THE DAYS WHEN YOU WERE MINE

AUTRICE:VENOMOUSFAITH

VenomousFaith

Salve a tutti.

Devo avvertire chiunque decida di leggere questa mia “opera prima” che non tengo molto presente degli avvenimenti di Ats e Btvs, ed introduco i personaggi e le loro storie a mio uso e consumo. Trovo inoltre che tutto sia relativo al momento e alla situazione, al luogo, alle circostanze. Che tutto dipenda dai punti di vista, da ciò che la vita c’impone di fare perché sia… vivibile. E un po' di sano egoismo non guasta mai! Non aspettatevi confini definiti fra bene e male, bianco e nero... amo il grigio declinato in ogni modo e trovo insopportabilmente noiosi “buoni” e “cattivi”.

E nelle mie ff Angel non si piange eccessivamente addosso e non rimugina all'infinito sui suoi peccati!

La ff temporalmente si colloco dopo Epiphany, seconda stagione di Ats. Tutte le puntate da questa alla fine della stagione sono state da me rimosse. Angel lascia Los Angeles con Kate dopo la famosa notte di Epiphany, credendo di poter sfuggire a passato e ricordi… povero illuso. Dovrà affrontare Buffy, il suo amore per lei, la sua morte…

Aspetto le vostre critiche e impressioni.

Ven

 

Disclamer: i personaggi e le scene che utilizzo nelle mie ff non sono di mia proprietà, appartengono a Joss Whedon, che li ha creati, e alla case di distribuzione che li producono. Scrivo senza alcuno scopo lucrativo, semplicemente per divertire me ed i miei amici

 

Paring: Angel/Kate, Angel/Buffy e poi si vedrà…

 

 

 

I capitolo – In viaggio

 

L’auto percorreva gli ultimi attimi di quella lunga notte illuminando con i fari la palude da un lato e la spiaggia deserta dall’altro.

Kate dormiva, Angel guidava in silenzio, concentrato sulla strada e immerso nei suoi pensieri.

Scrutò la strada davanti a loro: dietro non c’era più nulla. Nel buio alle loro spalle il passato non esisteva più. Il presente era solo un viaggio lontano da tutto, via dalla vita di sempre: solo una commedia grottesca in cui ognuno doveva recitare in silenzio la sua parte. Ma ormai loro erano lontani da tutto questo. Oltre la trama ingannevole dell’esistenza che li aveva imprigionati. Al di là. In un futuro che non c’era, che era una macchia nera. Che era solo quello che avrebbero voluto fare di lui. Non c’era ritorno da quel viaggio. Angel lo sapeva. Anche se non voleva ammetterlo. Legato com’era ancora a pesanti catene di colpa. Ma anche quelle sarebbero rimaste indietro, nella vita che stavano lasciando. Non c’era ritorno. Né un posto dove tornare. Neppure per lei. Anche se era umana. Anche se non avrebbe meritato una vita nell’oscurità. Eppure una parte di lui gli diceva che non era solo quello che le stava offrendo. Le offriva un futuro ancora da scrivere, e la possibilità di decidere senza vincoli. Non c’era ritorno, stavano andando alle radici della loro vita, della vita di Kate, perché lei trovasse il coraggio di affrontare il passato. E di superarlo. Per plasmare una nuova vita e una nuova Kate…. con l’aiuto di un vampiro.

 

Quando giunsero alla baia di Monterey spuntava quasi l’alba. Dovevano fare in fretta.

Kate indicò la via. Erano trascorsi tanti anni e tuttavia ogni chilometro le sembrava familiare, ogni recinzione, ogni portone che superava si apriva nella sua memoria di bambina.Quando fu il momento di lasciare la strada principale fece segno con la mano, alla curva seguente si sarebbero intravisti i confini della proprietà. Angel seguì le indicazioni; arrivarono su una strada sterrata battuta dalle piogge invernali e seccata dal calore estivo. Dietro una curva si trovarono di fronte il cancello verde in ferro battuto.

“Ci siamo”, disse Kate.

“Hai le chiavi?”

“Ora apro”

“Dobbiamo entrare prima che sorga il sole.”

Le parole erano poche. Non erano ancora pronti.

Infilò la chiave nella serratura e la girò senza alcuna esitazione al contrario, come si doveva. Entrò nel corridoio, aprì la porta dello studio a sinistra dell’entrata e percepì un profumo carico di ricordi. La fragranza sprigionata dalla stanza liberò il ricordo che aveva di sua madre.

Controllò che tutte le persiane fossero ben chiuse. Guardò Angel per un lungo momento, poi si diresse verso la cucina e lo invitò a seguirla: “Farò un caffè”.

Angel si mise dietro di lei e la prese tra le braccia. La tenne stretta e le sussurrò da sopra la spalla:

“Mi piace questo posto… parla di te… Ci sono dei segreti qui che mi devi confessare. Questo luogo ne è pieno, li percepisco in ogni muro, in ogni mobile.”

 

Avevano lasciato Los Angeles immediatamente dopo quella terribile e meravigliosa notte. Angel l’aveva tenuta stretta a lungo, come se non volesse più lasciarla. E lei si era lasciata cullare e consolare e finalmente si era addormentata di un sonno ristoratore, senza sogni. Si era svegliata il giorno successivo, al tramonto e aveva ritrovato Angel accanto a sé, come se non si fosse mai mosso… immobile la fissava. Ed insieme avevano deciso: avrebbero iniziato un lungo viaggio, un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio, per trovarsi e ritrovarsi. Insieme. Senza il mondo.

 

Kate appoggiò sul tavolo in legno una tazza e versò il caffè bollente.

“Dove siamo?” Le chiese gentilmente Angel.

“Sei nella casa di mia madre. È qui che ho trascorso tutte le vacanze della mia infanzia. Prima che lei se ne andasse.”

“E non sei più tornata qui?”

“No, mai.”

“Perché?”

Kate non rispose.

“Essere qui ti costa molto?”

“Non sono le parole giuste, diciamo che per me è importante.”

“Hai molti ricordi qui?”

“Quasi tutti, questa era la casa di mia madre.”

“E dopo?”

“E poi ho fatto in modo che tutto passasse velocemente, dovendo crescere con mio padre.”

“Non puoi fuggire il passato per sempre. Ne sei prigioniera, ma non lo riesci ad affrontare.”

Silenzio. Kate serrò la labbra. Non era pronta, ancora. Angel lo capiva. Anche se sapeva che rimandare all’infinito le avrebbe fatto solo male. Ma quella era ancora la sua vita, non la loro vita, per adesso. Non insistette.

 

Avevano dormito quasi tutto il giorno. Adesso era ora di riaprire la valigetta dei ricordi.

“Vieni, ti porto a visitare il giardino.”

Scesero la scalinata e Kate condusse Angel fino all’oceano che lambiva il giardino, fiocamente illuminato dalla luna nascente. Si sedettero sulle rocce.

“Se tu sapessi quante ore ho trascorso con lei seduta là, scommettendo sul numero delle onde che si sarebbero infrante a riva. Spesso venivamo a guardare il sole al tramonto. Ogni giorno è diverso. A causa della temperatura dell’oceano, dell’aria, i colori del cielo non sono mai gli stessi.”

“Come per i tuoi occhi.” Kate lo guardò e sorrise.

Tornarono in casa e Kate mangiò qualcosa, poi si sedettero nel salotto dove Angel aveva acceso il camino. Kate si era fatta improvvisamente silenziosa. Fissava il fuoco e una lacrima solitaria prese a scenderle sulla guancia. Angel la vide piangere, le si avvicinò e con l’indice le asciugò la lacrima. Sorpresa, Kate alzò gli occhi e tutto il dolore fu lavato via dalla dolcezza dello sguardo di lui. Il dito di Angel le scivolò sul mento. Kate gli posò una mano sulla guancia, poi avvicinò il viso al suo. Quando le loro labbra si sfiorarono lei indietreggiò.

Una scarica elettrica la scosse, e la bruciò. Sentimenti troppo intensi, emozioni troppo forti che potevano farle male… Amare era doloroso, difficile. E lei aveva ancora paura…. Di fidarsi.

“Angel, perché fai tutto questo per me?”

“Perché io ti amo.”

Lo prese per mano e lo condusse fuori casa.

“Dove andiamo?” chiese lui.

“All’oceano.”

“No, non ora, rimaniamo qui”, replicò lui.

Un’improvvisa brezza sfiorò la pelle di Kate penetrando attraverso le pieghe del morbido abito, carezzandola con la confidenza di un amante. La donna rovesciò la testa all’indietro e si passò una mano fra i capelli. Per un istante lo guardò con occhi perfettamente muti.

“Dimmi, Angel, chi sei?”

Gli stava chiedendo molto di più di quanto si fosse aspettato. Ma finse di non aver capito.

“Un vampiro di quasi tre secoli con un’anima e…”

“No. Non cosa sei. Chi sei.”

“Sai chi sono. Tu come nessuno mai.. Tu sola.”

Si mise di fronte a lei e iniziò a baciarla.

Le loro labbra si incontrarono con un lungo, inebriante brivido caldo. Divorandosi lentamente, cercandosi, sfiorandosi, intrecciandosi, rubandosi il fiato a vicenda. Kate si sentiva succhiare via le forze da quella bocca posata sulla sua, invadente, esigente, dolcissima, meravigliosa. Le mancava l’aria, e si sentiva leggera e inconsistente, bruciata da un fuoco dolcemente tormentoso. Le sue labbra la torcevano, incendiavano, sconvolgevano. Gli parlò sulle labbra, la voce tremava quanto il corpo in fiamme.

“Angel…. tu non potevi… la maledizione…”

“Non fare domande, non lo so. So solo che è giusto così.”

Le sbottonò la camicia e gliela fece scivolare sulle spalle accarezzandole la schiena.

Sotto il portico della casa, il tempo di un abbraccio, come la magia di un’eclissi…

 

Angel accarezzava con la punta delle dita la tastiera del pianoforte.Le sue note stanche scioglievano il tempo fino a renderlo irriconoscibile e distorto, troppo lento, troppo rapido… Kate sedeva sul davanzale della finestra come se potesse vedere oltre le persiane chiuse.

Angel la fissò senza parlare. Finalmente sembrò trovare il coraggio che così disperatamente cercava. Era combattuto fra quello che voleva e quello che era giusto fare e dire. Ma sapeva come sarebbe finita. Non c’era ritorno. Era tempo di volere. Eppure tentò ancora, assurdamente, di salvarla da se stesso. Ma Kate non aveva niente a cui tornare, se non una vita che non voleva più. E tanto dolore macchiato di rabbia.

