, di aiutarla. Probabilmente erano in collera con lei per essersi fatta ammazzare così, e con loro stessi per averla lasciata sola.

Classiche paranoie. Nessuno avrebbe potuto restare vicino alla Buffy che aveva visto l’ ultima volta. Beh, forse Spike.

Ma non gli altri.

Comunque non riusciva a perdonarli. Avrebbero dovuto pagare. Avrebbe voluto perlomeno affrontare Giles, ma non ebbe la forza di infierire sul grigio bibliotecario inglese.

 

Jaine si rimise a sedere, soffiandogli in faccia il fumo. Angel non capì se stesse facendo di proposito o fosse solamente stupida, e si chiese se non fosse rimasta tutto il tempo distesa a fumare o ascoltare musica.

Daimon doveva aver fatto almeno due passi, visto che era abbondantemente bagnato.

“Tutto ok?” gli chiese.

La domanda gli parve così stupida, così inopportuna che lo fece letteralmente scoppiare.

Lo afferrò per il bavero trascinandolo fuori dall’ auto, sollevandolo di peso e scaraventandolo contro un vicino albero. Non aveva impiegato più di mezzo secondo per l’ intera operazione.

Era certo di essere in grado di ammazzarlo su due piedi, quali che fossero le sue risorse.

 

“Chi DIAVOLO sei?”

L’ uomo gli rise in faccia. Dietro di lui percepì del movimento. Jaine non era più sulla macchina, e non riusciva a capire dove fosse finita.

Una marea di allarmi gli squillavano in testa, ma decise di ignorarli. Daimon era sempre immobile, passivo, sollevato da terra di una spanna, eppure non mostrava alcun segno di paura.

“Ti sei risposto da solo, bastardo, ed adesso mettimi giù prima che Jaine sia costretta a strapparti le budella”

Si guardò prudentemente alle spalle.

Stavolta la vide, a meno di un metro da lui, alquanto diversa da come gli era apparsa prima.

Lunghi artigli metallici le spuntavano dalle dita, mentre il volto era irto di aculei sottili e molto acuminati. I denti, che prima erano leggermente limati, ora apparivano fauci aguzze pronte ad divorare le sue carni.

Riluttante, Angel obbedì. Non sapeva cosa avessero in mente, così si preparò ad affrontare una situazione potenzialmente pericolosa.

Daimon si scrollo di dosso invisibili granelli di polvere e si riassesto il vestito. Non sembrava affatto aggressivo.

“Era ora che mostrassi un po’ di grinta” esclamò in tono assolutamente neutro.

“Sai, Jaine aveva detto che eri senza palle, ma io volevo darti un po’ di fiducia”

La ragazza si fece avanti, mentre le punte aguzze rientravano nel suo corpo e lei riassumeva un aspetto umano.

“Complimenti, molto rapido” disse mentre gli stringeva con violenza. “Ma dovresti fare maggiore attenzione anche a noi ragazzine indifese”

Daimon prese la parola.

“Lascia che ti presenti al mia donna, la signorina Jaine Cutter, terrostista sovrannaturale, assoluta sostenitrice della superiorità della razza umana rispetto alle creature come te e me, nonché consorte satanica”

“Preferisco partner presidenziale” replicò lei con un sogghigno.

Angel pareva aver riacquistato il suo sangue freddo, nonostante la situazione paradossale. Decise di stare al gioco. Se quei due volevano continuare a giocare ai signori dell’ inferno, per lui non faceva differenza.

“Ma non è un controsenso?”

“Voglio dire, una nemica del sovrannaturale come regina dell’ inferno”

“Già, è quasi come aver sposato una repubblicana”

Angel e Daimon soffocarono una risata. Si trovavano ancora nel parcheggio di un cimitero, del resto. Jaine non condivise i loro riguardi e si lasciò andare in una risata sguaiata.

“In che rapporti eri con Buffy?” chiese subito dopo Angel a bruciapelo

“Finalmente arrivi al dunque, anche se ti ci sono voluti due giorni. Comunque ti capisco, un tempo ero così anch’ io ma poi il lavoro mi ha cambiato”

“Sai non è facile mandare avanti la baracca e…”

“Rispondi alla domanda”

“Conoscevo Buffy. E vorrei aiutarti a trovare quello che l’ ha ammazzata”

 

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La sagoma di gesso era così bianca e spaventosa.

Angel riusciva a malapena a fissarla.

“Poveraccia” disse Jaine “crepare così, come un cane, in mezzo alla strada”

“La conoscevo poco però mi piaceva” continuò “Nome a parte, s’ intende”

Willow, Giles e Xander si guardarono sbigottiti, poi tornarono a fissare Jaine. Erano qui su richiesta di Daimon, “consulenza geografica” secondo lui, anche se Angel non pensava fosse propriamente una buona idea. E poi la città la conosceva anche lui.

Sei stato via molto a lungo, gli aveva detto, così aveva capitolato, chiamando Giles, ma sperando che non si portasse dietro Willow, o almeno quell’ idiota di Xander.

Anche Daimon rivolse un’ occhiataccia alla sua donna, ma la ragazza non parve contrita più di un tanto.

Lui appariva al contrario molto concentrato, esaminando palmo a palmo la zona del delitto.

