THE BLOOD OF MY ENEMIES

AUTHOR: THE FIERCE

"Three sons haves I, and they

ride by my side.- theFierce,

theBlack, and theWicked are

they names- we ride down my

enemies on their half-hearted flight.

No voice of mercy-no evangels of light."

 

(MANOWAR 1984)

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

La sottile scheggia di vetro cade tintinnando sul pavimento, infrangendosi in una miriade di scheggie più piccole, producendo un piccolo arcobaleno luminoso. Nascosto dietro il bancone del negozio che intendeva derubare Jaco ne osserva con attenzione la traiettoria, la parabola, l' impatto con il pavimento, lo spettacolare epilogo, affascinato suo malgrado, disinteressandosi della sparatoria in cui lui è ben più di un semplice spettatore, assurgendo infatti il ruolo di bersaglio. Si accorge appena della rosa di pallettoni che lo investe al volto, lo sfigura e lo scaraventa ad alcuni metri. Quasi non sente le urla del proprietario della squallida bottiglieria alla periferia di Los Angeles che, subito dopo avergli sparato, è stato raggiunto da uno dei proiettili di grosso calibro sparati dal compagnio, un delinquente che l' ha reclutato in strada poco più di un' ora prima. L' uomo, un corpulento signore di mezz' età dallo spiccato accento polacco, percorre ancora un paio di metri nella sua direzione, poi si accascia a terra stringendosi l' addome. Il rapinatore illeso salta agilmente al di là bancone con la pistola ancora in pugno, ignorando Jaco e non mancando di assestare un calcio all' ormai spacciato commerciante, mentre gli svouta il registratore di cassa, per poi fuggire prima dell' arrivo delle sirene. La porta a vetri esterna sbatte, ed altre schegge cadono a terra tintinnando. Un rumore flebile, eppure Jaco si tappa le orecchie disperatamente, cercando di soffocare le grida che quel suono evoca. Chiude gli occhi, per non rivedere le immagini, per non rivivere il momento peggiore della sua esistenza. Non ci riesce.

Evidentemente il terrore reclama il suo pegno.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

La serata era splendida, il cielo terso e la luna, una sottile falce argentea, bagnava i loro corpi nudi. Jaco stringeva fra la braccia quella che era stata la sua compagna per più di duecento anni, felice. Avevano fatto l' amore, ed ora sarebbero usciti in cerca di prede. I loro seguaci già li attendevano all' interno della casa, impazienti, sebbene la notte non fosse adatta alla caccia. A lei piaceva così, desiderava che le sue vittime la vedessero bene mentre uccideva, voleva vedere il terrore nei loro occhietti spaventati. Si mossero in gruppo, senza curarsi delle apparenze. Era per questo che gli piaceva Sunnydale. Ovunque andasse c' erano protocolli da seguire e regole da rispettare, imposte dai vampiri più anziani, dai clan. Tutto per garantire la sicurezza della loro razza, impedendo che la loro esistenza diventasse di dominio pubblico. Lui aveva un' altra teoria. Credeva che quelle norme fossero imposte dagli anziani solo per garantire loro un certo potere all' interno di quella disprezzabile, rigida struttura che contraddistingueva la società dei vampiri. Ma in quella insulsa cittadina non c' erano limiti, vincoli imposti da qualcun' altro. Inevitabilmente giunsero presto ad uno degli innumerevoli cimiteri della zona. Non avevano ancora visto in giro nessuno, ma del resto era ovvio che gli abitanti, pur senza riconoscerne razionalmente il motivo, si spostassero con una certa prudenza, in quella città. I suoi seguaci sbuffarono impazienti, ma lui non si preoccupava. Qualcuno si trovava sempre.

Finalmente avvistarono una preda.

Una ragazza dai capelli rossi che passeggiava fra le lapidi, incurante del pericolo che correva, ignara delle occhiate che cinque paia d' occhi le rivolgevano. Si avvicinarono, sfrontati ma non imprudenti, circondandola da ogni lato. Uscirono allo scoperto, emergendo dalle ombre in cui si erano rifugiati, e finalmente la giovane diede mostra di essersi accorta di loro. La reazione però non fu quella prevista. Un sorriso malizioloso le increspò la bocca, mentre una singola parola le affiorava alle labbra. Come una sola cosa tre vampiri le furono addosso, costretti però ad indietreggiare, respinti da un' anello di fuoco che si allargava intorno alla figura di Willow. Poi, improvvisamente, la situazione precipitò.

Qualcosa lampeggiò nella notte, descrivendo un arco e spiccando nettamente la testa dal collo di uno di quei vampiri. Jaco ebbè la fugace visione di una bionda che stringeva la pesante ascia come se fosse un giocattolo, usandone il manico in legno, appositamente appuntito, per trafiggere il cuore di un secondo avversario, troppo stupito per reagire. La Bestia. Poi, rapidamente come era comparsa, la bionda svanì, mentre la strega dai capelli rossi, rimase in piedi, a godersi lo spettacolo, sempre protetta dal suo anello di fiamme. I tre vampiri superstiti si avvicinarono disponendosi a triangolo, schiena a schiena. Per la prima volta nella loro esistenza erano prede, non più cacciatori, e la sensazione non era piacevole per nessuno dei tre. Un rumore sulla destra. Jaco e sua moglie non si voltarono, ma il loro servo non fu così accorto e abboccò subito al trucco, girandosi a controllare proprio mentre l' ascia calava su di lui da un' altra direzione. L' arma descrisse un arco, sfoldandogli il cranio fino al mento con un fendente verticale, incenerendolo prima che toccasse terra, ma non prima che il sangue inondasse a fiotti la sua assassina. Jaco scattò, aproffittando dell' ampia traiettoria dell' arma per afferrarne il manico, cercando di disarmare la cacciatrice. Questa reagì in modo imprevedibile, lasciando l'impugnatura e abbassandosi, avvicinandosi ulteriormente e raccogliendosi come una palla. Il vampiro tentò di controllare l' arma, aggiustandosi l' impugnatura e di usarla per recuperare la distanza, ma ne aveva sottovalutato il peso vedendo la facilità con cui la ragazza la maneggiava.

Buffy scattò colpendo il grosso vampiro al torace con la spalla, irrompendo nella sua guardia prima che potesse colpirla con l' ascia e scaraventandolo ad alcuni metri di distanza con la cassa toracia spappolata. Jaco vide la moglie gettarsi sulla slayer con gli artigli protesi, rapida e letale, ma la sua avversaria scansò il colpo e contrattaccò con un montante che l' alzò da terra. Doveva far qualcosa. Imprecando si rialzò, afferrando un grosso sasso e scagliandolo contro il mostro biondo che aveva sconvolto le loro vite, la loro eccitante routine immutata da quasi cento anni. La ragazza non si scompose, afferrando il proiettile al volo lanciandolo contro la vampira che stava aprofittando di quell' attimo per scappare, colpendola al capo con tanta violenza da fracassare sia la testa che la pietra. Jaco urlò, iniziò a fuggire, cercando di attirare l' attenzione di Buffy su di lui, di farsi inseguire, nella speranza di lasciare il tempo a sua moglie di riprendersi e di andarsene. Non funzionò.

Impassibile la cacciatrice si avvicinò al corpo riverso, poi, con un sorriso di scherno, estrasse un paletto e la trafisse.

Jaco iniziò a correre, terrorizzato. Era perfettamente ovvio il motivo per cui la cacciatrice si era accanita su sua moglie, ignorando lui. Se lo avesse inseguito avrebbero potuto fuggire entrambi, inoltre pensava che, dopo la morte della vampira, lui sarebbe tornato per vendicarsi. Ed era quello che aveva intenzione di fare, se qualcosa non glielo avesse impedito.

Terrore.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Sirene. Non più in lontananza, ma vicine a lui. Sente gli sportelli chiudersi, e sà che la fine si avvicina, mentre le volanti circondano la zona. Finalmente qualcosa è riuscito a strapparlo dalle sue visioni d' incubo, dai suoi ricordi, e ne è felice. Presto arriverà il suo premio, la nera signora. Se non l' avesse desiderata nonostante tutto, perchè sarebbe lì, altrimenti, steso in una bottiglieria con il viso sfigurato? Del resto quella maledetta notte è morto dentro, e nulla potrebbe più riportarlo indietro.

Il primo agente irrompe nel negozio, subito seguito da un secondo ed un terzo. I loro pesanti scarponi fanno vibrare il pavimento,e un' altra scheggia si stacca e cade. Nei suoi riflessi cangianti Jaco intravede nuovamente i suoi incubi.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Jaco correva, incapace di qualsiasi altra reazione all' infuori della fuga, seguito da una creatura che non era in grado di distanziare, ma che non aveva neppure il coraggio di affrontare. Lui voleva morire, ma non poteva voltarsi e guardare in faccia la Bestia. Sapeva di avercela dietro, ad ogni passo un po' più vicino, ed agognava il momento in cui lo avrebbe raggiunto, gettato a terra, e, finalmente, ucciso.

L' uscita del cimitero era così vicina ormai, ma non gli importava superarla, nè gli sarebbe stato in alcun modo utile. Ne varcò la soglia, continuando a correre obbedendo ad un istinto, mentre il suo vantaggio si assottigliava. Attraversò le strade tranquille della cittadina, sentendo su di sè gli sguardi carichi di compassione di chi sbirciava la scena da dietro le persiane, equivocando comprensibilmente la situazione. Si era sempre sentito speciale quando una sua preda lo aveva contemplato atterita, ed aveva provato soddisfazione a leggere nello sguardo della gente ignara la paura e la compassione quando osservavano il cadavere di una delle sue vittime. Per questo tornava sempre sul luogo dei suoi delitti, per osservare le reazioni dei supestiti. Gli era sempre piaciuto che le sue azioni generassero in egual misura rabbia e paura.

Raggiunsero la statale, un fiume d' asfalto a poche centinaia di metri dal cimitero, e vi si buttarono in mezzo, inseguitrice ed inseguito.

Perchè fuggiva ancora? Avrebbe dovuto fermarsi, recuperare la sua dignità almeno, se non il suo onore. E quella dannata bionda, perchè non si sbrigava a finirlo? La Bestia stava forse giocando con lui?

Poi ci fu l' urto, le schegge, il tonfo disumano di un corpo che atterra sull' asfalto dopo un volo di cinque metri. Le schegge tutt' intorno a lui.

Jaco vide scendere l' autista del bus, attorniato da altri passegeri, e scorse anche la Bestia che si mischiava alla folla, pronta ad ammazzarlo al primo gesto violento. Era la sua ultima occasione, poteva morire da vampiro, in mezzo ai corpi degli innocenti. La morte che desiderava come complemento all' immagine che aveva di se stesso. Oppure poteva fuggire, aproffittando della situazione.

Aveva fatto una scelta, guidato solo dall' istinto.

Ed era stata quella sbagliata.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Il poliziotto è ora di fronte a lui, e gli punta la pistola contro. Dev' essere uno strano spettacolo per lui. Jaco è coperto di sangue, gravemente ferito, però si muove ed è cosciente, eppure non emette un solo gemito, un lamento.

Finalmente morirà. Lo porteranno in ospedale e con un po' di fortuna finirà in cenere la mattina seguente, senza più risvegliarsi per l' effetto degli anestetici. Non gli importa se qualcuno all' ospedale scoprirà la sua natura, non gli importa più nulla.

Gli agenti lo perquisiscono, gli tolgono la pistola, che sente così fredda e pesante nella sua tasca, che non ha mai neppure per un attimo pensato di usare.

Perchè Jaco si odia, si detesta a tal punto da cercare la morte in qualsiasi luogo vada. Perchè quello che gli ha tolto la Bestia non può essere sostituito. Sua moglie, la sua compagna per oltre cent' anni è morta, ma avrebbe potuto superarlo. L' onore? Per lui non ha mai rivestito alcuna reale importanza, solo una menzogna per ammantarsi dell' alone di aristocrazia che da umano aveva sempre cercato, e che da vampiro si illudeva di aver trovato.

Si sente sollevare, caricare sull' ambulanza, e finalmente si abbandona, sollevato dal peso di vivere e da quello di morire.

La sicurezza. La certezza di essere forte, pericoloso. Da lì era sempre scaturito il suo potere, il suo coraggio, la sua forza. Da un equivoco, da un' illusione.

