CACCIATORI E PREDE

 

 

Autrice:Verdenya

 

 

Spike: …Quando è stata l'ultima volta che ti sei lasciato andare? Lottando, con tenacia, corpo a corpo, colpendo l’avversario solo con pugni e zanne e nient’altro? Non ti annoiano le lotte che sei sicuro di vincere?

Angelus: No. La vera caccia, una buona caccia, deve essere pura arte. Senza quella, siamo solo animali.

Fool For Love

 

 

 

Non ho mai creduto a quelle storie…

 

Vampiri che s’infilavano nelle case per succhiare il sangue ai bambini; uomini e donne che risorgevano dalla tomba, non morti; creature dell’oscurità, che vivevano in eterno, al riparo dalla luce del sole.

 

Ho udito numerosi racconti su queste creature, ma superstizioni e fanatismi non erano roba per me. Ridevo di fronte al buio, perché non ne avevo paura.

 

Ero una di quelle rare persone che, sentendo qualcuno alle spalle, si voltava di scatto, sicura.

 

Meglio fronteggiare il pericolo che restare in attesa.

 

 

 

In fondo non avevo paura della morte. Vedevo la mia vita come un cammino da percorrere ad occhi ben aperti, sulla luce. Una vita spesa a varcare un’infinità di porte sul futuro, fino all’ultima, da aprire sul vero buio, sul dopo… la soglia che solo i morti conoscono.

 

Era tutto molto naturale, come un fiore che nasce, si schiude e poi appassisce. Nulla di più.

 

 

 

 

 

 

 

Una sera calda. Torno dal mare, dopo una nuotata interminabile.

 

Il profumo dell’estate mi entra nelle narici; è di quelli da respirare fino in fondo, da associare alle ore liete.

 

Ho attirato i loro occhi su di me, alla spiaggia, aggirandomi nell’umido vestito bianco. Ma sono due occhi soltanto che voglio attrarre.

 

Ho questa specie d’ossessione per LUI. Occhi scurissimi e capelli schiariti dal sole, quasi biondi, un ibrido completamente sbagliato per me.

 

 

 

I due occhi scuri s’incollano al vestito bianco, pieni di promesse irrealizzabili.

 

Soddisfatta della mia manovra, risalgo il sentiero che conduce alle case bianche, il luogo dove sono nata.

 

La gente del posto mi giudica ribelle e pazza. Io mi definisco libera. Questione di punti di vista.

 

 

 

Dicevo, sto percorrendo quel sentiero, nella pineta che odora di resina.

 

Sento un rumore d’aghi calpestati, tra gli alberi. Spero che sia LUI.

 

Come previsto, mi volto di scatto, puntando il buio.

 

E lo trovo, il buio… o meglio, quello che nasconde.

 

Loro sono due. Un uomo e una donna.

 

Negli occhi dell’uomo non ci sono promesse, ma pretese. In quello della donna vi è un muto consenso: quel che lo sconosciuto vuole sarà accettato.

 

 

 

Adesso la sento, la paura. Non di morire, ma di morire nel modo sbagliato, quello contro natura.

 

Morte e violenza, una combinazione non prevista.

 

Non voglio la violenza. Non è giusta. Non sono destinata a quella.

 

La morte che vorrei è impressa nella mia mente da tanto tempo: mi vedo vecchia, su una sedia a dondolo, intenta a guardare il tramonto con i miei occhi saggi. Voglio addormentarmi così, una testa rugosa che ricade sulla spalla.

 

 

 

Accantono i pensieri lanciandomi giù per il pendio, incurante di rami, radici e ostacoli vari.

 

Sono veloci, loro.

 

Corro fin da piccola, a piedi scalzi o in calzari consumati… giù, per i sentieri scoscesi che conducono al mare. Pochi riescono a starmi dietro. Ma loro sì. Taciturni e letali, come i cacciatori più esperti.

 

Sento passi rapidi e pesanti, che spezzano ogni radice, e altri passi più smorzati, che scavalcavano gli ostacoli.

 

 

 

Una corsa vertiginosa, con il dolore alla milza, che mi brucia nel fianco.

 

Non è il caso di dare ascolto a quel dolore.

 

 

 

 

 

Corro, sentendoli farsi più vicini.

 

Raggiungo il baratro: uno sbalzo di venti metri, a strapiombo sul mare. I miei piedi calpestano il bordo; le rocce si sgretolano, rotolando giù.

 

Esito un attimo alla vista del salto pauroso. Non ho mai avuto il coraggio di compiere quel volo…

 

Li sento incalzarmi e non aspetto oltre. Mi lancio nel vuoto, guardando avanti, verso il mare scuro.

 

Sento un dito gelido sfiorarmi appena una caviglia, senza riuscire ad afferrarmi.

 

Il vuoto mi prende. Loro no.

 

Sto precipitando ora e chiudo gli occhi, sperando di evitare le rocce affilate…

 

 

 

Poi l’acqua mi accoglie nelle sue braccia, calda, gentile e benigna…

 

 

 

Sott’acqua i rumori sono attutiti… Il mio corpo è leggero e inconsistente… Smetto di esistere… 

 

Trattengo il fiato cercando uno scoglio preciso, quello che conduce al sentiero segreto, riparato a qualsiasi sguardo.

 

Il buio mi aiuta nel mimetismo.

 

 

 

Farò tardi questa sera, ma tornare a casa con la pelle intatta è più importante.

 

La morte può aspettare.

 

Tuttavia, un istinto radicato nel mio essere, mi suggerisce che non è finita; qualcosa mi grida che l’uomo e la donna torneranno. Devo solo attendere che il sole affondi nel mare, all’orizzonte.

 

 

 

Mi corico sul letto arrugginito e sprofondo in un sonno ossessivo, popolato di visioni che non ho mai fatto.

 

È come se bisbigliassero frasi corrotte alle mie orecchie.

 

Sento la voce di una donna, fredda e determinata, che detta legge. E percepisco la seconda voce, quella dell’uomo. Non ha un timbro profondo, dopo tutto, ma sono i contenuti a darmi i brividi. Parla di sangue, come si può parlare di un succo prelibato. Parla di desiderio. Parla di violenza, con l’eccitazione febbrile che solo un cacciatore può avvertire. E trasmette ansia e puro terrore.

 

Tutto mi giunge vago, come filtrato da altri suoni, confuso dal dormiveglia.

 

È solo un sogno o quelli sono davvero là fuori, nel buio?

 

 

 

 

 

Finalmente l’alba arriva, scacciando gli incubi e le paranoie…

 

Dopo una modesta colazione, cerco di fuggire dalle quattro mura.

 

Di nuovo, quell’uomo si presenta alla porta.

 

È il quinto giorno, con questo.

 

Scruta i miei occhi, gonfi di sonno, con aria di compatimento. Oggi sono arrossati, ma nei giorni migliori hanno la sfumatura del mare visto dall’alto… color verde-azzurro. Papà non era greco…

 

Gli occhi del tizio strambo invece sono grigi, come la sua Inghilterra.

 

Abbiamo lo stesso colore di capelli: castani scuri, quasi neri.

 

 

 

Mi parla in fluente anglosassone, come se dovessi capirlo per forza.

 

Mi disturba e mi è simpatico allo stesso tempo, con la sua aria saccente.

 

Dentro di me l’ho soprannominato “Professorino”.

 

Continua a chiamarmi con un nome tutto suo… Slayer… Io lo correggo, dicendogli che il mio nome è Erminia.

