HATRED

AUTHOR:THE FIERCE

 

 

HATRED

 

I Taste your blood , as it showers from my blade.

I eat your heart, from evil it was made.

With heart filled hatred black blood runs thruogh

my veins.

I take your powers to the ancient ones who reign.

 

I conquer evil, let evil know my name.

Come forth ye wicked, know the gruesome pain.

I am the omen, the one that cannot die

I am the flame, hatred burns inside.

 

My strenght is hatred, torment and pain. HATRED, HATRED

With heart filled hatred black blood runs thruogh my veins.

 

I crush your bones, I kill your face

I rip your flesh, I end your the chase

You meet with terror, you draw the ace

I rule the world the rats that race.

 

My strenght is hatred, torment and pain. HATRED, HATRED

With heart filled hatred black blood runs thruogh my veins.

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I bastoni guizzavano nell’ aria descrivendo traiettorie sinuose mentre il loro fischio acuto assumeva la forma di sottili spirali metalliche sospese nell’ aria, come a tracciare sottili reticoli scintillanti agli occhi dello sciamano, così assorbito dal combattimento da essere cosciente del mondo sensibile solo marginalmente, immerso in una dimensione puramente istintuale, istinti non innati, ma nati da strenui allenamenti e innumerevoli scontri.

I due uomini si fronteggiavano attraverso le retine delle loro maschere da scherma, unica protezione che indossavano eccettuati i pesanti guanti da hockey indispensabili per salvaguardare le fragili articolazioni delle mani dai corti bastoni in rattan che entrambi impugnavano, uno per ogni mano.

Questi semplici attrezzi (lunghi circa 60-70 cm, dritti e dal diametro costante) rappresentano, per un Dog Brother, la quintessenza del corpo a corpo, trattandosi forse dell’ arma più semplice e versatile, il cui maneggio poteva essere applicato con successo quasi ad ogni tipo di arma corta, e che teoricamente poteva essere ricavata dai più svariati oggetti di uso quotidiano. Queste persone si riuniscono periodicamente nei parchi delle grandi città della California per affrontarsi in scontri brutali, senza regole, tollerati dalle forze dell’ ordine pur essendo, tecnicamente, illegali. Diversamente dai combattimenti clandestini però non c’ è un pubblico a sbraitare, ad agitarsi e a spendere, non c’ è denaro in palio, e nessuna ricerca di spettacolarità, nessuna durata minima per non deludere gli spettatori. L’ unico pubblico sono gli stessi membri di questa famiglia, fanatici della lotta, che osservano in silenzio ogni scontro, che accolgono ogni combattente entri nel cerchio, che scelgono l’ avversario con un cenno della testa. Poco importa loro vincere o perdere, la vittoria è solo la naturale conseguenza di un incontro ben condotto, la meta naturale di ogni combattente.

Osservandoli prima di iniziare lo scontro, lo sciamano si era sentito fra suoi pari, tutti esperti lottatori di età compresa tra i venti ed i cinquant' anni, riunitisi, quel giorno come molti altri, in un parco di Frisco, per combattere ed assistere ad altri duelli.

Il Dog Brother si muoveva in circolo, spostandosi, parando e attaccando in continuazione, mentre le sue corte armi si muovevano flessuose, in ogni direzione, all’ apparenza più simili a fruste che a solidi bastoni di legno, solidi abbastanza da frantumare il cranio di un uomo in singolo colpo. Lo sciamano si muoveva di riflesso, in modo speculare, descrivendo traiettorie bizzarre ed imprevedibili da opporre agli schemi perfetti ma più tradizionali del suo avversario. L’ uomo affondò, quasi a saggiare i riflessi dell’ oppositore, mentre le sue armi descrivano due archi distinti, mirando sia al polso che al capo dello sciamano. Questi rispose avanzando inaspettatamente diagonalmente, intercettando i bastoni dell’ avversario da un’ angolazione imprevista, facendoli rimbalzare indietro, in modo inutile, mentre i suoi salivano a colpire il viso e il fianco. Il Dog Brother fu svelto a balzare indietro, reclinare la testa ed inarcando la schiena, evitando così il fendente al capo, ma non quello al torace. Sussultò, anche se solo per un istante, ed in più, sbilanciato, non potè evitare il fendente di ritorno dello sciamano, un attacco circolare dall’ alto al basso che lo colse al polso, disarmando la sua mano destra.

L’ uomo si gettò indietro, passando l’ arma da una mano all’ altra, ma prima che avesse terminato il movimento era già stato raggiunto da due fendenti diagonali, al gomito e al ginocchio, subito doppiati da due colpi alla testa. Crollò al suolo, stordito, e togliendosi subito la mascherina e cercando di riprendere fiato, rivelando un profondo taglio sullo zigomo ed una grossa tumefazione sulla fronte.

Lo sconfitto alzò gli occhi verso lo sciamano, che non si era tolto la maschera, e che protese la mano per aiutarlo ad alzarsi. Sul viso dell' uomo non c' era traccia di livore, o risentimento, anzi, parve scorgervi una traccia di felicità.

"Complimenti amico, me le hai suonate davvero alla grande"

Lo sciamano non rispose prestando poca attenzione alla frase, e, dopo aver rivolto un cenno di saluto all' avversario e agli altri, si allontanò uscendo dal cerchio.

 

La figura alta e massiccia, dal profilo possente, uscì dal suo scomodo riparo dalla pioggia, pronto a seguire finalmente la preda, appena riemersa dall’ antro fumoso, oscuro e rumoroso in cui si era rifugiata. Malgrado la sua predilezione per il sangue giovane, Nicolai non si era mai adattato a seguirli nelle loro bizzarre peregrinazioni notturne, e solitamente preferiva attenderli fuori. Tuttavia la pioggia e la lunga attesa avevano contribuito ad esaurire le sue pur notevoli riserve di pazienza, spingendolo a muoversi con eccessiva fretta, tanto che la giovane coppietta che seguiva dovette accorgersi quantomeno di una presenza poco rassicurante, visto che smise di ridacchiare ed affrettò il passo. O forse si trattava semplicemente del clima inquietante che si respirava a Sunnydale.

Nicolai ghignò sinistramente. Non faceva molta differenza. Allontanandosi stupidamente dai luoghi affollati erano comunque in mano sua, ameno che non accadessero eventi straordinari, ed in quel caso sarebbe stato inutile recriminare.

Accelerò il passò, tenendosi comunque fuori vista, e aggirò le sue prede, decidendo di tagliare loro la strada.

Preferiva godersi l’ esplosione istantanea del loro terrore piuttosto che far crescere la paura poco a poco, a differenza di molti dei suoi simili che godevano nel far soffrire le loro vittime portandoli lentamente dall’ inquietudine all’ ansia, per passare poi alla paura, ed infine arrivare al terrore, aprendo di volta in volta nuove porte, innalzando poco per volta la soglia della loro paura fino a limiti che anche la scena più agghiacciante non avrebbe potuto scatenare. Ma lui aveva imparato l’ arte della prudenza, che in una città come quella non era certamente pratica da ignorare. Lì viveva la cacciatrice, dopotutto.

I giovani voltarono l’angolo, trovandosi di fronte alla monumentale sagoma di Nicolai, fermo immobile in mezzo alla strada, il volto deformato dal ghigno demoniaco dei vampiri.

Il ragazzo tentò una coraggiosa reazione, spingendo lontano la compagna, e balzando verso il mostro, che lo sovrastava di almeno una testa, e doveva pesare almeno 30 chili di più. Benché sorpreso da una tale manifestazione di ardore, Nicolai non si fece cogliere impreparato, ma scartò di lato con insospettabile agilità per un uomo della sua notevole stazza, spinse il giovane contro il muro e lo afferrò per la testa, inarcandogli al contempo la schiena all’ indietro, mentre lo spingeva contro il muro premendo poco sopra le reni. Con lo stesso, agghiacciante suono di rami che si spezzano per il gelo, così le vertebre della sua colonna vertebrale saltarono una per una.

“Cheryl…”

Boccheggiando per il dolore non potè dire altro prima che Nicolai scaraventasse il suo corpo inerte contro la ragazza, rimasta paralizzata dalla violenza dell’ aggressione. Tentando disperatamente di districarsi da sotto quel groviglio di membra, Cheryl cercò di alzarsi, di fuggire, mentre Nicolai si faceva sempre più prossimo.

Poi, improvvisamente, a pochi passi da lei, l’ avanzare lento ed inesorabile del mostro si interruppe bruscamente, e sul suo volto si dipinse un’ espressione di sorpresa mista a terrore. Un fiotto di sangue inondò Cheryl, che dapprima non si rese neppure conto della sua provenienza. Solo dopo aver osservato bene la situazione si accorse che quel sangue non era suo, e neppure di Johnny. Proveniva invece dall’ arteria femorale del mostro, ancora in piedi, immobile nonostante un profondo squarcio nella coscia.