Era questo che la Bestia, quella maledetta cacciatrice, gli aveva tolto. Ne aveva già affrontata una, una volta, ed era fuggito. Ma non si era sentito inferiore, spaventato od altro, semplicemente aveva ritenuto saggio non affrontare uno scontro dall' esito incerto solo per la sua vanità.

Davanti alla Bestia tutte le sue illusioni erano crollate, invece.

Sentì l' autoambulanza fermarsi bruscamente, vide il portellone aprirsi e e poi confusamente un' ombra muoversi rapidamente e scaraventare l' infermiere fuori dalla vettura. Si trattava di una donna, anche se non riusciva a vederla bene in faccia. Una bionda.

La Bestia era forse venuta per finire il lavoro?

"Vieni con me Jaco. Anch' io ho sofferto molto per colpa di quella ragazza, ma ora gliela faremo pagare cara"

La voce era calda e rassicurante. Per la prima volta da mesi, dalla notte del suo incontro con la Bestia, si era sentito al sicuro.

Prese la mano che Darla gli tendeva, ed insieme fuggirono nella notte.

           

parte seconda: Dream

 

La cacciatrice si afflosciò tra le sue braccia senza un gemito.

Morta.

Lo guardava con i grandi occhi verdi, inespressivi, indifferenti. Nonostante avesse continuato a colpirla, massacrandola di botte, il suo viso non presentava tracce del terribile pestaggio, ad eccezione di un piccolo taglio verticale al centro delle labbra, dal quale erano sgorgate poche gocce di sangue, appena sufficienti ad arrossarle le labbra, quasi come un rossetto. Il resto del corpo invece era coperto di tagli, escoriazioni e grossi lividi bluastri, testimonianza dello sfogo di Jaco. Tutto era andato come desiderava. La slayer che aveva affrontato non era più la Bestia, la creatura invincibile che gli aveva portato via tutto, era invece diventata l’ oggetto passivo della sua vendetta. Senza abbozzare un grido, una reazione qualsiasi, si era lasciata morire, sopportando i colpi del suo carnefice senza ribellarsi.

Era così che aveva sempre sognato quel momento.

---------------------------------------------------------------------

La visione si fece indistinta, sempre più vaga, ed il terrore lo attanagliò. Non voleva lasciarla andare e lottò con tutte le sue forze per rimanerle attaccato, ma inutilmente.

Consapevolezza.

Era di nuovo sveglio. Prigioniero di un mondo senza speranza, in cui non aveva realmente potere. Sentì le mani di Darla che lo accarezzavano dolcemente, poi la sua voce tentò di consolarlo.

“Che c’ è amore, un brutto sogno?”

Era proprio il contrario, ma non ritenne necessario informarla. Del resto non era il solo ad essere stato poco sincero. Lo aveva chiamato ‘amore’. Ma Darla non amava nessuno. O almeno, non lui. C’ era quell’ altro, sempre. Ed era per questo che lei odiava tanto la Bestia. Non poteva sopportare che lui l’ avesse messa da parte, tradita, per lei.

Comunque non gli importava nulla di Darla, ne delle sue motivazioni. Era sufficiente che, per il momento, combaciassero con le sue.

Scostò le lenzuola e iniziò a vestirsi.

“Dove vai?”

Tipico di Darla. Voleva l’ assoluto controllo. Lo aveva scelto con cura, probabilmente. Giudicandolo utile ai suoi scopi come figura maschile da imporre ai loro seguaci, e per le sue buone capacità organizzative, oltre che per la discreta fama che si era guadagnato in qualche secolo di attività. Ma fondamentalmente lo doveva considerare uno stupido, incapace di vedere attraverso la rete di menzogne che gli aveva tessuto attorno. Si era sbagliata.

Le diede una risposta qualsiasi, poi uscì all’ aperto, sotto la luna, nel piccolo ma grazioso giardino. Camminare lo aveva sempre aiutato a pensare, fin da quando era solo il ricco figlio del mercante, che disperatamente cercava di farsi accettare dalla nobiltà, ma che nonostante l’ impegno ed il denaro profuso nei suoi sforzi, il più delle volte non riusciva che ad attirarsi lo scherno di coloro che tanto ammirava.

Come allora cercava una soluzione del suo problema, e come allora, la soluzione sembrava eluderlo, sfuggendogli sempre all’ ultimo momento.

Il suo problema era uno solo. La Bestia.

Sconfiggerla gli era sempre sembrato impossibile, in quei lunghi mesi che avevano seguito il massacro dei suoi. Se quell’ idea aveva iniziato a passargli per la mente lo doveva alla sua attuale alleata, questo doveva riconoscerlo, come doveva anche riconoscere, che per lei la vendetta era importante, ma secondaria rispetto alla riconquista del vampiro per cui tanto si struggeva. Non sapeva se davvero lei lo amasse, o se semplicemente non concepisse il rifiuto, ma era certo che lei ne fosse ossessionata.

Rivide quella bionda terribile mentre, con il candido sorriso di una ragazzina, trafiggeva il cuore di sua moglie. Scaccio l’ immagine, conscio del rischio che correva. Se si fosse lasciato soverchiare come allora sarebbe ripiombato nei sensi di colpi, derubato nuovamente della sua forza, forza che si accingeva a riconquistare con il simbolico atto di vendetta su quella malvagia puttana.

Nel tentativo di allontanare la visione, richiamò alla mente le parole della vampira, quando lo aveva condotto nella sua casa la prima volta.

“Se vuoi sconfiggere la cacciatrice devi smettere di vederla come la Bestia” gli aveva detto la sua salvatrice.

“Si chiama Buffy Summers, e conoscendo la sua storia vi scorgerai i punti deboli, la priverai dell’ aura di invincibilità che le hai costruito attorno, quasi a giustificare la tua sconfitta e la tua fuga”

Aveva accolto quell’ involontaria manifestazione di disprezzo a testa bassa, senza replicare.

Perché lei aveva ragione.

Ma non aveva dimenticato che, in fondo, Darla lo disprezzava e lo compativa.

--------------------------------------------------------------------------------------------

La lama attraversò la carne, lacerò il tendine e scheggiò l’ osso. Buffy Summers lasciò la tozza lama della daga nel braccio della strana creatura, balzando indietro per evitare l’ ovvio colpo di ritorno. Il demone si fece subito sotto, dotato apparentemente di vitalità illimitata. La Bestia non si scompose, sferrando una breve serie di pugni, tutti a segno ma privi della forza necessaria per danneggiare seriamente la creatura, ma che le permise di accorciare la distanza dove le ingombranti membra del mostro sarebbero state poco efficaci. L’ essere intuì il pericolo, tentando di spezzare il contatto, ma la ragazza lo seguì. Invece di accanirsi sull’ arto ferito, come il demone si aspettava, la Bestia sferrò un calcio laterale al ginocchio del mostro che cedette di schianto sotto il notevole peso e il colpo della cacciatrice. Con un grido soffocato, più di sorpresa che di dolore o paura, la creatura crollò al suolo, tentando un ultimo affondo disperato protendendo in avanti i letali artigli.

Inutilmente.

La Bestia si ritrasse solo un poco, poi sorrise sinistramente, sovrastando il corpo del demone caduto, infine si avvicinò per finirlo, soffocandolo con crudeltà e cinismo, schiacciandogli la trachea con la punta dello stivale.

-----------------------------------------------------------------------------

Questa era stata la fine di Etremar il grande, uno dei più terribili demoni della storia.

La cassetta che stava visionando era costata più vite di quanto gli piacesse ammettere, ed era priva di qualsiasi utilità. Serviva solo a rimarcare l’ idiozia di tentare un qualsiasi tipo di assalto frontale contro di lei, indipendentemente dal numero di avversari che le avrebbe riversato contro. Non c’ era modo di costringerla ad affrontare forze soverchianti, ne di prenderla in trappola. Anche gli agguati erano inutili. Più volte aveva assoldato sicari, più per sondare le sue capacità che nutrendo reali speranze, ma nessuno era tornato.

Cos’ era accaduto?

La cacciatrice era sempre stata notevole, ma tutt’ altro che invincibile fino a qualche tempo prima. Cos’ era accaduto?

Perché era diventata così spietata ed inattaccabile?

Cercò di figurarsi una ragazzina che scopre di dover morire a sedici anni, poi la immaginò mentre combatteva contro il suo amante che le si era rivoltato contro, infine mentre lo uccideva, dopo averlo ritrovato. La Buffy Summers che aveva vissuto quelle situazioni non era la stessa che aveva affrontato. Era impossibile sconfiggere la Bestia, e nessuna profezia avrebbe potuto cambiare quel dato di fatto. E poi non si sarebbe mai fatta coinvolgere sentimentalmente da qualcuno, anzi sarebbe stato difficile riconoscere in lei qualsiasi tipo di sentimento umano.

Com’ era avvenuta una tale mutazione?

Non c’ era modo di saperlo con certezza, probabilmente.

Eppure…

Ricordò un’ antica lezione, da molto tempo dimenticata.

E capì.

Buffy Summers non era forte.

Era debole, fragile, indifesa.

La forza della cacciatrice la rendeva potente fisicamente, ma non imbattibile. Un evento traumatico l’ aveva ulteriormente provata, qualcosa avvenuto in quei cinque mesi in cui aveva fatto credere di essere morta.

Non era riuscita più ad andare avanti.

Così aveva creato la Bestia.

Inumana, aliena, inattaccabile.

Una creatura incapace di soffrire.

Ma così facendo aveva rinunciato alla sua stessa natura.

Lui non doveva far altro che invertire il processo, e lei si sarebbe autodistrutta con le sue stesse mani.

Nella mente di Jaco si schiusero infinite possibilità.

Il suo sogno non era più molto lontano.

           

parte terza: Choices

 

La prudenza era diventata qualcosa più di un’ abitudine per il vampiro, purchè non avesse un valido motivo ignorarla. Nella sua precaria posizione era un bersaglio tanto degli umani più intransigenti quanto della razza che aveva rinnegato.

Quanto ai demoni ed a creature più sinistre ancora… bè, loro non avevano bisogno di motivi per accanirsi contro una potenziale preda.

Uscì in strada muovendosi con celata circospezione, con disinvoltura, quasi a mostrare una sicurezza che certamente non possedeva. Era sempre dolorosamente conscio della precarietà della sua esistenza, eppure, anche nei secoli di tormento indicibile, prima che trovasse nuovamente il modo di dare un significato alla sua vita, non era mai riuscito a compiere quell’ atto liberatorio che spesso bramava. Come sempre attese qualche istante prima di addentrarsi nei vicoli bui e fumosi nei quali inevitabilmente si tuffava per controllare di non essere pedinato, compiendo larghi giri e brusche svolte. Come sempre attese che la cacofonia della notte di L.A. gli si imprimesse nel cervello, in modo da avvertire più facilmente i cambiamenti di quell’ ordito di suoni, mormorii, cigolii, sibili e quant’ altro che sembravano circondarlo da ogni lato, proteggendolo e cullandolo nella notte sfavillante della città.

Ma se il caldo (soffocante?) abbraccio di Los Angeles da un lato lo celava dai possibili sguardi dei suoi simili, dall’ altro confondeva le sue percezioni, tanto chiare e nitide in aperta campagna quanto frastornate in quell’ intrico di luci artificiali, rumori improvvisi ed odori nauseabondi. L’ olfatto sensibilissimo che consentiva alla sua razza di fiutare il sangue a grandi distanze o di orientarsi con estrema facilità era confuso, quasi sopraffatto dall’ intensità degli odori che avvertiva: ogni folata di vento trasportava la fragranza inebriante di un profumo femminile mista all’ odore acre della benzina, il puzzo dell’ asfalto caldo ed umido insieme all’ aroma del cibo preparato in una vicina rosticceria.

La vista, che gli permetteva una visione straordinariamente nitida della realtà anche nel buio più profondo, era offesa da quelle molteplici fonti luminose, neon, lampioni, insegne e fari, confusa fino a non poter penetrare nei coni d’ ombra più prossimi a tali luci.

La città lo proteggeva, nascondendolo agli occhi dei suoi nemici, ma al tempo stesso gli impediva di percepirli con chiarezza.

Il reietto però era felice di quella situazione: meglio avvolto dalle spire di L.A., trasportato dal tiepido torpore della città, che esposto alla vista dei suoi numerosi quanto occasionali nemici.