 

 

 

Mi porta sulla spiaggia. Lui tutto sudato, nella sua giacca finto coloniale, fuori stagione, io fresca come una rosa, nel mio vestito semplice, di cotone.

 

Sotto il torrido sole greco, il professore disegna una figura umana sulla sabbia, sottolineando il cuore con una “X”. Un attimo dopo affonda un bastone appuntito nel centro della crocetta.

 

Poi, sorridendo, pronuncia una parola universale: “Puff!” e con il palmo di una mano cancella la figura umana.

 

* “Dust”, continua a ripetermi, sollevando la sabbia e facendola scorrere tra le dita. E ancora, “vampire”… e “Slayer”, quell’odioso soprannome…

 

Mi mette in mano un bastone appuntito. « You are a chosen! » mi dice, tutto serio.

 

Che cavolo significa quella parola?

 

 

 

In ogni caso sono contenta che mi abbia portato qui.

 

La spiaggia è il mio luogo preferito. Ci sono due cose che mi piacciono qui: il mare e LUI.

 

 

 

Appunto, eccolo che arriva con la sua barca. In realtà non è la sua; qui nessuno ha una barca, non potrebbero permettersela. È un paese di pescatori disperati. Anche LUI lo è. Così come lo era mio padre, che andò in mare e si perse nei profondi flutti, come in quelle storie dal sapore avventuroso.

 

Non sento la sua mancanza. Era assente anche prima, perché amava il mare più di me.

 

Mia madre è lassù, rinchiusa nel paese, a tessere lana e intrecciare cesti. Vita semplice, senza pensieri. Mi vuole bene, anche se non mi capisce.

 

Io cerco di evadere da quel mondo e scappo di continuo.

 

Tre volte la settimana vendo i miei vasi colorati agli stranieri. Soldi facili che mi permettono di far tacere mia madre.

 

I turisti amano le isole e ci guardano con superiorità. Noi siamo gli “isolani”, loro sono gli “ospiti” che ci fanno mangiare. Io mangio quello che pescano i nostri, non ho bisogno di nessun ospite; ma a loro non lo dirò mai. Voglio tenermi qualche segreto.

 

Sorriderò, incassando i suddetti soldi facili.

 

 

 

Stavo dicendo, eccolo arrivare, con i suoi calzoni scuri e una camicia sgualcita dalla salsedine.

 

Il professorino scruta LUI.

 

LUI restituisce l’occhiata, cauto.

 

Io lo guardo, estasiata, dimenticando tutto.

 

Ricambia con uno dei suoi sguardi assassini, che mi privano dell’aria.

 

È terribile quest’uomo. Mi fa tremare le ginocchia. È la mia ossessione… la mia preda.

 

Ma è stato promesso ad un’altra, la copia esatta di mia madre: fanciulla gentile e sottomessa.

 

Qui siamo rimasti al medioevo. I matrimoni si combinano tra padri.

 

Siccome i genitori hanno avuto un matrimonio di convenienza, le generazioni successive devono subirlo a loro volta. È una questione di giustizia.

 

Io sono scampata al funesto rito perché mio padre è morto prima del tempo e mia madre non riesce ad imporsi.

 

Matrimoni combinati… Il termine “combinato” è sbagliato a priori.

 

Sarebbe più corretto dire: “Io sposo te, per pura combinazione!”

 

 

 

Ma torniamo al mio passatempo preferito: spiare LUI, nei suoi gesti quotidiani.

 

A questo terribile uomo basterebbe un cenno e la sottoscritta si sdraierebbe ovunque, sperando nella liberazione… Il modo migliore per liberarsi delle ossessioni è cedere, si sa.

 

 

 

Abbraccio il professore, con trasporto, facendolo arrossire.

Potrebbe essere mio zio…

 

LUI se ne accorge e stringe la mascella.

 

Io con un matusa… com’è possibile?

 

Un vecchio danaroso e straniero sarebbe perfetto per un’orfana di padre come me. Mia madre “combinerebbe” subito.

 

 

 

LUI strappa la rete che sta riparando.

 

Smetto di strusciarmi contro il professorino, puntando il Terribile.

 

Gli sfilo la rete dalle mani, sotto il suo sguardo fosco. Con le mie dita d’artista riparo uno strappo in pochi attimi, tenendo gli occhi bassi.

 

Non resiste molto e mi sfiora una mano, coprendola con la sua. La mano è callosa, di quelle abituate ai lavori manuali. So che potrebbero essere molto delicate, se ci fosse un’intenzione diversa.

 

Altro che mano… Sfiorami tutta, mi dico io.

 

 

 

Sono io quella colpevole. Lui è solo un uomo con impulsi naturali.

 

 

 

Inseguo furtiva la mia preda, la spio, nascosta tra gli alberi o dietro le rocce, nuoto fino al largo per studiare i suoi movimenti, cerco i punti deboli…

 

 

 

Sono la “cacciatrice di uomini”, come mi chiamano affettuosamente i pescatori.

 

 

 

Delle frasi in dialetto locale spezzano il limbo in cui ci eravamo rifugiati. Altri pescatori sono accorsi, captando la presenza della ragazza indocile.

 

 

 

Sono io la prima che rompe il contatto con LUI. Lo lascio lì, sedotto e abbandonato.

 

Ritorno dal professore e gli afferro una mano con ostentata familiarità.

 

Le sue dita sono lisce e fragili, la stretta è più debole della mia. Quelle mani devono aver sfiorato solo pagine di libri per tutta la vita. Trascino via il mio maestro, sotto gli sguardi ostili degli isolani.

 

 

 

Sento gli insulti dei pescatori. Alcuni lanciano sassi a poca distanza da noi… una sorta di lapidazione simbolica.

 

Una pietra vola più lontano delle altre, scheggiandomi una caviglia.

 

L’inglese scuote la testa, risponde alle offese in greco stentato e restituisce il sasso.

 

Sorrido alla mia scorta.

 

Il professorino ha le palle quadrate, dopo tutto.

 

Mi volto un'ultima volta, perché non resisto al richiamo degli occhi scuri… li vedo infastiditi.

 

Allora proseguo, appagata e zoppicante.

 

 

 

 

 

Camminiamo nella pineta. Ascolto con pazienza il mio mentore, mentre ripercorre le basi dell’addestramento.

 

È comico quando simula le posizioni da combattimento. Mostra i pugni come un boxeur, ondeggia le mani nell’aria, delirante, fino a quando gli occhialetti si sfilano dal naso e cadono a terra.

 

Imbarazzato si china, per riprenderli. Io lo spingo da dietro con un calcetto, facendolo ruzzolare tra gli aghi di pino.

 

Povero professorino… saresti un padre meraviglioso. Ti vorrei così: imbranato ma presente.

 

 

 

Lui è sdraiato sul soffice tappeto marrone e sorride. Solleva le braccia, come per arrendersi, ma un piede si allunga e mi centra lo stomaco, a tradimento.

L’inglese ha delle risorse, devo ricordarmelo…

 

Ricado accanto al professorino, stringendomi il ventre. Non mi ha fatto troppo male.

 

Solo allora sento una presenza alle nostre spalle. Mi volto ed è LUI, le mani affondate nelle tasche dei calzoni, con apparente indifferenza.

 

Mi rialzo subito, pulendomi il vestito rosa sbiadito. Mi pettino i capelli ingarbugliati con le dita.

 

LUI ci osserva, senza parlare.

 

Noi due non parliamo.

 

Ha parlato solo una volta, della bellezza della pineta… Ovviamente era una scusa per fare altro.

