IN THE FAMILY

AUTRICE:B_FLY

 

 

Subject: AU - tutti umani

Warnings for: Buffy/Other

Rating: nc17

Genere: Romance / Angst

 

 

Prologo

 

 

 

“Sai, sono un po' preoccupato per domani” le disse, appoggiandosi a un gomito per voltarsi a guardarla.

 

Elisabeth posò il libro che stava leggendo e si voltò a guardarlo, sorridendo “Lo sai che non hai nulla di cui preoccuparti. Sei stato lo stagista migliore, Giles ti confermerà di sicuro” lo rassicurò, allungando una mano ad accarezzargli una guancia.

 

“Beh, questo lo so” si gingillò, facendola ridere. Poi tornò a guardarla dolcemente, un po' più serio “Ho paura che facciano storie, sai, per noi due. Finchè ero in prova era un conto, ma pensi che accetteranno di avere una coppia nello staff a tempo pieno?”

 

“Doyle Allen” disse con tono scherzosamente risoluto, incrociando le braccia per enfatizzare il concetto. “Stiamo insieme da due anni, lo sapevano da prima di prenderti in prova e questo non gli ha creato problemi, vedrai che non gliene importerà nemmeno ora. Anzi...” sorridendo dolcemente, alzò la mano sinistra mostrandogli il dorso “... soprattutto ora” disse agitando l'anulare, in cui portava un grazioso anello di fidanzamento.

 

“Oh, certo. Faranno a gara per chi ci stipulerà il contratto prematrimoniale” scherzò lui, avvicinandosi a lei per sovrastarla, posando il suo libro sul comodino accanto al letto.

 

Cogliendo l'antifona, Elisabeth sorrise maliziosa “Beh, è questo il bello di lavorare per un grande studio legale di Los Angeles, no?” finse di continuare il discorso, mentre scivolava sotto di lui, sdraiandosi.

 

“Ti ho mai detto che amo le donne bionde con gli occhi verdi?” le disse, come le diceva ogni volta.

 

“Ti ho mai detto che amo gli uomini mori con gli occhi azzurri?” lo imitò, strusciandosi sotto di lui.

 

Doyle si sporse per baciarla, mentre con una mano saliva sotto la maglia del suo pigiama.

 

Elisabeth allungò la mano tra i loro corpi “Ti amo, signor Allen”

 

“Ti amo, futura signora Allen” le rispose lui, scendendo con la bocca per baciarle il punto sensibile del collo che sapeva farla impazzire...

 

 

****

 

 

Sentendola rientrare in camera, Doyle si girò pigramente su un fianco. “Telefono?” chiese lui, con la voce impastata di chi era stato appena svegliato.

 

“Si” rispose Elisabeth, avvicinandosi al letto.

 

“Tua madre?”

 

“Si” rispose di nuovo, rimettendosi sotto le coperte.

 

“Quand'è che voi due iniziate a chiamarvi a orari umani?” le chiese, sporgendosi per abbracciarla.

 

Elisabeth gli diede la schiena per sistemarsi nell'abbraccio “Quando lei imparerà a guardare l'orologio prima di alzare il telefono. Tu quando mi presenti tuo padre?” si accoccolò.

 

“Non è mio padre, è il mio patrigno” la corresse, ancora a occhi chiusi.

 

“Beh, è comunque quello che ti ha cresciuto”

 

“Non mi ha cresciuto, mi ha mantenuto” la corresse ancora.

 

Sbuffò “Sulla carta è tuo padre, e vorrei conoscerlo prima di ritrovarmelo al ricevimento del matrimonio”

 

“Chi dice che devo invitarlo?” brontolò, infantile.

 

Elisabeth sbuffò di nuovo infastidita “Doyle...”

 

“Se ti dico che cerco di contattarlo posso tornare a dormire?”

 

“Certo!” sorrise vittoriosa.

 

“D'accordo... domani lo chiamo” si arrese “Ma non farti illusioni, non so nemmeno se gli importi di venire...”

 

Elisabeth si riaccoccolò tra le sue braccia, e chiuse gli occhi soddisfatta. Dopo qualche minuto di silenzio, lo sentì di nuovo.

 

“Visto che ormai siamo svegli tutti e due, potremmo...”

 

“No”

 

“Io ci ho provato...” sospirò, rimettendosi a dormire.

 

 

 

Capitolo 1

 

 

Una settimana più tardi...

 

 

Al suono della sveglia, Elisabeth si girò nel letto per abbracciare il suo fidanzato. Trovando il letto vuoto, aggrottò la fronte e lentamente aprì gli occhi. Di solito servivano rulli di tamburi per svegliarlo, non era mai capitato che si alzasse prima di lei. 'Una delle piccole seccature di avere un fidanzato più giovane di te...' pensava ogni tanto.

 

Alzandosi a sedere, si guardò intorno. Non sentiva rumori nelle altre stanze, la cosa le parve strana. Si alzò per andare in cucina, quasi iniziando a preoccuparsi, quando vide un post-it sul frigorifero. Aggrottò la fronte, avvicinandosi per prendere il biglietto mentre tratteneva uno sbadiglio.

 

'Quel gran genio del mio patrigno, dopo avermi ignorato per una settimana, mi ha risposto dicendomi all'ultimo momento che passa da LA per lavoro e arriva oggi. Vado a prenderlo in aeroporto, ci vediamo a pranzo. Ti amo. Doyle'

 

Elisabeth rise, di buon umore. La capacità di Doyle di prendere tutto alla leggera la risollevava sempre, era una delle cose che l'avevano fatta innamorare di lui.

 

Lanciò un occhiata all'orologio. Felicemente sorpresa di vedere che era così presto, avendo eliminato la mezz'ora che le serviva di solito a metterlo in piedi, decise di farsi una doccia e di coccolarsi con un po' di tempo extra per farsi bella. Del resto, doveva essere al meglio se finalmente conosceva il patrigno di Doyle.

 

Non le aveva mai parlato molto del proprio passato, solo qualche accenno su come fosse finito ad avere come unico tutore il suo patrigno, perennemente assente per i suoi impegni di lavoro. Le pareva di ricordare che fosse anche lui avvocato, e che Doyle avesse in un primo momento scelto quella strada per cercare di attirare la sua attenzione, ma poi avesse rinunciato, scoprendo fortunatamente che quel mestiere gli piaceva sul serio.

 

Uscita dalla doccia, perse tempo extra al tavolino del trucco e per scegliere quale degli stretti e scomodi abiti da lavoro doveva portare oggi. Quasi le creava più stress dover indossare quella roba che il lavoro stesso, e per quanto li avesse comprati con cura la facevano sempre sentire eccessivamente costretta. Preferiva abiti più casual, più aperti, più corti e più colorati, ma non era il caso di dare scandalo in quell'ambiente. 'Hai voluto la bicicletta e ora pedali' si ripetè, anche se la bicicletta in questo caso era una preparazione universitaria di giurisprudenza, che con i contatti giusti l'aveva portata a lavorare per uno grosso studio legale in cui ora aveva come collega il suo fidanzato. Non era molto difficile pedalare in una bicicletta di lusso come quella, e poteva sopportare una tuta scomoda per farlo.

 

Sospirò, uscendo di casa e andando verso la macchina. Per lo meno la giornata sarebbe stata tranquilla, con un processo terminato il giorno prima in cui era stata assistente principale, probabilmente oggi avrebbe perso tempo a sistemare cartelle di rapporti o altre attività ugualmente noiose.

 

 

****

 

 

Appena aperte le porte dell'ascensore, notò subito l'insolito fermento nella hall principale dello studio. La gente andava e veniva con più frequenza del solito, e non sembrava avere un incarico preciso.

 

Aggrottando la fronte, fece qualche passo e si avvicinò alla reception. “Will, ma che succede?” chiese alla segretaria, sua amica dai tempi del liceo a cui era riuscita a trovare lavoro qui.

 

La ragazza mantenne un aria discreta, mentre le faceva segno di avvicinare l'orecchio, per sussurrargli eccitata “William Shore è qui!” squittì.

 

Elisabeth spalancò gli occhi “Stai scherzando?” chiese. Willow scosse negativamente la testa. “E per quale motivo è qui?” chiese incredula.

 

“Giles lo ha chiamato per una consulenza esterna, un non-so-quale-caso difficile da sbrogliare per cui gli serviva una mano. Pare che si conoscano da anni quei due, e Shore ha accettato di fargli il favore” spiegò, con un alzata di spalle.

 

Sempre più stupita, Elisabeth sorrise contenta. Forse sarebbe stata così fortunata da riuscire a sfruttare il buon rapporto con Giles, il fondatore dello studio, per farselo presentare. William Shore era una leggenda nel campo degli avvocati divorzisti, campo di cui lei aveva tenuto conto per una possibile specializzazione. Per quello che si diceva di lui, era imbattibile ed incredibilmente astuto, Elisabeth aveva addirittura studiato qualcosa sul suo conto per una ricerca all'università, pare che avesse personalmente formulato un nuovo contratto pre-matrimoniale indistruttibile, o qualcosa del genere. Erano passati anni ed i suoi ricordi erano vaghi, ma da quante volte aveva sentito pronunciare il suo nome sapeva che l'occasione di conoscerlo non poteva essere sprecata.

 

“Sei la cocca di Giles, te lo presenta di sicuro” Willow le lesse nel pensiero.

 

Elisabeth le sorrise raggiante. L'amica aveva ragione, per qualche strano ma molto utile motivo Rupert Giles l'aveva adorata fin da quando era solo in prova, motivo per cui rimaneva in quello studio nonostante non ci fossero soci dedicati ai divorzi da cui potesse imparare. Con un altro po' di fortuna, questo stava per cambiare.

 

Decidendo che non poteva rimanere ferma alla reception nell'attesa di veder uscire qualcuno dallo studio del capo, decise di andare nel proprio ufficio e trovare ogni cinque minuti qualche motivo semi-valido per uscirne e controllare. Prima aveva finito le graffette, poi cercava un documento, doveva andare al bagno, controllare un informazione nei registri, scendere senza motivo al piano inferiore e tornare su. si stava avviando di nuovo verso la reception, quando...

 

“Oh, Elisabeth, cercavo proprio te!” la chiamo Giles. voltandosi, lo vide affacciato alla porta del suo ufficio. “Potresti venire un minuto?” le chiese gentilmente.

 

Sorridendo radiosa, annuì e si avvicinò.

 

Giles le tenne aperta la porta, facendola entrare. Appena varcata la soglia, i suoi occhi furono subito attratti verso l'uomo che si alzava dalla sedia per accoglierla. 'Questo è William Shore?' pensò, mentre lottava per guardarlo con la bocca chiusa ed un espressione non esterrefatta. Davanti a lei c'era un uomo statuario, con capelli biondo platino, zigomi pronunciati, gli occhi più azzurri che avesse mai visto e un sorriso maliziosamente diabolico. 'Avrà causato più divorzi di quanti ne ha rappresentati in aula'. Tornò in se, sentendo Giles chiudere la porta dietro di lei.

 

“Elisabeth, voglio presentarti William Shore, noto avvocato divorzista e mio caro amico da anni” presentò “Will, lei è Elisabeth, senza dubbio la mia 'recluta' più brillante”

 

“Pensavo di essere ancora la tua 'recluta' più brillante” scherzò lui, mentre tendeva la mano verso la ragazza.

 

“Eh, i tempi cambiano, ragazzo mio. È lei il nostro futuro. Guardalo bene, Elisabeth, è così che sarai tra vent'anni! Anche se qualcosa mi dice che sarai più carina.” rise Giles.

 

“Piacere di conoscerla, ho sentito molto parlare di lei” sorrise Elisabeth, stringendogli la mano.

 

William la girò, alzandola per portarsela alla bocca e depositandovi un bacio “Il piacere è decisamente mio” le disse in un tono suadente al limite dell'educazione. Elisabeth fremette al contatto, ritirando la mano con un sorriso forzato.

 

“Will, non hai ancora smesso di importunare le giovani signore?” rise Giles

 

“Assolutamente” ammise, continuando a guardarla, con le labbra curve in un sorriso impertinente.

“Non farci caso Elisabeth, Will non ha mai abbandonato le sue radici di gentlemen inglese” disse col tono di chi sa di cosa parla.

 

Elisabeth notò che tra i due vi era certamente l'intesa di chi si conosceva da anni, sapevano come parlare l'uno all'altro per capirsi con meno parole possibili. Da un lato, lei conosceva bene Giles, sapeva che era un brav'uomo a cui piaceva scherzare e mantenere i toni amichevoli e familiari con tutti, per cui non le era difficile pensare che questo Shore avesse un atteggiamento simile. Dall'altro, era sempre restia a fidarsi che l'unico scopo di un uomo sia mantenere i toni amichevoli.

 

“Ad ogni modo,” cominciò, sedendosi sulla propria sedia dietro la grande scrivania, indicando ad Elisabeth di sedersi su quella rimasta libera libera delle due sedie davanti ad essa. “Ti ho chiamata per dirti che Will, qui, collaborerà col nostro studio per qualche settimana. Io sono molto occupato al momento, vorrei che gli mostrassi come ambientarsi” spiegò.

 

“Uh, certamente” rispose Elisabeth, leggermente spiazzata da quell'insolita richiesta.

 

“Fantastico. E tu, Will, non esitare di chiamare Elisabeth per ogni necessità”

 

“Non mancherò di farlo” rispose sicuro lui. Elisabeth non mancò di notare il doppio senso, ma non era certo il caso di mostrare indignazione, soprattutto se finta.

 

“Bene! E anche questa è sistemata. Se non stai lavorando a nulla, potete anche andare ora. Fallo sistemare nell'ufficio di Seals, l'ho spedito alla filiale di New York la settimana scorsa e spero che se lo tengano” propose, alzandosi.

 

I due lo imitarono, salutandolo “A dopo Giles. Signor Shore, se vuole seguirmi...”

 

“Le starò dietro come un orso al miele, Elisabeth” si voltò verso l'amico “Ci vediamo più tardi, Rupert” disse, superando, Elisabeth per poterle aprire la porta. Quando lei uscì, fece per seguirla.

 

“Will” lo chiamò Giles, attendendo che si voltasse. “Non con lei” disse con un leggero avvertimento.

 

William colse l'antifona, e sorrise in risposta, lasciando la stanza.

 

 

 

 

Elisabeth, leggermente ansiosa, si preparò mentalmente per come comportarsi. “Le faccio fare un giro per il piano?” chiese retorica, iniziando a camminare.

 

L'uomo la guardò come se fosse perso nei suoi pensieri. Pensieri in cui la stava probabilmente spogliando. “Con piacere” la seguì.

 

“Le stanze con le pareti a vetro sono sale riunioni. Quella,” indicò, senza fermarsi “la usiamo ogni mattina per aggiornarci sui casi della giornata, mentre andiamo in quella” ne indicò una più grande “ogni lunedì mattina, per confrontarci con anche assistenti e soci anziani”.

 

“Se sapevo di incontrare una maratoneta, prendevo delle vitamine a colazione”

 

Elisabeth rallentò il passo arrossendo, e si voltò a guardarlo rapidamente. Dal sogghigno sul suo volto, potè comprendere che il suo era solo un modo di metterla in imbarazzo. “Mi scusi, sono abituata al ritmo da lavoro” disse, proseguendo.

 

William le si avvicinò per affiancarsi a lei “Se hai questo ritmo a lavoro, posso immaginare--”

 

“Laggiù c'è il bancone della segreteria!” lo interruppe, prima che dicesse qualcosa di troppo compromettente.

 

“Già, molto interessante” ironizzò.

 

Avvicinandosi al bancone, svoltarono per il corridoio di destra che comprendeva uffici di altri soci dello studio e delle loro assistenti. “Questo è l'archivio,” disse in una delle stanze, che al contrario delle altre aveva vere e proprie pareti opache e nessuna persona all'interno “Ci sono copie cartacee ed elettroniche di tutti i casi dello studio dalla sua apertura” presentò, gesticolando verso gli scaffali e le due scrivanie con computer.

 

Quando si voltò verso di lui, lo trovò intento a guardarla con la stessa aria di chi sta fantasticando per suo conto. “E tu vieni spesso in questa stanza da sola?”

 

“E' qui che ho studiato i suoi primi casi, per le mie ricerche in università” ammise compostamente.

 

Lo vide curvare maggiormente un angolo delle labbra “Quale onore essere studiato da te. E ti prego di chiamarmi William, dandomi del lei mi fai sentire così vecchio...”

 

“Era solo una questione di rispetto. Continuiamo il giro?” propose, improvvisamente a disagio nello stare sola con lui.

 

“Come la signora comanda. Anche se mi intrigava l'idea di passare un po' di tempo soli nella stanza” disse guardandosi intorno, come se avesse appena fatto un commento sull'arredamento.

 

Elisabeth lo superò, aspettando che lui la seguisse per uscire. Mostrò i bagni, gli altri uffici e la reception. “... E questa è la biblioteca” presentò, alla fine del giro.

 

“Una biblioteca in uno studio legale?” chiese lui, confuso.

 

La ragazza scrollò le spalle “Il signor Giles ci tiene molto” spiegò.

 

“Pensavo che Rupert odiasse i 'boriosi termini legali'” fece il verso.

 

Elisabeth sorrise “E' appunto per questo che i libri gli servono”

 

“Finalmente sono riuscito a strapparti un sorriso” esclamò sogghignando “E devo dire che è splendido, mi chiedo perchè lo nascondi sotto tanta serietà” la provocò lui.

 

Penso che il giro sia finito” affermò, con un altro sorriso forzato. “Le mostro il suo ufficio” disse, avviandosi.

 

“Dovresti sul serio darmi del tu, porta fortuna” scherzò lui. Ma lei scelse di ignorarlo, per il momento.

 

Mentre l'uomo la seguiva, Elisabeth si sentiva i suoi occhi addosso. Non che fosse contraria al ricevere attenzioni, faceva sempre piacere sentirsi apprezzate, ma la questione stava diventando seriamente imbarazzante. Meglio mettere in chiaro le cose presto, e certamente prima che tornasse Doyle, era già abbastanza insicuro senza incoraggiamenti.

 

“Eccolo qui” affermò, arrivati davanti alla porta. “Lì infondo c'è il mio studio, se le serve qualcosa” disse, pronta a salutarlo.

 

Lui la bloccò immediatamente “Potrei certamente pensare a qualcosa. Se si vuole fare una pausa caffè di metà mattina, com'è ora, dove dovrebbe andare?” le chiese.

 

Il suo sguardo la metteva in soggezione. Elisabeth poteva considerarsi una donna svezzata, non certo la bambina che corre dalla maestra se un compagno le ha alzato la gonna, ma doveva ammettere di essere più abituata a trattare ragazzini in fase ormonale o vecchi viscidi, ma la persona davanti a lei non era nessuno dei due. Era un uomo, intrigato e calcolatore. Essere davanti ad un genio del mestiere le rendeva già abbastanza difficile trovare le parole, senza che la sua malizia le facesse sembrare tutto un trabocchetto. “Ho dimenticato di mostrarle la sala ristoro?” chiese, insicura.

 

William scosse la testa, continuando a fissarla. Le sembrava si stesse prendendo gioco di lei. “Il caffè dei distributori non è proprio di mio gusto”

 

Si, si stava decisamente prendendo gioco di lei. 'Ah si? Ha sbagliato persona'. “Vedrà che se preme il tasto nove sul telefono dell'ufficio, avrà una linea diretta con il bar al piano terra, qualcuno salirà a portarle il suo caffè” disse senza perdere il sorriso, ormai ironico, di nuovo pronta ad andare.

 

Lui sembrò divertito dal suo tentativo di scaricarlo, e insistette “Hai forse qualche... lavoro urgente da sbrigare?” le chiese.

 

Colta in fallo, non potè mentire. “Non mi è ancora stato assegnato ancora nulla”

 

William annuì “Allora potresti tenere compagnia ad un povero nuovo arrivato, che non conosce nessun altro con cui dividere... un caffè” disse con tono gentile, della cui sincerità lei dubitava molto.

 

Elisabeth distolse lo sguardo per un momento, mordendosi il labbro. Aveva un'orribile presentimento, ma si rendeva conto di non poterci fare nulla. Davanti a lei c'era un uomo da cui poteva imparare molto, in ambito lavorativo, nonché un grande amico del suo capo. Prenderne le distanze adesso sarebbe stato come rifiutare un passaggio gratis per il giardino del'eden.

 

“D'accordo” accettò alla fine “Prendo la borsa”.

 

 

 

Capitolo 2

 

 

“Allora, Elisabeth” iniziò William, appena la cameriera si fu allontanata con le loro ordinazioni, mentre stava comodamente appoggiato allo schienale della sedia e con un ampio gesto della mano la spronava a parlare. “Raccontami”

 

Elisabeth alzò un sopracciglio. “Io?”. Erano scesi a sedere a uno dei tavolini del bar, semi deserto. Troppo tardi per la colazione e troppo presto per il pranzo. Quando lui da gentiluomo le aveva fatto scegliere il posto, si era assicurata che stessero quasi al centro della sala principale, per precauzione. Non che temesse realmente comportamenti disdicevoli, ma meglio essere sospettose prima che nei guai dopo. “E racconto... cosa?”

 

“Qualunque cosa tu voglia. Possiamo anche non parlare. Potremmo andare direttamente in ascensore, bloccarlo mentre sale e fare sesso come conigli, offrendo una distrazione alla povera guardia giurata di mezza età che starà controllando la telecamera di servizio”

 

Totalmente allibita, le ci volle circa un secondo per decifrare il suo sguardo e capire se era serio o se stava facendo una battuta. Stava lì davanti a lei, guardandola con occhi brillanti e il sorriso moderatamente allegro di chi sta conversando piacevolmente del più e del meno. Le venne da ridere, lo trovava indecifrabile.

 

“Oppure, puoi raccontarmi come sei diventata la nuova stella di Rupert” propose, sorridendole.

 

La ragazza sorrise, compiaciuta del fatto che, se non altro, non si trovasse in compagnia di uno di quei boriosi avvocati egocentrici che passano il tempo a parlare delle proprie vittorie in archivio. “L'ho conosciuto a una conferenza dell'università che frequentavo. Dopo dieci minuti mi ha chiesto quando mi sarei laureata, gli ho detto che mancavano pochi mesi, e lui mi ha dato il suo biglietto da visita dicendomi di chiamarlo appena pronta. L'ho fatto, e dopo i sei mesi di stage mi ha assunta a tempo pieno. Niente di eccezionale”, raccontò.

 

Le sembrò compiaciuto “Da come parla di te, direi che qualcosa di eccezionale c'è senz'altro. E poi posso leggerlo dal tuo viso” affermò seriamente.

 

“Uh?” chiese lei, confusa.

 

William inclinò la testa e lasciò vagare gli occhi sui suoi lineamenti, come la stesse studiando. “Il tuo viso mi dice che non hai ancora trent'anni. Il fatto che tu sia già socia di uno studio della portata del Giles & Morgan, dice invece che devi avere qualche qualità speciale” sorrise.

 

Elisabeth lo ricambiò. “Beh, diciamo che, nel primo anno di pratica, ho aiutato Giles a divorziare da Morgan in modo abbastanza indolore da poter tenere entrambi i nomi nella carta intestata”

 

Negli occhi dell'uomo sembrò passare una scintilla. “Ora sono ufficialmente interessato. Ricordo il divorzio di Rupert, un paio d'anni fa. Mi chiese se potevo occuparmene, ma stavo dall'altra parte del paese. E poi, c'era un vago conflitto di interessi”

 

“Che genere di conflitto?” chiese.

 

“Lui era il mio migliore amico, e con lei andavo a letto dopo la separazione” spiegò.

 

“Oh,” se per lui questo era argomento per una conversazione casuale, poteva esserlo anche per lei “ora capisco perchè lei continuava a chiedere di cambiare avvocato”

 

Il suo sguardo compiaciuto le disse che quello doveva essere una specie di test, per vedere fino a che punto riusciva ad imbarazzarla. E che lo stava superando egregiamente. “Mi incuriosisce sapere com'è arrivato a te il caso”

 

Scrollò le spalle “Sono riuscita a convincere la signora Morgan a lasciare Bampi a Giles”

 

Ora sembrava impressionato “Per convincere Gwen a togliere gli artigli dal furetto Bampi, o avevi un assegno con molti zeri a disposizione, o sei decisamente astuta”

 

Elisabeth sorrise. Perchè questa situazione iniziava ad assomigliare a un flirt? “E' bastato farle notare che Bampi è un animale notturno e le avrebbe impedito di dormire regolarmente, accelerando l'invecchiamento della pelle”

 

William sogghignò “Non mi è difficile pensare che Rupert vedesse in te buone... potenzialità”

 

Ricominciano i giochi, a quanto pare. “Già, mi considerava un promettente avvocato” rispose, per controbattere il suo doppio senso.

 

I suoi tentativi di stare sulla difensiva sembravano divertirlo oltremodo “E hai già deciso quale campo del diritto ti stuzzichi di più?” chiese, spostandosi poi per fare posto alla cameriera che arrivava con le loro ordinazioni.

 

Perfetto, sei incastrata. Se glielo dici inizia a gongolarsi, se non lo fai lui lo scoprirà da Giles e sembrerà che hai mentito per imbarazzo. Quando la cameriera se ne fu andata, dovette rispondere. Sospirò “Mi piace il ramo divorzi” ammise, con tono leggero mentre prendeva una bustina di zucchero per il caffè.

 

William alzò un sopracciglio, compiaciuto. Elisabeth si morse la lingua, sperando che lui non interpretasse male le sue parole e iniziasse a credere che lo avesse detto solo per adularlo. Senza distogliere lo sguardo, William inclinò la testa. “Sai, se lo avessi detto un' ora fa avrei pensato fossi una di quelle studentesse che cercano di fare colpo per ottenere raccomandazioni, o attenzioni...” il tono basso della sua voce le carezzava le orecchie. Poi sogghignò “Ma tu non vuoi farti notare da me. Mi sfuggi continuamente, è una sfida farti sorridere, lanci segnali che mi dicono 'Se ti avvicini troppo, potrei mordere'. Quindi deduco che stai sul serio pensando di fare la divorzista”, constatò, al termine del proprio ragionamento..

 

La ragazza non rispose, attendendo che continuasse. Lui inclinò la testa dall'altro lato, senza smettere un istante di guardarla negli occhi, come se volesse cogliere ogni possibile sfumatura nelle sue espressioni. Elisabeth cercò di mantenere un aspetto sereno ma impassibile, per cui non comprese affatto il motivo per cui lui accennò più volte a sorridere, in quei lunghi secondi di silenzio, come se le stesse leggendo nella mente e trovasse qualcosa di interessante.

 

Poi riprese, sempre con lo stesso leggero tono colloquiale. “Ad ogni modo, non avresti neppure avuto bisogno di farti notare, sono già piuttosto... colpito, da quello che vedo. Però, data la mia esperienza, potrei sempre darti un buon consiglio”, propose. “Occuparsi di divorzi non è il migliore dei settori. Ex mogli che strillano, uomini tanto pieni di ego da non voler nascondere le proprie amanti, genitori che dibattono per l'affidamento di figli a cui comunque non presteranno attenzione... non è molto... appropriato, per una donna”

 

Fu sorpresa di come fosse riuscito a farle un simile discorso senza mostrare aria di superiorità. Non che servisse ad irritarla di meno. “Non è molto politicamente corretto” constatò, col sorriso sulle labbra. “Ci sono molti tipi di donne. Potrei sorprenderla” propose.

 

“Non ho dubbi” fu la sua maliziosa risposta.

 

Quasi rise. “Per curiosità, quante volte è stato citato per molestie sessuali dalle sue colleghe?”

 

“Ho perso il conto” ma non il sorriso.

 

“Senta,” si fermò, per dosare con cautela i termini e il tono di voce, “Voleva che le raccontassi qualcosa? D'accordo. Io non sono una studentessa. Ho ventisette anni, e lavoro regolarmente da tre senza aver avuto bisogno di raccomandazioni o favoritismi. So bene chi è lei e quanto sia raro avvicinare una persona con la sua esperienza, ma non mi è necessaria” chiarì, con leggerezza. Poi riprese “Comunque, sarò contenta di imparare tutto quello che posso mentre collabora con lo studio”, concluse diplomaticamente.

 

William l'aveva ascoltata con attenzione. Senza mostrarsi sorpreso, continuò a sorriderle. “Orgogliosa e determinata. Mi piace.” commentò, semplicemente. “E penso di poterti insegnare qualunque cosa tu voglia imparare”

 

Questa volta Elisabeth abbassò lo sguardo, imbarazzata. Di tutte le allusioni che aveva fatto fin'ora, quella era la più diretta, e senza dubbio quella che le stimolava maggiormente la fantasia. E anche se non ci fosse stata, non le era difficile immaginare quante cose un uomo come lui potesse insegnare in ogni campo. “Penso che dovremmo rientrare” propose.

 

“Cerchi di nuovo di sfuggirmi” commentò lui ridendo, mentre lentamente si alzava con lei.

 

 

 

******

 

 

I quattro passi dal bar all'ascensore per l'ufficio furono fatti in tranquillo silenzio. Elisabeth era sovrappensiero, chiedendosi come gestire quel temporaneo capo decisamente provocatorio. William d'altro canto sembrava allegro come se fosse al circo, guardandosi intorno sorridendo a come i grattacieli e le strade di LA fossero diversi da quelle di New York, e guardando lei come fosse un' attraente presentatrice. Fu solo in ascensore, uno accanto all'altro a guardare la porta, mentre attendevano di arrivare al dodicesimo piano, che lui le si rivolse nuovamente.

 

“Devo dire che mi ha fatto molto piacere conoscerti. Credo che farò in modo di avere spesso bisogno di te nei prossimi giorni”

 

Elisabeth sospirò “Sono certa che si ambienterà prima di quanto pensa, e che presto le segretarie faranno a gara per darle una mano”

 

Ridendo, William si spostò per mettersi di fronte a lei, dando le spalle alle porte. “Sento spesso nel tono della tua voce una nota di... sarcasmo, come se cercassi con tutte le tue forze di rimettermi al mio posto. Potresti spiegarmelo?”

 

“Potrebbe spiegarmi lei perchè si prende tanta confidenza quando mi conosce da poco più di un ora” lo affrontò, iniziando di nuovo a sentirsi a disagio.

 

Lui le sorrise “Hai ragione. Sono stato invadente” ammise, alzando le mani in segno di resa. “Ti lascio in pace. Prometto che da quando rientreremo in ufficio terrò a freno la lingua” giurò con sorriso da boy scout.

 

Elisabeth abbassò lo sguardo un istante, pensando che forse la faccenda del fidanzamento l'aveva fatta diventare esageratamente difensiva con gli altri uomini, e che forse stava reagendo troppo impulsivamente ad un uomo che magari aveva le allusioni sessuali scritte nel DNA, pur essendo innocuo.

 

Ma non appena li rialzò di nuovo, lui avvicinò rapidamente il viso fino a incontrare le sue labbra con le proprie.

 

Elisabeth si tirò indietro d'impulso “Cosa diavolo-” fu interrotta da un nuovo incontro, più esigente, che le impedì di finire la frase.

 

Quello che accadde durò poco più di un momento. Se fosse durato anche solo un istante di più, avrebbe avuto il tempo di reagire, di spingerlo via e chiarirgli dove arrivavano i suoi limiti. Ma nel breve attimo che intercorse tra l'inizio del bacio e il segnale acustico di apertura delle porte, ebbe solo il tempo di sentire le labbra morbide di uno degli uomini più sexy e intriganti che avesse mai incontrato, e la sua calda lingua che approfittò della distrazione per scivolare nella sua bocca e succhiare quella di lei, più una vaga sensazione della grande mano di lui appoggiata sul proprio fianco.

 

“Scusami, non eravamo ancora in ufficio” le disse divertito, un momento prima di uscire dall'ascensore.

 

 

 

 

Elisabeth riuscì a mantenersi composta ed indifferente fino alla porta del proprio ufficio, che chiuse di fretta alle proprie spalle, appoggiandovisi contro e chiudendo gli occhi.

 

“Ma chi diavolo si crede di essere...” lamentò a bassa voce, esalando un grosso respiro.

 

Lentamente, un passo dopo l'altro, girò attorno alla sua scrivania e si sedette sulla grande sedia. Appoggiando i gomiti al tavolo, lasciò andare la testa tra le mani. 'Che dannato disastro' si ripetè. Riepilogando la sua mattinata, aveva conosciuto un avvocato di indiscussa fama, al quale capitava anche di essere incredibilmente attraente e che per qualche strana ragione aveva deciso di fare il filo proprio a lei, la quale si trovava per questo in una posizione di forte imbarazzo: se avesse chiarito di essere fidanzata senza che l'argomento fosse in discussione, e si fosse scoperto che l'atteggiamento provocatorio di lui era in realtà solo un'insolito modo di fare, si sarebbe resa ridicola; scegliere invece di non specificare nulla e attendere che fosse l'evidenza a mostrarlo al ritorno di Doyle, come aveva fatto, non l'aveva portata ad un finale migliore.

 

Ora la situazione era ancora più drammatica. Doveva chiarire il prima possibile con quell'uomo, e pregare che nel frattempo Doyle non venisse a sapere nulla. Se William Shore fosse rimasto a collaborare con loro per settimane, non poteva lasciare che il suo fidanzato le trascorresse sentendosi teso, arrabbiato o geloso, senza contare che avrebbe potuto arrabbiarsi con lei per non aver subito messo in chiaro di essere impegnata. Anche se qualcosa le diceva che uno come Shore non si sarebbe necessariamente fatto fermare da quell'informazione.

 

Doyle! Era uscito prima che lei si svegliasse per andare a prendere il patrigno all'aeroporto e non aveva ancora neppure chiamato, erano passate ore! Si guardò intorno in cerca della borsa, dato che preferiva fare col proprio cellulare le chiamate personali e non sfruttare il telefono dell'ufficio, ma non trovandola si alzò. Probabilmente l'aveva lasciata sul banco della reception da Cordelia, a volte la dimenticava là.

 

Ricomponendosi, uscì dal suo ufficio, giusto in tempo per vedere le porte dell'ascensore aprirsi, e Doyle uscirne. Gli sorrise immediatamente, poi aggrottò la fronte confusa nel vedere che era solo e sembrava irritato.

 

I due percorsero la distanza che li separava, fermandosi ad un passo l'uno dall'altro per poter parlare a bassa voce.

 

“Tesoro, che è successo? Iniziavo a preoccuparmi” lo accolse Elisabeth, prendendogli la mano.

 

Doyle pareva stanco e nervoso “Ho passato una mattina orribile. Mi sono svegliato sentendo il messaggio in segreteria del mio patrigno, diceva che già che passava a LA avremmo potuto incontrarci, e lasciava l'orario d' arrivo del volo. Solo che quando sono andato all'aeroporto, lui non c'era!” sbuffò.

 

“Come, non c'era?” ripetè lei, confusa.

 

“Già, è la stessa cosa che mi sono chiesto anch'io. Così ho aspettato pensando a un ritardo, finchè non mi sono informato dalle assistenti e ho scoperto che il volo era arrivato in perfetto orario. E ovviamente, lui aveva il telefono spento” raccontò.

 

La ragazza gli appoggiò una mano sulla spalla “Tesoro, mi dispiace...” disse, triste al pensiero della sua delusione.

 

“Vuoi sapere la parte divertente?” aspettò che lei annuisse. “Mentre tornavo in macchina ho provato a chiamare di nuovo. Ha risposto proprio poco fa, sorpreso che fossi arrabbiato perchè era convinto di avermi avvertito che aveva pensato di venire direttamente, dato che il suo 'impegno di lavoro a LA' pare sia proprio qui, alla Giles & Morgan!”

 

Elisabeth gelò.

 

“E sarebbe bastato venire a lavoro come ogni giorno, invece di farmi due ore di macchina nel traffico e altre due di attesa in aeroporto per niente...”

 

Doyle continuò a sfogarsi di quella scomoda serie di eventi, ma lei faticava ad ascoltarlo. Mille piccoli campanelli d'allarme le stavano rombando nella testa, e il sangue improvvisamente le era diventato freddo e aveva difficoltà a circolare.

 

“Scusa per questo sfogo, tesoro, sono proprio infuriato” disse infine lui, prendendo un respiro. “Per caso lo hai già incontrato?” le chiese.

 

Costringendosi a stare calma, rispose “Uh... non lo so, non penso ma tu non mi hai mai neppure detto come si chiama, quindi...”

 

“Oh, già, hai ragione. Lui...” si bloccò, guardando un punto oltre le spalle di lei.

 

Elisabeth si voltò per seguire il suo sguardo, con il cuore che le pulsava nelle tempie. Tutti i suoi timori furono confermati dalla figura dell'uomo che, ignaro dei loro sguardi, si avvicinava osservando un plico di fogli tra le mani.

 

 

 

Capitolo 3

 

 

 

“William” lo chiamò Doyle, quando fu abbastanza vicino.

 

L'uomo si voltò di scatto, sorridendo al suo figliastro “Doyle...” rispose, facendo correre lo sguardo accanto al ragazzo, verso di lei.

 

La sua espressione mostrò un impercettibile e fugace attimo di confusione, subito mascherata da un nuovo sorriso.

 

Un attimo dopo, guardava di nuovo il ragazzo. “Sei... cresciuto molto, quasi non ti riconoscevo” commentò. “Non ti vedevo da...”

 

“Dalla laurea” finì Doyle per lui.

 

“Già...” sussurrò William, “da allora...” abbassò lo sguardo. Dopo un istante, lo rialzò, con un rinnovato tono colloquiale “Mi dispiace per il malinteso di questa mattina,” disse “Quando ti ho lasciato quel messaggio in segreteria non sapevo che questo fosse lo stesso studio in cui praticavi, e poi ero proprio certo di averti avvisato di nuovo” si ammonì.

 

“Non fa niente” mentì Doyle, impassibile. I due rimasero lì in piedi. l'uno davanti all'altro. Avevano entrambi abbastanza orgoglio per non abbassare gli occhi, ma dopo qualche secondo di teso silenzio, decise di fare uno sforzo. “Ti presento la mia fidanzata, il motivo per cui ti ho chiamato” disse freddamente, voltandosi verso la ragazza “Lei è Elisabeth Summers” presentò.

 

William si voltò a guardarla. “Molto piacere di conoscerti, Elisabeth” disse, tendendole la mano.

 

'Dovrei giocare a poker con quest'uomo', pensò rabbiosamente Elisabeth, coi nervi a fior di pelle. Come appena svegliata da una trance, Elisabeth allungò la propria per stringere la sua. Almeno non dovrò preoccuparmi che Doyle scopra del bacio, se lui non ammette nemmeno che ci siamo parlati, pensò incoerentemente.

 

“Bene” proseguì William “Io... ora devo proprio andare. Potremmo... pranzare insieme, uno di questi giorni. Se per voi va bene, ovviamente” propose.

 

“Senz'altro” ribattè Doyle.

 

Con un discreto cenno, William si allontanò. Elisabeth dimenticò in un attimo tutto quanto era accaduto, più preoccupata per il fidanzato che per le proprie faccende in sospeso. “Tesoro?” lo chiamò. Attese che lui si voltasse verso di lei per continuare. “Che ne dici se andassimo a pranzo io e te adesso, mh? Parliamo un po' e ci calmiamo”.

 

Doyle sospirò, tenendo gli occhi verso il basso “D'accordo, è una buona idea”.

 

“Perfetto. Prendo la borsa” disse, mentre i due si avvicinavano alla reception.

 

 

******

 

 

“Tesoro, non farlo” lo implorò.

 

“Oh, ci puoi giurare che lo faccio” rispose lui, determinato.

 

“Per la miseria, Doyle! Vuoi davvero arrivare a tanto?”

 

“Me lo sono meritato!”. Si voltò verso la cameriera “Mi porti un hamburger con doppio bacon e contorno di patatine fritte!”

 

La donna se ne andò con l'ordinazione, ed Elisabeth sbuffò “Giuro che se stanotte mi svegli rantolando per i dolori allo stomaco, ti lascio soffrire da solo!”

 

Doyle rise, sapeva che diceva solo per dire. Poi improvvisamente divenne serio. “Amore?”

 

“Si?”

 

“Io...” sospirò “Per caso prima che arrivassi, ti ha fatto la corte? O si è comportato in modo ambiguo?” le chiese.

 

Elisabeth spalancò gli occhi, nell'attimo di confusione che le servì a capire di chi stesse parlando. “Come?” esclamò.

 

Lui riprese subito a spiegarsi “E' solo che eri tanto ansiosa di conoscerlo, e quando l'hai avuto davanti non hai detto una parola. Sono anni che lo vedo uscire con ragazzine, più vicine alla mia età che alla sua, non l'ho nemmeno visto fermarsi se erano sposate o impegnate, anche con suoi amici” si spiegò.

 

Beh, questo spiega molte cose, pensò lei. Tranne una. Se lei non sapeva chi William fosse in realtà, si poteva dire la stessa cosa di lui? In ogni caso, Doyle non centrava nulla e non meritava preoccupazioni aggiuntive. Cercò di rassicurarlo, posando una mano sul suo braccio “No, tesoro” mentì “Ho faticato a salutarlo solo perchè non mi hai mai detto che il tuo patrigno è William Shore, miglior avvocato del paese nel settore che voglio seguire” gli fece notare.

 

Doyle sospirò “Scusami” si strofinò il viso con le mani, combattendo la stanchezza “Avevo paura che poi tu avresti voluto conoscerlo, e io... io davvero non voglio farlo entrare nella mia vita”

 

“Doyle!” spalancò gli occhi “Mi conosci da tre anni, come hai potuto pensare che avrei fatto una cosa simile?”

 

“Scusa, tesoro...” ripetè lui, evidentemente esausto. “Sono stato circondato da sempre da gente più interessata a William che a me, e non ho mai potuto sopportarlo, sapendo che orribile persona fosse in realtà”.

 

Elisabeth non faceva fatica a capire come mai lo odiasse tanto, visto il sentimento analogo che iniziava a sviluppare nei suoi confronti. “Te la senti di raccontarmi finalmente la tua versione della storia?” gli chiese. Tante volte aveva cercato di farlo parlare della sua infanzia, ma lui diceva che i ricordi non gli piacevano.

 

Le sorrise tristemente “D'accordo. Però non ora, per favore. Sono già abbastanza depresso” scherzò.

 

Elisabeth sorrise. “Sai che ti adoro quando sdrammatizzi tutto” si sporse per dargli un bacio. “Ma... ho sentito dire in ufficio che Shore rimarrà nello studio forse alcune settimane per collaborare a un caso di cui ancora non so nulla. Ti aggiornerò se Giles mi dirà qualcosa” spiegò.

 

“Sempre più buone notizie” scherzò di nuovo lui. “D'accordo” le sorrise. Poi allungò la mano a prendere la sua “Lizy, non voglio che la presenza del mio patrigno rovini le nostre esistenze. Cercherò di parlargli per chiarire come comportarci in questo periodo e farò in modo che tu non venga catapultata nei nostri drammi familiari, d'accordo?”

 

La ragazza gli sorrise. Non aveva senso raccontargli nulla che potesse fargli trascorrere quel periodo di vicinanza col patrigno in modo peggiore di quanto già sarebbe stato. Avrebbe tenuto le proprie preoccupazioni per se, almeno finchè non avesse potuto chiarire un paio di cose con l'uomo in questione.

 

 

 

Capitolo 4

 

 

Il pomeriggio precedente William Shore non era in ufficio, e nemmeno quella mattina. Elisabeth cercava di sbrigare il suo lavoro irrequieta, desiderando solo chiudere quell'orribile parentesi prima che la situazione peggiorasse. La sera prima Doyle era stato un tesoro con lei, cercando di lasciarsi distrarre per tutto il tempo, mentre sapeva benissimo quanto fosse teso. Odiava doverlo vedere così, la faceva stare male non poterlo aiutare. Se c'era una cosa davvero insostituibile nel loro rapporto, era la disponibilità ad aiutarsi l'un l'altro nei momenti di bisogno. Lei c'era stata per lui quando cercava lavoro dopo la laurea, e lui c'era stato per lei quando...

 

“Permesso?” la chiamò Doyle.

 

Elisabeth alzò gli occhi dalle sue carte, e lo vide appoggiato allo stipite della porta, con le mani in tasca e un dolce sorriso.

 

“Sei bellissima, tutta intenta nel tuo lavoro”

 

Lei gli sorrise “E tu lo sei in pausa. Cosa volevi dirmi?”

 

Doyle si avvicinò “William ha lasciato detto a Willow che vorrebbe che pranzassimo insieme. Non ne sono entusiasta, ma prima ci togliamo quest'incombenza e meglio è. Che ne dici?” chiese.

 

“Oggi?” chiese allarmata, e lui annuì. Elisabeth si fermò un momento a pensarci. Sarebbe stato decisamente meglio aver chiarito con quel tipo prima di pranzarci insieme, ma in questo modo non le sarebbe stato possibile. Avrebbe dovuto semplicemente sperare che non facesse sciocchezze. “Certo. A che ora?” cercò di sembrare tranquilla.

 

Tolse una mano dalla tasca per guardare l'orologio “Stamattina devo assistere a un processo di Giles. Passo qui a prenderti appena ne esco, d'accordo?”

 

“Bene” annuì “Ci vediamo più tardi allora” si sporse a dargli un bacio.

 

“A dopo allora. Non stancarti troppo” le disse lui uscendo.

 

Elisabeth si lasciò andare sullo schienale della poltrona, incrociando le dita.

 

*****

 

 

Guidavano da circa venti minuti, diretti al ristorante, ed erano già in ritardo. “Scusami” le disse lui “Il processo è durato più di quello che pensavo, sono arrivato appena ho potuto”

 

“Non preoccuparti, non penso che lui se la prenderà” lo rassicurò.

 

“Ci mancherebbe altro! Al mio diploma l'ho aspettato un intero pomeriggio senza che si presentasse, me lo deve” scherzò.

 

“Non è un buon motivo per scendere al suo livello”

 

“Hai ragione. Siamo vicini al ristorante. Potresti entrare mentre cerco parcheggio e dirgli che tra un minuto ci sono, così non scendiamo al suo livello” le chiese.

 

Dannazione. Sospirò “D'accordo”

 

Doyle la ringraziò e accostò, facendola scendere. Elisabeth andò verso il ristorante, maledicendo la propria sfortuna. In quei due minuti di vantaggio avrebbe se non altro potuto chiarire con William di stare entrambi zitti su quanto era accaduto, ma non si aspettava di vederlo sola in quel momento, non era così che pensava di mandare avanti le cose. Davanti alle porte del ristorante prese un ultimo respiro, ed entrò.

 

La sala era molto grande e fortunatamente poco affollata. Le pareti ed il pavimento erano sulle note del beige, mentre l'arredamento tendeva al rosso, aveva scelto un posto di classe e troppo impersonale per lei. O forse aveva solo preso l'abitudine di considerare maligna qualunque cosa lui facesse. Ricordando a se stessa che non era lì per commentare i locali, si fece indicare dal cameriere il tavolo prenotato a nome Shore, e si preparò mentalmente.

 

In questo momento lui non è un grande avvocato, si disse, e nemmeno un amico del tuo capo, solo un tizio che ti ha baciata in ascensore a cui devi chiedere di dimenticare di averlo fatto.

 

Ma quando lo vide, si sentì tremare le ginocchia. Era così bello che non si sarebbe sorpresa se fosse stato il padre naturale di Doyle, anche se quei capelli così biondi gli davano un'aria ambigua, mentre il suo fidanzato era dolce.

 

A testa alta, si avvicinò al tavolo.

 

William, appena accortosi del suo arrivo, si alzò dal tavolo, sorridendo. “Ben arrivata” l'accolse come un perfetto ospite.

 

Elisabeth rimase immobile per un momento a raccogliere la propria determinazione, prima di riuscire a parlare. “Doyle sta cercando parcheggio, fra un momento arriva e si scusa per il ritardo” comunicò, ignorando al meglio il proprio imbarazzo.

 

Il sorriso di William non vacillò, mentre avvicinava il viso al suo con un espressione indecifrabile. “Posso contare che tu non abbia detto nulla?” disse, con una voce bassa che le mise la pelle d'oca, nonostante il tono non fosse minaccioso ma quieto.

 

Mantenne alto il mento, e ignorando lo stomaco che le si torceva per la tensione, rispose orgogliosa “Non sono così stupida”

 

“Bene” fece un passo indietro “Diciamo che è meglio se continui così”

 

Non fece in tempo a rispondere che Doyle arrivò dietro di lei. “Mi dispiace per il ritardo” commentò a William, prendendo la mano di lei.

 

“L'importante è essere arrivati” gli sorrise William, cordiale, riprendendo ad ignorarla ed indicando ai due di sedersi a tavola.

 

Elisabeth prese un profondo respiro. Sarebbe stato un lungo, lunghissimo pranzo.

 

 

*****

 

 

“Allora” disse William mentre aspettavano il dolce, dopo mezz'ora di chiacchiere artificiali tra lui e Doyle “Come vi siete conosciuti voi due?” chiese, indicando entrambi.

 

Doyle si voltò verso Elisabeth, prendendole la mano. Lei gli sorrise per incoraggiarlo, e lui iniziò. “Ecco, io ed Elisabeth ci siamo incontrati quando io ero matricola all'università, e lei all'ultimo anno”

 

“Se tirassi a indovinare, direi festa di iniziazione delle matricole” rise William.

 

Elisabeth non lo trovò affatto divertente, ma Doyle si. “A dire il vero, Lizy era la mia tutor. Io mi sono innamorato di lei, e dopo mesi di corte spietata l'ho fatta innamorare di me” le sorrise di nuovo, mettendola ancora più a disagio di fronte all'estraneo che stava iniziando a detestare.

 

William non perse il suo aspetto allegro “Devo farti i complimenti ragazzo. Hai scelto una fidanzata bellissima” si congratulò, “E anche molto silenziosa” aggiunse scherzando.

 

Elisabeth gli lanciò un occhiata glaciale. Aveva trascorso il pranzo ad ascoltare i due conversare del più e del meno come bambini, cercando di sostenere Doyle e allo stesso tempo tenersi fuori dal dialogo, mentre più ci pensava e più aumentava la frustrazione per come William le aveva parlato al suo arrivo, facendola sentire stupida.

 

“Chiedo scusa” disse lei “Sono stremata dal lavoro” inventò.

 

“Naturale, i primi anni di pratica sono sempre i più duri” la scusò William.

 

Nulla notò Doyle dello sguardo che i due si scambiarono, per sua fortuna, ed il resto del pranzo filò piuttosto liscio. Per Elisabeth era come essere un topolino in gabbia, e il suo orgoglio ne risentiva fortemente. Razza di egocentrico pieno di se e convinto che tutto debba girare attorno a lui! Ma se crede di avere solo lui le carte buone, gli mostrerò chi vince la mano, pensò.

 

 

*****

 

 

Alle sette di quella sera, alla Giles & Morgan era calato il silenzio. Il pregio di fare un mestiere come il loro era che la sera rimaneva fino a tardi solo chi aveva dei casi da sistemare, e fortunatamente Elisabeth non ne aveva nessuno oggi. Tuttavia, voleva ugualmente restare. Non per lavorare, ma nella speranza che Doyle andasse via presto e lei potesse fermarsi a far vedere a quel pallone gonfiato chi ha il controllo. Per il bene del suo fidanzamento, se non altro.

 

Elisabeth si occupò a compilare inutili fogli di lavoro, illuminati solo dal piccolo lampadario dietro la scrivania, quando Doyle passò come sempre dal suo ufficio.

 

“Tesoro?” la chiamò, facendo capolino dalla porta

 

La ragazza alzò gli occhi “Si?”

 

“Prima o poi ti serviranno gli occhiali, se continui a leggere al buio” sorrise. “Sto andando a casa, vieni?”