Fu allora che comprese la causa della sua immobilità.

Un’ ombra molto più piccola si staccò dall‘ oscurità, emergendo letteralmente da dietro la figura del vampiro. Nella mano destra stringeva una grossa lama, un coltellaccio o forse addirittura un machete, conficcato in profondità tra la clavicola ed il collo del mostro. Il bracco sinistro, di cui si intravedeva solo il gomito ripiegato dietro la schiena del vampiro, doveva stringere un’ arma non dissimile, con ogni probabilità conficcata appena sotto le costole di Nicolai, nei muscoli lombari, poco sopra le reni. Le due ferite, inferte con differenti angolazioni, trattenevano forse il mostro dal muoversi, impedendogli di fatto qualsiasi movimento, bloccandolo lì, come una colossale vittima sacrificale, piuttosto che come il letale predatore che le era apparso fino a pochi attimi prima.

A Cheryl sembrò di udire una specie di tetra nenia, poi notò gli occhi della piccola ombra, finendo catturata dal magnetico sguardo che emanavano. Si alzò lentamente, accostandosi all’ uomo, vestito in modo impeccabile e dal viso sognante, che a fianco di quel gigante appariva poco più che un insignificante ometto.

La bizzarra figura le disse qualcosa e lei non potè che obbedire. Per un breve attimo perse conoscenza, agendo come una sonnambula, o in trance, o forse in preda a qualche droga.

Quando si riprese, probabilmente solo una manciata di secondi più tardi, aveva il viso e le mani imbrattate di sangue, e stringeva nella destra un coltello, piccolo ma molto affilato, di cui non conosceva la provenienza. In bocca aveva qualcosa, qualcosa dal sapore disgustoso. Provò a sputare, ma, obbedendo ad un impulso improvviso stava già deglutendo. In quel momento ricordò cosa era avvenuto in quel suo breve vuoto di memoria, e la usa anima, non la sua bocca paralizzata, eruppe in un grido di disgusto.

Poi tutto si fece nero.

 

Il sequestratore si avvicinò guardingo alla finestra sbirciando da sopra la spalla di una giovane impiegata del municipio, spostandosi in continuazione. La paranoia che aveva generato quella situazione ora lo manteneva in vita rendendo così più difficile il lavoro delle squadre swat.

Cinque persone si trovavano in un piccolo ufficio nella sede del municipio di L.A., dal quale un pazzo teneva in scacco le forze dell' ordine ed in ostaggio tre ex colleghi e l' assessore alle tematiche sociali, una signora anziana dall' aria vagamente stupida.

L' uomo, un impiegato sui trenta di nome Bill Feldon, un individuo con turbe psichiche sottovalutate per troppo tempo da amici e famigliari, si appiattì improvvisamente contro il muro, strattonando l' ostaggio e spingendo la ragazza nella posizione da lui occupata fino ad un istante prima. La detonazione scardinò la porta ed investì in pieno la giovane, che rimase quasi decapitata da un grosso frammento del massicco battente metallico.

Un istante dopo il primo poliziotto irruppe nella stanza cercando con lo sguardo il bersaglio fra il fumo denso che si era alzato. Il sequestratore fece fuoco con la mitraglietta semi-automatica che chissà come si era procurato, raggiungendo l’ agente con una raffica breve di tre colpi al petto, scaraventandolo indietro attraverso la porta sfondata, bloccando inavvertitamente i suoi inseguitori.

Feldon si lanciò attraverso il corridoio nel futile tentativo di seminare gli inseguitori, udendo nel medesimo istante una finestra infrangersi dietro di lui. Estrasse dalla tasca un piccolo oggetto di forma approssivamente sferica, vi armeggiò per un breve istante, dopodichè se lo lanciò dietro le spalle, verso la stanza degli ostaggi. La piccola granata cadde sul pavimento con un piccolo tonfo, inavvertibile con il boato della detonazione della porta ancora nelle orecchie. Tuttavia, in qualche modo, l' agente Ray Singer, il nuovo membro della squadra, il novellino appena entrato dalla finestra, si accorse della bomba e, con una prontezza di riflessi notevole, la calciò lontano, rispedendola al mittente.

William P. Feldon perse la vita nel crollo causato dall' esplosione della granata che lui stesso si era lasciato dietro.

 

L’ assassino sorrise.

Il mondo parve diventare più vivido, man mano che il potere fluiva in lui con la forza di un torrente in piena. Gli parve di non aver mai vissuto pienamente fino ad allora, racchiuso in un bozzolo, più limitante che protettivo, bozzolo che solo ora si apprestava a squarciare.

Ma fu solo la sensazione di un attimo. Poi la realtà tornò a farsi opaca, nonostante i disperati tentativi dell’ assassino di aggrapparsi alla nuova consapevolezza che aveva sfiorato.

Poi l’ euforia lasciò il posto alla disperazione.

Per quanto si sforzasse, per quanto i suoi rituali divenissero sempre più sofisticati non riusciva mai a raggiungere la sua meta. Non bastava rafforzare lo spirito delle sue vittime unendolo a quello di qualcun altro, prima di divorarne l’ anima e il corpo, ma doveva trovare qualcuno forte abbastanza da portarlo stabilmente allo stadio che tanto agognava.

Poi ripensò al luogo dove il fato lo aveva condotto, e la disperazione fu sostituita dalla speranza. Presto avrebbe camminato insieme agli dei.

Prima di diventare tanto forte da divorare anche loro.

 

Lo spoglio corridoio del distretto puzzava di sudore stantio.

“Credo che tu abbia capito che non distribuiranno medaglie per questa operazione, vero?”

Ray Singer sussultò. Non si era accorto della presenza dell’ uomo in piedi accanto a lui. Sulla quarantina, era molto più basso di lui, leggermente sotto la media, ma solido pur senza essere soprappeso. Ma quello che colpiva di lui era la sua sicurezza, quasi arroganza, ma non a tal punto da essere ostentata.

“Thomas Blackmore, FBI” L’ agente si sedette di fianco a lui, su uno dei consunti sedili in vinile allineati contro una delle pareti.

“Cosa?” Fu tutto quello che Ray riuscì a dire.

“Penso che tu ti sia fatto un’ idea di cosa sta accadendo la dentro” Indicò l’ ufficio del capitano, alla fine del corridoio. “Stanno cercando febbrilmente una soluzione per il loro problema”

“Pare” continuò imperturbabile “che l’ assessore abbia criticato la scelta di intervenire con la violenza, abbandonando le negoziazioni con quel Feldon”

“Ma se si tratta dell’ unica decisione sensata presa dal dipartimento?”

Era vero. L’ incompetenza degli altri membri della squadra swat lo aveva lasciato allibito. Si era aspettato di trovare dei duri, dei professionisti, invece aveva trovato degli sprovveduti con un fucile in mano. Durante le esercitazioni aveva ottenuto dei punteggi quasi doppi rispetto alla media del gruppo, sia nei tempi di reazione che nel tiro, ma aveva pensato che l’ esperienza sul campo riequilibrasse la situazione, in missione. Invece le differenze si erano accentuate. Il piano era pessimo, la coordinazione fra le due squadre, quella che doveva entrare dalla porta e la sua, che doveva passare dalle finestre, praticamente nulla. I suoi colleghi erano tesi, eccessivamente nervosi, ed avevano sbagliato. Un piccolo errore e tutti avevano perso la testa. Se non fosse stato per lui ci sarebbe stata una carneficina.

Eppure avrebbe preso lui la colpa.

“Questo lo sappiamo bene entrambi. Feldon non si sarebbe mai arreso e nessun ostaggio sarebbe mai uscito vivo di lì, se non foste intervenuti, ma non si può certo dire che si sia trattata di un’ operazione impeccabile”

“Il capitano è la dentro, insieme al tenente responsabile della tua squadra, e sai cosa a stanno pensando?”

Singer non rispose, continuando a fissare un punto davanti a lui.

“Pensano a come mettertela nel culo, ecco cosa pensano, anche se sei senza dubbio il miglior agente mai entrato in quell’ unità di falliti che è la swat di L.A. negli ultimi cinque anni”

“Venga al dunque, agente” ringhiò Singer, al limite della sopportazione.

Blackmore gli stava dicendo la verità, ne era ben conscio, ma sentirsela sbattere in faccia così era troppo. Non era giusto, aveva dedicato la sua gioventù al paese, e veniva scaricato così, prima dall’ esercito ed ora… Ora avrebbe pagato per tutti.

“Vai subito al sodo, eh? Mi piace!” Blackmore fece una smorfia, probabilmente l’ espressione più simile ad un sorriso che fosse in grado di assumere.