“Kate, per quanto tempo pensi di rinunciare alla tua vita?”

“Dobbiamo parlare di questo proprio adesso?”

“Io sono un vampiro. Un essere malvagio, indegno di amore. Ma tu hai un lavoro, degli amici, delle responsabilità, il tuo mondo.”

“Che cosa è il mio mondo? Io appartengo a ogni luogo. Non ho più un mondo, Angel, siamo qui da meno di una settimana, dammi un po’ di tempo”

Si rannicchiò tra le sue braccia e fece finta di addormentarsi.

“Sì che hai il tuo mondo. Tutti noi abbiamo il nostro universo. Perché due individui vivano l’uno dell’altro non basta che si amino, è necessario che siano compatibili, che a un certo punto si incontrino. E mi sembra che questo non sia il nostro caso.”

Cosa è giusto e cosa no? Tutto dipende dalle circostanze, dagli attimi, dal flusso capriccioso dei secondi, da un parola in più o in meno, da una scelta. La realtà non è altro che una trama che si modifica di continuo. Tornare alla sua vita, quella che perfino lui, definiva così con incertezza, forse sarebbe stato sensato. Ma rispetto al metro di giudizio di chi? Noi siamo quello che vogliamo essere. Era abbastanza forte per accettare che quella era la verità? Era abbastanza forte per accettare di amare un vampiro? Non c’erano risposte, non ancora. Ma sapeva che non sarebbe tornata indietro.

“Perché mi dai il meglio di te stessa accettando di ricevere così poco?”

“Perché così, all’improvviso, come un lampo, ci sei, esisti, perché un tuo momento è già immenso. Ieri è passato, il domani non esiste ancora, quello che conta è oggi, il presente.”

Lo baciò sulle palpebre, poi prese la sua mano nella propria e si strinse a lui.

Il loro amore creò una notte profonda che scese su di loro recando l’oblio. Oblio sul passato e sul futuro. Solo il presente esisteva, mentre il resto erano solo immagini sfuocate.

 

II capitolo – La lettera

 

"Amore mio," Kate posò la lettera sulla scrivania. Le doleva la gola, respirava a fatica. La luce sopra di lei creava strani riflessi sulle lacrime indesiderate. Prese un fazzoletto di carta e si strofinò gli occhi. Il suo sguardo corse alla firma: “Buffy”. Ricomponendosi, affrontò di nuovo la lettura.

 

"Mi manchi, Angel, come sempre, ma oggi è più difficile del solito, perché è stata una notte difficile, impietosa… insopportabile… una notte di caccia. Le tue visite si sono diradate, e a volte ho l’impressione che la parte più importante di me stia lentamente scivolando via.

Eppure mi sforzo. All’alba, quando sono sola, ti chiamo, e tutte le volte che il mio dolore giunge al culmine, riesci sempre a trovare il modo di tornare da me. Ieri ti ho visto in sogno, sul molo, quell’unico giorno a Los Angeles. Nei tuoi occhi c’era ancora il bagliore del sole.

Resto colpita vedendoti lì. Lentamente mi raggiungi e mi prendi tra le braccia. Anelo a questo momento più di qualsiasi altro. È ciò per cui vivo, e nel tuo abbraccio mi abbandono a questo, finalmente di nuovo in pace.

Io sono qui per amarti, per essere stretta fra le tue braccia. Sono qui per imparare da te e ricevere in cambio il tuo amore. Sono qui perché non c’è nessun altro luogo in cui vorrei essere.

Ma poi, come al solito, mentre siamo vicini incomincia a levarsi la nebbia. Dapprima è una bruma lontana, che sale all’orizzonte, e io sono sempre più impaurita a mano a mano che si avvicina. Si insinua lentamente, avvolgendo il mondo intorno a noi, accerchiandoci come per impedirci di fuggire. Come una nube, inghiotte tutto, si fa più vicina, finché non resta null’altro all’infuori di noi due.

Sento un nodo alla gola e gli occhi mi si riempiono di lacrime, perché so che per te è venuto il momento di andare. Lo sguardo che mi lanci in quest’istante mi perseguita. Sento la tua solitudine e la mia tristezza, e il dolore nel mio cuore, che si è calmato solo per poco, si fa più forte quando mi lasci. Con il cuore a pezzi rimango a guardarti mentre indietreggi nella nebbia e sparisci piano piano. Cerco disperatamente di ricordare ogni particolare di questo momento, ogni particolare di te, e piango, piango, piango…

Angel, dove sei? E perché, mi chiedo mentre siedo in questa casa buia che non è più tua, ci hanno costretto a separarci?

Non conosco la risposta a queste domande, per quanto mi sforzi di comprendere. La ragione è semplice, ma la mia mente mi obbliga a scartarla, e l’angoscia tormenta ogni ora della mia veglia. Senza di te sono perduta. Non ho anima, sono una vagabonda senza casa, un uccello solitario che vola senza meta. Sono tutte queste cose e non sono nulla. Questa è la mia vita senza di te, amore mio. Vorrei con tutto il cuore che mi insegnassi come ricominciare. È possibile che tu sappia come mi sento senza di te? Prima di incontrarci, vagavo per la vita senza una direzione, senza una ragione. So che, per qualche motivo, ogni passo che ho fatto da quando ho imparato a camminare era un passo verso di te. Eravamo destinati ad incontrarci, lo sai.

Ma ora non so dove sto andando, né quando ci arriverò.

Amore mio, puoi perdonarmi? Puoi perdonarmi per averti permesso di andare via da me? So di non essere perfetta. In tre anni ho commesso più errori di quanti ne facciano altri in una vita intera. E poi ho sbagliato ancora, perché avrei dovuto tentare di fermarti con più energia. Ma soprattutto ho sbagliato a negare ciò che nel mio cuore era ovvio: che non posso restare senza di te. Tu sei il vento del destino che non mi aspettavo, il vento che ha soffiato più forte di quanto potessi immaginare. Tu sei il mio destino.Ora il mio desiderio più profondo è che tu mi dia un’altra possibilità.

In questi anni dopo la tua partenza, ho cercato di convincermi di poter andare avanti come prima. Ma non era possibile. Ogni volta che guardavo tramontare il sole, pensavo a te. Ogni volta che passavo accanto al telefono, anelavo a chiamarti. Nel mio cuore sapevo che la vita non sarebbe più stata la stessa. Ti volevo di nuovo con me, più di quanto credessi possibile, ma, ogni volta che ti ricordavo, continuavo a sentire le tue parole durante la nostra ultima conversazione. Per quanto ti amassi, sapevo che la cosa non avrebbe funzionato, se entrambi non avessimo avuto la certezza che avrei seguito il cammino che avevo di fronte. Ma ora ho capito. Ora sono cambiata. Ora sono cresciuta.

E sono pronta ad accettare il mio destino.

Oh, Angel, mi dispiace, mi dispiace tanto di averti fatto del male. Verrò a Los Angeles nella speranza che tu possa trovare il modo di perdonarmi. Forse è troppo tardi. Non lo so.

Angel, ti amo e ti amerò sempre. Sono stanca di essere sola. Voglio tenerti la mano e vederti piangere quando sei infelice. Voglio baciarti quando i tuoi sogni si realizzeranno e la tua missione si compirà. Se vorrai ricominceremo insieme, perché non posso andare avanti così. Senza di te sono stanca e triste. Mentre sono qui in questa casa, così vuota senza di te, spero che tu mi permetta di tornare da te, questa volta per sempre."

 

Kate smise di leggere. Il flebile ronzio del frigorifero sembrava riecheggiare le parole della lettera.

“Verrò a Los Angeles”.

Appoggiandosi allo schienale, Kate chiuse gli occhi, sforzandosi di trattenere le lacrime.

L’aveva trovata lì, in cucina. Angel non si era neppure accorto di averla persa. E Kate l’aveva raccolta e l’aveva letta, inconsapevole che quella lettera le avrebbe frantumato il cuore.

 

Scendeva la sera, e il cielo grigio si faceva rapidamente più scuro. Pur avendola letta e riletta, la lettera la sconvolgeva fin nel profondo. Lottando contro le lacrime, la esaminò. In alcuni punti c’erano dei baffi, come se la penna perdesse inchiostro, e questo dava alla lettera un aspetto caratteristico, quasi precipitoso. Risaliva a tre settimane prima. Prima di quella notte che aveva cambiato tutto. Prima. In un’altra vita.

 

 

III capitolo - Kate

 

Lo sguardo di Angel girò per la stanza. Desolazione. Sembrava che quella casa non venisse pulita da mesi. Un leggero strato di polvere ricopriva ogni cosa. Trascuratezza. Abbandono.

Sul divano e sulle sedie era sparso qualche cuscino, mentre la tavola era ingombra di giornali, riviste, una tazza e un piatto sporchi e vecchie cartelle, da cui uscivano fotografie e appunti di vecchi casi. Solitudine.

Si avvicinò alla finestra. E attese.

 

Kate si mise gli abiti asciutti. Senza guardarsi allo specchio. Si tirò i capelli dietro le orecchie e si strinse le braccia attorno al corpo, cercando un po’ di calore. Si sentiva gelata.

Uscì dal bagno. Vide Angel davanti alla finestra, assorto in pensieri che non era sicura di voler conoscere. Si sedette sul divano, senza una parola, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento, incapace di incontrare quello di Angel anche solo per un attimo.

 

“Perché mi hai chiamato?”

La domanda la colse di sorpresa. Sollevo di scatto gli occhi e vide che Angel continuava ad osservare il mondo esterno ancora ammantato di velluto nero.

“Perché mi hai chiamato, se desideravi davvero morire?” Si girò verso di lei, cercando i suoi occhi.

Kate distolse lo sguardo. Si fissò le mani, strette spasmodicamente l’una all’altra. Non rispose. Non c’erano risposte.

Angel le fu improvvisamente vicino, inginocchiato sul pavimento, e le afferrò le spalle con violenza, facendole male, quasi volesse scuoterla dallo stato di torpore in cui si trovava.

“Rispondimi!”

“Non lo so.”

Voce sottile, inudibile. Non riusciva ancora a incontrare il suo sguardo. Come non era riuscita ad osservare la sua immagine riflessa.

Improvvisamente Angel la lasciò e si rialzò, allontanandosi verso il tavolo. In silenzio.

E Kate si sentì improvvisamente ancora più sola. Troppo sola. Si afflosciò sul divano come un sacco vuoto. Lacrime presero a scivolare sul suo volto. L’aveva perso. L’aveva deluso. Come aveva sempre deluso tutti. Se ne sarebbe andato. Si sentì svuotata, incapace di reagire.

“Ora basta!”