 

“Ho ancora del lavoro da finire, amore, che dici se ci vediamo direttamente a casa dopo? Prendo un taxi” mentì prontamente.

 

“D'accordo” rispose, facendo per andarsene. Si fermò però sulla soglia, voltandosi di nuovo. “Lui non piace nemmeno a te, vero?” chiese.

 

“Uh?”

 

“Non ti vedevo così silenziosa da quando ti ho conosciuta” spiegò.

 

Elisabeth prese un respiro. “Forse mi solo fatta condizionare dai tuoi mezzi racconti su che persona orribile sia. Se vuoi, cercherò di andarci d'accordo, almeno finchè lavoriamo nello stesso ufficio” propose.

 

Doyle le sorrise “Non è che io ci tenga particolarmente. Ma forse, renderebbe le cose più facili” ammise lui.

 

“D'accordo” gli sorrise lei “Ci proverò”

 

“Allora a dopo”

 

“A dopo, tesoro” lo salutò lei, guardandolo allontanarsi.

 

Appena fu abbastanza lontano, la ragazza esalò un sospiro e si appoggiò la testa tra le mani. Odiava dovergli mentire, e ancora di più farlo per difendere un uomo che non meritava lo sforzo. Doyle era un uomo buono, molto più buono di quanto lei potesse mai pensare di essere, e quando aveva accettato il fidanzamento, aveva giurato a se stessa che non lo avrebbe mai fatto pentire di aver scelto lei. Questo comprendeva non mentire, non fingere, non passare una mattina intera con un altro uomo senza specificare di essere fidanzata e non lasciare che se ne vada dopo averti baciata senza almeno un occhio nero.

 

 

 

Rialzò la testa pigramente, ma appena alzò gli occhi sussultò. William era già lì, appoggiato allo stipite della porta. Dal suo sguardo sembrava fosse semplicemente passato a salutare una collega dopo il lavoro, Elisabeth era irritata e inquietata dal non poter mai sapere cosa aspettarsi che gli uscisse di bocca.

 

“Mi pare abbiamo avuto la stessa idea” constatò.

 

Subito, Elisabeth si alzò dal suo posto dietro la scrivania e vi girò intorno, tenendosi comunque a distanza, ma mostrandogli di non essere intimorita da lui. Era così che sentiva la necessità di comportarsi, quando aveva a che fare con qualcuno che non capiva.

 

“Ti prego,” iniziò lei risoluta “dimmi che non sapevi che ero la sua fidanzata”

 

Lui non cambiò espressione “Vedo che ora non hai problemi a darmi del tu”

 

“Non hai risposto”

 

“Potresti essere tu a rispondermi, invece” fece un passo verso di lei “Ti ricordavi di essere fidanzata, ieri, quando hai passato la mattinata con me senza farmi in alcun modo intendere di esserlo?”

 

“Mi stavi forse mettendo alla prova?” chiese indignata.

 

“Se così fosse, l'avresti persa, amore” rispose divertito.

 

Si avvicinò minacciosamente a lui, infuriata “Tu non sai di cosa parli”

 

Ma la risposta di William non fu minimamente intimorita. “Forse no, ma di certo so più cose di quelle che pensi, Buffy”

 

Elisabeth gelò.

 

E lui continuò “Il povero Doyle sa come la sua amorevole fidanzatina racimolava soldi al college? Dalla scintilla di orgoglio che passa nei suoi occhi quando parla di te, io non direi”

 

Rimase a guardarlo, incredula, con l'intenso desiderio di svegliarsi da quell'incubo. Quando ritrovò le parole, il suo tono era pericolosamente simile ad una minaccia, lento e misurato. “Io non so... come hai avuto quelle informazioni... ma se solo ti azzardi a-”

 

“A cosa?” la interruppe “A dirgli quanti uomini hanno fatto un giro sulla piccola Buf-”

 

Lo schiocco di uno schiaffo in pieno viso gli impedì di finire la frase, facendogli ruotare il volto.

 

Lentamente, William si voltò di nuovo verso di lei, massaggiandosi la guancia. Elisabeth trattenne il respiro. Era infuriata, ma comunque impaurita per aver lasciato uscire così la propria irae perchè la vita le aveva insegnato a non provocare gli uomini quando sei in una stanza con loro da sola

 

Dopo lunghi attimi, lui rise. “Devo ammettere che non me l'aspettavo. Ma fossi in te eviterei di rifarlo, potrei anche rispondere”

 

Elisabeth non si lasciò intimorire, la rabbia ormai le impediva di pensare lucidamente. “Non provare a fare congetture su cose che non conosci”

 

“Wow, ci sono forse altre cose che non conosco?” inclinò la testa divertito “Ne ho imparate talmente tante che non mi sorprenderebbe se stessi con Doyle per i suoi soldi”

 

La mano della ragazza si alzò fulminea per colpirlo di nuovo, ma lui le bloccò il polso. Istintivamente tentò con l'altra mano, ma lui bloccò anche quella, e alzandole i polsi sopra la testa la strattonò, ruotandola violentemente verso la porta per spingerla contro la parete, schiacciandola col proprio corpo per tenerla ferma.

 

“Ti avevo chiesto per favore di non colpirmi” ruggì.

 

“E io di tenere chiusa quella dannata bocca!” urlò lei, tremando di rabbia.

 

“Mi pareva ti fosse piaciuta, ieri, la mia bocca” la schernì.

 

“Sei un malato bastardo!” gridò, strattonando la presa per liberarsi.

 

La tensione era palpabile, i loro volti ad un soffio di distanza, abbastanza per sentire sull'uno il respiro ansimante dell'altro. Con le tempie pulsanti per l'adrenalina che riempiva le loro vene, si guardavano negli occhi con sguardi carichi di odio e disprezzo,

 

Lo sguardo di William vagò sui suoi occhi pieni di rabbia, e sulle sue labbra tremanti. Incapace di trattenersi oltre, attaccò la sua bocca con la propria.

 

Colta di sorpresa, Elisabeth lo morse.

 

“Ungh!” gemette lui, staccandosi.

 

Senza più freni, William l'attaccò di nuovo. Questa volta, quando sentì la sua lingua farsi strada tra le proprie labbra, la ragazza rispose.

 

Il bacio fu vorace ed intenso, si divorarono l'un l'altro come se non gli importasse di farsi male, mentre William si premeva maggiormente contro di lei. Sentendo la durezza del suo inguine, Elisabeth gemette. William le lasciò i polsi, passando in un attimo a tenerle i fianchi, e poi dietro le cosce per caricarsela in braccio. Muovendosi agilmente, ruotò il loro corpi e percorse in due grandi passi lo spazio che li separava dalla scrivania. Allungò il braccio, gettando per terra ogni cosa che vi si trovasse sopra, prima di farvi sdraiare la donna tra le sue braccia, e salire sopra di lei. Con ogni limite ormai varcato, scese sul suo corpo, baciando e succhiando il suo collo mentre con le mani vagava sotto la sua gonna, sfilandole le mutandine.

 

“Cosa fai, William?” sospirò Elisabeth, coprendosi il viso con le mani, in un ultimo tentativo di farsi strada della sua vergogna.

 

“Sto per scoparti” rispose, abbassando la cerniera dei pantaloni per liberarsi “Puoi chiamami Spike” disse persa, mentre con un unico movimento entrava dentro di lei.

 

Elisabeth gridò per l'invasione violenta, aggrappandosi alle sue spalle, e Spike gemette. Alla prima spinta ne seguì una seconda, e una terza, finchè tra i due non si stabilì un ritmo frenetico e bisognoso. Spike afferrò le sue spalle, per mettere ancora più forza in quell'atto furioso. “Non pensavo che una sgualdrina potesse essere così buona” sbottò lui. Elisabeth rispose con un nuovo schiaffo. Spike la ignorò, mentre lasciava scivolare una mano sui suoi fianchi fino a scendere sottto le ginocchia, per indurla a cingergli la vita con le gambe, permettendogli di entrare più profondamente. “Fantastica, Buffy” la schernì, provocandola. La ragazza lo schiaffeggiò di nuovo, e lui le afferrò i polsi. Bloccandoglieli sopra la testa con una sola mano, usò quella libera per aprirle la camicetta, e scendere a succhiarle il seno. Portata al limite, Elisabeth venne, gridando dell'orgasmo più violento e surreale che avesse mai provato, sentendo l'adrenalina scorrerle nelle vene come nettare. William non potè resistere, sentendosi stringere in quel modo dai muscoli della ragazza che si contorceva sotto di lui, e si spese dentro di lei.

 

E di nuovo i loro pesanti respiri erano unico suono nella stanza, ma questa volta nessuno dei due osava guardare l'altro.

 

Dannazione.

Capitolo 5

 

 

Senza riuscire a guardarsi, e per la prima volta in silenzio, i due scesero dalla scrivania da lati differenti. L'uno verso la porta, l'altra verso la finestra, si rivestirono e risistemarono, non abbastanza rapidi, non abbastanza lenti. La penombra della stanza era cupa, e rendeva difficile respirare l'aria carica di sesso che li circondava.

 

Appena si fu reso presentabile, William si voltò verso di lei. La vide dargli le spalle, e sospirando, si avviò verso la porta.

 

Elisabeth si riscosse, affrettandosi a girare intorno alla scrivania e a sbarrargli la strada.

 

“Dovresti davvero spostarti” commentò frustrato.

 

“E pensi di andartene facendo finta di niente” sbottò lei.

 

Wiilliam chiuse gli occhi “E' un po' tardi per questo...”

 

“Numero uno,” iniziò lei ignorandolo “Smetti di parlarmi come se fossi una ragazzina. Ti farebbe comodo se mi lasciassi manovrare, ma non è così. Ne ho conosciuti tanti come te, 'Spike'” pronunciò il soprannome strafottente “quindi non montarti la testa. Numero due,” proseguì “Doyle ha uno stipendio più basso del mio, e se non era per una mia buona parola qui avrebbe fatto apprendistato come avvocato d'ufficio, quindi non insinuare mai più che stia con lui per qualcosa di diverso dall'esserne innamorata” sentenziò. “E posso giurarti che se ti azzardi a dirgli qualcosa di quello che è successo, vengo a ucciderti con le mie mani, chiaro?”

 

“Molto esauriente” commentò un secondo più tardi.

 

La ragazza non rispose, si limitò ad alzare il braccio per lasciarlo passare.

 

Guardandolo allontanarsi, non si mosse di un passo per un tempo indeterminato, insensibile al mondo esterno. Poi, incapace di trattenersi oltre, si accasciò lentamente a terra, e pianse.

 

 

Tornando a casa, un'ora più tardi, le ci vollero molti minuti per trovare il coraggio di entrare. Una parte di lei sperava che Doyle fosse stremato dalla fine della settimana di lavoro e già dormisse. Sarebbe stato più facile non doverlo guardare negli occhi. Prese un respiro, e girò la chiave nella serratura.

 

“Ehi, ci hai messo tanto” l'accolse lui, alzandosi dal divano del soggiorno per andarle incontro.

 

Maledisse la propria sfortuna “Scusami, volevo finire di sistemare tutte le carte per non doverci tornare sopra lunedì” spiegò mentre si toglieva la giacca.

 

Doyle la raggiunse, e la strinse in un abbraccio. “No so come tu faccia, io sono esausto. Stavo quasi pensando di andare a dormire”.

 

“Si, è una buona idea, ti raggiungo subito. Prima vado a farmi una doccia, però” rispose, incapace di ricambiare pienamente l'accoglienza.

 

Fortunatamente, il suo fidanzato era troppo stanco per farci caso ora. Lasciandola andare, si era avviato verso la camera borbottando qualcosa su com'era andata la giornata.

 

 

 

Uscendo dalla doccia, e dopo essersi infilata una camicia da notte pulita, Elisabeth riuscì quasi a sentirsi meglio. Tutte le lacrime di disprezzo verso se stessa erano ormai state portate via dall'acqua, e rimaneva solo un involucro esausto e vuoto. Entrò in camera e si buttò nel letto, sperando di risvegliarsi direttamente tra qualche settimana.

 

“Ti ho fatto una camomilla” sentì dire Doyle alle sue spalle.

 

Alzando la testa dal cuscino, lo vide in piedi accanto a lei, con una tazza fumante in mano. “Grazie...” disse, lieta di essere troppo stanca per ricominciare a piangere.

 

“Dovere” le rispose. Facendo il giro del letto, entrò sotto le coperte dal suo lato, e appoggiò la schiena alla testiera. “Lizy...” la chiamò. Elisabeth si voltò a guardarlo, e lui proseguì “Se vuoi, ti racconto”

 

Le ci volle un attimo per capire di cosa stesse parlando. Quando se ne rese conto, imitò la sua posizione e gli tenne la mano “Certo, tesoro”

 

“D'accordo”. Lo vide prendere un grande respiro, prima di iniziare “Mia madre mi ha avuto quando aveva solo diciannove anni, e di certo non per sua scelta. Nessuno mi ha mai parlato di mio padre, quello naturale intendo. Ma quando avevo nove anni, lei mi disse che si sarebbe sposata con questo William Shore, un uomo più giovane di lei che non avevo mai visto prima. Mi disse che lui non voleva conoscermi, perchè non ero figlio suo, e quindi mi avrebbe mandato in collegio” fece una pausa, prendendo un nuovo respiro, mentre Elisabeth gli strinse maggiormente la mano “Lo incontrai solo al matrimonio e nelle vacanze scolastiche quando tornavo a casa, ma non mi sembrava molto interessato a me per cui non gli ho mai prestato molta attenzione. Finchè, un pario d'anni dopo, la sua segretaria mi scrisse una lettera. A quanto pare mia madre lo lasciava e se ne andava via, e lui rimaneva mio unico tutore”

 

“Oh, tesoro...” cercò di supportarlo, non sapendo bene come comportarsi.

 

“Successivamente ho sentito di lui quasi solo tramite la sua, che mi mandava un assegno al mese per il mantenimento e la retta della scuola, e gli auguri di natale d'ufficio. Il primo anno dopo il divorzio sono tornato a casa per le ferie, ma lui le ha trascorse chiuso nel suo studio a lavorare. Da allora l'ho visto solo al diploma e alla laurea, anche se ancora non capisco perchè ci sia venuto, motivo per cui a suo tempo non te l'ho presentato” finì il suo racconto.

 

A questo punto Elisabeth era confusa. Com'era possibile che un uomo del genere, così indifferente al suo stesso figlio adottivo per tutti quegli anni, potesse essersi preso la briga di prendere informazioni su di lei e sbattergliele in faccia come se fosse necessaria la sua approvazione.

 

Squillo di telefono. “Dev'essere tua madre, visto l'orario indecente” scherzò Doyle.

 

“Aspetterà domattina”

 

Lasciò che Doyle si accoccolasse sulla sua spalla, accarezzandogli i capelli fino a farlo addormentare, mentre sapeva che per lei il sonno non sarebbe arrivato presto. La rabbia che quel demonio le aveva fatto provare, aveva risvegliato una parte di lei che credeva morta e sepolta. Una che esisteva tanto tempo prima, quando per vivere doveva basarsi sulle mance di uomini a cui piaceva guardarla, e che aveva unghie affilate e attrazione per chiunque sapesse tenerle testa. Una parte di lei che, indubbiamente, doveva seppellire di nuovo.

 

 

*****

 

 

Uscito di fretta dall'ufficio della ragazza, William aveva contemplato per un momento l'idea di tornare in albergo, per poi ricordare di essere atteso da un altra parte.

 

“Sempre in ritardo, Will” lo salutò Giles, quando lo raggiunse sulla terrazza del proprio ufficio.

 

“Se fossi puntuale non sarei io, Rupert” rispose al saluto, sedendo sulla poltrona accanto alla sua.

 

“Giusta osservazione. Ti avevo versato uno scotch, ma dato che eri in ritardo l'ho già bevuto”

 

“Immaginavo”

 

I due uomini si rilassarono in un confortevole silenzio, appoggiandosi agli schienali delle poltrone ed osservando con poca attenzione la città davanti a loro.

 

“Quanto tempo è passato dall'ultima volta che abbiamo bevuto insieme su una terrazza?” chiese Giles.

 

“Troppo, Rupert, troppo” rispose William, pensando. “Ero ancora un giovane associato, e dipendevo da te”

 

Giles sembrò pensarci “Forse dovresti tornare ad esserlo”

 

“Un giovane associato?”

 

“Un associato del mio studio”

 

William non rispose immediatamente. “Non lo so, amico mio. Ma potrei pensarci, mi manca entrare in aula al tuo fianco”

 

“E a me al tuo”

 

“Non potevi essere più specifico, ieri mattina, quando mi hai detto 'non con lei'? Magari avvertendomi che era lei la futura moglie di Doyle” disse infine William.

 

“C'era un tempo in cui i miei avvisi ti bastavano”

 

“Già...”

 

“Eravate voi due a fare sesso in fondo al corridoio?” chiese.

 

Attendendo di nuovo, William rispose “Non sei proprio un gentlemen”

 

Nel tacito consenso, fu Giles a fermarsi a riflettere. “Da te quasi me l'aspettavo, ma da lei per niente”

 

William sospirò “Temo sia colpa mia”

 

“Non avevo dubbi. Ci sono cose che anche nel tempo non cambiano”

 

“Risolverò anche questo” assicurò

 

“Sarà meglio”

 

Mentre Giles sospirava, William tornò con la mente all'inizio di quel grosso errore. Al giorno prima, quando nell'ufficio dell'amico era entrata una donna giovane e bellissima, a poche ore dopo, quando aveva scoperto che era la fidanzata del figliastro che si supponeva fosse venuto a conoscere, e ad un ora fa, quando non era più resistito ai suoi occhi verdi e al suo carattere così splendidamente prepotente.

 

Delle innumerevoli cose sbagliate in quello che aveva fatto, ora sentiva lampante l'averle detto quelle cose offensive, quando in realtà lei non poteva nemmeno sapere del fondo fiduciario a cui Doyle avrebbe avuto accesso compiuti i venticinque anni, di cui non era a conoscenza nemmeno il diretto interessato. No, il motivo per cui aveva cercato di ferirla in quel modo era ben più stupido e immaturo. E ora doveva sistemare le cose.

 

 

 

Capitolo 6

 

 

Lunedì mattina.

 

Elisabeth sapeva che questo momento sarebbe arrivato, per quante volte nel corso del weekend avesse cercato di dimenticarlo. Per tutto il fine settimana era stata tormentata dai ricordi di quel pomeriggio, di cui aveva ancora vivide immagini in testa.

 

Chiuse gli occhi e appoggiò le mani sulle tempie, per smettere di pensare. Non sarebbe mai più accaduta una cosa simile, non lo avrebbe permesso. Aveva chiuso con quelle perversioni, William era stato solo un... un ritorno al passato. Non che la giustificasse, ma infondo erano molte le ragazze che coglievano l'occasione di togliersi le ultime voglie prima di sposarsi, era una pratica più che contestabile ma non significa che poi non potessero comunque essere brave mogli. No?

 

Preparandosi psicologicamente, entrò insieme a Doyle nello studio. “Vieni” gli sorrise “Ora sei assunto anche tu, puoi partecipare alle riunioni del mattino”

 

Doyle le sorrise orgoglioso “Wow, mi sento importante” scherzò, mentre si immettevano nel tran tran dei colleghi per raggiungere la sala riunioni.

 

“Vedrai, sono meno noiose di quello che sembrano. Giles è amichevole, scherza con tutti, sembrano dei ritrovi di famiglia” lo rassicurò, comprendendo il suo nervosismo anche se non l'aveva nominato. Poi si rese conto delle proprie parole “Cioè, forse non della nostra... ma di una famiglia modello, immagino” cercò di correggere.

 

“Tranquilla, posso immaginarli anch'io. Li ho visti in televisione” scherzo, facendola ridere.

 

 

 

“Buongiorno, Giles” salutarono entrambi, entrando in sala riunioni.

 

“Buongiorno a voi ragazzi, passato un buon fine settimana?” chiese, mentre prendevano posto attorno al grande tavolo. Per questioni di gerarchia e di cronologia d'assunzione, Elisabeth sedeva a due posti da Giles lasciando spazio agli associati più anziani, mentre Doyle stava dall'altra parte del tavolo rispetto a lei, accanto agli altri associati.

 

“Come sempre!” sorrise lei radiosa, mentendo spudoratamente.

 

Per un attimo, le sembrò che Giles la guardasse con un sorriso triste. Ma fu solo un momento. “Fantastico. Io l'ho passato alla festa di fidanzamento di mio nipote, ad ingozzarmi di tartine ai gamberi”

 

La ragazza rise “Non farci caso, fa sempre così” sussurrò nell'orecchio del fidanzato. “Chi manca?” chiese, notando una sedia in più del solito.

 

Nel giro di un secondo comprese senza bisogno di risposta, e un momento più tardi ebbe la conferma quando William Shore fece il suo ingresso.

 

“Buongiorno a tutti!” esclamò entrando e raggiungendo il posto di fronte ad Elisabeth “Suppongo di essere in ritardo. Se non lo sono, posso sempre andarmi a prendere un caffè e tornare”

 

“Tranquillo, sei in un ritardo sufficiente” assicurò Giles.

 

Ma guarda che pagliaccio! Stupida, come aveva fatto a non pensare che finchè collaborava con lo studio avrebbe anche partecipato alle loro riunioni? Chiuse gli occhi, facendosi nota mentale di smettere di essere così distratta. Quando li riaprì, lui era seduto di fronte a lei e la stava osservando. Distolse lo sguardo immediatamente, a disagio nel non riuscire a decifrare la sua espressione, e finse di essere concentrata in quello che diceva Giles.

 

“Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare” stava dicendo, prendendo in mano il plico di rapporti della settimana precedente.

 

Elisabeth avrebbe voluto poter ascoltare sul serio, ma questo le era reso totalmente impossibile dal fatto che quell'egocentrico prepotente la stesse continuando a fissare. Non lo vedeva, ma lo sentiva, e non capiva assolutamente quali diavolo fossero le sue intenzioni considerando che Doyle era allo stesso tavolo.

 

“Abbiamo un nuovo caso, ragazzi” annunciò Giles, attirando l'attenzione di tutti i presenti, tranne due. “La nostra cliente è Darla Simmons. Si, l'attrice. Sta divorziando da suo marito, Angel O'Connor...”

 

“Ma non si sono sposati qualcosa come un mese fa?” commentò Andrew Smiley, un biondino assunto un paio di anni fa.

 

Giles aggrottò la fronte. “Mi aspettavo il pettegolezzo, ma credevo l'avrebbe fatto una delle ragazze.”

 

Andrew si ammutolì arrossendo. “Su, non essere duro col ragazzo” intervenne William “A modo suo ha sollevato una questione interessante, violando la riservatezza della parrucchiera che gli faceva la permanente perchè noi potessimo chiederci: perchè mai una splendida e famosa attrice dovrebbe divorziare dopo un mese di nozze?”

 

“Questo glielo chiederete tu ed Elisabeth quando vi occuperete di questo caso, a partire da oggi” rispose Giles.

 

Fu sufficiente ad attirare l'attenzione della ragazza, che si trattenne per puro orgoglio dallo strabuzzare gli occhi. 'Qualunque cosa succeda, non dargli la soddisfazione di guardare verso di lui' si impose. “Oggi?” limitò a chiederete

 

“La signorina Simmons deve partire per Miami questo pomeriggio, e passerà da voi prima di prendere il volo. La sua assistente chiamerà più tardi per comunicarvi l'orario”

 

“E di cosa si tratta, esattamente?” insistette lei.

 

“Altra ottima domanda che le porrete. L'unica cosa che so è che vuole tenere fuori la stampa, che comunque vi assillerà quindi tenete a mente” passò con lo sguardo dall'uno all'altro “'No comment', il vostro aspetto ora l'aspetto dello studio, per cui William ti consiglio di rifarti la permanente dalla parrucchiera di Andrew”

 

“Oi!” protestò William “I miei riccioli sono naturali”

 

“Quanto lo erano le labbra della mia ex moglie” commentò Giles, prima di cambiare fascicolo “Del caso della rissa nella scuola, invece, possono occuparsene Andrew e Doyle, mi sembra una buona pista per far iniziare il ragazzo...”

 

Giles continuò a parlare, ma ormai non riusciva a seguirlo. Riconosceva i suoi buoni propositi, certo. Diavolo, le stava offrendo su un piatto d'argento un'enorme possibilità di carriera, per quanto la stampa si sarebbe coinvolta nel caso. Ma nel rovescio della medaglia, avrebbe dovuto passare interminabili ore di pianificazione con una persona con cui non desiderava nemmeno condividere la stanza.

 

“... bene, è tutto. Andate e vincete” li congedò lui.

 

Appena usciti dalla riunione, Doyle la fermò prima che andasse in ufficio. “Lizy, tesoro, non ti vedo contenta quanto dovresti...”

 

Elisabeth lo guardò stupita “Che intendi dire?”

 

“Voglio dire,” si guardò un momento intorno, prima di continuare a voce più bassa “Hai tra le mani un caso fantastico. Non lasciare che la sua presenza te lo rovini”

 

Dolce Doyle, preoccuparsi per lei... “Non lo farò, tranquillo” sorrise rassicurante. Il ragazzo le diede un bacio su una guancia, prima di andare verso la propria scrivania.

 

 

 

 

 

Elisabeth riprese a camminare verso il proprio studio, ma questa volta fu raggiunta da un altra persona “Elisabeth!” venne chiamata gioiosamente. Se non lo avesse riconosciuto dalla voce, lo avrebbe fatto per il modo in cui aveva pronunciato il suo nome.

 

Non si voltò e non rallentò il passo “E' proprio necessario?” chiese, cercando di frenare più acidità possibile dal tono.

 

L'uomo rimase interdetto “... se dico 'si' cosa vinco?”

 

La ragazza si fermò di colpo, fulminandolo con lo sguardo “Intendevo io e te che parliamo” sbottò prima di riprendere a camminare.

 

“Beh, si, lo è visto che sei la mia unica assistente” commentò William, cercando di starle dietro.

 

“E quindi parleremo fin troppo da quando avremo la documentazione del caso”

 

“Elisabeth...” la chiamò.

 

Ormai accanto alla porta del suo ufficio, la ragazza si voltòi. “Oh, sono Elisabeth adesso?” chiese sarcastica.

 

William non abbassò lo sguardo, ma prese un respiro prima di continuare, dandole la strana impressione di essere... imbarazzato? Pentito? Forse una via di mezzo. Fece un cenno con la testa verso il suo ufficio “Potremmo entrare un momento?”

 

Elisabeth non distolse lo sguardo, ma allungò il braccio per aprire la porta e lasciarlo entrare. Seguendolo, la richiuse alle sue spalle e vi rimase vicina, mentre lui si spostava verso il centro della stanza. Lo vide osservare per un momento la scrivania riordinata dandole le spalle, e si chiese se provasse lo stesso imbarazzo che provava lei al ricordo di cosa vi avevano fatto sopra.

 

“Allora?” chiese.

 

“Mi rendo conto di non essermi comportato molto bene. Me ne sono andato senza aiutarti a riordinare”

 

Elisabeth sospirò frustrata “Io davvero a volte non capisco se sei un insensibile bastardo, o solo un pessimo comico”

 

William si voltò “L'uno e l'altro” ammise, senza ironia. “In realtà, sono venuto a chiederti di perdonarmi”

 

La ragazza alzò un sopracciglio “Perdonarti per cosa?” chiese prima di pensare.

 

“Quando ci siamo scontrati, venerdì, ti ho detto delle cose che potevo risparmiarmi” iniziò, gesticolando con una mano e guardando più che altro l'arredamento “So di avere un temperamento che a volte risulta... difficile da comprendere, ma se dobbiamo lavorare insieme penso sia meglio per tutti e due se... diciamo, cancelliamo completamente quella giornata, e ripartiamo daccapo” propose, rialzando finalmente gli occhi.

 

Elisabeth ascoltò con attenzione, poi incrociò le braccia al petto “E' facile per te dirlo. Tu non dormi ogni notte con la persona che hai tradito”.

 

“Mi dispiace, ma a questo dovevi pensare prima di farlo” commentò onestamente.

 

“Siamo stati in due” esclamò lei, facendo un passo in avanti ed indicandolo “Il sesso è una cosa che si fa in due. Tu hai tradito Doyle quanto me, e può non importarti nulla, ma non ti permetterò di dimenticarlo, Spike” affermò, pronunciando l'ultima parola con disprezzo.

 

L'uomo passo una mano tra i capelli “Temo tu ti si a fatta un idea sbagliata di come sono fatto. Penso sia meglio che vada. Ero semplicemente venuto a chiederti scusa” lamentò.

 

“Non è a me che dovresti chiedere scusa! E di certo non per 'avermi offesa', non sono un cucciolo spaventato, e non ho certo perso il sonno per un paio di commenti fatti da un rinomato bastardo. Se vuoi chiedermi scusa, fallo per avermi manipolata!”

 

“Non mi pare di averlo fatto, anche se non mi dispiacerebbe” commentò totalmente fuori luogo.

 

“Hai preso informazioni personali su di me” gli ricordò, ignorando i brividi che le risalivano la schiena alle sue provocazioni.

 

William sospirò “Devo chiederti scusa anche per questo. Stavo solo proteggendo gli interessi di Doyle” disse a denti serrati.

 

“Gli interessi di Doyle?” sbottò allibita “Sei in ritardo per questo! È da tre anni che a quelli penso io!”

 

“Pensi forse che dovrei fidarmi di una che lo ha tradito con un uomo conosciuto da due giorni?” chiese sinceramente.

 

“Meglio di uno che ha accettato la sua custodia e poi gli parla tramite la sua segretaria!” lo sfidò.

 

William divenne rosso di rabbia e serrò la mascella, alzando una mano tremante che lentamente si strinse a pugno, mentre tentava di riprendere il controllo. “Tu mi manderai al manicomio”

 

Sostenendo il suo sguardo, ma senza nulla da replicare, Elisabeth allungò un braccio e riaprì la porta accanto a loro.

 

Sentendo qualcuno schiarirsi la voce, i due si voltarono.

 

 

 

Capitolo 7

 

 

Willow stava in piedi oltre la porta, con un'espressione molto imbarazzata sul viso. “V-Vi ho portato la documentazione del caso...” balbettò, allungando due cartelline.

 

William prese la propria “Grazie mille, Rossa” disse, lanciando un ultimo sguardo ad Elisabeth, prima di allontanarsi.

 

 

 

Elisabeth si voltò e camminò la propria scrivania, girandovi attorno per sedersi pesantemente sulla poltrona. Come prima ora del lunedì mattina, iniziava proprio male.

 

L'amica si chiuse la porta alle spalle, e si affrettò a prendere posto sulla sedia di fronte alla sua.

 

“Okay, Will, quanto hai sentito?” chiese, mentre si sentiva morire al pensiero che al posto di Willow, ad origliare, avrebbe potuto esserci Doyle. Doveva essere decisamente più cauta di così.

 

“Abbastanza, devi raccontarmi tutto!” esclamò agitata, evidentemente sconvolta.

 

“Se hai già sentito, cosa dovrei raccontare...”

 

“Beh, ad esempio come diavolo hai fatto a tradire il tuo fidanzato dopo tutto quello che ha fatto per te! Voglio dire, William Shore è indubbiamente bellissimo, ma...”

 

“Ti prego, non rigirare il coltello nella gamba...” piagnucolò Elisabeth, tenendosi la testa come se le dolesse.

 

Prendendo un respiro, l'amica si calmò, e allungò le braccia sopra la scrivania per prendere le mani dell'amica “Liz, ti voglio bene, okay? Non voglio saltarti alla gola” chiarì, più ragionevole “Però voglio bene anche a Doyle, tanto... e non voglio che stia male. E poi, non ti sentivo aggressiva come adesso da quando eravamo a Sunnydale, al liceo...” commentò.

 

“Già, sarà perchè quel bastardo ha investigato su di me e non ha perso tempo a ricordarmi come stavo allora!”

 

La ragazza spalancò gli occhi. “William Shore ha fatto questo? Che bastardo!”

 

“Will!” alzò la testa, sorpresa per l'esclamazione della timida amica.

 

“Scusa...” abbassò la testa “Però... perchè lo ha fatto?” chiese confusa “Ha deciso da un giorno all'altro che vuole diventare padre dell'anno?”

 

Elisabeth sospirò “Non mi importa, voglio solo che passiamo questo processo e lui torni da dove è venuto”

 

“Beh... tu cerca di non farci sesso di nuovo nel frattempo...”

 

“Will!” spalancò gli occhi ancora, per poi accorgersi che l'amica la stava prendendo in giro.

 

Nonostante la battuta fosse di scarsa qualità e certamente fuori luogo, Elisabeth scoppiò a ridere, e l'amica si unì a lei. Per quanto erano conciati male i suoi nervi, avrebbe riso anche a una delle battute di Andrew su Guerre Stellari.

 

 

*****

 

 

Mentre Elisabeth stava nel suo ufficio con la Rossa, William cercò un altro posto in cui sfogare i nervi. Un posto a giusto tre porte di distanza. Trovata quella giusta, l'aprì senza bussare ed entrò nell'ufficio, dandovi un colpo per chiuderla e sedendosi sulla prima poltrona che trovò.

 

“Diamine, William, sono solo le dieci, quale caos puoi aver causato di già?” ironizzò Giles senza bisogno di alzare gli occhi, seduto alla propria scrivania a tre metri da lui, intento a sistemare i file dei nuovi casi.

 

“Era davvero necessario?” lamentò lui.

 

Giles sospirò, comprendendo che non avrebbe potuto lavorare in pace, e si appoggiò allo schienale della poltrona “E' da quando l'ho assunta che so che le interessa il tuo settore, non potevo toglierle una possibilità come questa solo perchè tu ne hai fatta una delle tue, ragazzo”

 

L'uomo più giovane si appoggiò pigramente alla poltrona, tenendosi le tempie con le punte delle dita.

 

“E poi non devi preoccuparti,” continuò Giles “Lei è brava, ha talento e sa non mischiare la vita privata col lavoro. Vedrai, ti sorprenderà” gli assicurò.

 

“Su questo non ho dubbi...” commentò William

 

Quella mattina, quando era arrivato in ufficio, aveva tutte le più serie intenzioni di cercare di sistemare il disastro che sapeva di aver causato. Si era psicologicamente preparato a sacrificare una parte del proprio orgoglio per il bene comune, e dal momento in cui lei aveva aperto bocca, era tutto andato in fumo.

 

La ragazza aveva grinta da vendere, era splendidamente testarda, e quando si arrabbiava gli occhi le si accendevano come smeraldi. Riusciva a distruggere in un secondo la calma su cui lui basava la sua intera esistenza, lasciandolo travolto da un treno carico di frustrazione, lussuria e rabbia. Era arrivato volendo scusarsi, se n'era andato con la voglia di prenderla contro la porta.

 

E di nuovo le aveva detto cose orribili. Era stato meschino ed ipocrita, e lo sapeva nel momento stesso in cui apriva bocca, ma non riusciva a bloccare le parole prima che uscissero, finendo per darle di nuovo una montagna di impressioni sbagliate sul suo conto.

 

La piccola Buffy era una mina vagante intorno a lui. Quel processo sarebbe stato davvero complicato.

 

 

*****

 

 

Diversi minuti più tardi, Willow lasciò l'ufficio di Elisabeth, avvertendola che il primo appuntamento con la cliente era stato segnato per le due. Le chiese se dovesse andare ad avvertire William, ma la ragazza comprese che era necessario trovare un accordo con quell'uomo se voleva sopravvivere al lavoro. Senza alcuna fretta di affrontarlo, lesse e studiò accuratamente la documentazione, finchè non si rese conto di aver aggiunto un orario limite per avvertire William del colloquio. Preparandosi psicologicamente, uscì dal proprio studio.

 

Bussò alla porta dell'ufficio a fianco, temporaneamente occupato da colui che cercava, ma non ricevette risposta. Dopo aver bussato una seconda volta, aprì la porta ed entrò. William non era lì dentro. Sospirò sconsolata, voltandosi per uscire, quando sbattè contro il rigido torace di qualcuno.

 

Alzò gli occhi, d'istinto, e si ritirò. Il proprietario dell'ufficio era tornato, e indossava uno dei suoi sorrisi ambigui. “Cercavi me, Buffy?” la provocò immediatamente.

 

Ricomponendosi dal breve spavento, la ragazza rispose “No, Spike...” lo imitò “Stavo cercando l'avvocato Shore”

 

Il sorriso dell'uomo non vacillò, e compostamente la superò per avvicinarsi alla propria scrivania “Tagliente. Ma vedi, Spike è semplicemente un soprannome di William, non un altra persona. Cosa che temo non si possa dire di Elisabeth e Buffy e per mio parere personale, preferisco la seconda”. Si appoggiò al bordo del tavolo, guardando verso di lei mentre incrociava le braccia con calma.

 

Elisabeth si voltò verso di lui, senza avvicinarsi. “Willow mi ha appena comunicato che il primo appuntamento con la signora Simmons è nel primo pomeriggio, alle due”.

 

William l'ascoltò. Rimase qualche istante in silenzio, prima di parlare “Chiudi la porta” le chiese gentilmente.

 

Comprendendo che aveva capito il motivo della sua presenza lì, Elisabeth la chiuse e si avvicinò alla scrivania, sedendosi su una delle poltrone.

 

“Non sono molto bravo a lavorare con altri, personalmente credo che una coppia di avvocati serva solo a fare più scena ma non sia realmente produttiva. Giles ti ha associata a me perchè tu possa imparare e avere un'ottima occasione di carriera in questo settore, e in questo mi trova pienamente d'accordo, ma preferisco ugualmente condurre le trattative. Capisci cosa intendo?”

 

“Che devo stare zitta se non mi viene richiesto il contrario e non smontare il tuo stupido ego di fronte alla cliente o ai colleghi”

 

William aggrottò la fronte. “Esatto” si bloccò “Ti piace essere sempre tanto acida?” non riuscì a trattenersi.

 

“Solo con te” sorrise lei.

 

“Fantastico. Ne sono onorato” rispose al sorriso.

 

Senza che se ne rendessero conto, nella stanza era calato il silenzio. Nessuno dei due apriva bocca, ma ugualmente non si muovevano. Se fossero stati due normali colleghi, avrebbero iniziato a discutere del caso e di come affrontarlo. Se fossero stati due normali amanti, avrebbero iniziato a fare altro. C'era troppa poca confidenza per parlare seriamente, e ce n'era troppa per parlare inutilmente.

 

Immobili, ad un metro di distanza l'uno dall'altra, Elisabeth pensava che avrebbe dovuto alzarsi ed uscire, William pensava che avrebbe dovuto abbandonare il caso e tornare da dov'era venuto. Ma entrambi avevano un motivo per restare lì fermi. E per entrambi, questo motivo non era quello che avrebbe dovuto essere.

 

Il rumore improvviso di qualcuno che bussava, li ridestò da quel momento di trance. “Avanti” rispose William senza pensarci.

 

La porta si aprì, e Doyle sbirciò dentro la stanza. “Scusate, ho interrotto...”

 

“Affatto” lo accolse William con un sorriso.

 

Doyle entrò di qualche passo nell'ufficio del patrigno “Willow mi ha detto del vostro incontro di oggi. Puoi lasciamela ora, per pranzo?” scherzò, indicando Buffy.

 

“Certamente. A patto che me la riporti puntuale” rispose William sorridendo.

 

Elisabeth celò l'irritazione, le sembrava di essere diventata un'automobile da scambio. “Non ci sono mai state lamentele sulla mia puntualità” disse, alzandosi e raggiungendo Doyle.

 

Il ragazzo la guardò interdetto, mentre lo superava verso la porta. Poi guardò William “Se vuoi venire anche tu...”

 

Ma Elisabeth lo interruppe “Sono certa che abbia altro da fare” sentenziò, quasi trascinando Doyle fuori dalla stanza.

 

Prima che il ragazzo potesse aprire bocca, si voltò a guardarlo tristemente. “Scusami se sono stata scortese” gli disse, prendendogli una mano e guardandola “Ma questo caso occuperà molto tempo e quell'uomo mi sarà sempre intorno. Vorrei che almeno il pranzo restasse un momento solo per noi...” propose, addolcendo il proprio tono.

 

Doyle le sorrise, commosso “Ma certo, tesoro”

 

 

All'interno della stanza, William Shore era ancora fermo come l'avevano lasciato, a guardare un punto fisso verso terra vicino alla porta. Era più che evidente che lei lo odiava. E lui non riusciva a capire se a infastidirlo maggiormente fossero le sue risposte insolenti, o che fosse solo lui a riceverle.

 

 

 

Capitolo 8

 

 

Quando Elisabeth rientrò in ufficio dopo il pranzo, l'ansia la stava consumando. Doyle, premuroso, l'aveva rassicurata dicendole “Tranquilla, lo hai fatto mille volte, non farti innervosire solo perchè questo caso è più in vista”, ma non sapeva che la sua preoccupazione non era il colloquio con la cliente. In qualche remota parte della sua mente, William Shore era ancora un professionista che lei aveva ammirato, e a cui ora doveva dimostrare di essere all'altezza. Non si può mischiare il lavoro con la vita privata. Sperava che lui avesse lo stesso pensiero a riguardo.

 

Dopo aver atteso in ufficio, con la porta aperta per rimanere all'erta, per più di un ora, Elisabeth si avviò confusa verso la reception. “Willow?” chiamò l'amica al banco.

 

“Si?”

 

Elisabeth si voltò a controllare, e confermò che nell'ufficio di William le luci erano ancora spente. “Sai dove sia William Shore? Sono le due e ancora non lo trovo, la cliente dovrebbe arrivare da un momento all'altro...”

 

Willow controllò rapidamente se vi era qualche nota sul banco contenente la risposta, ma scosse la testa “No, se è uscito non ha avvertito nessuno di dove stava andando”

 

Proprio mentre Elisabeth iniziava ad innervosirsi, le porte dell'ascensore accanto a loro si aprirono, e ne uscirono lui e la loro cliente, la bellissima attrice Darla Simmons, che ridevano di qualcosa come se si conoscessero da anni. Senza nemmeno guardarsi intorno, ignorando quindi totalmente sia la reception che la presenza di Elisabeth, William condusse la Simmons nel suo ufficio e chiuse la porta dietro di se.

 

Elisabeth era senza parole. Aveva sentito parlare molto del suo ego e della sua noncuranza dell'etichetta, e ne aveva avuto prove lei stessa, ma qui si scadeva nella non-professionalità!

 

“Tranquilla, probabilmente è solo così pieno di se da non vedere oltre il suo naso. Va a fargli vedere chi sei” la spronò l'amica, dopo aver assistito alla scena. Motivata e furente, ma cauta e professionale, Elisabeth si avviò verso l'ufficio in questione e bussò alla porta.

 

Non attese di ricevere risposta per entrare, ma si sentì subito a disagio una volta dentro. Darla Simmons sedeva ad una delle poltrone di fronte alla scrivania, su cui William era appoggiato con fare troppo amichevole per i suoi canoni, e nel momento in cui era entrata avevano smesso di parlare e si erano voltati a guardarla come se li avesse interrotti.

 

Confusa per un momento su come avrebbe dovuto comportarsi, non fece in tempo a presentarsi che William lo fece per lei, sorridendo come suo solito “Darla, voglio presentarle la mia collaboratrice, Elisabeth Summers”

 

Elisabeth si allungò cortesemente a stringere la mano della donna “Piacere di conoscerla”

 

Darla si limitò a squadrarla dalla testa ai piedi “Mi sembra molto giovane” disse, evidentemente rivolta a William “Devo fidarmi?”

 

Di nuovo, Elisabeth stava per aprire la bocca e difendersi in modo diplomatico ma lui parlò per lei “Lei è qui per imparare, quello di cui deve fidarsi sono io”

 

La donna gli sorrise “Sai che di te mi fido, William”

 

In completo disagio e innervosita dalla situazione, Elisabeth si ritirò compostamente a sedere sulla poltrona accanto alla scrivania, prendendo gli appunti sul colloquio che poi sarebbero serviti loro per studiare il caso.

 

Segretamente, William dovette trattenere un sorriso malizioso al pensiero di quanto la stesse alterando. Qualcosa gli diceva che più tardi gliel'avrebbe fatta pagare, e sarebbe stato divertente. “Perfetto. Dov'eravamo rimasti?” disse, girando la scrivania per sedere al proprio posto. “Ah, già. Elisabeth ed io abbiamo letto tutta la documentazione che ci è stata fornita, ma preferirei sentirla raccontare da lei, soprattutto dal momento che mancano alcuni dettagli. Le dispiace?”

 

Con vero atteggiamento da attrice che sta per entrare in scena, Darla guardò William e iniziò a raccontare. “Io ed Angel O'Connor abbiamo preso una decisione decisamente troppo affrettata quando ci siamo sposati, ma purtroppo ci siamo resi conto che non era la nostra strada” iniziò.

 

“Ve ne siete accorti piuttosto in fretta” notò lui.

 

Darla annuì “Circa un mese e mezzo più tardi, e abbiamo deciso di finirla di comune accordo. Tuttavia, lui pretende l'annullamento, ed il non posso accettarlo. Un divorzio può essere comprensibile, ma annullare il matrimonio mi farebbe apparire come un totale fallimento di moglie, e segnerebbe definitivamente l'immagine di brava donna di casa che uso per promuovermi” spiegò.

 

“Personalmente ho qualche dubbio che gli uomini vengano a vedere i suoi film perchè ammirano le sue qualità di casalinga,”, Elisabeth dovette trattenere un sorriso nel notare la frecciata che l'altra donna non colse. “ma posso comprendere le sue ragioni. Su quali basi il suo compagno chiede l'annullamento?”

 

“Il tradimento”

 

A questo punto, Elisabeth alzò la testa dai suoi fogli. Fortunatamente fu ignorata.

 

William, invece, non si scompose. “Il tradimento non è motivo sufficiente per annullare un matrimonio. Deduco quindi che andasse avanti da prima della cerimonia...”

 

“... e che quindi i miei voti nuziali erano fasulli” terminò Darla per lui. Doveva essersi sentita ripetere quella formula più volte dall'avvocato dell'accusa.

 

L'uomo si limitò ad annuire “E' solo un appiglio che gli avvocati dell'accusa da due soldi ripetono allo sfinimento per cercare di convincersi di avere qualche possibilità. In realtà, provarlo è difficile se non si ha un preservativo usato con incise le vostre iniziali e la data dell'utilizzo”

 

“Da per scontato che sia tutto vero” notò Darla.

 

William sorrise maliziosamente “Lo è?”

 

“La parte sui voti, no. Quella sul tradimento, si” ammise, ricambiando la malizia. “Ma lui non ne ha alcuna prova. È convinto di saperlo per aver notato accenni e comportamenti ambigui, e io non l'ho mai ammesso”

 

“Allora sarà solo una formalità, molto presto potrà tornare ad ancheggiare davanti alle telecamere” Elisabeth roteò gli occhi. “Solo un ultima cosa. Se il signor O'Connor pensa di sapere con chi avveniva il tradimento lo farà chiamare a testimoniare, e sarebbe intelligente se prima ci parlassimo noi”

 

“Lo immaginavo. È Lindsay O'Connor”

 

Questa volta non fu solo Elisabeth ad alzare la testa. William riflettè un momento, prima di parlare col tono più neutrale di cui era capace “Parla del fratello di suo marito?”

 

“Esatto”

 

Per un attimo, un brevissimo e fugace istante, Elisabeth fu certa di averlo visto lanciare un occhiata nella sua direzione. Poi riprese a comportarsi come se quella non fosse che una delle tante stranezze al mondo. “L'ho sempre detto che lo sconto famiglia è una grande invenzione del nostro secolo” ironizzò “D'accordo. Penso che sia tutto per il momento, non è necessario trattenerla oltre”

 

Darla sorrise con i suoi denti bianchissimi “Bene, ho un volo da prendere proprio ora in effetti”

 

“Vuole che le chiamo un taxi?” offrì Elisabeth, incapace di stare in silenzio per un minuto di più.

 

La donna si rivolse a William, come fosse stato lui a domandarlo, e alzò un sopracciglio “I taxi sono sudici. Ma potresti accompagnarmi tu” propose “Sono stanca di viaggiare con autisti sconosciuti che non sanno mettere insieme due parole” lamentò schizzinosa.

 

William sorrise di nuovo “Certamente”

 

“Bene” esultò Darla, voltandosi per un attimo verso Elisabeth ma continuando a rivolgersi a lui “Puoi portarti anche la scolaretta, se vuoi” disse acida, uscendo.

 

Elisabeth si alzò in piedi, trattenendosi a stento dal risponderle furiosa, ma non riuscendo a impedirsi di guardare William con aria omicida. Lui colse lo sguardo e non replicò, prendendo la giacca per uscire. La ragazza fece lo stesso. Gli avrebbe reso il viaggio di ritorno allo studio un vero inferno.

 

 

*******

 

Era a stento riuscita a non fare smorfie, nel viaggio in macchina verso l'aeroporto. Quei due flirtavano come scolaretti in gita, con continue allusioni che nemmeno nei peggiori romanzi rosa avrebbero suscitato il minimo interesse. Ebbe tanta voglia di sbuffare sonoramente quando, accompagnando l'attrice al check-in, lei lo salutò dandosi un bacio sulla mano e soffiandolo verso di lui. 'Gli anni cinquanta sono passati da un pezzo' pensò, roteando gli occhi.

 

Elisabeth non lanciò neppure un occhiata a William mentre camminavano per tornare alla macchina, tra file di turisti pieni di bagagli e famiglie in vacanza, ma lui segretamente rideva. Non aprirono bocca nemmeno arrivati alla macchina, nemmeno una volta entrati, nemmeno dopo aver avviato il motore.

 

Poi, raggiunta la tangenziale, William non resistette oltre. “Su, avanti, so che vuoi farlo” le disse, continuando casualmente a guidare.

 

Elisabeth incrociò le braccia, al limite della sopportazione. “Cosa?”

 

“Sfogarti dell'orgoglio che quella strega ti ha costretta a ingoiare”

 

“Non mi pare proprio tu la trovassi una strega” sbottò sarcastica.

 

Un ghigno solcò il volto dell'uomo “Sei gelosa, forse?”

 

La ragazza si voltò a guardarlo, sentendo i nervi vibrare. “Sei malato” scosse la testa “Le facevi le fusa come un micetto”

 

“Solo se mi coccoli dietro l'orecchio. Invece se mi gratti la schiena potrei scalciare”

 

“E decisamente poco professionale” aggiunse, riprendendo a guardare la strada.

 

“Tesoro, non toccare la mia professionalità”

 

“E tu non toccare il mio orgoglio”

 

“Non so di cosa una come te possa essere tanto orgogliosa”

 

In uno scatto di rabbia si voltò e gli colpì una spalla, due volte prima di fermarsi.

 

“Dannazione, Buffy, sto guidando!”

 

“Il mio nome è Elisabeth!”

 

William afferrò il volante e sterzò bruscamente, sbalzando Elisabeth verso la portiera mentre imboccava in velocità un uscita della tangenziale. Se voleva trovare un modo di farla tacere, ci era riuscito. Non si può parlare coerentemente quando si è aggrappati alla maniglia della portiera nella speranza di non fare un incidente, lieti di aver allacciato la cintura di sicurezza.

 

Dopo qualche secondo, troppi per la paura della ragazza, William arrestò l'auto inchiodando. Tolse rapidamente la propria cintura, aprì la portiera e uscì sbattendola, appoggiando le mani al tettuccio della macchina. Abbassando la testa prese un paio di respiri profondi. Appena pensava di essere riuscito ad includere anche lei nella cerchia di persona perfettamente gestibili, ecco che di nuovo riusciva a farlo andare fuori di testa. Il tentativo di calmarsi fallì miseramente, ed ebbe l'esigenza di tornare a sedersi dentro. Elisabeth non si era mossa di un millimetro.