Malgrado il fastidio che aveva arrecato loro non era ancora iniziata la sistematica caccia all’ uomo che avrebbe definitivamente sancito l’ inizio di una guerra, e fino ad allora ogni possibilità di celare le sue mosse e le sue intenzioni andava colta al volo.

Poi si accorse del suo inseguitore.

 

 

 

Jaco aveva temuto quell’ incontro più di ogni altra cosa, perfino di più della possibilità di fronteggiare nuovamente la Bestia.

L’ individuo a cui si trovava davanti, comodamente adagiato in una morbida poltrona di pelle, aveva sempre suscitato in lui gli stati d’ animo più divergenti: ammirazione, frustrazione e gelosia, orgoglio, affetto e risentimento. Benché formalmente fosse il suo sire Kemper non mostrava per Jaco alcuna soggezione, né alcun rispetto, anzi lo accolse con un sorriso di scherno.

La struttura in cui si trovavano, un’ ampia costruzione in stile vittoriano, dal gusto barocco e un po’ pacchiano, era una villa disabitata fino a pochi mesi prima, una deprecabile costruzione sorta sulle fondamenta di una certamente più antica, nonché più decorosa, casa coloniale nella parte settentrionale del New England. L’ interno di quella sgraziata costruzione era tuttavia ampio e luminoso, con soffitti alti e stanza spaziose, ed era stato quello, insieme alla posizione decentrata e alla pronta disponibilità a spingere Kemper ad affitarla.

Nell’ entrare nell’ abitazione del suo antico sottoposto (ma lo era mai stato?) Jaco aveva sperimentato nuovamente la sgradevole sensazione di non aver mai compreso il suo attuale anfitrione, tanto ossessionato dalla bellezza da acquistare costosissime opere d’ arte per poi doverle abbandonare, spesso repentinamente, alla prima avvisaglia di pericolo per timore che fossero danneggiate, eppure capace di abitare un posto come quello.

Del resto non doveva stupirsi, aveva visto il vampiro indossare un giorno abiti elegantissimi ed il successivo gli stracci maleodoranti di un servo, passando dagli uni agli altri con la massima disinvoltura, modificando anche il suo modo di esprimersi per adattarlo all’ abbigliamento (o viceversa?).

Un giorno potevi trovarti casa un minatore abbruttito dalla fatica, e pochi attimi dopo conversare piacevolmente con un giovane lord inglese, che non avrebbe certamente mancato di affascinare giovani fanciulle dell’ alta società se solo avesse avuto il desiderio, e la costanza, di interessarsi a tali occupazioni.

Ma Kemper non aveva mai trovato stimolanti tali obiettivi, neppure nel lungo lasso di tempo trascorso nelle più magnificenti corti Europee, quasi due secoli prima; anzi, Jaco sospettava talvolta che quel lato del suo carattere non fosse altro che un esercizio mentale per mettere alla prova le sue innegabili doti di stratega e combattente.

           

parte terza: Choices

 

Il suo inseguitore ci sapeva fare.

Non quanto lui però.

Altrimenti non si sarebbe probabilmente accorto di essere pedinato finchè non fosse stato troppo tardi, ma anche con la consapevolezza di essere seguito era tutt’ altro che semplice individuare il suo misterioso avversario, e, quel che era peggio, stabilire che tipo di minaccia rappresentasse.

Era forse umano? Oppure un dannato vampiro in cerca di gloria? O un emissario di poteri ancora peggiori?

Quel tipo conosceva tutti i trucchi. Aveva scelto quel percorso per confondere i sensi di possibili inseguitori, ma tale scelta si dimostrava ora, come del resto aveva sempre saputo, una lama a doppio taglio, impedendogli di individuarlo con precisione.

Quel che era certo è che l’ uomo sapeva chi aveva di fronte, altrimenti non avrebbe cercato di camuffare il suo odore, né di nascondersi nelle ombre più prossime alle fonti luminose, ben sapendo che gli occhi dei vampiri non erano in grado di percepire con chiarezza in prossimità di luci intense e circoscritte.

Più volte tentò di far perdere le sue tracce, con brevi, vertiginose corse in un intrico impensabile di viottoli, stradine e vicoli bui, spesso arrestandosi di colpo per poi tornare rapidamente sui suoi passi. Tutto senza risultato.

Decise così che era arrivato il momento di vedersela con il suo nemico.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------

“Cosa ti porta nella mia umile dimora, sire?”

Il tono sarcastico di quella domanda non sfuggì a nessuno dei presenti, e Jaco stramaledì Kemper per la posizione in cui lo stava mettendo. Non poteva perdere la faccia dinnanzi ai suoi uomini, se non voleva rischiare ribellioni alla sua autorità, soprattutto mentre tutti i suoi sforzi erano concentrati sulla cancellazione della Bestia.

Aveva intrapreso quel viaggio con ben otto seguaci, conscio di dover dare una prova di forza, certo di dover cancellare le voci che lo davano per spacciato dopo il primo scontro con quella cacciatrice, qualche mese prima.

La presenza di una scorta tanto numerosa non aveva altro significato se non dimostrare la forza del suo gruppo, disposto a viaggiare per km, affrontando la luce diurna, pur di obbedire agli ordini del loro signore.

Sicuramente entrare in territorio altrui con una forza così consistente, addirittura nove vampiri potenzialmente ostili all’ interno della dimora di un’ altro, sarebbe stato considerato da molti signori come un atto intimidatorio, una violazione del protocollo, se non addirittura come un atto di guerra, ma sapeva che al suo antico seguace, non sarebbe importato.

Così come sapeva che Kemper non si sarebbe mai fatto trovare in una situazione, di tale palese inferiorità, e che sebbene non avessero visto nessun altro vampiro da quando erano entrati nella casa la sua famosa squadra doveva essere presente.

Jaco sapeva bene che se avesse voluto, il suo anfitrione avrebbe potuto far tagliare la gola a lui ed a tutti i presenti con un cenno, una parola, e sapeva anche che era abbastanza pazzo, e temuto, da farlo senza preoccuparsi delle conseguenza, delle reazioni di altri clan all’ accaduto.

Ma sapeva anche che non sarebbe avvenuto nulla di tutto questo, e che Kemper, alla fine, avrebbe accettato di fare quello che gli avrebbe chiesto.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------

Ora riusciva vederlo bene.

Si trattava di un vampiro, riusciva a percepirlo.

Battito cardiaco praticamente assente, odore tipico, simile a quello umano ma più penetrante misto a quello acre del sangue, occhi dallo scintillio appena percepibile, avanzava sicuro, senza tradire il minimo segno di affaticamento pur muovendosi con notevole rapidità.

Dopo tutti i tentativi fatti per seminarlo, il reietto iniziava a pensare che sarebbe stata un’ impresa avvicinare il suo inseguitore per un confronto, ma si era dovuto ricredere.

Si era arrestato e guardato alle spalle, a lungo, come per penetrare quelle ombre che neppure i suoi occhi potevano scandagliare, certo che il suo nemico fosse lì acquattato in attesa, per fargli inequivocabilmente sapere che si era accorto di lui.

Poi si era girato, sempre vigile, in cerca di un luogo adatto per il confronto. Lo aveva trovato poche centinaia di metri più in là, in un vicolo nei pressi di un incrocio trafficato, anche a quell’ ora di notte.

Si era fermato ad aspettare, sperando che lo raggiungesse presto.

Non poteva far altro, visto che ribaltando i ruoli ed inseguendolo avrebbe rischiato di finire in trappola, a meno di non ignorare l’ accaduto e sviare il pedinatore conducendolo in luoghi insignificanti, magari con un tour delle bettole cittadine.

Sarebbe stato più saggio, forse, ma lui voleva sapere.

Non fu tuttavia così stupido da attendere l’ avversario in un luogo qualsiasi.

C’ era abbastanza traffico da scoraggiare con buona probabilità un’ azione violenta, ed al tempo stesso la tranquillità per parlare liberamente. A pochi metri da lui un gruppetto di barboni stava ubriacandosi con del T-bird da due soldi e raccontando storie sconce, mentre poco discosti due netturbini stavano chiacchierando di baseball mentre svuotavano svogliatamente alcuni bidoni dell’ immondizia.

Dubitava che il suo interlocutore sarebbe stato così pazzo dall’ affrontarlo in quel momento.

------------------------------------------------------------------------------------------------------

“Sai, sono sorpreso di vederti qui” il tono di Kemper era irridente, con il chiaro scopo di farlo infuriare, ma sortì paradossalmente l’ effetto opposto.

Era chiaro che aveva deciso di aiutarlo, sebbene contro voglia, e che quelle insinuazioni erano in qualche modo il prezzo da pagare per la sua assistenza.

“Avevo sentito certe voci…”

“Quali voci?” doveva assecondarlo almeno un po’, fare la sua parte per soddisfare lo smisurato ego del vampiro.

“Beh, che una cacciatrice ti aveva preso a calci in culo fino in Texas” Non ottenendo l’ effetto desiderato Kemper rincarò prontamente la dose.

“Dicevano anche che eri finito, che i tuoi uomini erano morti e ti eri ridotto a fare il pezzente”

Jaco non era intenzionato a dargli troppa corda.

“Come vedi certe voci erano esagerate” fece una pausa poi continuò “… e poi i tipi come me cadono sempre in piedi”

“Immagino che tu non sia venuto fin qui dall’ assolata California solo per una visita di piacere al tuo antico seguace” il tono era leggermente contrariato per la piega presa dalla conversazione.

Ora sembrava deciso ad accorciare i convenevoli il più possibile.

“In effetti sono venuto a proporti un incarico…”

“Fammi indovinare, dovrei uccidere quella slayer che ti ha causato tanti problemi” lo interruppe bruscamente il padrone di casa.

“Non proprio, in effetti voglio essere io a sbarazzarmi di lei, anche se l’ incarico è strettamente connesso a quella faccenda”

“Non è da te essere così sentimentale”

Non era la verità infatti, ma non poteva dirgli che temeva che anche lui avrebbe fallito, altrimenti l’ orgoglio del vampiro lo avrebbe spinto a rifiutargli l’ aiuto, se non peggio. Non sentiva il bisogno di essere lui ad eliminare fisicamente la Bestia, si sarebbe accontentato di sapere che la sua morte era avvenuta per suo volere, ma non poteva rischiare uno scontro fra Kemper e la cacciatrice. Se fosse sopravvissuta lo sarebbe venuta a cercare, e questo avrebbe decretato la fine delle sue speranze, dei suoi sogni di vendetta.

“Cosa dovrei fare?” La frase lo strappò dalle sue elucubrazioni. Era il momento di avviare la fase finale del suo piano.

“Devi catturare un vampiro a L.A.”

-------------------------------------------------------------------------------------------------------

Il vampiro che lo aveva seguito era ormai vicinissimo, e non sembrava affatto intenzionato a parlare.

Il reietto pregustò la gioia di uno scontro. La violenza in sé non gli aveva mai dato un grande appagamento, non era un combattente fanatico. Prima di rinnegare il suo passato aveva sempre preferito la tortura, fisica o psicologica non faceva differenza, al confronto alla pari, e, nonostante il suo cambiamento non poteva che ammettere che preferiva ancora agire in modo tortuoso contro i suoi nemici, giocare con loro, come un tempo aveva fatto con le sue vittime.

Eppure uno scoppio di violenza primordiale, istintiva, poteva essere molto soddisfacente. Lo aiutava a respingere le sue frustrazioni, a limitare il tormento.

Per un momento, un breve istante, ritornava ad essere se stesso, libero dai vincoli che si era imposto da solo.

Il vampiro si fermò a pochi passi da lui, poi ringhiò in modo animalesco, prima di avventarsi su di lui con velocità prodigiosa.

Era basso, tarchiato, molto robusto ma non pesante. Una struttura fisica che lo rendeva micidiale a corta distanza, e da come si muoveva doveva esserne perfettamente cosciente.

Benché non fosse concentrato sull’ ideazione di strategie, il suo corpo sapeva esattamente cosa doveva fare. Se avesse perso tempo ad analizzare coscientemente la situazione, probabilmente il suo avversario lo avrebbe dilaniato con i tozzi e robusti artigli (probabilmente li aveva accorciati ed affilati appositamente) prima ancora di trovare una soluzione.