Kate trasalì. Perché non se ne andava? Perché non la lasciava crogiolarsi nel suo dolore? Perché ritardava l’inevitabile? Si erano persi. Non capiva che cosa volesse ancora da lei.

“Quando avrai deciso di vivere fammelo sapere.”

Si diresse verso la porta. Stanco. Deluso. Sconfitto.

 

“Volevo che tu mi salvassi.”

Angel pensò di aver sognato quella voce arrochita dalle lacrime. Si voltò lentamente e attese che lei parlasse ancora. Immobile sulla porta che poteva chiuderlo per sempre fuori dalla vita di quella donna.

“Ero sola. E disperata. E arrabbiata. Arrabbiata con il mondo… con te. Mi avevi mentito. Te ne eri andato, mi avevi lasciato sola. Come tutti. Come sempre. “

Parlava con fatica, incapace di trattenere le lacrime e vergognandosi di esse. Ma ogni parola era un pugnale nel cuore spento di Angel. Tutta la sua solitudine, il suo dolore, lo sommersero come onde di un mare in tempesta… rivisse con orrore gli ultimi mesi, il desiderio incontrollabile di trovare risposte, di capire… di annullarsi… Che diritto aveva di giudicarla?

Cosa poteva dirle?

Kate si strinse il maglione addosso, combattendo contro i brividi che le scuotevano il corpo. Intrecciò le mani per non vederle tremare. Chiuse gli occhi. Non voleva ferirlo. Non l’aveva mai voluto. Neppure ora.

E si sentì stringere. Dapprima timidamente e poi con forza, quasi che lui si aggrappasse a lei per non crollare. Aprì gli occhi di scatto.

“Mi dispiace…”

Un sussurro soffocato contro il suo maglione. Angel inginocchiato sul pavimento che la stringeva. Le mani di Kate che si appoggiarono lievi sulle sue spalle. Incredula. Timorosa.

E poi due sguardi che finalmente si incontrarono. Stupiti.

E senza sapere come, Kate si trovò stretta tra le sue braccia, con la testa sulla sua spalla. Senza parole.

“Ti amo.”

Credette di aver capito male. Di aver solo sognato.

“Ti amo.”

Ancora. Non poteva essere un sogno.

Poi, un pensiero insopportabile si fece strada nella sua mente.

“Non voglio compassione.”

Di nuovo dura, implacabile. Si divincolò e si allontanò da lui. Fissandolo con rabbia. Odiando lui e se stessa.

“Non è compassione, Kate, e tu lo sai. Devi solo fidarti.”

Cercò gli occhi di Kate. E lei, ancora una volta, riuscì a leggere in quell’anima antica. Le aveva chiesto la luna e lei gliela diede.

Fu di nuovo tra le sue braccia. In quel cerchio magico che la faceva sentire al sicuro, non più sola. E glielo disse.

“Ti amo.”

In un sussurro.

 

“Stavo per perderti.” Tutto il dolore nella sua voce le fece capire la gravità di ciò che stava per fare. Insostenibile sofferenza.

“Andiamocene da qui.”

Riprese a tremare.

“Non potrei affrontare Cordelia… e l’Hyperion…” Incerta, terrorizzata che la lasciasse di nuovo sola.

“No… via da Los Angeles…”

Lo guardò con stupore.

“E la tua missione?”

Non rispose.

Andarsene… Lontano da tutto quel dolore…

“Va bene.”

 

 

Response to The days when you were mine

IV capitolo – Verità, Menzogna

 

“Non avresti dovuto scoprirlo così. Mi dispiace”

Kate alzò gli occhi e lo vide sulla porta. Rimase in silenzio.

“Dobbiamo tornare a Los Angeles”

Kate frugò negli occhi enigmatici del vampiro cercando spiegazione.

“Perché… perché devi incontrarla?”

Angel si avvicinò al tavolo con passo stanco, dolorosamente consapevole che qualunque cosa avesse detto non avrebbe potuto mitigare il dolore di Kate per quella lettera. Né spiegare perché non ne avesse parlato prima. Si sedette, come incapace di sopportare oltre, di essere ancora forte.

“No, non per questo.”

Sembrava che la sua voce provenisse da molto lontano e faticosamente si facesse strada tra la sua sofferenza, i suoi dubbi, la sua unica certezza: l’amore per la donna che aveva di fronte e che non voleva perdere.

“Dobbiamo tornare perché c’è stata un’emergenza. Cordelia ha bisogno di aiuto.”

“Ho capito.”

Ma non aveva capito. Non voleva capire. Non questa volta. Kate voleva sapere. Voleva la verità. E di nuovo cercò gli occhi di Angel, frugò in essi, cercando risposte che lui non sembrava disposto a darle.

Kate si alzò e si diresse fuori della cucina.

“Vado a preparare i bagagli. Sarò pronta tra poco.”

Angel si alzò di scatto, e con un balzo le fu accanto, afferrandole con forza il braccio, incapace di lasciarla andare via così.

“Aspetta… Tu non hai capito niente… Non è come pensi. Ci siamo incontrati, io e Buffy, dopo quella lettera. Ed è stato doloroso, terribilmente doloroso. Ma è servito a chiarirci le idee. Definitivamente. Senza possibilità di ripensamenti.”

“Allora come mai la porti ancora con te? Come un cimelio?” Ironica Kate. Sarcastica Kate. Crudele, come solo l’amore può farci diventare.

“No… La conservo perché è stata la fine. La fine di una straziante agonia. La fine della paura divorante, che è stata con me per tanto tempo, in agguato, in attesa, e che ha colpito infine. Paura, terrore di accettare che non c’era futuro, che non c’era mai stato. E l’incontro seguito a quella lettera ne ha dato conferma. Conferma definitiva. Senza appello.”

Era una fortuna che lui la tenesse, perché le tremavano le gambe, e per un istante provò un terribile senso di panico, come se non fosse più in grado di respirare, incapace di credere a quelle parole. Perché aveva desiderato troppo di sentirle. Perché le attendeva da istanti lunghi una vita.

Poi Angel la prese tra le braccia. Kate dapprima cercò di opporre resistenza, era ancora troppo viva la sofferenza provata leggendo quella lettera, pensando che fosse stato tutto un inganno, vedendo crollare ogni speranza. Ma si arrese. Perché non poteva fare altro. E gli circondò la vita con le braccia e si tennero stretti, cacciando fuori il mondo da quel cerchio magico. Sapendo che non era possibile. E mentre si stringeva nel suo abbraccio, pensava a Buffy. La magica Buffy, la desolazione della sofferenza, il nemico che aveva invaso quella casa bella, felice, piena d’amore. La testa appoggiata alla spalla di Angel, lacrime silenziose iniziarono a scorrerle sul volto.

Angel le sollevò il viso e le accarezzò i capelli, le guance, la bocca, il mento.. “Non piangere. Ti prego. Strazi questo cuore inutile”.

“Credevo di averti perso. Credevo che te ne saresti andato. Credevo… oh, Angel, sei qui!”

“Non piangere, tesoro, è tutto finito. Va tutto bene. Tutto…” Le baciò la fronte, la gola, le guance. Kate riprese colore e voltò la testa per ricambiare i suoi baci.

“E se Buffy tornasse?”

Angel si sciolse dall’abbraccio e si allontanò.

“Non tornerà. L’amavo, l’amavo perché era piena d’ardore e audacemente, ostinatamente coraggiosa. Perché era una tale bambina, nonostante le sue vanterie. Perché era diversa da tutte le altre. Mi affascinava, mi faceva sentire vivo. L’ho amata con divorante intensità. Dal primo giorno.” Aveva la voce arrochita dalla sofferenza. Si nascose la testa tra le mani e rise debolmente. Ora la sua voce giungeva soffocata e resa indistinta dalle dita. “Temevo ricominciasse tutto da capo. So che è crudele e profondamente egoista, come un bambino che piange per ottenere un giocattolo, e appena l’ha ottenuto lo rompe. Ma quella lettera per un istante era riuscita a farmi dimenticare ciò che so.”

Pochi passi li dividevano, appena il tempo di un sospiro, ma Kate non riusciva ad avvicinarsi…

Fu Angel a farlo. Quasi come risvegliatosi da un sogno, scosse la testa, scacciando tutte le ombre che aveva appena evocato… le fu di nuovo accanto e le prese le mani.

“E poi ho capito che non l’amavo più, se mai era stato amore… E c’eri tu, così forte e così fragile, così bella… e io ti amavo già e non volevo perderti. E l’ho detto a Buffy. E se ne è andata. Per sempre.”

Angel la guardò incerto, tremante… timoroso di compiere un gesto che forse l’avrebbe allontanata per sempre.

Ma Kate sorrise.

E non ci fu più incertezza né sofferenza né paura, solo le labbra brucianti di Angel sulle proprie labbra e sul proprio corpo, il calore delle sue carezze. E la forza che sentiva sotto le proprie dita quando strinse le spalle di lui. E il cuore che le martellava in gola quando incontrò le sue labbra.

Sì! Non era un sogno. Mi ama. Sì, questa è l’oscura vertigine che mi attira escludendomi dal mondo e che mi rende viva, incredibilmente viva, e libera, e in volo fino al centro del sole.

E poi non ci furono più parole né pensieri.

 

V capitolo - Buffy

 

Incubi.

Angel si sveglio di soprassalto e si tirò a sedere sul letto. Allungò una mano fino a sfiorare il corpo addormentato accanto al suo. Respiro tranquillo. Battito del cuore regolare. Non si era accorta di nulla.

Angel si alzò e uscì dalla stanza. Attraversò il corridoio immerso nell’oscurità, scese le scale, dirigendosi senza esitazione verso la porta d’ingresso. L’unico rumore udibile, oltre al lontano rifrangersi delle onde, fu lo scatto dell’accendino.

Non era stato del tutto sincero con Kate. Inutile negarlo a se stesso. Voleva rassicurarla. Ci era riuscito.

La mente vagò, fino a giungere in quel giardino… tre settimane prima…

 

 

“Buffy.”

“Angel.”

Non si dissero altro per lunghissimi istanti. Si fissarono, assorti in un mondo che era solo il loro.

Immobili. Impietriti.

Buffy si scostò nervosamente una ciocca di capelli dal volto. Bastò questo per rompere l’incantesimo.

“Hai letto la mia lettera. Per noi non ci sono comunque speranze.”

Constatazioni, nessuna domanda.

“Buffy…”

“No, Angel. Nessuna scusa. Non questa volta.”

Decisa. Lucida. Eppure un fremito nella voce, un improvviso tremore…

Volse la testa. Non fu abbastanza veloce. Lacrime.