“Sto cercando elementi per la mia squadra, e voglio il tuo aiuto”

Ray pensò di non aver capito bene. Nessun agente di polizia con pochi mesi di servizio alle spalle e una sola missione, per di più fallimentare nel suo curriculum poteva essere contattato per una cosa simile. Ameno che…

“Non guardarmi con quella faccia, ragazzo, so tutto del tuo passato nell’ esercito, e so che conosci bene il territorio, per questo sono venuto a cercarti”

Singer rifletté sulla proposta, ma solo per un attimo.

Non aveva un futuro nel dipartimento. Non c’ era bisogno di aspettare l’ incontro con il capitano per sapere che avevano già fatto una scelta.

Perché altrimenti lo avrebbero tenuto per ultimo?

Tutti gli altri avevano già rilasciato le loro dichiarazioni, poi gli alti papaveri si erano riuniti per discutere il modo migliore per fregarlo. Da un momento all’ altro quella porta si sarebbe aperta, lo avrebbero fatto entrare, e, sorridendo, gli avrebbero chiesto di firmare le dimissioni. In cambio non lo avrebbero fatto processare per omicidio colposo.

“Allora, che ne dici?”

“Accetto”

Si era sbagliato, Blackmore sapeva sorridere, eccome, anche se assomigliava più al sorriso di uno squalo, che a quello di un essere umano.

“Lascia fare a me, ragazzo”

Thomas Blackmore si incamminò per il corridoio, bussò alla porta, ed entrò senza attendere risposta.

Ray Singer, alias Riley Finn, pensò che qualcosa stava per cambiare nella sua vita.

 

Il gigante si piegò in due. Anche così accasciato era sempre alto quasi quanto la ragazza che lo aveva colpito, e che si ritrasse per evitare la randellata sferrata alla cieca dal secondo aggressore. Invece di indietreggiare per evitare il colpo si abbassò accasciandosi sulle ginocchia, mantenendo per quanto possibile la schiena dritta, e scivolò in avanti accorciando la distanza. Si raddrizzò protendendo le mani, tenute a coppa, verso l’ alto. Con una singola azione che coinvolgeva gambe, schiena, e braccia raggiunse il suo avversario colpendolo al mento, mentre il suo intero corpo si distendeva, protendendosi verso il cielo. Sentì infrangersi qualcosa dentro di lui, prima che il suo sangue le lordasse le mani.

Perse il controllo, mentre una nebbia rossa le velò gli occhi.

Il gigante si alzò barcollando, raccogliendo dalla tasca un coltello a molla.

Si avvicinò a lei, pronto a fargliela pagare, agitando la lama davanti a sé, in archi irregolari, formando degli approssimativi otto. Non conosceva la scherma di coltello, ma sapeva bene come maneggiarlo. Probabilmente non era la prima volta che tentava uno stupro.

L’ uomo sembrava aver recuperato un po’ di lucidità, e non appariva particolarmente desideroso di vendicare il suo compagno, ma le cose erano cambiate.

Ora era lei a non volerlo lasciare andare.

Era semplicemente furiosa.

In tanti anni come cacciatrice non le era mai capitato di dover affrontare delinquenti o criminali comuni. Non le era mai interessato d’ altronde.

Poi, quella sera, tre cretini avevano tentato di renderla vittima di un maldestro tentativo di violenza carnale. Li aveva individuati subito, riconoscendoli come semplici umani, e, incuriosita, li aveva lasciati avvicinare. Quando aveva capito cosa avevano in mente aveva attraversato tutta la vasta gamma di emozioni che vanno dalla sorpresa allo sbigottimento, all’ incredulità, all’ indignazione fino alla collera.

Quando il primo dei tre aggressori aveva cercato di palparle in sedere, aveva perso la testa, uccidendolo con un solo tremendo diretto che aveva fatto scricchiolare le ossa del cranio dell’ uomo. Doveva avergli rotto l’ osso del collo, oltre ad aver maciullato naso e denti.

Si era trovata subito addosso il più grosso, che non aveva neppure cercato di colpirla, puntando tutto sulla sua mole, tentando di gettarla a terra e inchiodarla al suolo. Si era lasciata afferrare, solo per caricare una ginocchiata sferrata frontalmente, che lo aveva raggiunto al plesso solare, facendolo crollare. Così aveva avuto tutto il tempo per occuparsi dell’ altro, che nel frattempo si era procurato un grosso ramo.

Il gigante, non potendo fuggire, si stufò di temporeggiare cercando di affondare la lama nella sua carne, ma riuscì solo a sferzare l’ aria. Tentò di colpirlo con un pugno, ma grazie alla sua stazza e a riflessi più rapidi di quanto avesse immaginato, riuscì in qualche modo ad assorbire l’ impatto. Stufa di quella situazione Buffy gli calciò in faccia una zolla di terra, gettandosi in avanti diagonalmente, ma nella direzione opposta. Istintivamente l’ uomo si coprì gli occhi, protendendo il coltello nella medesima direzione. La slayer lo raggiunse, gli afferrò il polso e con la sola stretta lo fratturò, prima di sollevarlo da terra e scagliarlo verso un muro, sfracellandogli così in cranio.

Le ci vollero alcuni minuti per riprendere il controllo di sé.

Perché gli aveva uccisi?

Perché non catturarli, assicurarli alla giustizia, e tutto il resto?

Forse perché temeva che l’ avrebbero fatta franca?

Per punire idealmente tutti gli stupratori?

Per dare un esempio?

Cercò di pensare a cosa sarebbe accaduto se al suo posto ci fosse stata una sua amica, di figurarsi la scena. Forse Willow se la sarebbe cavata con la magia, ma le altre?

Ma era un tentativo patetico. Non poteva fingere di essere stata spinta da motivazioni altruistiche, ne dal senso di giustizia.

Vanità.

Solo questo.

Non la vanità femminile, no quella non c’ entrava.

Era furibonda con quegli uomini perché avevano provato ad attaccare lei, la cacciatrice.

Erano a Sunnydale e, in spregio ad ogni regola del buon senso non solo si aggiravano di notte con cattive intenzioni, ma non avevano capito con chi avevano a che fare.

Doveva decidere cosa fare. Aveva spento tre vite, inutilmente. E, a differenza del massacrare ‘innocenti’ vampiri, questo avrebbe potuto avere conseguenze, anche legali. Del resto i loro corpi non si erano inceneriti.

Con circospezione fece attenzione a non aver lasciato impronte digitali sul coltello a su altri oggetti appartenuti agli stupratori, poi, rispondendo ad un impulso improvviso prese i tre portafogli. Controllò di non essere stata ferita, graffiata, di non aver lasciato capelli o altri indizi sui cadaveri. Solo allora si decise ad allontanarsi.

Si trattava di tre balordi di passaggio a giudicare dai documenti contenuti nei loro portafogli.

Tenne i soldi e gettò via quella prova incriminante dal ponte sul laghetto artificiale del parco, sentendosi sollevata e soddisfatta.

Non si sentiva minimamente in colpa.

 

 

Si svegliò boccheggiando, il sapore del sangue in bocca, le lenzuola fradice di sudore.

L’ opprimente calore della stanza gli ricordava i miasmi della giungla, il luogo dove i suoi incubi avevano preso vita.

Cercò di scuotersi di dosso il torpore che sembrava avvolgerlo in un bozzolo tanto confortante quanto infido, e si trascinò fino al bagno.

Bevve avidamente qualche sorso d’ acqua gelida, poi si sciacquò il viso.

Si drizzò, osservando l’ immagine riflessa dallo specchio.

Vide Riley Finn, alias Ray Singer, soldato, agente in incognito, poliziotto, veterano.

Non vide l’ idealista di un tempo, il giovane pieno di speranze, sicuro della correttezza morale di quel che faceva.

Sunnydale e la giungla gli avevano strappato la fiducia nel genere umano e l’ innocenza.

Non era poi una gran perdita, si disse.

La cosa peggiore erano gli incubi. Quelli sarebbero rimasti per sempre.

Inghiottì un paio di compresse di dexedrina.

Forse l’ unica cosa buona che la Walsh avesse fatto per lui era stato insegnarli quanto una spintarella chimica potesse aiutarlo. Il periodo con Buffy era stato uno strazio, sotto questo punto di vista. Doversi nascondere non gli si addiceva, ma lei non avrebbe capito, non lo aveva mai capito. E ora sarebbe dovuto tornare a Sunnydale.

Agente a contratto come consulente geografico, ecco cosa gli aveva offerto Blackmore.

Qualcosa meno di un vero agente, ma molto più di un informatore.

Una specie di collaboratore, insomma, ma con la prospettiva di un incarico ufficiale, stabile, una volta terminato il lavoro.

Doveva solo resistere. Tenersi lontano da Buffy, una volta arrivato in città, e aiutare Blackmore ad inchiodare quel bastardo, sempre che non fosse un altro dannato mostro.