“Ci sono forti tracce di magia, qui”

“Che significa?” chiese Angel.

“Che ne sapremo di più tra breve, con un po’ di fuoco”

Scintille danzarono dapprima dai palmi di Daimon, poi lunghe e sinuose lingue di fuoco si protesero dalle sue dita artigliate, lambendo il terreno, addensandosi in luoghi precisi, fino a formare una figura. La definizione non era buona, si riusciva appena a distinguere una sagoma vagamente umana, a malapena, dato che altro non era che un ammasso imbrigliato di fuoco infernale.

Ciò nonostante la portata dei suoi poteri atterrì Angel, che si chiese una volta di più chi fosse quel tipo.

“Puoi fare qualcosa, vero?” chiese Daimon rivolgendosi direttamente a Willow.

“Forse posso migliorare l’ immagine, credo”

La strega si limitò a tendere la mano e a cantilenare sommessamente qualcosa. Poi i contorni divennero più netti, i limiti più definiti. Era indubbiamente un essere umano quello che sia andava formando, più precisamente una ragazza.

Angel sussultò, quando ne riconobbe l’ identità.

Jaine si limitò ad esclamare “Wow”

La figura camminava circospetta, dirigendosi verso il luogo del delitto, a passi ampi e rapidi, forse un poco ansiosi.

Stavano per rivedere la morte di Buffy.

 

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La ragazza di fuoco, simulacro della cacciatrice defunta, si avvicinò rapidamente alla sagoma tracciata sul selciato. Poi si arrestò cercando con lo sguardo qualcosa che non riusciva a vedere, scrutando con attenzione le tenebre. Tendendo le orecchie per cogliere un minimo rumore. Poi uno scatto improvviso, un accenno di schivata, una rovinosa caduta.

Una figura molto labile, appena accennata, pressappoco umana, si erse improvvisamente, vittoriosa, rigurgitata dall’ oscurità protettrice offertagli dai vicini cespugli.

Dalle posizioni delle mani si intuisce che stringe un fucile, puntato verso il basso, ma questo è invisibile. Non hanno udito lo sparo, ma ne hanno visto le conseguenze

Evidentemente la slayer si è accorta del pericolo un istante troppo tardi per schivarlo.

Il suo assassino ha previsto la mossa ed ha sparato all’ altezza del ginocchio per colpirla con maggior probabilità, con un ‘ arma a pallettoni tra l’ altro, per minimizzare il rischio di mancarla. Buffy giace a terra, stringendosi la coscia, guardando il suo assalitore negli occhi.

Le si può leggere il dolore sul volto, così come si possono notare piccole scintille di fuoco disperdersi dal suo “corpo”, forse a simboleggiare la copiosa perdita di sangue.

Ora la figura si accosta alla ragazza di fuoco, le punta il fucile invisibile alla gola, tira il grilletto.

Il viso della ragazza di fuoco esplode. Letteralmente.

Non si ode nulla.

Willow e Xander distolgono lo sguardo. Giles è pietrificato. Daimon invece sembra divertito.

L’ esecuzione è finita.

“Proprio un bello show”

parte tre: "Only the Good Die Young"

 

Sussurro rimase accovacciato, immobile, invisibile.

La pazienza era una delle sue migliori doti, e spesso, al pari della prudenza, gli aveva consentito di sopravvivere.

Non aveva previsto l’ entrata in scena di quel nuovo personaggio, e non avrebbe saputo dire se si trattava di una pedina o di un manipolatore, ma sapeva di non aver alcuna intenzione di incontrare il giovane principe dell’ inferno.

Era un imprevisto notevole, visto che stava per rivelare il segreto che aveva sperato di vendere a caro prezzo. Si chiese come l’ avrebbe presa il suo potenziale compratore.

Poi avvertì qualcosa di freddo sfiorargli il collo.

Poi più nulla.

La punta sottile della lama aveva reciso la sua vita.

Si accasciò senza un gemito.

 

+++++

 

La scena da incubo si ripeteva in continuazione, muta nel silenzio della notte ed agghiacciante nel suo ciclo senza fine di nascita e morte.

La visione della ragazza si dissolse in una cascata di scintille, solo per riformarsi ad alcuni metri di distanza, riprendere ad avvicinarsi al luogo del delitto e sfaldarsi nuovamente.

 

Daimon fronteggiava gli sguardi carichi di disapprovazione, dolore e rancore degli altri, esclusa Jaine naturalmente, che però ora sembrava preda di una strana eccitazione, per non dire vera e propria tensione.

Quanto a loro, poteva comprendere il loro dolore, ma della loro disapprovazione non sapeva proprio che farsene.

“Ebbene? Ancora non avete capito?”

Perplessi, gli altri si guardarono l’ un altro, gettando occhiate interrogative tanto ad Angel quanto a Daimon, che nel frattempo scuoteva, quasi divertito, il capo, mentre cercava le parole giuste per spiegare il tutto.

Poi non ci fu più il tempo per le spiegazioni.

 

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Una detonazione scosse l’ aria. Il simulacro di fuoco infernale fu attraversato da un proiettile, perse consistenza e venne distrutto.

“Maledetta puttana, lascia i miei sogni! Smettila di tormentarmi!”