 

“Penso tu sia la persona più frustrante che abbia mai conosciuto” cercò di riprendere fiato “Ogni volta che apri bocca avrei voglia di-”

 

“Di cosa?” sbottò lei provocandolo, voltandosi a guardarlo.

 

William si voltò verso di lei, fissandola negli occhi, le labbra semiaperte per respirare. In un secondo, le sue labbra erano fuse ardentemente con quelle di lei, la mano dietro la sua nuca per tenerla a se, nel terrore che scappasse.

 

Elisabeth si staccò “No...” lamentò con voce incerta e rotta dalla sorpresa, ma fu ignorata. William l'attaccò con più foga di prima, e il calore bruciante che già avevano provato prese possesso dei loro corpi. Muovendosi rapidamente, allungò una mano verso la maniglia che abbassò completamente il sedile di lei, facendola sdraiare e coprendola col proprio corpo. Di lì a poco le alzò la gonna e le abbassò le mutandine, slacciando i propri pantaloni. Non trovò alcuna resistenza nel farla sua, e questa volta non la provocò con frasi crudeli. Questa volta si godette ogni attimo del paradiso a cui aveva pensato per tutto il fine settimana. E questa volta, i nomi di Buffy e di Spike non furono usati con disprezzo, ma chiamati nel momento di estasi.

 

Poi, lentamente, William tornò al suo posto. Elisabeth riabbassò la gonna lentamente, come se un gesto troppo rapido o evidente potesse far tornare la realtà in agguato, e lo stesso fece William. Rialzando il sedile, la ragazza incrociò le braccia. Non era un segno di austerità o irritazione. Si abbracciava come se cercasse di proteggersi, e William se ne rese conto.

 

Dopo quella che sembrò un eternità, decise di parlare. “Posso dirti che non sapevo chi eri, quando ti ho conosciuta. Non ho cercato di metterti alla prova, è stata solo un'ironica coincidenza”

 

La desolazione nella sua voce le impedì di provare rabbia. “Okay” sussurrò.

 

“Mi dispiace anche aver preso informazioni su di te”

 

Elisabeth annuì. “Okay”

 

Fu per aver sentito un leggero tremito nella sua voce, che William si voltò a guardarla. Vide una lacrima nascere all'angolo del più vicino dei suoi bellissimi occhi verdi. Crebbe, fino a diventare abbastanza pesante da iniziare a scivolarle lungo la guancia, bagnare l'angolo delle sue labbra gonfie di baci, e scendere verso il suo mento. Si aspettava che da un momento all'altro lei alzasse una delle sue piccole mani per raccoglierla, ma non lo fece. Era troppo orgogliosa per ammettere che quella lacrima fosse un'involontaria debolezza. Non aveva mai visto una donna piangere con tanta dignità.

 

Si giurò, lì e in quel momento, che non le avrebbe distrutto la vita più di quanto non avesse già fatto.

 

“Okay” ripetè lui, più a se stesso che alla ragazza, mentre avviava il motore.

 

 

 

Capitolo 9

 

 

"Buffy…"

 

Aveva sperato di poter uscire dall'auto continuando ad ignorarlo, ma evidentemente non poteva. "Non mi chiamerai mai Elisabeth, vero?"

"Non riesco, non mi sembra adatto a te"

"Sai poco di me"

"Sai che non è vero"

Non ribattè di nuovo, prese semplicemente un respiro continuando a non guardarlo. "Cosa c'è?" chiese.

 

Lui si fermò a riflettere, prima di rispondere. "Penso ti sia difficile crederlo, ma io non voglio davvero ferire né Doyle, né te. Fatico a non metterti le mani addosso quando ti vedo, non so cosa sia, c'è qualcosa in te che monopolizza la mia attenzione. Ma mi arrendo. Quando sarà finito questo caso tornerò a New York e, con un po' di fortuna, sarete lasciati in pace. Fino ad allora, temo saremo costretti a lavorare insieme".

 

Buffy ascoltò con attenzione, non pensò nemmeno di interromperlo, tanto era esausta. Si passo una mano sul viso, sospirando per la stanchezza fisica ed emotiva. "Forse è meglio se chiedo a Giles di assegnarmi un altro caso"

William si voltò a guardarla "Confido che tu stia scherzando"

"E se non fosse?"

"Saresti meno intelligente di quello che pensavo"

Al suo sguardo interrogativo, proseguì

"Buffy, credo che tu sia perfettamente in grado di seguire un caso importante per il tuo futuro, mentre ignori me e fai felice Doyle"

La ragazza prese un altro respiro. "... e se non fosse?"

L'uomo la osservò. Alzò la mano con l'intento di poggiarla sulla sua per rassicurarla, ma la ritirò a metà strada. Non era il caso. "Avevi detto che volevi imparare, ricordi?”

Annuì.

“Ti aiuto io a farlo"

Buffy aggrottò la fronte, spiazzata dalla sua affermazione. Forse perchè non era abituata a sentirla, forse perchè era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata da lui e non ne capiva il senso. O forse, perchè si era sentita illogicamente rassicurata. Del resto, poteva andare molto, molto peggio di così. Lui poteva essere realmente il bastardo che Doyle descriveva e sbattersene della situazione in cui l'aveva aiutata a cacciarsi. O poteva girare le carte e far passare tutto come una sua colpa.

Aver ammesso le cose come stavano ed essersi offerto di aiutarla a sistemarle, era forse più di quanto si potesse aspettare.

"Come mi aiuti se devo ignorarti?"

Lui sorrise "Mi inventerò qualcosa"

Questa volta, anche lei alzò lo sguardo. "In questo momento faccio fatica a fidarmi di te. Ma non ho molta scelta"

Lo vide guardarla seriamente, ma con tranquillità “Se può rassicurarti, mantengo le promesse”

 

Non faticava a crederlo. Non rispose. Attese per un minuto di aver rilassato completamente i nervi e prese un fazzoletto dalla borsa, con cui risistemarsi allo specchietto del passeggero. Poi si accorse che William continuava ad aspettarla, lasciandole il suo spazio senza metterle fretta. Richiuse la borsa. “Vorrei evitare di iniziare subito a lavorare insieme”

“Nessun problema” accordò. “Preparati le domande per Lindsay O'Connor, sarai tu ad interrogarlo”

 

Lieta dell'incarico ricevuto, Buffy trattenne uno spiraglio di sorriso e uscì dall'auto.

 

 

*****

 

 

Il giorno successivo, Buffy era seduta nel suo ufficio più che preparata.

 

Aveva impiegato la sera precedente e quella mattina a fare ricerche sulla loro cliente e sul marito, fino ai pettegolezzi che potessero essere correlati al caso e a simili precedenti studiati in università. Solo, non avrebbe saputo dire se voleva eccellere nel suo lavoro o evitare di stare con Doyle. Overgli mentire continuamente non era il modo giusto di affrontare una situazione già sbagliata. Il pranzo insieme era già stato complicato, ma aveva potuto essere silenziosa con la scusa dell'imminente incontro.

Incontro che doveva iniziare da un momento all'altro, ma di nuovo William non era in ufficio. Sbuffò, stufa di quelle pagliacciate. Aveva sentito parlare dei suoi metodi di lavoro non convenzionali, ma dal momento in cui le aveva detto che l'avrebbe aiutata ad affrontare quel caos si aspettava che per lo meno la mettesse al corrente di dov'era quando avevano un appuntamento importante.

 

Un attimo più tardi, sentì bussare al suo ufficio. “Lizzie?” la chiamò Willow.

Buffy alzò la testa “La prima donna è arrivata?” ironizzò nervosa.

Willow sgranò gli occhi, lanciando un occhiata alla scrivania che lei non notò. “Se intendi Shore, no. Ma il tuo appuntamento delle tre ti aspetta, lo faccio entrare?”

“E' qui?” chiese allarmata. Quando William le aveva detto di gestire l'incontro non aveva pensato che intendesse da sola! “Uh, d'accordo... fallo entrare”

 

Attese che l'amica uscisse per lanciare a voce bassa una serie di imprecazioni poco femminili, tolse la giacca con la macchia di caffè ed assunse un aspetto dignitoso. Quando sentì di nuovo bussare, si alzò per accogliere l'arrivato.

Appena aperta la porta si sentì addosso gli occhi del notevole moro davanti a lei, mentre la scansionava in tutte le sue parti come fosse ricoperta di zucchero filato. Non era un buon inizio.

 

“Salve, lei dev'essere Lindsay O'Connor. Piacere, sono Elisabeth Summers” tese la mano nel modo più formale possibile.

Ma il modo in cui lui la strinse di formale aveva molto poco. “Piacere mio, Elisabeth...”

“E' Summers” chiarì cortesemente. “Si accomodi”

L'uomo avanzò con sicurezza verso una delle sedie di fronte alla sua scrivania. Le bastò osservare la sua camminata per inquadrarlo, essere carini e pieni di soldi rende tutti uguali. Trattenne una smorfia, tornando al suo posto.

“Le hanno detto per quale motivo è stato chiamato?” chiese.

“Per via della mia relazione con Darla” rispose, come non ci fosse nulla di cui vergognarsi.

“Esattamente. Lei è già stata piuttosto chiara ma abbiamo bisogno di sentire la sua versione dei fatti”

Lindsey si appoggiò schienale, guardandola con malizia. “Non credo di doverle spiegare come nascono i bambini”

“... Intendevo, ovviamente, come si svolgeva il vostro rapporto per mantenerlo segreto”

“Era molto semplice. Arrivava, veniva, e andava”

Dal suo sguardo, Buffy poteva dedurre che con una frase come quella si aspettava di intrigarla. Aveva la tentazione di scoppiare a ridere. “Dove si svolgevano gli incontri per non essere scoperti?”

“Ovunque” disse a voce bassa “Ma per lo più nella mia villa, o nell'auto mentre cercavamo di raggiungerla”

Non sapeva se essere più divertita dal tentativo di flirt dell'uomo o disgustata dalla sua mancanza di vergogna. “Suo fratello non le ha mai parlato di sospetti?”

“Mai”

“Allora suppongo possa bastare” sorrise, ansiosa di terminare il colloquio.

“Ne è sicura? Non me ne vado mai se la signora non è soddisfatta...” miagolò allusivo.

 

Buffy strinse gli occhi, e stava per sbottare di quanto ne avesse abbastanza di soli dieci minuti trascorsi con le sue allusioni scadenti, quando si aprì la porta ed entrò il ritardatario. Sospirò impercettibilmente per il sollievo.

“Buongiorno ad entrambi, mi scuso per il mio ritardo” si avvicinò solare al cliente, tendendogli la mano “Sono William Shore, avvocato della futura signorina Simmons assieme all'avvocato Summers”

Lindsey strinse la mano con poco entusiasmo.

“A che punto siamo?” chiese, guardando Buffy.

“Avevamo giusto finito”

“Fantastico”, commentò, rivolgendosi al moro “Non vogliamo farle perdere altro tempo, signor O'Connor, può andare” sorrise gioiosamente.

L'interessato si alzò dalla sedia, infastidito dall'intrusione, e Buffy lo scortò verso la porta dell'ufficio chiudendola alle sue spalle.

 

“Come ti è venuto in mente di presentarti con mezz'ora di ritardo?” inquisì Buffy

William si appoggiò con calma alla sua scrivania, sorridendole. “Non ero in ritardo. Sono sempre stato qui”

La ragazza lo guardò confusa “Ti eri mimetizzato con la carta da parati?”

“Ti avevo chiesto di condurre il colloquio da sola. Io ascoltavo dall'interfono che ti ho acceso quando sei andata a pranzo”

Buffy spalancò gli occhi. Guardò la scrivania, notando il piccolo led rosso acceso in quell'aggeggio che serviva a comunicare da un ufficio all'altro e che lei non aveva mai usato, e le si infiammò il viso di imbarazzo.

“Ammetto che mi piace fare la prima donna” inclinò la testa, prendendo in giro i suoi commenti “E, lasciatelo dire, le tue imprecazioni nervose farebbero invidia ad un uomo adulto dopo la sesta birra della serata”

Arrossendo maggiormente, Buffy lo guardò furiosa “Hai ascoltato l'intero colloquio dall'interfono?”

William annuì divertito.

“E per quale ridicolo motivo allora dovevo starci io qiu?”

“Perchè Lindsey è un uomo, e tu una bellissima donna” disse, come se questo chiarisse tutto.

Ignorando il complimento, Buffy continuò a guardarlo in un misto tra furia omicida e incredulità.

William decise di spiegarsi. “Con te si sarebbe certo sbottonato su cose che in mia presenza non avrebbe detto. E così è stato, congratulazioni, ora sappiamo di dover controllare che l'autista della sua limo non abbia riferito nulla di ciò che probabilmente ha visto sul sedile posteriore, o per lo meno sentito”

La ragazza continuava a fissarlo allibita. “Tu...”

“Io?” sorrise innocente.

“Tu mi hai fatto interrogare quel tizio solo perchè sapevi che ci avrebbe provato?!”

“E perchè sapevo che ti saresti difesa egregiamente”

“Questa è una delle cose più umilianti, più irritanti che mi siano mai accadute!” si sfogò.

William continuò a sorridere, senza ribattere. La osservò come se fosse un esperimento interessante, prima di parlare. “Bene. Ho sentito l'opinione di Elisabeth”, confermò. Poi inclinò la testa. “Ora lascia parlare Buffy”

 

La ragazza si ammutolì, colta di sorpresa. Voleva infuriarsi per un commento simile, ma stranamente non fu così. Fu come se qualcuno le avesse tolto un peso di dosso, o avesse aperto il lucchetto ad un portone che non si era accorta di aver sprangato.

Aprì e richiuse la bocca diverse volte, e poi si trovò a dire “E' stato geniale! Quell'idiota non sa nemmeno cosa l'ha colpito, mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere fino ad oggi se si mette a sbavare in quel modo dietro a ogni paio di gambe che incontra. La prossima volta avvertimi, così mi diverto anch'io!”

Si bloccò, rendendosi conto di cos'aveva detto. E rendendosi conto che lo pensava sul serio. L'indignazione sarebbe stata una reazione leggittima a quell'imbroglio, ma non era... da lei. Si rispecchiava molto di più nell'ultimo discorso che le era uscita di bocca.

E William le sorrise orgoglioso, come se lo sapesse perfettamente.

 

“Lieto di sentirlo” le disse. “Ma se posso, preferirei evitare in futuro di dover ascoltare un viscido perdente credere di poterti conquistare con allusioni così patetiche”

Per qualche motivo, quel commento la rese orgogliosa, come aver ricevuto un complimento dal proprio capo. Il che in effetti era proprio quanto era successo, ma le veniva quasi da ridere al pensiero di William come suo capo, ormai.

Lo vide voltarsi per andarsene, e aggrottò la fronte. “Spike? Cioè, Wi-uh, signor-uh...”

Lui si voltò di nuovo, con espressione molto divertita dalla sua confusione. “Si?”

“Non dovremmo organizzarci per l'incontro con l'avvocato del marito?” chiese.

 

William sorrise. La ragazza aveva accettato l'idea che fossero sulla stessa barca. “Nel mio ufficio tra venti minuti?”

“D'accordo” rispose lei.

 

In quel momento tra i due nacque un tacito accordo. Per quanto fosse possibile tornare ad essere semplicemente un grande avvocato e una collega ambiziosa, ci avrebbero provato. Buffo, pensò William, che si fosse guadagnato la sua fiducia ingannandola.

 

 

****

 

 

“Sei tornata tardi, di nuovo”

Doyle si avvicinò a lei all'ingresso, togliendole la giacca e mettendola sull'attaccapanni. Alzò le mani sui suoi capelli e sciolse la coda in cui li aveva legati, passandovi una mano per massaggiarla.

“William ti tormenta così tanto?”

Rilassandosi nelle coccole del fidanzato dopo una lunga giornata a lavoro, Buffy lo abbracciò “No, tranquillo, è solo per quanto è importante questo caso, voglio che sia perfetto”

“E lo sarà. Tutto quello che fai è perfetto” la rassicurò, con un bacio sulla fronte.

“Hey,” sorrise lei “Sei più dolce del solito questa sera” constatò.

“Sarà che mi manchi. Ti vedo quasi solo a pranzo, mentre siamo circondati da un mucchio di sconosciuti, è poco per me”

Buffy lo guardò teneramente “Mi dispiace. Ma alla fine sapevamo sarebbe andata così, quando abbiamo scelto questo lavoro”

 

Doyle la caricò in braccio, facendola ridere, e la portò verso la camera da letto “Già, ma stavo pensando che forse, dopo il matrimonio, potremmo trovarci un posto dove stare più vicino all'ufficio. Così potremo tornare a casa più spesso” l'appoggiò sul letto.

Buffy gli accarezzò una guancia “Tesoro, lo sai che a me piace mangiare fuori... e con quello che guadagneremo potremo permettercelo. E poi, io odio cucinare e tu non sai farlo”

“Si può sempre imparare” si stese accanto a lei “Mi piace la mia donna in carriera, ma mi piacerebbe anche la mia donna che magari ogni tanto prende qualche caso in meno e torna a casa da suo marito” le diede un dolce bacio sulle labbra.

Buffy non riuscì a ricambiarlo. Non era la prima volta che si scontravano con quel discorso, ma per qualche ragione ora il pensiero di limitare il lavoro per stare ferma in casa la metteva in ansia.

 

 

****

 

 

“Siete sopravvissuti?”

“Non mi sembro deceduto”

“Non si sa mai”

“Avevi dei dubbi?”

Giles ci pensò sopra, prendendo un sorso di scotch “Più su di te che su di lei”

“Immaginavo”. William riempì il proprio bicchiere, sistemandosi sulla poltrona e ricercando il punto che fissava sulla vista dalla terrazza “Devo farti una domanda”

“Devi o vuoi?”

“E' equivalente”

“Spara”

William dosò le parole, come se volesse cogliere una sfumatura molto precisa della risposta. “Da dove nasce la fiducia cieca che riponi in quella ragazza?”

“Non lo hai visto da solo?”

“Ne sono quasi certo. Ma ci sono un paio di elementi che potrebbero confondermi”

“Come il sesso e la presenza di Doyle?”

“Come quelli”

Sospirò “Se può consolarti, la seconda confonde anche me”

William si voltò verso l'amico. “Che intendi dire?”

Giles riflettè sulla risposta. “Doyle è davvero un bravo ragazzo”

Il punto buio in lontananza ebbe di nuovo la sua attenzione. “Lo so”

“Ha tutte le carte per diventare un buon avvocato”

“Lo immaginavo”

“Ma se non fosse tuo figlio forse non lo avrei assunto”

William rimase in silenzio.

“Quando sei venuto qui eri un ragazzino infuriato e scaltro, avresti convinto un prete a divorziare da Gesu. Mi sono bastati cinque minuti per capirlo. Doyle è bravo, è intelligente e molto preparato. Ma gli manca... una scintilla, qualcosa che lo muova, che lo renda agguerrito quando serve. È troppo tradizionalista, crede che i buoni propositi e la perseveranza risolvano ogni cosa”

Sospirò. “Immaginavo anche questo. Ma ti allontani dalla mia domanda”

“Su di lei? Beh, ragazzo mio, Buffy ha tante scintille da poterci bruciare tutti quanti”

William si voltò di nuovo, stupito. Non dalla risposta, che quasi era superflua, ma dal modo in cui l'aveva chiamata. Sorrise, e prese un sorso di scotch. “Quasi pensavo non sapessi”

“Non compri un cavallo senza leggere la cartella clinica”

“Già”

“Non cambia niente di quello che penso di lei”

William sospirò. “Già...”

Giles si voltò verso il più giovane amico. “Stai riflettendo sulla mia proposta di restare?”

Sospirò di nuovo. “Sto riflettendo”

 

 

Capitolo 10

 

 

“Pronta?”

“Pronta”

“Bene. Andiamo allora” le sorrise.

 

Buffy prese la propria valigetta, e seguì William fuori dal suo ufficio e lungo il corridoio. Ovviamente questa non era la prima volta che incontrava un avvocato di parte avversa, ma di solito non ci teneva così tanto a fare bella figura.

“Buffy,” la fermò, davanti alla porta della sala d'attesa in cui stava Darla. “Una volta entrati è meglio che conduca io, due avvocati che parlano danno all'avversario un immagine meno stabile del nostro cliente”

“Okay” annuì, concentrandosi sulla porta. Poi si accorse che lui non si muoveva. “Che c'è?”

“Vuoi dirmi solo okay? Niente commentini taglienti?”

La ragazza mise una mano sul fianco, concentrandosi. “Cosa dovrei dire? Se intendi prenderti tutto il divertimento io starò a guardare, mentre studio un modo per avere la mia rivincita”

William sorrise “Era quello che immaginavo”

 

Mentre lui entrava, senza darle il tempo di rispondere, Buffy si chiese perchè insisteva tanto nel provocarla. Gli aveva già provato come diventava se pressata e lui continuava a farlo, lo divertiva tanto quella parte di lei? Quella che ci aveva messo anni a nascondere perchè nessuno la sopportava? Era tanto assurdo, da essere la spiegazione più probabile. Si chiese se lui si rendesse conto di cosa stava facendo e, soprattutto, se lei si rendesse conto delle conseguenze di lasciarlo fare.

Darla era raggiante come se dovesse andare ad una sessione fotografica, e la infastidì dal primo momento che la vide. O dal primo commento da gatta morta che fece al suo collega, se collega si poteva definire, lei aveva sempre odiato le donne smorfiose e manipolatrici, che flirtano per giocare. Quando entrarono nella sala riunioni, quasi sospirò di sollievo al pensiero che finalmente sarebbe stata zitta.

Strinse la mano all'altro avvocato, poi sedette tra Darla e il posto di William, che entrò per ultimo.

 

Vedendo l'avvocato avversario, si illuminò.

“Ethan!” .

Darla si intromise “Vi conoscevate già?”

William rispose sorridente “Ma certo, non è vero amico? Darla, Elisabeth, vi presento Ethan Rayne, un avvocato eccezionale. Pensate che ogni volta che lo batto in tribunale, lui perde con una dignità commovente!” acclamò come se stesse tessendo le sue lodi, tendendogli la mano.

Buffy dovette mordersi la lingua per non scoppiare in una fragorosa risata. William era anche più divertente quando le sue freddure non erano rivolte a lei.

“Shore,” l'uomo gli strinse la mano “Vedo che nessuno ti ha ancora investito con l'auto”

“Ah, che simpatico ometto!” si sedette. Poi si rivolse di nuovo a lui. “Pare che il tuo cliente ti abbia mandato a fare il lavoro sporco tutto da solo” notò la sedia vuota accanto a lui.

“Il signor O'Connor è indisposto”

“Si, capita di essere indisposti quando si ha appuntamento per divorziare”

“In caso non avessi neanche letto la pratica, ti ricordo che noi pretendiamo l'annullamento”

“E in caso non ti ricordassi come funziona, io qui sono quello che deve essere contrario a qualunque cosa dici”

Buffy rimase ammutolita a guardare quello scambio di malvagità, in completa ammirazione di come William riuscisse ad umiliare il suo avversario e a farlo passare per incompetente col sorriso sulle labbra, come se questo fosse il suo passatempo preferito.

Fu ovviamente l'avvocato Rayne a cedere. “Il mio cliente propone un accordo”

“Il tuo cliente ti parla con la forza del pensiero?”

Buffy vide il moro sforzarsi di non controbattere, evidentemente sapeva che non sarebbe servito a nulla.

“E' disposto a concedere alla signorina Simmons la casa in cui hanno abitato”

“Una generosa quanto ridicola offerta, dal momento che con il divorzio la mia cliente avrebbe diritto a quella più metà del suo patrimonio”

Una mossa decisamente astuta per nascondere all'avversario il vero motivo del rifiuto.

“Ethan, non perdiamo altro tempo” proseguì, come se stesse parlando nel suo interesse. “Se non sei venuto a dirmi che il divorzio è accettato, sprecheresti meno tempo ad aprire un chiosco di limonate a Wall Street”

La ragazza osservò il signor Rayne alzarsi dalla sedia e richiudere la propria valigetta.

“Ti farò sapere, Shore” disse.

“L'accompagno all'uscita” si offrì lei.

 

Quando le porte dell'ascensore la separarono da quel tipo, potè finalmente lasciar andare la risata che stava trattenendo. Lavorare non era mai stato tanto divertente come oggi.

Tornò verso la sala riunioni col sorriso ancora sulle labbra, ma sentendo Darla parlare decise di fermarsi ad ascoltare dal corridoio.

“Davvero un ottimo lavoro, William”

“Ti ringrazio, Darla” rispose lui.

“Quando mi hanno parlato di te ho capito subito che saresti stato perfetto per sostenermi” civettò.

“Vorrei rendere chiaro che ti sto difendendo, non sostenendo”

Intuì che Darla doveva essere interdetta, visto l'attimo di silenzio che impiegò prima di rispondere. “Non sono sicura di seguirti, William”

“Darla, intendo lavorare a questa causa con tutti i mezzi che ho a disposizione, perchè questo è il mio mestiere. Puoi stare certa che la vincerai. Ma la mia opinione personale su di te, rimane personale”

“Che cosa intendi dire?”

“Intendo dire che, se avessi maggiore integrità morale, me ne starei alla larga dall'aiutarti a distruggere il poveretto che ti ha sposata e ti disprezzerei”

 

Buffy si sentì come se avesse ricevuto uno schiaffo. Si allontanò di qualche passo quando sentì Darla pestare pesantemente i tacchi per terra, mentre usciva come una furia. Ferita, ma senza mostrarlo, entrò nella stanza. William stava richiudendo la valigetta, sentendola entrare si voltò a sorriderle.

“Non sapevo che ai clienti si potesse parlare in quel modo” disse lei, chiudendosi la porta alle spalle.

“No, se non vuoi rischiare che ti licenzino. Ma sono certo che Darla non lo farà” fece scattare i ganci di metallo e si preparò ad uscire.

“Allora è questo che pensi” aggiunse Buffy.

William aggrottò la fronte. “Come dici?”

“Darla ha tradito il suo fidanzato. Hai detto che la disprezzi”, spiegò. “Pensi la stessa cosa di me?”

La guardò per un lungo momento, prima di rimettere la valigetta sul tavolo e passarsi una mano tra i capelli. Era la prima volta che parlavano, con calma, di quello che era successo tra loro. Dopo essere entrati nella routine lavorativa lo avevano quasi dimenticato.

“No. Non penso la stessa cosa di te” rispose infine.

Buffy abbassò la testa. “Mi chiedo perchè”

“Perchè ti ho vista piangere”

Questo la fece rialzare gli occhi “Tu non sei affatto capace di mentire, vero?”

Tristemente, le sorrise. “Immagino non ti piaccia pensarlo, ma è lì la differenza tra te e una come Darla. Lei non prova alcun rimorso per aver rovinato la vita di una persona che ha giurato di amare per sempre. Tu, al contrario, faresti qualunque cosa per cancellare quello che è successo”

Riflettè sulla sua risposta. Poi incrociò le braccia sul petto “Mi pareva di aver capito che mi disprezzassi ancora prima di quello che è successo”

William sospirò “Buffy, mi dispiace per le cose di cui ti ho accusata nei primi giorni”, parlava guardandola negli occhi, perchè capisse che era sincero. “Sono un avvocato e so ragionare solo da avvocato. Ho scelto una versione della verità e ho interpretato tutto ciò che la circondava per confermarla”

“Hai scelto una versione molto originale” commentò sarcastica. Poi abbassò la testa. “Comunque... nemmeno io sono stata il massimo della cortesia con te. E mi dispiace aver detto quelle cose su come Doyle ti senta solo tramite la tua assistente, non mi riguarda, dovevo starne fuori”

“Come io dovevo stare fuori dalla tua vita”

La ragazza rialzò gli occhi. “Suppongo... che siamo pari, quindi”.

“Suppongo di si”

Buffy annuì, e si mosse per uscire.

“Buffy?” la chiamò.

Si voltò per guardarlo, notando un espressione che non gli aveva ancora visto. “Si?”

“Tu pensi... che Doyle...”

 

Si bloccò quando sentì aprire la porta. Willow mise dentro la testa.

“Liz? Doyle è nel tuo ufficio da un quarto d'ora, si aspetta per il pranzo. Mi sembra un po' abbattuto” riferì all'amica.

“Tranquilla, Rossa, tra un minuto la libero per consolarlo” scherzò lui, prima che tornasse fuori.

Buffy potè guardarlo di nuovo, e rivide la stessa spensieratezza di sempre. Ma in quel momento, in cui era riuscito a dire solo quattro parole, le era parso di aver notato qualcosa di più nella sua corazza.

“Vai, ti aspetta” la congedò.

La ragazza annuì, avanzando verso la porta. Si fermò sulla soglia e si voltò indietro. William era fermo dove lo aveva lasciato, a guardarla come se non si fosse mossa di un passo. Le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti, la giacca abbinata aperta, gli occhi così chiari. Quella frase che non era nemmeno riuscito a finire le risuonò in testa, mentre per la prima volta, guardandolo, le appariva triste. Lo sfondo spoglio di quella grande sala vuota era uno scenario che gli si addiceva più di quanto avrebbe creduto.

 

 

“Tesoro?” chiamò Elisabeth, appena entrata nel proprio ufficio.

Doyle si voltò e le sorrise. Un paio di passi e la potè abbracciare. “Andiamo a pranzo?”

“Certo, ma prima mi racconti cosa succede? Anche Willow si è accorta che eri triste”

“Figurati, Willow si accorgerebbe se è triste anche una formica” disse affettuoso.

Elisabeth si staccò dall'abbraccio “Allora, mi dici o no?”

“Hey, hey...” alzò un sopracciglio “Okay, se devi essere così marziale...” ironizzò.

Buffy colse il segnale e si riscosse mentalmente, ricordando che al suo fidanzato non piacevano i modi sarcastici del suo linguaggio.

“La rissa nella scuola, quel caso che mi ha assegnato Giles insieme ad Andrew. Il mio cliente ha piantato un coltello nella mano del ragazzo dell'accusa e non fa neanche finta di esserne pentito. Mi sta snervando”

“Mi dispiace, tesoro, purtroppo dovrai fare spesso cose del genere” gli mise una mano sulla spalla per sostenerlo.

Doyle le cinse la vita con un braccio e i due si avviarono all'esterno, verso l'ascensore.

Passarono accanto alla reception di Willow che li osservava, l'amica aveva perso parte del proprio rispetto per Elisabeth e lei lo sapeva, come sapeva che doveva essere difficile per lei mantenere il segreto visto quanto si era affezionata a Doyle, ma era molto gentile a non farglielo pesare.

Prima di entrare in ascensore, Elisabeth si voltò di nuovo, sorpresa di trovare un altra persona ad osservarli.

Si chiese di nuovo cosa volesse dire quella frase che nemmeno aveva terminato, si chiese anche se lo avrebbe mai scoperto ma qualcosa le diceva di si.

William era nel suo ufficio ora, appoggiato alla sua scrivania e rivolto verso di loro da grande distanza. Il suo sguardo, attento e perso nel vuoto allo stesso tempo, non si distolse. No, perchè lui non faceva niente che non volesse davvero fare e quindi non aveva bisogno di nascondersi, né se si trattava di una battuta, né se si trattava essere scoperto a guardare qualcosa che non avrebbe dovuto.

Le sembrò triste, per un attimo, che lui dovesse rimanere lì a pranzare solo.

 

*****

 

 

Fu sufficiente attendere fino a quel pomeriggio.

Alle due, Buffy era rientrata in ufficio e aveva ripreso a sbrigare il proprio lavoro. Entro breve, William si era unito a lei e avevano iniziato a progettare come comportarsi in tribunale, dato che apparentemente lui era certo che il caso si sarebbe risolto lì.

“Abbiamo le risposte dell'autista?”

“Le ho qui”

“Quelle dell'amante?”

“Anche”

“I recapiti dei testimoni di nozze?”

“Tutti contattati”

“Credi che se regalassi a Doyle i biglietti una partita di hockey, verrebbe a vederla con me?”

Buffy alzò gli occhi dai moduli, ammutolita. Ebbe il dubbio di aver sentito male e la sensazione di aver sentito giusto.

 

“Come dici?”

“Ho chiesto se pensi che a Doyle possa far piacere venire con me a vedere una partita di qualche tipo di sport” ripetè.

Nella confusione più totale, Buffy lasciò i documenti sulla scrivania accanto a se e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, guardandolo attentamente.

“Avevo sentito bene” aggrottò la fronte.

“Allora perchè hai domandato?”

“Perchè non ci credevo”

William sorrise, con quel suo costante sorriso che voleva dire tutto e niente. “Vuoi rispondermi?”

Era diventato matto? “Ancora non lo so” disse titubante.

“Se tieni la fronte così tesa ti verranno le rughe” aggrottò la sua.

“Correrò il rischio”

“Perchè continui a sviare la domanda?”

Buffy riflettè, osservandolo. “Sto cercando di capire come diavolo è il tuo carattere”

William inclinò la testa. “Forse dovresti chiedermelo”

 

La semplicità e, soprattutto, la serietà della sua risposta la stupirono. D'un tratto si rese conto che lei non sapeva assolutamente nulla dell'uomo che aveva davanti, nulla che non fosse stato filtrato dai racconti di qualcun altro o dai propri ormoni. Pensò un momento, prima di parlare.

“Io non ti ho mai chiesto cosa pensi di Doyle” disse, tra la domanda e l'affermazione.

“Non l'hai fatto” confermò lui.

“Posso chiedertelo ora?”

William sospirò “E' una storia molto lunga, per le sei di sera”

Buffy lo guardò, senza rispondere.

“Magari domani” aggiunse lui, un momento dopo.

 

La ragazza non rispose, ma con un cenno lasciò intendere che ci contava. William lo colse e rispose con un sorriso. In seguito a un minuto di silenzio, decise che era ora di tornare a casa. Raccolse le proprie carte lentamente, per non rompere l'atmosfera causando rumore, mentre la sua testa veniva invasa da domande. Lui voleva davvero passare del tempo con Doyle? O era un trucco o un colpo di testa? Aveva idea di cosa potesse significare tentare di tornare nella sua vita in quel momento? E se poi si fosse stancato e se ne fosse andato di nuovo? Ma, soprattutto, Doyle cosa ne avrebbe pensato?

Arrivò fino alla porta, prima di voltarsi.

“Basket”

William non ebbe bisogno di alzare gli occhi, perchè la stava già guardando. “Come dici?”

Buffy sospirò, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta. “A Doyle piace il basket”

“Grazie. Prenderò i biglietti” rispose. “Mi racconteresti... qualcos'altro che gli piace?”

“Si” annuì “Domani”.

Si guadagnò un sorriso “Domani”

Capitolo 11

 

 

 

“Tesoro, oggi mi è successa una cosa molto strana...”

 

Si erano appena seduti al tavolo del ristorante all'angolo, per il consueto pranzo insieme. Elisabeth aveva notato la sua tensione durante il viaggio, ma non aveva detto nulla, perchè ne conosceva bene la causa.

“Che cosa, amore?”

“William mi ha chiesto di andare a vedere una partita di basket, questa sera”

“Uh, fantastico” tentò di apparire disinteressata mentre leggeva il menù.

“Fantastico?” pensò, confuso. “Beh, certamente è tante cose, ma fantastico non direi...”

Alzò gli occhi verso di lui “Perchè? Non sei contento?”

Doyle riflettè un istante. “Non ne ho proprio idea. Suppongo di si, ma a dire il vero... cioè, è un po' come se me l'avesse chiesto il signor Giles...”

Elisabeth aggrottò la fronte e posò il menu sul tavolo. “Ma che dici?”

“Intendo che non è come se io e William fossimo sul serio padre e figlio... non capisco cosa vuole dimostrare”

La ragazza scrollò le spalle “Ci sono persone che si svegliano tardi. Magari si è reso conto che tu sei l'unica famiglia che ha”

“Beh, è un po' tardi per questo, non ti pare?”

Il tono di lei si fece più serio “Magari anche tu dovresti renderti conto che lui è l'unica famiglia che hai”

Doyle le sorrise “Lui non è l'unica famiglia che ho. Io ho te”

Accettando la mano che le porgeva attraverso il tavolo, gliela strinse “Tesoro, io e te siamo una coppia, non una famiglia”

“Questo è un problema a cui porremo presto rimedio” sorrise di nuovo.

Trovandosi a disagio, riprendè l'argomento. “Secondo me dovresti dargli una possibilità”

Lo vide aggrottare la fronte. “Tu che mi proponi di dare una possibilità a lui? Sei sicura che sia la mia Lizy a parlare?”

Di nuovo a disagio, lo ignorò. “Ci ho lavorato molto ultimamente. Ha un carattere insolito, ma è una buona persona alla fine” affermò.

“O così vuole apparire” commentò lui.

“O così vuole apparire...” ripetè “... E ci riesce. Esci con lui venerdì, il peggio che può accadere è che ti confermi quello che già sai sul suo conto. Invece, se va bene, non credi sarebbe molto bello?”

“Si, probabilmente...” sospirò “Hai ragione. Ci proverò. Lui non ti ha detto niente in questi giorni?” chiese.

“No, parliamo solo di lavoro” finse egregiamente. “Ma se vuoi, gli parlerò” si propose.

“No... no, non fa niente. Proverò e vedremo come va, d'accordo?”

Gli sorrise per rassicurarlo “D'accordo”

 

 

******

 

 

Al ritorno dal pranzo, Buffy salutò Doyle con un bacio sulla guancia e si avviò verso il proprio ufficio. Stupidi tacchi, stupido vestito da lavoro. Si chiese quand'era stata l'ultima volta in cui aveva avuto il tempo di fermarsi a notare qualcosa di così futile come la scomodità del proprio abbigliamento. La risposta era scontata quanto il finale di un romanzo rosa.

Lasciandosi andare sulla propria poltrona, alla scrivania, si chiese per quale motivo ricominciava a pensarci proprio ora. Una persona pensa alle cose inutili quando ha il tempo e la tranquillità per farlo, la mente abbastanza sgombra da permetterlo. Fu sorpresa nel rendersi conto che era proprio questo che lei era, tranquilla e con la mente relativamente sgombra. Si chiese dov'era finito il senso di colpa lacerante, i dubbi o anche solo l'ansia di fare bella figura col capo. In qualche modo, che ancora non riusciva a comprendere, si erano volatilizzati nel momento in cui Lui aveva mostrato di essere umano, quasi una brava persona, nei suoi mille piccoli e non celati vizi. Forse questo la faceva sentire giustificata a...

 

“Toc toc” disse Lui facendo capolino dalla porta, distogliendola dai suoi pensieri.

“Chi è?” giocò lei.

“Un uomo bellissimo, ricco e incredibilmente dotato” entrò, sicuro come se fosse casa sua.

Alzò un sopracciglio “Non pensi di sopravvalutarti?”

“Ma se non ho neanche accennato all'essere il miglior avvocato del paese? Tieni” appoggiò una tazza sulla scrivania e si sedette, mettendosi a suo agio “Il caffè del piano di sotto è orribile, ho pensato di portartene uno decente”.

“Oh...” prese la tazza, sorpresa. “Grazie, sei stato gentile”

“Era tra le qualità che non ho ancora elencato” sorrise, mostrando i denti bianchi.

Buffy rise.

“Allora, dov'eravamo rimasti?” le chiese.

“Mmh, non abbiamo ancora detto nulla...” notò confusa.

“Prima che Doyle venisse a chiamarti per il pranzo, mi stavi raccontando di quelle volte in cui ti ha trascinata a vedere le partite di basket e del tuo onorevole sforzo nel far finta che ti interessasse”

“Oh, okay, adesso ricordo, era...”

“A proposito, lo sapevi che la Rossa è innamorata di lui?” interruppe.

 

“Cosa?!” spalancò gli occhi e si versò addosso il caffè. Si guardò la camicetta macchiata “Dannazione!” poi alzò di nuovo gli occhi “Spiegati!” intimò, mentre si alzava per andare verso la libreria a cassetti contro la parete.

“Non ti sei accorta quanto è arrabbiata con te da quando ci ha scoperti?” si allungò a prendere la tazza e bevve un sorso del caffè restante “E vi fissa tutte le volte che uscite come se volesse ucciderti”

“Come fai a raccontarmelo come se fosse il pettegolezzo della giornata?!” lamentò, frugando nel cassetto.

Lui scrollò le spalle “Non te ne importa tanto quanto vuoi farmi credere”

Buffy si voltò a occhi stretti “Credi che non mi importi se la mia migliore amica è innamorata del mio fidanzato?”

“Non è la tua migliore amica. Se lo fosse è con lei che passeresti le pause, non con me” aggrottò la fronte “E' una camicetta quella che tieni in mano?”

“E' la camicetta di scorta. E io le pause le passo con te perchè lavoriamo!” affermò, iniziando a sbottonarsi.

“Le pause le passi con me perchè ti diverto. E-” si bloccò appena intravide il reggiseno di pizzo, “E... e hai intenzione di cambiarti qui?”

Lei lo guardò furente. “Non c'è niente che tu non abbia già visto, non metterti a fare lo schizzinoso” mise la camicia pulita.

“Schizzinoso?” la guardava come fosse ricoperta di panna e lei dovette trattenere un ghigno “Stai forse cercando di uccidermi? Lo sai che a trentotto anni potrebbe anche venirmi un infarto?”

Finendo di rivestirsi, lo guardò confusa. “Trentotto? Ma se Doyle ne ha ventiquattro...”

“Devo ricordarti che non è mio figlio naturale?” alzò un sopracciglio.

Tornò a sedersi “Si, ma...”

“Una cosa ci ha accomunato. Alla sua età avevo anche io una passione per le donne più mature di me” sorrise.

Buffy colse l’allusione, ma scelse di ignorarla. “Tanto più matura da avere un figlio di nove anni quando tu ne avevi...”

“Ventitrè”

“Pensi di lasciarmi finire almeno una frase nel resto della giornata?” sbottò frustrata.

“Chiedo perdono” alzò le mani “Sono nervoso, oggi. È per stasera”

“Me ne sono accorta” commentò. Ci fu un secondo di pausa, in cui entrambi ripresero fiato. Fu lei a riprendere la conversazione. “Solo ventitrè anni?” chiese.

William sospirò “A quel tempo non sembravano così pochi”

Buffy lo osservò attentamente, cercando di immaginare come dovesse essere stato ma senza riuscirci. Sul suo viso era tornata quella leggera ombra di profondità che aveva visto in lui il giorno prima ed era più che determinata ad approfittarne.

“Ora vuoi raccontarmi cosa pensi di Doyle?”

Lo vide sospirare “Dovremmo lavorare”

“Cazzate” sbottò “Perchè riesci a dirmi che sei attratto da me e non riesci a parlarmi del tuo disastro di famiglia?”

“Riesco a parlare di entrambe le cose, ma della prima lo faccio più volentieri” sviò con un complimento.

“Beh, fai uno sforzo” disse risoluta.

William sorrise. Anche nella più scomoda delle situazioni, trovava un motivo per essere intrigato da lei.

“Quando sono diventati affari tuoi?” chiese, curioso di come gli avrebbe tenuto testa.

Buffy si appoggiò allo schienale della poltrona. Ormai aveva imparato a capire quando era arrabbiato e quando stava giocando, ma soprattutto aveva imparato a giocare con lui.

“Quando mi hai chiesto consigli per riallacciare i rapporti con il tuo figliastro”

“Tu vuoi tutta la storia, non è così?”

“Completamente”

“Perchè?” le sorrise di nuovo.

“Tu raccontami la storia, poi ti racconto perchè volevo saperla” propose.

William sembrò rifletterci. “D'accordo”

 

Buffy si alzò, girando intorno alla poltrona per andare a sedersi su quella accanto a William. In qualunque modo lui avrebbe tentato di sdrammatizzare quel racconto, era comunque troppo intimo per ascoltarlo con un tavolo di mezzo. William attese che lei fosse seduta, prima di iniziare.

“Drusilla Stevens, la madre di Doyle, era una donna meravigliosa. Ed era anche una cagna come al mondo non dovrebbero essercene, ma quando l'ho conosciuta non me ne sarei accorto neanche se l'avessi visto” disse, senza staccare per un attimo gli occhi da quelli di lei. “Aveva un figlio, che io non avevo mai visto e che lei non era interessata a mostrarmi, quindi preso dal mio piccolo nido d'amore, ne ignoravo l'esistenza”.

Raccontava con un tale distacco che era come se quelle cose fossero avvenute a qualcun altro. Lei, comunque, ascoltava con attenzione.

“Poi lei ha voluto sposarsi e io mi sono detto 'ragazzo, hai ventitrè anni e una donna bellissima vuole passare la sua vita insieme a te, devi anche fermarti a pensarci?'. Così l'ho fatto, tanto stupido da esserne anche convinto. Non ha aspettato neanche un intero anno, prima di lasciarmi e dirmi 'hey, tra quei documenti che hai firmato per il matrimonio c'era anche l'adozione del ragazzo. Congratulazioni, è tuo ora'”

Dovendosi sforzare per non rimanere a bocca aperta, Buffy comprese che, a dispetto della noncuranza con cui raccontava, doveva averne sofferto in modo indicibile. Le si strinse il cuore al pensiero di una simile cattiveria, nemmeno lei nei suoi anni peggiori ne sarebbe stata capace.

“Non lo avevo visto che un paio di volte. In ogni caso aveva l'età per essere quasi più un fratello che un figlio, senza contare che ero troppo giovane per sapere cosa significasse prendersi una responsabilità simile. Non ne ho idea neppure adesso” rise, con poca ironia. “Ma sapevo che avrei potuto almeno garantirgli un futuro sicuro, con i soldi che guadagnavo. Poco, ma meglio di niente” sospirò “Ecco. Ora sai tutta quanta la storia, comprese le parti a cui lui comunque non crederebbe” le sorrise.

“William...” lo chiamò.

“Si?”

L'ipotesi che le era balenata in mente era azzardata, ma più ci pensava e più la sentiva probabile.

“Non ti ha chiamato Giles per aiutarlo con questo caso, vero?”

Il sorriso dell'uomo si estese. “No, non l'ha fatto”

“Sei voluto venire tu?” chiese di nuovo.

“Sono voluto venire io”

Buffy inclinò la testa. “Perchè?”

“Doyle mi telefona, mi dice che così giovane sta per sposarsi con una donna più grande di lui. Sa di storia che si ripete, non ti pare?” si giustificò.

“E se anche fosse stato?” contestò “Ti importava davvero?”

William inclinò la testa a sua volta. “Credevi sul serio fossi un egoista bastardo che ha lasciato la sua famiglia?”

Buffy lo guardò. Si, l'aveva creduto. “Senza battere ciglio”

Non le rispose a tono. Dalla sua reazione, capì che per lui non era una sorpresa. Sorpresa che invece ebbe lei, quando riaprì bocca. “Perchè non hai detto tutto a Doyle?”

Impiegando un secondo per capire di cosa stesse parlando, dato che ormai era l’ultimo dei suoi pensieri, sospirò. “Avrei dovuto abbatterlo per essere in pace con la mia coscienza? No, non se lo merita”

Alzando una mano, le accarezzò una guancia. Buffy dovette lottare per non chiudere gli occhi. “Brava ragazza” le disse.

“Perchè...” aggrottò la fronte, raccogliendo i pensieri mentre cercava di ignorare il brivido che l’aveva percorsa sentendolo toccarla. “Perchè non volevi raccontarmi quelle... quelle cose che mi hai appena raccontato?”

Lo sguardo di William divenne mortalmente sincero. “Perchè per te era più facile, se io ero solo un egoista bastardo che ha lasciato la sua famiglia senza battere ciglio”

E qui Buffy chiuse gli occhi, desiderando non avergli posto quella domanda e non aver sentito la sua risposta.

 

Si, per lei sarebbe stato molto più facile crederlo così. Molto. Come sarebbe stato facile continuare a ripetersi che l’attrazione che provava per lui era solo fisica. Se avesse incontrato prima lui di Doyle, avrebbe fatto differenza? Ne avrebbe fatta tanta. Ma senza Doyle lei non sarebbe stata quella che era. E questo aveva importanza? Le parole e il tono che William aveva appena usato le dicevano che l’attrazione non era puramente fisica nemmeno per lui e, di questo era certa, lui non provava qualcosa per la brava e cortese ragazza che mostrava. Lui provava qualcosa per Buffy.

Ma lei ora non era più Buffy. Era Elisabeth. Giusto?

 

Si riscosse quando lo sentì alzarsi e riaprì gli occhi. Lo vide andare verso la porta, voltarsi un momento prima di uscire.

“Adoro quella camicetta. Non dovresti tenerla come scorta”

Buffy provò più che soddisfazione.

“Sp-William?” lo chiamò.

Lui si voltò, in attesa.

“Non volevi qualche consiglio per stasera?”

Nel momento stesso in cui parlava, fu colta da un senso di deja-vù. Era diventato quasi usuale che lei trovasse una scusa per farlo restare, chiamandolo mentre usciva. Si chiese se anche lui se n’era accorto.

Lui le sorrise. “Ti dirò com’è andata”

 

 

****

 

 

"No, no, no. Sono troppo esausto per raccontare ora" lamentò Doyle, rientrato in casa, mentre Elisabeth gli saltellava intorno ansiosamente.

"Tesoro! Sono rimasta chiusa in casa tutta la sera per l'apprensione, esigo di sapere com'è andata!" la buttò sul ridere anche se la tensione c'era stata sul serio.

Doyle la salutò con un bacio su una guancia “E' andato tutto bene”

“Bene? E quando mai 'Bene' vuol dire qualcosa? Mi servono più dettagli!” gli strattonò un braccio.

“Sono stanco morto, niente dettagli” mugugnò, prendendola in braccio e caricandosela su una spalla.

“Hey!” protestò “Sei sleale!”

Doyle si strofinò il viso con la mano libera e andò verso la camera "Allora, se giuri di non svegliarmi presto domani, ti racconto tutto nei dettagli"

"Ma io voglio saperlo adesso!" piagnucolò, mentre veniva scaricata sul letto.

"E cosa mi dai in cambio?" scherzò allusivo.

Lei si bloccò. Non ne capì il motivo, ma in un attimo il gioco e l'interesse avevano lasciato campo libero al vuoto totale. "I-io... uh"

Doyle aggrottò la fronte, confuso. "Hey..." le si avvicinò, accarezzandole una spalla "Stavo solo scherzando"

"Si, certo. Scusami ma sono stanca morta anche io. Ora vado a farmi una doccia" si alzò dal letto e si diresse verso il bagno.

"Quando torni probabilmente starò già dormendo" commentò lui, crollando.

 

 

 

Mezz'ora più tardi, Buffy era sdraiata sul letto ad occhi aperti.

Non doveva farsi una doccia per davvero, era solo rimasta chiusa in bagno nei dieci minuti che servivano a Doyle per crollare in un sonno profondo, poi era tornata a letto a fissare il soffitto finchè non fosse arrivato il sonno. Sonno che non arrivava, vista la miriade di pensieri che non accennavano a starsene zitti e la testa che le scoppiava come se fosse abitata da due voci che litigavano tra loro e non volevano renderla partecipe.

Lo squillo del telefono la fece imprecare ad alta voce.

Allungò il braccio sul comodino e afferrò la cornetta, ponendo fine a quell'incessante suono fastidioso.

“Mamma, ti prego comprati un orologio...”

“... Sono stato chiamato in tanti modi, ma devo ammettere che questo ancora mi mancava”

 

Spalancando gli occhi, sentì il cuore prendere a batterle tanto forte che le venne paura di svegliare Doyle.

“Un attimo” sussurrò. Correndo in punta di piedi e con la rapidità di cui solo una donna è capace, fece cambio telefono per prendere la chiamata dal salotto, dove non c'era rischio di essere sentiti. “Spike?” chiese.