Riley Finn era morto in quella giungla, ma forse Ray Singer avrebbe avuto un futuro radioso.

 

Strane tracce di sangue.

Il vicolo ne era letteralmente imbrattato. L’ asfalto ruvido e poroso era coperto da uno spesso strato di liquido bruno semi-coagulato, mentre sui muri le chiazze erano così vaste ed ampie da far pensare ad un mattatoio.

Eppure sui corpi delle due vittime non c’ era neppure una macchiolina rossa.

Probabile dissanguamento, aveva detto il coroner locale, senza neppure un’ ombra di inquietudine sul volto.

Due corpi dissanguati e massicce tracce di sangue, ma sui cadaveri niente.

I quattro agenti federali non riuscivano a spiegarsi che diavolo fosse successo.

Ray Singer invece lo sapeva.

O meglio, avrebbe avuto una buona spiegazione, ma preferì trattenersi dal fornire interpretazioni stravaganti. Del resto non lo avevano certo accolto con calore, senza bisogno che si mettesse a dar voce alle sue bizzarre ipotesi.

Le sue riflessioni furono interrotte dalla voce sgradevolmente autoritaria di uno dei suoi nuovi ‘colleghi’. John Tomack, 43 anni, un curriculum notevole e una odiosa predisposizione all’ arroganza insieme ad una parlata da scaricatore di porto nonostante le due lauree, una in legge e l’ altra in psicologia criminale.

“Senti Ray, mi sapresti spiegare perché qui sono tutti così calmi?

Gesù Cristo fottuto, siamo in mezzo ad un macello come se ne vedono raramente, eppure qua attorno non ci sono curiosi, mentre i poliziotti del posto trattano l’ accaduto con la stessa noncuranza che riserverebbero ad un divieto di sosta”

Tipico di Sunnydale.

E della natura umana.

Non potendo risolvere un problema, si fingeva semplicemente che non esistesse.

“Credo che il motivo di tanta indifferenza sia da ricercare nelle statistiche della cittadina”

Ray prese alcuni fogli dalla sua cartelletta e li porse a John e a tutti gli altri membri della squadra.

“Come potete leggere, in questa tutt’ altro che amena cittadina cose come questa sono pressoché all’ ordine del giorno”

“Allora, come possiamo attribuire con certezza questo massacro al nostro uomo?”

A parlare era stato Joseph Prescott, il più giovane del gruppo, a parte lui, naturalmente.

Joe gli piaceva, anche perché non lo trattava con lo stesso senso di superiorità degli altri, e poi sembrava quello di più ampie vedute. Ne avrebbe avuto bisogno, se, come sembrava ormai chiaro, quegli omicidi avevano una componente sovrannaturale.

“Non possiamo, infatti, ma nonostante tutto credo che sia stato lui. Questi omicidi portano la sua firma”

La voce di Blackmore sembrava pervadere l’ aria. Riuscirono ad individuarne la fonte qualche secondo dopo, quando emerse dal furgoncino del coroner e si avvicinò a loro.

“Ma mancano le ferite rituali, e le vittime non fanno certo parte dell’ abituale tipologia” ribattè Joe, che appariva poco convinto.

“Credo che le vittime del nostro assassino non siano quei due ragazzi, ma che anzi siano i responsabile delle loro morti”

“Scusa, ma mi sembra poco probabile” intervenne Tomack “Fino ad ora non aveva mai occultato i cadaveri”

“Già, fino ad ora”

 

Il locale era chiassoso e fumoso, e la clientela piuttosto particolare.

Bizzarra era il minimo con cui la si potesse definire.

Perfetta, per i suoi piani.

L’ assassino fece per accomodarsi in uno dei logori separè, ma subito si ritrasse.

Aveva riconosciuto uno degli avventori.

Riley Finn.

Non pensava di incontrarlo, ma evidentemente aveva ripreso a frequentare postacci. Sembrava a casa, seduto al bancone di quella lurida bettola, nonostante il vestito a giacca dal taglio dozzinale che indossava.

L’ assassino uscì dal locale rinunciando alla propria caccia, per quella notte.

Riley Finn l’ aveva sorpreso.

Positivamente.

Sarebbe stato così facile da manipolare. Bastava conoscere la chiave per accedere alla sua volontà. E l’ assassino era certo di conoscerla.

Molti potevano essere comprati, corrotti.

E Riley non faceva eccezione.

Solo che la moneta per comprare la sua fedeltà era particolarmente a buon mercato.

Dimostragli la propria stima, farlo sentire importante, speciale era sufficiente a renderlo una marionetta nelle proprie mani.

C’ era riuscita la Walsh. C’ era riuscito l’ esercito.

Perfino Adam c’ era quasi riuscito, nonostante l’ aspetto tutt’ altro che rassicurante.

Ci sarebbe senz’ altro riuscito anche lui, e non era neppure necessario agire direttamente.

L’ assassino fu lieto di aver rinunciato alla caccia.

Fantasticare sui suoi piani per raggiungere la sua vera preda era molto più eccitante che uccidere qualche vampiro di seconda categoria.

 

 

           

Tredici vittime attribuitegli in tre stati diversi, tutte uccise in modo rituale, con un modus operandi simile ma non completamente fisso, cosa che aveva permesso alle autorità di negare l’ esistenza di un serial killer.

Ray rilesse per l’ ennesima volta il resoconto dei delitti commessi soffermandosi, come sempre, sul profilo psicologico tracciato da Blackmore e dagli altri esperti della squadra.

Qualcosa non quadrava.

Non che ci fossero errori, o altro, solo che non gli sembrava l’ interpretazione corretta.

L’ assassino, per cui erano stati coniati numerosi nomi alquanto ad effetto come, ‘cannibale’ ‘wendigo’ o ancora ‘stregone’, veniva dipinto come una sorta di vendicatore che uccideva per appagare un bisogno interno, cercando di proiettare sugli altri tale motivazione, nel tentativo di trovare una spiegazione nobile per il suo operato, quasi che avesse bisogno di giustificarsi.

In quest’ ottica il rituale diventava il fine, e l’ omicidio soltanto il mezzo, grazie al quale distinguere tra una normale violenza e la sua missione ‘giusta’ e ‘sacra’, un modo inconsapevole per mascherare le proprie pulsioni assassine e mantenere la propria immagine di sé come persona buona e virtuosa.

Non era convinto di questa spiegazione, anche se, indubbiamente, la tipologie delle sue vittime sembrava puntare in quella direzione. Tredici delinquenti della peggior specie erano caduti sotto i colpi della sua strana lama, e probabilmente altri delitti non gli erano stati attribuiti, scambiati sicuramente come regolamenti di conti interni al mondo del crimine organizzato.

Eppure…

Il killer sembrava avere un’ elasticità mentale troppo grande, che gli consentiva di uscire dagli schemi fissi, di essere comunque imprevedibile. Ogni delitto presentava differenze, non troppo evidenti, forse, ma importanti. Non si trattava della solita escalation di violenza, né di discrepanze dovute alla fretta o ad errori nel rito.

Ma una persona così profondamente ossessionata dall’ ordine da aver circoscritto la violenza entro uno schema fisso e preciso per privarla delle connotazioni implicitamente negative non doveva essere in grado di apportare alcuna modifica volontaria a tale rituale.

E poi c’ era la pista sovrannaturale.

Era certo che le ultime vittime fossero vampiri.

Probabilmente li aveva individuati, li aveva visti uccidere i due ragazzi e poi, soltanto alla fine, li aveva assaliti. Doveva aver usato quella sua grande lama praticando le stesse bizzarre incisioni sui due vampiri, con la differenza che probabilmente questi erano rimasti coscienti per tutto il tempo. In qualche modo il fatto che si fosse occupato dei vampiri trattandoli come esseri umani pur sapendo cosa aveva di fronte (difficilmente in caso contrario sarebbe riuscito a prevalere) sembrava avvalorare la sua ipotesi: il rituale non era il fine, ma il mezzo per raggiungere il suo scopo, forse qualcosa legato alla magia, e la scelta della vittime era incidentale, forse obbligata dal tipo di rito, o forse si trattava di semplice comodità.

Giuste o sbagliate che fossero, non poteva comunicare a nessuno le sue ipotesi, non prima di aver scoperto qualche nuovo elemento.

Quel killer era la sua speranza.

Se fosse riuscito a contribuire alla sua cattura avrebbe avuto una possibilità di riscattare la sua vita, e avrebbe fatto di tutto per non sprecarla.

 

Dossier U.S Army Progetto Iniziative

Classificato come ‘confidenziale’

Soggetto Riley Finn

Profilo psicologico stilato dalla dottoressa Walsh corredato dalle valutazioni personali e dai risultati dei test psicoattitudinali.