Una cenciosa ma imponente figura si stagliò, emergendo dai cespugli a pochi passi da dove l’ apparizione dell’ assassino aveva aperto il fuoco. Stavolta però non si trattava di uno spettro.

Ignorando la piccola folla che aveva dato vita a quello spettacolo inusuale, balzò fuori dalle ombre e si diresse verso la sagoma dove ancora bruciavano gli sparuti resti del fuoco dell’ incantesimo ormai spezzato, farfugliando frasi senza senso e non trascurando di sparare qualche colpo nel terreno con il grosso revolver che stringeva nella lurida mano destra, quasi a voler alleggerire le poche, morenti fiammelle del peso della loro agonia.

 

Finalmente, lacerando la cappa di irrealtà che avvolgeva quel luogo, tanto la pesante figura quanto i suoi potenziali avversari si riscossero da quello spettacolo spiazzante ed imprevisto.

Angel si mosse per primo coprendo la distanza che lo separava dall’ assassino con velocità inimmaginabile ed investendo l’ avversario con la sua notevole mole, ma questi, sebbene sorpreso, riuscì in qualche modo a divincolarsi e fece fuoco a bruciapelo.

Il vampiro si scansò parzialmente e fu investito dalla pallottola al fianco, crollando a terra con un breve grido.

L’ assassino si guardò attorno stupefatto, vide il resto del gruppetto e sul suo viso passò un lampo di riconoscimento, subito seguito da una serie di improperi incomprensibili e da una raffica di colpi sparati a caso.

Willow abbozzò una difesa magica, ma la pallottola la attraversò senza fatica mancandola per un soffio. Daimon la gettò a terra intimandole di restarci. Gli altri non ebbero bisogno di ulteriori raccomandazioni per seguire il loro esempio.

“Merda, l’ arma di Capone. Quel dannato stronzo ci farà fuori tutti se non…”

Parve ricordarsi qualcosa di importante, o forse essere attraversato da un’ idea.

“Jaine! Jaine, vieni qui…”

Ma Jaine non si vedeva da nessuna parte.

 

+++++

 

 

Al riparo della siepe, Jaine strisciava, silenziosa ed invisibile.

Non produceva alcun suono distinguibile nella notte piena di respiri affannati, urla soffocate, interrotte dall’ assordante fragore di qualche sparo isolato.

Ogni tanto echeggiavano anche le insensate grida dell’ assassino, ora urla stridule, ora parodie di vecchie filastrocche, rese ancora più insensate dal suo delirio omicida.

Jaine non le sentiva, turbata dalle urla che le sconvolgevano la mente.

Anche per una combattente come lei, definita ‘terrorista’ tanto da angeli quanto da demoni, nonché attuale compagna del signore dell’ inferno i sensi di colpa potevano pesare come macigni.

 

L’ arma che minacciava di ucciderli tutti, la ‘pistola viva’, finita tra le mani di Al Capone negli anni ’30 e da lei ritrovata, le era stata rubata tempo prima, perché, timorosa che Daimon potesse impadronirsene, l’ aveva nascosta in un luogo che non si era poi rivelato tanto sicuro.

Ed ora era tra le mani di un assassino che aveva ucciso la slayer, forse condannando quella città, un uomo che lei aveva risparmiato quando aveva avuto l’ occasione di ucciderlo.

Patrick Guyon, poliziotto di N.Y. e fonte di perenni preoccupazioni per suo ‘marito’.

Preoccupazioni nate quando lo stesso Daimon lo aveva ‘forzato’ a rivelargli informazioni riservate sull’ omicidio dell’ amico Avram Siegel.

Il fuoco infernale gli aveva lasciato profonde cicatrici nella mente e nell’ anima, ed aveva perso il lavoro, gli amici ed il rispetto, diventando presto un pazzo assetato di vendetta manipolato dalla sorellina di Daimon, Satan, un succubo poco simpatico con cui avere a che fare.

Però lei lo aveva incontrato e sconfitto, mentre fratello e sorella si fronteggiavano in uno scontro che aveva visto vittorioso il nuovo signore dell’ inferno sull’ infida e tortuosa Satan.

Ma aveva avuto pietà per quell’ uomo, quella patetica pedina nei giochi fra inferno e paradiso, scorgendovi la immagine di lei stessa se avesse avuto meno fortuna.

 

Scosse la testa per concentrarsi. Guyon sparava come un disperato, spostandosi da un posto all’ altro, sempre molto velocemente. Era pazzo, ma non fino al punto da non riconoscere Daimon, altrimenti a quell’ ora sarebbe già finito in cenere, bruciato dalle sue fiamme.

Invece si teneva al coperto, accorto, sapendo che la sua arma aveva gittata maggiore ed era molto più precisa delle fiamme che l’ odiato nemico poteva scatenargli contro, ma non altrettanto potente.

Ciononostante nessuno poteva incassare una pallottola sparata da quella pistola, tranne lei, o almeno sperava che la sua corazza la proteggesse quanto bastava.

Attese. Attese. Attese.

Balzò fuori e colpì con la massima decisione, mentre i suoi artigli sferzavano l’ aria e una detonazione squassava la notte. Sentì la consistenza della carne di lui, un sottile strato di flaccido grasso a ricoprire i muscoli scattanti dell’ ex-poliziotto.