“Non lo so, amore, mi hai fatto venire una crisi di personalità”

“E tu un infarto. Non sapevo neanche che avessi il numero!” esclamò sottovoce.

“Gli archivi che Giles tiene nella sua scrivania sono molto utili, a volte”

Buffy si trattenne dal ridere, le pareva quasi di vederlo scrollare le spalle con noncuranza. “Perchè hai chiamato?”

“Ti ho promesso che ti avrei raccontato come andava”

“Ma... pensavo lunedì mattina”

“Perchè aspettare? Io non ci sarei riuscito, sono contento come un adolescente uscito dal suo primo appuntamento”

Rise di nuovo “Spero non si sia concluso con un bacio sulla porta”

“... Hai appena descritto un'immagine che passerò il resto della vita a cercare di dimenticare”

“Beh, sono contenta che sia andata bene. Lui non mi ha voluto raccontare niente, ha detto di essere stanco ed è andato a dormire” raccontò.

“E tu non sei stanca?”

Buffy fece una smorfia “Ho passato la sera in casa ad aspettare voi e sono solo le undici, ce ne vorrà tanto prima che prenda sonno”

“Oh, ma che brava ragazza di casa...” la prese in giro.

“Ha parlato il papà modello” rispose allo scherzo.

Lo sentì ridere, non poteva descrivere la soddisfazione che provò. Dovette attendere, prima di avere una risposta.

“Non riesco a dormire nemmeno io” le disse. “Che ne diresti di uscire a prendere qualcosa da bere?”

La ragazza trattenne il respiro. “Vuoi dire adesso?”

“Lo hai detto tu che sono solo le undici”

“Si, ma...” si fermò. Non sapeva neanche lei cosa stava per dire.

“Ma cosa? Ti ho chiesto di uscire, non di fare sesso. Cioè, se per caso dovesse--”

“Hai appena passato la sera col mio fidanzato” lo ammonì, stando allo scherzo.

“E che problema c0è? Ho ancora energie per farmene due in una sera”

La fece ridere di nuovo. “D'accordo, d'accordo. Dammi mezz'ora e arrivo... arrivo dove?” chiese.

“Vieni all'Hilton, infondo alla strada dello studio”

“Vivi in un Hotel?” chiese sbalordita.

Gli parve di vederlo sorridere, come quando riesce a incuriosirla “Non è solo un Hotel, è un Signor Hotel”

“Va bene, va bene... Lì tra mezz'ora” chiuse lei.

 

Appena agganciato il telefono, Buffy corse in camera, tentando di fare il meno rumore possibile mentre sceglieva cosa mettersi.

“Di nuovo tua madre...” sentì sussurrare. Le gelò il sangue nell'attimo in cui pensò che Doyle fosse sveglio. Con un rapido controllo, si rese conto che era solo in dormiveglia e potè sospirare di sollievo.

“Uh, si... si, non ti preoccupare torna a dormire” lo rassicurò.

Attese di sentirlo respirare regolarmente, prima di continuare a vestirsi. Si stava comportando come una ragazzina e lo sapeva perfettamente.

Ma non aveva voglia di smettere adesso.

 

 

 

Capitolo 12

 

 

 

Non era mai stata il tipo da 'Oh-mio-dio-cosa-sto-facendo-ma-intanto-lo-faccio-lo-stesso' e fu coerente con se stessa nel non diventarlo ora. Avrebbe voluto, per una volta, prendersi il lusso di recitare la parte della ragazza innocente, indotta a comportarsi male dall'uomo cattivo, ma sarebbe stato così poco da lei.

Perfettamente puntuale, si prese un minuto davanti all'entrata dell'albergo. Se non poteva pensare 'Dio-cosa-sto-facendo' allora cosa le era concesso? Del resto, stava andando da William mentre aveva lasciato Doyle a dormire a casa. Certe cose aveva giurato di non farle più. Ma magari, per una sera...

Entrò con passo sicuro nel locale del piano terra, lieta che fosse popolato come qualunque pub del venerdì sera, e impiegò meno di un secondo a vedere William, seduto su uno sgabello del bancone, che chiacchierava col barista. In jeans. E camicia blu. Niente giacca e cravatta. Se lo trovava sexy prima, ora andava trascinato nel bagno e gettata la chiave.

Si avvicinò a lui, decidendo di arrivargli alle spalle, per non rendere nota la sua presenza e sentire di cosa stava parlando.

“E la tua signora com'è, Will?” chiese il barista.

“Una forza della natura, ragazzo. Peccato non sia la mia signora” disse, prendendo un sorso di qualcosa dal suo bicchiere.

Il ragazzo, alzando gli occhi, la vide. Sorrise. “É per caso è bionda, bellissima e in piedi dietro di te in questo momento?”

Quasi le sembrò di vedere il sorriso divertito sul volto di William, un momento prima che si voltasse a mostrarglielo apertamente. “Buonasera, amore”

Rispose candidamente al suo sorriso. “Non sono venuta per fare sesso”

Lo vide alzare un sopracciglio, un attimo prima di ridacchiare. “Danny, per favore, porta altri due di quello che ho preso io” disse senza voltarsi, per farlo allontanare. “Okay, amore. Devi chiarire qualcos'altro o possiamo sederci in un posto più comodo?”

Buffy finse di pensarci su. “Mmh, no. Direi che era tutto qui”

“Mi è concesso flirtare?” chiese, alzandosi.

“Moderatamente” scherzò.

Lui ridacchiò di nuovo. “Vieni”

 

Sentendosi immediatamente più tranquilla per il suo fare autoritario, simile a quando erano in ufficio, Buffy lo seguì tra le file di tavoli che circondavano la pista da ballo. Comprese da cosa derivava la stretta allo stomaco che aveva provato appena entrata nell'albergo e si diede della stupida, per non averlo immaginato subito. La differenza fondamentale tra l'adesso e tutte le volte in cui aveva visto William in studio, era che ora lui era qui per lei, lei si era vestita di fretta alle undici di sera per andare dalui, non c'era impegno di lavoro o contrattempo che potesse reggere come scusa. E ora lei era lì e, senza riuscire a smettere di vantarsi con se stessa per gli sguardi invidiosi delle donne in sala, lo seguiva avvolta da una musica lenta e quieta, che l'aiutò a rilassarsi. Appena si sedettero, ai lati opposti del tavolo, i suoi occhi si allacciarono a quelli di lui.

William rimase in silenzio, percorrendola con gli occhi come se fosse una stella.

“Sei qui” constatò.

Buffy inclinò la testa “Sono qui. Avevi dubbi?”

“Ne avevo tanti” ammise.

Il cameriere si avvicinò al tavolo, appoggiandovi sopra due bicchieri di vino rosso ed allontanandosi discretamente.

“Ti facevo un tipo da Scotch” constatò lei guardando il bicchiere, “Come Giles” scrollò le spalle.

William rise “Molto intuitiva. La verità è che lo Scotch è riservato alle serate con Rupert nel terrazzo del suo ufficio. Al di fuori di quello, mi affido ai consigli dei ragazzi al bar”

“Questa volta è andata bene” confermò, dopo aver assaggiato il vino. “Allora,” iniziò “Sto aspettando il racconto di stasera”

“Dimmi prima una cosa,” sviò “Hai davvero passato il tuo venerdì sera in casa ad aspettare che io e Doyle tornassimo?”

Buffy annuì “Pare che io abbia tanti amici quanti ne hai tu. Giles a parte”.

“Come sai se non ho amici?” le sorrise incuriosito, portando il bicchiere alle labbra.

“Oggi mi hai detto che se Willow fosse davvero mia amica passerei le mie pause con lei”

“E' vero” ammise.

La ragazza scrollò le spalle “Lo stesso vale per te. Hai lavorato qui per anni, prima di metterti in proprio. Vuoi dirmi che li hai passati tutti tra la madre di Doyle e il tuo ufficio?”

William rimase in silenzio per un istante. Poi si arrese, prendendo un altro sorso di vino “Colpito”

“Quello che mi chiedo,” continuò lei “E' perchè passi tanto tempo con me, quando impiegheresti meno di un minuto a trovarti una donna”

Lui inclinò la testa “Immagino possa non sembrarti, Buffy, ma io sono un tipo monogamo. Se una donna mi interessa sul serio, sia essa libera o no, non la dimentico a comando”

L'espressione di lei si scurì. Nascose il viso con il bicchiere, fingendo di bere. “Smetterai mai di essere così dannatamente sincero?”

“Forse sei tu che dovresti esserlo di più” la sfidò.

La ragazza alzò un sopracciglio. “Ad esempio?”

William rise “Potresti ammettere di essere attratta da me” scherzò.

“Mezza California è attratta da te”

“Come da te lo è l'intera Sunnydale, formiamo una bella coppia” constatò.

Lei si irrigidì “Non formiamo una coppia” strinse gli occhi “E Sunnydale non è argomento di discussione”

“Mi piacerebbe che lo fosse” le disse, seriamente.

Buffy non rispose. Per un momento, l'unico suono tra i due fu dato dalle parole della canzone in sala che scorreva a volume moderato dalle lontane casse. Poi si arrese anche lei.

“Non mi piace parlarne” tagliò corto.

“Credo che tu non lo abbia mai fatto”

Alzando gli occhi, lo fulminò con lo sguardo. Lui scelse di ignorarla.

“A Doyle non hai detto nulla e sei la prima ad ammettere di non avere amici” proseguì.

“Io e te non siamo amici”

Non lo aveva detto con cattiveria. Aveva parlato come una semplice constatazione di fatto, che William non potè certo contestare. Non era con la parola 'amici' che avrebbe mai definito il loro rapporto. Arrendendosi, decise di non insistere oltre, sperando che un giorno potesse essere lei a raccontare spontaneamente il proprio passato.

 

Abbassando gli occhi verso il bicchiere, parlò. “Io non avevo mai fatto... nulla del genere”

Buffy alzò gli occhi, concentrandosi per capire di cosa parlasse.

“Non intendo solo il fatto che non amo lo sport, parlo dell'intero... andare ad uno stadio, con qualcuno accanto a te che ti parla, si finge indifferente ma tu sai che dentro di se spera di apparire intelligente ai tuoi occhi...” aveva assunto un espressione quasi sognante, Buffy si chiese se ne fosse consapevole. “Io non ho idea... di cosa sia una famiglia. Ho visto più crudeltà tra un marito e una moglie, di quanta ne abbia un cacciatore per un animale e non penso che sarei stato un buon padre, comunque. Ma stavo per commuovermi quando ha iniziato a parlarmi a voce bassa nell'orecchio, cercando di spiegarmi come funzionasse il punteggio della partita”

Incapace di formulare una risposta, quando il silenzio era più che eloquente, Buffy lo osservò bere il vino e pensare, o forse ricordare. Finchè lui non la guardò di nuovo, con il consueto sorriso.

“Potremmo andare in ufficio, domani” le disse, cambiando completamente tono.

Colta di sorpresa, la ragazza aggrottò la fronte “Come?”

“Doyle mi ha detto che sarà via con degli amici, dubito che tu voglia seguirli. Se non hai pianificato di stare con la Rossa, altra cosa di cui ho seri dubbi, potremmo andare in ufficio” spiegò.

Buffy si confuse maggiormente.

“Ma non abbiamo nulla su cui lavorare”

“Invece l'abbiamo,” contestò “Mi ha chiamato il caro Ethan, oggi. Lunedì ha stabilito un nuovo incontro, questa volta con O'Connor presente. Dobbiamo prepararci”

Lei alzò un sopracciglio “William, lo sai benissimo che per quegli incontri non abbiamo nulla da preparare”

Le sorrise “E' incredibile, mi piace anche il nome 'William' se detto da te”

“Non cambiare argomento”

“L'intero caso è di una semplicità imbarazzante” l'accontentò “Non è mai stato indispensabile trovarci a fare qualcosa”

Buffy aggrottò la fronte “Non so se dirti che lo sospettavo o che sei uno stronzo”

“Sono uno stronzo perchè mi piace lavorare con una bella ragazza?” chiese.

“Sei uno stronzo e basta e il perchè lo sai” prese un sorso di vino.

William rise, inclinando la testa “Dimmi. Se tu fossi fidanzata con qualcuno che non conosco, sarei meno stronzo?”

La ragazza riflettè un momento “Tecnicamente no. Ma moralmente si”

Rise di nuovo “E il fatto che tu me lo dica in un bar dove non ci siamo incontrati per caso, non fa di te un ipocrita?”

“No, non un ipocrita” strinse le spalle, “So bene di essere stronza anche io” annuì.

“Bene. Allora siamo pari”

“Siamo sempre stati pari” ammise lei.

Questa volta, lui si limitò ad un sorriso. Uno di quelli a cui lei iniziava a sviluppare un'indomabile dipendenza.

“Sai,” iniziò lei, appoggiando il bicchiere sul tavolino. “Oggi mi hai raccontato tutta la...” gesticolò “... storia, di come ti sei ritrovato con la custodia di Doyle. Ma non mi hai ancora detto che cosa pensi”

William inclinò la testa “Puoi spiegarti meglio?”

“Intendo dire che se non sei il bastardo che ha lasciato la sua famiglia, potresti comunque essere il bastardo che se n'è fregato di avere un ragazzo a carico e lo ha liquidato con un assegno al mese”

“Ti sei accorta che appena abbiamo preso confidenza hai iniziato a chiamarmi stronzo e bastardo?” constatò divertito.

Buffy strinse le spalle “E' un riflesso automatico perchè abbiamo fatto sesso”

William scoppiò in una fragorosa risata.

Lei però non si lasciò distrarre “Quando parlo di Doyle cambi discorso” notò.

“Già” ammise lui.

“Perchè?”

“Perchè è un discorso complicato”

“Tutto è complicato”

Lui ghignò “Quasi mi manca quando non mi rivolgevi la parola”.

“Sei tu che mi hai provocato. Hai aperto il vaso di Pandora” prese il bicchiere.

“E lo rifarei mille volte”

“Perchè?” chiese.

“Perchè è splendida la creatura che ne è uscita”

Lottando per non strangolarsi col sorso di vino, cercò di ignorarlo. “Hai di nuovo cambiato discorso”

“E tu lo cambi quando ti faccio dei complimenti” inclinò la testa.

Buffy lo guardò “Il motivo è intuibile”

“Ma non è logico”

Lo guardò con aria interrogativa, invitandolo a spiegarsi.

“Sei qui e non nel letto del tuo fidanzato” disse.

“Ho già detto che non sono qui per un alto letto” chiarì.

“Non fraintendermi. Intendo che se sei qui e non con lui, da me hai accettato qualcosa di più che un complimento”

Assimilò quell'affermazione come si trattasse di una sfida. “Ti dico il perchè, se tu mi spieghi con che logica vuoi riallacciare i rapporti col tuo figliastro e flirti con la sua fidanzata nello stesso tempo”

William le sorrise. Come sempre. Come se non stesse guardando una persona, ma un opera d’arte di cui era ogni volta affascinato, qualunque cosa stesse facendo, per il solo fatto di essere lì davanti a lui e avere vita. “Io so già perchè lo fai”

Combattendo per ignorare il brivido che le attraversò la spina dorsale, si costrinse a rimanere concentrata.

“Allora potresti rispondere per pura cortesia”.

 

William distolse lo sguardo dal suo, seguendo brevemente il bicchiere mentre lo appoggiava sul tavolo. Si sistemò sulla sedia, più composto, e la guardò di nuovo.

“D'accordo” iniziò. “Innanzitutto, io flirto con te, ma non ci sto provando”

Buffy aggrottò la fronte “Qual'è la differenza?”

“Flirtare è divertirmi a provocarti, immaginando che 'forse, se le cose fossero andate in un altro modo...'. Si, lo faccio. Adoro farlo, i nostri 'botta e risposta' mi illuminano la giornata” ammise, senza un segno di vergogna. A Buffy non sfuggì ciò che aveva detto di immaginare. Poi lui continuò. “'Provarci' è cercare di portarti via da lui, e non intendo farlo. Se non pensassi che sei abbastanza forte da non farti influenzare dalle mie allusioni, me ne sarei già andato”

Al termine di quell'affermazione, tra i due calò il silenzio. Per William non c'era imbarazzo, lui non provava vergogna per quello che sentiva e non temeva di dirlo. Ma Buffy, in questo momento, aveva un tale caos nella mente da poter riempire una vita intera.

Lentamente, senza guardarlo, si alzò dalla sedia.

“Credo... di dover tornare a casa” disse sottovoce.

William si alzò un attimo dopo, con altrettanta calma. Non le rispose, ma si mosse verso di lei. Buffy lo guardò avvicinarsi, con il cuore in gola e le tempie pulsanti, chiedendosi cosa intendesse fare. Ma lui la superò, dirigendosi verso la pista da ballo. Solo in quel momento si rese conto che le aveva preso la mano e che la stava portando con se. (N.d.A. Io ho immaginato che in pista ci fosse questa canzone www.youtube.com/watch?v=1ph7p7DT53Y -ignorare il video)

Buffy si lasciò portare, inconscia delle altre persone intorno a loro, esseri insignificanti per il momento che era. Quando lui si fermò, si voltò verso di lei, appoggiandole le mani sui fianchi e invitandola a muoversi lentamente, al ritmo quieto della canzone in sala. Le mani di lei si allacciarono di volontà proprio dietro il suo collo, e si lasciò cullare dal suo tocco e dal suo sguardo che, privo del consueto sorriso, era di una profondità vibrante. Qualunque cosa dovesse accadere, quel momento era suo e nessuno avrebbe potuto portarglielo via.

“Non ti ho ancora detto quanto sei bella” le disse.

“Lo hai detto molte volte” rispose lei.

“Non l'ho mai inteso come adesso”

Senza volerlo, i loro corpi si avvicinarono, muovendosi come fossero un unica forma.

E lui parlò di nuovo. “Non fraintendermi, Buffy” le disse. “Il gioco, le parole... sono tutto ciò che posso fare. Ma se non fosse lui, avrei lottato per portarti via”

Buffy esalò un pesante respiro, appoggiando la testa al suo torace. “Mentimi” chiese.

“Non posso” si scusò.

“Allora dimmi la verità” alzò la testa, guardandolo negli occhi.

“Sai la verità” le rispose.

“Non dici tutto”

William sospirò, arrendendosi. “Non odiarmi”

Buffy sbatté le ciglia. “Non lo farò”

Alzò una mano, avvicinandola lentamente ad accarezzarle una guancia, prima di riportarla sui suoi fianchi e dondolarli con lei. “Non ho mai conosciuto una ragazza come te. Sei forte, determinata, sai essere spietata e avere comunque considerazione per chi ti sta intorno. Sono qualità che ti rendono unica al mondo...” si prese un istante, prima di continuare “... Ma non penso che Doyle sappia che esistano, o che gli piacerebbero se le scoprisse”

Buffy registrò ogni parola. Senza smettere di danzare, ma dopo un lungo minuto, disse “Non chiedermi niente”

“Non ho intenzione di farlo, Buffy. Mai.” rispose. “Tranne per una cosa” aggiunse, un istante dopo.

Temendo le sue parole, chiese “Cosa?”

William sospirò di nuovo. “Quando sei con me... lascia Elisabeth a casa”

 

Chiuse gli occhi, isolandosi dal resto del mondo. Sentiva la testa girarle, lieta che le forti mai di William continuassero a guidarla, o sarebbe caduta. Due voci rimbombavano acute nella sua testa, con pareri opposti su cosa pensare.

Sarebbe stato facile. Lasciarsi stringere, dimenticare tutto. Poteva rimanere qui, adesso, semplicemente non tornare a casa, attendere la fine del processo e poi seguirlo ovunque fosse andato, diventare un ottimo avvocato e condividere lavoro e vita con il migliore. Non aveva mai neanche osato sognare una vita come quella.

Ma Doyle? Sarebbe riuscita a dimenticarlo davvero anche se era stato il primo ad amarla, a lottare per averla quando nessuno l'avvicinava? Poteva prendere le sere, le risate, i ricordi di tre anni passati insieme, e lasciarseli alle spalle come se non fossero mai accaduti? Fino a pochi giorni prima non immaginava un futuro diverso da quello al suo fianco. Non poteva, non aveva il diritto di buttare tutto all'aria per un sogno.

Riaprì gli occhi, lentamente, scoprendosi ricambiata da quelli di lui. William la guardava, come se le avesse letto ogni pensiero. E come se sapesse cosa stava per dirgli, annuì lievemente.

Buffy non parlò. Quando le ultime note della canzone si dissolsero nell'aria, alzò una mano fino ad accarezzargli una guancia e si sporse, poggiando le labbra su quelle di lui. William chiuse gli occhi. Era il loro primo, vero, bacio. E sarebbe stato l'ultimo.

 

Un infinito momento più tardi, Buffy si separò. “Mi dispiace, William” disse, lasciandosi andare, allontanandosi da lui.

 

 

 

Capitolo 13

 

 

 

Ci sono mattine in cui svegliarsi è meraviglioso, basta pensare alla magnifica giornata che trascorrerai e a tutte le persone che la popoleranno. Ce ne sono altre, invece, in cui appena apri gli occhi hai la sensazione che avresti dovuto fingerti malato e non uscire di casa. O nemmeno dalla stanza.

Questo pensò Buffy, mentre scendeva dal letto il lunedì mattina e si accorgeva che Doyle non era accanto a lei, per la seconda volta in tre anni.

 

Raggiunse la cucina preoccupata, quasi aspettandosi di vedere un biglietto in cui il fidanzato le spiegava la sua assenza, invece trovò lui in persona. Sedeva al tavolo della cucina, vestito e pronto per il lavoro. Decidendo di non esagerare la sensazione, Buffy entrò a farsi una tazza di cereali come se tutto fosse normale.

“Buongiorno” lo salutò. “Vuoi del caffè”

Doyle non le rispose, così lei si voltò e notò che aveva già la tazza in mano.

“Oh, non avevo visto”

“Già” fu tutta la sua risposta.

Scegliendo di continuare ad ignorare, mise la moca sul fuoco acceso ed attese. Relativamente.

“Pensi di dirmi cosa diavolo hai o di tenere il broncio tutto il giorno?” sbottò, pentendosi subito di aver riversato su di lui la propria tensione.

Doyle sembrò sorpreso dal suo tono di voce, ma non dalla domanda.

“Sono stato via due giorni. Non mi hai mai chiamato e quando sono tornato ieri sera stavi già dormendo” spiegò.

Buffy si calmò, abbassando gli occhi. Poi provò un senso di irritazione per quello che le aveva detto, gli diede le spalle perchè non vedesse la sua espressione. “Se non sbaglio neanche tu hai chiamato”

“Beh, io ero impegnato. Tu eri ferma in casa...” tentò di argomentare.

L'irritazione crebbe esponenzialmente e si voltò per fronteggiarlo. “E questo che diavolo significa?!”

Lo vide sussultare e perdere all'istante la voglia di lamentarsi, ma ormai il vaso aveva traboccato.

“Non basta che tu sia andato a divertirti mentre io ero sola in casa, dovevo anche deprimermi e stare attaccata al telefono per chiamarti?!”

“Non intendevo questo, Lizy, io...”

“Oh, non questo, allora cosa?” sbottò. Vedendo la sua espressione allibita, esalò un pesante respiro e calmò i nervi. “Tesoro... sono stanca. Quando ci siamo conosciuti non stavo a casa neanche a dormire, ora sono settimane che lavoro senza pausa. Non mi da fastidio che tu esca e io resti qui, ma almeno non alzare pretese su come passo il tempo...”

Doyle rimase un secondo a guardarla. “Wow... erano anni che non ti vedevo tanto arrabbiata...”

Abbassando gli occhi, Buffy lasciò perdere il caffè e tornò verso la camera.

“Vado a vestirmi”

Doyle la chiamò “Non volevi che ti raccontassi di venerdì sera?”

“Me lo racconti a pranzo” rispose allontanandosi.

“Lizy?”

Buffy si fermò, voltandosi a guardarlo.

“Scusami. Mi manchi” le disse.

Lei annuì. “Scusa anche tu”

 

 

****

 

 

“Bentornati, ragazzi. Sono sempre più sorpreso del numero di voi che riescono a precipitarsi qui il lunedì mattina addirittura sobri, complimenti” salutò Giles, come introduzione alla riunione dello staff. “Aggiornamento rapido, così potete tornare a fingere di lavorare...”

Alcuni risero, ma Buffy non stava realmente ascoltando. William stava di fronte a lei, Doyle a un paio di posti di distanza, ma le pareva di essere davanti al tribunale dell'inquisizione. Dire che l'atmosfera era ghiacciata sarebbe stato un eufemismo, tra il broncio del fidanzato per quella mattina e l'assoluta indifferenza di William, che non si era nemmeno voltato a guardarla, per la prima volta.

La mente della ragazza non poté evitare di riempirsi di domande. E' arrabbiato per come me ne sono andata? Ha perso interesse per me? Magari tra poco troverà un altra, si dimenticherà. Consolante, da un certo punto di vista. Ma nella realtà dei fatti, sentiva come se le mancasse l'aria, come se fosse chiusa in una gabbia e fosse destinata a rimanervi per tutta la vita.

“Andrew e Doyle, il vostro processo?” chiese Giles.

“Andrew è malato” rispose Doyle.

Giles alzò gli occhi e li passò per la stanza “Oh,” disse, confuso. “Dovrò cambiarmi gli occhiali. Aggiornami tu, intanto”

“Si è concluso venerdì mattina. Abbiamo vinto”

Buffy lo guardò, cercando di non spalancare gli occhi per lo stupore. Doyle appariva serio e fingeva indifferenza, ma nel riportare gli occhi verso Giles notò che qualcuno non si era perso il loro scambio di sguardi, fissandola serio.

“Will ed Elisabeth, la nostra aspirante Robert Downey jr?”

“Cita l'attore il cui primo matrimonio è durato quarantacinque giorni?” chiese Doyle, ridendo.

“Mio Dio, ragazzo, hai passato troppo tempo con Andrew! Dovremo riportarti tra gli uomini”

Buffy fu grata di quello scambio di battute, ma non durò un tempo sufficiente a farle trovare le parole per esprimersi. William, che non mancò di notare la sua esitazione, parò per entrambi.

“Oggi abbiamo un altro incontro, ma non molleranno. La risolveremo in tribunale. Tre settimane al massimo, contando chi è la cliente e che pressione avrà questo sul giudice”.

“Buon inizio. E complimenti per la puntualità di stamattina, penso sia la prima volta da che ti conosco” aggrottò la fronte. “Bene, se non c'è altro, andate e continuate a vincere” sciolse la riunione.

Gli avvocati si alzarono dalle loro sedie, dirigendosi verso la porta. Buffy voleva prendere da parte Doyle un momento, ma questi si assicurò di essere tra i primi ad uscire. Lanciando un occhiata verso William, che lui non si perse, lo seguì. William ebbe l'impulso di andarle dietro, di parlarle, di chiedere come avesse fatto a dormire in quelle notti. Ma appena si mosse, trovò Giles sulla sua strada.

“Ti ho aspettato, venerdì” disse con calma. “Pensavo saresti venuto a raccontarmi com'era andata col ragazzo”

Decise di rilassarsi, dato che ormai non poteva seguirla ora. “Sono andato da un altra parte” rispose vago.

Vide Rupert togliersi gli occhiali e cominciare a pulirli. “Capisco. Ti va di venire nel mio ufficio e raccontarmelo?”

Scrollò le spalle “E' andato tutto bene. La squadra che piace a Doyle ha vinto”

“Non parlavo della partita”

William lo guardò negli occhi. Poi si voltò verso l'esterno, osservando oltre il vetro la sua Buffy che fingeva di tenersi occupata. Sapeva che lo stava aspettando, sapeva che non era sua. Sorrise malinconicamente tra se.

“Si, mi piacerebbe venire nel tuo ufficio a raccontarti”

Giles annuì “Bene”

 

 

*****

 

 

Quando Buffy entrò nel suo ufficio, William era seduto alla scrivania e stava palesemente giocando a lanciare e riprendere una pallina rossa. Si fermò quando la vide entrare.

“Buongiorno” le disse, con un fondo di ironia.

La ragazza chiuse la porta dietro di se e vi si appoggiò contro, chiudendo brevemente gli occhi. Era più tesa di quello che si aspettava.

“Va tutto bene?” le chiese.

“Che domanda idiota” sbottò lei.

Lui sorrise. Lentamente si alzò, girando attorno alla scrivania per starle di fronte.

“Problemi in paradiso?”

La vide stringere gli occhi “Sono stata declassata al purgatorio, ultimamente”

“Cos'è stato quello scambio di gelo tra voi due poco fa, se posso chiedere?” inclinò la testa.

Buffy distolse lo sguardo. “Doyle non mi aveva detto che il suo processo era finito”

“Capisco” annuì.

Tra i due calò nuovamente il silenzio, molto più caldo della riunione di quella mattina. Non era il silenzio di due che non sanno cosa dire, era il silenzio di due che stavano riflettendo per conto proprio mentre si confortavano nella reciproca compagnia. Nonostante l'addio di tre notti prima, lui era comunque l'unico a cui aveva voluto confidarsi del litigio con Doyle. Questo cosa centrava con l'attrazione fisica? Alzò gli occhi nello stesso momento in cui lo fece lui.

“Vieni qui” le disse.

Buffy ebbe i brividi, mentre eseguiva quel comando, rendendosi conto che era esattamente ciò che voleva fare. Arrivata ad un passo da lui, lo vide allungare la mano sulla scrivania e prendere un oggetto che le porse. Abbasso gli occhi. Era un cappellino, il berretto di una squadra di basket, con lo stemma sul davanti e colori improponibili. Aggrottò la fronte, ma non trattenne una leggera risata.

“L'ho preso alla partita. Non faccio questo genere di cose, ma mi sono trovato solo all'intervallo e ho pensato a te, che potesse farti piacere saperlo” raccontò. “Dopo che te ne sei andata non mi pareva il caso di dartelo, non volevo... renderti le cose più difficili”

Non sarebbe valso a nulla fingere che le cose non fossero difficili. “E perchè me lo dai ora?” chiese invece.

Lui inclinò la testa, guardandola assorto dal suo viso. “Perchè non mi sembri felice”

Di nuovo, Buffy abbassò gli occhi “Non la sono”

“Non è giusto”

“Tante cose non sono giuste” fece una smorfia.

Lo vide abbassare gli occhi sulle sue labbra, poi sussurrare “Allora non dovremmo aggiungerne alla lista”

Alzò gli occhi, non capendo se stesse parlando sul serio o se intendesse fare l'esatto contrario. “Hai ragione” acconsentì, cercando di capire a cosa l'avrebbe portata.

Si guardarono per un istante enorme, prima che un colpo di nocche sulla porta li distraesse.

“E' arrivato Ethan” disse lui.

Buffy aggrottò la fronte “Come lo sai?”

Lui le sorrise “Solo la Rossa bussa in quel modo. Credo non entri perchè ci sei tu”

“Wow. Molto matura”

“Parli con il trentottenne che ti ha regalato il cappellino di una squadra di basket”

La fece sorridere, unendosi a lei come se fosse stato il suo scopo fin dall'inizio.

“Su, andiamo” la incoraggiò, appoggiandole una mano dietro la schiena. Buffy lasciò il regalo sulla scrivania e si avviò con lui.

“Niente Simmons?” chiese lei, notando che andavano direttamente in sala riunioni.

“Niente. Credo che non voglia vedere O'Connor quanto lui non vuole vedere lei”

Arrivarono davanti alla porta, quando lui si fermò.

“Prima di entrare...”

“Si, lo so” lo interruppe “Sto zitta e prendo appunti”

“Veramente stavo per dire che vorrei che parlassi anche tu” ghignò alla sua espressione stupita. “Fa come quando ti arrabbi con me, li spaventeremo a morte”

“Credevo non ti piacesse lavorare in due” chiese, confusa.

Lui le sorrise “Potrei aver cambiato idea” aprì la porta e la fece entrare, seguendola.

 

Dentro la stanza, l'avvocato Rayne e quello che doveva essere il signor O'Connor erano già seduti. Buffy rimase per un momento colpita dall'aspetto del loro avversario. Aveva sentito parlare di lui come di un uomo freddo, impegnato col suo lavoro e non abbinabile con la carica viale di Darla Simmons. Ma lei lo vedeva così... giovane, probabilmente non aveva più della sua età e sembrava piuttosto triste.

“Ethan!” Willliam lo salutò gioisamente “Tutto bene in famiglia?”

Si strinsero la mano “Shore, meglio di quanto io ti auguri”

“Premuroso come sempre” si voltò verso il suo cliente “Presumo che lei sia il fortunato Angel O'Connor. Io sono William Shore e lei è la mia collega Elisabeth Summers” presentò, porgendo la mano anche a lui.

Il ragazzo l'accolse freddamente “Non posso dire che sia un piacere conoscervi”

“Comprendiamo perfettamente”, aggiunse Buffy, stringendogli la mano a sua volta.

I quattro sedettero, poi Ethan prese parola.

“Evito di farti perdere tempo, Shore”

“Molto cortese da parte tua” gli sorrise, irritandolo.

Lo ignorò “Il signor O'Connor è disposto a concedere alla sua cliente la metà dei propri averi, più una rendita mensile pari a quella che gli verrebbe concessa come alimenti, esattamente come avrebbe con un divorzio effettivo”

Buffy si lanciò e prese la parola “Sembra molto allettante, signor Rayne, ma penso che il mio collega l'avesse già avvertita di non perdere tempo a tornare se non per accettare il divorzio”

“Si può sapere che diavolo vuole, Darla?” sbottò seccato il ragazzo. “Non vuole la casa, non vuole i soldi, gode forse a tormentarmi?”

William fu pronto a distrarlo “Quello è compito di ogni donna”

“Glielo posso assicurare” assecondò Buffy.

“Mi sembra ansioso di cancellare la signora Simmons dalla sua vita” aggiunse lui.

Angel strinse gli occhi “Può forse biasimarmi?”

Buffy si aspettò una risposta di William, che non sentì. Si voltò a guardarlo e, per un attimo, le parve bloccato. Ripensò istintivamente a Drusilla e a come William, nella sua innata esigenza di dire sempre ciò che pensava, non potesse permettersi di contestare Angel O'Connor.

Istintivamente, prese di nuovo la parola. “Signor O'Connor, quello che ha subito è indubbiamente ingiusto ed umiliante, ma legalmente è un matrimonio a tutti gli effetti”

“No, non lo era” contestò l'avvocato “La signorina Simmons ha invalidato i suoi voti nuziali, protraendo un tradimento in corso”

William si ridestò “Ethan, amico, sai perfettamente che, con la sua reputazione, dimostrarlo in aula sarebbe come provare che Bush si masturba sulle foto di Lady Diana”

“Diavolo, Shore!” imprecò l'avvocato.

Buffy si trattenne dal ridere, rivolgendosi al ragazzo. “Signor O'Connor, l'unico modo di uscirne è concedere il divorzio e dimenticare questa storia”

“Ci pensi” sostenne William “Vuole sul serio risolvere in tribunale?”

“Dover dichiarare pubblicamente di essere stato tradito?” aggiunse lei.

William proseguì “E scoprire alla fine che è stato tutto inutile, perchè il giudice non le crederà?”

“E' la sua parola contro quella di una star amata a livello mondiale”

“Basterebbe che un suo amico testimoniasse che lei è eccessivamente geloso”

“A confronto con le dichiarazioni di assoluta felicità che Darla Simmons ha giurato alla stampa, darà un immagine ben precisa a suo sfavore”

“E tutto questo sarà stata solo un inutile perdita di tempo, per lei”

I due colleghi lo guardarono con un falso sorriso, mentre gli avversari passavano gli occhi dall'uno all'altra con espressione sbigottita.

 

****

 

 

Appena chiusa alle proprie spalle la porta dell'ufficio di William, Buffy scoppiò in una fragorosa risata, che lui seguì con un ghigno.

“Hai visto le loro facce?” rise lei.

“Su, Buffy, non è carino ridere delle disgrazie degli altri” arricciò la lingua tra i denti.

Buffy rise di più “Oh, ma fammi il piacere! Ti stavi divertendo come un bambino alle giostre!”

William sorrise, distogliendo lo sguardo. “L'importante è che non abbiano capito perchè non accettavamo l'offerta”

“Impossibile, erano troppo concentrati a guardarci come se fossimo impazziti!” gli si avvicinò.

William non smise di sorriderle, senza rispondere. Allungò un braccio sulla scrivania... e le mise in testa il cappellino. Buffy abbassò gli occhi, arrossendo. Si sentì alzare il mento dalle sue dita e sorrise. Non aveva affatto perso interesse per lei. Piccola stronza egoista, ne era contenta.

Bussarono alla porta. Buffy arretrò di un passo e i tolse il cappellino dalla testa.

“Avanti” disse William, sospirando.

Doyle entrò dalla porta. “Ciao William” salutò. “Lizy, andiamo?”

Buffy annuì lievemente, prendendo la borsa e seguendolo. Esitò sulla soglia, guardandosi indietro. William stava appoggiato alla sua scrivania, non si era mosso di un millimetro mentre li osservava uscire.

“Lizy?” la chiamò di nuovo.

Con un groppo alla gola, Buffy parlò. “Senti... piuttosto che restare qui da solo, ti andrebbe di venire a mangiare qualcosa con noi?” propose.

William guardò Doyle, cercando la sua approvazione. “Certo... perchè no, vieni” concordò Doyle.

Sorrise. “Mi farebbe molto piacere”

 

***

 

 

“E lui ha detto qualcosa come” si schiarì la gola tra le risate “'dimostrarlo in aula, è come provare che Bush si masturba con le foto di Lady Diana', credevo che a quei due sarebbero usciti gli occhi dalle orbite” rise Buffy, raccontando a tavola.

William, guardandola, si unì alla risata. Doyle no.

Era da quando si erano seduti al ristorante che avevano raccontato dell'incontro di quella mattina, senza notare la sua irritazione finchè non aprì bocca.

“Insomma avete disintegrato quel poveretto” cercò di chiarire.

Le risate si affievolirono lentamente, fino a svanire. Buffy si sentì pesantemente in imbarazzo.

“Non... non lo abbiamo fatto per passatempo. Dovevamo distrarlo in qualche modo...” cercò di spiegarsi.

“Beh, pare vi siate divertiti” commentò, passando gli occhi dall'uno all'altra.

Dopo un attimo di silenzio, William sorrise e cercò di limare la situazione “Comunque, il concetto era che l'incontro è andato bene” affermò “Buffy è stata bravissima”

Doyle aggrottò la fronte “Chi è Buffy?”

Per un secondo, che nella loro mente fu molto più lungo, si sentirono gelare.

“E' solo... è solo un soprannome” sviò Buffy.

“Su, Doyle. Non ho saputo nulla di come si è concluso il tuo processo. Ti va di raccontare?” gli sorrise William.

Doyle non sembrava affatto contento, ma per loro fortuna iniziò ugualmente il racconto, mentre i due tentavano di ascoltare lui, invece del battito del cuore nelle tempie.

 

*****

 

L'aria, nell'ascensore diviso dalle tre persone, era elettrica come il cielo prima della neve. Si aprirono le porte. Doyle si affrettò ad uscire, William lo seguì e Buffy rimase ferma per un istante. Poi corse dietro a Doyle.

Lo intercettò alla sua scrivania, allungando un braccio gli indicò di seguirla nel suo ufficio dove avrebbero potuto parlare. Quando entrarono, lei chiuse la porta dietro di se. Doyle incrociò le braccia.

“Allora?” chiese.

Buffy sospirò “Tesoro, se ti era così insopportabile avere William a pranzo, bastava che lo dicessi”

Sperava di chiarire in modo indolore, ma Doyle le sembrò mortalmente serio.

“Non mi pareva il caso di farlo, quando lo avevi già invitato” le rispose.

“Ed era il caso di stare in silenzio tutto il tempo? Facevi prima a scriverti in fronte 'non ho voglia di essere qui'!” non seppe da dove le usciva quella grinta, ma non era riuscita a frenarla.

“Lizy” le disse, con calma. “Non è per il pranzo. Posso sopportare di vederlo una volta in più, o che tu sia via tutto il giorno a lavorare con lui, posso sopportare anche che la mia fidanzata esca la notte mentre sto dormendo...”

Buffy si sentì gelare il sangue.

“... e che non mi cerchi per tutto il weekend. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata vedere voi due che ridevate come se non ci fossi io e che lui avesse quel suo 'soprannome' per te, come se foste...” si bloccò un momento. “E si, anche il fatto stessi di invitarlo nell'unico momento che era rimasto nostro non mi ha reso molto felice. Diciamo... che ora sono 'ufficialmente arrabbiato'” disse.

Sospirando, Buffy abbassò gli occhi e riflettè.

“Cosa vuoi che faccia?” disse, infine. “Tu lo odi. Io ho passato del tempo con lui e lo trovo una buona persona a modo suo. Solo... cosa vuoi che faccia? Dimmelo e io lo faccio”

Lo vide prendere un respiro e abbassare gli occhi a sua volta.

“Non lo so” disse. “Suppongo di dovermi arrendere ed aspettare che se ne vada”

Aveva parlato con semplicità, come se fosse un concetto usuale, ma lei era irrequieta. Qualcosa dell'idea di William che se ne andava la faceva di nuovo sentire come quella mattina, come se l'avessero chiusa in gabbia e volessero toglierle l'aria. Come se fosse incastrata e nessuno l'aiutasse ad uscire. Aveva paura che Doyle se ne accorgesse.

“Dovrei lavorare” gli disse “Ne riparliamo meglio stasera, okay?”

Il ragazzo annuì “Okay” disse, voltandosi ed uscendo.

 

Buffy attese che lui si allontanasse fino alla propria scrivania, poi uscì di fretta e si diresse verso l'ufficio accanto. Gabbia, prigione, gabbia... entrò senza bussare.

 

Si bloccò, nel vedere che l'ufficio era vuoto.

“Ciao, Buffy...”

Sussultò. Guardandosi attorno, vide che William era seduto in una delle poltrone sul lato della stanza, a luce spenta. Lo vide alzarsi lentamente e accenderla.

“Come sta?” le chiese.

Aveva tolto la giacca e allentato la cravatta, era visibilmente scosso. Buffy si calmò, quasi le venne da sorridere rendendosi conto che, nonostante tutto, la sua prima preoccupazione era Doyle. Glielo leggeva negli occhi e questo non fece che aumentare il rispetto che aveva per lui.

“E' arrabbiato” rispose alla sua domanda non detta.

Lo vide annuire lentamente, assimilando le implicazioni. “Sono stato uno stupido a non pensare, chiamarti Buffy davanti a lui...” abbassò la testa, calciandosi mentalmente.

“No, non starci a pensare. E' arrabbiato con me, adesso. Avrei dovuto pensarci prima di invitarti” ammise.

William alzò gli occhi “Vorrei chiederti perchè l'hai fatto”

Buffy lo guardò “E' un po' complicato”

Lui inclinò la testa “Mi dicono che sono piuttosto intelligente”

Sospirando, la ragazza si arrese “Non mi piaceva l'idea che rimanessi qui da solo”

“Oh” sorrise “Avevo pensato fosse un aiuto per farmi avvicinare Doyle, ma questo è anche meglio” il suo sorriso divenne amaro “E peggio, allo stesso tempo”

Buffy rispose alla sua amarezza con uno sguardo comprensivo. “Non chiedere” chiese, ricordandogli una domanda già posta.

“Non lo farò” confermò.

Per qualche momento, nessuno dei due disse nulla. Poi lui decise di distendere il clima.

“Ha chiamato l'ufficio di Ethan Rayne, vogliono il processo” comunicò.

“Beh, ce lo aspettavamo, no?”

“Si, avevo già richiesto un udienza preliminare per domani” disse. “Infondo mi dispiace per quel ragazzo,” voltò le spalle e si mise a passeggiare per la stanza “Sarebbe stato più indolore accordarci in studio”

Buffy lo sentiva parlare ma non lo stava realmente ascoltando. Le si era formata un'idea, nella mente, molto pericolosa ma impossibile da scacciare.

“Spike...” lo chiamò, prima di riuscire a frenarsi.

Sorpreso che avesse finalmente accettato il suo soprannome, l'uomo si zittì immediatamente e si voltò a guardarla.

La ragazza camminò lentamente verso una poltrona, sedendosi e guardando a terra.

“Io devo...” si bloccò “Devo capire una cosa. Ho bisogno di parlare per cinque minuti senza che tu mi interrompa”

Più intrigato che sorpreso, William non ruppe il contatto visivo, mentre allungava una mano a prendere una sedia da posizionare davanti a lei. Le si sedette di fronte, abbastanza vicino perchè le loro ginocchia si sfiorassero, e rimase in attesa. Buffy prese coraggio e alzò gli occhi con determinazione.

“Io ho un'idea piuttosto chiara di quello che puoi aver scoperto di me facendo un minimo di indagine. Non so che idea abbia tu di me adesso, ma qualunque essa sia, devo chiarirla” disse.

William, come promesso, non disse una parola.

“Volevo studiare legge, da che ho memoria” iniziò. “I miei hanno divorziato. Io avevo si e no tre anni quindi niente stronzate tipo 'poverina che trauma ha subito' o cose del genere, ma ho visto mia madre impazzire dietro le procedure sugli alimenti per anni e ho voluto diventare un avvocato migliore dell'idiota che aveva assunto. Tutto qui, nessun grande proposito” affermò.

L'uomo non potè impedirsi di sorridere alla sua schiettezza, ma la lasciò continuare.

“L'unico problema erano i soldi. Noi non ne avevamo, mio padre non ne avrebbe dati e il liceo mi annoiava troppo per cercare di guadagnarmi una borsa di studio. Così ho lavorato. Ho fatto qualunque cosa mi capitasse, dopo la scuola, da quando avevo quattordici anni” raccontò. “A diciotto facevo la cameriera in uno strip bar. Una sera una delle ballerine era malata e non riuscivano a sostituirla. Sapevo che guadagnava il doppio di me, così mi sono offerta di prendere il suo posto. Apparentemente ero abbastanza brava da essere assunta a lungo termine” disse. Si fermò un secondo, prendendo un respiro. “Quello che voglio dire, è che nessuno mi ha costretta a farlo e io non ero in condizioni così disperate da non avere scelta. Ho sempre saputo quello che facevo. Uno dei ragazzini con cui ero stata lo ha scoperto e ha sparso la voce in città e a scuola. Io non ho negato, ho sfruttato la voce per attirare come clienti i miei compagni di scuola e aumentare le mance. 'Buffy' non è il mio 'soprannome da ballerina', è il mio vero nome. L'ho cambiato quando sono andata al college, per evitare discriminazioni” esalò un respiro, sentendosi più leggera.

L'espressione sul viso di William era indecifrabile, almeno per lei in quel momento. L'unica cosa di cui era certa, era la totale mancanza di sorpresa o disgusto. Era come se gli avesse raccontato un qualunque aneddoto della sua infanzia e lui ne fosse rimasto affascinato.

“Okay” si arrese “Ora vorrei sapere che cosa pensi”

Lui si prese un momento per guardarla, sorridendole.

“Nella mia ricerca ho trovato delle foto di quando ballavi” le disse, facendole trattenere il respiro. “Eri bellissima. Anche se ti trovo più bella adesso, forse”.

Buffy sentì la vista appannarsi, dietro gli occhi ormai lucidi.

Lui continuò, come se non l'avesse notato “Probabilmente è perchè allora eri una ragazzina, ora sei una donna adulta anche se così giovane. Dev'essere stato difficile creare Elisabeth, ma ti ringrazio di riuscire a spegnerla quando sei con me”

Sforzandosi di modulare la voce per non farla tremare, non riuscì a frenare una lacrima che prese a scivolarle lungo la guancia. Era la seconda volta che piangeva davanti a lui, diverso il motivo, uguale l'intensità.

“Da quando ti conosco, non è un problema spegnere Elisabeth quando sono conte. Lo è spegnere Buffy quando sono con gli altri”

Le sorrise, di nuovo. “Non dovresti sforzarti, se è così che vuoi essere. Buffy è una persona meravigliosa, perchè è forte e determinata e non c'è niente che possa fermarla. Le persone spesso si spaventano davanti a tanta forza, si sentono più sicure se possono catalogarla come sbagliata ed evitare le persone che ce l'hanno. Hai scelto di assecondare loro costruendo una personalità più dolce e hai fatto davvero un ottimo lavoro. Ma se per farlo stai soffocando quello che sei davvero, è solo un inutile spreco” allungò una mano, per asciugare la sua guancia con una carezza. “Cosa volevi capire, raccontandomi queste cose?” le chiese.

Rendendo inutile il suo gesto, Buffy lasciò scivolare altre lacrime che sapevano di tristezza e felicità allo stesso tempo.

“Questo. Esattamente questo” disse.

Alzando la propria mano per accarezzare il suo viso, mise una barriera impenetrabile tra sé e il mondo esterno. Temporanea, lo sapeva, come lo sapeva lui. Ma, per ora, l'avrebbe usata. Si sporse, attirandolo, incontrando le sue labbra.

 

 

 

Capitolo 14

 

 

“Vostro Onore, il caso è da manuale, è praticamente una perdita di tempo”

“Deciderò io, signor Shore, cos'è e cosa non è perdita di tempo per questa corte” rispose l'anziano giudice.

Dal tono che usava, era evidente che l'avvocato non era tra le sue simpatie più elevate. Fortunatamente a William poco importava.

“Forse non la è per lei, io preferirei essere a casa a dipingere miniature in questo momento”

“Vostro Onore!” interruppe l'avvocato avversario “Quello che il signor Shore cerca di farle credere, non è affatto così semplice...”

Buffy rimase in ascolto, dal tavolo della sua altezzosa cliente. Dovette sforzarsi per non ridere alle taglienti freddure del suo 'collega' verso quel povero, anziano giudice che aveva l'aria di chi avrebbe preferito non alzarsi quella mattina. Oh, beh, niente è perfetto. Anzi, era tutto un gran casino.

“Ho sentito abbastanza” disse il giudice. “Con mia somma gioia, non sono affatto d'accordo con l'avvocato Shore. La questione è più intricata di quanto una legge possa determinare e ho bisogno di sentire di più su questa faccenda. Ci aggiorniamo, il mio cancelliere vi dirà quando tornare con eventuali prove o testimonianze”

La gente in aula si alzò. Si trattava solo dello staff del tribunale, dato che di comune accordo il processo veniva svolto a porte chiuse. La stampa ne sarebbe rimasta fuori, come voleva quella strega della sua cliente.

William salutò Rayne e tornò al tavolo a recuperare la sua valigetta, poi, insieme, lasciarono l'aula.

 

“Eri già stata in tribunale, prima” le disse lui, affiancandola mentre percorrevano il corridoio tra le panche.

“Certo” confermò lei, confusa.

“Allora perchè eri tanto nervosa?” chiese.

Buffy aggrottò la fronte “Io nervosa?”

William le prese una mano e l'alzò, mostrandogliela “Ti sei tormentata le dita con le unghie”

Lei la ritrasse “E allora?”

Varcata la soglia ed entrati nel grande corridoio del tribunale, lui si fermò e gliela prese di nuovo, accarezzandola con il pollice.

“Rischiavi di farti male” sussurrò, evitando di attirare l'attenzione delle persone in fermento.

Buffy abbassò la testa brevemente, poi la rialzò “Avevo un paio di buoni motivi”

“Ad esempio?”

“Beh, ad esempio non sono mai stata la spalla di William Shore” gli fece notare.

William inclinò la testa “Dopo quello che è successo mi vedi ancora come un bravo avvocato?”

“Tu sei un bravo avvocato”

“Ma tu hai molti altri modi in cui vedermi” replicò.