 

Sono scappata prima che accadesse, perché allora ero troppo giovane.

 

Adesso resterei, partecipando attivamente a qualsiasi gioco.

 

 

 

LUI si avvicina e bisbiglia: « Soffri? »

 

A volte è criptico…

 

« Come? »

« La caviglia! » chiarisce lui.

 

« Ah… non è niente! » rispondo.

 

LUI osserva il taglio con scetticismo. La ferita sanguina ancora, macchiandomi il piede, già sporco di sabbia.

Non è il massimo dell’igiene… ma si sa, sono selvaggia…

 

Non sono i sassi a farmi male…

 

 

 

Trova il coraggio di far l’uomo e chiede: « Chi è quello? »

 

« Il mio tutore! » rispondo io, equivoca.

 

« Come sarebbe, il tuo tutore? »

 

« È venuto lui. Dice che deve occuparsi di me e addestrarmi! » rincara la sottoscritta. (Frase ancora più equivoca.)

 

« Lo so io cosa vuole da te! »

 

« Torna a lavorare! Le reti non vanno strappate, si aggiustano! » lo stuzzico.

 

« Possiamo parlare? »

 

« No. »

 

« Non ascolti mai noi pescatori, vero? »

 

« Preferisco evitarli, visto che mi odiano. »

 

« Io non ti odio. »

 

Per un attimo m’incanto e ci credo…

 

« Infatti, non ti sto evitando… » dico spontanea.

 

Gli brilla qualcosa nello sguardo.

Gli piacciono sfrontate, eh? Gli piace lo scontro…

 

 

 

« Torna alla spiaggia, qualcuno potrebbe vederti! » gli dico io, facendo la scontrosa.

 

Lui capisce al volo, ma non si muove.

 

« Non mi piace quello là! » e indica il professore. « Lo sai cosa vogliono certi stranieri, piccola! »

 

M’insospettisco. LUI mi chiama “piccola”? Cos’è questa confidenza?

 

« Non sono la tua piccola! »

 

« Non ho detto che sei la mia piccola! »

 

Abbasso lo sguardo e stringo le labbra, vergognosa.

 

Come al solito ho frainteso tutto…

 

Reagisco, fingendo indifferenza: « Bene. Adesso devo andare. Lui m’insegnerà tante cose! » (Frase equivoca numero tre.)

 

« Te le devo insegnare io quelle cose. »

 

Aaaahhh… mi manca l’aria…

 

« Non sei abbastanza istruito in quel campo! »

 

Questo è un colpo basso, ma in amore e in guerra vale tutto. Sono sicura che LUI abbia già ricevuto “quel” tipo d’istruzione. Due o tre ragazze lo hanno trascinato nel bosco…

 

LUI ha trascinato solo me (che ironia del cavolo…)

 

« Dovresti verificare prima di parlare! »

 

« Non m’interessi! » dico io. Naturalmente è un’eresia…

 

« Ah, non t’interesso? »

 

« No. »

 

« Sicura? »

 

« Sì. Perché, ti ho dato quest’impressione? »

 

Lui assume un’aria seccata: « Gli altri avevano ragione. Mi provochi per giorni, girando mezza nuda per la spiaggia e poi ti tiri indietro! Sei solo una cacciatrice di uomini! »

 

Gli do uno schiaffo.

 

Non mi piace quella parola sulla sua bocca. Non caccio nessuno, tranne LUI…

 

 

 

Raggiungo il professore. Per tutto il tempo è rimasto sugli aghi di pino, a fingere di non ascoltare. Con un violento strattone lo costringo ad alzarsi. L’uomo si massaggia l’avambraccio indolenzito, ma non si lamenta.

 

LUI si fa avanti di nuovo, cercando di separarci, ma il professore precisa: « Lasciala stare. Lei deve concentrarsi sulla missione, adesso. Gli ho affidato un compito duro da svolgere. È importante che tra noi ci sia un rapporto serio e responsabile… »

 

E LUI, diretto come non l’ho mai sentito: « Se la metti incinta ti uccido. »

 

E il professorino con le palle quadrate replica: « Rischia di più con te, ragazzo! »

 

Ahia. Argomento drammatico. Il vero problema è che con LUI sarei consenziente… Con LUI non ho niente da perdere, salvo la dignità. Ma quella se n’è andata già da parecchio.

 

 

 

LUI sbuffa e si passa una mano nei capelli biondicci e ricciolini (accrescendo la mia voglia di passarci le dita).

 

È nervoso. Anch’io sono nervosa.

 

Nessuno di noi aveva mai toccato “l’argomento drammatico”. Nessuno dei due aveva osato attraversare la linea della convenzione e del decoro. Siamo creature semplici in un paese semplice. Quel che non si può fare, non si fa.

 

È per questo che in tre anni buoni non c’è stato niente di più che qualche sfioratina di mani e dei giochi di sguardi. Tutta roba platonica (Anche se i pensieri non lo erano).

 

Beh, c’è stato il famoso episodio della pineta, ma ne è passata di acqua sotto i ponti.

 

Io le ho provate di tutte per strapparlo dalla retta via, ma lui niente, segue il giusto sentiero come Pollicino e le sue molliche.

 

 

 

Mi sono umiliata a sufficienza. A questo punto ho deciso di cambiare tattica. Seguirò il professorino in questa folle impresa: combattere i vampires e infilare paletti nelle “X”, secondo le istruzioni.

 

LUI ed io non siamo destinati a nulla; senza contare che un nuovo problema si sta facendo impellente: questa notte dovrò rivedere l’uomo e la donna. (Sempre che lo siano davvero).

 

Il mio istinto mi suggerisce di uscire con tre o quattro pali spuntati, e quella strana acqua che il professorino mi ha portato.

 

Dice che è benedetta. Da chi non lo so. Non credo a quelle cose. Non dopo che mio padre se n’è andato, ingoiato da una forza naturale che rispettava troppo.

 

Io non credo più a niente. Neanche alla mia felicità. Non qui, prigioniera di un paese che mi vuole mamma. Se non lo diventerò con LUI preferisco morire. Testarda, vero? Beh, la testardaggine è il mio pane…

 

 

 

Restiamo lì tutti e tre, silenziosi, a studiarci.

 

Il professore si aggiusta gli occhiali, poi s’informa: « Fai il pescatore, vero? »

 

« Da quando avevo dieci anni… allora? »

 

è orgoglioso. Mi piace questa sua caratteristica.

 

« Bene, sei un bravo ragazzo. Ma la mia protetta non deve pensare a certe cose. Ha un destino davanti a sé. »

 

E LUI: « Tu sei malato! Fartela con le ragazzine… Io invece… »

Qui si parla di me come fossi un oggetto… non mi piace…

 

Intervengo: « Tu ed io non abbiamo niente. Appartieni ad un’altra. Lo sanno tutti al paese. »

 

LUI spalanca gli occhi e ribatte: « Io non appartengo ad un’altra. è un obbligo verso mio padre. Se dipendesse da me… »

 

E il professorino: « Mi spiace, ma Erminia è sotto la mia protezione, adesso. La missione supera ogni altra cosa. »

 

E LUI, aggressivo: « Quale missione? TU non mi piaci. Arrivi qui, e ti comporti da padrone. Lei è una ragazza sola. Non voglio che finisca in certi giri… »

 

« Sono la Cacciatrice. è inevitabile! » dico io, con l’aria da donna matura, accrescendo l’ambiguità.