Ritrasse la mano destra sporcha di sangue non suo, ma la sinistra le tamponava una ferita nel fianco che sanguinava più copiosamente di quella che aveva provocato nel suo nemico.

La pallottola aveva colpito una delle parti in cui l’ armatura era più sottile, e da quella distanza l’ aveva trapassata.

Ondeggiò mentre le ginocchia le cedevano, cercando di mantenere l’ equilibrio e di affondare nuovamente gli artigli.

Guyon la guardò per un istante, prese accuratamente la mira, poi le sparò in faccia.

 

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“Vieni fuori, bastardo!”

“Ho la tua donna, e tra un’ istante le sparo in bocca! Non credo che abbia l’ armatura anche lì, che ne dici?”

Daimon non avrebbe saputo cosa rispondere.

“Guarda che l’ ammazzo”

Gettò una rapida occhiata fuori dal suo riparo verso Guyon, cercando di decidere il da farsi.

Poi un sorriso sardonico gli increspò le labbra e uscì allo scoperto.

Giles e gli altri, ancora attoniti, si sporsero cautamente per cercare di identificare la fonte del sorriso del demone con il quale aveva condiviso l’ improvvisato riparo.

Non videro nulla ma sperarono disperatamente che il loro strano alleato non fosse improvvisamente impazzito.

 

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Guyon puntò immediatamente l’ arma in direzione di Daimon, mentre con il braccio ferito sosteneva una svenuta Jaine Cutter, celandosi dietro la sua sagoma sottile.

Sapeva che avrebbe potuto incenerirli entrambi, anche da quella distanza, ma non avrebbe assolutamente potuto colpire solo lui.

Era certo che il signore dell’ inferno stesse valutando la possibilità di ammazzarli ugualmente, ma a lui bastava ancora un istante di incertezza, solo un altro passo per poterlo vedere bene, per farla finita una volta per tutte.

Poi, improvvisamente, urlò.

 

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Guyon crollò al suolo.

Un colpo forte ed inaspettato lo aveva raggiunto al ginocchio, mandando le ossa in frantumi.

Cercò di sollevare la pistola e di puntarla verso il misterioso aggressore, ma l’ arma gli fu strappata di mano con tremenda determinazione, mentre il calcio di un grosso fucile gli fracassava le costole.

Cercò di rialzarsi almeno parzialmente, e di guardare in faccia il suo nemico. Poi finalmente lo riconobbe.

“No! Io ti ho ucciso! Ti ho ucciso due volte!”

 

 

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E così era stata tutta una messinscena orchestrata da Buffy per salvare la pelle. E Spike l’ aveva aiutata.

Era stata una scena così surreale.

Vedere Buffy in piedi, di fianco al suo ‘assassino’ era stato piuttosto insolito. Spike era alla sua destra, un paio di metri più indietro, a sorvegliare la situazione.

L’uomo l’ aveva guardata con un misto di terrore e sbigottimento, poi lei gli aveva puntato dritto il faccia il fucile con cui lui aveva ucciso la sua ‘sosia’, l’ apparizione di cui avevano visto la traccia magica grazie all’ espediente di Daimon.

Aveva preso una manciata di proiettili ed aveva sibilato a Guyon :

“Questi li ho trovati nel tuo furgone”

Aveva caricato l’ arma con calma e fatto fuoco.

Un’ altra testa era esplosa quella sera, ma non era stata la sua.

Era stato così irreale assistere alla stessa scena di prima a ruoli invertiti. La violenza di quell’ atto sembrava così ‘finta’, artificiale, artefatta. Non certo una cosa realmente accaduta.

Daimon aveva sorriso ed aveva recuperato la pistola di quello strano tipo e l’ aveva bruciata, poi se n’ era andato con Jaine ancora semisvenuta.

Giles, Willow e Xander erano troppo scossi per dire e fare qualsiasi cosa, così si erano limitati ad andarsene alla spicciolata, sconvolti per l’ accaduto ma soprattutto per essere stati tenuti all’ oscuro di tutto. Chissà come Buffy avrà spiegato l’ accaduto ai suoi amici.

Quanto a me, beh, non c’ è molto da dire. La ferita non era poi così grave, anche se ho avuto fortuna. Quei proiettili potevano ferirmi come un qualsiasi umano, e c’ è mancato poco che non ci lasciassi la pelle.

Non ho mai perso conoscenza, ma le mie condizioni mi hanno impedito di partecipare all’ azione, riducendomi ad un mero spettatore.

Così Spike, con un irritante sorrisetto dipinto su quella sua dannata faccia strafottente, mi ha aiutato ad alzarmi e mi ha messo sulla sua macchina.

Era tutto gongolante che gli dovessi un favore.

Buffy invece non mi ha detto neppure una parola.

Volevo chiamarla al telefono, ma poi ci ho rinunciato.

 

Perché qualcosa non andava. Decisamente c’ era qualcosa di sbagliato.

Tutta quella storia era così strana e bizzarra. Ok, tutto quello che mi succede, tutte le persone che incontro sono bizzarre.

Ma, beh, non così tanto.