“E nessuno abbastanza definito”

“Sono comunque abbastanza per non essere in soggezione quando lavori con me”

“Io non sono in soggezione, solo-” si bloccò. Guardandosi in torno, prese un respiro prima di parlare “Non è soggezione. Non sono in soggezione di te. Voglio solo... fare bella figura” si spiegò.

William la guardò sorpreso, sorridendo. “Ho sentito quello che ho sentito?”

“Si, hai sentito, ora non montare il tuo stupido ego” sbuffò lei. “In mezzo al caos che abbiamo combinato e in tutte le sfumature del nostro malsano rapporto, non sono mai riuscita a capire se mi ritieni un buon avvocato o se la cosa non ti importa” distolse lo sguardo, vergognandosi di aver veramente pronunciato quelle parole. Soprattutto in quel tono.

Come un'innamorata, preoccupata dell'opinione del suo compagno.

William se ne accorse. Il suo sorriso rimase dolce ma assunse una sfumatura triste. “Mi importa, è ovvio” si prese un momento per riflettere sulle proprie parole. “Se non ti credessi davvero brava... non ti avrei fatto parlare ieri mattina all'incontro con O'Connor” affermò. “Bacio o non bacio” aggiunse poi.

Buffy chiuse gli occhi, ricordando. Poi li riaprì.

“Non hai bisogno di sforzarti di fare bella figura con me, sono già conquistato. Pensi che se non ti credessi promettente sarei così preso da te?”

Sospirò. “Non ti conosco fino a questo punto”

Lo vide inclinare la testa “Io penso di si” le sussurrò.

Buffy si fece coraggio, continuando il suo tentativo di mantenere le distanze.

“Tu pensi tante cose” lo ostacolò.

“E tu fingi che non ci siano perchè hai paura di ferire il tuo fidanzato”

“Dovresti averne anche tu!” esclamò. Si rese conto di aver alzato la voce e si ridiede un contegno.

William le lasciò un secondo, prima di rispondere. “Ne ho tanta”

Buffy abbassò gli occhi “Non sembra”

“Non guardi”

Sorpresa li rialzò, guardandolo negli occhi. “Non-”

“Non chiedo, non chiedo niente” la interruppe, ripetendo quel giuramento che già le aveva fatto. “Ma forse tu dovresti iniziare a chiederti qualcosa”

Lo sguardo nei suoi occhi era così profondo da farla sentire, per la prima volta, davvero colpevole. Questo la irritò.

“E cosa dovrei chiedermi? Se ieri ti ho invitato a pranzo per non lasciarti solo o perchè credevo che Doyle mi avrebbe annoiata? Se ti ho baciato perchè ho una cotta per te o perchè sono stata bene come non mai? No, non me le faccio queste domande, nessuna è valida a sacrificare la felicità di Doyle” disse arrabbiata, mantenendo bassa la voce.

La sua risposta fu tranquilla, come se non avesse preso nulla sul personale, come se non fosse il soggetto di quelle affermazioni ma un amico che voleva darle un consiglio. In questo momento non parlava di se e di lei, parlava di Doyle.

 

“No, non quelle domande. Ma forse, prima o poi, dovrai chiederti se quando me ne sarò andato riuscirai a riprendere in mano la tua vita come se non mi avessi mai conosciuto, o se un giorno finirai per fare la stessa cosa con un altro estraneo”.

Nel suo tono non c'era durezza, sapeva che non la stava giudicando. Non era così ipocrita. Era tante cose, ma non quella. Sospirò.

“Tu non sei un estraneo” rispose.

“Lo ero”

“Non lo sei mai realmente stato” sospirò. Poi si innervosì “Perchè, quando prometti di non chiedere, finisci per mettermi comunque dubbi?” chiese.

Lui, come sempre, le sorrise. “Perchè non voglio vedere Doyle fare la mia fine”

Lo guardò negli occhi. Quando capì che diceva sul serio, il senso di colpa lasciò spazio ad ammirazione per lui, quella stessa ammirazione che la rendeva consapevole di quanto confusi fossero i suoi sentimenti in realtà.

 

Alzò una mano istintivamente, per toccargli il viso, fermandola un attimo prima di sfiorarlo. Invece, in modo più cauto ed impersonale agli occhi indiscreti dei presenti, l'appoggiò sul suo torace, sistemandogli il nodo della cravatta.

“Sicuro che il tuo consiglio non centri col fatto che poi sarei disponibile?” scherzò.

Triste, ma era Doyle quello che sapeva sdrammatizzare, non lei.

“Certo” William gonfiò il torace “Non sono un santo” rise.

I due lasciarono trascorrere un momento per allentare la tensione, prima che lui parlasse di nuovo.

“Qual'era la seconda ragione?” le chiese.

Buffy aggrottò la fronte “La seconda ragione di cosa?”

“Per cui eri tesa in aula”

“Oh” sospirò “Doyle non è nemmeno venuto a vedermi”

William annuì lentamente. “Sapeva che l'udienza era alle due?”

Buffy annuì.

“Ti aveva detto che sarebbe venuto?” le chiese.

“No, ma... era praticamente scontato. Ha sempre cercato di venire a vedermi e sapeva quanto fosse importante questo caso” spiegò.

William inclinò la testa “A cosa pensi?”

La ragazza abbassò gli occhi. “Penso che lui sia molto deluso da me e stia cercando di punirmi o di mettermi alla prova”

“Povero sciocco” le disse “Come se tu fossi il tipo di donna da andare pentita a chiedergli scusa” rise.

“Già” sorrise “Non sono mai stata brava a sopportare le persone che mettono il broncio. L'unica cosa per cui ha ragione ad essere furioso, è venerdì sera”

William la guardò interrogativo.

“Tranquillo, non sa che ero con te. Si è solo accorto che sono uscita, se lo chiede di nuovo dirò di essere stata da un amica” lo rassicurò.

Lui le sorrise, nei suoi occhi non c'era la preoccupazione di essere scoperto. C'era una tacita domanda, che Buffy capì senza bisogno di sentirgliela dire.

'Farai così per tutta la vita?'

 

Tra il tacchettio delle scarpe eleganti sul pavimento di marmo del corridoio e i mormorii dei dipendenti del tribunale che continuavano a camminare intorno a loro, i due si scambiarono uno sguardo dolce. Troppo dolce, troppo complice.

William lanciò un occhiata oltre la spalla di lei.

“Darla è ancora qui” disse.

Buffy si voltò, vedendo la diva spazientita battere il piede vicino al portone. Immaginò che il suo gesto finisse per consumare le sue scarpe bianco avorio e che lei uscisse di testa per questo. Sorrise e si voltò di nuovo verso William.

“Vado un momento a parlarle, così non sei costretta a esserci anche tu. Mi aspetti qui?” le disse.

“Si, d'accordo” gli rispose.

Lo guardò allontanarsi e sospirò. Si, qualche domanda avrebbe dovuto porsela, ma la paura di quello che potesse succedere a Doyle la bloccava sempre. Lui era la prima persona della cui felicità le fosse importato più della propria, il primo e finora unico scorcio di altruismo che aveva provato nella sua vita. Sarebbe stata capace di provarlo ancora senza lui? Anche la felciità di William le importava più della propria? In effetti non si era mai posta neppure quella domanda, William non aveva bisogno di lei per essere felice, Doyle si. Se avesse potuto dare qualcosa di suo per William, lo avrebbe fatto? Sospirò di nuovo. Non ne aveva la minima idea.

Poi qualcosa attirò la sua attenzione.

 

Darla non era l'unica ad essere rimasta ad aspettare il proprio avvocato. Dalla parte opposta del grande corridoio, Angel O'Connor stava appoggiato con la schiena ad una parete, fissandola da lontano. Il primo pensiero che passò la mente di Buffy fu che era patetico a starsene in un angolo a spiare la propria ex, come l'ultimo dei perdenti. Poi, osservando meglio, vide un luccichio sulla sua guancia.

Non seppe spiegarsi il motivo in quel momento, forse perchè non aveva mai visto un uomo piangere, ma si sentì come se il mondo le stesse crollando addosso. Senza quasi rendersene conto, avanzò verso di lui, a ogni passo le sembrò non solo di allontanarsi da William, ma dall'intero mondo reale. Le luci si attenuavano, le voci le raggiungevano ovattate alle orecchie, la gente passava inosservata.

“Salve” si trovò a dirgli, prima di poter pensare.

L'uomo girò gli occhi verso di lei, come se non l'avesse sentita arrivare. La sua espressione era stanca, scura, non vacillò neanche un momento. La guardò con occhi troppo tristi per essere realmente arrabbiati, come si sarebbe aspettata.

“Non dovrebbe stare qui. Conflitto d'interessi, o come diavolo lo chiamate” rispose in un sussurro rigido, distogliendo di nuovo lo sguardo.

Buffy annuì “Ha ragione” confermò. “Ma volevo chiederle... se si sente bene”

Lo vide ridere amaramente, si sentì stupida per la propria goffaggine verbale. Era un uomo distrutto ed era più che evidente.

“Lo sa, sapevo che mi avrebbe tradito. Lo sapevo ancora prima di sposarla” disse, senza guardarla.

La ragazza comprese che a farlo confidare in quel modo, doveva essere stata la stessa sensazione che aveva portato lei ad avvicinarsi a lui, la reciproca comprensione che quel momento era fatto per parlare.

“Perchè l'ha sposata, allora?” gli chiese.

L'uomo sospirò “La domanda è perchè mi ha sposato lei”

Buffy aggrottò la fronte, ma lo lasciò parlare senza interromperlo.

“E' mai stata innamorata? Intendo, nel vero senso della parola” le chiese.

“Io...” sospirò “...non lo so” rispose sinceramente.

“Già. Ora non lo so neanche io, ma prima credevo di saperlo. E credevo fosse lei” sospirò. “Sapevo che tipo di persona era, immaginavo che non avrebbe resistito molto tempo con un uomo ordinario come me. L'ho sposata ugualmente perchè infondo, da qualche parte, davvero speravo ci fosse almeno una possibilità che tra di noi potesse funzionare” raccontò, guardando a terra.

Buffy inclinò la testa “E' per questo che tiene così tanto a cancellare quello che avete fatto?”

Angel la rialzò. “No, non è per questo. La domanda che voglio togliere dalla mia testa per sempre è perchè, per quale sadico motivo quella donna mi ha sposato anche se sapeva già da mesi che io non le sarei bastato?” cercò di abbassare la voce, ormai irrigidita dalla tensione. “Se aveva già un amante, se sapeva che non c'era alcuna possibilità che il nostro matrimonio potesse funzionare, perchè illudermi così?”

Avrebbe voluto lasciarlo sfogare, magari essergli utile con qualche parola di conforto che la situazione sembrava richiedere, ma non riuscì a non paragonare il suo racconto al proprio.

“Forse...” cercò di tacere ma non ne fu capace “Forse pensava davvero di poter fare funzionare le cose. Forse teneva a lei abbastanza da credere di poter rinunciare a tutto il resto, anche se alla fine ha fallito” tentò.

L'uomo, che le sembrò più giovane che mai ora, la guardò dritta negli occhi, dicendole una cosa che nella sua semplicità fu disarmante.

“Vuole scherzare?”

Buffy lo guardò sbigottita. Lui continuò.

“Se mi avesse amato abbastanza da sposarmi, se fosse stata capace di passare il resto della sua vita con me, non avrebbe desiderato un altro. Le sarei bastato io. Decidere a tavolino cosa credi o non credi di poter fare per il resto della vita è... ridicolo, se non parte dal cuore non sei in grado di farlo” sospirò. “L'unica cosa di cui sono contento, è l'essermi risparmiato anni a fianco della peggiore moglie che si possa avere. Dato che non vincerò mai questo caso, è l'unica consolazione che mi resta.”

L'uomo riprese a guardare davanti a se, verso la donna che lo aveva distrutto, ma Buffy non seguì il suo sguardo. Aveva troppa paura di sentirsi uguale a lei.

Lasciando quel poveretto al suo dolore, scivolò di nuovo nel mondo reale, facendo qualche lento passo indietro nella speranza che le sue parole smettessero di pungerla come spilli.

 

Camminò rapidamente lungo il corridoio, riprendendo consapevolezza delle persone che facevano tutto quel chiasso con i loro chiacchiericci e il ticchettio delle scarpe eleganti sul pavimento di marmo. Non andò verso William. Se lui l'avesse chiamata, non lo avrebbe neppure sentito.

Scese le scale di fretta e quasi corse per raggiungere il portone, ignorando le persone a cui aveva preso contro, aveva bisogno di raggiungere l'aria e la luce esterna, respirare l'ossigeno che non arrivava più ai polmoni e far circolare il sangue che pompava nelle sue tempie. Una miriade di pensieri le invadevano la testa mentre, raggiunto il cortile, si faceva strada tra la gente, sistemandosi in un posto in cui William la potesse trovare quando fosse venuto a cercarla. Sedette sul muretto che costeggiava il parco di fronte al tribunale, incurante della possibilità di rovinare il suo bel vestito, scomodo più che mai in questo momento. Mise la testa tra le mani e si isolò dal mondo esterno.

 

Diversi minuti più tardi, fu riportata alla realtà dalla lieve pressione di una mano sulla spalla. Liberando gli occhi, vide William seduto accanto a lei.

“Ti senti bene?” le chiese.

Stordita, si limitò ad annuire. Lui sospirò.

“Non era mia intenzione assillarti tanto. Ti farai le domande che vuoi quando lo riterrai opportuno, senza farti influenzare dal primo idiota che passa”

Quando di nuovo non rispose, William aggrottò la fronte, preoccupato.

Senza aggiungere altro, le poggiò una mano dietro la schiena, spingendola leggermente per farla alzare. La condusse lungo il vialetto, fuori dal parco e verso la loro auto, aprendole la portiera. L'aiutò a salire e fece il giro verso il posto dell'autista, lanciandole un ultimo sguardo prima di avviare il motore.

 

Arrivati al parcheggio del loro studio legale, William arrestò la macchina e la spense, aspettando di vederla fare una mossa ma vedendola immobile.

“Mio Dio” disse “Non hai detto una sola parola” la guardò, la fronte contratta.

Buffy alzò lo sguardo verso di lui, senza dire nulla. Lo vide cercare di leggere il suo sguardo, tentare di capire cosa l'avesse sconvolta tanto da non parlare per l'intero tragitto, ma sarebbe stato inutile.

Quello che era accaduto nella sua testa in quei pochi minuti avrebbe richiesto una vita per essere spiegato.

“Hai ragione tu” gli disse, in un sussurro.

“Come dici?”

“Ho detto che hai ragione. Decidere a tavolino cosa credo o non credo di poter fare per il resto della vita è ridicolo” sospirò.

Mise una mano sulla sua. William abbassò gli occhi a guardare le sue dita poggiate sulle proprie, sentendo il proprio battito accelerare per il timore di cosa stesse per dirgli.

“Quando ho avuto il tempo di pormi la domanda...” abbassò lo sguardo “...la risposta era già lì. Mi dispiace”

 

Sussurrò le ultime parole e un attimo dopo era uscita dall'auto, lasciandolo fermo a guardarla allontanarsi. William appoggiò le mani sul volante, fissando un punto vuoto su di esso. Si sentiva stupido, ora, ad averle fatto tutte quelle pressioni sulle decisioni che avrebbe dovuto prendere. Si consolò pensando che era la cosa giusta da fare, che l'aveva fatto per il bene di Doyle e di lei, che avrebbe dovuto togliersi di mezzo dall'inizio e lasciarli vivere la loro vita in pace. Ma dentro, comunque, bruciava. Era la seconda volta che la sentiva dirgli 'mi dispiace' prima di allontanarsi e già sapeva di non aver mai odiato tanto due parole in vita sua.

Poi qualcosa attraversò la sua mente. Un pensiero confuso, che irruppe con forza tra gli altri e si fece spazio per avere considerazione, l'idea che queste sue seconde scuse non avessero lo stesso significato delle prime. William cercò di riflettere, distaccandosi dal proprio dolore per comprendere meglio cosa intendeva lei. Buffy non sarebbe rimasta sconvolta e in silenzio per trenta minuti a porsi domande per arrivare alla conclusione a cui era già giunta da sola, se così fosse gli avrebbe detto semplicemente 'okay, ci ho pensato, ma non cambia nulla' e non è ciò che aveva detto. Lei aveva detto che era stato ridicolo decidere a freddo cosa fare della sua vita.

William chiuse gli occhi, abbassando la testa fino ad appoggiare la fronte sul volante, esalando un pesante respiro che sapeva di felicità e di profonda angoscia nello stesso tempo. Buffy non gli aveva detto 'mi dispiace' perchè lo stava lasciando. Lo aveva detto perchè stava andando a far soffrire Doyle.

 

 

 

NOTA: il corsivo è il passato, il litigio appena precedente al capitolo

 

 

Capitolo 15

 

 

L'ufficio non le era mai sembrato così silenzioso. Sentiva i rumori provenienti dall'esterno, certo, ma erano lontani e ovattati. C'erano tacchi sul pavimento, dita che premevano tasti di computer, telefoni che squillavano, Giles intimoriva i novellini che ancora si lasciavano spaventare, ma tutto arrivava alle sue orecchie attutito. Come se fosse sott'acqua. L'unico suono che percepiva, con tremenda chiarezza, era lo squillo del proprio cellulare.

Lo lasciò suonare senza prestarvi attenzione finchè la musica non cessò. Quando, un momento dopo, riprese, capì che il chiamante non si sarebbe arreso ad essere ignorato e afferrò il telefono dalla scrivania con la tentazione di gettarlo contro la parete. Si bloccò, con il braccio già alzato, quando vide che il chiamante era Doyle.

 

“Devo parlarti”

“Lo immaginavo”

Lo sguardo arrendevole di lui le fece tanta pena da darle forza nella sua decisione. Non si dovrebbe provare pena per il proprio fidanzato.

“Doyle, non hai idea di quanto ti voglio bene, ma-”

“Dimmi solo se è per William”

 

Rimase immobile qualche secondo, il cuore batteva in modo tanto lento e profondo da farle quasi male, mentre tentava di prepararsi a cos'avrebbe sentito una volta risposto.

“Pronto”. Chiuse gli occhi. “No... no, tesoro, lasciami... no, lasciami spiegare. Certo, non devi neanche metterlo in dubbio. No, non è stato quello il motivo, non-- Doyle... Doyle...” sospirò. Aveva riagganciato.

 

“No, non centra William in questo. Io-”

“Vuoi dirmi che è un caso se eravamo felicemente fidanzati e da quando lui è arrivato hai cambiato idea?”

“Si, ha influito. Ma non riguarda lui-”

“Oh, si, certo!”

“Dannazione Doyle, lasciami parlare!”

 

Del resto se lo sentiva che non fosse finita lì la questione, non con il dialogo che avevano avuto poche decine di minuti prima e da cui lui era uscito sbattendo la porta. Non avrebbe nemmeno voluto discuterne in ufficio. Certe cose non si fanno dove qualcuno potrebbe sentirti, no? Se spezzi il cuore a una persona non puoi costringerla poi a dover affrontare un corridoio pieno di sguardi, è da criminali. Da sconsiderati. Da idioti. Da vigliacchi. Com'era lei.

Nel momento in cui aveva compreso di doverlo lasciare, aveva avuto fretta di farlo e paura di affrontarlo. Sapeva che, se avesse aspettato di tornare a casa con lui, non sarebbe riuscita a sopportare di vedere il suo cuore spezzarsi in una stanza che avevano arredato insieme.

Insieme... ne avevano fatte tante di cose. Solo a pensarci si sentì mancare le forze. Si sedette sulla sedia da lavoro, appoggiò i gomiti e la fronte sulla scrivania, intrecciando le dita dietro la nuca e stringendo fino a farsi venire le nocche bianche perchè le lacrime non iniziassero ad uscire.

 

“Io ti sono sempre stata affezionata. Non voglio che ora pensi che non sia stata sincera con te, perchè la sono stata. Però... io sono molto diversa da come tu mi conosci. Ho provato a essere la migliore delle fidanzate e pensavo che avrei potuto esserlo sempre per te, ma poi...”

“Poi è arrivato lui”

 

Erano andati nel magazzino del mobile usato la prima volta. Per un primo appartamento poteva andare più che bene, su questo erano d'accordo. Avevano litigato ore per i mobili della camera da letto, Doyle li voleva bianchi e Buffy rossi, ma lei l'aveva spuntata perchè gli aveva concesso di mettere le piastrelle azzurre nel bagno. Poi erano tornati a casa, in cui c'erano solo il fornellino elettrico, l'attacco per la doccia e un tavolo. Avevano dormito per terra con i sacchi a pelo nel punto in cui poi avrebbero messo il letto. Quei sacchi a pelo ora erano nello stanzino degli attrezzi. Doveva toglierli da là? Li avrebbe tenuti lui? Strinse le nocche fino a sentirle scrocchiare al pensiero di dover tornare in quella casa, magari mentre Doyle era presente, doveva raccogliere le sue cose, dormire in un altro posto... Squillo di telefono.

 

“E' l'unica cosa che ti importa? È l'unica cosa che vuoi sentirmi dire? Siamo io e te, qui. Sono la tua fidanzata, ti sto dicendo che non posso più esserla e l'unica cosa di cui parli è lui? Beh, ti accontento, ragazzino. Sono stata con lui. E mi dispiace, mi dispiace tanto, ma non l'avrei fatto se con te fossi stata davvero felice, quindi-”

Lo vide voltarsi per uscire e lo afferrò per un braccio.

 

Era di nuovo lui, lo sapeva senza guardare. Separò una mano tremante dalla nuca e afferrò il telefono.

“Doyle...” come se le avesse letto nella mente. “No... no, devi dormirci tu... non ha senso, non ho il coraggio di tornare a dormire lì stanotte. Non lo so. Non ci provare Doyle, non ti puoi preoccupare per me ora! Mi adatto, sto in un motel, sii egoista per favore, mi uccidi così...” sentì la propria voce rompersi come fosse fatta di cristallo, nello stesso momento in cui lui riagganciava di nuovo.

 

“Santo dio, Doyle, siamo insieme da tre anni! Vuoi che finisca così? Urlando?!”

La sua voce era sommessa. “Io non vorrei nemmeno che finisse. Ma adesso non riesco neanche a guardarti”

Lo lasciò andare.

 

Quando sentì bussare alla porta, seppe che era William. Di solito entrava direttamente, senza curarsi che lei potesse essere occupata, ma sapeva ugualmente che era lui. Probabilmente quell'accortezza era un suo modo di mostrare rispetto per quello che era appena avvenuto. Come per dire 'So cos'è successo qui, non vengo a crearti altri problemi'. Molto gentile da parte sua. Ma non trovava la forza né di rispondere, né di alzarsi per aprire.

William attese qualche istante senza dare altri segni. Poi, rendendosi conto che lei non si sarebbe mossa, aprì lentamente la porta. Non le chiese se poteva entrare, né irruppe senza rispetto. Si può dire che impose rispettosamente la propria presenza, chiudendo la porta dietro di se e attendendo in silenzio che lei desse segno di averlo notato.

Buffy non seppe dire per quanto tempo era rimasto lì, fermo a guardarla, in piedi vicino alla porta, rispettando il suo silenzio. Seppe solo che, diversi minuti più tardi, lo sentì muoversi di pochi passi lateralmente, ancora molto lontano da lei.

Con lentezza infinita, alzò la fronte dalla scrivania, fino a guardarlo.

Era in piedi, di fronte alla parete a vetro opaco del suo ufficio. Le dava le spalle e non poteva capire cosa stesse pensando. Due uomini risentiti nella stessa giornata sarebbero stati troppi per lei, sperò che almeno lui non volesse discutere.

Poi notò l'ultima luce dello studio spegnersi, pochi secondi dopo udì le porte dell'ascensore aprirsi e richiudersi dietro l'ultimo impiegato presente in ufficio. Ora erano soli, potevano parlare indisturbati.

 

William si voltò verso di lei, e Buffy rimase senza parole. Si aspettava di trovarlo furioso, aveva molti motivi per esserlo, a partire dall'aver fatto soffrire Doyle e a continuare con l'aver svelato la loro tresca, ma lui non lo era. Era calmo, tranquillo, forse triste. Per qualunque cosa fosse lì, non era contro di lei. Sospirò sollevata.

“Gliel'ho detto” gli sussurrò, rompendo il silenzio.

William sorrise, malinconico e rassicurante. “Lo so”

Il silenzio era tornato.

“Scusami” lo ruppe di nuovo.

“Era la cosa giusta” le rispose.

Di nuovo silenzio.

Buffy vide l'uomo restare in piedi a guardarla, non come se si aspettasse qualcosa da lei, ma come se volesse dirle 'Sono qui. Appoggiati'. Avrebbe tanto desiderato poterlo fare.

Ma ora squillava il telefono.

Rispose in un gesto automatico, senza curarsi che William fosse presente. Non c'era niente che potesse nascondergli e non lo voleva nemmeno.

“Pronto. No. Non è stato per quello, Dio, come devo dirtelo? Io...”

William la osservò tendersi come una corda di violino. Non era difficile capire chi fosse il suo interlocutore, si sentì triste per lei, mortalmente. L'ultima ora, da quando Buffy era uscita dalla sua auto, era stata per lui più lunga di quelle spese ad aspettare il verdetto di una giuria. C'era un intero processo, nella sua mente, che cercava di stabilire se dovesse essere addolorato per Doyle o felice che Buffy volesse lasciarlo, se dovesse sentirsi contento o in colpa, se avesse dovuto andare dal suo figliastro o dalla donna che desiderava. Aveva vinto l'egoismo, la vigliaccheria, la donna.

Avanzò di qualche passo, sedendo in una delle poltrone contro la parete, in attesa che quell'angosciante telefonata terminasse. Non sapeva neanche cosa ci faceva lì, ma non avrebbe potuto essere in nessun altro posto in questo momento.

“Doyle, non continuare così. Se vuoi parlare vediamoci, dimmi di persona queste cose, lasciami spiegare... Doyle... Doyle... ” Buffy imprecò e gettò il telefono sul tavolo in un gesto di stizza, asciugando in fretta una lacrima dal viso.

Impiegò almeno un minuto a scacciare i pensieri e a dimenticare la chiamata. Comprese che ce ne sarebbero state molte altre prima che quel povero ragazzo trovasse pace. Non doveva prestarvi troppa attenzione, Doyle era scosso, evidentemente chiamarla ogni cinque minuti era il suo modo di razionalizzare la cosa. Alzando gli occhi, vide William seduto lontano da lei, guardarla in silenzio. Sospirò, raccogliendo le forze per alzarsi dalla sedia e avvicinarsi a lui.

Arrivò fino a pochi passi di distanza, senza che nessuno dei due parlasse. William la osservò avvicinarsi, con un sorriso malinconico ma accogliente. La fece sentire protetta e, forse per la prima volta, come se la sua pena fosse condivisa. Come se non fosse sola a soffrire per questo. Sedette nella poltrona accanto a lui, guardando un punto vuoto sul pavimento.

“Non ti facevo una che guarda il vuoto per pensare” le sussurrò.

“Non sto pensando” rispose.

“Meglio così” disse.

Attese che lei rispondesse. Quando non lo fece, tentò di nuovo.

“Cosa guardi?”

“L'interno della mia pupilla”

“Senza dubbio più bello”

Attese di nuovo, questa volta più tempo, finchè non parlò lei.

“Apprezzo che non ti sei arrabbiato con me, anche se quello che ho rivelato a Doyle ha distrutto le tue possibilità di un rapporto con lui” gli disse.

“Smettila”

Buffy alzò gli occhi. “Di fare cosa?”

“Di cercare di mantenere la calma”

Lo guardò per un lungo istante, provando odio e gratitudine allo stesso tempo per quella provocazione. “Fidati, è molto meglio se resto tranquilla.”

“Perchè?”

“Devo pensare. Come affrontare Doyle, come lasciare la casa, dove andare stanotte... Ci sono cose da sistemare, se--”

“Se ti lasci andare, posso aiutarti io a sistemare tutto” sussurrò.

Istintivamente Buffy si coprì le orecchie con le mani. Non voleva sentire, lui non doveva aiutarla, non doveva essere carino con lei, lei meritava di soffrire e non doveva esserci qualcuno che alleviava la sua pena. Sospirò, cercando di riprendere a ragionare logicamente. Era ovvio che aveva bisogno di una mano, non poteva nascondersi in quell'ufficio per sempre. Rilassò le braccia, si passò una mano tra i capelli e si appoggiò allo schienale della poltrona.

“Grazie” rispose.

“Credo dovremmo uscire da qui” suggerì lui.

Buffy annuì. Lo vide alzarsi e tenderle una mano, per aiutarla a fare lo stesso. Tendere una mano. Lo si fa a chi sta annegando. Scosse la testa e l'accettò.

 

Recuperando la borsetta, seguì William come un automa fuori dal proprio ufficio, lungo l'atrio di ingresso, verso l'ascensore. Chiuse le porte, si sentì girare la testa. Tutti gli errori erano iniziati lì dentro, da una salita in ascensore con William accanto a se. Quanto era passato? Quindici giorni? Di più? Doveva essere lieta di aver capito cosa fare prima che fosse troppo tardi, ma una parte di lei avrebbe voluto continuare a vivere nell'ignoranza, solo per non dover affrontare quel momento, quelle telefonate, la voce distrutta di una persona a cui voleva tanto bene da non poterlo spiegare.

Solo quando si aprirono le porte dell'ascensore si rese conto che William le era stato distante, non aveva fatto cenno di sfiorarla per non farle pressioni. Ne fu colpita, per un momento. Aveva sempre sospettato che fosse una brava persona, ma era la prima volta che si trovava davanti a quest'evidenza.

Uscì nel parcheggio esterno, sentendo l'aria fredda colpirle il viso. Per una sera autunnale, la temperatura era troppo bassa, o almeno così le sembrava. Avanzò accanto a William di alcuni metri, fino ad arrivare alla sua auto di cui le teneva la portiera aperta, salì con familiarità in quel veicolo che l'aveva già vista al suo peggio più volte.

William fece il giro dell'auto, arrivando al sedile del guidatore. Una volta chiuso lo sportello, si voltò verso di lei.

“Non penso tu voglia tornare a casa?” suppose.

Buffy scosse la testa. “Non c'è più 'casa'”

William annuì lentamente. “Considero che non hai amici a cui rivolgerti. Li avresti già chiamati”

Annuì, per conferma.

“Posso portarti all'albergo in cui sto io” propose. Buffy si voltò a guardarlo, prima che potesse fraintendere lui proseguì. “Ovviamente intendo in un altra stanza, sono tutte libere nel mio corridoio. Puoi sistemarti, dormirci sopra, decidere con calma che cosa farai, e puoi farlo sapendo che c'è qualcuno vicino, se hai bisogno”

Dopo l'iniziale campanello rosso nella sua mente, Buffy dovette ammettere che si trattava della soluzione migliore. Certo era meglio rispetto a passare la notte in un motel sconosciuto, sola con i propri sensi di colpa. E poi, si fidava di lui, in questo momento aveva davvero bisogno di non dover pensare a nulla e lui glielo stava permettendo.

William la guardò in attesa di una sua risposta, o un semplice cenno di conferma, provando più ansia di quanto gli fosse capitato da molto tempo. Se lei avesse detto no, e lui avesse dovuto limitarsi ad accompagnarla da qualche altra parte dove non avrebbe potuto assicurarsi che stesse bene, probabilmente non sarebbe riuscito a chiudere occhio quella notte. La vide esitare, pensarci su. Quando gli sembrò che stesse per rispondere, il telefono suonò di nuovo.

Buffy chiuse gli occhi e appoggiò la testa al sedile. “Doyle per favore... Si, sono certa sia la cosa giusta. No, non è colpa di nessuno, no io ti ho sempre voluto bene...” abbassò la testa, tenendola con la mano libera.

William non prestò attenzione al resto della chiamata. Poteva immaginare con poco sforzo quanto il ragazzo stesse soffrendo e averne la prova non gli rendeva la vita facile, come non doveva esserla per Buffy. Decise di fingere di aver avuto la sua conferma, avviò il motore e guidò verso l'hotel.

 

 

La stanza assegnata a Buffy era esattamente a fianco della sua, sotto specifica richiesta. Lei lo aspettava in macchina, le aveva evitato volentieri la trafila burocratica di registrazione in albergo, segnando la camera a proprio nome. Dopo aver preso la chiave dal ragazzo della reception, lanciò un occhiata all'orologio. Le nove di sera. Era relativamente presto, se ne sorprese dato che si sentiva esausto come se fosse notte inoltrata. Si rese conto che avevano impiegato circa due ore dall'ufficio a lì, era quasi il doppio del tempo che serviva in realtà, ma lui aveva voluto fermare l'auto ogni volta che Doyle chiamava, perchè non ne sentisse il rumore e non tormentasse Buffy di altre domande complicate.

Attraversò di nuovo il grande atrio di marmo, incurante dei pochi presenti, fino ad oltrepassare il portone e tornare all'esterno. Inalò aria più fredda di quella che si aspettava. Scese i gradini d'ingresso e si diresse verso l'angolo dell'edificio, dietro cui stava l'auto parcheggiata. Allentando il colletto della propria camicia, pensò che era ora di cena. Buffy avrebbe avuto fame? Le donne che conosceva avrebbero avuto un nodo allo stomaco per un unghia spezzata. Ma lei non era come quelle che conosceva. Di certo però non avrebbe fatto la stupidaggine di proporle di mangiare al ristorante dell'albergo, stare in mezzo a un mucchio di gente era l'ultima cosa che le serviva ora.

Arrivato all'auto, aprì la portiera del passeggero.

“Undicesimo piano. Quando entri, l'ascensore è sulla sinistra. Se ti serve qualcosa la mia camera è di fianco alla tua, io salgo tra un momento” le porse la chiave.

Buffy alzò gli occhi. Sbattè le palpebre alcune volte, come se si fosse appena resa conto che l'auto era ferma. Annuendo flebilmente, prese la chiave dalla sua mano e si alzò in piedi, dirigendosi lentamente verso l'entrata dell'albergo.

William la osservò allontanarsi per qualche istante, assorto nei suoi pensieri. Di solito, odiava vedere le persone deboli. Gli faceva provare pena per loro e con la pena terminava il rispetto, quando qualcuno non riesce a contenere il proprio stato d'animo di fronte agli altri, significa che non riesce più a gestire le cose. Tuttavia, nella debolezza di Buffy c'era qualcosa che mandava in frantumi i suoi cinici pregiudizi. Una grande, fortissima dignità. Qualcosa che lo portava a pensare 'Si, lei ha accettato il tuo aiuto, ma se la sarebbe cavata perfettamente anche da sola'. Scosse la testa, quando il flusso dei suoi pensieri lo portò a considerare chi di tanta forza non era capace, chi non lo sarebbe mai stato perchè non c'era stato nessuno nella sua vita ad insegnargli come fare... Infondo alla strada, attraversato il semaforo, c'era quello che cercava. Si concentrò su pensieri più pratici, avviandosi.

 

Buffy raggiunse facilmente la stanza che William le aveva preso, unico ostacolo il portiere che non conoscendola voleva controllare il registro. Stupida seccatura, aveva sentito suonare il telefono mentre confermava i suoi dati e non aveva potuto rispondere. Non dubitava, tuttavia, che ci sarebbe stata una nuova chiamata entro dieci minuti ugualmente. Sentire Doyle urlare e piangere a intermittenza nel suo orecchio iniziava a farla uscire di testa. La voglia di gridare la sua frustrazione e intimargli di lasciarla in pace era tanta, ma inferiore rispetto al senso di colpa nei suoi confronti che le permetteva di mantenere una calma apparente, sufficiente a rispondere alle sue domande ripetitive e totalmente inutili.

Sedendo sul letto morbido da hotel a cinque stelle, forse più comodo di quello che aveva a casa, commise l'errore di guardarsi intorno. La stanza, per quanto splendidamente arredata e spaziosa, non era la sua. Non c'era niente di suo lì dentro. Non aveva con se nemmeno quello che poteva servirle per la notte, non aveva uno spazzolino da denti, né un pigiama, se Doyle insisteva nel chiamarla le avrebbe esaurito la batteria del telefono e non poteva ricaricarla. Quanti litigi fatti perchè lui la chiamava mentre lei aveva il telefono scarico. Quante volte si erano scambiati lo spazzolino da denti. In questo momento, se fosse stata a casa, Doyle le avrebbe portato una camomilla per aiutarla a rilassarsi. Odiava quella roba, non l'aveva mai potuta sopportare, ma lui era talmente dolce a volersi prendere cura di lei che ogni volta aspettava che si addormentasse prima di andare a buttarla.

La domanda, ricorrente nella sua testa, premeva per essere ascoltata.

'Ho fatto la cosa giusta? Ne sono davvero certa?'

Che la fosse stata o no, quel quesito avrebbe tormentato la sua mente per un po' di tempo, lo sapeva. Del resto era giusto così. Era cresciuta ora, non era più la ragazzina che lasciava i suoi partner con un sms e passava a quello successivo, aveva una coscienza. Certo, si vede come l'aveva sfruttata.

Sentì bussare alla porta. Esalò un pesante respiro, lieta di non essere sola, e andò ad aprire.

 

William davanti a lei non sorrideva, ma non era arrabbiato. Si rese conto solo ora delle occhiaie che segnavano la sua stanchezza, e forse qualcosa di più. Teneva in mano una sportina bianca, l'alzò leggermente per fargliela notare.

“Cinese. Ti ho visto prenderlo la settimana scorsa, credo di aver ricordato la tua ordinazione” disse, direttamente.

Buffy lo guardò sorpresa. Un conto era l'aiuto a trovare un posto per dormire, ma non si era mai figurata William come capace di prendersi cura di qualcuno. Annuì lentamente.

“Avrei divorato anche cibo tailandese, in questo momento”

“Lo immaginavo”

La ragazza si voltò. Nell'ampia stanza c'erano anche un tavolino da caffè con un paio di poltrone intorno.

“Mangi con me?” gli chiese, indicandoli con un cenno del capo.

“Non devi sentirti obbligata a invitarmi solo perchè ti ho offerto la cena”

“Se non volevo farlo, prendevo il sacchetto e ti chiudevo la porta in faccia”

“Ho idea che tu dica la verità”

“Me l'hai insegnato tu”

William abbassò gli occhi sorridendo. Buffy si fece da parte, lasciandolo entrare. Chiuse la porta alle sue spalle e lo seguì verso il tavolo, dove si sedettero e iniziarono a mangiare. Fu più facile del previsto, entrambi erano concentrati nei loro pensieri o nel tentativo di scacciarli, non si rivolsero la parola pur rimanendo a proprio agio. Quando anche l'ultimo dei contenitori fu gettato, il silenzio divenne più difficile da sostenere.

“Grazie” disse lei, cercando di romperlo.

“Non mi offendo se smetti di ripeterlo” replicò lui.

“Non ti piace essere ringraziato?”

“Lo adoro, se me lo sono meritato”

“Il cibo non è comparso con la forza del pensiero”

“L'ho trasportato dal negozio a qui. Poteva farlo anche una scimmia”

“Questa stanza non si è registrata da sola”

“E tu tre settimane fa eri felice e fidanzata”

Buffy si bloccò, interdetta. “Sono tre ore che cerco di spiegare a Doyle che non sei il motivo della rottura. Non voglio ricominciare daccapo a spiegarlo per te” sbottò frustrata.

“Non credo di essere il motivo, ma senza dubbio sono la causa scatenante”

“E l'aiuto che mi stai dando è un modo per fare ammenda?” aggrottò la fronte.

William sorrise. “Se volevo fare ammenda staccavo un assegno”

“Se provavi a farlo te lo facevo ingoiare” si innervosì.

“Non l'avrei mai fatto con te”

La rabbia che provava si affievolì, lasciando il posto a un insolito imbarazzo.

“Vorrei che smettessimo di parlare. Sono stanca”

Lo vide inclinare la testa. “Sei carica di adrenalina, nervosa e preoccupata. Non sei stanca, è tanto se chiuderai occhio, stanotte”

Buffy strinse i denti “Okay. Non sono stanca. Vorrei comunque smettere di parlarne”

“Io credo-”

Si interruppe, sentendo il telefono di lei suonare.

“Dio, basta!” imprecò lei d'istinto, un attimo prima di alzare il telefono. “Pronto. Certo. No. Sto da un'amica. No, non voglio dirti dove. No, non va bene, ti prego cerca di dormire...”

 

William non volle ascoltare oltre. Era già abbastanza difficile cercare di non pensare alla sofferenza del ragazzo mentre dava una mano a lei, quelle chiamate rendevano il compito impossibile. Ma lui doveva fare una cosa alla volta. Prima lei. Prima lei. Si alzò dalla poltrona e uscì lentamente dalla stanza, lasciandola al telefono e al silenzio che voleva, entrando nella propria camera a fianco.

Sospirando pesantemente appena chiusa la porta, tolse la giacca e la lasciò sull'attaccapanni, tentando di massaggiarsi il collo. Uno dei pregi dell'alto stipendio che percepiva era il potersi permettere stanze enormi che compensavano l'assenza di una casa fissa, con tanto di poltrone e tavolo che lenivano la mancanza di un salotto vero. Dubitava che Buffy avesse la stessa disponibilità, ma le avrebbe offerto lui la permanenza più che volentieri. Non l'avrebbe fatta stare né lontana da lui né in una sistemazione più modesta della propria per una sciocchezza simile.

Sfilò le scarpe e la camicia, dirigendosi verso il bagno per cercare di darsi una ripulita prima di crollare di sonno. Chiuso il rubinetto, alzò gli occhi, guardando il proprio riflesso nello specchio. Quello che vide non lo rendeva così orgoglioso, dopotutto.

Uscì dal bagno, trascinandosi scalzo verso il grande letto fino a sedervi sopra. Esalando un respiro, lasciò ricadere la schiena sul materasso e con le mani si sfregò il viso. Una lunga, dura giornata.

 

Il rumore della porta che si apriva e richiudeva di scatto, senza bussare, lo costrinse a rimettersi seduto. Una Buffy scossa e leggermente nervosa avanzò come una furia verso di lui, il cellulare chiuso nella mano.

“Vuoi parlarne?!” sbottò, arrivata a un metro dal suo letto.

William la guardò, sorprendentemente incerto su cosa fare. Si trovò ad annuire lentamente.

“Devi esserne sicuro, perchè se apro il coperchio tutto questo vaso di Pandora ti si rovescerà addosso!”

Si riscosse, cercando di concentrarsi. Il fatto che fosse semi-svestito pareva esserle passato inosservato.

“Si, parlami”

“Okay!” si voltò, dandogli la schiena. Un attimo dopo si girò di nuovo e lo guardò negli occhi. “Mi chiedo come fanno le donne a sopportare questo caos in testa tutto il tempo! Per me la cosa era semplice: non mi piace più, passo a un altro. Lineare, pulito, niente complicazioni, andava tutto bene così! Poi è arrivato Doyle, ed era-” chiuse gli occhi “- dolce, passionale! Mi voleva bene e mi trattava con un rispetto che neanche credevo si potesse avere dalla gente. Lui aveva bisogno di una persona dolce e presente, io non la ero affatto ma mi ci sono aggrappata con le unghie perchè lui era l'unica alternativa che conoscevo a una vita in cui avevo sempre dovuto vendermi per ottenere qualcosa, e avrei potuto continuare così, so che avrei potuto, non sarei stata felice ma sarei stata bene ugualmente!”

William rimase immobile, ascoltando il suo sfogo e osservando ogni emozione che il suo viso e i suoi gesti tradivano.

“Ora è qui che chiama ogni cinque fottuti minuti! Mi dice 'Ti prego dimmi che non è vero', 'Come hai potuto farlo', lancia offese che non credevo nemmeno conoscesse e piange, piange! Io odio gli uomini che piangono, e odio le donne che piangono, credo ci sia un età in cui si dovrebbe smettere di farlo e iniziare a capire cosa significa avere rispetto per se stessi! Ma quando piange lui io non riesco a disprezzarlo, riesco solo a sentirmi tanto male. Mi dice 'Ti amavo' e io vorrei rispondergli 'Non amavi me, amavi l'idea di me che c'era nella tua testa!” sbottò. “Era tremendo a volte, sai?!” iniziò a camminare avanti e indietro “Lui così tenero, così vicino, sorpreso ogni volta che mi sfuggiva una parola più pesante delle altre... a volte volevo aspettare che dormisse, scappare dalla finestra, mettermi la roba che portavo per lo strip e infilarmi in un night club a chiedere se volevano assumermi come sostituta!”

“Hai ancora i vestiti con cui lavoravi?” la provocò, sperando di attenuare la tensione.

Buffy fulminò il suo sorriso da schiaffi. “Li tengo per sicurezza. E dovevo nasconderglieli!” riprese a camminare “Non solo, mi sentivo anche in colpa! Sia per tenerglieli nascosti, sia per tenerli! Pensavo: Doyle non si merita una ragazza che si spogliava per pagarsi l'università, sono stata fortunata a trovarlo. E cazzo la ero sul serio! Dannatamente fortunata. Perchè Doyle, Spike... Doyle è migliore di te. Ed è migliore di me”

A questo, William non osò replicare.

La ragazza sospirò, andando lentamente a sedersi sul letto, accanto a lui. “La domanda reale non è se ho fatto bene o no a lasciarlo. La domanda è se devo sentirmi in pace... o delusa di me stessa per non essere riuscita a essere semplicemente una buona persona”.

William non reagì. Doveva lasciarla finire di parlare. Buffy appoggiò i gomiti sulle ginocchia, cercando di rilassarsi.

“Doyle mi ha trovata quando ero... niente. Alla fine del college, le persone che mi rivolgevano la parola si contavano sulle dita di una mano. Lui non era il tipo di ragazzo con cui sarei uscita, ma non so perchè-” sorrise, stringendo gli occhi per non piangere “- non so perchè... si è messo in testa che doveva conquistarmi con tutti i mezzi. Una volta ha scritto 'esci con me' con un mucchio di sassi sul prato, sotto la finestra della mia camera. Ha pagato la cuoca della mensa perchè ci fosse scritto 'per favore per favore' sulla mia fetta di torta, e 'non te ne pentirai' lo aveva composto con dei petali di margherite sul mio zerbino. Non avevo mai visto un tentativo più spudoratamente patetico e insistente del suo, era-” rise “era un perdente ed era fiero di esserlo”.

William l'ascoltò con attenzione, assimilando ogni racconto per comprendere sia lei che il ragazzo, ritrovandosi a sorridere immaginando la scena. Allungò una mano per appoggiarla lievemente sulla sua spalla, accarezzandola con il pollice per invitarla a continuare.

“Lui ha visto quello che potevo essere, lo ha amato e mi ha aiutata a diventarlo. Ma tu... tu hai visto quello che sono realmente, e sei qui comunque...”

William si fermò. Buffy si bloccò allo stesso tempo.

Voltandosi a guardare la sua reazione, lo trovò assorto a osservarla. Temendo un fraintendimento, si affrettò a chiarire.

 

“Non ho lasciato Doyle per te”

William sorrise. “Non mi sarei aspettato nulla di meno”

Buffy strinse gli occhi. “Non ti dispiace per lui?”

“Sto male per lui”

“Allora perchè non sei là?”

Inclinò la testa. “Sto male anche per te”

Sospirando, Buffy appoggiò la testa tra le mani. “Vuoi aiutarmi a stare meglio?” gli chiese.

“Certamente”

“Dimmi una bugia. Dimmi che andrà tutto bene, che tra un po' di tempo staremo tutti bene”

“Sai che non posso farlo...”

Voltò la testa per guardarlo. “Allora dimmi una bugia qualunque”

Guardando il dolore che le segnava il viso, William non si sentì di negarglielo.

“Okay” disse.

Buffy alzò il capo, per dargli la sua attenzione.

“Io non ti amo”

 

Gli occhi della ragazza, per ogni secondo che le serviva a registrare la sua affermazione, si allargarono lentamente. Distolse lo sguardo, quando sentì una calda morsa stringersi intorno al suo cuore. La sua mente si confuse nella miriade di implicazioni che ne derivavano, dalla frase e dalla morsa, finchè la sua vista non si appannò di lacrime che non avrebbe lasciato uscire, adesso.

 

Il telefono vibrò nella sua mano, facendola sussultare. Lo osservò con sguardo perso, come se non ricordasse come si fa a rispondere.

“Credo tu abbia bisogno di dormire, ora” le sussurrò William, accanto.

Buffy non si mosse, né diede segno di averlo sentito. Lentamente, le prese il telefono dalle mani e premette il tasto di rifiuto della chiamata. Si alzò dal letto, porgendole la mano per aiutarla a fare altrettanto. Lei la prese, ma senza forza.

“Puoi dormire qui se vuoi” propose, comprendendo che non si sarebbe alzata. “Io dormo nella tua stanza”

La ragazza scosse la testa negativamente.

“Okay... sto sul divano allora”

Fece per allontanarsi, ma lei gli tratteneva la mano. Rimase fermo, in attesa di una spiegazione.

Buffy chiuse gli occhi, prendendo coraggio. Lui era l'ultima persona, e questo era l'ultimo dei momenti, in cui avrebbe voluto rischiare di mostrare una debolezza. Ma non sentiva di avere scelta.

“Resteresti qui con me?” si decise, alzando gli occhi verso di lui.

 

William registrò la sua richiesta, annuendo. Lasciandole la mano ma non gli occhi, fece pochi passi indietro e abbassò le mani, a slacciare la cintura dei pantaloni. Buffy distolse lo sguardò lievemente imbarazzata, togliendosi la scomoda giacca del completo da lavoro e sfilando la camicia dalla gonna per iniziare a sbottonarla, lieta di aver indossato la sottoveste di raso sotto i vestiti, quella mattina. Lo vide appoggiare i pantaloni su una sedia e fare lentamente il giro del letto, con addosso solo un paio di boxer bianchi. Era la prima volta che lo vedeva svestito, nonostante quello che avevano fatto, e si trovò ad osservarlo. Il suo fisico era tonico, più di quello che avrebbe immaginato per un uomo della sua età, era snello eppure forte, sicuro. Si sentì una bambina in confronto a lui, con la sua costituzione esile. Adorò quella sensazione.

Si alzò dal letto dirigendosi verso il bagno, dove finì di svestirsi e lavarsi. La situazione era quasi surreale per lei che, così concentrata su Doyle e quello che era successo, aveva quasi dimenticato di essere nella stanza d'albergo di chi fino a un mese prima aveva ammirato, che si stava prendendo cura di lei fino a lasciarla dormire nel suo letto per non farla sentire sola. Che le aveva detto di amarla.

Uscendo dal bagno trovò le luci spente, la stanza illuminata solo dalla lampada sul comodino di William. Nella luce soffusa, era ancora più bello. Le dava le spalle ora, chino sulla scrivania a digitare qualcosa sul computer portatile. Sospettava che fosse una scusa per darle un minimo di privacy, per lo meno evitarle l'imbarazzo di avere i suoi occhi addosso. Tuttavia, raggiungendo il letto, si rese conto di essere meno tesa di quello che si sarebbe aspettata, e di esserlo di più, allo stesso tempo. Per quanta fosse l'ammirazione e l'attrazione, sentiva William simile a lei, si sentiva simile a lui, non aveva timore di essere giudicata. Dall'altra parte, non era nuovo per lei dormire nel letto di qualcun altro, ma questa volta era nervosa. Di questo 'qualcun altro' le importava.

Si infilò sotto le coperte, ricordando immediatamente quanto fosse esausta e che bisogno avesse di riposare. Appoggiò la testa sul cuscino, rilassandosi e guardando il soffitto.

William entrò nel letto un momento dopo, rimanendo in disparte per non metterla a disagio e restando seduto, con la schiena appoggiata ai cuscini. La osservò, cercando di capire i suoi pensieri e aspettando un segnale, qualunque indicazione che fosse finalmente rilassata.