 

Il professore m’indirizza un’occhiata di disapprovazione.

 

« No, non devi seguirlo per forza. Quella della cacciatrice era solo… Non ci credo davvero… Tu non sei così! » si giustifica LUI.

 

« Tu non mi conosci. »

 

Allora arriva lo sfogo: « Ti conosco, invece! Non sei quel genere di ragazza… Lui potrebbe essere tuo padre! Vuoi andare a vivere con un vecchio? »

 

« Non tanto vecchio! » lo corregge il professore, punto sul vivo. « Ha fatto la sua scelta. Non si torna indietro. »

 

L’inglese ed io ci avviamo, lasciandolo là.

 

Ho fatto la mia scelta, no? Dedicherò la mia vita alla missione. E non penserò più ai suoi ricciolini ed ai suoi occhi scuri. LUI non è roba per me… Mi abituerò. Devo abituarmi!

 

 

 

 

 

 

 

È scesa la notte.

 

Il professore siede sui gradini della mia casetta, con l’aria del turista in vacanza.

 

La giacca giace su una sedia, già dimenticata. Presto abbandonerà i pantaloni pesanti e comprerà qualcosa del posto. Ha già divorato il mio yogurt col miele e si è innamorato del clima.

 

Sono io che rischio, qui. Lui finge di studiare un libro polveroso e intanto si gode la Grecia.

 

Raduna l’armamentario, con gesti meticolosi: paletti appuntiti di misure differenti, acqua benedetta, croci e una torcia da olimpiade.

 

Mi dice che questi vampires bruciano, ma che in uno scontro diretto non è facile incendiarli.

 

Come ultimo promemoria solleva un paletto indicandosi il cuore. Io annuisco, distrattamente.

 

 

 

Dalla porta esce mia madre e mi scruta in modo strano: « Che fai ancora sveglia? Sei sempre in giro… le mie amiche sono preoccupate per te! »

 

« Sono amiche tue! Se non mi conoscono perché si preoccupano? » le rispondo io, disinvolta.

 

Lei incassa. Non ama il sarcasmo.

 

« Chi è questo signore? Vuole affittare un letto da noi? Possiamo fargli un buon prezzo! »

 

Io rispondo con una gran faccia tosta: « è in affari con me. È interessato al mio talento. »

 

La tattica funziona sempre. Nella mente concreta di mammina il termine “talento” si traduce in “vasi” e poi in “soldi”.

 

Mia madre annuisce e dice: « Va bene, ma poi torna a letto. »

 

In un secondo sparisce dalla soglia, rintanandosi nel suo buco.

 

« Certo, tornerò tra poco. »

 

Le ultime parole famose…

 

 

 

 

 

 

 

« Perché devi mentirmi? »

 

Darla s’inginocchiò ai piedi del vampiro. Lui sedette in una poltroncina di vimini.

 

Fissava la sua compagna, sorseggiando vino locale da una scodella sbrecciata. Era terribilmente alcolico e un po’ caldo… ma era l’ideale dopo un buon pasto.

 

« Non ti ho mai mentito, Darla. Non ho intenzione di trasformarla. »

 

« Sono i capelli neri? L’innocenza? Cosa? »

 

« Non la voglio trasformare. Voglio solo torturarla un po’. »

 

« E allora perché l’hai lasciata fuggire ieri notte? Se solo avessi voluto l’avresti catturata senza sforzo. »

 

« È questo il punto. Io non voglio che sia facile. C’è qualcosa di diverso in quella ragazza… ribellione, forse. »

 

« C’è ribellione anche dentro di me. Io sono profondamente ribelle! » e Darla gli strappò la scodella dalle mani, rubando l’ultimo sorso di vino.

 

« È diverso. Lei… vuole farsi cacciare. »

 

« Non è te che vuole, ma il giovane uomo della spiaggia. Tu per lei sei solo un balordo che ha tentato di aggredirla. »

 

« Poco importa. È un fiore chiuso. Devo essere il primo ad aprirlo. Voglio giocare come non ho mai fatto… e voglio godermi la caccia. Siamo in una terra antica e piena di bellezza. Mi sento così ispirato. »

 

« Una veste bagnata ispira anche i santi. Sei così ottuso, a volte… »

 

« E tu sei così gelosa, Darla… La donna più gelosa che abbia mai avuto! » e lo disse con un filo di piacere.

 

« Sono io che ti ho scelto. Non farmi pentire di questo. »

 

Gli occhi di Angelus brillarono: « Potremmo contrattare… »

 

L’espressione di Darla si fece interessata e carica di malizia. « A che proposito? »

 

« Lei è solo un trastullo per combattere la noia… potresti prenderti lui e giocare anche tu. »

 

« Il giovane uomo? »

 

« Sì, non sarebbe divertente uno scambio di coppie? Non ti stuzzica l’idea? »

 

Gli occhi azzurri di Darla s’illuminarono di fuoco.

 

« Mi starebbe anche bene… ma solo se andassimo fino in fondo. »

 

« Noi andiamo SEMPRE fino in fondo! » rispose Angelus, sicuro, attirandola sulle ginocchia, con uno strattone non proprio gentile.

 

Lei sorrise, sfiorandogli le labbra, che avevano il dolce sapore del vino… e del sangue.

 

Gli occhi azzurri scivolarono sul pavimento: il proprietario della casa era steso sulle piastrelle azzurre, il collo forato in due punti, la pelle olivastra esageratamente slavata.

 

Non erano stati delicati con il poveretto: le punture erano veri e propri squarci nella pelle.

 

Angelus allungò un dito e lo intinse nel sangue, per poi succhiarlo.

 

« Oh Darla, non ti sei mai chiesta perché sono venuto con te quella notte? » chiese poi, accarezzandole i capelli, con entrambe le mani.

 

« Perché volevo farmi cacciare? »

 

« Certo, ma c’era molto di più… Quegli occhi fissi nei miei, pieni di promesse… eri così persuasiva! Il tempo non ha cambiato le cose. Anche ora, riesci a farmi fare cose empie e perverse… e a farmele godere! Sei la mia tentazione! »

 

« Fai tutto da solo, tesoro. Io ti do solo qualche dritta. La fantasia ce la metti tu! » risponde lei, civettuola.

 

« Fantasia… sì, Darling. È questo che cerco nella caccia. È per questo che voglio lei. »

 

« Se è questo che vuoi… andiamo a caccia. »

 

 

 

 

 

 

 

Avanzo nel sentiero che conduce al tempio, un sacco in una mano, la torcia nell’altra. L’acqua santa è a tracolla, in una borraccia di cuoio.

 

Proseguo, intimidita. La teoria e la pratica sono sempre diverse…

 

 

 

Fortunatamente il buio non è totale. La luna filtra nei vuoti tra gli alberi, colorando la natura di un blu familiare.

 

I miei piedi toccano già il suolo del tempio, quando avverto un rumore sospetto…

 

Mi volto di scatto.

 

Con una rapidità che non mi riconosco sfilo un paletto dal sacco e lo punto in avanti, assieme alla torcia. Questa sfrigola, prima di acquietarsi e riprendere a bruciare.

 

 

 

Una figura nera cammina tra le colonne, avanzando verso la luce, senza cercare minimamente di nascondersi.

 

Mordo il labbro inferiore, finché sento il sapore del sangue.

 

Ho paura di rivedere quello sguardo freddo… e sentire di nuovo le dita gelide che, la notte prima, mi hanno sfiorato la caviglia.

 

Ma sono due occhi dolcemente familiari che mi appaiono davanti.