Buffy finge la sua morte per sfuggire ad un assassino. Non dice nulla ai suoi amici e sparisce per un paio di giorni.

Insieme a Spike.

Ufficialmente per sistemare il suo avversario, ma in realtà non riescono a trovarlo, ed intanto Hellstrom muove mari e monti per contattarmi.

E ‘casualmente’ solo la ricostruzione effettuata proprio da lui spinge il killer allo scoperto permettendo a Buffy di liquidarlo.

Che strana coincidenza.

 

E poi c’ è quel tipo, Sussurro, morto nel vicolo.

Non ho detto nulla, ho finto di non averlo riconosciuto, ma in realtà mi ero servito di lui, anche se a malincuore, in un paio di occasioni.

Cosa ci faceva acquattato in una siepe? Raccoglieva informazioni oppure era lì per venderle?

E chi l’ aveva ucciso?

Troppo comodo dare la colpa di tutto a Guyon, eppure gliel’ ho permesso. Forse così potrò fare qualche indagine per conto mio e cercare di capirci qualcosa in questa storia pazzesca.

 

Troppe coincidenze. Troppe davvero.

 

 

           

parte quattro: "Reptile"

 

Avevano svolto un sacco di ricerche.

Senza risultati però.

Per questo si era deciso a ricorrere ad un vero professionista. Per quanto gli piacesse giocare al detective non lo era e forse non lo sarebbe mai diventato. Occorrevano contatti, metodo ed esperienza. E paradossalmente mancava di tutti e tre, quantomeno al di fuori del ristretto ambito del sovrannaturale.

Donald R. Broadbent, ‘Donnie’ per gli amici, invece aveva tutti i requisiti adatti per essere un ottimo investigatore tradizionale, tranne la licenza, che gli avevano tolto in seguito all’ unico vero errore che avesse mai commesso in carriera.

Lo avevano beccato mentre nascondeva una pistola, l’ arma di un delitto, nella macchina di un sospettato. L’ aveva trovata accanto al cadavere della donna che stava cercando per conto della sua famiglia, e l’ aveva occultata prima dell’ arrivo della polizia.

Il suo ragazzo, un malavitoso, era sicuramente l’ assassino, ma non aveva trovato nessuna prova, così, su insistenza dalla famiglia, distrutta dal dolore e dalla perdita, aveva deciso di fabbricare qualcosa che sarebbe andato bene anche in tribunale.

Purtroppo era stato sorpreso, picchiato e denunciato, passando dall’ ospedale alla cella, evitando una pesante condanna solo per miracolo, al costo però della possibilità di esercitare la professione.

Più tardi aveva scoperto che i suoi clienti non erano i veri genitori della ragazza, ma erano stati pagati da una banda rivale per assumerlo e far sbattere in galere un concorrente senza esporsi troppo.

Ben gli stava. Non era stato abbastanza scrupoloso e si era messo nei guai.

Ora si arrangiava, compiendo lavoretti ‘in nero’ per altre agenzie investigative carenti, proprio come la ‘Angel Investigations’, sul lato pratico.

Ormai collaborava con metà delle agenzie della città, e guadagnava più di prima, ma aveva sempre tempo per Angel, uno dei primi ad offrirgli lavoro, anche se sempre di tipo che lui amava definire ‘piuttosto strano’.

 

Donnie scese dalla macchina, avvicinandosi velocemente. Era un tipo di mezz’ età, un po’ soprappeso, perennemente in leggero ritardo eppure costantemente di fretta. Ma era sempre puntuale con il lavoro, e, cosa ben più importante, trovava sempre qualcosa, sempre che ci fosse qualcosa da trovare. Aveva amici in metà dei distretti della città, e così tanti crediti da riscuotere da aver agganci in quasi tutto lo stato.

 

Si vedevano al parco, al calare del sole, solitamente. Sicurezza per entrambi, all’ apparenza, anche se in realtà Angel era l’ unico fra loro a preoccuparsi, più che altro per lui, per evitare di invischiarlo in cose ancora più strane. E pericolose.

 

“Ciao. Trovato qualcosa?” Il vampiro non si sentiva affatto in vena di convenevoli quella sera.

“Ben poco a dire il vero”

Gli passo un sacchetto di carta marrone. All’ interno c’ erano un paio di tascabili, due o tre riviste arrotolate, ed un breve rapporto dattiloscritto.

 

“Ho trovato un nome. Ti dice niente Anton Levine?”

“Dovrebbe?”

“Non so. Devo fare altre indagini. Credo che farò un salto a Sunnydale. Mi sembra che tu abbia detto di esserci stato. Com’ è il mare da quelle parti?”

“Non meglio di qui. E fa attenzione, è un posto pericoloso”

“Lo terrò a mente. Se tutto va bene ti manderò il prossimo rapporto, più dettagliato, fra un paio di giorni”

 

Angel sperava davvero di risentirlo.

 

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Rapporto preliminare

La ricerca, pur condotta su una notevole mole di materiale riguardante entrambi i soggetti, non ha evidenziato, sulle prime, nessun tipo di collegamento fra di loro. Tuttavia un più profondo livello d’ analisi ha consentito di evidenziare un punto di contatto fra i soggetti nella figura di Anton Levine, noto occultista nonché portavoce e fondatore della maggiore organizzazione satanista della città, individuo dagli stretti e ripetuti contatti con Hellstrom, ed il cui nome compare anche in un paio di verbali della polizia insieme a quello di ms Summers.