Il vampiro sferrò una sequenza di diretti indirizzati al volto ed al torace, ma al reietto bastò spostarsi diagonalmente per limitare la violenza dei colpi. Frustrato il suo avversario lo caricò appallottolandosi, concentrando tutta la sua forza, pensando di coglierlo impreparato.

Ma l’ uomo aveva già conosciuto qualcuno che utilizzava quella tecnica per rompere la distanza, essendo considerevolmente più bassa della maggior parte degli avversari che combatteva abitualmente, ed in un certo senso era preparato. Ruotò sul piede sinistro, appoggiò le mani sulle spalle del nemico e accompagnò il suo movimento, sommando al considerevole impeto dell’ uomo anche l’ energia della sua rotazione. Il vampiro andò a sbattere con violenza contro un muro, ed il reietto fece per avvicinarsi e finirlo, ma fu trattenuto da una sensazione di pericolo indefinibile. Tento disperatamente di focalizzare le sue percezioni, ma inutilmente, la fonte della sua preoccupazione continuava ad eluderlo.

Era nei guai.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------

Una moneta cadde nel pozzo, svanendo nelle oscure profondità generate dalla sua mente.

Uno.

Subito dopo una seconda moneta svanì allo stesso modo nell' abisso.

Due.

Aveva imparato a percepire con precisione lo scorrere del tempo in un' epoca lontana, per sincronizzarsi con il resto della sua squadra durante le operazioni. Nomi e volti di quegli uomini avevano da lungo tempo lasciato il posto ad altri ricordi, più recenti o più importanti, ma l' abitudine restava. Secoli dopo aveva iniziato a visualizzare il pozzo e le monete, adottando quel particolare tipo di meditazione che aveva appreso in giappone. Non che credesse a tutte le idiozie orientali che aveva appreso, semplicemente doveva ammettere che alcune loro intuizioni erano notevoli. Quel giochetto, ad esempio, gli consentiva di essere cosciente del tempo reale con buona approssimazione, evitando di impegnare preziose risorse in conteggi inutili, semplicemente affidandosi ad una economica rappresentazione psichica. Era come osservare le lancette dell' orologio, si era consci dello scorrere del tempo pur senza contare i secondi uno per uno.

I suoi uomini erano tutti in posizioni, pronti a convergere sulla preda.

Ormai aveva perso l' esatto conto delle monete, ma poteva fare una stima piuttosto precisa del tempo trascorso, e così potevano fare gli altri membri del suo dantai, la squadra di guerrieri che aveva addestrato personalmente per decenni, non solo per renderli temibili, ma per creare un forte legame fra ogni componente del gruppo.

Ben prima che esistessero gli orologi portatili, anche nelle notti senza stelle, i componenti di un dantai potevano separarsi per ore ed agire poi in perfetta sincronia, in luoghi diversi, come un meccanismo perfetto e letale. Ognuno di loro sapeva esattamente cosa avrebbero fatto gli altri nella medesima situazione, e poteva agire di conseguenza. Non si trattava di un addestramento alienante, che produceva cloni identici, incapaci di pensare, ed agire, in modo differente e creativo; tutt’ altro, Kemper aveva sempre esaltato le doti individuali di tutti e cinque.

La preda si spostava velocemente, facendo giri tortuosi e controllando spesso il percorso. Neppure il suo pedinatore migliore sarebbe riuscito a seguirlo impunemente, per questo nei giorni precedenti per individuare approssimativamente le sue abitudini, i suoi percorsi abituali, aveva dovuto utilizzare tutti i suoi uomini, capaci di darsi il cambio in continuazione, di sparire, camuffarsi e riprendere l’ inseguimento pochi metri dopo.

L’ attuale formazione del suo dantai era stabile ormai da più di un secolo, il che significava che l’ affiatamento fra di loro, già notevole quando un nuovo componente entrava nel gruppo, era pressoché perfetto, un risultato che in quelli composti da esseri umani era quasi impossibile da ottenere.

Insieme quegli uomini avevano compiuto innumerevoli missioni, ed ogni volta il legame stabilito fra loro si era rafforzato. Quel legame era la loro forza. Singolarmente ognuno di loro era un buon combattente, esperto, preparato, feroce, ma non superiore a tanti altri; insieme invece erano una forza molto più consistente, contro la quale anche gruppi più numerosi erano caduti.

Ma quel legame speciale che univa i membri di un dantai era anche un rischio, Kemper ricordava ancora con terrificante chiarezza il terribile contraccolpo causato dalla morte dell’ ultimo compagno caduto, quando ancora lavorava formalmente con Jaco.

Non aveva tempo per simili sciocchezze, doveva concentrarsi sulla missione.

Come un solo uomo, ognuno da posizioni diverse, i vari membri del dantai sciamarono verso il loro bersaglio.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------

Il vampiro si accorse dell’ attacco solo all’ ultimo momento.

Scartando in avanti evitò l’ arco descritto del bastone che lo avrebbe colpito alla nuca, facendogli certamente perdere conoscenza. Non riusciva a credere che un gruppo così numeroso fosse riuscito ad avvicinarsi a lui con tanta facilità, ma non era intenzionato ad arrendersi facilmente.

Stimò che dei quattro vampiri che lo avevano circondato, sicuramente compagni di quello che stava affrontando, bastasse liberarsi, anche se solo per una manciata di secondi, di un paio per guadagnare una via di fuga.

Determinato a cercare la sua chance, il vampiro caricò nel mezzo, sferrando un diretto contro l’ avversario più piccolo, sicuro di riuscire a scuoterlo anche se fosse riuscito a parare correttamente l’ attacco. La sua previsione si rivelò corretta, ed il suo bersaglio, di mole notevolmente inferiore si sbilanciò notevolmente all’ indietro.

Il reietto non perse tempo, inserendosi nel vuoto lasciato dall’ avversario appena colpito, spingendolo ulteriormente, ma subito si trovò stretto dagli altri, ricompattatisi con insolita efficienza. Cercò di farsi strada fra quel muro di membra, al tempo stesso compatto e cedevole, ma i suo sforzi non ottennero risultati, tentò di colpire i suoi avversari a casaccio, ma tutti i suoi attacchi sembrano perdersi nel vuoto senza raggiungere quasi mai il loro obiettivo.

Poi si trovò improvvisamente in ginocchio, colpito in più punti da varie direzioni.

Cercò inutilmente di rialzarsi, ma fu investito nuovamente da una scarica di colpi, tutti sferrati a cortissima distanza.

Gomiti e ginocchia lo colpirono senza sosta per una manciata di secondi, poi si ritrassero improvvisamente, permettendo a Kemper di ammirare il risultato del loro lavoro.

Angel era stato catturato

parte quarta: I Wake Up Screaming

 

La pioggia scorreva copiosamente sui due corpi strettamente allacciati.

Fradicia, ansimante per la corsa, Buffy Summers sovrastava il suo avversario in ginocchio, la sinistra calata sul suo viso, la destra dietro la schiena che stringeva un lungo kriss, immerso profondamente nella carne del non-morto, che presentava una larga incisione a Y, profonda non più di un pollice e tutta slabbrata a causa della bizzarra lama a serpentina che l’ aveva provocata, e che ora veniva rigirata dolorasamente.

Era stata fortunata a sentirlo.

La pioggia martellava la casa attutendo i rumori, dimezzando la visibilità, rendendo semplicemente impossibile udire i silenziosi passi del vampiro che aveva depositato il piccolo pacco nella cassetta delle lettere.

Eppure l’ aveva percepito.

Un tremito, leggero ma fastidioso, nella trama delle sue percezioni notturne.

Non aveva sentito i passi, né alcun altro suono rivelatore. Semplicemente aveva colto una sottile discrepanza. Si era concentrata fino a rievocare i rumori della notte, lo scroscio martellante della pioggia sul tetto della casa, il rombo soffocato del motore di una delle rare auto che si avventuravano in mezzo al diluvio, l’ abbaiare incessante del cane del vicino.

Ecco, aveva trovato.

Il cane aveva fastidiosamente latrato per tutta la durata del temporale, ed ora aveva improvvisamente smesso, per poi riprendere una manciata di secondi più tardi, in modo furioso.

Potevano esserci miriadi di spiegazioni, ma non le andava di tralasciare nessuna possibilità.

Si era spostata in salotto, senza accendere le luci, scostando la pesante tenda quanto bastava per sbirciare all’ esterno. L’ aveva visto.

Una figura scura era accoccolata nel suo giardino, impegnata nel difficile compito di far entrare un piccolo pacchetto nella sua cassetta delle lettere cercando contemporaneamente di non esporsi troppo alla pioggia.

Aveva aperto silenziosamente la porta, gettandosi all’ inseguimento, ignorando il misterioso pacchetto, concentrandosi invece sul fattorino.

Una breve corsa, un ancor più breve combattimento, e poi l’ interrogatorio.

Il vampiro era distratto, disattento e non si guardava alle spalle. Evidentemente non sapeva a chi era rivolto il pacco, oppure era tanto pazzo o temerario da tralasciare anche le più semplici norme della prudenza.

Probabilmente non sapeva nulla, ma non poteva lasciare nessuna via intentata. Aveva considerato anche la possibilità che si trattasse di un’ imboscata, ma ne dubitava. Altri vampiri avrebbero potuto benissimo attenderla poco distante, ma c’ erano troppe vie di fuga, la visibilità era troppo scarsa, l’ udito troppo disturbato, per consentire loro una caccia feconda. Certo, su di lei pendeva sempre la spada di Damocle dei cecchini, ma con quelle condizioni atmosferiche sarebbe stato stupido tentare un colpo così difficile.

Alla fine l’ uomo si accorse di lei e si mise a correre, ma era troppo tardi. La cacciatrice era già lanciata, mentre il vampiro, tentando di distanziarla, incespicò, barcollando poi per qualche passo.

Si gettò su di lui con tutto l’ impeto della sua corsa, colpendo un bersaglio già in equilibrio precario, trascinandolo nella caduta.

Toccò terra rotolando lontano, rialzandosi più in fretta del suo avversario, facendosi subito sotto per non perdere il suo vantaggio. Il non morto si rialzò con un ringhio profondo, il volto deturpato dall’ abituale ghigno demoniaco, gli artigli protesi. Sferrò un colpo ampio con la mano destra, certo di sventrarla, cogliendola in controtempo, ma i suoi movimenti avevano tradito le sue intenzioni. Un pensiero aleggiò nella mente della slayer, ultimo rimasuglio di una coscienza che la battaglia ricacciava in un angolo, silenziosa spettatrice mentre combatteva con l’ usuale ferocia.

“Posso leggere i suoi movimenti come un libro aperto”

Questa consapevolezza svanì nel vortice omicida come tutto il resto, ma un pensiero restò, posto al centro del suo essere. “Devo prenderlo vivo. Preferibilmente”

Schivò il colpo, poi il suo braccio percorse un arco obliquo, molto più stretto di quello del nemico, che portò istintivamente la sinistra al braccio, che ora pendeva inerte, squarciato all’ altezza del gomito.

Non si era accorto del coltello nella mano della donna.

Si ritrasse, spaventato, cercando istintivamente una via di fuga. Fu un errore. Un pugno pesante come il granito lo raggiunse al viso, mentre altri due colpi, di cui non seppe individuare la provenienza, centrarono le costole ed il torace. Si accasciò, apparentemente senza fiato, malgrado sapesse che, tecnicamente parlando, era impossibile.

Fu rialzato bruscamente da un energico strattone ai capelli, poi il dolore esplose attorno a lui.

“Sai già cosa voglio” disse Buffy. Il suono della sua voce, al tempo stesso decisa e suadente, fece rabbrividire il malcapitato vampiro.

           

parte quarta: I Wake Up Screaming

 

I rumori provenienti dal pianterreno attirarono la sua attenzione. Jaco non c’ era, da giorni impegnato a perfezionare la sua vendetta. Era preoccupata, non poteva nasconderlo. Le era così difficile controllarlo, ora. I suoi seguaci crescevano di giorno in giorno in numero e potenza, mentre i pochi rimasti a lei fedeli erano sempre più isolati. Temeva di averlo mal giudicato quando aveva creduto di poter creare un burattino, di piegarlo facilmente ai suoi desideri.

Eppure era brava, in questo.

Gli uomini avevano sempre fatto quello che lei desiderava, ma anche le donne non si erano mai sottratte alla sua influenza sottile, fino ad allora almeno.