 

Riley Finn, 26 anni, arruolatosi nell’ esercito a 19. Da me reclutato tre anni dopo, in seguito alle valutazioni attitudinali svolte nel 1998.

Fisicamente il soggetto possiede doti atletiche notevoli, buona attitudine al comando e QI nella norma, benché i risultati nel corso universitario che gli ho chiesto di frequentare siano decisamente superiori a quelli previsti per individui con punteggio medio di 105 come il suo.

Ciò si spiega grazie alla forte motivazione al successo che nel suo caso però deve essere indirizzata da qualcun altro verso un qualsivoglia obiettivo.

Il forte attaccamento verso le autorità, il profondo rispetto per la legge e il suo sconcertante idealismo non sono generati da un’ educazione tradizionale, bensì sono la sua risposta inconscia ad un’ infanzia difficile priva di figure forti a cui si potesse aggrappare.

Il soggetto dipende fortemente dagli altri, ed è alla continua ricerca di figure autoritarie con cui rapportarsi, inoltre si riscontra anche una sostanziale divisione fra i suoi sottoposti e i superiori, concependoli come in compartimenti stagni, indivisibili.

Gli ordini sono per lui un mezzo per liberarsi della responsabilità delle sue decisioni, lasciandole agli altri nel caso di ordini ricevuti, prendendole esclusivamente sulla base di cognizioni sicure nel caso di quelli impartiti.

Da ricerche svolte personalmente sulla storia famigliare del giovane Finn si riscontra una sostanziale differenza fra l’ evidenza dei fatti e i dati forniti dal soggetto stesso che ha sempre dipinto i famigliari come genitori modello e la sua infanzia come serena in una grande fattoria dell’ Idaho. Tali discrepanza sono a mio giudizio frutto non di una scelta volontaria ma di una illusione patologica portata avanti fino alle estreme conseguenze. Immagino che il soggetto non sia in grado di distinguere fra realtà e fantasia in questo frangente, ed appare sempre più sconcertante la sua apparente coerenza malgrado il fragile legame con la realtà che ha dimostrato di possedere.

Per tali motivi penso che sia il soggetto più indicato per partecipare al progetto, grazie all’ alta efficienza operativa che è in grado di mantenere in alcuni campi nonostante la sua fragilità di fondo.

Progetto di sostituirmi al colonnello Jeffreys come figura di riferimento, e di condurlo, poco a poco, ad accettare il gemellaggio con Adam.

 

Dossier U.S Army progetto Iniziative

Classificato come ‘riservato’

Soggetto Buffy Summers

Valutazioni psico-fisico-attitudinali raccolte dalla dottoressa Walsh, correlate dai risultati dei test e delle esercitazioni

 

Apparentemente non ci sono motivi fisiologici in grado di spiegare la forza sovrumana e i tempi di reazione eccezionali del soggetto. Tali caratteristiche appaiono evidenti, ma le analisi non sono in grado di motivarle in alcun modo. Le uniche anormalità sono un livello di adrenalina nel sangue leggermente sopra la media, ma non certo in grado di spiegare queste variazione e che inoltre avrebbe dovuto, plausibilmente, compromettere la sua salute, alla lunga. Tuttavia il soggetto pare in perfetta forma fisica.

In ogni modo il nostro gruppo di studio sta elaborando nuovi test e nuovi parametri per individuare la fonte di tali capacità ed eventualmente replicarle in altri soggetti.

Non escludiamo la possibilità di eseguire esami invasivi e/o una completa dissezione del cadavere, nel caso, purtroppo non tanto remoto, che si dimostri un pericolo per il progetto.

Dal punto di vista psicologico infatti denota un’ eccessiva indipendenza e imprevedibilità, nonché insofferenza di fronte agli ordini ed una certa predisposizione verso psicopatologie maniacali basate sull’ ossessione per il controllo.

Pare che agisse da sola, benché si appoggiasse ad un’ organizzazione piuttosto approssimativa per quanto riguarda le procedure, in quasi totale autonomia, inoltre temo che abbia mantenuto un qualche tipo di legame con la suddetta organizzazione, e che quindi la sua fedeltà verso la nostra potrebbe non essere totale.

Ancora più preoccupante è l’ approccio noncurante con cui affronta gli ostili e l’ impatto che il suo innesto nelle squadre operative ha prodotto.

La giovane età e la mancanza di esperienza militare uniti ai risultati impressionanti nelle esercitazioni hanno provocato sconforto nei nostri uomini.

Soprattutto mi preoccupa l’ agente Finn che ha intrecciato con il soggetto una relazione sentimentale e che da un lato ne apprezza le doti, ma dall’ altro ne invidia le capacità e la considera lesiva per la sua autorità presso la truppa.

Naturalmente questa ipotesi è del tutto infondata considerando la crescente ostilità degli uomini nei confronti del soggetto, in particolare ritengo che l’ agente Morris, il secondo in comando di Finn, nutra per lei una forte gelosia, giustificata dall’ attaccamento morboso che questi nutre per il suo superiore (forse motivato da omosessualità latente).

Chiaramente ‘Buffy’ Summers rappresenta sia un pericoloso ostacolo per il progetto che un potenziale alleato, per cui attualmente sospendo ogni eventuale provvedimento fino a tempo indeterminato, nell’ attesa di ottenere maggiori informazioni sul soggetto.

 

Annotazioni personali del dott. Harks trascritte successivamente alla sua morte

Classificate come ‘riservate’

 

Oggi la dott. Walsh mi ha parlato del suo piano per eliminare la Summers, ma temo che ultimamente la dottoressa non sia perfettamente lucida ed obiettiva quando si parla di Riley o di Adam, cosa abbastanza ovvia analizzando i dettagli del suo complicato e, francamente inutile, piano. Dopo aver rifiutato i miei precedenti inviti a liberarci dell’ ostacolo, improvvisamente ha preso tale decisione, preparandosi ad agire con la massima fretta, senza aspettare un’ occasione propizia, ma creandone una. Sarebbe bastata un’ iniezione con la scusa di altri test per liberarci della ragazza, ed organizzare la finta fuga di uno degli ostili per nascondere l’ accaduto.

Non è la prima volta che lo facciamo, del resto.

Credo che Maggie abbia organizzato il suo piano per assecondare il suo ego, la sua arroganza, per dimostrare che il suo cervello è superiore, e più prezioso, dei muscoli di quella ragazzina.

Deve essere gelosa di Riley.

Del resto si potrebbe tranquillamente dire che lo abbia creato lei.

Non dirò niente alla Walsh, almeno finché non inizierò a temere che la sua ossessione non ne minacci l’ efficienza, e comunque sono d’accordo nel ritenere l’ eliminazione della Summers come un passo obbligatorio, anche se ne discuto ancora il metodo, soprattutto alla luce della difficoltà nel recuperare il cadavere, e quindi le scarse possibilità di effettuare una dissezione completa del soggetto.

 

L’ assassino smise di leggere.

Quei dossier gli erano costati caro, ma ne erano valsi la pena.

Ora lo scenario si faceva molto più chiaro.

Poteva capire perché fra quei due non aveva funzionato.

Non solo, poteva preparare una strategia per arrivare alla sua vera preda.

Riley, come tutti i ragazzi, cercava una partner sessuale quando aveva conosciuto la cacciatrice, ma poi questa aveva iniziato a sovrapporsi gradualmente alla Walsh anche come modello. All’ uscita di scena della dottoressa il mondo era crollato addosso al povero Finn che si era attaccato come una ventosa alla ragazza, divenuta il suo ultimo appiglio.

Ma Buffy non poteva essere un modello, nonostante la decisione e l’ indipendenza che sembrava in grado di trasmettergli in certe occasioni, in molte altre non dimostrava certo l’ equilibrio di cui aveva bisogno.

Tuttavia Riley si era accanito, raggiungendo una parvenza di equilibrio grazie ad un rapporto di interscambio fra i due, ma poi delle variabili esterne dovevano aver turbato il fragile rapporto basato sulla menzogna che avevano instaurato fra loro.

Buffy chiaramente non aveva bisogno di lui, se non per appagare un qualche remoto senso di solitudine e la sua stessa vanità, lei, d’ altro canto, non era certo la figura autoritaria a cui potersi appoggiare che lui cercava tanto disperatamente.

Come dicevano i dossier, Riley Finn poteva instaurare solo rapporti gerarchici, doveva comandare o essere comandato, ma Buffy era troppo indipendente per farsi guidare, e troppo fragile per essere la sua guida.

L’assassino assaporò la gioia di quell’ istante mentre nella sua mente prendeva forma la strategia che lo avrebbe condotto alla vittoria.

 

Lo sciamano espirò osservando il suo fiato condensarsi in una nuvoletta davanti al viso.