Sono in corso ulteriori indagini per stabilire l’ effettiva esistenza di un legame od addirittura di una conoscenza diretta fra i due, tuttavia pare possibile ricostruire i reciproci contatti.

Allegati a questo rapporto preliminare si trovano sia i testi dei due verbali che uno stringato rapporto informativo sulle attività di mr Levine, corredato con i dati più attendibili circa i suoi rapporti con Hellstrom.

 

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Anton Levine era il capo della Chiesa di Lucifero e principale contatto di Daimon con i suoi adoratori umani. Quarant’ anni circa, due lauree, una in economia e marketing e l’ altra in tradizone e folklore, Levine era rimasto più volte implicato in un numero incredibile di vicende sospette, da reati contro il pudore ad interrogazioni parlamentari per far ritirare dal commercio alcune opere che lo vedevano coinvolto come autore, consulente od editore.

Paranoico, ipocondriaco ed inaffidabile, era dotato comunque di un carisma considerevole, che aveva reso la sua organizzazione la più grande setta satanica del mondo, con pubblicazioni regolari, una sede e varie filiali riconosciute. Il fisco aveva un dossier di migliaia di pagine e gli aveva più volte contestato decine, anzi centinaia di infrazioni, senza mai riuscire a condannarlo.

Evidentemente era riuscito a far fruttare la sua laurea in economia.

 

Chiuse il conciso rapporto di Donnie, ed iniziò a sfogliare “Messia Satanico” la rivista bimestrale organo ufficiale della ‘Chiesa di Lucifero’, una pubblicazione sorprendentemente innocua, trattando principalmente di temi pseudofilosofici edulcorati dagli aspetti più complessi. Potere, denaro e sesso erano gli obiettivi di ogni satanisti che li perseguiva con entusiasmo attraverso un massiccio ricorso ad individualismo ed egoismo; ed erano propinati attraverso quel giornalaccio come una recente conquista esclusiva della loro ‘fede’ quando, come sapeva bene, erano diffusi ben al di fuori di quel contesto tanto riduttivo quanto ridicolo.

 

Angel gettò sul sedile accanto a quello dal guidatore, insieme al resto del materiale, il tascabile che stava sfogliando “Satana ti guarda- Elementi simbolici del satanismo nelle religioni antiche” di A. Levine. Il libercolo spacciava per profonde analisi antropologiche , linguistiche e teologiche la solita aria fritta che aveva letto ormai in tutte le salse. Era incredibile come fossero ingenui i fedeli che si bevevano quella roba.

 

Un uomo calvo e magro, dalla carnagione scura e dal passo incerto, si avvicinò alla porta di casa. Angel lo riconobbe senza sforzo anche nell’ oscurità della stradina, osservandolo con attenzione scrutare nel buio che avvolgeva la sua postazione prima di entrare in casa. Il suo volto, vagamente mefistofelico grazie al pizzetto ben curato ed alla particolare conformazione delle sopracciglia, dovuta probabilmente al trucco e magari ad una piccola operazione di chirurgia plastica, non tradì nessuna emozione. Angel era sicuro che non sospettasse minimamente la sua presenza, semplicemente la sua innata paranoia lo spingeva ad essere sospettoso per natura. Attese ancora alcuni istanti, poi scese silenziosamente dalla macchina di Spike, che non gli aveva ancora riportato.

 

La casa si trovava all’ interno di un quartiere residenziale di San Diego, un posto di classe, tranquillo, dove sicuramente non accadeva mai nulla di strano e la gente lasciava la porta di casa aperta, sentendosi sicura che le forze di polizia profumatamente incentivate dai residenti fossero in grado di garantire loro pace e tranquillità.

Normalmente sarebbe anche stato così, ma lui non era un delinquente comune, e aveva appreso diversi metodi per evitare di farsi notare eccessivamente, soprattutto quando transitavano, tronfie ed arroganti, le auto delle forze dell’ ordine.

La casa sembrava assolutamente normale, unici elementi particolari erano le pesanti inferriate alle finestre, anche a quelle del primo piano, e la robusta porta blindata.

Evidentemente malgrado la sicurezza che ispirava il quartiere Anton non si sentiva poi così protetto.

La porta non sarebbe stata un problema, l’ invito, invece, era un’ altra storia.

Non importava, avrebbe atteso tutto il tempo necessario, anche a costo di passare giorni in attesa.

Poi avvertì una strana sensazione. Alcuni leggeri fregi, un po’ pacchiani in verità, così ben mimetizzati all’ interno di decorazioni di stile vittoriane sul fronte della casa, erano in realtà evocazioni sataniche piuttosto sottili. E potenti.

Si interrogò sulla loro funzione per qualche secondo, poi capì che si trattava di una specie di protezione contro gli interventi di angeli ed altri agenti celesti.