“Posso ancora dormire sul divano, se vuoi” sussurrò.

Buffy scosse la testa. William, fidandosi della sua reazione, prese coraggio e si lasciò scivolare sotto le coperte, sdraiandosi. Erano anni che non passava l'intera notte con una donna nel suo letto. Tredici. Non aveva neppure sospettato che il proprio battito potesse accelerare, finchè non lo sentì.

 

Quando, sotto le coperte, sentì la piccola mano di Buffy cercare la sua, si sentì sollevato. Intrecciò le dita con quelle di lei e, dopo un attimo, la sentì rilassarsi completamente. Si era addormentata.

La guardò, accanto a lui, silenziosa, inerme, così diversa da quando era sveglia. Meravigliosa anche così. Ora sapeva che, per averla sempre con se, avrebbe lottato.

Il suono del telefono lo riscosse dai propri pensieri, la vibrazione che lo faceva sbattere contro il legno del comodino. Allungò la mano libera ad afferrarlo prima che il suono potesse svegliarla, sospirando quando vide il solito chiamante.

“Mi dispiace” sussurrò a qualcuno che non poteva sentirlo.

Rifiutando la chiamata, spense il telefono.

 

 

 

 

Capitolo 16

 

Il suono del cellulare riscosse William da una notte di sonno tranquillo. Allungò un braccio per spegnerlo, chiedendosi se, voltandosi, avrebbe trovato Buffy o un letto vuoto. Sinceramente, non sapeva cosa aspettarsi. Conoscendola avrebbe detto la seconda ma, nello stato in cui era la ragazza, poteva essere rimasta. Non avrebbe perso rispetto per lei. Si sarebbe concesso di essere semplicemente contento della sua presenza dato che, ormai, aveva la certezza che Buffy non si sarebbe mai erroneamente affidata a lui come al principe azzurro delle favole. No, ciò che c'era stato tra loro quella notte era tutt'altra cosa. Era lei ad essere fragile, ma si trattava comunque di un reciproco aiuto. Di un lavoro di squadra. Ora lui riusciva non solo a rispettare i momenti di debolezza di lei, poteva quasi permettersi di mostrarle i propri. Forse. Con un po' di tempo.

 

Voltandosi, sorrise nel rendersi conto che nessuna delle due supposizioni era realmente corretta. Buffy c'era, era rimasta nel letto insieme a lui, ma sedeva rigida, tenendo le ginocchia al petto e guardando il soffitto. Si appoggiò su un gomito per guardarla meglio, per nulla imbarazzato. Il soffitto, che strana scelta. Una persona che si vergogna di se stessa guarda a terra o tiene gli occhi chiusi, se guardi il soffitto sei determinato e cerchi una soluzione. Ammirevole. Allungando una mano, l'appoggiò sulla caviglia di lei, ricordandole la sua presenza.

Buffy si voltò a guardarlo. “Ciao”

“Buongiorno” salutò lui.

“Mi sono svegliata presto” disse, mascherando un po' di disagio.

William rise. “Era piuttosto chiaro”

La ragazza annuì. “Forse dovrei tornare in camera mia”

“Mi fa piacere se resti”

“Non vorrei essere invadente”

“Non la sei. O forse ti preoccupa che io possa farmi delle idee perchè sei rimasta qui stanotte?”

Dandole le spalle, si alzò dal letto, aprendo l'armadio. Buffy appoggiò la schiena alla parete, sospirando.

“Si può dire che se aggiungo un problema alla lista potrei perdere la testa”

William prese una camicia e un paio di cravatte per quella giornata, appoggiandoli sulla scrivania e decidendo quale portare.

“Questo non lo sarà. Non mi aspettavo niente, davo per scontato che stanotte dormirai nella tua stanza”

“A proposito” Buffy aggrottò la fronte “Non voglio che paghi tu la mia stanza”

“Come sai che l'avrei fatto?”

“Come so che stai per scegliere la rossa?”

Aggrottando la fronte, William prese la cravatta rossa. “E' troppo costosa per le tue tasche”

“Posso andare in un motel”

“Non ne dubito” si voltò, mettendo in pausa quel botta e risposta.

Tornando verso il letto, in cui lei non si era mossa, vi montò sopra e si appoggiò su un gomito accanto a lei, come appena sveglio.

“Siamo stati in due a tradire Doyle. E siamo stati in due a lasciarlo” le disse. Buffy abbassò lo sguardo, riflettendo. “Tu ne stai pagando un prezzo più alto del mio. Lasciami fare questa cosa per te, voglio sapere che ti sto aiutando con quel poco che sono capace di fare”

Per un momento, la ragazza non rispose, poco abituata a sentirlo parlare seriamente. Quando alzò gli occhi, aveva deciso.

“D'accordo. Ma prima o poi te li restituirò” disse determinata, alzandosi e allontanandosi, per non permettere repliche.

William rise di nuovo “Più 'poi' che 'prima'” disse, rotolando sulla schiena. “E, Buffy?”

La ragazza si fermò sulla porta del bagno, voltandosi. Lui le sorrise divertito.

“Puoi usare il mio spazzolino”

Immobile per qualche secondo, si chiese se aveva sentito bene. Lo guardò confusa.

'Sto per usare lo spazzolino da denti di William Shore'

Poi scoppiò a ridere. E a ridere, e a ridere fino a tenersi lo stomaco.

'Sto per usare lo spazzolino da denti di William Shore'

Continuando a ridere, scosse la testa e chiuse la porta dietro di se, pensando che avrebbe impiegato una settimana a fare la lista dei motivi per cui quel pensiero, in quel momento, era assurdo quanto un topolino che rincorre un gatto.

 

Quando uscì dal bagno era completamente vestita, come lui. Tranne per la cravatta rossa, appoggiata attorno al collo ma non allacciata. Lo vide seduto al tavolino vicino all'ingresso, intento ad armeggiare col proprio cellulare.

“Ha chiamato Doyle?” chiese, mascherando la preoccupazione.

William si voltò verso di lei, restando quasi a bocca aperta. Si era aspettato di vedere un segno di disperazione, almeno un'ombra di occhiaie sul suo viso, invece era bella come se nulla potesse toccarla.

“Giles. Chiedeva se andiamo a lavoro, oggi” le rispose.

Buffy sospirò sollevata, avvicinandosi.

“In effetti è passato mezzogiorno...” Poi si fermò. “Aspetta. Come sarebbe a dire 'se andiamo'? Come sa che sono qui?”

L'uomo alzò le spalle. “E' Giles”

“Vuoi dire che sa anche quello che è successo?”

“Vuoi dire che pensavi non lo sapesse?”

Buffy chiuse gli occhi, sbuffando.

“Fantastico. Davvero fantastico” disse, andando verso il comodino per recuperare il suo telefono.

“Se ti disturba, puoi sempre distrarlo con una manciata di noccioline e scappare mentre le rincorre”

“Hai spento il mio cellulare” disse lei, cambiando drasticamente discorso.

L'uomo sospirò.

“Si, Buffy. Ho spento il tuo cellulare”

“Hai spento il cellulare...” ripeté a voce bassa, mentre lo accendeva.

Sentì William alzarsi, avvicinarsi lentamente a lei, mentre sul piccolo schermo trovava un numero assurdo di messaggi e di chiamate alla segreteria telefonica. Doyle aveva continuato a chiamare fino a notte inoltrata, anche se non rispondeva più nessuno. Sentì una stretta al cuore, al pensiero di quel povero ragazzo e della pena che doveva aver provato.

La mano dell'uomo le si posò su una spalla, trasformando la rabbia in una sensazione rassicurante totalmente opposta.

“Pensavi avesse smesso di chiamarti?” le chiese sottovoce.

“Non pensavo. Per un attimo, avevo dimenticato” sussurrò.

“E sei riuscita a dormire in pace. Non aveva senso continuare a rispondergli. Avrebbe continuato a chiamare e chiamare per parlare da solo, sfogarsi contro di te. Se non ti ascolta non puoi aiutarlo a stare meglio”

Buffy annuì lentamente, chiedendosi come poteva quell'uomo, in così poco tempo, essere arrivato a leggerle nel pensiero. Per la prima volta si fidava realmente delle opinioni di un altra persona, si fidava dei suoi consigli, si fidava a lasciarlo fare. Aveva visto la parte più debole di lei e ne aveva avuto rispetto, senza giudicarla, senza prendersi il diritto di dirle cosa fare o non fare. Lo aveva detto lui, erano stati in due a tradire Doyle, erano stati in due a lasciarlo. E in due ne sarebbero usciti, in qualche modo.

“Non so se è il caso che vada in ufficio, oggi” parlò lei, dopo una lunga pausa. “Io vorrei, ma se c'è anche lui... voglio dire, cosa diavolo dovrebbe succedere? 'Ciao, Doyle, ieri ti ho lasciato ma ora dobbiamo lavorare nello stesso ufficio per cui facciamo finta di niente '. Non so neanche se gli passerà mai. Non so neanche se a me passerà mai...”

“Non ho dubbi che a te passerà. Ne ho di più su di lui. Ad ogni modo, sono d'accordo con te, è meglio se oggi non vieni a lavoro” le consigliò.

Buffy si voltò verso di lui. “Tu ci andrai?”

William annuì.

“E se lo incontri?” chiese lei, preoccupata.

“E' proprio per questo che vado. Devo avere la mia parte di colpa, non può prendersela solo con te”

A quelle parole, Buffy lo guardò incredula per un secondo, poi scoppiò a ridere.

William sorrise “Lo trovi tanto divertente?”

“Tu?” rise “William Shore, che non ha mai perso una causa, vuole prendersi la sua parte di colpa?” rise di nuovo.

Lui rinnovò il sorriso, senza sciogliere i loro sguardi.

“Forse sto cambiando”

Il sorriso di Buffy si spense. “No”

William aggrottò la fronte “No cosa?”

“Non cambiare” disse.

William inclinò la testa per studiarla meglio.

“Perchè non dovrei?”

“Perchè se cambi, io ho sbagliato tutto” sospirò.

“No” la guardò lui. “Sono così come sono. Mi piace esserlo” le assicurò. “Però... magari ogni tanto mi piace non svegliarmi solo. O sapere che hai usato il mio spazzolino da denti”.

 

Buffy avrebbe voluto sorridere. No, magari non sorridere, non era da lei imbarazzarsi per un complimento o gratificare chi l'aveva fatto. Era troppo esausta e preoccupata per Doyle, per avere la forza anche solo di pensare ad un possibile futuro con William, adesso, ma era lieta e riconoscente di avere qualcuno che le fosse vicino. Avrebbe voluto fargli vedere che era stato apprezzato, in qualche modo.

Abbassando gli occhi sul suo viso, si soffermò sul suo collo. Su quel primo bottone rimasto aperto nella camicia bianca, la seta rossa appoggiata accanto. Istintivamente, senza chiedere il permesso, alzò le mani e annodò la cravatta.

William sorrise, comprendendo perfettamente. Poteva bastare, per ora.

 

 

 

* * *

 

 

Non era nervoso, mentre l'ascensore lo prelevava dal piano terra e iniziava la sua salita. No, 'nervoso' non era il termine adatto. Rassegnato, forse. Triste, certamente. Non poteva esserci preoccupazione, quando William sapeva esattamente cosa stava per succedere e quanta sofferenza avrebbe portato se Doyle fosse stato a lavoro, come si aspettava. Non avrebbe nemmeno provato senso di colpa, perchè ogni singolo accadimento, nelle ultime settimane, aveva portato nella sua vita qualcosa per cui non avrebbe chiesto scusa, anche se il modo non era stato il migliore possibile. Poteva soltanto accettare, sopportare l'idea di aver completamente fallito il suo tentativo di sistemare errori passati nel peggiore dei modi, causandone di nuovi e di più profondi. Forse non sarebbe stata una passeggiata.

 

Le porte si aprirono, William si guardò intorno. Capì immediatamente che Doyle c'era, gli bastò sentire le fiamme che la Rossa gli lanciava con lo sguardo dal banco della reception. La salutò con un cenno, che passò inosservato alle altre persone presenti in sala. Il cenno non fu ricambiato, ma di questo a lui non poteva importare meno. Con passo sicuro e un sorriso di circostanza per i colleghi, si diresse verso le scrivanie dei neo-assunti.

Mentre attraversava il lungo corridoio, accompagnato dall'incessante suono di squilli di telefoni e fruscii di carte, fu intercettato da qualcuno la cui esistenza non aveva ancora rovinato. Più o meno.

“Will, che ne dici di venire nel mio ufficio un momento?” sentì dire da Giles.

Ampliando il suo sorriso pubblicitario, l'uomo acconsentì.

Giles gli fece strada di qualche passo, sulla strada già percorsa, fino al proprio grande ufficio. Attese che l'amico entrasse e chiuse la porta dietro di lui.

“Dici che c'è qualcosa di cui mi devi aggiornare?” chiese.

William prese posto su una delle poltrone per clienti.

“Pare che le Olimpiadi del 2012 si terranno a Londra”

Giles sospirò. “Naturalmente qualcosa ho dedotto da solo. Non sono molti i motivi per cui uno dei tuoi nuovi avvocati lascerebbe lo studio sconvolto prima della fine del suo orario d'ufficio”

“Non saprei, lo strip club infondo alla strada ha anticipato l'apertura serale” sviò il più giovane.

Giles incrociò le braccia sul petto, in attesa di una spiegazione. William si arrese.

“Rupert, devo parlare col ragazzo. Non acconsentirà mai a incontrarmi fuori di qui, o lo prendo adesso o continuerà a tormentare Buffy di chiamate finchè alla ragazza non scoppierà la testa dai sensi di colpa” ammise.

Riflettendo un istante, l'uomo abbassò le braccia.

“Ora ho capito perchè Elisabeth mi ha tanto colpito quando l'ho conosciuta. Mi ricordava incredibilmente qualcuno...”

Tolse gli occhiali, ripulendoli mentre William sorrideva orgoglioso.

“Faccio chiamare il ragazzo, lo porto qui dentro. Se dovete fare chiasso, meglio nel mio ufficio che nei corridoi” acconsentì, voltandosi per uscire.

“Rupert?”

L'uomo si fermò in mezzo alla porta. “Si?”

“Grazie” disse.

Giles sbuffò. “Se non ti comporti bene, chiamo Elisabeth a tirarti per le orecchie” disse uscendo.

William rise, una lieve risata sconnessa, che non era realmente contenta e non lo aiutava a prepararsi per quello che doveva affrontare. Il pensiero corse a Buffy, nella sua stanza d'albergo, o forse era tornata nella propria. Chiuse gli occhi. Ora era preparato, ora ricordava che ne valeva la pena.

 

Bastarono pochi minuti perchè la porta si aprisse, rivelando a Doyle il vero motivo della sua convocazione dal capo. Dall'esitazione sulla soglia e dall'espressione sul suo viso, William ebbe ben chiaro quanto il ragazzo fosse furioso e distrutto. Benchè a una prima occhiata non si notasse nulla di insolito, nel suo abbigliamento e nella sua cura, i suoi occhi erano leggermente cerchiati di rosso, la fiamma furente che li alimentava era sfocata dalla stanchezza. Forse, se fosse stato al massimo delle sue energie, sarebbe entrato senza pensarci un attimo e lo avrebbe affrontato.

Invece, William lo vide serrare i denti, abbassare lo sguardo e arretrare di un passo, uscendo. Prima che chiudesse la porta, lo chiamò.

“Doyle...”

Il ragazzo si fermò. William cercò le parole adatte da aggiungere, per convincerlo a restare e parlare. Doveva essere facile per lui, trovare parole per convincere qualcuno. Invece non lo era affatto, questa volta.

“Hai voglia... di prendertela un po' anche con me?” propose.

Lo vide esitare, riflettere. Poi entrare e chiudere la porta alle sue spalle. Aveva accettato.

“Non saprei n-neanche da dove cominciare” lo sentì.

William si alzò in piedi, appoggiandosi poi alla scrivania di Giles. È più facile parlare con qualcuno se siete alla stessa altezza.

“Potrei iniziare dal chiederti perchè... perchè diavolo sei tornato qui?” continuò lui, digrignando i denti.

L'uomo prese un respiro, chiedendosi se fosse davvero il caso di rispondere e in che modo farlo.

“E' un discorso un po' lungo”

“Ti ha davvero chiamato Giles? O volevi solo conoscere la mia fidanzata? Perchè in questo caso, complimenti, l'hai decisamente conosciuta, anche più di quanto dovevi!” disse sarcastico.

“Non era nessuno dei due motivi” rispose calmo, lasciandolo sfogare.

“Complimenti ugualmente!” sbottò, iniziando ad alterarsi. “Sai, è davvero incredibile. Ci avevo creduto... Pensavo 'f-forse dopo tanti anni si è accorto che sono una persona e non solo un indirizzo postale'”

William non intervenne.

“Credevo t'importasse sul serio essere qui”

“E' esatto”

“Non prendermi in giro! N-non più di quello che hai già fatto!” ringhiò il ragazzo, muovendosi per la stanza.

“Puoi non credermi, ma mi importava” tentò William.

“Posso immaginare quanto. Sai cosa?” disse, scuotendo la testa e fermandosi a guardarlo.

L'uomo sostenne lo sguardo dolcemente.

“N-non posso immaginarlo. Io non posso pensare, immaginare proprio niente” disse. “Perchè io non... non so chi sei. Io e te non ci conosciamo. Tu per me sei sempre stato un nome su un assegno, appartenente a qualcuno c-che ha fatto fuggire mia madre e mi ha rubato la fidanzata. Questa discussione... non ha neanche senso”

Lo vide dirigersi verso l'uscita, ma non poteva lasciarlo andare così. Doyle aveva bisogno di sfogarsi e lui, beh... forse lui aveva bisogno di espiare. Ma non fu necessario chiamarlo. Il ragazzo tornò indietro da solo prima di toccare la porta.

“I-invece ha perfettamente senso! Ha senso perchè ora sono stanco di tacere. Puoi prendermi per ipocrita, perchè ho sempre accettato i tuoi soldi anche se ti disprezzavo, ma non m'importa. Pensavo che quello fosse il minimo, per rifarmi del disastro... che hai scatenato nella mia vita”

“E avevi ragione” ammise.

Doyle esitò un secondo, ma non si lasciò distrarre. “Mia madre non si è più fatta sentire. Non ha mai mandato neanche una dannata cartolina di natale, l'hai fatta scappare tanto lontano che ora non so neanche d-dove diavolo è finita! Avrei rifiutato cento dei tuoi assegni per ricevere un suo augurio di compleanno...”

William abbassò la testa. Non avrebbe parlato al ragazzo di questo, non ora.

“... Ho passato degli anni a cercare di farcela da solo, q-qualunque problema capitasse avevo più aiuto dalla tua segretaria che da te. Perchè diavolo hai tenuto la mia custodia se quelle erano le tue intenzioni? Perchè non mi hai fatto adottare a qualcuno a cui importasse qualcosa? E la parte più stupida... è che pensavo di essere io a non essere degno delle tue attenzioni. Dio! In parte mi sono iscritto a legge per questo e più ci penso più mi sento un idiota. L'unica, unica cosa che mi è andata bene era Elisabeth...” la sua voce si spezzò.

L'uomo continuò a non dire nulla, sforzandosi di scacciare l'istintiva necessità di disilludere il ragazzo, di notare quanto melensa era la sua visione della vita, di mettersi nei suoi panni e cercare di capirlo. Doyle riprese a camminare per la stanza.

“... Una ragazza così bella che non avrei mai potuto sperare mi notasse e, invece, si era innamorata ed era arrivata ad accettare di sposarmi. Eri fuori dalla mia vita, sembra che tu ci sia tornato apposta! Per una volta qualcuno a-amava me e tu sei riuscito a portarmela via!”

Mai, quanto in questo momento, William era certo che non fosse così. Più sentiva Doyle parlare, più si rendeva conto che lui e Buffy non erano compatibili e pensava che la ragazza prima o poi se ne sarebbe andata, con o senza di lui ad accelerare i tempi. Si sentì un verme nel rendersi conto che un ragazzo, un ragazzo a cui lui era affezionato in qualche modo, soffriva davanti a lui e lui non riusciva a smettere di trovarlo patetico.

“Doyle,” disse. “Io non credo che lei in così poco tempo ti abbia davvero lasciato per me” tentò.

“Ah, no? Allora dove ha dormito stanotte? Willow era con me e lei non conosce nessun altro qui, non penso sia tornata da sua madre!” contestò.

“Non intendevo dire questo” rispose, calmo.

“E' davvero incredibile! Cosa... c-cosa te ne facevi di un'altra? H-ho visto alcune delle ragazzine che frequentavi, sentivo tanti pettegolezzi e tu sei sempre... circondato da questo dannato alone di fascino che incanta chiunque ti stia a parlare. Perchè lei? Potevi avere tutte le ragazze del resto del mondo e hai voluto lei!”

Spiegargli il motivo, ora, avrebbe solo peggiorato le cose.

“Giovane, bella, come sempre, vero? Ti piacciono le ragazzine perchè... perchè sono influenzabili, ti ammirano, puoi usarle come vuoi e ti lascerebbero--”

“Se pensi questo di Buffy...” William lo interruppe, per la prima volta da quando erano in quella stanza. “... non hai capito niente di lei”

 

Non avrebbe dovuto parlare. Lo sapeva. Sapeva che Doyle era scosso, che cercare di ragionarci in questo momento sarebbe stato inutile e dannoso, era stato bravo a lasciarlo fare fino a quel momento. Stava funzionando. Finchè Doyle non ebbe detto l'unica cosa che impedì a William di trattenersi. Ormai, l'aveva detto.

Vide il ragazzo guardarlo immobile, capì subito cosa stava per succedere e non si mosse per impedirlo. Doyle caricò tutte le energie che gli restavano per scagliarglisi contro, assestandogli un pugno in pieno viso. Non si può dire che non lo vide arrivare, per quanto era goffo e lento, ma William non si schivò. Lo aveva meritato. Non per quello che aveva appena detto, che avrebbe ripetuto fino allo sfinimento se fosse stato necessario, ma per tante di quelle cose che ne aveva perso il conto.

“Maledetto bastardo!”

Al primo pugno, fu si trovò accasciato contro la scrivania, mandando a terra i fermacarte che vi stavano sopra. Quando ne arrivò un secondo si spostò, bloccò il terzo, poi Doyle gli si avventò contro e lui non poté più stare fermo. Finirono a terra, rotolandosi come due ragazzini immaturi sul pavimento dell'ufficio. William non fece neppure finta di colpire, si limitò a schivare e cercare di frenare ogni attacco che Doyle tentava. Non lo colpì e non reagì ai pugni che arrivarono a segno.

 

Il mormorio, che percepiva all'esterno della stanza, aumentò nel momento in cui si aprì e richiuse la porta. Sentì vagamente un grido che chiamava il suo nome, o il nome del ragazzo, o entrambi. Scosse la testa e, scacciando lo stordimento della lotta, vide Giles, Buffy e Willow nella stanza.

La Rossa teneva una mano davanti alla bocca e gli occhi spalancati per lo sbigottimento. Giles incrociò le braccia, leggermente seccato. Buffy... oh, Buffy si avventò su di loro come una madre su due bambini capricciosi, afferrando Doyle per un braccio e strappandolo via da lui con una forza che William non avrebbe immaginato.

La vide trascinarlo verso una poltrona e costringerlo a sedersi, col sangue freddo di chi quel genere di risse le ha vissute molte volte e sa bene come interromperle. Willow corse da Doyle nello stesso istante in cui Buffy se ne separava, tornando da William e allungando una mano. Con un sorriso orgoglioso, l'uomo l'accetto e lei lo aiutò ad alzarsi e ad appoggiarsi alla scrivania.

“Stai bene?” chiese la Rossa preoccupata.

Doyle annuì senza rispondere, non alzava gli occhi da terra per la vergogna.

Buffy guardò William, finchè non annuì anche lui, rispondendo alla una domanda non posta.

Per un lungo attimo, la stanza fu pervasa solo dai respiri affannati dei due uomini e dalla tensione palpabile nell'aria. Poi Doyle parlò.

“Pensavo ti fossi presa un giorno libero” disse al vuoto.

“A quanto pare, avresti dovuto farlo anche tu” rispose Buffy.

William osservò con curiosità quel breve dialogo, notando quanto Buffy fosse brava a mascherare la preoccupazione per lui e la leggera gelosia di vedere che un'altra ragazza aveva già preso il suo posto.

Doyle si voltò verso Giles. “Mi dispiace molto di quest'incidente. Non so cosa mi sia preso” disse cauto.

“Oh, tranquillo, so io cosa ti è preso” rispose Giles. “Verresti con me un momento?”

Il ragazzo annuì. Con un ultimo sguardo verso Buffy, ignorando William, seguì il capo fuori dall'ufficio. Un attimo dopo fu il turno della Rossa, che non se ne andò senza un “Spero tu sia contenta” detto con sdegno verso l'ex-amica. Buffy si limitò a roteare gli occhi e attendere che fosse uscita.

 

A quel punto, William vide Buffy armeggiare con la propria borsetta ed estrarne un fazzoletto bianco. Si avvicinò a lui, afferrando saldamente il suo mento. William non batté ciglio, guardandola con un sorriso sornione, mentre lei avvicinava la stoffa al suo viso per asciugare il sangue che non si era accorto gli uscisse dal naso.

“Non hai detto una parola. Non è da te” commentò lei.

“Ouch. Credevo fossi più delicata” rispose lui, lamentandosi delle cure.

Buffy ghignò “Non volevi la tua parte di colpa?” disse, pizzicandogli il naso dolorante e costringendolo a tenerselo con le mani.

Sedette accanto a lui sulla scrivania di Giles, guardando verso il centro della stanza mentre metteva la mano accanto alla sua, appoggiando un mignolo su quello di lui.

William lasciò andare una leggera risata, divertito da quei piccoli gesti e dal loro significato. Tolse la mano dal suo tocco, solo per prendere quella di lei e stringerla come si deve. Sospirò contento, quando lei lo lasciò fare senza sfuggirgli.

Rimasero lì, appoggiati a quel tavolo l'uno di fianco all'altro, tenendosi per mano a guardare un punto imprecisato nella parete davanti a loro, quasi sorridenti, in qualche modo rilassati dopo lo sfogo di pochi minuti prima. Una piccola pausa.

“L'albergo era così scomodo?” chiese lui.

“Giles mi ha chiamata appena ha mandato Doyle a parlarti. Per sicurezza, ha detto”

William sbuffò una risata, Buffy lo imitò.

“Mi dispiace” disse lei, un momento dopo.

“Di avermi tormentato il naso?”

“Io... non pensavo Doyle fosse capace di fare a pugni” rise, per sfinimento.

“Come sai che non ho iniziato io?” la prese in giro.

Buffy lo guardò, alzando un sopracciglio.

L'uomo sorrise. “Ah, già. La cravatta rossa”

La ragazza sorrise con lui, lieta di avere un momento tranquillo. Tuttavia, molto presto la tristezza di quella situazione la colpì, rinnovando i suoi sensi di colpa verso quel ragazzo che, così buono, era arrivato a fare a pugni per lo stress che gli aveva causato. William notò il cambiamento nella sua espressione e, poggiando un dito sotto il suo mento, le fece alzare il viso.

“Parlami” le disse.

Buffy distolse lo sguardo. “Mi sento un po' inutile”

L'uomo sospirò. “Siamo umani, Buffy. Non sto facendo abbastanza nemmeno io per Doyle, per farlo stare meglio o per evitare che stia peggio, per non creare grane a Giles o per aiutare te. E allora? Dobbiamo anche mangiare, dormire e farci una doccia, ogni tanto”

Sorridendo, la ragazza annuì.

“Non sapevo dispensassi consigli”

“E a che altro serve essere vecchi?” le mise un braccio intorno alle spalle.

Buffy aggrottò la fronte. “Tu non sei vecchio”

“Trentanove anni sono un età considerevole” disse lui, alzandosi in piedi.

La ragazza lo fermò, costringendolo a voltarsi.

“Spike...” lo chiamò, evocando apposta i ricordi che intendeva. “Tu non sarai mai vecchio”

Sorridendole divertito, William la guardò.

“E tu non sarai mai inutile. Ora, dato che...” guardò l'orologio “... non so come sono già le sette, ti propongo di andare a mangiare qualcosa di veramente buono, che possa farci momentaneamente dimenticare questa brutta giornata e intontirci fino a domani, che ne dici?” propose.

Buffy rise. “Non penso tu abbia attraversato questo caos per vedermi ingrassare”

William la condusse verso la porta. “Non penso che questo sia possibile”

 

I due raggiunsero il corridoio, separandosi e percorrendolo uno a fianco dell'altro ma senza dare spettacolo ai colleghi. Sorprese entrambi l'impatto col mondo, l'avere intorno così tante persone mentre, da un po' di tempo, gli sembrava ne esistessero solo tre o quattro.

“Elisabeth?”

Si fermarono, voltandosi alla voce di Giles alle loro spalle.

“Puoi venire un secondo? Da sola. Con te, Will, faccio i conti più tardi” lo indicò a occhi stretti, entrando nel proprio ufficio.

La ragazza prese un respiro, leggermente preoccupata. William, accanto a lei, le poggiò una mano sulla spalla.

“Non morde. Ti aspetto in macchina” le disse tranquillo, prima di allontanarsi.

 

Di nuovo, come quella mattina, a Buffy parve di essere in una situazione surreale. Ora usava lo spazzolino di William Shore e lui l'aspettava in macchina, era troppo divertita per provare preoccupazione. Quasi rise, mentre andava a raggiungere il suo capo.

Entrare in quell'ufficio non le faceva più provare il timore tipico del lavoratore dipendente che è convocato da un suo superiore, dopo aver visto due uomini fare a botte rotolando sulla moquette grigia. Inoltre, le bastò dare un occhiata a Giles per comprendere che non era arrabbiato, non realmente.

“Mi dispiace molto per quello che è successo oggi” disse appena entrata.

“Già, beh, Doyle mi ha ripetuto allo sfinimento la stessa cosa... e sono certo la pensi anche Will anche se, prima che lo dica lui, potrebbe farlo uno dei pesci rossi nell'acquario all'ingresso” le indicò di sedersi.

Buffy prese posto, sorridendo.

“Innanzitutto voglio dirti che sono molto deluso dal tuo comportamento, quando ti ho assunta mi aspettavo più professionalità da parte tua e ti ritenevo una persona più seria e affidabile di quello che ti sei dimostrata”.

La ragazza distolse lo sguardo.

“Flirtare così, sul lavoro, col tuo fidanzato di fianco e... oh, al diavolo”

L'uomo superò la propria scrivania, sedendosi accanto a lei e voltando le poltrone per rendere la chiacchierata più intima. Buffy aggrottò la fronte.

“Ho parlato col ragazzo” disse lui, come se fosse il pettegolezzo del giorno.

La ragazza lo guardò confusa. “I-immaginavo”

“Più che altro, avevo un paio di cose da dirgli”

Questo la incuriosì, attese una spiegazione.

“Conosco William da tanti anni” iniziò lui. “Ha fatto tanti errori che ne ho perso il conto, ma infondo, molto infondo, è un bravo ragazzo. Doyle ha un opinione di lui peggiore di quella che dovrebbe essere, ma Will non gli avrebbe mai spiegato la vera storia di tutto quello che è successo con quella strega di sua madre”

Stupita dal suo coinvolgimento, Buffy annuì. “Si, so la storia”

“Così l'ho fatto io”

“Come?”

“Gli ho raccontato io la versione di William. Doyle non è stato felice di sentire che è stata la madre ad abbandonarlo ma, beh, prima o poi ci passerà sopra. Ora tocca a te” disse.

Leggermente sconvolta, Buffy si riscosse.

“Tocca a me cosa?”

“Quando Doyle si sarà calmato, parlagli. I miei occhi funzionano, Elisabeth, tu non sei una che si fa incantare dal primo William Shore che passa. Sei cambiata da quando è qui e per me va bene, perchè lavori molto meglio e insieme formate una squadra d'assalto che non mi voglio perdere. A proposito, ti ha detto se resterà?”

“Eh?”

“Fatti un favore” le disse. “Chiedi a William di cosa parlo”

Davvero non riusciva più a seguirlo. Aveva sempre saputo che Giles era un capo eccentrico, ma questo... Lui la guardò comprensivo, dandole un colpetto amichevole sul ginocchio e alzandosi per ricondurla fuori. Buffy lo seguì.

 

Prima di uscire, cercando di codificare gli ultimi assurdi due minuti, si voltò a guardarlo. L'unica cosa che aveva capito dal discorso di Giles, era qualcosa che poteva darle molte sicurezze in questo momento.

“Lei gli vuole sul serio bene? A William, intendo...”

Giles le sorrise, perdendo per un momento la maschera di stravaganza per assumere quella di paterno amico.

“Certo che gliene voglio, come ne voglio anche a te” disse.

Buffy si trovò ad arrossire come una bambina, a quel complimento. Finchè lui non ricominciò.

“Ma la prossima volta che fate un caos come questo, vi sarei grato che lo teneste fuori dal mio studio” finse un rimprovero, per non commuoversi davanti alla ragazza.

Buffy comprese e gli sorrise di nuovo, prima di uscire.

 

 

* * *

 

 

Non era molto tardi, quando William e Buffy rientrarono in albergo, ma si sentivano stanchi come se fossero stati realmente a lavoro. Avevano mangiato insieme, come William le aveva proposto, senza toccare nessun argomento che potesse incupire l'atmosfera. Si erano semplicemente calmati, rilassati, passato una piacevole serata come due amici casuali o due colleghi di lavoro. Per una sera, i problemi erano di qualcun altro.

Ma quando salirono l'ascensore e giunsero davanti alle porte delle proprie stanze, qualcosa doveva essere detto.

“Mi piacerebbe che entrassi, ma non te lo chiederò” le disse William, con la maggiore tranquillità di cui era capace.

Buffy si trovò più a suo agio a studiare la carta da parati color panna che tappezzava il corridoio.

“Preferirei non entrare” gli rispose. “Sono stata bene questa notte, ma... non mi sembra il caso di metterci a quasi vivere insieme da un giorno all'altro. E poi io e te siamo due egocentrici, abbiamo bisogno dei nostri spazi. Se condividessimo una sola stanza, finiremmo per ucciderci a vicenda”

L'uomo annuì lentamente, divertito, senza smettere di guardarla negli occhi.

“Allora, ti auguro buonanotte?”

“Uh, si, io...” incespicò lei.

“Dillo e basta” la incoraggiò.

La ragazza prese un respiro. “Mi piaci. Lo sai da solo quanto. Ma...” esalò il respiro “Per la miseria, ci ho messo così tanto a costruire una relazione seria, a imparare le abitudini, i gusti, i tempi di un altra persona, io... non so neanche se ho le forze di rifare tutto d'accapo”

“Sei tu quella giovane e piena di energie, tra di noi”

“Sono anche quella che una settimana fa dormiva con un altro. Come diavolo fai a essere tanto sicuro?”

“Sicuro di cosa?”

“Sicuro che questa cosa vada bene, che io e te abbiamo senso”

“Non ne sono affatto sicuro”

Buffy lo guardò. “E allora come si fa? Come funzionano queste cose, tra le persone normali?”

William la guardò divertito. “Non lo so. Mai stato una persona normale”

Le luci gialle e soffuse, aiutate dal vino della cena, rendevano più facile lasciarsi andare in una conversazione che non somigliava più a un augurio di buonanotte.

“Penso che se io e te ci incontrassimo in un appuntamento standard, tipo cena e cinema, finirei per scoppiare a ridere”

“Sarebbe divertente, allora” la prese in giro.

“Io e te non siamo i tipi da appuntamento di coppia”

“Io e te non siamo una coppia, Buffy. Siamo una squadra” disse seriamente.

 

La ragazza si zittì un momento. Le sue parole le sembrarono così... indovinate, giuste per loro e belle. Qualcosa di cui sentirsi orgogliosa, non preoccupata. Lui continuò.

“Vuoi sapere che cosa penso?” le accarezzò una guancia.

Sorpresa, annuì.

“Bene. Penso che domani non sarò innamorato di te meno di quanto lo sono oggi. Neanche io so qual'è il canone d'inizio di una storia, so come si arriva ai divorzi ma non al lieto fine. Quindi, direi, che potremmo inventare un nostro modo strada facendo. Con calma” propose.

Quasi commossa, per il modo in cui sembrava leggerle nel pensiero, Buffy annuì lentamente.

“Allora, buonanotte?” le chiese, di nuovo.

“Si” rispose lei, aprendo la propria porta. “Buonanotte”

Entrata nella propria stanza, per la prima volta sola, Buffy si sedette sul letto. Si spogliò lentamente, senza pensare a nulla in particolare, senza guardare nulla in particolare. Solo una volta appoggiata la guancia sul cuscino, pensò. E pianse. Per tanti motivi e tante emozioni da riempire l'intera notte.

William non poteva sentirla. Uno dei pregi, di un albergo di quella portata, era il non essere costretti ad ascoltare ogni rumore proveniente dalle altre stanze. Non poteva sentirla. Ma la sentiva lo stesso.

Quando entrò nel grande letto, si dispiacque di sentire le lenzuola profumare di pulito.

Capitolo 17

 

Un rumore decisamente improvviso lo svegliò di soprassalto.

“Ha chiamato Giles e... ancora dormi?”

Battè le palpebre un paio di volte, scacciando l'annebbiamento da dormiveglia, prima di rendersi conto che Buffy aveva fatto irruzione nella sua stanza.

“Ora non più” brontolò William, alzandosi pesantemente dal letto.

“Pensavo che, sai, essendo un giorno di lavoro tu avessi messo una sveglia o qualcosa del genere” ragionò la ragazza.

L'uomo si stirò, incurante di indossare solo un paio di boxer davanti a lei completamente vestita. Ignorandola momentaneamente, si trascinò verso il bagno.

Buffy si mise le mani sui fianchi, battendo nervosamente la punta del piede nell'attesa. Poi, sentendo il suono dell'acqua del lavandino e lo strofinio dello spazzolino da denti, si rese conto che lui non aveva chiuso la porta e lo prese come un segno per poter continuare a parlare.

“Dicevo che ha chiamato Giles, vuole sapere se vai a lavoro oggi!”

“Il mio telefono funziona. Perchè l'ha chiesto a te?” biascicò con lo spazzolino in bocca.

La ragazza sospirò.

“Doveva dirmi anche altre cose...” sussurrò tra sè.

L'acqua cessò di scorrere e un minuto più tardi William rientrò in camera. Ora, con calma e dopo aver lavato via la stanchezza dal viso, poteva osservarla correttamente. Le sorrise, lasciando scorrere gli occhi su di lei, pensando che avrebbe voluto averla di nuovo accanto quando si svegliava.

“Quelli non sono i vestiti che avevi ieri” notò.

“Sarebbe stato grave se lo fossero...”

“Da piccola vivevi in una fattoria?”

La ragazza aggrottò la fronte.

“... è una supposizione che fai perchè mentre tu dormivi io ho fatto in tempo ad alzarmi e andare a prendere dei vestiti?”

“La è” inclinò la testa.

Buffy la piegò a sua volta.

“Sono le dieci”

William girò la testa verso l'orologio sul comodino, confermando la constatazione. Già, avrebbe dovuto settare la sveglia.

“Questo spiega la domanda di Giles” si grattò la testa. “Hai fatto colazione o sei andata subito a mungere le mucche?”

La ragazza incrociò le braccia, indecisa se ridere o smontarlo moralmente di prima mattina.

“Non mangio appena sveglia” rispose.

L'uomo fece un passo verso di lei. Appoggiò le mani sulle sue spalle, con sicurezza, osservando la sua camicetta come se stesse cercando di darvi un voto. Fece scorrere un dito sulla stoffa leggera, dal collo al gomito, lungo il braccio, seguendolo con gli occhi, costringendo la ragazza a trattenere il respiro... la guardò di nuovo.

“E' molto grave. Dobbiamo porvi rimedio” sussurrò, troppo vicino al suo viso.

Sentendolo avvicinarsi pericolosamente, Buffy puntò un dito – solo un dito, per non rischiare di sentire troppo – sul suo torace, spingendolo via.

“Non accetto suggerimenti a carattere sessuale” ghignò.

William rise.

“D'accordo. Allora, se non devi strigliare i cavalli, io faccio una doccia e ti porto a mangiare qui sotto”

“Gli alberghi non chiudono la colazione alle nove e mezza?”

“Non quelli come questo” sorrise.

Si allontanò da lei, voltandole le spalle e dirigendosi di nuovo verso il bagno. Quando sparì oltre la porta, Buffy esalò un respiro. Mantenere l'autocontrollo era stato veramente, veramente difficile, ma dopo quello che si erano detti la sera prima aveva deciso che se qualcosa poteva realmente essere costruito tra loro, valeva la pena di farlo con calma e senza errori. Il chè includeva non fare sesso con lui per un momento di scoppio ormonale, mentre il suo naso non era ancora guarito dai pugni che Doyle gli aveva assestato.

Sentì William aprire l'acqua della doccia, un attimo prima che lui aprisse di nuovo la porta e bloccasse il flusso dei suoi pensieri affacciandosi verso di lei con un ghigno.

“Vuoi farmi compagnia per caso?”

Allibita per un secondo, si riscosse e sbuffò un sorriso.

“No, grazie”

“Peccato” mise il broncio lui, rientrando e chiudendo la porta, questa volta per davvero.

Ridendo tra se, la ragazza urlò.

“Okay, vieni a chiamarmi quando hai finito lì sotto!”

Continuò a sorridere, mentre si allontanava verso il corridoio. Era entrata per distogliere i pensieri da Doyle, ora doveva distoglierli dall'immagine di William a torso nudo che le accarezza un braccio.

 

Lasciando la sua stanza, Buffy rientrò nella propria e si trascinò sulla moquette fino a ricadere sul grande letto. Chiuse gli occhi brevemente, cercando un modo per tenersi occupata di nuovo. Pensare non poteva portarle nulla di buono ora. Il lavoro era sotto controllo, il rapporto con William era stato messo sotto controllo dall'accordo reciproco di prendere la cosa con calma, non c'era alcun bisogno reale che lei ora attivasse il cervello finendo per pensare a Doyle, a come stava, dov'era, cosa pensava, se mai l'avrebbe perdonata...

Senza esitare un minuto di più, afferrò il telefono. C'era una persona su cui poteva sempre contare per chiacchierate lunghe ed inutili.

“Mamma? Ciao. Ora sei libera?” sospirò.

Aveva già telefonato alla madre quella mattina, lanciandole la bomba sulla rottura tra lei e Doyle, finchè questa non era dovuta uscire di corsa rimandando la fine del discorso. “Certo, certo... no, sono sicura che anche lui starà bene tra un po' di tempo. Si...” aggrottò la fronte “... Ma se eri tanto sicura perchè non me ne hai parlato?”. Coprì il microfono con la mano per starnutire senza assordare la madre. “Già, hai ragione...” starnutì di nuovo, questa volta frugando in tasca e cercando un fazzoletto di carta.

Nel giro di pochi minuti, la porta della sua stanza si aprì. Buffy spalancò gli occhi, quando le apparve davanti un William lavato e vestito a tempo di record.

“Andiamo?” le disse, poi notò il telefono. “Con chi parli?” le chiese.

“Scusa mamma, il mio capo mi chiama...” disse la ragazza nell'apparecchio.

William, sentendo quelle parole, le si avvicinò con un ghigno.

“Il 'tuo capo', eh?” quasi rise, prendendole il telefono di mano prima che potesse reagire. “Salve, lei è la signora Summers?” chiese.

“Ehy! Mi sembrava di averlo in mano e di starci parlando!” protestò Buffy.

William la ignorò, iniziando a camminare per la stanza come se parlasse a una vecchia amica.

“Si, posso assicurarle che sua figlia fa un ottimo lavoro allo studio! No, non sono il signor Giles...” ridacchiò “... ma sono il suo 'socio maggiore'. Ci tenevo a conoscere la madre di una ragazza speciale come Elizabeth!”

Fece un occhiolino alla ragazza, la quale lo fissava impotente in un misto di irritazione, per quell'invasione della sua privacy, e assoluto divertimento.

“Ah si?” continuò lui “Senz'altro!”

Avvicinandosi a Buffy, le restituì il telefono.

“Vuole parlare con te” disse, stampandosi un sorriso innocente sul viso. “Io ti aspetto qui fuori”

Guardandolo uscire, incredula e col telefono in mano, rimase sbigottita per un minuto. Un pazzo, ecco cos'era... un adorabile pazzo scatenato. Scosse la testa sorridendo, riportando finalmente il telefono all'orecchio.

“Eccomi. Si. Si...” sospirò “... piace anche a me”

 

* * *

 

Seduti al tavolo del ristorante dell'albergo, William non potè fare a meno di notare i modi patetici con cui Buffy cercava di tenersi occupata costantemente. No, non 'patetici', sarebbero stati patetici se li avesse fatti chiunque altro, ma di lei era innamorato e non si sarebbe mai innamorato di una persona patetica. Probabilmente non erano inconsci i suoi gesti, si stava volontariamente tenendo occupata per accelerare la fase di depressione, in cui i problemi sembrano averci segnati per sempre, e arrivare subito a quella in cui la tua vita può ricominciare. Sì, probabilmente era così. Ammirabile.

Sarebbe rimasto ore a guardarla pensando a quanto fosse ammirabile. E ambiziosa, cinica pur con una sua coscienza, intelligente. Quasi una sua copia, ma con quelle affascinanti qualità femminili che accentuavano la sua determinazione e il suo orgoglio, cose che lui non poteva fare altro che... ammirare. E alimentare, anche, perchè una donna come Buffy non si tiene su un piedistallo, va liberata e guidata verso il massimo sviluppo delle sue potenzialità. Qualcosa che William non vedeva l'ora di fare, un onore per il quale avrebbe combattuto.

Ma non era più, o non era mai stato, soltanto questo a tenerlo legato a lei al di là di ogni principio morale gli fosse rimasto. Qualcosa, nella remota possibilità di essere... felice, al suo fianco, aveva guadagnato sufficiente attrattiva da convincerlo. Come poteva lui, con la sua fedeltà alla logica e al realismo, non rendersi conto di quanto fossero complementari loro due insieme? Dove avrebbe trovato un'altra donna che pur innamorata di lui, perchè in fondo sentiva che era così, avrebbe dato priorità alla propria indipendenza e dignità personale? Solo nei suoi sogni, forse.

E alla fine di questo enorme flusso di pensieri, William sentì una gran voglia di riprendere il discorso lasciato cadere alla buonanotte.

“Ti sta bene quel vestito” le disse.

Buffy alzò gli occhi dal piatto, sorpresa da quel commento lanciato dopo dieci minuti di silenzio.

“Grazie” rispose, inclinando poi la testa per osservarlo meglio. “Come sta il naso?”

“Non è rotto” si limitò lui. Poi, notò qualcosa che lo incuriosì. “Non ti facevo una che mette il latte nel tè”

La ragazza abbassò gli occhi sulla propria tazza, poi di nuovo verso di lui.

“Mi credevi una da triplo caffè forte, forse?” lo prese in giro.

“Lo stereotipo avrebbe detto così. Ma...” la studiò un momento, perdendosi di nuovo “... a te non serve quella roba per darti energia. Tu l'energia ce l'hai nel sangue, ci sei nata, non hai bisogno di un aiuto esterno...” disse, come riflettendo ad alta voce.

Buffy stette a guardarlo trattenendo il respiro, pendendo dalle sue labbra.

“... Era di questo che parlavi riguardo all'imparare le abitudini, i gusti, i tempi di un altra persona per costruire una relazione seria?” le chiese lui.

“Prendi nota di tutto quello che dico?”

“Dici cose interessanti”

Gli sorrise. “E' un sì, comunque”

“Bene” William sorrise di rimando. “Perchè mi piace. Come sto andando?”

“Piuttosto bene” annuì lei.

I due si scambiarono uno sguardo dolce attraverso il tavolo, comprendendo che il “loro modo” di fare le cose era appena iniziato.

William rimase ad osservarla scartare i biscotti e selezionare una fetta di pane, niente dolce a colazione per lei, ma riempiva il tè con tanto zucchero da farlo diventare quasi denso, costituendo una bellissima contraddizione. Stava imparando, stavano costruendo.

“Cosa doveva dirti Giles per telefono?” le chiese.

“Che Doyle è a lavoro oggi”

“E... quindi?”

“Quindi non è a casa. Vado a riprendere le mie cose”

William sospirò.

“Sicura che vuoi farlo mentre lui non c'è?”

Buffy alzò le spalle.

“Per me era indifferente, è lui che preferisce così. Se volesse vedermi, mi avrebbe chiamata”

“Ti accompagno”

“Non è il caso”

“Perchè?”

“Perchè accompagnarmi alla casa che ho diviso col mio fidanzato per tre anni non fa parte della politica di 'prenderla con calma'”, sospirò. “Ti conosco da un mese e sai più cose di me di mia madre”

“Anche tu di me”

“Vorrei recuperare un po' di privacy”

William inclinò la testa.

“Cosa ti spaventa?”

“La stessa cosa che spaventerebbe te se io entrassi nella stanza in cui fai le nottate di lavoro nel tuo studio a New York”

“Cioè la possibilità che tu creda di aver visto una mia debolezza e decida di usarla per abbattermi appena volto le spalle?”

La ragazza sorrise.

“Non potevo trovare parole migliori...”

L'uomo ricambiò.

“Allora posso capire... Ma non è solo per te che vorrei accompagnarti”

A quelle parole seguì una breve pausa, che servì a William per trovare il modo corretto di esprimersi e a Buffy per capire di cosa stesse parlando.

“Entrare in quella casa per venti minuti e forse quanto più vicino posso arrivare al ragazzo” spiegò,

Scelse di essere diretto perchè non aveva più motivo di non fidarsi di lei, di non fidarsi a mostrarle la sua fallibilità. Lei non lo avrebbe giudicato patetico. Poteva fidarsi.

“Okay” disse lei. “Andiamo, allora”

 

* * *

 

Quando William varcò la soglia dell'appartamento, ebbe l'immediata impressione che non fosse stata tanto una buona idea quella di accompagnarvi Buffy. Era piccolo, giusto appena per due persone con poche pretese come possono essere due neo-laureati innamorati, ed era pieno di cose. C'erano cose dappertutto, cose utili, inutili o decorative in ogni angolo, come se avessero comprato ogni cianfrusaglia da mercato che trovavano in giro. Gli ricordava le stanze dei suoi compagni di college, troppi anni prima, impregnate di ideali inconcludenti, incenso e claustrofobia. Si chiese come avesse fatto Buffy a viverci per così tanto tempo.

Non poteva sapere che, in quel momento, lei si chiedeva la stessa cosa. Appena entrata, si era lasciata William alle spalle il più presto possibile, accelerando e mettendo distanza per non averlo intorno mentre riempiva la borsa. Così era filata in bagno, iniziando a raccogliere qualcosa di semplice, come la sua piastra per capelli e l'astuccio di trucchi che portava con sè dal liceo, pieno di macchie di fondotinta e polvere di cipria. Doyle non aveva toccato nulla, aveva lasciato tutto così com'era, nel suo disordine. Lasciò in fretta la stanza per entrare nel piccolo salotto, raccattando qualche vestito di sua proprietà ancora sparso in giro. Le capitò in mano un maglione che Doyle le aveva regalato anni prima, quando era stata assunta a tempo pieno dal Giles & Morgan, era morbido e comodo e l'aveva portato quasi tutte le sere d'inverno per tenersi calda prima di andare a dormire. Chiuse gli occhi e, ricordando il giorno che vi aveva rovesciato sopra una tazza di tè la cui macchia non se n'era più andata, lo rimise a posto. Fu solo il primo di tanti altri oggetti che furono guardati, magari sollevati, per poi essere lasciati lì.