Nel minimarket aperto tutta la notte il condizionatore era al massimo, tanto da rendere l’ aria gelida. Appoggiato al bancone, apparentemente intento a scegliere uno dei tanti snack disponibili, lo sciamano osservava con dissimulata attenzione la figura circospetta che stava attraversando la strada, e che, pochi istanti dopo, entrò nel negozio.

‘Niente fiato gelato’ pensò lo sciamano, sorridendo.

Era per questo che amava tanto Sunnydale. In quale altra città avrebbe potuto incontrare tranquillamente per strada vampiri e demoni?

Si concentrò per cogliere segni di aggressività nel nuovo venuto.

Sudorazione, tensione muscolare, atteggiamento, tutte spie che gli avrebbero permesso di prevedere le mosse del suo potenziale avversario.

Avrebbe combattuto per salvare il commesso dal vampiro? Certo!

Ma gliene sarebbe importato veramente? Assolutamente no!

Sembrava però che il tipo non avesse intenzioni bellicose, sebbene mostrasse una certa preoccupazione e non smettesse un istante di guardare fuori, in strada.

Ad un certo punto parve soddisfatto ed uscì sbattendo la porta.

Lo sciamano pagò in fretta, poi lo seguì silenziosamente, curioso di scoprire cosa potesse preoccupare tanto un vampiro.

Quel che vide non lo stupì affatto.

 

Gregor rise di sollievo.

Era riuscito a sfuggirle.

Dannata cacciatrice, gliela avrebbe fatta pagare cara, ma non quella notte.

Ci sarebbero state occasioni migliori.

Poi udì uno schioccò, non tanto forte, ma preoccupantemente vicino.

Solo dopo individuò la fonte del suono.

Il suo braccio sinistro pendeva inerte, inutilizzabile, la spalla slogata e i tendini recisi.

La cacciatrice stava dinnanzi a lui, vagamente irridente.

Con la destra si tastò il braccio ferito, ritraendolo coperta di sangue.

Quando era stato ferito, e soprattutto con cosa? Quella maledetta aveva anche gli artigli ora? Oppure?

Si gettò in avanti, disperatamente.

 

Lo sciamano osservò il combattimento con una sorta di estatica riverenza.

Percepì il coltello nascosto dietro la mano ed il polso di lei, più che vederlo con gli occhi.

La vide mentre tagliava la carne fredda del vampiro, con mostruosa efficienza e lo stesso distacco con cui un cuoco avrebbe disossato un pollo.

Vide il mostro ritrarsi, stupito, ferito in vari punti, poi vide comparire nel suo sguardo il lampo di comprensione. La osservò cambiare presa sull’ arma, un semplice serramanico con la lama corta e larga, circa un pollice di larghezza, e non più di tre di lunghezza. Ora il coltello sporgeva tra il pollice e l’ indice nella posizione detta ‘sottomano’, una posizione certamente più sicura ed efficace una volta perso il vantaggio della sorpresa.

Il vampiro si scagliò ancora in avanti, poco impressionato da un’ arma che, in ogni caso, non bastava ad ucciderlo.

Cercò di ghermirle il viso con i corti artigli protesi, ma i movimenti brevi, improvvisi e quasi isterici della lama lo ricacciarono indietro, questa volta coperto di sangue che sprizzava abbondante dalle molte ferite.

Lo sciamano approvò la strategia della cacciatrice.

Quello che il vampiro non aveva compreso era che non le serviva pugnalarlo, né causargli gravi ferite al torace o alla testa, e che non era mai stato quello il suo scopo.

Tagliare dove capitava, seguendo i movimenti dell’ avversario, spezzando la sua azione era più che sufficiente per sottomettere qualsiasi avversario.

Ripose il coltello, sostituendolo con il paletto.

Il vampiro si mosse, rapido ma scomposto, disperato.

Sferrò un diretto destro, l’ unico suo pugno ancora utilizzabile date le ferite al braccio sinistro, solo per urlare dal dolore nel momento stesso in cui le sue nocche si furono scontrate con il gomito della ragazza, che afferrò l’ arto proteso prima che questi potesse ritrarlo. Sfruttando la presa favorevole lo tirò a sé per poi trafiggerlo con tutta calma.

 

Un brivido d’ eccitazione scosse l’ assassino, che aveva assistito a tutta la scena.

Per un attimo pensò di uscire allo scoperto e sventrare quella ragazza, ma alla fine la prudenza prevalse.

Non adesso.

Ma presto.

 

Lo sciamano si accorse di qualcosa al limitare del suo campo percettivo.

Non era appena arrivato, era già lì, ma si era nascosto così bene che era riuscito a sfuggire anche a lui, nonostante l’ addestramento.

Aveva trascorso anni, viaggiato in tutti i continenti, per affinare le sue personali capacità, eppure la figura nascosta a pochi metri da lui era riuscita a celarglisi, ed ora, recuperata la concentrazione, stava di nuovo per sfuggirgli.

Certamente le sue facoltà non lo rendevano infallibile.

Del resto era ‘solo’ umano.

Non aveva mai accettato le spiegazioni dei suoi insegnanti sulle capacità fisiche che man mano apprendeva, gli apparivano sciocche, arretrate, e nel migliore dei casi, eccessivamente mentalistiche. Non c’ erano occhi spirituali, o sentieri luminosi, si trattava semplicemente di sfruttare al meglio i propri sensi, passando ad una configurazione mentale libera dal pensiero, in cui i dati sensoriali paraliminari, normalmente ignorati, venivano accolti, elaborati insieme agli altri, senza dar la precedenza ad uno dei sensi, ma considerandoli tutti insieme.

L’ essenza della concentrazione era nella sua mancanza, nell’ assenza del pensiero.

Quando entrava nel vuoto era forte, sicuro, acutamente consapevole del mondo esterno, estremamente più vivido e reale di quanto non lo sia mentre lo si guarda attraverso le lenti distorte ed appannate della normale consapevolezza.

Lo sciamano si lanciò all’ inseguimento della figura nascosta, ma, malgrado i suoi sforzi, non riuscì ad individuarla.

L’ assassino se ne era già andato.

 

 

 

 "Buffy spalancò gli occhi, sorpresa.

Non provava dolore. Non ancora, almeno.

Eppure sentiva la bizzarra lama d’ osso attraversarle i tessuti e farsi strada nel suo ventre mentre la consapevolezza della morte imminente le esplodeva nel cervello.

Di fronte a lei c’ era Riley, gli occhi vuoti, l’ espressione indecifrabile"

 

Il fascicolo dei sospetti scivolò a terra.

Ray non fece nulla per raccoglierlo, esasperato.

Non poteva sbagliarsi. Non dopo 17 ore di ricerca ininterrotta sui vecchi libri della biblioteca del liceo di Sunnydale.

Del resto era sempre stato bravo in quel genere di lavoro.

Il suo intelletto forse non era brillante, ma era instancabile, e le pillole davano una mano.

Prese un altro paio di compresse, avvertendo immediatamente la mente snebbiarsi e cogliere tutta la frustrazione della sua nuova situazione.

Essere così vicino alla realizzazione dei suoi obiettivi… e vederli sfumare.

Non poteva accettarlo, e non l’ avrebbe fatto.

Eppure le sue ricerche non sembravano lasciar adito a dubbi.

L’ assassino era un demone che periodicamente lasciava la dimensione infernale per nutrirsi delle anime degli uomini, o di altri demoni, uccidendoli secondo un rituale preciso quanto variabile, per poi tornare da dove era venuto dopo aver ucciso una decina di volte.

Le altre possibilità non erano neanche da considerare: chi mai avrebbe dovuto copiare il modus operandi di un mostro simile?

Naturalmente le possibilità di catturarlo erano infinitesimali, senza contare che non sarebbe certo stato possibile sfruttare il successo per entrare nell’ FBI.

Un caso imbarazzante tutt’ al più. A cui Blackmore non avrebbe certo fatto pubblicità, e che gli avrebbe precluso ogni occasione futura.

Esasperato, si alzò di scatto, in preda ad una crisi nervosa.

Doveva calmarsi, riflettere, trovare una soluzione.

Si ritrovò, naturalmente, quasi senza rendersene conto, davanti all’ armadietto dei medicinali.

Lì c’ era tutto l’ aiuto di cui aveva bisogno.

La dexedrina sembrava ammiccargli dall’ interno del piccolo barattolo trasparente, piccole compresse cariche di speranze sotto forma di redenzione chimica.

Sovradosaggio.

Rischioso m necessario, se voleva trovare una soluzione.

Gli spasmi muscolari cessarono progressivamente e Riley riuscì finalmente ad alzarsi.

Il mondo sembrava diverso ora. Più vivido.

Ed il suo problema meno grave.

Infatti la soluzione era davanti ai suoi occhi, in quell’ incartamento riguardante i probabili sospetti che non si era neppure preso la briga di sfogliare.