 

È LUI.

 

Indica il paletto e fa: « Come si usa quello? » (Questa volta è lui ad essere equivoco).

 

Abbasso l’arma, ma non la torcia.

 

Lo osservo alla luce della fiamma: indossa una delle mie camicie preferite, color salvia e i pantaloni neri… Dev’essersi lavato da poco, perché i capelli umidi gli si arricciano sulla nuca, e odora di buono.

 

Aiuto!

 

Affondo le unghie nei palmi, per evitare gesti impulsivi.

 

« Mi cercavi? » gli chiedo, dispettosa.

 

« E tu? » mi risponde, con lo stesso atteggiamento.

 

 

 

Piomba il silenzio.

 

Ora che siamo soli tornano le vecchie abitudini.

 

 

 

Un secondo e agisco. Pianto il sacco a terra. La torcia fa la stessa fine: la calpesto, fino a spegnerla.

 

Nel buio diventa tutto più facile.

 

Una mano, mossa da volontà propria gli si aggrappa al collo, trascinandolo lontano dal selciato pietroso. Si lascia condurre tra gli alberi. Le nostre bocche si uniscono, mentre mi stendo sugli aghi di pino. Lui mi segue, coprendomi con la sua persona. Le sue labbra hanno il sapore del miele.

 

 

 

La prima volta finisce tutto troppo presto. Dopo aver atteso così a lungo, abbiamo bruciato le tappe in modo incoerente e nervoso. La seconda volta è tutta un’altra emozione. Ci sfioriamo per lunghi minuti, i respiri che ci accompagnano, accelerando all’inverosimile.

 

Mi sento le lacrime che bruciano negli occhi e una felicità che non ho mai assaporato, neanche da lontano.

 

Lo stringo forte, finché lui si lamenta, dicendo che potrei soffocarlo.

 

Mi stacco subito, come scottata, ma il Piacevole non mi molla. « Forse è meglio soffocare! » dice.

 

Sorrido e lui ricambia.

 

Gli accarezzo i riccioli quasi biondi, liberandomi dalla mia ossessione.

 

Solo ora mi accorgo che non ci siamo neppure spogliati. Abbiamo aperto lo stretto necessario e consumato la passione per terra.

 

 

 

Chiudo gli occhi.

 

 

 

Passa un attimo e non lo sento più. Qualcuno o qualcosa lo ha strappato via, lanciandolo lontano.

 

Spalanco gli occhi e ritrovo la creatura dallo sguardo freddo, in piedi sopra di me. Mi fissa con un sorriso storto e malato.

 

Indossa dei vestiti da gran signore: una casacca in velluto marrone e una camicia raffinata. Mi chiedo come possa resistere in quest’afosa notte, infagottato in un vestito così prezioso, ma così soffocante.

 

I suoi capelli scuri sfuggono al fiocco che li trattiene sulla nuca, e pendono verso il basso, una corona buia attorno al viso pallido.

 

 

 

Con una rapidità eccezionale si piega sopra di me, schiacciandomi a terra. Una mano gelida mi forza in quella stessa posizione che poco prima amavo.

 

La mia testa riconnette i pensieri: paura e allarme rimpiazzano il resto.

 

 

 

In tre secondi esatti distinguo alcune cose: LUI è contro una colonna, con una profonda ferita sulla fronte; la donna che segue il mio avversario è in piedi e lo osserva incuriosita. Infine, c’è un terzo dettaglio, non trascurabile: i paletti sono a due metri di distanza, abbandonati sul sentiero di pietra.

 

 

 

La creatura sopra di me assume le fattezze del mostro. Io grido.

 

Gli occhi color brace, i canini affilati come quelli di un grosso felino, l’ispessimento dei lineamenti sulla fronte… la maschera del demone incute orrore.

 

Ma più di tutto è il suo ringhio a spiazzarmi… è simile al verso di una belva…

 

 

 

Dovevo essere io la cacciatrice… e lui la creatura da inseguire… è così che il professore mi aveva insegnato. Questo ribaltamento di ruoli mi toglie sicurezza! Potrei morire adesso, divorata da questa sorta di bestia… un’eventualità da non scartare… 

 

  

 

Cacciatori e prede. Chi di noi sarà la vittima?

 

 

 

La presa d’acciaio blocca le mie braccia al suolo, la creatura sguscia, su di me, schiudendomi le gambe.

 

No, non quello.

 

Mi agito, ruotando la testa, impotente…

 

 

 

Il mio cuore batte a un ritmo infernale. Sento dentro di me un’adrenalina che non conosco… non è l’eccitazione che ho sentito pochi minuti fa… è un pensiero fisso e lucido, che pulsa nella mia testa: non voglio morire.

 

 

 

Raccolgo le energie.

 

Una mano sfugge alla presa; scivola in basso e afferra la borraccia. Non potendo svitare il tappo la stringo come fosse un sasso e con un colpo di reni la fracasso sul volto del mio assalitore.

 

La violenza è tanta, il sangue è tanto, ma la reazione del vampire è stupefacente.

 

Non è la ferita a farlo gridare, ma il contatto con l’acqua, che gli scorre su metà del volto. Osservo quella pelle bianca sciogliersi come cera, mentre l’acqua santa la corrode, simile a un acido.

 

 

 

Allora sorrido e sento la paura annullarsi.

 

La creatura non è invincibile. Sono ancora io la cacciatrice…

 

 

 

Un pugno violento sul volto sfregiato e il vampire si ribalta all’indietro, ricadendo sulla schiena.

 

Scatto, guidata da un istinto sconosciuto, puntando la donna…

 

Lei sta succhiando il polso del mio non ragazzo, con una voracità tutta animale. I suoi ricci biondi nascondono parzialmente il punto in cui banchetta.

 

Strappo la bionda dal MIO biondo, scaraventandola contro una colonna.

 

Il pilastro si sbriciola, ma la donna è illesa. Muove il collo, come per aggiustarselo, poi punta il suo compagno, senza fare una piega.

 

 

 

 

 

Scatto verso i paletti e ritorno sul luogo della lotta.

 

La donna sta aiutando il compagno a rialzarsi.

 

Io avanzo tra gli alberi, pallida ma determinata, il paletto stretto in una mano, in posizione orizzontale. Nell’altra mano stringo una croce.

 

L’energia monta dentro di me, caricandomi di un potere sconosciuto. All’improvviso la pratica non sembra più così… impraticabile.

 

 

 

Protendo il braccio, mostrando la croce. I vampires individuano il simbolo religioso e ringhiano, infastiditi. Mostrano di nuovo i loro veri volti, ma sono già abituata a quelle maschere orrende.

 

Ci si abitua a tutto.

 

Non fisso LUI, per non dare a vedere che m’interessa troppo. Se capissero che sono preoccupata, gli sarebbero addosso in pochi secondi.

 

 

 

La bionda scatta con un ringhio, mentre il moro rimane in piedi, spettatore silenzioso.

 

Anche se è impacciata dal suo vestito lungo, si muove rapida, come un gatto, le mani protese, ad artiglio.

 

Quando mi raggiunge affondo il paletto. Fendo l’aria senza incontrare carne.

 

La croce sfiora un braccio freddo e lascia una traccia fumosa. La vampire ringhia di dolore ma la reazione è veloce: una gomitata sul naso mi stordisce.

 

Sento il sangue che scende dalle narici e gli occhi mi si chiudono d’istinto, per il dolore improvviso.