Angel scattò verso di lei.

“Non toccarmi. Non potrei più lasciarti andare.”

Parole che sembrarono fermare il tempo.

E poi quegli occhi verdi che frugavano nei suoi, alla ricerca di risposte a domande mai poste. Angel vi lesse tutto il dolore, la sofferenza, la solitudine, che riconobbe come propri. Vide la propria anima riflessa in quegli occhi. Come sempre.

“Ti amo.”

Parole scagliate come proiettili. Parole che lo colsero di sorpresa, facendolo trasalire. Inaspettate. Ma giunte come acqua nel deserto.

La vide dirigersi verso la porta. Pronta ad andarsene. A lasciarlo per sempre. Non riuscì ad accettarlo.

“Ti amo.”

Si girò stupita. Senza parole.

“Sei venuta per questo, no? Volevi sentirtelo dire. Volevi la verità. Niente spiegazioni. Niente scuse. Sì, ti amo. Sei il raggio di sole che non posso sentire sulla pelle. Sei l’aria che non posso respirare. Sei il cielo azzurro che non posso più ammirare. Sei il cibo cui anelo. Sei l’umanità che ho perso. Sei la mia anima, i miei pensieri più segreti, la mia speranza, il mio cuore… In ogni istante di questa eternità cui sono condannato.

Le tue ingenuità mi commuovono così profondamente. Sai far risuonare corde dimenticate in me. La tua sofferenza mi dilania.

Rinuncerei a tutto per stare un solo istante con te. A tutto… i miei amici, la mia missione, la mia anima, l’eternità. Odio tutto questo perché mi tiene separato, lontano da te. E odio me stesso per questi sentimenti.”

Fiume di parole che la travolsero. Dolore, sofferenza lancinanti.

A passi esitanti si avvicinò all’angelo caduto che non poteva dimenticare. Lo strinse a sé. Fu lei a consolare lui. Lenimento per un cuore ferito.

E capì. Finalmente capì.

Non poteva chiedergli di venire meno ai suoi doveri. Di abbandonare la sua missione. L’avrebbe avuto per un istante e poi perso per sempre. E lui avrebbe perso se stesso.

Timorosa. Cercò le sue labbra. Bacio dolcissimo che durò un istante e tutta l’eternità.

Gli sorrise.

“Io non posso impedirmi di amarti, Angel. Ci ho provato con tutte le mie forze. Ne sono quasi morta. Non è servito. Non è possibile. Ma posso lasciarti andare. Lasciarti libero.

Non è un addio. Ci ritroveremo. Ne sono certa.

Alla fine del tempo e dello spazio, in una notte che sarà infinita, noi saremo insieme.

Lo sai. Non negarlo. Mentiresti a te stesso. E a me.”

Gli trapassò l’anima con quello sguardo. E seppe che era vero. Che non poteva essere in altro modo.

Erano l’uno parte dell’altro. Sempre.

La strinse ancora. Incapace di lasciarla andare. Amore e disperazione. Sofferenza e speranza. Legami indissolubili.

E poi quella sensazione di pace. Come di un naufrago che finalmente tocca terra in una spiaggia infuocata… e sa di essere a casa. Dopo battaglie e scontri, lotte e vita, semplicemente vita, finalmente pace.

Si erano ritrovati ancora. Ancora e ancora. Sempre.

La baciò, sulle labbra la promessa che si sarebbero cercati sempre, vagando nella notte, nei loro sogni. Ineluttabile destino che non li lasciava liberi. Ma come chiedere di essere liberati dalla propria vita, dal proprio cuore?

Si arresero.

Buffy si sciolse dall’abbraccio. Fece un passo indietro. Mise tra loro una distanza ben più che fisica.

“Devo andare.”

“Sì, devi andare.”

La guardò uscire da quel giardino. Non la fermò. C’era ancora tempo.

 

 

 

Angel riaprì gli occhi, dissolvendo le ombre dei ricordi. Si concentrò sul rumore della risacca. Una, due, tre… Quante onde in un tramonto?

Kate.

Le aveva mentito. Crudele. Ingiusto.

Aveva mentito a se stesso.

Voleva salvarla. La stava condannando?

Amore. Inafferrabile. Inspiegabile.

Amava Kate. In modo diverso. In un’altra eternità sarebbe stata affinità elettiva. In questa?

Altre domande senza risposta. Troppe.

Il cielo si tingeva di luce.

Spense la sigaretta. Rientrò. In camera Kate dormiva. La osservò. Ascoltò il suo respiro. La strinse a sé.

“Angel, tutto bene?”

Voce assonnata, impastata di sogni.

“Sì, amore. Dormi. Va tutto bene.”

 

VI capitolo - Cordelia

 

Cordelia rifletteva. Assorta.

Un palcoscenico. Un’infinità di personaggi. Commedia. Tragedia.

Angel, Buffy, Kate, e tutti gli altri.

Un grande amore.

Una missione.

Sacrificio. Speranza.

Sofferenza.

Difficile dire chi avesse più sofferto in quegli anni.

Difficile.

Si sedette sul divano, lisciandosi la gonna. Nessuna piega nella sua perfezione. Schiena rigida, spalle dritte.

Attese.

Angel sarebbe tornato presto.

Avevano bisogno di lui. Come sempre.

Guardò l’orologio. Nervosa.

Afferrò una rivista e subito la posò.

I minuti si rincorrevano. Per lei tempo dilatato.

Perché Angel non arrivava?

Fuori la notte stellata. Luce riflessa.

Afferrò una rivista e subito la posò con uno scatto rabbioso. Vetro infranto. Un bicchiere a terra, acqua sparsa. Osservò la macchia sempre più larga sul pavimento. Incapace di compiere il minimo gesto.

Si obbligò a raccogliere i frammenti di vetro. Ad asciugare con cura.

Alzò lo sguardo. Lo specchio. La vide. La sua immagine riflessa. Ordine. Precisione. Bellezza.

Ma gli occhi… occhi lucidi di dolore, paura, rabbia.

Non avrebbe voluto richiamare Angel a Los Angel. Si era ripromessa di concedergli tutto il tempo di cui avesse avuto bisogno.

Non aveva potuto. Promesse infrante. Troppe. Sempre.

Un’emergenza.

Un eufemismo.

Troppo codarda per dirglielo al telefono, gli aveva chiesto di tornare.

Glielo aveva imposto col tono urgente della sua voce.

Fin troppo controllata viste le circostanze. Le circostanze… Termine così inadeguato.

Schegge di vetro. Si tagliò. Sangue.

Chissà quanto sangue…

Le sue mani presero a tremare.

Come durante quella telefonata. Due giorni prima. Registrata nella sua mente.

Willow.

Strano che chiami, aveva pensato.

E poi nessun altro pensiero.

Vuoto.

Silenzio fuori e dentro di lei per lunghi istanti.

E dolore.

Come il bicchiere ora, così il suo mondo in quel momento. Il loro mondo. Frantumi. Schegge taglienti.

La sua mente rifiutò di assimilare la notizia. Ne rise, come di uno scherzo di cattivo gusto. Impossibile. Inaccettabile.

“Cordelia, hai sentito?”

Voce atona. Spossata. Disperata.

Povera Willow. Tutto qui quello che Cordelia aveva pensato. E poi tutto in frantumi.

Niente più come prima.

Avrebbe dovuto dirlo ad Angel.

Spezzare un sogno. Per sempre.

Proprio lei, che aveva dovuto rinunciare a tanti, troppi sogni.

Cordelia si alzò.

Passi rapidi, impazienti, attraverso la stanza.

Sfuggire ai ricordi. Ai sogni.

Sogni ormai troppo lontani.

Ricordi sempre più pressanti.

Strazianti, insostenibili ricordi.

Ricordi di una vita recitata anni prima. Commedia mai rappresentata. Tragedia i cui personaggi erano spariti l’uno dopo l’altro.

Lei sola sul palcoscenico.

Buffy.

Sempre troppo sola.

No. Non doveva pensarci.

Non adesso. Più tardi. Forse.

Quando Angel fosse stato lì. Forse.

Altrimenti avrebbe pianto.

Altrimenti sarebbe crollata.

Non poteva. Niente lacrime.

Dopo. Forse.

Di nuovo si sedette sul divano.

Attese.

 

VII capitolo – L’angelo della morte

 

Un rumore.

Arrivarono. Angel e Kate. Angel.

Cordelia si avvicinò lentamente alla porta. L’angoscia che le divorava il cuore. Non avrebbe mai trovato il coraggio. Mai. Non poteva dirglielo. Non poteva.

“Cordy?”

Eccoli.. Cordelia li vide entrare. Tranquilli. Sereni. Felici. Appagati. L’uno accanto all’altra.

Eppure negli occhi di Angel…

Fu solo un attimo. L’urgenza di comunicargli la notizia cancellò ogni altro pensiero.

“Cordy, siamo tornati appena possibile. Abbiamo dovuto chiudere la casa.” Rimpianto. L’addio ad un’oasi di pace. Un sogno. Ingannevole?

“Quale spaventosa apocalisse minaccia Los Angeles questa volta?”

Ironica Kate. Sarcastica Kate. Kate corazzata contro il mondo e le sue condanne. Le solite difese ormai logore. Difficile lasciare quel mondo incantato. Straziante. Difficile affrontare ancora tutti i soliti problemi. Le sue paure. La vergogna per ciò che aveva fatto. I giudizi degli altri.

Desiderò fuggire. Con tutta se stessa, con tutte le sue forze. Animale in gabbia…

Angel la fissò. Angel capì. Le prese la mano e la strinse. Sicurezza e calore. Tutto sarebbe andato bene.

Si sorrisero.

E poi Angel si rese conto. Un pensiero inquietante attraversò la sua mente. Cordelia. Troppo silenziosa Cordelia. Strano.

“Cordelia, che succede? Non hai ancora detto una sola parola.”

Preoccupato. Improvvisamente attento.

Kate fissò l’attenzione su Cordelia. Ignara. Fiduciosa.

“Angel.” Incerta. Esitante Cordelia.

Brividi gelati corsero nell’aria calda.

Che voce strana aveva Cordelia.

“Angel. Devo dirti.”

Non ci riusciva. Impossibile. Inconcepibile.

“Cordelia, hai tutta la mia attenzione. Mi vuoi dire che accade?”

“Non posso. Non riesco. Perdonami.”

Voce spezzata. Screziata di dolore. Angoscia. Compassione. Pietà.

Angel non capì subito. Si rifiutò di capire.

Lasciò Kate e si avvicinò a Cordelia. Impaziente. Minaccioso. Terrorizzato.

“Cordelia.”