E poi, fingere di amarlo era un tale sacrificio.

Quando aveva iniziato quella farsa, Darla riteneva di poterlo ingannare, lusingare, controllare senza fatica alcuna, mostrando un amore che certo non provava, per un essere che, per di più, disprezzava.

Eppure era necessario.

Se fosse riuscito a vendicarsi avrebbe cancellato l’ ultimo ostacolo alla riconquista del ‘suo’ Angel, senza però diventare bersaglio del suo risentimento, che si sarebbe riversato tutto su quell’ idiota. Angel avrebbe potuto inseguirlo, cacciarlo, vendicarsi di lui, imboccando al tempo stesso un sentiero che l’ avrebbe portato da lei. Poi, all’ ultimo, lo avrebbe condotto da lui, consegnandoglielo.

La gratitudine per il suo aiuto e la rabbia per la perdita le avrebbero permesso di riconquistarlo, ma il suo piano presupponeva l’ assoluto controllo del suo ‘strumento’, mentre cominciava a dubitare sulla valutazione che l’ aveva spinta a scegliere Jaco, dimostratosi decisamente meno malleabile del previsto.

Drusilla entrò nella stanza senza far rumore, come era sua abitudine, e si avvicinò per sussurrarle all’ orecchio.

“Sta succedendo qualcosa, faresti meglio a scendere di sotto”

Poi sparì, sfuggevole come un’ apparizione.

Dru le era rimasta vicino, ma il suo comportamento mostrava chiaramente quanto disapprovasse la sua linea di condotta. Buffo. Iniziava a pentirsi di non aver dato ascolto ad una pazza.

Scese le scale preda di una crescente inquietudine, fino alla massiccia porta di quercia che portava in cantina, davanti alla quale sostavano due guardie che non aveva mai visto.

Che diavolo stava succedendo? Chi erano quei due, e da quando Jaco prendeva iniziative senza consultarla?

Tentò di passare, ma i due le sbarrarono risolutamente il passo. Fu costretta scansarli a forza e per un breve istante temette che avrebbero alzato le mani su di lei, ma fortunatamente non accennarono a una reazione violenta.

Entrò, e quello che vide le fece mancare il fiato.

Angel era incatenato ad una colonna, privo di conoscenza, attorniato vampiri che non aveva mai visto.

“Mia signora, che piacere vedervi”

Le parole di Jaco suonarono false, irridenti, cariche di una malvagità che non credeva potesse mai raggiungere.

 

Il videotape si riavvolse lentamente, il sibilo sordo le sembrò quasi sottolineare la situazione.

Il fattorino non le aveva detto niente.

Non sapeva niente.

La sua agonia era stata breve. Buffy sapeva di non aver paura a somministrare la crudeltà, ma di doversi ben guardare dall’ abusarne. Se avesse iniziato a trarne un insano piacere le sue scelte ne sarebbero state influenzate, la sua efficienza fortemente ridotta. Doveva mantenersi lucida. “Soprattutto, ora” pensò.

Nella sua mente scorsero rapide le immagini di Angel incatenato alla colonna, la sua sofferenza, ma immaginava soprattutto paura, dipinta sul volto.

Paura per lei.

Tuttavia una parte di lei era felice. Una piccola, infinitesimale parte della sua personalità, quella che non si sarebbe mai piegata, era sollevata nel vedere il nemico uscire allo scoperto.

Ora tutto iniziava ad avere un senso: gli agguati, i pedinamenti, la riduzione dell’ attività in città, le voci che sentiva in giro, tutti elementi di un puzzle che solo ora acquisivano un senso, la figura che si stagliava improvvisamente dallo sfondo indistinto.

Erano stati brutalmente semplici, chiari. “Vieni subito o l’ ammazziamo”

Niente orari, ultimatum o raccomandazioni. Non le chiedevano di venire sola o disarmata, sapevano di non poter controllare questi parametri, così come lei sapeva che non l’ avrebbero certo lasciato andare qualunque cosa avesse fatto.

Ucciderli tutti. Era l’ unica soluzione.

“Non hai speranza” si disse “Proprio nessuna”

Non bastava essere forti. Quando si perdeva il controllo, quando si agiva di rimessa, quando si scendeva sul campo dell’ avversario, accettando le sue condizioni, si perdeva. Era certa di poter sconfiggere chiunque in corpo a corpo, di poter abbattere decine di vampiri, se necessario, ma sapeva che sarebbe caduta.

Era un dato di fatto, doveva accettarlo.

L’ altra possibilità era ignorare Angel e aspettare un’ occasione propizia. Avrebbe avuto la sua vendetta, inseguito uno ad uno i membri del commando che avevano rapito il suo ex, avrebbe scoperto chi c’ era dietro e lo avrebbe ammazzato.

Semplice: Angel morto, lei viva.

Non era una scelta difficile: la morte di entrambi in un disperato salvataggio, oppure quella del suo antico amante.

Il problema era solo accettarlo.

Cercò di concentrarsi alla ricerca di un’ alternativa. La sua mente spaziava, valutava e scartava le opzioni una ad una. Combatté contro i suoi nemici centinaia di volte. E, quasi sempre, moriva. Una raffica di mitra, una lama nella schiena, il suo corpo a terra scomposto, riverso in una pozza del suo sangue fuoriuscito dalla giugulare recisa. O ancora il collo spezzato di netto mentre si dibatteva in una marea di membra tese ad afferrarla, ghermirla, lacerare le sue carni, oppure inchiodata da una grossa lama ad un muro scrostato o ancora decapitata da un’ ascia colossale. Certo a volte riusciva a prevalere, ma si trattava di possibilità tanto remote che, razionalmente, non poteva neppure prenderle in considerazione.

Poi vide lo spiraglio. In un pozzo della sua anima, nero, oscuro e terribilmente profondo, c’ era la soluzione, od almeno una possibilità. Improbabile forse, ma non così impossibile.

Strategie non convenzionali.

Una condotta le cui implicazioni erano forse anche peggiori del cinico abbandono di Angel.

 

“Non erano questi i nostri accordi”

Darla sperò che il suo tono apparisse sufficientemente risoluto, e di aver solo immaginato il tremito nella sua voce. Ora più che mai le serviva mantenere il controllo per convincere gli indecisi a schierarsi dalla sua parte, e al tempo stesso ridurre l’ attrito con Jaco ed i suoi.

Era tutto sbagliato.

Aveva manipolato gli eventi per riconquistare Angel, per spingerlo ad abbandonare volontariamente l’ anima, quel pesante fardello che lo opprimeva, quella castrante coscienza che gli impediva di esprimersi. Ora invece era legato nel salone della sua casa di L.A., la sua vita appesa ad un filo, ad una decisione della cacciatrice, ogni speranza di condurlo a sé persa, forse per sempre.

Scandagliò la folla di vampiri in cerca di un appoggio, un sostegno per la sua azione successiva. Istintivamente cercò di individuare Drusilla, ma inutilmente. La vampira, nonostante la sua presunta follia, le aveva dato una lezione di sopravvivenza, mostrando una notevole sagacia nell’ accorgersi per tempo dei segnali inquietanti che Jaco aveva inequivocabilmente lanciato, e che lei solo ora era in grado di interpretare. Pensò di ripiegare su qualcun altro, magari uno dei suoi vecchi luogotenenti, ma incontrò solo sguardi vagamente imbarazzati od addirittura di aperta ostilità. Del resto gli stessi criteri che avevano reso quegli individui idonei comando, l’ intelligenza, la decisione ed il cinismo, ora glieli mettevano contro.

Le si era avvicinato, intanto, una maschera d’ odio dipinta sul volto, i movimenti lenti e minacciosi che precedono lo scoppio della violenza. Dubitava che avrebbe alzato le mani su di lei senza una provocazione, ma il suo atteggiamento era inequivocabile nel voler affermare la sua autorità.

“Cane!”

Quella parola rimase sospesa qualche istante, senza che nessuno riuscisse a capire chi l’ aveva pronunciata, tanto colma di livore e decisione era. Jaco subì l’ attacco inaspettato quasi come una percossa fisica, non si era certo atteso un’ opposizione tanto feroce neppure da Darla stessa, e non aveva preso in minima considerazione la possibilità che qualcun altro si schierasse cosi apertamente al suo fianco.

Una grossa figura si fece strada a spintoni fra la piccola folla di vampiri, cercando di raggiungere i due capi entrati in conflitto al centro della sala.

Luther, il ‘cavalier servente’ di Darla. Avrebbe dovuto immaginarlo.

Un gigante con poco cervello e una devozione assoluta per il suo sire, devozione da lei suscitata e successivamente coltivata per secoli, un seguace totalmente succube della sua autorità.

“Traditore! Cane maledetto! Come osi opporti a colei che ti ha dato tutto?” Le parole erano colme di un’ adorazione fanatica nei confronti della vampira che sorrise, compiacendosi per la sua stessa lungimiranza. L’ intervento di Luther troncava di netto ogni possibile discussione con una sfida netta, ma ormai dubitava di poter convincere Jaco in qualsiasi modo.

Il gigante era ormai vicinissimo, imponente e minaccioso dall’ alto dei suoi 217 cm per 135 kg, ed il suo rivale rimpianse di non averlo fatto semplicemente uccidere quando ne aveva la possibilità.

La sua situazione era difficile. Non aveva nulla da guadagnare e tutto da perdere nell’ affrontare quello scontro, eppure ormai non aveva altra scelta. Il gruppo aveva già accettato la sua autorità, ma semplicemente non poteva permettersi di perdere tutta l’ influenza faticosamente accumulata in quei mesi di preparativi, durante i quali si era poco a poco sostituito alla stessa Darla come figura dominante. Aveva approfittato dei piani paralleli della donna, della sua dubbia alleanza con quello studio di avvocati e dei tentativi, sempre falliti, di circuire Angel. Lui invece si era occupato degli aspetti pratici, aveva reclutato nuovi seguaci, stretto alleanze con altri clan, affermando la sua autorità poco a poco. Mentre lei appariva sempre più distante dagli interessi del gruppo, la caccia, il territorio, la prosperità del clan, assorbita da macchinazioni che escludevano tutti gli altri, sempre più legata a quella pazza, indecifrabile Drusilla, lui era stato l’ artefice dei loro successi, aveva organizzato, diretto, coordinato l’ azione, concentrando i suoi sforzi su un obiettivo che tutti potevano comprendere, e che credevano di condividere.

Tuttavia non aveva osato prima di allora prendere l’ iniziativa direttamente, ma del resto non ne aveva avuto bisogno, facilitato in questo dal crescente disinteresse di Darla per le questioni pratiche. Di fatto controllava il clan già da tempo, benché la vampira ne fosse ancora nominalmente il leader.

Si era deciso a compier il passo definitivo solo quando si era assicurato la collaborazione di Kemper e dei suoi, ordinando loro di prendere Angel. Quella situazione, la destituzione di Darla ed il resto, era solo l’ ovvia conseguenza della sua scelta.

Tuttavia ora si trovava di fronte ad una sfida imprevista, e difficilmente avrebbe potuto sottrarvisi.

Nella loro società la sfida era il modo formale con cui risolvere le controversie, ma solo raramente vi si ricorreva. Fra vampiri il valore guerriero e la cavalleria non avevano nessuna importanza tranne che in pochi anacronistici ordini che si rifacevano a tradizioni medievali assurde. Loro rispettavano il potere, in qualsiasi forma si presentasse, e spesso la capacità di procurarsi il favore dei compagni costituiva una dote decisamente più importante della mera forza fisica. Erano semplicemente troppo assuefatti alla violenza per considerarla una qualità fondamentale. Eppure ora non aveva scelta. Aveva permesso ad un guerriero di sfidarlo apertamente, di fronte a tutti, ed a meno che qualcuno dei suoi non si fosse fatto spontaneamente avanti avrebbe dovuto affrontarlo. Fino ad un minuto prima avrebbe potuto farlo ammazzare con una parola e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire, e, forte del seguito che si era guadagnato, avrebbe potuto far uccidere allo stesso modo perfino Darla, che pure era sempre stata rispettata e temuta in ugual misura.