 

Le mie orecchie tuttavia captano i suoi movimenti: fermo una mano appena in tempo, mollando la croce.

 

Ad occhi semichiusi scruto quelle dita ultra femminili, dalle unghie laccate di rosso. Il contrasto con la mia mano da bambina è singolare.

 

Il nostro è uno scontro di donne, oltre che di specie.

 

Le mordo una mano, per ripicca, fino ad assaporare il sapore del sangue sotto i denti. Ha una nota amara che mi disgusta.

 

Ben ti sta, stronza! Volevi assaggiare LUI e adesso ne paghi le conseguenze. Solo io posso assaggiarlo, intesi? Stacca la tua boccuccia dal mio osso!!!

 

 

 

Lei urla, piena di furia, spingendomi lontano da sé, con un volo pauroso. Nello spazio di pochi secondi vedo il cielo e la terra capovolgersi, mentre gambe e braccia mi volano intorno, inermi.

 

Fortunatamente atterro sul sottobosco, rotolando più volte; il terreno si fa concreto, quando le mie ossa scricchiolano.

 

Solo allora sento che il paletto è ancora stretto nel mio palmo, quasi fosse una parte di me.

 

Non è il caso di attendere la pace dei sensi qui, sdraiata a terra.

 

Cerco di rialzarmi, mentre ondeggio, come ubriaca.

 

 

 

La bionda ritorna da me, camminando lentamente… studiandomi.

 

Io faccio lo stesso: dalla generosa scollatura spuntano due seni, compressi in un corpetto color crema, da gentildonna di dubbio casato… C’è della pelle nuda e vulnerabile, perfetta per il mio paletto, proprio in corrispondenza della fantomatica “X”, che il professore m’indicava con accanimento.

 

Ma la vampire è troppo fresca… deve infiacchirsi ancora un po’. Solo allora affonderò la punta.

 

 

 

L’altro vampire è sempre in piedi, immobile. Sembra divertito dalla nostra lotta. Osserva le mie cosce con interesse tutto umano e pregusta di fare di me ciò che vuole…

 

Individuo subito la tipologia: personalità arrogante e maschilista, attraente nelle fattezze e nel fisico, ma piuttosto prevedibile. Si è scelto una compagna di letto molto bella, ma alquanto usata. La donna è chiaramente più vecchia di lui…

 

Mi salta addosso ma la respingo con una sassata poco gentile, che le segna una guancia in modo meraviglioso.

 

La colpisco con il sasso e mi accanisco, dimenticando il paletto.

 

Il volto perfettamente liscio si deturpa, coprendosi di segni.

Le scie di sangue non piacciono solo a loro… intrigano anche me…

 

C’è una parte del mio cervello, quella buia, che suggerisce di torturare i vampires con armi improprie, e farli soffrire… Ma l’altra parte del mio cervello è tutta per LUI.

 

Si sta riprendendo solo ora. So che quando mi vedrà combattere reagirà, cercando di difendermi. Non sa che il mio vero punto debole è proprio lui.

 

 

 

Ingaggio una lotta serrata con la donna.

 

Sposto il paletto nella mano sinistra, scagliando pugni e calci a ripetizione.

Difetto di tecnica, scusate!

 

Qualche colpo va a segno, ma gli artigli rossi mi feriscono sul collo e su una spalla nuda.

 

La stanchezza si fa sentire, per me, mentre la donna, bardata nel suo vestito ingombrante, non dà segni di fatica. E non suda.

Il professorino non mi ha raccontato proprio tutto…

 

 

 

La colpisco ancora, con un pugno: uso la nocca del dito medio, mirando al nasino francese.

 

E faccio centro. Un fiotto di sangue schizza via e le parfait nez françois s’arrossa e si gonfia.

 

Questo la irrita ulteriormente. La bellezza deve importarle parecchio.

 

Mi azzanna un braccio, facendomi cadere all’indietro.

 

Il paletto mi scivola dalla mano e lo stivale della donna allontana l’arma.

 

Incrocio i suoi occhi di ghiaccio, mentre la bocca rossa sorride maligna.

 

Le labbra sono sporche di sangue… il mio e quello di LUI.

 

La rabbia esplode nella mia testa. Con la mano libera mi aggrappo ai suoi capelli biondi.

 

Tiro con forza, come facevo da bambina con le ragazze più grandi.

 

Una prima ciocca mi rimane in mano. Non cedo.

 

Sono addestrata in questo…

 

L’acconciatura elaborata alla Madame Pompadour si smonta; una cascata di ricci mi finisce in bocca. Sputacchio e mi agito ancora.

 

Finalmente la mandibola si stacca dal mio braccio. Il dolore della ferita brucia in modo incredibile e i due buchi sgorgano sangue.

 

La ferocia della donna è una caratteristica che la distingue. Non ho mai conosciuto una donna così crudele.

 

Ho ancora nella testa il suo sguardo perverso, mentre succhiava il polso del mio non ragazzo.

 

 

 

Un altro volo e ricado in ginocchio, ai piedi dell’altro. Il secondo vampire mi afferra per i capelli, sollevandomi il viso, a forza. Mi scruta negli occhi, interessato.

 

Poi parla, con un accento marcato, non proprio inglese: « Mi piaci, sei agguerrita. Darla non ti ha ferito più di tanto, ma io posso farlo… Ti piacerà parecchio. Non sarà per nulla come con il tuo biondino… »

 

Detto questo mi solleva da terra, afferrandomi per il collo.

 

Boccheggio, cercando aria che non viene. La testa deve sostenere tutto il mio corpo.

 

Soffocare è orribile. Non è come trattenere il fiato e respirare quando si raggiunge il limite.

 

Qui non funziona così… l’aria non c’è ed io mi sento morire.

 

 

 

Ancora una volta mi scruta in modo odioso. Non si decide ad uccidermi.

 

Alla fine molla la presa e ricado a terra, scomposta. Respiro a fatica, come se una stretta invisibile mi stringesse ancora la giugulare.

 

 

 

È di nuovo su di me, con quei suoi occhi scuri, spietati. Recupero le poche energie, cercando una borraccia che non c’è. Il volto segnato da una cicatrice fresca mi ricorda che ho già giocato la carta “acqua santa”.

 

Lo sento premere contro di me, e vorrei ucciderlo per questo.

 

Non gli darò la soddisfazione di avermi. Preferisco una morte dolorosa ad una fine umiliante.

 

 

 

Reagisco come un animale in pericolo, mi agito e lo graffio. Con le mie unghie corte non gli faccio nulla. Lui sorride, soddisfatto. Tutta questa ribellione sembra piacergli.

 

Una buona dose d’immoralità è parte di questa razza nuova, la specie che si suppone dovrei cacciare…

 

Non credevo fossero così forti… e così empi. Non è la forza fisica che mi fa paura… ma quella volontà di colpire nell'anima, nel mio lato fragile. Vuole umiliarmi.

 

Sorride ancora, mentre mi solleva il vestito e ride ancora di più, quando una mano s’insinua sotto l’orlo.

 

Il disgusto è tanto, mentre il vampire bisbiglia con voce roca: « Sei un creaturina curiosa, davvero! Giri con tutti quei paletti appuntiti; chissà a cosa servono… Giocheremo parecchio io e te… »

 

Approfitto delle sue confessioni oscene per studiare una possibile fuga. Mentre si slaccia i pantaloni, scaglio un ginocchio in alto, colpendolo negli attributi, con violenza.

 

Lui si accascia su di me, gemendo di dolore. Lo allontanò da me, come per evitare un invisibile contagio.