Questo gli diede un’ idea. Fece il giro del palazzo, sistemandosi accanato alla porta sul retro, anch’ essa blindata, ed iniziando a lavorare sulla serratura, in realtà piuttosto semplice per una porta così robusta. Le sue dita ed il suo udito erano decisamente più sensibili di quelle di un essere umano, e durante la sua vita come reietto aveva avuto modo di affinare tali doti in più occasioni. Del resto, mentre i suoi simili raramente erano costretti a forzare serrature, tenuti all’ esterno delle abitazioni delle loro potenziali vittime da un ben più efficace vincolo invisibile, quell’ invito di cui avevano di norma così disperatamente bisogno, lui aveva dovuto fare di necessità virtù, cercando spesso di rubare denaro e generi di prima necessità dalle dimore di demoni ed altri vampiri in cui poteva entrare liberamente, e che erano quindi difese solo da tradizionali serrature, che molto spesso non si prendevano neppure la briga di controllare.

 

La serratura scattò con un leggero clic.

 

La casa di Anton Levine denotava un buon gusto inaspettato per l’ opinione che si era fatto sul suo proprietario. Entrò, congratulandosi della sua intuizione. Un’ invocazione demoniaca fungeva sicuramente da invito, purché non fosse troppo specifica.

Salì le scale in silenzio, verso la camera da letto, o forse lo studio, unica stanza in cui la luce era rimasta ancora accesa ed in cui percepiva movimento.

Assaporava ogni istante.

Quelle situazioni lo riportavano con la memoria a secoli prima, quando non era una marionetta i cui fili venivano mossi da due diversi burattinai spesso in disaccordo fra loro, di quando non era in balia di quell’ opprimente coscienza che pareva castrare ogni sua iniziativa.

 

Scaccio quei pensieri con fastidio. Per quanto la sua esistenza demoniaca potesse essere stata esaltante, anche solo ricordarla in quei termini gli appariva blasfemo.

Doveva pensare alla missione. Doveva prendere Levine e portarlo fuori, dove avrebbe potuto interrogarlo con comodo.

Non aveva visto nessuno entrare oltre alla sua vittima designata, ma trattandosi di una persona così legata al sovrannaturale non poteva certo escludere con certezza imprevisti di vario genere.

Prudenza ed adattabilità. Queste erano le qualità più utili in una situazione del genere.

 

Era quasi arrivato. Scacciò ogni pensiero cosciente, ‘immergendosi’ nella situazione. Il suo volto cambiò, assumendo le consuete sembianze di vampiro. I suoi passi divennero leggeri, estremamente silenziosi mentre saliva gli ultimi gradini e si accosta alla porta socchiusa.

Colse l’ occasionale fruscio leggero degli abiti, ed un altro, più persistente, che non seppe subito riconoscere. Era una penna che scorreva sulla carta. Aveva dato per scontato che l’ uomo utilizzasse un computer, per scrivere, a meno che quella che stava compilando in piena notte non fosse la lista della spesa. Ciò lo avrebbe sorpreso se vi si fosse soffermato coscientemente, invece scivolò via, sulla superficie liscia della sua consapevolezza, un’ altra informazione registrata ed accantonata per non opprimere le sue facoltà mentali, ma pronta all’ uso qualora si fosse rivelata vitale.

 

Socchiuse impercettibilmente la porta. Le mani sensibili potevano cogliere le vibrazioni dei cardini prima che diventassero cigolii, evitando così ogni rumore che potesse tradirlo.

Erano anni che non era più così prudente ed attento, ma non avrebbe saputo dire perché ora si comportava così. In realtà non credeva che Levine fosse una minaccia. Forse era un mago, uno stregone, ma era certo di poterlo neutralizzare velocemente.

Forse aveva soltanto paura di Daimon.

In quel caso non poteva che darsi ragione. Hellstrom era chiaramente molto potente, e gli dava i brividi.

Scivolò all’ interno della stanza, attraverso la porta aperta quel tanto che gli bastava per passare. Anton era di schiena, ancora intento a scrivere in quel modo così antiquato, come avrebbe fatto lui, del resto, anche se in realtà preferiva le stilografiche alle penne a sfera.

Colmò la distanza che lo separava dalla sua vittima con pochi, rapidi e silenziosi passi.

Appoggiò le mani sulle spalle di Anton Levine facendolo trasalire e ruotandolo con rudezza.

“Dobbiamo parlare”

 

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Il fascio di luce illuminò il vasto ambiente, le finestre ampie, oscurate dai pesanti tendaggi vermigli, posandosi per frazioni di secondi sugli antichi mobili eleganti, in stile vittoriano, che arredavano con gusto non scevro però da una certa supponenza quella dimora fuori città.

La casa era un mattatoio.

Sangue ovunque, sui muri, sui pavimenti, sulle finestre, sulle scale.

L’ odore le giungeva ad ondate, un puzzo insostenibile alternato a momenti di deprivazione.

La nausea montò, crebbe, e solamente a fatica represse un conato di vomito. Continuò a muoversi con la massima attenzione, ma non riuscì a schivare le pozze di liquido scuro e per poco non scivolò nel sangue.

Dio, quanto ce n’ era.

Vide le sue mani scosse da un tremito incontrollabile, mentre il fascio di luce iniziava ad ondeggiare e la pistola diventava sempre più pesante tanto che per poco non perse la presa. Continuava a dirigere il fascio di luce ad ogni svolta, ad ogni nuovo angolo, ma ogni istante rendeva i suoi occhi meno acuti, la sua mira meno accurata e le sue mani meno ferme.