Per questo difficilmente si arrivava alla sfida. Chi raggiungeva una posizione di prevalenza poteva tranquillamente far eliminare i rivali, oppure si ricorreva ad uno scontro fra le forze in campo, ma difficilmente un capo esperto ed intelligente veniva messo in condizione di non poter far altro che accettare lo scontro. Jaco cercò Kemper con gli occhi, in mezzo al gruppo, conscio di aver perso ulteriore stima per il semplice fatto di trovarsi in condizione di dover affrontare Luther, indipendentemente dall’ esito del duello, e maledì la sua scarsa accortezza. Allo stesso tempo, dall’ espressione glaciale e vagamente incuriosita di quest’ ultimo, capì che nessuno si sarebbe fatto avanti al suo posto, che Kemper stesso non lo avrebbe permesso.

Luther era enorme. Alto, pesante e massiccio era stato trasformato per le sue doti fisiche fuori dal comune, strappato da Darla alla sua grigia esistenza di contadino e pugile dilettante nelle fiere di paese, cruenti scontri senza limiti di tempo in cui il pugilato inglese, ai tempi ancora in stadio embrionale, si fondeva con rozze forme di lotta. La vampira si era accorta delle sue limitate capacità mentali, ma le aveva attribuite ai traumi cranici riportate nei tanti scontri, più che ad un limite genetico effettivo. In effetti era migliorato iniziando una nuova esistenza come non morto, ma non tanto quanto ci si sarebbe aspettati, e la sua ‘creazione’ era stata considerata un errore. Darla però ne aveva intravisto le possibilità, riuscendo ad instillare nel suo seguace un sentimento di adorazione nei suoi confronti, a manipolarlo come un burattino per i suoi scopi, ora usando le lusinghe, ed il sesso, ora i rimproveri e le punizioni.

Era stata una mossa astuta. Darla sapeva quali erano le sue qualità, come sapeva che ispirare fanatici entusiasmi non era fra quelle. Non era un messia oscuro, quello era il Maestro. Non possedeva il sadico carisma di Angel, né la brutale concretezza di Spike. Lei era abile nel tessere intricate trame, nell’ influenzare il comportamento altrui, ma nessuno dei suoi simili al suo comando sarebbe mai morto per eseguire un suo ordine. Semplicemente non avevano né sufficiente fede né sufficiente paura. Così si era creata una valvola di sfogo, un fedele adoratore prefabbricato, allevato così dalla sua rinascita, tenuto in vita contro il parere degli altri per quel solo scopo. Ed aveva funzionato.

Ora, osservando il combattimento fra i due contendenti, si sentì invadere da un moto d’ orgoglio nell’ osservare la sua ‘arma’ affrontare il suo avversario, reso minuscolo dal confronto con la mole dell’ altro.

“Jaco è un buon combattente, ma anche Luther è abile ed esperto, e fisicamente molto più forte. Non perderà” Neppure lei era certa si trattasse di una previsione e non di una vaga speranza.

 

La strada, un sottile nastro viscido illuminato dai fari, scorreva a velocità elevata sotto di lei. Non aveva voluto perdere tempo, rischiando di minimizzare le possibilità di trovarlo ancora in vita senza per questo aver occasione di organizzarsi meglio. E poi sperava non fossero preparati ad attenderla così presto.

Comunque vada, pensava, saranno in molti a morire stanotte.

           

parte quarta: I Wake Up Screaming

 

Il ghigno del gigante rischiava di ossessionarlo, mentre questi, implacabile, continuava ad avanzare, a colpire, ad incalzare. Era lento e goffo negli spostamenti, ma, insolitamente, i suoi colpi raggiungevano una velocità notevole, insospettabile. E sembrava invulnerabile, insensibile ad ogni attacco. Jaco lottò contro il panico che minacciava di sommergerlo, riuscendo infine a scacciarlo ed a riguadagnare la lucidità. In realtà sapeva cosa fare. L’ istinto condizionato in secoli di scontri aveva già individuato a livello inconscio la strategia da adottare, ma il suo cervello, oppresso dalla paura, si rifiutava di metterla in pratica. Con uno sforzo svuotò il più possibile la mente dai pensieri inutili, dalle rappresentazioni mentali del terrore che potevano attanagliarlo, ultime vestigia delle cicatrici psichiche lasciategli dalla Bestia, concentrandosi invece sul combattimento, ignorando le possibili conseguenze. Trasse alcuni respiri profondi, fisiologicamente inutili, dato la minima necessità di ossigeno di cui aveva bisogno il suo corpo, ma, come gli aveva fatto più volte notare Kemper, il loro organismo conservava le stesse reazioni nervose di quello umano se sottoposto ad alcuni particolari stimoli. La vista gli si schiarì, i muscoli si rilassarono mentre si lasciava oltrepassare dall’ apprensione che fino ad allora l’ aveva dominato.

Luther si gettò in avanti, a testa bassa, ormai sicuro della vittoria dopo aver stretto l’ avversario all’ angolo, gli artigli pronti a descrivere un ampio arco. Jaco reagì d’ istinto, condizionato dalla sua lunga esperienza, attaccando a sua volta. Gli artigli gli squarciarono il petto, dilaniando la sua carne, ma la lunghezza limitata impedì che raggiungessero organi vitali. Molto doloroso, ma danni trascurabili. I suoi pugni invece, protesi verso il viso dell’ avversario, lo colpirono in pieno, trasformando il viso rozzo in una maschera di sangue, il naso schiacciato, la mascella fratturata, la dentatura devastata dall’ impatto provocato dallo slancio congiunto di entrambi i vampiri. Ma Jaco non si accontentò del tremendo trauma inflitto al suo avversario. Non si mise a giocare, schernendolo. I suoi pugni non lasciarono la faccia del mostro, ma il colpo divenne una presa, la mano destra afferrata ad un orecchio, la sinistra che stringeva i radi, ma robusti capelli di Luther. Strattonò il capo, ed il gigante, stordito e dolorante, lo seguì docilmente solo per essere raggiunto da una serie di ginocchiate martellanti al petto, che gli mozzarono il fiato e gli spezzarono le costole. Il vampiro ferito non cercò neppure di rialzarsi ma solo di afferrare freneticamente una delle gambe dell’ avversario, nel disperato tentativo di ribaltarlo. Poi si sentì tirare nuovamente, questa volta verso l’ alto. La sua mente, prossima all’ incoscienza, non registrò di essere stato strattonato per i capelli con la sola mano sinistra, e non comprese neanche quando, appena una frazione di secondo più tardi, il gomito destro di Jaco si abbatté nuovamente sulla sua faccia, già martoriata, deturpandola ulteriormente. Attorno a lui ci fu solo buio, e non si accorse che le mani del suo avversario si erano nuovamente allacciate al suo viso. Una rapida rotazione, sfruttando la forza delle sue anche, e fu tutto, mentre il suono agghiacciante di un collo che si spezza riecheggiò nella sala.

Mentre l’ emorragia si arrestava e i tessuti iniziavano a rimarginarsi non gli restò che finire il gigante caduto, trafiggendo con il paletto, per poi voltarsi a cercare il viso di Darla, ma di lei non c’ era più traccia.

 

Kemper soppesò le qualità del nuovo arrivato. Il gigante era forte e piuttosto esperto, ma mancava di elasticità, applicando sempre lo stesso approccio semplice contro tutti gli avversari. L’ uso degli artigli, ad esempio, era un grave errore. Le lesioni che potevano causare artigli corti e robusti come quelli di Luther erano senz’ altro gravissime per gli esseri umani oppure per altre creature prive delle sorprendenti capacità di recupero della sua razza, ma contro un vampiro tali ferite, che raramente raggiungevano gli organi vitali, erano poco efficaci. Inoltre così facendo vanificava parzialmente il vantaggio della maggior forza fisica, che avrebbe potuto essere sfruttato meglio con attacchi a percussione che avrebbero facilmente potuto ledere organi interni o fratturare ossa, traumi ben più gravi e che sarebbe stato impossibile recuperare durante un combattimento. Eppure Jaco sembrava in difficoltà. Il vampiro si chiese se il suo sire fosse ancora lo stesso che aveva conosciuto, e quale fosse il motivo del suo cambiamento.

Soppesò per un istante l’ importanza di queste rivelazioni prima di tornare a prestare la massima attenzione allo scontro in atto.

Forse sarebbe stato necessario rivedere alcuni aspetti del suo piano.

 

Darla non vide il massacro del suo campione. Lo intuì soltanto, scorgendo solamente con la coda dell’ occhio l’ epilogo del duello mentre si chiudeva la pesante porta alle spalle. Aveva compreso subito il cambiamento dell’ equilibrio nel combattimento quando Jaco si era finalmente scrollato di dosso le pastoie che lo trattenevano, intuendo solo allora la portata del suo errore di valutazione.

Luther era spacciato.

Era sempre andata fiera delle sue capacità di giudizio, dote che le era venuta in soccorso anche in quel momento, comunicandole in anticipo l’ esito dello scontro. Nella sua esistenza aveva commesso pochi errori di tal genere, ma ciascuno di essi si era sempre rivelato di estrema gravità. L’ ultimo in ordine di tempo era stato giudicare Luther in grado di battere Jaco, ma non era detto che anche questo non potesse venire fuori qualcosa di buono. Non se riusciva a farla sopravvivere, comunque.

Si era spostata attraverso la piccola folla che faceva ala ai due contendenti con insospettabile facilità, invisibile ai loro occhi concentrati, quasi ipnotizzati dalla lotta.

Varcò la soglia richiudendosi alle spalle la porta.

Fortunatamente fuori non pioveva più.

 

Kemper sorrise compiaciuto nel vedere il suo antico sire abbattere l’ avversario. Jaco non era poi cambiato così tanto, anche se l’ esitazione iniziale restava un elemento inquietante.

Poi accadde qualcosa di imprevisto. Avvertì all’ interno della folla un movimento discordante, contrario, un cuneo che la fendeva con velocità e sicurezza in direzione opposta, trovando sulla sua strada solo una resistenza minima. Si concentrò sulla sua percezione, riuscendo a stabilirne l’ identità quasi subito.

Darla, la rivale di Jaco per il comando.

Era una ragazza intelligente, doveva aver intuito l’ esito dello scontro all’ incirca nel suo stesso momento, giudicare dalla posizione che aveva raggiunto. Si chiese se doveva dar ordine ad uno dei suoi uomini di seguirla, od addirittura bloccarla, ma scartò subito l’ idea.

Non erano fatti suoi, in fondo. E poi una donna così scaltra meritava una possibilità.

 

L’ odore dell’ asfalto ancora viscido le colpi le narici appena messo piede in città. Sembrava che la pioggia, anziché, lavare il sudiciume dalle strade, non avesse fatto altro che togliere la sporcizia dagli angoli e ridistribuirla sulle strade.

Era evidente che non l’ aspettavano così presto, probabilmente non prima del pomeriggio, se non addirittura della sera successiva. Del resto, a ben pensarci, le possibilità che avesse già trovato il nastro dovevano essere minime, ed era solo un caso se se n’ era accorta con tanto anticipo.

Le poche sentinelle non si erano aspettata che arrivasse in quel modo, e comunque la loro soglia di vigilanza era ancora bassa. Le aveva individuate, seguite, uccise.

Scaricò il poco materiale che aveva avuto il tempo di mettere insieme.

L’ inferno stava per scatenarsi.

E una volta tanto sarebbe stata lei a portarlo sulla terra.

)          

parte quinta: Blood and Gasoline

 

La luce che ardeva negli occhi del drago squarciò le tenebre, mentre la colossale massa scura, nera, dai riflessi argentei, fendeva la notte tuffandosi a capofitto nell’ oscurità quasi palpabile.

La creatura si dimenò, quasi ad opporsi a quella corsa sfrenata, ma il cavaliere mantenne salda la presa, costringendola verso la fortezza incantata ad una velocità accecante, che pareva distorcere spazio e distanze.

All’ ultimo istante il cavaliere si distaccò dall’ immensa massa in movimento, precipitando nel buio.

Poi ci fu l’ impatto tra due corpi giganteschi.

L’ uno, la fortezza, si stagliava immobile e colossale, forte di pietre, mattoni ed acciaio, pronta apparentemente a sfidare l’ eternità ad abbatterla. L’ altro, più piccolo ma ancor più compatto, poteva contare sulla velocità e sul più prezioso degli alleati.