 

Mi rialzo in piedi e urlo: « Posso giocare tutta la notte… ma a modo mio, bastardo! »

 

Il mio inglese è orribile, ma l’ultima parola non può essere fraintesa.

 

Lui ringhia e si trasforma; gli rispondo con un secondo calcio, ancora là, nella zona martoriata.

 

Tossisce e boccheggia, come un qualunque umano.

 

Un nuovo calcio sul viso malefico e il vampire mi guarda stupito. Il volto assume ancora le fattezze umane, quelle attraenti. Per me non c’è differenza. Il viso pulito non lo rende meno mostruoso. La vera cattiveria nasce da dentro.

 

 

 

Si rialza e mi ferisce al volto… Si ritrasforma e mostra i canini… Mi colpisce di nuovo con violenza disumana, mi scaglia in aria. Atterro sulla roccia, ma replico subito all’assalto, usando pugni e calci… Subisco e controbatto… Mi piego, incasso, rispondo a mani nude…

 

Nessuno dei due sembra avere il sopravvento…

 

Questa è l’essenza della caccia…

 

 

 

Non è il finale che ci appaga… ma la caccia stessa… la lotta estrema…

 

L’adrenalina, il coraggio e la paura… tutto questo caos d’emozioni scorre diritto al cervello.

 

 

 

Il cacciatore è sfiancato… e la preda non è ancora morta… lotterà fino in fondo, perché è aggrappata alla vita…

 

 

 

D’un tratto due forti braccia mi stringono da dietro.

 

« Non mi piace quello che fai al mio ragazzo! » mi bisbiglia una voce, in un orecchio. è di nuovo lei, la donna. Oscillo a destra e sinistra, liberandomi della stretta, poco prima che le zanne affondino nella mia gola.

 

Scatto verso il paletto, lo afferro e mi volto, in posizione d’attacco.

 

La donna punta verso di me con un grido da valchiria…

 

Lo scontro si consuma nello spazio di un attimo.

 

Affondo di nuovo il paletto e faccio centro: incontro la pelle vulnerabile, proprio nel centro della scollatura.

 

La vampire si accascia, urlando di dolore, mentre il sangue sgorga, macchiando il bel vestito e la cruda terra di Grecia.

 

 

 

Il rosso scuro è un colore ammaliante: lo osservo fluire impetuoso dalla ferita profonda.

 

Ma non avverto il famoso “Puff!” e non la vedo andare in polvere.

 

Qualcosa non ha funzionato.

 

 

 

L’altro vampire si fa ancora avanti, proteggendo la sua compagna con la sua persona.

 

Afferra il paletto affondato nel petto della donna e lo strappa via, senza gentilezza.

 

La crudele signora grida e si accascia al suolo, stordita.

 

« Il cuore è a sinistra, ragazzina. »

 

« Buono a sapersi, mostro! » rispondo io.

 

« Angelus. È così che mi chiamano le mie vittime… »

 

« Allora continuerò a chiamarti “mostro” perché non mi ucciderai. Fatti avanti ancora e ti ritroverai donna! » e gli indico gli attributi, già tartassati.

 

Lui sorride, arrogante, ma non si muove.

 

Chinandosi sulla compagna le parla con fare intimo: « Tranquilla Darla, è tutto sotto controllo. »

 

« Lo dici tu! Non sei stato impalettato! » gli risponde la donna, stizzita. « Andiamocene via, lontano da quella scalmanata. Voglio arrivare viva alla prossima notte. Questo dannato paese mi dà noia. »

 

« Forse è quella ferita che ti dà noia! » suggerisce Angelus, beffardo.

 

« Forse è la tua espressione da imbecille che mi dà noia. Quella pazza è pericolosa! » e mi indica, con l’indice ad artiglio.

 

 

 

Sorrido. Sono soddisfatta di me.

 

 

 

« Darla, lo sai che non riesco a resistere di fronte ad una sfida. »

 

« Ma se la sfida è una Cacciatrice capirai che vale la pena rinunciare, per portare a casa la pelle. »

 

« Una cacciatrice? » chiede lui, curioso.

 

« La Cacciatrice… la Prescelta. Caccia quelli come noi… ne ho incontrata un’altra una volta… era più pazza di questa! Ha quasi battuto il mio Maestro! »

 

« Avrei voluto conoscerla. »

 

« Portami via, stupido. Tra poco sarà l’alba e non sono dell’umore adatto per rischiare di andare in fumo. »

 

« Io andrei avanti fino a bruciarmi! » risponde lui, sfrontato, lanciandomi un’occhiata compiaciuta.

 

C’è aperta sfida nelle sue parole e ancora di più nel suo sguardo.

 

Le mie dita sono sporche di sangue, la sua camicia non è più così perfetta… i nostri volti sono segnati dalle ferite e dai lividi…

 

 

 

Una parte di me vorrebbe continuare a lottare… andare avanti per ore, solo per vedere chi cede… chi compie un passo falso… chi muore…

Io e il mio nemico… siamo entrambi cacciatori: uccidiamo… sopravviviamo… sfidiamo la morte…

 

 

 

Qualcuno interrompe lo scambio di sguardi, che ci tiene allacciati. La vampire si lamenta: « Una maledetta Cacciatrice… in un misero paesino della Grecia… potevamo avere più sfortuna? »

 

 

 

Finalmente capisco. Non sono venuti a cercare me. Mi hanno trovato e basta.

 

Una perversa combinazione li ha condotti dalla Cacciatrice di turno.

 

 

 

I miei occhi scrutano i due vampires, che si allontanano, barcollanti, attraverso la mia amata pineta. Posso soltanto lasciarli andare, perché il mio corpo si spezza… e le mie forze vengono meno.

 

Le loro sagome si fanno sempre più incerte, fino a scomparire nel buio. Non possono vedermi mentre cado in ginocchio, spossata dalla fatica.

 

Approfitto del momento di stallo per raggiungere LUI, strisciando sul terreno…

 

 

 

 

 

Si è svegliato, e fissa la scena, confuso. È ancora stordito e si sfrega la ferita, incredulo.

 

« Non so cosa sia successo… mi sono sentito volare… e poi non ho visto più nulla… cosa è accaduto? »

Bella domanda…

 

Improvviso: « Due briganti ci hanno assalito. Hanno visto che non avevamo soldi e… si sono arrabbiati. Ti hanno sbattuto contro la colonna. »

 

« Ma ho un morso sul polso! » ribatte lui, mostrando le due punture rosse.

 

« Avevano dei cani con loro. Li hanno aizzati contro di noi! Vedi? » detto questo mostro il mio braccio, con il morso di Darla ancora vivo e sanguinante.

 

La mano di lui si solleva, accarezzando la ferita.

 

I nostri occhi si allacciano. Scruto nelle sue iridi scure e già sento rinascere il languore… non avverto più la fatica… sono sotto catarsi…

 

« Stai bene? »

 

« Adesso sì! » dico io, e avverto un bel senso di pace.

 

« Resta con me questa notte, è quasi l’alba. Qui non ci disturberà nessuno… »

 

Oh… questa è una proposta di quelle allettanti… Tornare a casa da mamma o sdraiarsi accanto all’uomo che vuoi con tutta l’anima?

 

Ma anziché gridare un “sì” a gran voce, dico: « Non dovresti andare alla spiaggia? Le barche staranno partendo. »

 

Lui sorride e fa: « Ho altre priorità al momento… Sono ferito e ho bisogno di qualcuno che si occupi di me… Se ce la fai… »

 

« Vuoi toglierti lo sfizio, prima di trasformarti in un devoto sposo? Due ore non ti sono bastate? » gli chiedo senza mezzi termini.