“Buffy è.”

E lo seppe. Prima che Cordelia riuscisse a terminare la frase lo seppe. E la completò per lei.

“Buffy è morta.” Freddo. Impassibile. Distaccato. Pietra.

“Angel, ascolta.”

Uno sguardo bastò a zittirla. Strideva ora la voce di Cordelia. Angelo nero che annunciava morte. Insopportabile ascoltarla. Silenzio. Esigeva silenzio. Buffy era morta. Non c’era più tempo. Non c’era più vita.

Chiuse gli occhi. La vide. Fuggevole immagine. Buffy. Eco infinito nella sua mente. Frammenti di ricordi, filamenti di sogni. Un giorno, in un’altra vita. In un altro universo. Il loro mondo. Caleidoscopio di colori e speranze.

Sentì la sua voce chiedere. Interrogare.

“Come è successo?”

Anima che urla. Inascoltata.

E seppe. Seppe tutto quello che Buffy gli aveva taciuto. Glory. La Chiave. La torre. Il suo sacrificio.

 

Non volle ascoltare altro. Parole vuote. Consolazioni inutili. Se ne andò. Dalla stanza, dall’Hyperion. Dimentico di se stesso e di tutto l’universo. Chiuse la porta alle sue spalle e se ne andò. Sofferenza indicibile.

 

Kate fece per seguirlo. Sentì che Cordelia la tratteneva per un braccio.

“No. Non andare. Non puoi fare nulla.”

Si fermò. Lentamente si voltò verso Cordelia. Sogni e speranze in frantumi.

Cordelia ebbe pietà di lei.

“Tornerà.” Difficile crederci ora.

“Tu credi? O distruggerà se stesso e noi?” Sferzante. Ferita a morte Kate.

“Kate…”

“Devo andare.”

“Dove? Kate, puoi rimanere qui, devi rimanere qui. Angel…”

“A fare che? Aspettare che torni? Sperare che torni? Illusioni. Chimere. Lei è morta. Ci ha divisi da viva, presenza constante tra noi. Ci divide da morta.”

“Ma…”

“Basta. Non mentire. Non sopporto pietà e compassione. Mi ci sono crogiolata fin troppo.”

“Va bene. Cosa farai?”

“Non lo so. Ora vado a casa. Ricomincerò a vivere. E a lottare.”

 

Rimasta sola, Cordelia uscì in giardino. Circondata dal buio, cullata dal silenzio, poté riprendere a respirare. Aria che combatté contro il senso d’oppressione. Cadde ogni difesa. Palcoscenico ormai vuoto, cadde ogni maschera. Non più forte e altera, ma sola e spaventata. Sola. Come lei. Come Buffy. Come Angel, come Kate. Sempre più soli, spento ogni sogno. Lacrime scivolarono sul suo viso. Finalmente.

 

VIII capitolo – Senza vita. Senza tempo

 

Lungo viaggio nella notte. In macchina. A ritroso nei suoi ricordi. Nei suoi pensieri. Pellegrinaggio di dolore. Ripercorrere quella strada. Infinite volte. Per cercarla. Per vederla. Per aiutarla. Proteggerla. Ora sarebbe arrivato troppo tardi. Imperdonabile.

Finalmente la vide. La collina. Quella collina. Amore ed espiazione.

Avrebbe dovuto lasciarlo morire allora. Era deciso. Non poteva essere diversamente. Ed invece lei era arrivata. L’aveva salvato. L’aveva richiamato dall’orlo del baratro. L’aveva condannato a questo nuovo, devastante dolore. Avrebbe dovuto odiarla. L’amava ancora.

 

“Fermate tutti gli orologi.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù

e scrivano sul cielo il messaggio: Lei è morta!”

 

Non c’era più tempo. Non c’era più vita. L’aveva persa. Lei che lo accusava di averla lasciata sola. Abbandonata. Ora se ne era andata. Beffa di un destino crudele. Nemesi implacabile.

Un’eternità senza di lei. Un infinito susseguirsi di istanti senza senso, senza di lei. Nessun significato, nessuna importanza. Una corrente che trascina. Lasciarsi vivere, senza poter sperare in una fine. Un lungo sonno senza sogni. Incubi. Senza requie.

 

“Lei era il mio nord, il mio sud, il mio est ed Ovest,

la mia lingua, il mio canto;

pensavo che l’amore fosse eterno: avevo torto.”

 

Come si può amare un corpo senza vita? Lei l’aveva fatto per anni. Anni di dolore e di lacrime. Spesso sola e condannata. Senza appello. Senza speranza. Ora toccava a lui.

Bagnarsi di lacrime mai versate. Soffocare le urla silenziose di un’anima agonizzante. Strapparsi il cuore e non provare più nulla. Misericordiosa assenza di ogni emozione. Sopravvivere.

Ma si ribellava a questa vita. Non c’è vita senza di lei. Non c’è speranza, non c’è ristoro. Nulla. Nulla. Cosa cercare, per chi vivere. Lei è morta. Lei è morta. Non avrebbe più potuto stringerla. Consolarla. Niente litigi e discussioni. Niente dolore. Niente rabbia. Niente rancore. Niente amore. Lei è morta. E la vita è morta con lei.

Rabbia cieca. Furore. Perché. Perché. Perché.

Nessuna risposta. Fermate il tempo. Cancellate la vita. Lei è morta.

 

“Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte,

imballate la luna, smontate pure il sole,

svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco,

perché ormai più nulla può giovare.”

 

E finalmente crollò. La rabbia, che l’aveva sorretto fino a lì, lo abbandonò. Inerte, si lascio cadere a terra. Lente lacrime presero a scendergli sul viso. Aggrappato con forza ai radi ciuffi d’erba che ricoprivano la collina.

“No. No. No.”

Incapace di accettare la realtà. Sicuro che da un momento all’altro lei sarebbe comparsa. Gli avrebbe sorriso.

“Buffy.”

Richiami a cui lei non poteva più rispondere. Ultimo anelito di un’anima che era morta con lei.

“Buffy.”

Solo. Sempre solo. Aveva sperato. Per tutto il viaggio aveva sperato di trovarla lì. Come allora.

Un incubo. Si sarebbe rivelato tutto un incubo.

Rideva di se stesso ora. Amaro. Cattivo.

“Se ne è andata.”

Il silenzio della notte glielo gridava. Implacabile.

Ora, dovette ascoltarlo. Lì, dovette ascoltarlo.

 

Ondate di dolore. Marea crudele e straziante. Facile lasciarsi andare. Troppo facile. Attendere l’alba. Come allora. Su quella collina. Come allora. Divorato dalla sofferenza, dal rimorso, dal rimpianto. Come allora.

Ma questa volta lei non sarebbe arrivata. Non l’avrebbe obbligato a vivere. Perché non poteva. Non avrebbe potuto mai più.

Agognata pace. Alba misericordiosa. Un solo raggio di sole. Uno solo.

Troppo facile.

Si rialzò. Involucro vuoto.

Lasciò su quella collina sogni e speranze. Il suo amore. La sua anima.

 

L’uomo si svegliò di soprassalto. Sonno denso di incubi, interrotto da pochi colpi alla porta. Nessun riposo. Pochi minuti all’alba.

Scese le scale volando, terrorizzato all’idea di cosa potesse essere successo ancora. A chi fosse toccato questa volta.

Dalla finestra vide la sagoma scura e riconobbe Angel.

Aprì la porta e lo invitò ad entrare.

 

IX capitolo – Come in uno specchio

 

Sprofondato in quella poltrona da ore. Immobile. Irraggiungibile. Smarrito tra incubi e ricordi insopportabili. Immerso in un’ombra che non era solo quella della stanza.

Dopo averlo fatto entrare, Giles non disse nulla. Il suo dolore esigeva rispetto. Silenzio. Lo sapeva. Perché lo riconosceva. Quel dolore così simile eppure così diverso dal proprio. Speculare. Inscindibilmente legato ai loro sensi di colpa, ai loro rimpianti, ai loro rimorsi. Al loro amore per un corpo ormai senza vita. Cuori improvvisamente di pietra e poi… polvere, solo polvere.

E quella sensazione di freddo che non lo abbandonava mai…

“Perché non mi avete richiamato qui?”

La voce di Angel riscosse Giles da quelle devastanti riflessioni. Cercò le parole per rispondere. Esistevano?

“Lei non ha voluto. Diceva che avevi la tua vita e non facevi più parte della sua, della nostra.”

Non riuscì neppure a pronunciare il suo nome. Troppa sofferenza. Inciso nel suo cuore, tesoro inestimabile.

“E ora è morta.”

La morsa di ghiaccio si fece ancora più opprimente. Troppo. Il distacco in quella voce come lama affilata che affonda lentamente.

“Sì.”

Si allontanò Giles, verso la finestra da cui filtravano i primi chiarori dell’alba.

“Ha dovuto scegliere. Se stessa o Dawn. Non poteva sacrificare sua sorella. Non poteva. Sapeva che se tu fossi stato qui glielo avresti impedito. E non aveva scelta. E non ne ha lasciata neppure a noi.”

Voce rotta dal dolore. Chiuse gli occhi Giles, rievocando quell’ultima notte, fine di un mondo intero. Il tempo si era fermato nell’istante in cui lei era morta. Paralizzati si erano raccolti attorno a lei. L’avevano chiamata. Ingiusta morte. Inaccettabile sacrificio.

Si riscosse. Non serviva a nulla ricordare. Non sarebbe mai servito.

“Sola. Ancora una volta sola.”

Sgomentava l’assenza di emozione in quella voce. Come se non provasse più nulla. Non sentisse più nulla. Vuoto incolmabile che giungeva fino ai suoi occhi. Terrificante assenza di luce.

Ombra strisciante che avvolgeva il suo cuore. La luce era morta con lei.

“Perché il Consiglio non è intervenuto?”

“Non avrebbero potuto fare nulla. La priorità era impedire la fine del mondo, in qualunque modo, a qualunque prezzo.”

Si odiò per quelle parole. Provò disprezzo profondo per se stesso. L’aveva abbandonata. Anche lui. Come tutti. In balia di un destino che non teneva conto della sofferenza di una ragazzina sola e spaventata. Come invece lui avrebbe dovuto fare.

“L’abbiamo abbandonata tutti.”

Angel diede voce ai pensieri dell’Osservatore. Cristallizzati nell’aria immota. Lui sapeva. Lui capiva.

“Nessuna scusa, nessuna giustificazione.” Amarezza senza fine.