Lingue di fiamma si riversarono sulla fortezza, lambendo le sue mura, sfondando le sue porte e le sue finestre, entrando in ogni apertura, in ogni orifizio, invadendo con il loro soffio ardente ogni stanza, mentre l’ ossigeno veniva dolorosamente risucchiato dai polmoni dei suoi occupanti, prima di rientrarvi prepotentemente dagli squarci della struttura, fino a poco prima orgogliosamente solida.

 

 

 

 

L’ onda d’ urto scagliò due guardie dilaniate verso l’ interno della stanza, mentre gli altri crollarono in ginocchio sotto il peso del semplice spostamento d’ aria. Le vetrate scoppiarono e le schegge di vetro investirono, facendo a brani, altri vampiri. Soltanto Jaco e Kemper, che comunque erano defilati, riuscirono e rimanere in piedi seppure a fatica.

Barcollando cercarono di raggiungere il centro della sala per capire cosa fosse accaduto, sforzandosi di vedere oltre le volute di fumo denso e soffocante.

L’ intera costruzione era lambita dalle fiamme.

Di fronte al portone, che dava direttamente sull’ esterno, si trovava la carcassa fumante di un gigantesco camion cisterna, tonnellate di acciaio incandescente che ostruivano il passaggio.

Jaco si guardò freneticamente attorno nel tentativo di individuare una via d’ uscita in quel marasma di fuoco, ed in quel momento la certezza di essere sotto attacco lo investì con la violenza di un maglio. Per un’ istante, dopo il terrificante impatto, aveva respinto l’ idea di essere vittima di una così violenta aggressione, cullandosi nell’ ipotesi dell’ incidente, della fatalità.

Ma ora non gli era più possibile.

Da ogni finestra si levavano fiamme alte ed intense, chiaramente di origine dolosa.

Come in trance vide Kemper scattare in avanti verso un nemico invisibile, mentre i membri del suo dantai cercavano di organizzarsi.

Caddero.

Alcuni finirono subito in cenere, altri invece attesero agonizzanti che fosse il fuoco a completare l’ opera. Restavano solo una manciata di vampiri ancora in grado di combattere, ma ad eccezione di Kemper e del suo gigantesco luogotenente Kozo, uno yokozuna immenso, nessuno degli altri pareva avere la freddezza, o forse l’ idiozia, di fermarsi a lottare. Neppure Jaco ne aveva intenzione. Esisteva un tempo per combattere ed uno per ritirasi, fuggire.

Non era più paura la sua, solo buonsenso. Contro un nemico tanto deciso non poteva esserci vittoria, almeno non in quel momento.

Intuì che per Jaco e Kozo non era la stessa cosa, ma in fondo loro avevano perso ben di più. Gli altri componenti del dantai erano morti, ed il legame che li univa gridava vendetta.

Di più. Pretendeva.

In realtà non poteva capire, e non gli interessava. Sapeva però che la più grande forza di Kemper gli si ritorceva ora contro.

Lanciò un grido, fece ampi gesti con le braccia, richiamò l’ attenzione dei pochi ancora abbastanza lucidi da ascoltarlo ed ancora abbastanza forti per camminare.

“Di sopra! Dobbiamo andarcene!”

Non attese risposta, ma girò i tacchi sapendo che almeno quattro o cinque dei suoi seguaci lo stavano seguendo.

Soffocò l’ istinto di tornare indietro e infilare una scheggia di legno nel cuore della sua esca. Se lo avesse fatto, sapeva, sarebbe morto.

Mentre saliva le scale si voltò indietro gettando un’ ultima occhiata al suo alleato e amico, abbastanza sicuro di non rivederlo, indipendentemente dall’ esito dello scontro.

 

 

 

La figura sottile si fece strada con facilità attraverso la piccola folla impazzita. Per i vampiri dai corpi immortali il fuoco rappresentava un terrore atavico, in grado di ucciderli in modo atroce e crudele; la peggiore, forse, delle morti possibili. Peggio ancora, il fuoco rappresentava la menzogna della loro pretesa immortalità. Le ferite, pur dolorose, guarivano, mentre il sole uccideva in modo istantaneo, bruciando sì, ma in modo così rapido da annullare la sofferenza. Un paletto nel cuore, poi, rappresentava la più compassionevole delle morti, a confronto con l’ agonia del fuoco.

Ecco cos’ era. Un inquietante anello di congiunzione con l’ uomo.

La tolleranza al fuoco del vampiro e quella dell’ essere umano comune erano pressoché identiche, quando praticamente tutte le altre forma di attacco si diversificavano.

La vulnerabilità del vampiro alla luce solare era considerata semplice conseguenza della loro superiorità fisica. Un prezzo da pagare, nulla di più. Faceva paura, un po’ come l’ uomo comune poteva paventare il cancro.

Era un rischio accettato, un’ eventualità spaventosa forse, ma naturale.

Il fuoco no.

L’ uomo ed il vampiro erano uguali di fronte ad esso.

Le ustioni non mortali guarivano con la stessa esasperante lentezza in entrambe le razze, mentre ogni altra infermità o ferita poteva essere superata nel giro di poche ore dalla loro razza superiore, e le cicatrici restavano dolorose testimonianza del morso urticante delle fiamme.

Per questo lo aveva scelto.

La paura era la sua sola arma.

Insieme alla decisone, certamente, ma anche quella avrebbe contribuito a creare panico fra le fila dei suoi avversari.

Chi mai avrebbe potuto pensare di salvare qualcuno dando fuoco al palazzo in cui si trovava, legato ed imprigionato senza possibilità di fuggire?

Solo un pazzo.

O una pazza, certo.

Avvolta nel fumo, protetta solo dai suoi abiti zuppi d’ acqua e da una sottile sciarpa, anch’ essa bagnata, davanti al viso, si fece strada tra macerie e vampiri con ben poca voglia di combattere.

Non aveva avuto il tempo di organizzarsi meglio. Già rubare il camion e riempire la cisterna con la benzina del serbatoio alla stazione di servizio le aveva richiesto tempo e fatica. Ma trovare indumenti ignifughi sarebbe stato troppo complicato.

Uccise qualche malcapitato che si venne a trovare troppo vicino al suo paletto. Fare qualche vittima era necessario per accrescere il panico, ma non si sarebbe neppure sognata di inseguirli.

Doveva trovare Angel, se era ancora vivo.

Altrimenti, pazienza. Avrebbe pianto sulle sue ceneri.

O forse no.

Aveva fatto tutto il possibile, comunque, tranne consegnarsi a loro, inerme, come avevano chiesto.

Fu allora che li vide.

Stanchi, abbattuti ed ammaccati. Feriti, sanguinanti e disorganizzati. Ma certamente anche abili, letali e risoluti.

Due vampiri si mossero a fronteggiarla, attaccando tutti insieme, con una coordinazione perfetta, quasi sovrannaturale. Dietro di loro ne scorse altri due. Un gigantesco sumo, probabilmente giapponese o forse samoano, e un tipo alto e minaccioso, certamente il capo, a cui, inevitabilmente, rivolgevano rapide occhiate.

Il primo sferrò alcuni colpi di sbarramento, diretti rapidi e con poca rincorsa, al solo scopo di impegnarla mentre l’ altro la colpiva ai fianchi. Buffy ignorò gli attacchi chiudendo la guardia e lanciandosi in avanti, girando attorno al primo avversario in modo da tenerlo sempre fra lei ed il compagno, per evitare di essere accerchiata.

Doveva agire in fretta.

Rispetto agli avversari vantava una maggior resistenza al fuoco, ed inoltre gli abiti le garantivano un minimo di protezione dalle fiamme, ma era comunque più soggetta al calore di quanto non fossero i suoi avversari. Inoltre il fumo minacciava di intossicarla, se fosse rimasta a lungo in quell’ inferno, mentre i vampiri necessitavano solo di un apporto veramente minimo di ossigeno.

Normalmente si sarebbe lanciata fra gli avversari facendo in modo che si ostacolassero a vicenda, ma in quel caso l’ opzione non era disponibile.

Agì di riflesso mentre, inconsapevolmente, l’ esperienza le suggeriva la strategia migliore. Non poteva temporeggiare con gli altri due avversari, probabilmente ancora più temibili, in arrivo. Contrattaccò improvvisamente spezzando le difese del suo primo avversario, raggiungendolo con un pugno al volto mentre il gomito scattava a doppiare l’ attacco. Senza lasciarlo andare lo afferrò per la gola sollevandolo di peso e scaraventandolo contro il compagno. Crollarono in mezzo alle fiamme, scattando in piedi, senza perdere tempo a spegnere il fuoco che consumava loro gli abiti e le carni. Provarono ancora ad attaccare, ma due schegge di legno affilatissime penetrarono nei loro toraci prima ancora che avessero potuto recuperare l’ equilibrio.

Ne mancavano due.

Un sorriso crudele si dipinse sul volto della slayer.

           

parte quinta: Blood and Gasoline

 

Kemper non comprese subito razionalmente cosa stava accadendo, anche se, la sua mente già conosceva la risposta, a livello di intuizione.

Jaco non lo aveva avvertito. Aveva sentito parlare di una cacciatrice leggendaria, una combattente senza eguali, ma non era preparato per quello.

Dapprima pensò ad un attaccò di un clan rivale.

Scorretto, secondo le antiche consuetudini, per chi vi dava ancora peso, ma tatticamente perfetto.

Lasciarli bruciare all’ interno di quella trappola ed aspettare fuori i pochi superstiti era senz’ altro una strategia brillante, tanto più che quel vecchio palazzo non aveva altre vie d’ uscita a pianterreno, oltre la porta principale.

Poi aveva capito quando aveva sentito le grida di terrore e paura che erano riecheggiate dopo l’ esplosione. Nessun vampiro sarebbe entrato per finirli. Eppure qualcosa si stava avvicinando lasciando una scia di paura e morte.

Doveva essere qualcos’ altro.

Incrociò per un’ istante lo sguardo con Jaco e finalmente capì.

La cacciatrice era venuta.

Avevano pensato che fosse disposta a morire per Angel.

Invece era disposta ad uccidere.

Non nel solito modo delle slayer. Quello era uno sterminio di massa, indiscriminato, che, tra l’ altro, metteva in pericolo chi era venuta a salvare più di quanto non mettesse in pericolo le sue vittime designate.

Almeno loro potevano fuggire. Non lui, incatenato, costretto ad osservare impotente l’ ipnotico avanzare delle fiamme, ad attendere l’ atroce dolore e perire lentamente, consumato dal fuoco che lei stessa aveva appiccato.

Sarebbe stato più clemente una freccia nel cuore, o anche non presentarsi affatto.

Evidentemente lei desiderava il loro sangue più di quanto loro non desiderassero il suo.

Vide i suoi compagni lanciarsi contro la ragazza non appena questa emerse dal fumo che l’ aveva fino ad allora nascosta. L’ ordine di lasciarla a lui gli morì in gola.

Che senso avrebbe avuto? Avevano perso Cletus, e sentivano la necessità, impellente ed opprimente, di vendicarlo. Impedirglielo avrebbe solo minato la loro fiducia, rendendoli incapaci di difendersi se lui non l’ avesse sconfitta.

Li vide attaccare, e li vide morire una manciata di secondi dopo.

Il contraccolpo psicologico fu terribile. Il loro legame, rinsaldato da un secolo di servizio, era stato brutalmente spezzato, ed ora la loro psiche mutilata arrancava alla disperata ricerca delle parti mancanti.

Non era mai accaduto di perdere più di un solo componente della squadra in una volta sola, e nessuno di loro era preparato ad una tale perdita.

Era come perdere la famiglia, venire mutilati ed accecati in una volta sola.

Kozo doveva sentirsi come lui. Confuso, impotente e, soprattutto, furioso.

Tanto furioso da dimenticare l’ addestramento, gettandosi a testa bassa contro la bestia che aveva fatto tutto questo.

Vide Kozo fintare, muoversi con una velocità sorprendente per un’ uomo delle sua notevole mole, cercando di scaraventare la ragazza a terra. Era esperto di sumai, l’ antica arte da cui era derivato il sumo sportivo. Il gigantesco guerriero, pur infagottato in un impeccabile quanto ingombrante gessato nero, appariva come un enorme granchio scuro, attento a mantenere la posizione più bassa possibile, a gambe larghe, vicinissimo al terreno, ove si sentiva più forte. Attaccò alternano ai tradizionali colpi con il palmo della mano anche pugni e gomitate, cercando di scaraventare a terra la cacciatrice. Per quanto forte la ragazza non avrebbe mai potuto rialzarsi, una volta schiacciata dal peso e dalla forza del vampiro.

