Commento alla "DONNA IN CATENE" (F.Bersanetti)

"Vigilia delle ceneri: la negazione del tempo"di MargotJ

25 settembre 2003

*** Precisazione: il seguente commento è una fedele ripresa delle email che ho scritto a Franca e a Rogiari dopo aver letto la loro opera a quattro mani.***

L'ho letta.
Con calma.
Assaporata come l'agonia.
Precisa e letale, nitida.
È la passione su cui aleggia la morte.
E va rispettata per questo. Ed apprezzata.

E' esplicita. Su questo non si possono avere dubbi.
A mio avviso, il fatto che sia scritta impersonalmente, permette ai due stili di confondersi. In certi punti si riconosce il tocco, di una o dell'altra, in alcune frasi, in alcune movenze. E per quanto io, personalmente, ami maggiormente il filone, diciamo classico, della donna in catene, proprio per l'aspetto introspettivo, per la personalità graffiante di chains nelle sue constatazioni, non posso che essere concorde per questa narrazione onnisciente.
E non posso che dichiararmi, per tanti altri validi motivi, semplicemente onorata da questa anteprima che mi è stata offerta.

Forse, si dovesse ridurre queste venti pagine ad un singolo aggettivo, il più scarno e scientificamente efficace sarebbe 'comunicativa'. Ma non è abbastanza.
Sono affascinata, da questa Venezia romantica e decadente. E non posso fare altro che concordare su come la cornice possa aver contribuito alla storia, agli stati d'animo con cui vengono dipinti i cinque vampiri.
"Vigilia delle ceneri", come succede talvolta alle storie che raccontano un lasso di tempo relativamente breve, appare estemporanea.
Non so se riesco a spiegarmi. I protagonisti si muovono nell'arco di una notte in cui la fine tarda a venire. E, di colpo, è troppo vicina.
Nell'attimo stesso in cui la notte giunge quasi alla fine, l'atmosfera decadente sembra amplificarsi e divenire sfrenata. Come un frutto troppo maturo da addentare e assaporare.
E da trovare troppo dolce.
Immortali… figure policromatiche in una cornice in bianco e nero. E, nel finire della notte, destinati a tornare monocromatici, con l'arrivo dell'alba.

Non una notte qualsiasi. Ma quella che precede la Quaresima.
L'ultimo attimo di sfrenata follia, prima di una lunga penitenza ed un lungo digiuno.
Il carnevale diviene l'emblematico annullarsi delle regole anche per i mortali. Nulla ha più il valore che gli viene abitualmente attribuito. Tutto viene rinnegato.
E, in questo capovolgimento della vita umana, si muovono loro, immortali e freddi, impegnati ad abbeverarsi di questa follia, con l'inconscia consapevolezza di essere privi di una vera urgenza di vivere, di una vera necessità d'esorcizzare tipica di chi sa che il tempo continua comunque, inesorabilmente, a scorrere. E che, prima o poi, ogni colpa va scontata.
Nel momento stesso il cui gli uomini cercano di dimenticare passato, presente e soprattutto futuro, coloro che vivono fuori dal tempo giungono nuovamente alla consapevolezza del susseguirsi isterico degli attimi in una vita senza fine.
Essi esitano, si perdono e si ignorano. E, come se fossero nuovamente umani, si tuffano nell'eccesso, a caccia di una sorgente a cui dissetarsi realmente.
Il carnevale di Venezia finisce con l'essere una cornice perfetta per questo stato d'animo "languido". L'umanità diviene un insieme di ombre che viene a malapena notato, sullo sfondo. Come una cornice composta di mille particolari irrilevanti se presi singolarmente.
Il carnevale è un attimo di follia per la popolazione. E, per i vampiri, non è altro che un suntuoso spettacolo da cui attingere svogliatamente restando insoddisfatti.

Venezia narra la decadenza, il tempo perduto… per quanto la storia si ambienti in un'epoca sfarzosa, non si riesce a scindere la visione festosa dalla sua bellezza notturna in cui le ombre si muovono e vanno a caccia.
Nella notte in cui tutti sono predatori.
Ciò che domina è, infatti, la descrizione dei cattivi o, meglio, degli amorali. Si confondono con gli umani, per le strade e le calle, come loro, si lasciano liberamente andare.
Un gioco. Nient'altro che un gioco, pericoloso e affascinante.
L'atmosfera, il posto, le sensazioni, gli stati d'animo. Tutto perfetto. E, in questo quadro, cupo quanto orrido, si muovono loro cinque.
Irriconoscibili. Perché sono i demoni troppe volte dimenticati nelle miriadi di storie scritte su di loro. Rimangono i personaggi che abbiamo amato. Nulla li snatura. Ma sono i demoni che talvolta cerchiamo di scordare, per portare in superficie solo il loro lato romantico, le loro debolezze.
Troppo spesso dimentichiamo come siano predatori, non soggetti alle leggi umane, sospesi nel tempo, congelati in un atteggiamento che si ripete, secolo dopo secolo.
Sono pieni di passione, ma privi di vitalità.
A mio avviso, il ritorno dell'anima può significare che il tempo ricomincia a scorrere, che ci sono cose immerse nel tempo da amare nuovamente. Cose e persone da amare intensamente, nella consapevolezza di poterle perdere.
Mentre prima… prima il tempo risulta fermo. E, non a caso, questa storia parla di vampiri che si circondano di altri vampiri. Eterni, immortali e con le stesse identiche ambizioni. O forse la stessa identica noia.

Solo una scena rimane vivida e estremamente luminosa, in questo assieparsi di ombre: l'interludio nella stanza degli affreschi.
Dal mio punto di vista, è il momento in cui gli avvenimenti arrivano maggiormente a coincidere con quello che sono le riflessioni e la mentalità di Chains. Della Chains che racconta del suo rapporto con angelus e del loro continuo incontrarsi e scontrarsi. In assoluto il punto maggiormente in linea con quello che è il filo conduttore. E che rende realmente importante il capitolo nella saga, meno episodico, più emblematico.
Racchiuso in questa scena sta uno dei particolari più rilevanti di tutto il primo atto della Donna in Catene. Ovvero l'abbandonarsi uno nell'altro, ormai inevitabile. L'incontro dei due amanti segna l'inizio della quaresima del vampiro. La luminosità oscura e malvagia di Angel si avvia al crepuscolo.
Quasi un preludio ai futuri incontri. Tragicamente, potremmo leggere in questa scena d'amore, la prima riga della storia della caduta di Angelus, voluta da Chains e dal destino in egual misura.
E, riguardo al nome della nostra eroina... qualunque sia, è perfetto.

Venezia ha un fascino macabro che non si riesce mai a respingere. Un fascino cupo che sorge dai canali nel momento in cui divengono bui come inchiostro.
Nel momento in cui l'unica luce visibile è quella riflessa nell'acqua, la realtà che si specchia in essa ci appare distorta. Ci appare stranamente già fluita lontano, come se quasi si continuasse ad insistere sul fatto che è già svanita. Che il presente è già fuggito.
E, paradossalmente, essi sono gli unici a non potersi specchiare in questi canali. Gli unici privi di riflesso, ormai al di fuori di questo sfilare di ombre.

Per stasera è tutto.
Per stasera aleggia ancora la notte della Serenissima con le sue paure ed i suoi desideri.