“Per cosa lottare? Combatti ogni istante, ogni minuto di questa vita, se così si può definirla, e alla fine cosa ottieni? Niente. Il male sarà sempre più forte. Inarrestabile. Vana speranza di sconfiggerlo. Il male vincerà sempre perché è dentro di noi. Sarà sempre con noi. Noi siamo il male. Per cosa si è sacrificata? Che senso in tutto questo?” Stanco. Deluso. Sconfitto.

Angel lo fissò. Nessuna certezza. Per nessuno di loro. Nessuna speranza. Nessuna luce. Quanto avevano perso in quella notte maledetta? Lei. Loro stessi. Comunque troppo. Sempre troppo.

“Che senso? Non ne ha. Non ne ha mai avuto. Vaghiamo senza meta e senza speranza. Soli. E nell’istante in cui finalmente troviamo qualcuno, la persona speciale che tocca il nostro cuore e ci fa sentire vivi, in quello stesso istante l’abbiamo già persa.”

L’uno dava voce ai pensieri dell’altro. Due esseri così diversi uniti dall’amore per lei.

Rimasero in silenzio. Tempo che scorreva lentamente. Troppo. Senza tregua per le loro anime martoriate.

 

“Un’eternità senza di lei.” Sussurro quasi impercettibile di un’anima che gridava silenziosa. “Non è possibile. Non è accettabile.” Implacabile silenzio che non concedeva requie.

“Tu lo sai che c’è un modo.” Parole lanciate come dadi dal destino. Si sarebbe pentito di averle pronunciate. Ne avrebbe scontato le conseguenze per il resto dell’eternità. Lo sapeva. Non era importante. Solo lei importava.

Si fissarono. Immobili. Tra di loro lei. Sempre presente.

“Potrebbe essere pericoloso.”

“Lo so.” Risoluto.

“Potremmo non farcela. E vorrebbe dire rinnegare tutto ciò per cui ho combattuto una vita. Magia nera. Un Osservatore.”

“Non sei più un Osservatore.”

Sottile precisazione.

“Non dobbiamo lealtà se non a lei. Aveva 20 anni. Solo 20 anni. L’abbiamo lasciata sola allora. Non possiamo farlo anche ora.”

“Lo facciamo per lei o per noi stessi?” Coscienza. Responsabilità.

Sguardo ferito che gli trapassò il cuore. Sofferenza e rimorso… impossibile stabilire confini.

“Lo facciamo perché è giusto.”

 

X capitolo – Troppo vicino

 

Giorni trascorsi a decifrare incantesimi. Notti di caccia che li lasciavano stremati. Ormai tutti, demoni e vampiri e creature della notte, sapevano: la Cacciatrice è morta.

Gli attacchi si moltiplicavano. Il male proliferava. Faith, viva e in galera, impediva l’attivazione di una nuova cacciatrice.

Era necessario trovare una soluzione. Indispensabile. Al più presto.

 

Angel si allenava nella palestra del Magic Shop. Colpi mortali inferti con assoluta precisione. Instancabile. Quasi volesse sfinirsi per impedire alla sua mente di procedere lungo sentieri costellati di pericolosi ricordi. Paralizzanti ricordi. Mortali ricordi.

Stava fuggendo. Lo sapeva. Preservare un precario equilibrio. Solo l’interruzione di qualunque comunicazione emotiva ne impediva il crollo. Escludere gli amici, Kate, la sua anima stessa per sopravvivere. Trasformarsi in un Cavaliere senza macchia, senza paura, senza sentimenti, impegnato in una dura lotta con se stesso e con il male. Combattere ogni notte. Vincere. Senza riposo, senza soddisfazione. Senza spazio per sofferenza e ricordi. O speranza.

Perché così doveva essere. Così sarebbe stato. Fino a quando… fino a quando non avessero trovato una via. L’incantesimo giusto. O semplicemente risposte.

Un rumore alle sue spalle lo distolse dall’esercizio. Concentrò la sua attenzione sull’origine di quell’interruzione, voltandosi lentamente.

“Tara.”

“Ciao, Angel.”

“C’è qualche problema nella ricerca dell’incantesimo? Alla riunione non ne hai parlato.”

Quanto veniva taciuto in quelle riunioni? L’intensità di sentimenti ora celati, ma potenzialmente distruttivi, che nutrivano l’uno per l’altro: odio, rancore, rabbia, disprezzo… A che prezzo combattevano e lottavano insieme? Improbabile tregua. Fragile tregua. Eppure dovevano fidarsi, Non avevano scelta. Non più.

“No, Angel. Io e Willow stiamo lavorando ai testi che ci hai procurato. Ancora qualche giorno e dovremmo essere in grado di…”

La sua voce si spezzò. Incapace di proseguire. Troppo dolore.

Nessuno di loro ne parlava. Silenzio opprimente che riempiva le loro vite, il loro cuore. Aria rarefatta che rendeva difficile compiere il minimo gesto. Vivere. Impossibile.

“Bene. Dobbiamo sbrigarci. C’è sempre meno tempo.”

Ghiaccio. Un muro che respinse la strega con violenza. Perduto Angel. Imprigionato nel suo stesso dolore da rimorsi e rimpianti.

“Angel, tu credi che lei…”

Esitante Tara. Timorosa di scatenare la violenza repressa che aveva imparato a temere. Micidiale. Letale.

Angel la fissò. Trafitta, la strega resto immobile. Ipnotizzata da quello sguardo a cui le sembrava di non poter nascondere nulla. Anima limpida Tara. Anima nutrita di speranza. Nonostante tutta la sofferenza nella sua vita. O grazie a quella sofferenza. Si poteva credere in Tara?

“Io non credo più in nulla da quando lei è caduta da quella torre. In nessuno. Neppure in me stesso. Non so nulla. Non sento nulla. Solo una voce che urla nella notte e chiede aiuto. Solo questo.”

Tara distolse lo sguardo. Non esistevano parole per lenire il dolore che percepiva, che le lambiva il cuore. L’anima del vampiro, circondata di ghiaccio, cercava di difendersi. Troppa pena.

Ma continuò. Coraggiosa Tara. Anima ardente, sacro fuoco mai sopito. Amica. Fino in fondo.

“Angel, se anche la riportassimo in vita, lei potrebbe essere cambiata. Diversa. Colei che noi conoscevamo potrebbe non tornare. Mai. Non lo sappiamo. Angel, lei potrebbe aver dimenticato tutto. Noi, il suo mondo, la sua missione. Oppure ricordare. Ma sarebbe davvero meglio? A cosa la riportiamo? A tutto questo dolore, tutta questa sofferenza. La sua solitudine. La sua missione. La sua condanna. Angel, sei sicuro di volere questo? Di volerla condannare di nuovo a questo inferno? Te ne sei andato già una volta. La lasceresti ancora?

Tu non sai cosa sono stati per lei questi ultimi anni. Ha perso tutto ciò che amava: te, sua madre, e con voi la sua vita.Si stava spegnendo. Non era nemmeno più lei. Ed ora tu vuoi rigettarlla nuovamente in questa lava infernale?”

Interruppe quel fiume di parole prima che lo travolgesse. Con che diritto la strega stillava veleno nella sua anima?

“Come puoi dirmi questo? Che ne sai tu? Non mi conosci, non hai conosciuto veramente lei. Tu non sai, non saprai mai cosa siamo stati l’uno per l’altro. Amore che ci ha sommersi e ha deviato inesorabilmente il corso delle nostre vite. Non l’abbiamo cercato, non l’abbiamo voluto. Non doveva essere così. Eppure contro ogni destino, contro il fato, il volere degli dei, Cacciatrice e Vampiro, Donna e Demone… Una sofferenza che ci ha dilaniati. Lasciarla è stato lasciare la Vita, la luce del sole un’altra volta… Perché avesse una vita normale. Normale. Idiota. Lei è morta. E ora tu mi dici che non posso riportarla indietro? Non esiste destino o fato o dio che ora me lo possa impedire. ”

La scosse. Non sapendo neppure cosa stesse facendo, la mente annebbiata dal cieco furore che teneva sotto controllo da giorni. L’afferrò per le spalle e la scosse con violenza. Inaudita violenza. Per farla stare zitta. Perché non pronunciasse più parole che gli straziavano il cuore.

Lacrime in quegli occhi miti e puri. Lacrime che traboccarono senza che Angel se ne accorgesse. Lacrime per l’anima tormentata del vampiro più che per se stessa. Più che per il dolore. Generosa Tara.

Solo quando Tara si lasciò andare, senza più forze, la consapevolezza di ciò che stava facendo si fece strada nella mente annebbiata e confusa di Angel.

Il peso di ciò che stava per fare lo fece barcollare.

Un attimo ancora e l’avrebbe morsa. Un attimo ancora e l’avrebbe uccisa. Bere. Dissetarsi di lei. Tornare a nutrirsi di sangue umano. Distolse lo sguardo dalla figura immobile e indifesa di Tara, accasciata a terra. Si allontanò di scatto da lei. Si appoggiò alla parete della palestra. Senza forze. Si lasciò cadere a terra.

Non c’erano parole. Non più.

La voce di Tara lo riscosse da quel silenzio che lo consumava. Compassione. Profonda empatia.

“Io ti aiuterò.”

Peccato e redenzione. Ci sarebbe mai stata una fine?

 

XI capitolo – Anima non vile

 

Kate vagava da una stanza all’altra. Da ore. Da giorni. Inquieta. Ansiosa.

Quell’appartamento impregnato di ricordi e disperazione.

E poi quella notte. Notte in cui aveva creduto che ogni suo incubo avesse preso forma. Notte in cui aveva sperato che ogni suo sogno si fosse realizzato. Notte in cui aveva deciso di morire. Notte in cui lui l’aveva costretta a vivere.

Angel. Sempre e solo Angel. In qualunque pensiero. In qualunque istante. Nel suo cuore. Nella sua anima.

Stupida. Ingenua.

Se ne era andato. Ancora. Come sempre.

E lei sola. Ancora. Come sempre.

Odiava la pietà che aveva scorto negli occhi di Cordelia quel giorno. Quanto odiava se stessa. Per avergli creduto.

Diceva di amarla. Era tornato da Buffy.

Ma Buffy era morta. Mentre lei era viva. Viva. Viva.

E soffriva. E amava. E aveva sperato.

Sperato in cosa?

Idiota. Si era illusa ancora. Si era fidata. Proprio lei. Come una ragazzina. E per rincorrere il ricordo di una ragazzina lui se ne era andato.

Kate si avvicinò allo specchio a parete. Fissò la propria immagine riflessa. Gli occhi segnati da profondi cerchi scuri facevano risaltare il suo pallore. Notti insonni trascorse a torturarsi, nella logorante attesa che lui tornasse. Odiandosi perché lo attendeva. Non riuscendo a farne a meno.