William e Buffy si incontrarono di nuovo solo in camera da letto, alla fine del percorso di entrambi. Lui vi era entrato per primo, concentrando l'attenzione su tutto ciò che non era il letto. Bandierine delle squadre di basket appese alle pareti, vestiti del ragazzo a terra, orecchini sul comodino che Buffy doveva aver lasciato tempo prima... non riusciva a figurarsi la ragazza in quel contesto. Non era semplicemente per lei, sembrava che lì avesse abitato un altra persona.

La osservò prendere i vestiti dall'armadio, riporli in una valigia che era quasi vuota. Prese anche una scatola nascosta infondo a un cassetto e William si chiese cosa potesse contenere. Trovava ironico che lei ignorasse il caos di oggetti di un intera casa e tenesse ciò che le importava sul serio in una scatola segreta.

“Ho finito” disse lei.

William si voltò a guardarla.

“Hai solo una valigia” notò.

“Sì. Quindi?”

“E' poco, per tre anni”

La ragazza prese un respiro.

“Non c'è tanto di mio. Il resto l'ho preso con Doyle e... non è proprio mio”

William annuì lentamente. Poi guardò a terra, dove stava una cornice da fotografia di Lizzie e Doyle col vetro rotto, probabilmente lanciata dal ragazzo in un momento di rabbia. Si chinò a prenderla e la guardò.

“Siete felici qui” le disse.

“Tutti sono felici al mare”

“Chi l'ha scattata?”

“Willow”

L'uomo alzò gli occhi

“L'hai più sentita?”

Buffy scosse la testa.

“Non ce n'è bisogno. Ci sono i suoi orecchini sul comodino”

Fece un cenno con la testa per indicarli, e William si voltò prima in quella direzione, poi di nuovo verso di lei.

“Ti da fastidio?” le chiese, alzandosi in piedi.

La ragazza ci pensò un momento.

“Sì. Ma non per i motivi che pensi tu”

“Hai voglia di fare sesso per vendetta?”

Buffy sorrise. Era da un po' che lui non faceva una delle sue uscite totalmente fuori luogo per allentare la tensione ed era proprio quello che le serviva in quel momento.

“No” rise “E' lui che fa sesso per vendetta. Io faccio sesso perchè mi piace fare sesso” disse, uscendo dalla stanza.

Mentre William la seguiva fuori, aiutandola a portare le sue poche cose, Buffy si rese conto di sentirsi molto più leggera ora. Forse era stata quella stupida battuta, o l'aver ripreso possesso delle sue cose – sue, non di Lizzie - o il non essere sola a farlo... qualunque fosse la causa, ora iniziava davvero a sentirsi meglio.

Non diede un ultimo sguardo all'appartamento, uscendo. Trascinò solo con sé la porta, lasciando tutto alle sue spalle.

E mentre William le apriva la porta dell'ascensore, starnutì di nuovo.

“Siamo a otto” commentò lui, “Sei ufficialmente raffreddata, amore” disse, spingendo il tasto per il piano terra mentre Buffy roteava gli occhi.

 

* * *

 

Per l'intero pomeriggio, William aveva lasciato Buffy sola nella sua stanza a recuperare la propria privacy a cui teneva tanto. Ora, però, iniziava a sentire una specie di agitazione che lo spingeva verso la stanza di lei. Come uno stato pre-astinenza, quando bevi caffè tutte le mattine alle otto prima del lavoro e ti svegli la domenica a mezzogiorno con le palpitazioni.

Guardando l'orologio e vedendo che erano le otto, decise che poteva permettersi di invadere la sua privacy per ricordarle che doveva mangiare. Diede un ultimo sguardo allo specchio, si passò una mano tra i capelli per lisciarli, uscì dalla propria stanza e aprì la porta di quella della ragazza dei suoi sogni.

 

Buffy sussultò spaventata, stringendo l'asciugamano attorno a sè e raddrizzando quello che teneva avvolto ai capelli.

“Per la miseria! Perchè né tu né io bussiamo prima di entrarci in camera?!” esclamò tranquillizzandosi.

William rimase immobile sulla soglia, seguendo con gli occhi il percorso di una goccia d'acqua che le percorse la spalla, a bocca aperta.

“Non lo so, ma non mi dispiace”

La ragazza strinse gli occhi. Prendendo un paio di vestiti da una sedia rientrò in bagno, mentre William entrava nella stanza chiudendo la porta dietro di sè e sorridendo.

“Ti ho lasciato abbastanza privacy?!” le chiese ad alta voce.

“Sì, grazie!” rispose lei dal bagno.

“Vuoi scendere con me a mangiare qualcosa?! Credo che tu abbia saltato il pranzo!”

Nel giro di un minuto la ragazza uscì, mostrandosi vestita in tenuta da casa, con pantaloni di cotone che potevano appartenere ad una tuta, un asciugamano ad avvolgerle i capelli e una maglietta bianca. Sembrava la ragazza della porta accanto. Lui sorrise.

“Come hai detto tu, sono ufficialmente raffreddata” gli disse. “Se vedo del cibo mi viene la nausea”

“Psicosomatico. Il tuo corpo alla fine ha ceduto allo stress” le disse lui, ammirando i suoi occhi stanchi e il naso arrossato.

“Probabilmente hai ragione”

“Allora, cosa fa una coppia in questi casi?” le chiese, prendendo posto sul divano.

Buffy aggrottò la fronte.

“Avevamo accordato di non definirci 'coppia'”

“Parlavo a livello teorico”

Per nulla contenta di mostrarsi malata davanti a lui, Buffy incrociò le braccia.

“Penso che l'uomo scenderebbe a mangiare da solo, lascerebbe la ragazza in pace nella sua convalescenza e magari più tardi passerebbe a darle la buonanotte” propose.

William ghignò tra sè, comprendendo perfettamente il suo imbarazzo e decidendo di provocarla.

“Io invece penso che l'uomo resterebbe a prendersi cura della ragazza, impedendole di continuare a stressarsi facendole fare qualcosa di rilassante come...” si guardò intorno per cercare spunto e incrociò la televisione “... guardare un film?”

“... tu, io, divano e un film?” chiese lei, allibita.

“Esatto”

“Come una... coppia?”

“Esatto”

“A trentanove anni non dovresti avere molte altre cose che preferisci fare?”

“Può darsi, ma finchè questa non la provo non posso saperlo. Tu hai guardato film sul divano con tante persone?”

“Solo una” disse, abbassando il tono.

William inclinò la testa.

“Allora puoi insegnarmi come si fa”

Non era un'azione così irragionevole, infondo. Era come tornare all'inizio dopo aver toccato il traguardo, o aver letto la fine di un film prima di essere andata a vederlo. Sapeva già dove tutto questo avrebbe portato, doveva solo viverlo e arrivarci. Aveva davanti a sè un uomo molto più grande, realizzato, che poteva avere tutto ciò che voleva ma aveva deciso di guardare con lei un film sul divano per tenerle compagnia mentre aveva il raffreddore. Quali altre conferme le servivano?

“Okay. Ma solo se è un film con James Spader”

“Accordato” annuì William, facendole spazio.

Buffy si sedette accanto a lui, prendendo possesso del telecomando.

“Sei consapevole che una donna raffreddata perde il novanta percento della sua attrattiva sessuale?” gli chiese.

L'uomo rise, lasciandosi andare sullo schienale.

“Correrò il rischio”

 

Due ore di film più tardi, alla fine dei titoli di coda, William era riuscito a convincerla a mangiare e ad appoggiarsi a lui per stare più comoda, stupendosi di sè stesso per quanto riuscisse a trovarla adorabile nonostante, come lei gli aveva fatto notare, la sua attrattiva fisica fosse stata notevolmente minata. Se non dal naso rosso, almeno dalla montagna di fazzoletti usati che la circondava.

“Domani voglio iniziare a cercare casa” disse lei, colpendolo inaspettatamente.

William rimase interdetto, incapace di capire se fosse una constatazione, una presa di posizione o un modo per avvertirlo che voleva allontanarsi.

“Perchè tanta fretta?” le chiese.

“Perchè sono orgogliosa. Rivoglio la mia indipendenza e, finchè abito in un albergo a cinque stelle che paghi tu, non la posso avere”

L'uomo esalò un pesante respiro, sollevato.

“Si. L'orgoglio è una cosa che capisco. Non posso neanche aiutarti a cercarla?” si propose.

“Non hai mai da lavorare?” chiese lei.

William rise.

“Finchè sono qui ne ho quanto te”

“Io di solito ne ho di più di così!” affermò lei, facendo valere le proprie capacità.

“Lo so, ma è stato facile persuadere Giles a lasciarti respirare un po'” quando lei spalancò gli occhi, lui mise le mani avanti, “Non preoccuparti, non perderai credibilità ai suoi occhi. Sei e resti la sua preferita”

“Mi chiedo perchè. Gli sto creando un mucchio di problemi e quando tu te ne sarai andato non avrò più qualcuno che mette una buona parola per risolverli”

“Quando me ne sarò andato?” disse lui, abbassando di colpo il tono di voce.

Seguì un momento di silenzio, in cui Buffy si maledisse per aver sollevato quell'argomento.

“Scusa” disse lei. “E' un discorso complicato, non so perchè mi è uscito adesso, io..”

“Giles mi ha proposto di restare, come socio nello studio” affermò.

Buffy lo guardò. Era di questo che Giles parlava, la cosa che lei avrebbe dovuto chiedergli... Non ce ne fu bisogno, perchè lui continuò a spiegarsi.

“Non ho ancora accettato solo per via di Doyle, ma... i motivi non mi mancano, di voglia ce n'è tanta. Se questa storia si risolverà, io accetterò”

Non le stava chiedendo il permesso. Non le stava chiedendo nemmeno il suo parere, ma perchè questo non era necessario. Buffy annuì lentamente, guardando nel vuoto, ascoltandolo e tenendo la gioia per sè. Tanto lui poteva leggerla ugualmente.

“Ho bisogno di chiederti una cosa” le disse lui, dopo un minuto di silenzio.

La ragazza si voltò a guardarlo, dandogli la sua attenzione.

“Ho bisogno di sapere se la Rossa sarà una buona compagna per lui”

Rimanendo un secondo a fissarlo muta, per poi distogliere di nuovo lo sguardo, Buffy si appoggiò allo schienale. Poi tirò le gambe sul divano, le piegò sotto di sè, strinse un cuscino al petto, mise della distanza tra sé e William.

“Sarà migliore di quanto sono stata io, perchè sarà sincera” rispose, dopo una lunga riflessione.

“D'accordo” disse lui, sollevandola da ulteriori commenti.

Ma la ragazza aveva iniziato un flusso di pensieri che non poteva interrompere.

“Quei due... hanno molto in comune. Sono persone buone, semplici, lo sono davvero. Sono fatti l'uno per l'altra...”

Perdendosi, i suoi pensieri cambiarono direzione.

“C'erano dei segnali... che avrebbero dovuto farmi capire prima come stavano le cose. A Doyle piaceva accompagnarmi da mia madre a Sunnydale, perchè era piccola e silenziosa. Io ne sono scappata perchè per me era soffocante, ma non dicevo nulla perchè pensavo che avrei potuto sopportare un paio di giorni al mese. Poi lui voleva che io andassi d'accordo con i suoi amici, provassi i suoi sport e lo coinvolgessi in quello che facevo. Io lo trovavo snervante, c'erano cose di noi che volevo restassero separate, cose che non capivo di lui e cose che lui non avrebbe capito di me. Ma pensavo che fosse risolvibile, che avrei potuto fingermi interessata e raccontargli qualcosa di mio per accontentarla. Non era giusto. E poi era... era talmente facile fregarlo! Voglio dire, chiunque avrebbe potuto fargli credere di essere innamorata anche senza esserlo, si beveva qualunque cosa se era detta sbattendo un po' le ciglia, io come altre mille ragazze. Stavo lì, lo guardavo e a volte pensavo 'non sarebbe originale neanche se stessi per morire'. Pensavo che questo fosse rassicurante, all'inizio, ma non era... semplicemente non era per me. Le persone non cambiano, non cambiano mai, al massimo... si confondono, per un po'”.

Prese un respiro, prima di terminare.

“Willow... lei è davvero interessata a quel genere di vita e tu... tu capisci davvero me. Non mi ero resa conto di stare soffocando finchè non ti ho conosciuto e ho ripreso a respirare”.

“E lui forse ancora non se ne rende conto” commentò William.

Buffy alzò gli occhi.

“Di cosa?”

“Di aver vissuto in una bugia. Una bellissima, realistica bugia” sospirò.

Mentre Buffy continuava a guardarlo, William si alzò dal divano e sedette sul tavolino da caffè, per poterle essere di fronte, guardarla negli occhi. Ma non le prese le mani, non le forzò la propria presenza, le lasciò la distanza che voleva.

“Io odio le piccole città silenziose”, le disse. “Non faccio sport, il mio unico amico già lo conosci e non mi interessa se non mi racconti cosa ti dici con tua madre per telefono”.

Le lacrime che non si erano nemmeno mostrate per tutto il giorno ora si formarono negli occhi della ragazza, che dovette scacciarle stringendo gli occhi.

“Vorrei avere il tuo autocontrollo. Sei qui a consolarmi per la tristezza di aver fatto soffrire un altro uomo, ne hai più di quanto ne posso imparare”

“E' un po' più complicato di così”. Oh, se lo era...

La distanza tra di loro non era mai sembrata minore. Quella camera era enorme, ma la parte importante era contenuta in due metri quadrati di spazio attorno a loro, che sembravano stringersi ad ogni respiro. Finchè William non parlò.

“Quanto tempo si suppone che passi prima che io ti possa baciare senza che sembri che non stia davvero mortalmente male per Doyle?”

Buffy chiuse gli occhi.

“Volevo farti la stessa domanda”

E lui sorrise.

“Allora... direi che se lo sai tu e lo so io, è sufficiente”

Quelle furono le ultime parole che disse prima di chinarsi su di lei e baciarla. Buffy rispose al bacio, lasciando che lui lo approfondisse, che si inginocchiasse davanti a lei per potersi stringere più vicino. L'emozione del contatto fisico, della sensazione del suo torace contro il proprio petto, la fece quasi piangere. Aveva trattenuto tutto, ogni desiderio avuto nei suoi riguardi, per non esagerare, per non sbagliare, ma se questo era uno sbaglio era il più bello che avesse mai fatto.

William la spinse a sdraiarsi sul divano, scendendo su di lei con delicatezza e attento a non schiacciarla col proprio peso. Nulla era come le prime volte, qui, nulla doveva essere neppure simile, perchè questa volta non erano spinti dalla rabbia o da una pura attrazione fisica. Erano spinti e basta, da affetto, rispetto, voglia di stare insieme. Facevano l'amore su un divano, come i due ragazzini che non erano mai stati, ed era dannatamente bello.

Quando lui le tirò la maglia sopra la testa e iniziò a sbottonarsi la camicia, Buffy lo bloccò.

“Aspetta, aspetta...” gli chiese, con voce disperata.

“Cosa c'è?” si preoccupò lui “Perchè se stai per dirmi di fermarmi, io potrei avere qualche problema ma capisco...” si offrì.

“No! No, assolutamente” lo bloccò. “C'è solo una cosa che vorrei dirti ora, prima di potermi considerare abbastanza lucida da prendermi la responsabilità di quello che faccio”

“Nessuna responsabilità a lungo termine. Cosa vuoi dirmi?” le chiese, leggermente in ansia.

Buffy lo guardò negli occhi, accarezzandogli una guancia.

“Solo che... non ti amo neanch'io”

A quelle parole, l'uomo sorrise felice.

“Allora, forse, dovremmo continuare questa cosa nel letto”

“No!” lo bloccò lei “Il letto è sopravvalutato. Il divano è nostro”

“D'accordo. Il divano è nostro”.

 

Fu così che trascorsero quella notte. Dividendo in due un divano, con un letto matrimoniale a pochi metri. Perchè quello era il loro modo, o quello avevano deciso che fosse, per una sera. Questa volta, quando si unirono facendo l'amore, nessuno pianse.

 

 

 

Capitolo 18

 

 

Dio, quanto le era mancato il lavoro. Non che stare con William fosse noioso, certo, solo... le era mancato. Stare seduta alla sua scrivania, sfogliare carte, scrivere appunti, ricevere telefonate. Essere utile era il miglior modo di tenersi occupate e sgombrare la mente, anche se dopotutto aveva poco da fare.

Svegliarsi accanto a William, anche, era qualcosa di rassicurante oltre ogni limite. Si dice che, nel sonno, il nostro cervello tenti di risolvere i problemi che sono stati lasciati in sospeso nella giornata, per questo, spesso e certamente nella situazione di Buffy, lo stato di dormiveglia può essere confuso ed tormentato. Ma quando poi apri gli occhi e ti accorgi che accanto a te c'è un uomo bellissimo che prima avresti solo potuto pregare di vedere da vicino, sai che infondo le cose non possono essere così tragiche.

O se lo sono, allora il tragico va bene.

Giles continuava a non darle altre pratiche, di questo era un po' delusa ma allo stesso tempo sollevata. Meno problemi, certamente, anche se dover limitarsi a leggere e rileggere appunti e dichiarazioni sul caso di Darla Simmons iniziava a darle la nausea. Del resto, stare a casa per evitare Doyle le stava dando una nausea anche maggiore. Casa? Albergo. Albergo? Camera di William.

William era stato sorprendentemente comprensivo, con lei. Erano rimasti insieme quando avevano voglia di farlo, le lasciava privacy quando ne sentiva la necessità, la faceva parlare di Doyle o la distraeva con discorsi di dubbio senso su ogni argomento gli capitasse a tiro. Era un impegno notevole, da un uomo che avrebbe potuto avere una qualunque donna meno problematica con uno schiocco di dita. Quando lei gli aveva detto di voler tornare a lavoro, quella mattina, lui le aveva comunicato che all'udienza del giorno dopo sarebbe stata lei ad interrogare Angel O'Connor.

Questo, però, non centrava nulla con il darle qualcosa da fare per distrarla dal suo disastro di vita privata. Lei sapeva perchè le assegnava quell'incarico e lui sapeva che lei lo sapeva, senza bisogno di perdere tempo a spiegarsi. Il coinvolgimento e la compassione che Buffy, nonostante tutto, provava verso O'Connor, era qualcosa che William non sarebbe stato in grado di fingere e che avrebbe avuto un buon impatto in aula. William voleva usare i suoi sensi di colpa, incanalandoli verso uno scopo di dubbia morale. Lo sapevano entrambi e andava più che bene così, perchè questo era esattamente ciò che Buffy voleva e si aspettava da lui: che non la proteggesse, che le desse l'opportunità di mostrare di cos'era capace. E poi, pensò Buffy, sarebbe stato peggio dover interrogare il fratello Lindsey.

 

L'ennesima irruzione nel suo ufficio la distolse dai propri pensieri.

“Ho trovato un agente immobiliare per te” le disse William, chiudendosi la porta alle spalle e avanzando fino a sedersi su una sedia di fronte a lei, con espressione vittoriosa.

Buffy alzò un sopracciglio, chiudendo la cartella che aveva in mano.

“Prego?” chiese.

“Non volevi cercare casa?” allargò le braccia, come fosse ovvio.

“Uh, si, ma pensavo mi avresti ostacolata, non cacciata”

“Non ti sto cacciando, ti sto aiutando” aggrottò la fronte.

La giacca del completo elegante, aperta sulla camicia bianca, le faceva venire una gran voglia di infilarci le mani. Scosse la testa per tornare al presente.

“Mi stai aiutando a togliermi dai piedi” puntualizzò. William starnutì.

“Se fosse stata mia intenzione avrei iniziato col chiederti di dormire in camera tua, stanotte”

“E perdere l'occasione di prenderti il mio 'raffreddore da stress'? Sarebbe stato troppo sensato, per te” ghignò, sfidandolo.

William inclinò la testa, sorridendo.

“Il mio unico scopo, nel trovarti un'agente, era che così, magari, per la riconoscenza non chiederai un'ordinanza restrittiva quando ti seguirò agli appuntamenti”

Buffy si arrese. “Come conosci un agente immobiliare se stai a Los Angeles da due mesi?”

“Ho frugato nella rubrica di Giles” disse, appoggiandosi allo schienale della poltrona e mettendosi comodo, facendo correre le dita su oggetti casuali della scrivania.

“Dovrò mettere la mia in cassaforte...” commentò lei “Hai il numero di telefono?” chiese.

“Ce l'ho e l'ho già usato. Hai tre appuntamenti oggi pomeriggio” si fermò a sfogliare curiosamente un agenda.

La ragazza si sporse e gliela prese di mano. William sorrise.

“Ti dico quando e dove sono, solo se posso accompagnarti” arricciò la lingua tra i denti.

“Come hai fatto a dire all'agente cosa cerco e qual'è il mio budget?”

William alzò le spalle “Potrei averti letto nel pensiero e controllato il tuo conto”

Buffy si arrese. Era evidente che la metà di quello che diceva o faceva era per provocarla e, per quanto fingesse di provare fastidio, le piaceva da morire. L'unica cosa da fare, ora, era divertirsi in un piccolo contrattacco.

Con un sorriso malizioso, si avvicinò con la poltrona alla scrivania, appoggiandovi sopra i gomiti e sporgendosi verso di lui.

“Che ne diresti di fare un patto, Spike?” miagolò.

L'uomo, la cui attenzione ora verteva unicamente sulle labbra della ragazza, si lasciò attrarre e si sporse sulla scrivania a sua volta. Deglutì vistosamente quando, da sotto, sentì il piccolo piede di lei farsi lentamente strada sulla sua caviglia, solleticare leggermente dentro l'orlo dei pantaloni. Ormai in trappola, rimase ipnotizzato dal suo sguardo.

“Ogni volta che riuscirai ad evitare di infrangere la legge per invadere la mia privacy...” pronunciò zuccherosa “...ti farò un regalo”

Incapace di pensare razionalmente, William socchiuse gli occhi.

“Sarà difficile” disse lui in un sussurro intimo.

“Il mio regalo sarà bello” ghignò Buffy, continuando la sua salita fino al ginocchio, avvicinandosi pericolosamente a una zona fuori controllo.

William le afferrò la caviglia, mettendo quella piccola lotta di potere in una situazione di stallo. I loro occhi si mandarono scintille per un lungo momento, immobili, con il cuore pulsante nelle tempie.

Poi, lui si rilassò, iniziando a massaggiarle il piede come se fossero sul suo divano, comesapesse esattamente quali punti toccare per metterla fuori combattimento. Buffy chiuse gli occhi, arrendendosi.

“La settimana prossima,” disse lui “pianificavo di scoprire chi era quel tipo del liceo che ha sparso voci su di te, magari mandare un biglietto di San Valentino al suo capoufficio a suo nome” giocò.

“Molto, molto originale” rise lei “Ma se eviterai di farlo, potrei mostrarti cosa tengo nella scatola segreta”

Il viso dell'uomo si illuminò come un bambino a natale.

“Quella che hai preso dal tuo vecchio appartamento?”

Buffy annuì sorridendo.

“Posso trattenermi” disse lui.

“Lo giuri?”

“Sull'erezione che mi hai appena provocato”

“Mi fido” accettò lei, ritirando la gamba.

L'uomo emise un rantolo di protesta, afferrandola per le braccia e avvicinandola a se, per lasciarla poi andare con un bacio.

“Sei sicura che non vuoi uccidermi? Perchè ci sei arrivata tanto, tanto vicina” comunicò, alzandosi in piedi.

“Non è nella mia lista di cose da fare” disse con aria innocente.

William scosse la testa, ridendo tra se mentre si chiedeva se fosse consapevole di quale razza di provocatrice avesse trovato.

“Torno a prenderti tra un'ora, così posso costringerti a pranzare prima di vedere le case” le disse, andando verso l'uscita.

Buffy si allarmò. “Un'ora?! Ma, aspetta, devo prepararmi a interrogare O'Connor!” protestò.

“Sai le domande a memoria, le recitavi nel sonno stanotte!” rise, uscendo.

Rimasta sola, Buffy sospirò.

“Okay, ma oggi avrei potuto ripeterle altre cento o duecento volte...” disse tra se. Andare a letto con William Shore non significava averne assimilato per osmosi la bravura di avvocato.

 

Con un'ora di tempo davanti, senza realmente voglia di trascorrerla sul caso, Buffy decise di andare nella biblioteca dello studio. La prospettiva di trovarsi una nuova casa ora era vicina e lei, che aveva pacificamente dormito durante le ore di Diritto Immobiliare all'università, voleva controllare esattamente cosa doveva fare per togliere il suo nome dal contratto d'affitto che aveva insieme a Doyle nel loro vecchio appartamento e se l'assenza di preavviso creava qualche problema.

Una volta arrivata, decise che avrebbe perso meno tempo cercando il nome del libro che le serviva sull'archivio a computer. Grande invenzione del nostro secolo, un paio di click e sapeva già in quale corsia di scaffali avrebbe trovato quello che cercava, con numero di mensola e codice.

Si diresse verso l'obbiettivo ma, arrivata alla corsia giusta, si bloccò. Qualcuno aveva avuto la sua stessa idea e consultava ora proprio il libro che le serviva. Prendendo un respiro, perchè quel momento prima o poi sarebbe arrivato e lei lo sapeva, si avvicinò.

“Doyle...”

Il ragazzo alzò gli occhi, che furono subito attraversati da un misto di emozioni. Buffy riconobbe stupore, rabbia, frustrazione e infine forse rassegnazione.

“Ero venuta a guardare lo stesso libro” spiegò, perchè non si sentisse pressato.

“Non serve,” disse lui, a voce bassa e leggermente triste. “Non voglio più abitare lì nemmeno io, volevo vedere quant'è la penale per recedere dal contratto prima della scadenza”

“Ne sei sicuro? Dove andrai a stare?”

In realtà voleva chiedergli come stai, hai dormito ieri notte, cosa posso fare per farti stare meglio. Non importava quanto fosse inadatto a lei, gli aveva voluto bene e gliene avrebbe voluto sempre e vederlo così la faceva stare male.

“Cercherò un altro posto... non importa. Era solo una casa”

“Doyle--”

“Tu hai preso tutto?” la interruppe.

Lei annuì. “Si, tutte le mie cose”

“Okay, allora”

“Doyle--”

“Ti chiamo, se serve la tua firma per la recessione” posò il libro al suo posto e fece per allontanarsi.

“Doyle...”

Lo vide rallentare e fermarsi, a pochi metri da lei, dandole le spalle.

“Per favore...” le disse “E' presto”

Con questo, se ne andò.

Buffy rimase ferma un momento, a riflettere su quant'era accaduto. Si rese conto, con gioia, che Doyle si era appena comportato con più maturità di quanta ne avesse mai dimostrata quand'era con lei. Era tanto, per uno come lui e per una situazione come quella. Se lei stessa aveva passato molti momenti a fantasticare della loro futura vita insieme, da fidanzati, probabilmente lui aveva già immaginato il nome dei loro figli e quando sarebbero andati a prenderli a scuola. Era contenta per lui, se stava riuscendo a lasciarsi tutto alle spalle così in fretta. Lei, d'altrocanto, era sollevata ma, allo stesso tempo, in parte si chiedeva cosa ne sarebbe stato della sua vita adesso. Non aveva più piani, non era nemmeno certa che William non si sarebbe svegliato una mattina e stancato semplicemente di lei, non sapeva neppure se lei si sarebbe magari stancata di lui, se erano realmente così compatibili come sembrava.

Scosse la testa, di certo non era il momento per pensarci. Quando tornò in ufficio, William era già dentro.

“Andiamo?” le chiese, sorridende.

“Sei in anticipo” prese la borsetta e uscì, con lui al suo fianco.

“Sono perfettamente puntuale, quando serve”

Buffy sorrise. “Era da un po' che evitavi battute a sfondo sessuale di infimo livello, c'è un occasione speciale per farlo?”

“Certo che c'è” la indicò, “Adoro quella camicetta”

La ragazza roteò gli occhi, con un ghigno. “Lo so... è comparsa nel mio armadio stamattina e, dato che dubito sappia camminare, ho colto l'allusione”

“Sono bravo nelle allusioni”

“E per fortuna non solo in quelle...”

Scesi in strada, William si fermò sul marciapiede.

“Amore...”

Buffy si voltò “Siamo già alla fase in cui mi chiami 'amore'?”

“L'ho sempre fatto, veramente”

“Dimmi”

“Credo di aver parcheggiato in sosta vietata e che mi abbiano rimosso l'auto a noleggio”

“Oh” Buffy si guardò intorno, nel traffico di Los Angeles all'ora di pranzo. “Io non ricordo ci fosse un cartello, stamattina”

“O forse il ragazzo si è preso una piccola vendetta” propose William.

“Nah, non è da lui” aggrottò la fronte “Non credo almeno... E' più una cosa da Willow. Comunque, chiamo un taxi”

“Un taxi?” chiese lui, allarmato.

“Si, quelle macchine gialle che ti trasportano da un posto all'altro...”

“Quelle che trasportano decine di persone al giorno e un quantitativo esorbitante di batteri?”

Buffy lo guardò stranita, sporgendosi sul marciapiede per mostrare il pollice alzato.

William allungò una mano per tirarla più verso il marciapiede, perchè non si sporgesse troppo. Rimaneva sempre colpita da questi suoi gesti apparentemente incuranti ma così teneri.

“Sei schizzinoso?” gli chiese.

“Solo per i mezzi pubblici” rispose lui, guardando la strada.

“Non credevo avessi paura di qualcosa...”

“Sono un uomo di tante piccole fobie”

Senza perdere la sua postazione di richiamo-taxi, Buffy fece un passo indietro e sporse la testa verso di lui.

“Hai fatto sesso non protetto con me due volte, mentre ancora stavo con Doyle e nonostante sapessi che non ero una santa. Potevi prendere molto di più di un raffreddore da taxi” lo guardò oltre la spalla, con un sopracciglio alzato.

William rimase focalizzato in un punto imprecisato sulla strada.

“Te l'ho detto, infatti. Vicino a te mi è difficile mantenere la calma” rispose. “Se mai avrò un figlio mio gli insegnerò meglio”

Buffy si pietrificò. La remota possibilità che anche lui avesse i suoi stessi dubbi sul futuro si mischiò all'assurdità di quell'affermazione, mentre un taxi si fermava davanti a loro.

“Che strano discorso hai fatto...” disse sinceramente.

“Lascia stare” sbuffò lui, passandosi una mano sul volto per strofinarlo. “Sono sovrappensiero”.

 

Entrarono nell'abitacolo della macchina. Lui cercava di non toccare niente e si teneva il più lontano possibile dalla portiera, lei lo trovava incredibilmente buffo e dimenticò presto a cosa stava pensando.

Arrivarono presto nel primo appartamento che dovevano vedere, in cui incontrarono l'agente immobiliare che era una bella donna sui trentacinque anni, bruna e piuttosto sciocca ma apparentemente molto ferrata sul suo lavoro. Era riuscita a descrivere l'innovatività ed estetica anche dei listelli del parquet del salotto, ma ancora non sapeva decidersi se dare alla coppia del 'lei' o del 'tu', finendo il più delle volte per non chiamarli affatto.

“Per me è bello” commentò Buffy.

“E' piccolo” disse William.

“A me non serve tanto spazio”

“Un conto è tanto spazio, un conto è la cucina incassata nel salotto e una sola camera”

“Mi piace la cucina incassata nel salotto”

“Diventa imbarazzante se ceni con qualcuno”

“Raramente ceno con qualcuno”

“Io non sono 'nessuno'!”

“Tu non sai neanche se resti qui o torni a New York!” battibeccarono.

“Uh, signore, posso mostrarle il balcone annesso alla sala da pranzo, è molto spazioso e certamente adatto anche per cene all'aperto” tentò di mediare la povera agente. “Se la signorina vuole vedere...” condusse.

Oh, così alla fine aveva optato per chiamare 'signore' lui e 'signorina' lei. Probabilmente non capiva neanche se erano una coppia o uno zio con la nipote. Buffy sorrise tra se, trovandosi per la prima volta davanti all'evidenza della loro differenza di età. Non solo non la disturbava affatto ma, in un modo che non avrebbe saputo ben descrivere, la rendeva orgogliosa.

 

Un numero indefinibile di ore più tardi, arrivarono all'hotel tanto esausti da accasciarsi ognuno nella propria stanza. Per circa dieci minuti, almeno, prima che lui sgattaiolasse in quella di lei.

Avevano completamente mandato fuori di testa l'agente immobiliare perchè, apparentemente, non c'era un solo posto che andasse bene ad entrambi. Ovviamente Buffy aveva tentato di far notare che la casa era per lei, ma non c'era verso di far tacere William. I gusti in fatto di arredamento erano quasi identici, di questo erano rimasti colpiti entrambi, ma tutto il resto era caos! Lui, prendendo appuntamento con l'agenzia, le aveva quasi letto nel pensiero nel cercare posti vicino all'uifficio ma tendenzialmente verso il centro città per non farla sentire troppo isolata. Erano anche piuttosto grandi e nonostante questo avevano un prezzo affrontabile, dato che poteva permettersi affitti medio-alti.

Il problema era che un posto non aveva la vasca da bagno che secondo lui era necessaria, o troppe poche finestre, una sola stanza invece di una per gli ospiti... Tutte cose che lei trovava superflue, ma lui era arrivato quasi ad arrabbiarsi, dicendole che si accontentava di troppo poco.

“Non è stato il massimo come primo giro di case. Il prossimo posso farlo da sola in segreto?” chiese lei sdraiata a letto, guardando il soffitto.

“Non riusciresti ad avere segreti con me neanche se ci provassi” rise lui, sdraiato accanto a lei nella medesima posizione.

“Hey, non montarti la testa. Neanche tu ne hai con me”

Lui si alzò su un gomito, guardandola. “Oh, lo so questo. Tranne uno”

“Quale” lo guardò lei.

“Io non te lo dico”

“Se ti riferisci al fatto che non sei biondo naturale, sono un miglio avanti a te”

Lui le sorrise, e improvvisamente la prese e la rotolò sul letto, schiacciandola col proprio corpo.

“Prova a ripeterlo se hai coraggio” giocò.

Buffy rise. “Okay, okay...”

Restarono in silenzio per un momento, contenti. Allontanando le preoccupazioni.

“Okay,” sospirò Buffy, guardandolo negli occhi. “Mi è concesso di fare per un momento la ragazzina superficiale e pensare 'oh mio dio guarda con chi cazzo sono riuscita a mettermi'?”

William rise. “Prego. È sempre bello sentirselo dire”

Buffy liberò un polso e gli diede una pacca scherzosa sul petto.

“Ti ho detto di non montarti la testa...”

“Non la monto affatto” disse lui, un attimo prima di scendere lentamente a baciarle il collo.

L'atmosfera si trasformò istantaneamente, in qualcosa di più caldo e vibrante che nasceva dai loro corpi. William scese da lì alla scollatura, lasciandole andare un polso per poterle slacciare lentamente i bottoni della camicetta con la mano libera. Buffy lo lasciò fare.

“Spike...” ansimò.

“Mmh?” rispose, scendendo a baciarle lo stomaco e fermandosi all'ombelico.

“Cos'è Spike?”

Lui non smise il percorso che aveva iniziato, slacciando la cerniera della sua gonna e facendogliela scivolare via.

“Ricordi quando mi hai detto 'mi spogliavo per soldi e mi andava bene', senza troppi ricami?” le chiese, accarezzandole le cosce con le labbra.

“Si...”

“Mi piace essere chiamato Spike quando faccio sesso. Senza troppi ricami” si alzò in ginocchio per togliersi la camicia.

“Vuoi che ti chiamo Spike, ancora?” propose lei.

“No,” disse lui “Da te mi piace anche William...”

La ragazza sorrise. “William...”

“Mmh?”

“Domani mattina c'è l'udienza... dovremmo dormire”

“Certo” le disse lui, slacciandosi la cintura con un sorriso malizioso sul volto. “Dopo”

 

* * *

 

Quella mattina, William si svegliò per primo. Era la prima volta e ne fu piuttosto compiaciuto. Si alzò con un sorriso, guardando la ragazza illuminata dal sole accanto a lui, finalmente rilassata nel sonno. Si alzò su un gomito, le tolse una ciocca di capelli dal viso e notò un piccolo neo dietro l'orecchio che lì le stava proprio bene. Vi depositò un bacio, leggero, per svegliarla.

“Amore?” sussurrò.

Buffy gemette nel dormiveglia e si stirò lentamente. Aprendo gli occhi, affondò la testa nel morbido cuscino e si voltò verso la voce che l'aveva svegliata. Vide William, e fu contenta. Contenta di non doversi sforzare a sorridere di prima mattina, perchè lui non aveva l'insicurezza di dover vedere il suo sorriso per capire che era felice. Semplicemente, si voltò verso di lui e si accoccolò al suo torace, aspettando che lui la circondasse con un braccio.

“Buongiorno” sussurrò lui.

“Mmh...” mugolò lei in risposta, posando un bacio sul suo torace, poi un altro, poi un altro.

Il volto contento di William si tramutò in una maschera di tensione quando lei scese nella sua scia verso il basso, sugli addominali, proseguendo, costringendolo a chiudere gli occhi.

“Buffy, dovremmo andare in tribunale...” sussurrò con un coraggio che non seppe da dove proveniva.

“Certo, dopo” lo prese in giro dalla notte precedente.

William ridacchiò e, sdraiandosi sulla schiena, la lasciò fare.

 

 

In tribunale, dove faticosamente riuscirono ad arrivare puntuali con la loro cliente, Buffy e William rimasero ad ascoltare l'interrogatorio di Ethan Rayne ad Angel O'Connor. Nonostante la chiusura al pubblico ed in particolare alla stampa, l'aula era piena di persone, per lo più altri avvocati e studenti di legge che smaniavano dalla voglia di assistere.

Buffy non era tesa, sapendo che sarebbe stata lei a contro-interrogare, ma la metteva in tensione rivedere Angel O'Connor e sapere di doverlo torchiare dopo che lui le era stato tanto utile a farle ordine nella mente. Soprattutto sapendo che Darla avrebbe ghignato di soddisfazione per tutto il tempo, con quei suoi denti bianchi perfettamente rifatti e che avrebbe tanto voluto rompere con un pugno.

William le si avvicinò all'orecchio.

“Forse serviva a te il regalo di stamattina” commentò allusivo, prendendole le mani da sotto il banco per impedirle di tormentarsi le unghie.

“Me lo farai domattina, allora” sussurrò lei in risposta.

“Non hai che da chiedere”, disse, sempre a bassa voce. “Amore...”

Buffy sospirò e si voltò a guardarlo. William la stava fissando negli occhi, cosa che le fece leggera impressione, dato che chiunque intorno a loro poteva vederli e lui avrebbe dovuto almeno fingere di prestare attenzione all'interrogatorio. C'era qualcosa, nella scala di priorità di quell'uomo, di completamente sballato. Lo adorava. Soprattutto quando le parlò di nuovo.

“Lui non è Doyle solo perchè ha sofferto. E tu non sei Darla solo perchè hai tradito” le disse.

Buffy distolse lo sguardo. “Non ti serve che io lo pensi per essere più emotiva davanti al giudice?”

William era lieto di non sentire risentimento nella sua voce. Era una semplice domanda.

“Si. Ma se arrivi a lasciarci la testa, preferisco perdere” disse sinceramente, tornando a sedersi composto.

La ragazza non seppe descrivere il senso di contentezza che la pervase a quelle parole. Davvero avrebbe perso per lei? Probabilmente non era realmente così, ma il fatto che l'avesse tenuto in considerazione significava tanto.

“Tu non perdi” gli disse con un sorriso diabolico, un secondo prima di alzarsi e andare a fare il suo lavoro.

Scacciando la tensione, si impostò mentalmente di vedere Angel come nulla di più di quel tizio di cui ha sostenuto l'accusa al secondo anno e di cui non le importava nulla.

“Signor O'Connor” iniziò, facendo qualche passo in mezzo alla stanza, perchè l'eco dei suoi tacchi sul marmo la facesse sembrare più sicura di se. “Lei e la signora Simmons, prima del matrimonio, siete stati fidanzati per quasi tre anni. E' corretto?”

“Si, è esatto” rispose lui, impassibile, dal banco dei testimoni.

“Per i tempi che corrono, è un periodo notevole. Ma mi dica una cosa, in questo consistente lasso di tempo non ha mai sospettato il presunto tradimento di cui ora è così sicuro?”

“Se lo fossi stato prima, non mi sarei sposato”

“Per favore, risponda chiaramente”

“Ne ho avuti sospetti anche prima del matrimonio”

“E ha mai cercato di averne conferma, in qualche modo?”

Angel sospirò. “Chiesi direttamente a Darla, ma lei mi disse che non era vero”

“Capisco” abbassò lo sguardo, camminando lentamente avanti e indietro. “E mi dica, che ragione ha avuto per scegliere di credere alla sua fidanzata fino al matrimonio, e poi smettere?”

Improvvisamente, si sentì osservata.

Senza dare nell'occhio, mentre O'Connor dava la sua risposta, si voltò verso la folla e incontro un paio di occhi noti. Si bloccò.

“Durante il ricevimento di nozze, Lindsey era notevolmente nervoso” prese a raccontare Angel, mentre lei non lo ascoltava. “Gli chiesi se c'era qualche problema per il quale non poteva essere semplicemente contento per il mio matrimonio, ma lui rispose evasivamente...”

Chiedendosi perché Doyle fosse in aula, Buffy guardò William che, confuso dal suo comportamento, si voltò in direzione del suo sguardo e vide il ragazzo a sua volta. Buffy passò gli occhi tra i due, metà attenzione focalizzata sui suoi uomini e metà sul racconto di Angel.

“... Più tardi mi resi conto che Darla mancava da diversi minuti e, quando andai a cercarla, la vidi uscire di fretta da una stanza. Mi affacciai e trovai Lindsey piuttosto ubriaco e arrabbiato, che balbettava contro di me quale grande errore avessi commesso sposandomi”

Per un momento, una frazione di secondo, si rese conto che al suo matrimonio si sarebbe verificata una situazione simile, se lei e William fossero stati più deboli.

Ma fu brava o, come diceva sempre William, ammirabile. Si riscosse immediatamente e proseguì nel suo lavoro al massimo delle sue capacità, senza farsi distrarre da problemi personali.

“Di tutte queste 'supposizioni', signor O'Connor, c'è niente di dimostrabile? Una telefonata, una lettera... qualcosa che possa confermare la sua tesi?”

Guardò brevemente William. Il suo cenno orgoglioso fu sufficiente a disperdere la nebbia che per un momento l'aveva confusa. Ora doveva solo arrivare a fine udienza.

 

E l'udienza era finita. Il giudice aveva detto di aggiornarsi al giorno seguente per ascoltare la testimonianza di Lindsey O'Connor, poi avrebbe deliberato. Avvocati e clienti uscirono insieme dall'aula, mantenendo un'immagine perfettamente compatta fino all'uscita. Da lì, a Buffy fu sufficiente un cenno verso William per intendersi. L'uomo si chinò nuovamente per parlarle all'orecchio.

“Cerca di non re-innamorarti di lui, mentre ti aspetto” disse, con quel suo costante tono leggero che può essere uno scherzo o una seria constatazione a seconda di come scegli di interpretarlo.

Detto questo, lui e Darla si diressero verso l'uscita del palazzo di giustizia, mentre Buffy si affrettava per i corridoi in cerca di Doyle che, era certa, avrebbe trovato ancora lì. Pochi minuti dopo, infatti, riuscì ad incrociarlo mentre stava uscendo.

“Doyle?” lo chiamò.

Il ragazzo si fermò, per nulla sorpreso. Si voltò verso di lei e attese che lo raggiungesse, con un timido sorriso.

“Sei stata molto brava” le disse.

“Grazie...” aggrottò la fronte “Perchè sei venuto?”

Il ragazzo si strinse nelle spalle.

“Volevo vederti, in azione sul tuo grande caso. O forse...” sospirò “Io... ho passato qualche giorno a chiedermi cosa avessi sbagliato, per averti fatta allontanare da me” disse. “Poi ho avuto l'impressione che fossi tu ad essere cambiata e pensavo che guardandoti lavorare... accanto a lui, avrei capito come”.

Avrebbe voluto spiegargli che non era cambiata. Che era solo tornata in se.

“E lo hai capito?” chiese invece. Il ragazzo annuì.

“Non ti ho riconosciuta là dentro. Io spero... spero che tu sia felice, perchè da quando hai conosciuto lui--”

“Dopo quello che Giles ti ha raccontato,” lo interruppe “ancora la pensi allo stesso modo su di lui? Ancora pensi che sia solo una persona orribile?”. Poteva lasciare che Doyle pensasse male di lei, ne aveva ogni diritto, ma non poteva ascoltarlo contestare William.

“Hai ragione,” sospirò lui di nuovo “Non sono sicuro di cosa penso. Ma sono sicuro del fatto che tu sei diversa e... e non mi piace quello che sei ora”

Buffy aggrottò la fronte. Non capì il motivo, ma quelle parole la colpirono come un pugnale nel cuore. Nella sua testa scorsero alcune buone basi per contestarlo, ma le parevano... confuse, ora.

“Per cui, beh,” continuò lui “E' ovvio che ti voglio ancora bene e, forse, un po' vorrei che tu tornassi indietro, con me. Ma... non ti chiamerò più per tutta la notte per questo” sorrise.

Quello che diceva era giusto, era positivo, era quello in cui lei sperava. Giusto? La sensazione di essere ferita non l'abbandonò neanche dopo quei pensieri logici. Forse perchè lei nonostante tutto avrebbe sempre voluto bene a Doyle e pensare di aver perso parte del suo rispetto non era piacevole. Davvero, avrebbe voluto spiegargli che quella che aveva davanti in quel momento era la vera se stessa, che non aveva nulla di cui vergognarsi. Ma questo ora le suonava... incerto. Era proprio sicura di non avere niente di cui vergognarsi?

“Beh, suppongo... che ci rivedremo a lavoro” disse lui, dopo lunghi momenti di silenzio.

Buffy lo vide allontanarsi senza realmente guardarlo.

 

Avrebbe voluto lì William, con se, a ripeterle com'era giusto che lei si comportasse come si sentiva di fare, che avesse lasciato uscire la sua vera natura. Lo avrebbe voluto sentire ripeterle quant'era orgoglioso di lei e quanto era bella. In questo momento invece si sentiva sporca, sentiva qualcosa di sbagliato o incompleto in se. Sentiva Elisabeth tornare e rimproverarla, di essersi lasciata andare troppo e troppo in fretta.

Da quando William era con lei, Elisabeth era stata progressivamente cancellata e Buffy era tornata in superficie, dentro di lei. Era stato giusto permetterlo così completamente? Elisabeth e Buffy erano davvero due personalità che si escludevano l'una con l'altra? Non era possibile, perchè lei era la stessa persona. Forse Elisabeth era troppo rigida, troppo pacata ed innaturale per lei, senza dubbio, ma era comunque qualcosa con cui lei aveva convissuto per anni senza stare male. Forse Buffy era la vera se stessa, ma troppo cinica e aggressiva e di certo il processo ne stava tirando fuori il peggio. Allora, forse, era ora di crescere e dare anche a Buffy qualche limite.

Ma a questo punto, un altro dubbio sorgeva spontaneo. William l'avrebbe permesso? William avrebbe continuato ad amarla se lei non fosse più voluta essere spietata come si era comportata?

Se aveva imparato qualcosa, da tutto il caos che si era generato, era che non si dovrebbe stare con qualcuno che non può accettarti per come sei.

Quindi doveva fare ciò che riteneva giusto e lui l'avrebbe accettata anche con qualche rimorso in più. O non sarebbe stato adatto a lei quanto credeva.

 

Entrando nel suo ufficio, quel pomeriggio, Buffy accolse il sorriso di William con un teso sospiro.

“Vorrei ritirarmi dal caso Simmons”

 

 

 

Capitolo 19

 

William strinse leggermente gli occhi. Non era arrabbiato, era sorpreso e in parte si chiedeva se avesse sentito bene. Era insolito per lui essere sorpreso, doveva ammetterlo.

“Com'è andata?” le chiese, lentamente.

Non intendeva ignorare la sua affermazione, voleva solo che la ripetesse con calma. Non gli erano mai piaciute le azioni emotive e, dal modo in cui vide Buffy abbassare gli occhi, suppose che anche lei fosse imbarazzata dal proprio comportamento.

William girò intorno alla scrivania, appoggiandosi sul bordo come faceva sempre. Le tese un braccio, con il palmo verso l'alto per invitarla ad avvicinarsi ma, quando lei non lo fece, lo abbassò e indicò la sedia, per farla accomodare.

Fu quando Buffy non fece neppure questo, che iniziò a preoccuparsi. Che il ragazzo l'avesse convinta a tornare sui suoi passi? Che l'avesse fatta cambiare idea su di lui di nuovo? William sapeva che essere forzato a dimenticare Buffy adesso, dopo tutto quello che c'era stato tra loro, dopo tutto quello che in lui si era piegato per trovare la forza di fidarsi di un altro essere umano, sarebbe stato immensamente doloroso.

La ragazza non si sedette, ma fece qualche passo verso di lui, atto che lo tranquillizzò in parte.

“Bene,” sussurrò lei. “Mi odia un po' meno”

“Bene” ripetè lui, inclinando la testa. “Allora cosa ti ha portato all'entrata ad effetto di poco fa?”

Il suo tono era rigido. Non intendeva parlare in modo così rigido a lei, ma non poteva fare altrimenti. Era spaventato

Lei abbassò gli occhi di nuovo. Non le si addiceva abbassare gli occhi, William avrebbe voluto che li alzasse e guardasse dritto nei suoi, per riconoscere la sua Buffy.

“Credo di volermi... ritirare da questo processo”

I lineamenti di lui rimasero rigidi, i denti serrati. Finchè lei non trovò il coraggio di alzare gli occhi verso i suoi, e lui fu in grado di capire che lo intendeva sul serio. E che non gli stava nascondendo altro.

Esalò un impercettibile sospiro di sollievo, calciandosi mentalmente per le sue infantili paure che la ragazza lo abbandonasse, come un adolescente qualunque. Tuttavia la preoccupazione tornò, quando il significato delle sue parole gli fu chiaro. Era diventata matta?

“Per quale assurdo motivo?” le chiese, non meno bruscamente.

“Non sono adatta”

“Stronzate. Sei fantastica. Oggi sei stata fantastica” allungò la mano per alzarle il mento e costringerla a guardarlo. “Hai visto Doyle, ti sei distratta, ma hai recuperato tanto in fretta che non se n'è accorto nessuno. Il problema non sei tu”

“Lo sono invece”

“Non per questo processo”

“E' il processo che è un problema per me!” sbottò lei.

Nella stanza calò il silenzio.

William continuò a guardarla, sperando di trovare nei sui lineamenti una debolezza da usare per farle vedere la sua logica.

“E' ridicolo” le disse infine. “Lo sai che è così. Sai anche che ritirarti da questo caso non sarà d'aiuto a nessuno, meno di tutti a te e alla tua carriera”

“Non riesco a contribuire alla distruzione di Angel O'Connor. Sento come se fosse... distruggere Doyle due volte”

“Ma sai che non è così! Dio, Buffy...” sospirò, passandosi una mano tra i capelli “Sei più intelligente di così. Sai perfettamente che non puoi mischiare il lavoro e la tua vita personale più di quanto sia indispensabile”

La ragazza annuì lentamente. Poi si alzò dalla sedia, camminò fino al centro della stanza e lo guardò, di nuovo alla sua stessa altezza.

“Non ti sto chiedendo il permesso. Ti sto avvisando” gli disse.

Poi addolcì il suo tono.

“Voglio... voglio solo chiederti, se questa cosa... ti delude davvero così tanto. Voglio sapere se devo aspettarmi di vederti allontanare da me” chiese, quasi formalmente per paura di lasciar trasparire troppe emozioni.