La Bestia però (così l’ aveva chiamata a volte Jaco, ed ora ne comprendeva il motivo) non lasciò condurre il combattimento da Kozo. Mentre lui caricava frontalmente lei si mosse lateralmente, spostando il peso da una gamba all’ altra, colpendo con violenza il ginocchio dell’ avversario. L’ articolazione, su cui gravava l’ enorme peso del gigante, sussultò, ma il vampiro fu abbastanza rapido da piegarla per assecondare e ridurre la potenza del colpo ed evitare la frattura.

Dovette comunque appoggiare il ginocchio a terra, e la Bestia gli fu subito addosso, colpendolo brutalmente al viso con il pugno destro, mentre al contempo la mano sinistra scivolava dietro la schiena. Kozo non si mosse. Sapeva di non avere molte possibilità, ma anche che, grazie alla sua mole, era difficile raggiungergli il cuore con un paletto tradizionale, a meno di non riuscire a trafiggerlo completamente, oltre l’ impugnatura. Raccolse le energie e con un movimento solo, secco ma progressivo, si alzò in piedi protendendo la punta callosa delle dita della mano destra verso il mento della giovane. Il movimento comprendeva la forza delle braccia, delle gambe, dell’ addome e la notevole inerzia del suo corpo monumentale e avrebbe potuto frantumare la pietra.

Eppure non bastò.

L’ espressione di trionfo di Kozo si tramutò in orrore quando vide il piccolo oggetto metallico nel palmo destro della slayer mentre le dita si serravano facendone spuntare solo le estremità coniche da entrambe le parti. Con quella strana arma percosse la mano di Kozo, stornando l’ attacco e facendola rimbalzare lontano, maciullata dall’ impatto con il pugno armato della donna.

Un singolo brevissimo istante dopo, prima che il vampiro potesse anche solo alzare l’ altro braccio a difesa, un sibilo attraversò l’ aria mentre uno strano riflesso metallico, reso cremisi tanto dal sangue quanto dal colore delle fiamme, decretò la morte del gigante.

Una strana lama, lunga circa un metro, coperta di strane incisioni e terminate con una doppia punta a coda di rondine, ne aveva spiccato la testa.

Ora toccava a lui. Estrasse il suo pugnale, un’ arma dalla lama lunga e dalla guardia elaborata e preziosa, e una specie di macete di grosse dimensioni. Fece qualche passo nella direzione della Bestia e si mise in posizione.

Per la prima volta da quando era vampiro, affrontò un avversario senza essere sicuro di avere almeno una possibilità.

 

 

 

I due contendenti si affrontarono con ferocia. Buffy attaccò, aggressiva, come del resto la situazione richiedeva. Sferrò un fendente colpendo subito dopo di rovescio e cercando poi l’ affondo definitivo, ma Kemper riuscì ugualmente a stornarlo parando incrociando le armi. Tentò di liberare la daga e pugnalarla, ma la slayer fu più rapida colpendolo al viso con la mano libera. Combattevano in modo simile, quasi speculare, sebbene lui avvitasse maggiormente il corpo durante i caricamenti dei colpi mentre lei preferisse affidarsi più allo spostamento del peso per accompagnarli. La cacciatrice fintò un attacco a destra, poi colpi orizzontalemente, costringendo Kemper a parare con il bolo, mentre, automaticamente, attaccava con il pugnale. La ragazza prese un rischio, deviando a malapena l’ insidiosa punta della lama, con il cono metallico che ora stringeva nella sinistra, e raddrizzando il kampilan improvvisamente. Lo protese in avanti lacerando il volto del vampiro, sfigurandolo con la doppia punta a ‘v’ che produsse la tradizionale ferita slabbrata ed irregolare fin sul lato del collo, poi la abbassò di nuovo, fendendo pelle, muscoli, ossa. Il vampiro abbassò il braccio destro, ormai inutilizzabile dopo la frattura della clavicola e la profonda ferita, poi si gettò in avanti, in un ultimo assalto disperato, cercando di trafiggerla con il pugnale.

Fallì, ovviamente.

La Bestia si scostò, pronta ad abbassare l’ arma nel fendente definitivo, ma avvertì qualcosa alle sue spalle.

Dapprima un gemito impercettibile, poi un grido d’ agonia lacerò la paradossale tranquillità della sala, sconvolta dall’ incendio ma apparentemente abitata solo dalle due figure in lotta.

Apparentemente.

Una palla di fuoco si staccò dal pavimento scattando verso l’ alto, urtando, inciampando, caracollando per tutta la sala, movendosi a caso.

La massa si scagliò contro di lei, costringendola a piroettare su se stessa per scansarsi bruscamente.

La cosa rotolò a terra, immobile, rilevando essere una vampira semi carbonizzata, che probabilmente aveva ripreso conoscenza proprio un istante prima della fine. La testa era spaccata dove la sua lama si era abbassata improvvisamente, ponendo immediatamente fine alle sue sofferenze, pur senza averne avuto alcuna intenzione.

Contemporaneamente anche la slayer si accasciò.

Il pugnale di Kemper le sporgeva dal fianco, ferito non molto il profondità, ma in modo decisamente doloroso.

La battaglia non è ancora terminata, riflettè il vampiro raccogliendo il macete con la mano ancora sana.

La sua ferita è meno grave della mia, ma anche se si tratta di una cacciatrice le sue capacità di recupero sono inferiori alle mie. Il tempo gioca a mio favore.

L’ attimo dopo era morto, mentre uno sparo riecheggiava nell’ ampia stanza.

Una piccola due colpi fumava, stretta nella mano della cacciatrice, che non perse tempo a trafiggerlo.

Angel, se era ancora vivo, la stava aspettando.

 

 

 

Jaco ruppe una finestra del piano superiore, libero dalle fiamme, si afferrò al davanzale lasciandosi spenzolare, poi saltò giù, coprendo una distanza di appena cinque metri con la caduta. Atterrò agilmente, sui talloni, come un ginnasta.

Paradossalmente, si sentiva sicuro, libero, sollevato.

Buffy Summers, la cacciatrice, non più la bestia, stava probabilmente combattendo contro Kemper ed i suoi, o forse massacrando gli sfortunati vampiri ancora all’ interno della costruzione.

Non gli importava.

Non aveva più nessun desiderio di vendicarsi di lei.

Era vivo, e tanto gli bastava.

Accanto a lui sentì quattro tonfi, seguiti a poca distanza da un quinto.

Imprecazioni e gemiti di dolore accompagnarono l’ atterraggio degli altri superstiti.

Sui loro volti leggeva la tensione e la paura, l’ incertezza.

Fino a poco fa ero così anch’ io? Si trovò meravigliato a chiedersi.

Accettò la realtà per quello che era, senza rimorsi per le sue azioni precedenti, sebbene ora gli sembrassero delle idiozie.

Per tutta la vita aveva combattuto disperatamente per affermarsi, per essere qualcuno.

Da uomo aveva avuto il denaro, ma bramato nobili natali.

Da vampiro aveva avuto l’ immortalità, ma desiderato il potere.

Ottenutolo, aveva voluto la gloria.

Aveva perso tutto, tranne la vita, ma non aveva capito.

Aveva desiderato il rispetto degli altri e la vendetta, ma in realtà avrebbe solo dovuto accettarsi.

Era Jaco.

Era forte, rispettato, temuto.

Potente.

Ma non era, e non sarebbe mai stato, il più potente.

Comprendeva ora che non si sarebbe mai fermato, spingendosi sempre più avanti, insofferente.

Era per quel motivo che era giunto a Sunnydale mesi prima.

Per quella ragione era iniziato tutto.

Dietro di lui avvertì confusione, frustrazione, rabbia, espresse dalle voci coinvolte in una discussione concitata. Riconobbe subito la voce roca ed al tempo stesso stridula, per quanto strano potesse essere, di Cornelius.

Era un tipo capace, efficiente, ma anche insofferente e lagnoso.

Non cercò di dirimere la questione, di capire per quale motivo si fossero fermati a discutere in quel momento invece di andarsene, disperdendosi per diminuire le possibilità di essere rintracciati.

Non redarguì i suoi uomini né gli ordinò di fare silenzio.

Semplicemente, lo uccise.

Le sue mani scattarono ed il collo si ruppe.

Poi voltò loro le spalle e se ne andò.

Chiunque avesse vinto, dentro quella torre, non lo riguardava più.

Potevano continuare a vivere le loro esistenze vuote, andando avanti solo per inerzia, marionette azionate dai loro stessi condizionamenti, dalla loro stessa disciplina.

Potevano tenersi le loro ossessioni.

Lui, le sue, le aveva seppellite.

 

 

Le catene caddero a terra tintinnando, mentre lei, stringendosi il fianco ferito, sosteneva il suo ex- amante. Le ferite di lui non erano serie, ma le catene avevano compromesso la circolazione sanguigna e ci sarebbe voluto un po’ perché riprendesse a camminare.

Lo trascinò all’ esterno, chiedendosi come mai fosse ancora vivo.

Durante il tragitto non scambiarono una parola, lui apparentemente sottoshock, lei senza alcun desiderio di discutere.

Finalmente, all’ esterno, si fermarono lasciandosi cadere sull’ ampio prato antistante.

Tutta si era svolto in una manciata di minuti.

Angel si alzò in piedi, ma continuava a fissare nel vuoto, restando in silenzio.

La sua mano si alzò, lentamente, protesa verso di lei. Buffy fece un passo avanti, interdetta.

Fu in quel momento che la mano scese in un lampo schiaffeggiandola violentemente alla guancia.

“Che cazzo hai fatto, brutta stronza?”

“Cosa avrei dovuto fare?” rispose lei, involontariamente sulla difensiva.

“Merda, qualsiasi cosa, qualsiasi fottutissima cosa!”

Non lo aveva mai visto così. Anche quando era stato furioso, anche quando era stato Angelus, non aveva mai perso il controllo fino a quel punto. Non si era mai espresso in modo volgare, non credeva neppure che ne fosse in grado.

Ebbe paura. Non tanto di lui, quanto di quello che avrebbe potuto fargli se avesse continuato.

Non si poteva stuzzicare un predatore, soprattutto se era come lei, senza pagarne le conseguenze, prima o poi.

“Maledizione Buffy, non capisci!” La voce le sembrò incrinata ora, triste, forse addirittura patetica.

“Non ti riconosco più! Hai un dono, una possibilità, e la getti al vento così”

Fece un ampio gesto con il braccio, indicando la carcassa fumante del palazzo.

“Non è normale, Buffy! Non è umano! Avrei preferito che mi lasciassi morire lì dentro, piuttosto che scatenare il tuo teatrino degli orrori”

Era quello il punto. Angel era ossessionato dalla sua umanità perduta, e non accettava che che lei gettasse via la sua. Ma in realtà, intuiva, non era che un’ illusione. Lei non era umana, naturalmente, o almeno non normale, e non lo sarebbe mai stata. Ne avrebbe voluto esserlo. Quanto alle fissazioni di Angel riguardavano soprattutto la sua visione ristretta, il codice morale autoimpostosi per placare, inutilmente, i suoi sensi di colpa. Riguardavano soprattutto lui.

Del resto lui era un reietto, odiato dai suoi simili e diverso dagli esseri umani, ma soprattutto incapace di accettare se stesso.

“Stai gettando via la tua umanità” continuò “Pensaci bene”

“Se proprio vuoi vivere come un uomo fallo! Cosa te lo impedisce? Manda al diavolo la tua agenzia, comprati un appartamento normale, trovati un lavoro, una donna, fa quello che vuoi!”

“Stai delirando, io… la maledizione”

“Stronzate! Con tutte le scemenze magiche a cui andiamo incontro, vuoi che non ci sia nessuno in grado di sistemare quella cazzo di anima? C’ è riuscita una liceale, perdio!”

La frase le era uscita rabbiosa, tagliente, come si sentiva in quel momento. Si voltò per andarsene, zoppicando vistosamente.

Lui fece per trattenerla, protese il braccio per afferrarla, poi cambiò idea.

Se ne andarono nella notte, ognuno per la propria strada, tenendosi strette le proprie ossessioni.

Le sirene si udivano in lontananza, ma non erano ancora arrivate.

 

The End