Era dimagrita ancora. Il volto sempre più sottile le dava un’aria eterea, in netto contrasto con l’immagine di poliziotta dura e implacabile. Non mangiava. Non poteva.

Aspettava. In un limbo di speranza e disperazione che la stava consumando.

Aveva chiesto notizie a Cordelia. Ingoiando il suo orgoglio. O ciò che ne restava.

Non sapeva niente Cordelia. Non aveva notizie da giorni. Neppure Cordelia. Silenzio angosciante. Cosa stava accadendo? Percepiva trame oscure che non sapeva spiegare Cordelia. Sofferenza distruttiva di cui temeva le conseguenze Cordelia.

Non era stata chiara Cordelia. Non l’aiutava nel decidere, nello scegliere. Sarebbe stato troppo facile. E quando mai qualcosa era stato semplice nella sua vita?

A Kate restava solo quell’inquietudine. E quell’insopportabile senso di abbandono.

Odiò il volto riflesso nello specchio. Ne evitò gli occhi, lo sguardo, troppo difficile affrontare se stessa e la verità.

La solita verità: si era arresa. Ancora. Come sempre.

Troppo poco sicura di se stessa per mettersi in gioco, per lottare per ciò che desiderava con tutte le sue forze. Ciò che amava al di là e al di sopra di se stessa.

Angel. Sempre e solo Angel.

“Kate Lockely, quando smetterai di compatirti?”

Venne da lontano quella voce. Dal suo passato, dal suo dolore. Dalla consapevolezza di tutto ciò che aveva perso. Che non aveva mai avuto.

“Tu devi lottare per ciò che desideri! È ora di combattere!”

Parlò a se stessa come ad un’estranea. E chi era la donna di vetro, se non un’estranea? Pallido riflesso di ciò che sarebbe potuta essere.

Dura. Cinica. Spietata con se stessa più che con gli altri.

Sola.

Sempre sola.

Non c’era mai stata gioia per quella Kate. Mai amore o tenerezza. Per tanti, troppi anni. Una vita intera.

Imprigionata in una splendida torre d’avorio aveva impedito a se stessa di vivere. Di amare. Per non soffrire. Per non provare gioia. Mai.

E ora?

“Se non farai qualcosa, lo perderai.”

Ancora quella voce che non le dava tregua. Le urlava verità che non avrebbe voluto conoscere. Che non poteva più ignorare. Impossibile. La vita gliele sbatteva in faccia. Violenta. Inesorabile. Senza pietà. Erano successe troppe cose. Erano cambiate troppe cose.

“Ma lui è un vampiro. E ama lei. Sempre lei. Solo lei.”

Gridava a se stessa, nel silenzio insopportabile della stanza. Lotta interna che la dilaniava.

Vinse. Per una volta vinse se stessa.

Una rabbia devastante la invase. Contro Buffy. Contro Angel, contro il mondo intero che le strappava ancora una volta ciò a cui più anelava. Aria per respirare. Amore per vivere.

Ma non questa volta.

Decise. Avrebbe lottato. Finalmente.

Fino all’ultimo respiro.

“Andrò a Sunnydale. Sei contenta?”

Le rispose l’eco della sua voce nella stanza vuota. E il lento sorriso che illuminò il volto riflesso nello specchio.

 

XII capitolo – Riunione

 

Notte sulla cittadina del sole. Oscurità avvolgente che opprimeva anime e cuori e penetrava strisciante nel negozio fiocamente illuminato.

Riuniti ancora una volta. Come allora. Giles, Xander, Willow, Tara.

Buffy. Un’assenza che pesava inesorabilmente. Eppure sempre presente tra di loro. Ovunque nella stanza, memore delle riunioni che negli ultimi tempi la vedevano sempre un po’ più abbattuta, sconfitta. Sempre meno parole per capirla. Aiutarla. Chiusa in se stessa. Triste. Stanca.

Apatia che la divorava, la lasciava senza fiato.

E loro impotenti. Senza poter fare nulla. Perdendola ogni giorno. Fino alla fine.

 

Attendevano ora. Attendevano Angel in un silenzio denso di tensione. Palpabile tensione. Ognuno con i suoi sensi di colpa, i rimorsi, i rimpianti che rendevano così difficile andare avanti. Impossibile vivere.

“Insomma, che fine ha fatto il nostro bel tenebroso? Sono stufo di aspettare.” Sarcastico Xander. Ancora incapace di rinunciare alle infantili ripicche e alla gelosia che covava da tanti anni. Odiava il vampiro e odiava dover accettare ordini da lui. Ma dicevano non ci fosse un’altra via…

“Eccomi, Xander.” Angel. Con lui entrarono ombra e notte. Disperazione e rabbiosa sofferenza. Avevano accettato il suo aiuto, ma lo temevano. Come una corda troppo tesa, rischiava di spezzarsi. Temevano questo momento. Sarebbe stato incontrollabile.

“Anya?”

“È con Dawn. Non potevamo lasciarla sola. È difficile per lei. E Spike...” Xander si zittì.

Uno sguardo di Angel lo gelò. Non si erano ancora incontrati lui e Spike. Sarebbe venuto il momento di affrontarlo. Ma non ora. Non ancora. Brucianti rimorsi lo impedivano. Spike c’era. Era con lei. Le era rimasto accanto fino all’ultimo istante, a quel volo senz’ali. L’aveva aiutata. Disposto a rinunciare all’eternità per consolarla e proteggerla. L’aveva amata. Come lui, Angel, non aveva potuto fare. Non aveva voluto fare.

“Bene, ragazzi. Non perdiamo altro tempo.” Solito Giles che riportava equilibrio nell’eterogeneo gruppo. Equilibrio che neppure lui ritrovava in se stesso. “Tara e Willow hanno lavorato per giorni ai testi che ci hai procurato, Angel. Purtroppo con risultati direi assolutamente insoddisfacenti. Non ci sono molte strade. Una via potrebbe essere tentare di ripetere l’incantesimo già provato per Joyce, ma ci sono ben poche possibilità che funzioni. Si è dimostrato un completo fallimento.”

Muto rimprovero. Tara e Willow trasalirono. L’avevano fatto solo per ridare speranza ad una ragazzina dagli occhi tristi. Troppo tristi. Difficile, impossibile per loro rimanere indifferenti a tutto quel dolore. Senza pensare alle conseguenze.

“L’altra possibilità?”

“Beh… Non sono sicuro neppure che sia attuabile. Non è mai stato tentato prima e non so che cosa potrebbe scatenare. È pericoloso. Molto. E complicato. E non so neppure se ci sono effettive speranze di riuscita.”

“Giles, me lo dica. Sono disposto a correre qualunque rischio.” Impersonale. Lontano. Distante e intoccabile Angel.

“Angel, Giles ne ha parlato con noi… non siamo sicure di essere streghe abbastanza potenti per un incantesimo del genere. Soprattutto rischiamo di mettere a rischio la vita tua e di Dawn.” Tara strinse la mano di Willow per infonderle coraggio e comprensione. Era d’accordo con le sue parole, ma sapeva di essere disposta a rischiare molto pur di riportare indietro Buffy. E veder sorridere Dawn. E Angel. E tutti loro, a cui mancava un pezzo di cuore.

“Allora?” Implacabile Angel.

“Si tratterebbe di ritornare indietro nel tempo. Fino all’istante esattamente precedente a quando Buffy…”

“Si è lanciata nel vuoto.” Spike. Circondato da un pungente odore di alcol e fumo, col volto tumefatto di chi ha trascorso notti insonni e ha combattuto con se stesso e i propri personali demoni.

Si accese una sigaretta, nel silenzio che circondò la sua teatrale entrata. Sostenendo lo sguardo di Angel, si avvicinò ai presenti e attese in silenzio che proseguissero il discorso.

Difficile sciogliere la pesante nube che improvvisamente li avvolse. Toccò a Giles.

“Dicevo, si tratterebbe di ritornare a quell’istante e recitare un incantesimo perché la caduta di Buffy si trasformi in un viaggio nel tempo, nel futuro, fino a riportarla qui e ora. In modo che la sua morte e tutti gli avvenimenti successivi vengano cancellati. Una sorta di salto temporale…”

“Quali sono i rischi?” Implacabile Angel.

“È magia nera. È pericoloso. Tara e Willow dovranno dividersi: una nel presente per aprire il varco temporale e una nel passato per castare l’incantesimo su Buffy.Il loro potere ne sarà diminuito, limitato, Potrebbero non farcela. Se il varco dovesse richiudersi, non sarebbe più possibile riaprirlo. Una delle due rimarrebbe imprigionata nel passato.”

“Posso tornare io nel passato. Posso castare io l’incantesimo.” Lo fissarono. Paralizzati. Profondamente stupiti.

Spike diede voce ai pensieri di tutti.

“Non preferivi tenerti lontano dalla magia nera? Dobbiamo chiamarti Angelus? Basta dirlo.”

Uno sguardo fu sufficiente ad incenerirlo.

“Va bene, va bene. Sto zitto.”

“Angel, c’è un altro problema. Direi insolubile. Per aprire il varco temporale è necessario il sangue di Dawn. Non è possibile altrimenti. Lei resta la Chiave. Non c’è altra strada.

Ma correrebbe un pericolo mortale. Rimarrebbe sospesa tra i due mondi, presente e passato, e Glory avrebbe modo di ucciderla. Sarebbe solo per un istante, ma esiste questa possibilità. Non so se saremmo in grado di proteggerla. Rischiamo di annullare il sacrificio di Buffy. Di perdere entrambe.”

Nel silenzio che seguì queste parole si aprì la porta e una donna entrò nel negozio.

Lentamente Angel riuscì a formulare quel nome.

“Kate.” Lontana dal suo cuore e dalla sua mente per lunghi giorni di dolore, si riaffacciava prepotentemente nella sua vita. Rimettendo tutto in discussione. Ancora una volta.

“Angel. Cordelia mi ha detto che ti avrei trovato qui.”

“Che bello. Ora c’è anche la tua bionda-fidanzata-poliziotta. Siamo al gran completo. Potremmo organizzare una bella festa…” Nonostante tutto il dolore, sempre il solito Spike.

“E questo chi è? Angel, si può sapere che state facendo qui?”

“Sta solo tentando di riesumare la sua ex. Ma tu non sei gelosa, vero?” Il sorrisetto di Spike non gli arrivava agli occhi.

Stilettate nel cuore di Kate. Pallida, Kate, sempre più pallida. Sconvolta. Distrutta. Più veloce del vento Kate nel girarsi e correre via. Via da quel luogo infernale, via da Angel e da tutto quel dolore.