William sentì una morsa stringergli il cuore per la felicità. Davvero aveva trovato una donna così uguale a lui? Una la cui preoccupazione principale non era una lite, che non voleva da lui consolazione o sostegno emotivo, voleva essere certa di mantenere dignità ai suoi occhi.

Voleva mentirle. Dirle che sì, sarebbe stato molto deluso e l'avrebbe lasciata se avesse fatto una cosa così stupida. Ma William non era capace di mentire. Non poteva guardarla in faccia e dirle che non capiva il motivo per cui si sentiva male ad affrontare quel caso.

“No, Buffy” rispose, con la stessa formale cortesia. “Il mio rispetto per te non cambierà di un passo”

La ragazza sospirò sollevata, portando una mano dietro la nuca per massaggiarsi il collo e chiudendo gli occhi.

“Lo apprezzo molto. Ora... vuoi venire a pranzo?”

William le si avvicinò. Le tolse la mano dal collo per sostituirla con la propria, toccando con dita esperte i nervi fin troppo tesi, finchè lei non aprì gli occhi e lui la lasciò andare.

“Tra un minuto” le disse.

Con un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso, Buffy annuì e lasciò la stanza.

William la osservò allontanarsi. Poi, formando un piano nella sua testa, andò al telefono e compose un interno.

Lui non poteva mentirle, ma c'era qualcuno che poteva farlo per lui.

 

* * *

 

“Quello che mi stai chiedendo è molto più complicato di quanto sembra, Elisabeth” le disse Giles. “Non si tratta semplicemente di lavoro, si tratta di immagine!”

“Non so se capisco cosa intende” rispose la ragazza, cercando di tenere il mento alto mentre il morale stava a terra.

Giles non l'aveva quasi mai dovuta riprendere per il suo comportamento o le sue decisioni. Aveva fatto strada in fretta, in quello studio, grazie alla fiducia che lui riponeva in lei e che lei non aveva mai neppure pensato di tradire. Essere ripresa da lui la faceva sentire, in un certo senso, una bambina sgridata dal babbo.

Giles provava lo stesso imbarazzo, ma era un bravo attore.

“Su un giudice non fa mai buona impressione il ritiro di un avvocato a caso iniziato, può influenzare la sua visione del cliente e non possiamo permetterlo. Inoltre...” si fermò, prendendo un breve e rapido respiro.

“Cosa?”

“Sai che io sono il fondatore dello studio, ma non sono l'unico socio anziano. Non sta solamente a me decidere... il futuro di questo studio. Uno smacco del genere, nel tuo curriculum, per un motivo personale non considerabile grave, può crearti molti problemi in questo senso. Non... non voglio trovarmi costretto a lasciarti a casa”

Le parole aleggiavano nell'aria della stanza come se volessero schiacciarla.

Buffy non abbassò mai il mento, per pura questione di orgoglio. Ma voltò la testa di lato, fingendo di studiare la tinteggiatura blu scuro della stanza, per avere un momento per pensare.

Non era stupida. O forse la era, ma non così tanto da pagare quel prezzo per una buona azione. Non ne valeva semplicemente la pena, avrebbe dovuto stringere i denti e tenere il caso. Anche William ne sarebbe stato contento... lui aveva dato prova del suo affetto, dicendole che avrebbe continuato a rispettarla, ma Buffy vedeva quant'era rigido e formale e questo poteva solo significare delusione, per lei. Non aveva idea di quale coraggio avrebbe dovuto trovare per guardarlo negli occhi mentre tornava con la coda tra le gambe, dopo quella strigliata, a dirgli che sarebbe stata al suo fianco anche il giorno successivo in aula.

“D'accordo” disse, voltandosi nuovamente verso Giles che attendeva risposta. “Dimentichi quello che ho detto. Non ci saranno problemi”

Lo salutò con un cenno e lasciò la stanza.

Giles ricadde pesantemente sulla propria poltrona, sospirando. Per fortuna la ragazza aveva fatto la scelta giusta.

Per fortuna. Perchè non sapeva più cosa inventarsi.

 

Quando Buffy arrivò in albergo, quella sera, la camera di William aveva la porta chiusa. Chiusa per davvero, a chiave. O lui non c'era, o non voleva vederla. Provò un ondata di tristezza al pensiero che fosse deluso di lei fino a quel punto e che avesse potuto mentirle, quel giorno, dicendole che non si sarebbe allontanato.

Poteva perdonarle uno sbaglio, no? Tutti sbagliano, lui stesso aveva spesso sbagliato. Loro stavano insieme, per uno sbaglio.

Rilassò le spalle, aprendo la porta della propria stanza e preparandosi mentalmente ad una serata piuttosto patetica, all'insegna dell'auto-commiserazione e di grandi riflessioni su cosa è giusto e cos'è sbagliato.

 

Le prospettive cambiarono immediatamente quando, avvicinatasi al letto, intravide dentro l'armadio aperto un vestito nuovo. Buffy aggrottò la fronte, guardandolo mentre liberava i capelli dalle forcine, toglieva le scarpe, slacciava la gonna. Si avvicinò finalmente all'oggetto in questione, trovando che non c'erano biglietti ad accompagnarlo, come non ce n'erano quando aveva trovato gli altri piccoli regali che William le portava. Era molto discreto, non li impacchettava, non li metteva in bella mostra. Se non fosse stata un'osservatrice attenta, avrebbe potuto non accorgersi nemmeno che c'erano. La camicetta che le aveva regalato il giorno prima, l'aveva trovata appesa nell'armadio tornando in camera; una spazzola per i capelli era comparsa nel mobiletto del bagno poco dopo il suo arrivo all'albergo.

Questa volta si trattava di un completo da sera, non elegante ma certo non da lavoro. William aveva mantenuto la sua promessa, non si era affatto allontanato. Non era un abito unico, aveva i pantaloni, come preferiva lei. E gridava 'Vediamoci di sotto', anche senza messaggio testuale.

Poteva, certo. Avrebbero fatto tardi, ma la mattina dopo all'udienza ci sarebbe stata soltanto la testimonianza di Lindsey O'Connor, che non avrebbe tradito la sua amante, né i soldi che lei gli aveva dato per mentire. Ormai era fatta.

Già. Buffy avrebbe dovuto essere felice.

Invece, quando scese nella sala bar e vide William seduto al bancone, sentì la necessità di fermarsi, per un momento.

Era bellissimo. Bellissimo, amabile, dolce a suo modo, pieno di talento e aveva graziato proprio lei della sua scelta. Eppure, una parte di lei avrebbe voluto che si fosse allontanato, dopo oggi. Una parte di lei non sentiva più così giusto inseguire la propria felicità ignorando le conseguenze. La parte di lei, la coscienza che oggi l'aveva spinta a chiedere il ritiro dal caso, iniziava a pensare che William non fosse più ammirabile quanto lei pensava. Che, forse, quell'egocentrismo che le era sembrato così coraggioso all'inizio fosse solo fine a sè stesso, che accanto a lui avrebbe sempre solo approfittato delle persone per ottenerne profitto.

 

William era sceso al bar ore prima. Era lì da quando Buffy era andata a parlare con Giles, ad ascoltare quel discorso minuziosamente architettato per farle evitare di prendere misure drastiche per scrupoli di coscienza. Quello che Buffy non poteva sapere però, pensò William, era che lui capiva esattamente come poteva sentirsi.

Quel giorno, mentre pranzavano in silenzio dopo la loro piccola discussione, William era rimasto assorto nei propri pensieri e aveva potuto rendersi conto di molte cose. Di una, in particolare, sufficiente a spiegarle tutte.

Un giorno, Giles aveva detto 'Ora ho capito perchè Elisabeth mi ha tanto colpito quando l'ho conosciuta. Mi ricordava incredibilmente qualcuno...'. Era vero, lei somigliava molto a lui, quando era più giovane e meno spietato. Prima che conoscesse la madre di Doyle.

Drusilla Allen per lui era stata una rivelazione e una condanna, allo stesso tempo. Per usare un'espressione con cui Buffy spesso lo aveva rimproverato, quella donna aveva “aperto il vaso di Pandora” che c'era in lui. Aveva alimentato il suo cinismo, la lucida freddezza con cui guardare le cose, senza farsi condizionare dalle emozioni se non dalle proprie. Lei non era una brava persona, di questo aveva dovuto rendersene conto a proprie spese non molto tempo dopo averla conosciuta, ma a quel punto era tardi per cambiare ciò che era diventato. Ciò che gli piaceva così tanto essere. Un freddo, bastardo e fottutamente bravo avvocato. Un cuore lo aveva sempre avuto, ma lo custodiva gelosamente perchè non gli venisse più lacerato come aveva fatto lei.

Ora, oggi, guardando la splendida e triste ragazza di cui si era innamorato, non poteva fare a meno di notare. Era andato a Los Angeles per impedire a Doyle di sposarsi giovane e ripetere la storia, ma era lui stesso ora a ripeterla, con Buffy.

Non era stata sua intenzione. Le aveva sempre detto che non intendeva muoversi scorrettamente, non intendeva portarla via dal suo fidanzato innamorato, non aveva inteso portarla a tradirlo, non aveva fatto apposta tante cose... ma, a dato di fatto, la sua stessa vicinanza l'aveva condizionata. L'aveva indotta a lasciare il ragazzo di sua iniziativa, a stare con lui, a liberare la donna forte e meravigliosamente priva di inutili convenzioni sociali che c'era in lei.

Ed ora, la stava inducendo ad indurirsi sempre di più il cuore in un processo che la faceva stare male con sè stessa. Lo faceva per lei, certo, per impedirle un errore che poteva sul serio costarle la carriera. Avrebbe potuto lasciarla ritirarsi e poi prenderla a lavorare con se per salvarle la reputazione, ma non voleva costringerla ad un tale ripiego quando aveva il talento per scegliere di lavorare dove desiderava.

Ma c'era una domanda, che iniziava a farsi strada nella sua mente: liberare Buffy, era stata la cosa più giusta per la ragazza, o solo quella più piacevole per lui?

 

Quando William si voltò, per alzarsi e andarla ad accogliere, scoprì con stupore che lei era già accanto a lui. Il suo viso non era felice, ma le sorrise ugualmente. La situazione gli ricordava molto quel venerdì notte, di quello che sembrava così tanto tempo prima, in cui l'aveva chiamata dopo la partita con Doyle e lei era venuta da lui in quello stesso posto. Aveva la stessa identica espressione di allora, contenta di essere lì e allo stesso tempo in dubbio su cosa stia facendo. L'adorava.

“Ti sta proprio bene” le disse, guardando i vestiti che le aveva scelto.

“Per fortuna” rispose lei.

“Anche se vorrei vederti portare una gonna prima o poi”

“Le porto ogni giorno in ufficio”

“Quelle non sono gonne, sono divise”

“Penso spesso la stessa cosa” inclinò la testa, osservandolo. “Sapevi perfettamente cosa mi avrebbe detto Giles”

“Già” rispose lui, il che non era affatto una bugia. “Immagino che tu debba essere tirata su di morale, stasera” prese un sorso dal proprio bicchiere e si alzò dallo sgabello.

“Non particolarmente” lo stupì lei.

Fu il turno di William di inclinare la testa, incuriosito.

“Vorrei solo rialzare la mia autostima. Fare qualcosa in cui sono brava, per esempio” spiegò, allungandosi su di lui e prendendo il bicchiere che aveva lasciato sul bancone, finendone il contenuto.

William alzò un sopracciglio.

“Ti va di ballare?” le chiese, cercando di indovinare cos'aveva in mente.

Lei scosse la testa.

“Mi da fastidio tutta questa gente”

“Cos'hai in mente?” si arrese lui.

“Mi pare di doverti ancora un regalo?” sorrise maliziosa. “Il contenuto della scatola segreta?”

William strinse gli occhi, cercando di decifrarla. Era piuttosto certo che non fosse felice, quasi aveva pensato che fosse tesa con lui. Le aveva preso un vestito per invitarla a scendere al bar, quella sera, convinto che le potesse essere utile distrarsi stando in contatto con altre persone oltre a lui, che fosse meglio che relegarla ancora in camera. Eppure era lei, ora, a chiedergli di tornare di sopra e ad offrirgli un regalo, il che gli risultava poco comprensibile.

Forse, in questo momento, si sarebbe sentito più a suo agio se avesse dovuto farle da spalla su cui piangere. Annuì lentamente.

“Bene” disse lei “Allora perchè non vai di sopra, in camera tua, ad aspettarmi? Io arriverò subito”

Ancora leggermente scettico, William annuì di nuovo. Alzò una mano per accarezzarle la guancia e si chinò su di lei per un lieve bacio, prima di fare come gli aveva chiesto e salire di sopra.

 

Non erano serviti più di dieci minuti, anche se a lui erano sembrati molti di più.

Era seduto sul letto, si stava massaggiando il collo mentre guardava un punto qualunque del soffitto, quando sentì aprire la porta. La visione che gli si proiettò davanti agli occhi quasi gli fermò il cuore.

Buffy era in piedi, davanti alla porta, avvolta in quello che era decisamente uno dei costumi di scena di quando faceva la ballerina di strip club. Niente di così volgare da stonare la sua immagine, ma decisamente di quel genere. Un abito rosa che le arrivava a malapena a metà coscia, trasparente abbastanza da lasciar intravedere le forme del suo corpo e con una miriade di lacci da aprire sulla schiena e sulle braccia, come per scoprire un pacchetto regalo.

“Io l'ho detto” sussurrò William, a corto di fiato “Tu cerchi di uccidermi”

“Prima di farlo, mi assicurerei di avere un posto nel tuo testamento” provocò lei, ondeggiando verso il letto su due sandali a tacco decisamente alto che valorizzavano le sue gambe snelle.

Quello era un gioco nuovo, per loro. Qualcosa che lei aveva voluto fare di sua iniziativa, perchè avrebbe potuto scegliere semplicemente di non parlargli mai della sua 'scatola segreta' e lui non le avrebbe fatto pressioni. Forse.

Non c'era musica, dato che lui non ne possedeva, ma lei camminò fino a un paio di passi da lui ed iniziò la sua danza ugualmente. Non lo sfiorò neppure mentre, con sguardo lascivo e neanche l'ombra di un sorriso, si muoveva a ritmo del proprio battito di cuore e slacciava uno a uno i nodi allentati dell'abito.

William non le staccò gli occhi di dosso neanche un istante. La sua mente non era più capace di formulare un pensiero di senso, in quel momento avrebbe dimenticato anche di respirare se i polmoni non lo avessero obbligato. Rimase incantato a guardarla spogliarsi, come se non avesse mai visto una donna farlo. Le lasciò le redini del gioco, tenendo le mani a posto mentre lei passava le proprie tra i suoi capelli, sul suo viso, a sbottonargli la camicia, slacciare la cintura, spingerlo a sdraiarsi, salire su di lui.

La lasciò fare tutto questo e le avrebbe permesso molto altro, dopo aver visto quanto erano spenti i suoi occhi.

Che lo stesse facendo per distrarsi o espiare, Buffy non era affatto felice. E, per quanto eccitato dallo spettacolo, William era un uomo cresciuto e non così stupido da non rendersene conto.

Le prese i polsi, bloccandola prima che gli abbassasse i pantaloni. Per un momento non si mosse, aspettando di vedere se lei voleva restare distante o se l'avrebbe guardato negli occhi. Quando lei lo fece, William portò una mano tra i suoi capelli e la costrinse a scendere su di lui, per baciarla. La sentì rispondere al bacio e ribaltò le loro posizioni, salendo su di lei e schiacciandola sul materasso.

Liberò rapidamente entrambi dagli indumenti rimasti addosso, si allungò verso il comodino per spegnere la luce. Era certo che lei preferisse così.

Quella notte, William fece l'amore con Buffy mentre di lei non si potè dire la stessa cosa. Il suo era più un atto di sfogo liberatorio dalla frustrazione della giornata, dal doversi arrendere a seguire il processo, dal perdere quel briciolo di altruismo che le era rimasto. E probabilmente, almeno in parte, biasimava lui per tutto questo.

Ma William non era preoccupato. Non lo era perchè aveva preso una decisione importante, nel momento in cui si unì a lei.

Lui non avrebbe ripetuto la storia, l'avrebbe cambiata. Avrebbe dimostrato a Buffy era possibile essere sè stessa e avere un cuore allo stesso tempo.

 

* * *

 

Buffy fu la prima a svegliarsi, il mattino dopo. Di nuovo. Aprì gli occhi meccanicamente, mille pensieri già le invadevano la testa, nessuno dei quali le faceva presagire una buona giornata.

Lanciò uno sguardo all'uomo ancora addormentato accanto a lei, sospirando. La luce che filtrava dalle tende non era abbastanza forte da illuminarlo a giorno, probabilmente era passata da poco l'alba e le giornate non erano più assolate come quelle estive.

Non se la sentiva davvero di svegliarlo, o di prepararsi insieme a lui. Era tesa, nervosa all'idea di entrare di nuovo in quell'aula di tribunale. Le sarebbe servita una vacanza, anche solo qualche giorno di pausa per poter finalmente raccogliere i pensieri e fare un resoconto di quello che era successo nelle ultime settimane. C'era una tale confusione nella sua testa, in quel momento, da non capire più se quello che voleva veramente era finire il suo lavoro, dimostrando a sè stessa di esserne capace e non farsi prendere dall'emotività, o scappare.

L'unica sensazione costante era che William avesse un ruolo, in tutto questo. Erano successe troppe cose da quando era arrivato, era difficile non pensare che fosse in parte responsabile di tutto quello che stava accadendo perchè, in effetti, lo era. Lo era quanto lo era lei, se non altro. Buffy non riusciva a scacciare la sensazione che, a fine giornata, non sarebbe riuscita a guardare William allo stesso modo. Non si sarebbe più sentita giusta tra le sue braccia.

Aveva bisogno di prendersi un attimo per sè stessa, fare due passi e liberare la mente, prima di affrontare la fine del processo e del suo rispetto per sè stessa.

Uno sguardo all'orologio le disse che ne aveva tutto il tempo. Guardò William, pregando tra sè che, svegliandosi e non trovandola con lui, potesse capirla e non giudicarla debole o emotiva. Era così bello mentre dormiva...

Sospirando, si alzò dal letto. Scrisse una nota per lui nel primo pezzo di carta che le capitò sottomano, lasciandogliela sopra il cuscino prima di allontanarsi. Con un ultimo sguardo verso di lui, lasciò la stanza e andò a prepararsi nella propria.

 

'Mi serve ossigeno. Ci vediamo dopo allo studio. Buffy'

 

William la lesse appena sentì chiudersi la porta. Era sveglio, forse da prima di lei, ma uno sguardo rapido al viso della ragazza gli aveva fatto capire che non era il momento di rendere nota la sua presenza.

Sospirò, stirando i muscoli per svegliarsi. Se lo aspettava, in fondo. Le avrebbe lasciato il suo spazio, come le aveva sempre promesso, sperando solo che ciò che sarebbe accaduto potesse servirle per chiarirsi le idee.

Perchè le sue erano chiare. Dentro di sè, William aveva deciso che, senza Buffy, le cose non sarebbero più state le stesse.

Guardando l'orologio, si passò una mano sul viso e prese il telefono dal comodino.

 

* * *

 

Riusciva a sentire la risata irritante di Darla Simmons trapanarle il cranio anche attraverso le porte dell'ascensore chiuse. No, non era affatto giornata.

Si era fermata per qualche minuto in un bar e poi era arrivata in studio a piedi, per tentare di trovare un po' di calma. Le ci erano volute circa due ore e non era contato assolutamente nulla. I pensieri non erano meno confusi, l'idea di entrare in un posto pieno di gente non era meno snervante e i muscoli dolevao di più.

Buffy varcò la soglia dell'ascensore e si lanciò nell'atrio del Giles & Morgan, ignorando Willow alla reception e stampandosi un sorriso falso per chiunque la salutasse. Si fermò solo davanti all'ufficio di William, per trovare il coraggio di entrare.

'Smettila di fare la bambina, entra e finisci il tuo lavoro' si disse.

Aprì la porta, rimanendo ferma sulla soglia e guardando la loro cliente.

“Buongiorno” salutò cortesemente, prima di voltarsi verso William “Penso sia ora di andare” comunicò.

“D'accordo” sorrise educatamente lui, alzandosi dalla sedia. “Prego” indicò alla Simmons di anticiparlo nell'uscita.

La donna passò accanto a Buffy sulla soglia, con un sorriso di sdegno da stupida prima donna che la ragazza finse di non notare. Quando fu il turno di William di passare, lui si fermò alla sua altezza. Buffy alzò gli occhi su di lui.

“Speravo di vederti prima del processo” le disse.

“Era meglio di no” distolse lo sguardo.

“Mi ami ancora?”

Buffy alzò gli occhi di nuovo. Non era insicuro, era mortalmente serio. Tutti i dubbi di quella mattina e del giorno precedente svanirono, mentre un'inspiegabile ondata di fiducia la rilassò completamente.

“E' fuori dubbio...” sussurrò.

Lui la osservò un momento, per accertarsi che non mentisse. Poi sorrise.

“Ne sono contento”

Decisamente più serena, Buffy si avviò per raggiungere la Simmons e William la seguì.

 

Il viaggio in macchina fu di una lentezza estenuante. William guidava, per non dare nell'occhio, l'auto che aveva fatto recuperare dal deposito sosta vietata, mentre Buffy sedeva dietro come la bambina di casa e Darla Simmons davanti. C'era silenzio, che da parte sua era esausto e da parte di Darla nervoso, mentre da parte di William era... mah, forse era semplicemente rilassato e incurante, conoscendolo.

Buffy chiuse gli occhi, strofinandosi le tempie, cercando di concentrarsi sul meraviglioso chiarimento che c'era stato con William e non all'ingiustizia, al nervoso della situazione... finchè non sentì una gran confusione.

Quando aprì gli occhi, l'auto era parcheggiata di fronte al tribunale, dove un oceano di giornalisti era scattante sul posto, pronti a fare domande e scattare foto.

“Che significa?!” sbottò Darla.

Ottima domanda, pensò Buffy. Erano riusciti ad avere una sicurezza sigillata attorno alla notizia del processo, cos'era sfuggito proprio ora?

“Pare che la notizia sia trapelata ugualmente, alla fine” rispose William, pacatamente.

“Mio dio... beh non possiamo restare qui, allontaniamoci!”

“Darla, penso che il modo migliore per salvare la faccia sia entrare ugualmente e affrontare le telecamere”

“Ma...”

Era palesemente agitata, Buffy dovette trattenersi molto per non scoppiare a riderle in faccia. Si occupò a pensare a cosa poteva essere accaduto, se a lei o a uno di loro fosse sfuggito di nominare il processo alla persona sbagliata. No, impossibile, ne era certa. Sia lei che William avevano passato le ultime settimane chiusi tra la camera e l'ufficio, non avevano praticamente parlato a nessuno. A meno che... Buffy si voltò verso William, studiandolo un momento. Era così tranquillo, così poco sorpreso...

“Darla, penso che nei prossimi dieci secondi dovremmo decidere se uscire da quest'auto e affrontarli o scappare con la coda tra le gambe” ripetè lui.

“Dannazione!” imprecò la donna “Usciamo...”

Buffy osservò William uscire dall'auto e fare il giro, arrivare allo sportello della cliente e aprirlo per aiutarla a uscire. Uscì a sua volta, seguendoli mentre si facevano strada tra fotografi insistenti e giornalisti che facevano domande di ogni sorta.

'E' vero che suo marito ha chiesto l'annullamento del matrimonio?'

'Come pensa che influirà questo sulla sua carriera?'

'E' vera la voce sul suo tradimento?'

Buffy mascherò un sorriso. Mai quanto in questo momento desiderava non essere nei panni di quella donna, che stava percorrendo i gradini del tribunale come se fossero la strada verso la consegna della lettera scarlatta.

Guardandosi intorno mentre camminava, trovò uno spiazzo attorno a cui si erano raggruppati diversi cameraman. Là, al centro, stavano Ethan Rayne e un sereno Angel O'Connor, che raccontava senza vergogna ogni dettaglio del processo per i telegiornali. Buffy lo vide voltarsi verso di lei. I loro sguardi si incrociarono per un istante e, quasi impercettibilmente, lui le fece un cenno. Un cenno che sapeva di ringraziamento.

 

Per essere una donna d'alta classe, Darla Simmons era capace di imprecazioni di notevole volgarità, cosa che aveva costretto William a trascinarla nella Sala Testimoni, per farla calmare prima del processo.

“Credo sinceramente che dovresti concentrarti su cosa dire alla stampa una volta usciti da qui” William tentava di farla ragionare. “A meno che non vuoi un'altra passerella alla gogna come quella di poco fa. E dovremmo pensare di entrare in aula”

Buffy lo osservava, dall'angolo della stanza in cui osservava la scena, con le labbra incurvate in un sorriso.

“Cazzo! Non capisci? Non...” la donna prese fiato, per la prima volta dall'inizio delle lamentele. “A-a questo punto...” sospirò. Rilassando le spalle, si avvicinò lentamente ad una sedia e vi si sedette, guardando un punto imprecisato della stanza. “Io... mi arrendo. Tutto questo processo serviva ad evitare questo e... lasciamogli l'annullamento”

“Ne sei sicura?” le chiese William.

La donna annuì lentamente. Buffy era certa di vedere i suoi occhi luccicare.

“Non ha più senso. Ormai tutti sanno... sanno del tradimento, sanno del fallimento del mio matrimonio. La mia immagine non può rovinarsi più di così, perciò... che almeno Angel abbia quello che vuole”

La ragazza alzò un sopracciglio. Non si sarebbe aspettata una resa così diretta, forse quella donna non era poi così marcia come sembrava.

Bussarono alla porta. Buffy lasciò William e Darla discutere e andò ad aprire.

“Posso entrare?” chiese Lindsey O'Connor, dall'altra parte.

Buffy lanciò un'occhiata a William e Darla, che diedero un cenno di assenso. Si fece da parte e lasciò entrare il ragazzo, che corse dalla sua amante come un cagnolino.

Mentre i due si scambiavano frasi di conforto, decisamente private, William si avvicinò finalmente a Buffy, affiancandosi a lei in disparte.

“Pare che non fosse necessario, ritirarsi dal processo” sussurrò lei.

William si finse inconsapevole di cosa intendesse.

“Non so di cosa tu stia parlando”

“Certo. Quindi se frugo nel tuo cellulare non troverò una chiamata ad Ethan Rayne di questa mattina, vero?”

“No, non la troveresti” le sorrise. “Ne troveresti una ad Angel O'Connor”

“Sul serio?” chiese stupita.

“Ovviamente. Credi che avrei dato a Ethan Rayne una soddisfazione simile?”

“Giusto ragionamento...”

“Io faccio sempre ragionamenti giusti”

“Come ieri, quando dicevi a me di superare le mie questioni personali e fare il mio lavoro?”

“E risparmiarti una macchia che poteva costarti la carriera. Questo non costerà nulla nè a me nè a te. È la cliente ad aver cambiato idea, non abbiamo perso”

La ragazza sorrise.

“Questo non è, come dire, assolutamente non professionale? Non potresti venire, ad esempio, citato in giudizio per essere andato volontariamente contro gli interessi di una cliente?”

“Sottigliezze” scrollò le spalle. “Dubito che O'Connor farà la spia, dopo il favore che gli ho fatto”

“Per curiosità, avevi già in mente tutto questo ieri, mentre mi lasciavi fare una figura pietosa con Giles e la mia idea di ritirarmi?” chiese a braccia incrociate.

“Nah. Mi ha ispirato lo strip che mi hai fatto ieri sera”

“Dovrò fartene più spesso allora”

“Questo è poco ma sicuro”

Quando Lindsey e Darla annuirono tra loro e si alzarono in piedi, William e Buffy smisero i loro sussurri e si avvicinarono a loro.

“Avete deciso cosa fare?” chiese William.

“Si,” Darla prese Lindsey per mano. “Abbiamo deciso”

 

* * *

 

“Non si può proprio dire che O'Connor sia stato felice dell'esito della mattinata”

“Quale dei due intendi?”

“Entrambi” commentò Buffy, guardando in televisione il telegiornale che li ritraeva.

William si lasciò andare sulla poltrona del proprio ufficio, a cui avevano fatto ritorno subito dopo aver scortato Darla fuori. La donna aveva avuto un'idea geniale per salvare le apparenze all'ultimo minuto: aveva trascinato Lindsey a dichiarare insieme a lei il loro amore alla stampa, chiedendo pubblicamente e drammaticamente perdono per il proprio tradimento e giurando che era confusa dall'amore che provava e non aveva inteso nuocere a suo marito. Angel aveva quasi riso per quanto melensa e ridicola era quella storia, mentre l'altro fratello O'Connor quasi balbettava per il disagio.

“Uno ha comunque avuto quello che voleva e l'altro di certo quello che meritava” commentò William.

Buffy fece una smorfia, spegnendo il televisore.

“Cosa diciamo a Giles?” chiese, appoggiandosi alla scrivania.

“La verità” disse William, alzandosi e affiancandosi a lei.

“Che hai suggerito all'avversario cosa fare per vincere?”

“Io salterei quella parte, se non ti dispiace” sorrise lui.

La ragazza allacciò le braccia al suo collo, mentre lui le poggiò le mani sui fianchi. Si chinò su di lei, dandole un lieve bacio sulle labbra.

“E tu?” chiese lei, dopo un momento. “Ancora mi ami?”

“E' fuori dubbio” rispose lui.

“Bene. E adesso?”

“Adesso cosa?” sussurrò.

“Il processo è finito. Cosa succederà adesso?”

William nascose il viso tra i suoi capelli e sospirò contento.

“Possono succedere alcune cose, penso. Potrei restare qui, lavorare allo Studio e fingere di vivere in albergo mentre in realtà assedio ogni sera la nuova casa che ti troverai” la sentì ridere. “O potrei tornare a New York, al lavoro in proprio, fuori dagli occhi di Doyle, ma perdendo te”.

Buffy aggrottò la fronte. Non slacciò le mani dalla sua nuca, ma si staccò da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi e vedere se era serio.

“Oppure...” disse lui, prima che lei potesse inquisire. “Potrei tornare a New York... e tu potresti venire con me”

A quelle parole, Buffy dovette distogliere lo sguardo per trattenere il sorriso di commozione che minacciava di farla sembrare un'adolescente a San Valentino.

“E questa decisione da cosa dipende?” chiese, mordendosi il labbro.

“Principalmente, da te”

“Mi stai dicendo che non ti fa differenza?” chiese scettica.

“Non proprio. Ti sto dicendo che ci sono pro e contro di entrambe le proposte e che, in base alla politica di tentare di essere una coppia, credo la tua opinione sia necessaria. Ovviamente sto considerando solo le proposte in cui tu sei presente” sorrise.

“Se la mia opinione non fosse necessaria, la tua scelta quale sarebbe?”

William inclinò la testa, accarezzandole la schiena con il pollice lentamente.

“Mi piacerebbe qui. Ma non penso Doyle vivrebbe felice con me e te di fianco ogni giorno, e avrei qualche problema a piantare in asso il mio vecchio lavoro per trasferirmi definitivamente”

Buffy annuì, guardandolo negli occhi.

“Sono contenta che la pensi così” gli disse.

“Ah si?” chiese sospettoso “E perchè?”

“Perchè...” seguì con gli occhi la linea della sua cravatta, percorrendola con un dito. “... Aspettavo che ci fosse un momento per parlarne: io potrei aver trovato un'appartamento”

William aggrottò la fronte.

“Come hai fatto a trovare casa se ne abbiamo viste solo due l'altro ieri e le hai scartate?”

“Potrebbe essere che l'avevo già trovato, in realtà”

“E... dove?” chiese lui, sempre più confuso.

“Magari... a New York”

Buffy evitò il suo sguardo, aspettando una reazione. William le sollevò il mento per guardarla negli occhi.

“Come?”

“Tramite internet”

“Dove?”

“Diciamo... di fianco al tuo”

“E come fai a sapere dov'è il mio”

“Diciamo che non sei l'unico che sa rubare le agende”

La ragazza trattenne il fiato, sperando di decifrare la sua espressione. Sapeva che era stata una mossa azzardata, ma nei giorni passati si era resa sempre più conto che erano poche le possibilità che William volesse restare a Los Angeles, a fine processo. Troppe complicazioni, avrebbe dovuto ricominciare a lavorare da socio invece che da libero professionista, lasciare tutti i clienti che aveva acquisito, trovare una casa, sopportare giorno dopo giorno lo sguardo di Doyle... Lei, invece, non aveva più niente a trattenerla in quel posto. L'unica incognita, ovviamente, era se William l'avesse voluta con se...

“Sai che cosa penso?” le disse lui, un eternità più tardi.

“No, ma lo vorrei sapere”

“Penso che il mio appartamento di New York non mi è mai piaciuto. È freddo e al piano di sotto abita una vecchietta che mi guarda storto ogni volta che passo dal suo pianerottolo”

Buffy alzò un sopracciglio.

“Dici che nella tua casa ci sarà un divano in cui mi posso accampare? Magari a tempo indeterminato”

Registrando lentamente le sue parole, la ragazza sorrise. Quasi non ne era certa ma, forse, quello era un assurdo e intricato modo di proporle di vivere insieme.

“C'è anche una stanza in più. Sarebbe perfetta per contenere il tuo ego” gli sorrise.

William sorrise.

“Okay”

 

 

Epilogo

 

 

Era trascorso un mese, dalla fine del processo O'Connor. Il tempo necessario perchè le dimissioni di Buffy fossero effettive e per concludere il contratto con l'appartamento di New York.

Lei e William erano andati a vederla e ad arredarla durante un paio di weekend, sorpresi di non trovare difficoltà a mettere d'accordo i reciproci gusti. Fu invece più difficile accordarsi quando William disse che voleva comprare l'appartamento di tasca propria, insistendo che Buffy non aveva abbastanza fondi da parte e, con lui disponibile, sarebbe stato ridicolo da parte sua chiedere un mutuo. Buffy non era a suo agio perchè questo limitava il suo necessario senso di indipendenza, anche se riconosceva a favore che le faceva piacere, per una volta, avere una persona che si prendeva tanta cura di lei.

Alla fine aveva ottenuto che nel contratto di proprietà risultassero entrambi i loro nomi e che, per ripagarlo, avrebbe lavorato per lui. William non ne era affatto dispiaciuto, dato che intendeva proporlo lui per primo. Il lavoro era più divertente, insieme a lei.

“Hai finito di impacchettare le tue cose?” le chiese, sistemando le ultime camice in valigia.

“Vuoi dire il mio scatolone?” rispose lei.

“Avrei dovuto regalarti una valigia...”

“Lo scatolone è più rappresentativo”

“Spero per te che non si rompa in viaggio”

William chiuse la zip della propria valigia e la trascinò di fianco alla scatola della ragazza, vicino alla porta della sua stanza. Buffy si avvicinò a lui alle spalle, circondandogli la vita con le braccia e guadagnando un suo sorriso.

“Mi ripeti perchè hai voluto che partissimo di notte?”

“Perchè è tradizione che io passi l'ultima serata a Los Angeles sul balcone dell'ufficio di Giles, a bere scotch e fare discorsi pseudo-filosofici di dubbio significato”

“Quindi dovrò guidare io fino all'aeroporto” constatò lei.

“In effetti sarebbe proprio il caso. Ti crea problemi?”

“Ah, no. Se ti fidi di me al volante...”

William si voltò nel suo abbraccio e la guardò preoccupato.

“Forse dovrei farmi passare la fobia dei taxi...”

Buffy rise, alzandosi sulle punte delle comode scarpe da tennis e dandogli un bacio sulle labbra. William le passò una mano tra i capelli e le sorrise.

“Sei sicura che tua madre non mi odierà per averti portata dall'altra parte del paese?”

“Al massimo metterà troppo pepe nel tuo piatto, quando ti porterò a conoscerla”

Gli lasciò un altro bacio, ottenne un altra carezza.

“E tu?” gli chiese poi “Tu hai dei genitori?”

“Penso che tutti ne abbiano”

“William...”

L'uomo sospirò sorridente. Inclinò la testa, la guardò negli occhi e, poi, le baciò la punta del naso.

“Mio padre e mia madre sono entrambi vivi e sereni a vivere la loro pensione in Florida, come ogni brava vecchia coppia di sposi. Mia madre sarà gelosa di te, perchè mio padre ti adorerà”

Buffy si sentì quasi arrossire, ma l'orgoglio non glielo permise. Trovava anche molto ironica la situazione: Doyle non voleva farle conoscere suo padre per risentimento, William dava per scontato di presentarle il proprio. Quello che era il loro rapporto, attualmente, avrebbe potuto essere visto dall'esterno come una normale relazione tra due adulti innamorati. Ma era pieno di piccoli, infinitesimali ma significativi passaggi che per loro non erano comuni. Erano costruiti e affini, frutto di un'insindacabile fiducia e rispetto che avevano l'uno per l'altra più di quanto avrebbero mai avuto per il resto del genere umano.

“Dovrei andare, Giles mi aspetta finito il lavoro” le disse lui. “Tu cosa vuoi fare?” le chiese.

La ragazza scrollò le spalle, pensandoci su.

“Vengo con te, devo salutarlo anch'io” decretò. “Tranquillo, poi vado al bar di sotto mentre fate la vostra serata tra uomini” scherzò allusiva.

“Mi preoccupa di più pensarti sola in un bar, che presente ai nostri deliri” ricambiò il bacio.

Si separarono per prendere ognuno il proprio cappotto. Buffy sollevò il suo scatolone e si guardò intorno, mentre William prendeva la valigia.

“Non sono nostalgica, ma penso mi mancherà questa camera” disse lei.

William le aprì la porta.

“Mi assicurerò di richiederla, quando passeremo da qui”

Lo aveva detto come fosse una concessione che le faceva ma, in realtà, appena Buffy uscì dalla porta fu lui a guardarsi intorno nostalgico. Ne aveva viste di cose, quella stanza... Sospirò, chiudendo la porta dietro di sè.

 

Quando arrivarono allo Studio, era passato da poco l'orario medio di fine lavoro. La reception era vuota, la maggior parte delle luci spente e gli uffici chiusi, quasi desolati.

William procedette con passo sicuro verso l'ufficio di Giles. Buffy lo seguiva più lentamente, godendosi un ultimo momento per guardarsi intorno, in quel posto che aveva visto così tanto della sua vita. Lì aveva percepito il suo primo, onesto, stipendio. Lì aveva vinto il suo primo caso. Lì aveva ricevuto le prime sincere congratulazioni da capo e colleghi. Lì aveva conosciuto William, lì era stata la loro prima assurda volta...

Ad un tratto vide, tra le scrivanie dei nuovi assunti, una luce accesa.

“William...” lo chiamò, fermandosi.

L'uomo si voltò indietro.

“Ti raggiungo dopo. Devo... salutare un altra persona” disse, con cautela.

William seguì la direzione del suo sguardo e capì cosa intendeva. Il suo viso si spense, per un momento, del proprio entusiasmo. Fu combattuto se seguirla o procedere, ma capì che era meglio non interferire e annuì soltanto.

“Ti aspetto” le disse, riprendendo a camminare.

Buffy guardò di nuovo verso la luce. Non era certa di cos'avrebbe detto, ma si avviò con passo sicuro nel corridoio, fermandosi solo quando arrivò alla scrivania di Doyle.

Il ragazzo, sentendo qualcuno avvicinarsi, alzò gli occhi. Inutile dire quanto fosse sorpreso.

“Ciao” disse lei.

“Ciao...” rispose lui, con un filo di voce.

Buffy lo vide alzarsi lentamente e appoggiare la schiena alla parete, infilando le mani in tasca e tenendo lo sguardo basso.

“Ho sentito dire che stai partendo...” le disse lui, un momento dopo.

“Si, stanotte. William e io andiamo a stare a New York”

“Capisco. Sono felice per te”

“Bugiardo” sorrise tristemente.

“Già, beh... forse mi sento ancora un po' preso in giro”

La ragazza annuì lentamente.

“Hai ragione. Non ho mai inteso farti stare male, ma so di averlo fatto e... mi dispiace. Mi dispiace davvero. Ora non sarai più costretto a vederci tutti i giorni, spero starai meglio” disse sinceramente.

“C-Ci credo che ti dispiace. Solo... in questi giorni ti guardavo, sai?” le disse, trovando il coraggio, per un attimo, di guardarla negli occhi. “Ti guardavo, quando mi passavi davanti. All'inizio, sembravi... quasi un'altra persona. Poi ho guardato meglio. Sei... sei molto simile a quando ti ho conosciuta” ammise, abbassando di nuovo lo sguardo. “E allora mi sono chiesto: stavi sul serio bene quando eri con me?”

“Certo che stavo bene con te, Doyle” disse seriamente. “Tu sei... una persona molto dolce, gentile...”

... semplice. Buffy prese un respiro, decidendo di confessarsi. Avrebbero potuto non esserci occasioni migliori.

“Quando ti ho conosciuto, mi hai fatto desiderare di essere una persona migliore. Così io ci ho provato e... credevo ne sarei stata capace, per te. Ma io non sono una persona migliore. Sono me stessa. E mi piace esserlo”. Sospirò di nuovo. “Le persone non cambiano... al massimo si confondono, per un po'”

Le sue parole rimasero sospese nell'aria, mentre i due stavano in silenzio. Doyle sospirò pesantemente, continuando a guardare il pavimento mentre assimilava quelle frasi. Poi parlò.

“Per quanto è durata, sono contento di essere stato la tua confusione”

Buffy sorrise. Con qualche acciacco, era tornato il solito Doyle che tenta di sdrammatizzare ogni cosa. In quel momento seppe che, prima o poi, sarebbe stato meglio davvero.

“Lui...” iniziò Doyle, bloccandosi per cercare le parole.

Buffy indovinò cosa voleva dire. Dopotutto, lo conosceva ancora bene.

“E' sul balcone con Giles” disse.

“Grazie...”

Il ragazzo alzò gli occhi un ultima volta, prima di allontanarsi nella direzione indicata. Lui e Buffy si salutarono con un cenno, perchè stupidi ed impersonali saluti sarebbero stati decisamente fuori luogo, adesso.

 

* * *

 

“Elizabeth mi odia?”

“Perchè dovrebbe?”

I due uomini stavano seduti sulle proprie poltrone, ognuno aveva in mano un bicchiere di liquore appena sfiorato, mentre guardavano la città buia davanti ai loro occhi. Giles sospirò triste.

“Non mi guarda più allo stesso modo da quel discorso sul 'licenziarla se si ritirava dal caso O'Connor' che mi hai costretto a farle per spaventarla. Ancora non so come possa essere suonato realistico”

“Non era così assurdo. Ritirarsi da una causa in corso per motivi ideologici a soli tre anni dall'assunzione è ampiamente criticabile” commentò..

“Credi sul serio che l'avrei licenziata?”

“Tu? Nemmeno se ti avesse finito le riserve di scotch” prese un sorso dal proprio bicchiere. “Comunque, penso sia solo in imbarazzo. Teme che tu sia deluso per le sue dimissioni” spiegò all'amico.

Giles sospirò, scuotendo la testa.

“Me le aspettavo. Sapevo che me l'avresti portata via” sorrise tra sè, felice per l'amico.

I due rimasero fermi in un confortevole silenzio, per alcuni minuti. Poi Giles parlò di nuovo.

“Se me lo avessero detto tre mesi fa, che tu ti saresti innamorato e saresti andato a vivere con la tua fidanzata, probabilmente mi sarei messo a ridere”

“Devi fare una cosa per me”

“Trovarti un auto per scappare?”

William sorrise tra sè, poi tornò serio.

“Tieni un occhio sul ragazzo da parte mia...”

Giles esalò un sospiro.

“Hai intenzione di andare a salutarlo, almeno?” chiese, con cautela. William scosse la testa.

“Vorrei, ma non mi pare il caso”

Sentirono dei passi avvicinarsi dall'ufficio. Giles si voltò a guardare, mentre William attendeva l'arrivo di Buffy.

“Ci vediamo dopo, Will” disse Giles sorridendo, alzandosi e allontanandosi.

William, confuso, aggrottò la fronte e seguì con gli occhi Giles all'interno, scoprendo a cosa si riferiva.

Doyle era in piedi al centro della stanza, incerto su come muoversi. Passandogli di fianco, Giles gli diede una leggera pacca sulla spalla e procedette oltre.

 

William si alzò frettolosamente in piedi. Era sorpreso ma, che fosse venuto ad insultarlo o a confrontarsi, era contento di vederlo. Il termine preciso era 'emozionato', ma era una parola talmente esterna al suo vocabolario che non l'avrebbe mai usata.

Rimase in piedi, ad un passo dalla soglia della stanza ma rimanendo fuori, sul balcone. Voleva che fosse Doyle ad avvicinarsi, che ci mettesse tutto il tempo che voleva.

Il ragazzo attese di sentire la porta chiudersi dietro Giles, prima di muovere un passo. Camminò molto lentamente, imbarazzato, fermandosi a pochi metri dal patrigno. Uno fuori, l'altro entro la soglia. William non seppe dire quanto tempo era passato, quando Doyle parlò.

“Mi sono chiesto... perchè non mi avessi mai raccontato la tua versione dei fatti.”

William capì subito che non parlava di Buffy. Parlava dell'altro, più antico, conto in sospeso tra loro. Doyle continuò.

“Quando Giles mi ha detto tutto... sono stato molto... confuso. E ho fatto rintracciare mia madre”

A quell'informazione, l'uomo abbassò gli occhi, per la prima volta da molti anni. Anche lui l'aveva fatto, a suo tempo, e non era stato bello.

“Suppongo... puoi immaginare che lei ha tranquillamente confermato tutto”, era molto maturo da parte sua usare parole così educate. “E così... sì, mi sono chiesto perchè ho dovuto scoprirlo adesso. Ho supposto non ti importasse parlarmene, poi...” sospirò. “... poi mi è venuto in mente... che mia madre ti ha preso e lasciato quando avevi l'età che ho io ora”.

William alzò gli occhi. Studiò l'espressione del ragazzo, sorpreso e toccato da quell'inaspettata considerazione.

“Penso ad Elizabeth... ho passato una notte a chiamarla, giorni a piangere, serate a bere. Se avessi scoperto che si è approfittata di me, se mi ritrovassi con un bambino di sette anni che me la ricorda ogni volta che lo guardo... non so cos'avrei fatto, ma non so se sarebbe stato migliore di quello che hai fatto tu”.

William non mostrò reazioni. Non perchè non ne avesse, tutto l'opposto. Provava talmente tante cose, da non saper scegliere quale mostrare. Doyle scelse per sè, invece, quando distolse lo sguardo e potè notarsi il luccichio nei suoi occhi, mentre cercava di mostrare forza e non piangere.

“Vedi il fatto è che... io non so nemmeno se ti importa che ti sto dicendo questo. Perchè è vero quello che ti ho urlato quel giorno, io e te non ci conosciamo e... se fossi stato te, avrei avuto paura di parlarmi, ma magari tu non lo facevi perchè sul serio non ti importava farlo e...”

“Ero terrorizzato”

Le parole erano uscite, dalla bocca dell'uomo, prima ancora che potesse considerare di parlare.

“Ero immaturo e terrorizzato. E mi importa. E quando tua madre se n'è andata, penso di non essere stato sobrio per molto tempo. E...” sospirò, dopo quello stupido flusso di parole non calcolate. “... e non ho mai... conosciuto l'orgoglio di padre, finchè quel giorno non mi hai preso a pugni”.

William si sentì prendere da una strana agitazione. Aveva appena parlato al ragazzo, detto quello che pensava, nulla di cui pentirsi o vergognarsi e nulla che non avrebbe dovuto dire tempo fa. Eppure era stato difficile, complicato trovare le parole che quasi gli erano uscite distorte come un balbettio.

Stettero in silenzio, per alcuni minuti. Lui ebbe l'istinto di parlare ancora, di qualunque cosa delle tante che nel corso degli anni aveva pensato di dirgli, ma non lo fece. Una cosa per volta.

Doyle prese un grande respiro. Camminò verso William, di quei pochi passi che li separavano, mentre l'uomo rimaneva immobile, col fiato sospeso.

A meno di un metro da lui, Doyle si fermò. Aveva gli occhi rossi e lucidi, stanchi, incapaci di guardare nitidamente quelli azzurri e svegli dell'uomo davanti a lui. Alzò una mano, ci ripensò e la fermò a mezz'aria. Poi si decise e la sollevò fino alla spalla del patrigno, appoggiandovela sopra.

“Buona fortuna, a New York” sussurrò.

Esitò un istante, attimo in cui William fu quasi certo di aver visto il tentativo di un sorriso di mutua comprensione, prima di voltarsi ed uscire. In fretta, prima che le lacrime scendessero.

William rimase fermo al suo posto, per un tempo indefinito. Nella sua testa vagavano molti pensieri, ma riecheggiavano distintamente soltanto le parole 'Forse, un giorno...'

 

Quando William uscì dall'ufficio di Giles, mezz'ora ed uno scotch più tardi, trovò la luce del vecchio ufficio di Buffy accesa. Si avvicinò alla porta, appoggiandosi allo stipite mentre guardava la ragazza e il suo migliore amico stretti in un abbraccio nostalgico. Non potè fare a meno di sorridere.

Loro non si accorsero della sua presenza e questo gli diede il tempo di pensare. Aveva fatto tanti errori nella sua vita, ne avrebbe fatti ancora tanti, ma andare a New York e vivere con Buffy non sarebbe stato uno di questi. Trovava ironico che una delle azioni più deplorevoli che avesse mai fatto potesse, in qualche modo, aver dato un senso a tutte le altre.

Ma, del resto, l'ironia era sempre stata la sua passione.

 

Giles e Buffy si separarono, scambiandosi dei 'buona fortuna' e 'fammi una telefonata ogni tanto', e William si intromise nel quadro.

“Com'è andata col ragazzo?” chiese Giles preoccupato, appena lo vide.

“Molto bene... ma non penso mi inviterà a conoscere la Rossa, quando si fidanzeranno”

Buffy roteò gli occhi e Giles, più abituato di lei a quel genere di scherzo, ridacchiò. La ragazza si avvicinò al suo uomo, affiancandolo e prendendolo per mano. Lui intrecciò le dita nelle sue e si voltò di nuovo verso Giles.

“Sei sicuro che te la caverai, qui, senza di noi?”

“Oh, non saprei. Potrei ritrovarmi dei soci professionali e corretti” sorrise l'amico.

“Ti annoieresti a morte”

“Vorrà dire che verrò a trovarvi spesso”

“Quando vuoi. Ci mancherai” disse Buffy, seriamente.

Giles sorrise, rispondendo con un cenno del capo.

“Buona fortuna a tutti e due. Ora andatevene, prima di perdere l'aereo”

Con un'ultima occhiata contenta ad entrambi, Giles lasciò la stanza.

Buffy si guardò intorno, poi alzò gli occhi verso William, sorridendo maliziosamente.

“A cosa pensi?” chiese lui, col sopracciglio alzato.

“Penso che, la prima volta che sei entrato qui dentro, avrei voluto prenderti a schiaffi”

“Se non ricordo male, lo hai fatto”

“Già. Me lo lascerai rifare qualche volta, in futuro?” chiese, con falsa innocenza.

William si chinò su di lei, fermandosi a un sospiro dalle sue labbra.

“Solo se ti comporti bene” sussurrò, prima di baciarla.

Buffy allacciò le braccia al suo collo, approfondendo il bacio mentre William la stringeva in un abbraccio. Quando entrambi si separarono per riprendere fiato, lui appoggiò la fronte alla sua.

“Andiamo?” chiese lei.

William aprì gli occhi, sorridendo.

“Andiamo”

 

 

 

FINE