 

Lui incassa. Mi attira sulle sue ginocchia e risponde: « Non posso sposare quella ragazza… La umilierei di fronte alle altre donne… Se ne sono accorti tutti, ormai. »

 

« Di cosa? »

 

« Del fatto che ci sei solo tu qui dentro! » e indica la zona del cuore con un dito.

 

Ci baciamo per un lungo momento.

 

La mia mano sale sul petto e sfiora la pelle sotto la camicia. Umano: caldo, pulsante e vivo. Per niente pallido…

 

Avverto un battito accelerato, del tutto simile al mio.

 

Sorrido e mi dico: Così... è questo il punto giusto? La prossima volta non sbaglierò.

 

 

 

 

 

Raggiungo la casa a metà mattina, esausta. Per tutto. (Compreso il post-caccia.)

 

Cammino sul suolo sconnesso, ma è come se galleggiassi. LUI mi riempie la testa.

 

 

 

Il professorino mi attende sui gradini, l’aria di chi non ha dormito molto.

 

Scruta il vestito stropicciato, le ferite, l’aria esausta e mi fa: « Nottata movimentata? »

 

« Molto » dico io.

 

Dentro di me sorrido. Meravigliosamente movimentata. Soprattutto dall’alba in poi…

 

« Ho affrontato due vampires… Ma non sono riuscita ad ucciderli. Sono scappati. »

 

« Oh, non importa. Per essere la tua prima ronda ti è andata bene. »

 

« Come “mi è andata bene”? »

 

« Sei ancora viva, Erminia. È già un miracolo. »

Bella consolazione…

 

« In effetti, erano davvero forti… »

 

« Descrivili. »

 

« Una bella coppia di stronzi! »

 

« Poi? »

 

« Avevano due nomi pomposi… Angelus e Darla. »

 

Gli occhi del professorino si aprono di scatto, fissandomi sconvolti.

 

« Angelus? Quell’Angelus? Il Flagello d’Europa? »

 

« Un bel tipo, ma un po’ sporcaccione… molto pallido. Gli ho flagellato le palline… »

 

Lui ignora l’ironia e balbetta: « Oh mio Dio… Sei sopravvissuta ad Angelus e Darla… Oh mio Dio… »

 

« Hey, calma! Sopravvivere non significa sconfiggere! » preciso io, leggendo l’incredulità sul volto del professore.

 

« Non importa, tesoro. Sei stata coraggiosa. Farai grande strada! Modestamente, ho fatto un bel lavoro con l’addestramento… »

 

« Ok, non ti montare la testa… Sono io che ho rischiato di crepare! Ma adesso ho una fame da lupi e casco per il sonno. Potremmo riparlarne più tardi? Ho bisogno di una colazione e di un letto vero… »

 

Gli occhi del professorino si fanno acuti: « Certo, cara… Dopo tutta quell’attività dovrai riposare… »

 

Le mie guance si colorano di un rosso acceso, rivelatore. Sento la faccia bollente e non è per il sole.

 

Il mio Osservatore alza un sopracciglio e dice: « A proposito, hai il vestito al contrario! »

 

 

 

 

 

 

 

Epilogo

 

 

 

La Cacciatrice raggiunse le rovine del tempio, poco prima dell’alba, il corpo leggermente intorpidito per la ronda e le scarpinate.

 

Ogni notte doveva percorrere due chilometri per raggiungere il porto più grande. Era in quella zona che sbarcavano le casse… con i vampires. Stava a lei snidarli ed eliminarli, prima che potessero penetrare nell’entroterra, alla ricerca di nuove sensazioni e nuove vittime.

 

La sua snervante routine si consumava tra il porto e le strade sterrate… ma le poche ore passate con LUI, prima del sorgere del sole, la ripagavano di tutte le fatiche notturne.

 

Il tempio era diventato il loro rifugio segreto, lontano da sguardi indiscreti e giudizi severi.

 

Lassù, in quel luogo isolato e primitivo, potevano amarsi senza vergogna e scambiarsi languide promesse.

 

 

 

Erminia avanzò tra le colonne, il sorriso sulle labbra.

 

Si sciolse i calzari, gettandoli a terra, e proseguì sul freddo pavimento a piedi scalzi, per non fare rumore.

 

Una parete semi distrutta gettava una grande ombra scura sul giovane uomo steso a terra.

 

Le gambe e le braccia erano spalancate sulla coperta.

 

Erminia s’inginocchiò sul selciato, sfiorandogli una caviglia fresca.

 

Con occhi adoranti studiò l’amato corpo, che aveva imparato a conoscere così bene.

 

Nello spazio di un attimo il sorriso si congelò sul volto: la camicia aperta sul petto era zuppa di sangue; gli occhi scuri sbarrati e opachi, erano persi nel vuoto. Non li aveva mai visti così spenti…

 

 

 

Sfiorò il morso con due dita, come per accertarsi che quell’orrore fosse solo un’allucinazione.

 

Il sangue scuro le macchiò le dita, all’istante, togliendo ogni dubbio.

 

Una nausea profonda la travolse, tanto che dovette arretrare di un passo e riprendere aria per non rigettare lì.

 

Poi, la ragazza si accasciò accanto a LUI, distrutta, cingendogli la vita in un ultimo abbraccio.

 

Non seppe mai con quale coraggio gli chiuse gli occhi.

 

 

 

 

 

Due figure scrutavano la scena.

 

Un oscuro desiderio scaldò il sangue del vampiro: essere al posto del giovane umano, stretto in quell’abbraccio pieno di sentimento e dolore… bellissimo.

 

L’amore oltre la morte.

 

Angelus parlò alla sua compagna: « Ti è piaciuta la mia tragedia greca? »

 

« Per niente… troppo pathos per i miei gusti… Inoltre, hai giocato sporco. Il giovane uomo era la MIA caccia! »

 

« Una caccia molto facile per una vampira come te, Darla. Un umano indifeso… »

 

« Quando si ha fame bisogna catturare le prede più indifese, tesoro… »

 

Angelus cercò d’interromperla, ma Darla proseguì: « …E tu hai fatto proprio questo. Hai catturato LUI, perché era debole. LEI era una preda troppo forte per te. è LEI che ha vinto! Guardali, sono ancora insieme… Non potrai mai averla… LEI appartiene a quel ragazzo! » e con quelle poche parole lapidarie, Darla abbandonò la scena, voltandogli le spalle.

 

Il sorriso compiaciuto, che Angelus aveva sul viso, svanì di colpo.

 

Lo prese una strana insoddisfazione.

 

Aveva dato un duro colpo alla sua preda, ma la ragazza era stata catturata da un altro, un umano insignificante.

 

La preda non sarebbe mai stata sua, anche se l’avesse uccisa.

 

 

 

I due vampiri lasciarono il villaggio la notte seguente, in una carrozza nera schermata da spessi tendaggi, in previsione dell’alba.

 

Quello fu il tempo in cui Angelus conobbe la sua prima Cacciatrice.

 

Seppe che era pericolosa.

 

Ne fu attratto in modo sbagliato.

 

Decise di lasciarla andare ma la condannò a sopravvivere al buio.

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

*Dust = Polvere

 

Vampire = Vampiro/a

 

Slayer = Cacciatrice

 

You are a chosen! = Tu sei la prescelta!