La seguì.

XIII capitolo – Semplice verità

 

Corse fuori dal negozio. Nella notte. Non si fermò neppure davanti alla sua auto. Troppo sconvolta. Continuò a correre. Voleva fuggire da Angel, da se stessa, da quella vita che non le dava mai tregua. Che continuava a disilluderla.

Non pensare. Solo non pensare.

Lacrime di rabbia le bruciavano gli occhi, pungenti, odiose lacrime. La sua debolezza. Il suo dolore.

Le inghiottì con determinazione. Non avrebbe pianto. Non più. Sarebbe corsa fino alla fine del mondo e del tempo, ma non si sarebbe arresa ancora una volta.

Si senti afferrare per un braccio. Cercò di divincolarsi con violenza, ma una stretta d’acciaio glielo impedì.

Si girò furibonda.

“Ma cosa vuoi?! Lasciami andare. Immediatamente! Tu non hai nessun diritto di trattenermi! Lasciami andare! Lasciami andare!”

Urlava ormai. Colpendolo con la sua rabbia. Il suo disprezzo. Odiandolo.

“Kate, aspetta. Fermati. Devo parlarti.”

Il tono di Angel acuì la sua furia. Sensi di colpa. Sempre e solo i suoi maledetti sensi di colpa.

“Lasciami. Cosa vuoi ancora da me? Vuoi che ti perdoni per avermi mentito? Per aver detto di amarmi ed essere subito corso qui q resuscitare la Cacciatrice? Oppure vuoi che ti perdoni per avermi lasciata a Los Angeles in attesa senza neppure dirmi dove saresti andato? Dimmelo: per quale di questi motivi vuoi essere perdonato?”

Sferzante. Senza pietà. Sempre rancore. Ora anche profondo disprezzo.

“Perché il punto è proprio questo, vero? Tu vuoi essere perdonato. Da me, da Buffy, dal mondo intero. Ma questa volta no. Scordatelo. Io ti odio. Voglio dimenticare che tu esista. Sei incapace di amare. Io, stupida, mi sono illusa che un vampiro potesse amare. Che idiota.

La sola cosa che sai fare è farti consumare dai rimorsi, sacrificando tutto e tutti per quest’ipotetica, assurda redenzione.”

“Volevo solo proteggerti.” Annichilito dalla verità.

“Sono una donna, Angel. Non un fragile oggetto di cristallo. Una donna.” La rabbia le toglieva il fiato. Lui non capiva. Non poteva capire. Non avrebbe mai capito. Battaglia persa senza speranza. Eppure non poteva arrendersi. “E ti amo. Come tu non saprai mai amare. Ho lottato contro tutto ciò in cui credevo per accettare questo amore. Ho combattuto contro me stessa. Ma tu? Tu hai solo saputo mentirmi.”

Si divincolò decisa e lo spinse lontano da sé. Rabbia cieca.

“E adesso questa incredibile storia di Buffy. Ma come puoi pensare di resuscitarla? Ti credi Dio?

E tutte le persone che non possono ricorrere alla magia nera? Il loro dolore è meno profondo del vostro? Non è neppure degno di rispetto?

Con che diritto decidete vita e morte di un altro essere umano?”

“Tu non capisci. Non potrai mai capire. E’ giusto. Lei è morta per salvare il mondo. Aveva solo 20 anni. 20 anni. Ed era sola. Non ha mai potuto essere felice..” Infuriato. Incapace di controllarsi. “Io l’amavo. E non ho potuto aiutarla. Proteggerla. Non c’ero. Lei era luce. E ora tutto è buio. Tu non capisci. Non capirai mai.”

“Mio padre è morto. Senza che potesse mai essere mio padre. Se ne è andato. E’ morto senza possibilità di ritorno.

Ho scoperto che era molto meno che perfetto. Ho accettato ogni suo errore, perdendo un brandello di cuore ogni volta.

Eppure darei l’anima per rivederlo ancora una volta. Per potergli parlare. Come non ho mai potuto.

E’ una croce nel mio cuore. Un lutto che ti resta dentro per sempre. Che accompagna ogni tuo istante di vita.

Non dirmi che è giusto richiamare Buffy. Perché non lo è. Non lo sarà mai. E non dirmi che non capisco.

E’ solo un atto di profondo egoismo da parte tua. E lo sai. Qualunque cosa tu decida di raccontarti.”

Spossata, stanca. Svuotata dalla rabbia che stava sfogando.

“Va bene, non c’eri. L’hai lasciata sola. Lei aveva bisogno di te e tu non c’eri. Lei ti amava e tu non c’eri. Questa è la verità e devi accettarla. Quando la finirai con i sensi di colpa? Così distruggi te stesso e chi ti ama.”

Infinitamente saggia. Ora vedeva chiaramente.

Si allontanò ancora da lui. Non poteva sopportare oltre quella conversazione. Sarebbe crollata in frantumi. Non voleva che lui la vedesse. Non sarebbe servito.

Si avvicinò all’auto e cercò freneticamente le chiavi nella borsa.

“Kate, aspetta.”

“Cosa ancora? Quale altro dolore? Basta, Angel. Lasciami andare. Non c’è più niente da dire.” Implorante. Lasciami libera. Lasciami vivere. Lasciami ancora un pezzetto di cuore.

“Invece sì. Io non ho mentito quando ho detto di amarti. Mai. Buffy è dentro di me. E’ colei che mi ha redento. Colei per cui ho abbandonato le tenebre. Incancellabile.

Kate, io non so cosa sia giusto e cosa sbagliato. Non so più nulla. So solo che non posso lasciarla ancora sola. Non posso. Dammi tempo. Ancora qualche giorno. Poi sarà tutto finito. In un modo o nell’altro.”

Non si rendeva neppure conto ci ciò che le stava chiedendo. Stilettate nel suo cuore. Strazio senza fine. Senza garanzie. Senza speranze?

Si fissarono.

Kate poté leggere nei suoi occhi amore e rimpianto, sofferenza e confusione. Rimorso. Fantasmi. La sua anima.

“Non posso restare qui. Sarò a Los Angeles per poco ancora. Se verrai, vedremo cosa è rimasto.”

La guardò salire in auto e allontanarsi. Non fece altri gesti per fermarla.

Rimase lì. Solo. Immobile, nella notte, vedendo spegnersi in lontananza le luci dei fari.

 

 Epilogo – Un attimo ancora

 

Difficile credere che fossero passati tre anni.

Difficile credere che la vita fosse andata avanti. Inesorabile.

Difficile credere di aver continuato ad amare. E a vivere.

Eppure da quella notte di tre anni prima tutto era cambiato.

Angel non rifletteva spesso sul tempo trascorso. Avrebbe risvegliato dolore appena sopito, rischiando di annullare tre anni di vita.

Aveva preso una decisione. Inutile rivangare il passato, pozzo senza fondo di sofferenza e rimpianti.

C’era il presente, luminoso, in cui sogni e speranze rischiavano di realizzarsi.

Aveva scelto. Comunque aveva perso qualcosa. Tutti loro avevano perso qualcosa.

Aveva seguito il suo cuore, perdendo la sua anima. Lacerato, combattuto, non aveva potuto agire diversamente. Non aveva voluto.

Un attimo ancora e aveva capito. Un istante, una vita. Aveva accettato.

Pazzo egoista, avrebbe voluto condannare la sua anima nuovamente all’inferno in vita. L’aveva capito alla fine. Prima che fosse troppo tardi.

Aveva visto uscire Kate dalla sua vita forse definitivamente. Poi, contro la sua stessa volontà, si era ritrovato nel cimitero di Sunnydale, su quella tomba che non aveva mai voluto vedere. Quasi che questo bastasse a negarne l’esistenza. A riportarla indietro.

Ore davanti a quella lapide. Leggere e rileggere quelle parole che risuonavano così vuote.

Ricordare. Rimpiangere.

Ancora per un istante, un attimo, un soffio di vita.

Riposo. Pace. Ciò che lei voleva, sua anima dannata e redenta. Luce per lui che era tenebra. Solo un po’ di pace.

E finalmente lui aveva potuto donarle ciò che lei più desiderava. Aveva potuto darle ciò che lei aveva cercato per tutta la sua breve esistenza, povera anima tormentata. Aveva potuto aiutarla. Aveva potuto amarla. Aveva potuto proteggerla. Anche da se stesso.

Le aveva detto addio. L’aveva lasciata andare finalmente.

Era stato come perdere nuovamente la sua anima. Era stato come ritrovarla. Sarebbero sempre rimasti insieme. L’aveva saputo allora.

Parte fondamentale della sua vita, ne aveva spiegato il significato, il senso.

Ne avrebbe conservato la luce come fiaccola ardente nel suo cuore.

Per sempre. Per tutta l’eternità.

Come lei aveva promesso.

A fatica si era staccato da quei luoghi, quando già il cielo si rischiarava.

Era partito la notte successiva, senza rivedere nessuno, lasciando una lunga lettera in cui si spiegava.

Forse alcuni di loro avevano capito. Forse altri non avrebbero mai capito. Non era importante. Non più.

Coloro che non avevano accettato la sua scelta avevano tentato di portare a termine l’incantesimo. Non era servito a nulla, se non a sommare sofferenza a dolore.

E poi… Poi ognuno per la sua strada. Strade che mai più si sarebbero incrociate. O forse il destino... Ma anche questo ora non era importante.

Spike. Aveva capito. L’aveva amata anche lui così tanto. Nessuna gelosia ora, non più. Si era allontanato in silenzio, senza parole. Provando a vivere senza di lei. Impossibile.

Non ne aveva più avuto notizie. Era morto? Forse. O forse un giorno sarebbe ricomparso, con quel sorrisetto sardonico che non arrivava mai ad illuminare i suoi occhi azzurri.

E lui, Angel, era tornato a Los Angeles.

E da allora erano trascorsi tre anni. Sfuggendo ad un incubo. Inseguendo un sogno.

 

“Non pensavo fossi già tornato.” Kate entrò nella stanza sorridendo.

“Sì, stanotte non c’era molto da cacciare. Anche i demoni in vacanza.” Le si avvicinò e la strinse.

“Angel.” Improvvisamente preoccupata, non sapeva proseguire. “Angel, va tutto bene?”

L’inquietudine che aveva letto in quegli occhi scuri l’aveva spaventata. Come tre anni prima. Le vecchie insicurezze a volte tornavano a tormentarla.

“Sì, amore. Va tutto bene. Veramente bene.”

Angel disperse i fantasmi del passato e baciò la donna che amava. I loro cuori sulle labbra.

Andava veramente tutto bene.

 

FINE