Se l’ assassino non andava bene per l’ FBI, ne avrebbe creato uno più presentabile, più plausibile, più “umano” .

Che poi non fosse colpevole, non aveva importanza.

 

Non gli ci volle molto per trovare il soggetto adatto.

Appena vide il suo nome sapeva chi sarebbe stato il capro espiatorio.

In quel modo avrebbe anche potuto pareggiare un vecchio conto.

 

 

 

 

Il pugno si schiantò contro le costole del vampiro, producendo un osceno rumore sordo.

La creatura si accasciò con un sospiro, come se l’ aria fosse stata espulsa improvvisamente dai polmoni, mentre in realtà si trattava solo del residuo di una antica risposta nervosa.

La slayer sorrise sinistramente mentre trafiggeva il cuore immobile del suo avversario, poi tese le orecchie, in cerca della conferma dei suoi sospetti.

‘Di questi tempi non sono molti i vampiri con il fegato di andarsene a caccia da soli’ riflettè. La maggior parte preferiva uscire in gruppetti di due o tre, pensando di poter fronteggiare un eventuale attacco, ma poi finiva sempre nello stesso modo, non appena lei arrivava si disperdevano cercando di fuggire.

Avevano paura di lei, e questo era un bene, ma al tempo stesso la obbligava a cercare sempre nuovi mezzi per sorprenderli. Del resto Sunnydale era un posto rischioso tanto per gli umani quanto per i non morti.

Lasciò che la sua mente si aprisse, quasi annullandosi a favore degli stimoli sensoriali, che si ricomposero come i tasselli di un mosaico, inutili presi singolarmente,ma che formavano un disegno ben preciso una volta messi insieme.

Come se fosse stato rimosso un velo dalla sua consapevolezza, Buffy divenne conscia dei singoli fili d’ erba che calpestava, di ogni scalpiccio, ronzio e scricchiolio del parco, del battito lento e regolare del suo cuore, dei rumori in lontananza del traffico, così scarso a quella tarda ora, e della posizione delle sue prede.

Il punto era che i vampiri, pur essendo predatori silenziosi e sfuggenti per natura, non erano abituati ad essere cacciati, e non sapevano reggere lo stress di tale situazione. Riuscivano a stare nascosti, appostati per ore, immobili per interminabili minuti quando cercavano una preda, ma, se si trattava di nascondersi a lei, perdevano la calma piuttosto in fretta.

Certo, non tutti erano così, ma del resto la stragrande maggioranza dei vampiri erano stupidi, incapaci di controllare i loro istinti neppure quanto bastava per garantirsi la sopravvivenza.

Si avvicinò procedendo in circolo, cerchi sempre più stretti intorno alle prede, attendendo il momento in cui lo stress sarebbe diventato insostenibile e l’ avrebbero assalita, evitando di prendere l’ iniziativa per poterli affrontare tutti e due insieme, diminuendo le probabilità che uno dei due le sfuggisse.

Eccoli!

Due masse scure si lanciarono fuori da una macchia di cespugli, caricandola contemporaneamente da ore 10 e ore 2. La cacciatrice scartò a destra all’ ultimo momento, venendosi così a trovare di fronte ad un solo avversario per volta, impedendo all’ altro di insidiarle i fianchi o di colpirla alle spalle.

Il più vicino menò un fendente con un grosso coltellaccio, una specie di macete, non tanto per colpirla, quanto per tenerla lontana. Erano entrambi armati.

Non se l’ era aspettato, ma non era un grosso problema.

Estrasse il suo lungo coltello dalla lama ondulata, un kriss filippino, più grande di quello malese ed adatto a colpire anche di taglio, ed un corto paletto, che strinse nella sinistra.

Portava sempre con sé un qualche tipo di arma da taglio perché l’ esperienza aveva insegnato che c’ erano demoni troppo massicci per essere affrontati a mani nude, ed i normali paletti non avevano molto effetto sulla pelle coriacea di quei mostri.

Invece una buona lama funzionava sempre contro quasi tutto quello che aveva incontrato, compresi i vampiri e le altre creature bizzarre che necessitavano uno specifico approccio per essere eliminate; in un modo o nell’ altro, un coltello feriva e rallentava qualsiasi cosa.

Con molta semplicità parò il successivo fendente usando il paletto per deviare la lama, senza avere la pretesa di bloccarla, mentre il kriss saliva a tagliare il braccio armato.

Recise i tendini e le vene del polso e la presa sul coltellaccio si allentò fino ad aprirsi, mentre il suo movimento continuava e, sempre con il kriss, andava ad incidere la carne del vampiro all’ altezza della coscia.

Ci fu uno sprizzo di sangue che le imbratto gli abiti mente il vampiro cadeva in ginocchio, quasi sopra il suo paletto proteso, diventando cenere in un breve istante.

Il suo avversario successivo stringeva un semplice randello, ma qualcosa della sua posizione, del suo atteggiamento, la dissuase dal caricare a testa bassa, come avrebbe fatto altrimenti, portandosi ad una distanza dove il bastone improvvisato, più che un aiuto, si sarebbe dimostrato un impaccio.

Schivò spostandosi all’ indietro diagonalmente il primo colpo, parò incrociando le armi quello successivo, balzando poi indietro appena in tempo per evitare la corta lama che l’ avversario stringeva nella sinistra.

Era astuto, piuttosto esperto ed anche discretamente veloce, ma ora era spacciato. Il bastone era solo uno specchietto per le allodole, doveva servire a costringerla a cercare il corpo a corpo dandogli l’ occasione di piantarle la lama, intelligentemente celata, fra le costole.

Parò nuovamente la bastonata dell’ ultimo vampiro incrociando le armi, ma questa volta verso l’ interno, spostandosi alla sinistra per impedirgli di usare il coltello, e continuando a muoversi in quella direzione, fino ad arrivargli alle spalle.

Liberò il paletto, mentre il kriss restava in posizione per bloccare l’ arma dell’ avversario e impedirgli di ruotare in quella direzione, mentre lo trafiggeva alla schiena, all’ altezza del cuore, riducendolo in cenere.

Tirò il fiato, ripulì alla meglio il lungo coltello ricurvo nell’ erba e sulla corteccia degli alberi, prima di rinfoderarlo e si scrollò via il più grosso del sangue, quel tanto che bastava a non farle attirare l’ attenzione più di quanto non avrebbe fatto la presenza di una ragazza sola per le strade di Sunnydale alle tre del mattino.

Poi si riavviò verso casa.

La caccia era finita, per quella notte.

 

Vagamente inquieta, Buffy Summers girò la chiave nella serratura ed aprì con circospezione la porta di casa.

Le luci erano accese e, parcheggiate davanti alla residenza delle sorelle Summers c’ erano due automobili. La prima era quella di Willow, cosa che non l’ avrebbe certo stupita alle tre del pomeriggio, ma che a quell’ ora di notte era sufficientemente inquietante.

L’ altra auto non l’ aveva mai notata prima di allora.

Appena messo piede nell’ ingresso le venne incontro l’ amica con un’ espressione preoccupata, subito seguita dalla sorella, ma anche da due uomini che non conosceva.

Tuttavia non era difficile immaginare che potessero essere, con quegli abiti dozzinali da impiegati statali costretti, loro malgrado, a vestire in giacca e cravatta pur senza averne nessun desiderio, e quel passo sicuro tipico di chi amministra un certo potere, vero o presunto che fosse.

Agenti del fisco o federali, ma considerato l’ orario si sentiva di escludere la prima ipotesi.

“Signorina Elisabeth Summers?”

“Buffy”

“Come prego?”

“Mi chiamo Buffy Summers”

“Come preferisce, signorina Buffy Summers” continuò il federale con falsa cortesia “La dichiaro in arresto”.

 

Era stato facilissimo.

Solo qualche piccolo ritocco in un copione già ampiamente scritto.

L’ epilogo di una tragedia annunciata.

 

Buffy Summers.

Una ragazza turbolenta, capace di dar fuoco alla palestra della scuola a sedici anni, e che una volta stabilitasi a Sunnydale non era mai stata capace di tenersi fuori dai guai.

Arrestata, schedata, più volte interrogata dalla polizia, invisa al preside, tra l’ altro scomparso in circostanze misteriose.

I genitori, divorziati, non riescono a darle l’ amore di cui ha tanto bisogno, a rispondere ai suoi ripetuti gridi d’ aiuto, manifestati attraverso tutti i piccoli atti di vandalismo e violenza di cui si rende colpevole. A scuola non riesce a fraternizzare, se non con altri poveri emarginati come lei, tipi scontrosi, imbranati, con scarse competenze sociali.