Una voce ruppe il silenzio.

“Cristo…” Era la sua.

Tre uomini giacevano, armi in pugno, vicino alla porta, uno con il torace crivellato da colpi di arma da fuoco, gli altri uccisi con un’ arma da taglio. Li oltrepassò cercando di non guardarli in faccia ed iniziò a salire le scale. Percorse pochi scalini, poi si imbatté in un altro cadavere, quello di una giovane donna.

I lineamenti raffinati erano contorti dalla paura, gli abiti costosi ed eleganti, molto formali ma un tantino antiquati, chiazzati di sangue non suo. L’ unica ferita era un profondo squarcio sulla gola, provocato da una lama affilata.

Dovette appoggiarsi alla ringhiera per passare senza spostare il corpo, ma quando ritrasse la mano la trovò sporca.

Rabbrividì e continuò a salire. Ora c’ era meno sangue, ma più caos.

Oggetti in frantumi e mobili rovesciati d’ dappertutto, porte sfondate.

Poi lo vide.

Una figura minuscola.

Forse nove, dieci anni.

Il bambino aveva uno sguardo vacuo, mentre con le piccole dita artigliava il parquet in legno nel tentativo di sfuggire al suo destino.

La grossa lama lo aveva inchiodato al pavimento, trafiggendolo alla schiena, plausibilmente sfondandogli il cuore.

La torcia cadde a terra con un tonfo sordo, rotolando sul tappeto fino al cadavere, fermandosi contro il suo corpo.

Ora il fascio di luce era tinto di rosso cupo, la lente lordata da schizzi cremisi.

Sentì le grida capendo solo alla fine di esserne la fonte, e si piegò in due vomitando sul pavimento. Cercò di rialzarsi, respirò a fondo e si mise le mani nei capelli.

 

Il mondo divenne opaco, ovattato.

Si accorse di avere ancora le mani macchiate e cercò di ripulirle nei pantaloni scuri che portava.

Erano strani, sembravano… ecco, far parte di un divisa.

Non era molto, ma era qualcosa.

La scena perdeva definizione così in fretta, sembrava volerle sfuggire di proposito, con la stessa forza con cui l’ aveva assalita.

Cercò di rimanervi aggrappata disperatamente, aveva bisogno di altri elementi, ma ormai era finita. Non condivideva più le sensazioni con la donna, ormai sembrava una spettatrice distaccata di quegli eventi tragici, non più la protagonista di quel viaggio nella follia.

La vide confusamente prendere qualcosa dalla cintura e parlarci dentro, senza distinguere che una manciata di sillabe sconnesse, ma almeno riconobbe il gracchiare della radiotrasmittente.

Si concentrò, doveva scoprire qualcosa che l’ aiutasse, era importante rintracciare quel posto.

Se avesse visto almeno a quale distretto apparteneva quell’ agente.

Non ci riuscì. La visione si dissolse lasciandola spaesata.

Era stata molto intensa, troppo forse.

Era così strano essere qualcun altro. Condividerne le sensazioni, le emozioni, senza tuttavia sapere nulla di lui. Ci si trova sbalzati nella testa di un’ altro, sentendo tutto quello che provava, senza aver comunque nessun tipo di memoria. E poi d’ un tratto tutto cambia, e inizia il distacco, i sensi si separano e si riacquista la coscienza della propria identità, finendo per assistere a qualcosa di molto simile ad un bizzarro film negli ultimi istanti del contatto. Una proiezione nettamente distinta prendeva in breve il posto di un’ esperienza individuale.

La vista e l’ udito di solito continuavano più a lungo a fornirgli informazioni preziose, mentre gli altri sensi, più viscerali, l’ abbandonavano prima, consentendole di recuperare la sua identità più in fretta.

 

Cordelia non sapeva nulla della donna, tranne che probabilmente si trattava di una poliziotta, forse il primo agente ad arrivare sulla scena del delitto, ma era certa di doverla rintracciare. Raramente le sue visioni erano così pervasive, senza contare che non avrebbe dimenticato facilmente quello che era successo in quella casa, le emozioni che aveva provato, seppure attraverso qualcun altro. Desiderò che Angel fosse lì, ad aiutarla, ma era lontano, intento ad indagare perversamente sui segreti della sua ex.

 

Doveva cavarsela da sola, e poteva contare solo su una manciata di indizi, e sull’ atrocità del crimine, sempre che fosse una visione del presente o del passato, e non del futuro.

 

La collera montò in lei, facendola andare in bestia. Non aveva mai avuto alcuna intenzione di occuparsi di mostruosi omicidi, tanto più di farlo da sola. Non voleva neppure quel maledetto lavoro alla fine, e neppure quelle schifose visioni.

Ma ormai era troppo tardi e sapeva di dover esorcizzare quell’ ultima esperienza, di doverne venire a capo in un modo o nell’ altro, o non ne sarebbe mai più uscita, rimanendo prigioniera di quel ricordo infernale per tutta la vita.

Corse a chiamare Wesley.

La ricerca doveva iniziare al più presto.