Tutti insieme rimangono invischiati nelle sordide trame di un losco individuo di mezza età, il bibliotecario inglese del liceo, con il quale trascorrono gran parte del loro tempo libero, e che instilla in loro la sua stessa ossessione per la magia e l’ occulto.

I continui attriti con la famiglia ed i compagni, insieme all’ assenza di attività extrascolastiche, e di un qualsivoglia tipo di hobby, ad eccezione della sempre più grave ossessione per il sovrannaturale, spingono Buffy Summers sempre più lontano sulla strada della perdizione fino alla sua fuga da casa dopo un periodo particolarmente difficile, segnato anche dalla sospensione a scuola per violenze.

Rientrata in città riesce faticosamente a diplomarsi, ma forse contribuisce in modo attivo agli incidenti del giorno della consegna dei diplomi.

Il passaggio al college pare forse poterla riportare sulla retta via, ma ormai è troppo tardi e, complici le tragedie famigliari (a distanza di pochi mesi muore la madre ed il suo mentore e plagiatore fa ritorno in Inghilterra, dove si trova tuttora), lascia l’ università, iniziando a manifestare i primi sintomi della grave forma di schizofrenia che l’ affligge, e che l’ anno successivo si concretizzeranno nei comportamenti deliranti che l’ hanno presumibilmente portata a compiere gli orrendi atti di cui tutti abbia avuto notizia in questi ultimi giorni.

 

Le dita di Riley Finn smisero di battere sulla tastiera, mentre si accingeva a rileggere il frutto del suo lavoro. Era abbastanza soddisfatto.

La prosa era sufficientemente retorica, insinuante e sensazionalistica da piacere a qualsiasi capo redattore di ogni quotidiano, rivista o rete televisiva dello stato, se non dell’ intera nazione, od almeno a quelli con il giusto spregio per la verità necessario a svolgere con successo quel sordido lavoro.

Ray Singer avrebbe loro inviato via E-mail, ovviamente in modo anonimo, la triste storia della più giovane e truce serial killer femminile statunitense.

Certo, avrebbero fatto delle indagini, si sarebbero documentati, ma dopo il suo ‘articolo’ era certo che nessuno si sarebbe discostato dalla sua ricostruzione dei fatti, anzi, qualche cronista pigro avrebbe perfino potuto mandarla in stampa così com’ era, gratificandolo anche come giornalista.

In realtà non c’ erano vere prove su di lei, solo indizi, voci e fatti strani, a volte inspiegabili, ma, effettivamente, la sua ricostruzione della vicenda personale della signorina Summers era piuttosto accurata, nonché perfettamente documentata, anche se assolutamente falsa.

Inoltre lo rallegrava il fatto che il gentile quanto odioso bibliotecario inglese sarebbe probabilmente finito in galera al pari della sua ex, e che anche gli altri membri di quell’ assurda banda avrebbero visto l’ inferno grazie alle insinuanti accuse che lui avrebbe scatenato.

A Sunnydale non avrebbero fatto molta presa, se non tra quelli così ingenui da preferire una spiegazione così semplicista alla vicenda, ma nel resto dell’ america non ci sarebbero stati dubbi: Buffy Summers era colpevole di tutti i delitti.

E, per quanto proclamassero la loro oggettività, l’ opinione pubblica ed i mass media avevano un peso inequivocabile sulla corte federale che l’ avrebbe giudicata, sempre se fosse riuscito a farla incriminare.

Ma non si preoccupava granché: forse non c’ erano prove certe a suo carico, ma l’ insieme di indizi e coincidenze poteva difficilmente essere ignorato.

Oltre alla storia personale della cacciatrice deponeva a suo sfavore il ritrovamento di armi con tracce di sangue al momento dell’ arresto, sebbene tali tracce non fossero riconducibili a nessun crimine noto. In più c’ erano gli strani orari in cui rientrava e la conseguente mancanza di un alibi convincente per le date dei delitti; non solo, la sommaria perquisizione eseguita in sua assenza, prima dell’ arresto, aveva portato al ritrovamento di un piccolo arsenale di armi bianche, e di svariati articoli e volumi incentrati sull’ occultismo.

Il diario che la slayer aveva tenuto un tempo non era stato rinvenuto (sospettava che se ne fosse liberata tempo prima, quando aveva smesso di aggiornarlo), ma fortunatamente erano stati trovati quelli della sorella, che gettavano una cattiva luce sull’ ambiente familiare.

Era stato astuto, dirigendo le indagini verso di lei in modo indiretto, senza mai indicarla esplicitamente, senza mai rendere noto il legame fra lui e l’ indiziata.

Aveva scritto rapporti, consegnato appunti e ricerche, consultato vecchi contatti, e, soprattutto, manipolato gli eventi, le testimonianze in modo sottile, interpretando in modo leggermente diverso quanto accaduto.

Fortunatamente il sangue di vampiro, una volta a contatto con l’ aria, degrada molto rapidamente, finche non risulta impossibile identificarlo in nessun modo specifico.

Sangue umano: è l’ unica risposta che le analisi dei laboratori dell’ Iniziative riuscivano a dare sui campioni di tal genere, senza riuscire però in alcun modo ad ottenere altre informazioni, ed era sicuro che neppure gli eccellenti laboratori federali avrebbero potuto dare responsi più accurati.

Era fiducioso.

Il suo piano stava funzionando.

 

La cella era piccola ed umida per via di una perdita nelle tubature trascurata dal personale.

Soffocante.

Eppure non ci stava poi così male.

Un tempo, neanche troppo lontano, sarebbe impazzita, lì dentro.

Ma le cose erano cambiate.

Abbandonò la posizione in verticale a testa in giù accoccolandosi sul materasso che aveva tolto dall’ altro letto e posato a terra.

La compagna di cella, seduta in un angolo, a terra, la guardava colma di terrore, ma nel suo sguardo si poteva anche leggere l’ odio per la nuova ‘inquilina’.

Aveva cercato di metterla sotto non appena era arrivata, ma era bastato sollevare di peso sopra la testa gli ottanta e passa kg di muscoli dell’ odiosa detenuta per assicurarsi la tranquillità e la totale sovranità sul suo piccolo regno, un tempo le notti di Sunnydale, ora una piccola, squallida cella nel penitenziario federale.

Le altre detenute avevano ugualmente paura di lei, dopo che si era sparsa la voce del motivo per cui era stata incarcerata, ma soprattutto dopo che aveva pestato con estrema facilità, nella mensa comune, Crazy Mazy, la carcerata più grossa e temuta della prigione.

Si era fatta sotto subito con lei, ingannata dalla bassa statura e dal viso innocente, facendole una proposta non proprio educata, e reagendo in modo violento alla sua sferzante risposta.

Oltre un quintale di muscoli per una culturista gonfia di ormoni maschili e steroidi, solo leggermente appesantita dalla permanenza in carcere che le consentiva di allenarsi solo per paio d’ ore al giorno, si scagliò su di lei con tutto l’ impeto del suo peso, sparando un gancio destro ampio, da dilettante.

Buffy alzò il gomito sinistro, intercettando le nocche della donna e mandandole in frantumi, mentre contemporaneamente le colpiva con un calcio circolare destro il ginocchio.

L’ articolazione, resa fragile dalle terapie farmacologiche e sottoposta a forti sollecitazioni per via del peso della donna, molto superiore a quello che costituzionalmente avrebbe potuto sopportare, si frantumò sotto quel semplice attacco, mentre la cacciatrice tornava tranquillamente a sedersi al suo posto, prima dell’ arrivo delle guardie, e mentre sulla mensa calava il silenzio.

Chiaramente nessuno aveva parlato, avvertendo che gli equilibri in campo erano bruscamente cambiati.

Tuttavia nulla poteva attenuare il senso di frustrazione che l’ attanagliava ad ogni secondo che passava in quella lurida prigione.

Il suo avvocato le aveva assicurato che non ci sarebbe rimasta a lungo, ma era prima che uscissero quei titoli sui giornali.

“Non si preoccupi, Buffy, non si può condannare qualcuno soltanto perché non ha un’ alibi e ha abitudini stravaganti” le aveva detto il giovane, appena uscito da Yale e molto in gamba, ma forse un po’ troppo ingenuo.

“In fin dei conti non c’ è nulla che la leghi ai delitti, ed è impossibile provare che si sia assentata dalla città nelle loro date”

“Già, ma non c’ è neanche nessuna prova che mi discolpi”

“Forse, ma nella nostra società non si può condannare qualcuno solo perché non può dimostrare di essere estraneo al delitto, è necessario dimostrarne la colpevolezza”

Avrebbe tanto desiderato avere lo stesso ottimismo del suo avvocato, anche se non era sicura che neppure lui lo avesse conservato dopo la bufera giornalistica che si era scatenata intorno al caso, ancora prima dell’ incriminazione e dell’ udienza preliminare.

Forse solo un miracolo poteva farla uscire.